Google
This is a digitai copy of a book that was prcscrvod for gcncrations on library shclvcs bcforc it was carcfully scannod by Google as pari of a project
to make the world's books discoverablc online.
It has survived long enough for the copyright to expire and the book to enter the public domain. A public domain book is one that was never subjcct
to copyright or whose legai copyright terni has expired. Whether a book is in the public domain may vary country to country. Public domain books
are our gateways to the past, representing a wealth of history, culture and knowledge that's often difficult to discover.
Marks, notations and other maiginalia present in the originai volume will appear in this file - a reminder of this book's long journcy from the
publisher to a library and finally to you.
Usage guidelines
Google is proud to partner with librarìes to digitize public domain materials and make them widely accessible. Public domain books belong to the
public and we are merely their custodians. Nevertheless, this work is expensive, so in order to keep providing this resource, we have taken steps to
prcvcnt abuse by commercial parties, including placing lechnical restrictions on automated querying.
We also ask that you:
+ Make non-C ommercial use ofthefiles We designed Google Book Search for use by individuals, and we request that you use these files for
personal, non-commerci al purposes.
+ Refrain fivm automated querying Do noi send aulomated queries of any sort to Google's system: If you are conducting research on machine
translation, optical character recognition or other areas where access to a laige amount of text is helpful, please contact us. We encouragc the
use of public domain materials for these purposes and may be able to help.
+ Maintain attributionTht GoogX'S "watermark" you see on each file is essential for informingpcoplcabout this project and helping them lind
additional materials through Google Book Search. Please do not remove it.
+ Keep it legai Whatever your use, remember that you are lesponsible for ensuring that what you are doing is legai. Do not assume that just
because we believe a book is in the public domain for users in the United States, that the work is also in the public domain for users in other
countiies. Whether a book is stili in copyright varies from country to country, and we cani offer guidance on whether any specific use of
any specific book is allowed. Please do not assume that a book's appearance in Google Book Search means it can be used in any manner
anywhere in the world. Copyright infringement liabili^ can be quite severe.
About Google Book Search
Google's mission is to organize the world's information and to make it universally accessible and useful. Google Book Search helps rcaders
discover the world's books while helping authors and publishers reach new audiences. You can search through the full icxi of this book on the web
at|http: //books. google .com/l
Google
Informazioni su questo libro
Si tratta della copia digitale di un libro che per generazioni è stato conservata negli scaffali di una biblioteca prima di essere digitalizzato da Google
nell'ambito del progetto volto a rendere disponibili online i libri di tutto il mondo.
Ha sopravvissuto abbastanza per non essere piti protetto dai diritti di copyriglit e diventare di pubblico dominio. Un libro di pubblico dominio è
un libro clie non è mai stato protetto dal copyriglit o i cui termini legali di copyright sono scaduti. La classificazione di un libro come di pubblico
dominio può variare da paese a paese. I libri di pubblico dominio sono l'anello di congiunzione con il passato, rappresentano un patrimonio storico,
culturale e di conoscenza spesso difficile da scoprire.
Commenti, note e altre annotazioni a margine presenti nel volume originale compariranno in questo file, come testimonianza del lungo viaggio
percorso dal libro, dall'editore originale alla biblioteca, per giungere fino a te.
Linee guide per l'utilizzo
Google è orgoglioso di essere il partner delle biblioteche per digitalizzare i materiali di pubblico dominio e renderli universalmente disponibili.
I libri di pubblico dominio appartengono al pubblico e noi ne siamo solamente i custodi. Tuttavia questo lavoro è oneroso, pertanto, per poter
continuare ad offrire questo servizio abbiamo preso alcune iniziative per impedire l'utilizzo illecito da parte di soggetti commerciali, compresa
l'imposizione di restrizioni sull'invio di query automatizzate.
Inoltre ti chiediamo di:
+ Non fare un uso commerciale di questi file Abbiamo concepito Googìc Ricerca Liba per l'uso da parte dei singoli utenti privati e ti chiediamo
di utilizzare questi file per uso personale e non a fini commerciali.
+ Non inviare query auiomaiizzaie Non inviare a Google query automatizzate di alcun tipo. Se stai effettuando delle ricerche nel campo della
traduzione automatica, del riconoscimento ottico dei caratteri (OCR) o in altri campi dove necessiti di utilizzare grandi quantità di testo, ti
invitiamo a contattarci. Incoraggiamo l'uso dei materiali di pubblico dominio per questi scopi e potremmo esserti di aiuto.
+ Conserva la filigrana La "filigrana" (watermark) di Google che compare in ciascun file è essenziale per informare gli utenti su questo progetto
e aiutarli a trovare materiali aggiuntivi tramite Google Ricerca Libri. Non rimuoverla.
+ Fanne un uso legale Indipendentemente dall'udlizzo che ne farai, ricordati che è tua responsabilità accertati di fame un uso l^ale. Non
dare per scontato che, poiché un libro è di pubblico dominio per gli utenti degli Stati Uniti, sia di pubblico dominio anche per gli utenti di
altri paesi. I criteri che stabiliscono se un libro è protetto da copyright variano da Paese a Paese e non possiamo offrire indicazioni se un
determinato uso del libro è consentito. Non dare per scontato che poiché un libro compare in Google Ricerca Libri ciò significhi che può
essere utilizzato in qualsiasi modo e in qualsiasi Paese del mondo. Le sanzioni per le violazioni del copyright possono essere molto severe.
Informazioni su Google Ricerca Libri
La missione di Google è oiganizzare le informazioni a livello mondiale e renderle universalmente accessibili e finibili. Google Ricerca Libri aiuta
i lettori a scoprire i libri di tutto il mondo e consente ad autori ed editori di raggiungere un pubblico più ampio. Puoi effettuare una ricerca sul Web
nell'intero testo di questo libro dalhttp: //books. google, comi
A^
STORIA
DELLA TOSCANA
SINO AL PRINCIPATO
CON DIVERSI SAGGI
tCLLB
SaENZE, LETTERE E ARTI
DI
LORENZO PIGNOTTI
ISTORIOGEAFO RBGIO
z
TOMO PBJMO
FIRENZE
PRBS60 LEONAHOO CIAROETTt
PREFAZIONE
PBBMBSSA
ALLA PRIMA EDIZIONE 01 PISA
A
colotd^ i ijuali per altro titolo non conoscevano il
celebre Dottc^ Lorenzo Pìgnotti, che per quello di primo
Scrittore di Favole e di Novelle nella nostra lingua, ma-
raviglia non piccola avrà dovuto firarse recare l'annunzio.
d'una Storia importantissima uscita dalla sua penna. E in
fatdy se le qualità» che si ricercano per uno storico» sem-
brano in generale le più opposte a quelle che costitui*
•cono un poeta^ la difficoltà cresce a dismisura quando si
consideri il genere adottato dal Pignottii a cui apparten-
gono la gentilezzai la grazia» ed il brio. Si può immagi-
nare^ per esempio che grandi storici sarebbero forse riu-
aciti Dante^ e Torquato j ma difficilmente si potrebbe cre-
der lo stesso deU'Àriosto e del Forteguerri. Ck>me mai» si
dirà» quella pèùna» che scrisse V Anatomia del cuore di
unét donna galante , ci potrà condurre pe' ravvolgimenti
pdUtici» che aprirono le porte d'Italia a Ourlo YIII^ e
quindi ne lo costrìnsero con si rapida fuga a partirsene?
e come l'amabile scrittore del Cardellino e della Pado"
vanellaf ardirà di lottare nella narrazione degli avveni-
menti che precederono quella troppo celebre discesa de*
/
4 PREFAZIONE
gli Stranieri in Italia, con Io Storico famoso, cke al dir di
un sommo uomo, già nostro contemporaneo (i), dovreb-
be riguardarsi come un Tacito?
Quantunque la risposta migliore a tali considerazioni
sia la Storia medesima ^ che al pubblico finalmente si of-
fre^ quantunque il quadro preso a disegnare dal Machia-
velli sia ristretto in assai più brevi confini, e cessi quindi
ogni confronto j nuli' ostante non crediamo inutile di fare
osservare, che quello spirito di ordine, di chiarezza, e di
naturalezza in ispecie, che diresse il Pignotti in tutti i suoi
componimenti poetici, gli ha giovato mirabilmente quan-
do si è dato a scriver quest'Opera. È stato osservato, che
manca per lo più la naturalezza ai poeti quando dettano
la prosa. L'abitudine di cercare sempre i concetti pelle*
grini , o pellegrina almeno l' espressione , allorché non
possono esser tali i concetti, li abitua a rigettare l'espres-
sione più naturale, perchè troppo comune; e il minor di-
fetto che avere essi possano^ è quello di pendere nel lec-
cato. Questo difetto medesimo fu rimproverato all' Alga-
rotti, il quale benché nelle sue opere apparisca più scrit-
tore di prosa che di versi, nuli' ostante aveva passata la
sua gioventù nel conversar colle Muse. E se in ogni scritto
debbesi sfuggire un vizio, the più d'ogn' altro avverte il
lettore del troppo studio e della troppa meditazione del-
l'Autore, debbe soprattutto esser bandito dalla Storia, il
cui principale oggetto é il racconto del vero, che mal si
accoppia nell'animo di chi legge con la ricercatezza e
l'affettazione. E chi ardirebbe dubitarne^ dopo che fu
detto esser l' espressioni e le frasi , in qualche modo , la
fìsonomia de' concetti?
(i) Alfieri.
PREFAZIONE 5
E in vero, quando ti prenderà in m«no (juest' opera,
agevolmente si riconoscerà che la candidezza dell'animo <
di chi icrisse mirabilmente rifulge a traverso dell* espres-
sioni sanpre chiare» sempre naturali, non mai ricercate,
e condotte soprattutto con quell'ordine e quella giustezza
di disposizione, che deriva dalP ordine e dalla disposizione
delle idee. A questi pregi due altri più importanti se ne
aggiungono, e sono l'^imparzialità e la gravità colla quale
editata, pregi non troppo comuni^ e particolarmente
questo secondo, in uno scrittore di Novelle. Ma sanno
tutti coloro, che hanno conosciuto ' il Pignotti da presso,
che negli ultimi venti anni della sua vita, più agevolmente
si trovava in lui il filosofo che il poeta: e quando dopo il
chiqnantesimo anno ha preso in mano la lira ( per quel-
la affetto che sempre ci riconduce alle Muse , anche allor
quando si sono abbandonate ) gli argomenti dei suoi canti
chiaramente mostrarono , che aveva da gran tempo lasciati
gli scherzi e le follie, che accompagnato l'avevano nella
sua gioventù.
Considerando egli adunque che mancava alla Toscana
uÉi corpo di Storia, che cominciando dagli Etruschi^ of-
frisse in un quadro quanto avvenne di memorabile iu
questa provincia, sino all'epoca in cui cadde sotto la do-
minazione di quella celebre Famiglia, che sotto il libero
governo n'era stata il più beli' ornamento, cominciò sino
dal 1793 a disegnarne le prime linee.
Gli oscuri barlumi^ dietro a' quali gli antiquarj e i
fabbricatori d'ingegnose ipotesi conducono i lettori^ quan-
do parlano degli Etruschi , gli parvero per altro bastanti ,
se non a far grossi volumi, a comporre una breve narra-
zione, che servisse in qualche maniera d'introduzione alla
sua Istoria . In quella si propose di mostrare quanto gli
6 PREFAZIONE
Etnuchi valessero nell'armi, nella politica, nelle arti
nelle lettere, nelle scienze: e ricordandosi di quello cVei
doveva alla- convenienza» e lasciando alle indagini degli
eruditi quanto è incerto ed oscuro^ brevemente si, ma
con giustezza e precisione» sperò da buon cittadino di ri*
vendicare a favore deU'Etruria quello che n9n sembra
abbastanza provato in favore dei Greci •
Gli Etruschi perderono il loro nome , quando cadde*
ro sotto la dominazione de'Romanii e un altro ne acqui-
starono^ e con esso gran fama e splendore, quando dopo
molte vicissitudini si poterono costituire in liberi go*
verni. L'immenao e ignobil periodo , che dagli anni 47^
di Boma giunge sino agli anni iiiS della nostra Era, è
quello che più suole imbarazzare gli scrittori delle storie
moderne. E^li dimque immaginò di rinchiuderlo in un
solo Libro, nel quale cominciando dall' oflSrire agli occhi
dei leggitori la principal causa della decadenza del roma*
no Impero, e in conseguenza del servaggio degl'Italiani,
lidia decadenza della miliziai e proseguendo a narrare
tutte le rivoluzioni e le sventure che ne arvennero, sia
per le replicate invasioni de'barbarì, sia pel dispotismo
de'feudatar] , aia per la tirannide de' più polenti, giunge
alla istituzione della Cavalleria destinata a reprimere qu^
gli eccessi, che nessuna forza aveva potuto sino all<nra
impedire. E perchè dalle narrazioni dello storico non vai»
dano disgiunte le riflessioni del filosofo, non .si ac(»da di
far considerare a qual punto di cieca ignoranza pervenuti»
allor £[>sse l'ingegno umano, in specie nti famosi Giudizf
di DÌO9 degni di brillare in un'epoca, in cui alT esercizio
delle lettere era annessa la vergogna e il disprezzo. Pure
un qualche barlume di splendore rifulge anche in que'bar-
i tempi, in mezzo all'universale abbrutimento; e il
PREFAZIONE 7
lettore Sìxmoto, nfletttmdo a qcuiiito arrenne in appresso,
è costretto a riguardar con rammarico la niina del regno
de'God.
Ha aicoome^ in ^piesto immenso perìodo, sie n'eccet*
tiuamo la dominazione della Contessa Matilde, poco si
mostra la Toscana | terminando TAntore il II Libro della
soa St<ma dopo la morte di quella Donna, che fece tre*
mare gFImporatorii ed i Re d^ Italia, cambiare doveva il
sistema della sua narrazione^ e adottarne uno più ampio #
meno rapido per i quattro secoli che gli rìmanevano a
descrivere. Q>nsiderando poi che il modo di guerreggiare
in quell'epoca, sconosciuto e disusato ai nostri giorni^
rende talvolta poco intelligibile la ]^ressochè continua
narraxioae de' fatti d^arme negli antichi storici, pensò di
far precedere una breve A^>endice dell'Aàiv DILLA GiJsaRA
ma BASSI «EMPI, per indi passare a descrivere gli avreni'»
menti dei i^nattro secoli sopramentovati*
La divisione di e^si in tre grandi periodi venka luf
minosamente offerta alla mente di chi prendeva ad esa-»
minare profondamente le cause dei progressi e dell' in*
gnndimento della Repubblica Fiorentina, principale ogf
ffMo di chiunque diasi a scrivere la storia di Toscana.
Costituita Firenze liberamente, per quella tendenza,
che ha sempre il governo di molti a cader nel dispotismo
d'un solo, a poco a poco in mezzo alle fazioni si vede
precipitare in balia d'uno di quei Yicarj Imperiali, che
fiirono per varj anni il flagello degl'Italiani. Accprlamente
egli s*impadronisoe ddla forza | e giovandosi delle divir
sioni ed intestine discordie dei cittadini, ne diviene per
breve tempo il tiranno» Il pericolo comune fjs per un mor
mento tacere i privati interessi; il Duca d'Atene è cacciar
lo; son trucidati barbaramente i moi ministri, e ristabilHo
8 PREFAZIONE
è il libero governo. Questo perìodo, ehe ha un principio »
un mezzo t ed un fine» doveva naturalmente offinm allo
storico una parte compiuta, e chiudersi nel suo EI I^ro*
Riacquistata dai Fiorentini la libertà, dopo la cac*
ciata del Duca, quella stessa forza morale, ch'era servita
per abbatterlo, doveva giovare infinitamente ai capi di
quella fazione, che seppe impadronirsi del governo dopo
la sua caduta: e quanto era essa stata più grande per su-
perar gli ostacoli opposti dal tiranno e da' suoi satelliti,
tanto piii forte doveva essere la consistenza presa da quel
Magistrato, che sotto il nome di Capitani di Parte Guelfa
estese la sua autorità su tutte le parti che costituivano il
governo della Fiorentina Repubblica.
Le istorie moderne, sino alla fine dello scorso secolo,
non offrono esempj d'una tirannide esercitata in libera
citta, ed in nome delle leggi, simile a quella di im Magi*
strato, che fu per un tempo padrone della libertà degli
averi e perfino della vita stessa d'ogni classe di cittadini»
Nei var j tentativi da essi fatti per rovesciarlo» una famiglia
si distingue fra le altre per la sua affezione verso il basso
popolo; ne fomenta le sollevazioni contro i Capitani: si
oppóne ai mezzi posti in opera da quelli per mantenersi
nella loro mostruosa autorità; ed il di lei capo, eletto Gon»
faloniere in quei tempi tanto favorevoli a chi aspirava al
supremo potere, stabilisce la prima pietra del fondamento
di una nuova e straordinaria dominazione, che dopo aver
fatto i suoi discendenti arbitri per più d'un secolo della
Fiorentina Repubblica, li condurrà dopo varie vicissitu-
dini, a dichiararsene assoluti Signori, Senza titolo alcuno,
che la distinguesse fra le altre famigUe, la Casa Medici
non solo erane la principale, ma per mezzo de' suoi ade*
renti, la dominatrice in tutti i consigli del governo. Sic-
PREFAZIONE 9
eome gìttstameate fu dccto^ che in nna Repubblica mili-
tare presto» o tardi ne diventa Re il più valoroso ; in una
Repubblica di mercanti dovea divenirlo il più ricco ^ I
tesori accumulati dalla Famiglia BSedicea sembrerebbero
favolosi^ in quei tempi specialmente ove le materie d'oro
e d'argento erano sì scarse^ se non si conoscessero i mezzi
onde acqnistoHi, e se noti non fossero i talenti di Cosimo
nell'industria e nel traffico. L'autorità di quella Casa,
cominciata col favore del popolo , dopo la rovina dei
Capitani di Parte Guelfa in Silvestro, ed aumentata ne'suoi
6g]i e nipoti, divien ferma e eostante sino dai primi anni
della vita di Cosimo. Colle sue immense ricchezze aveva
egli comprato gli animi di quanti erano a vendersi nella Re*
pubblica; e colle forze e i voti riuniti di questi, si prepa*
rava a intimorire, o ad opprimere coloro, ohe non avevano
Tanimo avvilito abbastanza per lasciarsi comprare. Invano
i di lui emuli, e i più potenti ed arditi cittadini tentarono
sin da principio di opporsegli : invano lo chiusero in car-
cere, e l'inviarono in esilio. Essi troppo vilmente opera»
rono, perchè potesse riuscir loro d' opprimerlo ; e troppo
apertamente l'ofiesero, perch'ei potesse loro mai perdo-
narne il tentativo. Cosimo dei Medici, dopo un brevissimo
ed onoratissimo esilio, fu richiamato alla patì'ia; vi giunse
da trionfatore! proscrisse anche troppo crudelmente (a)
tutti i suoi nemici j crebbe in estimazione ed in autorità ;
e ne lasciò morendo l'onore ed il peso ad un figlio, che
non lo somigliava.
Ma tanta era la forza impressa a quella straordinaria
dominazione, che Piero, quantunque pressoché sempre
infermo, quantunque di gran lunga inferiore al padre ne(
(a) Teggasi l'Autore, Lib. IV, Gtp. IX, uno. 1434.
10 PREFAZIONE
talenti , quantunque tradito da un amico fallace (3), che
spezzar gli fece» senza ch'ei se n'accorgesset il giógo sotto
cui teneva oppressi i fedeli suoi numerosi aderenti| dopo
qualche pericolo trionfò delle insidie dei suoi coperti ne-»
mici) con^rvò Fautorità lasciatagli dal padre, e la legò tutta
intera a* suoi figli. Inutilmente ima orribile congiura, che
diramaTa le sua fila per molte parti d'Italia» alimentata
dall'odio d'ima potentissima famiglia » minacciò di minare
i due giovani fratelli» e ne spense il minore, Lorenzo dei
Medici» scampato a tanto perìcolo» C0U4 prudenza» co}
senno » colla magnanimità » e con una generosità senza
esempio» in mezzo a mille perìcoli sempre rìnascenti» non
solo accrebbe il potere e lo splendore della sua Casa » ma
divenne l'uomo più grande e più considerato d'Italia. Vi
fu un tempo» in cui le principali Potenze di essa» armata
contro di lui» apertamente facevano intendere ai Fiorentini
ch'egli solo era la cagion della guerra 1 ed egli solo» colla
saviezza» colla moderazione» e col valore divise i nemid
estemi» contenne i domestici » prese parte in tutti i politici
negozj degl'italiani Governi» ruppe i disegui de' Veneziani
alla Dieta di Cremona | e lasciò morendo tutta in pace
composta questa bella Italia » che si è risentita sino ai no->
stri giorni degli effetti della inunatura sua morte (4)»
(3) Diotisalvi Neroni , che lo indusse a richìedsre a moltissi-
me famiglie i danari prestati loro da Cosimo ( per cui vari falli-
menti ne seguirono)» che di aderenti alla Gasa Bfedici ne divenne-
ro le piii implacabili nemiche.
(4) L'Autore tratta magistralmente l'ipotesi » qui accennata
di volo; e crede che se Lorenzo fosse giunto all'età dell'avo» non
avrebbe avuto luogo l'invasione di Carlo Vili; e in conseguenza
il principio di quella lotta ^ che non è terminata mai pib. Vedi
Lib. lY» Gap. XY» ann. i49a.
PREFAZIONE ii
Questo gna tratto di storia » che cominciando dalla
13»ertà riacquistata dai Fiorentiiu» dopo la cacciata del
Duca d'AtenCt termina alla morte di LcHreipso il Magnifi«
co, difficilmente si potrebbe dividerei e ijuindi fa dal*
TAntore rinchioso nel disegno del suo quarto libro.
Colla morte di Lorenzo si ecdissò per un momento
la stella della Medicea Famigliai e l'Italia videi di lui
tre figli (5) erranti, proscrìtti e fuggitivi» implorare dai
Principi confinanti (6) una piccola parte di quella proto*
zione, di' essi erano stati fortunati altre volte di poter me*
ritare dal loro padre. Ma se mancatit col mancare di Lo»
renzo» n'erano i talenti e il senno, rimanevano per altro
negli stranieri paesi gli avanzi delle avite ricishesze (7), eoi
quali» dopo una lunga peregrinazione, e dopo la morte del
maggior firatello, poterono i due-giovani Mediai oomprare
ìe armi del Viceré (8) scampate alla rotta di Ravenna,
ritornar con quelle a forza nella patriat e farsi strada a
maggiori grandezze. Tutta intera l'Italia si onorerà di
dare al secolo cbe incomincia il nome di quel proscritto,
die sotto l'umile sacco d'un Religioso mendicante, scampò
alla rabbia de' suoi ^e9^|Bi (9^, e toìXà )' europa Cristiana
(5) Piero , A» mori passando il Gi^rìglisno nel 1 So^ i il Car*
dioal Giovanili, chs fu poi Papa Leoas Xj • GiuliaiiQ^ die fa
Dnca di HeoMuis.
(5) A Bologna^ wrs il Bentivoglìo aecoise fireddamente Piare |
• ^ Urbino, ovs Giuliano fit magnificamepte e soa rara ainipizU
ricevala.
(7) In BMno degli agenti dei loro traffico ; quantunque Loren-
10 avciSM convertiti molti capitali nella compra di i^dte • vasta
tsttote in Toscana,
(8) Raimondo dì Cardona viceii di Napoli^
(9) n Giovio a il Hardi dicono cha fuggì traveatito da frate*
la PREFAZIONE
l'adorerà prostesa ai piedi del trono pontificale . Quel
compagno del suo esilio^ quel privato Cayaliere di Ro-
di (io), che riguardato poi venne come T anima de' suoi
consigli (dopo un breve pontificato (ii)^ che farà desi-
derare con rammarico quello di Leone ) è destinato a
succedergli j ed a mostrare, in mezzo alle* spaventose ed
orribili calamità da cui sarà percosso, come la Fortuna si
prende gioco talvolta, dopo aver balzato dall'alto al basso
della ruota i suoi favoriti, di rìcondurli con rapidità mag-
giore della caduta fino al sommo di essa . Clemente VII. ,
salvato appena dall' orribile sacco dato a Roma dagli
scellerati soldati di Carlo V. , riconquistò colle loro armi e
col loro sangue l'autorità , che in quel tempo la sua Fami-
glia perduto aveva in Firenze, giunse ad imparentarsi còlla
Gasa reale di Francia 5 e mori lasciando l'ultimo rampollo
del ramo di Cosimo Padre della Patria , sotto un titolo
più modesto, Signore assoluto di tutti gli Stati che forma-
vano già il dominio della Repubblica Fiorentina. La sola
città di Siena ^ che si era potuta mantener libera, dovè
presto cedere alla potenza, all'artifizio^ e alla fortuna di
Cosimo L
Elcco adunque in cinque Libri, ben distinti fra loro
per un particolare carattere, divisala Stobu dblIà Tosca-
na SINO AL Principato. Nel primo si va errando fra le con-
getture e le oscurità. Nella maggior parte del secondo una
barbarle universale cuopre la superficie del globoi il dritto
della forza e delle armi è il solo che possa invocarsi. Il
terzo è la narrazione continua di dissenzioni , di turbolen-
(10) Giulio de' Medici, figlio di Giuliano ucciso nella Congiu-
ra de'Pazzi ,e che fu poi Clemente VII.
(1 1) Quello di Adriano YL Vedi Lib. V, Gap. VI > ann. 1 SsS.
PREFAZIONE i3
ze, e dì guerre. Nel quarto si vede lina privata famiglia
divenire a poco a poco l'arbitra d'una potente Repubblica,
e ìndi ognor preponderante negli ondeggiamenti della po-
litica d'Italia. Nel quinto finalmente si comincia coli' inva-
sione di Carlo YIIL una lotta, che non avrà mai più fine.
Nella maggior parte delle storie degli altri popoli,
dopo la narrazione degli avvenimenti politici > poco più
vi è da aggiungere : nella Storia di Toscana sono essi forse
la parte meno importante.
Dopo l'invasiòne de' barbari, si cominciaron a intro»
durre nelle varie provincie d'Italia diversi dialetti, deri-
vati dall'antica lor lingua innestata in quella de' Vincitori.
La Toscana vide sorgere nel suo seno i primi scrittori,
che formarono, polirono e ingentilirono quel dialetto, che
divenne quindi la lingua nobile d'Italia. Un si bel vanto
non potea toccarsi leggermente 5 onde l'Autore disegnò un
Saggio suix'Origike della LufouA Itauaha.
Alla voce del più grande Scrittore (la), che vantino
le moderne nazioni, da ogni parte della Toscana si eleva-
rono Letterati ed Artefici, che insegnarono a cantar dol-
cernente in versi, a scrivere elegantemente in prosa, a
trattare il pennello, ad animare il marmo, a fondere il
bronzo: e quindi un nuovo Saggio fu preparato sul Ri-
soiGÙiEiYTO DELLE Lettere, SoEinEE ED Arti per Opera di
Dante, del Petrarca, del Boccaccio, di Donatello, e di
Bmnellesco.
Nel risorgimento intanto dell'Architettura, immensi
tesori si profondevano dai Sanesi per fabbricare la loro
(la) Si faccia sempre una. differenza tra lo scrittore, e, gli
acritti. La divina Commedia non è la pia grande opera dell' inge-
gno de' moderni ; ma chi scrisse quell'opera iu quei tempi è il pih
grande di quanti ne son venuti in appresso.
/
t4 PREFAZIONE
maestosa Cattedrale» dai Pisani per quel magnìfico Gùnpo
Santo I uno de' più bei monumenti del secolo, dai Fioren-
tini peir emulare nelle loro Chiese^ nei loro Palagi » e nelle
pubbliche l4;igge (i3)^<{uanto di grande rimanera dell'an*
tichità* Come mai ciascuno va dimandando , un popolo
rincbiuso tra i confini di una poco fertil provincia, può
esser giunto a si gran ricchezza , onde inalzare delle moli
degne dei Romani medesimi? Ecco adunque la pecessitk
di dare succintamente almeno un'idea dell'orìgine di si
stl*aordinftrìa prosperità j in un Sàggio soj» OnoiEaao dei
'TdscAìrt) che accompagnerà il qtiarto Libro» ove si narrano
contemporaneamente le tante imprese di guerre esterne ,
che si alimentatano da quelle immense ricchezze.
D secolo di Lorenzo de^ Medici in fine e il principio
dell'altro di Leone» ricordando quello di Pericle» inyitaya
giustamente lo Storico a consacrare i suoi talenti alla me-
mòria di quei grandi , che chiara eternamente faranno
sopra ogni altra questa nostra patria, che a dispetto del-
l'invidia e della gelosia chiara sempre si mantiene al pari
d'ogni altra provincia d'Italia (i4)« Q Leoniceno neUa
Medicina» il Soccini nel Dritto, il Toscanelli nella Mate-
matica» il Guicciardini nella Storia » il Machiavelli nella
Storia e nella Politica, il Poliziano nella Poesia, il Casa
nell'Eloquenza» il Ghiberti» Leonardo» il Frate» Andrea
(i S). Quella dell'Orgagna soprattatto^ che dall'egregio Sig4 Ci-
cognara lieUa sua 8torìa della Scultura» vien chiamata a ragiojM il
ptb M Portico del mondo* T. L
(i4) La Toscana» nella poesia ( per non parlar d'altro ) ha
tentato ai nostri tempi il Pignotti» il Fiorentino» e il Fantonì. Non
sappiamo fra i contemporanei^ se sopra una popolazione eguale»
verun' altra provincia potesse contrapporle un maggior numero di
poeti di ugual valore .
PREFAZIONE i5
del Sano, Rafl^Uo» il CeUìiu, U Baoiurroti nelle Belle
Artide runico Leon Battista Alberti in tatto, (poiché fu ad
un tempo matematico, fisico, poeta, critico, moridista, ar>
frihitetto» acnltoret e pittore ) formano una corona d'Inge-
gni, senza parlare de'minfxri , di cui non sappiamo se la
Grecia stessa vantar ne possa una qpale. Se dessa era fatta
per inalzar Fanimo di qualunque Scrittore, molto più rì-
cUaniar doveva particolarmente gli sguardi , ed infiam-
mare il cuore di quegli, che passato aveva i suoi anni nella
ctthnra e nell' esame di tutte le opere derivate daUe arti
del Bello. Un ultimo Saocuo adunque fu ordinato e dispo-
sto soujO stato dbllb Scddooi , Lettbbb ed Aiti àiIa fihb
no. aoosjo xv. e al pruìcipio del xvi.| che forma esso solo
quasr un volume dell' int^a opera , e n' è , senza contra-
sto, il juù bell'ornamento.
Insegnate in tal maniera, e ripiene alcune parti del
suo lavoro (i 5), si diede a ricercare minutamente ogni
angolo de'Fi<nrentini Archiv), i quali, benché diligente-
mente esaminati e da MonsigncNr Fabbrpni e dai dotti
amia del celebre Roscoe (16), pur non ostante gli ofin-
rooo qualche inedito Documento. Tutte lesse le Storie
manoacritte » e le Gronache più importanti » non che il
voluminosissimo Diario del Burcardo, che conservasi nella
Linrenziana , unitamente all' altro di Paride Grassi : e
dopo aver fatto ampia messe di notizie si diede a scrìvere
da capo a fondo la sua opera . Si avvedranno i meno ac-
corti che in essa la narrazione acquista forza e vigore di
Ci 5) Qaelle in specie che appartengono esclusivamente alla
leticraliini, e quells dis son troppo note per aver bisogno di soc-
istorio e di monnmenti •
(16) n CauftBW Baodini , e il Residente Dritannioo Sig. Pca-
i6 PREFAZIONE
tuAtio in mano che creace V interéffle f e progreditcoao gli
ftlrreniinenti I nell'atto stesso che i diyersi Saggi» compo*
sti in yar) tempi , e frutto in gran parte delle mcJte e
giudiziose riflessioni ^ nate dalla lettura degli Scrittori di
Cui parla , sembrano lumeggiati con più brillanti colori •
lift sola ultima parte , eh' é il periodo di storia divenuto
famoso e per i grandi cangiamenti accaduti in Italia» e
per la penna del Guicciardini , sembra da lui dettata con
maggior vigore delle altre « Con un emulo a fronte di
quella forza e di quella profondita par qhe prenda animo
dal contrasto difficile nel quale si trova . Il carattere fer*
mo ed ardito del Gipponi » V audace eloquenza del Savo-
narola ) i profondi ragionamenti del Fiorentino SegretariOi
la bontii di carattere di Giuliano de' Medici» l'inconsi-
deratezza di Piero, la magnificenza e soverchia prodigalità
di Leone ^ l'arroganza di Lorenzo (17)» T accorta placi-
dezza di Giulio ( finché fu al governo di Firenze ) e la sua
doppiezza e pusillaninutà dopoché fa assunto alla Tiara »
tutto è luminosamente trattato in un quadro più ristretto,
più animato e più vario di quello che abbiano fatto la più
parte degli Scrittori dell' istoria Fiorentina^ ai quali » in
mezzo ai loro pregi » manca pressoché sempre la conve-
nienza della misura (18) •
Terminata in tal maniera di scrivere un* opera » che
meriterebbe le fatiche di un mezzo secolo , e dopo averla
in grandissima parte di sua mano copiata (19)., o cmtn-
(17) Piglio dì Piero » che ta poi Duca d'Urbino» al qnala il
Machiavelli dedicò il suo Libro del Prmcf/i«.
V (18) Intendesì già degli scrittori della storia di questi tempi .
(19) Sono d'altra mano, ma da lui emendati, il Libro IL» il
tIL» e porzione del lY.» cioè sino al i434-;l'<^PP*adice sidl'Arte
PBEPAZIONB il
daU^ uancaTale sempre quel puUmento , che gii iciìttoii
•oglion dare alle loro opere quando correggono le prove
della stampa • Persuaso di questa verità il Conte Alfieri
eUbe a dire , clie un* opera MS. era un Ubro mezzo fatto
il quale non può ricevere il suo intiero compimento , che
dalla mano sollecita e infatigabile dell'Autore i che pre-
sieda alla edizione » e n' emendi ogni fallo •
Disponevasi intanto il Pignotti a darle in tal maniera
le ultime cure » quando il Governo Francese fece pubbli-
care la celebre Legge sulla stampa i colla quale ( senza
parlare del resto) si costringevano gli Autori a inviare
tlk censura i loro Manoscritti trecento leghe lontano dal
lor domicilio • Depose egli allora ogni pensiero di dare
alla luce la sua Storia, attendendo tempi migliori. Percosso
di li a poco dalla lunga e crudel malattia , che lo ha con**
dotto al sepolcro , la dovè lasciare imperfetta 4
Ma peraltro generale » dopo la sua morte , manifesta-
vasi il desiderio di veder pubblicata una Storia , che non
solo era nota favorevolmente a quei pochi , a cui l'Autore
avevala confidata 5 ma che attendevasi da molti, che
conoscevano l'Autore^ come atta a riempiere un vuoto
nella nostra letteratura . Cedendo i di lui eredi alle uni*-
versali richieste > e non perdonando a spesa per ^ darne
un'Edizione nitida, elegante, degna dell'Autor suo (*),
furono però incerti del modo da tenersi nel pubblicarla •
Sapevano essi che non aveva potuto ricevere l'ultima mano
dall' illustre Autore e dovevano dunque lasciare intatti an*
che quei luoghi visibilmente difettosi, che l'incuria la
ciefla guerra , il Saggio I. > la maggior parte del II., e tutto il III* Si
tiotaciò minutamente per le ragioni addotte alla nota 17 del Lib.
IV> Cap. XIV.
(0 Parlasi della prima citata ediz. di Pisa in 8.^ del i8i3- 14
Tomo 1, a
i8 PREFAZIONE
fretta , o il pensiero di correggerli , ayeano lasciato scor-
rere dalla di lui penna ? o pure » facendosi interpreti del
suo desiderio » arditamente emendarli ? Nel primo caso »
che cosa mai direbbero della di lui negligenza quei tanti »
cbe a guisa dello scarafaggio , non cercano che le immon-
dezze nelle opere dei più riputati Scrittori ? e che cosa
direbbe il pubblico della loro temerità, nel secondo?
Stanano essi perplessi in tale incertezza, quando leggendo
quel luogo del Saggio IV, ove l'Autore parla del Segreta-
rio Fiorentino , in quello trovarono la sua più bella dife-
sa (20) . Gessò quindi ogni dubbiezza , e fu risoluto di
pubblicare la Storia scrupolosamente quale si ritrovava
nel MS. — Se i critici, in tal modo, additeranno qualche
neo sparso sopra un bel volto , gli Elditori non avranno
almeno il rammarico di poterne aver alterata la fisonomia*
(30) ce... E' accusato d'aver talora negletta nello scrivere la
ce correzione grammaticaleS Si può dire in sua difesa che i falli sono
ce così lievi, che appena alcuno se n'accorge . Egli è il primo a mo-
te strare che si può scrivere con forza e con chiarezza, trascurando
-ce le minuzie grammaticali '. Occupato dei grandi oggetti , ha posta
ce tutta l'energìa nell'esprìmerìì, prendendo poca cura delle regole ,
ce tra le quali spesso gli scrittori implicati , perdendo tempo a ven-
cc tilar le parole e la loro posizione, arrestano la rapida marcia dal
•e genio, e snervano lo stile ec. » Saggio lY.
•9
AVVERTIMENTO
A
quanto si è detto nella Prefazione crediamo do"
vere aggiungere alcune avvertenze particolari^ che ri"
guardiamo come importantissime*
Se somma è la difficoltà per ogni storico di per*
correre rapidamente de* grandi periodi, ove gli av-
venimenti senza interruzione si succedono gli uni agli
altri t e per cosi dire fra loro si oscurano , cresce a
dismisura la difficoltà quando il di lui cammino ifenga
ad ogni passo intersecato dagli avvenimenti della
Storia Ecclesiastica , nella quale non può supporsi che
lo storico, che per incidenza ne parla ^ trattar possa
molti soggetti spinosi con quella profondità e quella
scrupolosa esattezza di espressioni , che si richiedereb-
bero da un controversista . Depositari noi quindi dei
sentimenti delV Autore, crediamo dover prevenire ogni
sinistra interpetrazione di espressioni ambigue , d* as*
serzioni poco esatte (i), di epiteti dubbf , e in specie
di generali sentenze , delle quali, altre non esatte per
se stesse lo divengono però quando vogliano intendersi
a seconda dello spirito dei fatti già esposti , altre al
(i) Quella, per esempio » che si riproduce più d'una volta ,
che i Pontefici credano d'avere il diritto sui Regni della Terra » e
che ad essi appartenga la facoltk di creare i Sovrani » che non h
forse verificata che in qualche rara circostanza , ma che genei*al-
mente è falsa ,
I
20
contrario per se stesse giustissime, potrebbero essere
/fisamente interpetrate , se si volessero riferire soU
tanto a un tale , o tale altro particolare avvenimento ,
a cui talvolta van dietro • U Autore , come si è detto ,
non ebbe tempo di dar V ultima mano al suo lavoro , e
conseguentemente non può negarglisi qualche indul*
genza , molto più in cose difficili a trattarsi anche per
chi le professa .
LAN^RKXTIO • PIGXOTTO
PHIIjOSOPHO-JHISTOUIC • TPOKTAF4
IX FABVLilS -ITALiICO • CAU^flXK • SC1UBKXD3^
FACII^K -PRIMO
9\'l • VIX • AX • I^XXII • M • XI • D • XXVI
I>KrKSS • XOX • AVG • AX«M* nccc-xii
BOX CU • FRATRKS «HKliKOKS
AVX'^cviiO • n • ^i-vv •
Éb.
/ rr/rr ///r-
1
1
I
;
I
NOTIZIE
STORICHE
SULLA VITA E SULLE OPERE
DI
I^ORENZO PIGNOTTI
/
a3
iJorenzo Pignotti nacque in Figline^ ricca, eulta,
e popola tissima terra del Valdarno di sopra , nel 9
agosto 1739. Ebbe per padre un agiato negoziante
di quella terra: ma al nascere di Lorenzo parve
che la fortuna, distruggendo gli averi del padre,
volesse opporsi alla futura celebrità del figlio, di-
modocbà si può dire con qualche ragione di lui
come di quell'illustre Romano che nulla doveva
agli avoli suoi: videtur ex se natus: fu quasi figlio
di se medesimo.
Uà zio paterno, che con miglior sorte del fra-*
tello avea intrapreso commercio in Arezzo, chiamò
colà Lorenzo allora in tenera età ed orfano per la
morte del padre e della madre , insieme colle due
sorelle Maria, ed Anna, e col fratello Odoardo.
i L'esito mostrò, che questo zio paterno non si vol-
' geva a soccorso del nepote per un sentimento di
umanità^ di parentela, o di commiserazione, ma
cedendo, quasi suo malgrado, al dovere che la legge
imponeagli di alimentarlo.' Non fu altronde tra*
scurata da lui la educazione del nepote t 11 Semi-
nario d'Arezzo, che si distinse in ogni tempo per .
ia ottima disciplina, per il metodo de' buoni studj ,
e per la capacità degl'istitutori, ebbe Lorenzo nel
numero de' suoi alunni.
a4 NOTIZIE
Jl giovane discepolo mostrò di buon'ora che i
tfuoi talenti lo destinavano ad occupare uno de' pri-
mi posti fra i poeti e i letterati d'Italia. Percorse
con una rapidità che eccitò la sorpresa de' suoi
maestri le prime classi delle lettere umane . Spinto
da una curiosità che tutto abbracciava , e dotato di
una memoria che tutto riteneva^ egli arricchì la
sua giovine mente delie più squisite bellezze dei
classici italiani e latini , e il gusto della sua scelta
mostrò ch'egli avrebbe un giorno o eguagliati^ o
superati i modelli che prendeva per guida . La emur
Iasione suole essere T incentivo^ di cui le istituzioni
destinate alla scientifica e letteraria educazione
rlella gioventù si valgoiio per impegnarla allo stu^
dio. Il giovine Lorenzo non ebbe bisogno di x]uesto
stimolo ordinario 9 e che sta tanto d'appresso all'in*
ìfìdiaL f per lanciarsi con ardore nella carriera dello
lettere. Egli vi era chiamato da un istinto che lo
dominava; e la distanza ch'ei lasciò tra se e i suoi
condiscepoli^ ravvicinandolo a'suoi maestri^ lo rese
l'oggetto dell'ammirazione degli uni e degli altri*
Coloro, che nell'esame delle q-ualità morali^ e
delle disposizioni delio spirito di un uomo, tutto
attribuir vogliono alla educazione, avranno sempre
una forte obiezione al loro sistema nel prematuro
e sollecito annunzio che in alcuni giovani individui
fa la natura delle grandi qualità che poi sviluppano
adulti. Pignotti, involto nelle miserie del padre,
allorché questi co^ deboli avanzi del suo infelice
commercio erasi ritirato in Città di Castello!, donde
fu poi chiamato dai doveri di parentela dello zio ,
non avendo ancor compiti nove anni, poetava, ed i
suoi versi mostravano un genio ben superiore alla
STORICHE a5
età . Nel Seminario di Arezzo non era egli ancora
escito dalla classe degli studenti che fu reputato
degno di esser maestro.
Dirigeva in quel tempo gli studj rettorici in quel
Seminario un' Ecclesiastico alla di cui poetica ce»
lebrità nulla sarebbe mancato^ se nato fosse in un
paese men ricco di poeti, della Toscana» Il Pievano
Laudi ( poiché sotto questo nome fu sempre di poi
conosciuto ) letterato amenissimo, e di una leggia*
dria classica nelle poesie bernesche, apprezzò i
talenti letterarj del giovine Pignotti e coltivò in
lui la innata disposizione ch'egli mostrava pel poe*
tare(i). Non era egli ancor escito dalla classe della
Bettorica, che le sue poesie formavano lo stupore,
eia delizia delle più culle persone della città, cosic*
che gli ocelli di tutti erano rivolti sul seipioarista
poeta*
La celebrità che distingueva il Pignotti ancor
giovine impegnò Monsignor Filippo Incontri, che
allora copriva la Sede Vescovile di Arezzo, Prelato
estimatore de' talenti, e fornito di discernimento
per distinguerli, a proporgli di occupare il posto
del Landi allorché questi fu chiamato dalla catte-
dra alla cura delle anime. Ma né le inclinazioni
del Pignotti lo determinarono ad abbracciare lo
Stato -Ecclesiastico, come avrebbe dovuto fare se
accettava l'invito; né la elevatezza del suo ingegno
(i) Pignotti ha fatu onorevol menzione del suo Maestro
in nna sna novella tuttora inedita intit<^ata lb bukli dbl dutoi.0,
„ Trovossi a caso un giorno non lontano
^ Da questo pazzo un prete a Febo caro»
^ Che già cantò la vita d' un piovano
„ Con tosco stile il ^vk purgato e raro»
„ Uno de'piii bei spiriti» e plb dotti
M Che il fertil Casentino abbia prodotti,
atì NOTIZIE
avrebbe saputo abbassarsi ai dettagli del magistero^
che gli veniva proposto (2).
Fu allora che egli dovè manifestare allo zio la
sua decisa risoluzione di darsi interamente a colti-
vare le scienze e le lettere^ e la impossibilità di
legarlo allo StaJto Ecclesiastico. Questa franchezza
del giovane Pignotti, autorizzata altronde dalla
libertà che ognuno dee avjere di scegliersi uno sta-
to^ dispiacque allo zio, il quale bruscamente negolli
ogni ulteriore soccorsole limitò ogni sua generosità
a un appuntamento sì meschino e sì debole^ che
appena potea bastargli a soddisfare i primi e più
urgenti bisogni della vita «
Le più grandi reputazioni hanno spesse volte
dipeso da circostanze, che se mancate fossero, uo«
mini che hanno fissata V attenzione de' loro con-
temporanei e de' posteri, sarebbero rimasti confusi
nella folla , e coperti di oscurità . La maggior sorella
di Lorenzo , Maria , erasi unita in matrimonio in
Arezzo con Antonio Filippo Bonci , uomo che nella
sua professione di agrimensore, e calcolatore non
avea certo ampj mezzi per dar soccorso al cognato,
ma avea sortito dalla natura un animo generoso,
un cuore compassionevole , e ciò che più importa
bastante discernimento per distinguere che i talenti
del suo a (line erano pregevoli cose, e meritavano
perciò d'essere coltivati, e protetti. Il cognato cor-
(3) Ecco come egli stesso descriTe questa epoca della sua
vita nella bella Epistola al Gav. Vittorio t'ossombroni :
„ Tra i preti, senza voglia d'esser prete»
9, In Seminario i primi anni passai;
„ E d'Enea le vicende or triste, or liete
„ Lessi, e del Yemisin gli scherzi gai:
„ A.ir ingegno abbozzato in questa guisa
„ Novelle cognizioni aggiunsi a Pisa.
STORICHE 27
resse io (accia a Pignotti le ingiustizie, e la durezza
del zio : lo accolse presso di se ; lo sottrasse allo
scoraggi mento, e gli somministrò i mezzi per con-
tÌQuare la sua educazione letteraria , e scientifica
alla Università di Pisa •
Il Pignotti mostrò in tutto il corso della sua vita
quanto viva fosse la gratitudine sua per questa gene*
rosila del cognato. Egli dichiarò sua Patria quella
del marito della sua sorella, e suo benefattore; la
storia letteraria può anche a ragione riguardarlo
come Aretino, se disprezzando il luogo della nasci-
ta deir individuo si dee piuttosto valutar quello
della nascita della sua celebrità; e questa osserva-
zione, qualora un giorno il luogo della nascita di
Pignotti fosse per divenire oggetto di controversia
erudita, potrà forse
jàux Saumaises futures epargner des tortures»
Le forze deir ingegno del giovine Lorenzo sem*
bravano proporzionarsi alle diverse situazioni nelle
quali trovavasi , e come seminarista avea saputo
conciliarsi Tammirazione , ^ la stima de' suoi Pre*
cettori umanisti, cosi discepolo alla Università sep-
pe conciliarsi quella de' suoi Precettori filosofi. Il
celebre Professore Soria noto per la vastità delle sue
cognizioni e per la sua eloquenza , fece del Pignotti
anziché un suo discepolo un suo amico del cuore.
Aveva questi , suir esempio del celebre Francesco
Redi suo compatriotto , prescelto lo studio della
medicina e della filosofia , come quello che più
forse era da lui reputato compatibile coi prediletti
suoi lavori poetici • In queste due facoltà egli fu
laureato in Pisa nel primo maggio 1763, e riportata
38 NOTIZIE
la laurea si trasferi a Firenze a farvi le sue pratiche
tpediche in quel Regio Arcispedale . .
Ebbe a quell'epoca TijQgegno del Pigiiotti uo più
Tasto teatro ove farne conoscere la tempra. CorabÌ7
nando, con una saviezza non tanto frequente nei
giovani coltivatori delle Muse^ ciò che egli dovea
al pensiero di un suo utile, e decoroso stabilimento
onde sgravare il cognato del peso di mantenerlo, e
ciò che sentiva dovere al naturale impulso che lo
portava esclusivamente alle lettere ed alla poesia,
procurò di acquistare un nome in medicina colla
sua assiduità al pratico studio di quest'arte^ come
lo avea acquietato e andava ogni giorno più esten-
dendolo colle sue poetiche produzioni , che recitate
da lui nelle più colte, e più distinte società della
capitale lo aveano reso V oggetto della meraviglia ,
e deMesiderj di tutti.
In tempo de' suoi studj pratici di medicina fu
ascrìtto il Pignotti nel annoerò degli Accademici
Apatisti; e ciò che prova ch'egli fin da quel tempo
seppe unire a una immaginazione piena di vivacità^
e di grazia quanto la memoria può possedere di
vaste ed utili cognizioni^ fu l'accoglienza ch'ei me«
rito sebbene in giovine età , dai dotti componenti
la cosi detta Accademia del Sibillone(3). Quest'Ac-
cademia, sebbene apparir potesse frivola pel suo
oggetto, era in Firenze un residuo di quelle amene
società letterarie, che nate nella ricchezza di ogni
(S) Il Goldoni nelle Memorie della sua Vita parla a lungo
di auest' Accademia. Siccome detto libro , uno de' più sentili ^n
quel genere » va per le mani di tutti , crediamo inutile di ri-
poiiare quanto ne dice , bastandoci di rimandare a quello i no-
stri lettori.
STORICHE 29
geoere di lavori di fantasia y e non sembrando di*
rette ad alcuno scopo di vera utilità^ servivano per
così dire di alimento ai begV ingegni che le frequen-
tavano, e come le cose di mero lusso mostravano
lo sfoggio che si potea fare tra noi dello spirito e
della erudizione anche dopo avere esauriti soggetti
di maggior conto. Una circostanza mostrò quanto
il giovine Pigootti si mettesse ben presto in quella
società a livello de' pili accreditati^ e de' più vecchi
campioni suoi . Propose egli un quesito relativo ad
un oggetto di scienza: dovea far quadrare la risposta
della Sibilla alla soluzione del quesìto^il Nestore di
quell'Accademia^ e la Sibilla avea risposto Scuffia.
0 che il Nestore non sapesse nel momento immagi*
Dare i rapporti tra la risposta e il quesito, come era
suo impegno di fare, o mortificar volesse la cele*
brità di cui godeva il giovine poeta , si fece lecito
di osservare che savissima ed opportuna era stata
la risposta della Sibilla al quesito in quanto che
trattavasi di un tema più degno di occupare la toe-
letta di una donna , che la erudizione di un lette-
rato. I poeti non si offendono impunemente, e il
giovine Pignotti mostrò in quell'incontro la verità
del detto d'Orazio/hcf^ indignatio versum. Con una
dissertazione, in cui brillavano i tocchi di una ori-
ginai fantasia, e in cui si ammiravano profusi i fiori
di una classica e squisita erudizione misti alle gra-
zie di ano stile lepido e piccantissimo, mostrò la
congruenza della risposta Sibillina al quesito, e fu
coperto di applausi .
^Queste brighe letterarie e questi lavori di mero
accademico lusso non distolsero il giovine Pignotti
dagli stud j più serj e più utili della medicina pra-
3o NOTIZIE
tica a cui cbiainavalo la riconosceoza e il dovere.
Ottenne egli ben presto con plauso de' suoi istitutori
la matricola in medicina^ e col sollecito esercizio
di questa professione lucrosa fu quasi subito in grado
di esimere il cognato dal pensiero della comoda
sua sussistenza. Nato con un senso rettissimo sebben
dotato di una fantasia fervidissima ^ egli seppe fino
dagli anni suoi giovani subordinare le sue più ca-
re inclinazioni al pensiero delle sue convenienze
sociali f e ciò che recherà ancor più meraviglia , e
servirà di esempio a coloro che giovani prendono
per bisogno di indipendenza poetica la inclinazione
sì naturale alla vita sfaccendata , e affettano la im-*
pazienza di Ovidio senza possederne il genio^ egli
si dette, per avere uno stabile e decoroso posto
nella società, all'esercizio di una professione , alla
di cui efficacia , come qualche altro illustre scettico^
non era molto propenso a credere (4).
Un medico letterato e poeta riunisce tutti i mez-
zi, e tutti i vantaggi per fare una figura brillante
nelle società di una eulta e popolata capitale. Pi-
gnotti risenti ben presto gli ottimi effetti del savio
impiego de' suoi talenti. Se allorché si mostrò nelle
società come mero poeta potè dilettar tutti, e fissare
la curiosità di tutti, allorché vi comparve come
medico accreditato dalla stima delle sue guide^ e
(4) 99 Ebbi desio di rintracciar l'arcano
„ Principio delle cose, e il cupo seno
„ Della Natura, ed un capriccio strano
,, L'arte a studiar mi spinse di Galeno;
f9 £ aUor credeva in buona coscienza
„ Che ci fosse nel mondo questa scienza.
,» Mi la fallacia vistane, e visto anco
„ Ir l'astrologo e il medico del paro ec
Pignoni, ih.
STORICHE 3f
da' suoi successi , il diletto si convertì in bisogno , e
la curiosità in brama di possederlo. Nemico di ogni
specie di queir affettata gravità , con cui qualche
seguace di Galeno o cuopre la sua insufficienza , o
tenta di aggiungere un merito di opinione al reale
suo merito, egli professò come medico e nel conte-
gno, e nel metodo tutta la semplicità e tutta la
franchezza della buona Scuola Toscana, e non man-
cò forse a lui per porsi al lato del Redi fra i maestri
nell'arte salutare j che il volerlo . Se le medicine
che si apprestano all'animo sono ben spesso più, o
al pari proficue di quelle che si apprestano al cor.
pò, non mancarono al buon senso, al gusto, alla
erudizione, ed all'amenità del Pignotti i mezzi
onde essere utile a' suoi illustri malati, e illustri fu-
rono quelli che fin dal primo esercizio della sua
professione alla cura sua si commessero . Fra questi
illustri malati merita di essere annoverato il Signor
Marchese Viale di Genova, il quale assistito e curato
da lui in una penosa e ostinata oftalmia, tale attac-
camento a lui prese, che restituitosi in patria seco
Io volle, e non risparmiò né preghiere né promesse
per trattenervelo, esibendogli un decoroso ed utile
stabilimento .
Ha Pignotti, che avea contratta in Toscana inti-
ma ùmiliarità , e dimestichezza co' più ragguarde*
voli personaggi , e che godendo della special prote*
zione dell'illustre Presidente Pompeo Neri voleva
onninamente da lui dipendere, come egli si esprime
in una sua lettera del di 1 1. Gennajo 1767. diretta
alia sorella io Arezzo, propose all'impiego chea
loi era offerto in Genova l'amico .suo Abate Cesti
aretino, e ricusando fino una più lumiapsa colloca^
3a NOTIZIE
Kione^clie i beneyoli suoi protettori di quella città
gli progettarono in Parigi, ritornò sollecitamente in
braccio de' suoi protettori Toscani •
Sembra che Pignotti, o calcolando che la pro-
fessione di medico continuata a esercitare da lui
dopo il suo ritorno in Firenze non gli dava la indi-
pendenza e Tozio necessario a un col ti vator delle
Muse ) o impaziente di avere un più vasto campo
in cui far brillare la sua eloquenza e la sua erudi-
zione facesse conoscere questo suo desiderio air il-
lustre suo protettore Pompeo Neri, il quale pensò
di fare un dono al Sovrano e alla patria proponen-
dolo per la cattedra di Fisica nella nuova Accademia
che rimmortale Pietro Leopoldo stabili nel 1769 in
Firenze per la istruzione della nobiltà»
Questo impiego sebbene non molto lucroso dette
a Pignotti il mezzo di aumentare la sua celebrità y
e di acquistare nuove e più strette relazioni col-
rOrdine il più illustre della città, in mezzo al quale
aebben non di elevata nascita^ e dato interamente
alle lettere, seppe dipoi vivere sempre ed ammirato
ed amato* A questa circostanza si dee forse attri-
buire queir urbano e costante riguardo, che egli
sempre professò alle persone per nascita distinte,-
e quella inclinazione , che sembrò portarlo sempre
a cercare la lor compagnia, inclinazione di cui alcu-
ni spiriti cupi e difficili hanno preteso di fargli un
torto, calunniandolo col nome di adulazione, e che
altronde mostra quanto V animo suo fosse sensibile
a tutte le convenienze sociali, e quanta importanza
mettesse in stabilire col suo esempio quella comu-»
nìcazione che sempre esister dovrebbe tra gli uo^
mini di lettere, e le persone che hanno i mezzi di
STORICHE 33
proteggerle. Se Pigootti fosse vissuto al tempo di
Lorenzo il MagniGco egli avrebbe avuto un posto
Dei suo cuore insieme con Poliziano^ e Landino.
Nel 1774 fu il Pìgnotti dalia cattedra di Csica
in Firenze elevato a quella parimente di fisica nel-
l'Università di Pisa. Le sue lezioni in una materia
di cui si può dire a ragione ornari res ipsa negai ,
contenta doceri , furono modelli di eloquenza e di
gusto. In un tempo in cui quella città era divenuta
specialmente in inverno il soggìoroo di delizie d'il-
lustri e reali Personaggi allettati a godervi la dol-
cezza del clima y e una situazione che Tarte ha per
cosi dire strappata dalle mani della natura per ren-
derla più deliziosa e più bella, le lezioni del Pignotti
erano frequentate da questi Personaggi illustri, che
il desiderio di udirle confondeva fra i suoi scolari .
Analizzando la natura de' corpi, e investigando le
lor proprietà, egli dava a tutto un atteggiamento in-
teressante ; la immaginazione allettata sembrava
dover servire d'incitamento alla ragione per istruir*-
si, ma era però sempre la immaginazione della ra*-
giooe compagna , accoppiamento che il solo gusto
del Pignotti potè rendere un ùtile mezzo d'istru^
zione • Egli possedeva la eloquenza delle idee, e
quella delle parole, e V una e T altra comparivano
sulle sue labbra abbellite da ciò che di più interes-
sante ha la magia dello stile improvvisato, e la pu-
rità e la correttezza della dizione. Egli non ebbe
volubilità di eloquio, cosa che il volgo de' parlatori
e degli uditori confonde colla eloquenza, e che altro
Don è che verbosità e pronunzia : fu al contrario
pronunziatore tardo anzichennò, e se la causa deU
i'iotrinseco merito delle sue lezioni avessse potuto
Tomo /. 3
\
34 NOTIZIE
confondersi con quella del suo modo di declamare^
o avesse potuto per questo perdere del pregio suo ^
gli si dovrebbe far rimprovero di una certa rao*
notonia .
Pare che si possa riferire a questa epoca il prò*
getto che il Pignotti concepì di dare alla poesia
italiana un genere di componimento^ di cui in mez-
±0 allabbondanza di ogni altro mancava > e al quale
dovè egli il sommo grado di fama a cui tanto fra
noi quanto presso le straniere nazioni giunse il suo
nome. Noi parliamo delle sue favole^ le quali videro
per la prima volta la luce in Pisa nel 1782 per i
torchi del Pieraccini. Poche opere ebbero il successo
di questa > mentre si calcola che in breve tempo se
ne facessero fino a quindici edizioni in Italia ed al-
trove, pervenute poi più che a trenta.
La favola del Pignotti non è del genere di quella
di Esopo ^ o di Fedro^ né di quella di La Fontaine
o di Gay sebbene a quest' ultima più che a ogni
altra si appressi. La favola ornata è un componi*
mento che la poesia italiana dee a Pignotti^ e al
fino discernimento che egli portava anche nelle
cose di fantasia. Alcune favole del Crudeli non pre-
sentano né il progetto né il tentativo di questo ge-
nere. La Fontaine potè in una lingua che tanto si
presta alla concisione, e alla precisione, e tanto ser-
ve allo spirilo, mentre tanto poco si adatta alla ima-
ginazione, darsi a una favola^ il cui maggior pregio
è la rapidità del racconto , e quella bella semplicità
che il nostro idioma tanto poco conosce da non
aver termine da esprimerla come il francese. Una
lingua poetica come la nostra dovea dare alla favola
un ornamento che la facesse comparire con altri
STORICHE $5
prtfi che quelli della favola d'ultramonte e d oltre*
mare a istruire e dilettare in tutte le classi della so-
cietà, cosicché non rimanesse più confinata negli
augusti limiti di una istruzione puramente morale,
e circoscritta nelle biblioteche della gioventù.
Per disarmare la malignità che forse affettava di
ravvisare in lui nulla più che un poeta , Pignotti
volle mostrare che se la sua mano sapeva con tanta
grazia maneggiare il pennello della poesia, potea
con eguale successo maneggiare Io stile delle scien<»
te, e pubblicò le sue Congetture meteorologiche
sopra le variazioni del barometro secondo la teoria
del Signor le Roy . In un soggetto congetturale te
ipotesi le più brillanti e le più ingegnose sono quelle
cbe più appagano, e quanto più il libro è ben scrit^
to, tanto meno il lettore misura i gradi di verisimi*
glianza o dì probabilità della ipotesi. Le congetture
di Pignotti sono piene d' ingegno e coerenti in ogni
lor parte al sistema , co' principj del quale egli prò-
cedeva a sciogliere le difficoltà del soggetto. 11 suo
stile è chiaro e dotato di scientifica precisione: le
grazie che di tanto in tanto lo adornano gli datino
un' ark di originalità che non va mai disgiunta
dalle produzioni degli scrittori di genio. La rivolu*
zione che in questi ultimi tempi subì la fisica chi'
mica e pneumatica ha renduti necessar) alcuni
cambiamenti in quell'opera, e Pignotti, seguace
iempre de' progressi del suo secolo, gli avea già
preparati, ma per incuria o per ignoranza del li«
braio, a cui furono consegnati per istamparsi, sono
rimasti tuttora inediti .
L'Elogio di Pignotti , scritto da dotta e celebre
penna , percorre minutamente le opere tutte si io
36 NOTIZIE
prosa che in verso onde egli arricchì la italiana
letteratura. Ma noi non possiamo esimerci dall' in-
dicare quell'opere sue di maggior grido, che avendo
formata un'epoca nella storia della poesia, e della
letteratura patria , ne hanno pur formata una in
quella della sua vita •
Una delle originali e preziose caratteristiche delle
poesie di Pignotti è quella di unire a quanto ha di
più vago e di più variato la fantasia inventiva quan-
to di più istruttivo e filosofico ha la ragione. Egli
non ha scritto, tranne alcune poche imitazioni , né
Epistole, né Satire, né un'Arte Poetica come Ora*
zio e Boileau, ma ha dato all'Italia un modo di
poetale che lo rende 1' Orazio, e il Boileau dell'ita-
liana letteratura. Sembra che sotto la sua penna le
Grazie si spoglino de' loro attributi per rivestirne
la ragione e la filosofia • Se egli si rivolge nelle sue
poesie ai Grandi, sa come Boileau mescolare a Iodi
giudiziosamente espresse , precetti di letteratura e
di morale resi con verità e precisione , e il precetto
sembra perderne l'aria, tale è per cosi dire la di«>
aiuvoltura e la grazia con cui si annunzia. Nella
pittura del vizio e del ridicolo egli nasconde la sferza
in mezzo alle rose, e si fa leggere con interesse da
quegl'istessi ohe forse ha presi di mira scrivendo.
, , Questi pregi , che abbelliscono tutte le poesie di
Pignotti^ o si tratti delle sue favole, o si tratti delle
sue liriche poesie , presagivano un genere di compo-*
nimento di cui doveano formare la primaria bellez-
za , e che perciò esser dovea un genere originale • i
Ne' lavori di fantasia, e nelle opere di gusto é dif- *
ficile classare i generi come. si classano le pietre e
gl'insetti nel gabinetto di un naturalista , e il genio
STORICHE 37
che crea si rìde dello spirito di clsssaBione . L'Ita-
lia possedeva un genere di poema ^ che raggirandosi
sulla narrazione di un avvenimento celebre^ ma ri-
dicoloy non meritava il nome di poema epico y a cui
perciò i classato rì dettero il nome di poema eroico-
mico • Ma questo genere anche sotto la penna del
facile ed ameno Tassoni fu condannato sempre ad
una poco decente scurrilità ; e le Muse non si ver-
gognarono talvolta di parlar le frasi della piazza ^e
del trivio • Despreaux aveva mostrato nel suo Leggio
come con poca materia si può spargere in un sog-
getto molta varietà , del movimento e delle grazie^
e in Despreaux la varietà non affoga la unità del
sc^getto in una farragine di episodj posticci che la
distruggono : il movimento non consiste nel con-
giungere il mitologico collo storico, V allegorìcocol
reale ^ e nel condurre gli Dei dell'Olimpo a un'oste-
ria : né le Grazie invece di sorridere decentemente
si smascellano come le donne del volgo • Ma per
tenere in giusti confini il ridicolo in un tal genere
di componimento e renderlo quanto più è possibile^
sia permesso il dirlo , spirituale , è necessario uh
senso squisito delle convenienze , uùa cognizione
perfetta di tutte le gradazioni delle umane follie, e
di tutti i capricci delle ingentilite passioni, onde il
poeta possa scegliere i suoi modelli nelle conver-
sazioni, e non nelle piazze. La unione della poesia
allo spirito sarà notata dagli annali della nostra lette-
ratura nel Poemetto del Pignotti la treccia donata.
Noi non pensiamo che la traduzione sia la pietra del
paragone della bontà di un componimento poetico
comaDque esser lo possa della precisione dello stile.
Ma le traduzioni francesi che di questo poemettp
38 NOTIZIE
«ODO State fatte mostrano che, anche spogUato della
magia dello stile, in cui il maggior pregio della
poesia consiste, le spiritose allusioni, la. leggiadra e
rapida narrativa, la pittura piccante de' caratteri ,
e la ricchezza della invenzione hanno potuto con*
servarsi con interesse anche a traverso il mezzo
trasparente sì ma sempre imperfetto ed oscuro dalla
traduzione in una non poetica lingua •
Negli Elogi del Consigliere Tavanti, del Mattema.
tico Perelli, e del Cavaliere Ranuzzi, Professore di
diritto pubblico nell'Università di Pisa , pagò il Pi*
gnotti un debito all'amore di patria, poiché o Are-
tini , o quasi Aretini erano quei distinti soggetti •
Nelle Lettere su i Classici latini al suo amico Se*
nator Giulio Mozzi, egli altro non facendo che te-
ner conto de' colloqui che seco lui su molte materie
di gusto avea avanti in occasione delle RR. villeggia*
ture al Poggio a Cajano, di cui saremo a parlara
più diffusamente in appresso, cosicché dir potea
vestigia retro
Observata seguorf
mostra qual fosse il fino suo discernimento, e il
tatto suo squisitissimo uell' apprezzare le bellezze
de' capi d'opera del genio nelle due arti, si spesso
a torto chiamate sorelle, la poesia e la pittura: egli
ammiratori del Tasso debbono perdonargli il posto
subalterno in cui pur sembra che abbia voluto col*
locarlo a confronto dell'Ariosto, te non altro in
grazia dell' ingegnose riflessioni eh' egli fa suir uno
e suir altro poeta .
Era da credere che dopo tante originali e si bel*
le produzioni nulla ormai più mancasse alla gloria
STORICHE 39
ktteraiia di Pi^otti. Ma egli avea concepito il
progetto di an" opera tanto vasta per la moltiplicità
degli oggetti che dovea abbracciare^ quanto impor-
tante per la indole degli avvenimenti che dovea
descrivere. Noi non potremmo determinare quali
furono i motivi che impegnarono Piguotti , che aspi-
rava ad assidersi al Ganco della Musa della Storia
come erasi assiso a quello della Poesia , a scegliere
la Storia della Toscana da' più remoti ed oscuri
tempi dell'Etrusche antichità fino allo stabilimento
del Granducato. Ma noi dobbiamo congratularci
con noi medesimi , e con tutti i Toscani^ che questo
soggetto non sìa stato tolto alla patria nostra lette--
ratnra, e divenuto come qualche altro toscano sog-
gettO) il dominio della letteratura straniera. 11 celebre
Gibbon , chiamato dalla forza del suo genio a ma*
neggiare il pennello della storia > stette lungamente
perplesso nella scelta dei soggetto che dovea occu-
pare Tardità sua critica^ lo sfarzoso lusso dello sti-
le suo, e la immensa sua erudizione. Nelle memorie
per servir di storia della sua vita e delle sue opere
scritte da lui medesimo racconta che due soggetti
in prefei*enza di ogni altro lo allettavano: la storia
della libertà svizzera^ e quella della repubblica di
Firenze sotto la casa de' Medici ; e racconta inoltre
che data la preferenza a quest'ultimo soggetto, co-
me reputato da lui il più interessante, avea già pre-
V parati molti e ricchi materiali per affrontarlo . Se
Gibbon avesse posto mano a questo lavoro istorico,
e Io avesse compito, niuu altro avrebbe ardito forse
di scrivere la Storia delle Toscane Repubbliche do-
poché la più bella parte di questa storia fosse stala
trattata da si valorosa e celebre penna • Per buona
/
4o NOTIZIE
▼entara della nostra letteratura patria^ Gìbbon me-»
ditando sulle rovine del Campidoglio in occasione
del suo viaggio a Roma^ si rivolse alla decadenza,
e alla caduta dell'Impero romano; e la Storia della
Toscana nella più luminosa sua parte ^ e ne 'periodi
i più interessanti delle sue vicende morali e politi-
che, rimase intatta , onde esercitare la erudizione
del nostro Pignolti •
Quest' opera, di cui sebben postuma noi parliamo
adesso per non interrompere la narrazione delle
opere sue letterarie, poiché la vera vita di un let<»
terato tutta nelle sue produzioni consiste, dovè co*
stare a Pignotti lunghi e penosi studj e una fatica
sempre mal compatibile con un'età già come la
sua avanzata. Poeta da giovine riserbò gli ultimi
anni della sua vita alla gravità dello storico. Pec-
cheremmo di arroganza se volessimo anticipare un
giudizio su questa opera, che mentre noi scriviamo
non è ancor divenuta di pubblico dritto. Ma sarà
lecito allo scrittore delle notizie della vita e delle
oper.e di Pignotti di notar tutto ciò che in queU
r opera è degli attributi dell'uomo e del cittadino
anziché dell'Autore. La moderazione e la saviezza
con cui Pignotti giudica degli avvenimenti operati
dalle passioni le più intrattabili dell'uomo, e la
decisa sua avversione per tutti quei movimenti po-
polareschi , che taluno sarebbe tentato di chiamare
democratica indipendenza, e che chiama sempre
movimenti della canaglia: la venerazione e Tinte*
resse con cui segue la origine, e i successivi ingran*
dimenti della Casa Medicea, in tomo alia quale co-
me centro di sicurezza e di pace le lunghe inquie-
tudini, che agitarono la Toscana, rimasero acquie-
STORICHE 4i
tate ed estinte, mostrano il retto suo senso nelle
cose politiche^ e la profonda sua cognizione della
umana natura» Quest'opera più importante assai
che le metamorfosi del Sulmonese, poteva avere
come quelle 9 sotto la penna dell'autore un maggior
grado di perfezione se egli fosse stato in tempo a
correggerla ; e noi in questo riguardo non possiamo
frenarci da spargere su quel!' opera una lacrima di
dolore come molte ci apprestiamo a spargerne sulla
sua tomba .
La Storia della Toscana , al di cui compimento
con tutto impegno il Pignotti si accinse, produsse
due effetti neirulterior corso della sua vita • Da un
lato impegnò la giustizia del Governo a compartir-
gli ozio con dignità, dall'altro contribuì a logorare
ogni di più la sua vacillante salute^
Dispensato nel 1801 dalle lezioni pubbliche, fu
poi nel successivo. anno esonerato affatto dalle cure
della sua cattedra , ond' egli potesse a migliore suo
agio occuparsi della continuazione, e del perfezio-'
namento del suo storico lavoi^o • Promosso al grado
di Regio Istoriografo, fu dichiarato Consultore del
Sovrano in tutte le materie di pubblica istruzione;
e finalmente nel 1807 giunse al sommo grado delle
dignità letterarie in Toscana , essendo stato nomi*
nato Auditore della R. Università di Pisa.
Ma 3e la Toscana è per possedere in Pignotti uno
storico , ^he non ci faccia invidiare alla Inghilterra
nn Hnme ed un Robertson, ella ne è debitrice alla
bontà, e alla munificenza con cui S. A. I. e R. il
Granduca Ferdinando HI. lo trattò sempre. Que*
st'ottimo Principe, amico fino da 'suoi giovani anni
delle lettere e decloro coltivatori, onorò i talenti del
4a NOTIZIE
Pigaotti ammettendolo nello Scelto cerchio di scien-
ziati coi quali amava talvolta di conversare familiar*
mente ^ e Io credè degno di contribuire ad aumen-
tare colla sua presenza le delizie delle sue RR. vil-
leggiature al Poggio a Gajano^ alle quali era egli dalla
sovrana bontà spesse volte invitato. Il progetto di
una Storia Toscana concepito dal Pignotti in quel-
l'epoca appunto, e allorché egli perciò godeva di una
illimitata celebrità, mostra ch'ei non credeva dì
avere ancor ben pagato il suo debito di attaccamene
to alla patria^ e di riconoscenza al Sovrano, se non
dava alla Toscana una storia di cui mancava.
L'onorevole incarico della direzione degli stud|
toscani, che Pignotti avea esercitato con tanta utilità
della istruzione pubblica dal 1801 in poi, incominciò
a divenire dopo il 1808 un peso incomodo sulle su«
braccia. Nel 1809 era stato assalito il Pignotti da
un colpo di apoplessia che ebbe tutte le apparenze
di nervosa, nel palazzo degl'illustri suoi protettori
ed ospiti i Signori Principi Corsini in Firenze, ove
il Pignotti ammessovi dalla liberalità e dall'amicizia
del Gran Priore Lorenzo di questa casata , era vi pur
trattenuto da un egual tratto di amicizia e di libe-
ralità degli ottimi Principi nepoti suoi, ai quali fa
sempre la compagnia di Pignotti carissima^ come
cara ne conservano la memoria. Da quell'epoca ia
poi i suoi amici, e quelli che più frequentemente a
lui si avvicinavano incominciarono a notare in' esso
un' indebolimento di memoria , che andò gradata-
mente aumentandosi , in special modo per le cose
recenti, sebbene vivissima e pronta la conservasse
()er le antiche. Le sue facoltà intellettuali furono ia
progresso indebolite di più^ da altri e nuovi attacchi
STORICHE 45
ipopletici acquali andò soggetto. La sua proclività
ai pianto mostrò che la robustezza del suo spirito
non era altrimenti la stessa • Le sue gite da Pisana
Firenze nella calda stagione , delie quali egli tanto
ti dilettava , furono affatto intermesse , e rimase
stabilmente a Pisa, soggiorno reputato da' medici
più allo stato di sua salute opportuno.
Pignottì fino da giovine non avea trascurato alcun
mezzo per corroborare la sua fisica costituzione. Il
gioco del pallone, la equitazione, la caccia , nella
quale però non dette mai segni di gran destrezza,
e soprattutto la scUerma , furono i ginnastici esercizj
con cui procurava di rinvigorire il corpo, mentre
arricchiva collo studio lo spirito. In quest'ultimo
esercizio ebbe a competitore l'amico suo Conte Fe-
derigo Barbolani da Montauto. Procurò anche di
sollevare la mente con distrazioni piacevoli, e amò
la musica specialmente la strumentale, essendosi
sufficientemente addestrato al suono del flauto e
del mandolino . Non gli si può rimproverare di es*
Bersi abbandonato ad alcuna sorte di eccesso ; e la
sobrietà fu una delle sue virtù favorite. Adottato il
metodo di un'unica commestione nell'intero giorno,
vi rimase fedele fino agli ultimi periodi della sua
vita, e solo si abbandonò forse soverchiamente al-
l'uso del caffè, che amava con trasporto, e che nel
suo sistema dovea tenergli luogo del vino , da cui
sempre e costantemente si astenne.
Con questo austero e metodico regolamento di
vita, sembrava che Pignotti dovesse goderne di un
corso più lungo. Ma le forze della natura indebolite
già ia lui dal lungo studio , che talvolta protraeva
alle più tanle ore della notte, sembrarono intera-
44 NOTIZIE
mente abbandonare il suo spirito, se non abbando-
narono con eguale prestezza il suo corpo. Gli ultimi
periodi della vita di questo letterato presentarono
un fenomeno opportunissimo ad umiliare rumano
orgoglio. Pope citò la debolezza del carattere di Ba-
cone per avvertire che niuno dee insuperbirsi della
superiorità delle sue cognizioni. Noi possiamo citare
non la debolezza , ma l'assoluta morte dello spirito
di Pignotti^ tuttora animato e vivente, per avvalora-
re lo stesso morale precetto . Quest' uomo sommo, di
cui ognuno potea contemplare nel suo volto non al-
terati i delineamenti del letterato, cbe avea si spesso
istruite e ravvivate le società che aveano il bene di
possederlo, fu negli ultimi suoi giorni condannato
ad una vjta pressoché automatica . La incomprensi-
bile nullità del suo spirito annunziava un intero e
segreto principio di universàl debolezza, e reso li-
bero degl'insulti apopletici fu assalito da repentino
furiosissimo attacco infiammatorio alla vessica che
lo tolse da' vivi nel 5 Agosto 1 8 1 a , dopo che la. re-
ligione ebbe a lui somministrati i soccorsi che il de-
plorabile suo stato di mente potè ammettere.
Il morale carattere di Lorenzo Pignotti merite-
rebbe per se solo un elogio. Quantunque Noi ne
abbiamo dato qualche cenno nel corso di queste
notizie della sua vita e delle sue opere , crederem-
mo di non aver reso abbastanza giustizia alla sua
memoria se nulla più ne dicessimo. Allorché leg*
gendo la storia letteraria degli uomini che illustra-
rono il decimosesto secolo colle loro opere e co' loro
scritti scorgiamo con qual rabbia indecente Tun
l'altro si lacerarono, siam tenuti a credere a quel
filosofico paradosso, che ci dipinge le scienze e le leU
STORICHE 45
lere come unicamente capaci di corrompere e de-
gradare la umana natura^ e questa tentazione non
ci vien talvolta da tempi tanto remoti. In Pignotti
la cultura delle lettere parve perfezionare in lui un
certo senso di moral rettitudine che forse egli avea
in parte sortito dalla natura^ e che non si smentì
giammai in tutte le azioni della sua vita . Natural-
mente o almeno in apparenza flemmatico , la paca*
lezza delle sue maniere imprimeva un nuovo carat-
tere di bontà nel suo contegno e ne' suoi discorsi.
Reso superiore alla invidia da' suoi successi letterarj
fino da'primi suoi anni o non la conobbe per un sen-
so di superiorità 9 0 non la potè conoscere per una
bootà che gli era innata. Inesauribile ne'suoi parti
poetici, egli non conobbe nemmeno quella gelosia
di mestiere, che mescola talvolta fiele ed assenzio
nell'ambrosia di cui , secondo il detto di un celebre
letterato, dovrebbero sempre viver le Muse^ e vide
con indifierenza, e talvolta con riso che altri in
lontani paesi si appropriassero poetici componimen-'
ti latti da lui y sebbene dir non potessero come il
PaoJo di Blarziale, che i componimenti eran loro
per diritto di compra.
Come uomo pubblico, e familiare co' grandi,
Pignotti ne meritò la fiducia, perchè non ne abusò
mai; e divenuto capo del pubblico insegnamento
ai chiamò fortunato per questo solo perchè potè
essere utile alle persone che egli apprezzava.
La gioventù ^ la quale annuaziava ingegno e di-
sposizione allo studio, ebbe in lui un protettore ed un
padre. Ammesso pf^r le eccellenti sue qualità morali
e, pel letterario suo merito nella società de' potenti
e dei grandi^ potendo giungere talvolta alla sorgente
46 NOTIZIE
delie grazie^ egli apprezzò questo favore^ prima come
omaggio reso alle lettere^ ed in secondo luogo come
mezzo onde far conoscere i talenti che meritavano
di essere o protetti o distinti. E quanti di questi
talenti in Toscana sarebbero rimasti senza Pignotti^
o non conosciuti o negletti 1
Come privato, Pignotti si abbandonò all'impulso
d^ un cuore bene6co senza limiti , ed era una mus^
sima da lui spessissimo ripetuta che non può im*
maginarsi piacer più vivo e più puro di quello che
si prova nel soccorrere un infelice. Una donna di
qualità 9 che avea fatta nel mondo una decorosa
figura, caduta per vicende politiche in miseria nella
sua vecchiezza, ricorre al Pignotti, il quale la sov-*
viene con una forte somma di danaro, rendendole
grazie di aver avuto fiducia in lui, e di avergli data
occasione di esercitare un ufficio di umanità. Lei
defonta , gli eredi conosciuta questa sovvenzione
vogliono restituir la somma a Pignotti, il quale la
ricusa, dicendo ch'egli n'era stato abbastanza ri-
compensato dal piacere di soccorrere un'infelice.
La tranquillità della sua letteraria carriera come
quella della sua domestica vita non fu avvelenata
da alcuno di quei dispiaceri che non di rado accocn*
pagnano le grandi celebrità. Se seppe di avere degli
invidi o de'nemici (e chi è òhe non ne abbia vivendo
tra gli uomini?) non curò la invidia, e dissimulò
l'altrui inimicizia . Egli non si permise mai alcun
tratto né in privato né in pubblico che annunziasse
un animo esacerbato dall'altrui livore : o tacque
dei suoi nemici, o si sforzò di scusarli. Come lette*
rato egli era persuaso di una verità che ripeteva
spesso a' suoi amici*, vale a dire , che se un'opera ò
STORICHE 47
cattiva è giostameote depressa , e se è buona è per
ae sola sufficiente a difendersi senza bisogno di en-
trare in intrighi y ed in dispute. Egli riguardò le
censure che si faceano anche ingiustamente a una
prodosìone letteraria come il miglior servizio che
esser potesse reso all'opera inquantochè invoglia*
▼ano Taltrui curiosità a leggerla^ e citava a tal pro-
posito r esempio di Hume, il quale diceva che un
suo scritto attaccato da Warburton avea avute per
questo solo molte edizioni, mentre un altro che non
avea goduto di quest'onore giaceva dimenticato nel
magazzino dello stampatore •
Anche nelle cose nelle quali era più in grado ed
avea più diritto di decidere e di far valere l'autorità
della propria opinione non si arrogò mai quel tuono
decisivo e impaziente di replica y che tanto spiace
anche sulla bocca di chi ha ragione • Pignotti non
approvava né lo stile, né la economia del dramma
di Alfieri. Allorché quest' uomo grande e straordi-
nario era in Pisa occupato del progetto di dare alla
Italia una vera e perfetta tragedia, non mancò di
consultare tra gli altri il Pignotti , il quale con
esempi tratti specialmente da Metastasio tentò per-
suaderlo che si pud avere uno stile drammatico
sublime senza durezza. Alfieri corresse alquanto il
mo stile ; e Pignotti non ebbe la minor parte in
qoesto cambiamento, il quale si dovè più al modo
con cui era stato dato il consiglio , che al consiglio
medesiDio, poiché un altro Professore che avea pre-
teso d' imporne all'alto ingegno del Tragico col
tuono dell' autorità cattedratica fu Y oggetto di uu
paogen te epigramma.
La conversazione di Pignotti allorché egli si ab«
48 NOTIZIE
baadonava liberamente alla effusione del suo cuort,
e del suo spirito era interessante e istruttiva • Golia
memoria ricca delle più squisite bellezie dei clas-
aici latini^ italiani y francesi y e inglesi^ e degli
aneddoti i più scelti della storia letteraria e civile
d'ogni tempo e di ogni paese^ egli avea di che abbel-
lire ogni soggetto su cui si aggirasse il discorso, e
d'istruire senza affettazione in ogni materia. Chi
poco sa ^ ed. è obbligato per far pompa d' ingegno
a dir quel che sa quando la opportunità si presenta^
ba potuto inventare quel proverbio^ che pute la
immoralità di chi lo pronunziò il primo ^ che un
tratto di spirito vale la perdita di un amico. La
ricchezza di cognizioni che Pignotti possedeva gli
dava il mezzo di spenderle senza ledere l'amor pro-
prio di alcuno 4 Fu concepito una volta il precetto
di tener conto di tutto ciò che di filosofico^ di eru-
dito, di critico, e di originalmente pensato diceva
nella sua conversazione. Questo progetto non fu
eseguito, e se lo era, la raccolta che si sarebbe data
alla luce avrebbe potuto ottenere un posto distinto
e forse il primo in quelle Raccolte di detti e pea«
sieri nelle quali è ancora incerto se tutto appartenga
ai sommi uomini del di cui nome sono state intu
tolate.
11 Testamento di Pignotti fu la espressione dei
sentimenti di gratitudine de'quali tanto si compia*
ceva il suo cuore • Con un legato , tenue è vero pel
rao soggetto, ma prezioso pel modo con cui era
concepito , lasdiò ai Signori Principi Corsini un pe-
gno della memoria^ che egli portava al sepolcro
dell'amorevolezza con cui vivendo era stato trattato
sempre dagl' individui di quella illustre famiglia.
STORICHE 49
Memore iempre di quaoto doyea al cognato Bonci,
riguardò i figli della sorella a lai maritata come
figli auoi propr j , e gli onorò della ani versale inati^
iasione in eredi.
Le Opere di Pignotti faranno passare alla più
remota posterità la viva imagine del genio suo : e
dae grandi Artisti contemporanei con mezzi meno
indipendenti è vero dalle ingiurie del tempo e dalle
timane vicissitndini vi faranno passare la viva ima-
gine de' suoi delineamenti^ il Signor Pietro Benve-
nuti in un quadro che si conserva nella galleria
de'Signori Principi Corsini in Firenze, ed il Signor
Antonio Santarelli in un modello di rilievo in cera
a lui commesso dal Signor Professor Rosini , e che
jHreaso di lui si conserva.
La sp<^lia mortale del Pignotti, se creder dob*»
biamo hoc manes curare sepultos meritava un
poeto in mezzo alle tombe, che nel Camposanto
Pisano risvegliano la memoria di tanti illustri tra^
passati: e noi dobbiamo alla pietà dei Signori fra^
telli Bonci suoi eredi il mausoleo, che in quell'am*
pio e venerabil recinto additerà ai contemporanei
come ai posteri il luogo ove il Padre della Favola
italiana terminò la sua luminosa carriera .
G.C.
Tornò I.
/
STORIA
DELLA TOSCANA
SINO AL PRINCIPATO
/
53
DELL'ISTORIA
PELLA TOSCANA
LIBRO PRIMO
COMPENDIO D'ISTORIi
^B«LI ABTICai POPOLt DI ET«OllI|
CJP ITOLO /.
SOMMARIO
Be^U Etruschi. Loro splendore. Divisione deWEtnaia. Cift^
f/rincipali. Governo • Guerre con Roma. Gli Etruschi si am-
molliscono. Sono Jinalmente soggiogati dai Romani.
JLl ambizione di vajitare un'aDticfaissinia orìgine
ila sempre dominato non solo le particolari famiglie
ma ancora le intere nazioni. Le une e le altre ^
rimontando troppo in alto , vanno a perdersi fra la
.caligine dell'antichità^ e qualche volta un'oscurità
opportuna ne copre le non chiare sorgenti. Molto
spesso però la favol^ ha supplito alla mancanza
de' fatti j e sopra piccolissima base ba innalzato un
magnifico edifizio. Non v'ha forse nazione che vanti
una splendida antichità al paro degli Etruschi o
Toscani; né ve n'ha forse altra la di cui orìgine
M più incerta o più inviluppata tra le favole,
I Pelasgi , che tanto spesso a loro comodo si con-
ducono in scena dajjli antiquari ^ erano unia ,del^
54 LIBRO PRIMO
due vaganti greche popolazioDi Pelala ed Elle-
nica, che aopra tutte le altre ai nominano nei più
antichi tempi. La prima specialmente comprendeva
gli uomini i più rozzi e feroci : e se qualche loro
truppa emigrata approdò e ai stabili in Italia y non
venne sicuramente a ingentilirla e istruirla . Ma
ostinandoci a cereare una derivazione di questo
celebre popolo da forestiere emigrazioni , niente è
più capace di gettare il lettore in un vero pirroni-
smo quanto le varie opinioni degli antiquari sul-
r origine degli Etruschi. Da pochi passi di antichi
scrittori, che probabilmente seguivano ancor essi
delle incerte tradizioni , da qualche somiglianza di
costumi, di riti, di lingua, ne hanno derivata Tori-
gine da quasi tutti gli angoli della terra • I più dotti
come Buonarroti, Maffei, Freretec. vanno eri*ando
in quest'oscuro pelago "idi congetture con eguale in-
certezza , persuasi che debbano avere origine da
antiche emigrazioni. Chi la ripete dall'Egitto (i),
chi dai Cananei (a) , chi da questi e da'Fenicj (3),
chi dai Lidj e Pelasgi (4), chi da altre parti del-
l'Asia, e fino dal territorio che sta fra il mar Ca-
spio e r Eusino, celebre per l'emigrazioni tanto
posteriori di quei barbari che ruinarono V Impero
Romano (5). Da questi varj punti orientali altri
conduce quelle popolazioni all'E^roria per raare^
altri per terra, rimontando a un'antichità anteriore
alla navigazione, e con lungo strano giro per venire
in Italia gli fa prima penetrare in Germania . I
francesi antiquari poi, e fra questi Freret, burlan-
(i) BaonarrotiJ (4) SerT«.iii Yir^.
(s) Maffei. (5) Duraódi.
(3) Mazzocchi .
CAPITOLO PRIMO s 55
dosi dì SI tàiie opinioni , quasi sia per addurne
delle più fondate (6), per popolar l'Etruria invece
dell'Oriente si volge all' Occidente ^ e dai popoli
del Trentino dedace l'origine degli Etruschi : altri
dopo il diluvio universale segna subito una strada
per coi un'asiatica colonia è venuta in Ctruria (7):
altri finalmente senza rimontar si in alto^ invece di
dedurre in questa provincia una greca coloniai so-
stiene che dall' Etruria piuttosto le popolazioni , e
le arti sien derivate in Grecia ed altrove: nò man-
cherebbero prove del genere delle congetturali a
sostener siffiitta opinione. Dardano fondator di Troia
si dice più volte da Virgilio e da Servio oriundo
d' Etruria partito da Gerito, o figlio di Gerito, o di
Giove: passato dall' Italia in Frigia si fa autore della
troiana stirpe e fondatore di quella celebre città; (8)
onde invece che noi fossimo figli de' Frigi o dei
Greci ne saremmo i padri . Forse non abbiamo
da Platone che i riti religiosi dell' Etruria erano
penetrati in Grecia 7 (9) Lasceremo finalmente alla
scrupolosa credulità di coloro, che amano conciliar
tutte le contradizioni, il sostenere che prima l'emi-
grazione si sia fatta dall' Etruria in Grecia, e che
di qua sia ritornata in Etruria. Non c'inoltriamo
più fra queste tenebre di cui sono impastati ' innu-
merabili e grossi volumi : la sola esposirìone di tante
opinioni contradittorie basta per confutarle, e per
lasciarci in quella savia dubbiezza in cui resterà
chi ha fior di senno. Ma è egli necessario che la
(6) Histoir. de l'Academ. Tom. 18.
(7) Guamacci .
(8) . . . Corjrti tfrrhena a sede profectum, Virg. L 7.
• • • hinc Dardanus artus. Yirg* L 3. Y. Senr» ib.
(9) De legibus.
56 LIBRO PRIMO
vanità vada a cercar l'origine in ona forestiera ce-
lebre nazione 7 Anzi non ìasingherebbe più Tamor
proprio nazionale il credersi da tempo immemo-
rabile cittadini di un paese distinto per arti , e per
lettere fino dalla più remota antichità ? Nella gene-
rale incertezza può qualunque Toscano prender
jiffatto partito: non si iruol però negare che sia ap-
prodata qnalche colonia greca o d'altra nazione ia
Italia e probabilmente a Pisa; ma anche ciò con*
cesso, pondererà Fnomo di senno ee sia possibile
<che una miserabile emigrazione per lo più di pirati
o gente barbara che abbandona il suo paese, possa
^ver portato le cognizioni e le arti eleganti che fio?»
rirono in Etruria* L'epoca dello splendore degli
antichi Toscani precede i tempi iatorìci e cade in
.quelli ne'quali le nazioni meno rozze , credendo la
•semplice verità troppo triviale, vollero renderla
più maravìgliosa mischiandovi la £ivola , o più au-
|[usta coprendola col velo religioso. Il marchese
filaffei, uno di quei che si sono più distinti in queste
ricerche, e moki altri, credono tutto incerto ciò
che appartiene all'Italia prima della nascita di
Roma • Allora comincia ad albeggiare un po' di lu-
ce ; ma fino ai tempi più bassi non si può in que-
st' oscuro sentiero fermare il pie con sicurezza • Solo
può credersi che il «egno degli Etruschi e il loro
splendore risale alla più remota antichità , precede
tutte le nazioni di Europa , ed emula ^gli Egiziani
stessi • Ciò si deduce <e dall' incertezza stessa del-
l'origine, dalla perdita de' loro libri, de'loro isto-
rici, della lor lingua (avvenimenti che non possono
aver luogo che in lunghissimo tratto di tempo); da
moltissimi passi dei più vecchi scrittori , ai quali
CAPITOLO PRIMO 57
può aggiongerai V aiitoreviole sentimento d' illiiitri
moderni (io). Vi n pnò miire anche on'osservasione ^
naturale: è fuor di dubbio che q^ialcbe specie d'a-
nimali si è affatto perduta ^ e appunto oe' libri dei-
Vetrnsca disciplina si vedeano dipinte alcune specie
di uccelli che ai tempi di Plinio erano mancate (1 1).
Bla lasciando V oscurità e tenendo dietro a quelli sto-
rici nei quali si vede un po' più giorno ^ pare più
d'ogni altro da ascoltarsi Tito Livio , il quale asse-
risce che per terra e per mare V Etrurìa fu celebre
e potmite assai prima di Roma, che n'è indisio il
nome di mare Tosco dato all'infisriore, e ai supe-
riore di jidiriatico da Adria colonia degli Etruschi
ifihe dominò di qua e di là dall'Appennino , e fino
uell'Alpi (is); che ì Rezi ossia i Grigioni sono di
losca orìgine, e che quantunque corrotto ne ritene-
vano il suono della lingua • Da molti altri scrittori
s'impara che il dominio de' Toscani si stese su quai|i
ttttta r Italia • Era allora TEtruria divisa in tre parti >
cioè-Gircumpadanaj Campana, e Media (i3). U sup
(io) Stam opìversde di .Q|ia Società di Lett lo^.
(1 1) Diod.4ib. 5. Plinio lib. !•• cap, i5« Depicia in etnisca
fiscipHM.
(la) Merita dì ess^ rìferìto.t|itto il paiio: Tuscorum qmteJRo'
Manumlmperiumlate terra marique Àlpes patuere: mari supero
mferoipie » qìdhus Italia insulae modo dngitur quantum potue-
rint nomina sunt argumento quod alterum Tuscum communi
ffocabulo gentium, alterum Adriacum ah Adria 9 Tuscorum co'
.ionia j vocavere Italicae gentes: hi in utrumque mare vergentes
sn^fioluere urhibus duodenis ierras prius eis Apenninum ad.infe"
rum mare, post trans Apenninum .totidem, quot eapita joriginis
erantcoloniis missis, quae trans Padum omnia loca,excepto Ve-
netorum angulo qui sinum circumcolunt maris usque ad Alpes
tenuere» Mpinis quoque gentihus ea haud dubio origo est maxi"
me. Bhetis quos Ipca ipsa efferarunt ne quid ex antiquo praeter
samum limguae nec eum incorruptum tenuere. Tit* «L^t. dee. 1.
Kb. 5.
(i3)01l4r. GeQg?aph..lom« a.
58 LIBRO PRIMO
confine 81 rUtrinfie poi, e generalmente parlando,
còl nome d'Etroria 8^ intende la Media ^ che dalla
foce della Magra giunge a quella del Tevere • Questa
linea fu la più eateaa, accorciandosi TEtruria nel-
r opposto limite formato dalia catena d^li Appen*
nim^ che accostandosi al mare dalla parte d'occi-
dente, sempre più la ristringono, mentre il Tevere
escito dagli stessi monti correndo lungamente verso
Oriente, finché poi costretto dal pendio è obbligato
a volgersi a mezzogiorno per scaricarsi nel mare^
dilata il marittimo lato di questo trapezio. La lunga
spiaggia ebbe varie città e porti che hanno subito
nel corso de' secoli assai vicende. L' antica Luni
copriva r ultimo punto occidentale delFEtrurìa nel-
la sinistra sponda della Magra (i4)« U suo grande
e comodo porto, il presente golfo della Spezia, ne
faceva florido il commercio, e rispettabile la po-
tenza : cadde e risorse più volte : era deserta e mi-
nata ai tempi di Lucano (i5), si trova poi nuova-
mente popolata nei bassi tempi: adesso disputano
gli antiquari sulla precisa sua situazione (i6): resta
il suo nome air adiacente paese su cui probabilmen-
(i4) Noi seguitiamo l'opinioDe dell' Holstenio e del Celiano
pi attcsto che del Glayerio che la pone nella sponda destra «
(i5} « . • • • desertae moenia Lunae, Lac
(i6) Poteva Lani esser illustrata da un poema del dottissimo
mio amico Raimondo Cocchi, intitolalo La ruma di LtaU^ se la
morte non lo avesse immaturamente rapito. Era già tatto disteso
in prosa ; io me ho ascoltati due canti pieni d'immaginazione^ e di
sentimento ; e se ne vide pubblicato aallautore in versi di vario
metro il primo canto di cui tale era il principio .
Senti che batte ancor V onda marina
Sulle rive di Luni e freme il vento ,
Ma la città de* popoli reina
E* fatta campo , e vi muggì V armento .
Era (ìesiderabile che fosse dato alla luce il manoscritto in prosa.
CAPITOLO PRIMO 5^
te dominava , detto Lunìgìaua • CaraminaDdo ver-
so Oriente aalla marina costa , e trascurando nomi
poco certi , come il bosco di Ferania, ed altri poco
noti paesi, trovasi Pisa , il di cui lido e porto hanno
tanto variato: situata sul triangolo formato allora
dalla riunione deirArno e del Sarchio (17) era assai
atta al commercio, giacché quei due fiumi riuniti
portavano mi corpo di acque sufficienti a sostener ba-
stimenti grossi di quei tempi. Il celebre interrimento
della spiaggia toscana ne ha sempre più slontanato
il mare e cangiato il porto* Dopo Ercole Labrone
(oggi il commerciante e popolato Livorno) s'in-
contrano i i^adi ifoUerrani . La non lontana Volter-
ra, che colle sue fonti salate lavora il sale per la To-
scana, lo lavorava ai tempi di Rutilio Nomaziano in
questa parte asciugando al Sole la stagnante acqua
marina (i3) . Sopra queste saline Rutilio contemplò
la villa del suo collega Albino. Vetulonia per Tana-
li^ia del nome colla selva Tetulia o Vetletta pare
doversi fissare vicino al piccolo fiume Gomia , che
cade nelle acque calde dette le Caldane. Si veggono
ancora tra la torre di San Vincenzio e le ruine di
Populonia le reliquie di una città che non possono
appartenere che all'antica Vetulonia ; fu una delle
più rispettabiK città etrasche, e da essa i Romani
imitanmo la pompa dei fasci consolari ed altre
(17) Stnib. Geogragfa.
(1^) RatilNom. itiner.
Sibiectas vUlae vacai aspectare salinas . • .
Qua mare terrenis declive canalihus intrat . ,
Ast ubi flagrantes advomit Syrius ignes . . .
Tarn cataractarum claustris excluditur aequor
Ut Jixos latices horrida duvet humus,
Concipiunt acrem nativa coagula Phaebum ,
Et gravis aestivo crusta calore coit .
6o LIBRO PRIMO
decorazioiii lie' Magìatrajti (19). Ne seguiva Populo-
nia situata in anl^lioie pronciontorio che si distende
in mare e ai ^av vicina all'Elba^ onde vedeva sotto
di se il canale di Piombino ; la qual città forse mt^
dalle ruine di quella n'è distante tre miglia: il beUp
e comodo porto di Populonia è descritto .da Strabene^
ed ha adesso il nome di PortChbaraUo (ao). E)bb^
questa città una sorte molto varia: è credtita una
delle dodici città etrusche^ fu rovinatia.ai tempi di
Siila ^ e nei ^assi tempi più volte rifabbricata, e
distrutta- Non lungi da Populonia T antica Massa
yeternense, patria di Gallo Cesare^ si riconosce
nella moderna Massa (21). Dall'altra parte del pro-
montorio ove il mare s'insinua tra le terre, era
r antico porto di Falesia : il lago Prile si ritrova nel
Iago di Castiglione (22). Tra questo e l'Ombrone
poco distante dal mare era Roselle, nominata co-
me una delle dodici città etrusche (a3). La favo-
losa origine del prossimo porto di Talamone, risale
fino ai tempi degli Argonauti: obliato poi, fu risarr
cito dai Sanesi ne' bassi tempi per comodo dei Fio-
rentini, quando le nimistà coi Pisani jchiuse^ lorp
il porto di Pisa • Indi s'incontra l'altro promontorio^
o monte Argentare, che 5Ì allunga in mare verso
la piccola isola del Giglio; è attaccato al continente
cpn sottile lingua di terra, forma una penisola^ ed
(19) Silìiu. ItdL lib. 8.
Àfaeoniaeque decus dim yetuloni^ gentis,
Bissenos haea prima dedit praecedere fasees ,
Et junxit totid^m tacito terrore secures:
Haec alias ebqris di^coraAt honore curuUs ,
Et prineeps Tyrio vestem praetexuit ostro,
(ao) Cli^ver. ItaL anttq.'lib. 3*
(ai) Ammiaii' Marcel, lib. 14» e 4o*
(a 3) Cic. prò Mil. OH. Ceogr. antiq. tojii« %.
(3 9) Dion. d' Allear, lib. 3.
CAPITOLO PRIMO 6r
ha nel fieno o lato orientale Porto- Ercole, nell'oc-
ódetitale lo «stagno del moderno Orbetello. Nei prìn-
djdò del piccolo istmo fu Cosa , deserta fino ai tem-
pi di Rotilio (24)> eh' è probabilmente la moderna
Anddooia . Graviaca y cui forse diede nome il grave
e fistido odore delle paludi (sS), era situata presso
il Some Marta, che scarica in mare le superflue
acque del lago di Bolsena . Centumcellae o porto
di Traiano 9 fabbricato da lui e con grandiose opere
monito, avea prossima la delixiosa villa di quel**
f Imperatore tanto ammirata da Plinio (a6). Fi-^
nalmente il Tevere con due rami scaricandosi in
mare, e formando Y isola sacra (37)> terminava la
toscana spiaggia: il porto di Augusto sul ramo destro
conserva il nome di porto come sul sinistro Ostia ;
presso la quale le saline stabilite dal Re Anco Mar-
xio con qualche Variazione di posto per l'avanza-
mento della spiaggia si continuano anche ai nostri
tempi. Dopo avere scorsa la spiaggia marittima,
parrebbe che si dovessero nominare le dodici città
0 popolazioni nelle quali era divisa TEtrurìa, ma
quali fossero non può con sicurezza asserirsi ; onde
d contenteremo di nominarne alcune riguardate
come tali , o che meritano per la loro celebrità
d'esser distinte dall'altre. Pisa e Volterra da molti
(34) Ia tavola de' topi, la di cai invasione cacciò di Cosa gli
abilatorì , h aolo una prova deUa desolasione della città. Rutil,
(iS) Inde Grawscaruni fastìgia rara videmus
Quas premit aestivae saepe paludi s odor. Ratil.
(a6) Plin. lib. 6. Epist. 3i*
(37) qua fronte bicornis
Dividuus Tioeris dexteriora secat. Rutil.
E stnso come ano dei più accurati scrittori della Geografia ad*
tica,0 Cellario, abbia coaf osa l'isola sacra alla foce del Tevere
CM faefli posta dentro Ronu • Celi, geogr. ant. lib. 34 cap. 9.
6j libro primo
antiquari (38) non ik)oo registrate traile città che
formavano il regno dell'Etruria, non già perchè
la loro antichità e splendore non ^[uagli quella
delle altre; ma forse un governo diverso le fi^ce
riguardar come estranee all'etrusca costituzione.
Altri scrittori poi ve le annoverano ""anzi fralle pri-
me (39); e siccome ciascuno ai appoggia su testimo-
nianze di scrittori egualmente autorevoli, noi cre-
diamo conciliarli agevolmente imaginando che qual-
che volta sieno state unite al regno d'EItruria e talora
se ne siano separate, ciocché la male architettata
costituzione etrusca (come mostreremo fra poco)
£icilmente persuade. Arezzo poi , CSortona , Perugia
se negli antichi tempi del governo etrusco non ai
veggono annoverate fra le principali y lo furono
ben presto y trovandosi nominate dagl'isterici fralle
prime popolazioni dell' Etruria (3o). Arezzo fu ce-
lebre pel suo muro paragonato 'da Vitro vio a quell o
d'Atene che riguardava il monte Imetto ; nacquero
forse Arezzo , e Cortona dalle ruine di CSorito : fa
questa per un tempo la più grande, la più potente
e la più celebre delle città etrusche ; ma siccome
non si sente nominare nelle guerre che i Romani
ebbero cogli Etruschi^ si può congetturare che re-
stasse distrutta nei civili contrasti degli Etruschi
(•j8) Demster. Elruria regalis.
(39) Hos parere jubeni Mphae ab origine Pisae .
Urb8 ETRUscà SOLO . • • . Yùrg. AEii. L 7.
Il preciso ed esatto Virgilio con aaelle parole , ìurbs etrusen
solo, non avrebbe forse yoluto denotare una città posta in
suolo etrusco , ma non unita alla lega etnisca ?
(3o) Tit. Liv. lib. I. e. 9. Itatfue e Cortona, Perusia, Ar-
retio , qokE fbbmc càPiTà populorum Etruriae ea tempesttUe
fuerunl legati etc. Il medesimo autore lib. 1 o. Tres validlssi-
mae urhes BTRuaiàa càPirà ^FuUinii , Perusia , Jrretimm pa-
cent petiere ,
CAPITOLO PRIMO «5
stessi . La maggior parte deir altre città nel lungo
tratto de' secoli è caduta in oblio; d'alcune non si
può che con dubbiosa congettura assegnar il vecchio
nto; ad' altre ncm resta che lo scheletro dell'antica
grandezza e la celebrità del loro nome . Veìo era
situato dodici miglia distante da Roma (3i) > se ne
accenna il sito dai dubbiosi antiquari ^ o nel mo-
derno Scrofano, o piuttosto sopra una scoscesa rupe
opposta all'isola Famesia (3s). Per quanto dal i^a-
lore con cui resistette ai Romani si possa formar
grand' idea di questa città ^ appena vi sarà alcuno
che s'induca a credere ciocché asserisce un antico
scrittore , che uguagliasse la grandezza d'Atene (33).
Questa popolazione fu una delle più potenti rivali
di Roma ancor nascente: l'ostinata guerra che si
fecero le due città non cessò che colla totale distru-
uooe di Velo. Di Falena è incerto il sito; il Clu-
verio la pone ov'è Civita Gistellana^ altri ov'è
Gallese^ il Cellario la crede la popolazione dei Fa*
lisci. Tarquene era una città vicino al mare^ non
lungi da Corneto^ un miglio distante dal quale
trovansi le mine d*nna città^ anche adesso chiama-
ta dagli abitatori Tarquene (34)» Non lungi 4.a Tar-
quene era Argilla ^ poi Cere ora Cervetere in un
sassoso monticello quattro miglia distante dal mare,
com'è descritta da Virgilio (35). Vulsini, adesso
f
(3i) Ciuvci-. ( //a/, ^/i/i^. ) crede corrotto il testo di Livio
che vigesimum lapidem debba correggersi in duodecimum :
«ICO il Cellario induce a dodici le miglia .
\ (32) Cluver. Holste. ft Celi.
I (33; Dionis. d'Àlicarn.
/ (34) Cluver. Ital. aiitiq.
' (35) Haud procul hinc sarò colUur fundata vetusto
Urbis j4giUinae sedes* Virg. AEn. lib. 8.
64 LIBRO PRIMO
Bol«na y illustrata o piuttosto oscurata dal natale
di Seianoy si conserva ancora come Clusium, ossia
Chiusi, detto dagli antichi Etruschi CamarSé Fieso-
le , città nominata sempre dagli scrittori come popo-
lata e potente, andò illanguidendosi per Taccresci-
mento della sua figlia Firenze, la quale con debolis-
sime prore , smentite dal continuato silenzio degli
scrittori, e dagli argomenti più certi della sua na-
scita, un illustre antiquario ha preteso annoverare
fralle antiche città etrusche (36). Delle città maritti-
me abbiamo abbastanza parlato • Molte si distinsero
particolarmente in qualcuna delle arti che fioriva-
no in ÈttUria: Arezzo nella figulina^ onde tanto ce-
lebri furon i vasi aretini, Tarquene nella plastica
o modellatrice, Vubinii, che forse vale città dèi
fahri , nella scultura , Perugia e Cortona nei bronzi ^
Chiusi neir intaglio di pietre dure, Volterra nella
scultura degli alabastri: e trovandosi il materiale
nei suoi contorni si è tiuovamedte eccitato Tingegno
dei moderni a resuscitar quell'arte •
Il governo dell'antica Etruria è assai incerto: si
conoscerebbe meglio se si fosse conservato il libro
di Aristotele, in cui per testimonianza di Ateneo
trattava degli antichi governi dltalia, e fra questi
deir etrusco. In mezzo air incertezza però si può
stabilire che le dodici popolazioni formavano uni
governo federativo; ne abbiamo varie prove* I loro
deputati si univano nelle importanti occasioni pres-
so Viterbo ad f unum f^ultumnaé per trattare dei
pubblici affari (37) : questa riunione rassomiglia al
(36) Lami » lèi. d^ anticiu toicanè •
(37) Vanum Vultumnae, forM fu lo fteifo "Viterbo. iTtdi
Ciater* • €elL
CAPITOLO PRIMO 6S
CoDcilio Anifitionico delle greche città, cbe si ra-
dunava ogni anno, ma pare che il Concilio etrusco
non 8Ì riunisse annualmente, ma solo in casi straor^
dinar] ed urgenti. Ciascuna popolazione avea il
dritto da per se di far la guer#a e la pace, di vivere
in repubblica o di crearsi un capo o Re o Lucumo*
ne, di unirsi con qualche altra città e far congiunta*
mente con essa la guerra : onde i vincoli che lega-
vano insieme questa federazione erano debolissimi :
tutto ciò si deduce da varj racconti degli antichi
scrittori e specialmente da Livio. Vejo fece la guer-
ra ai Romani quasi sempre da se sola, né vi si
mescolarono le altre città se non quando comin^*
ciarono ad accorgersi che, oppresso Vejo, l'impeto
dei Romani si sarebbe scaricato contro di loro«
Neir ultima guerra si eleggono un Re: questa ele-
sione dispiace air altre popolazioni più per Todio
personale delF eletto che per l'azione stessa, ma
non son riguardati come ribelli ; credono di aver
esercitato un loro diritto, giacché domandano aju-
io al resto dell' Etruria (38) . Si noti come si vie->
ne alla creazione di un Re per evitare le tumul-
tuose elezioni degK annui magistrati civili e mili-
tari, ciocché denota una città quasi libera che si
crea annualmente i governanti, e che per evitare
i tumulti ch'eccitavano quelle elezioni ricorre in
quell'anno alla scelta di un Re • Da tutto ciò sì scor-
(SS) yejenieSi tedio annuae amhitioms quae inierdum caus*
ta discordiarum erat , regem creavere : offendit ea res populo*
rum Etruriae animos, non majore odio regni, quam ipsi$
regis «... Gens itaque auxilium Vejentihus negandum do*
tiec sub rese essent decrevit, Tit. Liv. dee. i. lib. 5. Questa
passo pHi di ogn' altro sviluppa il mal ordiuato sistema del go«
fcmo etrusco •
Tomo /* ^
66 LIBRO PRIMO
gè che vi era qualche vincolo Traile dodici popola-
zioni^ raa piccolissimo. Se poi esistesse un generale
Sovrano 9 che avesse qualche leggiera autorità sopra
tulte^ è astiai disputalo; Servio lo asserisce; il nome
di Lucumone è inteso dai più per capoo Re di una
particolar città, Larte per Sovrano di tutta TEtru-
ria (39), se pur non è nome proprio. Per quella
medesima istabilità di governo per cui le particola-
ri città ora si sceglievano un Re, ora volevan vive-
re in libertà, posson esser talora venute alTelczione
d' un Sovrano universale , un capitano generale
che, come lo Statholder in Olanda governasse que-
sta repubblica federativa, ma con assai minore au-
torità . È molto naturale che negli urgenti ca^si
di guerra o di discordie intestine si eleggesse un
capo che regolasse la prima , e comprimesse le al-
tre, com'è stato il costume di tutt'i popoli «La
confusione fatta da qualche autore di questi gene*
rali coi particolari sovrani delle dodici città, che
in vai*] tempi le han governate, ha forse fatta na-
scere quella lunghissima lista di re etruschi che
numera il Derastero, e che rimonta ridicolosamente
fino avanti il diluvio (4o). Ci sia permesso di fare
un paragone. Il governo dell' antica Elruria rasso-
miglia in qualche parte a quello della Toscana
dopo la ruina del sistema feudale: trovasi essa al-
lora sciolta e divisa in tanti piccoli governi, quan-
te erano le città , alcune delle quali unite in piccole
turbolente repubbliche, altre oppresse da tirannet-
(39) Maflei , osserv. IcUer.
(40) Il Lampredi nella dissertazione del governo civile degli
antichi Toi>CHui non pare che ammetta mai un generale sa-
crano deir Etruiia j ma il più probabil ktfetemu seml>ra Tesposto .
CAPITOLO PRIMO Cy^
ti 9 che rapidamente ai succedevano^ innalzati ed
abbattuti colla stessa prestezza e mala fede^ on-
deggianti fra il dispotismo e la licenza non sapeva-
DO né servire ne esser libere. Questo fu anche pres*»
so a poco Io stato degli antichi Etruschi per quanto
apparisce dai barlumi della loro istoria: lauto è
vero che il genio delle nazioni^ stabilito una volta
con una tacita azione non ben conosciuta ad onta
delle rivoluzioni che soflfre tratto tratto^ ,dura ad
influire ne'successivi secoli i più remoti. QuelT in-
quieto spirito d'indipendenza che agitò gli antichi
Toscani^ e gli altri popoli d Italia^ dopo esser de-
generato sovente più che in libertà^ in licenza^ 6-
naimente nel grande e generoso animo dei Romani
sciolse il diflicil problemay trovando l'arte di con-
ciliare i differenti interessi ^facendoli tutti cospirare
alla gloria e all'utile nazionale; fissò i limiti della
potestà esecutrice senza indebolirne r azione; per«
soase la ragionevole obbedienza senza la schiavitù,
e formò cosi una delle più belle costituzioni che
abbiano conosciuto gli uomini colla quale si fece
padrona del mondo. Rotta poi la base di quella co-
stituzione^ indebolita dal lusso, lacerata dalle guerre
civili, avvilita dal dispotismo divenne schiava dei
barbari, i quali poi o scacciati, o domiciliati in
essa, non fu affatto estinto quell'irrequieto spirito
d'indipendenza che aveva agitato l'Italia, restando
ad essa l'inquietudine pe' piccoli oggetti, senza il
potere© l'energia pe'grandi. Ma ritornando ai re
etruschi trovasi in questo catalogo il nome d'Eolo
che forse per la sua destrezza nelle spedizioni , nellu
navigazione, e per aver conquistate e dominate
de/r isole dette luogo alla favola di chiamarlo il
63 LIBtiò PtìlMd
rettore de' venti. E veramente la potenzia ùavate
degli Etruschi fu grande , ma appena si conosce-
rebbe senza due passi d' Erodoto , e di Tucidide. Si
vede dà essi che una delle più antiche battaglie
navali fu tra i Focei da una parte^ egli Etruschi^ e
i Cartaginesi dall'altra presso la Sardegna. La vit-
toria restò ai Focei afendo distrutte quaranta navi
nemiche e costretto il resto alla fuga (4i)-' quest(y
avvenimento dimostra non solo che l'Etruria era
una rispeltabil potenza di mare^ ma T alleanza cai
Cartaginesi popolo tanto celebre pel commercio fa
congetturare il traffico degli Etruschi . Si può pari-
mente distinguere in questa serie di Sovrani il nome
di Mezenzio^ a cui ha data un'infame celebrità forse
non affatto meritata 1' Epico romano; almeno ne
ha alterata stranamente l'istoria, e falsificati gli
eventi; giacché Enea invece di poter appendere in
trofeo le armi di Mezenzio^ come per onorare il
suo Eroe descrive il poco yeridico poeta , fu ucciso
in battaglia contro di esso> restando anche il suo
cadavere insepolto: disgrazia tanto temuta dai su-
perstiziosi antichi e dallo stesso Enea, nà proba**
bilmente ignota a Virgilio , giacché si tVova traile
altre profetiche imprecazioni della moribonda Bi-
done (43)* Certamente tutti gli anticlii storici,
Trogo Pompeo, Festo, e Servio medesimo che cita
Yarronie si accordano sulla vittoria di Mezenzio ; e
* ■
(40 Herod. llb. 6. Tucid. lib. a.
(4 a) Siccome r estreihe Voci della moribonda Didòhe sono
una profezia di tatto ciò cbe dovea avvenire ad Enea entrato in
Italia y e a' successori di lui » devono pìrendersi per parte di 4[|uella
j)rofezia i versi
Sed cadat ante diem, mediaque inhurnatus arena
Haec preror, haric prece/n extremam cum sanguine t'undo .
^oeio. lib. 4-
J
CAPITOLO PRIMO ^y
Lino celebratore dei Ronfani , c|ig p^ssa sopra a
^qesto avveqioiento cou un'affettata ambiguftà, ci
conrerma nella stessa opinione. $e fosse poi vero
che Mezenzio si movesse in favor dei Rutili contro
i Latini colla condizione di aver in premio i vini
cbe attualmente si trovavano nelle campagne lati-
ne, come ci attestano e Varrone, Plinio, e Ovi-
dio (43) che vuole le romane ff^ste dette f^inalia
originate da quella condizione, ci si mostrerebbe
a un tempo e la piccolezza degli oggetti di siffatti
eroi, e T intemperanza di Mezenzio. Il di lui ca-
rattere ci comparirà anche meno atroce se si ponga
mente cbe Torribil martirio di attaccare i corpi
morti ai vivi non fu sua invenzione ma pena usata
fra i Toscani (44)» Nondimeno il carattere di Me*»
senzio sarà sempre atroce alla memoria degli uo^
ijfiini , giacché i bei versi di Virgilio lo imprimono
come tale nelle menti giovinette; come quello del-
Tinnocente Didone e di molti altri prodi perso-
naggi, vittime delle poetiche immaginazioni: tanto
è il potere che hanno \ genj grapdi sulla pubblica
opinione (45) !
(43) Yarr. cit. da PIìd. 1. i4* e. i a. Ovid. fast. 1. 4*
(44) Cic. in Horten. Servius.
(45) Niuno degli aDlìcbi istorici ha parlato del viaggio di
4^ea in Affrica , anzi nella maggior parte delle cronologie Didone
h tre secoli anteriore ad £Àea : la sola cronologia di Newton fa
contemporanei quei due illustri personaggi. Il Sig. Ab. Andres
ha consacrato a questo tema un'intiera dissertazione, ma tutto iì
lasso erudito che ha spiegato in essa per giustificar VirgUio da uq
anacronismo è afiatto inutile. L'argomento di cui fa continuamen-
te oso il S'\^* Andres è la scrupolosa delicatezza e i) giudizio di
Virgilio, che non gli avrebbero permesso si gran licenza, ciocché
iTTcbbe qualche forza se questo fosse il solo anacronismo di Virgi-
lio; ma sene trovano altri, fra i quali quello ove Palinuro nel 6.
ift. delì'Eaeiàc nomina il porto Velino, che non esisteva ai tcqipi
^'Eoea, come ha notato (iellio {Notti attiche). Tutte le^rove si
70 LIBRO PRIMO
Nasceva intanto e prendeva vigore accanto al-
l'Etruria quella formidabil popolazione , la quale
doveva in seguilo non solo dominar sull'Etruria»
ma sulle più belle proviucie del Globo. L'origine
dei Romani è come di tutti gli altri popoli invitùpT
pata nelle favole: ma mentre i principj o veri^ o
favolosi della maggior parie dei popoli non son no-
ti che alla laboriosa diligenza di pochi antiquarj ,
i bei versi dell'Eneide hanno resi comuni a tutte
le eulte nazioni y e fatti immortali quelli di Roma.
Fa d'uopo confessare che non v'è stata nazione
che Io abbia tanto meritato (46). Anche però in
mezzo a' favolosi racconti che alterano e abbelli-
scono la verità , vi sono alcuni fatti sui quali si
conviene dai piiì ac<:reditati istorici ; cioè che i
Troiani y figli forse una volta degli Etruschi^ sieuo
stati gli autori di questo celebre popolo. Presa Troia
D colla forza aperta , o per tradimento d'Antenore ,
£nea si ritirò con numeroso seguito in Pergamo
fortezza di Troia ov* erano custodite le cpse preziose ^
e gli Dei tutelari: ivi però non potendosi a lungo
sostenere si riparò nella parte più inaccessa del
monte Ida^ ove accorse gran turba dall' espugnate
ciltii, e dai circonvicini castelli. I Greci sì prepara^-
vauo ad attaccare quest'ultimo refugio dei Troiani:
4
ridarrebbcro dunque alla cronologia Newtoniana la quale disgra-
KÌatamente è falsa restando confutala dalle astronomiche osserva-
zioni del Whislon e dai ragionamenti di Freret e d'altri. Vedi
Bailtjr histoire de VAstron, Chi volesse incolpar Virgilio dell'ina
cronismo consideri quanto è felice quella colpa che ha prodott
versi si patetici ed eleganti. Eia colpa (se ve n*ha alcuna)^ è tan
f o più scusabile quanto piii sono oscuri e favolosi i tempi dei qua!)
5Ì tratta , e la cronologia anche ai nostn. tempi incerta.
(4^) Livio ha detto con molto senno - Datur haec venia an-
tÀquitiifi ni mi scendo umana diAnis primordia uibiuni augusiio'
CAPITOLO PRIMO 7,
aop vedendo così fàcile T impresa, e già stanchi da
una lunga guerra^ acconsentirono a lasciargli libe-
ramente partire co' loro beni (47). S'imbarcarono
i Troiani^ e traversando V Ellesponto giunsero iu
Tracia alla penisola Pallene abitata dai Crusei loro
confederati. Dionigi d'Alicaruasso , ottimo giudice
degl' istorici de' troiani avvenimenti che potevano
esistere a' suoi tempi, assicura che tra i racconti
delle vicende d'Enea questo era il più verisimile.
Da Pallene, dbpo aver toccato varie isole dell'Arci-
P^'3§^> giunse a Butroto porto d'Epiro, ove con
alcuni scelti compagni andò a visitare l'oracolo di
Dodona, della verità del qual viaggio cita Dionigi
alcuni antichissimi vasi di bronzo ch*esistevano an-
che all'età sua in quel tempio, nei quali era incisa
una vecchia iscrizione che^attestava il fatto. Virgi-
lio nel viaggio d'Enea ha molto seguitato l'isto-
ria che dovea essere assai nota a'suoi tempi; perciò
l'arrivo in Sicilia, gli amici ivi trovati, l'incendio
delle navi eccitato dalle donne troiane, non sono
affatto abbellimenti poetici ma si leggono nelle an-
tiche istorie. La predizione delle arpie che minac-
ciava ai Troiani una fame tale da esser costretti a
divorar le proprie mense, l'osservazione di Ascanio
nel primo giunger in Italia d'aver divorate le men-
se formale di strali di pane sull'erba (48); queliti
fatti se possono al severo critica comparir puerili e
non degni della maestà dell' epica tromba , merita
qualche indulgenza il poeta se ha voluto secondare
il genio de' suoi concittadini, presso, i quali siffatti
racconti dovevano esser- celebri , trovandosi regir
(47) Dionig* d'Alicarn. lib. a.
(48) VirgìI- Acne. lib. 3. e 7.
73 LIBRO PRIMO
étrati negr istorici pi(i gravi (49)» Tutte le altre yU
cende d'Enea, de' suoi discendenti » e della nascita
di Roma son troppo note e troppo miste alle favole
perchè un saggio scrittore possa trattenervisi e spe-
jrar di trarne qualche importante notizia.
iivKi Appena nata Roma, la troviamo presto in guerra
BoÌa cogli Etrusclii, giacché Romolo volse^ le armi con^
^9 tro i Veienti : vi furono più volte de' sanguinosi
contrasti, e questi^ popolazione come la più prossi-
ma dell'etrusche a Roma fu frequentemente alle
prese coi Romani e gli tenne in continuo esercizio
della terribile scuola delle armi. La città di Fideno
cinque miglia distante da Roma (5o), fu più volte
il pomo di discordia di quelle due popolazioni ;
^conquistata da Romolo, ribellatasi sotto Tulio Osti**
lio, seguitò la parte de' Veienti: ad onta del tradi-^
mento di Mezio Suffezio Re d'Alba che unito coi
flomani gli abbandonò nel più forte della battaglia,
furono i Veienti disfatti, ripresa Fidene; e l'adirato '
vincitore fece attaccare il traditore Re d'Alba alle
cime di due aU>eri ripiegati , che poi me36Ì in li-
l>ertà, tornando iurìosamente in aHo ne squarcia^
rono il corpo: così erano trattati i Re da qpei feroci
popoli (5i). Anco Marzio combattè più volte anche
^sso jcpi Veienti , e pe /u yiw:itore , Ma più 4' ogoi
(49) Dion. d'Alicar. lii>. 1- , • j 1
(50) Fidene era situala presso il confluente dell'Amene e del
Tevere come si deduce da Liv. llb. 4. QuesU città esisteva ed era
popola tissima sotto Tiberio, nel duodecimo anno del di cui regno
Tacconu Tacito che minò in Fidene un teatro ove davasi lo spet-
tacolo d'una pugna di gladiatori , nella qual i-uìna cinquantamila
persone restarono o morte o ferite . -Si può imaginare che non tut^a
>qQesu popolazione appartèìieise a Fi«£eAC, ma vi fosse ^oucorsa.a
vda Roma e dai circonvicini castelli .
<5 1^ Tit. I4ÌV. lib. i . Dion. d'Allear, lib. 3,
CAPITOLO PEIMD 73
tkro Re di Roma contrastò coi Toscani Tarquinio
Prisco. Cinque città etnische Chiusi ^ Boselle^ Voi- di R.
terra , Arezzo , Vetulonia si unirono coi Latini con-
tro i Romani : furono pia volte rotti i confederati
pia dal valore di Tarquinio che dalla forza nemi-
ca (Ò2) . Una fatale rivalità era ormai dichiarata
ira Romia e TEtruria: la crescente Roma già spa-
ventava i popoli confinanti: contro si pericoloso ne-
mico si unirono tutte le popolazioni etrusche e dopo
varie deliberazioni mossero improvvisamente un po-
tente esercito^ passarono il Tevere, e sorpresero, e
entrarono con artifizio in Fidene spargendo pel ter-
ritorio romauo il terrore e la desolazione • Non osò i5a
Tarquinio, colio alla sprovvista, escire per tutto Tan^
no in campagna^ In questo tempo prepararono i Ro-
mani due eserciti: col primo si mosse Tarquinio
contro di Veio, vi ruppe i nemici e ne dc^lò le
terre ; ma Collatino che guidava V altro esercito
tentando di ricuperar Fidene, piazza di tanta im-
portanza, fu dal presidio, ch'era stato rinforzato,
completamente battuto : ne segui per 1* altra parta
J'attacco de' Romani contro Cere ove trionfò Tar-
i]uioio : gli affetti pc^ò della sua vittoria ai ridussero
^lo alla devastazione della campagna , e a un grossp
bottino eh' era per lo più T esito di quelle gueri'e. Fu
più fortunato pe'Rooiani il seguente anno, fidene, ,5-
posto sì importante 19 pericoloso ai Qomaui richia-
mava la loro attenzione per ricuperarlo, e quella
degli Etruschi per sostenerlo: v'erano, forze potenti
di questi e dentro e fuori : vinti in campo aperto gli
JEtniscbi ai fece l'assedio di Fidene colla più grande
(53) Dionigi d'Allear, lib. 5,
^
74 LIBRO PRIMO
'ostinazione: alla fine espugnata^ furono gastigali
<j,E. colle verghe e la morte i ribelli^ l'etrusca guarni-
''^^ gione venduta schiava , le campagne fidenati divise
tra i soldati che restaron padroni della città, espulsi
ì cittadini. Si radunava intanto un altro formidabile
esercito di Etruschi in Sabina per vendicar lafiron-
i5s to ricevuto: l'attivo Tarquinio, e prima che tutte
le popolazioni etrusche vi avessero mandato il loro
contingente, Passali presso Eteto (53), e ne riportò
1^9 la più completa vittoria , la quale tanto sbigotti
TEtrAria da costringerla a chieder supplice la pace
al vincitore. I deputati per placare e persuader
Tarquinio,gli rammentarono ch'ei traeva lorigine
da una etrusca città (54) : e quantunque esso par-
lasse loro col linguaggio imperioso che detta la vit-
tòria, fu stipulata la pace dopo nove anni di guer-
ra (55) , con una dependenza degli Etruschi dai
Romani più di nome che di fatti. Forse non si ri-
dusse che alTomaggio prestato al Re di Roma delle
divise di Sovrano che gì' inviarono , cioè la corona
d'oro , il trono d'avorio, lo scettro ec. ; divise che
adornarono il magnifico trionfo di Tarquinio . Per
pochi anni durò la pace : ai Sabini egualmente che
agli Etruschi importava il ricuperar Fidene : venne
perciò loro fatto d'indurre qualche popolazione
etrusca a prender Tarmi, e unirsi seco loro. Presso
a Fidene sotto il confluente dell'Aniene col Tevere
due eserciti di Sabini e di Etruschi si erano accam-
pati sulle due sponde di questo fiume, comunicando
fra loro per un ponte di barche. Tarquinio usò
(f>3) Monte rotondo.
(f»4) Tarquene.
(.^j) Dionig. d*Alicar. lib. 3.
CAPITOLO PRIMO 75
r arie per separarli : mandò nella nolle dei battelli
carichi dì combustibili accesi a seconda delTacqua, ,ì,r.
altri De fece condur contr' acqua, che ajutaLi da '^
un vento impetuoso^ giunsero al ponte e l'arsero:
culti iu questa confusione dai Romani i due se-
parati eserciti furono interamente sconfìtti (^6).
Qualche altro tentativo contro i Romani fecero
nei seguenti tempi gli £truscbi specialmente sot- «<)7
to Servio Tulio ; ma sempre avutane la peggio, ujB
ni composero con lui come aveano fatto con Tar- nj^j
quinioy riconoscendo una supremazia che poi non
aveva realmente luogo. Dagli esposti racconti si
vede, che si combatteva in questi temp^con rozza
tattica, che Ja guerra si riduceva a depredazioni di
campagne, che Tarte di prender le piazze era sco<
nosciuta, e che una gran battaglia guadagnata non
produceva acquisto di città, di castella, e di rado
lo produceva di territorio: restavano i vinti solo
umiliati per qualche tempo, e tornavano poi alle
ostilità con nuovo vigore. Dopo tante vittorie in
tanti anni suH'Etruria, restavano i Romani nei
loro antichi confini ristretti sempre dal Tevere; e
i Veienti tante volte vinti, non distanti piìi di do-
dici miglia da Roma, restavano sempre gli stessi
poteati e formidabili nemici .
Intanto si fece in Roma la celebre rivoluzione ^44
per cui si abolì la monarchia. Le insofiribili tiran-
nie di Tarquinio superbo, gl'insulti commessi dalla
sua famìglia contro il popolo, e finalmente il diso-
norevole attentato di Sesto contro Lucrezia, e la
magnanima azione di questa illustre donna , che
(56) Dionig. «FAlicar. lib. 3. Tit. Liv. lib. 1.
76 LIBRO PRIMO
-dopo avere svelata l'infame violenza al marito ^ e
di R. ai parenti ebbe il coraggio d' immergerai un ferro
^^^ nel seno^ eccitarono la giusta indignazione dei Ro-
mani a sollevarsi ed a cacciare il tiranno. Lucio
Giunio , a cui V affettata stolidezza sotto il regna
di Tarquinio^ quando ^accortezza e il talento era-
no delitti y gvea fatto dare il dispregevole nome di
Bruto f nome che divenne poi si celebre, fu pri-
ina rio attore di questa tragedia, {espulsa la domi-*
nante famiglia, Romia si costituì in repubblica:
l'esule Tarquinio, vagabondoe supplice per le città
d'Etruria mostrando il tristo spettacolo della sua
perduta gjraudezza, eccitò facilmente la pietà di
quei popoli; la simpatia e l'onta della regia mae-
stà a^vviiita mosse in favore di Tarquinio l'animo
e le forze di Porsena, uno dei più celebri Re degli
Etruschi che regnava in Chiusi e forse dominava il
resto della Toscana, Anche le considerazioni politi-
che oltre la pietà animarono Porsena ^ soccorrer
Tarquinio; giacché l'esenUpio poteva divenir con-
tagioso e formidabile al regio potere: si diede per-
ciò a fare i preparativi per la guerra, che non era-
no stati mai si grandi ^è si bea .concertati. Int^nio
i Tarquini impazienti di dilazioc^e avendo già per-
suase à prender l'armi due popolazioni etrusche, i
rò y.eienti antichi nemici di Roma e i Tarquinesi , ai
quali pareva di aver ricevuto un particolare affronto
|)er respulsix)ne di un Be loro concittadino, senza
aspettar le congiunte armi d*£truria, (adunato un
sufficiente e^rcito si mossero contro Roma. Usci-
rono ad essi incontro i Romani, ed ebbe luogo una
sanguinosa ed indecisa battaglia, memorabile solo
per la morte del console Bruto e di Aronte figlio di
GAPILOLO PRIMO 77
TarquìniOi Bruto eoo una parte dello cavalleria pre-'
cedeva l'esercito; Aronte 6glio di Tarquinio (iondii- dìR?
ceva ancor esso una vanguardia di cavalleria. Ricono- ^
<ciotisi^ e animati da scambievole odio^ intenti più
a ferirsi che a difendersi ^ si trafissero al primo col-
po: si azzuffarono poi i due eserciti; l'ala sinistra
ov' erano i Veienti soliti a cedere ai Romani fu vin-
ta , ma la destra composta di Tarquinesi fu vinci-
trice {5y). Intanto Porsena^ radunate le forze del-
l'intiera Etruria^ venne contro Roma /Si è notato
cbe pia volte i Romani aveano vinti gli Etruschi^ ^145
ma in quest* occasione furono più volte soccombenti
0 indeboliti dalla partenza dei realisti^ o dallo scon««
certo che produce la novità del governo, o che
FEtruria meglio regolata che avanti, riunitrin un
volere e in uno sforzo unanime , guidata da un va*
loroso e saggio Re come Porsena combattesse con
insolito valore. E veramente due volte furono vinti
i Romani: l'unico antemurale di Roma era il monte
Granicolo da essa separato dal Tevere e difeso da
molta truppa ; Porsena l'investi con tal arte e vigore
cbe se ne rese padrone: i Romani abbandonatolo si
rib'rarono verso il ponte Sublicio: i Consoli rinco*
rando i fuggitivi condussero l'esercito al di là del
ponte contro Porsena . Mamilio con una schiera di
Latini si era unito ai Toscani ed ebbe il comando
deir ala destra : i Tarquini con tutti i forusciti Ro-
mani e loro aderenti ebbero quello delb sinistra ,
il centro era comandato da Porsena col fiore dei
Toscani . Per la parte dei Romani Spurio Larzio e
Tito Erminio erano incontro ai Tarquinj; nell'ai-
(57) tiìv. Itb. 3. Dionigi d'Aiìcwrn. 1. 5.
s.
78 LIBRO PRIMO
'Ira ula Marco Valerio e Tito Lucrezio si trotavatio
diK* a fronte di Mamilio: i consoli Poplicola e il suo col-
***^ lega nel centro. Dopo i più ostinati sforzi di valore
da ambe le partì, furono quasi a un tempo feriti
Valerio e Lucrezio y e costretti ad abbandonare il
campo. Sbigottita Tala sinistra dei domani comin-
ciò a piegare y indi a ritirarsi precipitosamente verso
il ponte; il resto dell'esercito segui presto il suo
esempio ) e una fuga universale strascinò confusa-
mente i Romani sul {x>Dte e verso Roma . In tanto
pericolo Orazio Coclite, Spurio Liirzio^ed Erminio
con qualche avanzo de'piìì intrepidi coprirono i fug-
gitivi, percliè più sicuramente potessero far la riti*
rata: ma finalmente soverchiaodo i nemici qua! tor-
rente, si ritirarono i tre guerrieri sul ponte atfron-
tando r impeto di tutto l' esercito, Orazio comanda
che si tagli alle sue spalle il ponte, e quando è
mezzo rutto e ostringe i due suoi compagni a porsi
in salvo, restando solo a fronte delle nemiche schie-
re, e girando intorno torvi gli sguardi con delti acer-
bi rampo^Mia la viilà degli Etruschi che scordati
della propria libertà vengano a combatter Taltrui.
La vergoi;na .'ini ma i nemici che gli corrono tutti
addosso; ma stette sempre saldo l'intrepido guer-
ricru benché malamente ferito in una coscia • diroc-
cato finalmente aitutto il ponte saltò nel Tevere, e
quantunque sfinito dalla fatica e combattuto dalla
vorticosa condente del fiume pwù rapido verso gli ar-
chi elei ponte, giunse a' suoi a salvamento, che ac-
cogliendolo con trionfali grida, e portandolo sulle
braccia gli cinsero il capo di una «corona, e gli eres-
sero in appresso nel Foro una statua di bronzo* Cosi
Orazio salvò Roma eudlo sIcmmk» tenapo destando
CAPITOLO PRIMO 79
ori'eraula virtù nei Romani insegnò loro di quali'
azioni Tuom forte è capace (58). Porseoa intanto diH?
iàtto passare il Tevere a una parte deir esercito^ e ^^^
stretta Roma da ogni parte, impediva V ingresso
de' viveri ; tuttavia ne giungevano pel Tevere • II
Console romano fece sparger voce che un grosso nu-
icero dì bestiame introdotto in Roma in fretta^ cui
mancava in quella città la pastura, si sarebbe gui-
dato sotto buona scorta a pascer nei prati fuori della
porta Esquilina, luogo il più remoto da'nemici.
Avendo questi creduto alla falsa nuova mandarono
spgreta mente un forte distaccamento per dissipar
la scorta e impadronirsi del bestiame: ma da varie
parti sboccando iraprovisameojte i Romani , cbe
avevano atteso gli Etruschi a questo agnato^ ne ta-
gliarono a pezzi circa a cinque mila.
La fame però avrebbe ottenuto finalmente quel
cbe non poteva la forza , quando Muzio si deter-
minò a sacrificarsi per la patria, uccidendo il Re
degli Etruschi. La risoluta ferocia con cui venne
dd eseguire il colpo > il suo sbaglio, la fermezza
con cui tenne la mano sulle fiamme finché fosse
consunta, son note abbastanza negF istorici e nei
poeti (59). Ma non dee passare senza la debita lode
il geoeroso animo del Re Etrusco, il quale invece
d'irritarsi contro a chi avea attentato alla sua vita,
ammirò il coraggio di Muzio, T amore verso la
patria , e fu capace di perdonargli (60). A tante
(58) Dion. d'Alicar. lib. 5. Tit. Liv. lib. a.
(Sq) y ha chi ha trattato dì favola qaesto avvenimento :
ma se non si ha fede a Tito Livio , e a Dionigi d'Alicamas-
so. Don importerà più scrìver 1* istoria Romana de primi tempi ;
Ycdi Dissert. sur V incertitude des premiere siede s de Rome,
chap. 3.
(5o) Tit. Liv. lib. a. HHon. d'Alic lib. 5.
8o LIBRO PRIMO
prove del romano eroismo si scosse Porseoa a tegnay
di R. che r odio verso i Romani si converti in ammira-
^^ zione e in terrore^ avendogli Muzio asserito che se
la sua mano avea errato^ v'erano 3oo giovani Ro-
mani al par di lui risoluti , che avean giurato ten-
tare lo stesso colpo; per lo che considerando quan*
io pericoloso fosse Taver briga con siffatti nemici,
determinò di accomodarsi e far seco loro la pace*
Avendo perciò tentato invano più volte di riconci-'
liarli con Tarquiuio, abbandonò alla sua sorte il
disgraziato amico e si compose coi Romani . Vera-
mente egli dettò le condizioni di pace da vincitore,
tuttavia mostrò T animo generoso: giacche, dopo
aver voluto per ostaggi i figli delle persone più ri-
spettabili di Roma, nell'atto di partire restituì loro
la libertà, dicendo che si fidava all'onoratezza dei
Romani più che a^ qualunque altro pegno: con regia
munificenza lasciò ai nemici afflitti dalla fame^ i
copiosi magazzini di viveri del suo campo che ayea
sul Gianicolo. Ritornato Porsena alla sua reggia in
Chiusi, i Romani gli mandarono con solenne am-
basciata una sedia d' avorio con scettro e corona
d'oro e veste trionfale (6i). Si è veduto che quando
i vinti Toscani mandavano quelle insegne trionfali
ai Re di Roma prestavano loro un omaggio di di-
pendenza; può dedursi perciò che in questa guerra,
se si eccettui il punto principale dell'esilio de'Tar-*
quini, ch'era ciò che importava ai Romani, nel
resto questi rappresentarono la parte de vinti e
Porsena di vincitore: lo che si confermerebbe dav*'
vantaggio quando fosse stata vera l'onerosa coadi'»
(6i)Dion.d'Alic.lil>. S.
CAPITOLO PRIMO Si
«ione rammentata da Plinio che i Romani non po-
tessero far uso di ferro che nell'agricoltura (6a). drii!
Intanto una parte deir esercito di Porsena sotto la ^^^
condotta del di lui figlio Aronte si avanzò contro
gli Aricini e i Gumani comandati da Aristodemo:
essendo ucciso Aron te , gli Etruschi si diedero alla
foga e giunsero stanchi e feriti nelle campagne di
Roma ; ivi caritatevolmente accolti , trasportati in
città su de' carri ^ ebbero tuttavia necessaria assi-
stenza a segno ^ che una gran parte di loro pensò
cambiar patria e stabilirsi in Roma (63)^ ove diede
il nome ad una strada .
Pare che il sistema di un re saggio come Porse-
na fosse di restare in pace co' Romani^ e che alme-
no continuasse per tutta la sua vita^ giacché non
troviamo per molto tempo che la nazione etnisca
abbia preso parte contro Roma . Non la lasciavano
però iu pace le altre popolazioni confinanti , ì Sabi-
ni, gli Equi ed i Yolsci tenendola in una continua
scola di quell'arte che dovea diventare a tutti fa-
tale . Più volte quei popoli furono vinti , e s' insan-
guinarono le latine campagne con funeste stragi •
Ma più che le armi combatteva per loro in Roma
la discordia fra il Senato ed il popolo: più volte in-
terruppe i romani trionfi , e diede agio ai loro emuli
di ricomporsi e di tornare ad attaccargli con fresco
vigore. É vero che le turbolente agitazioni di Roma
furono assai differenti da quelle dell' altre repub-
bliche, le quali sono state macchiate tante volte
dal sangue dei più zelanti cittadini. Per molti an-
ni, e finché l'amor della patria gli tenne abbastan-
(63) Plin. lib. 34. cap. 1 4*
(63) Dion. d'Alic Ub. S.
8a LIBRO PRIMO
za uniti, fioche tutti teoderono allo stesso fine^ per
òiH. quanto la discordia imperversasse in Roma^ il Se-
'^^ nato f e il popolo si rispettarono a segno che fralle
grida tumultuose non le spade e Taste, ma le ra-
gioni e le leggi erano Tarmi con cui si combatteva^
ed ogni rissa di un popolo si sanguinario e feroce
nel campo si terminava al più con qualche colpo
di bastone o di pugna • Il popolo nelF ebrietà del
suo furore y piuttosto che por le mani addosso al Se-
nato, giunse a separarsi da lui ritirandosi da Roma
nel Monte Sacro, rispettando sempre queir adunan-
za come i suoi genitori benché troppo severi; ed è
nota la saviezza di Menenio che colla favoletta del
-ventre e delle membra potè placare e ricondurre in
Roma la plebe. Finalmente le dispute civili erano
per lo più terminate con una legge, mentre altrove
si finivano col sangue. Una virtuosa emulazione si
eccitava tra i due ordini per cui Correvano per lo
più a combattere con maggiore ardore i comuni
nemici. Di rado, pure qualche volta, avvenne che
le dissenzioni passarono dal Foro al campo milita-
re. Vedendo la plebe che T espediente più comune
del Senato per sedare i tumulti ed eludere le di-
mando del popolo, era di condurlo alla guerra,
talora ricusò di marciare, talora nel campo si lasciò
vincere o almeno non volle vincere per non dare
- 3^0 al Console che lo comandava Tenore del trionfo:
ciò era specialmente avvenuto combattendo contro
i Volsci ^ e i Vejenti sotto i consoli Quinto Fabio e
Lucio Valerio (64). Allora fu che gli Etruschi do-
po molti anni di pace pensarono a cambiar sistema
(64) Dion. d'Alicar. lib. 6. Tit. Liv. lib. %.
CAPITOLO PRIMO 83
credendo il tempo più opportano d' oppri roer Roma •
Si tenne una grand' assemblea deiriutiera nazione^ .iìr.
in cui fa deciso di sostenere col massimo vigore i ^^^
Vejenti^ che come la più vicina e potente popola-
zione avea ricominciato ad inquietare i Romani:
erano sicuri che gli Cqui^ i Sabini ed i Vobci^ ne-
mici perpetui di Roma, si sarebbero uniti seco loro.
S'incominciò la guerra nelle campagne di Vejo,
ove andavano lentamente adunandosi le truppe to-
scane : contro di queste si mosse il console Fabio ^
odioso al popolo, mentre l'altro di fazione popolare
si era portato contro gli Equi^ i quali non si mos-
sero , onde qua non vi fu da combattere • Non cosi
avvenne all'altro Console: s'incominciò la pugna:
erano i Romani vittoriosi e i nemici in scompiglio:
marciò la cavalleria per compir la vittoria : si ri-
guardavano i cavalieri come partitanti della nobil-
tày onde l'infanteria gli lasciò inviluppare dai ne-
mici, né valsero i comandi , né le più umili pre-
ghiere del console Fabio a farla accorrere in soc-
corso: restò pertanto assai maltrattata, e la vittoria
imperfetta. I sediziosi soldati, non contenti di aver
mancato al loro dovere, rovesciarono la colpa della
disgrazia sulla cavalleria e sul Comandante; anzi
nella notte abbandonarono il campo^ e come fug-
gitivi si ritirarono a Roma, spargendovi la desola-
zione, e lo spavento. Convenne a Fabio ritirarsi
precipitosamente, fortunato abbastanza che i Vejeo-
ti non ai accorgessero della partenza di si grossa
schiera, onde si contentarono di saccheggiare gli «73
aUxindonati accampamenti. Questo evento reso no-
\ to accrebbe sempre più negli Etruschi la speranza
; ài opprimer Roma. Da tutta l'Etruria numerosi
84 LIBRO PRIMO
corpi dì brave troppe corsero ad unirsi aotto Vejó,
diK. uè mancarono gli ausiliarj dell'altra parte del Te-
^7^ vere • Il vicino pericolo scosse finalmente i Ronàani;
e benché il tribuno Pontifizio rinnuovando le pre-
tensioni del popolo tentasse disturbare V arruola-
mento^ la prudenza del Senato, e il timore dei
vicini nemici resero numerosa la romana armata ,
inferiore però airetrusca. Era stato nominato con-
sole Marco Fabio , fratello del console poco accetto
dello scorso anno; ma la sua prudenza e valore
fecero risolvere il Senato a crearlo y a cui il popolo
diede per collega Gn. Manlio, detto per soprannome
Cincinnato • Di rado si son trovati generali in più
pericolose circostanze: dovean combattere contro ne-
mici tanto superiori di numero; né erano certi della
buona voglia de' suoi. Il fatale esempio dello scorso
anno obbligò i consoli a straordinaria cautela : coa-
dotti fuori i due eserciti, e accostatisi a Vejo, ac-
camparono in posti assai vantaggiosi, trincerandosi
con ogni diligenza, e risoluti di star sulle difese ,
cosa insolita ai Romani. Ne trionfavano gli Etru-
schi , e aggirandosi intorno colla cavalleria gli in-
sultavano colle parole, non accorgendosi che secon-
davano il disegno de^ consoli di destare il sopito
valore dei Romani ; gl'insulti furono moltiplicati a
segno che i soldati corsero al Pretorio domandando
battaglia : i consoli fingevano repugnarvi per ac-
crescerne Tardore: infatti le domande si converti-
vano in grida sediziose. Fabio che volea farne buon
uso intimò silenzio, fece ai soldati un eloquente e
artifizioso discorso , in cui rammentando di passag-
gio i disgraziati avvenimenti dell'anno scoéso, e
dicendo che i Romani quando volevano eraiio in-
CAPITOLO PRIMO 8?>
vincibili 9 finse di arrendersi ai loro desiderj terini-^
nando con quelle memorabili parole (65) che la diR.
morte fugge dai bravi, e perseguita i fuggitivi e i ^^^
codardi. Furono ricevute coi maggiori applausi le
parole di Fabio : allora Flaveolo, che pel suo valore
dal più basso rango s' era sollevato a quello d' uno
dei priroarj ufiziali, salito sopra un'eminenz^gn'dò
ai soldati che giurassero di non tornare a Roma se
non vincitori: fu £atto con liete grida il giuramento,
e marciarono pieni di ardire alla pugna. I diligen-
ti romani storici ci hanno dati tutti gF indicati det-
tagli 9 mentre del valore degli Etruschi siamo ob-
bligati a cercar le prove nelle memorie dei loro ne*
mici, disgrazia delle nazioni che non hanno storici;
ma egli è certo, che quantunque sorpresi dalla mu-
tazione di scena, e dal novello arder dei Romani,
andaron loro incontro con non minor coraggio e
valore. 11 console Manlio comandava Tala destra,
Qainto Fabio fratello del console la sinistra , jl
conaole Fabio il centro . Se si ha da credere agli
storici romani , gli Etruschi fecero Terrore di or-
dinarsi in terreno troppo angusto, in cui le file non
avevano bastante spazio da distendersi : la loro or-
dinanza era si stretta che appena aveva luogo da
agitar le braccia per lanciare i dardi, onde quei dei
Romani non cadevano mai a vuoto: Tala etrusca
opposta a Quinto distendendosi piiì in lungo stava
per inviluppare i Romani» Trasportato il Coman-
dante con alcuni de' più valorosi in mezzo ai nemici
è colpito nel petto da una lancia; se la trae, ma
cade da cavallo, e la sua ala resta inviluppata: in-
(65) Vedi Won* <i' Alic ant. rom 1.9.
86 LIBRO PRIMO
'tesolo il cònsole corre in soccorso accompagnato
dih. dall'altro fratello Gesone, eda unatmppa di arditi
*'^ soldati^ e rammenta ai fuggitivi il giuramento: si
rianimano alla sua voce^ riguadagnano il terreno
perduto: corrono a ricercar di Quinto, lo trovano
ancor vivo sotto un ammasso di cadaveri ; ma han-
no il dispiacere di vederlo spirare sui loro occhi •
Respinti da questa parte gli Etruschi, lo furono an*
cor nel centro; Tala destra dei Romani però era in
rotta : una ferita del console Manlio in un ginocchio
r obbligò a uscir dalla battaglia, e la nuova della
sua morte fece prender la fuga ai soldati : accorrono
ancor qua i Fabi, e respingono i nemici. Un corpo
di Vejenti era corso intanto ad espugnare gli allog-
giamenti romani : v'era appunto trasportato il fe-
rito Manlio, che scordato il dolore, ebbe cuore di
rimontare a cavallo e incoraggire i difensori. Oltre
i vivandieri e i servi si trovava a custodia una pic-
cola ma scelta banda di veterani: l'assalto diventa
furioso , il console cade coperto di nuove ferite , e
gli alloggiamenti son presi: l'avidità della preda
scomponendo gli ordini degli Etruschi che corsero
a rubare , salvò l'avanzo de'Romani che v'erano in
guardia • Il console Fabio è avvertito di questa nuova
disgrazia ; lascia d^ incalzare i nemici ; accorre qua
e trova gli alloggiamenti presi ; gli attacca ; e gli
Etruschi si difendono col vantaggio del sito* Siccio,
uno degli ufiziali romani, che ne conosceva il lato
più debole, dirige qua l'assalto, e nello stesso tem-
po per non animar colla disperazione il valor degli
Etruschi lascia libere le uscite: sopraffatti i Toscani
si ritirarono finalmente: Fabio avea lasciata la bat-
taglia indecisa, ritoma all'esercito, e compisce la
CAPITOLO PRIMO S;
TÌttoria . Gli Etruschi si ritirarono agli alloggiamenti'
ove non furono molestati : era incominciato Tattacco dìlft!
a mezzo giorno, la notte pose fine a un combattimen- ^^^
to dei più micidiali^ in cui ambe le partì furono più
volte e vinte e vincitrici: la ritirata che il giorno ap-
presso fecero gli Etruschi non lasciò in dubbio una
vittoria , il principale autore della quale fu univer-
salmente riconosciuto Fabio. Gli scrittori della roma-
na istoria, come si è veduto, non hanno lasciato di
rammentare i tratti di valore di quei repubblicani,
e passano sotto silenzio quei degli Etruschi , dei
quali non possiamo nominare nò i comandanti , né
gli ofiziali. Si preparava in Roma a Fabio un so-
lenne trionfo, che avea cosi ben meritato: ma ei
non credette dover mostrarsi in quella pompa per
una vittoria si sanguinosa, e il popolo lo vide en-
trare in Roma vestito a lutto col cadavere del fra-
tello Quinto, e del collega Manlio; e il rifiuto del
trionfo ( aggiunge lo storico ) fii più illustre d' ogni
trionfo (66). Che la vittoria dei Romani fosse più
di nome che di fatti può dedursi dal vedere le osti-
lità ricominciate quasi subito dai Vejenti; gli Equi
altresì insultavano i Romani. Innovi consoli Fabio
Cesone, e Virginio escirono in campagna, questo
contro i Vcjenti, quello contro gli Equi. Virginio si a;i
lasciò inviluppare, e ritirossi sopra un colle: ve lo
assediarono gli Etruschi; e se sollecitamente Taltro
console Fabio non fosse marciato in di lui soccorso,
(56) Omni actó triumpho, depositus triumpkus clariorfuit,
Uv. lib. 3.' Vedi per tutti questi avveuimeati il citato storico , e
DioiLd'AJicam. lib. 9.
88 LIBRO PRIMO
^'^^mancando di vettovaglie, avrebbe dovuto abbassar
dìR. le armi, e rendersi prigioniero (07).
^74 Gli Etruschi sostenendo la popolazione dei Ve-
jenti insultavano continuamente le campagne di
Roma: si pensava per frenare le loro scorrerie a
stabilir de' forti nella campagna di Roma, e munirli
3.5 di truppa.. Allora la famiglia de'Fabj numerosa di
3oo individui chiese al Senato di confidar loro la
difesa del paese: fu accettata la generosa offerta ^ e
gli accompagnarono circa a quattro mila fra amici
e clienti della famiglia. V'era alla testa quel Marco
Fabio che avea con tanta gloria combattuto contro
gli Etruschi: da lui guidata esci di Roma questa
piccola e valorosa schiera fra l'ammirazione e gli
applausi dei suoi concittadini: fissò la sua stazione
in un castello presso il fiume Cremerà (68) , e fab-
bricali varj forti e torri ad atte distanze, fu stabilita
una giudiziosa linea di difesa dalla quale ì Fabj
uscirono più volte contro i Vejenti che osavan de-
predar le campagne , e ritornarono sempre vittoriosi.
Intanto da tre parti gli Equi , i Volsci , i Vejenti
attaccarono i Romani : furono i Vejenti presto rotti
dal console Emilio e costretti ad implorar soUeci-
iamente la pace. Ottenuta che l'ebbero, tutto il
resto d'Etruria s'irritò contro Vejo, e obbligò questa
popolazione a romperla . Fecero servir di pretesto le
scorrerie de' Fabj, e pretesero che fossero obbligati
ad abbandonare la pericolosa stazione. Fu ricusato
(67) Liv. lib. 9. Dion. d'Alic. lìb. 9.
(63) Il fiume Gremeni chiamasi adetso la Yalca, o Varca;
rsce dal lago di Baccano e si getta nel Tevere 5 miglia lontano da
Roma. Mur. Ital. Ant.
CAPITOLO PRIMO 89
questo articolo y ed i Fabj proseguirono a tormen*'
tare i Vejenti con ostilità continue. Elsasperati co- uiH.
storo e vergognosi di trovarsi frenati da un pugno ^^
di gente , e^seguirono coU' insidie ciocché non ave-
vano potuto a forza aperta • I Fabj dalle reiterate 276
vittorie resi meno circospetti uscirono un giorno
disordinatamente a predar de' bestiami^ che lungo
il fiume a bello studio erano mandati dai Vejenti,
i quali in grandissimo numero stavano in aguato ,
donde uscirono improvvisamente contro i Fabj. 11
valore con cui resistettero eguaglia se non supera
la celebre resistenza dei Spartani alle Termopile y
o qualunque altra simile impresa. Dionigi d'AIicar*
nassoy che varia alquanto nella narrazione da Livio,
racconta che una parte sola de' Fabj ( come par
verisimile ) era escita dal castello a predare, che
colta in mezzo dagli Etruschi resistè bravamente;
che rotto il cerchio d' armati si ritirò combattendo
in un colle, onde col vantaggio rispinse piiì volte
i nemici che da ogni parte la cingevano : questi pe^
rò formarono alla piccola schiera una specie d'asse-
dio; in cui senza cibo si trattennero i Fabj per tutta
la seguente notte. I loro compagni all'apparii* del
giorno intesa la disgrazia, conoscendo che per la
lame sarebbero costretti ad arrendersi, lasciati pò-*
ehi in guardia del castello, si mossero per porger
loro soccorso o morire: fu questa piccolissima trup-
pa subito circondata da'nemici, e dopo lungo con-
trasto tagliata a pezzi. I loro compagni intanto chiu-
si per ogni parte sulla collina, estenuati dalla stan*
chezza e dalla fame, pure durarono a combattere
fino alla sera , inalzando cumuli di cadaveri con si
ostinato valore, che i nemici non osavano piij d'ac-
90 LIBRO PRIMO
^costarai 9 e perduta la terza parte dell'eaercito, stet-
cIi'k' tero sospesi alquanto, iodi mandati gli araldi , offri.
^7^' rono loro una sicura ritirata purché deponessero
Tarmi , e abbandonassero la fortezza , condizioni
rigettate subito da quelli animi generosi. Non osa-
ron per altro gli Etruschi di accostarsi , ma tenen-
doli sempre assediati lanciavano sopra di loro da
lungi pietre^ dardi ed altre armi missili. I Fabj^
benché quasi tutti feriti e pressoché disarmati, es*
sendo Tarmi loro rotte e spuntate^ scesi disperata-
mente dal colle , si avventarono a guisa di fiere
contro i nemici^ e strappando loro di mano le ar-
mi^ mantennero per qualche tempo una si dise*
guale contesa 9 finché tutti restaron morti sul cam«
pò: la rimanente piccola truppa restata in guardia
della fortezza si difese collo stesso valore, e stretta
dalla fame esci fuori col medesimo coraggio, e cad-
de colla stessa disperata bravura (69). Gli storici e
i poeti romani hanno celebrata a gara una si me-
morabile impresa, e se ne fece in Roma ogni anno
con festa lugubre una gloriosa commemorazione (7 o).
Il nuovo console Menenio affrettando la marcia sa-
rebbe probabilmente giunto in tempo per liberare
i Fab) : fu però creduto che non volesse per invidia
a quella famiglia. Gonfi della vittoria gli Etruschi
si mossero contro il Console. Se dee credersi ai ro-
mani storici, costui scelse una svantaggiosa posizio-
ne, ove fu rovesciato e costretto a ricovrarsi negli
alloggia menti , che attaccati dai vincitori dopo poco
contrasto furono espugnati . Ebbero i Romani ima
vergognosa rotta , i fuggitivi dovettero la vita alla
(69) Tìt. Liv. Lib. a. Dion. d*Alic. lib. 7.
(70) Ovid. fast. lib. 11.
CAPITOLO PRIMO gì
avidità dei vincitori che ai ferroarooo a depredar-
gli alloggiamenti: proieguirono però la yittoria ^ di R.
avanzandosi verso Ronia^ e trovando poca resistenza '7^
occuparono il Gianicolo (71)* £ra Roma nel più
grande sbigottimento e bloccata dal nemico: richia*
mò sollecitamente F altro coosole che combatteva
contro i Volsci ; venne , ed ebbero luogo due batta-
glie: la prima indecisa, la seconda presso la por*
ta Collina, dopo la quale gli Etruschi furono co- 377
stretti a rìtirarsi . Non pare però che la vittoria
dei Romani fosse di gran momento, giacché il cam-
pò degli Etruschi era sempre sul Gianicolo e for-
mava un blocco alla città per cui vi si penuria va
di viveri . Oltre la numerosa popolazione solita ,
cooveniva nutrire una gran turba di persone di
campagna accorsevi: crescendo questo disastro, i
consoli non videro altro espediente che di condurre
gli afiàmati soldati contro il nemico. La battaglia
fu ostinata e lunga , essendo or questi or quelli più
volte e vinti e vincitori :' finalmente la vittoria si
dichiarò pei Romani , ritirandosi ndla notte gli
Etruschi tacitamente verso Ve)o. Il numero dei
oQorti e feriti fti si grande anche dalla parte dei
Romani, che i Consoli Virginio e Servi Ho ricusarono
il trionfo (73).
Le reciproche perdite tennero i due popoli al- 378
qoanto quieti. Gli Etruschi però legati coi Sabini
ai preparavano ad assediar di nuovo Roma : i loro
eserciti erano separati e non anche bene adunati
aul territorio di Vejo. 11 console Valerio con straor-
dinaria celerità sorprese i Sabini e gli i>uppe, e
(71) Tic liv. Ub. 9. I>loii.<d*A.licam. lib. 9.
(73) Lìv* e Dion. loc cit.
y 93 LIBRO PRIMO
'spintosi senza tardare contro gli Etroschi ^ sconfisse
di A. ancor questi per modo che dispersi si refugiarooo
^^^ parte a Vejo , parte nei vicini colli. Tante reiterate
perdite costrinsero i Vejenti a domandar la pace^ e
collo sborso delle spese della guerra ottennero una
tregua di 40 anni . Per quasi tutto questo tempo non
presero parte le popolazioni etnische nelle conti-
nuate guerre che si fiscero daiSabini , dagli Equi >
dai Volsci ai Romani • Si esercitavano questi in una
formidabile scuola ^ mentre Tozio^ ed il lusso am-
mollivano i Toscani • Dopo sì lunga pace 1^ ribel-
lione di Fidene, colonia dei Romani, pose di nuovo
3i^ le armi in mano agli Etruschi. Erano stati man-
dati quattro ambasciatori a Fidene per richiamarla
al suo dovere : vi si trovava Tolunnio Re , o Larte
dei Toscani , per di cui ordine o vero, o equivoco
furono trucidati gli ambasciatori (73). È facile il
comprendere di quanto sdegno si accendessero i
Romani a questo affronto, e quanto sollecitamente
corressero a vendicarlo. 'Ai Fidenati si erano uniti
i Falisci e i Vejenti comandati da Tolunnio. I Ro-
mani, dopo un piccolo vantaggio riportato non sen-
za sangue, crearono Dittatore (come solea farsi
ne' casi pericolosi) Ma merco Emilio, che uscì contro
i nemici situati presso le mura di Fidene ; si at-
taccò in una furiosa battaglia in mezzo alla quale
Cornelio Cosso tribuno dei soldati, giovine am-
mirabile non meno per belleRza di corpo che per
fortezza di animo, vedendo Tolunnio che abbigliato
(73} Si racconta che i Fidenati Io consultarono nel tempo
ch'ei giocava ai dadi, e ch'egli intento al gioco disse uccide^
eh' era una parola tennica ed allusiva al gioco, e che fu interpe-
trata per un ordine di uccidere gU»iimbasciatorì • Tit. Liv. Ub. 4*
Valer. Mass. lib. 9. e 9.
/"
CAPITOLO PRIMO 93
de' reali ornamenti combatteva vigorosamente con-"
tro i Romani, se gli scagliò addosso, chiamandolo di a!
violatore dei sacri patti e diritti delle genti, e gri» *'^
dando altamente che offriva questa vittima all'om-
bre dei traditi Legati • Al primo colpo di lancia gettò
Tolunnio da cavallo; e mentre rialzato tentava rin-
noovare la pugna, l'uccise. Becisagli la testa. Cos-
so la fisse in un' asta , e questo spettacolo coster-
Baado gli Etruschi compi la rotta (74) • Tornato
r esercito vincitore a Roma , Cosso consacrò nel
tempio di Giove Feretrio le spoglie di Tolunnio
dette opime y che furono le seconde dopo quelle
consacrate da Romolo (^5) • Dopo qualche altra
azione, cinta Fideue d'assedio, i Romani se ne ini- 319
padronirono con uno stratagemma che comune in
quei tempi non lascia d' eccitar la meraviglia per
la difficoltà dell'esecuzione. Una mina sotterranea
fi] condotta fino sotto la città nella parte ove meno
potevano temere i cittadini: dato l'assalto dalla
parte opposta ove tutti accorsero i difensori, impro-
visamente esciti per la mina i nemici , la città ne
fu piena, ed ebbe Fidene il meritato gastigo. Sif-
fatti avvenimenti sbigottirono a segno i Vejenti e i
Falisci, che tentarono eccitare tutte le altre popo-
lazioni etrusche ad unirsi contro i Romani, ma non
venne loro fatto d'indurcele. Assai di mal animo i
Fidenati obbedivano ai Romani: non osando essi soli
scuotere il giogo, persuasero i Yejenti a muoversi ,
(74) Tit. Liy. lib. 4- ^^1* Mtts^ lib. 3. cap. a.
(75) Romolo avendo di sua mano ucciso ^ e spogliato il duce
dei GÓiinesi istituì quest'uso per dare maggior lustro all' azione ,
come nota Tito Idv. lib. i. „ Ipse cwnfactis vir magnificus, tum
fadorum ostentator haud minor spolia ducis hostium caesi sus-
pensa gerens in CapitoUum ascemdit ».
94 LIBRO. PRIMO
-raiBpeodo una tregua di amii otto che dai Romani
di^R. avevano ottenuta : onde quelli , prima dello spirar
^'^ della tregua 9 depredarono il territorio romano.
3i6 Quantunque la Dieta etrusca non avesse acconsen-
tito a muover Farmi unitamente contro Roma , avea
incoraggìto i particolari ad aiutare i Vejenti; e la
speranza della preda avea fatto ingrossarne Teserei-
to: i Romani, per civili puntigli fra il popolo e il
317 Senato, invece dei due consoli elessero quattro tri-
buni militari : erano veramente dei più celebri guer-
rieri, ma il comando militare vuol esser di un solo:
la moltiplicità dei capi produsse la contradizione
degli ordini, e la confusione; e i Romani furono
sconfitti (76). I Fidenati preso animo da questa
vittoria si sollevarono ^ e trucidati barbaramente
tutti i Romani che si trovavano in Fidene, si uni-
rono ai nemici di Roma; i Vejenti passato il Tevere
si accamparono non lungi da Fidene, Si trovava
Roma in gran sconcerto e spavento, e come usa vasi
nei tempi pericolosi era stato creato dittatore Ma-
merco Emilio. Esso attaccò con successo i Vejenti^
né valse il puerile stratagemma dei Fidenati , che
nel tempo della zuffa escìrono dalla città abbigliati
da Furie agitando delle faci accese : furono i Vejenti
presi in mezzo dai Romani^ pochi scamparono la
morte o la servitù; i Fidenati fuggendo nella città
vi furono perseguitati dai Romani che vi entrarono
misti ai fuggitivi , e fu ripresa e saccheggiata Fide-
ne (77) . I Vejenti umiliati domandarono la pace, e
fu loro accordata tregua per\ao anni. Duravano ad
osservar queste tregue i vinti nemici dei Romani ,
(96) Tit Liv. lib. 4.
(^7) Tit. Liv. lib. 4* Fior. cap. la. e i3.
CAPITOLO PRIMO gS
finché durava fresca la memoria delle percosse ri-'
cevute, pcà svaniva insensibilmente il timore ^ ^di°R^
ritornava T audacia. Non era ancor terminata la 346
tr^ua^ che i Vejenti tornarono a molestar le cam-
pagne romane^e a darvi il guasto: ne chiese Roma
soddisfazione : sul principio si scusarono modesta-
mente i Yejenti^ afflitti da dissenzioni domestiche,
ma rinnovate l'anno appresso le istanze, presero il
tuono insolente minacciando ai romani ambascia-
tori la sorte di quelli di Fidene. Più non vi volle 3^^
perchè i feroci animi de' Romani non solo dichia-
rassero a quelli la guerra y ma si determinassero a
dbtruggere la città (78). Era essa, come s'è notato
altrove, posta sopra una rupe forte pel sito , e pel
valore de' such abitanti non inferiori in numero ai
Romani , e Dionigi d'Àlicamasso , come abbiamo già
notato , la paragona nella grandezza ad Atenei Sic-
come le guerre fatte finora a quel popolo rassem-
bravano più a scorrerie che a operazioni regolari,
stabilirono d'assediar Vejo nelle forme, stringerla
da ogni parte ^ e piantarvi i quartieri da inverno ,
cosa insolita fin allora alla romana milizia. Questa
novità incontrò delle contradizioni e delle querele,
ma vinse finalmente Tedio contro i Vejenti (79). Si 35o
prepararono questi con tutto l'impegno alla difesa,
e perchè gli animi fossero più uniti in occasione in
cui appunto si ricerca una cieca obbedienza^ eles-
sero un Re di cui è ignoto il nome : ciò dispiacque
air altre popolazioni d'£truria per V odio contro la
persona eletta, e fu perciò risoluto di non dar loro
soccorso (86).
(7S) TiU LiT. lib. 4. (80) Tit. Liv. lib. 4.
(79} Piotar. vtU di Caium.
/
96 LIBRO PRIMO
. L' assedio cominciato sotto il comando dei mili-
di R. tari tribuni armati di potestà consolare soffri pre-
^ sto una disgrazia. I Vejenti, esciti ìraprovisamente
di notte, incendiarono le macchine^ e ruinarono i
lavori fatti. Questo scorno ricevuto dalFarmi ro-
mane invece di diminuire infiammò il coraggio
della gioventù, che corse in folla a vendicarlo: si
ristabilirono i lavori, e con più vigore si spinse avanti
l'assedio. Quantunque nel general Concilio degli
Etruschi fosse convenuto di non dare soccorso ai
Vejenti j pure i Falisci e i Gapenati (8 1 ), preveden-
do che alla ruina de' Vejenti sarebbe succeduta la
loro, come più prossimi , radunate numerose truppe
attaccarono improvisamente una parte delF eser-
cito romano, quella cioè comandata dal tribuno
3^1 Sergio: fatta i Vejenti nello stesso tempo una sor*
tita , questa parte del romano esercito fu rotta e
posta in fuga, e si ricoverò nel campo dell'altro
tribuno Virginio, che per un mal inteso puntiglio
non lo avea soccorso. Furono i due Tribuni con-
dannati ad una pena pecuniaria (82). Riparato pre-
sto il danno seguitavano i Romani a stringer Vejo.
Non si può abbastanza ammirare la supina indolen-
za di tutte le popolazioni etrusche , le quali eccetto
35:2 i Falisci e i Gapenati, abbandonavano al suo fato
il più forte baluardo d'Etruria , espugnato il quale
era agevol cosa il prevedere che i Romani sareb-
bero penetrati nel cuore di quella provincia. Forse
furono distratti da qualche altra «guerra non ben
nota, o ne furono impediti dalla tiainaccia di un'in*
3S3 vasione di Galli, che da gran tempo passate le alpi
(81) Popoli abitatori del paese tra Fiano e Ciyìtella •
(Sa) Tit. LÌY. lib. 5.
K
CAPITOLO PRIMO 97
Occupavano le piaoure di Lombardia . Altri com-
battimenti frattanto ebbero luogo presso l'assediata aìR.
città. Tentarono nuovamente iCapenati e i Falisci ^^^
di minare i lavori , ma furono con gran strage 354
respinti •
Intanto troviamo un fenomeno che può esercii 3S5
tare le congetture de' fisici niodemi y e che occupò
seriamente i guerrieri ^ e i legislatori di Roma e di
Vejo, come se da esso dipendesse T esito della guer-
ra • 11 Iago Albano , senza pioggia o causa alcuna
apparente^ anzi in stagione aridissima^ crebbe ad
una straordinaria altezza , e poi versò le acque fuori
del bacino , le quali si fecero strada al mare. Un
vecchio etrusco profetizzò che i Romani non espu-
gnerebbero Vejo, se non avessero derivate quel-
l'acque non in mare^ ma diffuse nell'adiacenti
campagne. Il Senato di Roma per confermare o scre-
ditare siffatta profezia spedi a consultare l'Oracolo
di Delfo: i sacerdoti fecero confermare ad Apollo
il presagio del vecchio etrusco : il Dio aggiunse
( ciocché di rado ometteva ) che espugnata Yejo , i
Romani mandassero un ricco dono al suo tempio, ^^o
Questo avvenimento interessa il naturalista e il po-
litico: per comprendere l' enorme quantità di acqua
ch'era necessaria a produr quell'effetto, fa d'uopo
conoscerne l'estensione. Il lago Albano , detto oggi
di Castello (SS), è situato presso il celebre monte
Albano; ha la forma quasi ovale che comprende
circa otto miglia di circuito ; l' ineguale margine
del cratère è formato da rupi e colli di varia altez-
za; la maggiore giunge a piedi 4^0 dalla superficie
(83) Ha questo nome da Castel Gandolfo già fabbricato da
Gaodolib Sacelli, ora Villa Papale.
TottM L 7
^
98 LIBRO PRIMO
'-dei Jago, la minore a ^g2 (84) : questo ^ come del
diR. vicino di Nemi e di tanti altri laghi, è stato era*
'^ tère di un vulcano, e vi se ne riconoscono ancora
chiaramente i segni (85) . Pare che nasca da censi*
derabili sorgenti sotterranee , come congetturò il
Kirker, vedendo sempre trasportato lateralmente
il piombo con cui volle scandagliarne il fondo , e
forse v^ è ancora una comunicazione occulta col
prossimo lago di Nemi . Convien credere che le sot-
terranee vie, che scaricavano altrove le acque del
lago in quel tempo, si fossero ostrutte, e perciò un
corpo cosi grande di acque vi s' accumulasse da
superare la descritta altezza (86). I devoti Romani
obbedirono air Oracolo, fabbricarono un grande
emissario ancor visibile , e che non par nato nei tem-
pi di Roma povera , e il di cui dominio si estendeva
a poche miglia di territorio, ma in quelli in cui
dava leggi al mondo (87). L'emissario va adesso
all'acque silvie, e di là verso il Tevere (88): altri
naturali emissarj , più antichi probabilmente deirar-
tifiziale, formano le acque crabre e ferentine. Il
bizzarro comando del toscano Aruspice e dell'Ora-
colo fu probabilmente dettato dai legislatori di Ro-
ma , i quali occupati o nella guerra o nel!' agricoi-
(84) Kirker presso il Volpi, Latium'Vetus .
(85) Lapi, lez. accad. solrorigine de* due laghi.
(86) Non mancano esempj di siffatti fenomeni. Nell'isola di
Cberso ed Asero situato fra l'Istria e la Dalmazia, celebre per
le frequentissime ossa umane imjiKetrite che vi si trovano > è un
Iago che senza manifesta causa spesso gonfia , esce dal suo letto, e
poi vi ritorna •
(87) Se ne può veder la descrizione nell* opera Vulpìi^ Latium.
petus: questo stupendo canale 5cavato nelle viscere del monte
Sercorre sotterra circa a i5oo piedi, e in qualche parte è formato
i grosse pietre quadrato .
(d8)Vulp. Lat. vet.
CAPITOLO PRIMO 99
tara ^ conobbero di quant' utilità sarebbe stato V ir-^
rigare a piacimento le campagne poste fra il lago e dìR.
il Tevere piuttostochè le marittime^ e per esser più '^
focalmente obbediti fecero comandarlo dair Ora-
colo (89). Obbedirono i Romani, ma non lasciarono
di rinforzar validamente le truppe. Nelle contese
civili erano invece de'Consoli stati scelti i Tribuni
militari, e questi talvolta tratti dair ordine plebeo.
La Dieta degli Etruschi nuovamente adunata, ben-
ché ricusasse di dichiarar la guerra a Roma solen-
nemente, incoraggi varie popolazioni a soccorrer
Vejo. S'avanzò pertanto un corpo volontario di ^7
Etnischi. La temerità di due Tribuni militari li
portò incautamente in un'imboscata ove furono mal-
conce le loro truppe . Genuzio uno dei tribuni restò
morto, Atiniosi salvò sopra un'eminenza colPavan-
Eo dei suoi. A queste nuove lo spavento fu grande
in Roma : si ricorse a un Dittatore, e fu scelto
Gammillo il quale creò suo luogotenente Cornelio
Scipione . Il nome del Dittatore sparse nuovo corag*
gio nelle truppe. Dopo aver disfatti intieramente i
Falisci e i Gapenati ausiliari de' Vejenti, si pose a
stringer la città col piiì gran vigore; ma convien
dire che disperasse di prenderla colla forza aperta,
giacché ricorse ad una sotterranea mina : questa
occulta strada dovea condurre dentro la rocca di
Yejo. L'opera era grande, lunga, e d'ardua esecu-
zione, se si consideri la difficoltà di condurre la sot-
terranea via occultamente appunto sotto alla roc-
(89) Cicerone parlando di qaesl' avvenimento conferma la
./Jftra congettura : Ita aqua albana deducta €ul sttilitatem
<un suburSàni non ad acrem urbemque retincndam • Gic d«
Difinat
loo LIBRO PRIMO
.^ca (90); ma noi abbiamo negli avanzi dell'antiche
di R. fabbriche esemp) luminosi di quanto potesse senza
^ la finezza moderna > la rozza arte diretta dal bvon
senso naturale 9 e la perseveranza animata dall'en-
tusiasmo ; e un fresco esempio si è mostrato nello
stupendo emissario del lago Albano. Si spinse in-
nanzi con celerità la mina^ non fu interrotto il la*
verone notte né giorno, cambiandosi ogni sei ore i
minatori: quando fu compita, Gammillo era tanto
sicuro della vittoria , che dimandò le istruzioni a
Roma sulla preda che si farebbe • Realmente ad un
segno dato , i soldati Romani eh' erano stati per
molti giorni tranquilli, corsero improvvisamente da
ogni lato ad assalir la città • Mentre i Ve)enti, per
resistere a si furioso assalto, s'erano radunati tutti
sulle mura alla difesa , quella banda di scelti e riso-
luti soldati , che per la sotterranea strada era pene-
trata sotto la città, esci improvvisamente nella for-
tezza , donde correndo sugli attoniti Vejenti, prima
che avesser tempo di ricomporsi dallo sbigottimento,
apersero le porte, e introdotti i compagni, si compi
dopo dieci anni di continuata guerra la conquista
d' una città, che avea tanto resistito a Roma, e ne
aveva emulata la potenza . Cessò la strage col primo
impeto: i cittadini liberi furono condotti a Roma e
venduti schiavi, restando solitaria la città colla mag-
gior parte delle fabbriche in piedi . I superstiziosi
soldati, dopo essersi caricati di preda profana, pen-
sarono ancora ad arricchir la patria di preda sacra ^
delle Imagini miracolose di Vejo, e in specie del
(ì
(90) Cosi la cbiama Tìu Liv. lib. 5. Operum fuit omnium
longe maximum ac lahoriosistimum , cuniculus in arcem hostium
agi caeptus.
CAPITOLO PRIMO loi
àmolacro di Giunone; ma siccome pareva loro una
specie di sacrilega inciviltà il far cangiar paese ad (H a.
una Dea senza il suo consenso^ fu da una sacra ^^'
deputazione interrogato il Simulacro s'era contento
di andare a Roma ; e la pia credulità , o la super-
stiziosa immaginazione dei circostanti vidde la Dea
col cenno della testa, e udì colla voce acconsentire
alla domanda (91).
Successe a quella di Veio la guerra coi Falisci , 359
che si prevedeva come T altra lunga ed ostinata.
Cammillo, allora tribuno militare^ comandava i
Romani , avea più volte rotti i nemici , e bloccava
la città alla lontana. Uà maestro di scuola , che con-
duceva al passeggio i fanciulli delle primarie fami-
glie de' Falisci ^ pensò di far fortuna con un tradi-
mento: condotti gl'innocenti fanciulli fra i nemici ,
gli presentò come prigionieri a Gammillo, dicendo
che gli consegnava Faleria y giacché gli dava in
mano i figli de'primarj cittadini. La virtù di Cam-
mìllo abborrendo un tal misfatto , rispose che i Ro-
mani non combattevano coi tradimenti e coli' età
imbelle y ma coli' armi contro i nemici armati; e
ondate le spalle al precettore y colle braccia legate
al tergo lo consegnò ai fanciulli, perchè percoten-
dolo colle verghe lo riconducessero a Faleria • Lo
^rano spettacolo scosse i Falisci: e la generosità
romana li vinse più che l'armi, onde mandarono
a Roma una deputazione sottomettendosi di buona 36c
Toglia a si virtuosi nemici (92). Le scorrerie dei
Yulsinj sul territorio romano produssero un' altra
piccola guerra, nella quale sentì quella popolazione
(gì) Tit. Lìt. lib. 5. j^luUr. vìt. di Gammtl.
C93) Tii. Liv. h 5.
ioa LIBRO PRIMO
. 'la vendetta de' Romani : forse si preparava loro mag-
ai R. gior ruina se non era il contrasto interrotto da av-
venimenti più grandi .
Un nemico più pericoloso minacciava TEtruria
e Roma. I Galli già da gran tempo abbandonato il
loro paese^ aveano occupate le pianure di Lombar-
dia^ e formata la Gallia Cisalpina. Si dice che quei
barbari fossero allettati dalla dolcezza e fertilità del
clima italiano , e specialmente dal vino, straniero
allora alle Gallie (93). L'impazienza della quiete
e l'avidità di predare tirò questi popoli in Etruria •
Chiusi^ principale città , si vide intorno un nume-
roso esercito di quei barbari: ricorse per ajuto ai
Romani, i quali divisi in questo tempo dalle civili
discordie, aveano esiliato l'unico uomo capace di
salvar Roma, Fulvio Cammillo vincitor dei Ve-
jenti : in sì pericolosa circostanza si mostrarono
egualmente deboli nel consiglio che nell'armi. lo-
sca vece di soccorrer vigorosamente i Toscani , man*
daron un'inutile ambasceria per disputare coi Galli
di dritto pubblico, e domandar loro le ragioni per
cui invadevano le terre altrui. È memorabile la loro
risposta: Brenno ridendo alla domanda, disse che
le occupavano con quel medesimo dritto con cui i
Romani aveano invase le terre de' loro confinanti ,
cioè col dritto dell'armi, e che tutto apparteneva
al più forte . La risposta sarà creduta degna di un
barbaro, ma eli' è schietta e sincera , ed à fondata
(93) TìU LÌY. 1. S. PlÌD. L 43. e. I. — La Oallia coperta da
boschi avea un clima assai più rigido del presente, onde non ri
poteva nascere e naturare l' uva . Anche ai tempi di Cesare il cli-
ma era sì freddo che vi si trovava il Rendeer animale che non può
vivere che tra i freddi e le nevi della Lapponia. Y. Buffon all'isto-
ria di quest' animale •
CAPITOLO PRIMO io3
sul principio che ha regolato sempre le azioui dei*
popoli y ad onta di tutti quei metafisici romanzi di^.^
chiamati trattati di dritto pubblico, che non son ^^
mai serviti né ad impedire una guerra, né a fare
una pace, e che solo ne' nostri politi tempi servono
a mentire con più decenza , ossia , dare una rispo- ^
sta meno schietta di quella di Brenno, velando con
ÌQg^^^^^ sofismi il vero, studiando a dare una ver» .
nice di giustizia alle più evidenti violenze con inge-
gnosi manifesti, accolti, o rigettati secondo il partito
di chi li legge (94) • Botta la conferenza , Fabio
d'ambasciatore fatto nemico, si mescolò in una sca-
ramuccia fra gli Etruschi e i Galli , ove di sua ma-
no uccise uno de' principali loro condottieri. Esaspe-
rati i Galli da sì manifesta violazione di fede, ab-
bandonarono Chiusi I e corsero a Roma, Son note
abbastanza nella romana istoria le vicende di tal
guerra, in cui parve che la Fortuna, volendo ven-
dicare l'ingratitudine dei fiomani contro Gammil*
lo , togliesse loro il senno e il valore. La confusione
con cai andarono a combattere i Galli, il disordi-
ne in cui erano le schiere quando gì' incontrarono
al fiume Allia (qS) , cagionarono una delle rotte
più luttuose e memorabili della romana storia •
Un terrore panico sorprese le reliquie dell'eser-
cito, che invece di ritirarsi a Roma, e difendendola
seppellirsi sotto le ruine della patria, si sbandarono
per la campagna 1 e gran parte si ritirò nell'abban-
(94) Tit. Liy. 1. 5. Fiat vita di Gamm.
(95) Allia f seeondo il Cluverìo , è un piccol fiume in Sabina
detto ora rio del 3fbsso distante un mifflio da Monterotoudo e 1 3
da Roma: Livio però lo pone a 1 1 miglia: l'Oistenio mette AUia
in S. Colomba e S. Giovanni di là da Marcigliano » e di qui conta
fino a Roma 1 1 miglia ,
io4 LIBRO PRIMO
. donata città di Vejo , laaciando Roma io balia dei
dìR. Demici. Si maravigliarono i barbari stessi della fa-
^ cilità della loro vittoria . e di trovar la città vuota
di abitatori > essendosi il resto fortificato nel Campi*
doglio. Finalmente fu serbata a Gammillo la gloria
di liberar la patria ingrata , e di salvarla dal diso-
nore di ricomprarsi a prezzo d'oro. Giungendo nel
momento in cui si pesava sulle bilance il prezzo di
Roma 9 ruppe il vergognoso contratto, sfidò i Galli
a nuova pugna entro di Roma » ove furono vinti e
posti in fuga colla stessa fiicilità cbe lo erano stati
i Romani al fiume Allia. Riunitisi in seguito alla
distanza d'otto miglia da Roma sulla via Gabinia ,
fecero una valorosa resistenza, ma furono tagliati a
pezzi intieramente, non vi restando chi riportasse
in Lombardia le nuove della disotta • In questa
guerra, come in molte occasioni, si scorge che la
salute di un pubblico e di un regno dipende spesso
da un sol uomo (96). La vittoria dei Romani liberò
altresì TEtruria da ogni pericola. L'abbandonata
città di Vejo fu sul punto di risorgere immortale ,
e le glorie del Lazio di esser trasfuse in Etruria .
Roma non esisteva più, il ferro e il fuoco de' Galli
avea tutto ruinato fuori che il Campidoglio: fu lun-
gamente dibattuto se si dovea' cangiare il sito della
città, e trasportare a Vejo la romana popolazione.
Gammillo vi si oppose, e salvò al Lazio l'onore dei
futuri trionfi.
d6'i Pare che questa vittoria empisse di nuovo vigore
i Romani, e di gelosia e terrore i Toscani, giacché
poco dopo troviamo quasi tutta l'Eltruria in armi
<9S) Tit. LtT. L 5. Pkt tìU dì GanuiL
CAPITOLO PRIMO io5
contro Roma . Fu dai Toscani attaccato Sutri , città ^^
alleata de'Romani; né potendo questi esser solleciti aia.
al soccorso (|uanto facea di mestiero, presa la città
a patti, tutti gli abitatori furono lasciati escire col
fido vestita indosso. Questa esule miserabil plebe
fi'iocoDtrò nell'esercito romano comandato da Cam^
millo^ che veniva in soccorso. Confortatala a star
di booQ animo y si avanzò tacitamente a Sutri , ove
i vincitori insolenti non si aspettavano siffatto as-
laho, essendo le porte aperte senza guardia. Sor-
presi dall'improvviso assalto, furono agevolmente
viati: si perdonò a chi depose le armi y e si restituì
la città ai suoi abitatori, perduta e riacquistata lo
stesso giorno.
Noi ci accorgiamo quanto poco dilettevole debba 395
«saere ai lettori un continuo racconto di fatti mici^
4Ìialiy che si rassomigliano tanto, non diversificanti
da alcuno di quelli avvenimenti civili e istruttivi
che poogono sotto degli occhi il genio, i costumi
d'una nazione e le rivoluzioni del suo interiore go*
Terno; onde lasciando da parte molte altre di qué*
ste guerriere imprese dettagliatamente riferite nei
foniani annali, ci affretteremo a quelle più decisive
cberuiuarono finalmente, e posero l'Etruria sotto
il giflga di Roma . In mezzo a siffatti racconti ci si
presenta una riflessione che mostra se non 1' uma*
&ità almeno la buona fede di questi guerrieri. Di
rado si faceva tra gli Etruschi e ì Romani una sta-
bile jpace, ma lunghe tregue di 20 di 3o e 40 anni,
^pevano bene che l'asserìre^ e il giurarsi una sta-
llile pace era una politica menzogna che fu lasciata
Ai più politi nostri secoU. Dopo un'alterna serie di
fregne, di violazioni, e di molti piccoli fatti, rico-
/
I
T06 LIBRO PRIMO
itninciate le ostilità y \ Tarquinesi guadagnarono qual-
din! che vantaggio aopra i Romani^ ma disonorarono la
^^ vittoria colla crudeltà avendo trucidati più di 3cx>
prigionieri . I Romani non poterono subito vendi-
39; carsene distratti da altre guerre • Qualche tempo
dopo Fabio Ambusto marciò contro di loro che ai
erano uniti coi Falisci • Queste popolazioni usarono
un vano stratagemma 1 o un rito superstizioso, già
praticato anche dai Fidenati: si pose alla testa del-
r esercito un corpo decloro sacerdoti vestiti da Fu-
rie, tenendo degli artefatti serpenti in una mano^
neiraltra delle fiaccole accese; Timproviso e strano
spettacolo colpì d'un momentaneo terrore i Roma-
ni, e stavano per ritirarsi; ma incoraggiti dal Con-
sole Fabio, dissiparono gli spettri e ruppero i ne-
mici (97). Questo non fu che il preludio di una più
sanguinosa azione che^ ebbe luogo lungo il Tevere
con un'oste assai numerosa di Etruschi, i quali fu-
rono disfatti colla perdita di sette mila uomini (98).
399 Due anni appresso, un corpo di Romani guidati da
Quinzio Penna ne attaccò un altro di Tarquinesi :
la battaglia fu sanguinosa e indecisa, ma gli adirati
Romani vendicarono crudeltà con crudeltà; avendo
fatto passare sotto le verghe e scurì de' littori molti
prigionieri: esempj abominevoli, e che possono istrui-
re quanto sieuo necessarj nella guerra gli scambie-
voli riguardi, e quelle leggi le quali vogliono che
debba finire la strage colla battaglia (99) . Avven-
nero nuove e nuove incursioni de' Tarquinesi , dei
Falisci ec. : ma sempre vinti , furono obbligati a do-
(97) Tit Lìv. L 7. Fior. L s. cap. 8.
(98) Liv. L 7.
(99) Liv. loc. cU.
CAPITOLO PRIMO 107
mandar la pace^ e ottennero una tregua dì anni 4o<
Anche il resto delFEtrurìa, probabilmente abbate hìR.
tata da tante percosse^ restò in una tranquillità che ^^*
altri forse chiamerà supina indolenza, mentre quella
feroce nazione che minacciava loro i ferri , diveniva
aempre più formidabile col continuo esercizio del-
farmi contro popolazioni potenti: onde nelle varie
guerre colle quali i Galli si avanzarono fino presso
Roma , non vi presero parte gli Etruschi. I Volsci,
i Sanniti , ed altre genti del paese detto Magna Gre*
eia 9 furono quasi continuamente alle mani con
Roma y la quale trionfò di tutte. E se più giudizio-
fiameiite avessero combinate le loro operazioni tutti
i di lei nemici, si può predire che sarebbe stato aU
la fine atterrato questo nascente colosso ; ma le ge-
losie ^ o i particolari interessi dividevano quei pò*
poh che caddero uno dopo Taltro sotto il giogo ro-
mano. L'Etruria, dopo essere stata quasi /^o anni
senza molestare i Romani, lasciando loro soggiogare
le popolazioni poste di là dal Tevere, cominciò ad
armarsi, e a minacciar quei conquistatori senza che
si sappia la causa di questa mutazione di sistema: 441
i preparativi erano formidabili ; onde questi pieni
di apprensione di una pericolosa guerra , nominaro*
00 dittatore Servi lio Longo; la tempesta si dissipò
di se stessa, e gli Etruschi non si mossero (1). Ma
neiranno appresso tutte le popolazioni d'Etrui-ia,
eccetto gli Aretini , si rivolsero nuovamente contro
Roma: cominciarono dair attacco di Sutri , colonia 443
de' Romani, e che era considerata come la porta
d'Etruria: vi corsero in ajutoi Romani comandati
(1) Tit Liv* L. 9. Fas. capii.
io8 LIBRO PRIMO
djil console Emilio. Gli Etruschi lungamente deli-
di r. berarono se convenisse tenersi sulla difesa, e andar
^^^ temporeggiando, o azzardare una decisiva battaglia:
vinse quest'ultimo partito: di rado si è combattuto
con tanta ostinazione (a) . Pare che la battaglia re-
stasse indecisa, e fosse sospesa dalla notte. Erano
dall'una e dair altra parte caduti i più valorosi: le
reliquie di ambedue gli eserciti ritiratesi agli allog-
giamenti si trovarono tanto indebolite da non poter
rinnovare le ostilità , onde ne segui una tacita tre-
gua. Il valore degli Etruschi in questa battaglia
mostrerebbe che il lungo riposo non avea indebolito
il loro militare coraggio , se non vi fosse qualche
relazione dalla quale rilevandosi che il Console eb-
be l'onore del trionfo, ne segue ch'egli fu decisiva-
mente vincitore. Nell'anno appresso tornarono gli
Etruschi all'attacco di Sntri con nuovo esercito. I
Romani guidati dal console Fabio andarono loro
incontro: si combattè con grandissima animosità:
gli Etruschi ebbero la peggio; grande fu la strage
colla perdita degli alloggiamenti; e gli avanzi si ri.
coverarono nel bosco e monte Cimino (3t) • Il sacro
orrore di questo bosco spaventava i Romani a segno
che crederono una profanazione l'entrarvi: i meno
superstiziosi temerono tuttavia d'arrischiarsi in un
paese incognito , ed era sempre presente alla loro
memoria la fatale avventura delle Forche Caudine
ove l'esercito romano fu dai Sanniti rinchiuso, e
445 fatto passare vergognosamente sotto il giogo. Quan-
(9)Liv. 1. 9. Nidlo unquam pmelio fugae mihus, aut plus
caedis.
3) Liv. L 9. U monte Cimino ora chiamasi la montagna di
Viterbo .
CAPITOLO PRIMO 109
do consideriamo che il bosco Cimino^ ossia di Vi-i
terbo, incuteva tanto timore a un popolo si valoro- ^^
aoyci si parano avanti varie riflessioni. Si perdona 44^
alla superstiziosa imaginazione il timore delle pò*
tenze invisibili, contro le quali non basta il co-
raggio dei più valorosi guerrieri^ se non è armato
dalla filosofia (4). Ma non possiamo fare a meno di
Dotare la maniera di far la guerra in quei tempi.
Pare che il coraggio e il valore della mano ne fa-
cessero il fondamento più che Tarte di campeggia-
re, 0 le regole della tattica . Un popolo guerriero
condotto da sperimentati capitani ignorava la situa*
xione della montagna di Viterbo a segno di non as-
(4) Tit. Lìv* L 9. così descrìve il bosco Gimiiio . Sjrlva erat
Cimina tunc irtvia atque horrenda, quam nuperfuere Germanici
*akiu, nulli ad eam diem ne mercatorum quidem adita ec. In
ogni temiM) ì boschi grandi e folti sono stati creduti soggiorno di
<palcbe Nome , e quanto l'oscurìt^ era maggiore tanto più grande
» referenza e il timore . La filosofia di Seneca non Io guardò da
questo pregiudizio, seppure non volle adornarlo coli' eloquenza e
quasi colla poetica imaginazione. Si libi occurrit vetustis arbori"
his et soUtam altitudinem egressisfrequens lucus, et cospectum
coeli densitaie ramorum submovens, iUa proceritas sjrlvae et se'
cretum loci, et admiratio umbrae in aperto tam densae atque
cantinuae,Jidem tibi numinis facit . Senec. ad Lue. epis. 4i • La
religione e il buon senso hanno disti'ulte tutte le Deità dei boschi .
n bosco del Tasso è un'imitazione del bosco di Lucano presso
Marnila, ma Cesare comparisce più grande di Gofiredo. Vedi
Phars. 1. 3. V. 399.
Lucus erat longo numquam violatus ab aevo ,
Obscurum cingens connexis aera ramis
Sedfortes tremuere manus , motique verenda
Majestate loci, si robora sacra ferirent 9
In sua credebant redituras membra secures .
Implicitas magno Caesar terrore cohortes
Ut vidit, primus raptam librare bipennem
Jusus , et aeriam ferro proscindere quercum ,
Effatur, merso violata in robora ferro :
lam ne quis vestrum dubitet prescindere sjlvam ,
Credile mefecisse nefas. Tunc paruit omnis
Imperiis, non sublato seciwa pavore
Turba , sed expensa Superorum, et Caesaris ira ,
Ito LIBRO PRIMO
-zardarsi ad entrarvi : e di Etruschi credevano di
di^. B^ere ìii questo bosco un baluardo insormontabile
443 contro i Romani. Stando così dubbioso il romano
esercito, Fabio fratello del console , perito nella
lingua etrusca, si o£frì di andare ad .esplorare il
terribil bosco: vi penetrò accompagnato da un ser-
vo, ambedue in abito di pastori: passato il bosco e
il monte, osservata la situazione del paese e la po-
polazione, arrivarono fino neir Umbria sempre sco-
nosciuti agli Etruschi per la facilità con cui parla-
vano Tetrusca lingua, ma (soggiunge Tito Livio)
specialmente per non sembrar possibile che alcuno
straniero avesse avuto il coraggio di entrare iu quel
formidabil busco (5). Giunse Fabio a Camerino, e
trovando quel popolo inclinato a favorire i Romani ^
si diede a conoscere: ritornato indi al campo sti-
molò il console a salire il monte e penetrar nel
cuor dell' Etruria . Fu eseguita l'impresa; ebbero il
guasto le campagne etrusche situate oltre il monte
Cimino; e carichi di preda i soldati aveano appena
di nuovo varcato il monte quando incontrarono i
romani Legati con due Tribuni che comandavano a
Fabio di non entrar nel bosco Cimino: tanto era
nei Romani il timor panico di questo bosco. L'im-
presa omai eseguita ebbe tanto maggior gloria, e la
spedizione del fratello del console si riguardò con
quella meraviglia con cui ora si leggono i viaggi di
qualche avventuriere che sia penetrato in incogniti
americani deserti. Questo avvenimento o esasperò ,
o intimori maggiormente gli Etruschi , che per evi-
tare il giogo minacciato dai Romani adunato l'eser-
(5) Liv* 1* 9*
CAPITOLO PRIMO ni
cito il più nuniaroso che avessero mai condotto con»'
tro i nemici a cai si erano uniti ancora gli Umbri ^ di it
d aTanzarono secondo il solito a Sutri , e incontra- ^^^
tili presentarono loro la battaglia • Attoniti i Roma-
ni e spaventati dal numero straordinario de' nemici ^
festaron chiusi nel campo fortificato • È molto veri-
simile che se i comandanti etruschi avessero pro-
fittato del momento y attaccando i Romani negli al-
loggiamenti, senza dar loro tempo di riaversi dal
repentino sbigottimento ^ gli avrebbero vinti ; ma
trascurando V opportuna occasione y contenti del
lerfore incusso ai nemici^ lasciarono sopravvenir la
Dotte minacciando di attaccargli il giorno appresso •
G)n queste Tane minacce si addormentarono , e con
supina negligenza furono trascurati gli opportuni
provvedimenti contro ogni sorpresa • 11 Console ro-
mano, veduti a poco a poco rinfrancati i suoi ^ fatto
loro prendere il cibo , sullo spuntar del giorno ,
quando il campo toscano giaceva confusamente im-
merso nel sonno^ fé' dar Tassalto. La sorpresa ca-
gionò tanto spavento^ che si gran moltitudine d'ar-
mati prese la fuga senza resistenza • Fu questa pili
strage che pugna , e la strania esagerazione di Livio
serve almeno a mostrare il gran numero dei mor- 444
ti (6). 11 terrore di questa rotta indusse Arezzo^
Cortona, Perugia , che in questo tempo erano le
principali popolazioni di Etruria, a domandar la
pace, e impetraron tregua per 3o anni, ma le altre
popolazioni persistevano peiufnacemente nella guer-
ni: la fomentavano i popoli dell'Umbria, ed as&i-
(6)IiiY. L 9. asserisce che il numero degli Umbri e deeli
Etnischi tra morti e feriti giunse a 60 mila> numero improbabile»
onde 0 v'è grand' esagerazione » o errore nei manoscritti.
ìt2 LIBRO PRIMO
atevaoo gli Etruschi^ i quali intesi a vendicare i
d /a! passati affronti, prepararono uno dei più fioriti e
'Ì44 nunaerosi eserciti che avessero mai adunato col quale
s^avanzarono verso i Romani, mentre un altro eser-
cito d' Umbri lo precedeva e secondava • Gli Umbria
nuovji nemici che non conoscevano bene la forza e
il valore romano, furono presto sconfitti presso il
bosco cimino. Non fu così facile la vittoria contro
gli Etruschi: s'incontrarono i due eserciti presso il
lago da Vadimone (7): erano gli Etruschi coman-*
dati dal loro Re Elio Yoltemo o Volterrano . Non
parve ai Romani che conibattessero i soliti guer--
rieri tante volte vinti, ma che avessero acquistato
un nuovo valore. Lasciata la pugna vagante e lon-
tana dei dardi, non cominciarono a combattere che
quando furono a colpo di spada, scegliendo ciascu-
no il suo avversario. Il furore e T ostinazione è
uguale da ogni parte, cadono tutte le prime file, e
vi succedono col medesimo ardore le seguenti : am-
be le parti più volte si trovarono nell'estremo pe«
(7)11 lago Vadimone è celebre per varie battaglie. Olite la
presente^ 27 anni dopo i Galli Senoni vi furono rotti da Dolabel«
la . Chiamasi adesso lago di Bassano . Plinio descrive come una
maraviglia le isolette natanti che vi si trovavano» e soUe cranU ta-
lora le pecore o le capre salite erano trasportate in mezzo del lago.
In Oggi si scorge lo stesso fenomeno nelle sulfuree acque Albunee
fra Roma e Tivoli, rammentate da Virg. Aen. 1. 7. Il fenomeno è
assai facile a spiegarsi: in queste torbide e stagnanti acque si tro-
vano sparse sostanze di ogni genere e di varia specifica gravità : le
lago Vadimone e il Tevere si trova una pianura assai ampi
ove seguirono le indicate battaglie. Quello da noi esposto è il ge«
nerale princìpio della formazione di quelle isolette. Ve ne possono
essere dei particolari ; le radiche delle piante palustri» specialmen-
te delle canne e degli ontani, s'intralciano tra di loro, e ricoperte
di fanghiglie e foglie putrefatte formano delle piote, le quali nnen*
'dosi, nasce l'isoletta. Targioni, Viaggi tom. a. Padule di Bicntiua.
CAPITOLO PRIMO ii3
ricolo: le fanterie erano o morte o ferite: la caval-
leria avea perduto la maggior parte dei cavalli e aiK.
restata perciò inutile : allora i cavalieri romani non ^^^
sdegnarono di supplire alla fanteria: raccolti in una
schiera^ passando a piedi a traverso i morti e i fe-
riti^ giunsero alla ruinata infanteria degli Etruschi.
L' inaspettato rinforzo decise della giornata . Ebbe-
ro gli Etruschi la rotta la più fatale; questo era sta-
to r ultimo sforzo della nazione : la gioventù più
guerriera fu perduta col coraggio nazionale^ e gli
spiriti avviliti; e si può fissare dalla perdita di que-
sta battaglia la mina della potenza etrusca (8). I
successivi sforzi furon sempre deboli^ e si comin-
cia a trovare fino da questo tempo che le città etni-
sche si comprano dai Romani la pace o la tregua
pagando un tributo: si scorge una certa autorità
dei Romani su di loro ( un Dittatore per esempio
compone le sedizioni degli Aretini: ) ogni altro 44^
tentativo fini sempre colla disgrazia dell' Etruria,
ed una battaglia da essi perduta presso Volterra
mostra che i Romani erano agevolmente penetrati
nel cuore del loro paese (9). Non erano più in ista-
to di misurarsi coi Romani ; avevan bisogno di po-
tenti alleati y e gli trovarono facilmente^ giacché la
romana potenza ognor crescente avea risvegliato il
terrore di tutte le popolazioni d'Italia. Gli Umbri ,
gli Etruschi , i Sanniti , i Galli adunarono uno dei
pù formidabili eserciti • Il numero de', combattenti
è certamente esagerato; giacché si fa ascendere
quello de' Sanniti e de' Galli riuniti insieme a 140
mila uomini d'infanteria^ e 40 mila cavalli: gli
(8) Tit Liv. 1. 9,
(si) Til. Liv. Lio.
7&A.0 i. S
ii4 LIBRO PRI MO
-Etruschi e gli Umbri formavano un altro esercito *
di h II loro disegno era che il primo esercito cominciasse
^^^ solo Tattacco, e nel bollore della mischia l'altro
piombasse sui Romani già stanchi. I consoli Fabio
Massimo e Decio Mure, penetrata Tìntenzione dei
nemici^ chiamarono un altro corpo da Roma, e Io
mandarono a devastare le campagne di Etruria fa-
cendo una diversione. Invece di restare fermi al
loro posto, ove si dovea decidere la gran lite, la
difesa delle campagne trasse T esercito degli Etru-
schi e degli Umbri altrove: intanto i Sanniti ed i
Galli allaccarono i Romani, e quantunque alla fine
prevalesse la forza di questi, si trovarono però in
gran pericolo. L'ala, che combatteva sotto il con-
sole Decio, era stata rotta e posta in fuga: quest'uo-
mo prese uno di quelli espedienti che di rado man-
cano di produrre un felice evento sui popoli super-
stiziosi . Dopo aver tentato invano di trattenere i
fuggitivi, chiamato il pontefice Livio, gridò ad alta
voce ch'egli si offriva in sacrifizio al cielo per la
salvezza del suo esercito, e comandò al Pontefice
di pronunziare le mistiche parole di questo atto, e
le imprecazioni contro i nemici. Dopo averle esso
ripetute, spinge il cavallo nel più forte della mi-
schia ove disperatamente combattendo muore. Que-
sto superstizioso rito , questo spettacolo trattenne i
fuggitivi e i vincitori . 11 Pontefice cominciò ad
esclamare altamente che i Romani non potevano es-
ser più vinti: si animano questi, si spaventavano i
Galli, e in breve restano rotti e dispersi : tanto be-
ne e tanto male può produrre la superstizione!
L'azione di Decio è grande e magnanima qualun-
que fosse la sua maniera di pensare: il suo corpo si
CAPITOLO PRIMO ii5
trovò eoo pena , per esser sepolto sotto an cumulo'
di nemici (io). La moderna opinione, che ha finora jila.
caratterizsato le armate francesi come dotate di una ^^^
impetuosa furia nel primo incontro, ma incapaci di
sostenerlo lungo tempo, può trovare una conferma
nell'osservazione fatta da Livio in questa battaglia
sui Galli Senoni (i i), se pure la variazione di tempi
e di climi (post'anche la verità deirosservazione) non
fossero capaci di cangiare i temperamenti e perciò
la regola. La battaglia fu assai sanguinosa d'ambe
le parti, contandosi a5 mila alleati e 7. mila Romani
morti sul campo. Si trova in seguito qualche altro
movimento degli Etruschi paragonabile agli ultimi
tratti di un animale che muore; e probabilmente
r ultimo è quello in cui si mossero, allorché Pirro
fìiceva una furiosa guerra ai Romani; ma furono fa- 4^3
cilmente vinti, e TEtruria fu intieramente soggio-
gata da Tiberio Goruncanio. Dopo questo tempo non
si sente parlar più di'guerre etnische.
Cosi fini un contrasto che avea durato più di 4
secoli. La mancanza di scrittori etruschi e la neces-
sità di leggerne gli avvenimenti in istorici loro ne-
mici o veneratori di Roma , non ci lascia mai ve-
dere gli Etruschi in un bel prospetto. L'ignoranza
di notizie decloro interni avvenimenti politici, ci
toglie il mezzo di conoscere quanto questi abbiano
influito sulla loro caduta. Poche riflessioni però ba-
stano a indovinarne le cause: queste si trovano nel
(10) Tìt. Liy. 1. 10. Egli non fece cbe imitare sno padre De*
do, che avea faUo lo stesso sacrifizio nella guerra latina nella bat-
taglia alle falde del Yesavio presso la città di Tesevi che ivi esi*
sten. Il celebre Codro fece lo stesso.
(11) Gallorum ^uidem corpora intollerantissima laboris ai*
tpte aestus fluere , primaque eorum praelia plus quam virorum ,
postrema minus quamfoeminarum esse, Litf» L io»
ii6 LIBRO PRIMO
"lusso di quel popolo, e nella cibile costituzione . È
diR celebre V Etruria in tutti gli antichi scrittori per
^^^ le sue ricchezze e pel lusso che ostentavano negli
spettacoli, nei vestiti, nelle abitazioni, nelle men-
se imbandite fino tre volte al giorno (la). Nel se-
guente capitolo sì osserverà che le belle arti vi fio-
rirono prima che presso qualunque nazione d'Eu-
ropa: tutto ciò, benché faccia lo splendore di un
popolo, è atto ad ammollire gli animi e i corpi .
Dall'altra parte i Romani , educati duramente non
conoscevano altre arti che T agricoltura e la guer*
ra; e quelle mani stesse che alla testa degli eserci-
ti avean trattate le armi coir^utorità consolare , non
sdegnavano in pace di maneggiare T aratro. Mentre
i Toscani in lunghe tregue, godendo i piaceri che
per ogni parte offrivano le arti di lusso, si andava-
no snervando in grembo alla mollezza , i Romani
sempre più s indurivano nella scuola della guerra
coi Volsci, i Sabini ec. La dostituzione degli Etru-
schi era altresì la meno atta alla guerra; lo abbia-
mo notato fin da principio: unite in debolissimo
vincolo di federazione le varie popolazioni non ave-
vano neppure regolate adunanze come gli Àmfizio-
ni in Grecia: non si univano che nei casi straordi-
narj al tempio di Voltumna i loro deputati, e la
libertà in cui era ciascuna popolazione di seguire o
no la risoluzione comune , rendeva queste membra
divise , e non capaci di agire se non raramente con
uno sforzo unanime e ben concertato t In oltre nien-
te è più facile che por la divisione in siffatto go-
verno, e allora le più piccole forze possono distrug-
gerlo. Ne abbiamo non pochi esempi : si è veduta
(la) Demst. Etmr. regal.
Al» «il
CAPITOLO PRIMO 117
ai nostri tempi TOlanda, che unita avea resi.stito
air errai vittoriose di Luigi XIV congiunte a quelle a, a
deir Inghilterra, soggiogata poi, perchè divisa in *^^
due partiti, da aS mila Prussiani: si è veduta la
Svizzera per la stessa ragione vinta in un momen-
to, ricever legge dai Francesi, Questa è la sorte
delle repubbliche federative, e questa fu delTEtru-
ria, benché soccorsa, ma forse troppo tardi, da al-
tre popolazioni ch'ebbero finalmente la stessa sorte
d'essere ingojate dai Romani sempre vincitori . Que-
sto torrente, frenato dentro le sponde per alcuni
secoli dall'altre città, non fece che acquistar forza
e profondità ; e avendo finalmente vsuperate le spon-
de, non solo copri della sua piena l'intiera Italia ,
ma si distese per quasi tutta l'Europa, per l'Asia,
per l'Àfifrica , e per le piiì fertili e ricche provincie
del mondo allor conosciuto: non è perciò maravi-
glia se soccombesse TEtruria. Quel popolo però, il
più grande che abbia avuto la terra, in seguito non
trattò come schiavi gli Etruschi , ma piuttosto co*
aie fratelli. Varie città di questa provincia otten- /
nero l'onore della romana cittadinanza: appoco
appoco r E truria restò associata alla romana poten-
za, ne prese l'indole, i costumi, ne adottò i gene-
rosi sentimenti , e f u a Roma di non piccolo ajuto
nelle guerre straniere • Da questo tempo pertanto
gli avvenimenti d'Etruria si confondono con quelli
di Roma , e l'istoria etrusca è fusa per dir cosi nella
romana; né l'Etruria è più oggetto di particolare
istoria finché, dopo ruinato e sciolto il romano Im-
paro, non torna a formare sotto il nome di Toscana
QQa provincia separata che si governa colle sue
kggi.
ii8 LIBRO PRIMO
CAP ITOLO IL
SOMMARIO
Mfàbeto etrusco . Studj del Demstéro. Accademia etnisca di
Cortona. Dispute tra il Cori e ilMaffei. Opinione del Lanzi.
Filosojia degli Etruschi. Loro idee dell* Essere Supremo.
Opposizione del Lampredi. Se Pittagora nascesse nelVEtru^
ria . Rispetto ilei Romani per la scienza degli Etruschi. No^
moni di essi nell'Astronomia . Intenzioni utili. Rappresentanza
teatrali. Monumenti pubblicati da Curzio Inghirami. Lavori
in bromo degli Etruschi. Rovine di Pesto. Opinioni dei
ffinckelmann .
s
ul tema che andiamo a trattare fa d'uopo esaer
brevi ^ per noa stancare il lettore con ragionamenti
appoggiati alle più lievi congetture, e per timore
di non prendere ad ogni passo 1* ombre per corpi .
L'arte del critico antiquario si ammira quando^
avendo sotto degli occbi pochi e sicuri materiali ,
forma di questi un ingegnoso sistema . Ma qui tutto
è incertezza: lingua , letteratura, scienze, invenzioni
si appoggiano più all'immaginazione che al giudi-
zio • La lingua specialmente è sempre una specie di
enimma, e fu forse meno inestricabile l'etrusco
laberìnto di Porsena, o l'altro di Greta , di quello
sia la lingua etrusca. Pure una folla d'illustri let-
terati hanno creduto possedere il filo di Arianna ;
ina per comprenderne la difficoltà si osservi , che
appena son giunti ad accordarsi fra loro suU' alfa-
beto; e son degni di scusa per gli scarsi materiali
con cui hanno dovuto fabbricare. Se da un antico
suolo ove l'istoria e la tradizione ci dicesse ch'esi-
X
CAPITOLO SECONDO n/)
fteTa un aagusto tempio^ o un magnifico palazzo ,
si scavassero pochi rottami di colonne^ e qualche
sasso mal figurato^ potremmo noi fidarci agli archi*
tetti che ci presentassero un disegno di quelli edifizj
dedotto da si scarsi monumenti? Eppure gli archi-
tetti son molti nel nostro caso, e i loro disegni per
conseguenza diversi, presentandoci chi un edifizio
egiziano, chi un greco, chi un asiatico.
È naturale l'immaginare che gl'ingegnosi Tosca-
ni abbiano preso cura d' illustrare il loro antico
suolo, ma un forestiero vi ha fatto le più grandi
fatiche, cioè ring lese Tommaso De mstero . Prima
di lui però Taretino Attilio Alessi aveva posto la
roano a questa messe, formato un alfabeto etrusco,
e riportate delle iscrizioni fino dal secolo XVL Ma
la sua istoria ov'è tutto ciò riferito, restando come
lo è ancora manoscritta (i), furono le sue osserva-
zioni ignote al Derastero. Questo scrittore nei tre
anni in cui fu Professore di Pandette nello Studio
pisano, raccolse moltissimi documenti relativi al-
l'antica £truria; e benché spesso tratto da lievi
congetture, e trasportato dall' immaginazione verso
l'oggetto che ha preso ad abbellire, troppe iuven*
zioni e troppa scienza attribuisca all' Etruria , è
quello però che ha più sudato in quest' arringo. La
sua Etruria regale restò inedita^ per quasi un se-
colo; e allorquando si pensò a stamparla in Firenze,
furono da essa eccitati i fiorentini antiquarj a farvi
de' schiarimenti ed aggiunte . In questa epoca si ri-
svegliò coi più gran fervore lo studio dell'antiquaria,
che divenne di moda; e i Buonarroti,! Cori, i Sal-
(i) Trovasi il BIS. nella Bibl. Riccardiana .
120 LIBRO PRIMO
villi ^ i Lami ec», assai vi si distinsero. Una rispet-
tabìl città deirEtruria, per illustrare l'antica ma*
dre vi consacrò a bella posta una Accademia che di
antichità etrusche specialmente si occupasse, e ì
Mafiei, Passeri, Mazzocchi, Olivieri, Bourguet ec.^
con moltissimi altri forestieri letterati fecero a gara
a distinguersi in questo studio. Tutti costoro quan-
do si occuparono nella lingua sparsero molto sudore
in un arenoso campo, e n'ebbero pochi frutti; e
siccome non può mai tanto vagar la fantasia, quanto
allorché , appoggiata su pochi dati, è in sua balia
prender quelle strade che più le aggradano , que-
st' illustri uomini spesso con faticosi viaggi giunsero
a diversissimi resultati, scusabili se hanno talora
errato, giacché il loro cammino era
Quale per incertam lunam sub luce maligna
Est iter in sjrhis (a).
La diversità dell'opinioni fece anche talora riscal^-
dar soverchiamente gli animi, e il Maffei e il Gori
specialmente, quasi due gladiatori discendendo nel-
l'arena, e scagliandosi dell'erudite insolenze, otten-
nero pur troppo quello che avea presagito il Mafie! ^
di trastulbre il pubblico a loro spese (3).
La lingua etrusca
È la selva selvaggia ed aspra e forte , (4)
ove pare che quei letterati
. la diritta via abbia n smarrita.
• •
(a) Virg. Aen. Ub. 6.
(3) Fabbr. Fila Maffei, Maffei^ ossenrazioni letterarie» ove
parodiando due versi delTasso dice del sao avversario :
Lieta commedia vuol che si appresenti
Per lor diporto alle straniere genti!
(4) Dant. Inf. caut i.
CAPITOLO SECONDO lai
Niente meglio lo dimostra che la varietà deir opi-
nioni^ e l'impotenza di dare una ragionevole tradu-
zione de' pochi resti di etrusche scritture. Dispu-
tarono acremente il Maffei e. il Gori suW etrusco
alfiibeto. 11 primo che credette gli Etruschi origi-
nar] dai Cananei vuole la lingua loro nata dalla
samaritana. 11 Gori trova molta somiglianza delle
lettere e dei vocabili etruschi coi greci antichi, opi<**
oioDe che ebbe più seguaci di quella del Ma£fei : dopa
molte fatiche si formarono degli alfabeti, quasi però
senza norma. 11 francese Bourguet in tanta instabi-
lità di fondamenti trovò qualche punto di appoggio.
Confrontando le Tavole Eugubine, due delie quali
sono scritte in caratteri latini, ma in lingua etrusca,
credette vedere che la 4* in lettere etrusche conte-
nesse un compendio delle due latine, parendogli che
si ripetessero qui con poca variazione molte voci
delle latine. Su questa base fabbricò un alfabeto,
in seguito gli altri monumenti su' quali si è accre-
scialo e migliorato l'alfabeto, e interpelrata la lin-
gua, SODO le varie iscrizioni : si trovano le più corte
in gemme, in medaglie, in patere, e non consistono
per Io più che in nomi solitarj accompagnati da
<]nalche £gura , da cui si è creduto dedurne la spie-
gazione. I funebri monumenti ne contengono delle
più lunghe; sono questi urne, tegoli, olle: quello
che hanno di più importante è la frequente tradu-
cono latina, onde i nomi proprj somministrano la
chiave deir alfabeto, e le traduzioni fanno strada
^irioterpelrazione della lingua: ma incontrano gli
antiquari tante difficoltà per far corrispondere la
traduzione airoriginaIe,che sou costretti ad asserire
essersi spesso cangiati dei sentimenti nella tradu-
122 LIBRO PRIMO
zione latina (5) , cosa possibile ma non probabile, e
che il lettore interpetrerà a suo senno o come una
strana bizzarria degli Etruschi, o come una difficoltà
degl'interpetri . Più lunghe sono le iscrizioni in are,
in candelabri , in statue. Questi monumenti forma-
no il fondamento deir iuterpetrazione della lingua
etrusca. Oltre di questa si assicura essere state in
Italia le lingue euganea , volsca , umbra ^ samnitica ^
ed osca . Se tanta somiglianza trovasi tra di esse e
l'etrusca, se TEtruria dominò una volta su tutta
l'Italia, Topinione più verisimile ci porta a crederle
dialetti di questa. La scrittura degli Etruschi , come
dei più antichi popoli orientali, corre da destra a
sinistra, e talora il secondo verso da sinistra a de*
stra alternandosi le direzioni, metodo che ebbe il
nome di Bustrofedoy dai buoi aratori, de' quali
imita il lavoro. Dopo le fatiche di tanti T alfabeto
del Gori è il più ricevuto : nondimeno il Sig. Ab.
Lanzi, che con tanta copia di erudizione ha trattato
il soggetto , vi ha trovato da fare qualche cambia-
mento . Questo dotto uomo è d' accordo col Gori
sulla somiglianza della lingua etrusca colla greca e
la latina ; e si possono distesamente vedere nella
sua opera le ingegnose congetture con cui ne mostra
l'analogia (6). Or si supponga vero ciocché da altri
è contrastrato, qual ne sarà la conseguenza? la so-
miglianza di alcune parole prova ella che Tetrusca
sia derivata dalla greca? Parlando di una nazione i
di cui storici , e ogni sorta di libri si sono perduti,
e sulla quale da storici tanto posteriori si traggono
scarse notizie, potrà egli dedursi che la lingua, le
(5) Lanzi» Saggio di lìngua etros. Tom. s.
(6) Lanci» loc. cit
CAPITOLO SECONDO laS
scienze, le arti sian derivate dalla Grecia ? leggiera e
precipiUta conseguenza • A un Gc*eco , che cosi ragio-
nasse ad uu Toscano , potrebbe questi , preudendo
quaesitiun meritis supeiòiam , rispondere : e perchè
non dedurre piuttosto che dall' Etruria sieuo le co-
gnizioni, la liugua^ le arti derivate ne' Greci 7 I
nostri antichi Etruschi, anche per confessione de-
gr idolatri de' Greci (7) y coltivarono le belle arti
quando la Grecia era barbara, e Tarti sono state
sempre compagne delle lettere^ anzi precedute da
loro . Risponde il Sig. Lanzi che se ciò fosse avvenu-
to, gli scrittori latini non avrebbero mancato di
propalare questa gloria dell' Italia. Non è però
dilHcile il fargli osservare che per propalarla facea
di mestiero averne degli storici monumenti, e di-
sgraziatamente quando cominciano i romani scrit-
tori erano perdute quasi tutte Tetrusclie memorie.
È inoltre da notare che i Romani furono ambiziosi
sostenitori della propria gloria e grandezza, che
ornarono anche colle favole; ma trascurarono, e
talora depressero quelle delle loro confinanti popo-
lazioni. Inoltre la negligenza e gli errori degli an-
tichi storici su questo articolo sono credibili ap-
pena: ne sia un esempio Erodoto, il più antico
istorico e il più vicino ai tempi eroici : benché sia
dimostrato colle prove le più chiare che i poeti ,
Lino , Orfeo e Melampo abbiano preceduto Omero,
quello che chiamasi il padre dell'istoria non ha
dubitato di asserire che sono vissuti dopo (8) . A
(7) WinkelmanD, Stor. dell'art, del dis. 1. 3. e. 1.
(8) Gillieshistory of ancient Grece chap, 6. La Degligenza
di Erodoto è somma , siacchè olU« le altre prove. Lino e nomi-
nato da Omero , nell'fiiad. L 18 » Melampo nell'Odiss. L 1 1.
124 LIBRO PRIMO
tali prove si potrebbero aggiungere a sostener la
nostra opinione quelle congetture da noi addotte
suir origine degli Etruschi ^ e T autorità di Virgilio
che dair Italia deduce V origine di Troja • Queste
riflessioni non si fanno che per moderare la sicura
franchezza , con cui da molti scrittori si giudicano
le cose etrusche. £ in verità, che cosa può dedursi
dalla somiglianza di alcune parole di due lingue ?
Fingiamo che uno di quei grandi avvenimenti o
fisici 0 politici , che hanno cangiata la faccia della
terra , distruggesse i monumenti letterar) d' Euro-
pa f e non restasse memoria che le lingue italiana ^
spagnuola , francese , sono in gran parte figlie della
latina , che una di quelle fosse affatto perduta e
poche iscrizioni ne restassero; in esse^ vedendo gli
antiquari la somiglianza delle parole, potrebbero
coi medesimi argomenti che adoprano sull'etrusca,
chiamare una figlia dell' altra , e secondo i fram-
menti di quelli storici sopravvissuti al comune nau-
fragio, 0 secondo il loro capriccio, dare a questa^ o
a quella il nome di madre, o di figlia: neppure '
uopo sarebbe di tanta somiglianza. Due popoli che
o per commercio, o fama di letteratura si comuni-
cano le idee, si comunicano anche i vocabili, e quan-
tunque originariamente non avessero connessione,
potrebbero ai più tardi nipoti , ignari degli avveni-
menti, fare un inganno. Le riflessioni seguenti ba-
steranno a mostrare quanto sia ancora poco nota
Tetrusca lingua dopo tante faticose ricerche. Il
monumento più insigne di questa lingua sono le
Tavole Eugubine, perchè più estese di qualunque
altro; furono disotterrate nei contorni di Gubbio
nell'anno i444 ><^ numero di 7. Se la lingua etnisca
CAPITOLO SECONDO laS
fo85e iotelligibile , dopo le lunghe pene e i lavori di
liuti eruditi le Tavole Eugubine sarebbero chiara-
meote interpetrabe: ma sono sempre un arcano.
L'imparzial lettore potrà dedurlo dalla varietà si
grande di opinioni degl'interpetri. 11 Buonarroti le
credette convenzioni di popoli: il Cori, il Bourgeut
ima poesia osca, o lamenti di Pelasgi afflitti: TOli-
vieri, il Maffei , il Passeri^ parte descrizioni di riti,
parte atti legali relativi a private liti, finalmente
ilSig. Lanzi ^ che dopo tutti con tanta diligenza ne
ba investigati i sentimenti, crede riguardino la re-
ligione e i sacrifizj; nondimeno con quella ingenui-
tà, eh' è propria de^ gran letterati, confessa averne
ioterpetrata una piccola parte, e che la maggiore
resta ignota (9), Per sempre più conoscere T oscuri-
tà della materia non deve lasciarsi indietro e l'in-
terpetrazione di una di queste Tavole del celebre
Dottor Lami , e la sua opinione sulla lingua etru-
Bca, che in tanta incertezza sembra forse la più
probabile. Mentre tanti letterati per interpetrarla
vanno a cercar la somiglianza delle parole etruscbe
colle samaritane o le greche ec, egh si è intiera-
mente rivolto alle latine^ e in un minuto e lungo
esame esposto nelle lettere Gualfondiane, parago-
D^do insieme le parole latine esprimenti sostanze
le meno soggette a variazione di .nomi e le più an-
tiche, come monti, fiumi, città^ indi i nomi prò-
(9)Lanu, loc. cit La sola parola che era scolpita sulla Chimera
<fi bronzo della real ffallerìa di Firenze è un nodo per gì' interpetri;
^ leggono Tìnmcuifo Tinmicuil . Il Buonarroti la crede un nome
odcflartiste o dell' animale: il Gori crede che significhi una qua-
lità della bestia 9 cioè pianto alla vendetta: il Passeri un nome di
i^oa Deità vendicatrice : un Inglese , Giovanni Swinton , la fa si-
giilficarc dragone , capra, leone ; e questi sono i più dotti interpe-
tri dell' etnisca lingua .
126 LIBRO PRIMO
prj e di mìir altri oggetti, coli' etrudche , vi trora
una somiglianza assai superiore a quella che i piò
dotti antiquari hanno creduto trovare coir altre fo-
restiere lingue; onde crede che questi due siano dia-
letti collaterali» Si potrebbe anzi dire^ come ab-
biamo già notato, che avendo, una volta TEtruria
dominato su tutta l'Italia e coltrarmi e coir arti e
colle lettere , è assai naturale che avesse comunicato
la favella ai soggetti popoli , onde non fossero le
lingue di essi che varj dialetti dell' etrusca, e uno
di quei la latina : e in verità gli antichi frammenti
di questa sono quasi inintelligibili al paro dell'etru-
sca. Finalmente, avendo sempre davanti agli occhi
la lingua latina per iscorta, dà il Lami una tradu-
zione della stessa Tavola Eugubina (r e) , cbe il Gori
ha interpetrata , e da lui chiamata Carmen Orthium
lamentabile. Chi ama vedere in quanto diverse e
lontane strade sieno talora deviati daMoro ìmaginarj
sistemi gli antiquari , legga le due traduzioni: è certo
che, quantunque confuse entrambe, si cava senso
più netto da quella del Lami, benché quest'illustre
letterato forse accorgendosi del comune errore, e di
essersi anch' egli smarrito in questo laberinto^ e
forse deridendo le inutili fatiche degli antiquari ,
scherza con quei versi dell'Ariosto:
Varj gli effetti son , ma la pazzia
È tutt* ima però che gli fa uscire.
Gli è come una gran seli^a, oue la via
Conviene a forza a chi vi va, fallire :
Chi su, chi giù, chi qua, chi là travia ec.
Non si può adoprare un'imagine più atta a rappre-
(io) Lettere Gaalfondìane , lett. ao.
^
CAPITOLO SECONDO 137
sentare i viaggi ipotetici degli antiquar} per gli oscuri
leotieri delle congetture •
Dopo siffatti esperimenti , dopo tante con tradizio-
ni non si dovrà egli confessare che la lingua etrusca
è inintelligibile? Tuttavia, se tal conclusione è un
po' umiliante per la letteraria vanità, abbiamo onde
consolarci; sono si scarsi i monumenti in quella che,
datane anche la perfetta intelligenza, non si sapreb-
be sopra che esercitarla* Finiremo le riflessioni sulla
lingua riportando il sentimento di una società di
dottissimi uomini j gl'inglesi scrittori dell'istoria
universale. Secondo la loro opinione, i caratteri
al&betici degli Etruschi, sono i più antichi che al
presente si trovino; e diversi monumenti di quel
popolo gareggiano in antichità con tutti quelli eh' esi-
•tono, non eccettuati gli egiziani .
Pochi ma meno incerti oggetti ci presenta l'etru*
9ca Scienza , e Letteratura . Gli Etruschi precedet-
tero tutti i popoli europei nella cultura delle lettere,
arti e scienze, non solo per testimonianza dei nostri,
ma dei forestieri (it). Un dotto uomo più volte
nominato non tien gran conto della filosofia e delle
lettere etnische ( 1 2) , appoggiato sull'osservazione
che i Romani, volendo per la riforma delle loro leggi
consultare un saggio popolo , non all' Etruria si ri-
solsero, ma alla Grecia, come si narra da Tito Li-
vio (1 3) .Si potrebbe replicare , essersi colà indiriz-
zati perchè maggiore è da lungi la reverenza ; ma
(li) Winclelmann, Ist« dell' art. tom. 1. 1. 3, cap. i. Cajrlus
Beeueil d* antiq'
(19) Lanzi, Saggio di ling. etrus.
(i3)Tit. LiT.L 3.
128 LIBRO PRIMO
y' è gran dubbio che il racconto di Livio sia una
favola^ comeba colla sua solita sagacità sospettato il
chiarissimo Gibbon (i4)* Abbiamo già osservato che
dove fiorirono le belle arti , hanno anche brillato
le lettere: gli avanzi dell'arti etrusche, resistendo
agliannii si ammirano sotto i nostri occbj^ mentre
i più fragili monumenti destinati a conservare i
parti delle lettere sono distrutti: perirono tatti i
loro storici y e n'esistevano per testimonianza di
Yarrone^ citato da Censorino^ fino dal loro otta-
vo secolo (i5): quel poco che sappiamo si deduce
da alcuni passi di greci o latini scrittori^ che a caso
ne parlarono. Seneca ci ha molto ragguagliati sulla
loro teologia naturale e sulla fisica. Or cominciando
da una delle parti più importanti dell'umana dot-
trina, cioè dall' idea d'Iddio, non pare se ne possa
formare più grande e più giusta di quella degli
Etruschi riferita dal citato scrittore, ove si chia-
ma Iddio custode, monarca ^ spirito animatore del-
l'universo e della mondana macchina signore ed
artefice ec« y ma ciascuno amerà meglio il passo
originale: Eumdem quem nos Jovem intelligunty
* custodem j rectoremque universi , animum oc spi--
ritum , mundani hujus operis dominion et aniji-
cent , cui nomen omne convenit : vis illum Falwn
vacare? non errabis. Hic esty ex quo suspensa
sunt omnia , ex quo sunt omnes caussae auisor
rum- f^is illum Providentiam dicere ? recte dices:
(i 4) History of decline and fall etc. ckap, ^.
(i 5) Censor. De die natali cap. 5. E' difficile in sì oscura
antichità indovinare qual fosse quest* ottavo secolo , e donde
minciasse V era loro .
CAPITOLO SECONDO 129
esi enim cujus Consilio huic mundo proi^idetury ut
inconcussus eat et abtus suos explicet . f^is illum
Naturam vocare? non peccabis: est enim ex quo
nata sUnt omnia y cujus spiritu vivimus . ì^is illum
vocare Mundum ? nonfaUeris : ipse enim est totum
quod vides , totus suis partibus inditus ^ et se su-
stinens vi sua . Idem et Etruscis quoque visum
estete. (i6)* L'idea è espressa con sublimità. Pure
è piaciuto ad uà illustre letterato (17) di chiamar
questa dottrina erronea y né dissomigliante da quella
di Pìttagora , di Zenone , e del moderno Spinosa •
Non ci porremo a investigare le poco intese dottri-
ne di Pittagora, né le meno intelligibili di Spinosa ,
né ad intrigarci negli oscuri laberinti dell'antica e
moderna metafisica: ma ci sembra una sofistica se*
verità il passar quella sentenza sopra un' opinione
che parla cosi chiaramente di Creatore delle cose ,
col di cui consiglio si provede a questo mondo ec.
mentre nel sistema di Spinosa la materia é increata ^
e non vi si ammette consiglio o providenza. L'uni-
ca espressione equivoca che parrebbe avvicinarla a
Spinosa saria 9 che tutto ciò che si vede è Dio; ma
non é stata una simile frase adoprata dai più orto-
dossi scrittori, la quale sciolta poi , e quasi tradotta
in comune linguaggio, altro non significa se non
che neir opere meravigliose della Creazione si sco*
preil Creatore, come dall'industre lavoro l' ingegno
dell'artefice: cento scrittori di versi e di prosa han-
no ripetuto lo stesso; anzi un ingegnoso poeta mo*
(16) Senec. Quaest, nat, L 3. cap, 4^*
(17) Lampredì^ Sag. sulla filos. degli Ant« filnisc.
7 o/no f. Q
i3o LIBRO PRIMO
derno (i8), rispondendo appunto a un ateista dica
eh' egli s' inganna perchè
. • • quodcumque vides, quodcumque movetur
Est Deus , et grandi ^estitur imagine munduài
Pope si esprime nella stessa forma in uno dei suoi
saggi morali; e fino il piissimo Metastasi o per con-
vincere anch' egli un incredulo scrive
Osnmque il guardo giro ,
O sommo Dio, ti s^do ec
£ in verità, qual migliore argomento si può usare,
per convincere le grossolane menti dell'esistenza
del Creatore^ che presentar loro davanti la scena
maravigliosa dell'universo , l'intelligente meccani-
smo con cui si fanno i /elesti e i terrestri movi-
menti; e dalle create' cose dedurre la sapienza del
Creatore? Ma sempre più si rileverà l'ingiustizia
deirinterpetrazioneda un passo diSuida (19)9 che
riferisce un frammento di antico etrusco scrittore
sulla creazione del mondo^ degno d'esser letto an-
cora per certa somiglianza che ha colla Genesi ,
benché i giorni sieno protratti a migliaja di anni .
Conviene leggere il passo originale perchè meglio
apparisca l'analogia: « Opificem rerum omnium
Deum duodecim annorum millia Unix^ersi huius
creationi impendisse , ac primo millenario fecisse
coetum et terram, altero/ecisse firmamentum illud
ijfuod apparet , idque coelum sfocasse , tertio mare
et aifuas omnes quae sunt in terra y quarto lumi^
(18) Sectan, SaL t.
(19) Suidasy in voce Th^neni.
CAPITOLO SECONDO i3i
naHa magna solem et Itmam > ttemque siellas ,
quinto omnem animam polucrum , reptilium et
quadrupedum : videri itaque potest sex milliarios
ante /omiationem homi ni s praeteriisse, et reliquos
sex milliarios duraturum esse genus hominumj ut
sii unis^ersum consumationis tempus duodecim miU
lium annorum p. • lu questo passo il Creatore è di*
stìnto dalle cose create^ lo che non è nel sistema
di Spinosa 9 e si parla si distintamente di atto di
creazione, che se restasse alcun dubbio sarebbe di-
sciolto. La parola ipo\ fato ammette tante spiega **
zioni nei sistemi degli antichi naturali teologi, che
dopo aver chiaramente parlato Seneca di providen-
sa e consiglio, sarebbe una cavillosa malignità il
torcerla in mala parte : almeno leggendo gli anti*
chi filosofi si trova tanta oscurità di sentimenti,
che non è giusto attaccarsi al peggio: anzi siccome
i medesimi errori metafisici sono spesso repetuti
con cambiamento di nomi , si troveranno in Seneca
Bolla spiegazione del fato molte delle stesse sotti*
gliezze inintelligibili, che sulla dottrina della gra-
zia , e della predestinazione inventarono i Gianse*
nisti(ao). E veramente anche i celebri inglesi scfit*
tori deir istoria universale , e l'acutissimo Cudworth
hanno nel miglior senso interpetrato il passo di Se-
neca da cui ci siamo dipartiti.
Di tutto il resto dell'etnisca filosofia > non abbia«
mo che scarsi frammenti ; filosofia, che come tutta
l'antica, è per lo più ipotetica e tenebrosa: ma se
si potesse provare come molti eruditi hanno soste-
nuto, che Pittagora fu nativo di Etruria, questa
(ao) Tedi Senec. quauL naiur» lib. a. $• 36. S;. 5t..
i3a LIBRO PRIMO
filosofia acquisterebbe un grau lustro* La lite pende
tra Saino e TEtruria^ e sì può citare un numero
eguale di scrittori per una parte e per T altra. Se
cade il dubbio sull'origine^ è poi certissimo che que-
sto padre della filosofia è state lungamente in Italia
nella Magna^Grecia , ove fondò una celebre scuola ,
di cui per ben conoscere la dottrina, Platone ven-
ne a bella posta in Italia (ai). Dopo i suoi viaggi
Pittagora cercando un pacifico terreno ove vivere
fuggendo Samo, oppressa dal tiranno Policrate, e
visitata Olimpia y Elide e Sparta, non vi trovando
agio a filosofare, venne in Italia , e nella pacifica e.
sontuosa Magna -Grecia risvegliò la più grand'am-
mirazione del suo sapere (sa) • Crotone vide più di
due mila discepoli afifollarglisi intorno: la pace cbe
godeva allora questo paese, la sua saggia costituzio-
ne, vi avevano generato un lusso straordinario, e
Sibari ha perpetuato col suo nome fino ai nostri
tempi la mollezza per cui aveva acquistato una
poco onorevole celebrità • Pittagora ne riformò colle
sue lezioni il lusso e T effeminatezza, e davanti a
questo filosofico e politico missionario, le donne
stesse deposero i ricercati abbigliamenti , e ne pre-
sero dei più modesti • I principi della morale e della
politica , cbe tendono a. migliorare la società, e
render gli uomini felici, erano il principale oggetto
delle sue lezioni; né furono da lui negletti gli ar-
cani della natura • Benché molta parte della sua
dottrina restasse avvolta in tenebrosi misteri , è
certo però che Pittagora ha insegnato molte delle
più belle verità, che appresso sepolte nell'oblio,
(ai) Cic. Tusctil. lib. i.
(a 3) Porph, JamhL Giustino.
CAPITOLO SECONDO i33
iodi risorte^ hanno fatto onore come nuore scoperte
ai moderni. Alni appartiene b dimostrazione della
celebre proposizione fyj di Euclide nel lib. i.^ la di-
stribuzione della sfera celeste^ e perciò il Copernica-
no sistema, l'obliquità dell'eclittica^ la causa del-
l'eclissi solare e lunare^ la legge di gravitazione
verso il Sole dei pianeti in ragione reciproca dei
quadrati delle distanze^ la natura delle comete
ec. (sS) • Anche
R signor dell* altissimo canto.
Omero viaggiò per V Italia, e si trattenne in Etru-
ria ove forse apprese le favole di A verno, di Ache-
ronte, di Circe, delle Sirene ec. ^ e sarebbe sola-
mente tristo il rammentare che in questo paese
avesse perduta la vista (24)* Tagete fu probabil-
mente un saggio filosofo etrusco, giacché è parago-
nato a lui Platone , e solo il merito suo reale è gua-
sto dalle favole . Il sapere degli Etruschi pare fosse
avuto assai in pregio dai Romani, giacché per testi,
monianza dì T. Livio facevano istruire i loro figli
nelle toscane , come appresso nelle greche lette-
re (t5). Coltivarono gli Etruschi la medicina, e pas-
sò TEtrurìa per inventrìce di medici rimedj (26);
noi non la chiameremo inventrìce di quella scienza,
(a 3) Gregory» Mac-LHuriiìy Montucla, Dateas» Mainers ee.
(«4) HeracL Ponticfragmen, de PoUtiis, Gori» Mas. Etrusc.
Tom. a.
(a5) Ecco il passo di Liv. lib. 9* Auctores habeo romanos
pueros siculi nunc graecis, ita lune etruscis Uteris erudiri solitos.
Si notino le parole etruscis Uteris, onde si toglie ogni dubbio
mosso da alcuni scrittori che s'intenda di cerimonie religiose:
n' erano mandati anche per questo fine , ma il passo di Livio parla
d'istruzione letteraria .
(a6) Martian, Capeìl, de nupt. Philosoph, et Mere. lib. 6.
i34 LIBRO PRIMO
gìaechò non sarebbero forse contenti ì medici della
maniera di provarlo del Demstero^ il quale da una
lettera probabilmente apocrifa di Ippocrate a File*
pomene^ in cui dicesi cbe la medicina ba stretta
parentela con V arte divinatoria , deduce che gli
Etruschi inventori di questa debbono esserlo stati
anche della medicina • Un' opinione dei Toscani rin-
nuovata ai dì nostri (27) fu che i fulmini escìssero
anche dal seno 4ella terra , oltre quei che scendono
dalle nubi (28); opinione che si può sostenere al*
meno in parte, anche dopo le grandi scoperte di
Franklin, giacché nel ristabilirsi TequiUbrio elet-
trico tra le nubi e la ferra, può qualche volta farsi
su questa l'esplosione^ e la corrente dell'elettrico
fuoco andar dal basso all'alto : l'opinione mostra
negli Etruschi ingegno, osservazione, « raflinatezza
di ragionare , giacché non poca n' abbisogna per
contradire alla comune credenza ed ai sensi. Ma
chi crederebbe cbe un moderno scrittore abbia ono-
rato gli antichi aruspici etruschi e latini, con una
delle più grandi moderne scoperte, colla celebre
invenzione del suddetto Franklin^ l'arte di farsi
obbedire dai fulmini? Il sig. Dutens nelle sue osser-
vazioni più ingegnose cl^e vere sull'origine delle
scoperte attribuite ai moderni, dopo aver sostenuto
che gli antichi hanno conosciuto ed adoprato il te«
lescopio (29), ha il coraggio di avanzare si strana
(27) Maflfei.
(38) Plin. Hist. Dai. lib. ». cap. 53. Seneca Quaest. nattir.
(39) h' esperienza aveva insegnato aeli antichi cbe scendendo
in fondo di an pozzo, si vedevano le stelTe'anche di giorno : sì fa*
ceva uso di alcuni tubi luoghi ed aperti da ambe le parti per guar-
di^re i lontani oggetti» giacché non ricevendo nelioccbio cbe i
raggi emananti da quel solo oggetto che si guarda , la sensazione sì
fa pia viva : questi sono i tefescopj degli antichi: il Sig. Datens
CAPITOLO SECONDO i35
ats^rzione^ né ailra ra^giooe adduce per aosteuerla,
se non che sappiamo che vi erano alcune cerimonie
religiose contro i fulmini a Gioire Elido y che egli
traduce Giosuè Elettìfico. Questo Giove, dice egli,
personificato nel fulmine era costretto a venire in
terra ^ fondandosi specialmente sui vetsi di Ovidio:
Elieiunt coelo te Jupiter^ unde niinores
JPfunc quoque te celebrante pliciumque sfocanti
Soggiunge che Tulio Ostilio, nel praticar malamen^
te la cerimonia di evocare il fulmine restò ucciso,
come il disgraziato Bicheman ai nostri tempi : que-
st'aerea congeltura prenderebbe corpo e valore, se
si verificasse l'esistenza di un'antica medaglia rap-
presentante Giove in alto col fulmine alla mano, e
al disotto un uomo che regola col filo un aquilone,
eh' è il metodo con cui Franklin portò all'ultima
evidenza il suo sistema . Ma una medaglia così sin-
golare ch'ecciterebbe tanto l'attenzione degli anti-
quari e dei filosofi, non si sa ove sia , e l' importanza
del fatto meritava che Y autore si procacciasse i
mezzi di vederla, o almeno nominasse l'amico che
asseriva averla vista; giacché il pubblico non si può
contentare di sì vaga e incerta asserzione (3o) . Ma
^ *gg^°°g6 gratuitamente le lenti > interpetrandt» stranamente dei
passi di antichi scrittori. E* facile a chi ha fior di senno il vedere»
che ana scoperta si stupenda non sarebbe stata accennata dubbia-
mente » ma che in cento luoghi se ne avrebbe \a descrizione: la
saa utìl ila nella navigazione, nelle armate, l'avrebbe fatta ram*
mentar mille volte . Lo stesso si dica della scoperta Frankliniiana.
Chi crederebbe che siffatto scrittore , che ha attribuito agli antichi
quasi tutte le più grandi scoperte moderne, si rida del Demstero
perchè attribuisce troppe invenzioni agli Etruschi • Tanta verità è
nascosta nella favola aelie due bisacce di Esopo !
(3o) Ecco le parole dell'autore ce nn personaggio degno di fé-
« de mi ha asserito che ultimamente si è trovata una medaglia col-
i36 LIBRO PRIMO
proseguendo le invenzioni etrusche^ gì' indovini^ che
certamente osservavano i celesti fenomeni (giacché
in essi gl'indovini di ogni paese hanno sperato leg-
gere il futuro) fecero menzione dell'anno grande,
ciocché mostra perizia non ordinaria di astronomia.
Plinio asserisce che i molini a mano furono inven-
tati dalla città di Bolsena ; e se Piseo Tirreno ag-
giunse alla nautica l'ancora, e il rostro navale (Si),
é un nuovo monumento della periztk^jdella naviga-
zione degli Etruschi. L'invenzione degli strumenti
da fiato, o piuttosto la cultura grande della musi-
ca, é congetturata dall'osservazione che n^i hassi
rilievi etruschi , e non d* altra nazione , esprimenti
feste e sacrifizj, si veggono gli strumenti da fia-
to (3^), e la tirrena tuba, per uni versai consenso
degli scrittori , fu toscana invenzione (33). I Romani
ebbero le prime teatrali rappresentanze dall' Etru-
ria; e dalla sua lingua gli attori chiamansi ancora
istrioni (34): Le favole Atellane, rozzi componi-
menti drammatici, furono dagli Osci, popolazione
etrusca , portate a Roma (35) . Volunnio scrìsse del-
l'etrusche tragedie (36), probabilmente avanti che
i Romani avessero i primi rudimenti delle lettere;
e i giojali e licenziosi Fescennini passarono ai Ro-
mani dall' etrusca popolazione Fescennia. Furono
quelli dirozzati in quasi tutte le arti dai Toscani,
(c r iscrizione Juppiter Elicius rappresentante Giove col fulmine
ce in alto , e sotto un uomo che regola un cervo volante » . Dutens
orig. ec. traduz. di Venez.
(3i) Plin. lib* 7. cap. S6.
(33) Bnonarr. Supple. ad Demst
(33) Athen. Deips. lib. 4* PoUu. Onomas. cap. 1 1.
(34) Tac. ann. lio. i4*
(35) Tit. Liv. dee i . lib. 7 .
(36) Verr. presso Demst.
CAPITOLO SECONDO iZy
e da questi presero e virtù e viz)^ e pregj e difetti.
Le maschere sceniche dei Romani sono pure inven-
zione dei Toscani (37) i e se impararono da questi
la formidabile disciplina di combattere a pie fermo
in battaglione serrato (38)^ adottarono ancora le
barbare pugne de' gladiatori. La maggior parte dei
giuochi^ delle processioni^ e religiose costumanze
entrarono in Roma dall' Etruria • Ecco indizj di
scienze e lettere ^ cultura di ogni sorte, poche linee
e brevi tocchi , ma che indicano avere appartenuto
a un gran quadro distrutto quasi affatto dal tempo .
Insigni memorie si avrebbero di quel popolo , se
i misteriosi monumenti pubblicati da Curzio Inghi-
rami non fossero stati dimostrati apocrifi. La sin-
golarità del fatto vuole che se ne faccia parola. Cur«
zio Inghirami^ giovine volterrano, neiranno i634)
trovandosi alla sua villa di Scornello tre miglia
distante da Volterra , scagliando per sollazzo de' sas-
si, avendone smosso alcuno grande, ne vide sotto
di esso uno nero di figura globulare; ed avendolo
rotto, lo trovò formato di varj strati e cortecce di
bitume, cera, incenso, storace, mastice, peli, e nel
centro una carta nella quale erano notate delle pro«
fiszie. Proseguendo a scavare, molti simili inviluppi
si trovarono, ne' quali e profezie e pezzi d'istoria
etmsca e riti religiosi erano notati ; il numero di
questi monumenti è grandissimo, e sono stampati
in un grosso volume (39) . Fra quelli avvi una let-
tera di un Prospero fiesolano, a cui pare apparten-
C37) DemsL Tom. 2. tav. 90.
OS) Athen. lib. 6.
C39} Etruscarum antiq. fragmenta a Curtio Inghirami prope
Scoruelium reperta.
i38 tlBRO PRIMO
ga la maggior parte di queste memorie e profezie •
Racconta che viveva nei tempi di Siila , e nascoso
avea le memorie negV indicati involucri, eh* ei chia-
ma Schariih (4^)* Essendo caduto subito il dubbio
suir autenticità di siffatte memorie, il Granduca
Ferdinando IL volle farne processo, ed elesse ana
deputazione di due nobili fiorentini che con degl'in*
gegneri assistessero all' escavazioni, nelle quali nuo-
vi scritti si scopersero , e i deputati e i periti asse-
rirono che il terreno non era stato tocco da più se-
coli ; e tutto ciò fu da una formale sentenza dicbia*
rato (40 • Ma il tribunale competente di questa lite
era quello degli antiquarj non dei legisti. Infatti
quelli presto giudicarono supposte le profezie di
Prospero 9 e fra gli altri si distinsero Enrico Erne*
atio , e Leone Allacci mostrandone mille incon-
gruenze . Realmente la frode era stata un po' gros-
solana . Non solo Fautore si era servito di carta for-
mata di stracci , ma avea fatto delle profezie trop-
po evidenti , per non sospettare che fossero nate
dopo r avvenimento. Tale è quella ove si profetiz-
za che la Casa Farnese sarebbe signora di Parma •
Per quanto si voglia credere il diavola profeta (J\^)^
(4 o) Questa parola non ba alcun senso se non ai volesse dar-
gli quello dedotto satiricamenle dall' Allacci dall'Ebraico che sjgni-
ucsi frode, inganno.
(4 ■) Documenti raccolti dal sig. Gtnonico Lisci . Si può nota-
re quanto sia difScile questo giudizio^ giacché un terreno smosso
dopo un anno o due» per la pioggia e a^vpallamento, non può age-
▼ofmeute distinguersi dal terreno non sniosso.
(4 a) Il celebre Fontenelle, dopo ayere scritto l'estratto del-
l'opera di Yandale sugli Oracoli , in cui si sosteneva ch'erano in-
Sanni dei preti pagani , fu il suo sentimento attaccato dal gesuita
»altOj il quale sostenne ch'era il diavolo che rendeva gli oracoli e
che l'opinione di Vandale e di Fontenelle non era ortodossa* Fon-
tenelle stimolato da un giornalista a rispondere ^ ma che voleva de-
dioal-e una tal questione , fece al giornalista quella celebre rìapo-
CAPITOLO SECONDO iSq
^pena si troverà nei nostri tempi alcuno imbecille
che creda il fiesolano aruspice capace di tanto . Re*
filerebbe a dir qualche cosa sull'autor della frode :
non è facile a determinarlo. Il primo sospetto cade
in Curzio Ingbirami ; ma non può verisimilmente
immaginarsi che un giovinetto di pochi anni V ab-
bia eseguita ; quando fu esaminato ne avea venti
finiti : dando un tempo necessario a scriver così gran
numero di carte , in cui si dovevano variare tante
mani di scritto , e poi quello che doveva scorrere,
perchè il terreno si consolidasse , e non apparisse
smosso, si arriverà a un'età si tenera di questo gio-
vinetto da non crederlo atto ad immaginare, ed
eseguir T inganno. Chiunque sia stato però il falsa-
rio, deve porsi per la mentovata profezia fra lo sta*
bilimento della Casa Farnese in Parma , cioè fra
l'anno i544 ^ almeno i55o e il 1634. Forse dopo
aver nascoso gli scritti, la morte lo prevenne dal
ridersi della semplicità di coloro che vi prestassero
fede (43); e il disputare a chi ne appartenga l'in-
venzione, ha detto saviamente un moderno istori*
co, è io stesso che questionare^ qual nazione sia la
più antica.
Le belle arti sono abitatrici di tutti i climi, ma
simili alle piante non trovano ogni suolo egualmen-
te fecondo. Figlie dell' immaginazione, son nate
ogni volta che il pubblico applauso o il regio favore
ne ha sviluppati quei germi, che la natura ha in-
siti nell'anima tanto degli eleganti greci artisti , che
Iti : « /e consens que le diahle aie èie prophete puisque le Jesui»
te le veux, et quii crcit cela plus ortodoxe » .
(43) SI consolli la dottÌMima opera di Leone Aliaceli in cui
con tanto criterio ed erudizione esamina la cartai l'ortogr^^fìa e
llnchiostro stesso delle scritture nominate» e le dimostra moderne.
i4o LIBRO PRIMO
dei selvaggi americani. Perduta opera sarebbe per-
tanto r indagare nelFoscuro barlume dei vetusti se-
coli^ Torigine della pittura e delle arti sorelle: e se
l'invenzione della pittura è stata attribuita ad Amo-
re^ che dettò alla donzella di Sicione V ingegnoso
artifizio di segnar nel muro i contorni dell'ombra
del volto del suo amante che stava per partire^ con*
viene confessare che siffatta asserzione è più poeti-
ca che istorica , essendo troppo facile il pensiero per
non esser prima di quel tempo caduto in mente ai
più antichi abitatori della terra (44)* ^ inutile per-
tanto il perder tempo a investigare da qual altro
popolo gli Etruschi abbiano appreso le belle arti.
Nulla vi è di sicuro traile tenebre dell' antichità ,
onde abbiamo tutto il dritto di supporre che siano
nate^ e cresciute in Etruria, come lo furono in
India, in Egitto. Che i Greci neir antiche emigra-
zioni in Etruria vi abbiano portate le belle arti , co-
me ha creduto Winckelmann, è non solo incerto^
ma probabilmente falso , giacché T epoca della gloria
dell'arti greche essendo posteriore a quella del-
l'etruscbe, sarà difficile il dimostrare che i greci
coloni di quei tempi fossero più culti dei loro con-
temporanei etruschi. Ma scorriamo varie epoche
dell'antica Grecia, dalle quali si possa dedurre, se
in questo paese si coltivassero le arti nei tempi,
(44) Verameote Plinio parla dell' orìgine dell' arte plastica o
modellatrice quando racconta questo faUo (lib. 35. e. la.) che da
molti è stato applicato all' origine della pittura: è vero che ancor
qnaesta la vuole inventata Collo stesso artifizio in Sicione o in Co-
rmto » e deride gli Egiziani perchè vantavano che quell* arte era
nata presso di loro 6ooo anni prima che in Grecia ( lib. 3. e. 3.) :
ma 'senza eccettuare la cronologia egiziana, dovette l'arte esser
nata in Asia o in Egitto assai prima che in Grecia , perchè quei
paesi furono culti prima della Grecia.
CAPITOLO SECONDO ,41
ne' quali fiorivano in Etruria. Nella prima sua epo-
ca, di CUI esiste memoria, dominata dai feroci Pe-
lasgi, e dai rozzi Elleni, niuna idea ebbe d'arti
imitative , Successero i tempi eroici ; e la nave Ar-
go tanto celebrata non condusse probabilmente che
dei corsari , che andavano in Coleo a rapire V oro
che si estraeva dall'arene del fiume Fasi . Successe
la guerra de' sette Eroi contro Tebe, e finalmente
la celebre guerra trojana. Per tutti questi tempi,
non si ha il più piccolo indizio che fossero coltivate
le belle arti in Grecia, ma solo la poesia, che fra
le nazioni anche le più rozze è stata compagna de-
gli eroi e dei guerrieri. Dopo la mina di Troja^ i
Principi ch'erano stati tant'anni assenti dai loro
dominj, li ritrovarono tutti sconvolti, pronti a sol-
levarsi ; onde turbata la pace domestica , ne segui-
rono Serissime guerre civili , che desolarono quel
paese per circa quattro secoli, eloquentemente de-
«critte da Tucidide. Il IV. secolo dopo la i:uina di
Troja coincide coli' origine di Roma, tempo in cui
gr industri Toscani, le di cui città erano floridissi-
me e godevano una tranquilla pace, dipingevano,
e gettavano maravigliosamente il bronzo; giacché
d attesta Plinio, che le pitture di Ardea e di La-
Duvio erano anteriori a Roma, e che il carro trion-
&le di Romolo fu gettato in bronzo dagli etruschi
artefici •
Questa breve istoria, e in specie la testimonianza
diPUnio, che le arti fiorissero in Etruria prima
della nascita di Roina , distrugge ogni difficoltà con-
tro la nostra asserzione, e specialmente quella de-
dotta dall'emigrazione da Corinto di Deniaratu, ri-
ferita da Straboue, su cui si è fatto tanto fonda-
t^t LIBRO PRIMO
mento dai fautori de' Grecia e che convien esporre
per esser da tanti riferita, come prora che moltid-
Simo debbano nelle arti imitative ai Grejci i Tosca-
ni • Eccola •
Dopo la fabbricazione di Róma venne Deraarato
da Corinto, conducendo delia gente, ed avendolo
accolto gl'istessi Tarqoinesi , genera Lucumone da
una donna di quel paese sua moglie. Divenuto poi
amico di Anco-Mar2Ìo Re dei Romani , esso Lucu-
mone ebbe il regrlo, e fu chiamato Lucio Tarquinio
Prisco. Tanto questo che suo padre adornò r£tru-
ria , questi coi manifattori che dalla patria lo ave-
vano seguitato, quegli colle ricchezze che si trae-
vano da Roma. Qbesto è il celebre passo, su cui si
appoggiano molti antiquarj per fare i Greci maestri
deirCtruria. Ma per tagliar subito il nodo, convien
rammentarsi aver noi mostrato che fiorivano le arti
in Etruria pria della nascita di Roma, onde in que-
sta spedizione di Demarato, se potè trovarsi qual-
che artista , poco da esso poteva accrescersi alle arti
toscane che allora fiorivano più delle greche . Ghia-
mansi da Strabone questi artisti demiurgi j parola
che genericamente abbraccia ogni genere di arti, e
grammaticalmente poi coloro, i lavori dei quali so-
no pubblicamente esposti a vendersi. Ma ascoltia-
mo un altro greco istorico, quasi Contemporaneo,
e forse alquanto anteriore a Strabone, cioè Dionisio
d'Àlicarnasso, che narra la venuta di Demarato.
Così egli parla (45); « Demarato facendo il mer-
caote navigò in Italia, avendo a sue spese caricata
una nave di merci : vendutele per le città etnische,
(45) Lib. 3. !• 46. antiab. rom.
CAPITOLO SECONDO 143
che allora erano le più Jloride dell' Italia, e fatto
graa guadagno, non volle toccare altri porti , ma
per lo stesso mare sempre andando e venendo,
portava le greche merci agli Etruschi, e Tetrusche
ai Greci ; ma nata una sedizione in Corinto disegnò
partirne e si stabili in Tarquene ec. n Non v^ è in
quest'autore una parola di artefici del genere che
li Terrebbe intendere « ma di mercanti che vendo*
DO 0 barattano, colle greche^ etruscbe merci, e che
corrisponde esattamente alla parola demiurgi. Se ,
come asserisce Dionisio , le città di Etruria erano le
pia fortunate d' Italia cioè nel massimo loro splen-
dore, non si ha egli da immaginare che appunto vi
fiorissero le belle arti? si, paragonino i due passi, e
poi ciascuno col suo intimo senso decida. Innume*-
rabili asserzioni di autorevoli scrittori attestano, che
ionauzi alla venuta di Demarato erano le belle ar*
ti Del loro fiore in Etruria : le bellissime pitture
che si trovavano, per testimonianza di Plinio, in
Ardea^io Cere, furono lavorate avanti la nascita
di Roma. La quadriga, la statua di Romolo coro-
nata ààlla Vittoria, lavoro di bronzo (46)» fu opera
d^li Etruschi , che così maravigliosamente getta-
vano quel metallo. Lo stesso Tarquinio Prisco, vo«
fendo fabbricare l'insigne statua di Giove Capitoli-
no, non ai Corinti ricorse, ma a Turriano di Fle-
geile, ov'erauo arti etruscbe. Che cosa si può repli-
care a questi fatti ? si è già veduto , che a motivo
delle circostanze politiche e delle guerre dei Greci ,
OOQ potè la Grecia, prima della nascita di Roma,
Coltivar le belle arti, per le quali, ozio e tranquil-
(46) Dion. d'Aliearn. Ànticb. rom. lib. 5.
i44 LIBRO PRIMO
lità è necessaria. Resta dunque dimostrato^ per quan-
to una siffatta dottrina n'è capace^ Tanteriorità del-
Tarti delFEtruria. Mon faremo alcuna critica os-
servazione ( che molte far se ne potrebbero ) sul
passo di Strabene y non essendo necessario. Non di-
remo che ì Greci, avidi di dedurre tutte le belle
cose dalla lor patria, hanno spesso sfacciatamente
mentito, come Dione Cassio su Cicerone da lui ca-
lunniato, per deprimerlo in faccia ai suoi filosofi.
I Romani pur troppo li conoscevano , e Giovenale
esclamò
. ... Et quidquid Graecia mendax
Audet in historia.
Perciò tutte le favolose istorie da Pausania e da al-
tri asserite sopra Dedalo, tanto celebrato per arti*
sta, vanno poste nella stessa lista, seppure nella
favola di Dedalo adottata da Virgilio, non si fosse
voluto simboleggiare il cammino delle belle arti
passate dall'Oriente all'Occidente.
Dedcdus , ut fama est,fugiens Minoia regna
Praepetibus pefmis ausus se credere coelo
Jnsuetum per iter gelidos enavit ad Arctos ,
Chalcidicague le%fis tandem superadstitit arce .
Redditus Jùs primum terris tibi , Phaebe , sacnwit
Remigium alarum, posuitque immania tempia .
Rammenteremo di passaggio ciò, su cui da molti
si fa grandissimo fondamento, come lavori del-
l'antica Etruria, cioè le mine di Pesto. Possidonia
o Pesto, due miglia iùcirca distante dal fiumicello
Silaro fra la Campania, e la Lucania fu un'anti-
chissima città della Magna-Grecia. Adesso ruìaata,
CAPITOLO^SECONDO i45
ci mostra dei maestosi ruderi che fanno fede avere
appartenuto a fabbriche immense ed eleganti • Il
Padre Paoli le riguarda tutte come etrusche^ altri
come greche 9 giacché in questa parte d^ Italia detta
Magna Grecia, fiorivano le belle arti, e certo alcune
di esse hanno la greca impronta : nondimeno non
coDvien credere tutto greco, e qualche cosa convien
riguardare come etrusco, quando TEtruria domi-
Dava su tutta l'Italia • Realmente iscrizioni elru-
8che,ed alcune d'insigne grandezza, si sono tro-
vate tra quelle mine che fanno fede delle fabbriche
toscane, che vi esistevano ne' primi tempi. Alcune
di queste iscrizioni furono trovate dal Cav. Hamil-
ton, e dal Sig. d' Uancarville incastrate nelle mu-
raglie stesse della città , onde può dedursi che la
città prima etrusca fu ornata dai Toscani, e che
questi ornamenti cederono ai più recenti greci, ora
ruinati dal tempo ancor essi (47)* Ma tratteniamoci
DD momento sull'asserzioni del sig. Winckelmanu
che per esser uno dei più celebri antiquarj della
nostra età , merita se ne faccia maggior conto . Si
trova una certa contradizione nei suoi sentimenti ,
0 almeno una confusione per la sola voglia di attri-
buir tutto ai Greci, e non creder la nazione etrusca
capace da se sola di muover un passo. Non può egli
negare che l' Etruria coltivasse le belle arti prima
della Grecia (43); nello stesso tempo però asse-
risce, che dalla venuta dei Pelasgi in Italia si può
cominciar V istoria dell'arti etrusche , le quali sep-
pur non deggiono ai Greci intieramente Y origine ,
almeno lor deggiono il maggiore avanzamento ; ma
(47) Antiqultés etrusques par M. d' Hancarvìlle •
(48) Lib. 3. cap. i. Istor. delle arti ec.
Tvtno i. I o
j46 libro primo
che cosa iiaouo portalo questi Peiasgi in Italia 7 non
le arti del disegno , che per confessione deirautore
furono anteriori in Toscana • Forse una cultura mag*
giore ? ma in tempo di questa supposta emigrazione ,
la Grecia era mepo eulta dell' Etruria ; e se mai
alcuno volesse senza documenti credere il contrario,
come mai un'emigrazione di pirati (conferme si è
notato di sopra ) o di miserabile volgo , costretto ad
abbandonare il proprio paese ^ si può presumere che
apportasse de' lumi di scienze e di arti 7 Si può egli
credere, come vuole insinuare l'autore, che innanzi
alla venuta di questi pirati hise l' Etruria in una
profonda ignoranza , e all' apparir loro y che veni^
vano da paese piiì barbaro, cominciasse la cultura 7
Sono queste asserzioni senza prova, anzi contradit-
torie; né altro si potrà concedere che, o per questa
venuta , o col commercio di altri popoli , abbiano
gli Etruschi appresi ijoro avvenimenti^ o piuttosto
le favole , e introdotte nuove parole nella lingua •
L'argomento di quest' illustre scrittore per sostener
l'opinione, che gli Etruschi furono scolari dei
Greci, dedotto dall'osservazione che talora impres*
sero nei loro lavori le greche istorie piuttosto che
le proprie, è assai leggiero, giacche l'esperienza ci
mostra quanto spesso anche i moderni amino dipin-
gere 0 scolpire piuttosto, che i proprj , gli esterni
fatti , o personaggi che per la lontananza si conci-
liano maggior reverenza; ed Ercole, e Alessan-
dro, e Giro , e Socrate , sono sovente i temi delle
moderne arti • Che per vocale tradizione , piuttosto-
chè da' scritti monumenti , conoscessero gli Etru-
schi quei fatti, si deduce dalla confusione, o im-
perfezione delle notizie. Nell'etrusca corniola del
CAPITOLO SECONDO i/\j
Bvfseo Stosciano, esprimente gli Eroi che coaibat*
Urano Tebe, non sette^come narra la greca storia,
ma sol/cìnque ne sono rappresentati: altri sbagli o
variazioni si trovano su i greci fatti. Ma non si può
assicurare che non abbiano frequentemente espressi
anche i loro. Dentanti bronzi, o marmi, o terre
storiate, che ci restano, alcuni monumenti non sono
intelligibili, perchè alludono a storie sconosciute,
ed è probabile, che in molti di questi si esprimano
avvenimenti etruschi a noi ignoti; e veramente la
statuetta di metallo, con iscrizione sulla coscia, e suU
la gamba, che rappresenta un fanciullo con collana, e
bolla pendente, un globo nella sinistra, e un au«
gello nella destra, crede il Buonarroti (49)9 essere
il celebre Tagete, inventore deiraruspicina. Si può
vedere, presso lo stesso quanti altri bronzi o di mi-
tologia etrusca^ o di storia, sieno rappresentati.
Per ciò che riguarda la mitologia, è assai dubbioso^
secondo il parere del chiarissimo Maffei, se la pren-
dessero dai Greci, o non piuttosto questi dagli Etru-
schi (5o)* Egli è molto naturale Timmaginare, che
i lavori più antichi di questi popoli partecipino della
rozzezza che hanno tutte le arti nella loro infanzia:
Fosservazione e l'istoria però c'insegna che veloce-
mente progrediscono, e nel corso ordinario degli
umani eventi, non si ricercano molti anni per con-
durle ad una certa perfezione. Cimabue, Giotto,
Masaccio, non sono molto distanti di età. È assai
difficile in tanta lontananza di tempi , e incertezza
di memorie , 1"* assegnare 1' epoche dei progressi
della scuola etrusca; le tre fissate dagli autiquarj ,
(49) Appendix ad Demst
(50) Maffei , Osservar. leUer. Tom. 3. estr. del Demst.
i48 LIBRO PRIMO
e la franchezza decloro giudizj nelF attribuire a
ciascuna i lavori etruschi che si paran loro davanti^
possono ragionevolmente recarsi in dubbio da aom
di senno , che contempli gli enormi sbagli in cui
son talora caduti i giudici delle antiche opere •
L'asserire quando si trovano dei lavori ^ che riva-
leggiano i Greci , che i Toscani hanno imitato que-
sti , inerendo alle tre imaginate epoche , è un si-
stema (5i); e lo spirito di sistema conduce spesso
all'errore. Possono i moderni Toscani, per sover-
chio affetto al loro paese , stimar troppo , e troppo at-
tribuire ai loro antenati, e perciò ingannarsi; ma il
soverchio entusiasmo verso i greci artisti non può
deludere gli entusiasti 7 Siamo giusti: non si ponga
a confronto T antica Etruria colla Grecia de' tempi
(5i) WìiickelmanD> storia deU'arti. Lanzi « deUa scaltura degU
antichi .
Un esempio degli errori in cui conduce lo spìrito di sistcnia
è un passo di Orazio citato dal secondo . Le statuette toscane son
poste da quel poeta tra i piii preziosi monumenti signa , marmar,
ebur, Th^rrena sigilla etc. L'antiquario asserisce che il poeta
intende di quelle lavorate nella terza epoca , altrimenti invece
di Th^rrena avrebbe usata la parola Tuscanica : come se i poeti
adoprassero nelle loro espressioni la precisione matematica o isto-
ricade come se la parola Thyrrena non ci risvegliasse l'idea d'an-
tichità al par della Tuscanica , la quale inoltre non è né elegante »
né poetica. Parimente non vedo come questo dotto autore abbia
prodotto r autorità di Orazio » come se questo poeta abbia voluto
seriamente asserire che i Romani de' suoi tempi avevano pittori ^i
lottatori y e musici più valenti dei Greci :
pinttimus atque
PsallimuSf et luctamur Achivis doctius unctis .
Orazio avanza questa proposizione come un' assurdità , facendo
precedere il verso
Nihil intra est alea, nihil extra in nuee duri.
Non cadde mai in pensiero ai Romani di gareggiare in quel-
l'arti coi Greci, come Virgilio > che scriveva nello stesso tempo ,
asserisce
Excudent alii spirantia mollius aera
Credo equid^m , vivoi ducent de marmare vultus ee.
CAPITOLO SECONDO 149
dì Pericle e di Alessandro ; ma si cooTenga , che
la Etruria è stata maestra di se stessa ^ e che fra i
pochi suoi resti ve n'ha alcuno che s'avvicina al-
l'arte somma dei Greci • Noi non siam gran fetto
in istato di giudicare con precisione fioo a qual punto
fossero portate le arti^ presso gli Etruschi^ giacche
fralle ruine deirantichità assai scarsi monumenti
ci restano y né forse i migliori. Veggiamo però che
dalla semplice argilla (5 a) giunsero a gettare grandi
statue di bellissimo bronzo , come ne fanno fede la
Chimera della Real Galleria di Firenze (53) , la sta-
^ tua vestita alla romana , che nell'orlo del panneg-
giamento ha incisi caratteri etruschi, la statuetta
di Ercole alta un palmo, che ha la pelle di leone
avviticchiata al braccio sinistro (54) » la Pallade di
grandezza naturale , e specialmente la statua ritro-
vata a Pesaro, sulla spiaggia deirAdriatico, che rap«
presenta un giovine dì naturale grandezza , e che
Winckelmann afferma esser una delle più belle
statue di bronzo che abbia a noi tramandata l'anti-
chità (55); benché getti qualche dubbio sull'origi-
ne etrusca . È da notare che le iscrizioni non son
mai sulla base , né sul piedistallo , ma sulla statua
stessa, ch'é una prova della più alta antichità. Non
ebbero tal uso ^ né i Greci, né i Romani, ma popoli
anteriori; e veramente racconta Erodoto, che l'an-
tichissimo simulacro di Sesostri da lui veduto , avea
(5i) Tutte le nazioni hanno incominciato dal dar forma al-
l' argilla , e in qnasi tutte le antiche lingue scultore , e vasajo
sono sinonimi.
Inque Jotfis dextra fidile fulmen erat, Ovid.
(53) Fu trovata in Arezzo nello scavare i fondamenti della
lertezuu
(54) Winckel. Tom. a. lib. 7. e. a.
(55) Lo stesso , Tom. 1 . lib. 3. e. a.
M
i5o LIBRO PRIMO
«opra di se T iscrizione: lo scritto corre da destra a
sinistra , altro segno di antichità remota. Gettarono
con maestria il rame: le loro monete son fuse, e
non coniate: se ne trovano molte: hanno per lo pia
da una parte Giano bifronte, dall'altra spesso un
delfino e la clava, talora la ranocchia e l'ancora;
vi si scorgono dei punti o globetti che ne indicano .
probabilmente il valore (56). Incisero ancora indo?-
strìosa mente , come alcune etrusche patere vaga-
mente lavorate fanno fede; e da varj cammei e prò*
fonde incisioni in pietre dure, veggiamo quanta
fosse fra loro perfezionata quest'arte . Se non abbia-
mo lavori etruschi da porre in confronto colle più
stupende opere di Fidia e di Prassitele, ne restano*
alcuni che vi si appressano; la Diana del museo di
Ercolano è fra questi: Winckelraann , poco amica
deirantica e della moderna Etruria , tuttavia con-
féssa che questa statua in alcune parti è lavorata
con siffatta maestria , che i più bei piedi non si
scorgono nelle migliori greche figure (Sy). La gem-
ma che rappresenta Tideo, del museo Stosciano,
mostra la forza di espressione che ponevano ne'l^
ro lavori gli Etruschi. È scolpito quest'Eroe nuda
in atto di cavarsi una freccia dalla gamba: la dili*
genza con cui è espressa la musculatura, indica a
qual perfezione fosse giunta l'arte, e quanto si col-
tivasse la Qotomia sua indispensabil compagna» Non
vuol dissimularsi clie talora non si scorgano degli
atteggiamenti forzati e ricercati, difetti ne' quali
cadono anche nella letteratura (giacché tutte le
produzioni di gusto si somigliano ) coloro che han-
(56) Baonarroti, Appen. adDemst. $, 3S.
(57) Lib. 3. e. a.
CAPITOLO SECONDO i5i
no la voglia e non il potere dello stile forte ed
espressivo: il basso-rilievo Capitolino (58), che rap-
presenta Mercurio in compagnia di Apollo e di Dia-
na, è di siffiitto stile, ed assai mediocre; gli atteg-
giamenti forzati, in specie delle dita di Mercurio,
mostrano quel difetto: ma il giudizio, che questo
stile difettoso sia generalmente lo stile degli antichi
e moderni Toscani, è falso ed ingiusto. Egli è certo
che le arti che imitano la natura si perfezionano
col lungo esercizio. È noto quanto si esercitassero
in esse gli Etruschi, giacché dalla sola città di Bol-
leoa, quando fu soggiogata da Marco Flavio Fiacco,
non meno di due mila statue furono trasportate a
Roma (59). Da questa istoria si deduce l'esercizio
grande de' Toscani nella scultura; e il grand^ eser-
cizio in un popolo ingegnoso conduce presto alla
perfezione • Dalle statue che di loro ci restano nella
fiorentina Galleria, si ricava l'arte maravigliosa di
fondere dei Toscani , essendo d' ottimo metallo, tut-
te di un pezzo, vuote al di dentro, mentre gli an-
tichi Grecia secondo Pausania, le fabbricavano di
lamine rozzamente lavorate (60) • Essendo proba-
bilmente periti i capi d'opera degli Etruschi, mal
si può giudicare del merito loro nelle belle arti dai
pochi monumenti che ci restano guasti ancora e rui-
nati dall'età: sappiamo però ch'esistevano etrusche
opere in Roma ch'eccitavano lo stupore: tal era
TApoUo colossale di bronzo alto cinquanta piedi,
eh' essendo stato collocato da Augusto nella biblio-
(58) Se ne vede la stampala fronte dell* opera di Wincket
aiann , Storia ec.
(Sq) Plin. lib. 34.
(So) Mafiei, ossert* letter* T. 3. estrat. del Demst.
i5t LIBRO PRIMO
teca del Tempio in un'età in cui lo studio delle
belle arti era tanto in pregio ^ convien credere che
le sue forme fossero assai eleganti: è veramente
celebrata da Plinio per una bellissima statua , e il
suo giudizio è assai da valutarsi (61): egli era forse
quello che avesse maggiori cognizioni e buon gusto
nell'età sua^ la più celebre dell'antichità per le
belle arti in Italia • Una statua di bronzo di sì smi-
surata grandezza y da attirar per le sue belle forme
r ammirazione di Plinio mostra certamente la per-
fezione dell'arte presso la nazione fra cui fu getta-
ta. Winckelmann, che ha preteso che gli Etruschi
nelle belle arti nonsieno mai esciti dalla mediocri-
tà, si è anche azzardato ad indicarne le cause. « Pare
(die' egli) che fossero più de' Greci inclinati alla
malinconia, e alla tristezza, come inferir possianao
dal culto religioso, e costumanze loro: e si osserva
altronde che all' uomo dotato di siffatto tempera-
mento, atto certamente ai più profondi studj , troppo
vive e profonde riescono le sensazioni : per la qual
cosa non si produce ne' di lui sensi quella dolce
emozione che rende lo spirito perfettamente sensi-
bile al bello n . Chi ha fior di senno vede agevol-
mente la falsità di siffatto ragionamento • Le vive e
profonde sensazioni sono indivisibili compagne di
una viva imaginazione , prima sorgente delle belle
arti, quanto più vivamente e profondamente sono
scolpite in essa le imagini degli esterni oggetti > tanto
è più atta a ritrarli coll'arti imitatrici ; né la ma-
(6i) Lib. 24. e. 7. Videmus certe ApolUnem in hihUotheca
templi Augusti tascanicam L pedum a pollice; dubium aere mi-
rahiliorem art pxdcritudxne *
Adoprandosi la (parola tuscanicum , al sìg. Lanzi non cadrà
dubbio che non intenda di Toscani antichi . Y. nota 5i .
CAPITOLO SECONDO i53
Bnconia e la soperstizione vi sono contrarie, ma ne
possono soltanto variare T oggetto* La malinconica
pietà religiosa non ha impedito la nascita e lo svi-
luppo delle belle arti, e i capi d^ opera che adorna*
DO il Vaticano, e invece della Venere di Coo, del-
l'Elena, d'Ercole, di Giove, ha prodotto la Trasfi-
gurazione, la Madonna della Seggiola, il s. Michele
Arcangiolo , il Mosè di s. Pietro in Vinculis ec. Al
contrario qualche nazione di Europa, più gaja, piii
spiritosa, dedita al piacere al par della greca, col-
tivatrice delle belle arti, come sarebbe la francese,
benché nelle lettere abbia prodotti tanti capi d^ ope-
ra, è assai lungi da esser giunta neUe belle arti al
ponto ove Roma si sollevò sotto Leone. Queir anti-
quario, dalla giusta venerazione pe'Greci, passò a un
eotusiasmo troppo ardente: l'entusiasmo è ottimo
per spingere nella carriera gli artisti e gli scrittori,
ma pericoloso al sommo per giudicare: e infatti Tin-
flaenza di questo entusiasmo, che vela la ragione, si
trova assai frequentemente nei giudizj di quello
scrittore e appunto sugli artisti toscani : giacche dopo
avere cosi severamente censurato gli antichi , ha avu-
to il coraggio di portare lo stesso giudizio sui mo-
derni toscani . Aveva egli prima asserito , che degli
etruschi artisti poteva dirsi quello che Pindaro dis-
se di Vulcano, ch'era nato senza le Grazie (62); indi
s(^ginnge: « questi caratteri dell'arte presso gli
antichi popoli in Etruria ravvisansi anche oggidì
nell'opere dei loro successori, e un occhio impar-
ziale ben gli scorgerà nei disegni di Michelangelo ,
il pili grand' artista che abbiano avuto i Toscani: uè
(Sa) Storia dell'arti del disegno 1. 3. cap. 3.
1^ LIBRO PRIMO
può negarsi che questo carattere non sia uno de* di-
fetti di Daniello da Volterra y di Pietro da G>rtona
e di altri ec. n. L'autorità e fama di questo scritto-
re non ci permette di tacere. Dopo il risorgimento
delle Arti^ la Toscana^ cui si dee il risorgimento
stesso^ ha prodotto innumerabili artisti^ che si sono
altamente distinti in tutte le varie maniere y ed
hanno maneggiato tutti gli stili; e se Michelangelo
e Leonardo da Vinci hanno superato tutti nella su-
blimità della imaginazione e nella vivezza del-
l'espressione^ non è mancato un Andrea del Sarto ,
un Jacopo da Pontormo ed altri ^ che abbiano mo-
strato cbe la gentile e delicata maniera non è estra-
nea alla Toscana . Che poi fra i varj stili il subli-
me, il forte, l'espressivo sia stato lo stile e la ma-
niera dominante de' Toscani moderni, ne converre-
mo ben volentieri ; giacché questo invece di un
rimprovero è l'elogio più grande che far si possa ai
nostri artisti • E per verità qual sarebbe mai il poe-
ta , che non aspirasse piuttosto alla sublimità di
Omero che alle tenere dolcezze di Auacreonte? Ne-
gli altri stili vi può esser competenza fra gli arti-
sti y ma il grande, il sublime, che Michelangelo ha
espresso nella cappella Sistina non trova cosa che
possa stargli a fronte : la colossale statua di Mosè^
da chi non è fanatico dell'antichità, si riguarda
colla stessa ammirazione , che i più pregevoli anti-
chi lavori: veggiamo in essa la sublimità e gran-
dezza d'espressione unite alla compostezza e^riposo
naturale delle membra, ciocché forma il sommo
della perfezione. Ma>come mai si può fare il torto
agli artisti toscani di paragonarli al rozzo e zotico
Vulcano nato senza le Grazie? Chi è stato dopo il
CAPITOLO SECONDO i55
risorgimento deirarti il maestro della grazia? noa
si riconosce da tutti ih Leonardo da Vinci? non ba
prevenuto in questo pregio lo stesso Raffaello ^ che
ha da lui tanto appreso? Noi ci rimettiamo al giu^
dizio dell'imparziale lettore^ e di quelli assennati
intendenti , che secondo il loro squisito senso giù-
dicano, non coirautorità dei nomi celebri. Ma da
questa breve digressione tornando agli antichi £tru-
ficbi y la sodezza dello stile, fu il carattere dell' archi*
lettura toscana: esso è noto abbastanza . Inferiore
agli altri ordini nella leggiadria e nella delicatezza,
nelle colonne più grosse, nei cornicioni senza fregj
mostra ana nobile semplicità congiunta alla stabi-
lità dell'edifizio, pregio, se non l'unico, almeno il
primo dell' architettura « Pare che allorquando i
primi uomini, lasciati i rozzi tetti di paglia, pa^
sarono ai solidi materiali, incominciassero ad usare
l'ordine toscano, come asserì uno dei padri del-
l'architettura (63) • Erano naturalmente le antiche
capanne un poco più eleganti de' mal proprj abitu-
ri, fabbricate con dei tronchi d'albero nell'estre-
mità della facciata , congiunti poi superiormente
con un tronco trasversale, che sosteneva.il tetto di
strame , o di tavole • Estendendosi poi la fabbrica ,
in vece di due furono di mestieri quattro o più al-
beri , e quando passarono ai materiali di pietra , è
naturale che sostituissero colonne ad alberi , ed ec-
co delineata la nascita dell'ordine Toscano. Bella
magnificenza e grandezza delle fabbriche etrusche
nulla ci resta se non che qualche memoria di anti*
co scrittore : solo il sepolcro di Porsena a Chiusi ^
(63) Palladio architett. cap. 1 4*
/
tS6 LIBRO PRIMO
che leggiamo descritto da Plinio^ ci potrebbe dar
qualche idea della grandiosità delle loro fabbriche.
Si suppone situato presso quella città , formato di
larghe pietre quadrate , e compreso da quattro lati
o muri^ ciascuno de' quali si estendeva 3oa piedi
in lunghesza^ 5o in altezza: neirarea intema di
piedi novemila si raggirava un inestricabile labe-
rinto, i di cui avanzi erroneamente si pretende di
mostrare in alcune tortuose caverne della città di
Chiusi, sapendo noi da Plinio e Varrone eh' era al
di fuori, e che non esisteva più ai tempi di Plinio.
Sopra il vasto quadrato si ergevano cinque pirami-
di, quattro negli angoli ed una in mezzo, larghe
alla base 76 piedi, aite i5o. Stava in cima di esse
un grosso globo di bronzo; pendevano dal globo
varie catene , cui eran attaccati campanelli mobili ,
e sonanti quand'erano agitati dal vento. Sulla cima
delle gran piramidi se ne sollevavano delfe minori^
e su queste, altre; ma Varrone, mosso dalla poca
probabilità dell'altezza di queste piramidi, e della
loro disposizione, si vergognò, al dir di Plinio ^ di
riferirla intieramente , ciocché può mettere ogni
uomo ragionevole in diffidenza, essendo più agevo*
le il disegnarle sulla carta , che il farle stare in piedi.
Si aggiunge che di si sterminata fabbrica non esi-
steva vestigio ai tempi di Plinio , cioè circa 600 anni
dopo Porsena; eppure Roma ci mostra avanzi di
antiche fabbriche in moltissimi luoghi che contano
più di i6oo anni. La figura piramidale è atta a
conservare un edifizio davvantaggio. Non esisteva
seguo di queste famose ruine in Chiusi ai tempi dì
Plinio; eppure dopo tanti secoli esiste quasi intiera
in Roma la piramide di Cajo Gestio. Tutto ciòcci
CAPITOLO SECONDO 167
mostra la piccola probabilità di questo gran monu-
mento.
Che nella pittura TEtruria sia stata anteriore al-
la Grecia può dedursi da molti fatti , che ha- inge-
gnosamente raccolti il chiarissimo Tiraboschi (64).
Plinio assicura che ai tempi trojani non era ancora
inventata quest'arte (65). Nei due grandi poemi di
Ornerò^ ne'quali si descrivono e sculture^ e intagli
assai spesso^ non ai fa mai menzione di pitture, e
la prima pittura nominata come greca è al tempo
di Tarquinio Prisco^ tanto dopo alle antiche pittu*
re etrusche . Non sosterremo che gli Etruschi fosse^
ro i primi d'ogni nazione a dipingere, ma i primi
probabilmente in Europa . Quantunque sì fragil,
cosa sieno le pitture , che sotto i nostri occhi veg*
giauK) disfarsene molte che non contano lunga e(à ^
tuttavia ai tempi di Plinio esistevano in Ardea piu^
tare etruséhe più antiche di Roma , assai da lui
commendate; e quantunque i tempietti ove si tro-
vavano fossero scoperti, ai mantenevano assai bene.
Eguale antichità contavano le pitture. di Cere (li6):
similmente in Lanuvio n'erano delle bellissime per
testimonianza deiristesso, ove le nude pitture di
£lena e di Atalanta apparivano sì vaghe , che Pon-
zio, Legato dell'Imperatore Caligola , ebbe mente,
di toglierle', se la natura dell'edificio l'avesse per-
messo : la stabilità del loro «colorito ne ha fatte
pervenire alcune sino ai nastri tempi, benché sot-
terrate ed esposte all' umido : furono queste trovate
(64) Stor. della letter. Ital. tom. i.
(65}Lib. 35. cap. 4*
(66) Plin. 1. 35.
\
\
/
i58 LIBRO PRIMO
nei sepolcri scavati presso Y antica Tarquinia ^ici-
no a Corneto. Sono i sepolcri tagliati nel tufo: vi
si scende per una cavità di figura conica, che va
dilatandosi dall'apertura in basso: sono siffatte sUa-
ze funerarie curvate in volta : ma ciocché sembra
più singolare è il trovar dipinte le volte e le pareti
di tai sepolcri, benché destinati a star sempre chiu-
si (67)- È noto come le più antiche pitture non fu-
rono formate che di un sol colore dette perciò mo-
nocrom^tfcfte, tratteggiate con semplici linee. Di
tal sorte sono appunto le pitture degli Etruschi
formate coi contorni biancastri sopra un' intonaca-
tura o smalto di fondo scuro: la maggior parte di
queste pitture rappresenta dei combattimenti: in
una crede Winckelmaon, che sia simboleggiata hi
dottrina degli Etruschi sullo slato deiranime dopo
hi morte: » a questa, dice egli , si riferiscono due
Genj neri alati con mazza in una mano /e un serpe
neiraltra, che tirano pel timone un* cocchio in cui
siede V imagine forse dell' anima del defunto , e
due altri Genj, che battono con lunghi martelli
aopvù, una figura virile nuda caduta a terra . Non so
se possiamo assicurarci dell' in terpetrazione; so che
anche nella sua ipotesi si apre un vasto ed oscuro
campo ai metafisici per esporne il significato. Se
gli Etruschi usassero la maniera di dipingere a più
colori non ci è noto ; sappiamo però che solevaoo
talora dipingere le statue, e di tal sorta ci resta an-
cora la bella Diana del museo di Ercolano di cui
abbiam fatto parola . £ facile V imaginare che a
(67) WinckeU Stor. delle art. 1. 3. cap. a.
\
1
\
CAPITOLO SECONDO iSq
figure tratteggiate con un solo colore^ non si poteva
dar molta espressione; tuttavia si può in esse talo-
ra conoscere la franchezza della naano^ e la corret-
tezza del disegno.
Una deUe più eleganti manifatture dell' Etruria
furono certamente i celebri vasi di terra <:otta , detti
etruschi . La lontananza dei tempi y la scarsezza dei
monumenti) ha dato luogo a molte dispute. Il dot^
tissimo antiquario Senator Buonarroti^ il Gori^ il
Guamacciy li hanno creduti lavoro antico etrusco.
Il Maffei ^ Winckelmann ^ altri gli hanno giudi*
cati vaai campani, siculi, e di varie città della Ma-
gaa-Grecia. JNoi esamineremo brevemente la que-
stione con tutta la imparzialità, e ne trarremo quelle
conseguenze che i fatti ci presentano • Gli argo-
menti del Buonarroti per crederli etruschi sono
questi. L'autorità degli antichi scrittori che nomi-
Dauo tante volte i vasi etruschi , la somiglianza tra
parecchie figure espresse in quei vasi e quelle inci-
se su tazze etrusche di bronzo, usate nei sacrifizj,
le figure de'Fauni a coda di cavallo, mentre presso
i Greci erano pinte corte, e simili a quelle delle
capre; la figura di un certo uccello di specie ignota
a Plinio gran naturalista, e che afFerma essersi tro-
vato dipinto nei libri etruschi dìvinatorj, le corone,
i vasi in mano di Bacco, gVistrumenti musicali ec.
glieli mostrano etruschi , giacché non si trovano
nei greci lavori. Winckelmann trova di qualche
peso tali argomenti , poi replica , colla sua solita
maniera di ragionare: primo che l'eleganza di que-
sti vasi e la correttezza del disegno sono tali da non
potere appartenere agli Etruschi; secondo che la
gran quantità che se ne trova in Sicilia, in Campa-
i6o LIBRO PRIMO
DÌa ec. e la gran acarsezza in Toscana (66) , mostra
che là piuttosto che qua si fabbricassero. Veggiamo
che cosa e' insegni V istoria • La creta fu lavorata
dagli Etruschi in ogni tempo ^ dacché abbiamo me-
morie storiche . Tarquinio Prisco per fabbricar la
statua di Giove capitolino chiamò l'artista Tur-
riano non di Grecia^ ma di Flegelle^ città che non
solo nei più antichi tempi era sotto gli Etruschi y
ma dove in questo tempo non erano che arti etru-
sche (69) . Durò V arte di fabbricare le statue di
creta in ogni tempo , ma specialmente le statuette
toscane ossia thjrrrena sibilla erano assai in pregio
ai tempi di Orazio (70) • A questa sorta di aigitli
doveva appartenere la statuetta di creta che pos-
sedeva Tiberio 9 la quale era tanto espressiva da
far dire al poeta che Prometeo scherzando T aveva
formata :
Ebrius haecfecit tetris puto monstra Prometheus
Satunialitio lusit et ipse luto.
Né di minore artifizio é Taltra^ di cui dice Mar-
ziale :
SumfragiliSy sed tu, monco, ne speme sigiUwn^
Non pudet Alcidem nomen habere meum.
Essendo tanto celebri i sigilli^ o statuette toscane ,
(68) Vi è una specie di contradixione ; ecco le sue parole : ^ Uà
miglior fondamento per sostener la comune opinione sarebbe sUto
l'indicarne alcuni (yasi) che effettivamente in Toscana fossero
sUti scavati, ma nessuno ha saputo produr finora tali monumenti.
„ Indi più sotto „ voglio pur anche accordare che alcuni rottami
di vasi di tciTa cotta furono scavati nei contorni di Comete ec
(69) Plinio 1. 35. cap. 1 a,
(70) Cpis. a. lib. a.
CAPITOLO SECONDO i6i
deve dirsi che i vasi di creta , che appunto si chia-
mavaao sigillati o storiati, fossero di mano toscana .
E in verità, che gli Etruschi, e specialmente gli
Aretini fino dalla maggiore antichità lavorassero
vasi di terra eleganti e degni delle mense dei Re,
si deduce da var j passi di classici , e in specie da
Marziale.
Arretina nimis ne spemas vasa monemus^
Lautus erat tuscis Porsenafictilibus.
Dalla più remota antichità ai tempi di Plinio si
mantenne Farte in Toscana, e quello scrittore asse*
risce che ipiù nobili ed eleganti vasi di creta erano
ai suoi tempi quei di Samo, di Sagunto, di Perga-
mo, e di Arezzo (71). In molli altri luoghi e nel
distico attribuito a Virgilio (7^), e nei versi di Per-
610(73), si parla di vasi etruschi, e in specie di
aretini. Per molti secoli si hanno sicure testimo-
nianze di quest^arte conservata in Toscana; vi fio-
riva prima che in Grecia avessero cominciato a
mostrarsi le belle arti, e vi durava elegantissima
anche dopo la declinazione di quelle, come appren-
diamo da Plinio. I tanti vasi poi scavati nei con*
torni di Volterra, di Cortona , di Arezzo , di Popu-
looia , di Corneto, e che si conservano in varj mu-
sei , e ciò ch'esporremo sopra l'escavazioni fatte in
Arezzo, distrugge abbastanza la seconda obiezione
diWinckelmann.È veroche la manifattura dialcuni
di questi è grossolana , ma se ne trovano degli assai
(71) PHn. 1. 35, cap. la.
(72) Arretine calix mensis decorate paternis
Ante manus medici quam bene sanus eros
(73) Sat. 1, e a.
/'omo /. •■
i62 LIBRO PRIMO
eleganti y ed è facile immaginare che in un paese ^
sede dell'arte originaria^ dee incontrarsi il buono,
il cattivo, e i lavori dell'arte bambina^ e adulta e
perfetta. Ma per ben comprendere la quantità di
bei vasi ritrovati in Arezzo, principal officina del-
l' Etruria , conviene innanzi riferire il racconto di
alcuni vecchi scrittori poco noti ed anche inediti.
Il primo sarà Ser Ristoro d'Arezzo vissuto circa la
metà del secolo XIII. (74)- ^ì ^i^ permesso riferire
uno squarcio di questo scrittore, affinchè meglio si
scorga Belle sue rozze native espressioni il senso
che faceva sopra di lui e sugli psservatori suoi coe-
tanei la vista dei vasi che allora si scavavano . „ I
vasi, die' egli, erano formati de terra collata subli-
lissima come cera e de forma perfetta .... nelli quali
vasi furono disegnate e scolpite tutte le generazioni
delle piante e de le folie, e de li fiori, e tutte le
generazioni delli animali, chese ponno pensare
e fecionli de due colori , come azurro e rossi , ma
più rossi , li quali colori erano lucenti e suttilissi-
mi, non avendo corpo, e questi colori erano per-
fetti che stando sotto terra parca che la terra non
li potesse corrompere quando se cavava al
nostro tempo per alcuna casione dentro della cit-
tà, e de fori d'attorno, presso quasi due milia, tro-
vavansi grande quantità di questi pezzi de vasa cosi
freschi e coloriti che parean fatti via via . • • • en
(74) L'opera intiera è ioedita, il manoscritto si trova nella
biblioteca del fu suddecauo Riccardi: è intitolato „ Incominciasi
il libro della composizione del raondo composta da Ri-
storo d'Arezzo ec. ^ L'autore pone in fine la data cioè V an-
no 1 aSa , onde può dirsi che sia vissuto circa la metà del 1 31^
secolo. U Gori ne pubblicò uno squarcio, che riguarda appunto
i vasi aretini .
CAPITOLO SECONDO i63
tak ae trovava acolpita imagine magra ^ en tale
grotta , e tale rìdea e tale piangea , e tale morto e
tale vivo ^ e tale vecchio e tale citolo^ e tale
iimudo e tale vestito» e tale armato e tale sciarma-
tO|e tale appè e tale a cavallo, e trovavanlìse stor*
mi e battaglie mirabilmente in ogni diverso atto • • • •
trovavaalise scolpito e disegnato sì mirabilmente
che in la scoltura se conosciano gli anni el tempo
chiaro e Toscaro, e se la figura parca de longe o
d'appresso, e ogni variazione de monti, de valli ,
de fiumi, de sei vi <?c. trova vanlise spiriti volare per
aere en modo de garzoni innudi , portando pendoli
ogni diversità de poema ec. „ Poi si diffonde questo
scrittore sulla maraviglia ch'eccitavano negli os-
Bervatori, i quali dice appena lo credevano lavoro
amano. Per quanto costui vivesse in età rozza , lo
stupore. Testasi il trasecolamento che mostra, e
che ci narra esser nato negli altri alla contempla-
tione de' vasi, son tali da far credere che il lavoro
ne fosse assai elegante, e dalle battaglie ed altre
pillare si deduce facilmente esser lavoro etrusco.
U secondo scrittore è celebre e notissimo cioè Gio«
vanni Villani , e parla sullo stesso tuono di Ristoro
dicendo: che in Arezzo anticamente furon fatti
per sottilissimi maestri vasi rossi con diversi in*
tagli y e di sì sottile intaglio y che reggendoli pa-
Teano impossibili essere opera umana , e ancora
se ne trovano ; e de cierto ancora se' dice che el
sito e Varia d'Arezzo genera sottilissimi uomini.
Il terzo viveva nel tempo dello splendore delle belle
arti sotto Leone X. Egli è Attilio Àlessi aretino ,
nella di cui storia parimente manoscritta si legge il
«eguente passo: Mostrano y oltre alle predette cose,
164 LIBRO PRIMO
maravigliosa antichità i V€Lsi aretini y tanto sottili
e di sì mirabil lustro , che stavano a paretene dei
vasi di cristallo y e di questo ne fo testimonianza
io> che ne trovai uno appresso alia riva del fiume
Castro y lontano dalla città 1000 passi , a foggia
di bicchiere , (U modo sottile e risplendente , che
superava qualsisia sorte cU vetro .... vi furono
trovati gran quantità e numero (U frammenti con
lettere ne fondi di ciascun vaso y ed alle volte vi
fu presente, quando si cavavan le grotte , Hf esser .
Giovanni de' Medici y che fu poi Papa Lione X. y
e in alcuno si vedea un combattimento di augelli ^
una caccia con leoni y cani , cavalli y carrette , e
ancora Dei y Bacco , Giove Ammone y figurati con
maravigliosa industria ed arte • • • • trovati alla
riva di detto fiume presso il ponte delle Carcia-
relle (^5) V anno i49^f presente il predetto Gio-
vanni allora Cardinale y e se ne trovano spesso
nei fondamenti quando si edificano le case, f^oa
potrà porsi in dubbio V elegansa dei vasi qui ram-
mentati^ facendone fede un dotto e culto uomo^
che vivea nel tempo del maggior gusto dell' arti .
Ecco pertanto una grandissima quantità di vasi an-
tichi ritrovati in Arezzo: ma per compir T istoria
della figulipa di quella città > riporteremo un estrat-
to d' ingegnosi frammenti inediti scritti sulla figu-
lina aretina da un dotto uomo di Arez2o, poco tempo
fa mancato di vita ^ il Sig. Auditore Francesco Rosai
eruditissimo y che (la fatto onore alle lettere y al suo
paese , e alla giuri5pr^denza y che ha esercitato im-
portanti cariche , e che colla modestia ha nascosto
(75) Era qui ana delle fabbriche di questi vasi come ha mo-
strato il Sig. Auditor Rossi , di cui parleremo quanto prima .
CAPITOLO SECONDO i65
molti de' pregj ond'era ornato (76) . Essendo stato
il territorio aretino per tanti secoli si celebre pei
8Q(n vasi y ha esso ricercati i luoghi ov' erano situate
le fabbriche . Tre ne ha scoperte dentro alla città ,
ed otto almeno nel contado : ei si è arrestato all'esa-
me di due di <]iieste , situate T una presso delF altra
io un posto detto anticamente CentumH:ellaé cor-
rotto adesso in Cincelli (77) , situato al ponente di
Arezzo, da esso distante circa a sei miglia y non
lungi dal castello di Rondine , ove una villa del-
l'autore gli dava agio di occupare si dottamente
l'ozio delle ferie autunnali • Non solo vi ha ritro-
vati infiniti rottami di vasi finissimi j ma fino gli
avanzi delle fornaci , i trogoli , e gli utensili per
fabbricarli . Dai residui della fabbrica e dalla posi-
zione delle vasche ancora superstiti y ha potuto de*
darre la maniera di fabbricare i vasi aretini • Se-
condo le sue osservazioni, da un terreno situato
sotto la fabbrica si estraeva la creta, ch'era finissima
€ leggiera^ e conserva ancora siflfatte qualità. Mani-
polata avanti si gettava in vasche piene di acqua ,
ove scioglievasi la parte più sottile: quest'acqua
torbida impregnata della creta più fina passava in
altra vasca ove ( per usare i termini chimici ) si
decantava, riducendosi in sostanza impalpabile, e
con essa si lavoravano i finissimfi vasi aretini • Tal
creta è ancora quasi del colore di terra d'ombra, e
quando è cotta prende un vivo rosso. Si vedono
(76) La cortesia degli eredi , e in specie del Sig. Fulvio Rossi»
degnissimo fratello delVaatore j mi ha permesso trar le notizie qui
inserite e di pubblicarle .
(72) Che Cincelli si chiamasse CentumceUae deducesi da una
Carta del monastero di S. Flora , e Lucilla de' Gassinesi notai»
daU'Aleotti e pubblicata dal Sig. Gamici .
ì66 LIBRO PRIMO
aDcora le fornaci di figura quadrata^ formate di
mattoni piccolissimi , la lunghezza dei quali e di |
di braccio sopra i di larghezza. I vasi sono storiati
di animali , cacce ec. abbelliti con vaghissimi or-
nati (78). Si facevano colle forme^ e due para di
queste furano trovate di sostanza cretacea pur esse^
e che si conservano ancora . Dagli avanzi di queste
forme ^ anche dopo tanti secoli^ si riconosce che
neir adoperarle si faceva uso dell'olio^ acciò la creta
più facilmente si staccasse. Posta la raffinata creta
nelle forme ^ si abbozzava il vaso^ che poi si perfe«
zionava sulla ruota . Avendo intorno alle fornaci
trovati varj rottami di vasi cotti senza vernice^ ha
creduto che fosse loro data dopo almeno la prima
leggiera cottura^ come è anche il sentimento del
Winckeimann e del Fea (79). Il colore de' vasi di
Gincelli è per lo più rosso corallino; ve n'ha però
di colore di fior di pesco ^ altri neri, altri di co-
lor d' accia jo : ei non ha mai trovato V azzurro
veduto dal citato Ristoro. Benché il diligente in-
vestigatore non abbia avuta la sorte di trovar mai
dei vasi intieri, nondimeno ne ha rinvenuti fram-
menti cosi grandi , da poter giudicarne come fossero
intieri : sono leggerissimi e finissimi a paro di qua-
lunque siculo o campano, o almeno creduto tale.
La somma perizia del dotto ed intelligente antiqua^
rio non ne lascia dubitare; ed esistono ancora molti
di quei grossi frammenti per testificarlo a chi dub-
bioso amasse farne il paragone. Dopo questa breve
storia dei vasi etruschi , tireremo alcune conseguen-
ze che ci sembrano inevitabili . Da monumenti ia-
(78) Ei ne ha fatti fare i disegni .
(79) Vedi le note all'opera di Yincielmtnn lom. 1. cap. 4.
CAPITOLO SECONDO 167
dubitati e testimoniaoze dei più autorevoli antichi
scrittori si deduce che io Etruria^ e specialmeote in
Arezzo si fiibbricavano i vasi di creta fino dai tempi
più antichi y ed avanti che le arti cominciassero a
coltivarsi in Grecia; che quest'arte vi fu continuata
ed era io gran pregio ai tempi di Plinio ; che i vasi
aretini erano finissimi ed al sommo eleganti: resta
pertanto assicurata all'Etruria la gloria di questuar-
te, e solo può dubitarsi se si fabbricassero ancora
nella Magna Grecia; e quando ciò si accordi con-
verrà dire con molta probabilità^ che quel paese
dagli Etruschi abbia appreso V arte, giacché questi
la coltivarono prima che neiruna e nell'altra Grecia
Dascessero le belle arti. Ma le prove dell' esistenza
delle figuline nella Magna-Grecia, sono elleno senza
eccezione 7 Non ne abbiamo altro fondamento che
la copia grande di quei vasi là trovati, e le iscrizioni
greche talora in esse impresse, ma le porcellane
della China , ond'è piena l'Olanda , i vasi di terra
delfa inglesi, sparsi per tutta l'Europa, sarebbero
ai posteri ignari una sufficiente prova , che quei vasi
furono fabbricati nel posto ove si trovassero? Non
potevano nella stessa forma gli antichi vasi esser
trasportati dalie principali officine di Etruria alla
Campania, alla Sicilia? E gli opulenti Campani, o
SìcqU non potevano ordinare ai fabbricatori di ap-
porvi le iscrizioni che loro piacevano, come ai di
nostri anche le armi delle famiglie si fanno impri-
mere e su porcellane e sopra utensili d' altra sorte
commessi in lontani paesi? E appunto forse si son
mantenuti ivi più saldi per esservi più pregiati ,
mentre alla sorgente si avevano in minor pregio e
cura. Queste non sono che congetture contro le
i68 LIBRO PRIMO
fabbriche della Magna-Grecia: ma non è qualcosa
più di congettura il silenzio universale degli anti-
chi classici scrittori? Questi non parlano per T Ita-
lia che di vasi etruschi è aretini. Plinio fra gli
altri y che non ha lasciato innominato alcun paese
celebre per arti e manifatture , che ci ha rammen*
tato le figuline di Arezzo ^ di Sagunto^ di Samo, di
Pergamo; non paria che di calici fabbricati in Sor-
riento (80): qua! più acconcia occasione vi era di
rammentare le figuline e i vasi campani e siculi? per*
che non lo ha fatto? Questo silenzio di lui e di tutti
gli altri antichi scrittori si spiegherà difficilmente:
anzi si ha da qualche classico, e in specie da Ora-
zio, che i lavori di creta della Campania erano assai
grossolani (8i). L'ultimo refugìo del Sig. Winckel-
mann e dei suoi seguaci, per diminuir la gloria
dell'arte etrusca^sarà il solitO| cioè che ( conceden-
do, quello non può negarsi, la somma finezza dei
vasi aretini) rai:te etnisca si è perfezionata nella
terza epoca, quando ebbe appreso dai Greci. Si
sono fatte di sopra , a queste arbitrarie epoche le no-
stre osservazioni : ma non disputiamo d' ay vantag-
gio. Sarà però sempre vero, che l'arte primaria è
etrusca , e continuata dai più remoti tempi fino al-
l'età di Plinio. Che gli Etruschi dei tempi più
(80) Heiìnet hanc nohilitatem et Arrttium in Italia , et cali*
cum tantum Surrentum, Lib. SSr, cap. la.
(81) Horat. 1. 1. sat. 6.
Pocula cum cyatho duo sustinet , astat eckùius
Vilis cum patera euttus campana supellex.
Per provare che ìa Sicilia si layorasse la creta il Sig. WiDckelmaira
non ha trovato che un passo di Diodoro Siculo « in cui dicesi che
il padre di Agatocle fu vasajo , e un altro di Ateneo , in cui si
nominano patellae siculae, come se dove si fabbricano i pentoli e
tegami, ne seguisse e fosse una prova che vi si dovesse lavorare le
porcellane •
CAPITOLO SECONDO 169
bassi ^ e come gli chiama Winckelmaon della terza
epoca y abbiano appreso dai Greci , può essere ;
ma le prove certe sempre mancano^ giacché T as-
serire che in quest'epoca si riconosce nei lavori
etruschi lo stile greco, è forse un dire molto e una
gran prova presso alcuni antiquar) e un gregge di
dilettanti che va loro dietro ciecamente; è un dir
nulla a chi esamina senza prevenzione, e giudica
secondo i dettami della ragione, e non dell'autorità
dei nomi illustri (82). Realmente è egli un ragiona-
mento , a cui uom non prevenuto possa acquetarsi ,
il seguente? Vi sono delle monete antiche, che han-
no Tiscrizìone etrusca: Tidea più semplice, che si
presenta a uno spìrito non prevenuto, è che questo
sia lavoro etrusco: ecco come ragiona il Sig, Win-
ckeltnann . << Mentre la scrittura dimostra che i Cam-
pani abbianla avuta dagli Etruschi, dall'impronta
che non è punto seconda lo stile dell'arte etrusca,
s'inferisce che il disegno abbianlo essi imitato dai
Greci » • Si potrebbe avere maggior fiducia in que-
sta maniera di ragionare, se non ci fossero noti gli
enormi abbagli presi nel giudicare e della maniera
greca e degli stili var) dai più celebri uomini non
dilettanti, ma artisti; errori dai quali non è stato
esente Ra&el d'Urbino, Giulio Romano ec. (63) *
(8a) SoDa deferenza cieca e servile che si da specialmente
a^e belle arti agl'intendenti, d'Alembert cit^ il seguente aned-
<roto : ragionando alcuno assai giustamente sulle bellezze e sui di-
letti di un quadro di Raffaello, un pittore che lo ascoltava disse :
Toìd ce que M. dit est vrai, mais test qu*on n*a pas eoutume de
rftre cela . Aggiunge che gli errori o i pregiudìzj erano paragonati
<uirAl>b. di S. Piero alle pillole cke s' ingojano senza masticare »
•Urimenti non s* in goj crebbero mai. D^jfiemhert elog, de VAb, de
S, Pierre,
(83) Vasari, vila di Buonarroti r
/
170 LIBRO PRIMO
E in verìtà| cos'è la maniera che chiamano greca?
è quella che più si accosta alla perfezicme e a ciò
che dicesi bello ideale. Una nazione che fervorosa-
mente coltiva le belle arti , non vi può finalmente
giungere senza Tajuto di precetti stranieri? Lo po-
terono gl'Italiani in quel paese detto Magna-Gre-
cia; e poco distante da esso non l'avrà potuto TEtru^
ria 9 che tanto tempo e con tanto ardore coltivò le
belle arti? lasciamo le prevenzioni, e giudichiamo
col nostro dritto senso. Nel contrasto sui vasi etru-
schi, i forestieri ci rendono giustizia. Gl'Inglesi
hanno imitato i vasi etruschi, e Wedgegood ha da-»
to il nome di Etruria al paese, ove la sua celebre
fabbrica è stabilita • Termineremo con un breve
paragone fra il lusso degli antichi e dei moderni #
Noi usiamo le finissime porcellane: il fondo candi-
do dà un gran rilievo alla bellez2^ e agli ornati :
ma essi son goffi, le figure mal disegnate, o stor-
piate dalla cottura , né mai paragonabili a quelle
dei vasi etruschi , il disegno delle quali Winckel-
mann paragona a quelli di Raffaello. Il lusso degli
Etruschi è assai celebrato: si conosce però poco più
che per questa fama generale: ma i loro imitatori,
i Romani; dopo ch'ebbero abbandonata la sempli-
cità e la povertà repubblicana, e spogliate le Pro-
vincie d'Oriente, si abbandonarono a un lusso a
cui non son giunti mai i moderni • I palazzi erano
di una grandezza superiore a ciocchà si è mai fatto
dopo, anche senza citare la casa aurea di Nerone;
le porte sovente di marmo numidico, gli usci in-
tarsiati di tartaruga (84) > le pareti delle stanze in-
(84) . . . inhiant testudine poste9* Virg. Georg. L a.
CAPITOLO SECONDO 171
croshite dei marmi i più rari^ coperte di ricchissimi
paramenti e tappeti^ travi dorate^ e gemme inca-
strate in esse (85), e fontane nelle camere , pavi-
menti di eccellente mosaico spesso rappresentanti
interessanti storie, e i vasi etruschi per finimento
d'ornato. I palazzi erano altissimi, e sulla cima
stava un giardino pensile di piante rare e costose:
Tingresso talora era fiancheggiato da una selva di
colonne; e il peristilio della villa de' Gordiani ne
aveva aoo del più bel marmo numidico (86). Il
lusso delle gemme, in specie delle perle, nelle don-
ne, appena può esprimersi: dopo essersene coperte
il capo, le trecce, il collo, le orecchie, le dita, le
braccia,* ne attaccavano gran quantità alle scar-
pe (87): e la celebre Lollia Paolina, in qualunque
occasione un po' solenne, non portava meno in dosso
del valore di quattro milioni di lire francesi (88) •
Il costo delle loro cene supera Timmaginazione: le
mense, benché si facessero d'argento e d'avorio, le
più apprezzate erano di cedro nodoso , perchè ma-
culate come il pardo, coi piedi d'argento o d'oni-
ce (89): i vasi per lo più d'argento ( essendo stato
ordinato da Tiberio che gli aurei servissero solo ai
sacrifizi ) coperti però di gemme (90); si nominano
(85) F'idi artes ^terumque manus verisque metaìla
Viva modis, Idbor est auri numerare Jigurtis ,
Jtut ehur, aut dignas digitis contingere gemmas.
Stat.
(86) Capital, in Crord.
(87) Ncque aiim gestare margaritas nisi calcent et per unio'
n^ambulent satis est, Plin. 1. 9. cap. 56.
(88) Vedi PlÌD. loc cìtat., e le note dell'Arduino .
(89) Il Meorsio ne descrìve qualcuna che costava 5o mila
iioniu.
(90) Turba gemmarum potamus et smaragdis teximus cali-
ce' Plin. in prae. 1. 33.
172 LIBRO PRIMO
anche vasi d'intiere gemme (91). Il lusso nei mi-
nistri delle cene era tale, da volerli tutti dell' istea-
s' età air incirca, e dello stesso pelame e color di
capelli (92). Il costo delle cene di LticuUo, d'Api-
ciò, di Vitellio appena troverà fede. I pesci, di cui
eran si avidi, dovevano vedersi vivi alla mensa pri-
ma di cuocersi, e v'erano perciò sotto la mensa
delle conserve (qS). L^ acipensere , che si aveva
tanto in pregio , era portato in tavola con pompa da
ministri coronati a suon di tibia. Questo non è che
un piccolissimo saggio del lusso de' Romani; era in
vero stravagante , ma conveniva spendere in qualche
maniera quelle immense somme , che dal vinto
mondo colavano a Roma . I suoi cittadini non con-
tenti dello spoglio d'Oriente, e degl'immensi tributi
che traevano dalle provincie, vi avevano acquistate
vastissime possessioni, per cui basterà un solo esem-
pio: sotto Nerone, per testimonianza dì Plinio, sei
cittadini Romani possedevano l'intiero territorio*
dell'Affrica soggetta ai Romani (94)*
Gli Etruschi dopo gli Egiziani sono stati i più
superstiziosi popoli della terra. Prima però di con-
dannargli converrebbe meglio conoscerli per deci-
dere se le loro superstizioni non erano forse utili
leggi politiche . Fra i popoli ignoranti della vera re-
(91} Pacai, in paneg^ Parum se lautos putabant nisi aestivam
in gemmis capacihus glaciem Jalema Jregissent , E più posila-
mente Cicer. Yen*. 6. Erat itli vas vinariupi ex una gemma per-
grandi trulla excavata cum manubrio ajureo . Probabilmente ti
parla di pietre dure delle piii belle e rare .
(93) Senec Epis. 9S.
(93) Dicevano cbe il pesce doveva esser sì fresco da avere il
gusto del mare» e i più golosi lo sentivano.
(94) Vedi per molti articoli senza citazione Meurs. de luxu
Bom,
CAPITOLO SECONDO 175
ligioDe^ è degna di lode la saviezza de' legislatori
che rhaano fatta servire al buon ordine ed alla
pubblica felicità. In tutti i governi vi è stato sem-
pre una classe di persone , per cui la verità nuda è
pericolosa^ e alcuni pregiudizj utili. Roma discepo*
la deirStruria ce ne mostra gli esempj • Se qualche
volta il romano Senato fu pieno di persone che^ di-
sprezzando la pagana teologia j riser delle pene di
Tantalo e di Sisifo (95), era molto lungi da togliere
À salutevole benda dagli occhi del popolo , il quale,
incapace di ragionare troppo sottilmente , avea bi-
sogno di qualche cosa di sensibile per fissare la sua
adorazione ^ e a cui indirizzare i voti ; e che minac-
ciando una inevitabile pena ai delitti nascosti, con-
solasse r afflitta virtù nei casi i più disperati^ ver-
sando su di lei^ quasi balsamo soave, la speranza
di ana futura ricompensa • % vero ancora che gli
errori religiosi del paganesimo, almeno per un tem^
pò, non fecero nascere divisioni e guerre sacre in
Italia ; Roma era pronta a dar la cittadinanza a tutte
le Deità straniere, e l'Egiziano poteva adorar paci-
ficamente in Roma il cocodrillo senza essere scher^
aito 0 perseguitato dal Romano che accanto ad esso
bruciava incensi a Giove: e siccome il governo aveva
in mano e dirigeva questo pericoloso strumento, la
aoperstizione ^ sapea moderare 0 avvivarne Fazione,
e lo chiamava in soccorso ne' pubblici bisogni • I
Romani , avendo imparato dagli Etruschi i riti re*
ligiosi , ne impararono probabilmente ancora gli
utili effetti. Il sacerdozio presso gli Etruschi, come
spesso fra i Greci, fu congiunto colla primaria au-
(9^) Sallus. Conjura. Gat. allocuzione di Cesare.
174 LIBRO PRIMO
torità; la carica di Augure non conferi vasi chea
personaggi sena ter j e consolari : qualora perciò nella
religione degli Etruschi incontriamo cerimonie che
ci sembrano ridicole e inette^ non fa di mestiere
subito condannarle^ giacché ignoriamo il fine della
loro istituzione • Una delle arti superstiziose fu la
divinazione, la di cui origine ha la base sopra nn
assai rozza favola . L'etrusco Tage o Tagete figlio
della terra, scappato fuori dal solco profondo di un
aratore di Tarquene, insegnò agli Etruschi Tarte
divinatoria (96). Ride facilmente il lettore saperfi*
ciale, nel mirare de' gravi magistrati leggere il fu-
turo nelle viscere degli animali^ nel volo d^li uc»
celli, nella fame o inappetenza de' polli, né intra-
prendere una spedizione^ o dare una battaglia sen-
za il consenso degli animali: ma il filosofo ammira
la saviezza dei magistrati , che con tali mezzi in-
terpetrati a l(»x> senno, potevano o raffrenare T in-
tempestiva arditezza^ o ravvivare il coraggio dei
soldati. Dopo Tagete, che non lasciò alcuno scritto,
Bacchi o Bacchide fu il primo a scriverne in rego-
la ; Labeone in 1 5 libri con tutta la gravità espose
questa scienza. I libri degli Etruschi in questo ge-
nere reputati classici, e guardati con sacro terrore,
erano appellati Àcherontici ; né i Romani, per quan-
to perfezionassero le altre arti , si crederono giunti
mai nell'arte divinatoria al sapere dei loro maestri ;
onde fino nei bassi tempi li troviamo consultare nei
casi urgenti i classici etruschi (97) . Convien con-
9.
(96) Fatalem glebam motis aspexit in arvis, Ovid. Cicer. 1.
de divinai. Abbiamo veduto di sopra che Tage fu un saggio filo-
sofo.
(97) Tunc quis nunc artis scripta et monumenta volutans
Voces terrijicas chartis promebat €truscis. Glaud*
CAPITOLO SECONDO ,75
fe»are che il caso ha talora coufermato queste stra-
vag^nze: aon noti gli augurj della nascita di Boma
presi dair apparizione dei dodici avvoltoj: gli an-
tichi aruspici presagirono che la romana potenza
durerebbe per dodici secoli; il capriccio della For-
tuna fece verificare la bizzarra predizione, e il po-
tere di Roma si estinse appunto coir Impero d'Oc-
cidente nel XII secolo (98). I Romani, che come
abbiamo notato si crederono sempre inferiori ai lo-
ro maestri (99), mandavano ogni anno dieci figli di
Senatori in Etruria a imparar Taruspicina; sul prin-
dpio niuno,se non di nobile e senatoria stirpe, po-
teva esercitare quell'arte; fu poi avviliU, e in tut^
ti i castelli si trovavano degli astrologi che prezzo-
lati davano la buona ventura (1).
Una delle parti più importanti di questa scienza
era Tosservazione dei lampi, dei tuoni, della cadu-
U dei fulmini; e il nome della ninfa Bigoa, mae-
stra di questa parte di divinazione, fu tanto celebre
L' imperator Giuliano condaceya sempre seco i toscani aruspici.
kmm. Mercell. J. 23. cap. 5.
(gS) Questa non è una di quelle profezie frequentemente in-
renUte dopo il successo j ne parlano più secoli avanti alla sua ve-
rificazione Varrone, Gensorino, Cicerone» ed altri. Sì vede in
CUodiano che l'Italia spavenUta dall' invasione de* Goti rammen-
tava con terrore il presagio ;
Tum reputant annos , interceptoque volala
FuUuris incidunt properatis saecula metis.
Qaud. De bcU. getico. E mentre si appressava U sua verificazione,
Saudiano schernendola aggiunge
Surge precor^ veneranda parens, et certa secundis
Fide Deis, humilemque metum depone senectaet
Urbs aequaeva polo , tunc demwn ferrea sumet
Jura in te Lachesis , cum sic mutauerit axem,
Foederibus natura novis , tUflumine verso
Irriget Aegyptum Tanais Meotida Nilus ec.
(99) yos Tusci ac barbari auspiciorum populi romani jus
tnetis ? Cic De nat Deor. Aul. GclL Noe. Att. t. e. 5.
(1 ) Quin. Enn, adjinem L i. De div.
176 LIBRO PRIMO
fra gli Etruschi , quanto il nome di Franklin tra i
moderni fisici. Può certamente parerci ridicola tutta
la scienza fulgurale degli Etruschi^ ma Seneca che
ne ammira la sapienza , ci svela i misteri che sotto
di essa erano ascosi , misteri che insegnavano agli
uomini la più utile morale • Ponendo nella destra
al sommo Nume un arme pronta a cadere sul capo
degli scellerati^ cercavano di frenar coloro che non
seguono la virtù ^ che per timor della pena (a). I
morali precetti della fulgurale scienza sempre più
si nobilitano, sviluppando le altre circostanze. I
fulmini^ che scaglia Giove di sua propria volontà ,
sono innocenti ed atti solo a spaventare i rei : non
scaglia 1 dannosi e micidiali , se non col consiglio
degli altri Numi . £ che 7 quelli uomini sapientis-
simi credevano forse ^ che il Supremo Rettor delle
cose avesse bisogno deir altrui consiglio ? no certa-
mente: ma sotto questo velo esposero un'eccellente
dottrina , che insegna ai grandi e ai dominatori
della terra, a non punire senza avere ascoltato il
parere de'savj uomini (3). L'addotto passo di Se-
neca ci mostra una piccola parte della morale poli-
tica degli Etruschi, nascosa sotto un velo, che ta-
lora ce li fa comparire ridicoli; onde conviene am-
(a) Senec Qoaest. oatar. lib. 3. e 4i- ^d coercendos animos
imperitorum , sapientissimi viri (Etrusci) indicaverwU inevita-
hilem metum, ut supra nos aliquid timeremus. Utile erat in ton-
fa audacia scelerum aliquid osse, adversus quod nemo satispo*
tens esse videretur . Ad coercendos itaque eos, quibus innocentia
nisi metu non placet, posuere supra caput judicem et quidem or-
matum.
(3) Discant hoc ii,qui magnam potentiam inter honunes
adepti sunt, sine Consilio necfuhnen quidem mittii advocent,
considerent muUorum sententiam , placita temperent, et hoc sibi
proponant uhi aliquid percuti debet , nec Jovi qUidem satis suum
esse consilium * Senec. Qoaest natur. lib. a. e. 43«
CAPITOLO SECONDO 177
mirare o almeno rispettare in silenzio anche quella
parte che non s'intende. Oltre Li scienza misterio-
sa dei fulmini^ ì toscani aruspici interpetravano gli
altri prodigj : questi credevansi presagire delle di-
sgrazie : gli etruschi auguri insegnavano la medici*
na a questi mali (4)> e se altro di buono non aves-
sero òitto y richiamavano Y attenzione del volgo
verso un Essere j sotto il di cui occhio vigilante
erano le sue operazioni, e pronto a punirlo, o a pre-
miarlo. Nei nostri tempi poi l'orgoglio e Tigno- *
raoza ha inventato ^ che gli straordinarj fenomeni
annunziano delle sventure: l'immaginarsi che il
sole si oscuri y che appariscano delle comete , che
la Natura si metta in iscompiglio per annunziare
la morte di un Cesare o di un Carlo V, diviene as-
sai ridicolo in faccia al filosofo^ che contemplando
la immensità della natura ^ vede V universo prodi-
giosamente popolato di Soli, fra i quali la nostra
terra diviene si piccola cosa, che se per un atto
dell'onnipotenza restasse annichilata, non farebbe
maggior vuoto nella natura , che un granello di
arena tolto dal lido del mare . E se sì piccola cosa è
la terra, che cosa diventeranno i suoi abitanti? re-
sta umiliato a siffatta considerazione il nostro orgo-
glio, e svanisce ogni terrore degl'immaginati porten- .
ti. Ma tornando alla religione degli Etruschi , oltre
Giove, riconoscevano dodici Dei che. Consenti o
Complici y erano chiamati consiglieri di Giove, Dei
che non era lecito il nominare, benché fossero stati
(4) Vedasi Iiucano» lib. i. ove il Tosco Aronts
Monstra jubet primum ec.
Tomo L <«
178 ^ LIBRO PRIMO
loro dati i nomi che £nDÌo ha racchiusi in dae non
molto poetici vera ,
Juno, presta, Minerva, Ceres, Diana, Venus, MarSf
Mercurius, Jovis^ Neptunus, Vulcanus, Apollo.
Se non fosse probabilmente stata una calunnia di
Antonio la cena d'Augusto, parrebbe che avesse
derisa o profanata la maestà di questi numi ^ giac-
ché vestito esso colle divise d'Apollo fu detto che
gli altri cinque commensali rappresentavano gli aU
tri Dei (5) e sei donne le Dee. Questa cena o vera,
o calunniosa, fu creduta dal pubblico, il quale nei
giorni seguenti ( essendo stata gran carestia ) disse
scherzando che gli Dei avevano divorato tutto il
frumento. Varie Deità, oltre le nominate, si ado-
ravano dagli Etruschi, e fra queste la Dea Nurzia
in Bolsena , nel cui tempio usavansi numerar gli
anni coi chiodi.
È stato da alcuni creduto, che gli Etruschi aves-
sero i barbari sacrifizj di vittime umane : niuno
scrittore però lo asserisce, e solo è stato dedotto
dair osservare nei resti delle loro antichità figure
umane in atto di esser sacrificate. Tale è il gruppo
della tavola 8i del Demstero^ ove si scorge un
vecchio con un ginocchio sopra un piedistallo, e
due persone in atto di ferirlo, ma probabilmente è
(5) Sevet. in Octav. cap. 70.
Cum primum istorum conduxit mensa ehoragum,
Sexque Deos vidit Manila sexque Deas,
Impia dum Phaehi Caesar mendacia ludit,
Dum nova Divorum coenat adulteria.
Omnia se a tetris tane Numina declinaruni,
Fugit et auratos Jupiter ipse thronos.
CAPITOLO SECONDO 179
questa, come Yarie altri simili rappresentanze^ una
cerimonia dei misteri mitriaci; in questi, passati
poi anche ai Romani, quelli che vi s' inalza vano^
erano esposti a varie prove^ che incutessero loro
terrore , e alla minaccia di morte per provarne il
coraggio • Tertulliano li chiama mimi del marti-
rio (6) ; e il crudele e stravagante Comodo con un
Tero omicidio profanò i misteri mitriaci (7). Qual-
che cosa di simile ( giacché spesso le follìe si rasso*
migliano ) è stato usato nella società de' liberi mu-
ratori : quei che vi s' iniziavano erano esposti a
simili minacce , ai nudi ferri , al fuoco ec. (8) • La
mancanza di scrittori greci o latini, che non avreb*
bero lasciato di far menzione di si crudele uso, e la
facile spiegazione che può darsi alPetrusche figure,
d da il dritto di assolver Tetrusca nazione da un
costume , che ha disonorato non pochi popoli .
(6) TertuIL cap. 1 5. De corona :
(7) Sacra mitriaca vero omicidio poUuiL Lamprid. de Ccm*
nodo.
(S) Le fecret dee Francma^oni trahì et revéié. ^
DELL'ISTORIA
DELLA TOSCANA
LIBRO SECONDO
CAPITOLO /.
SOMMARIO
romana concessa agli stranieri. Mecenate . f^icen-
de della Toscana nelTinvasione de* Barbari. Assedio di Fi-
raucm F'alore di Stilictme^ e morte di Radagasio . Alarico a
Boma . Riscatto , e sacco di quella dttà . Regnò di Valentiniom
no. Imprese, e marte di Eùot Fine iM' Impero d Occidente.
Odoaere Red Italia.
J^OQ fa per la Toscana una diagrasia Veaset con-
quistata dai Bomani. Questa nazione veramente
grande e nelle armi , e nel consiglio , uni e imme-
desimò con se stessa non solo la Toscana , ma passo
passo r Italia intiera^ e in seguito molti de' vinti
popoli. Acquistarono le città italiane le prime ^ i
diritti della romana cittadinanza; e i vinti parteci-
parono dello splendore e della gloria dei vincitori •
Questa era la più saggia maniera di tenere fedeli
ed obbedienti le vinjte nazioni • Divenivano esse
gloriose del nome di cittadino romano, potevano
sperare di eguagliare i più raggiiardevoli abitanti
di Roma^ ed erano perciò interessate ai vantaggi^
e alle grandezze di quel governo. Fu questa una
i8a LIBRO SECONDO
delle più poteati cause dei rapidi progressi » e del
solido stabilimento del romano Impero. La piccola
e meschina politica delle greche repubbliche » con-
servando con gelosa vanità il genuino sangue del-
Tantiche famiglie^ e sdegnando di associarvi le
estranee /impedì loro di prendere quel vigore, a
xui crebbe la romana. Sparta, ed Atene restarono
sempre nella loro piccolezza, e dopo una breve
epoca luminosa, andarono languidamente decli-
nando. Roma associò a' suoi interessi gli uomini più
grandi, nàti anche fuori del suo seno: arrivando
essi senza ostacolo fii primi gradi nella Repubblica,
e nel principato, o le prestarono interes«inti ser-
vigj,o la illustrarono colla celebrità del loro nome.
Tra quelli che Roma ha tratto dalla Toscana, ve
ne ha uno troppo illustre , per essere lasciato in
oblio dà un Toscano • È questi Cilnio Mecenate , la
di cui famiglia onorò la città di Arezzo (t). Discen-
dente dal regio sangue, ma privato personaggio,
superò la celebrità dei Re suoi antenati: il di lui
nome è congiunto coi più illustri nomi della nazione
(i) Tutti gli scnttori in versi, e in pron Io fanno
dalla stirpe reale degli antichi Re di Toscana , e nominatamente
da Cilnio Mecenate Re dej^li Etruschi, ed Aretino, che regnò in
Arezzo 400 anni avanti a qaesto suo celebre discendente. (Dem*
ster* Hetruria regal.) La casa Cilnia è nominata da var) scrittori
come ragguardevole in Arezzo ne' tempi dell' antica Etruria, come
in quelli in cui fa sotto il governo di Roma; Livio, lib. 10. A-
truriam rehellare ah Arretinorum moiu orto nunciabatur «6t
Cilnium genus praepotens etc, n indi » Seditionihus ArretinO'
rum compositis, et Cilnio genere cum plebe in gratiam reducio •
Silio Italico 9 Pun. L 7.
Ocius accitum captivo ex agmine poscit
Progeniem j rituique ducis, dextraeque labores
Cilnius Arreti tjrrrhaenis ortus in oris
Clarum nomen erat, sed laeva addiixerat hora
Ticini fuvenem ripis etc.
CAPITOLO PRIMO i83
pia grande. Aagasto, Mecenate , Virgilio, ed Orasio
si nominano quasi sempre insieme y e si danno, e
ricevono scambievolmente maggior luce dalla loro
aoione (s) • Il nome di Mecenate è divenuto comune
ai protettori delle lettere e delie scienze, ma assai
volte è male applicato. Mecenate poteva proteggere,
perchè sapeva apprezzare le lettere; egli era dotato
di quel gusto, e di quel delicato tatto che ne sente
le vere bellezze: senza si fatte qualità non si pos«
sono proteggere utilmente le lettere, giacché le
mediocri, o cattive produzioni premiate, mentre il
vero merito ò trascurato, scoraggiscono più della
totale e fredda indifferenza , onde questo nome è
spesso profanato, e pochi somigliano a Mecenate. I
più grandi Sovrani non hanno mai ricompensato
con tanta generosità i letterati, né li hanno mai
tanto onorati quanto esso • L' amico d'Augusto non
•degnò sedere sovente con pochi dotti amici alla
sobria mensa di Orazio. Senza Mecenate forse il
(a)V piii grande Imperatore» il pih potente de'snoi conG^enti
non sdegoarono di trattare con familiarità il figlio d' un libertino,
ed an nativo delle campagne di Mantova , Orazio , e Virgilio . Au*
gusto sederà spesso tra loro : Orazio era Hppo> Virgilio asmatico,
onde Augusto scherzando con essi dicea talora : Io mi trovo tra le
Ugrìme, e i sospiri • Non si può negare che 1* amicizia di questi
nomini grandi , e i di loro versi non abbiano gettato sul di lui ca-
rattere un lustro che, abbagliando, non lascia ben vedere le sue
cniddtà, e la sua tortuosa politica ; giaechè pochi sono quei, che
Conoscono i saoi difetti, e quasi tutti conoscono i versi di quei
gran poeti , sì che con ragione ha scritto l'Ariosto :
Tfonfu sì giusto, e sì benigno Augusto
Come la tuba di Virgilio suona ;
V avere avuto in poesia buon gusto
La proscrizione iniqua gli perdona .
Angusto era , come Mecenate, scrittore anch'esso, dotato d'ottimo
criterio , e capace di conoscere i difetti delle sue stesse opere :
aveva scritto una Traeedb l* Aiace ^ di cui non era contento, e
1>Qrciò la condannò ali oblio. Interrogato dagli amici So di esitar,
nspoie, H0 ingojato la spugna •
i84 LIBRO SECONDO
Cantore d'Enea sarebbe restato ndl'oscurità, e nel-
la miseria (3). Augusto fece sempre sommo con-
to di lui^ cke insieme con altri rispettabili per-
sonaggi, più volte s'interpose tra esso, ed Antonio,
e sedò le nascenti gelosie dei due ambiziosi riva-
li (4)* Nel tempo difficile delle guerre civili , Au-
gusto diede a Mecenate il governo di Roma e del-
l'Italia, ed ei gli fu sempre fedele, ed utilissimo
servitore in pace, ed in guerra (5) • Fra tutti i swÀ
cortigiani pare^che osasse più degli altri dirgli con
francbezza la verità; ed è degno di somma lode ao<
che Augusto per aver sofferto con paziensa le se-
vere, e talora anche dure riprensioni dell' amico (G).
(3) Paneg. in Pìsonem.
Ipse per Ausonias Aeneja carmina gentes
Qui coniti ingenti qui nomine pulsai Ofympum,
Meoniumque senem romano provocai ore,
Forsitan illius nemoris laiuissei in umbra
Quod canit, ei sterili tantum cantasset avena
Ignotus populis , si Mecenate carereU
Martial. Epigr. lib. 8, Ep. 56.
Jugera perdiderat etc.
Vedi Probo grammatico , in vita Virgilii etd.
I ^ KeltempodbeAagustoper ristabilire la salateiiodeboliu dalle
I fatiche dì corpo > e di spirito neU*iiltima guerra eon Antonio respt-
' rava l*aria salubre di Atella nella Campania, Virgilio, condottovi da
Mecenate « gli lesse in quattro giorni le sue Georgiche; e quando
la debolezza del petto cu Vitello non gli permetteva di seguitare»
ne proseguiva la lettura Mecenate stesso . V. Vita Virgil. d' inceilo
• Autore attribuita a Donato :
(4) Appianusr Hor, Sat. 5. Kb. I.
» Huc venturus erat Maecenas aptimus > atque
^ Cocce] US missi magnis de rebus, uterque
» Legati, aversos soliti componere amicos,
(5) Tacito lib. 6. Anna!.
(6) Sedendo un giorno Augusto in Tribimale , presente Mece-
nate, et accorgendosi questo, che irritato Augusto stava per con-
dannare molti alla morte, non potendo penetrare la foUa, che lo
circondava, scrisse queste parole 5{crge pero tandem Carni/ex^ e
gettò lo sceitto in seno di Augusto, che avendolo letto, s'alato senza
pondaanare alcuno »Dion» lib. So. Zonnaras. Ann. fom. 3. Cedre-
nus in histor.
CAPITOLO PRIMO i85
Si accorae con dolore dopo la di lai morte quanto
avesse perduto^ quando pentitosi di avere nel bol-
lore della collera, coi castigo troppo solenne di Giù-
lia, propalate le vergogne della casa, asserì, che se
fosse Yissato Mecenate, quest'uomo probo gli avreb-
be francamente detto quella verità, che niuno ave-
fa osato (7). Se è vero che, contro al sentimento
di Agrippa, egli consigliasse Augusto a non lasciare
V impero vedeva da gran politico l'impossibilità che
Roma tornasse Repubblica; onde rabdicazìone d'Au-
gusto poteva prima risvegliare delle guerre civili in*
di dar luogo a un pessimo successore (8). Non solo
amò di proteggere le lettere, ma entrò anche nel
rango delli scrittori in versi, e in prosa: i suoi Dialo»
gbi rammentati da un antico grammatico (9), il suo
Prometeo lodato da Seneca (io), lo fanno conoscere
per elegante e giudizioso scrittore • Seneca ha con^
servato un verso, che ci mostra quanto il di lui fi-
losofico spirito fosse libero da quei pregiudizj, per
cm la superstizione, o l'orgoglio attaccano tanta
importanza alla tomba (ii)« Queste grandi qualità
possono fargli perdonare alcune piccole macchie.
Si accusa di essere stato assai molle e ricercato nella
persona , a segno di passare per effeminato, e di aver
dato un nonie poco onorevole ai soverchiamente de*
(7) Senec lib. 6. De heneAc
(S) Bion.Xiphìliii. ec. Nella tragedia U Cinna & P.'Gomeille^
Cùma 9 e fiiaaeimo , che sì lanno dal poeU rappresentare le parti
di Mecenate e di Acrìppai trattano d*aTanti aa Augusto la questio-
ae di abdicare^ o ritenere T impero con profonditi t ed iu^pgao
d^i del più gran publicista «
(^) Sosipater Cbarisiof <
(10) Seoecepisb 19.
(1 1 )2Vec tumulum curo, MCpelii natura relictos. Senec^epist.gS.
i86 LIBRO SECONDO
licati^ che Mecenati in seguito si appellaroDO (is).
Ma questo è svanito; e il nome di Meoenale è restato
|)er disegnar solo i protettori delle lettere. Della
stessa moliesza^e ricercatezsca ^ che aveva nella per-
sona fu accusato il suo stile; ma non essendo a noi
giunte le sue opere, non possiamo giudicarne* Non
furono Orazio y e Virgilio i soli dotti amici di Me-
cenate: Properzio (iS), Lucio Varo (14) scrittore
di tragedie^ lodato da Quintiliano (i&)> Domizio
Marso scrittoi'e di epigrammi (16)^ ne accrebbero il
numero; né fu in Roma alcuno eminente letterato,
di cui Mecenate non si facesse gloria di ricercare
l'amicizia (17). Come nelle altre cose, era delicato
nella mensa , e la ricercatezza delle vivande vi fece
ammettere de' cibi assai singolari (18). Fu molto
infelice negli ultimi tre anni della sua vita : una
febbre lenta lo andò consumando; era accompa*
(la) Juven. Sat la.
Praecipitare volens, etiam pulcherrima, vestem
Purpuream teneris quoque Maecenatibus aptam,
(i3) Lib. a Eleg. 6. et alibi.
(1 4) Paneg. in Pisonem. ^
(i5) Lib. 10, Gap. i.
(16) Martial. lib. 7, Ep. 4*
(1 7) Manca solo a quesU lista il nome di Tibullo^ il quale pro-
babilmente volle vivere , lontano dal tumultuoso vortice delle cor-
ti, in una tranquilla povertl^ come si deduce dai suoi versi ( Eleg. 1.
Lib. I.)
Divitias alius etc.
Me mea paupertas vita traducat inerti
Dum meus exiguo luceat ime focus .
(iS) Fra le vivande singolari può contarsi la carne di asino
gmvane . Plin. lib. 8, cap. 43. PuUos asinorum epulari Maecenas
instituit multum eo tempore praelatos onagris. Gli asini selvatici
furono in uso» come cibo delicatissimo, alle mense dei Re Persia-
ni . Teophilac. Simocata lib. 4- cap. a. Anche in oggi si nutriscono
a bella posU gli onagri per la mensa dei re di Persia • Adam. Olea-
i-ius, Itmer. Pers. p. a. Antonio Pratense, Cancelliere di Francia,
usò r iftesso cibo. Joan. Brojerìn de re cibaria.
CAPITOLO PRIMO 187
gnata da un terribile sintonia, cioè dalla mancauza
totale dì sonno 9 unico sollieTO nelle malattie del
corpose della mente: né 1* artificiale mormorio deU
r acqne , né la musica furono capaci di conciliar-
glielo (19); e se non è eaagernto il racconto, ^isse
tre anni in questo stalo (oo) . Si ' dice eh' egli era
però tanto attaccato al)a vita /che andie «i misera-
bile, non avrebbe amato perderla , benché cosumato
dai pia atroci tormenti (ai) .' Morì finalmente dopo
tre anni di languore, e con le ultime parole racco*
mandò ad Augusto il suo amico Orazio (sa). L*ami-
co Orazio aveva bramato di non sopravvivere a Me-
cenate; il cielo esaudì in gran parte i suoi voti/non
essendo sopravvissuta:più di tre mesi (a3), 0 le sue
ceneri furono portate, eulicolle Esquilino a riposare
accanto a quelle dell'amico (24)* I difetti di Mece*
nate sono piccoli nei; e simili alle macchie leggiere
d'un bel quadro, che facilmente si tolgono, e vi re-
sta il bel colorito; così il tempo gli ha cancellati, e
resta il di lui nome immortale (36) •
La Toscana , divenuta parte dell' Impero roma-
no, fu soggetta alle vicende di questo gran corpo.
Parte poco considerabile di un gran tutto , per moU
te tempo appena è nominata neir istoria : comincia
ad uscire dall'oscurità quando la più gran parte
delle città italiane divennero repubbliche , cioè do-
do la metà del dodicesimo secolo . Per questo tratto
(19) Sencc, lib. de provid. cap. 3«
(10) PlÌD. lib. 7» cap. 5i.
(ai) Senec. Epist. loi.
(aa) Svet. in yita 13.orain,Horatii Flacci, ut mei, memor esto,
(33) Dion* Uh. So.
(34) Svet. in Horat. vita .
(35) Si perdonerà facilmente ad un toscano questa digres-
sione.
i88 LIBRO SECONDO
di tempo ebbero luogo delle graodi rivolàtioni 4
Dalla ruma dell'Impero romano comincia per Tlla-
lia una serie delle più grandi srentnre aotto il go^
yemo dei Barbari , dalle quali non respirò fino al-
l'estinadone del loro regno. Quantunque T istoria di
cui ci occupiamo I no^ riguardi quel tempO| in cui
la Toscana miserabile e oppressa 1 come tntte le
altre provincie d'Italia , non è che di' rado nomina-'
la y e solo per lo più per qualche sventura^ tì sono
però in questi undici secoli alcuni avvenimenti^
che precedettero il suo più regolare governo , troppo
grandi per esser trascurati « Di questi perciò &rc«io
un breve quadro prima di venire alla sua partico-
lare istoria. Tali sono la ruina dell'impero d' Occi-
dente, il regno dei Goti^ la distruzione di esso^ lo
stabilimento dei Iioogobardi^ k ruina ancor di que-
sti ^ e la nascita del nuovo impero d'Occidente sotto
Carlo Magno y che- nen portò tuttavia maggior tran-
quillità a questo desolato paese.
Terminate le civili convulsioni^ con cui sogliono
estinguersi le repubbliche^ e stabilito il principato^
vi fu un tempo considerabile in cui la numerosa
popolazione di quel vasto dominio visse pacifica e
tranquilla. Un illustre moderno scrittore (26) ha eoa
molta probabilità asserito che se si dovesse cercare
negli annali del genere umano l'epoca , in cui una
parte più numerosa di uomini (37) è vissuta più
felice^ converrebbe ricorrere ai primi tempi dell'Im-
pero romano , poco dopo il suo stabilimento . I con-
fini n' erano difesi dalle legioni ^ e dal terrore del-
(a6) Gibbon's ofthe historjr of decline andJalL ee.
(37) L'Impero romano non comprendeva meno di 1 ao milio-
ni dì abitatori .
CAPITOLO PRIMO 189
l!apmi romane, e perciò rispettati dai Barbari; le le-
gioni tenute in freno dalla saviezza del Governo non
avcano acoperto affatto il segreto d'essere T arbitro
deirimpero; la cultura dello spirito, e le arti so-
dali erano state dai vincitori comunicate ai vinti ;
1^ leggi erano savie : e quantunque il prepotente
arbitrio dei governatori potesse violarle, non dovea
dò aver luogo troppo spesso, e con troppo mani-
festa ingiustizia , come avverrebbe in Oriente ; giac-
ché una nazione istruita sente più vivamente, e
trova i mezzi di far giungere al trono più agevol-
mente i suoi gravami . Quasi per un secolo fu go-
vernato r Impero da una successione di saggi e
virtuosi Imperatori; e Nerva, Trajano, Adriano;
e i due Antonini, sono ancora nominati tra i più
grandi benefattori del genere umano. Anche nel
tempo, in cui il governo iu in mano di un Tibe-
rio, di nn Caligola, di un Nerone, la massa dei
sudditi romani godeva i vantaggi delle savie leggi ;
e la crudeltà, la foIHa di questi mostri si stendeva
solo ad alcuni individui, che per la loro nascita,
ed impieghi godevano il pericoloso onore di avvici-
narsi troppo al padrone. Ma questi tempi di calma ,
e di felicità introducevano insensibilmente nell'Im-
pero i semi della sua ruina , che inosservati anda-
vano lentamente maturandosi. Le barbare nazioni,
superiori ai Romani nella forza fisica, eguali nel
coraggio, erano state soggiogate dalla superiorità
dell'arte militare: questa si rilassava tra i Romani
nel tempo, che si perfezionava dai Barbari; la
mollezza dei primi , fece riguardare il mestiero del-
l'armi come faticoso, e fu ceduto di buona voglia
ai stranieri , che gl'Imperatori arruolavano volen-
ìgo LIBRO SECONDO
lierì nelle legioni , giacché da essi più che dai na-
zionali potevano sperare un sostegno. Questi peri-
colosi ausiliarj s'istruirono di tutte le finezze della
tattica romana ^ e le comunicarono ai loro paesani :
mentre questi si agguerrivano^quelli più si sneryaYa*
no, a segno che nei tempi dell' Imperatore Graziano
giunsero a deporre, come peso soverchio, la ferrea
armatura (a8). Scoperto il pericoloso segreto della
debolezza romana, non fu difficile a quelle nazioni,
invitate dalla dolcezza del clima, dalle ricchezze,
e dai loro compagni, di attaccarla con successo:
tuttavia un Impero cosi potente, e che avea gettate
radici si profonde resistè, per dir cosi, colla sua
forza d'inerzia per molto tempo. L'antico valore
latino, eccitato dalle disgrazie, si risvegliava talora
in petto d'Imperatori, e di abili condottieri ; e nelle
campagne d'Italia, di Francia, di Grecia, più volte
restarono vittime della loro stolida ferocia innuoie-
rabili osti di Barbari, L'Impero romano non cadde
che dopo molte replicate scosse, e lottò più secoli
anche nella sua debolezza contro moltiplicati ne-
mici. Uno di questi avvenimenti è degno di es-
sere rammentato nell'istoria di Toscana , come assai
glorioso alla città di Firenze . I figli di Teodosio si
erano divisi l'Impero . Onorio governava quello
d'Occidente, principe debole di carattere come di
temperamento, privo di passioni, e per ciò di ta-
lento, senza vizj, e senza virtù. Era perciò rOcci*
dente in suo nome governato da Stilicene, che può
contarsi come uno degli ultimi Generali romani:
pieno d'ambizione, e di valore, e forse il solo ao-
(aS) f^egetius, de re milit
CAPITOLO PRIMO 191
stegno del cadente Impero , giustificò colle sue im-
prese la scelta di Teodosio^ che con dargli in sposa
la sua figlia addottiva Serena ^ avvicinandolo al tro-
no^ lo avea interessato alla difesa di quello^ e i
viacolr si erano accresciuti pel matrimonio della
figlia di Stilicene con V Imperatore stesso. Si era
già abbastanza segnalato questo Eroe contro i Goti
condotti da Alarico^ che prima nella Grecia^ e nei
boschi d'Arcadia (29)^ aveva ridotti a mal partito^
e poscia in ItaUa replìcatamente disfatti nelle san-
guinose battaglie di Polenzia, e di Verona (3o).t
Dopo breve respiro fu T Italia inondata da una ^■^*^'?
mensa turba di Barbari^ mossi dalle settentrionali 406
parti della Germania in cerca di stabilimento, o
rapina. Tale avvenimento^ che interessa special-
mente Firenze, è quasi una scintilla luminosa, che
getta tra tante tenebre questa nobile città, ed un
preludio delle sue glorie future • Componevano quel-
l'esercito, volontario di varie nazioni. Vandali,
Svevi) Alani ec. riuniti sotto la condotta di Rada-
gasio. Tble era lo sconcerto deirimperio, si mal
guardate le frontiere, che questa poderosa oste pe-
netrò senza ostacolo nel cuore dell'Italia. Molte
città furono saccheggiate , e distrutte ; e men-
tre Roma, e il Senato tremavano j ed Onorio si
chiudeva in Ravenna, che le paludi, onde era al-
lora cinta, rendevano inespugnabile; la sola città
di Firenze resistè con eroica costanza all' impeto
ostile, e ne consumò con lento assedio la forza. Ri-
(39) Zommus » lib* 5. GlancL de bello Ostico.
(3o) Sigon. deRe^no Italiae Mutai. Ann. d'ItaL, Claud, de
MoGetìco: i Testìgj di Polenzìasi Teggooo aS miglia al sud-est
di Torino: Cluven Ital, antiq.
193 LIBRO SECOKDO
Anni dotta air ultime estremità^ fu soccorsa da Stilicone
di R. alla testa dell' armata imperiale. Gli avvenimenti
non aono distintamente narrati (3i). L'esercito dei
Barbari 9 comandati non dal solo Radagasio, ma da
due altri Gapi^ non formava un corpo animato da
una sola volontà^ ed era più forte pel numero^ che
pel valore dei combattenti : una parte solo di essi
formò l'assedio di Firenze. Stilicone ^ che era pa-
drone del paese^ e ne conosceva {Perfettamente il
locale^ pare che chiudesse tutti i [lassi ^ onde pote-
vano portarsi i viveri al campo di Radagasio , ed in
tal guisa convertisse gli assediatori in assediati (S^).
Gli affiamati Barbari dettero i più furiosi assalti
all'assediata città: resistè essa intrepidamente; on-
de furono quelli costretti alla fine dalla £ime a ren-
dersi a discrezione. Radagasio fu trucidato; la mag-
gior parte de' vinti ^ scampati dalla fame e dal ferro^
furono venduti schiavi « e l'eroica difesa dei Fioren-
tini salvò Roma, e l'Italia. Vi restava però ancora
una gran parte di questo esercito sparso per l' Ita-
lia, e bastante a ruinarla : atterriti costoro dal &to
dei loro compagni pensarono più alla ritirata, che
(3 1) Oros, et Jugust.
(Sa) Si vede che questa era ta sna maniera di guerreggiare :
così avea chiosi i Goti in Grecia sul Monte Pholo presso al fiume
Peneo ; che per neglìgenta » gli scapparono di mano : cosi di nuo-
vo avea stretto Alarico su i monti ai Verona, miando temendone
forse il valore, animato dalla disperazione» concludendo un accora
do, lo lasciò partir libero. Dalle parole di Orosio si può congettu-
rare che il corpo principale dell' armata nemica fosse sul monte di
Fiesole « In arido et aspero montis jugo » In ìtnum oc panmm
verticem » La situazione di questo monte, circondato da momti pia
alti , e di Firenze cinta da una serie di colline , gì' intervalli delle
quali» e le gole de'pib alti monti potevano essere agevolmente
serrate» rendevano pid facile siffatta operasione • Zosinu iik* 5.
MfarceUin.et Prosper. Chron.
Dm
G4P1T0L0 PRIMO ìq3
alla vendetta^ e la prudenza di Stil icone non cre-^
dette opportuno impedirla . ^"q]
Ma ormai il fatai segreto della debolezza roma- 4o6
na^ era troppo conosciuj;o, debolezza ^ che andava
crescendo^ perchè ristesse cause operando senza iu^
terruzione^ gli effetti divenivano sempre più gran-
di, e più sensibili: i Barbari^ che avean gustato una
volta le delizie^ e i tesori d* Italia^ benché talora
respinti, vi tornavano con maggiore alacrità , spe-
cialmente quando mancavano alle armate imperiali
Condottieri, che eredi del valore latino, supplisse-
ro colla capacità alla debolezza delle truppe. Cosi
appunto ruinato dalle cabale della corte di Onorio^
e poi ucciso Stilicone, l'Italia, e Roma non ebbero
più difesa: ritornò il feroce Alarico (33), e non più
trattenuto da quell'Eroe, giunse alle mura di Ro-
ma , popolatissima , ma troppo ricca , e perciò am* 408
mellita dal Jusso . Nei tempi della sua povertà, e
virtù, con assai meno popolazione avea mirato in-
trepidamente le sue mura cinte dai Galli, e dai
Cartaginesi , ed avea saputo con eroica costanza
trionfare: ma i tempi erano tanto cangiati, che una
città ^ che comprendeva almeno un milione di ahi- 409
tatori^ si riscattò dalle armi de' Goti con tutto Toro
ed argento, e preziose spoglie, che piacque ai Bar-
bari di domandare (34)* Fu piuttosto accesa, che
saziata l'avidità de' Goti da queste concessioni: ri-
tornarono poco dopo con mendicati pretesti a Ror
ma, a cui fu dato il sacco (35), ed esposta a tutti
gli orrori che la militar licenza si crede permessi:
(33) Zosim. lib. f).
(34) E' singoiare che tra V altre domande dei Goti , ?i fa quel
b di tremila libbre di pepe .
(35) Procop. 1. I .
yw/iu i. i3
\
,▼
194 LIBRO SECONDO
"co6Ì undici secoli dopo la sua fondazione, questa
jiCL superba citte ^ che avea dominato sulla più bella
4^0 parte del globo, rimase preda de' Goti, e furono
smentiti tanti pomposi vaticiuj e dei pagani pro-
feti, e dei poeti, che le promettevano un'immorta'*
le possanza. Intanto Onorio, che gì' intrighi di cor.
te avevano privato del solo uomo atto ad arrestare
la comune mina, incapace di riconoscerei torti dei
di lui nemici, insensibile ai pubblici mali, privo
quasi c^ regno, se ne stava chiuso tra le mura di
Ravenna, meno infelice, perchè dovea alla sua stu-
pida imbecillità, più che alla fermezza d'animo,
l'indifferenza a tante sventure. Finalmente, morto
Alarico, il torrente ostile abbandonò l'Italia, e tor-
nò per mancanza di contrasto, in mano al debole
Imperatore il suo regno.
L'Impero d'Occidente durò a sostenersi ancora
pel valore di qualche illustre condottiero, che tratto
tratto pareva sorgere quasi dalle ceneri dell'italia-
no valore; ma è un doloroso, e a un tempo istrut-
tivo spettacolo, il mirare quanto spesso i princìpi
sacrifichino alla gelosia o propria o de' loro adula-
45a tori, la salvezza del regno. Stilicone, che aveva
salvato l'Impero, e poteva salvarlo ancora, fu vit-
tima della cabala di corte. Un altro illustre guer-
riero, il celebre Ezio, difese anch'esso l'Impero di
Occidente col suo ingegno, e coraggio sotto un Im*
peratore imbecille al par d'Onorio, e n'ebbe la
stessa ricompensa. Son note l'imprese d'Attila, il
di cui nome suona ancor con orrore alle cristiane
orecchie (36) • Air invasione degli Unni da esso
(36) Questo feroce barbaro amava la lode» ma disprenava
r esagerazione . Il poeta liarullo gli presentò in Padova uo poema ,
CAPITOLO PRIMO ijjS
guidati y iV tìmido Valentioiano si apparecchiava a "^
fuggir d* Italia: era l'Impero sfornito di difensori, aic!
Esio con una rara attività potè riunire iusieme^ as- 4^^
sociando agi' interessi dell'Impero anche quei dei
Goti^ che si erano stabiliti in Linguadoca^ una trup.
pa capace di £ir fronte agli Unni. Forse un esercito
sì numeroso non ayea mai invaso le romane pro-
vÌDcie, forse non fu data mai più gran battaglia di
quella y che in Gharapagna nei campi Catalauni (37)^
avvenne tra i due eserciti, che durò circa a due
giorni (38) . Gli Unni ebbero la peggio ; e furono
obbUgati a ritirarsi; e Tesagerazioni che si leggono
di 3oo mila uccisi, se non possono ammettersi dal
saggio critico, servono però a mostrare un'orribile
strage. Pure il liberatore dell' impero^ Ezio, ebbe
la sorte di Stilicone; e siccome essendo Tidolo delle
truppe era pericoloso il farlo arrestare^ l'ingrato^ e
imprudente Valentìniano fece egli stesso da carne-
fice; nel tempo, che Ezio stava seco parlando, tratta
improvvisamente la spada ^ gliela cacciò nel seno.
Vi fu pure nel treno dei cortigiani qualche anima
assai libera da dirgli che in questa azione colla ma*
DO sinistra si era tagliato la destra . Le truppe, che 4^6
adoravano Ezio, non tardarono ad ammutinarsi, e
trucidar l'Imperatore.
Ma la finale ruina dell'Impero d'Occidente era
eh* d non uitendeTa. Quando seppe dagrinterpetri che lo fiiceva
iiioendere dagli Dei, e chiamava lui stesso un Dio» t'adirò a segno
da ordinare , che il poema e l'Autore fossero gettati oel fuoco : gli
perdonò poi pensando , che questa severità avrebbe alluotanato gli
ahrì scrittori da tesser le sue lodi : Callimacus Exper, in Vita dt»
tiUe^ Si paragoni il bium senso del Re degli Unni, colla vanità di
Alessandro Magno » che voleva esser creduto figlio di Giove » e con-
aderata on Dio •
(37) Presso Glialons.
(38) Jornandes, de rebus Geiicis, cap. 36. 4i*
196 LIBRO SECONDO
"7 riserbata ad Odoacre (39). Nato nel Norico^ edu*
dìc. <^to però in Italia , teneva uno dei primi posti fra
4?^ quei stranieri mercenarj^ che T Impero pagava per
la sua mina. Alla testa di questi soldati, che di
difensori divennero presto nemici, distrusse gli avan*
zi dell'impero d'Occidente, e prese il nome di Re
d'Italia. L'ultimo dei degenerati Imperatori fu Ro«
molo Augusto, che per un bizzarro accidente riunì
due nomi illustri, cioè del fondatore. di Roma^ e
del fondatore dell'Impero; e che per scherno fu
appellato Momillo Augustolo. Era cosi disprezzato,
che Odoacre non credè pericoloso il lasciarlo in vi-
ta • Il deposto Imperatore fu relegato sulla deliziosa
collina di Miseno, villa prima modesta di Mario,
poi sontuosa di LucuUo, indi degl'Imperatori, che
vide morire Tiberio, e che, passando per varie vi-
cende, dopo essere stata abitazione di questo de-
gradato Imperatore, divenne in seguito un santua-
rio ed una fortezza , ed è ora un nudo colle, che
coir amenità del sito fa fede dell'eleganza e del
gusto degli antichi Romani.
È invalsa una moda, in specie fra gli scrittori
francesi , di considerare il governo romano come ti-
rannico, ed oppressore delle altre nazioni, perchè
fece suo unico oggetto l'arte della guerra, e domi-^
nò su tanta parte del mondo colla forza delle armi ;
ma un saggio osservatore, che abbracci colla men-
te le rivoluzioni di molti secoli , assolverà facilmente
dall'accusa quel popolo generoso. I Romani non solo
conquistarono, civilizzarono ancora i vinti popoli:
inoltre lo stato di guerra, in cui l'istoria dei passa-
ti eventi ci mostra che sono state sempre e saranno
(39) Theoph. Gassid. in Chrouic.
CAPITOLO PRIMO 197
le oasioni^ ci pone avanti agli ocelli quanta ragione
areasero i Romani di porsi in istato di conquistare ai e.
per non esser conquistati. Veramente^ appena per* 4?^
duta la superiorità delle armi^ ecco Roma^ e rita«
lia preda de' primi feroci occupanti > ed esposta a
quelle calamità^ che il valore dei suoi figli avea per
tanti secoli tenute lontane. Quantunque gravi fos-
sero quelle finora sofferte^ da questo momento co-
mincia una serie dei più tristi avvenimenti per gli
infelici Italiani. Odoacre^ primo R<e d'Italia^ ci si
dipinge come savio ^ moderato^ clemente^ e rispet-
toso pei riti religiosi degli abitanti^ ne' quali non
fece alcuna innovazione • Ad onta però di questo
carattere» è sempre trista la sorte de* vinti: un ter-
so delle fertili campagne d'Italia dovette cedersi ai
vincitori (40)9 dei quali neppur esso poteva talora
frenare T insolenza^ e che credevano donar quello,
che non toglievano . Estinte le scienze , e le lettere
(eccettuate l'arti le più grossolane indispensabili
anche ai barbari ) tutto ciò che è figlio dell'elegan-
za ^ e del gusto , e che teneva occupate, e nutriva
tante mani, era aflfatto perduto; le campagne dere-
litte, e perciò sterilii L^ opulenza dei nobili roma-
ni, che per fino al sacco di Roma aveano possedute
immense tenute in Aflfrica, e in Asia, e che alimen-
tavano l'ozioso popolo di Roma, «era svanita. L'Af-
frica, nutrice già dell'Italia^ era separata dall'Ira*
pero di Occidente: qu^l poco, che produceva il mal
colt-ivato suolo, era caduto per la maggior parte ai
vinscitori; onde ta fame, e la desolazione spopolava*
ho iquesto paese una volta sì felice «
(4o} Proeop^ Kb. i*
200 LIBRO SECONDO
. di avere intorno chi le possedeva : la stima che egli
di e f^^^ ^^ Gassiodoro , il piò dotto uomo dei suoi tempi
4^8 (]a lui eletto segretario^ il piacere, che prendeva
nella sua compagnia>y usando di farlo parlare di
quelle notizie scientifiche che si aveano in quel
tempo 9 l'averlo inalzato alle cariche piò distinte,
lo provano abbastanza « Anche il disgraziato Seve-
rino Boezio insigne filosofo, ed elegante scrittore
godè per molto tempo il favore di Teodorico , e fu
inalzato ai primi onori: se ne incorse poi la disgra-
zia /diede forse motivo all'altrui calunnie co' suoi
arditi, ed imprudenti discorsi (6), Fu racchiuso
per molto tempo nello squallore d' una prigione in
Pavia, e poi crudelmente fatto morire^ Il suo
lib. (7) scritto tra le tribolazioni , e V orrore della
carcere per cercare appunto il balsamo alle sue pia-
ghe da quella filosofia che promette più di quel che
mantiene , desia V ammirazione di chi considera i
tempi ne' quali fu scritto • Una viva , ed elegante
immaginazione , ha vestito di colori poetici le mas-
sime Stoiche: non perde questa opera a confirouto
d^i più lavorati scritti di Seneca; e, se si prescinde
dalla ^magia dello stik del Padre della romana elo*
quenza , può stare accanto ai di lui filosofici scritti»
Nà è maraviglia ; poiché era stato educato Boezio
nelle scuole d'Atene, ove s'insegnavano ancora
quasi per Uradizione. i sentimenti de' filosofi d^li
aurei tempi di Grecia *
ove er« intagliato, come snol direi , a giorno il ano nome: scor-
rcndo colla penna negli spàzi ^rooti della lamina scmieTa il auo
nomel. >
(6) Vales. Fj*ag. il.
. >• ('7)Decon»ilat.Philo8efliiae. ^ • ^'
CAPITOLO SECONDO soi
Regnò Teodorìco in Italia trentatrè anni : mori .
lasciando una sola figlia ^ la celebre y e disgraziata ^i e.
Amala^unta . Quantunque in questo breve prospetto ^^^
non aia nostro disegno di occuparci dei particolari
avvenimenti^ tuttavia le avventure della bella figlia
di si gran Sovrano meritano commemorazione. Era
essa dotata delle grazie del corpo, e dello spirito : il
padre y che stimava le lettere , la fece istruire in
esse, e lo scenziato Gassiodoro si dette ogni cura
per adornarle la niente : fu per tempo maritata con
Eatarìco destinato al regno: morto però prima di ^
Teodorico , fu dichiarato suo successore il figlio di
Amalasuitta Àtalarico, che non avea più di otto,
ovvero dieci anni alla morte di Teodorico • La ma-
dre, di luì tutrice prese ogni cura per dare al figlio
queir educazione che avea ricevuta ella stessa • I
Goti però disprezzando le scienze, e le lettere, e
credendole indegne di un animo generoso , costrin-
sero la madre a cacciare i maestri , e a dare per
compagni al Re dei giovani Goti suoi coetanei*
Sciolto ogni freno, diedesi in preda con questi al
vino, e ad altre sregolatezze, delle quali mori vit«
tinoa nella fresca età di anni sedici. Àmaiasunta
per l^gi longobardiche era esclusa dal regno : il
suo. partito però fece eleggere Re Teodato scelto da
lei per isposo , che ignaro affatto delle arti del go-
verno, e della guerra, si occupava solo delia rozza
letteratura di quei tempi , qualità atta a risvegliare
il dispregio de' suoi sudditi • Forse questo pregio
determinò la vanità , e il capriccio di Àmaiasunta;
forse anche un più profondo disegno, la speranza
di governare in nome, di un t;iomo incapace. Co-
monque sia , non poteva Àmaiasunta far jpeggiore
2o% LIBRO SECONDO
^scelta . LMograto Teodato y presto tediato degli au-
di G.^^^^^^^ì consigli della sua benefattrice ^ o forse sii-
^^^ molato da qualche confidente ambizioso , la confinò
in un^ isoletta del lago di Bolsena , ove in seguito
fu strangolata sul fiore della bellezza , e della gio«
ventù (8) .
La gloria del regno de' Goti si estinse col loro
gran Re Teodorico: il debole Teodato , impaurito
dalle minaccie dell'imperatore Giustiniano^ che
pretendeva come parte dell'impero, le lontane pos-
\ sessioni d'Italia^ promise dì abdicare il regno: ma
non avendo fatto, né osando di porsi alla testa
delle truppe che doveano marciare per f^r fronte a
quelle guidate da Belisario, ne commesse il coman-
do a Vitige , il quale , dai Goti che sdegnavano on
Re imbecille , fu acclamato loro Sovrano^ ed ucciso
il vile Teodato (9) .
Gl'imperatori d'Oriente si riguardavano come
gli eredi naturali dell' Impero d'Occidente, e per-
ciò il regno de' Goti in Italia era a' loro ocelli
tm' usQrpaziooe .Quelli che precederono Giustiniano
non ebbero ne talenti, né forza per tentarne la con-
quista . Egli ne concepì il progetto, e ne confidò
r esecuzione all' uontio più capace, al gran Belisa-
rio. Era questi uno di quegli uomini, che la natura
fi^rraa di. rado, non inferiore nei militari talenti ai
più grandi Generali dell' antica Roma , piò stima-
bile perchè mancando di truppe valorose, e dei
mezzi per far sussistere le sue , dovette lottare con
mille difficoltà ignote agli antichi Generali; abile
I »
.• [ t (^) Jomac^d. De rebus Geticis[CBjf, 5y.,
(9) Procop. De beUo Getic Iìd/ 1. Cassiodor. Epìs. Sa,
Kb. 10. €c. ' • i '
CAPITOLO SECONDO ao3
nelle arti di guerra, come in quelle di pace, freddo
Del consiglio, fervido e intrepido neir azione, attori (^
a debellar colle armi , e a conciliarsi Tanimo dei ^^5
Tinti, era il più acconcio a compire i progetti di
Giustiniano. Procopio, segretario di queir Eroe, e
testimone oculare, ne ha descritte T imprese ; e se
si Teglia anche creder qualche volta parziale, non
può al più, che aver adoperato un colorito più
\ago nel dipingere i grandi avvenimenti , il fondo
de' quali troppo noto, è attestato da altri scritto-
ri. Belisario si era già segnalato contro i Persia*
ni, e avea terminata una difBcile guerra contro i
Vandali: TAffrica recuperata, e il loroBeGelimero
condotto in Costantinopoli prigione, aveano deco-
rato il suo trionfo. Giustiniano lo inviò in Italia 538
con un' armata , che può parere disuguale a tanta
impresa, giacché non oltrepassava ottomila uomini
tra fanti e cavalli; ma il valore, e la sagacia del
Capitano supplivano alla piccolezza dell' esercito :
parte colla forza , e parte colla dolcezza conquistata
la Sicilia^ indi il regno di Napoli, s'incamminò a
Roma, che gli apri senza contrasto le porte, ri-
guardando i Greci come i liberatori d' Italia • 1
Goti, per arrestare quest' incendio, che minacciava
di distruggere il loro regno ^ adunarono un'armata
di centocinquanta mila combattenti, e si avanzare*
no verso Roma (io)« Belisario, non avendo fbrze da
tener la campagna, si chiuse in Roma, che fu tosto
aai^ediata • Durò .circa ou anno l'assedio; in cui
l'ostinato ftirore* de'Goti da uha parte, e la fermez-
Ba e il valore di Belisario dall'altra, dettero origine
.'ti'' • ' . '
(!•} Per gli «Tvenimenti diqiiesta guerra . V. Prdcop. lib. i.
tCnJomandes De rebus Geticis. Marat. Annah d' It ce.
3o4 LIBRO SECONDO
= ai fatti più illustri . Non la £uDe^ non le iBakttfe
di G. contagiose, non lo scoraggi menta dei Romani, non
^^^ i tradimenti^ poterono Ttncere quest^firoe. Sulle
mura di Roma furono sostenuti da una piccola
truppa attacchi tali, cbe^ e pel furore, e per la
durata^ e pel numero dei morti, e per le conse-
guenze, possono paragonarsi a grandi battaglie (i i ).
L'esercito de' Goti sempre rispinto^ diminuito di
quasi la metà, e dalle armi degli assediati, e dalle
malattie, dovè finalmente abbandonar T impresa «
Questa difesa conciliò una decisa superiorità alle
armi imperiali. &:oraggiti i Goti, in parte si sban-
darono, e r avanzo non fu più capace di resistere
alla vittoriosa armata greca , che accresciuta , at-^
tacco varie città d'altana. Poche ebbero il coraggio
di resistere^ e tra queste Fiesole, naa fu presta
espugnata: passò quindi Belisario a Ravenna, ove
si era chiuso il Re de' Goti. Era Vitige uno dei più
valorosi di sua nazione, g;iacchè eletto da libero
consenso di un popolo, che non pregiava che il va-
lore militare, ed eletto nel tempo del perìcolo, p»-
re nel confrónto si vede quanto era inferiore a Be-
lisario. Vitige si trovava assediato in Ravenna, co-
me Belisario in Roma, Ravenna si stimava assai
più forte di Roma* Gli assediati eguagliavano al-
men<> in numero gli assedi;inti, eppure non si scor-
ge alcuno di quei tratti che distinsero tanto in quel-
(il) In tiD assecHo dato alla mote Adrimay efce consefvata an-
cora i suoi ornati, furono gettate su i Barbari le statue^ le colonne r
e tutto ciò clic si presentara ai combattenti ^ U Fauno , cbe dor-
me» nel palano Barberini fu ritrovafa nello scaro de' Unni di onel
Castello gettatovi probabilmente in quell' occasione • Jngmiut
Bargaeus De aedific. Urbis Romae wersoribus . Thesétu, apud
Anni
SECONDO ao5
lo di Roma il greco valore* Ravenna finalmente fu
obbligata a capitolare, e il Re de' Goti restò prigio- ^"q|
siero di Belisario . Poco mancava alla total con- 539
qaista d' Italia ^ quando il sospettoso Giustiniano
richiamò Belisario col pretesto della guerra per-
siana. È vero, che egli lo avea disobbedito, ricu-
sando di accettare un ignominioso trattato da lui
concluso coi Goti; è vero, che era stato tentato da
essi con T offerta della corona d'Italia; ma la sua
pronta obbedienza, le gotiche spoglie, e il Re stes-
so Yitige, ch'egli condusse ai piedi dell'Imperatore,
furono la sua più bella difesa • Alla partenza di
Belisario si rianimarono i deboli avanzi del gotico
regno: sì elesse nuovo Re Ildibaldo, che fu presto
ucciso (ad); indi Erarico poco degno di esser no-
minato, e finalmente Totila, che colle armi, e col
consiglio ricuperò la maggior parte d'Italia. Invano 546
fu rimandato Belisario senza truppa, senza denari^
senza viveri: il suo solo nome, se non potè liberar
Roma dall'assedio di Totila, fu quello almeno che
sostenne gli avanzi miserabili delle greche forze;
e se si consideriuo le difficoltà dalle quali si trovò
circondato, e gli sforzi d'ingegno, e di valore coi
quali seppe superarle, non apparirà meno grande
in questa poco felice campagna d'Italia, che nelle
sue più splendide vittorie (i3)* Richiamato a Co-
stantinopoli, servì per tutta la sua vita fedelmente
una corte ^ ove tutto il merito si eclissava a fronte^
del favore. Soltanto si ricorreva a lui negli estremi
(la) Io mezzo di nu gran banchetto» una delle sue guardie
die ^ stava dietro 9 irritata per essere stata dal Re maritata ad un
altro una fanciulla da esso amata , gli tirò improvvisamente uu
colpo tale , che gli fece balzar la testa sulla tavola .
(i3) Procop. lib. 3,
io6 LIBRO SECONDO
Spericoli, e passati questi era negletto: fino nella
diC. sua ultima decrepitezza , mentre una scorreria di
^4^ Bulgari e Schiavoni minacciava la città stessa di
Costantinopoli sprovvista di truppa, il tremante Im-
peratore, i deboli cortigiani 9 il popolo tutto rivol-
sero gli occhi all'obliato veterano , che scordatosi
degli affronti) salvò con la sua intrepidezza una
corte ingrata (i4)« Chi crederebbe che dopo que-
st'ultimo y e sì segnalato servigio, si fosse avuto T in-
solenza di mescolare il suo nome ad una cospirazio-
ne o vera, o supposta contro V imperatore? Belisa-
rio fu custodito come prigioniero nel proprio pa-
lazzo, fu costretto a discendere fino all' umiliazione
di giustificarsi* Fu finalmente assoluto, ma dopo
otto mesi terminò una vita piena di gloria, e di
persecuzione. Per la ritirata di Belisario era rimasa
l'Italia in mano ai Goti; e Giustiniano, che appena
avea i mezzi di difendere l'Impero d'Oriente, ane-
lava sempre a quello d' Occidente , e sopra tutto
all'Italia, È cosa comune l'osservare quanto i Prin-
cipi amino conquistare nuovi dominj, piuttosto che
accrescere la forza e lo splendore di quelli , che pos-
siedono. Il vacillante Impero greco erd sempre mi-
nacciato dai Barbari, le scorrerie de'quali insulta-
vano la maestà di Costantinopoir, e ardivano di
avvicinarsele: egli invece di pensare seriamente ad
assicurare il centro de' suoi regni, impiegava i te-
sori , e le armi per recuperare l'Italia. Dopo molti
vani tentativi, affidò l'impresa a Narsete. L'istoria,
che è la maestra della vita, lo specchio dei Sovrani,
e dei ministri, giacché nel passato il più delle volte
da una mente perspicace si legge il futuro, ci mo-
(14) Jgatius Uh. 5. Thophan. Chron.
CAPITOLO SECONDO 307
«tra quanto spesso la sorte de' regni dependa dalla
sceka d'un uomo. Belisario , e Narsete recuperarono ^i e.
successivamente V Italia . Tutto fu inutile senza di ^ 4^
essi: tutti gli ostacoli cederono al loro valore; né la
mancanza di virilità, né T educazione molle e fé*
minile y tolsero a Narsete i pregi di un Eroe. Aveva
già militato sotto Belisario nella stessa guerra; egli
condusse in Italia il suo esercito non grande , ma
valoroso^ e composto di guerrieri di differenti na*
zioni j con marcie maestre costeggiando l'Adriati-
co. Probabilmente tra Matelica, e Gobbio s'azzuf*
fàrono le armate di Totila^ e di Narsete; e dopo
un'ostinata battaglia i Goti furono completamente
battuti 9 e Totila ferito nella fuga, o per mano dei
nemici, o de' suoi, mori, essendogli apprestati in*
Tano tutti i soccorsi. Questa battaglia decise della
sorte d'Italia, poiché, quantunque fosse eletto nuo-
vo Re dei Goti di Teja, uomo valoroso, tuttavia
s'impadronì passo passo Narsete di quasi tutto il
paese , e di Roma stessa , ed in un altro fatto d' ar-
me, che durò due giorni alle falde del Vesuvio,
Teja rimase morto dopo infinite prove di valo-
re (i5): il resto de' Goti stipulò con Narsete un
onorevole ritirata fuori d'Italia. Pare per altro the
0 non mantenessero i patti , o che altri Groti , che
presidiavano alcune piazze , in specie in Toscana,
non ratificassero il trattato, onde non finì la guerra.
Intanto un poderoso esercito di Franchi o eccitati
già da Teja ^ o avidi naturalmente di preda, era ca-
lato in Lombardia • Narsete spedì loro incontro parte
dell'esercito, e intanto si mosse a recuperare la
Toscana . Firenze , Volterra , Pisa gli apersero le 554
(i5) Procop. Uh. 4* Marat* Ann. d'ItaL
9o8 LIBRO SECONDO
: porte; la sola Lucca gli fece aa' oitinata resistenxai
ai e. ^^ cedette alfine ancor essa . Intanto Y esercito dei
^^4 Franchi scorse l'Italia fino in Calabria, ma al fiume
Volturno fa rotto , e disperso da Narsete. Può ri-
guardarsi questa guerra come un' appendice della
gotica , che in quest' anno restò terminata dopo
anni venti , ed estinto il gotico governo , dopo anni
sessantaquattro. L'odio al nome de' Goti fa ralle-
grare il lettore superficiale, quando incontra la mi-
na del loro regno ; ma agli occhi del profondo os-
servatore , questo avvenimento comparisce una ca-
lamità per l'Italia, giacché cominciando ad esse-
re , per cosi dire , amalgamati insieme i vincitori ,
e i vinti, la durezza de' primi conquistatori era
ammansita ; e se allora si fosse consolidata l' Italia
in un governo stabile, e indipendente sarebbe for-
se rimasta tale anche in futuro ; mentre divenuta
suddita di Costantinopoli , oltre la dependenza e i
tributi, essendo sempre debolmente difesa in tanta
lontananza, era facilmente la preda del primo po-
polo intraprendente. Durò Narsete a governare l'Ita-
lia per molto tempo, e non fu occupato che in pic-
cole guerre , che o i Goti restati ancora in qualche
città , o lo spirito d' indipendenza , o i forestieri gli
fecero; e in tutte fu vincitore. Dopo sedici anni , il
suo governo cominciò a parer duro, o che l'avidità
dell'oro lo tradisse, o*che il genio naturale di novità
facesse ai Romani bramare un cambiamento, il Se-
nato di Roma chiese all' Imperator Giustiniano il
di lui richiamo • Se fosse poi vera la disonorevole
ambasciata 'a lui fatta a nome dell' Imperatrice So-
fia (16), o almeno le parole oltraggiose da lei dette
(i5) Raccontano alcuni storici che l'Imperatrice Sofia gli fa-
CAPITOLO SECONDO 20^
pabblicamente^ e che in yeadetta Narsete chiamasse
i Longobardi in Italia , mostrando loro la facilità ^^[
ddla conquista , sarebbe questa una nuova prova ^^4
dei grandi effetti prodotti da piccole cause ^ ed un
avvertimento ai Sovrani di rispettar gli uomini che
hanno reso loro importanti servigj . Comunque ciò
sia fu^richiamato Narsete: temendo egli gl'intrighi
della corte ^ non uscì d' Italia y e morì vecchissimo
in Roma • Egli], e Belisario possono riguardarsi come
gli ultimi Generali del greco impero. An:ibedue
riconquistarono V Italia più col proprio , che col va-
lore delle truppe : ambedue disgraziati alla corte ,
ove le grandi imprese di un Eroe lontano toccano
meno T animo dei deboli principi, che le voci in-
Àdiose di calunniatori presenti . Belisario tuttavia
(Scomparisce più grande di Narsete , che, reso ce-
lebre dalla sola guerra d' Italia , sacrificò alla ven-
detta del primo torto ricevuto gì' interessi del So-
vrano. Una lunga serie di guerriere imprese in Af*
frica y in Persia , in Grecia , in Italia distinsero Be-
lisario. Più virtuoso, e più paziente di Narsete,
non oppose ai suoi occulti nemici, che la franchez-
za, e r innocenza ; né si vendicò de' ripetuti oltrag-
gi della corte imperiale, che con più fedeli servig) :
disgraziato nei domestici vincoli , V infamia , e la
dissolutezza della sua moglie Antonina, degna ami-
ca e confidente dell'Imperatrice Teodora, T invi-
luppò in tanti pericoli , e disgusti, che forse quella
cesse dire , o almeno pubblicamente dicesse , esser tempo che un
eonoco sao pari tornasse a filare al serraglio j e cbe egli rispon-
àesse: che avrebbe filato un filo tale, che da esso non sì sarebbe
1* Imperatrice saputa sviluppare, « Murat. Anu. d*Ital. Sigouio
Horat. Mane. Rerum ital. script« tom. 2. pag. 4^7 '^8.
i'itlìM i. i4
«IO LIBRCy SECONDO
^stessa disgrazia, che avea posto Narsete al coperto
j^ Q d' incorrerli , parrà a qualcuno meno grave (17).
568 Priva l'Italia d' uomini cosi grandi, passò presto
dal giogo de' Goti a quello de' Longobardi • Questi
popoli nominati già da Tacito, Strabone, Vellejo
Patercolo, abitavano tra l'Elba e TOder. Alboino
loro Re ferocissimo guerriero, faceva si poco con tu
dei paesi che possedeva in confronto dell'Italia,
da lui creduta sicura conquista', che muovendosi
con un' immensa oste, la quale conduceva seco in-
tiere famiglie con tutti i beni mobili, concesse agli
Unni e ad altri popoli conGnanti il paese che ab-
bandonava . Ai confini d' Italia , sali il feroce Re
sopra un alto monte per contemplarne la bellezza ,
ed anticiparsi il piacere del possesso (18). Vi entrò
senza contrasto dalla parte del Friuli: Verona , Vi-
cenza, ed altre città si arresero senza resistenza.
$69 Le poche milizie imperiali incapaci di tener la
campagna si chiusero, e si difesero in alcune città ;
ma a poco a poco tutto il fertile paese detto in
appresso Lombardia, cedendo, prese dai conqui-
statori il nome; indi la Toscana, l'Umbria la Mar-
ca ebbero la stessa sorte, difendendo l'Esarca Lon-
gino poco più di Ravenna, e di Roma. Ecco una^
nuova barbara dinastìa a dominare l'Italia* Il va-
lore d'Alboino n'eguagliava la crudele ferocia, che
(17) L'Istoria della memlicit^, e cecità di Belisario è una fa-
vola abbracciata avidamente , e senza esame dai poeti » dai retori •
e dai filosofi come un esempio illustre delle vicende della sorte.
Questa favola non sì trova che ne* versi di ano screditato acrittort
(Zetzes chit.) molti secoli posteriore a Belisario. Obi ha fior di
senno agevolmente comprende che un sifi'atto uomo non poteva
domandar l' elemosina •
(1 S) Paal^. a. ec. Sigon.de Regno Ital. lib. 1 .Marat. Ann. d^tal.
CAPITOLO SECONDO aii
apparentemente fu la cauda della tua morte . Prima .
d'invader T Italia , a?ea quasi intieramente distrutta di e.
in una gran battaglia la nazione dei Gepidi, ed uc- ^^
ciao il loro Re Cunemondo^ la di cui figlia^ la vaga
Rosmunda^ fu costretta a sposare il vincitore. So^
coodo i costumi barbari di quei tempi , in un gran
coQvito di Longobardi , beveva Alboino nel cranio
di Gunemondo, legato in oro (19). In Verona,
quando forse reso era più feroce dal vino, costrinse -
l'iofelice Rosmunda a bere nell'orribile tazza; que«
sto fu il principio d'una serie di tragici eventi. Ir*
ritata la moglie, sedusse coi vezzi e le arti del sesso
dae signori Longobardi, uno dei quali trucidò Al-
boino mentre dormiva. Siccome era questo fie ido^
latrato dai Longobardi, Rosmunda coi suoi amanti,
Elroegisto e Peredeo, fu costretta a fuggire; si rico-
verò in Ravenna cercando la protezione dell' Esarca
Longino, che con avid' occhio contemplò le bellez-
ze di Rosmunda, e il ricco tesoro del Re de* Lon-
gobardi da lei recato. Persuase egli &cil mente al
di lei incostante e crudele carattere, a disfarsi d'CI-
megisto, cui ella porse una tazza di veleno come
un ristorativo, mentre usciva dal bagno ; il sapore
della bevanda avendone fatto ad esso indovinare la
Datura, puntò la spada al di lei petto, e la costrinse
a bere il resto, e cosi pagarono ambedue la pena
del loro misfatto.
Il regno dei Longobardi in Italia durò circa due
secoli. Ebbero la sorte di tutti i conquistatori d'Ita-
lia. Il robusto valore dei guerrieri del Nord fu pas-
so passo ammollito, e snervato dalla dolcezza del
(19) Questo era il costume di niolte naxiooi barbare, • lo è
^cora dei selvaggi americani.
2ia LIBRO SECONDO
? clima 9 e «lalle delizie d' Italia , Tunammità dei Ca-
dì C.pì 9 che gli rendeva vittoriosi^ durava nel tempo
^^9 del pericolo 9 e della invasione, la quale compita,
naturale era il desiderio di godere i frutti della
conquista , e l'abbandono alla mollezza , ed al riposo.
La natura della loro politica costituzione non era
atta a conservare il vigore del governo. Re con picco-
lissima autorità, vassalli maggiori, quasi indipenden-
ti, e che comandavano ad altri minori vassalli^ che
cercavano la stessa indipendenza , e che non obbedii
van mai alla legge, ma alla forza: tutto il rimanente
del popolo conquistato, considerato come schiavo,
e trattato anche peggio degli utili animali domesti-
ci : era questo il complesso che formava il governo
feudale sì dei Longobardi, che dell' altre nazióni ,
che avéauo conquistate altre infelici provincie (ao) •
Nello spazio di due secoli, da Alboino a Deside-
rio, sì contano venticinque re di quella nazione;
il termine medio sono otto anni di dominio per
ciascuno (21). Tra la folla di questi re, deve di-
stinguersi Rotari, che col senno, e coir armi illu-
strò il regno longobardico . Non era egli nato al re-
gno d'Italia: la scelta di lui onora la saviezza di
una donna, cioè della regina Gundeberga sorella
del re Adaloaldo. Mancato esso di vita senza prole,
trasferi i suoi diritti al di lei marito Àrioaldo, che
(ao) Si vegga la saggia fii vola d'Esopo del serpente a cento
teste , e quello a una testa sola , che è V immagine del sistema
feudale, e della monarchia .
(ai) Alcimi privi d'ogni scienza col solo naturai senno si di-
stinsero; fra questi si nomina Agiluf marito della bella e savia Teo-
dolinda, al di cui palafreniere ha il nostro Boccaccio applicato un
ingegnoso tratto di spirito in una scherzevole Novella Dee .* gior-
nata 3^ Novell, a.
CAPITOLO SECONDO ai3
creato dai longobardi per Sovrano pagò d' ingrati-
ladine colei che gli avea dato quasi in dote il re- ^^^
gno. Le di lei attrattive aveano (atta tale ìmpres- 569
sione in uno dei principali signori longobardi ,
detto Adalolfo^ ch'ebbe il coraggio di tentarne la
fede conjugale avendogli la casta Principessa spu-
tato sul viso in risposta; il perfido amante in ven*
detta r accusò di tramar la morte del marito insie-
me con Tato Duca di Toscana per farlo dichiarar
Re, e sposarlo. Sulla sola fede di costui , il credulo, 53,
ed imbecille marito fece racchiudere T innocente
regina nella fortezza di Lomello^ ove stette pri-
gione circa tre anni , dopo i quali Clotario re
de'Franchi, intimò al marito, che una regina di-
scesa dal sangue de' Franchi , non dovea sopportar
la pena, e l'infamia di un si nero delitto senza
prova: si ricorse pertanto a ciò, che era chiamato
giudizio di Dio : comparve un certo Pitto, o Carello
a pugnare in favore di Gundeberga (22); il tradi-
tore restò vinto , e la Regina ristabilita nel primiero
onorevole grado* Dopo la morte del marito i Lon- 535
gobardi ebbero tal fiducia nel senno e virtù di lei ,
che le lasciarono l'elezione dello sposo, e Sovrano;
ella giustificò la loro stima colla scelta di Rotarì ,
uno de' re più saggi (a3) . Per lo spazio di anni set-
tantasette, dacché il loro regno era stabilito in Ita-
lia, i disgraziati popoli erano stati governati senza
leggi scritte. Esistevano solo alcune leggi tradizio-
nali, o consuetudini, secondo le quali erano giudi-
cate le civili controversie : è facile il vedere che o
mancando iq infiniti casi queste leggi, o essendo
(aa) Sigon. 1. a. de Reg. Ital.
(a3) Paul. Diac lib. 4.
si4 LIBRO SECONDO
^ anche più numerose , la varietà delle circostanze,
d"c. ® l'arbitrio de' giudici doveva produrre le più capric-
^4^ ciose ingiustizie. Rotari fu il primo a formare un
Codice di leggi longobardiche (24): riunì quelle^
che erano soltanto tradizionali: ne aggiunse altre
che credè opportune, e Gssò almeno una base, ed
un testo che restringesse alquanto il licenzioso ar-
' bitrio de' giudici , e gli avvicinasse più alla giusti-
zia. Fu fatto sì utile lavoro in Pavia, sede ordina-
ria de' Re (:i5): questo fu il principio del Codice
scritto longobardico, da varj successori poi accre-
sciuto (à6) . Si distinse Rotari anche tra le anni ;
aggiunse alle sue provincie una parte del Genovesa*
to, che obbediva all'Esarca, e respinse eoo una san-
guinosa rotta presso il Panaro V esercito riunito dei
Greci, e Romani: lasciò il regno al suo figlio Ro-
doaldo, indegno di un tanto padre . Quasi niun' al-
tra notizia abbiamo di lui, se non che dopo un hre-
vty e glorioso regno senza aver prole, fu trucidato
(aOPaalDiac. 1. 4.
(aS) Noi impariamo dal principio dell'Editto di Rotari, 1 .* db
dièci Re contavano i Longobardi prima delT invasione d' Itaiia,
giacché egli si chiamava il Re diciassettesimo , ed era il settimo
a Italia , a.^ che il codice fu approvato dai principali LongohmT'
di, e doli esercito i oode si scorge, che il potere legislativo era
diviso tra i Re e i suoi guerrieri ec.
(96) In mezzo alle strane e barbare leggi longobardiche tra-
sparisce il retto senso di questo Legislatore, come di altri. Mentre
per tanto tempo, e fino quasi alla nostra etk una ignorante super*
stizione adottata anche dai legisti, ha fatto considerar le streghe
come dotate della potenza di nuocere agli uomini , e ne sono state
regolate le ridicole formalità de*giudiz} , esli apertamente condan-
na questo pericoloso pregiudizio. Godic. Longobainl. Rotharìs na*
mero 379. NuUuS presumaLaldiam alienam aut Ancillam , quasi
stri^am quae dicitur Masca occidere quia Cristianis mentibms
nullatenus est caBDzif dvm ifsc fossibils bst ut noMimsM utrtiem ^mm
' INTaiNSECUS POSSIT COMEDEEE CC. C ncllo StCSSO CodicC QO SUO sttccas-
sore , Luitprando, disapprova» benché non osi proibire i duelli.
Luilprandus num. 65.
CAPITOLCr SECONDO niS
da UD longobardo, a cui avea disonorato la moglie.
Il di lui saccessore fu Ariberto, di nazione bavaro, ^j^^
scelto dai lìbero Toto dei longobardi al trono; fu il 664
suo regno breve, e senza fama; Io terminò coirim-
politico atto di dividere il regno fra i due suoi figli ,
JBertarido, e Gondebérto. Il regio potere è inlolle-
raote di compagnia (27)^ e il fatale tentativo è sia •
to quasi sempre accompagnato tra i fratelli dalle
tebane vicende. Benché i due Re si fossero scelta
diversa sede del loro governo, uno Pavia, l'altro
Milano , si attaccarono presto a forza aperta . Fu
chiamato in soccorso da Gondeberto il Duca di Be-
nevento Grimoaldo , che terminò con ispoglìarli
amendue, ed occupare il trono contrastato. Era
Grimoaldo un uomo straordinario , e le sue vicende
singolari. Ultimo de' figli di Gisolfo, Duca del Friu-
li, allorquando fu invaso dagli Avari, si era singo-
larmente distinto: l'imprudente suo padre, avendo
osato con piccole forze di affrontare l'intiero eser-
cito degli Avari era stato tagliato a pezzi: la ma-
dre, e i figli si erano dopo la battaglia rinserrati
nel Foro Giulio, o sia Cividad del Friuli: quella
scellerata donna, invaghita del Re degli Avari, gli
apri le porte; ma con una morte infame, e prece-
duta dalle più disonorevoli circostanze, pagò il fio
del tradimento. Avean presa intanto la fuga i figli,
tra ì quali Grimoaldo, il più tenero di tutti, fug-
giva in groppa del cavallo d'un fratello (a8). Rag-
giunto da uno dei persecutori , fu violentemente
tratto di sella, e gli fu per la sua bellezza rispar-
(07) . • • • Omnisque potestas
Impatitns consortis erat, Lwcr.
(aS) PauL Diac. 1. 4*
atfy LIBRO SECONDO
\ miata la vita. Era condotto prigione in groppa pu-
dic. re del cavallo del suo nemico: pienb di ardire, e
^4 coir animo fatto pei più grandi attentati , questo
fanciullo, avendo yeduto pendere al fianco del suo
rapitore il pugnale, ebbe coraggio di prenderlo, di
trafiggerlo ; ed entrato in sella , volgendo precipito-
samente indietro il cavallo , potè salvarsi . Dopo
varie vicende divenne Duca di Benevento, e la fil-
ma della sua potenza^ e valore indussero Tincauto
Gondeberto nella contesa col fratello a ricercarne
r a juto. Vide costui la fiicilità d'impossessarsi del
regno d' Italia , onde , raunato un potente esercito ,
e creato il suo figlio Duca di Benevento, si mosse
dichiaratamente contro i due fratelli, che vinse in
battaglia, uccidendo di sua mano Grondeberto , e
s'impadronì dello scettro d'Italia, sposando la loro
sorella. Ha detto uno de'pii!k illustri romani, che
se mai è lecito il violar la giustizia, lo può esser
quando conduce al regno (29). Questa è l'ingiusta ,
e pericolosa divisa di tutti gli usurpatori; e disgra*
ziatamente gli uomini giudicano dagli eventi, la
grandezza e felicità dei quali cuopre i gran delitti •
Se si dovesse giudicar Grimoaldo con quella regola
non apparirà che la di. lui grandezza. Nel suo fero-
ce carattere traspariscono dei lampi di generosità ,
adombrati però dal sospetto. Si era l'altro fratello
Bertarìdo refugiato presso gli Avari : fece loro inti-
mare Grimoaldo che lo dessero nelle sue mani, 0
gli avrebbe riguardati come nemici. Non volendo
questi guerra, né tradir Bertarido, gli consigliatono
la fuga : ma quel disgraziato, non sapendo ove re-
(39) Massima di Giulio Cesare . Quod si violandam est jus,
regnandi causa violandum est; caeteris rebus pMatem eolas.
CAPITOLO SECONDO ai7
fugiarsi^ prese la resoluzione di Temistocte; andò
a gettarsi tra le braccia del suo nemico^ non cbie- ^\c,
deodogli che di viver privatamente tranquillo nei ^<5a
suoi stati (3o). Fu accolto da Grimoaldo lietamen-
te, e trattato per qualche tempo con generosità ; ma
il concorso^ e l'affluenza degli antichi sudditi al lo-
ro detronizzato re^ ingelosirono Grimoaldo^ che dai
suoi amici fu consigliato a disfarsene. Si diedero
segretamente gli ordini: furono questi da Onulfo
rivelati a Bertarido , che quasi miracolosamente
giunse a salvarsi in Francia; e s'è vero che Gri-
moaldo non solo perdonasse, ma premiasse la fe-
deltà dell'amico di Bertarido^ è questo un tratto
tanto più degno d'ammirazione quanto più atroci,
e privi d'ogni virtù erano i costumi di quei tempi.
Fu anche Grimoaldo saggio legislatore , aggiungen-
do al codice di Rotari , ciò che l' esperienza avea
mostrato mancarvi (3i).
Una disputa teologica produsse in seguito singo-
W cambiamento negli affari d'Italia. L'obbedien-
za^ e la consuetudine più che la forza conservavano
ancora gli avanzi dell'antico dominio in Italia agli
Imperatori d'Oriente. Questi erano la Sicilia , una
parte del regno di Napoli, Ravenna colla Pentapo-
li. Roma istessa riceveva e gli ordini, e i governa-
tori da Costantinopoli ; e quantunque non di rado
disobbedisse, non avea finora ardito di dichiararsi
bdipendente. La dìsputa sul culto delle sacre im-
magini, risvegliata in Oriente, divise tutto il mondo
cristiano. Il greco imperatore Leone Isaurìco , oltre
all'imprudenza di mescolarsi in dispute teologiche,
(3o) Paul. dìac. 1. 5.
(3i) Paiil.'Diae. Marat. Ann.
ai8 LIBRO SECONDO
'^ebbe l'altra di attaccare un rito già dal tempo ata-
^'^Q bilito, e caro alla maggior parte dei popoli (3a). La
669 lusinga del suo favore, la forza del suo potere fece-
ro piegare i reluttanti greci Prelati ; e il popolo di
Oriente, non senza tumulto e sedizione, vide rapirsi
le Immagini adorate. Ma l'Occideute più remoto
dalla potenza imperiale, e più libero perciò ne'suoi
sentimenti y resistè coraggiosamente ai Mandati im-
periali: gli esecutori armati furono o scacciati, 0
uccisi; e il Pontefice Gregorio , dopo avere insultato
anche grossolanamente nelle sue lettere il greco
Imperatore, dette- l'impulso agl'Italiani di scuote-
re il giogo d'un eretico Imperatore. La maggior
parte dell'Italia soggetta a' Greci esci dal dominio
imperiale. Cosi una disputa teologica, se non giun-
se a privare totalmente de'suoi stabilimenti in Ita-
lia l'imprudente Leone, quasi annichilò il suo po-
tere su di essi ; ed ecco Roma , che dopo tante vi-
cende, si trovò per questo singolare avvenimento
liberata dai giogo straniero^ e in facoltà di elegger-
si qualunque politica co^ituzione le fosse a grado.
799 Una languida memoria de' lóro antichi titoli, senza
però conoscerne il potere , ed i limiti , fece risorger
l'autorità del Popolo, e dei Senato, che non pote-
vano adunarsi, e deliberare senza sconcerto e tu-
multo. In mezzo a questa inevitabile confusione
egli era naturale che la religiosa riverenza versoli
romano Pontefice lo facesse riguardare come il pri-
mo Magistrato: verso di lui pertanto si rivolsero a
poco a poco gli sguardi della moltitudine: le sue
ricchezze, le sue relazioni co' forestieri Prìncipi, la
{3a) Theophares Gregor.II. cpwt. 1. «d Imperai. Leon. ce.
CAMPITOLO SECONDO S19
tua religiosa influenza lo costituirono insenaibi Inden-
te il Sovrano 4i Roma ^sovranità legittimata dal li- ^^c]
bere condenso del popolo , e confermata dal posses 7^9
«odi dieci secoli. Questo à un titolo più nobile , e
più legale delle controverse donazioni di Costanti-
no^ di Carlo Magno, e d'Ottone. I prudenti Fon-
tefici, nel momento in cui lo zelo di religione degli
Italiani aveva scosso il giogo dei Greci , si accorse-
ro, cbe queste città lasciate senza sostegno sarebbe-
ro S^ùlmeote cadute in mano de' Longobardi , a
loro iorse più formidabili ancora dei Greci. Quan-
tunque perciò minacciassero di fare eleggere un
Doovo Imperatore, ebbero la prudenza di arrestarsi
alla minaccia, e di rispettare i deboli avanzi del-
l'liopero greco ^ sicuri di avere su questi popoli
iufluenza superiore a quella degl'Imperatori^ e im-
porne ai Longobardi collo specioso titolo di provin-
cia soggtlte al greco Impero. Liutprando però, che
governava allora quei popoli, parea disposto a pro-
fittare della confusione in cui si trovava l'Italia
p^ impadronirsi delle città non più difese dalle
forze de' Greci* Si avauzò verso Ravenna di cui gii
(urooo aperte le porte: lo stesso fece in qualche al-
tra città, ma Liutprando, che avrebbe dovuto trat-
tare con somma dolcezza i popoli, che volontaria-
mente gli si davano, o mancava di questa pruden-
za, 0 di forza per tenere in freno gì' indisciplinati
Longobardi, Quei popoli spogliati, e atrocemente
vessati si pentirono di averli accolti : non tennero
perciò lungamente i Longobardi la loro conquista .
I Veneziani stimolati dal Pontefice si mossero in
aita dei Greci: fin da quésto tempo aveano in piedi
rispettabili forze di mare; furono improvvisamente
220 LIBRO SECONDO
^^ colla flotta sopra Ravenna, ove, dicesi, fu fiitto pri-
di e. gione un nipote di Liutprando (33) , fu ucciso Pe-
739 redeo Daca di Vicenza; e Ravenna colle altre città
tornò in potere dei Greci. La stupida avidità dei
Longobardi era tentata continuamente dalle ricches-
ze di Roma, e trattenuta da un religioso timore.
Liutprando si mosse contro di essa : il Pontefice
Gregorio, che ne conosceva bene il carattere, gli
fu incontro , e gli parlò in guisa , che in vece di
attaccar Roma andò a prostrarsi nella Basilica Va-
ticana, ove spogliatosi non solo delle armi, ma del
manto, e della corona reale, lasciò tutto alla tom-
ba di S. Pietro. Morì questo Re dopo un lungo, e
felice regno. Paolo Diacono ne fa un lungo elogio.
Noi troviamo in esso alcune rare qualità: ce lo de-
scrive, cioè, valoroso nella guerra^ eppure amante
della pace; ignorante delle lettere, ma per la sua
saviezza degno di esser paragonato ai filosofi • Fu
certamente assai devoto, e obbediente agli Eccle-
siastici ; riscattò con gran tesoro da' Saraceni Tossa
di S. Agostino (34) 9 ^ àsi Pavia andò incontro a
questa reliquia fino a Genova . Era nel suo pakszo
in Pavia una chiesa, in cui come in una cattedrale,
dai preti, e dai cherici quotidianamente si celebra-
vano i divini uffizj ; Tra le altre prove del suo co-
raggio, e della sua personal bravura , si racconta (35),
che essendogli stato riferito come due suoi scudieri
si erano vantati» di volerlo uccidere , gli fece venir
seco nel più folto di un bosco, ove essendo egli so-
(33) Marat. Ann. d'Ital.
(34) Sigon. de regno ital. 1. 3.
(35) Lo stesso aneddoto si narra di Enrico IV Re di Francia «
ma gli aneddoti son quasi sempre incerti > e spesso falsi .
CAPITOLO SECONDO aai
l0| arrestatosi a un tratto^ disse loro risolutamente y
che era adesso il tempo di eseguire il loro disegno: ^j o.
attoniti quelli, ed atterriti, gli domandarono per- 7^9
dono (36). Il suo nipote Ildebrando, incapace di
regnare, fu dopo pochi mesi deposto, ed eletto Ba-
chÌ5 Duca del Friuli. Una delle sne prime imprese
fu l'assedio di Perugia . Papa Zaccaria si portò a 744
trovarlo, e potè tanto sul di lui spirito, che non solo
lo persuase a scioglier l'assedio, ma ad abbandonare
ancora il mondo . Passò dunque Rachis dal soglio
al chiostro nel Monte Cassino (37); e sua moglie 75 j
Tasia , e sua figlia Rotrude fabbricarono un mona*
stero ove si chiusero • Successe a Rachis il fratello ,
quell'Astolfo, su cui è fondato il comico raccopto
deirAriosto (38). Questo Re era di un carattere
^ diverso dal fratello: occupò Ravenna, e mi-
nacciava Roma. Si accorse il Papa Stefano II, che
troppo precaria difesa era alla Santa Sede il rispetto
religioso contro costui , e che uopo era procacciarsi
altronde qualche appoggio più sicuro (89); implorò
dnnqne l'ajuto de'Frandii. Il valore guerriero di
(36) PaoL diac Anast. in Lac.
(37) AnasUs. in Zachar.
(38) Astolfo, Re de' Longobardi, quello
Cui lasciò il f ratei Monaco il Regno ec.
Arìost. canto a8.
La Yoglìa di farsi monaco pareva epidemica ne' Principi in que-
it' anni . Carlo Manno fratello di Pipine , e figlio del famoso Carlo
Martello veone in Italia, edi6cò un monastero nel Monte Soratte,
OTC 8Ì consacrò facendosi tonsurare da Papa Zaccharia : ivi però
tfOTandosi disturbato dalle frequenti visite de' forestieri , in spe-
cie fìraocesi » si ritirò al Monte Cassino • Anselmo Duca del Friuli »
copato di Astolfo , sì ritirò anch'esso in un monastero da luì fab-
oncato a Panano. Anastasio Imperatore, vinto in battaglia da
Teodosio, si fa chierico. Teodosio cacciato dal Regno da Leone
Isa urico insieme col figlio prende 1* abito ecclesiastico. L'islesso
jwrtilo prese Faroaldo Duca di Spoleti .
(39) Anast. in Steph. Auuales. Frane, ec.
saa LIBRO SECONDO
". questo popolo 81 era attrattogli sguardi del mondo ^
^i Q^ specialmente per le vittorie sugli Arabi. Questa ua-
75tà zìone animata dal fanatismo religioso^ in brevissi-
mo tempo avea fatto immense conquiste; dopo sog-
giogata la Persia^ TEgitto^ e la fertile spiaggia del-
r Affrica f che dall'Egitto si stende fino ad Abila o
Ceuta, passato lo stretto ^ e dato un nuovo nome a
Calpe (40)9 aveva come un torrente inondata^ e
soggiogata la Spagna piò rapidamente che un viag-
giatore non l'avrebbe percorsa: indi invasa la Fran*
eia, minacciava tutta l'Europa , quando questo tur-
bine di guerra fu arrestato dai Franchi, e dal valore
di Carlo Martello. Nella incapacità dei re franchi,
Carlo Martello governava la Francia sotto il titolo
di Maggiordomo: il suo figlio Pipino ne avea eredi-
tato la carica, la potenza, e il valore: stanco però
di sostenere tutto il peso della monarchia , senza
il diadema, ambi quest'onore che tutti i guerrieri,
ed il popolo erano volonterosi di conferirgli: uno
scrupolo però degno per la sua rarità d'esser ram-
mentato dall'istoria, gli tratteneva; ed era il giu-
ramento di fedeltà prestato all'imbecille Chilpe-
rico (40* I^i<^orse Pipino a Papa Zaccaria: ooo
mancavano mai distinzioni, e sottigliezze metafisi-
5^ che a' teologi per giustificare i potenti: Zaccaria
sciolse Pipino, e i Franchi dal giuramento, lo di-
chiarò Re di Francia; fu consacrato, ed unto da S.
Bonifazio Arcivescovo di Magonza; eChilperico ra-
sato, e vestito da monaco, fu racchiuso in uu con-
vento. Dopo un sì segnalato servizio non poteva un
(4o) Gebel al Tarik, o sia il Monte ili Tarik nome d*ano dà
Condottieri Arabi in Spagna onde poi GibelaHar , o Gibilterra.
(4 1 ) Tbeopharet iu Chronogr. Ctdre&of in Hif L
CAPITOLO SECONDO aaS
sQCcessore di Zaccaria ricorrere invano al Re dei
Fnnchi:8Ì mosse in fatti Pipino colle sue truppe a; e.
ver30 ritalia, e non trovando contrasto giunse a 7^4
Pavia^ ove assediò il Re Astolfo, che, vedendosi a
mal partito, mosse parole di pace, e fu fatto un
accordo, in cui si obbligò di cedere alla Santa Sede
Ravehiia coir Esarcato. Ma partite le forze dei Fran-
chi, oon osservò il trattato, e forse credendo che
il Re de' Franchi non vorrebbe di nuovo con grave
spesa ricondurre un esercito in Italia, per donarne
Qoa parte al Papa , non solo non adempì le pro-
messe, ma corse imprudentemente a far l'assedio
di Roma. Il Papa in tanto pericolo scrisse una lette-
ra in nome di S. Pietro , indirizzata non solo al suo
protettore Pipino , ma ai di lui tìgli, ed al popolo
tutto francese , promettendo loro per tale azione
la vita eterna del Paradiso (4^)9 ^ minacciando lo-
ro, se non si movevano, le pene eterne. Non fu il
Re de' Franchi disobbediente agli ordini di S. Pie-
tro; assediò di nuovo Astolfo in PaTÌa,e lo costrinse 7^5
a cedere a Roma una delle più importanti parti del
dominio greco, e longobardico (43)* Questa cessione
di Astolfo, o donazione di Pipino formava a S. Pie-
tro, 0 sia ai suoi successori, un considerabile stato.
1 critici però, neir analizzare la lettera stessa del
Papa Stefano a Pipino , hanno mosso delle sottili
questioni sul donatario (41) •
(40 (^' Caroli DO .
(43) Cioè Ravenna 9 Rìmini, Pesaro, Fano, Cesena, Sinlga-
^)m, Jesi, Porli muopoK (Forlì), Montefeltfo, Cìceraggìo, Monte
^ littcaro, Castello di s. Mariano, o Marino, Bobbio, Urbino,
^li,Laccolo» Gubbio, Comaccbio , e Narni. Marat. Ann.
<li!uL
(44) Fcco le parole della Lettera : Donatio facta B. p€tr9
Mi LIBRO SECONDO
Poco sopravvisse Astolfo al suo umiliaute tratta-
dì G. ^o* fu eletto Re Desiderio Duca di Toscana ^ in cui
755 dovea terminare il languente Regno de' Longobar-
di • 11 monaco Racbis^ fratello di Astolfo , annojato
dalla monastica vita^ era uscito da ritiro^ e favorito
da un grosso partito, aspirava al regno. Desiderio
ricorse al Papa^ che intimò al monaco di tornare
756 al convento; ed era tanta l'autorità del capo della
Chiesa , che a quelT intimazione si trovò Racbis
abbandonato da tutti i seguaci. Desiderio a vea pro-
messo al Papa di dargli alcune città ; non mante-
nendo le promesse , ricorse il Pontefice al solito suo
protettore Pipino, che mandò in Italia dei mini-
stri ; e le questioni furono accomodate in vantag-
gio della S. Sede. Fu questo V ultimo servigio re-
sogli dal Re de' Franchi, il quale morendo, lasciò
il regno ai suoi due figli , Carlo che si acquistò me-
ritamente il nome di grande, e Carlo Manno.
Egli era della politica di Roma V impedire qua-
Ituique amicizia . o alleanza tra i Longobardi , e
i Franchi: fu moli ^ ^«*ave perciò al Pontefice l'udi-
re, che si trattavano i matrìmonj tra le due fa-
miglie reali d'Italia, < 'li Francia. La madre dei
nuovi principi Berta (45) era venuta a bella posta
a Pavia: strepitò il Pontefice contro questo trat-
tato: le sue ammonizioni avrebbero avuto T ap-
provazione de' posteri, se i principi fossero stati
uniti ad altre mogli, come ei supponeva, ciò che
sanctaeque Dei ecclesiae, et Reip, I due primi nominati non si
suppongono possessori di beni materiali $ cosa significa la parola
Reip, P Molti dicono V Impero Romano . Le chiavi però della
citta furono depositate suir altare di s. Pietro , ene prese il Papa
)] governa. /
(f*») AunaL Francorum.
nni
CAPITOLO SECONDO «5
era hXso: gli altri motivi^ che egli adduce per di-^
stoglier sifl&tti matrimoo]^ anitì a delle minaccie, <^>^<
soo degni della frivolezza igooraDte di quei tem- ^
pi {4^. Carlo, che era uno di quei caratteri grandi, 770
che rìspetCaya la religione finché non abusava del
800 potere, non fece alcun cónto né delle esortazio«
ni, nèdelle minaccie,e sposò la figlia di Deside-
rio; ma questo vincolo, che faceva ombra al Papa,
presto si sciolse col repudio che fece Carlo, senza
alcun giusto motivo , della moglie , sposandone
un' altra (47) • Nuovi e più furti dissapori nacquero
tra i due Re. Morto Carlo Magno, fratello di Carlo,
i due figli erano stati dallo zio spogliati del regno,
senza che se ne sappia alcun motivo, e senza die gli
storici di quei tempi osino neppur condannare que-
st'atto di crudeltà e d^ ingiustizia: tanto è vero che
la luce delle grandi azioni fa dimenticare i delitti!-
Si erano i nipoti rifugiati alla corte di Desiderio :
non solo questi diede loro tutta la protezione ; ma
istigò il Papa suo nemico, ed a cui avea tolto po-
c'anzi alcnne città, a riconoscerli per Sovrani • Carlo
invitato, dal Papa a vendicare le comuni ingiurie
non si fece molto pregare ; venne in Italia ; strinse
(46) Eccone un saggio : Gbe pazzìa è questa , eccellentìs-
•ùni figliuoli^ Re grandi , appena oso dirlo» che la vostra nobil
gente dei Franchi eminente sopra le altre genti ^ e la splendi*
da, e Dobilissima prole della resa vostra possanza» si voglia mac-
ellare colla perfida , e puzzolentissima gente de' Longobardi , la
qoilc neppure è compatata tra le genti» e dalla di cui nazione
^■ppiamo di certo che son venati i lebbrosi? Niuno vi è che non
su pazzo» al quale possa neppure nascere sospetto che re si
nnomati si vogliano impacciare in un contagio sì abominevole ec.
Aggiuoge aver posto questa esortazione sul sepolcro di s. Pie-
^» e d'inviarla da quel samto luogo, con minftccìar loro anche
u teomonica se non ne faceano conto . Cod. Carol. Epìst. 4^*
(4/) Egiaardus vita Caroli Magni.
226 LIBRO SECONDO
"Desiderio in Pavia^ che, dopo un lungo asaedio, fu
d/c! obbligato ad arrenderai . Mandato in Francia ^ cbiuao
790 in un Monastero, divenne» religioso, e mori in odore
di santità (48)* H figlio iVdelgiaio, dopo aver brava-
mente difesa Verona, sin che fu possibile, fuggissi
alla fine; ed imbarcato a Porto pisano, si riparò
alla corte di Costantinopoli. Cosi terminò in Italia
il regno de' Longobardi, la di cui caduta fu accele*
rata dalla politica di Roma . Carlo , dopo la presa ,
ed espulsione di Desiderio, a' intitolò Re de* Fran-
chi , e de' Longobardi : fiirono questi trattati amo-
revolmente. Nel tempo dell'assedio di Pavia era
Carlo andato a visitare a Roma il Pontefice Adria-
no, e gli aveva, dicono, non 9olo confermate le
donazioni di Pipino, ma aggiunte delle nuove. Che
queste fossero state fatte forse verbalmente dall'uno,
774 e dall'altro re si deduce dalle lettere del Papa, ma
non bene quali fossero : non certan^ente quelle ri-
ferite dal Sigonio (49) > giacché in ea^ da vasi quello,
che Carlo non possedeva , come la Sicilia • Dopo la
conquista d'Italia, parve però che si raffreddasse la
generosità di Carlo, che divenuto possessore d'un
sì bel paese, non amava probabilmente di perderlo.
Vi sono non pochi moniimenti dai quali si com-
prende che egli esercitò degli atti di sovranità non
solo sulle città d' Italia donate alla Santa Sede, ma
su Roma stessa (56) . Intanto questo gran Sovrano
stabilì il suo figlio il giovine Pipino re d'Italia (5i),
(48) Murat. Aonal. d'Ital.
(49) De i-egQO Ital.
(&o) V. Murat. Anu. d'ItaL ove à ripoi'tano due passi molto
interessanti di Paolo Diac e di Eginardo.
(5i) Anual. Fraucorum.
r
CAPITOLO SECONDO a»;
ed ecco il principio di un'altra dinastia , che la
Francia diede a questa prorìncia . Poteva dispiacere ^^q]
a Roma lo stabilimento di un nuoTo dominatore in 774
Italia; il naturai desiderio d'ingrandirsi in ogni So-
vrano, poteva far nascere delle dispute fra i due
Itati confinanti, nelle quali la possanza^ che aveva
aJQtato il Papa contro i Longobardi , gli sarebbe
stata nemica : ma la pietà , la religione , il rispetto
della Garlovingia famiglia verso la sacerdotale au-
torità j i consiglieri , e ministri di questi principi
per la maggior parte ecclesiastici la rassicuravano ;
fra questi in seguito il principal ministro fu il savio 800
eoclesiascicu) S. Adalardo abate di Carbeja (5:i).
Intanto si appressava un' epoca interersante per
f Italiane per l'Europa tutta. Regnava il Pontefice
Leone III che era stato acculato di varj delit-
ti y e aveva conth> di se un forte partito • Tornato
Carlo in Italia , e venuto a Roma, forte il Papa
del di lui appoggio^ intimò a tutto il regolare e
secolare Clero di adunarsi nella chiesa di S. Pie-
tro, e di esporre, se alcuno ne avea , le accuse*
Niuoooso parlare. Nel giorno poi di Natale, cele-
brando il Papa la messa solenne nella Basilica Va-
ticana, si mosse ad un tratto, e venne a posare
sulla testa di Carlo una corona ; ed il Clero, e il
popolo ad alta voce gridavano : a Carlo piissimo
augusto coronato da Dio grande , e pacifico Im-
peratore y vita, e vittoria (53). Tre volte fu ripe-
tuta r acclamazione , e il Papa imitando i sacerdoti
(5i) Asnal. d' ItiL Mar.
(53) Bginar. Fita Cìiroli M. Joannes Piaconus eie. Il primo
Kiìtlore cortigiano, segretario di Carlo ALt dice che fu quésta una
sorpresa Citta a€arlo,raltro che fu an affare concertato.
saS LIBRO SECONDO
f d'Isdraello , uose con V olio santo Carlo Imperatore
di^c!^ Pipino re d' Italia. Cosi V Impero di Occidente
800 spento da quattro secoli risorse per un ardito passo,
con cui il Papa credè possedere ^ o si usurpò la fa*
colta di creare i Sovrani . Forse il Papa nel donar
questo titolo non credette ccmferir d'avvantaggio
che i titoli de' Vescovati ^ e Patriarcati della Gre-
cia y o dell'Asia ; e certamente quello solo sprov*-
vitto di forze non sarebbe niente di più: ma con-
ferito a un si potente Sovrano come Carlo , e di
altri suoi intraprendenti successori in tempii nei
quali la venerazione a' decreti pontificj era tan-
ta , diveniva un istrumento validissimo da palliare
con una vernice d' equità le più ardite pretensioni
L'Impero romano si era esteso sulle più fertili e più
colte Provincie allora note del globo : queste erano
state strappate colla forza dal quel gran corpo • Un
Imperatore romano poteva rivendicare colla forza
o r intero , o parte , o almeno i diritti di vassal-
laggio dai Sovrani di quelle provincie . L'acclama-
zione di Carlo 9 naturalmenie concertata fira lui ed
il Papa , era un atto utile ad entrambi , giacché
questo y senza nulla perdere , donava ampiamente
di ciò che non possedeva : il dono immaginario
poteva esser ridotto a qualche cosa : intanto il
Papa esercitava un atto dei più grandi^ ed au-
torevoli , come quello di conferire la corona im-
periale . Non furono comprese in quel momento
le conseguenze ({ip^ndenti da queir avvenimen-
to, ed esempio. Varie furono le visite che que-
sto Sovrano infatigabile fece all'Italia, ma nia-
nn ebbe ronseguenza di tanta importanza . La vita
di queslu iVlouan a , degno al par di qualunque al-
CAPITOLO SECONDO aag
tro del nome di grande , fa una continua serie di
viaggi, e battagKe: il suo dominio abbracciò due ^4 (>^
terzi deir antico Itepero romano: si estei^deva an- ^o<>
che di pia dalla parie del Nord , oTe fe^e trentatrè
campagne ora per domare, oi^a per rimettere in
dovere quei feroci popoli impazienti di freno . Fu
sempre vittorioso in Spagna controi Sanicein , d'oi¥<
de ritirandosi per accorrere a sedare la 'ribellione
de^ Sassoni, fu nella ritirala atlacfcaitèin uno stmt*
to e svantaggioso passo fra i Pilone! , in cm sì efa4iey
occaltamente postati i suoi nemici, 'éd'orve^in èpe-''
eie la sua retrognairdia, fu tagliatala j^esti. Que^aè
la celebre rotta di Boncisvatle, in cui tra gli altri'
guerrieri restò ucciso il famoso Radiando, ò Orlan-
do, sa di cui hanno scritto i romansrteH , e- in epe-*
deiliàvcrfoso Tilpi«o, o Tnrpìiio Àrciveì8f]o>i^o di
Reims(54), fipesiso comicamente citato dà* uno'dei-
pià grandi italiani poeti. Toltìa» <}ueeta sventura, il
suo regno fu felice. Il Codice longobardico fu'da
lui emendato, e accresciuto 'con varie importanti
^gif le quali sì possono vedere nei Capitolari;
prese le più efficaci misure compatibili con quella
barbara legislaaiope per rimediare^lle ingiustizie .
E &cile il vedere quanto oppressi esser doveano i
mifierabili popoli sotto il feudale governo; quanto
difficile cbe i lamenti di questi pervenissero alle
orecchie di un sovrano , che colb voglia avesse an*
che il potere di far rendei gitisEtizia; Carlo perciò
costituì dei giudici itineranti. Alzavano essi tribù-
< ••
(54) In un G)Dcilio celebrato in Roma nel 768 tra i dodici
vcscoYi, si trova questo Turpino arcivescovo di Reims: ma il Ro«
n^ioo a lui attribuito fu scritto piitdi éae secoli dopo, da un fra-
te de* oofnfini di Frància, e 'di Spagna. Fabricio BibKoth. Latin*
■^e'diiacri. *> *» ' *
s3o LIBRO SECONDO
. naU nelle piazze delle città^ invitavano chi area da
di G. dolersi dei governatori ad esporre i loro gravami ; yì
^^^ chiamavano i migliori legisti dei paeaej il Conte,
il Vescovo ec. , e questo giudizio facevasi in pub-
blico. Un si fatto tribunale esercitò i suoi diritti
anche nelle città pontificie , onde chiaramente si
scorge che Carlo se n'era riserbato Talto domi-
nio (55). Benché devoto alla S. Sede, ebbe sempre
assai di vigore per non ceder debolmente alle pre-
tensioni indiscrete , e per tenerla entro i suoi limi-
ti. La grandezza delle sue imprese ne copri i difet-
ti • Pisa si vanta di aver dato in Pietro Diacixio un
maestro a si gran Monarca , che però si dubita se
sapesse leggere. Quantunque ignorante delle lette-
re, onorò e ricercò i dotti per una specie d'istinto,
di cui pec tutte le pregevoli cose la natura ha dota-
to gli uomini grandi : fece ogni sforzo per risvegliarle
in Francia^ e io Italia . La maraviglia che le sue
grandi imprese eccitarono nei contemporanei, lasciò
una profonda traccia nei posteri anche barbari , a
segno che i suoi avvenimenti fnrono mescolati colle
fjiVole, le quali, per rendersi credibili, si attaccano
sempre ad uomini straordinar). I poeti, e i roman-
zieri si occuparono di Carlo , e le pubbliche piazze
d'Europa furono piene di curioso popolo che pende-
va dalla bocca d'alcuno, che raccontava- gli avveni-
menti di Carlo Magno (56). Carlo, prima di mori*
re, in una Dieta di rispettabili princìpi in Aquis-
grana avea fatto dichiarare Imperatore il suo figlio
maggiore Lodovico (57) . Merita riflessione quc-
(55) Anaal. FranconMD Eginar.
(56) U nome di Giftrlfttani^ origiiutU) diMì fatte persona.
(57) Annal* Franoor. Thegan. De gestis Ludovici Pii cap^ <^
/
CAPITOLO SECONDO sSi
st'aiione di Carlo. Il rutabilimento della dignità ==^
imperiale in Occidente era stato un atto, che avea ^rc!
ncevBtor origine, e il primo impulso dal P«|>a; fi>4
onde parea che al medesimo fonte dov^aae ricorrer
Cado per istallare nella stessa dignità il suo figlio:
e^ pertanto o credè stabilita su più salda iMise una
desume, in cui convenissero i più potenti principi
^lla Germania^ o volle far comprendere, che l'in-
tervento del somoK) Sacerdòte era necessario soU
Unto nello stabilimento , e nella creazione d' un
Impero, né Tatto solennfe dovea ripetersi ad ogni
individuo, o volle togliere la pericolosa influenza ,
6 quasi supremazia, che un atto tale pareva attri«
l^re al sacerdozio sopra T Impero. La Carlovingia
Simiglia stabilita da tre eroi , Carlo Martello , Pi«
pino, e Carlo Magno, giunta al più alto splendore
Mto il terzo, cominciò dopo la sua morte a decli*
Bare; i degenerati suoi discendenti non possedevano
«Icuns virtù dei loro antenati . Lodovico , erede
della più gran parte dei suoi regni , schiavo della
móglie y deposto per cabala degT intriganti suoi figli ,
per commiserazione, che desta ne' popoli il degra-*
dato figlio di nn eroe, richiamato al trono, debole
ugualmente di corpo , che di spirito , dopo un regno
Mnia gloria , sentendosi illanguidir la sua macchi-
na, li fece trasportar in un' isola del Reno pr^so a
Magonza. Avendo perduto T appetito, credè che il
Cielo lo punisse per non aver osservata in queir an-
no la quaresima, e vi morì di langoore (58).
I auot figli si contrastarono il piugiie retaggio del
toro grandmavo coir armi . La Germania, e l'Italia \
(SS) Aiiii«Francor.
93a LIBRO SECONDO
^,~,\- furono iosaaguinate dalle loro dìacordie : caddero
<^i C' poi i degeneri dissceodenti neir avvilinMnto ; ed i
^ ' ^ cogaomi steasi di Carlo il balbo y Carlo il grasso ec»,
mostrano la loro degenerastoae di colepo, come di
spirito. L'Italia^ in cui si fiuccedevauo rapidamente
i conquistatori , era trattata da tutti come passe di
conquista, e perciò ciascuno di quelli abusaTa del
dritto d'opprimerla* la mez2o a queste miserie «ra
minacciata da un'altra, disgrada. Gli Arabi da
quaklielempo padroni . della Sicilia passati in Ca«
labfia, si. erano fortificati «sul delisuoso Miseno^ coo-
verteado la tomba di S. Severino in un asilo degli
adoratori di Maometto. Di qui minacciavano tutta
IMtalia, e scorrendone con le loro flottiglie le co-
ste^, dìstru^isero la città di Luni^ rimoatarono il
Tevere, giunsero presso a Boma^ e. spogliarono la
Basilica di S. Pietro. Per difendere appunto questa
ricco, e rispetta)»ile luogo da nuove scorrerie^ Leo-
ne IV lo cinse di mura (5$); vi fabbricò delle ca*
se, perchè gli abitatori di esse servissero almeno di
qualche temporana difesa, e ae concesse Tabita-
zione a una moltitudine' di Corsi fuggiti dalla loro
patria. Ebbe il luogo dal suo fondatore il nome di
città Leonina, che trovasi ora racchiusa entro il
circondario di Boma moderna « L' insolensa de^Sa-
vaceni era taiita , che giunsero fino a sorprendere in
un 'isoletta alla foce del Bodano BoUndo arcivescor
vo d'Arles ; e burlandosi dei semplici Sfàoi sudditi
e popolani, fecero pagare uno straordinario riscatto
4I suo cadavere (6c)< Tanto inetti alla difesa eran
I * '
(59) Anastas. bibliotli. Vita Leon. IV
(60) £ra andato T Arci vescovo all'Isola di Gamereue, ov«
r abbazia di s. Cesarlo da lui posseduta avea dt'graii borni. Sorpre*
CAPITOLO SECONDO a35
divenuti gF Italiani^ che non più di 20 Saraceni ^^
sbalzati dalla tempesta alla spiaggia tra Nizza e Mo- ^[q.
naco^ entrati di notte in un castello, probabilmen- ^U
te Frassineto, vi scannarono tutti quelli che cadder
loro tra mano; indi fortificatisi, chiamati altri com-
pagni, fecero delle scorrerie in Francia, in Italia,
peoetrareno nel Monferrato , saccheggiarono presso
a Turino il monastero della Novalesa, e si manten-
nero per molto tempo in quel posto con vergogna
di tutti i Principi italiani* .
so ivi dai Saraceni y fu stipulato un costosi^mo riscatto. Intanto
l'accuoraniento, e forse gli strapazzi condussero a morte l'Atei ve-
scovo nel tempo della sua liberazione. Gli scaltri Saraceni tennero
occolla la morte , e nel tempo, che vem^* a riceverlo la tua geate»
portarono il cadavere a terra accomodato in una sedia, e vestito
degli abiti pontificali , e presero rapidamente il denaro . Si accosta-
rono alla sedia i suoi , e volendo parlargli > trovarono un cadavere.
ì »
• ■'' ' ■ I
1 «1
'»
»
**M
1
> . Ak
t
<
i.
*
•
1
1 .
.-. .] ■
1
a34 LIBBO SECONDO
CAPITOLO Ili.
SOMMARIO
Duchi, Conti, e Marchesi di Toscana, Origine delle Case d^Este»
e di Brunswich» Imprtse di Bomfarió • Influenti de* Marchesi
di Toscana sugli affari d* Italia . Ugone n' è eleUo Me • Sue di*
scordie col Marchese Lamberto . Esclusione della linea Bavara
dal dominio della Toscana, Linea di Provenza • Tigone, detto
il grande, governa giustamente. Sua morte. Vicende di Ugo-
ne, e di altri re d' Italia. Avventure di Adelaide Ji^ia del Re
di Borgogna . Bon\fa*io Marchese di Toscana.. Sua magniji-
cenzd , sua ricchezza , e sua morte. Metilde Contessa di To-
scana. Gregorio VII Arrigo IV Sacca dato a Boma dai Nor-
manni, e morte del Pontefice. Morte di Arrigo, e di Corrado
mÈoJif^ia* Arrigo V Imperalcfre. Potemtadi Meiilde, e sua
morie .
l^a Toscana^ esposta a tutte le rivoluzioni d'Ita-
Atmi Ha , passò dal giogo dei Goti a quello de' Longo-
3 .'bardi y indi dei Franchi. In questi governi però
quasi uniformi ^ era stata governata , ed oppressa
da un Duca, o Conte , o Marchese che dipendeva
dal Re d'Italia, (iìon questo nome erano distinti i
principali ministri del regno d' Italia . Giudici sul
principio^ e condottieri de' Barbari^ divennero do-
po il nono secolo principi distinti di un solo gra«
dino dal trono • Era dritto di questi , anzi officio ,
d' intervenire al concilio nazionale , e le leggi
non avean validità senza la sanzione loro. Nei
paesi che governava , il Duca , o Conte era supre-
mo comandante civile e militare con potere as-
soluto; ne' giudizj o civili o criminali erano assi-
stiti da' loro Assessori o Scabini che si suppone-
vano più istruiti del Signore . La loro condotta pò-
CAPITOLO TERZO 935
tef A esier ioggetta all' esame de' Giudici itineranti
fltabiliti da Carlo Magno , quando la debolezza ,o àìC
timore gli consigliava a soggettar visi. Si possono con* ^*4
sìdenire perciò nel potere, nell'abuso di esso, e
probabilmente nella forma dei giudizj, molto si-
mili ai Bassa , o Governatori della porta Ottoma*
na . Dovevano ad un cenno del sovrano marciare
co' sudditi in armi; con lui erano divise per metà
le tasse levate sul popolo. Avea il Sovrano il dritto
di richiamargli a piacimento , nò i figli legalmente
ereditavano la carica: ma presto invalse Tuso, che
DOQ potessero esser privati del loro uiBzio senza un
processo , a cui un Duca , o Conte assai potente
sdegnava spesso di comparire; e l'uso pericoloso
di confermare i figli nella carica del padre ^ unito
alla potenza del figlio , la rese psso passo eredita*
ria. In una lunga serie di questi padroni della To-
scana appena trovasi alcun avvenimento degno di
meoioria (i)« Lasciando nell'oblb quei, dei quali
si omosce poco pia cka il nome , la di cui serie ,
sempre incerta, esercita le inutili ricerche de'&ti^
cosi eraditi , daremo noi uno splendido principio
a ({Qesta specie di governo coi nomi di fioni&cio ,
ed Adalberto, che \lbr mano lo stipite, onde deru
vano due delle più illustri famiglie d' Europa , la
casa d* Este , e quella di Brunswich « li favore ac^
cttdato dalla prima agli uomini di lettere ha rice*
votola più fi^rtunata ricompensa nell'immortalità,
che le hanno data due dei cinque, o sei capi d' o-
pera che l'ingegno umano abbia in Europa saputo
finora produrre , l' Orlando Furioso , e la Gerusa-
lemme Liberata . La seconda famiglia , dopo va-
ti) T. Cosimo della Rena dei Duchi, e Marchesi di Toàcaa».
I
33& LIBRO SECONDO '
-.rie splendide vicende è stabilìt» sul trono d'una
dì G. ^^^'^ nazioni più potenti (a). Sogbono per lo più i
d>4 genealogici alberi, che la vanità ostenta agli occhi
del pubblico, cominciare da un uomor rllusire , al
disopra del quale manca la chiarezza della sorgen-
te : ciò non è vero di Bonifazio : diacendeva esso
da una famiglia padrona degli ampj dominj della
Baviera e della Sassonia ^ i di cui limiti neir antica
Geografia si estendevano assai più de' moderni (3)*
Bonifazio detto il Bavaro fu Conte di Lucca , che
in quei tempi era riguardata come la principal Cit-
tà della Toscana. Il di lui figlio Bonifazio secondo,
uni molto verisimilmente a questo titolo anche quel-
lo di Duca^ e Marchese di Toscana, e ai segnalò per
la difesa dei Paesi a lui commessi, e per la fedeltà
al debole figlio di Carlo Magno da cui probabil-
mente la sua famiglia riconosceva lo stabilimento
in Italia* Oltre la Toscana, era «tota commessa alia
sua cura la difesa della Corsica (4), e della Sarde-
gna . lusultovano i Saraceni Affricaui non solo que-
st'isole, ma le coste della stessa Toscana. Adunata
una piccola flotta esci dal Porto di Pisa: si dilegua-
rono in faccia ad essa i pirati. Egli dopo aver visi-
tate le coste di Corsica ^ fece uno sbarco in Affrica
tra Utica , e Cartagine . Non usati i Saraceni ad es-
sere insultati dai Cristiani in quelle spiagge , adu-
nato un gran numero di combattenti attaccarono il
campo di Boni&zio per cinque volte, ed altrettante
ne furono respinti con grande strage: i vincitori
carichi di gloria ^ e di bottino se ne tornarono alla
(9) Marat. Antich. Eftténs. lieìbuiz. origtnes Guelpbièae.
(3) Gibbon *s AntiquUies ofthe House of Brunswick^
(4) Da lui probabilmente ebbe il nome il forte di Bonifazio
in queir Isola . Co^m. della Reaa .
CAPITOLO SECONDO 337
bocca deirAroo. Al merito di difenaore della To-
scana contro i nemici della' sua Religione^ ^SS^^'^^dì^c!
Bonifiizio quello di difensore del bel sesso. È nota ^^4
abbastanssa la debolezza del carattere delF erede di
Carlo Magno , Lodovico Pio , e le vicende della sua
moglie Giuditta . Discendeva essa come Boui£sizio
dalla famiglia Guelfa di Baviera ^ che iouestata poi
ia Italia nella Casa d'Este per via di femmine, die-
de probabilmente origine alla famosa fazione Guel-
fa. I figli dì Lodovico Pio, e specialmente il turbo-
lento Lotario Re d'Italia , o abusando della debo-
lezza del padre , o intolleranti dell'ascendente, che
avea sopra di lui la matrigna Giuditta, aveano co-
stretto quel debole Sovrano ad abdicare il regno, e
racchiusa questa in un monastero di Tortona , men-
tre la compassione verso il degradato figlio di Carlo
Magno, e la venerata memoria del padre ricondu-
cevano il cuore de' sudditi a riporlo sul Trono, Bo-
nifazio impugnando la spada, cinta secondo le leggi
di Cavallerìa in difesa del bel sesso, corse con alcu-
ni fedeli seguaci a liberar Giuditta dalla sacra prì-
gione, e la ricondusse salva alle braccia del treman-
te marito . Questa galante e valorosa impresa gli
trasse però addosso V odio del re d' Italia , e fu co-
stretto a ricovrarsi in Francia , ma probabilmente
ritorno al suo governo, e morì in Toscana. Il di lui
figlio Adalberto I ora insultato come un pubblico
Assassino, ora esaltato come un'Eroe da Papa Gio-
vanni yill> secondo che gli fu amico, o nemico, è
distinto dalla sola cronologia da Adalberto II suo
figlio, trovandosi in molti scrittori confusi insieme,
ed ignorandosi affatto le azioni del prìmo. Adal-
berto II fu uno de' più celebri Duchi, e Marchesi
a38 LIBRO SECONDO
di Toscana . Le aue rìcchesoe lo reaero il più potente
Ann'
dì G. ^^' Principi italiaoi | e la ToscaDa cominciò sotto di
Bi4 lui ad avere uu' inflaeosa deciaiva nelle riyoliizioai
d^ Italia • Si trovaTa essa contraatata da due Re Be-
rengario^ e Lamberto. Era il Duca di Toscana ne*
mìco del secondo^ o voglioso d' ingrandirsi sulle di
lui mine, sollecitato ancor più dairambizione della
moglie Berta , che figlia del Re Lotario di Lorena^
aspirava forse ancor essa al titolo di Regina. Scosso
il giogo imperia le 9 e unitosi col Conte Àdebrando,
adunato un potente esercito^ marciò contro Lam-
berto verso Pavia. Questa indisciplinata truppa con-
dotta da inesperti generali , avanzatasi fino a S. Don-
nino, Parma, e Piacensa, e ivi &tto alto, era ne-
gligentemente addormentata • La sorprese nella not-
te fattivo Lamberto con poca e scelta cavalleria;
Tattaccarla e il porla in foga fu un punto solo: aal-
89S vossi Adebrando : Adalberto fu fatto prigione tro-
vato nascosto in una stalla • Lamberto quando gli
fu condotto piacevolmente gli disse, che il luogo
ove la sua viltà lo avea fiitto nascondere avea veri-
ficato la profezia di sua moglie (5) • Restò per poco
tempo prigioniero Adalberto. Correndo alla caccia
precipitosamente Lamberto cadde , e mori della
percossa non senza sospetto però di essere stato uc-
ciso dal suo compagno di caccia Tigone • Perde l'Ita-
lia un ottimo Re , giovine di anni, ma non dì sen-
no, come un isterico di quei barbari tempi con e-
spressioni men barbare della sua età ha scritto (6).
(5) Si era vantata di voler fare del suo marito» o un Re , o un
Asino . Liutpn apud Sigonium lib, 6. de Regno Italiae .
(6) Inerat illi honesta morum probitas, sonda et formiìdo-
Iosa severitas,et quem Juventus omaverat in corpore, splendida
mentis canicies aecorabat sancta ec. Liutpraadas .
CAPITOLO TERZO aSg
Sbrigato da ai potente nemico, corae Berengario
a Pavia , ore liberò il prigioniero Adalberto , lo di e!*
ripose nel suo slato di Toscana , e divenne il solo ^9^
Re d'Italia: ma il potente partito dell'estinto La m-
berta non poteva essere tranquillo; sapendo quanto
Berengario avea ragione di odiarlo, gli eccitò un
rirale, invitando Lodovico re di Provenza al Re-
gno d'Italia, come Principe del sangue di Ciarlo
Hagoo. Berengario vedendosi venire addosso questo
nuovo turbine di guerra , sprovvisto di forze e di
denari ricorse al suo amico Adalberto , da cui po-
tentemente assistito potè porre in piedi un esercito
di tal forza che venuto in Italia Lodovico, fu stret-
to a segno che vistosi perduto, gli convenne capi-
tolare, e promettendo con giuramento di non ten-
tar più una simile impresa, fu da Berengario lasciato
partire (7). I nemici però del re d'Italia e sopra
tatti il Papa, non restarono tranquilli: richiama-
vano Lodovico, e il Papa gli prometteva ancora le
inaegne imperiali: vedendo però che senza il con-
senso del potente Marchese di Toscana sarebbe sta-^
to vano ogni tentativo, si rivolsero alla di lui mo'*
glie Berta, che avea grandMnfluenza suirsinimo del
marito • Vinto Adalberto dagli stimoli di tanti prin-
cipi italiani , e dalle persuasioni della moglie man-
dò ad invitare Lodovico. Non fu egli restio (8). Be-
rengario privo di un tanto appoggio non ardì oppor-
segli, ma cedendo al tempo riparossi , e sì fortificò
in Verona • Lodovico occupata senza contrasto Tlta*
lia, ne fu coronato Re in Pavia: proseguendo il suo _,
viaggio in Roma ricevè da Papa Benedetto le inse-
(7) LiatpraniL lib. a:
(8) Liutpr* Hist. lib. a. Anoiì« in paneg. Berenga. Ilb. 4-
a4o. LIBRO SECONDO
^gne imperiali; rivolto iodi a coaipir la vittoria si
di e. preparava a stringere in Verona Bejpengario che
900 non lo aspettò^ e refugioasi in Baviera ; la fortooa
però pareva che scherzasse colla corona d' Italia , e
Berengario; il marchese di Toscana in questo tempo
dava e toglieva a hio senno quella corona • A vea egli
ricevuto nella sua Corte l'Imperatore^ lo a vea traU
tato con tale splendidezza, che quello non usato a
tal lusso, e a siffatta magnificenza^ e forse piccato
di esser sopraffatto da un suo vassallo , susurrònel-
r orecchie a un confidente, che costui la faceva più
da re che da marchese ^ e che non gli mancava che
il regio titolo. Queste parole riportate ad Adalber-
tOy interpetrate malignamente dalla moglie, istilla-
rono un veleno nel cuore del marito^ per cui so-
spettando che le sue ricchezze tentassero Pavidità
deir Imperatore, alienò da lui a poco a poco colla
sua influenza l'animo dei principi italiani. A vea
Lodovico, credendosi sicuro da ogni pericolo, per
altrui consiglio sbandato Tesercito, e stavasi tran-
quillo in Verona (9). Informato di ciò Berengario,
si mosse tacitamente con una truppa scelta e riso-
902 luta : sorpresa Verona, fece prigioniero Lodovico, a
cui rimproverando la rotta fede, fece cavare gli oc-
chi, ed abdicare il regno, e cosi tornossi il cieco
Imperatore in Provenza . Restò per alcuni anni sen-
za competitore Berengario, ma non tranquillo : fa
privato anch' esso del R^gno da Ridolfo re di Bor-
gogna chiamatovi dagl' incostanti Baroni, il favor
dei quali non godette molto neppur egli. La pos-
sanza de' re d' Italia, come in ogni sistema feudale^
(9) Liutp. Hist. lib. 3.
CAPITOLO TERZO 2^1
dipendeTa dairticcordo eoo lui de' Baroni suoi vas-
salii: questi per la naturale instabilità di tutti i pò- ^[ e.
poli di odiare il presente^ e di amare il futuro^ ap- 9^^
pena messo in trono un re erano scoutenti delFope-
ra loro, cercavano di deporlo e crearne un nuovo,
che deponeraùo colla stessa volubilità: pocbi favori-
ti eccitavano innumerabili nemici, i quali erano
sempre in quel sistema abbastanza forti per mutare
il governo. Tale fu per moltissimo tempo la situa-
none d'Italia, simile ad un malato che non trovan-
do riposo va cangiando loco e medico inutilmente •
Morto già da qualche tempo il potente marchese di
Toscana Adalberto II, il suo figlio Guido caduto ' in
sospetto di Berengario , forse per gì' intrighi del-
l'ambiziosa Berta sua madre, era stalo imprìgio*
nato. La Toscana però gli era restata fedele , onde
avea potuto dopo la caduta di quello agevolmente
ristabilirsi • Egli, e Lamberto erano fratelli uterini
di Ugo Duca di Provenza , nato dalle prime nozze
della loro madre Berta con Lotario Conte di Arles .
Era parimente loro sorella Ermenegarda, maritata
ad Alberto Conte di Ivrea, donna non inferiore alla
madre Berta negrintrighi politici ( 1 o). Questa pro-
babilmente secondata dalla sua famiglia di Toscana
invitò il fratello Ugone al regno d' Italia. Con tai
potenti appoggi non potea mancare il progetto .
Venne Ugone per mare sbarcando a Pisa, ove con-
corsero tutù i principi d'Italia, e gli ambasciatori
di Papa Giovanni; di là portossi a Pavia, ove fu
(io) Ermenegarda cum mariti dictionem vidua administra^
^t sfavore Principum italicorum muliebribus iUeeebris sibi con- ,
oliato, tantas opes quaesiverat ut etiam Rodulpho regnum cri-
pte cogitaifit, Sigoo. De regno ital. lib. 6.
34a LIBRO SECONDO
~ ektto , e colla solita faazione c<at>nato in Milano
jì°^ dall^Àrci vescovo Lapiberto. Invano dopo poco lem-
9oa pò la solita istabjUtà degV Italiani tentò di minare
Ugone. Più scaltro^ e più fortunato degli altri ^ di-
scoprì una pericolosa congiara; e Geto^e Valporto,
capi di essa , furono puniti il primo colla perdita
degli occhi e della lingua^ l'altro delia vita (i i) •
Una congiura spenta rinforza sempre il governo:
quello di Ugone prese perciò maggior vigore ; ma
la sua avidità^ e ingiustizia^ T ingratitudine a' suoi
bene&ttori ne oscurarono il carattere^ e furono forse
in seguito la causa delle sue disgrazie. Ei dovea il
regno d'Italia alla famiglia dei marchesi di Tosca-
na ^ di cui tentò con la fixxle , ed esegui la mina.
Guido successore di Adalberto era cresciuto ancóra
di potenza per il matrimonio con Bla ria ^ o Marozia
degna figlia di Teodora , e vedova del Conte Albe-
rigo • Questa donna nelle sue dissolutezze non po-
neva neppure la femminile decenza • Ella fece di
Roma , e del Vaticano una scena di prostituzione .
Armata delle arti femminili, e di non femminile co-
raggio, abile a regolare i tumulti sediziosi di Roma,
si era impadronita della mole Adriana , e dettava
leggi al Papa, e al popolo romano* Guido, Duca di
Toscana , non ebbe repuguanza di sposare una si
fatta donna, tutto cedendo in lui all'avidità del
potere . Non ne ritrasse però altro flutto che di as-
sociare il suo nome ad alcune sceleratezze della
moglie, e ben presto se ne mori. Il suo fratello
Lamberto , divenuto per la morte di Guido , mar-
chese di Toscana , ambiva lo stesso titolo , o diso-
(il) Liatpr. Hist. lib. 3.
"^
CAPITOLO TERZO 343
nore^ di marito di Marozia. Il Re d'Italia geloso
della potenza toscana , la quale vedeva accrescersi ^^ ^^
con questo matrimonio di Lamberto^ immaginò per 9^^
ispogliarlo dello Stato una strana favola adattata
aUMgnoranza dei tempi (i^)* Fece spargere che né
Lamberto^ né il morto Guido, né la sorella Ernie-
negarda erano figli di Adalberto , ma stati supposti
da Berta • In un caso in cui si ricercavano le prove
le più delicate , Lamberto non ebbe difficoltà di ap-
pellarsi al cosi detto giudizio di Dio, e di provare
r autenticità della sua nascita colla forza delle ar-
mi : accettò volentieri Ugone la disfida , e gli pose
a fronte uno dei suoi più forti combattenti detto
Teutino, il quale però fu soccombente : tuttavia lo
adegnato , e ingiusto Ugone sostituendo la prepo-
tenza al valore ch'era mancato al suo campione,
investi del Ducato di Toscana il proprio fratello Bo-
sone spogliandone Lamberto a. cui fece cavar gli
occhi (i3) . La Bavara linea di Bonifazio restò cosi
esclusa dal dominio della Toscana • Sopravvisse però
a questa catastrofe Lamberto (i4)> da cui fu pro-
pagata la linea in Oberto , ed indi nelle due fami*
glicd'Este, e di Brunswich, Spento il rivale, non 93 ^
sdegnò il re d' Italia , di ambir le nosze della prò*
stituta , e già attempata Marozia , o piuttosto il do-
minio di Roma; si portò in quella città ed è comu-
(la)Liutpr.Hist. lib. 3. , ..« ji
(i3) Qo«sto avvenimento ci fa ricordare la Cavola d Esopo del
Lapo» e dell'Agnello .
(i4) Adalberto III da Leibniz, e da Muratori credesi figlio di
Guidone di Marozia: ma raccuratissimo Gibbon , portando in que-
ste ricerche il più ingegnoso criterio, mostra cbe tal discendenza è
iaconcàiabile coUa cronologìa , onde lo crede figlio dì Bonifazio ,
fratello minore di Adalberto II. V. Gibbons Antiquities of the
Bouse of Brunswick •
a44 LIBRO SECONDO
^ ne fama ^ che la sposasse . Non si comprende però
jiG, come non fusse dichiarato Imperatore, giacché era
9^^ figlio di Marozia il Papa regnante Giovanni XI nato
com'era fama da Papa Sergio; forse credeudosdo
sicuro^ indugiò troppo a ricercar quest' onore . In-
tanto il SQO orgoglio rivoltò la nobiltà romana , e i
posterióri avvenimenti glielo impedirono . Un tri-
viale accidente di famiglia y uno schiaffa dato da
Ugone al suo figliastro Alberigo^ fece sollevare i
Romani y che alla testa di questo corsero per espu-
gnar la mole Adriana , ove stavano Marozia e il
re 4' Italia, mentre* te sue milizie erano fuori di
Roma (i5). Si fece egli calare dalle mura del Ca-
stello, e andò a trovar le sue truppe; ma tentò*ÌD-
vano di rientrare in Roma : fu imprigionata Muro-
zia , fu disprezzato il Papa, tutta V autorità fu con-
ferita ad Alb^rigt), dichiarato signore di Roma,
che seppe resistere allegarmi, ed alle arti di Ugo-
ne. Cacciato da Roma^ odioso agV Italiani, pure
ebbe forza di respingere il Duca di Baviera , che in-
vitato dai Principi secolari ed ecclesiastici d' Italia
avanzossi fino nella valle di Trento y ove battuta la
sua vanguardia credè opportuno il retrocedere • Ma
r inquieto Ugone , avido sempre d' ingrandirsi ,
tolse il Ducato di Toscana al fratello Bosone pet*
dàtlo al suo figlio Lotario, che già a vea fatto dichia-
rare re d' Italia. Trovò T animo del popolo assai
disposto a questa mutazione : la moglie di Bosooe
Willa, era cosi avida delle altrui ricchezze, chele
donne di Toscana aveaao abbandonati tutti i loru
preziosi ornamenti per non tentare la di lei crudele
i'
(i*») Frodcard in C/tron, apud Duchesne,
r
CAPITOLO TERZO »45
avarizia. Usando Ugoqé delle sue solite arti, fece"
credere di puhhlic;o> cbe gli toserò dal f<*^tello '^l^l
tramate delle insidie ; né cii^ è ìoiprobabile , es^ 9S3
sendo i fratelli, dello stésso carattere . Imprigiona il
maritOy e spqgliflndo la. moglie (f6) di tutto Torp,
e di tutte le> gemme colla/più indecente, yiolctn-
za (17), la rimandò in Bprgogpa.. Investi deLgo-
veraodi Tosc^mi il su^ figlio naturale Oherto.idi
cnj poco parla l!;istoria. A lui auwre^^ IJgone,!chiàt
maio senza ragióne il graud^., i?pn>e dall'istoria ri*
serbalo a persone clxe si sono inalzata aprala sfera
di questo sovrano ^di Toscftn» ; Poteva .c^n maggior
precisione esser chiamato gitt$to,,:e pio, giaiqidbè
UMva talora nel tempp della icacfia, Q:di ui^a.inahrr
eia, sloDtaparsi à;A suo Seguito, e visitare iscono^-
sciuto le capanpe dei' suoiii-c^istici: sudditij, interro^
gargli sol goveitui;), e sul jcaratt^re del loro Sovrana,
ed ascollar l^ rispojst^ jpion maaqUm'Ate dal timore,
0 dairadulazione; % jvenerata la sua memori^ dagli
ecclesiastici,, ai qn^JifecjBtdei ricpbi doni* La Sadia
di Firenxe è uno 4ei settej.inQnafiJtei^i da lui (ba-
dati, e riccamente dota ti,, oy^ scorgasi la sua touv
ba, la sua fita|tu$, od.pve aont^o^e^ite Qon\>om
fredda rettofi(;;^,d9cla(C|^zio^)e si c^e}>rano le siile
lodi. MaJicp .^llfl:^a miortjei.|pJjqea mascolina(di
Provenza, e, gli sqtìc^se.ufì ^f s^raneo , : cioè Tedal-
do, avo d^lja ^elebr^ Contessali. Matilde com^ vedre-
010 in appresa, Infpl^to ^Irc; d'Italiia Ugune^ con-
servando il sanguii)arìo nfitoral^, fece uccidere :il
I ' 1 ' ' Iti
(i*j) Jnulier jussa est vefstibus exui: quo jacto , apparutt
eam cupiditate gemmae in occultissimis corporié partihus ahdi^
disse , Siff. De regno ital. -, . ,
-46 LIBRO SECONDO
Duca di Spoleti Anscario sul sospetto^ p pretesto che
di"G!gli fossero da quello tramate delle insidie: volle
^^3 ùlv lo stesso al di lui fratello Marchese d'Ivrea, ma
questi scampò per la pietà di Lotario figlio di Tigo-
ne , che feee segretamente avvertirlo^ onde si salvò
colla fuga in Germania * La frode^ e la crudeltà
formavane il carattere di Ugone^ e vi si univa la
più sfrenata dissolutesza : un serraglio di concubine
più di lusso, che d'uso alla sua età servivano piut-
tosto ad irritare, che a spegnere gl'impotenti desi-
derj. La fama, o la maldicenza sparse che non ri-
spettasse nelle dissolutezze neppure i vincoli pia
sacri di parentela : ma le sue iniquità erano giunte
al colmo: cercavano gì' Italiani alcuno che gli libe-
rasse da un tiranno : il timore però faceva che lo
cercavano in silenzio • Tutti i cuori erano rivolti
verso l'esule Marchese d' Ivrea salvato dal figlio.
11 suo amico Amedeo venne sconosciuto in Italia,
ed esponendosi ai più grandi pericoli, gli portò gli
«inanimi voti degli Italiani. Si accostò pertanto al*
l'Italia: si sollevò questa in favore; ed essendo
giunto a Milano, rifinitisi i principi ecclesiastici e
aeoolarì, erano ral punto di dichiararlo re d'Ita-
lia. Ugone, vistosi perduto, tentò T ultimo col-
po (id). Il figlio Lotario, suo compagno nel regno,
^m un aiùabile glovihe : 'ne abbiam notata T uma-
nità nel salvare ad onta dèi padre K> stesso Beren-
gario. Vedendo Ugone che it figlio avea l'afifezione
^di una gran parte d' Italia , 1q fé' presentarsi al-
l' assemblea di Milano , supplicando che se il pa-
dre avea demeritato il regno^ non facessero a lui
(i 8) Lmtprand. Hist lib. 5.
CAPITOLO T;ERZ0 a47
inoocente il torto di escluderlo^ che era Re per'
I <■ • Abbi
loro eledone • ^ q^
Fq commossa da questi' atto la Dieta , e Lotario 9^^
confermato Be piò però dì tìtolo, che di potenza ,
la quale restò tutta a Berengario. Sì ritirò Ugone
ÌQ Provenza ove mori in breve . Lotario dopo aver
regnato qualche anno senza biasimo, e senza lode,
0 morì naturalmente, o di veleno, lo che se fosse
vero, avrebbe Berengario mal pagato colui che gli
avea salvata la vita. Questo delitto è incerto, ma 949
la persecuzione contro Adelaide yedova di Lotario
è aoa macchia indelebile ai nuovi re d' Italia ,
Berengario, ed Adelberto suo figlio. In mezzo ad
un tedioso ed uniforme racconto di tradimenti,
di stragi , di rivoluzioni ^ meritano una partico-
lare attenzione le avventure della bella , e sag-
gia Adelaide • Era essa figlia di Ridolfo II re di 9^»
Borgogna; la sua figura, e le sue avvenenti manie-
re avevano cattivato il cuore del figlio di Berenga-
rio che gli offerse la mano; ricusò ella dMmparen-
tarsi con quelli che avean minato e forse fatto mo-
rire suo marito, irritati dal rifiuto il padre, e il
figlio, la spogliarono di tutte le ricchezze, e la rac-
chÌQsero in una rocca sul lago di Garda, ove la
moglie di Berengario Willa giunse a maltrattarla
fioo eolie percosse (19). Restò colà racchiusa con
una serva per molto tempo^ quando un prete detto
Martino, fatta un'apertura nel muro , o una mina
^terranea ^ di là la trasse, e si nascosero tutti tre
i& un bosco sul lago di Garda > ove sarebbero morti
.('9) Quast'avTeatuni è coqUU dalla monapa Rofvida poetes*
o di cpiel secolo , dà Odilone Ab. dì Glagnl , Donizone ec r. Aftf-
f^* Rerum. HaL Script.
346 LIAEQ SECONDO
' di fame senza il soccorso di uu pescatore, andò in-
^.(^ tanto il prete a svelare il segreto al Vescovo di
9^1 Reggia, non ardi egli di darle ricovero: lo ebbe però
da Atto 9 o kzzo, ohe la raccolse nella fortissima
rocca di Canossa.. La reclamò invano Berengario*
invano formò il più stretto as^edip della fortezza ,
c\%e per essere secondo la poca esperiea^ea di quei
tempi 9 inespugnabile, fu Tassodio convertito in
blocco. Tutto però fu inutile: venne Ottone pri-
mo dalla Germania, e liberatala, arnmirandone la
viriù^e la bellezza , b credè degna d'esser sua spo-
sa . Dopo Carlo Magno y non era comparso sulla
sjcena d'Europa im Covrano del nierito di Ottone,
e clie unisse a pardi lui la saviezza, e il valore ;
sedò i sediziosi tumuli^ di GerQpania> ruppe in una
gran battaglia pressa A^ngust^ gli ITngberi, chesoor-
* .. revano sedta: ostacoUi là Francia, Tltidia, e la
Qevmdnìa , commettendo i più grandi eccessi , e
distrusse intieràm^te la loroarmMa;. mise ordine
alle cose d'Italia/ ne fu coronato, re e imperatore;
visitò Bdpaa piìiì valte.,ie tentò, di iristabiitirvi quel-
lordine , e qtjella quiete che lio Clevòiisenza disci-
plinale un pojWlo non osato ad obbedire ne ave-
vamo sbandita. Vi trovò però i prù^grandi ostacoli;
fo,^<>spirato contro di lui: si salvò correndo alle
ape. truppe. alloggiate' fuok* di(R9nui , e nie rattennè
il; furore, quando respinti i fioibaoi correvano a
£airne strage* Padrone di se stesso, e dèlia am tcol-
lero y ne impose ai turbolenti Roibahi j-e fece rJspet^
lare.il sacerdozio, /e T impero. Si leggono varj éà*
pienti di donazioni fatte da lui alla Chiesa romana:
bantto questi ristesse ecceiioni d^gli'aiW. Si no-
minano in sì fatte donazioni città, clie >nofi appar-
CAPITOLO TERZO :i49
ieoevano all'Iaij^ratore (20) . Dopo uà Regno glo- ,
riosp in guerra.) em pace, mori Ottooe ia^ìando il ai e,
suo figlio il gH)VÌfi0 Otlone 11 Imperatore ^ re d' Ita- 91^
Uà, e di una gira n parta deila Germania. Egli non
ayevja ei^itato ne la aaviezsu/i^è il. valore^ né la,
cleixtenpui dei padce* V/fqi^to m JtatijEi^ v^go di se*
goalarsi ne^le laivvpii, e di togliere ilre^lo d'Italia;ai
Saraceni ;i ^ fi^r^e ai Greci, mos^e le sue trappe:
segui uua aangutDp;Sa battaglia ifk Calabria colla peg«
gio d'Ottonye (ai)) e gr^^ndissima strage de'jsuoi,
fra i quali ijDSolti. dei principali signori, ed Eccle-
siastici tedescli^ , come il.Yescovod'Augusta^ l'Abate
di Fulda ^ che .maneggiavano la apada,e il piastora-
le. Era Ottone ii\ rischio di e^^r pre/»o dai Sarace*
ni: fuggiva vicifio, al Udo del maae:. scampò for^
tanataroente. .'^ccpltp da una nave gretcfi, chf fa-
ceva vela noiji Iji^qgidaUf^ api^ggia^ a cui fe'centio^'
ed accostossi spronando il cavallo in mare. Egli
p€;rò s^ irj9ydiVJà.ìn jpano^.di t^n pirato, o di «m) Hc^
niico, da. cui j d^pdeudoh) cpUa speranza di un
ricino riscatta j g|i i;eune &tto digitarsi (a^)* Ptie*
r f • • -,
.• . ■• l.l * . '■ ' ' • '' '
J '
(20} In quettp i;ipp;tato dal Cardiaal JSaropio vi è DOOiikKala
fino Venezia, Vedi Murai. Aniu d'UaL
(Qi)Mtirtit. AnVi.<lMtat
(2? ) Un soJdgkt Schi^yone, della greca na^i^e il ri^ockobbe ; Ot-
tone promise un ri^chissjn^o riscaito al Capitano cniedendosU la
t»4rniissioti« di ^feÀ)té u A méèse eìV ImpevatHte Teofanisf , ime gl(
maudei-ebbc de) ^a<:;chi d! ora. per dscatlarlo» Ena essa nella ^i^tii
di Rossano^ fu sepó scaltramente concitato il piano della comme-
dia. ^Ucrrcb^'-iom^arva la nate , usci ^i Ro^satio una quantità é^
bestie da soma^rtcfite di saccbi^ c^ pare«aAo pieni di moaela^
Stavano in alcune barcnette.de' bravi soldati vestiti da marinari»
Si i^eostò alia na^ife; pfééa ^eWoro ; 'Véscovo di TWet* , pìer coni
chiudere il contratto • Condotto alla proda Ottone, alla vista dei
noi) .fidandcfìi^kt 9«a abilità «al n«bDl#» sjpiccò Vin mIio ^ taellt ao»
qua , e un Greco che i|Ì frolle -ritenere per I» veste ùx malaiaèlilé
dSo LIBRO SECONDO
^ parava nuove forze per vendicar rinsalto , che avean
diG.^ff<^rlo le sue armi^ qoando morì in Roma. U
97^ terzo Ottone , che successe al padre neili Meati do-
min), fu ancor esso assai inferiore all'avo^ e poco
migliore di suo padre: coronato Imperatore visitò
più volte r Italia, e Roma che era sempre imaiersa
nelle stesse turbolenze • La memoria dell' antiche
imprese, e del perduto splendore romano senza il
valore , tenendo inquieti i degeneri descendentì, gli
spingeva non a lodevoli imprese ^ ma a sedizioni.
Crescenzio dotato di uno spirito torbido^ e di teme-
rità più che di coraggio, eccitò Roma^ e l'Italia a
disfarsi del governo d'estero principe. Queste voci,
che non fecero impressione alcuna sugi' Italiani ,
produssero il loro effetto in Roma , che si sollevò
contro r Imperatore. Corse Ottone a domare i ri-
belli: si fortificarono le mura di Roma , ma, vacil-
lando i Romani, si chiuse Crescenzio nella mole
Adriana. Capitolò finalmente: Ottone, che Tavea
assicurato della vita, il fece decapitare; sentì poi
rimorso di quella mala azione, o gli fu fatto senti-
re da S. Romualdo, e per espiare la colpa andò in
pellegrinaggio a piedi nudi al Monte Gargano^ cele-
bre pel santuario di S. Michele. Passò anche da
penitente una quaresima nel monastero di Classe:
mori o di morte naturale, o di veleno datogli in
vendetta dalla moglie di Crescenzio, che (si dice)
avea avuto l'imprudenza di scegliersi per aaiante:
né santo, né eroe mori in tanto odio degl' Italiani,
che il cadavere stesso cha si trasportava in Aqui-
ferìto. GivBfe saKo ai lido lasciando un raro esempio di an Greeo
burlato da un Tedesco . Marat Aon. d'Ilal^
;
CAPITOLO TEBZO a5i
^rana era insultato dal popolo ovunque passata^ e""™,
la truppa armata che gli serviva di scorta fu più ^iq^
d'una volta assalita (a3)« Era intanto succeduto !97^
Tedaldo nel governo di Toscana ad Ugone detto
il grande 9 e a lui Bonifazio padre della Contessa
Matilde. A questa celebre donna come Signora di
Toscana , e come una delle pia potenti attrici del
sanguinoso contrasto tra il sacerdozio • T impero,
si deve dallo storico toscano una speciale attenzio-
ue. Si riguardava Bonifazio in questi tempi il più
rispettabile principe d^ltalia: signoreggiava Manto-
va, e Ferrara (a4); divenne indi Marchese di To-
scana: aveva egli due fratelli Tedaldo, e Corrado,
il primo di esemplar castità (26) Vescovo d'Arezzo,
Taltro valoroso guerriero. La bravura di Corrado
salvò Bonifazio in un fatto di arme in Lombardia ;
assalito da quei popoli combattendo valorosamente,
ed avendo colle sue mani troncato il capo ad un
MilJato che Tavea ferocemente appellato a batta-
glia, era tuttavia vicino a soccombere. Fu soccorso
«lai suo fratello Corrado, che uscendo dal bosco
itnprovisamente co'suui, attaccò i nemici, ristabili
la pugna, e finalmente gli disfece: fu però questa
(a3) Dìtmaro , lib. 4* AnnalìsU Sassone ec
(a4> Mui-at Antiquit. Ital. diss. 6.
(aS) Donìz. cap. 5.
Extat cactus ita quod quodam tempore quidam
Perversi vane prò quaaam debilitate
Hortabaniur ewn stttprum committere secum,
Quod praesul tractans jussit deducere partam
Quippe lupam quandam , prius ignem ponere mandans
Ante saum stratum : videi ignem fhtmmij^^um
Approprians juxta dumjlammas sensit abundans
^ In lacryjnis clamat ; vae, vae mihi si modo raram
Flammiculam vilemnequeo sufferre , perire
Si me contin^at Barathrijìammam, miser: illam
Quomodo sufferre poterò?
252 LIBRO SECONDO
'vittoria a lui fatale aveodone riportata una ferita/
di c« cb^ trascurata dopo molto tempo , lo coudoase l<en-
>o<^ tamente alla tomba. Le ricchezze di Bonifazio, la
aura pompa più che regia^ e.anluasodi osteuta2ione
furono spiegati nelle sue seconde nózze con Beatri-
ce figlia di Federigo Doca di Lorena dopo la morte
I037 della prima: moglie Riofailda (96) . Andò egli a
prender Beatrice'col tretio il più sontnosa* I cavaN
li se crediamo a Donizone (27) erano ferrati di ar-
gento^ i chiedi non ribattuti. Condusse la sposa in
Lombardia: secondo Taso di quei tempi tenne in
Marego per tre mesi corte bandita , ove non solo i
nobili forestieri) ma ogni sorte di popolo solevano
concorrere , e tutti erano trattati lautamente : i buf-
foni , i mimi , i giocolatori con volgari e grossolani
spettacoli y con plateali buffonerie adattate alla roz*
zezaea dei tempi erano T anima di questi diverti-
menti; r oro, e r argenta adornavano* le tavole, ove
si portavano le yiyànde colle bestie da soma: si tri-
turavano, gli aromi qolle macine da mulino, e vi
erano dei pozzi di vino, ove con secchi di argento
ciascuno poteva dissetarsi. Benché sì fatte descri-
zioni passano credersi esagerate, convien però de-
durne, che la magnificenza di quelle nozze avea
sorpreso T Italia: più terre, e castella, forse in Lo-
rena, forse nel Bresciano furono .portate in dote al
Marchese di Toscana da Beatrice'. 11 dono ancora
di 3oo cavalli, ed altrettanti astori fatto dal suo
Visconte, 0 Vicario di Mantova Alberto air [mpe-
ratore Arrigo quando venne in Italia, eccitarono
» . , ■ ' ,
(a6) Era questa figlia dlGiselberto Gontip ^^^ Sacro Palazzo in
Italia.
(a^) Cap. 9. Vita Matbil. Doniz.
\
CAPITOLO TERZO ^53
r ammirazione di questo Principe, argomentando
la ricchezza del principale da quella del suo Vica- ^iq.
rio (28). Può far meraviglia la ricchezza straordi- i^»?
Daria di Bonifazio: ma olire le città , e castella,
ch'egli possedeva fuori dì questa provincia, si era
impossessato di moltissimi beni ecclesiastici (39), e
di altri faceva un vile mercimonio conferendoli per
denari. È vero che ogn'anno soleva andare al cele-
bre monastero della Pomposa , e far ivi solenne
confessione, e penitenza de' suoi peccati non senza
offrire ricchi donativi a quella Chiesa (3o), sofiren-
do talora pubblicaniente la disciplina, con cui il san-
to Abate Guido lo flagellava davanti all'altare (3 r).
Morì di morie violenta in età assai avanzata . Pas-
sando per un bosco fra Mantova e Cremona fu, da
un traditore nascoso, ferito con un dardo avvelena-
to: il di lui corpo è sepolto in Mantova. Restò la
vedova Duchessa Beatrice con tre figli cioè Federi*
(38) Narra Donizomc che T Imperatore Arrigo ^ ayeiido inyì?
tato a pranzo Alberto , questi ricuso per rispetto , dicendo di qon
aver osato giammai sedere alla tavola di Bonifazio: che ottenutane
poi da questo la permissione , e ricevuto in dono dall' Imperatore
molte pelliccie, tutti questi doni presentò al suo principale^ ed
una di cervo piena di denaro per farsi perdonare 1 ardire , e pla-
carlo. Questi latti o veri, o &lsi son atti a mostrare i costumi» e la
maniera di pensare di quei tempi. Certamente la potenza di Boni-
&ZÌO aveva dato sempre ombra all' Imperatore Arrigo m ; e nei
tempi addietro essendo andato alk sua udienza a Mantova ne avea
ordinato l'arresto. Bonifazio però, sospettando della fede delllm-
peratore , vi andò con una forte scorta di armati , i quali nell' atto
che entrò all' udienza , vedendo serrare la porta la forzarono , ed
entrarono dentro; Bonifazio fece le scuse di questo fatto all'Impe-
ratore, osservando^ che erano sempre soliti di accompagnarlo.
(99) Marat. Antiq. ItaL diss. 36.
(3o) Doniz.
Fratres ac Ahhas ejus delieta lavahant
Ecclesme quorum solilo dabat optima dona
Rex el^nim nuUus dedit ibi meliora,
(3i) Doniz.
t54 LIBRO SECONDO
^^gO) Beatrice^ e Matilde, ne' quali coosolidaiidosi il
^*^' possesso de' vasti domin] paterni , ed essendo i tigli
1027 in sua custodia, diveniva una persona assai impor«
tante. Il matrimonio di questa vedova era ambito
dai più potenti Signori . Egli è perciò che occulta-
mente ne bramò il trattato Goffredo Duca di Lore-
na; e venuto in Italia sposò Beatrice, e stabili (co-
me fu creduto) nello stesso tempo il matrimonio
di suo Aglio Goffredo il gobbo cotta figliastra Matil-
de, allora in età molto tenera* La potenza de' du-
chi e marchesi di Toscana facea da qualche tempo
ombra agl'Imperatori avendo quelli più volte dato,
io55 e tolto il regno d' Italia : non è da maravigliarsi se
questo matrimonio trattato con mistero, e coocbiu-
so senza sua saputa, dispiacesse all'Imperatore Ar-
rigo che vedeva un uomo scaltro , ed ardito come
Goffredo, più volte suo ribelle, impossessarsi di
fatto dei dominj del morto Bonifazio, senza la sua
approvazione .
Essendo pertanto venuto in Italia, trovandosi in
Mantova , non ardì Goffredo di presentarsi a lui ;
mandò però la sua moglie Beatrice a Gir le scuse, e
prometter fedeltà. Ad onta del salvacondotto, fu
essa ritenuta dall'Imperatore, il quale, per assicu-
rarsi sempre più di Goffredo, tentò con tutte le arti
di avere in mano il piccolo figlio di Beatrice ; che
però in questo tempo essendo morto, e poco aranti
la sorella Beatrice , tutta la speranza di questa casa
insieme col ricco dominio si riunì in Matilde. Passò
l'Imperatore in Toscana, e si abboccò col Pontefice
Vittorio, il quale celebrò un Concilio in Firenze.
Si era intanto Goffredo ritirato in Lorena, sdegnato
coli' Imperatore, il quale temendone te macchina-
CAPITOLO TERZO a55
zioni e rattiTità, noD tardò a tornare in Germania.
Restò Beatrice in arresto fino alla di lui morte, cheaTc
avvenne Tanno seguente; ed essendo per opera del «o^s
Papa proclamato re di Germania^ il di lui figlio
Arrigo IV ancor fanciullo, per intercessione del-iose
ristesso Pontefice perdonò ai nemici del padre, e
fra questi a Goflbedo, e messe in libertà la di lui
mogUe Beatrice. Strinse Goffredo amicizia col Pa-
pa» e lo invitò a Firenze^ ove venuto creò Cardinale
il di lui fratello Federigo, monaco cassinese, col
titolo di S. Giovan Crisostomo. Mori il Pontefice
Del tempo in cui si era portato il nuovo Cardinale
a Roma a prender possesso della sua chiesa . Fu esso
creato Papa col nome di Stefano IX con universale
applauso, ed ecco un novello accrescimento di po-
tenza in Italia all'ambizioso fratello Goffredo. Si 1057
preparava probabilmente a profittarne, specialmente
nella minorità del nuovo re di Germania Arrigo IV.
Già i tesori del Santuario del Monte Gassino per
ordine del Papa erano stati portati segretamente a
Roma con gran reluttanza de^ monaci; ma una vi-
sione narrata alla sua credulità, e gli scrupoli nitti
indi nella sua coscienza, gli fecero rimandare in-
dietro il tesoro, e la sua morte in breve avvenuta
ruppe i, vasti disegni del fratello, che ambiva al re-
gno d'Italia, e alb corona imperiale. Dopo varie
vicende essendo ritornato in Lorena, mori lascian-
do un figlio del primo matrimonio chiamato Gof-
fredo, o Gozzelone il gobbo, che o innanzi, o in
questo tempo sposò V unica figlia di Bonifazio e
Beatrice , la celebra Contessa Matilde • Pare però 1 069
che il di lei marito avesse poca influenza nel go-
y&ùo degli stati della moglie, giacché in varie oc*
tt56 LIBRO «ECONDO
'^ca^Honi troviamo negli atti di sovranità esercitati in
jiC. questo tempo in Toscana, ed altrove i nomi con-
*«^ giunti di Beatrice, é Matilde, piuttostochè di Gof-
fredo . Il partito ciie questi avea preso' ia favore
dell'Imperatóre nelle già insorte controversie tra il
Papa, e l'Imperatore, non lo dovea render molto
accetto alla moglie uè alla suocera drclriarate parti-
tanti del PonteBce . £ dubbio se mai fosse consa-
mato il matrimonio tra quei due con)ugi: egli è
certo che dopo non molto tempo perde Matilde il
marito, e la madre. Fu quello Ucciso in un assai
stravagante maniera (3:i). Quest'avvedimento ebbe
luogo nel febbrajo, o nell'aprile. Gessò di vivere
nella città di Pisa la contessa Beatrice, donna or-
nata di molte virtù morali, religiosa, e prudente,
di cui vedesi ancora Tuma sepolcrale nel Campo
3anto, ove erano già i barbari versi
Quamvispeccatrìx, sum Domna uocata Beatrix
In tumulo missajac^o quae conUtissa (33):
Resa padrona di se stessa Matilde, signora di ric-
chi, e possenti dominj in Toscana ed altrove, si
rese sommamente celebre per Tattaccamento alla
S. Sede, e in specie a Gregorio VII nelle tumultuo-
se, e sanguinose questioni, che in questi tempi agi-
tavano la Chiesa e l'Impero. La sua religiosa pietà
dovea certamente inclinarla al partito della Chiesa:
è da notarsi però che vi era unito anche il suo in-
teresse . Secondo le leggi dì quei tempi, gli stati di
(3 a) Nel tempo che si trovava al li^ogo comune , che dovea
aver comuDÌcazione colla pubblica strada , ud traditore gli scagliò
un dardo di basso in alto» da coi trafitto in breve se ne mori. Mur.
Ann. d* Ital.
(33) y, Morrona, Pisa illustrata ec«
OAPITOLO TERZO aS?
Bonifazio suo padre non passavano alle femmine/
e per esser posseduti anche dai maschi era Decessa- ^q
rio un atto dell'Imperatore ^ o del re d'Italia . Ma- 1069
tilde^ priva di questi diritti^ avea tutto da temere
dalla parte dell'Imperatore; ella fu pertanto uno
dei più fermi appoggi di Gregorio VII. che arrogan-
dosi la facoltà di dare^ e di togliere i regni ^ risve-
gliò una disputa che divise per luogo tempo scan.
dalosameute il mondo cristiano, e che sovente pro-
dusse le scene le più sanguinose. Se quella preten-
sione in qualche tempo ha soverchiamente accre-
sciuta l'autorità dei Pontefici, ha poi sommamente
contribuito a diminuirla, mettendo in guardia i So-
vrani contro Roma. Può dirsi che il contrasto co- ,q 3
minciasse coU'elezione di Gregorio VII. al pontifi-
cato . Si era già segnalato da gran tempo nel soste-
nere le pretensioni di Roma: promosse colla sua
autorità, ed eloquenza la bolla di Stefano IX. in cui
si pretende di esentare gli ecclesiastici dal Foro
secolare, e si vieta che s'impongano su di loro gra-
vezze di alcuna sorte dai laici. Era ^tato il più va-
lido sostenitore dell' asserzione , che uè l'Impera-
tore^ né altri sovrani hanno dritto di approvare
l'elezione dei Papié Si scorge anche nel suo carat-
tere una certa imperiosa durezza nell' opporsi alle
determinazioni del santo Abate Desiderio del Monte
Gasino, perchè avea messo in penitenza il giovine
Abate deirisola di Tremiti, che avea fatto cavar gli
occhj a quattro religiosi sul solo sospetto di ribel-
lione. Questo dotto, pio, ma feroce Cardinale, es-
sendo eletto Papa con nome di Gregorio VII. contro
ciò che avea sostenuto, richiese l'approvazione di
Arrigo ; e se fosse vero ciò che racconta il cardinale
26o LIBRO SECONDO
^Germania, credè opportuno il Pontefice di porsi in
dì G. sicuro (36)^ e si chiuse con Matilde nella fortissima
> 07^ rocca di Canossa. Vi comparve in atto di suppli-
chevole Arrigo. Non coudescese a vederlo T altiero
pontefice; che alli? replicate premure di Matilde,
alle umili preghiere della Marchesa di Susa Adelai-
de suocera di Arrigo, del di lei figlio, e di molti
altri principi e prelati che gP intercessero perdono;
ma avanti di riceverlo esigè da lui la più abietta
umiliazione. Era Canossa circondata da un triplice
recinto di mura: fu nel mese di gennajo per tre
giorni tenuto Arrigo nel secondo recinto dalla mat-
tala fino alla sera, spogliato delle insegne reali in
abielte vesti , e a piedi nudi in tempo di un atro-
cissimo inverno, e costretto a digiunare per Tistes-
so tempo: fu indi ricevuto dal Papa^ a cui promise
tutto ciò che volle. Lo assolvè quegli dalla scomu-
nica, ma non lo ristabili nel regno coll'autorità,
che si era arrogato per deporlo, lasciando ora alla
Dieta quella decisione , che non aveva aspettato
avanti . Questo straordinario avvenimento eccitò
r indignazione di quasi tutti i principi italiani con^
tro Gregorio, e contro Arrigo; accusandosi il primo
di crudeltà, ed orgoglio, il secondo di viltà, e bas-
sezza , a segno di chiudersi a questo disgraziato So-
vraqo le porte delle città in faccia • Alfine potè più
l'universale compassione che il disprezzo. Animato
dai numerosi partitanti, Arrigo riprese le insegne
reali, negò di presentarsi alia Dieta dì Germania:
nella quale considerandosi Arrigo come deposto, fu
(36) Vedi per tutti questi atti umilianCt di Arrigo Lamber.
Scarafurgien. Chron. Card, de Arag. Vita Gregor. Doniz. Vita
Mnthild. ce.
CAPITOLO TERZO 261
creato nuovo re Ridolfo Duca di Svevia . Dispiacque
a Gregorio ^ che avea con tanta facilità deposto Ar- di e.
rigo, questa elezione senza il di lui consiglio; e si >97^
espresse y che (37) a luì era riserbato il decidere/m
chi, se a Ridolfo, o ad Arrigo spettasse la corona
di Germania* Dalle terre della Contessa Matilde in 1079
Lombardia , ove avea dimorato finora, tornò a Ro«
ma, e tenne un concilio, in cui fu determinato di
spedir delegati in Germania a prender cognizione
di questi affari . Intanto essendo Arrigo tornato in
Germania, adunato un piccolo esercito, incominciò
le ostilità contro il suo rivale: si combattè per lo
spazio di circa due anni e colle armi, e colle caba-
le, e furono più volte i due Re e vinti, e vincitori.
Essendo però rimaso superiore Ridolfo, in un san-
gtdnoso fatto di arme avvenuto di gennajo, ne spe*
di le nuove al Pontefice insieme con nuovi lamenti
contro Arrigo. Determinato dalla vittoria, il Papa
dichiarò Ridolfo re di Germania mandandogli la
corona di oro, o v'era scritto quel celebre verso
Petra dedit Petro, Petrus Diadema Hodulpho*
Rinnovò le scomuniche contro Arrigo, condannane
dolo in virtù di esse ad esser sempre perdente nel-
le battaglie (38). Secondo 1^ asserzione di Sigiberto
predisse il Pontefice anche la morte di Arrigo. Certo
è che egli ne profetizzò la ruina (Sq): ma la sorte
(37)Lib. 4*£p* a3, a4> aS.
(38) Cosi si esprime » Ipse autem Uenricus cum suisfautch
ribus in ornai congressione belli nullas vires, nullamgue in vita
fua victorìam ohtineat ec.
(39) Gregofé yn. Epist. detta lìb. 8. » Nefandorum perturba •
tionem r^erita ruina cito sedandam, et Sanctae Ecclesiae pacem,
ef securitatem (sicut, et de divina Clementia conjidentes promit-
timus) proxime stabiliendam. V. Barooìo, e Fleurj.
a6a LIBRO SECONDO
" smentì tutti i presagi . Arrigo fu vincitore , e il suo
drcl^'ivale ucciso in una gran battaglia in Germania.
>o:9 Sconcertò questo caso gli affari del Pontefice, il
quale ( giacché gli uomini giudicano sempre dagli
eveiki) fu altamente condannato. Non andavaoo
meglio le cose in Italia, ove si accrebbe il partito
di Arrigo . Avea la Contessa Matilde adunate delle
poderose forze per opporsi ai di lui fautori, ma ve-
nuti alle mani i due eserciti nel Mantovano, quello
di Matilde restò interamente sconfitto (4ò)-
In grande imbarazzo posero queste vittorie il
Pontefice, e Matilde; e già il vincitore Arrigo avi-
do di vendetta era penetrato in Italia ; gli stati di
Matilde doveano soffrire i primi questa burrasca:
abbiamo appunto dai fiorentini storici, cbe Firenze
loSi fu strettamente assediata (40 da Arrigo, ma valo-
rosamente resistendo da aprile fino al ai di luglio,
fu finalmente costretto quel Re a ritirarsi : sì avviò
verso Roma, cui parimente strìnse di assedio. Ma-
tilde si trovò addosso tutto il partito che avea Arri-
go in Lombardia, e a lei si ribellò Lucca, che forse
era allora la principal città di Toscana. Finì Tas-
sodio di Roma, come quello di Firenze: Taria io-
salubre della campagna romana combattè contro di
Arrigo più che Tarmi de' Romani (42): risvegliata-
si una funesta epidemia nel suo esercito fu costret-
iodato a partirne. Era naturale, che ritornato in To-
scana e in Lombardia , occupasse le terre della prin-
cipale alleata, e fautrice del Papa: ella però, la-
(4o) Card, de Arag. Yit. Gregor. Bertold. Costa ntìen. in
Chi*oi].
(4i) Gio. Villa, lib. 4« cap. a3. Aram. lib. 1.
(43) Card, de Aragon. Vita Gregor. VII.
CAPITOLO TERZO a63
aeiandolo padrone dei luoghi aperti^ si ritirò alle "=
sue fortezze, delle quali molte erano insuperabili ^iq]
dalla rozza arte della guerra di quei tempi; mante* ^^^^
Dendo8Ì amica del Papa y lo soccorse anche più voi*
te in denari. Arrigo, dopo varj tentativi inutili,
entrò alla fine pacificamente in Roma due anni 1084
dopo questa spedizione, essendogli dal popolo aperte
le porte, refugiato Gregorio nella Mole Adriana (43).
Fece consacrare un altro Papa , che si chiamò Cle*
mente III , il quale gli diede solennemente la co-
rona imperiale : ma alla nuava, che il celebre Duca
Roberto Guiscardo con poderoso esercito veniva a
liberar il Papa^ si ritirò Arrigo, e venne a Siena*
Intanto , Roberto o per forza, o per tradimento en-
trò in Roma, ed il suo indisciplinato esercito com*
posto di Normanni , e Saraceni messe il fuoco in
varie parti della città, le dette il sacco (44) > diso-*
Dorò le donne, fece schiavi molti Romani, e liberò
il Papa^ il quale dopo sì orribile avvenimento, non
si credendo sicuro in Roma , si ritirò sotto gli au^
spicj di Roberto a Salerno, ove presto fini di vive-
re. Illibato nei costumi, rigido nella disciplina, e
dotato di molte virtù ecclesiastiche, si conta con
ragione tra i più distinti soggetti, che abbiano oc-
cupato il soglio pontificio: ma essendo stato il pri-
mo ad arrogarsi dei diritti, che la ragione fredda
conosce per abusivi, e che tutta T illuminata po-
sterità ha condannati, avendo egli risvegliata una
guerra fra il sacerdozio, e Timpero, che ha durato
(43) jànnaleSf Saxon. apud Echard. Cardin, de Arag, Vita
Grcg. VII.
(44) Bertold. Costantiensis in Chron. Landul. Senior. Hist.
mediol. lib. 4*
d64 LIBRO SECONDO
. tanto tempo, ed è stata tanto spesso fetale ai due
di e. partiti y non ba ricevuto dalla saggia posterità un'in.
*^^^ liera approvazione. Egli agi sempre però di bnona
fede: il suo zelo fu indiscreto, ma dettato dalla per-
suasione de' suoi diritti; e fu nell'errore, piuttosto
che nella colpa. Dovea intanto Matilde resistere al-
le armi di Arrigo. Devastava il suo esercito le terre
di quella Signora, che non avea forze bastanti da
fargli fronte. Era assediato Castel di Sorbara. Es-
sendo avvisata la Contessa, che quelle genti stava-
no alTessedio colla maggior negligenza, vi spedi
chetamente la sua piccola armata , che sorprenden-
do nella notte gli assediami, gli ruppe, e disperse
facendone molti prigioni . Seguitò sempre questa
Principessa l'amicizia dei romani pontefici, ed alla
partenza di Arrigo d'Italia questo partito ebbe un
po' di respiro. Una donna si celebre, e padrona
lossdi tanti stati, come Matilde, era ambita in ma-
trimonio da moltissimi principi di Europa. Fra gli
altri ne avea richiesto le nozze Roberto figlio del
celebre Guglielmo Duca di Normandia, detto il Con-
quistatore dalla conquista fatta in seguito del regno
d'Inghilterra: ma colla mediazione di Papa Urba-
no II. passò Matilde ad un nuovo matrimonio con
Guelfo V. Principe valoroso, figlio di Guelfo IV. duca
di Baviera. Non erano essi del partito di Arrigo,
onde con questo matrimonio si fortificava quello
def Papa. Irritato da tal matrimonio Arrigo, dopo
aver devastate le terre (4^)9 ^^b^ P^i* eredità della
madre Matilde possedeva in Lorena , tornò in Ita-
lia . Si ritirarono i due conjugi ai loro luoghi forti.
(45)Doniz.yaaMathìI.
CAPITOLO TERZO a65
Arrigo intanto espugnò Mantova; ma ae egli era il
piò delle volte superiore ai suoi nemici nelle armi^^^ q]
\o vìncevano essi neir artifizio. Venne fatto a Ma- »o8S
Ulde^ ed a Guelfo di eccitare discordia tra Arrigo,
e il suo figlio Corrado, e colla speranza della corona
d'Italia indurlo a ribellarsi dal padre (46). N'ebbe 109)
questi alcun sentore, e lo fece arrestare, ma fuggito
di prigione , e ricoverato nella corte della Contessa,
fu da lei inviato al Pontefice, cbe lo assolvè dalla
scomunica ; e riuniti in suo favore moltissimi prin-
cipi italiani, fu creato re d'Italia, e n'ebbe dal-
l'Arcivescovo di Milano la corona (47) • Feri questo
colpo Arrigo nel più vivo del cuore • Si dice cbe se
non fosse stato trattenuto da' suoi , si sarebbe dato
la morte. Né qui si arrestò l'artificiosa Matilde: per
fargli gustare nuove amarezze maneggiò segreta-
mente la fuga de^la di lui moglie Adelaide, h qua-
le scappata col di lei mezzo dalla prigione ov'era
racchiusa in Verona, andò a trovar la Contessa (48);
che l'accolse, e trattò splendidamente^ e l'istigò a
presentarsi al Concilio di Piacenza , ove interven-
nero ooo Vescovi , e più di 3o mila laici . In si
numerosa udienza espose Adelaide i torti sofferti;
che non mancarono in un luogo si solenne, davanti
al Pontefice di esser pienamente creduti, quand'an-
che fossero stati esagerati. Venne incontro al Pon- 1095
(46) Le dicerìe inventate per denigrare Arrigo furono le piii
strane. Si disse tra l'altre calunnie , che Arrigo, avendo omessa
prigione la moglie Adelaide, permise a molti di usarle violenza :
fra questi volle costringere il nglio a far lo stesso , il quale recusan-
do fa preso in odio dal padre ec. L'invenzione, e la credulità son
degne di quei tempi.
(47) Landulph. Sen. Hist. medio!.
(4S) Doniz. Vita Mathìld. Ann. Saxon.
:i66 LIBRO SECONDO
7 tefice il nuovo re d^ Italia Corrado , che gli teQoe
j^^^ la staffa : gli promise quello anche la corona impe*
^ogS rìale^ esigendo però che renunsiasse al dritto delle
investiture ecclesiastiche , che era stato il prindpal
punto di discordia tra il Pontefice e il di lui padre
Arrigo .
La scaltra Matilde^ o per freddezza di tempera-
mento , o per ambizione non portata alle dolcezze
conjugali, avea contratto con Guelfo un matrimonio
soltanto di apparenza • Si è già veduto , che anche
il primo marito probabilmente non lo era stato
che di nome y forse non fu difficile a Guelfo il sog-
gettarsi a questa legge , non essendo né le bellezze ^
né Tetà (49) di Matilde tali da irgliela parer gra-
vosa. Era stato questo un matrimonio politico, ove
ambedue i conjugi credettero trovare il loro conto.
Colla parentela , e cogli ajuti del Duca di Baviera
si era Matilde munita contro di Arrigo di un valido
appoggio : Guelfo dall' altra parte, oltre le vedute
di dominare sullo spirito- e perciò sugli stati della
consorte, avea la speranza di ereditarli, giacché
pare, che tra le condizioni matrimoniali vi fosse
la reversione di essi al marito (5o) alla morte di
Matilde. Ma egli restò altamente deluso: avea Ma-
tilde fino dall'anno 1077 fatta un.a segreta dona-
zione di tutti i suoi stati alla sede pontificia; né
per altra parte una donna contraria alle dolcezze
conjugali^ è atta a ricever la legge dal marito . Forse
ebbe per lui qualche riguardo finché il timore di
(49) Quando si maritò a Guelfo era nel suo anno 44 • P^^" ^
bellezza nìooo dentanti saoi panegiristi ne fa menzione • Qu^^
silenzio sopra una donna è decisivo .
(50) U Muratori sostiene con molto criterio questa condizio-
ne, V. Annal. d'Iul. Ann. 1089» e 9S.
CAPITOLO TERZO aC;
Arrigo la obbligò a star seco unita; ma cessato il
pericolo per la perdita del potere di Arrigo^ diven- ^"^|
oe a Matilde gravoso un inutile sposo: ed egli^ sco- >o9^
perla la donazione ^ si accorse di essere stato burlato.
Dae siffatte persone non potevano più vivere insie-
me con un decente risjpetto; si fece pertanto il divor-
zio^ asserendosi dal marito che il matrimonio non
era stato mai consumato , e non coutradicendolo
Matilde (5i). Il padre di Guelfo^ uditane la nuova
corse per impedirlo; ma il trovarsi subito d'accordo
col figlio^ lo sdegno concorde di ambedue, che gli
fece passare al languente partito di Arrigo , chiara-
mente mostrano come si erano trovati delusi . In-
tanto il disgraziato Arrigo ritiratosi in Germania ,
per vendicarsi del Gglio ribelle , ne fece eleggere
re il secondogenito Arrigo, ed ebbe il dispiacere di »>o4
veder ancor questo sedotto da' suoi nemici , che
facendo giuocare Tarme potente della religione, e
consigliandolo a staccarsi da un padre scomunica-
to, lo indussero a ribellarsi. Una Dieta germanica
gli die quella corona : il disgraziato padre non
sopravvisse a questo colpo: morì in Liegi dopo 1106
cinquantasei anni di età, passati fino dalla sua
infanzia tra le tempeste civili, e i tumulti di guer-
ra ; Principe a cui non si può negare il guerriero
valore, ma questo pregio servì ad accrescerne l'in-
dole dispotica; né i costumi de' suoi tempi erano
atti a sminuirla. Ebbe la disgrazia di avere un
terribil rivale nel Poutefice Gregorio VIJ. Si fecero
(5i) JVelpho a conjugio D. Mathildis se penitus sequestra'
vii, asserens illam a se omnino immunem permancisse : quod ipsa
in perpetuum reticuisset si non ipse prior inconsiderate puhli'
casseU Bertold. in Chron.
a68 LIBRO SECONDO
.una guerra mortale^ quello coir armi temporali^
ai Q, questo colle spirituali^ in cui Arrigo fu spesso soc-
7106 combente. Ambedue però furono le vittime della
loro animosità. Morì Gregorio quasi esule da Roma
che si era veduta saccheggiar sotto gli occhj • L'odio,
ed il partito però eccitato da lui contro di Arrigo lo
perseguitò fino alla tomba, ove cadde dopo aver
sorbito il calice il più amaro . Fra i contrasti di
questi due rivali , Matilde 0 più destra, 0 più fortu-
nata , conservò i suoi stati, e la sua potenza : soprav-
visse loro lungamente, ed ebbe la maggior parte
della gloria di aver minata almeno in Italia la
fazione di Arrigo. Questo disgraziato padre era da
qualche tempo stato già vendicato dalla stessa Ma-
tilde della ribellione di Corrado, il quale non avea
goduto molto tempo il frutto de' suoi delitti. Quan*
tunque egli venga celebrato dagli storici di quel
tempo , e dagli ecclesiastici stessi per giovane il più
virtuoso paragonato ad un angelo (5 a), non conser-
vò la grazia di Matilde, la quale volendo dominare
come Regina non poteva amare un re d'Italia; lo
rispettò finché servi ai suoi disegni : cessato il timore
del padre di lui,' scemò anche il rispetto. Egli si
vide rapire da questa donna ambiziosa anche le più
leggiere prerogative della corona italiana: si ritirò
pieno di disgusti in Firenze, ove in breve finì i suoi
giorni. Che egli morisse di veleno che gli fosse fatto
dare da Matilde son cose, che la malvagità di quei
tempi potè far sospettare, ma non dimostrare (53).
(5a)Uspergìen.
(53) Cum pert^nisset Florentiam rex ipse prudens , et
piens, et decorusfacie (prah dolor ! } adoUscenSp accepta poi
CAPITOLO TERZO 269
li suo fratello iotanto alla corona di Germania bra-
maya unir quella d' Italia insieme coli' imperiale ;di°c!
venne come gli altri re di Germania con un potente ^^^
esercito in quest^infelice paese, che per la sua ferti*
litày e ricchezza ha attratto sempre l'avidità degli
stranieri^ e per la sua divisione in tante piccole po-
tenze d'interesse diverso, e perciò mal concordi, '
non ha formato mai una forza uniforme, e compat-
ta da poter resistere alle invasioni. Il viaggio di Ar-
rigo in Italia segnò una traccia di desolazione (54) ;
passò per la Toscana , e giunse in Arezzo, « trovando
questa città divisa in dcTe partiti pel ridicolo moti-
vo, qual luogo duvea esser la aede della cattedrale,
non acquietandosi immediatamente alla sua decisio-
ne, ruinò una gran parte della città (55). Matilde
che dava ombra a tutti i re d' Italia , e a cui tutti
i re d'Italia davano del sospetto, si ritirò al di lui
passaggio nella fortezza di Canossa, mandando a
complimentarlo: ma il tumulto più fiero avvenne
in Roma, ove dopo essere stato Arrigo amorevol-
mente accolto dal Pontefice, dopo essersi scambie-
volmente abbracciati e baciati , un momento do-
po, quando si volle farlo renunziare alla collazione
dei benefizj ecclesiastici , pria di dargli la corona
imperiale, rifiutando esso di farlo , nacque tumul-
to; fu arrestato il Pontefice dai Tedeschi, indi si
venne alle mani tra gì' Imperiali e i Romani, e do-
po varie zaffe si partì da Roma Arrigo conducendo
ne ab Jyiano Medico M^thi(dis Comitissae, vitamjinwit, Lan-
dollos bis. M ediolan.
(54) Pandulphus Pise^us in vita Pasch, passò l' Italia fpre-
mendo sangue , ed oro.
(55) Otto Frisingeosii Gfaron. lib. 7.
ft70 LIBRO SECONDO
'seco il prigioniero pontefice (56), il quale final
di €. lu^i^^^ cedendo le sue pretensioni , fu riposto in
»m libertà^ e coronò Imperatore Arrigo V^ benché
dopo protestasse 9 che questo era un atto, a cui
Favea condotto la violenza . La fama della Contessa
Matilde avea eccitato un' altra curiosità neir Impe-
ratore : non volendo ella nel tempo in cui V Italia
era a discrezione dell'esercito imperiale muoversi
dai suoi luoghi forti di Lombardia, volle Arrigo
&rle l'onore di andarla a visitare nella fortezza di
Bibbianello sul Reggiano, ove accolto da Matilde
con regia splendidezza si trattenne tre giorni; e sic-
come ella tra le altre lingue parlava la tedesca, coq-
versò seco senza interpetre, ed altamente sorpre-
so della di lei saviezza , non solo la confermò iu
tutti quelli stati, de' quali si poteva supporre, che
il legittimo possesso avesse bisogno di un'imperiale
approvazione; ma avendola riguardata con filiale
rispetto, chiamata col nome di madre, la dichiarò
ancora Vice-Grerente , o Vice.Regina di Lombar-
dia (57). Mantenne essa, tra tutte le tempeste che
agitarono l'Italia, un'influenza preponderante iu
essa fino alla morte, un anno avanti la quale ebbe
ancora il contento di recuperare la città di Mao*
iii5 tova a lei ribellata fino dall'anno 1090. Finalmente
terminò una vita piena di agitazione, e di Igloria.
Principessa pia, saggia, ed accorta, le si perdonano
facilmente la simulazione, e l'artifizio, che, vizj
ne' privali, si eclissano davanti allo splendore del-
(56) Usperge. in Chron. OUo Frisingen. Pandolph. Pisao. in
Vita Pasch.
(57) Cui Liguri regni regimert dedii in viceregis, nomìM
quam matris verbis claris vooitavit ec. Doniz. Vita MalhiL
CAPITOLO TERZO. aji
la gloria , che acquistano i saccessi pubblici , ed
importanti I in qualunque maniera ottenuti. Se ba-^i^^
stasse l'asserzione di uno scrittore assai lontano da i>iS
quest'età^ si potrebbe anche lodare come fautrice
delle lettere (58). La sua memoria è stata onorata
dai posteri, specialmente da quelli, ai quali ella
fece sì larghi doni . Roma erede de' di lei stati, ne
ba celebrato sempre la virtù, ne ha voluto posse-
dere gli onorati resti, ai quali è stato nel XVII
secolo (59) eretto un magnifico Mausoleo nel più
maestoso dei tempj.
(SS) Benven. da Imola Comm. di Dante •
(!h) Urbano Vili, le fece erigere un Maoiolco nuettOBO in
S. Pietro.
271 LIBRO SECONDO
CAPITOLO IV.
SOMMARIO
Riflessioni sulle vicende , gli usi e i costumi dei secoli ^scorsi.
Giudi*] di Dio. Duelli. Tregua di Dio.SUUo dM Ualim nel
Mille . Cavalieri'erranH • Fine del Governo feudale •
JLIalla ruina dell' Impero di Occidente fino alla
Anni fine del regno della Gintessa Matilde abbiamo 8Co^
^ì ^' 80 circa a sei secoli di disgrazie per X Italia: i Goti,
i Longobardi, i Franchi erano poco dissimili nei-
r ignoranza, e nella barbarie, e trattavano i vinti
popoli come gli armenti. La luttuosa storia di
questi tempi non ci offre che una scena di desola-
zione. E come sul principio di questo libro abbiamo
notato, che per asserzione di un grand' ìstorico (i)
non vi è stato tempo in cui una porzione più gran-
de del genere umano sia vissuta più felice, quanto
dopo lo stabilimento dell'Impero romano per circa
un secolo i così un altro storico egualmente cele-
bre (3) ha asserito j che se si cercasse il periodo^ io
cui una gran parte degli uomini sia stata più op-
pressa e più infelice, si troverebbe alla ruina del-
r Impero romano d'Occidente, e dopo quell'epoca.
Nei tempi di civilizzazione , per quanto crudele e
atroce sia la guerra, vi son tuttavia certi limiti, io
cui la ferocia delle nazioni ingentilite dalla cultura
si arresta. Gli Unni, i Vandali, i Goti, i Longo-
bardi non ebbero alcun freno : nelle loro invasiooi^
non risparmiavano né sesso^ né età, né rango; e
(1) Gibbon .
O) Robertfon. introd. alla YiU di Garb V.
.CAPITOLO QUARTO t^S
chi resisteva, e chi non resisteva era nella prima .^
furia dell' iacDrsioDe tagliato a pezzi; le città sac- diC.
cheggiate, indi poste a fuoco, gli abitanti condotti '*''
schiari (3), le campagne distrutte, percliè i noiìse-
rabili che si eran salvati nei luoghi alpestri peris-
sero dalla fame: intiere provincie furono convertite
in deserti, e nazioni esterminate. Molte provincie
dell'Impero romano, qnali più, quali meno soflfer- '
aero qaesto flagello, che era seguitato dalla pesti-'
lenza, e dalla fame (4): alcune se ne risentono
ancora . La costa dell'Afirica sul Mediterraneo , ce-
lebro per le 3oo popolate città al tempo dei Roma-
ni, fu neir.iiiTasione dei Vandali ridotta un de-
serto arenoso come lo è ancora: la Tracia, i
(3) Rei sacco dalo ■ Roma d* Genierìco poco tnoatuii la ririoa
deU'Impero, e 4S aoDi dopo quello di Alttrico, era sempre questa
tJVk piena dei primi patrìzj , e pili opulenti : udb gran parte di e»-
s)| priva di tiiUi i loro beni, fu condotta in &ch>avitii in AlTrica,
coslretta a morire di stento su quelle rive . Hientc di ciò clieavea
l'ipparenia, e il colore d'oro, e di argento Tu risparmiato dai
Vandah : le staue di metallo furono fuse , e Gpo il celebre letto di i
metallo doralo, die copriva il Campidoglio, la dnr»tura del quale,
a ad tempio tntto , era costata 5 milioni di zecchini ec. Donati , '
Sonui anliijua . , • ,
(4) Si consulti Robertson (Hisl. di Car!o V. introd. nota S)
ove si Tedranno le triste |a'o ve della nostra asserzione. Anche il
Murai. Ant ital. difvert. 31 , ed ivi Paolo Diacono che nell'iova-
sioue de' Longobardi dice; non erat tane virlui Homa/iis ut resi-
tiat postettt , quia et peslilenlia plurimos in Li^iirin, ef Vene-
Ha extìnXBral,et famei nimia ingruens universum Itiitiam deva-
f'abaf. La peate più terribile, 1"
■lei gei
<t "gli u.
esista mcmorin
negli annali
o'543, si spars
per tutto il
li.edi^tni^eci
ca alla meli
Sannidaunad.'ll^ più orri-
do di Milano, eh
ne fu sppt-
mo i propri ligi
. Procopio ,
sce , c/.e nel «,lo Piceno m>..
; nel len itorio d
nimini due
,rono V7 non.lni
uccidendcli
ev;.noaqL.e1lac
sa.
%
d74 LIBRO SECONDO
.delle più coUivate provincie romane, ebbe la stessa
^[\>^ sorte. L'Italia abbiamo veduto quanto spesso soffri
fti4 r incursioni di questi barbari. Dai suo florido sla-
to, che al tempo della romana potenza Tavea resa
il più cullo, e più popolato paese, era caduta nella
più gran miseria , e presentava lo spettacolo di
città ruiua te, o abbruciate ; il suolo era ricoperto
da salvatiche piante: le ftere moltiplicate abita vauo
^ pacificamente negli avanzi ruinosi : le acque dei
fiumi non regolate inondavano^ stagnando^ vaste
estensioni di terrìtorj (5), onde iufettavasi Taria;
dal quale male continuato fino ai nostri tempi non
SODO gmirile ancora alcune campagne, e in specie
•/ le romane, che erano una volta si rìdenti^ e sì po-
polate (6) . L' asserzione di Papa Gelasio, che in
Italia, e in Toscana la specie umana era quasi an-
nichilata, bencbè possa credersi esagerata, è espres-
siva della desolazione di quei tempi ; né diverse
dalle sue sono le parole di un illustre pontefice del
secolo successivo (7). Le ripetute scorrerie di tante
barbare genti, e che una succedeva alT altra, pri-
ma che i disgraziati abitatori cominciassero a respi-
rare, doveano realmente condur T Italia a questo
slato. Cominciarl^no finalmnte questi Barbari a sta-
bilirsi: prima i Coti, indi i Longobardi vennero con
tutte le loro famiglie preudendo possesso del terri^
(5) Marat, antiq. Ital. diss: 3 1 .
(6) Baron. Ann. i^g6, Gelas. epìst. ad Andronicum.
(7) S. Greg. Mag. lib. 3 , cap. 38, dialog, cosi si esprìme: Mox
effera Ijongobardorum gens in nostram cervicem grassaia est ..«
depopulutae urbes , emersa castra, concrematae Ecclesiae, de-
strada monasteria virorum , acfoeminarum , desolata praedia,
atque ah omni cultura destituta in solitudine vacai terra, nullus
kanc possessor habitat , occuparunt bestiae loca quae prius mul-
titudo hominum tenebat .
CAPITOLO QUARTO ajS
torio, ed usandone come proprio (8), ponendo in
•cbiavilò gli abitatori, Taceudogli lavorare come ser* diC.
vi, ed appena dando loro il necessario alimento, >*^^
Abbiamo già veduto cos'era il governo feudale, e
quanto grave ai popoli, che, oltre l'orribile oppres-
sione, erano sonimamenle avviliti. Quando noi vo-
gliamo (dice uno di questi Barbari) Jare il pia
vergognoso nome ad un nemico lo chiamiamo ro-
mano (9). Cosi la sorte per una strana vicenda ven-
dicava questi popoli del disprezzo, in cui erano
stali tenuti un giorno dai Romani. La vita di quel-
rinfelici era valutata meno delie bestie da soma, e
nel vergognoso codice penale di quei tempi trovasi
la vita di uomo valutata meno di un falcone , o di
un cavalla da battaglia: i costumi erano i più fero-
ci: s'incontrano ad ogni passo neiristorìa Sovrani,
Papi, Ecclesiastici regolari, e secolari, avvelenati,
strozzati,. scannati; e quello che piò rivolta un ani-
mo ingentilito dall'educazione^ si è l'osservare l'in-
differenza, con cui siffatte azioni erano accolte, ed
anche talora applaudite dalle piìj religiose persone .
Si potrebbe fare una lunga iì^la di assassioj, vene-
ficj ec; un solo fatto darà idea del resto. L'Impe-
(8) Qaalclie volta ùoti tutto il terreno era occupato: sotto
Odoacrelas<^ tena parte . ^ Parev.a strano e<l ingiusto al pastor
di Mantova (e lo era certamente) cìie uifu piccolissima porzione di
terreno italiano fosso conceduto ai veterani soldati di Roma
(Virg.EcLL)
» O lÀcida f vivi pervenimiis , aduena no tris
» Quoà nunquantveriti sumus , ni possessor agelli
» Diceret : haec mea sunt , veleres migrate eoloni •
Eppure era quello un piccolissimo male in paragone di questi .
(9) In hoc solo , Cdest Romani nomine « quidquid ignobiliia-
tis, auidquid timiditatis, q^ddquid avaritiae, quidqaid iuxuriae ,
quiaquid mendacii % imo quiaquid vitiorwn est comprehenden-
fe^ • Lintppndii legatio apud Murat. Script, rerum ital. voi. a«
pan. a. ^
276 LIBRO SECONDO
<v
= ratore di oriente Maurizio è dasli scrittori cootem-
di C. poranei descrìtto come savio ^ e buono; i' usurpator
iii5 Poca gli fé' svenare ad uno ad uno sotto degli occhi
i figli 9 il fratello: il disgraziato padre, nel tempo
ili questa tragedia altro non fece che proferir parole
di pazienza, e di rassegnazione ai voleri del Cie-
lo (io). Eppure (chi lo crederebbe?) un rispetta-
bilissimo Pontefice, Gregorio Papa, si rallegra della
ruina di Maurizio (i i), e chiama felicissimi i tempi
del regno di Foca . Né il carattere delle persone
consecrate a Dio ne ammansiva la fierezza. I Ve-
scovi, gli Abati esercitavano il niestiero delle armi,
atto a nutrire quel sanguinario carattere , che avean
portato dal secolo: si trovano più volte e i Patriar-
chi d'Aquileia, e i Vèicovi di Colonia e di Augu-
sta, egli Abati di Fulda, e cento altri alla lesta
dell' esercito maneggiar meglio la spada , che il
pastorale : onde non fanno meraviglia le atroci azio-
ni dei medesimi anche in tempo di pace. I Ponte-
fici stessi diedero talora l'esempio della profana
zione dei mister) i piò augusti. Una questione poco
intelligibile ad i non iniziati alla teologia suU' uni-
ta, o duplice volontà in Gesù Cristo, avea formato
una divisione y ed eccitato dei muovimenti nel po-
polo, che si riscalda anche più forte per ciò ch'ei
non intende: l'Imperatore Costante avea saggia-
mente proibite le dispute sulla combattuta opiuio-
ne. Non solo questo saggio decreto fu fulminato di
( I o) Esclamò sempre : justus es Domine , et rectum judicium
tuum. Murat. Antud'Ital.
(1 1) Egli inalza le mani al Cielo parlando alla moglie di Foca:
Quod tam dura longi temporis pondera cert^icibus nostris amata
sunl. Ed a Foca stesso : Quiescàt Jeliclssimis temporibus vestris
universa Rcspub. etc.
CAPITOLO QUARTO 377
amatemi da Martino I, ma il Pontefice Teodoro por- ^"^
tatosi al sepolcro di S. Pietro, versò alcune gocciole ^^^
dal calice consacrato nel calamajo, indi scrìsse con mS
questo sacro inchiostro la condanna dei Monoteliti^
ossia degli assertori di una sola volontà (la). Una
grande profanazione con maggior ferocia spiegò Ste-
fano VI contro Formoso suo antecessore, pontefice
assai riputato. Avea la disgrazia di essere stato in
quei tempi di fazione della setta nemica di Stefano.
Era egli morto, e riposavano in pace i suoi resti :.
Ste&no volle sfogar la sua rabbia contro il cadavere^
Sotto il pretesto del troppo comune, e ormai tolle*
rato abuso di esser passato da un vescovado all' al-
tro, fece dissotterrare il cadavere; e con ridicola fun-
zione pubblicamente degradatolo, il fé' gettare nel
Tevere, dichiarando nulle tutte T ecclesiastiche or«
dinazioni da esso fatte (i3). Indi a non molto que*
sto stesso feroce Pontefice fu posto in prigione, ed
ivi strangolato. Sarebbe troppo lungo il far qui la
serie dei Papi degli Antipapi, che si son fatti la
guerra, e scambievolmente trucidati («4)* ^^ ^^
decente istorico amerà di macchiar la sua penna
colle sceleratezze di cui le prostitute Teodora, e
(13} Murai. Ann. d'Ital.
(i3) Non si può a meno di non esclamaref :
.... Tantae ne animis caelestibus ime ?
(i4}Francone^ Cardinal Diacono , fa strangolare Benedetto
TI e si far elegger Papa: è cacciato, e fngge in Costantinopoli dopo
spogliata la Basilica Vaticana; tornato a Roma, ove era stato elet-
to GioTanni XIV, lo imprigionò, e il fe'morire di ferro , o velano .
Benedetto IX venuto in odio dei Romani oer la disonestà , i la-
dronecci , gli assassini, n' è cacciato, ed è éictto Silvestro IH; do-
po tre mesi però ritorna Benedetto, cacciato Silvestro, e poi vende
il Pontificalo a Gregorio VI. Gli scandali della Chiesa di questi
tempi sono a lungo contati da Herman. Contra. Leone Ostiense
Papa Vict. 3 , dialogo 3 , ee.
«7» LIBRO SECONDO
5 Marozia infamarono Roma, e il Vaticano , e crearono
^"°* Papi, il merito principale de' quali era la bellez-
iiiS fla (fS), ovvero trasmisero quasi per eredità ai loro
dissoluti descendenti quell'augusta carica (t6). Ne
la religiosa solitudine degli eremi era abitata dalla
tranquillità^ e dalla virtù. Frequentemente vi si
trovano non solo gli intrighi del secolo, ma vi suc-
cedono le stesse sanguinose tragedie ; onde si scorge,
che colle spoglie secolari non si abbandonavano dai
regolari i feroci costumi del secolo (17), né convie-
ne maravigliarsene, I Re vendevano i vescovadi, e
Tabbazzie, o le davano in commenda a prii>cipi, e
principesse: si vedevano j>ertanto adorni del pasto-
rale.giovinetti di fresca età, che ignoravano anche
i primi articoli della fede (18). La castità prescritta
dai canoni era poco conciliabile con quell'età e con
qtiei costumi. La scandalosa vita dei vescovi , e dei
(i5) Lmtprantio racconta che Marozia, invaghita di Giovan-
ni, il fece prima Vescovo di Bologna, poi di Ravenna, indi Papa
«Gio vanni X che in seguito cacciato prigione dal partito opposto
di strapazzi, e dolore se ne mori
(16) Ottaviano fìglio di Alberigo, e nipote di Marozia si fece
elegger Papa di anni 18 > e convertì in un postribolo il Vaticano.
07) Diamone an saggio. Ralfredo Abate di Farfa è avvele-
nato da due monaci Campone, e Ildebrando : si disputarono qne-
sti due scellerati in seguito col denaro , e colla forza il dominio di
quella Abbazia, e di altre da quella dependenti . Ildebrando , gua-
dagnati col denaro i Marchesi, ne caccia Campone: questi offre pia
danaro agli stessi, e ne caccia Ildebrando. Tampone restò padrone
del campo di battaglia : ebbe varj figli , e figlie che dotò co' denari
del Monastero. Alberigo Signor di Roma caccio colla forza Cam-
pone, e vi mandò un esemplarisslmo Aliate, Dagoberto , ma i Mo-
naci, che non volevano riforme !o av^'eleuarono. Dal figlio di Al-
berigo fu mandato uncltro Abate, Adamo, che accusato di stupro
comprò la salvezza a caro prezzo di oro, ritratto dai beni dclPAb-
bazzìa venduti. Questo non h che un piccolo saggio dei fatti che si
potrebbero addurre, tratti non da scrittori nemici di Roma, ma
d;ii più santi, ed aftwcrati alla fede , come Muratori, ed altri .
(i ^) \, Ottone Vescovo di Vercelli , de pressuris EccUsiae.
•
CAPITOLO QUARTO 279
ODI
parochi , che non arrossivano di mantenere pub- ^
blicamente delle donne prostituite ^ fu quasi neces- j"^'
sariamente tollerata, giacché quando sì volle porvi >i>^
qualche freno si risvegliarono delle contese capaci
di agitare tutto il corpo ecclesiastico (19).
Le leggi con cui araniinistravasi la giustizia era-
no conformi alla barbarie dei tempi ; prima del
re Rotarì si è veduto che la consuetudine, o piut-
tosto il capriccio dei giudici, senza leggi scritte,
decideva della vita , e delle sostanze dei popoli :
egli cominciò a stabilire questa incerta legislazio-
ne, adunando in un Codice le vaghe leggi , e for-
mando almeno una base stabile su cui si regolasse-»
roi giudizj: queste leggi però septivano la barbara
ignoranza dei secoli. Erano già in uso le decisioni^
tanto abusivamente chiamate Giudizj di Dioy per-
chè la barbara presunzione faceva credere che Id-
dio sospenderebbe T ordine della natura ad ogni lor
cenno facendo un miracolo • Le prove si facevano
in varie guise, neir acqua fredda, immergendovi
l'accasato, e sperando che se era reo, galleggereb-
be , ricusando l'acqua di riceverlo nel suo seno ; e
ciascun vede^ che i maggiori scellerati erano sicuri
di salvarsi (20). Più pericolose erano T immersione
d'nua mano nell'acqua bollente, il passeggiare sa
i vomeri infuocati, o il passare a traverso le Barn-
ine: tuttavia si trovano eseguite pia volte queste
pericolose prove con felicità in faccia del pubblico.
{ì^) Landutfus senior , ArnolphiiS Rerum Itale. ^ii;.4* ^^
rat. Ann. d'Iul. loSg.
(ao) La gravità specifica del corpo umano, è maggiore dì
quella deU' acqua, la differenza però ò piccolissima, onde si son
trorati degli uomini, che galleggiavano naturalmente su di t8$ti,i
na si contano ftssai di rado , come il celebre prete napoletano .
i8a LIBRO SECONDO
^ Non è difficile che l' ingegno umano^ stimolato dalla
dì G. <)^c^^si^^ ^ in SI importanti occasioni^ trovasse dà
11 15 segreti per soffrire il fuoco: fu fama che i sacerdoti
di Apollo^ e nel monte Soratte i popoli Hirpini, pas-
seggiassero su i carboni ardenti impunemente (ai).
Il saggio Varrone ci spiega il fenomeno (a^); e se
ai dì nostri fosse di tanta importanza quanto negli
antichi un siffatto esperimento^ son sicuro che gli
ingegnosi fisici avrebbero fatta questa scoperta, co-
me se n'è veduto dei saggi (33). A prove cosi strane
(ai) PIÌQ.lib. 8. Super ambustam Ugni struem ambulantes
non aduri dicebantur . Tedi anche Virg. Aeneid. 1 1. ver. ^85. la
preghiera di Arunte . ^
» Summe Deum , et Sancii cusios Soractis Apollo,
y> Quem primi colimus , cui pineus ardor acervo
» Pasci tur , et medi}im tfreti pietate per ignem
» Cultores multa premimus vestigia pruna ec.
(aa) Vedi Varrone citato da Servio nel superiore passo di Vir-
gilio.
Quod medicamento plantas tingerant,
Alber. Mag. nel lib. de mirabilibus , accenna anche la maniera di
poter toccare il fuoco senza scottarsi. La callosità straordinam
della pelle può far soffrire senza dolore il contatto del ferro arden-
te. V. HaUer. lib. XII. $. io. Tactus^ ove egli dice aver veduto
toccare impunemente il vetro fluido di nna fornace dei monti (fi
Basilea, e vi si vedono citati molti autori, che asseriscono lo stcf*
so, e in specie coloro che attestano che a Siam, e nel Malabar vi
sono alcuni che passeggiano su i carboni accesi ; suHa fede del
Costeo de ignis medie, praefa, asserisce : Hibisci radicis partula-
cae, et mercurialis succo manus ad metal tu mferendum idoneas
reddi .
Ì23) Allorquando si trattava di trovare i mezzi da preservar
^ ncend] le abitazioni di legno , Lord Mahon in Inghilterra
fece vedere che un sacchetto di polvere da schioppo ricoperto d'ana
vernice di sua iuveuzione gettato nel fuoco non arse (Rozier Jour-
nal de Pk)rsi(jue). La più diCBcil prova pare, che fosse quella^
passar fra due cataste di legne ardenti; e perciò ne abbiamo pochi
esempì , e la maggior parte infelici, come nell'anno itoa in Mi-
lano, nel 1098 in Antiochia , per provare 1* autenticità della landa
con cui fu ferito Gesù Cristo. Il più felice effetto avvenne in Fi-
renze, dove Pietro dettò poi Igneo Vallombrosano passò atti*avcr-
5o due cataste dì legno ardenti pei* provare , che il Vescovo
Tentone era stat(1'eTeitó simouiacàmente . La prova fu fatta per
CAPITOLO QUARTO a8i
e fallaci era esposta la probità^ la fede^ le sostanze
degli uomini più specchiati^ Tonore delle più rispet- ^q^
labili matrone y e delle stesse regine. Il duello era m^
un'altra di queste crudeli prove. La donna produ.
ce?a un campione, che se era vinto, veniva senza
pietà condannata. Né questi esperimenti erano ap*
provati dal solo volgo, ma dagli ecclesiastici stes«
5Ì, trovandosi nei messali, e ne rituali di quei tempi
le formule, e i riti di questi giudizj (^4)* ^ debo-
lezza del governo era costretta a tollerar le guerre
private : in mezzo alle popolate città i feroci abita-
tori, simili ai selvaggi nello stato di natura, assu-
mevano il fritto di vendicar colla forza le recipro-
che ingiurìe. In varie partite perciò armati passeg*
giavano i cittadini, ed ogni momento erano insan*
guinate le strade dalle loro risse. La consuetudine
coir impotenza delle leggi avea autenticata una tal
barbarie (a5); siccome però T esercizio degli affari
e pubblici e privati veniva interrotto da questa con-
tinua guerra, la pietà religiosa, e il comune inte-
resse inventarono la celebre Tregua di Dioy quasi
universalmente accettata , per cui era stabilito che
dal giovedì al lunedì vi fosse una tregua, in cui
ordine dì San Giovan Gualberto ; nondimeno se il tratto è breve p
e la distanza da nna catasta all'altra non è troppo corta, il vènto
che impetaosamente soffia in questo spazio può farla trapassar sen-
ta danno da un giovine cbe rapidamente corra . Qui si avverta che
non si negano i miracoli: anzi, siccome non vi è alcun Ecclesia,
stico, che non condanni siffatte prove, non si fa altro che mostrare
la maniera naturale come poteano avvenire i pretesi miracoli,
senza che la potenza divina si prestasse ad autenticare questi te-
merarj esperimenti.
(34) Murat. Antiche Ital, diss. 38. In una Dieta tenuta in Ve-
rona ann* 987 , fu deeiso, che qualora venisse dubbio sulla varità
di un documento legale si ricorresse al Duello: in questa Dieta
erano moltissimi ecclesiastici • '
(35) y. Pier Damiani lib. 4* Epist. 17 ed altrove.
28« LIBRO SECONDO
. uiuno ardisse assalire il suo nemico (26); onde ne-
*^ di egli altri giorni era aperto il campo alle civili batta-
\ ^^iSglte* Intanto l'interesse degli ecclesiastici faceva
credere alla superstiziosa ignoranza , che V opera
migliore con coi si potessero espiar le colpe, e gua-
dagnare la vita eterna , era il donare i suoi beni ai
monasteri; ed appunto in questi secoli , e con que-
sta massima si arricchirono tanto. Con scandalosa
gara talvolta si disputavano più monasteri la stessa
preda (ay). Un'altra volta facevasì credere che il
fine del mondo era vicino, specialmente allo spira-
re del decimo secolo; onde per guadagnarsi il Cie-
lo, molti ricchi ignoranti donavano il suo ai mona-
steri (28). Siccome prepotenti, e crudeli erano i
signori di quei tempi , è facile il vedere , che mol-
ti ricchi scellerati vicini alla morte dovevano ri-
correre al compenso, che credevano il più facile di
espiare le atroci loro colpe , col donare alle chiese
quei beni, che la natura gli sforzava a lasciare.
Non convien dissimulare che qualche santo ec-
(a6) Landulfus senior lib. a. cap. 3o. Quatenus omnes homi'
nes ah hora i. Jovis adprimam horam dici lunae cujuscumque
eulpaejorentf sua negotia agentes permanerent : et quicumque
hanc legem offenderei videlicet trequa-m dei in exilio damnatut
eie, at qui eamdem servaverìt ab omnium peccatorum 'vincuUs
ahsolvetur eie. Merita riflessione questo passo ^ da cui si dedocono
li strani costumi del tempo ^ e 1* universa! credenza, che chi si sog-
gettava a questa sacra legge poteva senza scrupolo ne^lì altri gioroi
uccidere il suo nemico, e tuttavia avendo osservata la Tregua ah
omnium peccatorum vincidis ahsolvetur. Pid Concilj, e Papi,
Urbano II y Pasquale II , Innoccnzio II confermarono la TreguA
di Dio*
(37) Vedasi la diss. 67. Antich. Ital. del Muratori in cui i5
motivi si adducono dell'immensa quantità di ricchezze degli ec-
clesiastici .
(aS) Molte di queste donazioni. hanno òer causale. Pro re»
medio animae suae , altre , adi^entànte multai termino .
CAPITOLO QUARTO ^83
clesiastico (39) > qualche saggio sovrano (So) non
lasciavano d'inveire contro siffatto abuso^ senza pe- ^- ^
rò correggerlo . Ma ciò che dipinge co' più vivi co- ntS
lori Tabbrutimento dei tempi è il vedere, che si
commerciava degli uomini ^ come di armenti; i pri«
gionieri di guerra^ quei che navigando aveano la
disgrazia d'incontrare delle navi, i di cui padroni
senza aver guei^ra dichiarata con alcuno l'avevano
con tutti, ove 5Ì presentava l'occasione di rubare ,
erano presi, e venduti schiavi. I Veneziani stessi
fecero quest'odioso commercio, non avendo ribrez-
zo di vendere i disgraziati Cristiani agli Ebrei , e
Saraceni (3 1 ) . Che più ? gì' istessi crudeli padri non
dissimili dai negri affricani giunsero a vendere i
loro proprj figli per redimersi dalle durezze dei tri-
buti. Le campagne d'Italia erano si ripiene di mal-
viventi, che i viaggiatori furono obbligati ad unirsi
in caravane, come nei deserti di Arabia. Costumi
sì feroci, dissoluti, e brutali in tutti gli ordini di
(39) y. Epìst^ di S. Girolamo ad Èusticum eie» e nelV epi-
taffio dì Nepoziano ahi nummum addunt nummo , et matronarum
opes venantur ohsequiis: sunt ditiores monachi quam saeculares,
(So) V. Capitolari di Carlo Magno ano. Sii. Inquirendum est
si iUe saeculum dimissum haheaty qui quotidie pos sessi ones au-
gere quoUbet modo , qualihet arte non cessat, suadendo de cae^
lestis regni beatitudine; comminando de supplicio inferni, et
sub nomine Dei , aut cujuslibet sa;ncti , tam divites , quam pau»
peres, qui simplicioris naturae sunt, se rebus suis expoliant, et
legitimos eorum haeredes exhaereditant : ac per hoc plerosque
adjìagitia , et scelera própter inopiam , ad quam per hosfue*
Timi devoluti per etranaa compellunt , ut quasi necessario J urta,
et latrocinia exerceant , cui paternarum rerum haereditas , ne
ad eum perveniret ab alio praerepta est, E più sotto : Quid de
his dicendum, qui quasi ad amorem Dei, et Sanctorum sive
Martyrum , sive Confessorum ossa , et reliquias Sanctorum cor^
porum de loco ad locum transferunt ; ibique novas Basilicas coi'
stntunt , et quoscumque potuerunt ut res ilUc tradant inslantissi'
me adhortantur,
<3i) Murat. Autiq. Ital. diss. 3o.
a54 LIBRO SECONDO
Anui Parsone erano accompagnati dalla più stupida igno-
diG. |.3D2a« Tutte le nazioni probabilmente una volta
furono selvaggie; ma dacché esistono storici monu-
menti , non ci hanno conservato memoria di si
profonda ignoranza nel paese d'Italia, quanta nei
i secoli accennati • I barbari conquistatori attaccava-
i no una specie di vergogna , e di avvilimento alla
' cultura delle lettere, asserendo che le scienze ten-
dono a corrompere y snervare^ e deprìmere la men«
te; e che quei, eh' è usato a tremare sotto la sferza
del pedagogo , non oserà di guardare con intre-
pido occhio una spada, o una lancia (3^). Molti
dei più grandi sovrani, dei principali ministri non
sapevano né leggere , né scrivere (33) , e nei più
importanti affiiri vi era Tuso di apporre il segno
della croce in vece della sottoscrizione. Gli stes-
si ecclesiastici, presso i quali si trovava quel po-
co di sapere di questi buj secoli , per la più gran
parte emulavauo l'ignoranza dei secolari; e spes-
so non potevano soscrivere i Concilj dei quali
eraiio membri (34), e d'uopo fu talora sospender-
(3a} Procou. de bello Goth. lib. i . Voltaire ba fatto parlare
il linguaggio del silo secolo a Lpredano ( Tancredi atto i. se. i. )
Couibien deìs citpyens aujourd*hui prévAius
Pour ces arls seduisanls que V Arabe cultive ,
Arts trop pernicieux, doni V eclat les captive,
A nos vrais chevaliers noblement inconnus .
(33) ^el nono secolo Herband,co/ii«5pa/atii quantunque su-
premo Giudice dcir Impero non sapea scrivere il suo nome ( Traile
de diplomatie par deux Benedectius } . Teodorico uno dei re piii
granai , benché amantissimo dei letterati , non sapea scrivere il suo
nome. Si dubila lo stesso di Carlo Magno . Che si dovrà dire degli
altri ?
(34) Una delle dimande che si faceva a chi chiedeva gU or-
dini ecclesiastici era se sapeva leggere il Vangelo . Un autore di
quell'età con stile degno di esso così rimprovera gli ecclesiastici e
potius dediti gulae, quam glossae , potius coUigunt libras, quam
legunt tibros, libentius intuentur Martkam, quam Marcumi
CAPITOLO QUARTO a85
li dalle sacre funzioni per la loro ignoranza (35).
Non si vuol dissimulare che alcuni dotti padri della ^i q^
(Chiesa non si trovino in questi tempi ^ ma benché ^«^^
assai superiori al loro secolo , mostrano^ una tinta
di barbarie nello stile ^ e sono rare^ e deboli faci in
UD deserto di tenebre . Pavia > che era la sede del
regno longobardico , e dove perciò si portavano le
persone dì maggior ingegnose cultura; Roma capi-
tede del regno ecclesiastico , ed ove lo studio dei
dojumi e della lingua latina^ consacrata omai alla
religione, dovéa aver luogo^ erano le città più cul-
le; ma qual cultura (36)! Gregorio II inviando i
Moi legati al sesto Concilio Ecumenicp, che pur
doveano essere scelti tra i più dotti, chiaramente
parla della loro ignoranza, non solo delle buone
lettere, ma della stessa sacra Scrittura (37). Tutta
la scienza di Pavia si riduceva allo studio della
grammatica, di cui come gran professore è da Paolo
diacouo celebrato Flaviano, zio del suo maestro:
ma qoesl^arte stessa era in tal decadenza , che gli
dritti per le grammaticali scorrezioni si rendono
^juasi ieiintelligibili (38): Se tanta ignoranza era in
malunt legere in Salmone, quam in Salamoie» Alanus de ^tie
praedicandì apuÀ Lebeat .
(35) Concil.ftoni. aiiii*.8a^. "
(36) Se taluDO del Clero predicava al popolo si serviva » $a-
ptbdo egli leggete, delle predicne antiche cne esistevano nelle
Chkse. Marat; dissi 4^* "^^^l- It*^-
(37) Marat, diss. 4^. Antiq. ItaL
(3S) Un frammentò di lettera del Papa yVdriano II riferito da
MahiUon nctU' appci|«lice alla «oa dh>lòmasia è pieno di scorrezioni
incredibili: vi si trovano le espressioni eori^tnque novilissimis su-
xoles, « ut inter eos dissentiojiat, et di\^isis inveniantur, » Una
<um Judiculuni » una cum omnei'hen^tentnni y^ aui tamde reoi-
piendi eos qi^amque ie nostro misso ; unfi cum nostrum Ji^dicu-
tum . Cofi si Scriveva^ in Roma dal Pana, o da' suoi
'apa, o da suoi segreta r)
t86 LIBRO SECONDO
: Roma y e in Pavia , può ciascuno immaginarsi quali
die. tenebre coprivano il resto d^ltalia. Arrestiamoci un
" ^' momento per due importanti reflessioni ; la prima
presentandoci una consolazione per essere stati ri-
serbati a vivere in tempi meno infelici^ mostra il
torto di coloro , che , vituperando la presente^ lo-
dano V antica età quasi aurea , ignorandone gli er-
rori: la seconda ci mostra T infelicità più grande
dei popoli, le azioni le più scellerate^ i costumi i
più feroci , e brutali uniti colla più profonda igno-
ranza delle scienze , e delle lettere : questo (atto è
la più eloquente risposta ai detrattori del sapere^ i
quali debbono esser sempre molti, giacché V imma-
ginare le scienze , e le lettere come noci ve alla mo-
rale è la maggior consolazione degl' ignoranti . Il
paradosso sostenuto con tanto ingegno dal ginevrino
filosofo è smentito dall'osservazione, e con que*
sta, non coi sottili ragionamenti, deve decidersi la
questione . Ma proseguendo il nostro racconto , Tisto-
ria delle umane vicende. ci mostra che vi è un ulti-
mo limite nel bene, e nel male, al quale giunte le
cose^ conviene che retrocedano. Già i ripetuti atti di
oppressione che i forestieri, e i naturali principi
esercitavano su i miserabili popoli d'Italia, comin-
ciavano a eccitare dei sintomi nunzj di un movi-
mento che finire dovea in una memorabile rivolu-
zione • L^ oppressione produce Io scoraggimento nei
popoli, ma quando cresce troppo gli conduce alla
disperazione, la quale eccita finalmente un corag-
gio capace di tutto • I passaggi degl' imperatori io
Italia solevano segnare una traccia di desotazìooe:
questa, si spesso ripetuta, risvegliò la sensibilità
degr Italiani , e produsse Belle scene sanguinose-
CAPITOLO QUARTO a87
Già sotto Arrigo'per qoesto motivo » dopo una fu-
riosa rissa fra i soldati imperiali , e ì ciltadini, Pa- ^^o.
via era stata quasi intieramente distrutta; nel pas* >&»S
giù per r Italia xlell' Impera tor Corrado i suoi
soldati erano venuti alle mani coi cittadini di Ra-
venoa, e alla di lui coronazione in Roma tra i Ro*
mani, e i medesimi avvenne una ferociasìiua batta-
glia. Parma , per l'istesso motivo, fu smantellata ,
e saccheggiata dai soldati di Corrado II; né mai vi
era passaggio di truppe forestiera ( e questi erano
fi^uentissimi.) senza che le città, e le campagne
fossero desolate, disonorate le donne, e inondato di
sangue il paese. Se le passeggiere vessazioni dei
forestieri erano gravi, più intollerabili si rendevano
le domesticbe, perchè continue. Era Tltalia, se*
condo quel gotico sistema , governata da molti Du-
chi, e Marchesi, i quali tutti doveano dipendere
dal re d' Italia, e dall'imperatore ; ma in fatti non
ne riconoscevano la supremazia che quando la forza
li costringeva, e la facevano da indipendenti sovra*
ni. Questi principati erano divisi anche in più pic-
cole frazioni di sovranità , dominate da' più piccoli
signori , obbligati a dipendere da quel Duca , o Mar-
chese principale da cui aveano originalmente rice-
vuto questo piccolo feudo; ancor essi imitando i
loro principali, si erigevano, quando ne ayeano il
potere, in indipendenti sovrani . Oltre sififatta ge-
rarchia di principi , la di cui legale e naturale esi-
stenza dovea aver luogo in q\i^l sistema , gli Impe-
ratori tratti dall'avidità del denaro ne aveano creati
inoltissirai altri di un nuovo ge^uere: con quel su-
premo dritto che credevano avere , staccavano dal
dominio, e dalla dependenza di qualche città una
n
a88 LIBRO SECONDO
"porzione di terreno^ un monte, una. cocca ^ un di-
di G. '*^po 9 e concedevano a chi gli pagava i dritti di
Mi5 feudal 5Ìgnore (S^). (jostui vi si fortificava ^ credeva
d'esser divenuto un Sovrano^ ed esercitava il dritto
di sovranità su quei pochi miserabili , che aveaao
la disgrazia di essere abitatori di quel tratto di pae-
se : ma siccome V esercizio di questa autorità non
avrebbe potuto soddisfargli, si ponevano alla testa
di quei sgherri che aveano facoltà di. mantenere ^
e con essi scorrevano il paese nobilitando in questa
forma il mestiero di assassino : i ricchi viandanti
erano spogliati, e talora imprigionati , e costretti a
pagare un grosso riscatto. La novella di Ghino di
Tacco non è favola che forse per quello che riguar-
da l'abate di Glughy (4o). Era pertanto coperta
r Italia da una folla di signori , o tirannetti , che
non conoscevano altro codice per governare i loro
sudditi , che il capriccio , e la violenza . La vita
solitaria che menavano nei loro castelli circondati
da brutale canaglia, T ignoranza profonda dei tem-
pi non gli rendeva sensibili alli stimoli di onore,
e di compassione, e invano la religione o predica fa
la mansuetudine,|o spaventava colle pene future(4i)*
»
(39) Sì chiamavano a distinzione degli altri Comites pagani;
sì sono ancbe detti Castellani Mui*at. Antiq. [tal.
(4o} Decam. ^iorn. 10. nov. »• Fra gli ahri Niccolò Marcbese
d' Este in un suo viaggio fu preso dal Castellano di S. Michele. Atr
zolino Vescovo di Siena tornando dalla corte del Papa da Avigno-
ne fu fatto prigione a Mantova da Cario Grimaldi, e costretto t
pagarre di riscatto 5oo fiorini. Jano degli Alberti, Conte di Monte
Carelli , rubava con i suoi masnadieri! viandanti: presa con essi
dai Fiorentini, gli fa mozza la testa, e impicca U i suoi sgherri .
Cosi gli stessi Fiorentini disfecero il Castello di Montebom, per-
chè i Signori che aveangli dato il nome, arrestavano, e facevano
pagare gravosi dazj ai mercanti : misero altresì in dovere il Contt
fjggieri; i Conti di Certaldo , di Figline, di Maugona ec.
(4i) Neil' Arcliivio del Capitolo de* Canonici di Modena tre-
CAPITOLO QUARTO 189
I celebri Cavalieri erranti , tanto posti in ridicolo
da chi non ne ba ben conosciuto V istituzione , e i ^^^q
doveri , servirono talora di qualche freno alla fero* «i^S
eia di questi illustri assassini e ne castigarono i de*
litti. Avidi di gloriale di difficili imprese^ avendo
giurato nel cinger la spada di proteggere Tìnnocensui
oppressa , e vendicare i torti y bene spesso venne
loro fatto di purgar la terra da varj di questi mo-
stri • Sìffiatti tempi , per la crudeltà dei piccoli de-
spoti , e per le illustri azioni dei Cavalieri erranti ,
rassomigb'ano molto all' eroica età della Grecia ; ed
Ercole^ e Teseo » e tanti altri Eroi sono i Cavalieri
erranti degli anticbi tempi • Ma non potea durare
an governo si ingiusto e violento: la sofferenza po-
polare ba i suoi confini ; né era difficile il minare
un despotismo appoggiato su base si poco stabile . Il
governo feudale era un'idra a mille teste ^ e a po-
che braccia. Le gelosie, le rivalità , i diversi inte-
ressi doveano naturalmente dividere questa folla di
piccoli Sovrani in varj partiti , tenerli sempre in
guerra, e mostrare ai popoli, anche abbrutiti, la
debolezza de' loro dominatori, e la facilità di libe-
rarsi da quel giogo. Le circostanze divennero sem-
pre più propizie a questa rivoluzione. Vi furono de-
gr intervalli, nei quali la forza superiore che dovea
tenere unite tutte queste membra , era stata strana-
mente indebolita : tale avvenimento ebbe luogo in
specie alla morte di Ottone II. Nella cronichetta
dei Re d'Italia (4^)> 'i descrive questo tempo, come
vuian SsgramenUrìo di Gregorio il Grande» scritto nel nono»
Ofvero nel decimo secolo ^ ove leggesi: Missa cantra Tjrrannos» \
Monitori Àntiq. Ital. disB. 46. /
(4a) Tom. a.
Tomi} /. ♦ o
ago LIBRO SECONDO
^ un interregno , in cui mancava alia forza superiore
di (2. ogni attività; e durante l'infanzia di Ottone IIL
M*^ ebbero le città italiche agio di scuotere il giogo de-
gr Imperatori e debite. Giunto a matura età Otto-
ne III. venne in Italia^ e cercò di ridurre all'obbe-
dienza te ribellate città; morto però nell'anno looa,
senza prole^ due Re d'Italia Arrigo ^ ed Arduino
se ne contrastarono il possesso , contrasto assai fa-
vorevole alla libertà nascente delle italiane città.
A questi contrasti successe in seguito quello più
lungo^ e più tempestoso tra il Sacerdozio , e l'Im-
pero^ che rilassò sempre più i vincoli di dipenden-
za , che legavano le italiane città ai loro domina-
tori f e diedero agio a quelle di scuoterne affatto il
giogo* Lentamente però, e variamente si è operata
una siffatta rivoluzione. In alcuni regni il Sovrano
principale ha posto in piedi una milizia stabile e
regolare ; che non solo lo ha reso indipendente nelle
urgenze dai potenti vassalli^ ma gli ha dato anche
agio di tenerli in briglia , e finalmente di spogliarli
delle loro abusive prerogative . In altri paesi ^ come
in Italia^ le particolari città sì armarono, e cac-
ciandolo non curando i loro despoti, vi stabilirono
repubblicano governo: altre di queste più placida-
mente ottennero dagl' Imperatori ò gratuitamente ,
o coir oro il privilegio di governarsi da loro stesse:
alcuni finalmente de' feudali governi son restati in
piede fino ai nostri tempi , com' era la PoUonia , e
ve n'è un'imagine ancora in Alemagna. Riguardo
agli altri più piccoli feudatarj che regnavano nei
castelli I e nelle rocche alpestri in proporzione che
i governi regolari presero piede , furono in gran
CAPITOLO QUARTO S91
pirte distrutti, e pochi ne restano ancora privi per
lo più de' loro privilegi . ji^^
In questo generale movimento d'Italia per la >>«^
libertà y V entusiasmo fanatico , che quanto è atto a
far degli sforzi di valore perchè è cieco al pericolo ,
altrettanto^ per la stessa causa , è incapace della
fredda deliberazione y trasportò gV animi al di là
dei giusti limiti ad una specie d' intemperanza di
libertà. Credendosi più libere quanto erano più
indipendenti V una dall'altra , le italiche città y non
<olo si stabilirono ciascuna in sola e isolata repub-
blica, ma tutte le terrei e fino i borghi più pic-
coli si divisero spesso m tante frazioni repubblicane
Don più grandi di S. Marino (43) • Questa opera*
sione sarebbe stata la 3tessa , che se gli abitatori
delle città che furono una volta selvaggi , e che ce«
derono una parte della loro naturale libertà per go-
dere i vantaggi della società civile , e divennero cit-
tadini^ rìnunziassero ad un tratto a questi diritti per
amore di libertà y e ritornassero alla foresta • I sel-
vaggi si fanno una continua guerra : cosi dovean
Corsela una folla di repubbliche, di cui era coperta
r Italia: divise d^ interessi , dovean esser sempre
colle armi alla mano • Queir istessa intemperanza
di libertà agitando gli spiriti della stessa repub-
blica^ doveva renderli disobbedienti alle mede-
«me l^gi^ che si erano fatte, e dividerli in più
partiti. Questo ragionamento è provato dai fatti.
Firenze, Pisa, Lucca, Siena, Pistoia, Arezzo, Cor-
tona^ non che più piccoli castelli^ furono spesso
insanguinate dalle civili risse. In Lòmbai^dia eb-
(4)) P«r otempto: Poggibonsi era una Repubblica .
!i9a LI^RO SECONDO
riebbero luogo, le istesse fatali vicende • I diagraikiti
diC. popoli j dopo lunghe agitazioni y e sanguinosi con-
111^ trasti, couosendo quanto erano infelici nella demo-
cratica costituzione cercarono finalmente )a quiete
sotto il governo d*un solo. Così Milano si riposò
sotto Azzo Visconti (44) \ Modena , e Reggio sotto
Obizo d'Este : i Padovani sotto Jacopo di Carrara ec.
Le città della nostra Toscana furono più restie,
però soggette a più lunghe convulsioni • È stato
dimostrato dal più grande de' metafisici (45) qual
possanza abbiano le mere parole sulle opinioni degli
uomini , e quanto perciò ne sia pernicioso Y abuso .
Niente v'à di più vago, e di più abusivo delle pa-
role di libertà e di uguaglianza • La civile libertà
non consiste in altro , che in obbedire a una savia
legislazione vigorosamente eseguita, onde a ciascuno
sia liberamente permesso ciò che le leggi non vie-
tano . Siccome poi un' uguaglianza geometrica è
sicuramente impossibile tra i cittadini , la vera
uguaglianza consiste neir esser tutti ugualmente
sottoposti alle leggi, dimodoché sul più ricco, e pia
potente, come sul piò debole, e più meschino agi-
scano colla medesima forza imparziale; questa è la
vera uguaglianza, ogni altra è chimerica. Se il pro-
blema si sciolga più facilmente in una repubblica ,
o in un principato, T istoria che scrìviamo Re sarà
giudice : sarà essa una scuola ove il saggio lettore
potrà giudicare dei beni, o dei mali della demo-
(44) Gal vaneus Fiamma : Ptima Lexfmt,quod omnes Civi-
tatés sibi tubjectae ab^l/ue omni personarum captione suis cm-
bus esseni habUéUio tutissima , et istius Sanctissimae Legis tfi-
caeptorfuit illustris miìes Aio F'ice-Comes , oh cujus merìlttm
possidet Paradisum .
(4^) Loke, liuman.uaderstending.
CAPITOLO QUARTO 295
crazia, e del governo monarchico. Tutte le più
aottili j e più dotte ricerche sulla natura dei gover- ai e.
ni sono inutili: in politica come in fisica conriene >>>^
finalmente ricorrere air esperienza • Se vedremo
quelle repubbliche , turbolenti , agitate ; se le stra-
gi, Tesilio dei cittadini saranno pressoché continui^
uè mai sicure le loro vite ; se al contrario troveremo
una lunga calma nel principato^ la questione sarà
decìsa dalla esperienza • Dovendo la storia esser la
maestra della vita, & d'uopo contemplar gli avve«
nimenti , che andiamo ad esporre , non come oziosi
racconti , ma come lezioni istruttive ,
DELL'ARTE
DELLA GUERRA
NEI BASSI TEMPI
APPENDICE
J^lelle guerre presso che continue^ le quali » dopo
lo stabilimento della costituzione repubblicana, eb-
bero fra loro le italiche e le toscane città , si deaeri-
Yono talora delle operazioni poco intese ^ perchè non
si sono gli storici dati la pena di spiegarci Tarte
della guerra di quel tempo , e le macchine belliche
allora in uso. Per ischiarimento della futura storia
ne daremo un breve ragguaglio. Nel tempo dell'op-
pressione feudale tutti i sudditi erano obbligati di
andare alla guerra ad un cenno del Signore : nep-
pure si eccettuavano gli stessi ecclesiastici senaa qq
particolare privilegio: e siccome il mestiero delle
armi era il più onorevole , i Vescovi ^ e gli Abati di
rado dimandavano di esserne dispensati, anzi ago-
gnavano avidamente alla distinzione che procu-
rava il valor guerriero, cercando di unire cosi le
ricchezze ecclesiastiche con i trofei militari . Inva-
no le canoniche leggi proibivano loro 1* esercizio
delle armi: chi vi si sottometteva era deriso ap-
punto come ai di nostri chi citasse le civili, e ca-
noniche leggi, per evitare il duello (i) • Sotto il feu-
(i) n Pio ab. Ermoldo Nigello» costretto a prender le anni,
APPENDICE «95
dale governo il nervo delle truppe era la caval-
leria, composta di nobiltà che aveva interesse a
vincere, e stimolo a distinguersi; mentre la fan-
teria, composta per lo più di miserabile turba,
che poca gloria, e niuno interesse vedeva nella
vittoria dovea combattere con poca energia • E ve-
ramente per molti secoli , anche dopo la ruina di
quel governo, durò la cavalleria a formare la for-
za principale dell'esercito. Erano i cavalieri otti**
mamente armati: si conducevano appresso loro da-
gli scudieri, e dai paggi più cavalli (a), e in varj
tempi hanno ricevuto varj nomi e di lance , e
d'uomini d'arine ec. L'istoria però delle nazioni
più dotte in quest' arte ci mostra come la truppa
migliore è stata sempre l'infanteria, e la falange
macedone, e la legione roman^ poterono resiste-
re, e rompere le numerose schiere della persiana
e partica cavalleria • Durò la superiorità di questa
truppa perfino al tempo del gran Consalvo di Cor-
dova, che nelle guerre d'Italia, mutando tattica,
formò quella celebre fanteria spagnuola e italiana,
che divenne presto superiore alla cavalleria , che
ha ùitto per tanto tempo la gloria della nazione
ad onta del tao vestito , si vantava santamente di non aver ferito
mai alcuno y e ne portava l'attestato sol suo scodo » per cai fu
tanto deriso •
Hoc egomei scutum humeris ensemque revinctum
Gessi, sed nemo mejeriente dolet .
Pippin haec aspiciens risii, miratur , et infit,
Caede amds,frater, litera amato magis.
De reb. gest Ludov. Pii p. a. t a. rer. itaL script.
(3) Alla destra degli scndieri era condotto il nobile cavallo
da battaglia 9 sensa perspna sopra , perchè fosse pia fresco al bi-
sogno > onde il nome di dextrarii, indi destrieri: intanto il cava-
liere cavalcava un cavallo meno pregevole, che palafreno # o ron-
lino era detto. Mar. ''
agg DELL'ARTE DELLA GUERRA
spagnuola , e che per dae secoli fino alla battaglia di
Rocroi (3) è atata invincibile • Le milizie delle città
italiane divenute Repabbliche ebbero varia aorte.
Finché i cittadini stessi sì armarono per sostener
la loro libertà y o animati dalla frenesia de' partiti,
formarono delle truppe assai valorose, e capaci di
resistere alle migliori milizie imperiali, che sotto
un valoroso Imperatore furono più volte sconfitte,
e in specie riceverono la celebre rotta di Legnano
( an. 1 176) in Lombardia, per cui fu tanto abbas-
sata la potenTHi di Federigo JL in Italia , anche in
Toscana le sanguinose battaglie di Monte-aperti , e
di Qampaldino mostrarono il pertinace valore, con
cui combattevano i cittadini; ma subito che essi
trascurarono il mestiero delle armi (4), e stipen-
diarono i mercenarj, le guerre divennero vergo-
gnose e ridicole. I capitani dei mercenari o non
volevan combattere per mantenere intatte le loro
truppe , o erano facilmente corrotti dal nemico;
Taltra truppa riunita con essi 0 di plebaglia , o di
villani non usi all' armi e ai perìcoli , prendeva
vilmente la fuga al prìmo incontro; e il Machia-
vello con ragione derìde questi fatti d'arme, i qua-
li talora duravano parecchie ore, battendosi i sol-
dati in distanza, senza la morte di una sola perso-
na • Sdegnando i cittadini il mestiero delle anni,
sì posero nella dipendenza di quei condottieri, che
pei circa a due secoli furono in Italia celebri pe'lo-
(3) Dopo molta decidenxa nella sua dUcipUoa , fu in qneilft
bat*^gUa disfatta € nunaU dal gran Gondé •
(4) Ammir. iti. fior. Per tutto il secolo XIH. e il principio
del Xiy. |« milizie delle città italiane furono valorose» perchè com-
poste di cittadini : dopo il principio del XTVt cominciarono a de-
clinare .
APPENDICE a97
ro tradimenti , come pel loro valore. Essi poneva-
DO i loro soldati air incanto^ vendendoli al maggio-
re offerente; né di rado avveniva che una truppa ,
dopo essere stata nemica dei Fiorentini ^ o dei Mi-
lanesi, guadagnata dai denari, passava a combatter
per loro. Queste truppe avean bisogno della guerra
per vivere } onde quando era pace si univano sotto
UQ capo, e ponevano a sacco gl'innocenti paesi, o
fonavano le più ricche città a pagar loro forti con-
tribuzioni. Siffatte turme di masnadieri erano chia-
mate G>mpagnie. Cosi Lodrisio Visconti, Malerba,
e specialmente il Duca Guarnieri nel XIV secolo
fecero tanto danno all'Italia ; e le più potenti città
non sdegnarono di prender la legge, e pagar loro
uo vergognoso tributo. La viltà degl' Italiani in tol-
lerarli, è provata dalla facilità con cui poteano di-
struggerli : giacché i soli villani del Mugello, come
vedremo nel corso di questa storia, quasi intiera-
mente distrussero una delle più grandi di queste
Compagnie (5) • Dopo la declinazione della romana
tattica, le armi del soldato da offesa, e da difesa
furono spesso variate. Si é veduto come i Romani
itessi ai tempi di Graziano deposero il vestimento
ferreo ond'erano armati: fu qi^atp^, ripreso da ro-
busti guerrieri del Nord ; poi seoondo la mollezza ,
0 robustezza degl'Italiani, vicen^volmcfite abban-
donato, e ripreso. Talora il ferro si cangiò in cuojo,
e la coriacea armatura ha dato probabilmente il
nome alla corazza (6) • Il peso degli scudi di ferro
è stato alleggerito, formandolo di legno, di cuojo, o
di vimini ; e le diverse materie o figure hanno creato
(5) BfaUeo Vili, cronic*
(6) Murat. diss. a6.
398 DELL'ARTE DELLA GUERRA
i numi dì targa y scudo, rotella, brocchiere, paye-
se (7): le spade talora accorciate hauDo preso i no-
mi di stocchi (8). L'arco e la balestra davano il
nome agli arcieri ^ e ai balestrieri . Scagliavano i
primi dardi più piccoli assai dei quadrelli , mo-
schetti (9) o verettoni gettati dalle balestre , ma
supplivano colla velocità alla piccolezza dell'ar-
me (io). Erano alcune balestre cosi grandi, che
conveniva scaricarle col pirae , e perciò aveano al-
la corda adattata la staffa . Ylna truppa disordinata
e leggiera soleva precorrere l'esercito , scorrer quinci
e quindi, e dare il guasto alle campagne, e queste
eran chiamate gualdaue (1 1)« Feditori poi o ferito-
ri erano quelli , che cominciavano la battaglia . So-
levano esser delle migliori truppe, giacché sovente
l'esito della pugna dipendefira da essi: poiché scom-
pigliata la prima schiera, assai spesso tutto il resto
dell'esercito di disordinava. Diamo ora un'occhiata
alle macchine da attaccare, e da difender le ciUà.
(7) Scudi di Pavia , quadri di figura : Aulici Ticinen. de UtuL
Papiae, Aveànò nelle finte guerre 1 Pavesi dei scudi di vinchi. V.
lo stesso aut. tijeU^ diss. suddetta , ove dottamente » nota che an-
che gli antichi aveano Scudi di vinchi per testimonianxa di Yege*
lio Seuta tUi vÌniòié''^imodtim cratium rotundata tenebant . Il
brocchiere probathiln^^nte era uftt> ècndo» che avea in messo imo
spuntone per offendef'e, o per deviare l'arme nemica*
(8) Fugionibus itti coeperunt ensìbug obsoletis . Frater Pipi-
nus in chron. rer; ital.serip* t. 9.
(g) Moschetti» o mosche tte» erano specie di <iardi. Mar.
diss. a6.
(1 0} Tillani , lib. a » cap. 66* Quando i Genovesi balettram-
no un quadrello di balestro , quelli saettavano tre saette co'laro
archi.
(il) Corridor vidi per la terra vostra
O Aretini , e vidi gir gualdane ec.
Dante , canto aa Inf. Probabilmente vide questo spettJicoki il poe-
ta quando dopo la rotta di Campaldino, data agli Aretini » l'eser-
cito fiorentino devastò il territotio di quella citta .
«
t
APPENPICE 399
Disgraziatamente per gli uomiui.il crudele mestìero
della guerra non è stato che con piccoliasimi inter*
valli interrotto, dacché abbiamo memorie iatoriche.
È molto facile immaginare perciò che gli strumen-
ti di distruzione usati dai Greci , e dai Romani non
sieno stati mai perduti. Poteva alterarsi la discipli-
na militare, perdersi il coraggio insieme coir indu-
striosa tattica greca e romana, ma le varie macchi-
ne per attaccare, e per difender le città doveano
passare di generazione in generazione poco cangia-
te, e mutato forse solo il nome . Cosi probabilmen-
te l'ariete, T onagro, le catapulte , le baliste, le tor-
ri messe in opra dagli Ebrei, dai Greci , dai Roma-
ni, son passate ai bassi tempi coi nomi di mangani,
manganelli, trabacchi ec. solo la terribile invenzio-
ne (leir artiglieria , mutando tanto r arte della guer-
ra, ha potuto farle obliare. Le fortificate città era-
no circondate spesso da doppie mura; ossia, dopo
le più alte interne , era un altro recinto piii basso ,
fatto probabilmente per impedir V azione dell'arìe-
te contro le mura più alte (la)* Un fosso, quando
si poteva, pieno di acqua, ed una palizzata si esten-
devano avanti alla seconda muraglia : stavano mol-
te torri sulle mura, il corpo delle quali stendevasi
in fuori per aver agio di percuoter di fianco gli as-
salitori. Le scorrerie de' Barbari si frequenti avean
fatto scegliere la posizione delle città e de' castelli
ne' luoghi i più alpestri per guisa, che l'Italia di.
venne quasi una selva di torri, e di rocche munite
in specie ne'monti, uve l'arte era aiutata dalla na-
tura. Nelle città istessei continui sospetti originati
(ta) ChiamaTasi barbacani , o antemurale .
3oo DELL'ARTE DELLA GUEERÀ
dalle &zioni| avean convertite le case in fortificati
castelli: poche ve n'erano delle considerabili senta
torri ^ nelle quali faceasi anche sfoggio d'architet-
tura'(i3); onde non farebbero tanta meraviglia le io
mila torri che Tesagerazione di Beniamino Navar*
rese contò in Pisa . Si fabbricavano poi o di legno
o di sasso castelli, o bastie (i4) ^^ offesa^ e da di-
fesa intorno alle mura^ alle torri, sulle rive di im
fiume, sopra una collina, o dove si stimasse il ter-
reno più atto air offesa , o alla difesa . Erano presso
a poco gli stessi i battifolli (i5), e cont^ievano
stanze per alloggiarvi fiinti^ e cavalli. La terribile
catapulta degli antichi Greci , e Romani , con coi
si scagliavano pesi si enormi, non è chiaramente
descritta dagli storici antichi • Il celebre Commen-
tator di Polibio (i 6) ne ha indovinata la costruzio-
ne^ seppure m molte |)arti la sua immaginazione
non ha supplito ove ipaneava T istoria. Pare che
per mezzo di funi elastiche in specie di minugia, e
degli stessi crini e capelli intortigliate sa dei travi
si tendesse fortemente un cilindro di legno, sulla
cima del quale stava un gran cucchiajo in cui si
ponevano i corpi da lanciarsi : liberato dalla tensio-
ne il cilindro scoccava come un arco, gettando ad
una gran distanza enormi masse (f7). La Balista,
varia nella costruzione dalla Catapulta , prodoceva
Jo stesso effetto: forse era una grandissima balestra,
(tS) Ainmir. iti. fior. lib. d.
(i4) Iodi il nome di bastioni .
(i 5) n YilUni considera le bastie e i battifolli come U steMi
cosa.
(i6)nGaT.diFoUrd.
(17) Se ne Teda k fianra ndle note a Polibio del Gat.di
FoUrd. *
APPENDICE 3oi
come iodica il nome, formata di un grosso cilindro
di elastica materia^ che tesa per mezzo di qualche
macchina potea scagliare de'corpi pesantissimi. Da
queste due macchine non dovean differir molto
quelle che nerbassi tempi si chiamarono Mangano^
Trabocco^ Asino (i8)^ Troja, Volpe ec. Già si de-
duce da qualche oscura descrizione , che nel Man-
gano vi era una fionda ^ o balestra (19); doyea per*
ciò questa macchina rassomigliare all'antica bali-
sta: e yeramente masse pesantissime si scagliavano
con questa (so). Sovente grossi animali, come ca-
valli, ed asini erano per disprezzo gettati nelle as-
sediate città (ai). Coi trabocchi , benché dì struttu-
ra diversa dai mangtfni, si scagliavano pure im-
mense pietre . Di questi fece uso Ezzelino neir as-
sedio della rocca d' Eate (aa) , e negli Annali mo-
danesi descrivesi una grandissima di queste mac-
chine (a3) • Per romper l'impeto dei massi scagliati
dai mangani si adopravano delle reti di grosse funi,
(iS) Anche gli antichi ayeano Vonager*
(19) Instrom.ds restgnat Castri FnmoniSt si iroitii/undat
de Manganalo, Mar. antiq. ital. di». 96.
(ao) Negli Annali genovesi dello Stella^ ann. 1379 ^ si nomi-
na una troja che gettava massi del peso dai 1 a ai 18 canta ra vale
adire di libbre a700.Il mangano vien chiamato in latino halearica
machina , lo che mostra, che vi era una specie di fionda , per cui
«raro celebri gli abitanti delle Baleari :
Extrmtur mirae halearica machina motis ,
Quae valido iongum transverberat aera jactu.
Grunt. Kb. S.
(ai) Frequente è l'espressione degli storici: furono manga-
nati asini* Dopo la rotta di Gampaldino i Fiorentini per ischerni-
re il Vescovo di Arezso Gugliàmino» che era restato morto in
quella battaglia , venuti ad assediar la città» vi gettarono col man-
gano un asino colla mitra in testa , come riporterassi a suo luogo .
(aa) Rolandinns.
(2^) Trabuccum Murtinentium, qui Jactus fuerat in platea
Communis Mutinae^ cujus pertica erat quantum sex paria boum
ducere poterant .
3oa DELL'ARTE DELLA GUERRA
o panni , o una specie di graticci distesi davanti al-'
le torri percosse : indi ebbero origine le vinee o cra^
ttSy graticci o gatti (^4): sotto queste stesse mac-
chine i soldati s'avanzavano a batter la muraglia»
11 formidabile ariete degli antichi non era escito
mai di moda • O ra venia condotto sopra dei carri
spinti contro di tB^\ più spesso questo lungo e
grosso trave colla ferrata punta era sospeso, ed on-
deggiante in aria , e facendosi oscillare, si mandava
ad urtare contro le muraglie: gli scommossi sassi
erano poi fatti cadere con delle pertiche uncinate,
che emulavano una delle tante speciè^di carri degli
antichi (a5). Si rammenta da Gotti fredoViterì>iense
un altro ìstrumento non ben noto (a6) detto Talpa,
atto a scavar sotterraneamente il terreno, per to'
gliere alle muraglie il fondamento, e farle cadere:
egli è certo che si usavano queste specie di mine: i
minatori si avanzavano sotterra verso le mura: si
praticavano le contrammine, cioè si procurava di
ritrovar la sotterranea strada; e questo si faceva
scavando obliquamente imo o più fossi scoperti che
(a4) GiiUi per isbaglio furen pre9i dagli Accademiei ddb
Crnica per ìstrumenti da battere i mari{ non erano che una co*
perta , e difesa : Bemi Ori. innamor*
GatU tessuti di. vinco e di legno m
Huc/aciunt reptare catum, teetique sub Uh
Suffodiunt mufQS% Ginlelm. Brito L 7.
Siccome qualche volu sotto qbesta coperta ossk GmUo ai facea
muover r ariete con cui li percuotetan le mara, pa^iadieiaer
nata la confusione dell' uno coU' altro • Yeset* lib. k* <^P* > 5* ^
neas dixerunt, veteres quas nunc militari barbaroque usu cmttos
vacata Alimoniui apnd Duchange : Erant carri vumneis eatibus
tabulisque ligneis , in quibus latentes militesfundasnenia suffb'
derent murorum •
(a5} Folard in Polibio*
(a6) E* chiamato Talp a cavans arces. .
APPENDICE 3o5
ndassero a ritrovarla (27). Erano in uso i graffi
ler arroncigliare i combattenti , e tirarli giù dalle
Quraglie^ e triboli ferrei, o apine da spargersi nei
ampi per danneggiare e imbarazzar la cavalleria.
*(oQ mancava neppure una specie di cavalli di Fri*
ia: erano questi grossi legni di figura triangolare^
» prismatica, che Voltati su qualunque lato resta-
vano dritti, che si riunivano insieme in un issante,
i formavano un sufficiente riparo (d8). Fra le mac«
^hine più pericolose per le assediate città si contac-
io con ragione le, tprri di legno: erano altissime, e
li proporzionata larghezza; s' inalzavano più delle
nura istesse, e piene di. <;ombattenti travagliavano
id ogni altezza i difensori, ora combattendo a li^;.>
vello con quei che stavano sulle mura, ora fuluii*. :
Dandoli colle pietre > e coi dardi dall'alto, ora dan*<
do l'impulso air ondulante ariete: una parte del
lato superiore della torre staccavasi improvvisamen-
te dalla cima, e ruotandosi su i cardini ai quali era >
appoggiata, si abbassava, ^i .di^tendeya sulla mura-*
;lia, e diveniva un ponte per ^cui i più arditi ea-
*
(97) Si Uega un passo ^di Matteo Villani lib. 3. cap. no, I
^adtorì dell' oste eoo ffma costo e con jnolto studio condoce-
^0 una cava sotterranea per abbatter le mura della Scarperia—»
FTOTÌdero qaeUi di dentro di cavar di fViorì dei fossi per ritrovar
* can dei nemici ionanxi cbe ag^nngeMe alle mura , ma i loro
Wersarj adopraron gran forse per ritraHi da questo lavorio. •«. e
*P^ilire i loro cavatori ••.. i qoali lavoràndo con gran sollecitudi-
t aOa cava dei nemic»' perveniiefo > la^cpiale era venuta innanzi
*<> braccia 9 e presso. aL[e muta 90 oracela » la quale di presente .
^ta F affocarono 9 e cacciarono i cavatori , e guastaron la lor
(38} Nicolaus de Tamsilla rer. ital. script, t. 8| p. 565 » par-
Mo di Manfredi Re di Sicilia : Jacfa<_suff4 d^fjngenio JUarchiomis
Wtholii quaedam ligned instrumentum trianguUUa sic uttijiciase '
Wposita quod de'ìoco in locum léyitfnduofbanlur, et sen^per
fwio capite erecta stab^nt: his i^s(r^Pientis excroitusse^eirr
pcinzit , et vallàvit , utj^ónJficUfi p^sfit ^x Ula parte irwmmpi. -
3o4 DELL'ARTE DELLA GUERRA
travanro nella città • Gli antichi ne fecero usò: è ce-
lebre quella torre di Demetrio detta Elepolo (39) ;
ed all'assedio di Marsilia le torri usate da Cesare
erano di si smisurata, grandezza^ che i Galli ignari
dell'ajuto che porge T ingegnosa meccanica, stima-
Tano i Romani più che uomini, perchè movevano
con tanta celerità macchine si enormi (3o)« Fra le
torri immense, che nei tempi dei quali parliamo
ai videro, furono quelle accostate da Federigo L alle
mura di Crema . La difficoltà di muoverle ha eser-
citato l'ingegno dei meccanici del nostro tempore
fra questi si è distinto il commentator di Polibio,
il quale, perchè ecciti meno meraviglia questa ope-
razione, ci rammenta quella sorprendente, con cui
Farchitetto Aristotele nel secolo XV trasportò da
un luogo in un altro una torre di pietra . I sacchi
di lana , dì paglia , ed ogni materia cedente era po-
sta in uso per deludere i colpi dell'ariete, e del-
Faltre macchine : ma si poneva ogni cura , quando
ai potea, per arderle, e perciò si erano inventate
varie misture di solfo e bitumi, che apprendendosi
al legno non era si agevole lo smorzarle (3f). Fu
per molto tempo celebre il misterioso fuoco greco
inestinguibile dall'acqua. Il pregevole segreto della
sua composizione portato probabilmente a Costanti-
nopoli da Gallinico d'Eliopoli di Siria nell'anno 718
vi si mantenne nascoso per lungo tempo, come il
Palladio dello Stato. A questo dovette la sua sai vesta
(ag) FoUrd in Polib.
(So) Non te cxtimare Bomanos sine ope Deprum betlum %t'
rere^qui tantum €iUitudMs machinationes , tanta celeriiaU jpro-
mév&re potseni. €•«• de beli. ^alL
(3i) V. Viu di Col» di Riemo ove» htesticaro solfo, fece»
èii0,trtmmiina, lana, e arsnìno Vasindia.
APPENDICE 3o5
r impero greco ^ quando gli Àrabi vincitori in ogni
lato nel principio del secolo YIII condussero invano
oomerose flotte nel porto di Costantinopoli: mille
ottocento legni furono arsi con i loro condottieri e
soldati: spaventati finalmente abbandonarono Tim-
presa; e se il greco Impero si sostenne per 7 secoli
tal vantaggio^ lo dovette a quel terribile segreto • Per
quanto il mistero, che ponevasi con ragione in questo
fuoco , abbia coperto di oscurità la sua composizio-
ne (3a)^ pure si è in gran parte indovinata. Pare
che il principale ingrediente fosse il nepta o petro*
leoy il più leggiero di tutti gli oli, e che quando è
poro, appena è in contatto coU'aria s'infiamma; Tac-
qoa non era capace d'estinguerlo (33) • Neil' ardere
produceva delle somme esplosioni: era scagliato da
lungi attaccato ai dardi o a macchine , che imi-
tando le figure di draghi, o altre bestie feroci, dal-
la loro gola vomitavano questo fuoco infernale.
Per 4 secoli fu fedelmente custodito l' importante
aegreto. finalmente fu svelato ai Saraceni, che nel-
la spedizione di S. Luigi in Egitto lo ritorsero con-
tro i Cristiani (34)* L'uso del greco fuoco ha du-
(3 a) V. il Ducbang* Anna Gomnena è quella che ne parla più
chiarameDte» Alexiad.Lib.i 1 e 12. Leon. cap. i9.Tactica. Menrs.
Tom. 6,
(33) Secondo le notisie del chimico Marius citato da Somare
Dision. art Nephta » ana candela fatta di nephta e di resina in
parti egoaliy arde sotto dell'acqua. La sola arena ed orina erano
capaci di spegnere il fuoco greco . Plinio crede che il fuoco di Me-
dea (osse nsregliato col nepnla . Plin. hist. nat. a. 1 00.
(34) Memoires du Ghevalier d e Joinville. Il Cav. de Joinvilte
fa compagno di S. Luigi nella sua disgraziata spedizione contro
rEgitiO}le memorie ne contengono l'istoria scritta nel XIII. se-
CIÀO in cui yissero è uno de' libri piii interessanti . Invano il pir-
ronico o piuttosto stravagante Arduino ha tentato impugnarne
r autenticità dimostrata all' ultima evidenza dal Sig* de la Bastie ,
Mcmoir. de l' Acad. de belles lettres tom. 1 5.
Tomo /. ai
3o6 DELL' ARtE DELtA GUERRA
rato fino alla mela del XIV, secolo; ha ceduto
poi ^ ed è atato fatto obliare dalla più lerrìlrile in-
venzione della polvere . Non è con precisione fissato
il tempo di questa scoperta^ cbe ba prodotto uoa
mutazione si grande nell' arte della guerra • Due
epocbe devon distinguersi , cioè il tempo dell' io-
venzione della polvere, e del T applicazione di casa
alla guerra. Rogerio Baccone Monaco , morto in Ox-
ford Taimo 1292, si riguarda con ragione perla-
Tentore della polvere, giacché è il primo che parli
della sua composizione (35): al principio del secolo
XIV. ne fu fatta l'applicazione alla guerra. U Pe-
trarca, scrivendo innanzi all'anno <3449 P^^^
delle armi da fuoco come già inventate da qualche
anno, e cbe^ prima rare , erano divenute allora co.
muni (36). La celebre battaglia di Greci avvenne
nell'anno ìÒ^6, e la vittoria degli Inglesi fu dovuta
in gran parte a quest'arme , come attesta uno scrit-
tore contemporaneo ^87) . Se poi realmente esìste »
come attesta lo Stetenio (38) in Amberg nel Pala-
tinato di Baviera nell'armeria pubblica un pezzo
d'artiglieria, in cui è T iscrizione dell'anno i3o3)
se suir autenticità dell' iscrizione non può cader
dubbio, questo è il più antico monumento dell'uso
(35) De mtrab. pot. art. et nat. eb. m6.
(36) Glandes aeneae quamfUininUs injcclis horrisono sonilu
jacintus Erai haec peslis nuper rara,Fuutc comtHunis eU.Vt-
trar. de remed. utrius. fort. dlal. 99.
(37) Gio. Villani lib* 13. cap. 65., saettavamo pallotioU di
ferro con fuoco,., e facevano sì gran tremuoto , e romore che
parca ohe Dio tuonasse. Tre auai avanti a questa battaglia ne
ayean fatto uso i Mori assediati dagli Spagnoli iu Algerias, (Marbo.
ist. di Spagna) : in Danimarca se ne fece uso nello stesso tcmpo^
onde pare che dopo Tanno 1 33o fosse quest'arme micidiale comu-
ne in Europa .
(38) Ada erudii. 1769. p. ig.
APPENDICE 307
deìV armi da fuoco. Abbiamo riferito i più sicuri
documenti «opra si celebre scoperta , lasciando na-
vigare per r oscuro pelago delle congetture coloro ,
che sopra incertissimi indizj nella favola di Salmo-
neoy e in altri equivoci racconti hanno preteso di
trovar presso gli antichi Tuso della polvere (39).
Durò qualche tempo anche dopo questa scoperta
1* uso delle altre armi • In proporsione però che ann
dò perfezionando Tartiglieria^ gli archi^ le balestre,
e l'altre armi missili furono appoco appoco obliate.
Si fece un'intiera rivoluzione nella guerra, ma la
prìncipal mutazione è avvenuta negli assedj« Mol-
tissime erano allora le piazze inespugnabili (40) :
(39) Vedasi M. Dateiu nell'opera» ScofE^tm dbou antichi
ATTUnciTs Al Mooma» che eostieiie questa opìnÌMie, quasi obe Sai-
moneo» Caligola» ed altri da lui citati» noa ayessero petalo imi-
tare il tuono» e il lampo, come gli strìoni in teatro» qua^ si po-
tesse far fondamento sopra il MS. di un 3f arco greco, che non si
sa ehi sia, né in che tempo vissuto « Sbatto sogno dell' ingegnoso
autore potrà unirsi agli altri dell* uso tUW conduttore elettrico »
del telescopio ec* eh' ei Uova tra gli antichi. L'asserzione di un uo-
mo grande «come di Lord Bacone» che nell' Lidia ed alia China
fossero conosciute le armi da fuoco circa a a mila anni fa » merita
pth riguardo e migliore esame » ma non vuoisi ciecamente abbrac-
ciare sulla sua parola • Baoon's Essaj the vicissitiule of tUings.
(4oì Gli artiBzi e i modi co'quali si cercava di espugnare e
di difenderle piazze, sono effre|^iaaAente descritti dal Taaio nel-
l'assedio di Gerusalemme. L Ariete:
Già r ariète alla muraglia appressa
Macchine grandi» e smisurate travi.
Che han testa di monton ferrata e dura:
Temon le porte il cozzo, e l'alte mura.
L* azione della Talpa per^iscavar le muraglie.
Altri percuote i fondamenti a cara .
Ne crolla il muro» e ruinoeo i nanchi
Già fessi mostra all'impeto de' Franchi •
Mezti impiegati per opporsi alT azione dell* Arie la .
Che ovunque la gran trave iu lui f^ stendt; »
Cala fasci ai lana , e li frappone .
Prende in Se le percosse, e fa più lente
La materia arrendevole e cedente .
3oB DELL'ARTE DELLA GUERRA
adesso non ve n'ha alcuna • Per quanto angolari
scrittori troppo amanti dell' antichità celebrino la
forza delle catapulte^ e delle baliste, ossia de' man-
gani ec. come eguali nell'eflFetto dei colpi scagliati
sulle muraglie dai cannoni , è facile il vedere qnao*
to restavano indietro nella celerità dell' operasione.
V attacco per meno delle Torri :
Questa è torre di legno ; e s'erge tanto »
Che pnò del moro pareggiar le cime ,
Torre» che grave d uomini ed armata»
Mobile è sulle rote» e vien tirata •
Viene avventando la volubil mole
Lance e quadrella , e quanto può s'accosta :
£ come nave in suerra a nave suole»
Tenta d* unirsi alla muraglia opposta .
Bla chi la guarda» ed impedir ciò vuole»
L' urta la fronte e l' una e Taltra costa :
La respìnge con l'aste » e le peroote
Or con le pietre i merli» ed or le rote •
Tanti di qna tanti di ìk far mossi
£ sassi e dardi » eh' oscuronne il cielo •
S'urtar duo nembi in aria» e là fermotsi
Talor respinto onde j>artiva il telo.
Come di fronde sono i rami scossi
Dalla pioggia indurata in freddo gelo»
£ ne caffgiono i pomi anco immaturi ,
Cosi cadeau i Saracin dai muri :
Però ohe scende in lor pih grave il danno»
Che di ferro assai meno eran goeraiti •
Parte de' vivi ancora in fuga vanno
I>ella gran mole al fulminar smarriti .
Ma quel » che già fu di Nicea tiranno»
Vi resta, e fa restarvi i pochi arditi.
E *1 fero Argante a contrapporsi corre »
Presa una trave alla nemica torre .
E da se la respinge e tien lontana.
Quanto T anete è lungo e '1 braccio Corte . . .
I Franchi intanto alla pendente lana
Le funi recideano e le ritorte
Con lunghe falci; onde cadendo a terra
Lasciava il muro disarmalo in guerra .
Cosi la torre sovra , e più di sotto
L' impetuoso il batte aspro ariete ,
Onde comincia omai forato e rotto
A discoprir interne vie scerete ec.
APPENDICE 3o9
Pochi erano questi atramenti ad un aasedìo^ e Tia-
ter?allo fra nn colpo ed ao altro non piccolo^ ri-
cercandosi non poco tempo per adattarci pesanti
corpi sulla macchina , e per caricarla ^ (4i) e i colpi
della quale mal calcolati spesso mancavano di ferire
il posto importante. Il piccolo danno fatto alle mura
io una giornata d' assalto era agevolmente riparato
Della notte; e in questa guisa se l'assediata città era
abbastania fornita di difensori^ e di vettovaglie^ di
rado era presa , avendo i difensori il vantaggio del
luogo. U astone de' cannoni rapida^ e continuata di
giorno 9 e di notte mina alla fine ogni più forte ri-
paro^ ed è diretta con matematica sicurezza al punto
che specialmente si prende di mira. L'arte degl' in-
gegneri è giunta a segno di calcolare all' incirca il
temp^ in cui la piazza sarà presa . Nelle battaglie
campali l'effetto del cannone è stato minore. La
E nel dmio XVIU. è mirabile la desefiùone di una torre eom*
posta di varie macchine da offesa :
Si scommette la mole, e ricompone
Con sottili giontore in un congiunta :
E la trave » che testa ha di montone ,
Dall'ime parti sue cozzando spunta .
Lancia nel mezzo un ponte : e spesso il pone
Sull'opposta muraglia a prima giunta }
E fuor di lei su per le cime n' esce
Torre minor, eh' in suso è spinta » e cresce .
(4i)Il Sig. di Voltaire 9 avendo interrogato il Conte di Holn-
itein di Baviera se esiste il pezzo d'artiglieria ( Remarque sur V es-
sai desmoeurs etc.)> n'ebbe per risposta che dopo le piii esatte
lieerche non fu trovato» onde conclude la falsità detrasserzione: ma
poteva esistere una volta 9 ed essere per trascuratezza' distrutto.
l<o stesso illustre scrittore, che ha spesso il difetto di passar troppo
leggermente sulle questioni > non avrebbe asserito esser falso , che
si sia fatto uso dell artiglieria alla battaglia di Greci, e in altre oc-
casioni in quei tempi, se avesse avuto satt' occhio gli addotti passi
del Villani e del Petrarca , che formano prove positive superiori
alla negativa dedotta dal silenzio degli Atti della Torre di Londra :
non avrebbe parimente negato a Rogerio Bacone l' invenzion della
polvere, se avesse consultato originalmente l'opere dello stesso .
3 IO DELL'ARTE DELLA GUERRA
formidabile bajonetta è giunta a saperarlo. Subito
che una truppa sia auioiala da un cieco Talore, ed
abbia tanta riaoluzione da correre ed attaccare una
batteria y marciando sui cadaveri de' suoi compagni
l' esperienza ha mostrato che la batteria in pochi
istanti è presa • Cosi delle armi bianche non è re*
stato ai moderni guerrieri che questo terribile istro-
mento ^ e la sciabola. Quasi ad ogni guerra si è ve-
duta qualche riforma nella tattica : e il celebre au-
tor di quest'arte, se vivesse avrebbe di che &re
delle notabili mutazioni alla sua eccellente opera.
Appena però si può perdonargli Tasseraione, che
dopo la mina della tattica romana non vi fu piò tat-
tica fino ai tempi di Nassau e di Gustavo. Lascian-
do da parte Castruccio, e il Duca Francesco Sforsa^
abbiamo notato qual riforma fu fatta da Gonsalvo
nella milizia^ riforma che rese la fanteria spagnuda
la prima truppa d'Europa. Chi chiamerrebbe que-
st'uomo grande privo di tattica? Chi il Pescara?
Chi uno dei Generali paragonabile ai più grandi
dell'antichità^ Alessandro Farnese? É celebre la
sua marcia a Parigi . Era questa città stretta di as-
sedio dalle truppe d'Enrico IV., Farnese, che tro-
vavasi nelle Fiandre, ebbe ordine da Filippo IL di
marciare a Parigi, liberarlo dall'assedio senza azzar-
dar battaglia. Il problema era de' più difficili, do-
Tendo inoltrarsi in paese nemico, e trovarsi conti*
nuamente, ora a fronte, ora ai fianchi, ora alla coda
uno de*pin risoluti guerrieri , qual era Enrico, alla
testa delle sue valorose troppe. Pnre Farnese ginn-
se a Parigi , fece levar 1* assedio colla più fina e
maestra tattica, e ritornò nelle Fiandre sempre in-
quietato da quell'attivo Sovrano, che non lo poten-
APPENDICE Sii
do mai tirare a battaglia giunse Qno a mandargli
un ridicoio cartello di disfida (4^)* Questo Genera-
le, queste truppe potranno chiamarsi ignare di tat«
tica (4*})? Non vuol dissimularsi ancora per gloria
deir Italia y che gì' ingegnosi ritrovati con cui Vati-
ban ha restaurato Y arte di difender le piazze de-
tonai agl'Italiani. I Francesi stessi non prevenuti
hanno confessato che nell' opera del Capitano Mar-
chi si trovano i principj sui quali Vauban ha rifor-
mato Tarte delle fortificazioni .
(4a) V< pe^ tutte quéste opeiMioni ^cìalitieiite Davìla ,
Nlébte prora meglio la maestria delle operazioni di Farnese » e la
sapferìorìtà sol suo nemico^ quanto l'impetuosa rabbia di Enrico,
che non potendo tirarlo a battaglia mandò a disfidarvelo. E' nota
la saggia risposta di quello: cbe non era solito di battersi quando
piaceva al nemico » e cb' ei ve lo costringesse, e avrebbe veduto
che allora non ricusava la battaglia.
(43) Se Gbibert intende per non aver tattica non aver quel-
la di Nassau^ e di Gustavo, avra ragione : né Gonsalvo, né il Far-
nese avean cmella: ma siccomie la tattica de* nostri tempi è forse
pih diversa aa quella di Gustavo ec. cbe non era questa dalla tat-
tica di Farnese ec. si potrebbe con lo stesso rondamento asserìi^tf
che Nassau e Gustavo aon^enoibber la tattiea.
DELL' ORIGINE E PROGRESSI
DELLA.
LINGUA ITALIANA
SAGGIO PRIMO
17 ra i graudi cambiamenti che la caduta dell' Im-
pero Romano ha prodotto in Italia , uno è certa-
mente la mutazione della lingua . Siccome la nasci*
ta di questa nuova favella interessa la Toscana so-
pra le altre provincie d'Italia, conviene nella sua
storia seguitarne l'origine, e i progressi, che ap-
partengono appunto ai secoli, che abbiamo finora
percorso. Due delle più grandi invenzioni degli uo-
mini sono la favella, e la scrittura: colla prima
hanno espresso le loro idee per mezzo di una specie
di musica y coli' altra per mezzo di una pittura. In
qualunque adunanza di uomini i più selvaggi oca
è mai mancata la prima , e di rado almeno un io-
forme abbozzo della seconda. Ma la lingua de'seU
vaggi uomini diflferisce da quella dei culti e dotti;
quanto quelli uomini stessi: i pochi bisogni della
gente rozza non hanno suggerito che i vocaboli a
quelli corrispondenti , mentre i tanto moltiplicati
bisogni di una società eulta , la itarietà tanto mag-
giore degli oggetti fisici ,^ le passioni fattizie tanto
più numerose, e la lunga gradazione dei sentimenti
morali ignota ai selvaggi, fa nascere la necessità di
SAGGIO PRIMO 3i3
esprìmere tutte queste nuove idee, e perciò arrìc-
chiflce la lingua • Posaedono anche i bruti una specie
di loquela 9 con cui eaprimon chiaramente fra loro
le passioni più forti ^ lo sdegno ^ T amore, la gelosia,
i demderjy e la intendiamo ancor noi in quel bruto
specialmente che abbiamo quasi associato alla civil
società, e che è divenuto al pastore fido guardiana ,
ed il compagno e Tajutoal cacciatore. La formasio-
ne delle lingue non è stata finora , e probabilmente ,
non sarà mai V opera dei filosofi ; onde non è da
maravigliarsi di tutte le loro irregolarità , e capric*
ci: son figlie meno, della ragione, che dell' imma*
gÌDa£Ìone : e questa essendo vivissima tra i selvag-
gi , anche in tale imperfetto stato , ha perciò delle
parole sommamente pittoresche. Oltre la naturai for-
mazione della lingua fra gli uomini di fresco riuniti
insieme , vi è quella a cui debbono V origine molte
delle lingue moderne, cioè il mescolamento grande,
ed improviso di una lingua con un'altra, come av-
viene ad un popolo che è conquistato* L'inglese, la
francese, la spagnnola, e l'italiana riconoscono que-
sta causa. La nostra ebbe per sua principal madre
la latina, a cui tanto si rassomiglia • Fino dai tempi
nei quali Roma era la signora del Mondo, concor-
rendo a Roma tanti stranieri tratti dalla curiosità,
0 in cerca di ricchezze, di onori, e di stabilimenti,
si dovea insensibilmente alterare la Terenziana, e
Tulliana purità, come chiaramente si lagna essere
avvenuto già ai suoi tempi Tullio medesimo (i), e
» (i) Aetatis iUius istafuit laus tanquam innocentiae sic la-
» tìne loquendi, sed hanc rem deteriorem vetustas/ecit et Somme ,
»etin Graecia : confluxerimt enim , et Athenas : et in hanc ur-
» bem multi inquinate loquentes ex diversis locis quo magis
» expurgandus est sermo . ( Cic* de dar, orai,)
3i4 DELL'ORIO. DELLA LINO. ITAL.
in seguito il latino Satirico (2) . TiRUvia finché
Roma fu la padrona^ e che i forestieri non vi veni-
vano che come tributar^, erano obbhgaii ad appren-
der la lingua dei vincitori , e l'alteraùone era len-
tissima. Ma quando i Barbari ebbero soggiogaU
F.Italia^e vi stabilirono il regno^ toccò allbrar ai
tinti Italiani ad imparar la lingua dei Barbari. Sic-
come però| per quanto numerosi fossero i vincitori^
erano di assai superati dai sudditi Katiani dovea il
fondo della lingua latina conservarsi ,- ma prender
nuove foggie, e piegarsi quasi alle leggi delle Ungve
dei vincitori.
Che la lingoa italiana con piccola differema da
quella che dal volgo si parla adesso esistesse anche
presso gli antichi Romani^ e fosse b lingoa del vol-
go^ è un'opinione che appena posso farmi a credere
essere stata seriamente sostenuta da uomini assai
dotti. Tale fu il sentimento di Leonardo Brunii e
difendendosi anche da Ercole Strozzi nei dialoghi
del Bembo , ci si mostra che questa opini<me avea
anche in quei tempi dei seguaci . Fino* nei tempi
nostri un uomo di merito» il Quadrio, Tha soste-
nuta. I loro argomenti son tanto frivoli da non me-
ritar confutazione, giacché altro da essi non poà
dedursi se non che la plebe romana parlava un la-
tino corrotto, che differiva da quello degli elegaati
scrittori, quanto la lingua italiana del popolaeciù
differisce da quella dei Redi, e dei Cocchi . Né meno
singolare é l'opinione del March. Maffei , che non
crede che le lingue dei Barbari conquistatori ab*
biano niente contribuito alla formazione della nuo-
(a) Jampridem Sirus in Tiheriin defluxit Orontes
Et linguam, et mores.,,, vexit. Ja?. sat. a.
SAGGIO PRIMO 3i5
va lingua^ e che solamente sia nata dalla continuata
alterazione della latina • Non vi è che un ingegnoso
argomento di questo scrittore , che non vale per ve-
rità a stabilire il suo sentimento^ ma piuttosto a far
nascere una difficoltà non focile a sciogliersi. Es-
sendo le lingue boreali de' conquistatori sì dure, di-
sarmoniche, e piene di consonanti , come mai da
quelle unite alla latina ha potuto nascere una fa-
vella così dolce , e così piena di vocali ? Non si pud
risponder altro che questa è una di quelle biszarrie
del caso, T irregolari, ed innumerabili direzioni
del quale non può l'umano ingegno né prendere,
né seguitare; e che è nata questa dolce lingua nello
stesso modo che spesso da deformi genitori nascono
bellissimi figli, o come si esprime l'Ariosto,
Che dalle spine ancor nascon le rose^
E da una fetid* erba nasce il giglio*
Ma egli é certamente impossìbile che, unite e con-
fuse insieme due nazioni, le parole specialmente
della dominante non entrino nell'altra favella , sa-
pendo noi per una lunga esperienza, che nazioni
estere , e non assolute padrone d' Italia , come la
spagnuola , e la francese , in tempo in cui vi do-
minarono colle mode, con T influenza, vi hanno
insinuato moltissime parole. Molto più dovea ciò
avvenire relativamente alla lingua di un popolo
padrone, e stazionario in Italia, e che parlava con
schiavi . Inoltre i faticosi etimologisti ci mostrano
chiaramente moltissimi de' settentrionali vocaboli,
che vi si sono introdotti (5); fa d' uopo però confes-
(3) Tedi soprattatti 11 Muratori nelle antich. Ital. disser-
tas. 3!i.33.
3 1 6 DELL'QRIG. DELLA LING. IT AL.
aare che questi hanno una piccolissima proporaone
coi vocaboli di origine latìna^de'quiali per la maggior
parte è composto il nostro linguaggio (4)* Nata cosi
l'italiana favella ha perduta una delle più belle qua-
lità della madre^ cioè le declinazioni , e perciò ha
dovuto ricorrere agli articoli y di cui era priva la la-
tina^ per indicar con essi il caso, che in quella era
indicato dalla varia terminazione della parola: per
questo cangiamento sì è resa per dir così più pesan-
te, e certamente più monotona, giacché in vece
dell'iperbato tanto gentilmente variato dai Latini,
e che concilia tanta maestà alla dizione, è obbliga-
ta per causa degli articoli a presentare in ordine
poco variabile il nominativo, il verbo, e l'accusa-
tivo. Invano il Boccaccio, e dietro a lui molti de-
gli antichi scrittori hanno tentato di dare alla figlia
questa bellezza della madre, colle trasposizioni.
L'esperienza ha mostrato che ella non vi si presta.
L'essenziali mutazioni cominciarono pertanto quan-
do, ruinato l'Impero di Occidente, prima i Goti
nel secolo VI in seguito i Longobardi si stabilirono
in Italia. L'inondazione poi temporaria chetante
volte ha sofferto dai Greci, che sotto la scorta di
Belisario , e Narsete son venuti a riconquistare uà
patrimonio reclamato dagl'Imperatori di Oriente e
vi si SODO lungamente trattenuti, dai Franchi, da-
gli Ungheria e da altre nazioni, dovette appunto
come le inondazioni dei fiumi, e dei torrenti lasciar
sul suolo d'Italia delle particelle eterogenee e stra-
niere , che mescolate collo sfigurato latino, hanno
(4) Si prendu un libro italiano, e si cominci a leggere » si
scorrerli talora un* intera pagina in coi tutte le parole si Utnreraa-
no di origine latina •
SAGGIO PRIMO 3i7
fioalmeote composto Tltaliana favella. Il periodo^
ÌQ cui è atidata forinandosi , à assai lungo, e com-
ppeiidc più secoli ; ma siccome non abbiamo auto-
revoli testimonianze che ella sia stata cominciata a
scrivere avanti al fine dell' undecimo secolo, con-
vien concedere circa a sei secoli alla sua Ibrmazio-
ne. Questa languida e lunghissima infanzia si dee
specialmente alla barbarie, ed alla profonda igno-
ranza in cui restarono immersi gl'Italiani. Non
possiamo con precisione fissare il tempo, in cui
aveva acquisUto sufficiente forma da esaere scritta
perchè tutto si scriveva in latino, ma nelle Carle
di questo stesso latino le piò antiche si trovano
delle parole della lingua volgare già nata, parole
che l'ignoranza dell'equivalenti latine costringeva
i barbari scrittori a latinizzare appunto come il
volgo di Ungheria anche nei i;iostri tempi parla la-
tino, o siooili a quelle che la bizzarria dell'imma-
gioazione ha fatto burlescamente latinizzare nelle
Hacheronee poesie di Merlino Coccai . Vi hanno di
queste Carte che dai dotti autiqoarj si riferiscono
all'ottavo, ed anche al settimo secolo (5), onde fa
(5) Ve ne sono alcune importantissime per provare la nostri
proposizione riporUte dal Murai. Antiqui, ital. diss. ^. In una
Cèrta del Capitolo di Lucca dell'anno 777 si trovano T espressio-
DI :» Ojgfero a Deo omnipoienti, et ad Ecclesia monasteri eie. Si
▼eggono ^à nati gli articoli nel volgare, e traspoitali per ignoràn-
la nel laUno : (Offro a Dio, e alla Chiesa ) In Legibus Alamannis
Cap. Baliisii s'incontrar posaru arma Josum(^OMir già le ar-
mi); la parola josum per giù trovasi anche nelle opere * S
AgMUno. In una Carta del secolo Vin, in cui si distinguono i
«onfim di possessioni scritta in latino si trovano le parole •
da pars (da un lato) da uno capu corra via pubblica. AlirB
Carta del nono secolo: jivent in longo periicas guatordice,
ut traverso de uno capo pedes dece^ de alio nove in tra'-
verso. Ma una delle Carte che meriu ossenraxione su tntte
« tllre si trova nell'Archivio sopra mentovato dei Canonici di
3i8 DELL'ORIO. DELLA LING. IT AL.
d'uopo convenire^ che fioo da questi tempi la lin-
gua volgare avesse comincialo a formarsi , e che vi
fossero già due lingue , una latina per scrivere ,
r altra volgare^ di cui si faceva comunemente uso:
né è verisimile come alcuni hanno creduto che fosse
una sola, e questa latina, come la troviamo in quei
tempi scritta. I documenti da noi riportati nelle
note vi sì oppongono; ed essendosi cominciata a
scrivere l'italiana favella sicuramente nei*duodeci-
mo secolo, convien dare un conveniente tempo al-
la sua formazione, prima che potesse scriversi ^ e
quest'operazione non suol essere molto sollecita. 11
più specioso argomento che si porti per provare che
nei secoli XI e XII il volgo parlasse , ed intendesse
il latino si è che' in latino si predicava al popolo:
ma questa è una di quelle frequentissime contra-
dizioni, e di quelle appena intelligibili stravaganze
che si trovano nelle cose umane. Si usava la lingua
latina per più maestà; era la lingua sacra, la lin-
gua dei dotti ; e nella stessa forma che si predicava
allora in lingua non intelligibile al volgo, adesso
questo medesimo volgo nei riti i piii venerabili
Lucca. Yed. Murai, disi. 24. In essa si dà la deicrizìotie di vt-
rie ricetle per tingere i mofaici» e le pelli» e per scrivere colToro li-
quido. Si crede questa Carta dal dotto MabElon appartenere ai
tempi di Carlo Magno .* Vi si leggono le seguenti espressioni .- ejcis
ut refridet — ^ secundo quod -— (secondo che ) cuse ipsas peiies,
laxas desiccare (lascia seccare) batte lamina , et post iila baltm-
ta -« per martellum adequetur tam de latum, qiuun de langum —
scaldiuo ilio infoco batte et tene illum cum tenaiea ferrea —
sed tornate de intro inforas -— destende atm ibi scalda *'-* pone
ad battere et denante — setacciatur — * modicum laxa st4ìre —
adplanare cum matiola lignea ^-^ ossa grand. Questa Carla
scritta in latino : mostra già nate molte parole dell' italiana favel-
Li • Varj dotti uomini Credono che appunto nd settimo secolo
aJiSé^^ esser parlata comunemente la lingua latina » e cominciasae
im imperfetto gergo della volgare. Blair, Cronologi
SAGGIO PRIMO Sf9
iiialsa le sue preghiere al Cielo nella alesaa lingua ^
che Qou intende. Che le latine prediche poi non
fossero intese dal popolo che le ascoltava chiara-
mente si deduce dalle ìnterpetnizioni che dopo la
predica latina si fiicevaoodi essa al volgo (6). Dalla
copia delle volgari parole che si ritrovano nelle la-
tine carte deir ottavo secolo si può con molta ra-
gione asserire che fino da quel tempo si parlava
comunemente la volgare favella • Benché non si
possa con precisione assegnare il tempo ^ in cui si è
cominciato a scriverla^ è chiaro però esser ciò av-
venuto prima della metà del duodecimo secolo. Se
non si volessero ammettere come una prova sicura
i versi italiani che stavano scritti in mosaico nella
tribuna delFantica cattedrale di Ferrara (7), (giacer
cbè può moversi il dubbio, che sieno stati scritti
qualche tempo dopo per confermare una memoria
venata per tradizione) toglie ogni dubbio una mem-
brana riportata dall' Ughelli (B). Nel seguente se*
(6) Tedi Antìcli* Estensi par. I. cap. 36. pag. 356. Parlandosi
di on' omelia del Patriarca di Aquileja 31 dice : quam praedictus
Pairiarcha liberaliter, sapienter praedicasset , et per eum (c'tok
prò eo ) Gherardus Paduanus Episcopus m ateanaliter ejusprae-
dicationem explanasset ec, Qaesta notizia toglie ogni diiBcoltli
mostrando l'uso delle due lingue latine, e volgare. Anche nei
tempi posteriori ; dopo formata, e cominciata a scriversi la lingua
italiana, si è seguitato V uso negli atti pubblici, neUe pubbliche e
solenni orasioni di parlar latino. Dante inviato ambasciatore al
Senato Veneto avea cominciata la sua orazione in latino , ma il Se-
nato lo fece tacere , o dimandò che conducesse seco un interpre-
te, di che egli altamente si bgna . Yed. Lett. di Dante.
(^} Baruff. Pref. ai Poeti Ferraresi : ecco i versi
// mUle cento trempta cinque nato
Fu questo tempio ^ e a Zorzi dedicato:
Fu Niccolao scolptore,
E CUelmofu fautore .
Di essa si parlerà piii aJLutigo nel saggio secondo .
(S) Ital. Sacr. La membrana è scritta in lingua volgare, e A
appartiene ali* anno 1 1 a2 .- in essa si stabiliscono alcuni conOui .
Ì2ù DELL'ORIG. DELLA LING. ITAL.
cole poi fu comunemedte scritta ^ e la Toscana ne
ha il più autentico documento neirìatoria di Ricor-
dano Malaspina, la prima che in italiana fiiyella aia
^ta scritta (9). Appena però gF italiani ingegni
risvegliati dal lungo sonno d'ignoranza^ e special-
mente/i toscani cominciarono a maneggiarla, ne
ingentilirono la rozzezza^ l'arricchirono di nuoye
spoglie f e a poco a poco, per dir così^ toltala dalla
degradazione in cui giaceva nella bocca del volgo,
la sollevarono a segno da potere assidersi con di-
gnità accanto alla madre senza quasi perdere nel
confronto. Ma come appunto nei giovani la prima
facoltà che si mostra è T immaginazione avanti alla
matura ragione, cosi nelle lingue nascenti la figlia
deir immaginazione, cioè la poesia, suol precedere
la filosofia. I poeti si distinsero i primi nel polire,
ed arricchire la nostra lingua. Quando ci facciamo
a considerare però i rozzi, duri^ ed insipidi yovi
che si scrivevano in Italia anche dopo la metà del
XIII secolo; e sulla fine poi di esso troviamo scrit^
to per una gran parte il maraviglioso poenu di
Dante, non possiamo che guardar con somma am-
mirazione i progressi della lingua, o piuttosto il
divino ingegno di quel gran poeta. Non può for-
uiarsi una giusta idea del merito di Dante chi non
legge gli scritti dei suoi predecessori per conoscer
la povertà della lingua. Egli ne è stato veramente
il creatore, e in specie della lingua poetica. I gran-
(9) Fa molla maraviglia che T eruditiatimo Tiraboschi yw-
dare an saggio della-rossezxa deUa lingua italiana nel aeoolo TOSL
riporti alenai versi molto rossi, scritti neU' anno 1 a64 da nn poeti
milanese. Quando avrebbe potuto avere nn migliore^ e pia pv^
modello ndl'istoria del Malaspìna, scritta certamente avanti a qasl
tempo.
SAGGIO PRIMO 3ai
dissimi poeti sono anche più rari dei grandi Glosofi,
perchè il talento di quelli è formato da due ele-
menti y che rarissimamente possono insieme tro-
varsi uniti , e che sembrano anzi incompatibili ,
cioè di una vivacissima immaginazione , e di un
freddo e pacato giudizio. Innumerabili sono le
immagini che alla fantasia commossa si affacciano,
e le volano intorno rapidamente: in quella folla fa
d'uopo che la tranquilla ragione scelga le poche ,
capaci di formare il bel quadro. L'immaginazione
è un ardente destriero ^ che lasciato a se stesso sal-
terebbe irregolarmente fuori di strada per balze e
dirupi^ a rischio^ sempre di fiaccarsi il collo: il giu<*
dizio è il cavaliere y che lo regge non con ruvido
cavezzone, ma con un filo di seta. Se la briglia sia
troppo dura, se con indiscreti tratti ne faccia trop«
pò uso il cavaliere^ perde il cavallo la sua sensibi-
lità, né più si arrischia ai bei slanci. Di qui nasce
che i poemi di grande immaginazione nascono nei
tempi, nei quali ìion è ancora formata la severa
critica j che colla sua fredda circospezione spegne
sovente il bel fuoco poetico. Questo rarissimo ta-
lento, composto di quei due ingredienti nella loro
giusta dose, per dono singolare avea concesso la
ffatura a Dante: potè perciò creare non solo la lin-
gua poetica, ma molte parole e frasi, di cui si ar-
ricchì ancor la prosa . Noi adesso non ci accorgiamo
gran fatto di quanto siamo debitori a questo gran
scrittore, perchè le ricchezze che ha recato nella
nostra lingua son divenute comuni agli scrittori suc-
cessivi, onde non si rimonta mai air origine; come
un'opulenta famiglia godendo delle sue ricchezze!^
di rado rivolge grato il pensiero a colui , che sudi
J'OMO I. 21
^.
3aa DELL'OaiG. DELLA LING. ITAL.
tanto il priiuo per adunarle. Non è questo il luogo
di mostrare le sue felici fatiche. Ciò richiederebbe
un'analisi troppo minuta , e troppo tediosa. Può
dirsi che egli facesse come Augusto che trovò Roma
£sibbricata di mattoni^ e la lasciò di marmo (io). Nou
sarebbe a proposito il r innuova re adesso un'odiosa,
e disgustevoi questione, che nel secolo XVI eoo
tanta animosità divise gl'italiani letterati , se que-
sta lingua , toscana y o italiana debba appellarsi ; ma
piuttosto è questo il luogo di giustificare i Toscaoi
dall' imputazione di esercitare un dispotismo sUlla
lingua, e di non ricevere che con difficoltà le pa-
role dell'altre italiane provincie^ erigendo una spe*
eie di tribunale, e facendosene giudici esclusivi.
Esaminiamo imparzialmente se i Toscani abbiano
qualche dritto di più degli altri Italiani in questo
giudizio. Il caso ha fatto che i primi grandi scritto-
ri sieno stati toscani. Dante, Petrarca, e Boccaccio
scrissero la loro lingua. Ciò è tanto vero che il dia-
letto toscano fu quello che a preferenza di qualun-
que altro d'Italia (i i) essi scrissero, che con picco-
(lo) SvetOD. Yit. August.
(li) Contro qaesta asserzione si suol citare raatoritìi di Dan-
te che nel libro de vuleari Eloquentia è stato di contrario senti-
mento . Io non porrò in dubbio, come alcuni banno fatto, l'aii-
tenticità di questo libro : noterò solo cbe non si può citar Dante su
questo articolo . La lingua era allora incerta ed errante, non a?eTa
preso indole e carattere prima che da luì fossero impressi ; non po-
teva Romolo parlare della grandezza di Roma prima di arerb fab-
bricata . Dante co' suoi due grandi successori Petrarca » e Boccac-
cio fondarono la lingua , e la fondarono su base toscana . Se que-
sti tre usarono pi*eferibilmen te la toscana , la quistione è decisa.
Questo mi par aimostrato dall' osservare cbe di tutti i vocaboli e
dialetti d'Italia, il dialetto e vocaboli toscani son quelli cbe vi si
ritrovano per la maggior parte , e cbe questi son tuttora in bocca
del comune dei Toscani. E perchè non vi si trovano i dialetti, e i
vocaboli dell* altre provincie , se non assai di rado ?
SAGGIO PRIMO 3a5
lissiroa variazione, si parla ancora in Toscana. La
para lingaa del Boccaccio, e degli altri antichi si
couserva assai più nei volgari artigiani fiorentini, e
nelle genti del contado, che nella più eulta, e no-
bil parte di Toscana, nella quale il eomniercio C(^
forestieri ha non poco alterato l'antica &vella; e
non di rado avviene che alcune parole di quei scrit-
tori andate in disuso si ritrovino nelle campagne io
bocca dei pastori come vi si ritrova l'antica sera*
plicità dei costami. Avendo la toscana lingua pos-
seduto fortunatamente i primi illustri scrittori, es-
sa è divenuta la lingua dotta, la lingua da scriver*
si; haono quelli sudato ad ornarla ogni giorno di
nuovi e ricchi fregj: tutte le aggiunte furono mo^
(Iellate sul dialetto toscano: da essi soli ha acquir
stato la purità, l'eleganza, che adesso non è più
possibile il toglierle: e realmente che eos'è purità,
ed eleganza di lingua? (12) Rimontando ai tempi
rozzi quando una lingua è priva di scrittori non
esiste allora uè purità, né eleganza: tutte le parole
(la) Fa molto meravìglia come ano dei più ìIIimUì Italiani vi*
fentioieghi l'esistenza di purità delle lingue, {Snegio sulla Un»
gua Italiana delV Ab, Melchior Cesarotti) ecco le sue parole }
» Ifiuna lingua ^ pura. Non solo non esiste attualmei|te ^ana di
» tale, ma non ne fu mai , anzi non può esserlo : poiché una lin-
» goa nella sua primitiva origine» si torma dall'accozzamento di
^ varj idiomi—., quindi la supposta purità d^Ue lingue oltre che è
» afiàtto falsa, è inoltre un pregio chimerico, poiché una lingua
» del tutto pura sarebbe la più meschina , e barbara di quante
» esìstono ee. » Lo stesso autore poi scordatosi di quello ehe ha as-
» serito aggiunge più sotto : » Quindi è ridicolo il credere, come sì
» crede e si afl'erma , che la lingua latina fosse men latina nel se-
» colo detto di bronzo, che in quel dell' oro , benc/iè forse potesse
» dirsinnea ^ìxrsL : >» Non, è questa un'evidente contradizione ad
onta dèi forse? L' opera citata è piena di strane asserzioni di Xhk'd
tenore che pajouo dirette in specie contro i Toscani : spero che chi
le ha lette , le troverà pienamente confutate nel presente ragiona*
mento senza che vi sia di me^iei^ di analizzarle ad naa p^ v«lta •
3a4 DELL'Ol^IG. DELLA LINO. ITAL.
sono eguali , come gli uomini nello stato di natura:
solo si distinguono dalla moltitudine alcune poche,
che esprimono col suono le idee rappresentate. Pri-
ma dei grandi scrittori tutte le parole, o toscane, o
lombarde, ó veneziane, o napoletane, tutti i loro
dialetti avevano un merito eguale; ma dopo che on
sommo ed imaginoso scrittore ha preso ad accop-
piare le toscane parole colle belle imagini^ dopoché
tante volte sono state il veicolo allo spirito- ed al
cuore di grandi pensieri, di dolci, e delicati senti-
menti, dopo aver noi fremuto per mezzo di esse
all'atroce spettacolo di Ugolino, versato delle tene-
re lacrime su i due sfortunati Cognati, Tanimo, e
r orecchie associano a quelle parole quelle idee; e
potendosi dir lo stesso in tutti gli altri casi, ecco
come i grandi scrittori danno ad un dialetto na-
scente , e perciò come hanno dato al nostro toscano
la purità , la nobiltà e 1' eleganza • I susseguenti
scrittori si son formati su i primi , e non hanno fatto
che coltivar Io stésso terreno. Sono gli uomini ani-
mali di abitudine, l'associazione delle idee è per
loro una seconda natura (i3); da quella nascono
innumerabilì piaceri , e dispiaceri : il trovarci nella
italiana lingua presentati i più bei quadri di natura
pel veicolo delle parole e dialetto toscano^ ^la unito
sì strettamente insieme Tidea di purità, di elegan-
za e di nobiltà colle toscane frasi, che senza accor-
gersene , pronunziate ancora dai non Toscani si
ascoltano con una specie di riverenza per le ima-
gini con cui sono state accoppiate. Quando più scrit-
tori celebri sorti i primi in una lingua, hanno mes-
(tS> ][jok« htiBiaa UndersUodiiig. a. Bool.
SAGGIO PRIMO 3^5
se ÌD corso le parole di quella^ e le hanno elevate
per dir così alla dignità di rappresentare delle idee
nobili , dei pensieri grandi , diventano nobili an-
ch'esse, molto più quando sono state mantenute
in questo possesso dagli scrittori nella celebrità suc-
cessori dei primi^ e quando i più illustri uomini
estranei alla Toscana, come un Ariosto, un Tasso,
8Ì son soggettati con poche eccezioni alla medesima
legge. Giunge un punto, in cui la lingua , che po-
vera al principio va sempre arricchendosi, ha acqui-
stato tutti quei colori, ossia quelle parole, e quelle
frasi con cui può vivamente dipingere e le vaghe
scene della natura, e le passioni forti, e le modifi-
cazioni di esse: queste parole, queste frasi. prima
messe in corso dagli scrittori, che hanno formato
la hngua, indi accettate , e confermate da quelli
venuti dopo, son quelle che formano ciocché chia-
masi purità di lingua . Dopoché il tempo ha per dir
cosi messo il sigillo, e autenticate come pure quelle
parole, e quelle frasi, sarebbe opera perduta il con-
trastar loro questo rango colle metafisiche sottigliez-
ze, sostenendo che non esiste purità, o impurità di '
lingua . È la lingua uq fiume che scarso da princi-
pio va ingrossandosi di pure acque, e diviene a po-
co a poco profondo, ma limpido, e trasparente (i 4);
dopoché é giunto alla sua pienezza comincia a rice-
ver dei rivi sempre più lutulenti; quanto più corre
( 1 4) Lo stile di una lìngua glanU alU sua perfezione può
esprimersi con due yersi scritti sm Tamigi da uno dei più celebri
poeti inglesi Deuham, yersi tanto giustamente celebrali dai suoi
concittadini .
Thù* déepyet èUar^ tho* gentlejret noi duU*
Strong vuitho* ut rage , witho' ut overflouring ^fuìV .
» Quantunque profondo, chiaro; quantunque placido , non tor»
» bido; forte jenxa furia , pieno senza traboccare «
3a6 DELL'OBIG. DELLA LING. ITAL.
si arricchisce, ma le troppe ricchezze^ come acca-
de ^d una nazione, la corrompono. I fatti vaglion
più dei ragionamenti: si paragonino Tullio con Se-
neca 9 Virgilio con Lucano ec. Non vi è bisogno per
le persone di gusto di ragionare, ma di sentire: si
sentono le orecchie delicate, ed use a ciò che noi
chiamiamo eleganza , ferire ingratamente da una
parola o nuova, o straniera, e che non è in corso,
come una società eulta e civile resta offesa da una
persona zotica e villana che vi sia introdotta; ben-
ché riguardate filosoficamente e senza le regole di
convenzione, che Tabitudiue ha stabilite, né quel-
le, né queste maniere posson chiamarsi rozze, o
ineleganti. Mi pare di avere abbastanza mostrato
come nasca , e come si conservi ciocché si chiama
purità di lingua. Avendo la Toscana avuto la sorte
che i primi grandi scrittori hanno messo appunto
in corso, e di moda il toscano dialetto, e i suoi vo-
caboli, ed essendovi in questa provincia sì piccola
differenza tra la lingua parlata, e la scritta, e tanta
essendovene tra questa, e il dialetto della maggior
parte delle altre provincie d'Italia; ecco perchè la
Toscana ha creduto di potere senza taccia dì arro-
ganza, non già erìgere un tribunale, che si attribui-
sca un dritto esclusivo di giudicare del merito de-
gli scrittori delle altre provincie, e di pronunziar-
ne un'irrévocabil sentenza , ma di raccogliere insie-
me in più volumi le parole, le frasi già originaria-
mente sue, perché messe in corso dai suoi primi
scrittori, e in seguito le altre, che altri celebri au-
tori anche stranieri hanno aggiunte per fissar cosi
la lingua , e nello stesso tempo darne il vero signi*
ficato ai forestieri . La celebre Accademia della Gru-
SAGGIO PRIMO 3a7
sca, e quella ; che Tè succeduta^ non hanno mai
preteso di tirare una linea ^ o una barriera a qua-
lunque nuova voce, o di ricevere, o rigettare a ca-
prìccio, e senza giuste ragioni quelle che più le ag*
grada, come sovente con amarezza è stata accusata
da altre provincie d'Italia • La quantità degli scrit-
tori non toscani, ammessi nel Vocabolario, come
scrittori autorevoli , ed atti a dar la sanzione alle
frasi da loro usate, dimostra la falsità della prima
proposizione: per la seconda poi vuoisi pacatamen-
te osservare con quanta cautela u#po sia di proce-
dere ad ammettere nella lingua, e dar la sanzione
a una nuova voce. Fu detto ad un Imperatore che
egli poteva dar la cittadinanza romana ad un uomo,
non già ad una parola: il pubblico colto ed elegan-
te è quello che ha il dritto di ammetterla , o di ri*
gettarla. Quando tutte le Accademie facessero dei
solenni decreti , che una parola dev' essere ammes*
sa, e riconosciuta per nobile, e pura, se quel giudi-
ce si ostina a rigettarla sono inutili i decreti: né
può chiamarsi giudice capriccioso, poiché se la ri-
getta ha sempre una tacita ragione, che talora nep-
pure ei ben conosce, ma che l'abitudine gli fa sen-
tire; come senza conoscerne le fisiche ragioni, ri-
getta il palato una vivanda nuova , che il cuoco ha
creduto dover essere applaudita. E in verità, quali
sono le condizioni per cui una parola straniera può
esser ricevuta in una lingua? Con vien prima che in
questa lingua non vi abbia l'equivalente; altrimenti
sarebbe capricciosa ed ingiusta cosa il toglier senza
ragione l'impiego a un cittadino per darlo a un fo-
restiere : ma ciò non basta: fa d'uopo che questa
parola sia universalmente intesa , sia entrata in
3ft8 DELL'ORIO. DELLA. LINO. ITAL.
corso, e vada vagando per le bocche delle cnlte per-
sone; e se la Toscana pretende die questa seconda
coudizione debba avverarsi sul suo suolo, non ha
torto, giacché essendo questo il suolo ov'è nata la
lingua che si scrive , conviene che sul suolo stesso
si faccia la prova se felicemente vi geraiogli . Se
questo dritto non fosse a lei a preferenza concesso,
ogni provincia d'Italia potrebbe arrogarselo, i Pie-
montesi mettere in corso delle parole che rigettas-
sero i Veneziani, e ai Genovesi dispiacer quelle,
che i Bolognesi avessero adottate . Senza questo ar-
gine posto dai saggi Accademici all' intrusione dei
forestieri vocaboli, a quest'ora una generale inoQ-
dazione avrebbe tanto sfigurata 1* antica coltura di
questo terreno, che appena sarebbe più riconoscibi-
le da coloro che conversano coi dotti antichi. EgU
è vero però che nel lungo tratto dei secoli il tempo
che tutto cangia , altera ancora le lingue » e per
quanto quei saggi Accademici abbiano cercato di
fissarla, devono necessariamente avvenire in esse
delle sensibile mutazioni , o per caso, o perchè tale
è la loro natura. Invecchiano alcune parole, ed
escon fuori di uso: forse alcune avean relazione!
delle pratiche, le quali escile fuori di moda, sono
appassite anche le parole che le rappresentavano:
il giro delle frasi si è talora cambiato: le nuore
scoperte nella fisica, l'analisi dei sentimenti morali
han fatto nascere nuove maniere di esprimersi. Non
conviene ostinarsi su tutte le antiche frasi, e paro-
le. Chi pertinacemente vorrà scrivere la lingua di
tre secoli indietro, senza piegarla alla maniera del-
la lingua parlata ai suoi tempi , non incontrerà l'ap-
provazione del pubblico, e comparirà ricercato, ed
SAGGIO PRIMO 339
affettato. Questo è uno scoglio in cui urtano legger-
mente anche illustri scrittori moderni: conviene,
per quanto si può, adoprar la pasta deir antica lin-
gua purissima , ma coniarla sulle moderne forme;
& d'uopo vestire dell'ottimo panno, e delle lucide
sete dei nostri antichi, ma la forma del vestito es-
ser deve alla moda. Tutto cede al tempo, tutto al-
meno lentamente si cambia, e in specie le lingue;
la nostra però ha resistito più delle altre; e in ve-
rità, qual è tra le viventi quella che abbia tanto
conservato la sua indole, il suo carattere dalla sua
nascita ai nostri tempi al par dell'italiana? Quale
può mostrare scrittori, che nati nello sviluppo pri-
mo di essa, si sieno mantenuti freschi, per dir co-
sì , e vegeti nella stessa lingua per cinque secoli , e
si gustìuo ancora come Dante 7 Deve questo vantag-
gio ai suoi grandi scrittori, che dopo una lunga in-
fanzia, la condussero rapidamente alla virilità: Dan-
te, Petrarca, Boccaccio essendo stati sempre tetti,
l'hanno mantenuta fresca e vigorosa . Io non ardi-
rò di decidere se questa virilità duri ancora, o se
ella verga alla sua vecchiezza; spero soltanto che
ninno disconverrà, che ormai nel tratto di tanto
tempo, abbia ella formato il suo carattere, prese
quelle maniere che più le convengono, e lungamen-
te esercitate; e che per dir così, la sua educazione
sia da gran tempo compita. Posto ciò, si scorgerà
l'impossibilità di farla ora piegare a nuovi costumi,
come da alcuni valenti scrittori si consiglia. Ella
può acquistar nuove parole , giacché la Fisica , e la
Morale avendo fatto tanti progressi , e introdotte
tante nuove idee, fa d'uopo che accetts^ndo le idee,
si accettino i segni per indicarle; ma sarà difficile
5So DELL'ORIO. DELLA. LING, IT AL.
farle prendere nuove maniere^ quanto sarebbe dif-
ficile il farle prendere a una persona sul declinare
dell'età. Per esempio manca alla lingua nostra un
pregio, quello cioè delle parole composte, qualità
che tanto abbellisce la greca, ed è adottata da al-
cuna delle lingue viventi, e in specie dall'inglese;
è dispiacevole il mancar di questa dote , ma non è
ora più ten^po di acquistarla . Può dispiacere ad un
quinquagenfario il non avere appresa la musica, ma
non è più tempo allora d'impararla ..La nostra lin-
gua figlia primogenita della latina, ne ha seguito in
questa parte l'indole: neppur la latina possiede che
scarsamente parole composte. Il dotto Quintiliano
aveva il torto di eccitar gli scrittori a formarle: non
era più tempo per la stessa ragione. Vani tentativi
sono stati fatti nei nostri tempi o poco innanzi da-
gl'Italiani per crear parole composte: l'esperienza
ba mostrato che son frutti che non allignano nel
nostro suolo , essendo in breve tempo appassiti : sol-
tanto se n'è tollerato l'uso nei poeti ditiraoibict
per un'indulgenza a un genere di poesia, che sup-
pone la mente esaltata oltre l'uso, del qual genere
non abbiamo che un bell'esemplare, e non è da
bramarsi di averne da vantaggio . So che si contra-
sterà da molti, che le lingue si formino un carat-
tere, un'indole, per cui non possono poi adottar
nuove maniere: potrei risponder coli' esperienza^
la quale decide in mio favore: ma tenterò di esa-
minar questo tema più a fondo. Ogni lingua nella
sua nascita è povera , non possedend/) che le parole
atte ad esprimere i bisogni della vita, e le idee che
quella società più o meno estesa, ha già formate:
compariscono i grandi scrittori: questi^ dotati di
SAGGIO PRIMO 33i
quel tatto finissiioo 9 che a pochi ha compartito la
natura , cominciano dà scegliere in mezzo al con-
fuso ammasso le parole^ che T orecchio , il giudizio,
r immaginazione fanno parer loro le più belle ; ne
producono inoltre delle nuove prese dalle straniere
lingue, che hanno maggiore affinità colla loro; crea-
no nuove frasi, riunendo insieme più parole, ed
accostumando la lingua a certi modi: essi sono le-
gislatori non capricciosi, ma legislatori come Solo-
ne, o Licurgo, essendo fatti tali dalla natura: si
arrischiano a delle novità, che non son poi permes-
se ai loro successori: molte volte felici, qualche
volta sfortunati, il tempo ed il pubblico danno il
sigillo^ e tolgono di uso ciò che hanno stabilito. La
libertà che possiedono quei scrittori è assai grande,
e moltissime espressioni, specialmente metaforiche
da loro create, benché assai ardite^ son ricevute a
poco a poco dai posteri, che in favore di tant'altre
bellezze fanno grazia talora anche a frasi troppo
ardite. Ma queste medesime^ che ninno adesso ose-
rebbe di creare, diventano sovente frasi accettate:
Torecchio, e la mente vi si affa a segno, che ninno
vi trova più che dire. Chi mai adesso per la prima
volta oserebbe dire -^ il Sole tace — il lume fio-
co — il ifisibile parlare (i5), e tanti altri arditi
tropi che ha usato Dante? Egli è perciò che ogni lin-
gua possiede espressioni, che sembrerebbero ridico-
le in un'altra, perchè il genio è diverso. Chi direb-
be nella nostra per esprimere i suicidj, coloro che
(i 5) Si osservi la somiglianza di alcune ardite frasi create da
uomini sommi di diverse Dazioni : Dante ha detto il \>isibUe parla»
re^ come Milton, oscurità t;<5i&iZe ; visibile darkn ess. Paradise
Lost.
333 DELL^ORIG. DELLA LING. IT AL.
hanno partorita la morte a loro stessi y e odiando
la luce hanno gettata pia V animai si rìderebbe
di queste metafore : eppure tali sono V espressioni
di Virgilio , fra i poeti latini il più casto y e il più
temperato nei suoi colori :
• • . qui sibi lethum
Insontes peperere marni ^ lucemqae perosi
Projecere animam.
Ecco pertanto come si forma il genio , T indole, il
carattere dì ogni lingua , dalle fatiche dei grandi
scrittori . Dopoché hanno dato il tuono , e la legge
a quella nazione , dopoché ella per più secoli ha
lette y apprese a memoria , e ripetute con piacere
quelle frasi ^ hanno esse ricevuta la sanzione ; e sic-
come non ha quasi luogo il raziocinio in affiirì di
sentimento y poco vagliono le disquisizioni metafi-
siche sulle opere di gusto. Ciò é si vero, che quan-
do nasce disputa sulla bontà di una frase, sulla sua
giustezza 9 sulla sua arditezza , potendo ognuno col
medesimo dritto approvarla , o disapprovarla , si
suol ricorrere quando si può , agli esempj dei gran-
di scrittori , come a giudici infallibili. Quando per-
tanto costoro hanno formata la lingua ^ quando le
hanno dato un'indole, un carattere particolare ^ in-
vano dopo più secoli si tenterebbe di avvezzarla a
nuove maniere. Esse possono fare moltissimo bene,
e moltissimo male ad una lingua : e se un grande
scrittore vi ha introdotto delle cattive maniere, è
tanto difficile che non vi si mantengano quanto il
togliere ad un vaso V odore di quel fluido che vi si
è infuso quando era nuovo . Ne veggiamo qualche
esempio nella lingua di una delle più dotte , e più
SAGGIO PftlMO 333
«olte Da«tODÌ^ deiringlese. Gran fondatore del loro
stile poetico è stato certamente Shakespeare, ma
non di rado fra le più sublimi espressioni si trovano
dei troppo arditi tropi y emuli di quelli del nostro
secolo XVII, e dei pensieri troppo ricercati. I di-
fetti di questo grand' uomo, come le sue grandi bel*
lezse hanno avuto somma influenza nello stile di
quella gran nazione: e una tinta dei difetti di Sha-
kespeare trasparisce pure negli scritti dei loro più
gran poeti, se se n'eccettui Pope. Che i fondatori
della lingua inglese non possedessero il più purgato
gusto, non è mia sola opinione. Uno dei loro più
autorevoli scrittori Hume, Puòy dic'egli, riguar-
darsi come una disgrazia dell'inglese letteratura ^
che nella ristorazione delle lettere ^ gV inglesi
scrittori fossero forniti di gran genio prima di
possedere il gusto nel pia piccolo grado , e perciò
dettero una specie di sanzione alle maniere ricer-
cote, e a sentimenti forzati . Nondimeno tale è la
segreta, e non avvertita influenza dei grandi scrit-
tori^ tale è la forza dell'abitudine, che quantunque
quella dotta nazione dotata di finissimo gusto co-
nosca, e riprovi la maggior parte di quei difetti,
alcuni tuttavia trapelano nei loro scritti. Le loro
metafore ci appajono più ardite delle nostre: e
chiamerebbero essi timidezza in noi quello che noi
chiamiamo caricatura. Ossia che il ridicolo spetta*
colo che nel secolo XVII abbiamo dato air£uropa
del più stravagante metaforico stile , e dei falsi
concetti ci abbia , dopoché sìam ritornati alla ra-
gione, fatti vergognare dei nostri falli, e resi trop»
pò timidi; sia che le nostre pupille troppo lacerate
dallo slacciato colorito di quello stile, si sieno rese
334 DELL'ORIO. DELLA LING. ITAL.
di soverchio sensibili e delicate, moke di quelle
che uno dei loro piò graudi scrittori e lùama y^arote
che bruciano y e pensieri che respirano (i6) a mol-
ti Italiaui e stranieri pajouo espressioiu ardite. Mi
sìa lecito addurre uii esempio, e fare uà paragooe.
(Jua delle poesie posta dagl'Inglesi fra le più pei^
fette è la celebre elegia di Gray sul cimitero di
campagna • Egli 1' ha cominciata eoa un'idea trat^
ta da Dante^ cb'ei non dissimula , aosù di cui citai
>ersi:
se ode squilla di lontano
Che paja il giorno pianger che si muore .
L'idea è gentile: la campaaa che suona airioibrii-
lìir del cielo è atta a risvegliare una maieatosa me-
lanconia. L'ingle^così letteralmente ai e^iprime:
la campana batte il funerale del giorno che muo-
re (17): battere il funerale del giorno sembrerà a
molti un' espressione un poco ardita^ e di un colo^
rito che a^^enti, per usar la frase dei pittori : si
osservi quanto giudiziosamente Dante nei suoi ori-
ginali versi vi ha posto il paja^ che addolcisce il
colorito, e lo riduce al suo vero grado. Potrei no-
tare ancora quanto più vera, e più toccante diventa
r imagine di Dante con quei di lonùano , giaccliè
non si può negare che VeSklio di deatare un me-
lanconico sentimento non sia maggiore quando da
(16) Thaughts that breathe and vvords tbat barn. Graj of
the progress of poesy.
(17) » The Curfe>t. toU the K.ne11 ofparting day. «
Curfevv s'ìgtì i^C9l\\ cuoprifuoco.h'isiìiazionis dì questa eampanaè
dei tempi di Guglielmo il conauiftalore» il quale temoadoie adu-
nanze uotturne, ordinò che al tocco di questa campana ciascuno
iosse ritirato in casa, spegnesse i lùmi^ e cuoprisse il fuoco.
SAGGIO PRIMO 355
longi alla campagna ascoltiamo sulla sera quel
saoQo reso cupo, ed ottuso dalla lontananza stessa.
Altri esempj si potrebbero addurre: ma forse alcuno
mi accuserà di troppa arditezza perchè ho osato
decidere delie frasi di una lingua straniera^ e non
avrà torto • Forse è il mio giudizio prevenzione
nazionale: i frutti di ogni clima hanno un sapore
adattato al terreno da cui son nutriti, ed al palalo
degli abitatori.
Ritornando in strada da questa piccola deviazio-
ne , mi pare di aver giustificata quella poca di au-
torità, che il caso, e 1* ingegno dei suoi primi scrit-
tori hanno data nella lingua ai Toscani; autorità
contro di cui si è tanto declamato, come il più duro
dispotismo. Esaminiamo ora imparzialmente quali
vantaggi , e quali svantaggi ne abbia ritratto Fita»
liana favella, dopo che il dialetto toscano è dive-
nato il dominante. Essa ha acquistato certamente
il pregio di una straordinaria dolcezza: questa na-
sce dalle molte vocali, e dalle poche consonanti
ed eccettuate le lingue orientali, è superiore in que-
sta qualità a tutte le altre, in specie alle lingue
settentrionali, nelle parole delle quali l'occhio vede
con una specie di ribrezzo una selva di consonanti,
ed appena intende come sia possibile il pronunziar-
le. Delle Provincie italiane il dialetto toscano è il più
dolce, specialmente il fiorentino, la di cui dolcezza
nella pronunzia è anche soverchia, giacché elidendo
troppo ed ingojando per dir cosi, le consonanti e
talora le vocali stesse, si converte in difetto. Questa
dolcezza tanto atta al canto, ed alle tenere poesie ha
fatto forse nascere un si gran num(;rodi poeti (giac-
che niun'altra nazione ne conta un terzo di quei
336 EELUORIG DELL\ LING. IT AL.
che possiede T Italia) una gran parte dei Tersi dei
quali privi d'imagini^ e di leggiadri sentimenti,
mero 5uono armonioso (t8), non fanno che colla
dolcezza della lìngua e del ritmo lusingare soave-
mente le orecchie. Se fra questa messe abbondan-
tissima non si trovassero dei più grandi alunni deile
Muse, ci avrebbe quella qualità recato più danno,
che vantaggio; ma siccome uno dei poetici pregi è
l'armonia^ quando questa è unita alla sodezza dei
piensieri, e alla vivezza delle immagini, si ha una
poetica perfezione superiore alle altre nazioni : qoc-
st'armonica dolcezze) giunge a seguo che la plebe
sovente canta versi che non intende, bastonandole
quel solletico che dà la melodia della lingua al-
l'orecchie. Siffatto pregio però è forse compensato
da un difetto; nel toscano dialetto terminano tutte
le parole colla vocale; né si elide quasi mai nella
pronunzia, se non ne succede un'altra; di molte
sillabe perciò son composte le parole più lunghe che
in molte altre lingue. Se si paragonino le nostre pa-
role colte inglesi, e le francesi e si attenda alla loro
pronunzia, si vedrà quanta economia di sillabe sia
nelle loro. Le sillabe son formate dalle vocali, e
queste sono in gran quantità elise da loro; quasi
tutte le ultime lo sono certamente, mentre le nostre
devono battersi, e perciò formar sillaba. Né solo le
finali ma molte delle intermedie svaniscono agli
stranieri fra le labbra; onde talora una parola , che
pronunziata air italiana formerebbe tre sillabe in
francese, e più ancora ^nell'inglese si riduce ad una.
(18) ... . Versus rerum ioopes
Nugaeque canor.ne.
Hor. Poet.
SAGGIO PRIMO 337
iHk questa qualità traggono specialmente vantaggio
i loro poeti ^ che racchiudono piò immagini in più
corto spazio^ e quanto più è breve' il quadro^ ove
seosa però urtarsi ossia confondersi , son ristrette le
imagini ^ tanto più ci colpisce. Vi sono dei dialetti
italiani 9 e soprattutto il genovese, e il piemontese ,
che elidono moltissime vocali, e nei quali perciò le
parole sono cortissime. Se in Genova, o in Piemonte
l'ossero nati i primi grandi scrittori , che avessero
sollevato il loro dialetto alla dignità della lingua
dominante, com'è avvenuto alla Toscana, avrebbe
la lingua acquistato il pregio della brevità delle
parole, ma a gran scapito però di dolcezza : lascerò
ai delicati critici a decidere se lo scapito sarebbe
stato pari al guadagno. Oltre il superare in dolcezza
quasi tutte le viventi lingue, l'italiana forse non
cede ad alcuna in ricchezza di espressioni, e ne su-
pera molte: questa ricchezza quanto favorisce la
poesia e l'eloquenza, altrettanto è sfavorevole alla
precisione filosofica . Non le manca al bisogno mai
la parola, che l'esatta ragione richiede preferibil-
mente ad ogn' altra, per dire ciocché vuol essere
insegnato senza ornamento, e il Galileo, il Machia-
vello, il Redi, il Cocchi, il Magalotti ce V hanno
insana to; ma fra tanta copia di voci non si pre-
senta sì presto allo scrittore quella che il preciso
filosofico linguaggio richiede, sepolta tavolta, e im-
pUcata nella ricca varietà dei fiori, ossia delle si-
mili, ed analoghe, ma non precise parole. Si trova
perciò lo scrittore spesso povero in mezzo alla copia.
Un linguaggio meno ricco qual è il francese e che
appena conosce ir colorito poetico , si presta subito
alla filosofica precisione. Essa è simile ad una per-
7'omo /. 11
338 DELL'ORIG. DELLA L^ING. ITAL.
sona non ricca , ma ecoDoma , che conosce perfetta-
mente la moneta , e sa spenderla a tempo e con giu-
dìzio: somiglia uno scrittore italiano non preciso ad
un ricco prodigo , che getta le monete di oro talvol-
ta male a proposito per togliersi la briga di sc^lier
tra esse quelle di argento , o di rame , che conver-
rebbero alla circostan'/a. Ci mancano gli eloquenti
scrittori , perchè ci mancano le cause che produco-
no la vera eloquenza , occasioni cioè da parlare di
grandi interessi in pubblico , come una volta in
Grecia , poi in Roma , indi in Inghilterra , ed in
Francia^ ove perciò è giunta al più alto punto V e-
loquenza. Sarebbe rimasto luogo di distinguersi ai
sacri Oratori y ma con dolore dobbiam confessare
che assai pochi ne contiamo più che mediocri^ né
si saprebbe chi contrapporre a un Massillon ^ a an
Bordalone , a un Flechier y a un Bossuet tra i Fran-
cesi; a un Salisbury, a un Scherlok, ed a tanti
altri tra gFInglesi. Non ne ricerheremo troppo mi-
nutamente la ragione, che ci condurrebbe forse a
disgustevoli, e odiose conseguenze : ma egli è certo
che con temi così belli, quali presenta la Religio-
ne, e la morale atti a sollevar lo spirito, ed infiam-
mare il cuore, non possiamo da che la lingua è
natit» mostrare un libro che si avvicini ai citati « Si
vuole per lo più nelle prediche introdurre delle sot-
tili dispute teologiche intelligibili certamente al
volgo, che tuttavia loda, ed applaudisce quello che
non intende. La regola sarebbe di parlare assai più
al cuore, che allo spirito, giacché di rado sMgnora»
no dagli uomini i proprj doveri, che a chiarissime
note son stati* scoi piti in seno a ciascuno. Sono poi
scritte le sacre orazioni per lo più in uno stile ri-
SAGGIO PRIMO 339
cercato^ ed enfatico: è una prosa poetica ove si scor*
gono i salti di una bizzarra immaginazione piutto-
stoche l'ispirazione di Apollo. Vuol' egli il predica-
tore dirvi che si fa giorno? Vi conduce innanzi
l'Aurora che colle dita di rose apre le finestre di
Oriente. Vuol narrarvi l'avventura del profeta Gio-
na ? vi descrive una tempesta col fischiar dei venti^
e col muggito dei flutti^ e trovate nella descrizione
dei laceri brani di Virgilio o dell' imagini dell'A-
riosto scontraffatte, e quasi bei visi in caricatura.
Vuol fare una similitudine ? Vago di far pompa di
ciò che crede di sapere^ ve lo trae da qualche feno-
meno filosofico^ scordatosi che la similitudine deve
illustrare^ e spiegar d'avvantaggio il pensiero , e
perciò esser tratta dai comuni oggetti, e non dive-
nire al pubblico più oscura di ciò che si vuol ri-
schiarare. So che molti si appelleranno dal mio
giudizio y che chiameranno falso, e indiscreto; ma
io sempre domanderò loro che mi producano un ori-
ginale capace di stare a fronte con i citati: non mi
ai mostrerà che il Scgneri^o il Tornielli, che supe-
riori a tutti gli altri Italiani sono però molto lonta-
ni da quelli . Ma appunto questa mancanza deve
eccitare sempre più gì' italiani ingegni a battere una
nuova carriera, mostrando loro vuoto un posto glo-
rioso, che possono occupare .
Fine del Tomo Primo
/
34i
LIBRO PRIMO
SOMMARIO
QpiTOLo L Origine degli antichi Toscani. . . Pag. 53
Varie opinioni degli Antiquari 54
G>ngettare dell'Autore 56
Antichissinio splendore dei Toscani .... ivi
Asserzione di T. Livio Sj
Divisione dell' Etrurìa ivi
Vicende di Populonia 6o
Porto di Talamone . ivi
Città Etnische 6i
Rovine di G>rito 6^
Potenza di Vejo 63
Gttà che si distinsero in qualche arte • • • • 64
Governo dell' Etrurìa' ivi
Debolezza della Federazione Etnisca .... 65
Lncnmoni , e Larti di Etruria ivi e 66
Eolo Re d'Etrurìa. Potenza di essa .... 67
Alleanza co' Girtaginesi 68
Mezenzio ivi
Orìgine delle feste dette Vinalia. 69
Orìgine de' Romani 70
Viaggio d'Enea accertato da Dionigi|d' A licamasso. 71
Guerra di Romolo contro i Vejenti .... 721
Supplizio di Suffezio Re d'Alba ivi
Guerra di Tarquinio Prisco contro i Toscani . 73
Assedio e presa di Fidene ivi
Pace tra i Romani e gli Etruschi 74
Nuove guerre .ivi
Rozza tattica de' popoli guerreggianti . . • . 75
Porsena marcia in favore di Tarquinio il Sup. . 76
Morte dì Bruto^ e di Aronte. ivi
<
342 INDICE
Vittorie di Porsena 77
Atto magnanimo d'Orazio Coclite 78
Agnato teso agli Etruschi 79
Muzio Scevola '^
Pace co' Romani °^
Guerre co' Sabini , Equi , e Volsci 81
Nuove guerre con Roma 83
Sedizioni nel campo Rom. Fuga deD'infanteria. iti
Elezione di Cincinnato 84
Vittoria de'Romani dopo un'ostinaU battaglia . 87
Manlio rifiuta il trionfo . j >^i
Azione gloriosa della Famiglia de' Fabj ... 88
Restano tutti morti sul campo 90
Rotu de' Romani >▼*
Gli Etruschi , dopo la perdiu d' una battaglia ,
si ritirano verso Vejà 9»
Tregua di 4o anni co' Vejenti 9»
Ribellione di Fidene contro Roma ivi
Gli Ambasciatori Romani son trucidati ... tri
Mamerco Emilio creato Dittatore ..... m
Rotta degli Etruschi 9^
Strattagemma per impadronirsi di Fidene . . ivi
I Romani eleggono 4« Tribuni militari ... 94
Sono sconfitti i^
Vittorie de'Romani. Fidene è presa di nuovo
e saccheggiata ìtì
Assedio di Vejo gS
I Falisci e i Capenati soccorrono i Vejenti . . 96
Fenomeno del lago Albano • • 97
Cammillo scelto Dittatore 99
Conquista Vejo 100
Guerra co' Falisci 101
Tradimento del maestro di scuola dì Falerla . i?i
Generosità di CammilTo ivi
Faleria si sottopone ai Romani ivi
Invasione de'GaUi io)
n
INDICE 343
Ambascerìa de' Romani 1 02
Celebre risposta di Brenno ivi
Rotta de' Romani io3
Roma salvata da Cammillo i o4
Nuove guerre coi Toscani io5
Riflessioni su di esse ivi
Guerra de'Tarquinesi^ Falisci ec contro i Ro-
mani 106
Attacco di Sutri 107
Riflessioni sul bosco Cimino 1 08
Battaglia perduta dagli Etruschi 1 1 1
Tregua di 3o anni fra i Romani ed alcune
popolazioni etnische ivi
Rotta degli Etruschi al Lago Yadimone . • . 1 1 3
Nuove coalizioni degli Timbri^ Sanniti^ Galli
ed Etruschi contro Roma ivi
Decio si sacrifica per la salvezza dell' esercito . 1 14
L'Etruria è soggiogata da Tiberio Coruncanio . 1 15
Riflessioni ivi e 116
CinroLO IL Alfabeto Etrusco 119
Stndj del Demstero sull'Etruria . . . . . ivi
Accademia Etnisca di Cortona i ao
Diversità d'opinioni sulla lingua Etnisca. . . ivi
Alfabeto Etrusco del Lanzi 122
Se le scienze 9 lettere ed arti Etnische siano
derivate dalla Grecia ivi e 1^3
Opinione del Lanzi ivi
Riflessioni dell'Autore iti4
Tavole Eugubine ivieiaS
Interpetrazioni del Lami , e del Gori .... ivi
Conclusione 126
Scienza degli Etruschi 128
Idea che aveano dell' Essere Supremo ... ivi
Opposizioni del Lampredi 1 29
Scarsi frammenti dell'Etnisca Filosofia. Di Pi-
tagora, e della sua dottrina i3i
t.
344 INDICE
Pregio in cui era presso i Romani il sapere
degli Etruschi .- i33
Coltivarono l'astronomia^ e la medicina • . ivi
Osservazione del Dutens i34
Inveuzìoni degli Etrusclii i36
Rappresentanze teatrali . . ; ivi
Monumenti pubblicati da Curzio Inghìrami* . lij
Belle Arti degli Etruschi i4o
Se le apprendessero dai Greci . . . . : . i4i
Prove che confutano le opinioni dei fautori dei
Greci ivi e i4a
Rovine di Pesto ... i :..:.. i44
Iscri zioni etrusche di Hamilton e di d'Hancarville. 1 4$
Opinioni del Winkelman confutate • ... ivi
Monumenti che rimangono delle arti Etnische. i49
Monete fuse dagli Etruschi i5o
Incisione in pietre dure ........ ivi
Sculture in marmo i5i
Ammirazione di Plinio per l'Apollo Etrusco . i5a
Ragionamenti del Winkelman confutati . . • ìtì
Architettura Toscana i55
Sepolcro di Porsena a Chiusi . . . . ivi e 1 56
Pitture degli Etruschi 167
Vasi Etruschi. Questione su di essi . . . . 169
Argomenti del Buonarroti in lor favore . . . ìyì
Risposta di Winkelmann ìtì
Prove in favore dell'Etruria 160
Lusso degli Etnischi 170
Paragone tra il lusso moderno e l' antico. . . ivi
Superstizione degli Etruschi lya
Tagete insegna agli Eltnischi l'arte divinatoria . 174
I Romani inviano in Etruria i loro figli ad
apprendere l'aruspicina 175
Ammirazione di Seneca per la scienza fulgnrale. 1 76
Se gli Etruschi sacrificassero vittime umane • 178
Misteri Milriaci 179
INDICE 345
LIBRO SECONDO
SOMMARIO
Capitolo I. Le città Italiane acquistano il dritto della
cittadinanza Romana 181
Mecenate 182
Suo favore per le lettere , e suo gusto . . . i83
Servigi da lui prestati ad Augusto i84
Sue opere i85
Suoi difetti ivi
Suoi dotti Amici 186
Suo 6ne infelice 187
Vicende della Toscana anteriori al di lei gover-
no regolare ivi
Decadenza dell' arte della guerra . . . . •189
Invasione dei Barbari ivi
Stilicone governa l' Impero in nome di Onorio . 190
Assedio di Firenze 191
Soccorso recato da Stilicone .ivi
Morte di Radagasio 192
Ritirata dei Barbari . . . , ivi
Invasione di Alarico, dopo la morte di Stilicone. 198
Giunge a Roma , che si riscatta ivi
Presa , e sacco di Roma 194
Imprese di Ezio ivi e 195
Invasione degli Unni , condotti da Attila ... ivi
Ruina delllmp. di Occid. per mano di Odoacre . 196
Riflessioni sul governo dei Romani. . . ivi e 197
Capitolo U. Invasione di Teodorico Re dei Goti . .198
Odoacre refugiato in Ravenna , si arrende alle
sue armi ivi
Sua morte ivi
Governo di Teodorico, sue leggi . . . ivi e 199
Protegge le lettere ivi e aoo
346 INDICE
Casaiodoro « .... 1 99 e aoo
Boezio. Suo fine infelice ìtì
Morte di Teodorico ^01
Amalasunta. Suoi pregi di corpo e di spirito. . ivi
Atalarico suo figlio ivi
Amalasunta è strangolata per ordine di Teo-
dato suo secondo marito aoa
Morte di Teodato ivi
Giustiniano concepisce il progetto di riconqui-
stare l'Italia, e ne affida l'esecuzione a Belisario, ivi
Talenti di questo Generale ivi
Picciol numero di truppe da lui condotte inltalia ao3
Entra in Ronìa ' . . ivi
Assediato dai Goti ^ vi si chiude ivi
Bitiratii Goti da Roma, Bel isari o assedia Ravenna. ao4
Ravenna è obbligata a capitolare ... ivi e ao5
Richiamo di Belisario ivi
Totila recupera la maggior parte d' Italia . . ivi
Belisario ritorna in Italia •••••••• ivi
Suoi sforzi di valore e d' ingegno . . • • • ivi
Ritorna a Costantinopoli ivi
Accusato di cospirazione , è assoluto , ma dopo
otto mesi termina di vivere 206
Giustiniano invia Narsete in Italia ivi
Disfatta dell'armata di Totila, e sua morte . , 207
Elezione di Teja , che sconfitto anch' esso da
Narsete^ muore nell'azione ivi
Discesa dei Franchi in Italia ivi e 208
Son rotti e dispersi da Narsete ivi
Riflessioni sulla fine del regno dei Goti ... ivi
Governo di Narsete ivi
Sua morte 209
Riflessioni su Belisario e Narsete . . • . . ivi
I Longobardi invadono l'Italia 210
Loro conquiste. Valore e ferocia del loro Re
Alboino . • • » . . ivi e 2 1 1
INDICE 347
È fatto trucidare da Rosmonda^ sua moglie aio e ai i
Regno dei Longobardi iyi
Governo di Rotari. ; aia
Vicende di Gundeberga ivi e a 1 3
Codice Longobardico ai4
Altri Re Longobardi ai5
Ardire e fermezza del fanciullo Grimoaldo . ivi
Divien duca di Benevento a 16
Uccide di sua mano Gondeberto, ne sposa la
sorella^ e divien Re d'Italia ivi
Suo governo ivieaiy
Dispute sulle Immagine ivi e a 18
Principio della potenza dei Pontefici ... ivi
Nuove conquiste dei Longobardi 319
Mossa dei Veneziani in ajuto dei Greci ... ivi
Morte di Liutprando Re dei Longobardi . . aao
Suo carattere ivi
Vicende di Racbis aai
Regno di Astolfo ivi
Occupa Ravenna, e minaccia Roma .... ivi
Il Papa implora V ajuto dei Franchi . ... ivi
Mossa di Pipino verso l'Italia aa3
Accordo con Astolfo in Pavia , e sua partenza . ivi
Astolfo rompe il trattato, e fa l'assedio di Roma . ivi
Pipino ritoma ih Italia. Trattato umiliante di
Astolfo, e sua morte ...... ivi e aa4
Desiderio, Duca di Tose, eletto Re dei Longobardi, ivi
Carlo Magno Re dei Franchi ivi
Sposa la figlia di Desiderio ...... aaS
Fine del Regno dei Longobardi aa6
Pipino Re d'Italia ivi
Coronazione di Carlo Imperatore, e di Pipino
Re d'Italia^ in Roma ..... aa^ e aa8
Riflessioni su quest'avvenimento ivi
Vittorie di Carlo aag
Sua rotta in Roncisvalle ivi
«
548 INDICE
Emenda il Codice Longcòardico 229
Suoi Capitolari ....»....; iti
Costituzione dei Giudici itineranti . . . . iri
Protegge i letterati aSo
Fa dichiarare Imperatore suo figlio Lodovico . Ì¥Ì
Riflessioni su quest'atto ivi e 281
Morte di Lodovico. •.:....«. ivi
I suoi figli si contrastano V eredità di Carlo
Magno iviea3a
Scorreria dei Saraceni in Roma a3a
Leone IV. la cinge di mura ivi
I Saraceni infestano varie parti d'Italia . . . 233
Capitolo m. Stato della Tose, nelle rivoluzioni dltalia. a34
Diritti dei Conti o Marchesi nelle provincie che
governavano ivi
Queste cariche divengono ereditarie .... a35
Origine delle Case di Elste, e di Brunswich . . ivi
Bonifazio II. Duca di Toscana , 236
Sue imprese in Affrica ivi
Libera Giuditta moglie di Lodovico Pio . . .237
Adalberto IL ricco e potente .... ivi e a38
Vicende della Toscana e dell'Italia prima di
Tigone ivi e seg.
Venuta di Tigone in Italia 241
Coronato Re d'Italia in Milano 242
Marozia^ figlia di Teodora, sposa Guido Duca
di Toscana ivi
La linea Bavara è esclusa dal dominio della Tose. 243
Tigone in Roma ivi
Sollevazione de'Romani ivi
Tigone respinge il Duca di Baviera ivi
Investe del governo della Toscana Oberto suo
figlio naturale ; 245
Gli succede Tigone, chiamato il Grande. . . ivi
Sue qualità, e suoi meriti ivi
Fondazioni da lui fatte ivi
INDICE 349
Sua morte a4^
Tedaldo avo della Contessa Matilde gli succede . ivi
Vicende di Ugone Re d'Italia .... ivi e ^4^
Sua morte 247
Àyyentture della bella Adelaide ivi
Discesa di Ottone L in Italia . . . . ^ . iì^S
Suo valore e saviezza. . ivi
Donazioni da lui fatte alla Chiesa ivi
Suoi successori ^^g
Bonifazio Marchese di Toscana aSi
Sue ricchezze^ e sua pompa. . . . . ivi o 26 a
Sue qualità « ^S'ò
Sua debolezza ivi
Sua morte ivi
Concilio celebrato in Firenze 2 54
Contessa Matilde^ erede degli stati paterni , spo-
sa Goffredo ti55
Morte di Beatrice madre di Matilde . . . . a56
Carattere di Matilde ivi
Sua lega con Gregorio VII. . . . . ivi e aSy
Carattere di questo Pontefice .... ivi e a58
Sua lettera a Filippo Re di Fraiicia 258
Vertenze tra esso ed Arrigo IV. Imperatore . .ivi
Concilio adunato in Wormazia, ove Gregorio è
deposto ivi e 269
Gregorio depone Arrigo, e assolve i di lui sud-
diti dal giuramento 259
Conseguenze che ne derivano ivi
Arrigo a Canossa 260
Umiliazioni da lui sofferte ivi
Indignazionexlei Principi italiani ivi
Vicende di Arrigo ivi
Il Papa dichiara Ridolfo Re di Germania . . .261
Ridolfo è ucciso in un fatto di arme contro Arrigo. 262
Arrigo sconfigge le truppe della Contessa Matil-
de, nel Mantovano ivi
35o INDICE
Pone l'assedio a Roma 261
È costretto a toglierlo , e yì entra paiìificaiftenfe
" in appresso • mea63
Roberto Guiscardo viene a liberare il Papa
chiuso in Gistel S. ^gelo iyi
Sacco dato a Roma dai Normanni iti
Morte del Papa in Salerno ....... 263
Riflessioni sul suo Pontificato ìtì
Nuovo matrimonio di Matilde con Guelfo V. . 26^
Arrigo ritorna in Italia ìtì
Corrado suo figlio gli si ribella 265
È creato Re d'Italia ^ 'm
Artifizi di Matilde ivi e 266
Celebre Donazione da essa fatta alla Sede Pon-
tincia ITI
Divorzio tra Matilde e Guelfo 267
Morte di Arrigo m
Suo carattere ivi e 268
Morte di Corrado in Firenze ivi
Arrigo V 26g
Sue vicende , 2jo
Morte di Matilde ìtì
Capìtolo IV. Riflessioni sulla condotta dei Barbari
nel far la guerra 373 e 3^3
Stato dell' Italia 3^4
Governo feudale 3^5
Codice penale di quei tempi ivi
Ferocia ne' costumi ìtì
Vescovi ed Abati portatori di armi 376
Condanna de' Monoteliti in
Ferocia di Stefano VI. contro Formoso ... 377
Intrighi del secolo nei monasteri e n^li ertud . 378
Vescovadi ed Abbazzle vendute ìri
Giudizj di Dio 379
Varietà delle prove ivi
Guerre private 381
INDICE 55f
Tregua di Dìo . . . . 281
Abusi degli EÀ;cle$iastìci aSii
Abbrutimento generale ^83
Vergogna annessa alla coltura delle lettere . . ^84
Ignoranza degli ecclesiastici stessi ivi
Stato di Pavia e di Roma ^85
Feudalità ^87
Abusi di essa ^88
Istituzione della Cavallerìa per reprìmerli • •289
Malcontento de' popoli, e divisione tra i Feu-
datari ivi
Dispute fra il Sacerdozio e l'Impero .... 290
Abolizione del sistema feudale: var) modi, coi
quali si operò ivi
Intemperanza di libertii 291
Stabilimento di varj Principati ...... 'ig^t
DELL'ARTE DELLA GUERRA
N£I BASSI TEMPI
SOMMARIO
Obbligo dei sudditi di andare alla guerra nei
tempi dell'oppressione feudale 294
Importanza della cavallerìa ngS
Armatura de'cavalierì . ivi
Cambiamento di tattica nei tempi posteriori . ivi
Battaglie fra i cittadini armati 296
Introduzione delle soldatesche mercenarìe . , ivi
Yarìetà delle armi da offesa e da difesa . « . 297
Macchine da attaccare, e difendere le città. 298 e 299
Bastie 3oo
Baliste, Catapulte, Mangani, Trabocchi, ec. ivi e 3oi
Arìeti, Talpe 3oa
Mine, Contrammipe e Trìboli di ferro . ivi e 3o3
Torri di varia forma e grandezza ivi
353 INDICE
Fuoco Greco ..•.•..••!. 3o4
Sua composizione •••••••••. 3o5
Invenzione della polvere 3o6
Cambiamenti recati nell^Arte della guerra da
questa scoperta • • • • • ioj
Riflessioni sulla Tattica 3o& e seqq.
DELL' ORIOmE £ PROGRESSI
É
DELLA LINGUA ITALIANA
SOMMARIO
Mutazione della lingua prodotta dalla caduta
dell'Impero Romano 3i3
Irregolarità delle lingue . , . . , . . . 3i4
È falso che la lingua Italiana si parlasse dal vol-
go in Roma 3i5
Opinione del Marchese Maffei . , , . ivi e 3i6
Mutazioni essenziali della lingua in Italia co-
minciale nel secolo VI ìi'j
Sei secoli sono impiegati nella sua formazione . 3i8
Opposizioni ribattute SiQeseqq.
Storia di Ricordano Mala spina 3ai
I Poeti si distinsero i primi nel pulire la lingua . 'm
Meriti di Dante ivi e 3aa
Se la lingua debba chiamarsi Tose, o Italiana. 333
Elsame di <{uesta <{uestione ....... i^
Gran libertà dei primi formatori delle lin-
gue 3a4 e seqq.
Opinione dell' Hume 334
Esempio di Gray 335
Vantaggi e svantaggi ritratti dalla lingua , dopo
che il dialetto Tose, divenne ildominante. 336 e 33;
Carattere di esso, e conclusione. . . , 338 e seqq.
STORIA
DELLA TOSCANA
SINO AL PRINCIPATO
CON DIVERSI SAGGI
SVLLE
SaENZE, LETTERE E ARTI
DI
LORENZO PIGNOTTI
ISTOfilOGRÀFO REGIO
r
TOMO SECONDO l^ ]
FIRENZE
PRESSO LEONARDO CIARDETTI
i8a4.
DELL'ISTORIA
DELLA TOSCANA
LIBRO TERZO
CAPITOLO L
SOMMARIO
Stato della Toscana dopo la morte deUa Contessa Matilde,
Potenza e imprese dei Pisani. Crociate,
9
antica Toscana si estendeva dalla foce della Ma-
L
gra a quella del Tevere . Sotto i Duchi , e Marchesi
fu distinta in tre parti coi nomi di Toscana Reale^
Ducale, e Romana (i)^ i confini delle quali anda-
rono spesso variando • La Repubblica fiorentina ne
conquistò una parte^ e finalmente passati ì'suoi do-
minj sotto i Medicei sovrani, e i loro successori, è
restato il nome di Toscana all'antico Stato fiorenti-
DO aggiuntovi il sanese^ e il pisano. Questo è il
paese, della di cui storia ci occuperemo adesso, per-
correndo i tempi in cui sciolto il vincolo feudale,
che lo teneva debolmente unito all'Impero, le sue
città, come quelle del resto d'Italia, si costituirono
in turbolenti repubbliche. Fra queste fisserà la no-
stra attenzione specialmente Firenze, che mirando
alla conquista della Toscana abbraccia nei suoi av-
(i)Ghoro(;raph. medil aen* Mur. Scrip. iul. tom. la.
4 LIBRO TERZO
veniraenti le più ìmportaotì vicende delle altre
città.
Conservò la Toscana un'ombra di dependenza
dalla Contessa Matilde fincli'ella visse^ più per dq
tioìore reverenziale, che per la di lei reale possan-
za. Già molte città si governavano come iadepen-
denti, e più volte troviamo Pisa^ e Lucca , che si
fanno la guerra, benché signoreggiate almeno in
apparenza da Matilde. Si può assicurare , che se vi
era dependenza fin ch'ella visse, restò affatto tolta
alla di lei morte: molto più essendo la sua erediti
contrastata da varj pretendenti. 1 di lei successori
Corrado, Ulrico, e Guelfo, che ne riceverono l'in-
vestitura, appena si trovano nominati. Il vincolo
di dependenza delle varie città di Toscana andò
rilassandosi, e finalmente si sciolse, ma in varj
tempi.
Una delle città di Toscana, forse la prima a sot-
trarsi al feudale governo, fu Pisa. Strabone, ed al-
tri autori hanno data ad essa una greca origine (3).
Situata vicino al mare sul triangolo formato nelle
passate età dalla confluenza di due fiumi l'Amo,
ed il Serclìio (3), era attissima al commercio, ed
(2) Strabooe ( Geograph. Itb. 5.) racconta, che fa labbrìcita
dai Pise! del Pelopoaueso^ che andati con Nestore all' assedio <fi
Troja , nel ritorno furono spinti altri sul lido toscano oy* è situata
Pisa , altri a Metaponto sul confine d' Italia: secondo lo stesso an-
tere era Pisa meno celebre ai suoi tempi di quello fosse stata aoa
volta.* si distingueva pure per la fertilità del terreno, per legai da
costruzione , e per la Lapidicina .
(3) Tale ù fa posizione di Pisa notata da Strabonc Lib. 5. Cosi
è descritta da Ru litio Nnmatiano, tanto tempo dopo, nei segaenti
versi :
j> Alpheae velevis contemplor originis urbem
» Quam geminis cingunt Amus, et Auser aquis.
n Conurn p ira midi s coeuntia f lumina ducunt^
» Intratur modico frons patefacta solo.
CAPITOLO PRIMO 5
alla navigazione in tempi in specie^ nei quali que-
sta si faceva con legni sottili . La troviamo perciò
assai per tempo ricca ^ e mercantile ^ e frequentata
da tutte le barbare nazioni^ come appunto dalla
ridicola querela che fa contro di essa il più ridico-
lo poeta Donizone si deduce (4). I popoli navigato-
ri sono stati sempre potenti, sì per le ricchezze,
come per le cognizioni utili , che colla navigazione
acquistano. Fino alla fine del secolo XV quasi tut-
ta la navigazione dei popoli europei , e di quelli
dell'Asia , e dell'Affrica che avevano comunica-
zioue^ e commercio coi primi, si limitava al Medi-
terraneo, Adriatico, Arcipelago, e Ponto Eusino, e
le prime tre italiane Repubbliche Pisa , Genova , e
Venezia ne furono per molto tempo le dominatrici.
Pisa, fino dall'anno 926, era la principale ritta di
Toscana per testimonianza di Liutprando (5). Nel
n Sed proprium retinet communi in gurgite nomen ,
» Et pontum solus scilicet Amus adit.
Non è ben noto in cbe tempo il Serchìo si sia diviso dall' Arno :
ambedue {questi fiumi hanno le foci in mare distanti circa 6 mi-
glia. E' strana cosa, come una siffatta notizia sia sfuggita alla dili-
genza del Chiarissimo Gibhon ( Antiqui ties ofthe House ofBrun»
swich)f che gli ha creduti sempre uniti . Che siano stati sempre
disuniti, e che il piccoio Oseri sìa indicato neWAuser non si può
sostenere, perchè le descrizioni di Strabone, e di Rutilio conside-
rano YAuser come un fiume quasi eguale all'Arno, giacche se
fosse stato un piccolo influente , non avrehhe questi detto dell' Ar-
no, dopo la congiunzione.
» Sed proprium retinet communi in gurgite nomen
» Et pontum solus scilicet Amus adit,
(4) Doniz. nella vita delia Contessa Matilde scritta in harbari
versi latini si lamenta aspramente che la di lei madre Beatrice sia
sepolta piuttosto in Pisa che in Canossa , e fa così parlar Canossa
» Qui pergit Pisas vidit illic monstra marina . . .
» Haec urbs Paganis, Turcis, Libie is , quoque Parthis
n Sordida Chaldaeis sua lustrant litora tetri ec,
(5) Questo Scrittore nel raccontarci che Ugon», invitato al
regno d'Italia, sbarQÒ a Pisa aggiunge quae est Tusciae Provine
ciae caput.
6 LIBRO TERZO
princìpio del secolo XI cioè neiranuo ioo4f tro-
viamo negli Annali Pisani , che questi fecero guer-
ra coi Lucchesi^ e gli vinsero (6); ed è la prima
impresa di una città italiana contro di un'altra^ lo
che mostra che già ella agiva da per se ^ e si era o
di^! totalmente , o almeno in gran parte sottratta al
4oo4 dominio del Duca di Toscana . Si legge negli an-
nali pisani^ ed in altri scrittori una serie d'impre-
se^ varie delle quali oscuramente narrate^ o forse
ioo5 esagerate. Cosi nell'anno ioo5, troviamo , che per
una spedizione dei Pisani contro delia città marit-
tima di Reggio, essendo stata lasciata sprovvista di
difensori Pisa, Musetto re, o capo dei Saraceni,
che occupavano la Sardegna, colse questo tempo
per farvi un'invasione, e dopo averle dato il sacco,
si partì, o ne fu scacciato (j). Mentre intanto la
flotta pisana gli sconfisse presso Reggio, e se cre-
diamo alle stesse memorie se ne impossessò ancora
( lo che però non è asserito da alcun contemporaneo
scrittore ) questi Barbari stazionati in Sardegna do-
ravano sotto la condotta di Musetto ad infestare il
littorale d'Italia, ed occuparono improvvisamente
1016 la città di Luni. Temendo il Pontefice Benedet-
(6) yy' Fecerunt hellum Pisani cum Lucensibus, et vicenaU
eos ad aquam bongam, Ann. Pis. ioo4«
(7) Ann. Pis. Racconta il Tronci che una donna detta Kinseca
Gismondì 9 nel momento dell* in vasione corse gridando al Palano
dei Rettori, e fece suonar la campana a martello , per cui radaiia6
i Pisani ne cacciarono i Saraceni; che una statua fu eretta né
quartiere di quella donna attaccato dai Saraceni, e che ha dato il
nome al quartiere suddetto? ma tutto il racconto è nnaiaTolt.
Pia ^erisimilmente era questo il quartiere ahi tato dagli Arabile
Gildei che trafficavano in Pisa. Nelle tre lingue araha , caldea, ad
ebraica la parola Rinsa o Kinseia }( giacché variamente è prooaD»
siala) sìgnilica riunione, sinagoga, e congregazione sacra , o prò
fana . Era probabilmente que&to il quartiere ove abitavano quii
forestieri, e vi poteva essere la Chiesa loro.
CAPITOLO PRIMO 7
to Vili che TÌ ai fermassero, si dice (8) che vi
mandasse un'armata; ma non essendo allora ì Pon-^|°^^
tefici in stato di aver delFarmate^ è più probabile 1016
che eccitasse i Genovesi, e i Pisani ad espellere un
potente nemico da un posto ^ che per essere egual-
mente vicino ad amendue i territorj , avevano que-
ste due città lo stesso interesse di cacciarlo (9). Si
racconta che Musetto appena potè salvarsi colla fu-
ga^ che la maggior parte di quei barbari restò ta-
gliata a pezzi ^ e la stessa Reina , i di cui ornamenti
preziosi furono inviati dal Papa al Re Arrigo II. Era 1017
molto naturale che i Pisani e i Genovesi, i quali
doveano star sempre in timore delle piraterie, e
invasioni di quei barbari, finché occupavano la Sar-
degna , pensassero seriamente a snidarli da quel
paese: il Papa stesso spedi a bella posta ai Pisani
Legato il Vescovo d'Ostia per animarli a tale ira-
presa : questi uniti ai Genovesi conquistarono la
Sardegna (io), cacciandone i Saraceni; e il Papa
per quel diritto, che credeva di avere su tutti i re-
gni della terra, investi del dominio i Pisani, non
senza gelosia dei Genovesi, i quali meno potenti in
quel tenijK), dovettero cedere alla forza. 11 bisogno
scambievole di difendersi dal comune nemico gli
tenne uniti, ed essendo nell'anno ioao quei bar-
bari sotto lo stesso condottiero sbarcati in Sarde-
gna^ ne furon nuovamente cacciati: restò preda dei
(8) Dìtmar. Chron. Lib. VII.
(9} E* ooUto negli Annali pisani» anno xoi'j.n Pisani, et
Januensesfecerunt beuum cum Mugeto , et vicerunt illum ....«•
Ditniaro pone la spedizione citata nell'anno afanti, ma o qualche
errore in quei tempi assai comune, o la varia maniera di compu-
tar r anno > può accomodare la cronologia .
Ciò) Ann* Pijan. Rerum ItaL Scrip. Tom. 6.
8 LIBRO TERZO
7VÌncitorì tutto il loro tesoro, che per una iodeonìs-
^i (^ zazione delle spese fu concesso ai Genovesi. La po-
B017 tenza navale di Pisa andava sempre crescendo: noi
non ci arrestiamo sopra altri avvenimenti avvolti
io63 nell'incertezza , e oscurità dei tempi (ii)* L' an-
no io63 è assai glorioso per Pisa. Con una potente
flotta andarono i Pisani ad attaccare la città di Pa-
lermo : egli è difBcile il credere che la prendessero
come asseriscono gli Annali pisani . Una città tan-
to popolata di gente guerriera come i Saraceni, non
si occupava facilmente da quella gente da sbarco,
che poteva esser sulla flotta pisana; più verisimile
è ciò che narra il Malaterra, che accorsa alla difesa
dal vicino paese, al comparir della flotta, una io-
numerabile quantità di Mussulmani uniti ai citta-
dini, si contentassero i Pisani, rotta la catena che
serrava il Porto, di bruciare quattro navi, e condor
seco loro la più ricca, del bottino della quale assai
grande^ fu fatto uso per cominciare la magnifica
Cattedrale (12).
Si accese intanto il fervore delle Crociate, im-
presa tanto lodata negli antichi, biasimata nel se-
colo presente. 11 religioso entusiasmo e l'ignoranza
del tempo nascondevano ciocché la ragione, e la
sana politica potevano chiaramente mostrare. Avreb-
bero queste sconsigliata unMmpresa si lontana, la
(1 1) Tali SODO la presa dì Cartagine, anno i o35. della città
di Lipari col saccheggio di quell'Isola, e la conijuista di Roma
(Sigon. de regao ital. Ann. Pis- Tronci), ed altre simili iuiurese
che negli Annali pisani, Rerum Italie. Scrip., ed in quelli del
Trouci si narrano.
(iq) F/ Ciò narrato da una delle principali iscrizioni posta
nella fiicciata del Duomo, ove p'^rò non si parla della presa dì P>-
lernio , lo che , se foòse stato vero , non si sarebbe taciuto od-
r iscrizione .
CAPITOLO PRIMO 9
quale m aveva felice esito^ era facile il prevedere'
che non si poteva lungamente tenere daXristiani j^c.
una si lontana conquista; la religione illuminata 106S
non avrebbe permesso lo spargimento di tanto san-
gue innocente. Era certamente onorevole pei Cri- 1099
stiani il possedere il suolo ove TAutore della loro
religione nacque, visse, e colla morte compì il mi»
stero della redenzione: la vista di questo suolo po-
teva ispirar penàeri santi, ed incitare ad atti vir-
tuosi: questi però sono accetti al cielo in qualun-
que paese: nondimeno T impresa sarà sempre ri-
guardata con occhio rispettoso non tanto per la ve-
nerazione religiosa che vi si attacca senza molto
esaminarla, quanto per esser resa immortale, e po-
sta per le bocche dei dotti, e degl'indotti da uno
dei più sublimi, e più soavi pezzi di poesia, che
abbia prodotto V ingegno umano , in cui tutto è
eroismo, quasi tutto è religione. Il freddo isterico
per altro, che riguarda con occhio imparziale quel-
li avvenimenti, vede più millioni d'ingannata gen-
te condotta al macello, costretta a depredar, per
vivere, i paesi cristiani per cui passava, ispirando
un egual orrore agli amici, e ai nemici, morendo
la maggior parte di stento, o di ferro, perdersi per
la strada , pochi giungere alla difficile conquista , e
in mezzo al sacco, agli stupri, e al sangue di cui
inondarono Gerusalemme (i3), andare a prostrarsi
(i3)La strage orribile fatta dai pii guerrieri nel tempio di
Salomone, descritta dal Tasso , Canto 19. è nn fatto istorico, col-
la sola differenza che invece di Rinaldo» con cui il Tasso volle
onorare la Casa di Este , vi si trovò Tancredi . .. i/i tempio se con-
cluserunt , ergo Tancredus cum suis adveniens , expugnare eos
coepit : nec morafores patefactae .... caedes immensa peracta
est , adeo ut in cruore peremptorum, pedes nostrorum tenus su-
IO LIBRO TERZO
"al Santo Sepolcro. A questa impresa ^ allora tanto
die. gloriosa^ si mossero le potenze marittime italiane, i
1099 Veneziani 9 i Genovesi^ i Pisani spinti egaalmeDte
dall'amor della religione, e del guadagno. Elssi fa-
rono i provvisionieri di queste armate: portarono
loro viveri 9 armi , munizioni, e si arricchirono delle
spoglie deirAsia: il Tasso, che ha con molta esat-
tezza seguitato i veri avvenimenti della sacra guer-
ra , che più volte ha fatto onorevoi menzione dei
Genovesi, e nei cui versi il ligure Guglielmo fab-
bricatore della fatai Torre è tanto distinto, ha
obliato i Pisani (i4)* ^^ ^g^^ ^on ebbe il torto,
giacché giunsero tardi a quell'impresa, guidati dal
loro Arcivescovo Daiberto ( 1 5) . Benché avessero si
poco dritto alla conquista, ci si manifesta la poten-
za dei Pisani , e del loro Arcivescovo, nelle indi-
screte di lui pretensioni •
Creato Patriarca di Gerusalemme per queirauto-
rità , che si arrogavano i Papi di esser temporali
ras pene tingerentur, negue/beminis, neque parvuUs peperee-
runt — . Gesta Dei per Francos.
(i4) Il Guarìni non amico del Tasso nota quest' omissioiie,
come animosità y in quel sonetto sul Giuoco del Ponte •
Quale or di guerra in simulacro armata
Di valore mdivisa Amo divide,
E qual fu sempre , ove più Blarte ancide,
Pisa a pugnare invitta : a vin^ nata ;
Tal da penna Jtimosa ini)idiata
Pugnar Goffredo in sul Giordan la vide ,
E schiere dissipar Perse, e Numide
Di sacre spoglie , e piii di gloria ornata .
Se tal era d' Etriiria il vinto stuolo
Al periglioso varco y allor che volse
L' intrepido Romano a lei la fronte;
Le fama , che cantò d' Orazio solo
Contro Toscana, or narreria , che tobe
Un sol Toscano a tutta Roma il Ponte •
Un sol 1 escano a tutta Roma u
(1 5} Vedi Gesù Dei per Francos.
CAPITOLO PRIMO ir
padroni del mondo, dei quali Daiberto era il Vica*
rio, pretese questi esser T arbitro del nuovo regno, ai C
Il pio Goffredo si piegò a prenderne da lui Tinve- ^099
slitura: un quarto della città fu ceduto alla Chiesa,
colla condizione che, alla morte di Goffredo senza
successione, o quando nuovi acquisti ne avessero
accresciuto il piccolo regno, la santa città assieme
coD Giaffa ritornerebbero al sovrano Signore, cioè
alla Chiesa. L'estensione della pisana possanza in
quella città è confermata dal nome di Castello Pi*
sano, che fu dato all'antica Torre Psephina detta
anche la Torre di DaTid , ove il Tasso dopo la pre-
sa della città fa ricoverare il Soldano con Aladino .
13 LIBRO TERZO
CAPITOLO II.
SOMMARIO
Origine di Firenze, Suo incremento. Situazione delle sue mura*
Pandette trovate dai Pisani in Amalfi . Varie Repubbliche in
Toscana . Governo di Siena . Impresa delle Baieari fatta dai
Pisani, Altri acquisti e potenza dei medesimi.
D. ,„eUe .«...„. c,„« eh. 1»U«.«.U op.
rando avevano prima indebolito^ e poi distrutto il
potere degl' Imperatori^ e dei Duchi sulle città di
Toscana y Firenze si trovò libera ^ benché più tardi
che Pisa: la potenza maggiore^ che le ricchezze
acquistate dai commercio davano a quella città,
furon probabilmente la causa, che si ponesse in li-
bertà prima di Firenze: per molto tempo non fa
che una piccola città, e di poco rilievo. Nata pro-
babilmente dairindustria di coloro che dal mare,
e dalla ricca e commerciante città di Pisa col co-
modo dell'Arno, trasportavano le merci alla popo-
lata città di Fiesole, dovevano i suoi abitatori sta-
bilirsi sulla sponda delFArno specialmente dalla
parte fiesolana, quando per Parte, o per lente ope-
razioni della natura , rotto ed aperto il sassoso io-
ciampo che alla Golfolina probabilmente impediva
il libero corso delTArno, le acque lasciarono sco-
perta la pianura fiorentina (i). L'industria, ed il
(i) Vedi Introduz. Anche il Landino lo attesta.
„ Sillanus primus/ugiens asperrima montis
„ Purgavit nostros arte colonus agros ,
„ Atque Arnum recta contractum undique limphis
„ Obice disrupto compulit ire via.
CAPITOLO SECONDO i3
commercio cbìamaodo le ricchezze^ e queste la po-
polazione y dovette la città accrescersi , e la comoda
situazione chiamarvi a poco a poco gli abitatori di
Fiesole. Cosi Firenze figlia di Fiesole si aumentò
spogliando dei suoi abitatori la madre (2)^ special*
mente quando le incursioni dei Barbari del Setten-
trione essendo cessate, meno necessaria si rendeva
la sicura posizione di un monte, e quando la forza
crescente della figlia era giunta a segno di poter re-
sistere al par della madre alle accidentali violenze
e dei Signori feudali , o di emule città. Che Firenze
fosse una colonia romana dedotta da Siila, fu cre-
denza comune degli storici di questa città, appog-
giata piò, sulla incerta tradizione, che sopra auten-
tici monumenti. Poliziano ha mostrato che la colo-
nia fu dedotta dai Triumviri Augusto, M. Antonio^
e Lepido (5); e se quando ha parlato come poeta
ha chiamato Firenze città Sillana (4)> scrivendo poi
come critico ne ha mostrata la vera origine col-
Tautorità di Frontino (5). Ai coloni soldati cesa-
riani furono assegnati 300 jugeri di terreno, ed è
molto probabile che da questi veterani guerrieri
fosse eretta la statua di Marte, che si confinò fino
ai bassi tempi, e fabbricato il Tempio a questo Dio,
convertito poi in quello del Batista (6). Anche il
(3) ,, £ il fiorentino popolo maligno,
j. Che discese da Fiesole ab antiquo»
9, E tiene ancor del sasso» e del macigno ec. Dan.
(3) Epist. lib. 1. epist. a. ad Petmm Medie.
(4) Elegia in obitu Albierae Albitiae*
(5) Julii Front, de agrorom mensaris. Fedi Borghini dell'ori^
gine di Firenze.
(6) Son diirisi gli antiqnarj su questo Tempio » credendo al-
cuni» che sia stato sempre Battistero : anche la statua di Marte si
crede dai più» che fosse la statua di qualche antico Romano» Pa-
i4 LIBRÒ TERZO
nome di Florentia è motivo di gran questione ; fn
tante congetture quella sembra la più verisimile
che dal nome dei fiorii ossia dei gigli fiorentini , dei
quali erano tanto sparse le campagne» prendesse
il nome (7). Comunque ciò sia, è per lo più delle
trono della Colonia ^ e se veramente era a cavallo >!' opinione è
giusta perchè il Dio Marte non si rappresentava a cavallo. Oltre
Snesti monumenti» gli Antiqoarj hanno trovato nella città vestig
el circo, delle terme, ed altri antichi edifizj. Chi si compiace ai
siffatte notizie può consultare Borghini» Diss. sull'origine di Fi-
renze, il Manni in molte diss. ec. Pel tempio di S. Giovanni ve*
dasi il Mei , Lettera al Borghini, ma in specie Gio. Battista NeUi,
che con assai solide ragioni lo crede eretto nei tempi longohardid.
(7) Forse Arvajlorentia fu convertito in Fiorenza ciò che an-
co dalla moneta fiorino , in cui è impresso lo stesso fiore , da Santa
Maria del fiore, e da tant' altre testimonianze vien confermato ,
essendo facile poi il convertire un giglio in un'altro^ o mutarne il
colore, come spesso avvenne nella tazioni. Campus erat ad Mu»
nionis ripasflorum omni genere ^ sed praecipue^ liliorum JecuR-
dissimus. Scala hist fior. Ed allora il Mncnone passava per b
città . U Vettori ( Fior, illustr.) sostiene che la sola parola Floren-
tia significa Gigli traendolo dal lih. a. dei Paralipomeni ec U Me-
nochio spiega la parola Florentia ^rjlores liliorum.ìì DotL
Lami nelle sue Lezioni di Antichità toscane Lez. i. 2. ec. ha pre-
teso sostenere che Firenze fosse fabbricata dagli antichi Etni-
schi : molte delle sue congettare sono debolissime , alcune in^
gnose, ma tutte insieme incapaci a provarlo. U crederla città
etrusca^ perchè la sua edificazione non è nominata nell'istoria
romana j è debolissimo argomentq. Poche città sono state solen-
nemente fabbricate in guisa da esseme tenuto contro dagli storici:
moltissime son nate da poche case riunite insieme, accresciute in-
sensibilmente, e per circostanze favorevoli, di oscuri castelli dive-
nute poi grosse città, come è accaduto a Firenze. L'essersi sca-
vati in Firenze, o piuttosto nelle vicinanze, dei monumenti etru-
schi, non prova se non che Firenze è stata fabbricata sopra suolo
etrusco . Se sopra alcuni deserti terreni , sotto i quali sono stati
trovati importanti monumenti etruschi , fossero innan^ state hìh
bricate terre , o castelli, 1* invenzione di quei monumenti non ca-
ratterizzerebbe quei castelli per Etruschi : per concludere , tutti i
barlumi delle congetture di quel dotto uomo non vaglìono a con-
trabilanciare il silenzio perpetuo degli Scrittori suU' esistenza di
Firenze in tempi anteriori alla deduzione della Colonia, e se era
una città considerabile etnisca ornata di teatri, anfiteatri , bagni,
ippodromi ec di lavoro, e tempj etruschi come sostiene l'Autore,
.sarebbe stata qualche volta nominata come Etnisca dagli antichi
Storici , e Geografi .
%
CAPITOLO SECONDO i5
città^ come degli uomini; la loro infanzia è sepolta
neiroblìo . Questa fu assai lunga nella città di Fi-
renze^ e se si eccettua il passeggiero lampo di valore
dei Fiorentini nel sostener Tassodio di Radagasio^
non cominciò a brillare finché non fu costituita in
repubblica . L'estensione delle sue mura era assai
piccola y e si trovava tutta sulla riva destra delTAr-
no: tale fu il suo primo cerchio^ cominciando da
levante: al canto dei Pazzi era la porta detta di San
Pietro y dalla chiesa di questo nome situata fuori di
essa: di qui sì volgeano le mura verso tramontana a
Santa Maria in Campo; e poi verso al Canto alla pa-
glia y ma curvandosi ^ ove ora è il principio della via
dei Servi ^ era una piccola porta o postierla^ come
allora dicevasi^ ed un'altra simile ove oggi è il
principio di Via dei Martelli: trovavasi poi la se-
conda porta principale al Canto alla paglia ^ detta
Porta del Duomo, o del Vescovo; quindi curvando-
si le mura, si giungeva alla terza porla detta di San
Pancrazio dalla chiesa di quel nome, situata fuori
di essa : piegandosi verso mezzogiorno trovavasi una
postierla detta Rossa press' a poco nel luogo che
ne ritiene ancora il nome: di qua giungevasi all' ul-
tima Porta detta di Santa Maria, da una chiesa di tal
nome (8): da quel punto girando le mura al luogo
ov'è situato il palazzo dei giudici di Rota, e allora
probabilmente Castello, detto Altafronte, includen.
do S. Piero Scheraggio, e la Badia, si ricongiunge*
vano a Porta S, Pietro. Dentro si piccolo spazio era
(S) Disfatta quella Chiesa t o cangiato il suo nome , e mutata
la porta t ha durato il loco a diiamarsi Por Santa Biaria. L'Am-
nurato dice » La chiesa da cui prende?a il nome ritirata più
addentro , e chiamata S* Biagio indarno cercherebbe alcuno di
niiTeiure w.
i6 LIBRO TERZO
racchiusa T antica Firenze^ ed un solo ponte allori
fuori della Città ^ nel posto ove Amo è più ristret'
to, serviva a questa piccola popolazione > che per es-
sere il più antico di tutti conserva ancora il nome
di Pontevecchio (9). Oiminciando la città a libe-
rarsi da un oppressivo governo, e a prendere vigore
se ne aumentò presto la popolazione^ e molti sob-
borghi furono fabbricati fuori del primo recioto.
Divenuti questi assai estesi fu d'uopo^ e per poi^
al coperto dei nemici assalti, e per crescere \ en-
trate del Pubblico coi dritti delle porte ^ cingere
di mura la novella parte della città. Chiusa da que-
ste la Chiesa di S. Pietro^ presso di essa fu situata
la Porta di questo nome, e volgendosi per quella
strada che passa d'avanti a Santa Maria Nuova,
giuugevasi a S. Lorenzo, che ne era compreso, e la
Porla ne prendeva il nome • Di qui circolarmente
si veniva ad Arno, nel quale spazio erano due porte
cioè Porta a S. Paolo , e Porta Carraia sull'Amo , e
fra queste, due postierle^ indi le mura secondavano
il fiume fino al Castello di Altafronte^ o Palazzo dei
Giudici^ d'onde slontaoandosi dal fiume andavano
nuovamente a ricongiungersi con la Porta di S. Pie-
tro. Fu cominciato questo lavoro nell'anno 1078,6
continuato per più anni • Nello spazio dei due se-
guenti secoli era tanto accresciuta in specie sulla
sinistra riva dell'Arno, òhe fu d'uopo di nuove
mura circondarla (anno i285 ), lo che fu ospito
coir opera di un illustre architetto , Arnolfo di La*
pò, il qual recinto con qualche variazione è giunto
fino ai nostri tempi. L'epoca precisa^ in cui Fi-
(9) Malasp.» Tillanì, Varchi^ Amm.
CAPITOLO SECONDO 17
reDze. onninamente sottratta al dominio dei Duchi
di Toscana , si costituisse in repubblica , non è ben
noia. Siccome pecò il freno con cui la reggevano^
andaya sempre, come abbiam visto , allentandosi ,
si scorgono talora esercitarsi da Firenze, e da altre
città degli atti di città libera, forse in quegli inter-
valli > nei quali la poteùKa dei Duchi era indebo-
lita , o nella loro lontananza • Alcuni però di questi
fatti narrati dagli antichi storici sono con molta
ragione negati dai moderni (io). Così riguardasi
adesso come una favola che i Fiorentini, ai quali
Fiesole dava ombra, benché tanto diminuita, nella
festa solenne di S. Romolo che in quella città ai
solennizzava, andati colassù in numerosa Schiera,
quando meno se l'aspettavano i Fiesolani, date le
mani alle armi se ne impadronissero, e smantel-
lando le case costringessero gli abitatori a scendere
a Firenze (11). Scarse ed incerte notizie abbiamo
degli avvenimenti di questa città fino alla fine del
dodicesimo secolo^ in cui si scorge la repubblica
stabilita, e se ne comincia a conoscer più chiara-
mente l'indole del governo. In questo non piccola
spazio di tempo, in cui Firenze non fu intiera-
mente serva, né lìbera, si trovano negli antichi sto-
rici avvenimenti, che partecipano molto del ro-
manzo: noi perciò vi passeremo sopra rapidamente.
La potenza marittima di queste repubbliche ne fa-
ceva ricercar spesso Tajuto da varie potenze: Ro-
(10) Marat. Ann. d'ItaU an. i oi o*
(1 1) Le memorìe deiranno 1027 , ci mostrano nel Diploma di
Corrado Primo , il contado desolano distinto dal fiorentino : esi-
steva sempre il sno Vescovo, e le lettere di Jacopo vescovo di
quella citta riportato dall' Ughelli fanno menzione Civitaiis Fé-
sulanae : non era dunque quella citici distrutta .
J orno II.
■■<
' y
i8 LIBRO TERZO
berlo II Principe di Capua a dispetto dell' investi-
tura^ e dei soccorsi di Papa Onorio II era atalo cac-
ciato dal suo domiuio dal celebre Ruggieri 11^ con-
te, e poi re di Sicilia ; e ad onta della Crociata ban-
dita in suo favore , Roberto si era trovato costretto
col Papa is tesso a ricovrarsi in Pisa a sollecitar
Tajuto della repubblica. Mossi da zelo di religione,
e dall'oro i Pisani^ approntarono una fiotta, e alla
fama che Ruggieri fosse morto, Con 20 grosse navi
trasportarono Roberto a Napoli- , otè accolto con
quell'applauso, che ristabilita del p<Npolo suol fare
a ogni principe ultimo giunto , credette in un mo-
mento di divenire il padrone del regno. La flotta
pisana si accrebbe in seguito di altre 20 navi ^ colle
quali fu dato il guasto alla costa, saccheggiate delle
città, e fra queste Amalfi, decaduta dall'antica
gloria, e potenza, ma sempre assai ricca (12). Fa
grande il bottino dei Pisani; ma la parte più pre-
ziosa si asserisce che fossero le Pandette, perdute,
o quasi obliate in Italia. Si controverte però il fìt-
to, e non è questo il loco di criticamente esaminar-
lo (i3), ma supponendolo vero, è assai onorifico ai
Pisani che in quella età di pochi lumi, in mezzo a
feroci, ed avidi guerrieri , vi fosse chi pregiasse tanto
quest'opera di riputarla degna di adornare la pa-
tria. La repubblica fiorentina credette il prezioso
manoscritto un trofeo degno delle sue vittorie; e
^ dopo la conquista di Pisa lo trasportò in Firenze
^.""* ove è guardato sempre dai forestieri con una vene-
ii35 rubile curiosità. Il supposto acquisto delle Pandette
ha resa celebre la pisana spedizione più della cou<
(1 3) OroDÌca varia pisana. Marat Renun. itaL tom. 6.
(i 3) Parleremo più a lungo di tal questione a suo luogo*
CAPITOLO SECONDO 19
quiiU delle Baleari ^ e le questioni insorte in seguito
su quel Codice hanno contribuito ad illustrare Tisto- ^q
ria di quella Repubblica; ma T impresa non fini fé- n^^
licemente pei Pisani. Ruggieri viveva sempre: la
morte della sua diletta moglie lo avea gettato in
cupa melanconia per cui invisibile a tutti stava
rinchiuso in una camera , e il pubblico avido sem«
pre di novità y e pronto a far congetture^ e a con-
vertirle indi in certezza ^ ne avea immaginata la
morte . Riscosso dalla melanconia Fattivo Ruggieri nSy
alle nuove dell'invasione di Roberto^ e dei Pisani,
volando rapidamente di Sicilia al continente, tra*
vati i Pisani all'assedio della Fratta, li ruppe fa»
cendo moltissimi prigioni (i4)> ^ li costrinse a riti*
rarsi precipitosamente col Principe Roberto a Pisa.
Nella venuta però in Italia di Lotario III Impera*
tore, che sostenne il Papa, ed occupò la Calabria,
e la Puglia , i Pisani con grande armata andarono
a coadiuvar l'impresa, occupando, e saccheggiando
molte città della costa , ed assediando Salerno, da
cui indi o per dispetto concepito contro V Impera-
tore , ed il Papa , o per altro motivo non ben noto,
si ritirarono (i5). Per molto tempo si segnalarono
i Pisani nelle marittime imprese quasi sempre ne-
mici dei Genovesi, e talora dei Veneziani (f 6), es-
sendo queste le potenze che si contrastavano V im-
pero del mare.
Le imprese di terra avvenute in Toscana in que-
sti tempi fra le città recentemente libere non sono
di gran conto. Oltre la fiorentina, e la pisana erano
(1 4) Sreviar. Pisanae historiae. Mur. Rer, Ital, tom, 6.
(i5}Roinual. Paler. Ghron. Rer. ital. tom. 7.
(16) DandoL in Ghron. Rer. ital. tom. i3.
so LIBRO TERZO
. Date in Toscana molte altre repubbliche ^ aecondo
^•£ la forma di quei tempi , come abbiamo a suo luogo
>> 37 osservato. Lucca nominata più volte dai classici
scrittori (17)^ fu antica Colonia dei Romani. Nei
bassi tempi però la sua celebrità divenne maggiore
per essere stata più frequentemente la capitale di
Toscana, o sia la sede dei Duchi , e Marchesi (f8),
e aver in appresso mutata forma di governo , per
la potenza a cui fu sollevata dall' ingegno , e valore
di un suo cittadino (19). L^ origine di Siena non è
si recente come è stata l'opinione di molti scrit-
tori (ao). Siena fu anch^essa Colonia dei Roma-
ni (21) che per esser creata tale ai tempi del regno
(1 7) Cicer. LW. Veli. Pater. Tolom. ec Fa stabllìu Colonìi
Rom. laS. anni avanti Fera Crist. Veli. Pater: lib. 1: Liv. lib. 4i*
Si rammentano delle dispule fra i Pisani , e i Lucchesi a motivo
di territorio. Liv. lib. ^S,
(iS) Fiorentini Memor. sulla Contessa Matilde.
(19) Gastruccio Castracani Antelminelli.
(30) L'Istor. di Giov. Vili. lib. 1 , e. 56 » è piena di anacroni-
smi sull'origine di Siena. Biondo Flavio» e Leonardo Bruni ap-
Eoggiano le loro asserzioni sopra instabilissimi fondamenti . Stn*
one» Tolomeo» e Plinio la nominano tra le città di Toscana. La
Sena Gallica, o Sinigaglia è di origine più antica detta dai Galli
Senoni a et claris, et Rubicon ^ et Senonum de nomine Sena » Ai
Senesi toscani deve applicarsi il racconto di Tacito » che da essi fa
battuto probabilmente coi pugni, ( giacché non si parla di basto-
ni ) il Senatore Manlio . Un congetturale antiquario potrebbe tro-
vare in tal avvenimento la disposizione di quel popolo al giuoco
dei pugni • Manlius patritius Senator pulsatum se in Colonia
Senensi coetu multitudinis, et jussu magistratum quaerebatur,
vocati qui arguebantur, et cognita caussa in convictos vindica-
tum, additumque Senatus ConsuUum , quo Senenses modestiae
admonentur.
(ai) Negli antichi itinerarj si trova Sena Julia più volte per
indicare la Siena toscana: Plinio racconta le colonie stabiLte
ce Patisca Rusellana , Senensis ec, lib. 3. e. 5. l* ingegnoso Autore
Chorographiae Italiae medii aevi corregge il Cluveriu , che asse-
risce Siena non esser nominata prima dei tempi di Augusto» ri-
portando un passo di Appiano Atessand. Guerr. civil. tom. i. ofe
si lig^e che Pompeo nella guerra di Siila contro Mario» e Carbo-
CAPITOLO SECONDO %t
»
della famiglia Giulia y e probabilmente di Augusto ,
fu chiamata Siena Giulia . La sua celebrità però Anni
A' f^
comincia all'epoca dell'italiane repubbliche. Come ^|h'
Firenze e Pisa, andò ella estendendo il suo territo-
rio^ soggiogando i Signori feudali, e si estese fino
al mare su i desolati paesi di Populouia , e di Ros-
sella , si occupò nel commercio , a cui apriva un
comodo passo il porto di Talamone utile in seguito
anche alla fiorentina repubblica, quando le fu ser-
rato il porto pisano . Il suo governo fu simile in
gran parte a quello di Firenze misto di nobiltà, e
popolo, e perciò turbolento, contrastandosi spesso
quei due Ordini la suprema autorità, e togliendo-
sela a vicenda • Siena rivaleggiò in potenza in qual-
che tempo colla stessa Firenze. Pisa, e Firenze,
che erano sempre alleate, furono in guerra contro
Lucca e Siena parimele confederate, colle quali
era unito il Conte Guido Guerra della celebre fa-
miglia , che ebbe tanto dominio in Italia ; ma que-
ste furono sconfitte, e devastate le castella del Conte
Guido dai Fiorentini: i Sanesi colti a un' imboscata
restarono quasi tutti prigioni, ed il territorio luc«
chese fu dai Pisani miseramente saccheggiato (122).
Il vigore, con cui combatterono fra loro le nominate
repubbliche, o per impulso delle fazioni, o per am-
ne Tinse Mario presso di Siena 9 ed espugnò la Città. Ma si dere
egli intendere la Siena toscana o la Gallica^ cioè Sinigaglia? è al-
meno incerto. Pure sapendo dall' anterior racconto, che Pompeo
avea disfatto Carbone presso Rimini, che Siila, in di cui favore
militava Pompeo, assediava Mario in Prencsto , è facile congettu-
rare, che Pompeo dopo la prima vittoria si avanzasse verso Siila
per porgergli ajuto, e che la Siena ove segui il fatto fosse la^iena
Gallica . Anche il racconto di Plutarco può confermare la nostra
congettura. Vita di Pomp.
(33) AnnaL Pis. tom. Y. rer. ital.
9« LIBRO TERZO
' Lizione di soprastare alle altre, ci risveglia una tri-
^Q^ sta riflessione, che unite avrebbero potuto arrestare,
iiS; e respingere le forestiere invasioni^ che per tanti
secoli hanno desolata T Italia •
I Pisani, che divenivano una delle prime potenze
marittime, avendo preparatala spedizione contro
Majorca posseduta allora dai Saraceni, erano in-
quietati dai Lucchesi loro confinanti e nemici • In
queste spedizioni si poneva sulle navi la più gran
parte della gente atta alle armi: restando solo a casa
le donne , i fanciulli , ed i vecchi , turba mal atta
alla difesa, poteva agevolmente la città esser sac-
cheggiata , e molti degli abitatori fatti schiavi : ri-
corsero perciò ai Fiorentini • Mandarono questi a
Pisa gente che bastasse alla difesa • Il Capitano fio-
rentino volendo evitare i disordini che una truppa
anche amica suol portare iA una città ove è stazio-
nata, accampossi due miglia fuori di Pisa, dando
i più severi ordini che niuno dei suoi soldati ardisse
11,4 di entrarvi • Uno solo disobbedi , fu preso , e con-
dannato alla morte : intercessero in di lui favore
colla più gran premura i Pisani^ ma inesorabile il
Capitano lo fece appiccare. '
L^ impresa delle Baleari è una delle più gloriose
ai Pisani, La religione, l'onore, T interesse gli
stimolavano a distruggere un nido di corsari sara-
ceni , che in mezzo al Mediterraneo insultavano le
coste di Francia , e d' Italia : infestavano il mare
ponendo in schiavitù i Cristiani, interrompendo,
e minando il commercio • Il Pontefice Pasquale II
gl'istigava a questa impresa utile, e gloriosa: dodici
Ambasciadori furono a lui mandati per concertarla,
alla testa dei quali era il loro Arcivescovo Pietro,
CAPITOLO SECONDO a3
che fu poi il coodottiero della spedizione. 11 Papa
mandò Bosone Cardinale come suo Legato^ e diede ^°q|
ai Pisani stendardi ed indulgenze. iii4
Era difficile l'attaccare isole popolate di gente
guerriera^ e che dalle vicine coste di Affrica^ e di
Spagna^ dominata in gran parte anch'essa dai Sa-
raceni^ potevano ricevere grandi ajuti: non bastava
lo sbarcarvi felicemente: conveniva formar Tasse-
dio di piazze assai forti, e che, secondo i metodi di
quelle guerre, duravano lungamente: facea d'uopo
portarvi di lontano le provvisioni , e le complicate
macchine di assedio . Non atterriti da questi osta-
coli, ne fecero i Pisani l'impresa. Oltre l'Arcive-
scovo Pietro principal duce, si leggono i nomi dei
Gherardeschi, Gualandi, Visconti, celebri sempre
nella pisana storia . I feudali Signori che dominando
sulle coste di Provenza, di Linguadoca^ di Catalo-
gna, bramavano la distruzione di quei barbari, co-
me Guglielmo Signore di Montpelieri, Almerico di
Narbona, Raimondo Conte di Barcellona, vennero
personalmente con dei gran rinforzi. 1 soli Geno-
vesi, benché avessero lo stesso interesse, non dettero
che delle vane promesse: forse videro il tentativo
assai difficile; né dispiaceva loro, che la potenza
pisana, che era forse la dominatrice del Mediter-
raneo, fosse umiliata da qualche disgrazia. Se i
racconti non sono esagerati, tra grandi e piccoli
era la flotta pisana composta di 5oo legni (sS). Tre
sono queste Isole, che si stendono dalla costa di
Valenza verso il Sud, Ivica la più vicina alla co-
sta, Minorca la più lontana, Majorca situata in
(a 3} Tronci Ann. Pis. ann. 1 1 1 4*
94 LIBRO TERZO
^^ mezzo « Pare che V armata pisana cominciasse Tat-
^"^\acco sulla prima (a4)> e che in dieci giorni in
>>i4 circa s'impadronisse dopo molti assalti delle prin-
cipali città ^ di cui ruinò intieramente le fortifi-
cazioni j liberando gran quantità di schiavi cri-
stiani; passata indi alla principale, cioè a Majorca
o v'era la forza maggiore degU inimici, vi trovò
la più gran resistenza . Prima che i Pisani si acco-
stassero alla principale città ^ sostennero dei feroci
attacchi dai Saraceni, che li assalirono a campo
aperto, e in ordinata battaglia {^5). Sconfitti però
più volte si ritirarono nella principale lor città, ove
furono assediati ; e per molto tempo varia fu la for-
111^ tuna della guerra. Nei molti assalti si distinsero
con segnalati tratti di valore oltre varj Pisani, Gu-
glielmo di Montpelieri, e Amerigo di Narbona, e
il Conte di Barcellona , che vi restò malamente fe-
rito: furono però i Pisani replicatamente respinti^
ed insultati dai Mori. La lunghezza dell' assedio,
il cattivo nutrimento, l'aria poco sana risveglia-
rono una epidemia pericolosa nell' esercito : i Signori
ausiliari minacciavano di abbandonar l'impresa:
mancavano le vettovaglie, e i denari; era nato Io
scoraggimento, e il desiderio di ritirarsi .Giunte le
nuove a Pisa, si fecero nuovi sforzi, e si animarono
i difensori, i quali avendo in più volte superato il
triplice recinto delle mura, finalmente presero la
città per assalto, avendola i Mori contrastata palmo
(94) li Tronci la confonde con Mlnorca che chiama Ebuso.
K noto che Ebuso era Ivica. Clnver. IntrocL ad Geograph. 10).
9. cap. 7.
(a5) Non bisogna prestar fede all' esagerasioni de^li annali
pisani 4 e del Tronci, che fa ascendere a 70 mila fanti» 3 vèìÌè
cavalli > e 4 mila arcieri i Saraceni*
CAPITOLO SECONDO a5
a palmo • Minorca seguitò presto il fato della prin<
cipale isola (26) . Il numero dei Mussulmani truci- di e.
dati, dei Cristiani liberati dalle catene eccede la>^>7
probabilità: il bottino fu immenso; Tóro^ le gem-
me, le preziose spoglie, frutto delle rapine di tanti
anni di quei corsari, cadde in preda dei vincitori,
e fu tra loro diviso. La fama di questa vittoria
riempiè di giubbilo il mondo cristiano. Ritornarono
i Pisani in trionfo « Il suolo conquistato non parve
sepolcro decente pei loro morti, onde s'imbarcaro-
no quelli forse più distinti; e per non funestare la
gioja del ritorno con questa vista lugubre, furono
sepolti in Marsiglia nella Badia di S. Vittore, con
una iscrizione clie esisteva ai tempi del Tronci.
Fra i prigionieri che adornavano il trionfo si con-
tava la moglie, ed il figlio del re di Maiorca Nuz-
zaradeolo, morto nel tempo dell'assedio, e Burabè,
che eragli succeduto. La Regina ed il fi^io diven-
nero cristiani (2']). Questo giovine, che si dipinge
come saggio, e modesto, ascritto fra i canonici
della Cattedrale di Pisa, indi per testimonianza del
Tronci , rimandato a governare il suo nativo paese
di Majorca come re, o almeno governatore, è uno
dei tanti esempi dei scherzi della sorte. 1 Pisani
(a6) Tronci Ann. Pisan. an. 1116. Sreuiarium histor. Pisa-
noe rerum Italie, Script. Tom. 6. Gesta Triumphal. Pisan.
ihidiCTn •
(37) Sono attestati questi fatti dalla seguente Iscrizione situaU
nella facciau della Cattedrale .
„ Regiae me...* genuit^ Pisae rapuere . . > .
„ Hic ego cum nato bellica praedafui.
„ Majoricae regnum tenui, nunc condita saxo
„ Quod cernis jaceojine polita meo .
„ Quisquis es ergo .... memor esto conditionis ,
„ Atque pia prò me mente precare Deum .
aG LIBROTERZO
clonarono della ricca preda riportata , còme nn mo-
dfc. numento perenne di gratitudine, ai Fiorentini guar-
i>i7 dianì della loro città le due colonne di porfido, che
stanno ancora inoperose accanto alla porta di San
Giovanni. Questa impresa fu compita nello spazio
di due anni (a8) in circa : poteva essere tema de-
gno di un epico poema , giacché la religione^ la glo-
ria , il pubblico vantaggio delle nazioni , che navi-
gavano nel Mediterraneo , erano atti a risvegliare
Teroismo più dell'impresa degli Argonauti, o del-
Tassedio di Troja; e se il Diacono Pietro Vernense,
che con barbaro stile ha cantato in sette libri di versi
latini quell'impresa , avesse avuto V immaginazio-
ne, e la coltura di Omero, di Marone , e di Tor-
quato, le gesta dei Gherardeschi, dei Gualandi, dei
Visconti, che ora son coperte di oblio, suonerebbero
per le bocche degV Italiani (29).
Siffatta conquista accrebbe al sommo la forza
della pisana repubblica . Aveva essa, sulle priaci-
(a 8) Dice il Troncì che i Pisani partirono nell'anno 1 1 1 4 ,
6 Agosto 9 e che V impresa restò compita il di 3 di Aprile 1117.
Ma egli s'inganna. Yi sono però molti imbarazzi nella Cronolo-
gia : giacché nella Cronica intit. Gesta Triumpk, Pisan, si pone la
presa di Majorca , e il ritorno dei pisani neuan. 1116. L'UgheUi
nel Catalogo degli Arcivescovi Pisani deduce con pih certezza
che r impresa fu compita negli anni iii4e i5,eil Poeta L. Ver*
nense più autorevole di tutti perchè scrittore contemporaneo , ed
autore di un poema latino ove descrive la spedizione , lo termina
con questi versi :
Tuncfuit a Christo tecto Qelamine camis
Centenus quintus decimus miìlesimus annus •
Era esso Diacono dell'Arcivescovo Pietro , non si sa la sua patria ;
alcuno lo ha creduto Veronese tramutando Vemensis in Verona^
sis : non potrebbe esser egli di Vernio ? si trova il suo Poema nel
Tom. 6. Murat. rer. ital. script. Per questa impresa vedi il citato
poema; il Tronci; Gesta triwnphaUa per PisanoS: Breviarum,
Pisanae historiae etc, frammenti riuniti nel Tom. 6. Rerum
Italie, script.
{jy) La potenza delle lettere; e in specie della Poesia ad onta
CAPITOLO SECONDO a;
pali coste dei mari allora navigabili y grandi stabi-
limenti : col possesso della Corsica, della Sardegna, ^^
delle Baleari dominava una gran parte dell' occi- 1 1 1 7
dentale Mediterraneo, con quelli della Siria Torien^
tale ; e presso Asof nel mar Nero un porto , a cui
avea dato il nome di porto pisano, e lo conservava
fino nel decimoquinto secolo. Questi stabilimenti
rendevano il suo commercio il più florido : non è
da maravigliarsi pertanto se Temula sua perpetua,
Genova , che avea veduto terminar V impresa delle
Baleari con successo tanto differente da quello avea
sperato , ne prendesse maggior gelosia . Si ruppe la nao
guerra fra di esse: combatterono con varia fortuna:
i successi son variamente narrati dai genovesi, e
pisani storici (3o). Alla gelosia di commercio si
aggiungeva la vanità: mal soffrivano i Genovesi,
che alla sede arcivescovile di Pisa fossero soggetti
i vescovi di Corsica • Il Papa Callisto II che tolse
air arcivescovado di Pisa quel lustro , invece di se-
dare , accrebbe V incendio. Seguitò gran tempo que-
sta piratica guerra, i successi della quale però pare
fossero poco favorevoli ai Pisani (3j).
dei saoi detrattori sark sempre grandissima per dare, o toglier Ut
fama 9 e si avvera sempre l' aureo detto di Orazio .
• . • . non semel Ilios vexata non pugnavit ingens
Idomeneus , Stenelusve solus
Vixerefories ante Agamennona
Multi ^ sed omnes illacrimahUes
Urgentur orco ignotiquelonga nocte^ careni quia vate sacro.
Lib. 4* Ode 9.
(3o} Vedi Caffar. Lib. &. Ann. Pis. Marat rerum Italie.
lom. 6.
(3 1) Gafiar. lib. 1. Ugbelli lul sacra .
a8 LIBRO TERZO
CAPITOLO III.
SOMMARIO
Discesa in Italia di Federigo L Dieta di Roncaglia, Diritto im-
periale delle Regalie ammesso . Ribellione delle Città Italiane,
e lega Lombarda • Pace di Costanza . Nuova lega delle dita
di Toscana, Investitura della Sardegna data da Federigo ai
Pisani • jiyvenimenti in Oriente* Odj tra i Pisani e i GenovetL
xVndava sempre più consolidandosi il governo re-
pubblicano delle ciltà italiche^ che in mezzo anche
a qualche turbolenza , ond' erano agitate y il com-
mercio rendeva ricche e potenti. Contro la nascente
loro libertà e industria, sorse frattanto una tempe*
sta pericolosa • La mancanza di forza, e di consiglio
dei passati Imperatori avea rallentate tanto le redi-
ni del regio potere su quelle, da dare loro agio final-
mente di porsi in libertà. Era comparso sul trooo
imperiale Federigo I della casa di S?evia, principe
pieno di talento, di coraggio, e di orgoglio, avido
di gloria, e di stati, che mal soffrendo la perdila
dei dritti imperiali sulT Italia, venne con potente
esercito per riconquistarli. La sua presenza sparse
il terrore da per tutto. Le città lombarde, contro
seni fu diretta specialmente la marcia, erano fra lo-
j°^* ro discordi, onde non poterono validamente oppor-
iiao segli. I Milanesi, già rei ai suoi occhi di avere spre-
giati gli ordini imperiali, soffrirono specialmente la
sua rabbia: stretta Milano di assedio, fu obbligata
alla più umiliante capitolazione, preludio alla tota-
le sua distruzione , che avvenne 4 anni dopo per le
stesse armi. Intanto tutte le città di Lombardia at-
CAPITOLO TERZO 29
terrìte da questo attivo Imperatore^ intimate a man-
dare ì loro deputati alla gran Dieta di Roncaglia ^f^
sul Piacentino^ ubbidirono prontamente. In quella >*ao
Dieta espose diffusamente Federigo gì' imperiali
dritti sull'Italia, ne mostrò la violazione; e perchè
una vernice di equità meglio colorasse ciocché era
abbastanza sostenuto dàlia forza dell' armi , fra i
principi ecclesiastici, e secolari, fra i deputati del-
le città (i) fece intervenire alla Dieta alcuni dei più
celebri Professori legisti della Università di Bolo*
gna, il Bulgaro, il Gosia, Jacopo, ed Ugone da
Porta Ravegnana , che decidessero sul dritto delle
regalie controverso tra le italiane città, e l'Impe-
ro, ^iuna scienza è piò pieghevole della legge; e
la sottigliezza delle interpetrazioni sa trovare delle
ragioni invisibili all'occhio del senso volgare. Quei ii38
Legisti altamente onorati , e premiati da Federigo,
non mancarono di trovare le pretensioni imperiali
le più giuste . I Deputati delle città non contradis-
^ero, credendo che un possente sovrano alla testa
di un numeroso esercito non potesse aver torto. Gli
furono perciò unanimemente concesse le regalie (2).
Gli Uifiziali però, e i Potestà mandati dall'Impe-
ratore a governare le città sottomesse, esercitavano
con durezza un impero, che anche dolce dovea mal
soffrirsi da popoli usati al libero governo. Si ribel-
(1) Pisa era del partito di Federigo , e come depalati» e legi-
sti intervennero alla Dieta per quella città Tacito Duodi , Onorio
Lanfrancbi^ e Rosso Botta cci» tutti tre dottori, onorevolmente ri-
cevati daU' Imperatore. Tronci Ann. Pis.
(a) Le Regalie sono spiegale da Radevico, lib. a. cap. 5. Tum
episcopi quum prima tes et civitates uno assensu, uno ore in ma^
num principis regalia reddi olere .... DucatuSf marchius, comi*
taius, consulatus, monetai, telonia-.fodrum, tfCttigalia, portus,
pedatica , etc.
3o LIBRO TERZO
laroDO le oppresse ci Uà, e ammaedirate dagli ante-
dÀc] ^^^^^ av veni menti si unirono insieme formando la
li 38 celebre Lega Lombarda, fomentata dal Papa ^ dal
re di Napoli, e fino dal greco Imperatore, nemici
di Federigo. Potè questa Lega fer fronte alle di lai
forze; consumato il suo esercito all'assedio di Roma
1 183 per una epidemia assai comune in queiraria, Federi-
go si trovò obbligato a ritirarsi col miserabile avanzo
dei suoi guerrieri , e dopo piccole azioni , e inutili
tentativi esci precipitosamente d'Italia , costretto per
salvarsi fino a travestirsi. Ansioso però di recupera-
re l'autorità sulle ribellate città, tornò con grosso
esercito in Italia. Dopo varie infruttuose negozia-
zioni , l'esercito imperiale venne alle mani eoo
quello delle città collegate fra Legnano, e il Tici-
no: fu sanguinosa ed ostinata la battaglia , ma
l'esercito imperiale restò totalmente sconfitto ad
onta delle maggiori prove di talento, e di personal
valore date da Federigo . Questo colpo rovesciò la
sua potenza in Italia • Cominciò ad ascoltar voci di
accordo; e finalmente, dopo varj negoziati si fece la
celebre Pace di Costanza, in cui si stabilirono i pri-
vilegi, e la libertà delle città longobarde (3). Non si
era mescolata in questi avvenimenti , né aveva ade-
rito alla Lega alcuna città di Toscana , ma irritate
ancor queste dall' intoUerabil governo tedesco , ne
scossero il giogo, e le città principali di Toscana,
Firenze, Lucca, Siena, Arezzo, Perugia (eccetto
Pisa, sempre aderente all'Impero) formarono ira
loro una nuova lega (4). Nel trattato di Pace di
(3) Sìgon. de regno ital. lìb. 1 5.
(4) Vita Innocen. 3. apud Murat diss. 48. CMtates Tusddu
propter importahilem jélemannorum tirannidem , secieiatem im-
capìtolo terzo 3i
Costanza , olire il riconoscere la libertà delle città ^^^^
longobarde, Federigo si trovò obbligato a ceder le ^\(^
regalie. Restò solo Inailo dominio all'Imperatore. «^^^
Si eleggevano le città i loro Consoli , che doveano
esser confermati dall'Imperatore, obbligo che andò
presto in disuso: si riserbavano alla sua autorità
gli appelli , e il dritto di decider le questioni tra le
Comunità, e i Signori confinanti: fu costituito per-
do in Italia un Vicario imperiale, e a questa carica
fu scelto Obizo di Esle , e si stabili su questa base
la libertà italiana . La lega Lombarda formava
uua repubblica federativa ^ nella quale ogni città si ^
regolava independentemente dalle altre nei suoi
affari interni: ma per gli esterni, che riguardavano
la pace, la guerra, la comune sicurezza, esisteva un
generale Consiglio formato dai Rettori , deputati
delle varie comunità, che dirigeva i pubblici, e
comuni negozi . Questo decideva le liti che nasce-
vano fra le città collegate; e quella che avesse re-
cusata la decisione era messa al bando dei Lombar-
di. Si rinvigoriva questa Lega, di cui si era prova-
to il benefizio, quando qualche estera potenza mi-
nacciava ritalia, e se fosse durata l'avrebbe assicurata
dall'estere invasioni si frequenti. Pare che disgrazia-
mente per questo infelice paese non si sostenesse
che poco più di un secolo ^ restando distrutta nelle
fazioni dei Guelfi e dei Ghibellini, che nacquero
in seguito, e che non solo città da città, ma divi-
sero con le più sanguinose agitazioni cittadini da
cittadini, e parenti da parenti. Pisa, come abbiamo
notato, non ebbe parte ne alla lega Lombarda , ne
vicem inierunt praeter Chitatem Pisanam, quae unquam potuU
induci ad hanc societatem •
3a LIBRO TERZO
-.alla Toscana. Federigo con tutti gli artificj avea
di G. cercato di guadagnarsi Tamicizia delle potenze ma-
ii83 rittime (5), disegnando far uso delle forze loro con-
tro Guglielmo Re di Sicilia. L'importanza, che
questo guerriero Sovrano poneva neiramicizia dei
Pisani, è dimostrata da molti fatti. Oltre i vari
privilegj y che concesse a Pisa , soffrì talora anche il
tuono orgoglioso, con cui osò di parlargli quando
si credette offesa: Barisone, cittadino pisano, uno
dei Giudici, Governatore della parte della Sarde-
gna detta jirborea, ebbe la vanità di farsi dichia-
rare Re di queir Isola , ed offerendo a Federigo 4000
marche di oro colla mediazione dei Genovesi, ne
ottenne il titolo. Non potendo sborsar però i dena-
ri, era in procinto di andar cattivo in Germania;
pagarono per lui i Genovesi , ma Barisone ebbe la
sorte del Re Teodoro , restò prigioniero insolvente
dei Genovesi. I Pisani spedirono a Federigo un
Console, che gli rimproverò un'ingiusta concessio-
ne in termini altieri (6) , e protestò che ì Pisani si
sarebbero opposti con tutte le loro forze , come ve-
ramente fecero occupando colle armi TArborea.
L'anno appresso però Federigo per riconciliarsi con
(5) Si veggano le ampie concessioni fatte da Federigo ai Pi-
sani nel Diploma riportato dal Tronciy in cai specialmente si con-
cedono loro città» e terre di Sicilia sotto la speranza di futura con-
quista. Guntero Ligurino, lib. 3 descrivendo il passaggio di Fe-
derigo aggiunge :
Occurrere Duci proceres quos bellica Pisa
Miserai aequoreis celeberrima Pisa triumphis,
Pisa peregrinis stalio bene nota carinis,
Hos jubet in Siculum condicio iempore regem
Cogere belligeras atque emunire carinas ,
Vedi TroQci , Annali Pisani .
(6)Gom^ mai, gli disse, per pochi denari potesti concedere
ad altri quello che non è tuo? Eolici* hisi» genuen, lib, a.
CAPITOLO TERZO 33
essi 9 persuaso aocora dall' oro y rivocò il privilegio y
concedendo la Sardegna ai Pisani, e dandone Tin- ^ic.
vestitura al loro Console: e in fatti Pisa abbracciò ^^^^
sempre! suoi interessi. Fino dall'anno 1167 per
istigazione di Federigo i Pisani mandarono dodici
galere sulla spiaggia romana^ che rimontato il Te-
vere, e giunte presso Roma, infestarono i contorni,
impedirono il trasporto dei viveri , e costrinsero
quel popolo a condescenderé alle richieste imperia-
li (7). Desiderando Federigo gl'istessi servigi dai »>97
Genovesi^ avea tentato di por d'accordo le due re-
pubbliche, ma invano; quantunque il suo Arcican-
celliere Cristiano^ Arcivescovo di Magonza , non
aderendo i Pisani alle sue proposizioni conciliato-
rie, gli avesse messi al bando dell'Impero: tuttavia
lo stesso Federigo ristabili poi fra loro almeno una
breve apparente riconciliazione (8).
Non più di 188 anni conservarono i Cristiani
Gerusalemme, frutto di tanto sangue, e tante fati-
che. Saladino , Soldano di Babilonia e di Egitto,
ne fece la conquista. Questo Principe è riguardato
dai suoi amici , e dai suoi nemici come pieno di
eroismo, di generosità, e di prudenza ; e i tanti rac<*
conti, molti dei quali probabilmente favolosi, mo-
strano almeno l'opinione delle sue grandi qualità,
la quale quando è universale ha sempre una base
vera. Questi è probabilmente quell'Eroe prognosti-
cato da Ismeno nella Gerusalemme Liberata , al
fuggitivo Soldano; per consolarlo in mezzo alle sven-
ture, in leggiadri, e sublimi versi, pieni di gran-
(7) Ann. Pis. Tom. 6. rer. Ital.
(S) AnnaL Pitaa. Caffar. Ann. genuan. lìb. 3,
TBmo //.
34 LIBRO TERZO
^dezza^ e di verità (9). Tentò il Soldano cacciare i
die. Cristiani da tutto il resto del paese, che tenevano
**^7in Scria: nella valorosa difesa che fece la città di
Tiro dalle armi asiatiche, difesa che onorò tanto
Corrado Gglio del Marchese di Piemonte , ebbero
non poca parte i Pisani, coirajuto dei quali avea
1188 già battute due volte le navi nemiche . La^ pisana
flotta scorrendo il mare prese molti legni destinati
(9) Interrogato Ismeno dal Soldano sul£ esito di quella guer-
ra risponde :
Ma eh' io scuopra il futuro , e ch'io dispieghi
Dell'occulto destin gli etemi annali ,
Troppo è audace desio , tropp'alti preghi;
^on è tanto concesso a noi mortali:
Ciascun quaggid le forze » e il senno impieghi
Per avanzar fra le sciagure^ e i mali»
Che sovente addivien che il saggio » il forte
Fabbro a se stesso è di beata sorte .
Ma pur dirò> perchè piacer ti debbia.
Ciò che oscuro vegg io quasi per nebbia :
^^S^ìo 9 o parmi vedere , anzi che lustri
Molti rivolga il gran pianeta etemo t
Uom che l'Asia ornerà co* fatti illustri
£ del fecondo Egitto avrà il governo :
Taccio i pregi dell' ozio , e Farti industri.
Mille virid cne non ben tutte io scerno:
Basti sol questo a te » che da lui scossa
Non pur saranno le cristiane posse,
Ma infìn dal fondo suo l'impero ingiusto
Svelto sarà nelle ultime contese ;
E l'afflìtte reliquie entro un angusto
Giro sospinte, e sol dal mar difese.
Questi fia del tuo sangue ec.
r^on è da omettere ciò che narra Bernardo Tesoriere (Cronic cap.
i65. rer. Ital. script.) che una gran quantità di Cristiani cacciati
di Gerusalemme si ricovrò ad Alessandria di Egitto, ove fonino
beo trattati e nutriti dai Ministri di Saladino: che comparse ivi al
marzo la flotta dei Veneziani» Genovesi, e Pisani « furono imbar-
cati coloro che aveano da pagare il nolo, e rigettati gli altri. Ciò
inteso il Governatore Saraceno, riprese aspramente i Comandanti
sulla poca carità verso i loro fratelli, a cui la generosità di Saladino
avea risparmiata la schiavitii: gli fece ricevere sulla flottategli
a p provvisionò di biscotto a sue spese.
CAPITOLO TERZO 35
a portare i TÌT^ri alle armate di Saladino: indi,
perseguiUfndo nove galee piene di n^unizioni, e di ^c.
viveri^ costrinse i barbari a porvi il fuoco per set- *>^^
trarle al nemico (io). Queste ripetute perdile co*
ftrìnsero il Saladino a levar l'assedio da Tiro, fa-
cendo per isdegno e dolore tagliar la coda al proprio
cavallo^ per spronare i suoi soldati alla vendet-
ta (ii) . Fu però questo an piccol vantaggio dei
Cristiani per tante perdite: non restarono ad essi
di tutte le conquiste che le tre sole città di Tiro^
Àntiodiia, e Trìpoli. La nuova della perdita di Gè-
rosalemme, spargendo per tutta l'Europa il dolo-
re, e la vergogna, riaccese nuovamente gli spiriti
raffreddati a quella impresa. Il principale attore in ns^
questa guerra fu il celebre Federigo Barbarossa
Imperatore 9 che spinto o dalla gloria, o dalla reli-
gione, o dai rimorsi di tanto sangue sparso^ e di
tanti oltraggi fatti ai pontefici, credette soddisfare a
tutto con questa impresa , conducendo seco anche
ino figlio: molti Italiani vi accorsero: una grossa
Dotta vi fu condotta dai Veneiiani, a cui unirono
la propria i Pisani guidati dal loro Arcivescovo
Ubaldo . Nel tempo che Tlmperator Federigo si era
irrestato in Grecia trattenuto dalla mala fede, e
dalle insidie dei Greci, Guido re di Gerusalemme,
:he Saladino avea messo in libertà, postosi alla te-
ita dei Crociati, che in grandissima quantità erano
[ionti a Tiro da varie parti dell'Europa, e in spe-
:ie d'Italia , mise l'assedio a Tolemaide, ossia Acri.
(io) Reram ital. Scrlp. Bem. Tesor.
(il) Licar. Epìs. Cronic. rer. Ital. Tom. 7. Sì congettura ch«
■ questo atto di Saladino nascesse il costume dei Turchi di attae-
irie code dei cavalli allo ftendardo per segnale guerriero. Mur.
Jin. dlul. anno 1187.
n
36 LIBRO TERZO
'^^Si trovò alla testa dei Pisani il loro Arcirescovo
ai e. Ubaldo : mentre V assedio si continuava col pia
1189 grand' ardpre^ il vigilante Saladino vi accorse con
una potente armata^ e si postò in guisa ^ che gli a^
sediatori divennero quasi assediati: si diedero cU
ambe le parti le maggiori prove di valore: atavaoo
per restar soccombenti i Cristiani , mancanti di
tutto y quando Tarrivo di una numerosa squadra di
Frisia 9 e di i)animarca portò loro ajuto di armati,
e dì vettovaglie. Intanto Federigo, passato in Asia,
dopo molte valorose azioni, bagnandosi per evitare
1190 il caldo nelle fredde acque del fiume Salef in Ar-
menia, ebbe la disgrazia di esser come Alessandro
Magno sorpreso da un insulto morboso, ma dissi-
mile nell'esito, perchè in poche ore restò nlo^
to (12). Prese il comando dell'armata il suo figlio
Federigo, e seguitando il viaggio verso Tolemaide,
perdette la maggior parte delle sue genti; giunse
con piccola scorta a quella città, ove dopo poco
tempo finì di vivere. Seguitò ancora T assedio per
due anni circa , ricevendo sempre i Cristiani nao¥Ì
soccorsi, e giuntivi finalmenre i re di Francia, e
d'Inghilterra, con grandissime forze fu presali
città: e il feroce Riccardo re d'Inghilterra fece ta-
gliare a pezzi cinque mila Saraceni. Questa barlian
azione fu un vergognoso contrasto colla generosità
di Saladino di sopra narrata. Era intanto succesR)
neir Impero a Federigo il suo figlio Arrigo VI mAìo
dissimile dal padre nella grandezza di animo, e
nel valore. Avea egli sposata Costanza, che figlia
del Re Guglielmo di Sicilia privo di altra prole,
(1 a) Altri dicono che vi affogò .
CAPITOLO TERiO 57
portava seco i dritti di quel regno . Alla morte pe-
rò di Guglielmo furono usurpati ì suoi stati da Tan- di G.
credi Conte di Lecce. La sollecita morte di questo **9o
usurpatore, e del suo primogenito Ruggieri, l'in-
fanzia di un pupillo restato sotto la tutela della
Regina Sibilla , invitarono Arrigo a riconquistare
quelli stati: volendo invader Napoli, e la^ Sicilia
avea bisogno di forze marittime: guadagnò pertan-
to colle più larghe promesse i Genovesi, ei Pi- 1194
sani (i3). Furono felici i progressi della sua arma-
ta; ma Todio inveterato tra i Pisani, e i Genovesi
die origine a molti sconcerti . Bramo stazionate a
Messina le loro flotte: gli scambievoli insulti, che
l'odio nazionale sempre genera, gli fece venire al-
le mani in mare, e in terra • La strage , il saccheg-
gio dei loro fondachi in Messina fu scambievole, e
i mezzi usati per aggiustargli dall'imperial Siniscal-
co non furono che palliativi. Arrigo impadronitosi
di Sicilia esercitò il breve suo impero con uno scet-
tro di ferro . Violando la fede data , impngionò la
Regina col figlio, che avea promesso crear Duca di
Lecce: fece morire, e acciecare molti dei principali
baroni^ e per insultare fino 1« ceneri dei morti,
schiuso il sepolcro di Tancredi , e del figlio Rug-
gieri, fu per suo ordine strappata loro dal capo la
corona: ninna mantenne delle magnifiche promesse
ai Pisani , e ai Genovesi: privò i secondi fino del
dritto di tenere il Console nei porti di Sicilia , e la-
gnandosi essi di tanta ingiustizia, li minacciò di
(i3) Ai primi oltre il prometter Siracnsa disse —-che dopo
Ko riconoscerebbe da essi qael Regno — Eritque non meum sèd
mstrum — Caffar. Ano. gen. Ai Pisani fin di allora concesse la metà
K Palermo , di Messina , Salerno , e Napoli, tutu GaeU , Trapani •
t llaxxara# quando fossero conquistate • ,^
38 LIBRO TERZO
distrugger Genova. Tornò in Germania carico di
oro^ e di esecrazioni delle spogliate provincie. Si
mantenevano sempre gli od j ^ e le ostilità tra i Pi-
sani^ ed i Genovesi. Aveano i primi occupata Sira-
cusa. Udita si fatta nuova i Genovesi, mossi dal-
l'isole del Levante, ove si trovavano con una sqoa*
dra,non osando soli attaccarli, giunti a Malta tras-
sero nel loro partito Arrigo Conte di queir Isola,
celebre Ammiraglio, o Pirata di quei tempi, e qdì-
te le due armate assalirono Siracusa, e dopo sette
giorni di ostinato contrasto se ne impossessarooo,
facendo gran strage dei Pisani (i4)* Invano nel se.
guente anno tentarono i Pisani riguadagnarla ^ at-
taccandola per mare, e per terra. 11 Conte di Mal-
ta , restatovi alla custodia , valorosamente gli re-
spinse.
(14} Caffi Ah. Genae. lib. 4*
3»
CAPITOLO IV.
SOMMARIO
Oovemo Repubblicano in Firenze, Demolizione divarj Castelli
feudali. Dissensioni inteme. Fazione dei Guelfi, e Ghibellini^
Guerre con Pisa » e con Siena . Guerra dei Pisani coi Genove-
si, Federigo JI Imperatore, e Pier delle Vigne, Diverse fa-
zioni in Toscana, Monete battute in Firenze, Imprese deiFiO"
ventini, "Nuove guerre e imprese dei Pisani, Turbolenze in Fi'
reme. Battaglia di Monteaperti tra i Guelfi e i Ghibellini,
In questo tempo la città di Firenze era andata
crescendo in popolazione^ e in ricchezze. I suoi
cittadini simili alle api industriose lavoravano in
silenzio; le manifatture di ogni genere, e in specie
quella della lana, di utilità tanto universale, vi
erano incoraggite, e premiate* Benché non sia ac«
certato con sicurezza il tempo preciso, in cui Fi-
renze si costituisse in vera, e stabile Repubblica,
ciò dovea essere avvenuto assai prima della fine del
XII secolo. L'autorità imperiale abbattuta dalla
Lega Lombardica; T indipendenza di questa rico-
nosciuta dall'Imperatore nel trattato xii Costanza ,
aprivano la strada alla libertà anche delle città to-
scane; e quantunque più tardi queste formassero la
toscana lega, e qualche avanzo di autorità restas-
se agl'Imperatori, o piuttosto ai loro ministri, andò
questa presto svanendo; e al principio del secolo
XIII si trova il governo di Firenze stabilito in vera
fornoia repubblicana . I primi magistrati delle città
lìbere furono i Consoli, nome consacrato alla liber-
tà della romana grandezza. Le città d'Italia appe-
na postesi in libertà, presero questi rettori: in di-
4o LIBRO TERZO
versi tempi il numero fu vario: alcuni amministra-
vano gli affari politici^ ed erano detti Consoli mag-
giori (i), ad altri erano commessi i civili, e crimi-
nali piati. Siffatte Magistrature si adottarono anche
dalle terre, e castelli per voglia d'imitare le grandi
repubbliche. Nei primi tempi talora anche il Ve-
scovo entrò a parte del governo politico^ special-
mente se qualche dritto ne avea ricevuto dall' Im-
peratore, se era decorato del titolo di conte, e se
la sua ricchezza, e dominio gli dava una potenza
straordinaria , come al Vescovo di Arezzo . Dopo
qualche tempo però» o la parzialità dei Consoli pei
loro amici, o le dissensioni che nascevano nell'am-
roinistrazione, o le discordie dei cittadini nell'ele-
zioni, £ece prima diminuire l'autorità di questi
Magistrati, indi a poco a poco abrogarla, e s'istitai
la carica di Potestà. La legge stabili ch'esser do-
vesse forestiero, perchè privo di relazioni, di ami-
cizia, o di parentela potesse con maggiore integrità
esercitar la giustizia, e terminato Tufizio partendo-
si, non si trovasse esposto al risentimento, e alle
vendette a cui la giustizia anche esattamente am-
ministrata espone talora i più incorrotti giudici.
Non sdegnavano quel posto i primarj Signori. Era
perlopiù ornato il Potestà del cingolo militare,
giacché nelle occasioni marciava alla testa delle
truppe, conduceva seco una corte splendida, e per
amministrar la giustizia, alcuni assessori, o giudici
civili, e criminali. Il suo ufizio si ristringeva al
termine di un anno, e di rado ottenea la confer-
ma : niun suo parente lo poteva accompagnare , e
(i) Sututi della GitUi di Pìstoja.
CAPITOLO QUARTO 4j
di rado 8Ì permetteva alla stessa moglie: era vieta •
to al Potestà e ai suoi ministri il familiarizzarsi
cogli abitanti, e dare, o ricevere da essi pranzi, e
cene. Nella prima istituzione essendo tanta l'auto-
rità di questa carica, o che ne abusassero i Potestà,
0 che paresse al popolo che egli troppo favorisse la
nobiltà , o la gelosia repubblicana non vedesse sen-
za timore riuniti nella stessa persona il poter civi-
le, criminale, e il comando delle truppe, fu l'au-
torità divisa, e si creò il Capitano del popolo, che
non solo lo conduceva alla guerra, ma nelle sedi-
zioni e tumulti interponeva l'autorità, e la forza.
L'ufizio del Potestà fu poi limitato quando in ap-
presso si elessero i Priori, e poi il Gonfaloniere .
Questi Magistrati furono per lo più comuni alle
città libere d'Italia, e perciò di Toscana, non sen-
za però molte variazioni, e modificazioni in varj
tempi , che sarebbe troppo nojoso il minutamente
dettagliare , e che solo accenneremo quando lo ri-
chiederà l'importanza del soggetto (a). In questo
tempo Firenze aveva i suoi Consoli: essi trovansi
quivi, ed altrove anche innanzi, ma non è sicuro
segno di totale libertà (S). Oltre i Consoli , il di cui
numero è incerto (4), vi erano i Priori dell'arti, un
Potestà, un Senatore, dieci Buonuomini, un Con-
siglio generale, un altro particolare. In mano di
questi era il governo; l'ufizio del Potestà, di cui si
(a) Marat. Antìq. ItaL Diss.
(3) Nel diploma della pace di Gostanza si dice che i Consoli
doyeam esser confermati dall'Imperatore , onde si Tede che già
esistevano tali Magistrati anche avanti l'intiera libertà delle città
italiane •
(4) Àmm. Ist. Fior. Lib. i.
4a LIBRO TERZO
ha menzione anche qualche tempo innanzi^ si tro-
va in quest'anno saldamente stabilito.
Per molto tempo i Fiorentini presero poca parte
nelle guerre d'Italia, e furono piuttosto occupati
ad assicurare il territorio dalle altrui violenze. Era
stata la Toscana , come il resto d'Italia^ ripiena di
feudali Signori , che situati in monti, in rocche, in
castelli assai forti, infestavano le pubbliche strade,
svaligiando , e prendendo prigionieri , e facendo
pagare grossi: riscatti a quei viandanti, che abba-
stanza ricchi aveano la disgrazia di passar per le
strade ad 'essi vicine • Tale era la rocca di Monte-
buoni , posseduta dai Signori Buondelmonti , tale
Monte di Croce dai Conti Guidi , il castello di Fo-
gna, Monte Orlandi, Monte CacioUi, ove prepo*
tenti Signori erano annidati (5). I Fiorentini intol«
leranti di tai disordini aveano già da molti anni in
varj tempi castigato costoro, disfacendo la rocca
di Monlebuoni, Monte di Croce, il fortissimo ca-
\ stello di Fogna , e molti altri, o sottomettendoli alla
loro obbedienza. La terra di Semi fonte era stata
una di quelle che avea dato più impaccio ai Fioren-
tini. Fosta nella Valdelsa tra Lucardo e Vico sopra
di un poggio, la situazione, le mura, le rocche la
rendevano assai forte. N'erano stati Signori i Conti
Alberti, che battuti, e intimoriti dalla fiorentina
potenza, mentre trattano di cederla a questa Re-
pubblica, avutone sentore i Semifontesi, sollevati-
si, e gittato dalle finestre del pubblico palazzo il
Rettore degli Alberti, ordinarono upa repubblichetta
di governo popolare, la quale animata dai Sanesi
(5) Amm. Ittor. Fior. lib. i.
Addì
CAPITOLO QUARTO 43
contro i Fiorentioi^ più volte fece scorrer le sue
genti sul fiorentino territorio; e quantunque in se-
guito le armi di questi gli costringessero a divenire
loro sudditi, si erano poi ribellati ; onde nelTan-
no i2oa. fu con tutto il vigore intrapresa dai Fio-
rentini la guerra contro Semifonte^ ed uno dei Con- ^°^'
soli vi andò ad oste. Si difesero i terrazzani con un laoa
vigore inaspettato; ricusarono più volte aggiusta-
mento con ottime condizioni, che il Console sco-
raggilo dalla soverchia resistenza offerse loro: ma
ad onta della più bella difesa, una terra di non più
di 3oD fuochi non potea resistere alle forze sempre
crescenti dei Fiorentini. Fu a forza espugnata, e
benché si perdonasse la vita ai terrazzani , e si fa-
cesse un aggiustamento per cui restarono sudditi
dei Fiorentini; o che nuovamente si ribellassero, o
per qualunque altra causa, fu finalmente diroccata
affatto Semifonte, e in oggi si può additare sola-
mente il poggio nudo, ove era situata (6). Si me*
scolò Firenze in qualche altra guerra di poco conto
o contro i Lucchesi, o i Sanesi per lo più unita in
alleanza coi Pisani. La mal organizzata repubblica-
na costituzione di Firenze avea cominciato presto
però a produrre delle divisioni interne. La famiglia
degli liberti era la più ricca, e potente. Mal sof*
(6) Pace dì Gertaldo. Guerra di Semif. Giov. Vili. Ist. ìih. 5.
cap. ag. Duro fatica a credere che la fiorentina repubblica disfa-
cesse questo castello per gelosia , e che la sua crescente grandezza
potesse farle ombra come hanno creduto il Manni , e il Borghini
< Origine di Firenze) riportando quel dettato che correva comune-
mente:/''/(>re/isa^^/<< in là, che Semifonte si fa città . Ss^rk
qaesto ironicamente, e per derisione dell'orgoglio dei Semifontesi
stato detto* non potendo mai un Castello di soli 3oo fuochi dar
ombra ad una città come Firenze » ma fu disfatta per prevenire
nuove ribellioni .
44 LIBRO TER20
* frendo costoro di essere come tutti gli altri cittadi-
^Q^ ni soggetti alle comuni leggio fino dagli scorsi tempi
laoaavean dato assai inquietudine a Firenze^ giacché
nell'anno 1 1 Ss > formata una potente associazione
con altre famiglie contro il Governo, si divise la
città in due partiti, ed ebbe laogo una guerra civi-
le, la quale cessando, e ricominciando secondo le
circostanze, durò presso a cinque anni (7)>e fini
per stanchezza delle parti •
ia.i5 Era stato questo un preludio delle sanguinose
turbolenze che doveauo agitar la fiorentina Repub-
blica, e che presto si accesero. In quest'anno poi
cominciò la più fatale discordia ; e la bellezza fem-
minile ne fu la causa . Una delle prime, e più ric-
che famiglie era quella dei Buondelmonti , che già
prepotente in contado, messa in dovere dai Fioren-
tini, si era stabilita in Firenze. Buondelmonte, ca-
po della famiglia, leggiadro giovane, avea promesso
di prendere per isposa una fanciulla degli Amidei,
famiglia egualmente potente. La bellezza di un'al-
tra della famiglia Donati, anch'essa delle prime, lo
colpì tanto, e le insinuazioni della di lei madre
tanto poterono, che mancando al primo impegno,
sposò la Donati. Quest'offesa ai di nostri finirebbe
Dell'attirare il disprezzo sopra un giovane leggiero,
né altra pena incorrerebbe che l'universal condan-
na di uomo senza carattere; ma non era cosi in quei
tempi di costumi feroci e sanguinar). Gli Amidei
con i loro parenti la credettero un'offesa da lavarsi
col sangue; e il dì di Pasqua di Resurrezione, men«
tre Buondelmonte vestito di bianco sopra un bian-
(7) Rie. Malas. Ammir. ìsU fior* lib. i.
CAPITOLO QUARTO 45
co cavallo venia di oltre Arno verso le case degli
Amidei presso a S. Stefano^ passato il Pontevecchio, dìG.
questi lo assalirono accanto alla statua di Marte si- >^*^
taata a pie del ponte e lo uccisero (8). Questa mor-
te pose in scompiglio la città , la quale si divise in
due partiti. Prese le armi, sbarrate le strade, i cit-
tadini combattevano nelle vie, nelle piazze, dalle
case, dalle torri, e duraron degli anni a battersi
nella più crudel maniera. In questa occasione en-
trò nella città un'altra politica epidemia , che de-
solava già ritalia, e di cui, quantunque abbia fatto
^>arger tanto sangue, è stata assai controversa Tori-
gine, cioè la fazione dei Guelfi, e dei Ghibellini (9)^
accostandosi i primi ai Buondelmonti , i secondi
agli liberti , che era la più potente famiglia dell'al-
tro partito; e perciò essa piuttosto che gli Amidei
vi si pose alla testa • Infierì per molto tempo la ci-
vile guerra fra i cittadini, rimanendo intanto sepolte
in un^^opportuna oscurità le azioni di barbaro valo-
re, che insanguinarono la comune patria • Una cit-
tà, come Firenze, di cui la molla principale era il
commercio, non potea restar lungamente in guer*
ra, senza che quello minasse, perciò combattuti
<8) Malasp. cap. 104.
{9) La pia vensimile opinione è che questa fazione sìa nata
in Germania : ecco il passo pia autorevole per istabilirla ; Factum
est sub Conrado IL Svevo: qui circiter annum loaS, imperium
iniit in pugna quam gessit cum Guelpho Bavariae Duci . . . cum
in ea. pugna Guelphi Bavariae ducis auxiliares simbolum hoc
hdberent — . Eie Guelphi — qui vero sub Conradi Caesaris — hic
Guibeling ^-^ clamarent f quod Conradus in vetustae nobilitatis
pago Waiblingen nutritus esset, inde primum Caesarianis Cui'
bellini f Pontificiis Guelphi nomen haesit quod Guelphus Italica
Pontijfcis auxilia contra Conradum Caesarem adduxit — Felìc.
Osi. nota SS. robr. 6. Histor. Albertini Muss« Moratori Antic.
EsteiL tom. 1. cap. 3i, Rer. ital. disser. 3.
46 LIBRO TERZO
^^ dall'animosità^ e dairinteresse facevano i cittadini
^"^1 sovente delle temporarie tregue, indi si tornava aK
iai7 le armi. Fu un palliativo a questo male Tardorp
risvegliato di una nuova Crociata . Molti Fiorentini
di animo feroce, e guerriero, lasciando le domesti-
che brighe andarono a questa impresa (io): è cele-
iai9bre fra di essi il nome di Buonaguisa dei Galigari,
che nell'assalto di Daraiata fu il primo a salir sulle
mura, ed a porvi lo stendardo, o gonfalone bianco
e rosso, insegna della sua patria, che per memoria
di azione si illustre fu appesa nel tempio di S. Gio-
vanni (li)- I discendenti di quest'uomo per ono-
rarsi del suo nome, lasciato il vecchio casato dei
Caligari, presero quello dei Buonaguisi.
laao Fra le repubbliche di Pisa, e di Firenze si ruppe
in quest'anno la pace finora da tanto tempo conti-
nuata • Gli Ambasciatori pisani vennero alle mani
coi Fiorentini in Roma, ove si trovavano per assi-
stere alla coronazione di Federigo II. Il motivo (se
pure è vero) fu assai ridicolo, ed indegno degli
effetti che produsse (12). Ma probabilmente vi' eb-
be parte qualche altra causa, che dagli "Storici non
si accenna. Era assai facile aggiustare ano sconcer-
to nato da piccolissimo motivo, senza venire ad una
pericolosa rottura. I Pisani probabilmente comin-
ciavano a mirar con occhio di gelosia la' ci^escente
potenza dei Fiorentini, il commercio dei quali an-
(10) Rìcord. Malas. cap. 106. ^
(t 1) Il Malaspina racconta che alla sua etk si mostraya il di di
S. Giovanni. Gio. Villani lo conferma > e aggiunga che vi era an-
cora ai suoi tempi . *
(la) Un cane promesso da uno smemorato Cardinale frìnn
ad uno degli Ambasciatori pisani , indi ad uno dei ficn'entini gli
fece venire alle mani . Malasp. cap . 1 1 3.
9 ,•
CAPITOLO QUARTO 47
dava continuaitieote aumentandosi • Erano le loro
merci obbligate a passar di Pisa^ e per mezzo del ^iq^
suo porto escir dal continente: non è fuor di prò- >^3i
posilo cbe 'prendessero questa occasione per inter-
romperne il corso; realmente confiscarono subito le^
merci dei Fiorentini cbe si trovavano in Pisa . L^osti-
oazione dei Pisani non solo a ritenerle^ ma il negar
fino di restituire in loro vece delle balle di stoppa
come si contentavano i Fiorentini j purcbè con que-
sta apparente restituzione fosse salvato il decoro (i 3),
chiaramente mostra Talienazione dei Pisani da una
riconciliazione, e conferma la nostra congettura .
Si dovette pertanto venire alle armi. I Pisani mae-
stri di guerra per mare non lo erano egualmente
sulla terra ; venuti alle mani i due piccoli eserciti
presso Castel del Bosco (14)7 furono sconfitti i Pì^
sani restandone, oltre i morti^ prigionieri i3oo.
Non ci tratterremo sulla guerra dei Fiorentini coi
Sanesi sostenuta in difesa di Montepulciano, che però
fu preso, e mezzo rovinato dai Sanesi . Se ne ven*
dicarono i Fiorentini con devastazioni alle sanesi
campagne, coir inutile assedio di Siena e con villar
ni insulti contro della città (i5). Durò questa pic-
cola guerra di scorrerìe circa sei anni; ed al fine laSi
col mezzo del Cardinale Prenestino, a ciò deputato laSa
dal Papa, si fece la pace (16) • ia33
Le civili discordie, cbe la guerra sacra avea al- 1^34
quanto calmate, traendo fuori di Firenze Tumore ia35
(1 3) Malasp. cap. 1 1 3.
(i4) Malasp.'cap. 11.4* ii5«
(i5) Vi era l'uso d' insulure una cillà collo scagliarvi dentrQ
coi mangani asini, e bruUure .
(16} Annal. Senen. Rer. Ital. Script, iota. 1 5.
48 LIBRO TER20
morboso che l'agitava^ si risvegliarono. Il contra-
di^c! ^^^ ^^ ^^ Sacerdozio e V Impero non era stato mai
ia35 estinto: l'interesse mondano , e non lo zelo di reli»
gione lo avea sempre risvegliato; onde gl'Impera-
tori^ e i Papi^ che si disputavano il temporale pos-
sesso d' Italia , erano sostenuti dalle due potenti
fazioni 9 seguitando i Guelfi il Papa, i Ghibellini
rimperatore. L'una^ o l'altra fazione era domi-
nante secondo il vigore^ ed il talento dei loro capi:
si è veduta l'attività , e la forza dell'Imperatore
Federigo I^ protettore della Ghibellina fazione, e
nemico del Papa • Il suo figlio Arrigo YI^ con più
vizi del padre y senza averne ereditata alcuna virtù,
mori presto carico dell' odio pubblico y lasciando
un figlio pargoletto^ che quantunque ereditasse i
dritti al regno di Sicilia, di Germania, e le preten-
sioni all'Impero, era di età troppo tenera per poter
dar ombra alla Corte di Roma • Giunse intanto al-
l'imperiai corona Ottone lY della famiglia Guelfa,
e perciò del partito pontificio: ma venendo in Ita-
lia per esercitarvi i suoi dritti , la Corte di Roma
non lo riguardò più per suo amico. Papa Innocen-
zio III giunse finalmente a scomunicarlo, e scor-
dato dell'inimicizia con Roma della Casa di Svevia,
tentò di opporgli il giovine Federigo , non potendo
prevedere quanto più terribil nemico dovesse essere
un Principe eguale, o superiore all'avo Barbarossa
nel talento, e nel valore. Dopo la morte sollecita
di Ottone die il Pontefice al giovine Federigo la
corona imperiale, facendogli però prima promette-
re di portar l' armi in Terra Santa . Otteneva eoa
due fini: promuoveva un'impresa sempre cara alla
Corte di Roma, ed allontanava dall'Italia un uomo
CAPITOLO QUARTO 49
che potea dar delle brighe alia sovraiutà pontificia. ^^
Non prese il nuovo Imperatore graii cura di eseguir ^^o.
la promessa^ premendogli di aggiustare prima le '^^^
cose d'Italia: per questa mancauza, ed altri grava-
mi, fu Federigo percosso dalla solita arme dei Pa-
pi j dalla scomunica fulminata da Gregorio IX, non
valendogli la scusa di essere infermo. Venuto il
tempo opportuno^ fece vela da Otranto con parec-
chie navi y e giunse ad Acri y non facendo conto
delle censure, o credendo di riceverne una tacita
assoluzione, coU'adempire alla promessa. Ma trovò
tutto il Clero, e i di lui aderenti suoi dichiarati ne-
mici, che in vece di promuovere unitamente l'im-
presa di Terra Santa ^ pieni di fanatico zelo^ attra-
versarono i suoi disegni, spargendo che non si do-
vea aver comunicazione con un principe scomuni-
rato; nello stesso tempo furono invasi i suoi domini
di Puglia dall'esercito pontificio, che portando per
divisa le chiavi di S. Pietro sul vestito era detto
Chiavisi gnato. L'attivo Federigo trionfò di tutti
gli ostacoli: costrinse il Soldauo ad una capitola-
zione, per cui gli furono cedute le città di Gerusa-
lemme, Betlemme, Nazzaret e Sidone. Ad onta di
questi santi acquisti riguardato con orrore dagli ec-
clesiastici, non si trovando chi lo coronasse Re di
Gerusalemme , egli forse per burlarsi della cerimo-
nia^ posta la corona sull'altare, se la mise in capo
da per se stesso. Ritornato rapidamente in Puglia^
riconquistò ben presto i perduti dominj . Dopo tante
reciproche ofiese è facile l'immaginare, che non vi
era da sperar reconciliazione fra lui, e il Pon tefice ( 1 7).
(1 7) Molti sono gli Scrittori di questi avvenimenti . Yedansi
ìgtr latti gli Ann. del Afurat. ann. i aaS: 29.
Tomo IL 4
/
So LIBRO TERZO
2^ Le città di Toscana erano divide, ma Pisa avea
die. sempre seguito il partito imperiale. Agli antichi
ia35 favori ricevuti dalla casa di Svevia si a<>?iun<^eva
una misura della Corte di Roma atta ad irritare i
Pisani. Sempre sollecita quella Corte dei suoi avan-
zamenti» avea inviato in varie parti d'Italia dei re-
ligiosi, in specie Minori , e Domenicani per l'otti-
mo fine di predicar la pace, e la concordia, ma
che neir^istesso tempo esigevano dai popoli il giu-
ramento di fedeltà al Papa, e portavano lettere ai
Vescovi, che comanda vau loro di esiger lo stesso.
Furono quei religiosi sbanditi da Rinaldo Duca di
Spoleti , e da Federigo proibite queste pericolose
ia4o missioni (i8). Era la Sardegna dominata dai Pisa-
ni: in essa si portò uno di questi sacri inviati cfait-
mato Alessandro^ cappellano del Papa , colla quali-
tà di Legato Apostolico, e gli venne fatto di sedur-
re i pisani Feudatarj. Ubaldo Visconti teneva in
feudo dalla Repubblica pisana il giudicato di Gal-
lura, Adelasia quello di Torri, e Pietro di Capra ja
quello di Arborea . Ottenne il Legato Apostolico
che renunziassero in sua mano i respettivi giudica*
ti (ig), contro il giuramento già prestato alla Re-
pubblica , e gli ricevessero nuovamente in feudo
dal Papa . Quest'atto esasperò il Governo di Pisa, ed
essendo in essa dei cittadini soliti ad obbedire cie-
camente a Roma, anche negli affari, ove la religio-
(18) CroDic dì Rice, da S. Germano rer. ital. tom. 7. p€tr.
de*Yin. epis. lib. 1. cap. 19.
(19} I giudici erano chiamati anche regesa regendo^Emo
figlio di Federigo II sposò la nominata Adelasia, restata vedora»
e riunì varj giudicati o per V autorità imperiale del padre » o coUi
concessione dei Pisani^ e fu perciò Re, o Governatore della Sar*
degna .
CAPITOLO QUARTO 5i
ne Don ha Inogo^ vi furono dei scompigli , e delle
divisioni, benché la parte che aveva nelle roani ildi°c*
governo si mantenesse salda nell'antico partito im- i^4o
periate (ao). Si portò Federigo in Toscana per ec-
citare quelle città contro Roma^ e confermare i suoi
partitanti • Si arrestò per qualche tempo in Pisa
per concertare i mezzi di far più vigorosamente la
guerra contro il Pontefice : questo intanto moltipli-
cava contro lui le censure. Per dar loro maggior
solennità intimò un Concilio *in Roma in S. Gio-
vanni Lateranoy chiamando gli ecclesiastici da tut-
te le cristiane provincie. Federigo, non spaventato .
da questi fulmini, contro i quali era oramai ag.
guerrìto, trovandosi all'assedio di Faenza, non solo
arrestò tutti gli ecclesiastici, che si portavano a
quel Concilio, ma sapendo che in Genova era adu-
nata una gran schiera di Prelati francesi assieme
coi Cardinali Jacopo Vescovo di Palestrina, ed
Ottone di S. Niccolò in Carcere , per passare a Ro«
ma per mare, persuase i Pisani a unir le forze loro
a quelle condotte di Sicilia da Enzo suo figlio, e
attaccar la flotta genovese nel passaggio . Benché
tanto nemici dei Genovesi, per reverenza al Clero
i Pisani avvertirono i Prelati , e i Genovesi a non
arriscbiftrsi al passaggio . Sprezzata la minaccia gli
imprudenti Genovesi benché inferiori di numero,
e colle navi cariche di uno stuolo di gente imbelle,
invece di allargarsi in mare, e sfuggir la batta<^'lia ,
andarono baldanzosamente ad incontrar la flotta
nemica^ e tra l'isola del Giglio, e Monte Cristo
non lungi dalla Meloria il di 3. di maggio ebbe
(30) Cav. FUm. dal Borgo dell' Istor. Pis. dìsser. 4*
52 LIBRO TERZO
: luogo una sanguinosa battaglia colla peggio dei
f]i (^, Genovesi : ventidue galee furon prese dai Pisani,
ia47 tre colate a fondo: 4ooo prigionieri^ fra i quali
due Cardinali, e Taltra turba di ecclesiastici, furo-
no condotti a Pisa in trionfo; e Tunica distinziooe
che riceverono questi fu di essere legati con catene
di argento (si) • Non mancò Federigo di vantar
questa vittoria come un giudizio di Dio, che favo-
riva la sua causa ; e il suo segretario , ed amico
Piero delle Vigne fece uso di tutta l'eloquenza per
mostrare, che in tale avvenimento era manifesta la
mano del Signore (a^)* Intanto animato dalhi vit-
toria Federigo s'inoltrò colle armi per gli stati poa-
tificj, ne occupò varie città, e si spinse fino sotto
Roma. Papa Gregorio aggravato dall'età, e forse
anche dai dispiaceri , cessò di vivere.
Proseguirono i Pisani la guerra contro Genova
col massimo vigore, liberarono Savona dall'assedio,
e nel mese di settembre uscirono dal pisano porto
con ro5 galee, e loo legni più piccoli (aS), por-
tandosi contro di Genova : il qual magnifico arma-
mento andò probabilmente a terminare nella bo-
riosa , ed inutile soddisfazione di scagliar contro la
città delle freccie guarnite di argento (a4). Pio volte
le flotte imperiali 9 e pisana si accostarono alla ri-
viera di Genova^ ma nulla vi fecero d'importante,
(ai) BartoL Serio, rer. iuL tom. 6. e specialmente un'aotes-
tlca caru citata dal Gay. Flam. Dal Borgo diss. 4. dell' istor. Pisi-
na. Villani lib. 6. cap. ao.
(a a) Petrus de Yine. epist. cap. 8. e 9.
(a3) In questo grande armamento non vi è nulla di esageralo
dagli storici » essendo attestato dalla pubblica iscrizione » che stata
affissa lungh' Arno nel Palazzo detto delle Vele , e eh' è stata tra-
•portata ultimamente nel Campo-Santo di Pisa .
(34) Bartol. Sor. conyin. Gafiar. rer. iuL tom. 6.
♦
CAPITOLO QUARTO 53
anzi pare che sfuggissero rincontro dell' armata ge-
novese (a5). A Gregorio IX era succeduto Celesti- ^[ q^
no IV che poco visse, e perciò ebbe poco da fare 1^47
coir Imperatore: in suo luogo fu eletto Innocen-
zo IV della famiglia dei Fieschi: la sua amicizia
coirimperatore fece sperare facile un aggiustamen-
to: aia gr interessi rendono nemici i più stretti
amici. Dopo molti inutili negoziati Innocenzo,
temendo le armi, e le insidie di Federigo, era fug-
gito d' Italia , e portatosi in Francia , tenuto un Con-
cìlio in Lione, avea scomunicato^ e deposto T Im-
peratore « Esso intanto dominava Tltalia. Fra le
città dì Toscana , benché Firenze fosse divisa nelle
due fazioni, pure vi preponderava la Guelfa. L'Im- 1^4^
peratore, sotlìando sulle fiamme quasi spente, vi
riaccese più forte il fuoco Ghibellino, eccitando
specialmente gli liberti, e promettendo aita alla
loro parte; si tornò nuovamente alle armi . In più
luoghi della città si dettero sanguinosi combatti-
menti (a6): giuntovi finalmente il figlio delTIm-
peratore con 1600 cavalieri tedeschi, i Guelfi fu-
rono obbligati a cedere; si ritirarono da Firenze,
ma con aria feroce, e colle armi alla mano: anzi
prima di partirsi venendo a morire dalle ferite ri-
cevute nelle passate azioni Rustico Marignolli, ca-
valiere dei primi tra i Guelfi nel giorno stesso della
loro partenza lo condussero a seppellire in S. Lo-
renzo in mezzo alle armi, come in aria di trionfo >
giacché il solo segno funebre erano le bandiere ro-
vesciate, e che si strascinavano sul suolo. Nella
notte appresso, conoscendo inutile la resistenza, /
(a 5) Bartol. Script, loc. e. Tronci Annali.
(a6) Blalasp. cap. 137. Amm. lib. a.
54 LIBRO TERZO
* uscirono i Guelfi dalla città (27) • Il furore delle
^"^' discordie civili non ha limiti: i Ghibellini restati
1^48 padroni non potendosi più sfogare contro i Guelfi
minarono le loro abitazioni^ e specialmente le tor-
ri^ delle quali era adoma in quei tempi Fireuze,
come le altre città d'Italia. Quella dei Tosinghi
formata a colonnelli di marmo, che adornava mer-
cato vecchio, s'inalzava novanta braccia da terra;
ia49 un' altra giungeva a i3o: furono queste, insieme
con molte altre, gettate al suolo. La brutale rabbia
di costoro si scorge nel barbaro tentativo di ruioare
il tempio di S. Giovanni, che non era^reo di altro
delitto, che di essere il luogo ove i Guelfi usavano
di tener le loro adunanze. Stava una bella, ed alta
torre al principio di via degli Adimart: tentarono
di farla cadere su quel tempio , e così minarlo.
Avendola appuntellata con grossi travi dalla parte
che guardava il tempio, e dallo stesso lato in gran
parte tagliata, posero il fuoco ai puntelli: il caso
salvò sì bell'edìGcio, essendo la torre caduta altro-
ve (38). Si erano i Guelfi ritirati in gran copia a
Capraja: vi furono strettamente assediati dai Ghi-
bellini rinforzati dai Tedeschi, ed animati dall'Im-
peratore Federigo stazionato a Fucecchio: man-
cando ai Guelfi le vettovaglie dovettero rendersi a
discrezione, e sofirire gli strazj dei barbari vincito-
ri, essendo parte di essi acciecati , parte uccisi,
parte condotti in schiavitù da Federigo nel R^no
di Napoli (29). Queste disgrazie invece di abbat-
laSotere, non fecero che irritare i Guelfi: essi io Val
(37) Amm. lib. a.
(aé) Malasp. cap. 1 3^^
(^9) Malasp. cap. 1 40.
CAPITOLO QUARTO 55
d'Arno di sopra difendeodosi vigorosamente ruppero ^^^^
i Ghibellini, che se ne tornarono vergognosamente 4.*^°*
in Firenze. laSo
Già il popolo cominciava ad avvedersi di esser
sacrificato alle discordie dei Grandi , e di servire
alle loro private vendette^ sotto il pretesto di pub-
blico bene: preso coraggio da questa disfatta , tu-
multuando specialmente contro gli liberti, capi
della dominante fazione , chiese altamente nuova
forma di governo • I nobili impotenti a resistere
dovettero cedere, fu costituito il nuovo governo in
modo, che il popolo^ che probabilmente o n'era
escluso, o v'avea di rado, e piccola parte, vi fosse
più liberamente ammesso. Tolta la Signoria al Po-
testà, dodici Anziani detti del Popolo furono creati ,
ed essendo in sesti divisa la città, due per sesto
ne furono eletti, ed un Capitano del Popolo invece
del Potestà, la di cui carica abolita, fu però nel se-
guente anno rimessa, ma con limitazione maggiore
di autorità. Per assicurare questa nuova forma di
governo contro le prepotenze, dei Signori , i quali
sovente stimavano grandezza l'insultare alle leggi,
stabilirono una forza pubblica: 20 bandiere, o gon-
faloni furono dati a ao caporali in città, tre per
sesto, e quattro al sesto d'Oltrarno (3o); e a quello
di S. Piero Scberaggio, probabilmente più popolati.
Al suono di una campana, ove il bisogno richiedes-
se, doveano le persone atte alle armi radunarsi sotto
la loro bandiera : lo stess' ordine fu preso in con-
(3o) Siccome la parta piii estesa della ciuà è sUto sempre
tulla sponda dritta deU'Arno» fu comime uso di chiamar Oltrarno
quella situata sulla sinistra: chi brama sapere tutte le bizzarre ligu-
re dipinte nelle bandiere, può consultare Malasp. cap. \i. •
56 LIBRO TERZO
-lado: furono date le baadiere a 96 pivieri, la gio»
^.''^'ventù dei quali dovea esser pronta alle armi per
i25o sostenere il Governo^e difenderlo dagl' interni, co-
me dagli esterni nemici .
La sentenza poutificia contro Federigo non man-
cò di produrgli dei tristi effetti: in Germania, in
Lombardia, in Puglia, ed altrove si eccitarono delle
ribellioni contro di lui: fu abbandonato da molti
dei suoi amici. Anche i Pisanit che si trovavano
involti nella stessa scomunica, vollero riunirsi colla
Santa Sede: il Papa gli riceveva a braccia aperte,
ma esigeva che abbandonassero il partito di un Im-
peratore separato dal grembo della Chiesa: esitaro-
no essi un momento ; ma restarono fermi al par-
tito imperiale (3i). Anche quell'uomo singolare, e
per tanto tempo amico, favorito, e principal mini-
stro dell' Imperatore, Piero delle Vigne, cadde final-
mente nella sua indignazione: il delitto è incerto:
ma un favorito che ha tanti nemici può assai age-
volmente esser minato quando gli affari del soo
padrone vanno male. Il pubblico, sempre malcon-
tento di ogni governo, è pronto a condannare il
ministro, ed assolvere il Principe. A questa causa
si aggiunga quella addotta da Dante: l'invidia , e la
persecuzione dei cortigiani (3a). Fu il disgraziato
ministro, che avea per tanti anni fedelmente ser-
. (3 1) Flam. d^l Borgo diss. 4* dell' Ist* Pìsan.
(3 a) Dante Inferno C. 1 3.
La meretrice, che mai dall* ospizio
Di Cesare non torse gli occhi putti.
Morte comune , e delle Corti vizio »
Infiammò contro ine eli animi tulti;
£ gFÌAfiainmati innanuRar.sì Angusto,
Che i lieti onor tornaro in tristi lutti ec«
Dante crede che Pietro si ucoidejse da se ateaso*
CAPITOLO QUARTO 57
vito^ £Eitto acciecar in S. Miniato^ indi mandato a
Pisa per esporlo alla derisione del popolaccio. Ca-^jj^^c!
duto da un mulo mori di una grave percossa neli^^o
capo (33). Finalmente dopo una vita sempre agi-
tata mancò di vita anche Federigo in Fiorenlino ,
castello di Puglia . Fu sepolto in Palermo^ e fra tutte
le iscrizioni sepolcrali presentate al suo figlio Man-
fredi , si dice che quella che più gli piacque fu la-
voro di un cherico aretino (34) ; nia pare ve ne fosse
apposta un'altra meno elegante. Niun sensato scrit-
tore ha negato grandi talenti a questo Sovrano; il
giudizio che se ne forma y sarebbe pia concorde se
non avesse avuto la disgrazia d'incorrere nella sco-
munica gli Ecclesiastici perciò lo hanno dipinto qual
empio, e irreligioso^ riguardando come delitto contro
la religione^ la resistenza alle pretensioni pontificie
meramente secolari. Altri al contrario lo ha giudicato
pieno di quel vigore di spirito- che sa distinguere la
Tera religione dalle contrastate prerogative ecclesis^-
stìche, onde ebbe il coraggio di resistere alle armi
temporali di Roma^ come alle spirituali. Il lettore
sayio per altro, secondo la propria maniera di pen-
sare, se ne fermerà a suo senno il carattere. Segui- »^^»
tando il sistema delTavo Federigo I. , fu nemico
delle repubbliche italiane, considerandole ribelli
air Impero. Come quello favori le scienze, ^e le
(33) Il docomento pHi autentico della morte di Piero h quello
dello spedale di S. Chiara di Pisa» riferito dal Cav- Flam. dal Borgo
-diss. 4* déll*Ì8tor. Pisan. ove si dice che fa sepolto in S. Andrea .
(34) Qnesta era V iscrizione :
^1 prohitas , sensus, virtutum copia , census,
Nohilitas ortif possent resìstere morti :
Nonforet extinctus Fridericus qui jacet intus,
JJ anonimo Scrittore della Cronic Sicil. ne riferisce un' aUra. Re-
rum, ital. Tom. a 5.
58 LIBRO TERZO
lettere. Il primo però fu liberale di onori , e di
ó^C. premj ai Profesaori di legge , specialmente ai Bolo-
ia5i gnesi, interessandoli a prender la difesa dei dritti
imperiali: il secondo amò i letterati per amore
delle lettere 9 né sdegnò di entrare anch'esso nel
rango di autore; toccò anch'esso la poetica lìra^ e
si guardano con venerazione i frammenti poetici di
un gran Sovrano, che si conta tra i fondatori del-
l'Italiana poesia. Trasfuse l'amore del sapere nei
suoi figli naturali: Enzo Re dei Sardi si distinse
come poeta, e Manfredi fu gran protettore delle
lettere.
Animato il popolo fiorentino dalla morte del pro-
tettore dei Ghibellini, dopo aver costituito il gover-
no nella descritta forma per tenere in freno sempre
più i Grandi che erano Ghibellini, intesa la morte
deU'Imperator Federigo, richiamò i Guelfi, e furoo
fatte pacificar le due sette. Era però difficile il te-
nerle d'accordo. La parte Guelfa divenuta superiore
pretese di far rimettere in Pistoja gli esuli Guelfi :
la fiorentina repubblica era pronta a riguardare
come pia, e giusta una misura che avea presa ella
stessa; onde s'interessò a sostenerla.. Aesistendo i
Pistojesi, vollero i Fiorentini costringerli coli' ar-
mi: ricusarono i Ghibellini d'aver parte all'im-
presa , e di marciare contro i loro amici : questa fa
la causa che, tornati i Guelfi da quella spedizione,
in cui, benché non venisse loro fatto di rimettere
gli amici in Pistoja aveano però rotti i Pistojesi,
cacciassero di Firenze i Ghibellini, e ciocché mo>
stra l'animosità, e la voglia non di spegnere, ma
di perpetuare il partito, cangiarono Tarme del Co-
mune: il giglio bianco in campo rosso fu mutato ia
CAPITOLO QUARTO 5g
giglio rosso in campo bianco, ritenendo i Ghibellini ^^
l'antica insegna del Comune: cambiamenti, che die.
quantunque possano apparir piccoli , contribuivano ^^^^
col distintivo deir insegna a mantenere, e ad ani**
mare le divisioni (35) • Cosi le fazioni che si volea*
no spegnere erano risorte, e il governo della Repub-
blica andava ondeggiando fra Tuno, e T altro parti*
lo. Se l'espulsione di una fazione partoriva la quie*
te interna , produceva quasi sempre una guerra
esteriore. Gli esuli Ghibellini si riuniscono a Mon-
taja con alcuni Tedeschi già seguaci dell'Imperator
Federigo: sono soccorsi dai Sanesi, e dai Pisani: i
Fiorentini vanno loro incontro, e gli dissipano:
questo non fu che il preludio di un più forte com«
battimento. Si erano volti i Fiorentini contro i Pi*
stoiesi , quando furono recate le nuove che i Pisani
aveano rotto i Lucchesi loro alleati a Montopoli.
Corsero perciò in loro soccorso: giuntili presso Pon«
tederà, ed attaccatasi una feroce battaglia, furono
i Pisani sconfitti con grandissima perdita, facendosi
ascendere a 3 mila i prigionieri, fra i quali il Potè*
sta medesimo di Pisa (36). In ogni altro luogo fu^
reno le armi dei Fiorentini superiori: Figline, ove
eransi rifugiati molti Ghibellini, fu preso; MontaU
cine, liberato dall'assedio dei Sanesi.
La città andava rapidamente crescendo di popò-
lazione, e di ricchezze, ed era ciò avvenuto special
mente nello spazio di anni 34 > come lo mostrano
varie osservazioni. Non esisteva che il solo Ponte
vecchio nell'anno I3i8; fu in detto anno fabbrica-
(35) Rie. Malas. cap. 45.
(36) Malasp. cap. i5o. Amin. lib. a.
6o LIBRO TERZO
^ to quello della Carraia: i8 aoni dopo^ RubacoDte
^"^|da Mandella Milanese Potestà di Firenze dette il
luSanonieal Ponte, che ora dicesì delle Grazie; e nel
presente anno si costruì quello di Santa Trinità. Si
battè ancora in quest^ anno per la prima volta mo-
neta di oro: il bel fiorino di Firenze, che acquistò
celebrità in tutti i paesi commercianti, fu amnoiira-
to fin d'allora sulle spiagge dell' Affrica dal Re di
Tunisi forse con invidia dei Pisani; e le loro rispo-
ste derogatorie alla fiorentina Repubblica, mostra-
no la continuata animosità fra le due Repubbliche,
seppure non è questo uno dei tanti menzogneri
aneddoti, di cui son piene T istorie.
Il fiorino di oro, i suoi componenti, e general-
mente la moneta di una Repubblica di tanto com-
mercio ^ meritano una più dettagliata illustrazione.
Si era finora fatto uso di moneta di argento, e di
rame, la quale probabilmente cominciò a battersi
nel XI secolo. Non trovandosi alcuna moneta par-
ticolare alla Toscana sotto i Ducbi, e Marchesi, uè
memorie di esae^ si può con qualche verisimiglian-
za concludere che non ne avesse una propria, e
cominciasse ad averla quando si stabili la Repub-
blica • Se può parere strano che una città di tanto
commercio cosi tardi battesse moneta di oro , si
rifletta al valore molto maggiore che avea allora
l'argento, e si vedrà che con questo solo poteva
supplire, aggiungendovi le monete d'oro estere, che
correvano per l'Italia come gli Agostari ec« Vene-
zia, che più di buon'ora di tutte le altre città d'Ita-
lia coltivò un esteso commercio, battè moneta d'oro
più tardi di Firenze, cioè l'anno 1 285. Che Pisa
abbia battuto moneta d'oro innanzi a questo tem-
CAPITOLO QUARTO 6i
pò, potrebbe dedursi da tre monete d^oro col noaie
deir Impera ter Federigo II, e il nome, e V insegne ^j q^
pisane^ che si trovano nella copiosa raccolta di Mon- >a^^
8Ìgoor Franceschi Arcivescovo di Pisa (*); se non
potesse cadere il dubbio che fossero battute da Fe-
derigo nell'ingresso in quella città per sempre più
affezionarsela. Il dubbio può prender piede, quan*
do si riflette che jiè Venezia , né Genova battevano
moneta d'oro, e che Giovanni Villani^ che visse vi-
cino a quei tempii asserisce francamente lo stesso
di Pisa. Sarebbe strano che /juest' uomo, che fu uno
dei Deputati alla Zecca di Firenze^ che si è presa
cura di far registrar le antiche monete fiorentine
coi nomi degli Zecchieri^ e versato tanto in siffatte
materie, ignorasse questo fatto, e sapendolo, si
esponesse al ridicolo, in cui cade un autore, che
scrive cose notoriamente false. Ma lasciata siffatta
questione, egli è certo, che Pisa, Genova, Lucca
la batterono per autorità^ e permissione imperiale >
come mostrano le armi degl'Imperatori impresse-
vi; mentre Firenze la battè di propria autorità, né
vi stampò che S. Gio. Batista , ed il giglio. È vero,
che le città hanno nei nostri tempi preteso che ciò
fosse piuttosto onore conceduto dagl'Imperatori di
porvi le loro armi che permissione, a somiglianza
di quelle famiglie che hanno avuto licenza d'in-
qoartare o il giglio, o T aquila nelle armi loro da-
gl'Imperatori, o dai Be di Francia; ma siccóme si
è sempre preteso dagl'Imperatori, che spettasse ad
essi il concederne il dritto, resta dubbioso il titolo
di quelle città. Forse ancora chiesero quel privile-
(*) Ora posseduto dai saoì eredi.
62 LIBRO TERZO
" gìo per autorizzare di più Hi loro moneta presso gli
^|*C esteri, e facilitare il corso sótto Tombra dell'auto-
isSa rità imperiale. In qualunque maniera si voglia ciò
intendere, maggior vera potenza mostrava quella
città, che da per se, senza bisogno di licenza, bat«
teva moneta senz'altro privilegio, che la bontà della
sua lega ( che tosto si fa nota all'accortezza dei mer-
canti), e che presto rese sì accreditato negli esteri
paesi il fiorino di oro di Firenze, e gli fece dar la
preferenza sugli altri (Sj). Fu esso battuto di oro
finissimo al peso di una dramma, ossia tre denari,
ovvero settantadue grani; questo è il peso del nostro
zecchino gigliato, il quale ne ritiene le impronte,
e il valore. In quel tempo la proporzione dell'oro
all'argento era di uno a io -f- f(^ (38), onde il fio-
rino di oro fu diviso in 20 fiorini di argento delti
anche popolini , soldi ec. la somma dei quali forma?a
il peso di IO dramme, e ^^ ossia grani 770 in circa.
L'impronta era la stessa, e la grandezza all'inar-
ca , onde potè rendersi verisimile la burla dei po-
polini dorati conlata dal lepido Boccaccio. QuesU
vigesima parte del fiorino di oro fu suddivisa in is
denari, ciascuno dei quali, se la proporzione deh
Toro all'argento si fosse mantenuta la stessa^ cor-
risponderebbe ad uno dei nostri comani soldi di
lira; con più un terzo di un quattrino. Vari furono
i nomi del fiorino di oro, due soli dei quali meri-
tano spiegazione, cioè fiorino di galea, e fiorino di
suggello. Il ptimo ebbe quel nome per essere stam-
(37) Più volte foresUerì Signori > e Groverni dimindarono b
permissione ai Fiorentini di battere il fiorino di oro per la soa ce-
lebrità . Borghini loc. cit.
(38) Si mantenne ule fino al secolo XTV 9 ossia alla ac^^erta
di America. Carli sulle Zecehe*
CAPITOLO QUARTO 63
pato l'anno tà^a, in cui armaronsi dalla fiorentina , .
Repubblica le galee ^ e s'intraprese il commercio di di e.
Egitto: avendo ottenuto dal Soldano gli stessi pri- >^^^
vilegi che i Veneziani^ volle batter questo fiorino
per porlo in confronto col veneto, che avea colà
tanto credito. L'altro fu chiamato di suggello per-
chè un dato numero di fiorini di oro pesati diligen-
temente dal pubblico ufizio erano chiusi in un sac-
chetto di pelle, e col pubblico sigillo marcati, si
pagavano questi gruppetti senza riscontrarsi, e fa-
cevano un comodo nei grossi contratti. Oltre sifiatta
divisione materiale, e servibile, fu anche diviso il
fiorino di oro in una moneta immaginaria inventa-
ta per comodo della mercatura cioè la lira, anch'es-
sa formata delle sue parti aliquote, soldi e denari ,
ciocché dovea frequentemente far nascere della con-
fusione coi soldi, e denari del fiorino di oro. Anche
avanti era esistita la lira immaginaria in Firenze,
e nel secolo Xll equivaleva al valore, che poi ebbe
il fiorino di oro (39), ma divenuta frazione di esso,
fa soggetta a dei continui e forti cambiamenti, e
per le varie operazioni del commercio, e in specie
per il deterioramento della moneta di argento, in
cui cambia vasi il fiorino di oro. £ in verità 1^ aggio
di questo andò stranamente crescendo. Finche Tau-
mento fu moderato, poteva immaginarsi che il co-
modo e il pregio maggiore in cui tenevasi Toro, ne
fossero la causa : ma essendo giunto sopra ai 3o per/
100, è facile il vedere che il motivo nasceva dal-
Talterazipne del fino argento, con cui si battevano
i fiorini, o popolini^ o guelfi, o soldi di argento,
(3^) Rico. Itfalasp. Stor. fior. e. 98.
64 LIBRO TERZO
f giacché seta mistura onde componevansi aodi qoe*
j°2^sti, invece di contenere 770 grani di argento, co-
laSa me faceva di mestiero per equivalere a 73 grani di
oro , ne conteneva soli 700, o anche meno, e il re*
sto rame, o altro metallo, l'accortezza dei banchieri
gli rìduceva al giusto valore, e nel cambio voleva
tanta più moneta di argento quanta supplisse alla
mancanza . Da questa causa nascono le strane mu-
tazioni, e gli sbalzi, per dir così, sofferti dalla lira
come frazione del fiorino di oro: qualche volta una
lira e mezza equivaleva al fiorino, talora a, 3,6,
7 , ec. Senza siffatte notizie , innumerabili abbagli
si prendono dai lettori, e dagli scrittori stessi nel
computar le lire del fiorino (40) , essendo special-
mente delusi dal vocabolo lira, che da moneta im-
maginaria passò finalmente a reale sotto Cosimo I,
ed è divenuta una frazione costante del fiorino di
oro, o zecchino, composto di i3 e 3 di esse.
Fu questa un'epoca gloriosa pei Fiorentini: era-
no resi potenti dal commercio accompagnato in
questo tempo da quella frugalità che n^è la base,
il di cui quadro è vivamente dipinto da Dante (4i)
(4o} Ancbe il celebre inglese Scrittore della Vita dì Lorenzo
il Magnifico , trovando nell' Ammirato , che il fiorino di oro era va*
lutato lire tre, e soldi i o» ha creduto poter generalmente stabili-
re, che questo fosse il valore del fiormo, quando non fu che di
quell'anno. In una parola noi abbiamo un termine sempre fisso
cioè il fiorino di oro^ o Zecchino, che dal ia5a in qua non hi sof-
ferto al piii che V alterazione di 4 grani ; convien piuttosto dal fio-
rino di oro dedurre il valore della lira , che da questa il fiorino ,
onde quanto pììi cresce il numero delle lire, tanto più scema il
loro valore : per esempio quando era composta dì lire quattro,
ciascuna di esse corrispondeva a 5 dei nostri paoli, posta l'istessa
proporzione fra l'oro, e l'argento la quale però è variata. Per tut-
te le variazioni di queste monete, e pel numero, e nomi loro si
possono consultare il Conte Carli , e 1 autore della Decima •
(40 Fiorenza dentro delie cerchia antiche , ec.
CAPITOLO QUARTO 65
per contrapporlo al lusso ^ ed alla profasione dei'
suoi tempi . Seguitarono le loro imprese felicemen- ^i °(q)
te, Pistoja più volte attaccata dovette 6nalroente ^^^^
prender la legge dai Fiorentini , e rimettere i Guelfi:
assalirono indi Volterra^ ove regnava il partito Ghi-
bellìnoy e che situata in luogo fortissimo^ non pa-
reva possibile 9 secondo la maniera di combatter di
quei tempii il vincerla. Non era probabilmente in*
teozione dei Fiorentini che devastarne le campagne^
secondo la guerra di quei tempi . Mentre ciò avve-
niva sotto gli occhi dei Volterrani^ non soffrendo
questi che impunemente i nemici lo facessero^ aper-
ta improvvisamente una porta ^ uscirono loro addos-
so: ma rispintili furiosamente^ e dando ad essi la
cacciasi, con insperata fortuna entrarono i Fiorenti-
ni misti ai fuggitivi in Volterra , e guadagnarono la
piazza più forte della Toscana • Può recarsi a gloria
dei vincitori; che fu Volterra benché presa di as-
saltOy salvata dal sacco. Tutte le imprese erano in
quest'anno andate loro felicemente^ onde ebbero
ragione di chiamarlo Tanno vittorioso (4^) . Aveano >954
sconfitti i Sanesi; ed obbligati a ritirarsi dall'asse-
dio di Montalcino, e a ricever legge da loro; messi
in dovere ì Pisto'jesi; obbligatili a riporre i Guelfi
in città y e fabbricato ivi un castello sulla Porta fio-
rentina in modo da dominarla ^ occupato Poggibon-
zi^e con la recente presa di Volterra ponendo il
colmo alla loro prosperità, eccitarono la sorpresa ,
e il terrore delTaltre città di Toscana. Dopo l'im-
presa di Volterra si portò l'esercito fiorentino sul
contado pisano, e passata l'Era prese a devastar le
(4d)R. Malasp.c.55.
Temo 11. 6
66 LIBRO TERZO
T campagne. La fama delle fiorentine vittorie avea
diC. scoraggiti i Pisani , e le interne divisioni indeboliti.
i^H Si era ^ secondo l'uso di quei tempi y levato a rumore
il popolo pisano contro la nobiltà , e avea formato
un governo popolare^ di cui se vollero parteciparci
nobili furono obbligati ad entrare tra popolaci,
molti abbandonarono la città (4^)> 1^ quale trovan-
dosi divisa non ebbe in questo tempo coraggio di
contrastare al nemico; gli chiese pace rimetteado
le condizioni al suo discreto arbitrio: accettarono i
Fiorentini, e tornò l'esercito trionfante a Firenze
per consultar su quelle; erano essi uniti contro i
Pisani coi Lucchesi , e Genovesi^ si fece perciò un
congresso in Firenze degli Ambasciatori di quelle
due Repubbliche (44) > ^^^ fiorentino Governo, e
furono dettate ai Pisani le condizioni : 4a principale
e più utile pei Fiorentini fu V esenzione di tutti i
dazi e gabelle alle loro merci, che erano obbligate
a passar pel dominio pisano: che si restituissero ai
Genovesi i castelli di Lerice^ e Trebbiano: ai Iiuc-
chesi Motrone, al Vescovato di Lucca Montopoli:
lasciassero liberi i castelli di Garvaja, e di Massa di
loro ultimamente occupati, dassero in mano ai Fio-
rentini o il Castello di Ripafratta, o Piombino^ con
qualche altro provvedimento meno importante (45).
Non si può dare ai vincitori molta lode di moden-
zìone: temporeggiarono i Pisani neir adempimento
alle condizioni, e se si videro obbligati 9 cedere alle
(43}TronclAiin. Pisani an. ia54*
(44) Ann. Genuen. lib. VI ver. ital. Tom. 6.
(45) Queste condizioDÌ son riferite variamente piii o meso
gravose dagli Storici Bartolom. Scriba Ann. Genuen. lib. 6., dal
Tranci Ann. Pisani > dal Malasp. cap. i55.^ che ve ne a|
qualcun' altra.
CAPITOLO QUARTO 67
cÌTODetanze, era facile il prevedere che alla prima
opportunità avrebbero violato una pace vergognosa . 4p°^
Questo momento non era lontano: il partito Gbì- ia55
bellino per la morte di Federigo, e per la poca at-
tività di Corrado, restato inferiore in Italia, comin-
ciò a rilevarsi per opera di Manfredi, figlio natura-
le di Federigo. Questo Principe, a cui la natura fa
cortese di molti doni, degno figlio di Federigo II,
ne possedeva i talenti : leggiadro, amabile, pieno
di attività , e d'ingegno era stato creato dal padre
Principe di Taranto: egli però divenne presto la per-
sona più importante dei regno delle due Sicilie, pri-
ma come tutore del piccolo Gorradino, indi come
Sovrano. A Vendo nemica la Corte di Roma^ che
Yolea disporre a suo senno di quel regno, cercò di
guadagnarsi il partito dei Ghibellini che a lui , co-
me figlio del primo loro protettore, facilmente si
volsero. Vedendo Firenze dominata dal contrario
partito , eccitò la Repubblica Pisana a rompere
quelle condizioni, colle quali poco innanzi era sta-
ta costretta a comprarsi una pace vergognosa (46) .
Non vi volle molto a far muovere i Pisani : tuttavia ia56
non contro i Fiorentini portarono direttamente le
ormi , ma contro i loro alleati , i Lucchesi . A que-
sta infrazione dei patti non tardarono a porsi in
moto i Fiorentini. Unite le loro genti alle lucchesi,
attaccarono i Pisani presso a Ponte a Serchio, e le
ruppero con grandissima perdita dei Pisani (47)* Si
avanzarono i vittoriosi Fiorentini fino a S. Jacopo
(46) Ammir. Istor. Fior. lìb. a.
(47) L'Ammir. lib. a. copiando il Malas. racconta che oltre i
■ftorli» e gli affogati nel Serchio » 3 mila furono i prigionieri: pro-
queste perdite son quasi sempre esagerate.
68 LIBRO TERZO
gassai presso di Pisa; e ia segno di giarisdicLone, e
di e ^pr^gio <l6Ì Pisani vi batterono moneta (48)* Gostret-
ia56 ti i vinti a domandar frettolosamente la pace, l'ot-
tennero, ma le condizioni furono gravose , poiché
oltre i patti stipulati nel i254> ^^ aggiunse ia ces-
sione dì varj castelli ai Lucchesi , e ai Fiorentini •
Fra quelli che erano costretti a cedere a questi eni?i
Mutrone, lo che assai doleva ai Pisani giacché es-
sendo situato sul mare poteva divenire un comodo
porto ad una nazione commerciante, e indnstrìon,
che non solo non avrebbe avuto più bisogno di
Porto Pisano, ma acquistava i mezzi di divenire
una potenza marittima . Non potendo con la foni,
tentarono coir oro dMndurre i Fiorentini a minir
Motrone: non vuoisi lasciare in oblio un'azione lo-
devole di Aldobrandino Ottobnoni. Nelle disciis*
sioni sopra Mutrone questo virtuoso cittadino avea
opinato, che si disfacesse come inutile alla fioren-
tina Repubblica: erano quasi persuasi i suoi com-
pagni, e il giorno appresso se ne dovea fare il par-
tito: il Ministro pisano, che era in Firenze^ aven-
done avuto sentore, fece segretamente offrir da un
amico ad Aldobrandino 4 nula fiorini di oro, se gli
riesci va di far prevalere la sua opinione. Si accorse
Aldobrandino dall' offerta , che il suo sentimento
era falso: dette buone parole al mezzano, giunto
poi in Senato, chiesta scusa della mutazione di sen-
(48) Avaano ivi fatto tagliare un altissimo pino» e per espri-
merlo nella moneta si vedea un trifoglio ai piedi di S^n Giofanai.
Attesta il Villani di aver veduto parecdù di questi fiorini, onde
non pare possa cadervi il dubbio che vuol muovere il Gav* Flan.
dal Borgo, molto piii che lo stesso Tronci pisano annalista m teia-
pi tanto piii bassi afferma di avere avuto m mano pia di ubo A
questi fiorini di oro.
CAPITOLO QUARTO 69
timento, con tanta eloquenza perorò per la con tra «
ria opinione 9 che giunse (non però senza molta die
difficoltà) a far cangiare la deliberazione che il Ma- «^^^
gistrato stava per prendere. Era Aldobrandino male
agiato dei beui di fortuna , onde quando fu nota
tanta illibatezza y che ad onta del suo silenzio tra-
pelò air orecchie del pubblico^ ne riscosse sommo
applauso (49)- ^gli i^on fece che il debito di un
buon cittadino; e le lodi che si usano dare in sorai«
glianti avvenimenti, sono piuttosto una indiretta
satira al genere umano, la rarità di queste azioni
rendendole piuttosto eccezioni, che regole comuni
della vita. Essendo nell'anno appresso mancato di 1^57
vita quest'onorato cittadino, la patria con magnifi-
ca pompa ne fece in S.' Reparata 1* esequie, e gli
eresse jper eternarne la memoria un mausoleo.
L'abbattimento del partito Ghibellino in Tosca-
na avea specialmente causate le perdite dei Pisani .
Manfredi, sul cui ajuto aveano sperato, era lontano
e involto nelle guerre eccitategli dal Papa, e dai
snoi sudditi: il sostegno, che aveano sempre avuto
dagl'Imperatori, mancava loro in questo tempo in
cui l'Impero agitato da varie fazioni era vacante.
Le città d'Italia avevano goduto il dritto di parte-
cipare all'elezione (5o) del Re dei Romani , e d'Ita-
lia: è vero che poco tempo innanzi nel Concilio di
Lione Innocenzo IV dopo la deposizione di Federi-
go II avea data la facoltà di eleggere a quel posto a
sette Principi di Germania , ossia Elettori : ma non
crederono probabilmente le italiche città di aver
perduto quel dritto. Pisa fra queste, considerando
(49) Gio. VUL Ili. lib. 6. e. 64.
(50) Morator. dìss. 3. de imp. rom. et regum. ital. eie.
70 LIBRO TERZO
" le sue critiche circostanze, e quanto di forza le si
aTc! accrescerebbe per reiezione di on Imperatore a
ia57 lei amico, e quasi sua creatura, fece un atto che
può sembrare orgoglioso ai nostri tempi , ma che
fu allora dettato dalla politica , e dalla considera-
zione che godeva questa Repubblica • Essa mandò a
dar ia sua voce per l'elezione, ossia ad eleggere
realmente Imperatore il Re Alfonso di Gastiglia,
che graziosamente accolse l'onorevole ambasceria.
Bandino di Guidone Lancia, della famiglia Gasalei
di Pisa , fu r ambasciatore , e coi riti solenni lo
elesse per la sua Repubblica Re dei Romani, ed
Imperatore; il qual concesse i più ampj, ed estesi
privilegi alla città di Pisa (5i). Quest'atto grande,
e rispettabile mostra la considerazione di cui Pisa
godeva , e se ( come (5a) pare ) nello scisma in cui
erano gli Elettori, la nomina che fecero dello stes-
so Alfonso l'Arcivescovo di Treveri , il Re di Boe-
mia, il Duca di Sassonia, il Marchese di Brande-
burgo fu posteriore alla pisana elezione, questa ne
ricevè anche un lustro , ed una dignità maggiore
per essere stata seguitata da sì potenti Principi. Gli
altri Elettori , con molti Principi di Germania avet-
no già eletto Re dei Romani Riccardo conte di Go^
novaglia, fratello del Re d'Inghilterra. Nel tempo
della sospensione tra i due concorrenti, i Fiorentioi
(5i) Esiste il diploma riferito dairUgbelIi» dal Tronci, dU
Cav. Flam. dal Borgo, in cui vi sono le parole: E^o Bandinus
Lancea etc. , . , in romanorum regem, et imperaCorem rom, im*
perii nunc uacantis eligo, et assumo , promoveo atque voco etc^
ed esiste l'accettazione di Alfonso» e il diploma dei privilegi ai
Pisani .
(5a) I diplomi di elezione , e di concessione di privilegi soa
segnati nell'anno ia56, e l'elezione fatta dai Principi nominati
nel 1357., ovvero 58.
CAPITOLO QUARTO 71
crederono forse Alfonso più favorevole al loro par- .
tito^ onde gli spedirono il loro illustre cittadino dìC.
Brunetto Latini; ma le disgrazie che avvennero ai ^^^7
Ghibellini fiorentini resero inutile l'ambasciata (53).
Il Papa Alessandro IV restò per qualche tempo
neutrale, poi cominciò ad appellare eletto Riccar*
dO| e finalmente alla morte di questo negò di rico-
noscere Alfonso. La premura dei Pisani in elegger-
I09 e dei Ghibellini italiani per riconoscerlo^ lo re*
sero sospetto alla Corte di Roma la quale dopo lun-
ghe^ agitazioni lo escluse dall'Impero.
L'inattività 9 in cui si trovava il potere imperiale ia58
in Italia ; e l'impotenza dei Pisani a favorirlo , o
ad esserne ajutati^ rese più facile la lóro riconcilia*
zioue colla Chiesa, dal di cui grembo erano separati
da sedici anni , dal tempo cioè in cui , vinti i Ge-
novesi, condussero prigionieri in Pisa i Prelati, che
andavano al Concilio Lateranense. Aveano essi ri*
cosata la riconciliazione con Innocenzìo IV per es-
servi la condizione creduta da loro poco generosa
di abbandonare il loro alleato, ed amico Federigo 11.
Mon esisteva più siffatto ostacolo , onde avendo
chiesto ad Alessando IV l'assoluzione dalle censu-
re, fu loro concessa, e imposto l'obbligo di seguire
le parti dell'Imperatore, che sarebbe da lui rico-
nosciuto, e l'utile e salutare penitenza di fabbrica-
re uno spedale , che fu quello di S.^ Chiara . Si ese-
gui la fondazione da Fra Mansueto TanganeUi di
Castiglione aretino, penitenziere del Papa, ed alla
pubblica funzione assisterono molti Prelati , e lo
stesso S. Bonaventura (t>4)« Voleva il savio Ponteft»
(^^J Rie. Blalasp. e. i6a.
Cronic Pis. Flam. dal Borgo diss. 5. Tronci te.
71 LIBRO TERZO
yce pacificarli anco coi Genovesi ^ che contrastand<^
^°^Moro la Sardegna, e invaso il Principato di Gaglieriy
r»58 tenevano assediata Santa Gilia • Ordinò il Papa a
due cavalieri dimoranti in Sardegna , che colasi
portassero come suoi Legati , intimassero loro so-
spensione di ostilità^ che rimettessero la piazza
contrastata nelle loro mani, e che egli avrebbe poi
pronunziata la sentenza: ma prima che questi giun-
gessero, i Pisani, espugnata la piazza, aveano rìca*
perato il Principato di Caglieri , che diedero in
feudo a tre famiglie pisane ai Visconti, ai figli del
Conte di Capra ja, e ai Gherardeschi j Io che avven-
ne nell'anno susseguente, nello stesso tempo in coi
in Levante presso Acri uniti ai Veneziani dettero
una micidiale sconfitta ai Genovesi con una immen-
sa strage, la perdita di aS galere, e la loro espul-
sione dal porto di Acri. I Pisani, ed il resto dei
Ghibellini toscani non poterono valersi dell' ajuto
imperiale; Tebbero finalmente da Manfredi, che
sempre attivo proseguiva a fomentare il partito
Ghibelliuo in Firenze. Era questo tiranneggiato
dal Guelfo dominante, escluso dalle cariche pub-
bliche, e guardato con vigilante gelosia, onde na-
scondeva nel silenzio i proprj sentimenti: incorag-
gito però da Manfredi, tramava occultamente del-
le innovazioni . Guidavano la cospirazione quei de*
gli liberti, che giudicati meno pericolosi, dopo
l'espulsione dei Ghibellini, eran restati in Firenze.
Fu la congiura scoperta. Chiamati in giudizio, ri-
cusaron di comparire, e prese le armi, ardirono di
ii59 violare i ministri della giustizia . Il popolo però
voltossi tutto contro loro, e ne arrestò alcuni , che
perderono la testa sotto la scure . Molte altre fami-
CAPITOLO QUARTO ^^
glie complici della congiura fuggirono di Firenze:' .
restò involto in questa disgrazia TAbate di Yallom- ^^ q^^
brosa, della famiglia Beccheria di Pavia, preso a 13^9
sospetto dì essere complice: i tormenti gli fecero
confessare ciocché forse non era vero, e gli fu mozza
la testa (55). Si ritirarono gli esuli a Siena, che era
allora divenuta ricovero di quel partito • Fra i fuo-
rusciti fiorentini trova vasi Manente, ossia Farinata
degli liberti, capo della famìglia, d'indole feroce,
eloquente, qd ugualmente capace nelle armi e nel
consiglio (56). Era egli l'anima della fazione Ghi-
bellina: infiammò i Sanesi all'armi contro i Fio-
rentini, irritò contro di essi con tutti gli artificj
Tanimo del Re Manfredi (57), che mandò loro in
soccorso una scelta truppa di 800 cavalieri tedeschi
guidati dal Conte Giordano, sperimentato guerrie-
ro: altri mille ne furono assoldati: vi concorsero
tutti i Ghibellini di Toscana, e si fece a Siena una
massa assai numerosa dei più feroci nemici del Go-
verno fiorentino: di questa truppa però formavano
il nerbo i cavalieri tedeschi: erano assoldati per tre
mesi; onde vedendo Farinata che, se non si tirava
da essi partito prima di questo termine , manche-
(55) Malasp. cap. 1 59.
(56) FUipp. Villani degli Uomini Illus. Fior.
(57) Avea qael Re mandato non più di aoo cavalieri tedeschi:
fl piccolo soccorso scoraggi i Ghibellini: Farinata però ne trasse
il miglior partito.* avendoli ubriacati gli mandò insieme con altre
troppe contro i Fiorentini y che si trovavano presso Siena . Vi si
spinsero con tanto furore , che nel principio i Fiorentini presero
la fnga : veggendo poi il piccol numero di combattenti tornarono
vergognosi mdìetro, e messigli in mezzo tagliarono a pezzi tutti i
Tediescbi, e poi strascinarono per disprezzo sul suolo l'insegne di
Manfredi • Questo avvenimento fatto sapere da Farinata al Re, che
gli esagerò il valore dei suoi, e il dispregio fatto alle sue insegne,
impegnò il Re nell'impresa con mplto calore come Farinata avea
previsto • Malasp. cap. 164*
74 LIBRO TERZO
. rebbe il denaro per confermarli , tentò di tirare i
df^) Fiorentini ad nn' azione (58). Avendo per meno
ia6odi fidati emissarj , che farono dne frati minori,
fatto credere ai primi della fiorentina Repubblica
che se si fosse mosso il loro esercito verso Siena ,
sotto colore di rinforzare Montalcino, sarebbe aperta
loro una porta per liberar la città dalla tirannia di
Provenzano Salvani, potente, ed altiero cittadino,
fu dai Fiorentini creduto al fraudolento invito; e
quantunque molti, e specialmente Tegghiajo Aldd-
brandi degli Adimari, colla più forte ostinazio-
ne (59) dissuadesse un'impresa inutile, giacche si
sarebbe vinto colla pazienza , e il tempo avrebbe
combattuto per loro, fu messo in campagna im
esercito numerosissimo di genti , ma non di solda-
ti. Si disse che non fossero meno di 3o mila, e da
tutte le città alleate, o piuttosto soggette ai Fioren-
tini, vennero truppe ausiliarie; ma siccome dalle
medesime città erano stati cacciati i Ghibellini,
questi si erano riuniti a Siena , e i Guelfi a Firen-
ze, onde i due eserciti presentavano il tristo aspet-
(58) Nel racconto del memorabil fatto dì orme di Monteapef^
Uy e negli avvenimenti che lo precedettero abbiamo seguitato Ri-
cordano Malaspina scrittore contemporaneo , e la di cui autorità
84;mbra perciò superiore ad ogni altro • Tnttayia lo Storico Sanese
Malevolti nega molti di questi fatti; e asserisce che il Conte Giorda-
no era venuto fino dal dicembre dell' anno scorso cogli 800 cavai*
li, onde non pnò esser vero il racconto degl'insulti fatti all'inse-
gne ec. Se veramente nei libri pubblici di Siena si trovano idoci-
menti autentici della sua asserzione^ non vi è replica. Ma non sa-
rebbe stato fuori di proposito » che egli avesse riportato le parole
dei pubblici libri , come fa tante volte •
(59) Sullo stesso tuono parlò il Gherardini: eli fu comandato
dagli Anziani di tacere sotto pena di lire 100; volle pagar la pena,
ma parlare ; gli fu raddoppiata » e pagò la multa di lire 3oo per
dire delle inutili verità. Fu finalmente fatto tacere coUa miiyurf"
della pena della testa. Malasp. e* 166.
CAPITOLO QUARTO 76
to della divisione^ e guerra civile deli' intiera To-
scana • Dal solo Arezzo si asserisce^ che fino in 5 di e.
mila venissero in soccorso dei Fiorentini sotto il >^^
comando di Donatello Tarlati ^ mentre un'altra
schiera di fuorusciti , condotti dal loro Vescovo (60),
si era riunita in Siena; e se dee credersi a Raffaello
Roncioni^ una scelta truppa di 3 mila Pisani ven-
nero a Siena. L'esercito Guelfo era superiore in nu-
mero al Ghibellino, essendo quella fazione domi-
nante in "Toscana y ma probabilmente non vi fu
quella sproporzione che voglion far credere alcuni
storici. Marciava l'esercito Guelfo come a sicura
vittoria, sperando dover senza combattere entrare
in Siena: giunto sui colli di Monteaperti si arrestò '
per aspettar l'avviso dai Sanesi di procedere più
innanzi • Niente è più capace di sconcertare un
Capitano, ed una truppa quanto il vedersi venire
coraggiosamente incontro un nemico che si crede-
va vinto o fuggitivo: cosi i fiorentini Condottieri,
che andavano alla sicura conquista di Siena, quan-
do scorsero avanzarsi risolutamente i nemici , alla
testa dei quali era la truppa tedesca , tanto alla lo-
ro formidabile, cominciarono a sbigottirsi • Si venne
alle mani, e fu combattuto con molto valore; ma
non reggendo all'impeto dei Tedeschi, piegarono i
Fiorentini • Ad accrescer la costernazione si aggiun-
se il tradimento. Molti Ghibellini nascosi, nel tempo
della battaglia passarono ai nemici. Fra questi Boc-
ca degli Abati prima di passare all'altra parte, ti-
rò a tradimento un colpo a Jacopo del Vacca della
famiglia dei Pazzi, che portava l'insegna dellsi Re-
(60) Leonar. Bmii. his. lib. a. Glngurta Tornili. Ist. SancM
par* L Ub* 5. Blalayolti lib. 1 . p. a. Ptoloemeiu Locena. Ann.
76 LIBRO TERZO
^= pubblica ^ e lo fé cadere col braccio mouo in ter-
die. ^A (6i) • Sparse quest'atto il terrore tra i Fiorenti-
ia6o ni^ non sapendo più distinguere gli amici dai ne-
mici: il solo contrasto rimase intorno al Carroccio
su cui stavano le bandiere, e dintorno la miglior
parte dei difensori (63) volenterosi di comprarsi
una morte illustre col valore, piuttosto che la sal-
vezza colia fuga. Fu chiaro tra questi Giovanni
Tornaquinci, che presso al settantesim' anno stava
con suo figlio alla guardia di quel posto: vedendo
tutto perduto, incoraggito il figlio, e gli altri a se-
guitare il suo esempio, si scagliò trai nemici^ pror
testandosi di non voler sopravvivere a tanta mina;
e valorosamente combattendo fu ucciso. Una parte
del rotto esercito si era refugiato nel castello di
Monteaperti. Preso a forza il castello, furono i re-
fugiati tagliati a pezzi (63). Non è facil sapere il
numero dei morti in una battaglia, esagerandolo
sempre i vincitori, e nascondendolo i vinti: questi,
ossia gli scrittori fiorentini, non confessano che a5oo
morti, e i5oo prigionieri; ma il numero dovete
esser più grande, inferiore però air esagerazione de-
gli istorici Ghibellini (64)* Si conta questa battaglia
fra le più sanguinose di quei tempi: avvenne il dì 4
Settembre . Festeggiarono la vittoria con solenne
pompa i Sanesi , in cui vedeasi il Carroccio dei Fio-
(61) Malasp. cap. 167.
(6a) Leonar. Bruni Hist. Fior. lib. a.
(63) Amm. Htst. Fior, lib* a. Dante :
la strage , e il grande scempio
Che fece l'Arbia colorata in rosso.
(64) n più autentico monumento sarebbe la lettera dei Saaea
scritta al Re Manfredi, oye i morti si fanno ascendere a soli 3 mi-
la» ma probabilmente è apocrifa • Tedi Gronic» San» Rer« iiaL scr*
lom. 1 5. 9 e nota del Benvoglienti •
CAPITOLO QUARTO 77
rentìni strascinato a ritroso^ e il nome di Città della
Vergine fu preso da Siena in questa circostanzai di e!
come un devoto attestato di riconoscer dal Cielo il *^^^
felice successo (65) •
(65) Malayolti Ist dei fatti 9 e gaarr. dei San. Nelle monete al-
le parole Sena itetus, fu aggiunto Civitas Virginis . Questo sto-
rico per conceder tutta la gloria di questo giorno ai Sanesi , esclu-
de il soccorso dei Pisani . Il Benvoglienti poi vuole escludere l' in-
flaensa» e Tajuto del Re Manfredi. Si vegga la risposta vittoriosa
del Cav. Flam. dal Borgo Diss. 6. d-"''-* --• -^ *• - -
dne Scrittori senza lasciar loco a re
specialmente il racconto di Malasp. e
pili antico, e perciò più autorevole.
78 LIBRO TERZO
CAPITOLO r.
SOMMARIO
Decadenza della Parie ùuelfa. Concilio di Empoli* Magas'
nimità di Farinata degli Uìferti. Guerra con iLucca e co-
gli esuli Guelfi. Venuta di Carlo d'Angiò in Italia • Bai-
taglia presso Benevento , e morte di Manfredi. Riforma id
Governo di Firenze • Turbolenze cht succedono . Discesa di
Corradino di Svevià in Italia . Imprese dei Pisani armati
in suo favore . Battaglia di Tagliacozzo • Fuga di Com-
dino. Arrestato, è dato in mano di Carlo, Morte di Cor-
radino . Pace di Carlo coi Pisani , e con altre città di Tosca-
na. Pace tra i Guelfi é i Ghibellini di niun effetto. Guem
civile fra i Pisani , fomentata dal Re Carlo. Morte del Pupa
Gregorio X. Nuova concordia fra i Guelfi e i GhibelUm w
Firenze. Affari di Sicilia. Celebre Vespro Siciliamo. Nuovo
cambiamento di Governo in Firenze.
JLja rotta di Monteaperti fu uno dei colpi più fa-
tali alla fazione Guelfa non solo in Toscana, ma
per tutta Tltalia. La costernazione dei vinti fu ta-
le^ che non ardirono trattenersi in Firenze, e di*
fendersi : nove giorni dopo la rotta si partirono
volontariamente tutte le famiglie Guelfe, la maggior
parte delle quali ritirossi a Lucca, restata Guelfa
sola in Toscana^ giacché Prato, Pistoia^ Volterra
ec. seguitarono la sorte dei vincitori, e da quelle
furono obbligate a ritirarsi i Guelfi (i). Non tarda-
rono a giungere i vincitori a Firenze, e non poten-
dosi sfogare contro i nemici, presero a minarne le
case: ma ciò che mostra quanto sia cieca ^ furiosa,
(i) Malasp. Gap. 1 70*
CAPITOLO QUINTO 79
ed ingiusta la rabbia dei partiti, non contenti di
minare in S.^ Reparata il sepolcro dal pubblico voto ^^o!
già poco innanzi eretto ad Aldobrandino Ottobuo- ^^^o
ni, ne trassero il cadavere, e strascinato per la
città, lo gettarono nei fossi (2). Furono confiscati i
beni dei Guelfi , e la città cominciò a governarsi
sotto rinfluenza, o dependenza del re Manfredi.
Dovendo partirsi il Conte Giordano, si adunò in
Empoli una grande assemblea dei Ghibellini per
concertare il modo di assicurare la superiorità in
Toscana al loro partito . La componevano persone ,
che quantunque varie d' interesse erano tutte ne*
miche di Firenze. I Pisani, i Sanesi, gli Aretini,
e gli altri Toscani temevano la crescente potenza
dei Fiorentini, che minacciava, a loro servitù. I Si-
gnori feudali, i Conti Guidi, Alberti, di S.» Fiora ^
e gli Ubaldini, dei quali i Fiorentini aveano fre-
quentemente gastigato le insolenti soperchierie, ne
bramavano la ruina: fu proposto perciò che nìuna
cosa potea più consplidare la forza Ghibellina quan-
to il disfare la città di Firenze, ove la fazione Guelfa
avea sempre più dominato che la Ghibellina , ed
ove le instabili vicende della sorte potevano pure
ristabilirvela. Fu questa la proposizione dell'amba-
sciatore di Siena, sostenuta da quello di Pisa, città
capitali nemiche di Firenze (3). Quasi tutta Tas-
se mblea aderiva alla stessa opinione, e sta vasi per
condannare alla distruzione una città si rispettabile,
quando Farinata con detti grossolani, ma pieni di
forza protestò altamente che egli non s'era esposto
a tanti pericoli per ruinar la sua patria, ma per
(a) Giov. Yill. Is. lib. 6. cap. 64. .
(3) Giogurta Tommasi UU dì Siena par. a » lib. 6.
8o LIBRO TER20
'potervi vìvere onoratameute: che egli finche avei
dìG. sangue nelle vene non l'avrebbe permeaso (4). Non
>a6oo53|.Q||Q 1 Ghibellini ostinarsi, temendo il valore,
l'ingegno , e partito grande che si traeva seco que-
st'uomo degno di eterna memoria, giaccl>è Firenze
gli deve la sua esistenza (S). Si determinò il numero
dei soccorsi che le città , i castelli , i Signori colle-
gati dovessero al bisogno contribuire, e questo fa
chiamato Taglia • Si elesse Potesti^ di Firense per
due anni il Conte Guido Novello, il quale esigè che
la città prestasse giuramento di obbedieo'ifta al Re
ia6i Manfredi. Tenea egli ragione nel palazzo vecchio
di S. Apollinare, onde per potere con più agio io-
trodurre in città, e nel palagio le sue genti di Ca-
sentino , aprì una nuova porta nelle mura più vi-
cine, che Porta Ghibellina, e la corrispondente
strada, via Ghibellina furono appellate. I Sanesi
ottennero, che cinque castella situate ai confini tn
loro e i Fiorentini, e che formavano a questi oo
forte antemurale , fossero disfatte . 1 Pisani che fos-
sero loro rese varie castella dai Lucchesi, usurpate
nell'ultima guerra coi Fiorentini. Lucca, di fit-
zioDC Guelfa avea dato ricetto ad una gran quantità
dei Fiorentini esuli: si mosse contro di essa il Conte
coU'armata della Taglia ; ne scorse, e travagliò
assai il territorio: resisterono vigorosamente i Luc-
chesi, giacché essendo seco loro riuniti i fuorusciti
Guelfi di varie città di Toscana^ la disperasione
(4) Vedi Dante, Infer. can. io, ove è descrìUo noUImeate 3
caraUere di Farioata , che predice V esìlio al Poeta.
» Ma fui io sol colà , dove sofferto
» Fu per ciascun dì torre via Fiorenxa ,
» Colui che la difese a tìso aperto.
(5) Malasp. Gap. 1 70. Amai. lib. a*
CAPITOLO QUINTO 8i
Ì5pirava valore, ed è per questo che sì difesero per ^^
circa due anni contro la forza della Ghibellina Lega ^^
tanto più potente di quella città. La guerra più ia6^
vigorora era loro fatta dai Pisani che roiravaQO alla
distrussione di Lucca: erano essi i più attivi, e più 1263
numerosi nell'esercito della Taglia, Benché partis*
sero dall'esercito molte genti tuttavia i Pisani uniti
ai Sanesi proseguirono a infestare il territorio dei
Lucchesi, e dopo averli più volte sconfitti ^ s' inol-
trarono fino alle mura di Lucca , vi batterono mo-
neta, scagliarono delle freccie nella città, e vi rap-
3resentarono la loro celebre giocosa pugna , chia-
mata comunemente il Giuoco del Ponte (6). Final-
ajente chiesero i Lucchesi la pace, e T ottennero
lai Fiorentini colle condizioni di entrare ancor essi
iella Taglia^ e di cacciar tutti i Fiorentini ed altri
!juelfi fuorusciti. Andò errando questa infelice turba
Il uomini, di femmine, di ragazzi, esponendola
oro miseria agli occhi di tqtta T Italia •
L' ìstabile fortuna però si preparava a vendicar- 1264
i « I Papi col loro partito continuamente vessati
la Manfredi, e dai Ghibellini, vedendo i fulmini
!ella scomunica inutili contro quel Re, avean più
olte chiamate le armi francesi ad invadere il regno.
(6)Brcviar. histor. Plsanae. Ber. ital. tom. 6. Ivi è chiamata
txesto giuoco Ludus ad Afassascutum , forse cU Massa ^ e scu-
o: e questa è la pritna memoria di quel celebre spettacolo, e,
3a dicendosi che fosse allora istituito ò da credere che molto
manzi si praticasse. Anche in Pavia un simile giuoco descrivcsi
lU'Anonimo Ticinensc^ Fer^e Icdue armi di scudo^ «'mazza
irono in seguilo riunite in una, nel targonc, arme di olTcsa, e di
fesa. Che Lorenzo dei Medici riformasse quest'arnie si aderisce
pza. prove. La prima sua istituzione è ignota ma probabilmente
di origine longobardica j è vero che nell'Ànon« Ticincnse non si
rscrive che lo scudo , con cui correvano di lontauo ad urtarsi:
a noQ è ivi chiamato Ludus ad Massascuiura ,
l'i.mn II. 6
82 LIBRO TERZO
^^ di Napoli • Carlo di Angiò fratello del santo Re Lin-
di C. gì d^ Francia , quanto inferiore in santità ^ tanto
ia64 superiore in talento al fratello^ lo avea accompa-
gnato nella guerra sacra in Egitto^ ove le loro armi
ebbero sì infelice successo (7). Tornato in Francia,
animato sempre da quello spirito d'intrapresa, già
eccitato in lui dalla Crociata, ascoltò facilmente le
proposizioni dei Pontefici Urbano IV , e Clemente
IV, che r invitavano alla conquista del regno di
Puglia, e di Sicilia , creandolo Senatore di Roma.
Ne fece egli i piiì vigorosi preparativi, e la sua mo-
glie Beatrice ne prese le maggiori care, impegoao-
do tutte le sue gioje. Ambiva ansiosamente al titolo
di Regina , e la femminile vanità era stata troppo
esulcerata , quando trovandosi colle sue tre sorelle
Regine , fu obbligata a sedere un gradino più ab-
ia65 basso , perchè priva di quel titolo (8). Carlo Signore
della Provenza pose insieme un fiorito esercito di
gente agguerrita, che inviò alla volta di Roma,
mentre esso salito sopra una flotta di non più di
venti galee con soli 1000 uomini d' arme, scelta
truppa e valorosa , si mise in mare, e fu singolar-
mente favorito dalla fortuna, essendosi esposto al
rischio di esser preso ; giacché veleggiava la flotta
di Manfredi, che composta di legni pisani, geno-
vesi , e siculi giungeva ad 80 galere ; ma la tempe-
sta l'avea dispersa, onde passò indisturbato avanti,
(7) Vedi Mémoires da Ghevalier de Tonville , compagQo ndU
spedizione di S. Luigi .
(8) Ricor. Malasp. e. 75; e Gio. Villani lib. 6. e 93. La mag-
giore era moglie del Re di Francia , la seconda del Re d*^ In-
ghilterra , la terza del fratello eletto Re dei Romani; furono que-
ste 4. Principesse figlie di Raimondo Conte di Provenza: la qui
provincia, Tultima , cioè Beatrice» portò in dote a Carlo.
CAPITOLO QUINTO 83
entrò nella foce del Tevere , e sbarcò a Roma • Si
avan2Ò anche il suo esercito felicemente in Italia , ^^^
condotto dal Conte Guido di Monforte ^ con cui si ^^65
trovava la moglie di Carlo ^ Beatrice: risorsero le
speranze dei GuelEi e 4^0 cavalieri fiorentini^ sotto
la scorta del Conte Guido Guerra , andarono in
contro ai Francesi in Lombardia , e furono la loro
guida per la Romagna, e Marca infino a Roma.
Coronato Carlo dal Pontefice insieme con sua mo- j^es
glie re della Sicilia di qua , e di là dal Faro y non
perde un momento a marciare^ benché nel cuor
deir inverno 9 contro il nemico avendo necessità di
afifrettarsi per mancanza dei mezzi di sussistere:
Presso Benevento avvenne T ultimo di febbraio la ^
sanguinosa battaglia , che decise di quel bel regno:
in es») i Fiorentini esuli , altamente si distinsero :
il Re Manfredi^ dopo aver combattuto col più gran
valore y vedendo il suo esercito sconfitto» non volle
sopravvivere alla disfatta y si cacciò nel più forte
della mischia, e restò ucciso. Fu dai vincitori uniti
in Crociatale pieni di benedizioni^ e d'indulgenze
dato un orribil sacco a Benevento^ citta papale ^
spogliate le chiese, disonorate le donne , e trucidati
i vecchi, ei fanciulli (9). 11 cadavere di Manfredi,
ritrovato dopo tre giorni , fu sepolto presso il Pon-
te di Benevento vilmente in una fossa , ove Todìo^
la superstizione, e la poca generosità del suo rivale
:oudannollo (io). Egli avea avuto la disgrazia di
(9) Quest'orrida scena durò olto giorni, ed è descritta da
ìaba Malaspina istorico Guelfo, e parziale perla fazione di Carlo.
(io) Vedi Dante, Purgai, canto 3, cne ad onta della sco-
nitnìca in cui mori Manfre«li lo ha posto in luogo di salvazione,
inmollendo colla poetica immaginazione la durezza della teologi-
84 LIBRO TERZO
7 dispiacere ad un Corpo allora potentissimo che Io
^^(), dipìnse coi più neri colori: i più atroci delitti gli
ia66fujrouo apposti^ la morte del padre ^ e del fratello
Corrado: non ve ne ha però prova alcuna di fon-
damento. Imitatore di suo padre, fu gran protettore
delle scienze, e delle lettere (i i) : rammentarono
con desiderio il suo governo bea presto i Siciliani,
e Napoletani: la posterità imparziale lo ha riguar-
dato con molta stima, ed una gloriosa memoria
resta sempre di questo Principe nel nome di Man-
fredonia da lui edificata . La sua ruina fu anche
quella dei Ghibellini in Toscana , e nel resto d'Ita-
lia incoraggiti i Guelfi occuparono molti castelli;
il popolo, a cui è sempre odioso il governo presen-
te, e spera nel futuro^ mormorava delle gravezze
irnposte dal Conte Novello per sostener la guerra.
Mentre il segreto fremito dal malcontento annun-
ziava la vicina tempesta, cercarono le più sagge, e
devote persone di pacificare le due fazioni. Chia-
mati da Bologna a Firenze due dei Cav. frati Gau*
denti (12)^ che fra le virtù di cui facevan profes-
sione vi era quella di pacificare le inimicizie, fa
ca condanna y che vuole, che per ogni anno» in cai si è vissnti
nelle censure ecclesiastiche , se ne passino 3o in Purgatorio:
n Vero è che quale in contumacia muore
^> Di santa Chiesa , ancor che alfin si penta,
» Star gli convien da questa ripa fuore
» Per ogni tempo , eh* egli è stato trenta.
(11) Non solo Niccolò di Tamsilla suo panegirista, ma Saba
Malaspina di partito a lui contrario, si accordano in questa parte.
Murat. rer. ital. scrip. tom. 8.
( 1 a) Erano chiamati Cavalieri di S. Maria : vestivano di bian-
co col mantello bigio : nel vestirsi faceano promessa, comeglialtri
Cavalieri, di difender le vedove, e i pupilli , e inframmettersi a
far le paci. Loderingo di Don Liandolo ne fu 1* istitutore, uno
dei due che vennero a Firenze, e l'altro Messer Catalano Bla-
levolti. Malas. Cap. 83.
CAPITOLO QUINTO 85
data loro facoltà di riformar lo Stato. Questi eles-
sero treotasei cittadini per lo più popolari^ e mer- ^iq^
canti indistintamente Guelfi, e Ghibellini per con- «^^^
sultare sugli affari pubblici: allora fu il popolo di-
stinto in sette Arti, che si chiamarono in seguito
maggiori, quando vi si aggiunsero le minori, dato
a ciascheduna il Gonfalone, affinchè quando occor-
resse fossero pronti i Capitani di esse col loro se-
guito (i 3). Ninna distinzione conveniva meglio a
una città commerciante. Intanto nel fiorentino po-
polo, per la più parte sempre di cuore Guelfo, era
risorta la speranza di ripigliar lo Stato, e manife-
stare i suoi sentimenti per la vittoria di Carlo: i
trentasei Riformatori insieme coi due Capi o Pote-
stà Cav. Gaudenti , parea che favorissero quella
setta • Il Conte Guido , che vedea crescere il mal-
contento, chiamò a Firenze i soldati dalle città col-
iegate per sostenersi : dovendosi però levare una
grossa contribuzione per mantenerli , crebbe il mal
umore nel popolo, il quale armato avendo alla testa
Messer Gianni Soldanieri, si fortificò con serragli a
pie della torre dei Girolami. Il Conte colla sua
truppa, e coi Ghibellini fece testa alla piazza di San
Giovanni; ma crescendo gli assalitori che colle ba-
lestre, colle pietre dalle finestre, e dalle torri gli
attaccavano, non si credette più sicuro, e si ritirò
vilmente coi suoi da Firenze a Prato il di 1 1 no-
(i3) Queste sette arti maggiori comprendevano; la prima
i Giodici, e Notai, seconda i mercanti dì Galimala, e dipan-
iti franceschiy 3. i Cambiatori, 4« quelli dell'arte della Lana,
5. Medici, e Speziali, 6. Setaioli, e Merciai, 7. i Pellicciai. A
qaeste ne furono in seguito aggiunte cinque minori , le quali
poi in varie riforme accresciute , e diminuite si ridussero a i4>
formando colle maggiori il Num. di ai. Mach. Islor. fior. Lib. 3.
86 LIBRO TERZO
-vembre. Essendosi però tosto accorti i Gbibellioi
'^l^^ dell'errore, il giorno appresso tornarono a Firenxe
ia66 con animo di rientrarvi: furono però ributtali dalli
porta del Ponte alla Carraia (i4)* La Corte di Ro-
ma , vedendo qual vantaggio ne ritrarrebbe da!
cacciare affatto di Firenze i Ghibellini, non avea
lasciato mezzo di stimolar quel popolo colla minac-
cia anche degF interdetti a espeller dalla città i Te-
deschi, che formavano al suo desiderio il maggiore
ostacolo: lo che ottenuto, cercò tutte le vie di ri-
volger la città alla sua de vozione ( 1 5) . 1 Pisani per
la disobbedienza al Papa, e nella guerra contro la
Sardegna, e contro ì Lucchesi , e per esser recidivi
nel peccato contro la Corte di Roma della loro
adesione al partito Ghibellino, erano ricaduti nel-
r ecclesiastiche censure. Ruinata la potenza Ghi-
bellina cercarono di riconciliarsi colla Sede Aposto-
lica; il metodo più breve per troncare le difìicoUà,
è stato sempre V oro: depositò la pisana Repub-
blica 3o,ooo lire nelle mani dei Ministri PoutiOcj^
e fu assoluta (i6).
ia57 ^i fu un momento in Toscana, in cui parve^
che gli uomini , deposta la frenesia delle fazioni,
volessero riprendere il senno: dopo i pii offici dei
Cav. Gaudenti si pensò a minare gli animi in altra
maniera: furono richiamati molti dei Guel6,eTari
matrimoni si fecero fra le famiglie nemiche: fra
questi è da notarsi quello di Guido Cavalcanti, uno
dei padri dell'italiana Poesia, colla figlia del cele-
(i4) Rico. Malasp. e i85.
(i5)Bla]lene Anecd. Thesaur. ove sono riferite ?irie letUie
del Papa .
(i6) Breviar. hist. Pis. Rer. iuL scr. tom. 5.
CAPITOLO QUINTO 87
bre Farinata degli liberti. Egli non vìvea più^ e ^^
fino dal Ta64 la morte Tavea opportunamente aot- di e.
tratto alla vista della mina del suo partito ^ laacian- >^^7
do vari figlia alcuni dei quali ebbero un trista
fine. Questa pace però non era che apparente, e
dettata più dàlia politica^ che dalla riconciliazio-
ne: il cadente partito dei Ghibellini, che pure re-
stava con qualche forza nelle città di Toscana, era
stato obbligato a prendere il tuono di moderazióne ,
e i Guelfi non ancora abbastanza potenti per oppri-
merlo , vi rispondevano cogli stessi sentimenti :
erano entrambi in maschera , la quale però presto
cadde: i Guelfi, che erano stati oppressi, volevano
opprimere, o almeno prendere tutte le redini del
governo: ne vedevano la fiicilità. Erano sicuri del
favore delle due prime potenze d'Italia, del Papa,
e del Re Carlo, che avevano interesse che una cit-
tà si ricca fosse a loro devozione; vi si aggiungeva
il favore del popolo, facile sempre a odiare i vecchi
dominatori , e propenso ai nuovi • Chiesero però se-
gretamente ì Fiorentini Guelfi aiuto al Re Carlo^
che vi mandò il conte Guido Mon forte con 800
cavalli : non aspettarono i Ghibellini V arrivo di
questi , ma prevedendo la loro sorte , per la mag-
gior parte abbandonarono la patria. Grati i Guelfi
al re Carlo gli offrirono il governo della città di Fi-
renze per IO anni, come avean fatto f Ghibellini a
Manfredi : ricusò sul principio il re, ringraziando
gentilmente, ma sopra nuove istanze, vi mandò un
suo Vicario, che annualmente dovea mutarsi, e che
la reggeva col consiglio di dodici Buon- uomini (17).
(17) Bftalasp«€ap. i85.
88 LIBRO TERZO
i beni dei violi farouo secondo 1' uso conGscati :
^"^Siascendo però questione sul loro destino^ e inviati
1267 ambasciatori per aver Topinione del Papa, e del
re Carlo^ fu convenuto il seguente provvedimentOi
cioè: che tre parti ne fossero fatte; una si dovea
concedere al Comune; colla seconda indennizzare
i Guelfi^ che aveau perduto le robe loro nella rivo-
luzione; la terza si depositasse per i bisogni del loro
partito, ed appartenesse a parte guelfa . Per conso-
lidare però sempre più in mano di questa parte il
governo^ tutta la somma di questi beni, senza divi-
sione, fu infine deciso che appartenesse ai Guelfi,
10 die dava ad essi una stabile preponderanza; fo^
mandosi così un deposito^ che si ebbe cura di ac-
crescere in ogni occasione, e che serviva mirabil-
mente e in pace, e in guerra, e a remunerare i
loro fedeli, e ad allettare le speranze dei bisognosi.
Gli amministratori di questi beni furono tre^ eletti
da tre Sesti della città ^ il di cui offizio durava due
mesi, e passava indi agli altri tre Sesti: ed ecco
l'origine dei celebri Capitani di parte guelfa, la
potenza dei quali tanto crebbe in appresso, che di-
vennero come vedremo i tiranni della repubblica.
11 Potestà, o Vicario del Re Carlo coi la Buonuo-
mini, che corrispondevano ai dodici Anziani, non
potevano che deliberare, e far le proposizioni : que-
ste doveano essere il dì seguente approvate nel Con*
siglio degli 80, formato parte di Grandi^ parte di
popolo uuiti alle Capitudiui delle Arti, e final-
metite la risoluzione passata nel Consiglio dei 3oo
prendeva forza di legge (i8). Per le comuni rivo-
(18) Rìcor. Mal. Gap, 186.
CAPITOLO QUINTO 89
luzionì^ in cui gli uomini seguono il partito cleì~^.
vincitori^ tornarono le città di Toscana Guelfe, di C.
trattane Pisa, e Siena: la parte dominante perse- ^^^7
guitava ostilmente la vinta per la Toscana, e tutti
gl'incontri erano distinti da tratti scambievoli di
rabbia dei quali il seguente ne sìa un esempio. In
S. Ellero, o Ilario si erano refugiati molti Ghibel-
lini, onde facevano delle scorrerie sul contado fio-
rentino; vi andò il Vicario di Carlo ^ e lo espugnò
con gran strage dei nemici, fra i quali è memora-
bile un giovane degli liberti, che piuttosto che ca-
etere nelle mani dei suoi arrabbiati antagonisti , si
gettò da un campanile (19). Ansiosi i Guelfi di
vendicarsi della rotta di Monteaperti, volsero le
loro forze contro i Sanesi: attaccarono Poggibonzi^
ove si erano radunati molti Ghibellini: si difesero
questi con tanto valore^ che essendo venuto a Fi-
renze lo stesso Re Carlo, consumò circa 4 niesi nel-
Fespugnazione di quella terra, e finalmente man-
cativi afi*atto i viveri^ T ottenne per capitolazione.
Pisa^ e Siena in Toscana, come più potenti, si
mantenevano unite per sostenere 1' avanzo della
fazione Ghibellina.
Gli stabilimenti dei Pisani in Sardegna erano
stati presi di mira da diversi avventurieri, che cer-
cando regni si volgevano al Papa, che gli dispen-
sava. Don Arrigo 3 fratello di Alfonso re di Casti-
glia^di spirito turbolento, ed inquieto, costretto
f>erciò dal fratello a partire dalla sua corte, dopo
un lungo soggiorno in Tunisi era venuto in Italia.
Cugino del re Carlo^ che in mezzo alle ricchezze
(19) Rie* Malasp. Gap. 187.
90 LIBRO TERZO
^^ di Sicilia ^ e dì Napoli era sempre poyero, gli avea
j °^ sommÌDÌ8trato aomme rilevanti di denaro^ e ambi-
ia67 va di esser dichiarato re di Sardegna: il ano cugino
vi si opponeva pretendendo di essere investito di
queir isola egli stesso, ciocché forni un'opportunità
al Papa di non concederla ad alcuno , avendovi
sopra delle mire. Era sempre viva la madre diEn«
zo, e dal tempo in cui esso restò prigioniero dei
Bolognesi avea governata malamente la provincia
di Torri coirajuto di Michele Zanche, uno dei ce-
lebri barattieri condannato da Dante air Inferno,
ministro^ o marito di quella vecchia Signora (so).
La Corte di Roma , che non perdeva occasione di
accrescere il suo dominio, teneva presso di lei m
Padre-maestro, come Vicario Papale, che vi aveva
introdotto non poche roiliaue Guelfe: n'ebbero ge-
losia ì Pisani, vi spedirono una poderosa armata
comandata dal Conte Ugolino dei Gherardeschi ,
che cacciandone i Guelfi, vi ristabilì il dominio
pisano. Si adirò il Pontefice, minacciò i Pisani dei
soliti fulmini ecclesiastici , ma si astenne dal vib^a^
gli , forse perchè questa Repubblica , che gli avea
più volte lungamente, e pazientemente sofferti ,
non vi si accostumasse, e finisse per non curarli (ii).
Esclusi tutti i pretendenti al dominio di quest'iso-
la, l'inquieto Don Arrigo di Castiglia ottenne di
laSS esser creato Senatore di Roma, Frattanto il Be
Carlo, che agiva col titolo di Vicario imperiale, ri-
cevuto dal Papa dopo la presa di Poggibonsi, si
(ao) Dante Infer. Can. aa. Tedi il Comento di BeiiTenotodi
Imola.
(ai) Vedi Bfartene Anecd. tom. a. e Gav. Flam. dal Borjp
àìs». 7. sulla ator. Pia*
CAPITOLO QUINTO 91
portò aul pìflaiK) contado , occupando castelli , e ^=7
ruinando le torri del Porlo pisano. Si dolsero i Pi- ^- q^
saoi col Papa, che questo Re, sua creatura, dopo i^cs
averli perseguitati nei suoi stati , spogliati dei loro
beni, e sbandili, venisse a turbar la Toscana: gli
rispose esso una lettera assai singolare, in cui ap-
prova interamente il Re Carlo, e minaccia ai Pisa-
ni, se persisteranno nel loro partito mille sciagu-
re (:i2)« Pisa però, e il partito Ghibellino aveano
ripreso coraggio alle nuove dell'imminente venuta
del giovane Corradino, che si preparava a ricon-
quistare colle armi i suoi ereditar) regni delle Sici-
lie. Questa mossa mise in movimento tutta l'Ita-
lia; i popoli delle Sicilie sempre scontenti si solle-
varono io molte parti, e Roma stessa agitata dal
turbolento Senatore Don Arrigo, si dichiarò in fa-
vore di Corredino, essendo perseguitati, e spogliati
i Guelfi. Si ritirò sollecitamente Carlo di Toscana,
correndo alla difesa dei suoi regni, avendo lasciata
uua piccola truppa sotto il comando di Guglielmo
Braisleve •
Corredino era fra i i5 e 16 anni; e per la sua
tenera età, la madre si opponeva all'impresa: ma
Tardor guerriero che l'animava superò gli ostacoli
del materno timore • Lo accompagnava un altro
giovinetto, ed amico, della stessa età all'incirca,
Federigo di Austria. Con buono esercito entrati in
Italia, ai arrestarono in Verona , donde per man-
canza di denaro molte delle lor truppe tornarono
(sa) Questa singoiar lettera e riportata dal Marlene Thesaur.
Anecd. Vedasi il Cay. Flam. dal Borgo diss. 7. sull'Ist. Pis., il
quale piccato di vedere i suoi concittadini paragonati dal Papa ad
Erode» rileva gli anacronismi del Papa*
ga LIBRO TERZO
. indietro . Intanto i fuorusciti Ghibellini si unirono
jjiC^con essi in gran copiale le città di quel partilo
ia68 fecero a gara a somministrare denaro. Pisa si di-
stinse sulle altre ; spedì dieci galere ai porto di
Vado, ove si imbarcò Corradiuo, giunse felice-
mente al porto pisano, e fece il solenne ingresso
in Pisa il sabato santo, 7 di aprile. Dopo breve
tempo arrivò il suo esercito, che traversata la Lom-
bardia era passato pel Pontremolese, e fu fornito
dai Pisani di viveri. Nel tempo in cui si trattenne
in Pisa fece dei movimenti contro i Lucchesi. Si
erano con essi riuniti i Fiorentini , e il corpo fraa-
cese lasciato da Carlo : queste truppe andarono os-
servando i nemici, e schermendosi contro il no-
merò superiore: stettero tuttavia a fronte qualche
tempo i due eserciti divisi dalla Guscianella. Si
contentò Gorradino di devastare le campagne luc-
chesi, non volendo impegnarsi in un'azione, che
potesse o diminuir le sue forze, o distrarlo dalla
principale impresa. Trenta, ovvero /^o galere (aS)
furono approntate dai Pisani in servigio di questo
Principe, che doveano favorire le sue operazioni di
terra, ove entrarono più di cinque mila Pisani: e
veramente non solo dettero il guasto alla spiaggia
napoletana , ma fecero dei tentativi i più arditi.
Erano venute sa galere dalla Provenza a Messina,
e unitesi con esse nove galere messinesi, si trovaron
in faccia ai Pisani . Presero questi il largo forse per
guadagnare il vento: le messinesi credendo che si
ritirassero ne cominciarono la caccia, ma non furo-
no seguite dalle provenzali ; onde trovatesi sole at-
(a 3) Variano gli Scrittori. Saba Malasp. ne conta solo sS.
CAPITOLO QUINTO gS
taccate vivamente dai Pisani fuggirono alla spiag- ^^,
già, 8ù cui si salvarono i Messinesi^ abbandonati i ^^q
legni: non contenti i Pisani delle galere^ smontaro- ^^^^
no arditamente sul lido^ ed attaccarono i fuggitivi,
che si refugiarono in Messina, e nel porto stesso
furon dai Pisani bruciate le galere cattive (^4)* ^^ì^*
dero indi il sacco a Milazzo , e più grandi successi
avrebbero ottenuto, senza la discordia dei Coman-
danti • Era partito da Pisa Corradino il di j5 giu-
gno, essendogIÌ3Ì unito gran numero di Pisani, con-
dotti da Gherardo dei Conti di Donoratico. Prese
la strada di Siena, evitando Firenze, ove si stava
in gran sospetto: fu ricevuto volentieri a Poggibon-
zi, ed a Siena: allora il Braisleve, che vedeva la
sua truppa inutile in Toscana, pensò di portarsi
verso il R^no in ajuto del suo Uè Carlo, e prese la
strada aretina coi soli Francesi: avvisatone Corra-
dino, mandò segretamente una parte dei suoi verso
Laterìne, che si posero in aguato a un passo stret-
to, chiuso da una parte dai monti, dall'altra dal-
TArno al Ponte a Valle, ove , colto improvvisamente
questo corpo, restò intieramente o morto, o prigio-
niero (a^). Proseguì la sua marcia Corradino verso
Roma: il Papa si era chiuso, e fortificato in Viter-
bo, ove avea cominciato la sua guerra contro ì ne-
mici di Carlo , scomunicando Corradino , e i Pi-
sani, e privando questi deirpnore della Sedia Ar-
civescovile. Dopo gli applausi, e le feste (36) con cui
fu ricevuto in Roma, si avanzò Corradino con gres-
(a4) Saba Malasp. rer. ital. toro. 8.
( a 5) Rico. Malasp. e. 1 9 1 . forse il Ponte a Romito . /
(a6) Le feste singolari e la pompa, e ostentazione delle sup-
pelleUili preziose che fecero in quest occasione i Rom^ini, possono
vedersi nell'Istor. di Saba. Malasp. loco cit. e lib. 4* 9 6.
94 LIBRO TERZO
so esercito ad affrontare il nemico ^ ch'era venato
^."J?* ad opporsegli verso Tagliacoszo: ivi »i venne alle
ia6S mani il dì tiS agosto. É assai nota questa battaglia,
e la vittoria che Carlo dovette ad A lardo di Valé-
ry: sapeva egli Toso dei Tedeschi di disordinarsi
al principiar della vittoria per avidità di rubare:
fece nascondere dietro ad un colle la truppa mi-
gliore insieme col Re Carlo. Cominciata raziooe^e
rotti sul bel principio i Francesi^ si disordinarono
i Tedeschi per correre al bottino, come avea previ-
sto Alardo: esci fuori allora Carlo con quella scelta
schierale pienamente gli sconfisse (27) . Disperso
r esercito ; Corradi no con Federigo Duca di Austria,
e Gherardo da Pisa, trovatisi soli, si travestirono
per salvarsi, e noleggiato in Astura un piccolo le-
gno, vi s^ imbarcarono. Venuto il sospetto che fos-
sero persone d^mportauza da un anello prezioio,
che Corradino per mancanza di denari offerse al
padrone della barca, fu data loro la caccia del Fran-
gipane j Signore del luogo, ed arrestati , vennero in
mano di Carlo. È nota la barbara sentenza, con
cui questo sanguinario Re condannò Corradino a
perder la testa sul palco , senz' altro delitto che
Taver tentato di ricuperare colle armi il regno pa-
terno. Sofferse intrepidamente la morte il real gio«
(27) Questa ò la relazione dì tutti gli storici del tempo : è Te-
rOt che nella lettera del Re Carlo al Papa, scrìtta sul campo di
battaglia , riferita dal Martcue (Tfaesaur. Anecd. epis. 690.) non si
fa parola dello stratagemma di Alardo : ma potendosi snppom
che il Re non volesse attribuire ad altri il mento di tanta vittoria,
abbia taciuto quella circostanza, si è creduto doversi conformare
air universale consenso degli storici di quei tempi. Vedasi Rie
Malesp.c. 193. Gio. Vili. Nicobald. rer. ital. tom. 9, Saba Malas.
rer. ital. tom. 8. Sozoro. Istor. Carlo in memoria ddla vittoria fece
presso Tagliacozzo fabbricare una Badia col nome di Santa B|*rÀ
della Vittoria •
CAPITOLO QUINTO 96
▼inetto, e soltanto si dolse dell' afflisiooe, che ana
A *
Ul nuova avrebbe recata alla sventurata sua ma* ^(^
dre^ e della aorte dei compagni^ che avea involti >a^
nella sua disgrazia ; e dopo averli abbracciati e ba-
ciati, aoffri il colpo fatale. Fini in esso la Gisa di
Svevia resa tanto illustre dai due Federighi , e da
Manfredi. I Napoletani non senza lacrime mirarono
la ferale esecuzione: Tetà tenera, la bellezza, l'in-
nocenza, e il coraggio del giovinetto lo avean reso
piò interessante: dopo di lui anche Federigo d'Au-
stria f e il conte Gherardo da Donoratico perdcrono
la testa. Galvano Lancia ; si vide prima morir sot-
to gli occhi il suo figlio, indi subì la stessa sorte,
come moltissimi altri Principi, e Baroni. Carlo si
segnalò in crudeltà: le città saccheggiate, i popoli
trucidati , i soldati, che avean fatto il loro dovere,
impiccati, sigillarono la vittoria. Colla comica rap-
presentanza delle formalità di un giudizio, invano
volle Carlo dare una vernice di equità ad un atto
barbaro: la morte di Corradino era necessaria alla
sua sicurezza, e di rado gli ossequiosi giudici mani-
festano un'opinione diversa da quella del Sovra-
no (a8) . La flotta pisana, sentita la disgrazia, e la
trista catastrofe del Principe Svevo, si ritirò al suo
porto.
La ruina di Corradino portò la costernazione ai
(a8)Ricobaldo storico ferrarese narra di avere inteso da Gìo-
vaccbino da Reggio, che si trovò presente al giudizio, che fra gli
altri Guido da Sozzara « lettore di leggi in Modena , e in Reggio ,
che era allora in Napoli « sostenne pubblicamente che Corradino
noo potea condannarsi* Mur. An. aitai. La stoccata da Roberto
di Fiandra tirata nel petto al Giudico che avea letta la condanna
( Rico Mabs. e gS. ), il guanto tirato da Corradino in segno d* in-
'vestitora dei suoi dritti in D. Pietro di Aragona ( Aen. Siivius,
hiftlor. Austr. ) sentono molto la favola»
gC LIBRO TERZO
"Ghibellini d' Italia , e in specie a quelli di Firense.
^"^1 Molti di questi si trovavano in Siena, ove si era
ia6& ridotto anche il Conte Novello dopo la sua vergo-
,269 gnosa fuga. Si erano assoldate alcune squadre di
Tedeschi^ e Spagnoli, avanzo dell'esercito di Cor-
radi no da Provenzano Sai vani ^ ch'era quasi Signo-
re di Siena (29)9 cogli ajuti dei Pisani e dei fuoru-
sciti guidati dal Conte Guido Novello^ si era fatto
un grosso esercito, il quale si mosse contro Colle.
Non erano in Firenze che 4^0 cavalieri francesi:
senza perdere un istante con questi il Vicario di
Carlo, Gio. Bertaldo, e con quella fiorentina trup-
pa che subito lo potè seguire, si avanzò contro i
nemici assai più numerosi, e profittando del disor-
dine in cui si pose il campo nel mutar la posizione,
gli attaccò, e gli ruppe con gran strage dei Sanesi.
La memoria di Monteaperti rese crudeli i j^iorenti-
ni . Provenzano preso ebbe mozzo il capo come
molti altri: ciò non accadde al Conte Guido, che
con più cautela, o paura, si mise per tempo in sal-
vo. Fu fatta la pace coi Sanesi con patto che fosse-
ro di Siena cacciati i Ghibellini; e in tal guisa an-
la^oche Siena divenne Guelfa. Fra i Ghibellini obbli-
gati a fuggire vi furono tre ragguardevoli persone
degli liberti, forse figli di Farinata, e un Grifoni
di Figline. Arrestati nella fuga, e condotti a Firen-
ze, interrogato sopra di loro il sanguinario Re Car-
lo, gli condannò alla morte: non si perdonò che
al più giovinetto degli liberti per la sua età^ ma
con una sorte anche peggiore fu mandato prigione
a Capua ove finì infelicemente i suoi giorni. DegU
(39) Guido da Cor. His. Pis. fragni, rer. ilal. I. a4*
CAPITOLO QUINTO 97
altri due fratelli. Assolino neir andare a morire^
interrogato da Nericozxo ove fossero condotti , co- ^i q[
raggiosamente rispose, a pagaie un debito lascia- >^7o
ioci dai nostri maggiori, mostrandosi degno figlio
dì Farinata (3a) . Poggibonzi in ogni tempo centro
di questa fazione, e ora ribelle ai Fiorentini, fu
disfetto; era allora grande, e popolato, ed avea
r apparenza più di una città, che di una terra.
Ostina poco avanti avea avuto la stessa sorte. Il par-
tito Guelfo dominava ora in Toscana; Pisa quasi
sola conservava il suo attaccaniento al partito Ghi-
bellino: era però incapace di resistere a tanti ne*
mici sostenuti da un re vittorioso, e potente: eb-
bero i pisani uua felice occasione di accomodarsi
seco, e coi nemici guelfi. Il di lui fratello, il San*
to Luigi re di Francia , animato sempre dallo zelo
di combattere i Saraceni , e sempre infelice nelle
sue imprese, condusse una potente armata contro
Tunisi y e invitò anche il fratello Carlo: questo,
che temeva le flotte dei pisani , e le conseguenze
di una guerra che lasciava accesa in Toscana nella
sua assenza, si accomodò facilmente con essi, non
sdegnando di mandare quattro Ambasciatori alla
repubblica , coi quali fu convenuto facilmente delle
condizioni : per le altre città toscane si tenne un,
congresso in Pistoja, ove si fece per la mediazione
del regio Vicario, e degli altri Ambasciatori un ac«
cordo.
Composte le cose di Toscana, vi fu pace, e la
fiorentina Repubblica passò qualche tempo tran-
quilla sotto la protezione del Re Carlo. Restava pe*
(3o)Guidus de Corvar«t Rerum italicarum scrìptores, tom. a4.
TtUHO li, ' 7
c)8 LIBRO TERZO
■^ rò sempre vivo V odio tra i due partiti in Italia ; e
di e! I>^"chè nella città di Firenze il fuoco foise coperto
>»7o dalle ceneri, mancando le forse non il mal aniaio
ai nascosi Ghibellini, era pronto a divampare al
primo soffio. Cbi non v'era interessato vedeva la
necessità di togliere tanto scandalo • Tale era il
PonteGce Gregorio, che quantunque italiano, vis-
suto molto tempo fuori d'Italia (Si)} non conosce-
va i mondani interessi, né T importanza pel soo
domiuio secolare di sostenere una fazione ai Papi
aderente; facilmente perciò i Pisani si riconciliaro-
no seco, colla condizione di ricevere guarnigione
del Papa in alcuni castelli controversi. Furono as-
soluti, e restituito a Pisa Tonore della Sedia Arci-
vescovile (3a). intanto egli era venuto in Firenze
per passare a Lione, ove avea ordinato un Concilio
generale per eccitare nuovamente i fedeli all' im-
presa di Terra Santa. Fu nello stesso tempo Firen-
ze decorata dalla presenza di Carlo Re delle Sici-
lie, e del greco Imperatore Baldovino II, che dopo
aver passata la prima gioventù come un regio men-
dicante alle Corti Europee, dopo aver seduto fra i
bisogni, e lo stento per pochi anni sul trono di Co-
stantinopoli, cacciato di Grecia, era tornato alla
primiera vita miserabile, e vagabonda . Molti Car-
dinali, e Baroni accompagnarono questi Sovrani.
In faccia ad essi il virtuoso Pontefice, pieno di apo-
stolico zelo, si accinse a pacificar gli animi,espeD-
ger le discordie : non osarono i Guelfi resistere alla
sua autorità, e con solenne funzione, resa più mae-
(3i) Era stato Arcidiacono di Liegi, poi passato io Sorùi ave-
va avuta la nuova della sua elezione in Acri.
(3u) Guid. de Gorv. rer. ital. tom. a4.
CAPITOLO QUINTO 99
stosa dalla presenza di tanti augusti Personaggi ^ es-
sendo stati richianaatì molti degli esuli Ghibellini , die.
si fece pubblicantiente la pace tra i due partiti. Era- ^^7'>
DO stati eretti dei palchi sul greto di Arno presso
il Ponte Rubaconte. lyi si abbracciarono e baciaro-
no i principali delle due fazioni. Il Papa fulminò
le più forti censure contro i violatori: ma il Re
Carlo piò politico che pio^ non amava la riconcilia*
zione y contraria ai suoi interessi, e che gli avrebbe
tolto l'influenza sopra questa potente Repubblica.
Non erano passati 4 giorni, che dai ministri, del ^^i^
Re, e da altri del partito Guelfo insultati , e minac*
ciati i Ghibellini stimaron meglio cercar la sicurez-
za nella fuga, che nelle promesse, e censure ponti-
ficie « Irritato il Papa se ne parti, lasciando la città
interdetta (33). Giunto in Lione vi tenne un solen-
ne Concilio, T oggetto principale fu il solito scopo
di quel tempo, a cui si dirigeva il non anche estin-
to entusiasitio di Europa, cioè la conquista di Ter-
ra Santa: si presero delle misure, e per rimuovere
ogni ostacolo al passaggio dall'Europa all'Asia, si
fece tra i Greci e i Latini una delle tante ricouci*
liazioni apparenti. ,
Nella pace &tta in Toscana tutte le città, o di 1274
buon grado, o per forza erano divenute Guelfe, o
almeno prendevano la legge da questa fazione, fuori
che Pisa^ che con più dignità dell'altre nella pace 1275
restò ghibellina; era tollerata dalla fazione guelfa
toscana per non riaccendere una guerra pericolosa,
giacché pareva che fossero i cittadini pisani uniti
concordemente iu quel partito: ma presto nacquero
ancor là dei tumulti. I Visconti, e Gherardeschi,
(33) Malasp. Gap. 198. Amm. iib. a.
loo LIBRO TERZO
famiglie principali di Piaa^ erano Guelfe: la priin*
di"c! po^^^d^vft il giudicato di Gallura in Sardegna , ed
1275 affettando quella prepotenza di cui si facevan glo-
ria i Signori in quei tempi , fin dagli anni scorsi
avea eccitato dei pericolosi tumulti. Giovanni Vi«
sconti y dopo aver fatto assassinare un Gualfredncci
Ghibellino, e tolti colla violenza dalle mani dei
pubblici esecutori i sicarj, citato davanti al trìba-
nale, osò comparirvi, e confessare audacemente il
delitto. Il debole Governo, benché pronunziasse
contro di lui, e del Conte Ugolino Gherardeschi,
da cui era stato il Visconti sostenuto nelle sue pre-
potenze, la condanna di confine del primo a Rosi-
gnauo e a Vada , del secondo a Montopoli y fa co-
stretto dopo i5 giorni a richiamarli. Tornati a Pi-
sa, fieri dell'impunità, Giovanni divenuto più in-
solente fece assassinare due altri cittadini pisani y e
vedendo che il popolo irritato stava per muover»
contro di luì, se ne fuggi in Corsica nel suo giudi -
cato di Gallura. Perseguitato però ivi colle arraì dai
Pisani, vinto, e fuggitivo salito sulle galere del Re
Carlo , sì riparò presso i Conti di S.* Fiora , ed ebbe
• da Pisa T esilio. Il Conte Ugolino della Gherarde-
sca, ricusando di pagare la tassa di una Signorìa
posseduta in Corsica, n'era stato privato^ e po-
sto in prigione. Altre famiglie potenti erano acoo-
tente perchè costrette a obbedire alle leggi : il
Conte Anselmo di Capraja , e gli Upeuinghì si
partirono, ed andarono ad unirsi coll'esule Viscon-
ti. Il malcontento di questi Pisani diede animo ai
Guelfi di mutar lo stato di quella R^ubblica^ fe-
cero lega la maggior parte delle città toscane coi
ribelli, e dettero loro ajuto. Il feroce vecchio Gìo-
CAPITOLO QUINTO loi
TaDoi VucoDtì 8Ì 1110866 contfo la patria, pose Tas-^
aedio al castello di Montopoli, e se ne rese padrone . ^^q]
Reclamarono invano i Pisani al Re Carlo, con cui la?^
avean conchiusa la pace: dette loro buone parole,
e lettere pel suo Vicario in Toscana con ordine di
desistere dalla guerra, ma probabilmente gli man*
dò segretamente un contrordine: giacché seguitò il
Vicario ad agir contro i Pisani, né fu la trasgres*
fione punita col suo richiamo, e per altra parte im«
portava molto al Re Carlo, che Pisa sola in Tosca-
na Ghibellina, mutasse fazione. Morì frattanto in
Montopoli Giovanni Visconti col suo figlio Lapo,
ma non cessò la guerra (34) * ^'^" ^^^^ cittadini la
fomentarono. Escito di prigione il Conte Ugolino,
anelando alla vendetta, se ne partì coi suoi figli
per Lucca, e animato dai Fiorentini proseguì la
guerra contro Pisa, la quale era inabile a resistere
a tutte le forze della Toscana riuuite ai soldati
francesi condotti dal regio Vicario: furono perciò i
successi poco felici pei Pisani. Inutile fu la barriera ^^"fi
del fosso Rinonico (35), scavato fra Pisa e Ponte-
der a. in distanza di circa otto miglia da Pisa, e
lungo circa a io che comunicava coirArno: benché
difeso dai militari ordigni, fu superato dai Fioren-
tini (36). Si vide Pisa nella necessità di accomo-
(34) SI veggano per questa serie <li avvenimenti Guido da
CoTf ara , loco cit. V iftor. manos. del Can, Roncioni , Cav. Flam.
dal Borgo diss. 8.
(35) Cosi detto dal prossimo Villaggio Rinonichi, e per sba-
glio detto dai Fiorentini istorici Arnonico, come ha dimostrato il
Cav. Flam. dal Borgo diss. 8. dell' ist. Pis. Passava il fosso al luogo
oggi detto le Fomacette t ove sboccava in Arno le acque che con-
daceva dalle palndi » servendo cosi a due oggetti * che presto di-
vennero inutili. La difesa era piccola , e piccolo il pendio, difetto
che il rialzamento del letto di Arno rese sempre maggiore .
(36}RicBlalas.cao3.
f02 LIBRO TERZO
* darsi; e ricever la legge dai vincitori: fu obbligata
di"a ^ restituir la terra al Conte Ugolino^ altri castelli
1276 ai collegati^ ed a rimettere in Pisa assoluti da ogni
bando i Guelfi cac,ciati (37)* Ritornarono in Pisa
come trionfanti il Conte Ugolino, i Visconti, il
Conte Anselmo di Capra ja, gii Upezzinghi, ed aU
tri Guelfi; e quantunque Pisa si mantenesse Ghi-
bellina, ebbero costoro, ed in specie il Conte Ugo-
lino grande influenza nel governo, giacché sostenuti
dal partito dominante in Toscana , non potevano
essere senza pericolo delia quiete pubblica colla
forza aperta le loro operazioni combattute. U santo
Papa Gregorio sempre dritto nei suoi fini scevri di
ogni interesse mondano, indifferente al Guelfo, e
al ghibellino partito, avea fino di Lione esclamato
contro questa guerra, e fulminata ancor la scomu-
nica per mezzo del suo Legato in Pisa contro gli
ostinati guelfi, benché antichi favoriti della Santa
Sede (38); onde ritornato in Toscana, era sempre
più irritato coi Fiorentini già posti sotto Tinterdet-
to. Nel suo viaggio volle fuggir Firenze, ma fa im*
pedito dalla piena dal valicar TArno fuori di es*
sa . Non essendo decente che un Papa passasse per
una città maladetta, la ribenedi nel l'entrar vi, e
tornò ad interdirla quando ne fu escito: seguitando
il viaggio giunto in Arezzo mori, e vi si conserva
beatificato il suo corpo» Avea questo Papa stabilito,
che morendo il Pontefice fuori della Curia, nello
stesso luogo, senza perder tempo si eleggesse il duo-
(37) Rie. Malas. e. ao3. Tolte le altre condizìoui possono leg-
gersi nella cliss. 8. sulP isl. PJs. del Cav. Flam. dal Borgo .
(38) Guid. de Cor?, loco citai.
CAPITOLO QUINTO io3
vo (39). Il palazzo del Vescovo aretino ebbe perciò
r onore di divenir Conclave, ove fu eletto il nuovo ^i e.
Pontefice Innocenzo V» ^376
Firenze era vissuta qualche anno assai tranquil- 1377
la , mancandovi il fomite della ghibellina fazione ;
ma il desio di soprastare agli altri è troppo ineren-
le al cuore degli uomini , germe utile quando gli 1^78
spinge a cercare una distinzione con azioni virtuo-
se, dannoso quando si vuol ottener colla forza. Que-
sto germe pericoloso si sviluppa più facilmente nelle
Repubbliche, nutrici perciò di gran virtù, e di
gran delitti, ma per lo più turbolente, e agitate.
Per invidia di ricchezze , per emulazione di pote-
re, nasceva già in Firenze un'altra fazione tra i
Donati, e gli Adimari, che si traevano dietro altre
famiglie potenti , ed in parte vi trapelavano insen-
sibilmente le mascherate animosità guelfa , e ghi-
bellina. Gli uomini di senno in quei lucidi inter- 1^79
valli, nei quali la ragione dominava sulle passioni,
vedendo l'importanza della quiete, accordatisi col-
la Comunità, inviarono ambasciatori al Papa per
pregarlo a riunire gli animi. Niente di più puerile
sembrerà al sensato lettore che le si frequenti ricon-
ciliazioni dei Fiorentini violate quasi subito ; ma
sempre son fanciulli nel senno gli uomini acciecati
dal partito. Niccola III accettò la difficile impresa,
e ne incaricò il Cardinale Frangipane suo Legato
in Romagna. Era egli stato religioso Domenicano,
e celebre predicatore. Venne a Firenze con 3oo ca-
valieri. I Ghibellini esuli cercarono di essere inclusi
in questa riconciliazione : dopo molti maneggi si
(39) Decretai. 6. Bonifacì 8. de elee, et elee. poss.
to4 LIBRO TERZO
- fece r accordo traile fesionì, isi richiamarooo i Ghi-
^IQ bellini, e aopra molti palchi etetti sulla piazsa vec-
laSochia di Santa Maria Novella il di i8 Gennajo, in
faccia del popolo e di tutti i magistrati, e primarj
di ogni fazione ai abbracciarono, esortandoli con un
eloquente orazione il Cardinale alla concordia (4o)«
Furouq. eletti i4Buonomini, 8 GuelG, e 6 ghibel-
lini, e in mano loro posto il governo della città.
Molti cittadini però dell'uno, e delKaltro partito,
la presenza dei quali era pericolosa in Firenze, si
confinarono nel patrimonio della Chiesa , altri ab-
bandonarono la città,. ritirandosi alle loro ville.
Restò confermata solennemente la pace generale da
ambe le parti, dati mallevadori con pene pecunia*»
laSi rie gravosissime a chi vi mancasse • Con sifl^tta
operazione il Papa acquistò in Firenze un'influen-
za anche più grande di Cario, la di cui potenza
era dai Fiorentini temuta; giacché quantunque si
riguardasse come amico e creatura della Chiesa, la
soverchia potenza di un Re faceva sempre gelosia
al dominio dei Papi, ed alla fiorentina Repubblica.
Avea però egli intanto soflferto dei colpi assai dolo>
rosi : la Sicilia , che gemeva sotto il suo scettro di
ferro, scosse finalmente il giogo. Giovanni di Pro-
ceda seguace della fazione Sveva , fu il principale
autore del movimento. Carlo gli avea confiscati i
suoi beni. Incitò a questa impresa Pietro di Arago-
na, la di cui moglie Costanza, figlia di Manfredi,
ne avea ereditato i diritti. Venne Giovanni stesso
travestito in Sicilia ad infiammar gli animi alla
ribellione, e ottenne dalTImperator greco sussidj
(40) Malasp. Gap. 3o5. Amm. lìb. 3.
CAPITOLO QUINTO io5
in denaro^ pronietteùdogU una potente diversione
all'impresa y che Carlo contro di lui apparecchiava. ^| q^
Già si era mosso Pietra con la sua flotta , quando i i^^i
Palermitani non potendo più soffrire gK insulti, e
k insolenze dei Francesi cantarono il celebre Ve-
spro Siciliano, in cui trucidarono quanti Francesi
si trovavano in quella città: tutta risola in breve
fa perduta, e Pietro di Aragona vi fu ricevuto co-
me un angelo liberatore. Queste disgrazie di Carlo
Don dispiacevano molto ai Fiorentini, giacché la di
Ini potenza avea cominciato a porgli in sospetto, che
un Principe avido tanto di dominio non s'insigno-
risse del loro. L'ultima riforma del governo, con
cui si erano ammessi i Ghibellini fra i primi rego-
latori della Repubblica , non poteva essere stabile
dettata da una momentanea espansione di cuore, e
dalla coscienza più che dalla politica , dovea com-
parir pericolosa alla gelosia dei Guelfi, tanto supe-
riori in numero; e per altra parte era difficile ad ia8a
ogni mutazione di Rettori trovare sei Ghibellini di
comune sodisfazione: i patti della pace stabilita fu-
rono rotti: si esclusero dalle cariche i Ghibellini, ai
confinati si trattennero le rendite , e infine furono
dichiarati ribelli . Si riaccendeva il fuoco della di-
scordia ; i più savj cercarono dei rimedj : si riuni-
rono a proporli sei cittadini , fra i quali il Cronista
Dino Compagni , benché assai giovine e perciò ine-
sperto dei pericoli dei contrasti popolari ; fu ascol-
tata la sua voce, e accettato il suo consiglio; si
mutò perciò nuovamente il governo: si elessero tre
persone chiamate Priori delle Arti, che dovessero
cambiarsi ogni due mesi : era questo il supremo
Magistrato, e col Capitano del popolo trattava i più
io6 LIBRO TERZO
"importanti aflari della Repubblica; fu il suo prÌDci-
di G. P'^ di i5 giugno: dopo i due mesi ne fu accresciuto
laSail numero fino a sei, eletti da ciascun Sesto della
città: questo fu il principio della celebre Magistra-
tura, che si mantenne per tanto tempo in Firenze.
Pare che ayessero il potere esecutivo , e che adunas-
sero quando ne iacea di mestiere i Consigli per d^
liberare. Attenti poi i Fiorentini a ciò che potesse
assicurare di più la Repubblica, e memori, che gf in-
citatori alle discordie erano sempre i nobili, studia-
rono di tenerli in dovere: non stimando giusto
escluderli dall'esercizio delle pubbliche cariche,
vollero almeno che preso il nome di cittadino si a^
rolassero ad alcuna delle arti (4i)*
(4i) Giac* Malasp. se^to dell' istor. Gap. a 14. Gìo. YiH
lib. 7. e. Sa. Dino Compagni lib. i*
IC7
CAPITOLO FI.
SOMMARIO
Potenza e ricchezza di Pisa» Guerra coi Genovesi . Battaglia
detta Meloria, e rotta dei Pisani, Lega delle città guelfe
contro di loro • Trattato coi Fiorentini , e cessione delle loro
castella . Fazione dei Visconti « e dei GherardescìU in Pisa .
Orribile supplizio del Conte Ugolino eoijigli e nipoti, Rijles-
sioni sui delitti attribuitigli, Vicende del Governo di Siena,
Morte del Re Carlo di Napoli.
JL isa Della passata guerra era stata umiliatale co
stretta a ricever la legge dai vincitori: ma nelle ^^ni
stesse perdite avea mostrata la sua potenza, giacché i^ga
sola contro tutta la Lega Toscana y sostenuta anche
dal suo re Carlo, si era per qualche tempo corag-
giosamente difesa; e se avea terminato per cedere,
conservava ancora un atteggiamento Aero ed impo-
nente. Popolata , e ricca, V opulen2a dei suoi citta-
dini la rendeva una delle più considerabili città
d'Italia, giacché i Visconti, i Gherardeschi , e tan-
t'altre famiglie, che possedevano Signorie, e terre-
ni in Corsica , «e in Sardegna, benché colle prepo-
tenze talora ne turbassero la tranquillità, vivevano
con grandezza, e splendore. I dispendiosi, e ma*
gnifici sacri edifizi del Duomo, di S« Giovanni,
del campanile eretti nei due passati secoli, e del
Campo-Santo , che in quest' epoca ebbe il compi-
mento, 8on prove autentiche, e oculari delle loro
ricchezze. 1 suoi domini erano specialmente sulla
costa marittima, e si estendevano dal Corbe (i) fino
(i) II Corbo o Coi'vOyè la punta orientale del golfo della
Spezia pdco dbtante dalla foce della Magra .
io8 LIBRO TERZO
^a Civita Vecchia. Signoreggiava poi sulle isole di
^"^ Sardegna I Corsica, Capraja, Elba, Pianora^Gor-
ia3a gona, Giglio f Monte Cristo (a), onde si scorge cbe
i suoi dominj erano pia estesi in mare che in terra-
ferma, come conviene a una potenza marittima. E
in verità la sua forza era specialmente sul mare,
giacché nei mari , che per quel tempo si dice?aoo
remoti, in Levante, sulle coste della Siria a?ei
degli stabilimenti precarj in verità, ma sufficienti
per commercio, e in fondo del mar Nero fino nel
XV secolo, un porto conservava ancora il nome di
Porto Pisano (3). Le flotte numerose di loo, e an-
cora ooo legni , armate spesso da questa Repub-
blica ci scoprono le sue ricchezze, originate dall'in-
dustria , e dal commercio • La forza marittima for-
mava la sua vera potenza, per cui era rispettatale
temuta dagF Imperatori , dai Regi , e la sua amici-
zia spesso sollecitata : ma ella si accostava alla soa
decadenza • Erano stati finora i Pisani una delle
tre principali potenze marittime , e coi Veneziani,
e i Genovesi si erano divisi l'impero dei mari allora
conosciuti. La gelosìa del commercio le avea spetso
fatte venire alle mani , e ciascuna cercava il ano
ingrandimento sulla mina dell' altra . Pisa si era
veduta sorgere accanto un' altra industriosa repob-
blica , la fiorentina , le di cui ricchezze^ e potenti
andavano sempre crescendo • Non ne avrebbe do-
(a) Questo dominio ai deduce da dae aolenni trattali &tti(lM
Pisani, uno deU' anno i a65 » con Re di Tunisi Elmiro di Moniao,
l'altro nel ii3o, con Mico uno dei Re affricani« endqoilì p(^
gì' interessi reciproci si nominano le terre dominate dai nsaai: li
possono vedere Flam. dal Borgo deU' istor. Pis. diss. 4* . . .
(3) Vedasi l' istor. dei Commer. dei Toscani da noi riferita m
appresso. Saggio in.
CAPITOLO SESTO^ log
Tuto prendere gelosia , perchè inesperta qaella nei-
Farti marittime^ che faceano la sua poteota , ed^io,
avendo bisogno del mare, sarebbe stata sempre in ^^^^
Dna certa dependenza ^ quando non ne fosse tiran-
neggiata. Era dunque l'interesse di Pisa lo starsi
unita con Firenze, potendosi le due repubbliche
spesso giovare con degli scambievoli soccorsi. Una
£ilsa politica le rese rivali per la diversità delle fa-
zioni guelfa e ghibellina , che furono il flagello
deir Italia , e pel meschino interesse di miserabili
castelli. La vanità di estendere uno sterile dominio
stilla terra destò fra loro ostinate guerre > in cui il
sangue, Tindustriai e Toro furon perduti, che im-
piegati nell'oggetto grande, per cui furono grandi
queste due repubbliche, la navigazione, e il com-
mercio, le avrebbero probabilmente rese arbitre del-
ritalìa. Pisa cadde dall'antica grandezza, prima
perdendo la potenza marittima, indi la libertà, nel
tempo che manteneva una rivalità pericolosa colla
fiorentina repubblica. Era in guerra coi Genovesi :
avea nei passati tempi combattuto contro di loro
con varia fortuna , e i disgraziati eventi si erano bi-
lanciati coi prosperi. Abbiamo veduto a suo luogo
che dalla sua flotta unita a quella di Federigo II era
stata disfatta la genovese presso la Meloria, scoglio
glorioso allora alle armi pisane quanto dovea essere
in appresso funesto. Nel i a58, i Pisani aveaii com-
battuto nei mari di Levante uniti ai Veneziani contro
i Genovesi riportandone una compiuta vittoria col-
la presa di 24 galere: queste vittorie dei Pisani, e
la loro alleanza coi Veneziani aveano abbattuto al-
quanto i loro rivali, e fino all'anno laSft fu fra
loro pace, o almeno quella quiete, che nasce dalla
Ito LIBRO TERZO
^stanchesza , o dal timore reciproco. Il genio torbi-
di e ^^> ^ instabile di Siooncello , Giudice di Cinarca,
ia82 dette il priocipal motivo alla nuova guerra. Costui,
perdute nella tenera età colla morte del padre le
aue terre neir isola di G>rsica) refugiato in Pisa,
cresciuto , e fattosi prode nelle armi , col di lei
ajutOy e sostegno fu mandato in Corsica come Go-
vernatore, e Giudice. Era allora una parte di quel-
l'isola posseduta dai Pisani, un'altra dai Genove-
ai: l'attivo Sìnoncello col suo nome e valore, noo
solo riguadagnò le sue terre^ ma si estese fino a
Bonifazio. Temendo però le forze dei Genovesi,
per conciliarseli, fino dall'anno 1349* ^<»*<l^^<> ^^
benefizj dei Pisani^ si accordò a riconoscere le sue
terre come feudo di Genova: ma divenuto in ap-
presso più sicuro, ed insolente, dopo aver oflfesi i
Pisani , prese ad inquietar gli stessi Genovesi , e
tutti gli altri mercanti cbe giungevano a quelTisu-
la. Si vide Genova in necessità di tenerlo in freno;
mandò delle truppe in Corsica ^ che in pochi giorni
gli occuparono le sue terre ^ ed ei fu costretto a sal-
varsi colla ftiga. Si ricovrò a Pisa, ove pentito del-
la ribellione si pmtestò di riconoscere l'antica so-
vranità dei Pisani. Questi vollero prenderne la pro-
tezione. Un Ambasciatore genovese venne a per-
suadergli, cbe non dovean prender la difesa di un
ladrone ribelle: l'orgoglio dei Pisani accolse con
(liìidegno questa ambasciata, si ostinò a proteggere
Sinoncello, licenziò il ligure Ambasciatore, e man-
dò.i suoi a Genova per dichiarar le intenzioni di di-
fender col Tarmi il loro vassallo. Furono dai Genove-
si coOk eguale orgoglio trattati i,Pisani, onde fu riso-
CAPITOLO SESTO ni
Iota la gwrra fatale (4) - Forse sperarono questi col
valore, e influenza di queir uomo sostenuto dalle di e.
loro armi , riprendere la parte di Cìorsica, che te« ^^^^
Devano i Genovesi : e veramente rimandato là col
piccolo rinforzo di iso cavalli, e aoo pedoni, potò
ricuperare le sue terre perdute. Var| combattimea-*
ti per lo più svantaggiosi ai Pisani precedettero la
decisiva giornata, alcuni dei quali rammenteremo
brevemente. Insultarono i Pisani Porto-Venere sbar*
candovi delle genti, e saccheggiandolo: ma furono
i Genovesi vendicati dalla tempesta che portò 17
galere a rompersi sulla spiaggia toscana con la morte
della maggior parte dell'equipaggio (5). Si molti- lass
plicarono le reciproche offese per tutto Tanno: mol-
te navi mercantili dei Pisani furono prese; e intan^
to con straordinarj sforzi si facevano da ambe le
parti i piò vigorosi armamenti. Una flotta pisana
forte di 54 galere era stata condotta da Andreòtto
Saracini verso la Sardegna in traccia dei nemici , e
non gT incontrando , sbarcate a terra delle genti
riconquistò varie città ribellate: dopo questa impre^
sa avea veleggiato verso Piombino, distaccando im-^
prudentemente i5 galere per corseggiare altrove,
mentre si potea temere d'incontrare una flotta ne*
mica eguale, o superiore; realmente venivano a
cercar la flotta pisana 54 galere genovesi comanda,
te da Uberto Doria, che non trovandola presso la
Sardegna , sì erano rivolte verso Piombino. Non
credette prudente cosa il Saracini, tanto inferiore
di forze, di misurarsi col nemico, e sì tenne chiuso
(4) Filippini istor. di Corsica lib. 3.
(5) Folielt. bÌ5t. genueos. lib. 5. Aur. ann. geouen. rer. ital.
tome.
112 LIBRO TER20
.nei porto di Falena, fortificandone l'iogresao: 3
dì a Dorìa ne fiece il blocco. Intanto le i5 galere pisane
>983 g^ aeparate tornavano a riunirsi . Scopertele il Da-
ria, ne distaccò 3^ delle sue per attaccarle: tenta-
rono le pisane la fuga, e volendo evitar di essere
prese , spinte da un forte scirodco investirono 1»
apiaggia I nna di esse andò a picco, tre fiurono preda
dei Genovesi con 6oo prigionieri. Non essendo sta-
to rAmmiraglio pisano accusato di codardia , eoo-
vien dire che Tarmata cbinsa nel porto non finse
in stato di uscire , impedita dal vento , gkicdìè
avrebbe potuto allora attaccar con spperìoriti di
numero k {lotta che la bloccava. Il vento burrascoso
fece io seguito allontanar finalmente la genovese
da Faleria, ed allora esci il Saracini, tornando a
Pisa col rossore di essere stato bloccato, e spettato-
re della ruina di una parte della sua flotta (6) . Ani-
mate da tant'odio le due Repubbliche si prepara-
rono cogli sfor^ i più grandi heiranno appresso ai
più sanguinosi contrasti: %^ galere pisaoe scortava-
no due grosse navi cariche di truppa per sedare
delle ribellioni eccitale in Sardegna dai Genovesi .
Una di queste, su cui era Bonifazio Gherardeschi,
essendosi separata si trovò in messo della flotta
genovese di 2ia galere , che b' incamminava allo
stesso luogo : rimase prigioniera ; e siccome videro
i Genovesi comparir la flotta nemica , tolto il me-
glio dalla nave prigioniera vi posero il fuoco ^ e si
accinsero coraggiosamente alla pugna. Fu questa
feroce^ e ostinata, ma infine la vittoria si dichiarò
pei Genovesi: perderono i Pisani i3 galere^ ed una
(6) Foliett. his. gen. Jacob. Aoria ann. gen. Ice dt
CAPITOLO SESTO ii3
wmmn'Ba', circa a seimila fra morti, e prigionieri: =^
ciò avvenne verso la Bae di aprile (7). Queste re> f-"^"
plicate perdite fecero rivolgere i Pisani a chieder ii83
soccorso ai Veneziani, coi quali uniti io Levante
avean rotti più volte i Genovesi. Albertino Moro-
ùui veneziano Potestà di Pisa tentò questa lega,
ma invano: vollero i Veneziani restar neutrali. La
vera politica però dovea far loro sostenere una po-
tensaj minata la quale, i Genovesi loi-o perpetui
nemici crescevano tanto io potere: e bene ebbero
inseguito motivo di accorgersi dell'errore. L'ulti-
ma disgrazia invece di scoraggire i Pisani, gl'in-
fiamoiò davvantaggio alla vendetta: fecero uno dei
maggiori sforzi , armando 73 galere, delle qoali fu
cuoiaodante il Conte Ugolino già tnolto potente in
Pisa: vi sali il 6ore delld nobiltà, e cittadinanza
pìsat)a,.vi si aggiunsero altri legni minori: ma in-
vece di attaccare la flotta goiovese, forte di sole 3o
galere, che sotto il comando del Giacaria si trova-
la in Sardegna, e che facilmente avrebbero oppres-
sa, perdettero un tempo prezioso andando ad insul-
tare la città di Genova, presentandosi a quel porto, taS4
tirandovi dei colpi di balestra, e sfidando ì Geno-
(■}) Tedi Guido da Corvara (rer.
battaglia nel primo di iiiaggio : i Stami
(loc.cit.)e ^i «ng. genovesi, (rer.
accordano «vii numero delle enUTt di
DumcTili meno autorevoli. iTCav. da
ni, benché in ogni altro luogo ne sia
leredalla parte dei Pisani, e ^a dei G
taUaglia fa veramenle sopraggiunge:
gnidato da Arrigo del Mare, ma non
cipio l' indicala sproponioDe si sarebbero cimentati i Genovesi,
nt sarebbe gloriosoal Pisani con un terzo di galere di più,uouaver
subilo guadagnato una decisa superiorilà.
fi4 LIBRO TERZO
^ vesi n battagliale dopo queste inutili bravate se ot
^i Q^ tornaroDo a casa (8). Niente è più prezioso del tempo
1384 e dell'occasioni nella guerra. Aveano i Genovesi ri«
chiamato colla maggior premura Tarmata del Giaca-
ria dalla Sardegna ^ e datisi ad armare colla maggior
fretta , ebbero presto in ordine una flotta di 88 galere
con molti altri legni minori , e ne fu dato il comto.
do ad Oberto Doria. Postosi in mare, inteso esserla
pisana armata verso la Meloria , si avansò a quella
parte. Temendo il Doria che la superiorità del no-
mero dei loro legni non facesse recusar la battaglia
ai Pisani) e ritirarsi nel loro porto, non si avainò
che eoo 58 galere, facendo restare indietro la divi*
sione del Giacaria colle trenta (9). Accettarono la
battaglia i Pisani, e fu combattuto il di 6. dì ago*
sto con tutto il furore, e Tanimosità di due popoli,
che vogliono scambievolmente distruggersi • L'aja*
to, che sopraggiunse ai Genovesi del Giacaria ina*
spettato ai Pisani, probabilmente decise la sorte di
quella giornata. La galera, su coi era montato il
(8) K strano die ninno scrittore genovese conti questa lira*
▼ata , e si contentino di dire, che si vantarono di farla ^ ma niuBO
parla che 1* eseguissero . V. Gio. Villani ti. 7. e. gì.
(9) Variano molto gli storici sulle circostanze che sono di po-
co momento, e sul numero dei legni da una parte, e clair altra,
facendosi ascendere a piJi di 100 i ols^inl, e a 1 5o i genoyesi , ibi
si conviene chela flotti genovese fosso assai superiore. Se poi al-
l'avvicinarsi dei nem'ci si armassero nuovi legni in Pisa , se ne fa-
cesse la henedizione 1* arcivescovo sairA.rno, henchè Io attestino
<|uasi tutti gli slnrici pisani, ed il Villani tra i fiorentini , può da-
hitarsffne , giacche pire manchi il tempo necessario , come ha ce^•
rato di mostrare il Oav. dal Borgo ^loc. cit.), e perciò smentìsct
ìiì calunnia di poca religione data dal Foglifflta ad alcuni Pisani . 1
quali vedendo in quella funzione cadere per accidente il Cristo d»*
stava in cima de! gran Stendardo , e che ciò era da alcuni prcja
per sinistro augurio esclamarono: sia pur Cristo per i Genove^»
#t pflr noi il vento. Vedansi Folletta lib. 5. Ciac. Malas. e. a*''
Vili. lib. 7. e. gì* Gontin. Caflf. Marangone, Giust* Bizari,
CAPITOLO SESTO ii5
Potestà dt Pisa Albertino Morosini^ si battè furiosa- ^^
mente colla Capitana guidata dall' Ammiraglio Do- ^iC.
ria , con cui però si era unita altra delle principali >^4
galere comandata dall'altro Ammiraglio Giacaria.
Anche quella che portava il gran Stendardo pisano
fu presa dalla galera detta ii 8. Matteo^ ove erano
molti della famiglia Doria, e dalla galera di Finale,
Fu lacerato 9 e abbattuto il gran Stendardo, e la
rotta fu completa • Ventisette galere pisane furono
prese, sette sommerse; e il resto fracassato, e mal-
concio, col benefizio della notte si saVvò nel vicino
Porto pisano, e con tre di queste scampò il C. Ugo*
lino. Quattromila si dissero! morti , moltissimi pri*
gionieri; fra i quali il figlio del G. Ugolino. Questi
K>mmati cogli altri fatti nelle anteriori battaglie
montavano a circa it mila, e tutti delle più im«
portanti persone (ro). Tale avvenimento si portò
•eco la ruina della potenza marittima di Pisa, che
oon potè più sollevarsi al rango delle sue rivali.
Molte illustri repubbliche, come ci mostra l'antica,
e la moderna istoria , sono risorte dopo le più gravi
perdite. Pisa non lo potè dopo questa, e varie cause
si combinarono ad impedirlo, la prima, e principa*
le fu la perdita dei più valorosi , ed assennati citta-
dini restati prigionieri , e che i Genovesi con crude*
le, ma utile politica si ostinarono a non riporre in
libertà , per guisa che trattenuti in dura carcere per
circa i5 anni, che tanto durò la guerra, la maggior
parte vi fini miseramente la vita (i i). Priva di que-
(io) AJcani fanno il numero anai maffgiore : la prova del nu
grande è il detto di questo tempo » cne » chi Yolea veder Pi«
m dorea andare a Genova.
(1 i) Flaau dal fiordo dell'Ist Pis. àÌBS. II.
iiG LIBRO TERZO
75ti Pifla^ divenne una nave senza nocchìerO| e po(è
^C, più agevolmente esser dominata da quei fiizio8Ì,che
13^4 non miravano all'utile pubblico ma al privato loro
interesse. La seconda causa si riconosce nella guerra
formidabile che le dichiararono T emule Repubbli-
che di Firenze^ e di Lucca con tutta la Lega Guel-
fa toscana unite ai Genovesi. Venuti gli Ambascia-
tori genovesi , e lucchesi , in . Firenze , si fece od
trattato per T eccidio totale di Pisa. A questo iote^
yenne cogli altri Capi del Governo il celebre Bru-
netto Latini^ forse come Segretario della Repubbii^
ca fiorentina (i a); né tardarono gli eflfetti: Teserd-
to dei Fiorentini entrò in Val d'Era, quello dei
Lucchesi occupò alcuni castelli , fra i quali Ponte a
Serchio; e nello stesso tempo lo Spinola con posseste
flotta attaccò il Porto pisano, e guadagnò la torre
della Lanterna (i5). Veduto il tristo aspetto che
prendevano le cose, si prese a consultare in Pisi
sulla comune salvezza . In questo sconcerto una
delle più autorevoli persone era il Conte Ugolioo,
a cui si volgeva la città per consiglio, e per ajoto.
ia85 È probabile che questo scaltro uomo pensasse fioo
da quel tempo alla signoria di Pisa ; e forse perciò
propose di accomodarsi coi Fiorentini, piuttosto cbe
coi Genovesi, perchè non fossero liberati, e rimes-
si in Pisa quei cittadini, che potevano contrastargli
il Principato • Il discorso però che gli pone in boc-
ca Leonardo Bruni è assai sensato, asserendo che
Pisa, potenza marittima, dovea riguardar come oe^
mica Genova sua rivale in mare, piuttosto cbe Fi-
renze, che dipendeva pel suo commercio da Fisi*
(13) Aurìa rer. ital. loc. cit«
(1 3} Goìd. da Gorv. Gron. Pis. rer. ital. tom. 24*
CAPITOLO SESTO 117
NoQ fu 6ul princìpio ascoltato il Con te ^ e si cercò'
accomodamento piuttosto con Genova ; ma questa y ^q
credendo venuto il punto della mina della sua ri- ^a^s
yaìe, ricusò duramente (i4)* Convenne allora ab-
bracciare il consiglio del Conte. Era esso stato sem-
pre amico dei Fiorentini^ perchè seguaci di parte
Guelfa ^ e la loro influenza lo avea rimesso in Pisa
colla restituzione delle sue terre: si riguardava
perciò come la persona più atta a trattare T acco-
modamento, e lo aveano creato i Pisani Potestà , e
Capitano del Popolo. Non gli fu perciò difficile il
concluder l'accordo con delle condizioni assai gra-
vose ai Pisani • Furono obbligati a cedere alla fio-
rentina Repubblica varie terre importanti , Santa
Blaria a Monte, Fucecchio, Santa Croce, Montecal-
Toli, e di esiliare i più zelanti Ghibellini di Pisa,
la quale si ridusse a parte Guelfa. La cessione di
tante castella fu riguardata come un tradimento(i5).
È assai verisimile che il Conte, mirando a divenir
Signore di Pisa , col favore , e appoggio dei Fioren-
tini, largheggiasse nelle concessioni; ma per altra
parte non si poteva ottenere la pace senza grandi
sacrifizj: e se la guerra continuava, piombando so-
pra di Pisa tutta la Toscana per terra , e per mare
i vittoriosi Genovesi , il suo esterminio totale era
sicuro. Se poi è vero, come portò la Fama, che i
fiaschi di verdea mandati a donare dal Conte ai
Capi del Governo fiorentino fosser pieni di fiorini
(1 4) Caff. Ann. gen. rer. ital. tom. 6.
(1 5) Tale fu la fama sparsa dai nemici del Conte Ugolino, e .
sa quella , dice Dante
n Che se il Conte Ugolino aveva voce
» Dì aver tradita te delle castella ,
n Kon dovei tu 1 figliuoi porre a tal croce .
ii8 LIBRO TERZO
"Jdi oro, ciò niente aggiunge ai supposti del Conte, i
drc.^non è che una prova di più fralle infinite della fona
* ^^5 imperiosa di quel metallo. Sono tanto incerti, e
sovente ingiusti gli umani giudizj, che della stessa
colpa data al Conte furono accusati i Capi del fio-
rentino Governo, i quali avendo un'occasione rara,
e propizia di occupare, e distrugger Pisa Tavesse-
ro, forse sedotti dall'oro di Ugolino, negletta (i6).
E veramente i loro alleati i Lucchesi, e i Genovesi
ne fecero alti lamenti: convenne acquetare i primi
con nuove concessioni; e Bientina, e Ripafratta,!
Viareggio furono loro cedute.
Divenne il Conte Ugolino colle cariche di Pote-
stà, e Capitano del Popolo a lui conferite per dieci
anni, e col sostegno dei Guelfi l'arbitro, e Signore
di Pisa, ma il suo nipote Nino Visconti, Giudice di
Gallura, benché dello stesso partito, gli divecoe
rivale nel governo, e potè tanto da costringerlo a
mettervelo a parte; ed ebbe Pisa allora due Rettori
con eguale autorità. Ma la suprema potestà divisa,
di rado ha tenuto un governo tranquillo: nacquero
subito delle pericolose rivalità tra i due Rettori, fn
taSS sì fatto contrasto , probabilmente accorgendosi il
nipote di essere eclissato in Pisa dalla potenza del-
l'altro, era col di lui consenso andato a governare,
o signoreggiare la Sardegna (17). Ma temendone
l'insubordinazione per vegliarne l'andamenti, e per
tenerlo a freno ove facesse di mestiero, il Goote
(i6)Giov. Villani llb. 7. Cap. 97. dice che alla prìmaTerai
Fiorentini si preparavano a far l'assedio di Pisa, e che furono ai-
tai biasimati di questo accordo; e aggiunge: e di certose i Fioren-
tini avessero seguita la promessa, e giuramento, la cilt^diPisa
farebbe stata presa , disfatta e recata a borgora come era ordinata»
(17) Frag.bis. Pis. rer. ital. tom. a4.
CAPITOtO SESTO» iig
tJgolino mandò in Sardegna il suo figlio Guelfo^ ^=Y
che non solo occupò il goireruo dei feudi della casa j- ^^^
propria 9 ma di iuUa la profincia Calleritana (i8). i^^^
Questo ai^venimeuto accese più vivo il fuoco della
discordia tra i Visconti, e i Gberardeschi : le loro
querele posero in furiose agitationi la cìltà, e il suo
contado , e furono più volte insanguinate le strade
di Pisa, e dei suoi castelli dalle rivali fazioni. Il
Visconti col suo partito prese ad accusare tJgolino
di resistere alla pace coi Genovesi, svelando un
segreto pericoloso, scordandosi, acciecato dall' am*
bisiosa rabbia, che quel messo avea giovato ad am«
bedue. Mentre la fazione Guelfa di Pisa si era cosi
divisa in due parti, esisteva in questa città Tantico
partito Ghibellino, che avea dovuto cedere air im-
periose circostanze, e nascondere nel silenzio i suoi
sentimenti. Mirando lacerarsi divisi i suoi persecu-
tori , prese coraggio • Era composto per la maggior
parte di popolari, e di preti e frati, persone atte ad
istillare negli animi della plebe i sentimenti , che
credono i più opportuni. Si fece capo di questo par-
tito TArcivescovo Ruggiero TJbaldini, il quale però
per lungo tempo dissimulò i suoi sentimenti, mo-
strandosi fautore ora dell^uno, ora delibai tro rivalcé
Sarebbe troppo lungo, e nojoso lo scorrer minuta-
mente la serie delle calamiti, in cui fu per circa
a due anni avvolta la pisana Repubblica ; in queste
guerre civili soffrirono i due rivali varie vicende:
rinunziarono al governo per acquetare le discordiei
ma gustata una volta la tazza del supremo potere,
inebria a segno da non potersi cosi agevolmente
( 1 8} Koloni. laeen. Ioc« eit«
t^o LIBRO TERZO
^abbandonare. L'avo , e il nipote, che avean tanto
^•^^1 combattuto pel Principato, abbandonatolo, e aenli-
ia86to il dolore della perdita, divennero nuova meute
amici, e si unirono per riconquistarlo colla fona:
1287 entrarono perciò coirarmi alla mano nel palazzo del
Comune, e in quello del Popolo, cacciando il Vica-
rio Messer Guidoccino, e la nobiltà tanto Guelfa, che
Ghibellina gli accompagnò officiosamente, e accon-
senti che riprendessero il supremo potere. Lo scaltro
Arcivescovo Ruggiero, che non vedea ancor maturo
il tempo della vendetta , non solo prestò il consenso
alla mutazione, ma padrone della collera, potè dis-
simulare fino la morte del suo nipote ucciso barba-
bramente dalle mani dello stesso Conte Ugolino. Que-
sto feroce vecchio però volea esser solo a dominare;
e riprese le redini del governo coirajuto del suo
nipote, pensava a disdirsene: l'Arcivescovo lo secon-
dava colla mira di minare ancor lui. Si era Ugolino
a bello studio ritirato alla sua villa di Settimo, per-
chè intanto scoppiasse contro il nipote la sedizione,
che l'Arcivescovo fomentava. Si accorse il Visconti
della burrasca che gli si preparava contro, e quando
vide che ai reiterati inviti di venire a sostener la
causa comune, il Conte Ugolino era restio, preve-
dendo ciocché gli si apparecchiava, esci frettolosa-
mente di Pisa. Tornato allora il Conte, trovò che
gli si voleva dar per compagno nel reggimento
l'Arcivescovo Ruggiero. Ricusando egli sdegnosamen-
te, i due partiti corsero alle armi, guidati dai loro
respettivi Capi, il Conte, e l'Arcivescovo. Si sparse
molto sangue: fu vincitore Ruggiero, e il Conte ce-
dendo coi figli e nipoti, ed altri seguaci, si ritirò, e
si fortificò nel Palazzo del Popolo: ma attac9ato an-
CAPITOLO SESTO 121
cor questo dai vincitori^ e posto il fuoco alla porta
dovette reodersi a discrezione. Furono presi, e ca-aic.'
ricfai di catene il G. Ugolino, i due suoi figli Uguc* '^^
cione, e il Conte Gaddo, insieme con due giovinetti
nipoti Anselmuccio figlio del G. Lotto, e Brigata figlio
del Conte Gaddo. Tutti furono in appresso racchiusi
nella Torre detta poi della fame (19), dalla loro
fatale catastrofe, dipinta dai sublimi , e negri colori
di Dante. Il Conte era reo di molti delitti in faccia
ai Pisani ; i suoi figli lo erano meno di lui , ed assai
meno i giovinetti nipoti. Confusi insieme nella stes-
sa pena atroce , risvegliarono la pietà di tutti gli
scrittori; ed è disgrazia per Pisa, che uno dei più
sublimi pezzi dell'italiana poesia, che niun colto
Italiano ignora, e che moltissimi forestieri conosco-
no, sia unito alla di lei satira.
Un dotto Pisano ha impiegato molto ingegno, e
dottrina per accrescere i delitti , e rendere odioso
piò del dovere il disgraziato Ugolino, e per iscusare
i suoi concittadini : siccome si tratta di un punto
d' istoria toscana tanto celebre, non sarà fuor di luogo
il farvi alcune brevi riflessioni , e dare imparziale
niente il giusto valore alla colpa, ed alla pena • Il
primo delitto di cui quel dotto scrittore fa reo il
Conte, ha rapporto alla spedizione anteriore alla
battaglia della Meloria comandata dallo stesso Ugo-
lino. Avendo trovato il porto di Genova vuoto di
legni armati, dovea, die' egli , sbarcar le truppe,
(19) Questa Torre era situata sulla piazza detta ora dei Cava-
lieri , i di cui avanzi formano un Pezzo del Palazzo ov'è T Oriolo:
esso e composto di due antiche torri riunite poi con un arco: la
parte vicina al Palazzo Conventuale fu la celebre torre della fame.
Vedi Flam. dal Borgo sull'ist. Pis. diss. 1 1.
122 LIBRO TER20
f assaltare, e iropadroDirai di Genova. L'accusa e
^l^^poco fondala^ giaccbè T impresa sarebbe stala assai
laSS imprudente, né si poteva sperare con quella Irup-
pa, cbe si trovava sulla flotta , di cooquistare una
città popolata come Genova , piena di gente feroce,
e animata dall'odio nazionale • Dopo la gran vitUh
ria riportata dai Genovesi, questi non crederon mai
opportuno di tentar la conquista di Pisa, benché
disanimata tanto, e priva dei migliori suoi cittadi-
ni. Né maggior fondamento ba la seconda accusa,
attribuendosi ad esso la perdita della battaglia della
Meloria, perchè consigliata da lui . Niuuo degli scrit-
tori di qoalcbe conto gli dà questa colpa : i Pìsaaì
quasi uniformemente cbiesero battaglia (ic)} e il
(lo) Tutti «li aerittort i pluali t IbNitltr) lo attetupai k
llgiio Flam* dal Borgo bonohk raoi^usi di quel delitto « «ggioiige i
^ /;i eii0 ( falere ) come <• si andati^ ad uns ccrtm vittcrtM
0fHin0 montati fastosi tutto U foro dMm Nobiltà $o gioveMiit
Eisana* Ciò lodìoe oonaenao aenertle* Il Marangone d» lui citato
I prora della tua opinione nulla dice del consiglio di combattere,
che li luppone dato d>l Conte , ami «ncor esso esagera U TOgìist
eheavefano i Pisani di combattere» eccole sue parole: Mescer
Oborto Moresinù montò il primo sulle dette galee, e il simiU
fecero tutti gli altri con tanta volontà di combattere che «'
parei^ loro mill'anni di essere alle mani » stando con timort
che ei non Se ne tornassero indietro ec. Conviene ossertar poi
che questo scrittore non è di quell'autorevole antìcbiU rbe neriti
tutta la fede. Egli scriveva al principio del secolo l(TT«edè
pieno di errori: ne daremo un solo esempio. Tf arrendo la bat*
taglia dei Pisani coi Genovesi , in cui fiiron presi i Predali, e i Car-
dinali» avvenuta per testimonianza dei pisani, fiorentini , e geiie-
▼esi scrittori l'anno 1937» ne fa Ammiraglio il Conte Ugolìoe
Biiz£)tccherino : allorquando poi ba narralo la morte atroce od
Conte Ugolino aggiunge : L* fusto judicio di Dio, che così roiem
per aver lui fatto morire, ed annegare in mare tanti Prelati p »
fatto contro a Cristo • Pare cbe abbia confuso nn Conte Dgolioe
con nn altro: giaccbè il Conte Ugolino di Donoratico non ebbe
parte nella battaglia prima della Meloria. Un tale scrittore non ba
in*aode autorità. Il Marangone ba copiato l'errore di cronologia da
Rie. Malespini > e il Tronci ba copiato da Marangone nel dare il
titolo di Conte al Bozxaccberini^ cbe il Yillani cbiama ^
Ugolino •
CAPITOLO SESTO laS
Conte Ugolino non potea fra tanti guerrieri di ma*
re, più assai di lui sperimentati^ avere unMnfluen* ^^q]
ta da farli determinare contro un partito prepon- >^S9
derante. Era Potestà di Pisa il Morosini, uomo di
mare, e perciò di maggior autorità del Conte; e se
questo sulla fine della battaglia si ritirò con tre
galere nel porto^ una intempestiva, ed inutile resi*
stenza avrebbe accresciuto il numero dei prigionieri
pisani. Il terzo delitto, di cui si fece pia conto in
qnel tempo, e di cui la maggior parte degli storici,
ch'esprimono la pubblica opinione, lo accusano, e
di avere tradito Pisa, consegnando molti dei ca*
stelli della pisana Repubblica ai Fiorentini, ed ai
Lucchesi per comprarsi la pace. Abbiamo di sopra
veduto qual peso si debba dare a tale accusa; ag«
giungeremo, che col consiglio degli stessi prigionieri
di Genova fu data plenipotenza al Conte Ugolino
di concluder la pace (31), e bisognata farla ad ogni
costo. ILu£cliesi, i Fiorentini con tutta la Toscana
riuniti per la parte di terra; ì Genovesi vincitori
per la parte di mare, contro ì Pisani soli, e abbat-
tuti, e Iruinati dall'ultima disgrazia^ rendevano
l'ultimo eccidio di Pisa immancabile. Solo si può
dubitare che il Conte, per esser favorito dai Fioren-
tini nel dominar Pisa, fosse un po' generoso con
essi, ma in fine conveniva ricever la leg^e dai vinci-
tori. Un delitto assai più probabile è che il Conte
impedisse, per quanto poteva, la pace di Pisa con
Genova: vi era il suo interesse; la pace era unita
(21) Ann. Gennen. C. CafT. Pisani cognoseentes se non posss
resistere societati praedictaefifolentes suae civìtatis evadere rui"
nam, de Consilio carceratorum , qui erant Januae, data est poÉ^
itas et plenum domimum Corniti Ugolino eie.
134 LIBRO TERZO
* col ritorno dei prigionieri ^ tra i quali si trovavano
die. l^ persone di maggior conto, che avrebbero frenato
ia88 ì di luì ambiziosi desiderj . Di fatti fu più volte ac-
cusato di questo delitto; non ve ne sono però delle
prove dirette : il partito contrario spesso andò gri-
dando per Pisa mojano quelli che non vogUono
pace con Genova. Non di meno aflferma uno scrit-
tore pisano assai antico, ninno si mosse perchè ri
vide che si alzava quel grido più per rainare il
Conte che per altro motivo (aa). Vennero poi di
Genova quattro dei prigionieri a portar le coodi-
zioni di pace che si offrivano loro; queste non soo
note y ma debbono esser state gravosissime : il Conte
con molti dei primi cittadini l'avrebbe ricosata,
ma sostenuta per fargli onta dal partito contrario^
cedette anch' egli, e fu conclusa (a3). È però accu-
sato di averla segretamente impedita, facendo dopo
l'accordo attaccare i legni mercantili genovesi da
dei corsari pisani: l'accusa non è priva di fonda-
menti: i corsari si armarono in Caglieri^ e in Qre-
stano luoghi soggetti al Conte Gaddo figlio di Ugo-
lino che si trovava in Sardegna ^ onde con la con-
cia) Fnignu hisL Pis. rer. itaL script, t. a4 ; »» E conoscendo
li Pisani che non lo facevano per pace volerei ma per confoDdcre
lo Conte Ugolino» non si levonno a romore^^.
(a3) Fragm. bis. pis. loc. cit. ,» Vennero a Pisa messer Gai-
glielmo di Ricoveransa .... per far la pace tra '1 Commano ^
Pisa , e il Communo di Genova che aveano tratto li pregioni coi
Commiino di Genova. E perchè la pacie fosse molto grave « e ia-
possibile perchè judici ( cioè il Visconti ) era da lato dei pre-
gioni, e voleala per confondere, e disfare lo Conte Ugolino cbe
non la volea elli, ne anco tutti quelli che savi erano a Pi»,
lo Conte Ugolino per non volersi recare a romore, e grido di
popolo addosso, né incontra consentire che si recasse a consiglio
magfiriore in Duomo , quine si fermò^ e prese cbe si (àcesse per
quello trattato eh' e' pregioni avean fatto coi Genovesi ec >»
CAPITOLO SESTO laS
nivenza del padre, e del figlio, e forse di ambedue
si fece r armamento; e la fonia della congettura jio.
cresce, giacché i Genovesi presi dai corsari, furono >^^^
condotti in Orestano , ed ivi posti in carcere (a4)>
lo che non avrebbero fatto senza esser sicuri del-
r approvazione del Governatore. Di questa colpa,
che è molto probabile, il Conte Ugolino non po-
trebbe scusarsi : benché la pace fosse gravosa ai
Pisani conveniva farla , e per ristabilire nel seno
della tranquillità la navigazione , e il commercio
ruiuati, e per liberare da una dura prigione tanti
infelici • Finalmente una sorte di tirannia, che eser-
citò su 1 Pisani, le crudeltà contro di essi, le solle-
vazioni, i tumulti sono per lui un delitto, il quale
é dimostrato dalla serie degli avvenimenti narrati.
È vero che il supremo potere da lui esercitato col
titolo di Potestà , e Capitano del popolo non fu una
totale violenta usurpazione, poiché la volontà d^i
Pisani vi concorse: T influenza però delle sue ric-
chezze, e delle sue aderenze ve lo fecero montare ,
ma ciò avveniva in ogni paese, ove i potenti citta-
dini con tutti i mezzi o della forza, o del favore^ o
delle speranze, o del timore determinavano l'in-
stabile, e fazioso popolo. L'indole del Conte era
veramente sanguinaria, e feroce, qualità comune ai
feudali Signori di quel tempo: le risse, i tumulti,
le battaglie cittadine erano frequentissime in tutte
le turbolente Repubbliche d' Italia non nella sola
Pisaj r ambizione di Ugolino , del Visconti, del-
TArci vescovo Ruggiero pose loro le armi in mano;
(a4) Ann. Genuens. CantÌD. Caffar. loc eli. Anche in questi
Annali non sì assicara positivamente che i corsari fossero armali
da chi non voleva la pace» ma si adoprano le parole: utfertur^
laG LIBRO TERZO
!se se neir ultimo contrasto rArcìfescovo soccombe-
^."^^ va • toccava a lui forse a morire nella Torre coi nomi
Ol e ' 1 * . • • ì ¥
ia88 ili traditore: giacche i vinti hanno sempre torto* il
lettore discreto, ed imparziale dalle esposte osser-
vazioni ha la giusta misura della reità del Conte
Ugolino y o può giudicare gela pena fu corrispon-
dente. L'atrocia della pena non diminuirà punto,
anche adottando il racconto di un incerto autore, il
quale asserisce essere stata posta una multa di lire ao
mila alla famiglia imprigionata^ togliendole il cibo
finché non l'avesse pagata ; né vi sarà io credo pe^
tona sensata da credere che potendo pagarla volesse
piuttosto morire di morte si dolorosa (^S). 1 più
autorevoli scrittori, o pisani, o 6orentini raccontano
uniformi il tristo caso, com'è comunemente noto.
Più felicemente è venuto fatto al pisano scrittore
di mostrar che i figli ^ ed anche i nipoti del 0)Dle
Ugolino non erano fanciuUetti innocenti^ circostaih
(a 5) Mnr. rer. ital. script, tom. 1 4* fragm, hi, PIs. H ncooolD
della multa è di questo aatore, dì cai non è noto né il nome, d^
il tempo in coi scrìsse. Se però come pare tatto il codice rifent»^
dal Muratori con una interruzione fu scritto dall' istesso aatorc,
esso viveva dopo il 1 33^ , fino al qu^l anno arriva , e perciò meoo
•ntorevole di Gaido da Corvara scrittore contemporaneo al Conte
Ugolino, e abitante in Pisa» cHe narrando come il Conte coi ^
fu posto in carcere, evi mori di fame, non parla della malta pe-
cuniaria , Mur. loc. cit. Solo qualche cosa di analogo al raccooto
dell'anonimo si dice da Bartolommeo da Lucca rer. ital. tom. ii«
AmDom. laSS. Dominus Ugolinus capitar a Pisanis, /avente,
et eoadjuoànte Archiepiseope emm muìtìs derids; cum dmoim
JUiis Gadda t et Brigata, et uno nepute Henrico ponumturà^
carcere: ibique post longant estorsionem pecuniarum fame ibidem
pereunt. Il negar poi fede a Gio, VlUani perchè Guelfo, e na-
mico di Pisa> i un' ingiustizia : questo scrittore invece di dif^
dere il Conte Ugolino , lo riguarda come un traditore sulla vooe
comune, la qnale abbiamo veduto quanto poco fosse fondatti
onde merita fede qcundo parta della di lui pena. YilL lib. 7*
eap. laot 127.
CAPITOLO SESTO 117
la forse supposta da Dante per accrescere il patetico
della sua narrazione. Tutta la famiglia dei Conti di ^^^
Donoratico non peri in quella Torre : vi era il Conte laM
Lotto sempre prigioniero in Genova, e il Conte Gad.
do governatore di una provincia di Sardegna, oltre
altri nipoti , le vicende dei quali sono diffusamente
narrate dagl'istoriografi di Pisa, e di quelTillustre
e sventurata famiglia; la ruina della quale invece
di recare a Pisa lapace, risvegliò contro di essa più
fiera la guerra , essendosi mossi i Fiorentini per una
parte per vendicare il loro amico, ed alleato, per
l'altra i Lucchesi coi quali si era unito Nino Viscon-
ti Giudice dì Gallura, fuggito da Pisa. Questi occu-
parono il castello di Asciano, e intanto gli altri fo-
ruscili devastavano le campagne » i castelli, e spar-
gevasi per ogni lato la desolazione, e il terrore.
Delle tre principali repubbliche di Toscana, Fi-
renze, Pisa, e Siena, si è già veduto assai spesso le
due prime agitate per gelosia, e preminenza di go-
verno: Siena non lo fu meno, né meno rapidamente
alterossi la sua politica costituzione . Siccome in
questi tempi avvennero degli essenziali cambiamen-
ti, convien riunire in un breve quadro le principali
sue mutazioni. Fu sul principio il governo della
Sanese repubblica nelle roani di gentiluomini •
Avrebbero potuto conservarselo stabilmente,' se le
discordie per le fazioni Guelfa , e Ghibellina , 0 per
gelosia di dominio non gli avesse divisi- Ciascuna
delle fazioni per rendersi più forte cercò di trarre
al suo partito una porzione del popolo, e venute
più volte alle mani , insegnarono alla plebe col-
i'esperienza che essa aveva il potere, quando n'avesse
avuta la volontà, d'impadronirsi del governo. Co-
iai8 LIBRO TE^ZO
^^^ minciò pacificamente a domandarlo: non osò né Tana
^ Q, né l'altra parte di opporsi , e si accettò il popolo nel
ia88 reggimento, che sulle prime ne partecipò della sola
terza parte, creandosi invece di due, tre Consoli,
uno dei quali fu tratto dal seno del popolo . Il Con-
siglio generale dei nobili era formato di cento pe^
sone, né vi poteva entrare che un individuo per
casa: solo a cinque famiglie come numerosissime)
cioè Piccolomini^ Tolomei, Malevolti, Salimbeoi,
« Saracini, fu concesso averne due. In quella rifo^
ma pertanto, volendosi conservare la stessa propor-
zione, furono ai cento gentiluomini aggiunti 5o
popolani (%6). Conosciuta il popolo la sua forza, e
gustato il piacere di governare, dopo qualche tempo
ne volle una parte maggiore , e pronto a pretenderla
colla forza, l'ottenne p^ici fica mente. L'autorità dei
Consoli per l'introduzione del Potestà ( come ab-
itiamo visto a suo luogo ) era assai diminuita; si de-
terminò che ^4 persone, fossero i Rettori, scelle
indifierentemente dai nobili, o popolari, le quali
ogni. anno ^i rinnovassero. Pare che ciò avvenisse
circa l'anno ia3a: a queste ne furono aggiunte poi
altre dodici. Soffrivano mal volentieri i gentiloo-
mini questa diminuzione di autorità;e colle querele,
e cogl' insulti irritavano di avvantaggio i popolari,
che preso sempre più coraggio, cacciarono final-
xnen^te affatto la nobiltà dal reggimento nell'an-
no 1 280. Parve ai Riforno^atori troppo numeroso il
Magistrato dei 36, si per la difficoltà di trovarsi
d'accordo , come pella necessaria segretezza negli
affiiri , e fu ridotto a i5, detti i Governatori, e
(aO) Malav, i$tcn:. $aiie. pag. 1. lih. |,
CAPITOLO SESTO 129
Difensori del Comune, e Popolo di Siena. Ancor
questo numero fu creduto poi troppo esteso, perciò ^"q*
4 anni apprèsso fu ridotto a nove; e questa è l'origine i^ss
del celebre Magistrato, o Monte di Nove. Fu stabi-
lito che per la sollecita spedizione degli affari abi-
tassero in uno stesso palazzo, e che il tempo dei
loro reggimento non oltrepassasse due mesi . Dal
Magistrato dei Nove, supremo Rettore della repub-
blica, (tanto era il timore, e gelosìa dei potenti)
non solo furono esclusi i nobili , ma i cittadini, e
mercanti troppo ricchi, i Dottori, e i Notai .Nacque
un siffatto governo appunto in questi tempi, cioè
uelTanno 1284; sì mantenne lungamente fra con-
tinue agitazioni, delle quali alcune delle principali
saranno esposte a suo luogo.
Morì il Re Carlo di Napoli, amico pericoloso dei
Fiorentini. Avea provato la prospera , e Tavversa
fortuna: favorito da lei nelle battaglie, vinse due
re potenti Manfredi , e Corradino, e guadagnò i re-
gni di Napoli , e di Sicilia , mentre era ancora Si-
gnore della Provenza, ed ebbe gran potere sulla fio-
rentina repubblica: la fortuna però cambiandosi
sparse di amarezza gli ultimi suoi giorni. Si vide
odiato atrocemente dai sudditi; perdette la Sicilia,
ove tutti i suoi furono trucidati nella più orribil
Tnaniera; si yide deluso da Pietro di Aragona, che
dopo avergli occupata la Sicilia, lo schernì ancora,
facendolo andare inutilmente a Bordeaux alla con-
certata disfida, a cui quello avea finto di aderire
per guadagnare un tempo importante; e a ciò si
ag^giunse la prigionìa del suo figlio maggiore nella
I>attaglia che quest'imprudente giovine accettò da
Ruggieri Loria . Morì Carlo fralle agitazioni dei pre-
'Joino 11. 9
i3o LIBRO TERZO
^^ parativi per la sua vendetta; grande esempio di
di C. varietà di fortuna, utile lesione ai Regnanti, gìa^
^^^^ che gran parte delle disgrafie dovette alla sua ero-
deità. Il figlio fu proclamato Re di Paglia: ma
dopo avere a gran stento salvata la vita fra gF irri-
tati Siciliani, era stato condotto prigione in Spagna:
anche il rivale di Carlo, il re Pietro di Aragona fisi
di vivere. Alfonso suo figlio maggiore gli successe
nel regno di Aragona, Giacomo secondogenito in
quello di Sicilia .
i3i
CAPITOLO VII.
SOMMARIO
• \
Repubblica di Areuo. Potenza dei suoi Vescovi, Cacciata dei
Guelfi dalla città'. Guerra coi Fiorentini e Sanesi . Battaglia
di Campaldino. Guerra dei Fiorentini contro i Pisani, Presa
di Calcinaja, e di Porto Pisano. Mutazione di governo in
Firenze. Pace coi Pisani •
u
n' altra repubblica in Toscana avea cominciato
a segnalarsi, ed a spiegare la sua potenza contro i jj q]
Fiorentini. Arezzo per quello che mostrano i dub- i^ss
biosì barlumi dell'antica storia ^ rispettabile fralle
etrusche città^ potente nel vigore della romana re-
pubblica y e in specie nella seconda guerra puni-
ca (i), in volta poi nella comune disgrazia quando
la gotica, e longobardica invasione sparse sull'Italia
la desolazione, e T ignoranza, cominciò a risorgere
a nuova vita sotto il vincitore dei Longobardi Carlo
Magno. Quel pio, e valente Sovrano, dominatore
di tanta parte del mondo, e a cui perciò il dono di
Provincie, non che di città, e di castella era incon-
siderabile, sì generoso all'altare, distinse partico-
larmente la Chiesa aretina quando onorò colla sua
presenza la città di Arezzo. Pare che allora fa-
cesse dei grandiosi doni a quel Vescovo, fra i quali
probabilmente la città di Cortona, che restò sog-
getta lungamente non solo nello spirituale^ ma nel
(0 Tlt Liv.
i32 LIBRO TERZO
7temporale governo al medesimo (3). Divenne nei
di o. seguenti secoli il Vescovo aretino uno dei più pò-
1288 tenti Signori d'Italia, non che di Toscana, essendo
vastissimi i suoi secolari dominj, i quali si estende-
vano dal Tevere a Montalcino, dall'Alpi di Bagno
al Trasimeno, per guisa che comprendevano la metà
del Casentino, del Valdaruo di sopra, del Chianti,
una buona parte del territorio della città di Siena
sino a due miglia della città stessa, Pieuza, Mon-
ialcinoy Cortona, Montepulciano con tutta la Val
di Chiana, il capitanato di Arezzo, il vicariato
di Anghiari, e parte della moderna diocesi di S.
Sepolcro (3) • Non è già che il Vescovo avesse un
assoluto impero sopra di Arezzo, che pretendeva
di governarsi in repubblica, ed eleggeva i Potestà,
e gli altri Rettori, ma la sua potenza, le sue rie*
chezze davano al Vescovo un'influenza quasi so-
vrana, quand'avea talenti politici abbastanza. Era
inoltre il Vescovo Principe dell'Impero^ e unendosi
lo spirituale al temporale potere, diveniva la per-
sona più atta a governare quei popoli, e tenerli
alla divozione imperiale. Cortona si ribellò dal suo
Signore circa l'anno i23o, e per circa !à6 anni si
mantenne independente : invano le ammonizioni,
e i fulmini ecclesiastici vibrati da Roma sui Gorto-
nesi tentarono di rimettergli sotto l'antico dominio
finché non salì a quella sede un uomo che facesse
succedere la forza alle imbelli armi ecclesiastiche.
Venùe a quella Chiesa il feroce Guglielmino liber-
tini, Prelato più atto, per testimonianza di uno
(a) Guazzesì , dell'ant Doni, del Vescovo di Arezzo.
(3) Guazz. loc. cit.
CAPITOLO SETTIMO i33
scrittore contemporàDeo (4)^3 maneggiare la spada,
che il pastorale. Mal soffreodo perciò la ribellione ^P"^
di Cortona^ nel r!i58 messe insieme numerose trup- i^ss
pe 9 ed ajutato dal Comune di Arezzo^ e da Astoldo
dei Rossi suo Potestà ^ marciò sopra Cortona^ e o
colla forza aperta y o per una notturna sorpresa pe-
netratovijvi portò la desolazione disfacendo le mu-
ra^ e le fortezze. Fuggirono i migliori cittadini a
Castiglione del Lago; ma per timida politica non
essendo da quella popolazione ricevuti, furono co-
stretti a viver lungamente sotto le tende (5). Vi-
dero di mal occhio i Fiorentini siffatta conquista ,
e forse avrebbero tentato qualche impresa contro
il Vescovo di Arezzo, che vedevano partitante Ghi-
bellino, ma il timore di questa fazione ognor cre-
scente per r influenza del re Manfredi, il timore
dei Sanesi, e poi la rotta di Monteaperti, gl'impe*
dirono di soccorrere gli esuli, che finalmente nel-
Tanoo ia6i ritornarono in Cortona, riconoscendo
pacificamente il dominio del Vescovo di Arezzo (6).
Nel lungo suo governo di quella Chiesa Gugliel-
mino si mantenne del Ghibellino partito; e benché
talora secondo le tortuose strade, che sono obbligati
a prendere i Capi dei governi per interesse si mo-
strasse Guelfo, quando potè obbedire al suo genio
promosse gì' interessi dei Ghibellini. Cosi nel tempo
in cui Firenze, Siena, e la più gran parte della
Toscana seguivano la parte Guelfa, fece ribellare
nel 1 a86 un forte castello ai Sanesi detto il Poggio
(4) Dino CompaffDi: // V'escavo che sapea meglio gli uf»
Bei della guerra che della Chiesa * ec, Cron. rer. ital. Scr. tom.
(5) Giov. Vili. lib. 6. e 6. Guazz. loc. cit.
(6) Goazx. bc ciu
f34 LIBRO TERZO
" di Santa Cecilia, e cercò di sostenerlo con tal vìge-
dic/ ^^9 ^^^ 1^ '^'^^^ ^^^ Fiorentini , e Sanesì riunite per
ia88 espugnarlo non vi consumarono meno di mesi cin-
que, dopoi quali i ribelli, disperando del perdono,
tentarono di notte la fuga , ma molti di essi presi
ebbero la morte, ed il castello fu disfatto (7). Que-
sto inutile tentativo eccitò gran rumore per la To-
scana dominata da parte Guelfa, onde è da crede-
re, che il Vescovo fosse biasimato anche dal Gover-
no aretino, che seguendo la sorte delle altre città,
si governava popolarmente dai GueIG , sotto un Ret-
tore chianoato il Priore del Popolo , che teneva basa
la potenza dei Grandi . Quindi dovette nascere la
mutazione del Governo di Arezzo neir anno ap-
pi*esso 1 287 , in cui il Vescovo preso il tempo della
morte del Pontefice Onorio, e di quella del Re
Carlo, unitosi coi Ghibellini di città, e coi potenti
Signori di contado, cacciò di Arezzo i Guelfi, re-
cando nelle sue mani il supremo potere di quella
repubblica. Queste mutazioni non si facevano sena
sangue, e al disgraziato Priore, forse in ricoropeosa
della sua giustizia , e imparzialità, furono cavati gli
occhi (8). Commossi i Fiorentini da questo colpo,
che mostrava loro la fazione nemica crescente di
forza ogni giorno, crederono non dover più dissi-
mulare col Vescovo, e colla Comunità di Areiso,e
si determinarono alla guerra. Vi si accinsero gK
Aretini con un coraggio che si accostava all' im-
prudenza (9); giacché non solo aveano a combattere
(7) Gìo. Vili. Ilb. 7. e. 109.
. (S) Gio. Vili. loc. ciL
(o) E' per questo che Dante gli ha chiamati bAtloli dot
cagnolini .
Ringhiosi più che non chiede lor possa.
CAPITOLO SETTIMO f35
i Fiorentini, ma i Sanesi, e furono anche i primi a — ^;
cominciare le ostilità : acorrendo au ì contorni di j"o|
Montevarchi , e secondo il ruinoso modo di gaerreg- it^sa
giare di questi tempi , ardendo , e desolando le
campagne: passarono ìndi sul Sanese,e cacciarono
i Guelfi di Chiusi riducendolo a fazione Ghibellina.
Non potendo i Fiorentina più sopportare tanti in-
suiti 9 si armarono chiamando da tutte le città della
Confederazione guelfa le truppe che per convenzio-
ne della Taglia erano in obbligo di armare. Cogli
ajuti perciò di Siena ^ di Lucca, di Pistoja , di Pra-
to, di Volterra , e dell' altre città , e Signori confe-
derati posero insieme un esercito il maggiore dopo
quello della disgraziata battaglia di Monteaperti,
e si mossero verso Arezzo, posero il campo a La-
terine, castello assai forte, e in otto di T ottennero
per tradimento del Capitano Lupo. Non avendo gli
Aretini forze per misurarsi, stettero chiusi nelle
loro mura: vi giunsero le truppe collegate, e non
trovando contrasto, devastarono le campagne, e per
insulto la vigìlia di S. Gio. Battista fecero correre
il loro palio innanzi ad una delle porte , come se
fossero tranquillamente in Firenze. Non osarono
peraltro attaccar la città, e dopo devastazioni, ed
incendi si ritirarono verso Firenze. I Sanesi stac-
catisi dai Fiorentini presero la strada di Val di
Chiana* Intesa dagli Aretini la divisione dell' eser^
cito , furono sollecitamente dietro ai Sanesi con non
più di Soa cavalieri e scx>o pedoni , e aspettatili al
passo della Pieve al Toppo, li attaccarono^mprov-
visamente, li ruppero, e fecero moltissimi prigio-
nieri delle principali famiglie di Siena, restando
morto anche, il loro Condottiero Rinuccio Farne-
.J.
i36 LIBRO TERZO
"'^ se (io). Crebbe la potenza , e T animo agli Aretini
dfo! Jop<> eh® ^^^^ 9 ^^^'^ morire Uj^olino , e lornata
ia88 Ghibellina, si era collegata con essi» Si fecero va-
rie scorrerìe dagli Aretini , e dai Fiorentini nelle
rispettive terre con reciproci danni r stettero a fron-
laSg te presso a Laterine i due eserciti inutilmente; es-
sendovi Arno di mezzo « donde essendo sloggiati i
primi, gli Aretini mandarono rapidamente una
truppa spedita , che per la via di Bibbiena, e di
Casentino corse in Val di Sìeve con siOatto terro-
re dei Fiorentini, che richiamarono sollecitamente
l'esercito (i i). Continuò questa guerra per qualche
tempo, ruinandosi scambievolmente le campagne.
Intanto passò di Firenze Carlo II Re di Napoli,
uscito di prigione, che dopo essere stato molto
onorato dai Fiorentini, come figlio del grande loro
alleato, seguitò il suo viaggio verso Napoli. Venne
in pensiero agli Aretini di tentare un colpo ardito,
d'imprigionare il re Carlo considerato da essi come
nemico^ e che viaggiava con piccola scorta ; onde si
mossero chetamente con una truppa risoluta, e spe-
dita. Avutone però sentore i Fiorentini, colla mag-
gior fretta adunato un sufficiente corpo di truppa
raggiunsero il Re Carlo, e lo scortarono salvo al di
là dei confini sanesi. Gli odj eccitati da reciproche
offese erano cresciuti a segno tra queste due città
rivati da dover aver luogo qualche sanguinoso av*
venimento. Adunarono i Fiorentini numerosissime
truppe, giacché oltre gli ajuli delle confederale
città, ebbero dei soccorsi di Bolo3[na,edi Roma-
(io) GJo. Vili. Ilb. 7. cap. 119. Malav. 5st. dì Siena par. a.
lib. 3, Cron. Saneus. rei*, ital. lom. 1 5. Dino Comp. lib. 1.
(11) Gio. Vili, istor. lib. 7. e a 3. Leonar. bruni bist. fior
lib. 3.
CAPITOIO SETTIMO i37
goa. Guidava l*eserciu Amerigo di Narbona, Ge-
nerale dato loro dal Ri Carlo: Tesercito degli Are- ^j (^
tini minore almeno di un terzo aveva alla testa il ^^^9
valoroso Vescovo Gujlielmìno , vi si erano riunite
le genti dei loro amia Conte Guido Novello allora
Potestà di Arezzo, Buon Conte di Moutefeltro, e
Guglielmìno dei Pazeì. I Fiorentini fecero mostra
di venir verso Arezzo per Val d'Arno, avendo pian-
tate le loro insegne a Ripoli il dì i3 maggio: ma
improvvisamente il di ft di giugni», essendo traspor-
tate alla riva destra dell'Arno ^ si avviò l'esercito
verso il Casentino per attaccare le castella del Con-
te: il Vescovo Aretino perdifenlerc Bibbiena mosse
le genti per la stessa parte: /incontrarono i due
eserciti presso Poppi a Certonondo, e gli Aretini
bencbè inferiori di numero idd recusarono la bat-
taglia, la quale si appiccò ne^ piano detto Campai-
dino agli 1 1 di -giugno. Furato nel principio rotti i
Fiorentini, e quantunque ol numero supplissero
alla straordinaria ferocia da combattenti nemici ,
vi si era sparso il terrore 6 la confusione in guisa
che andavano piegando, e sarebbero stati intiera-
mente vinti senza il cora^;io, e la risolutezza di
Corso Donati. Eragli stata affidato un corpo di ri-
serva di cavalieri, e pedon specialmente di Lucca,
e di Pistoja ov'era Potest; ma conoscendosi il di
lui naturale feroce, e inpaziente gli era stato dal
Generale sotto pena della.esta vietato di entrare in
battaglia senza un ordin espresso. Nell'ardore, e
confusione della battagli;, pare che il Generale si
fosse dimenticato di quei^o corpo (id). Stette saldo
(13) Nella famosa Lattarla di Pavia il Yice*Re Lanoia si
i38 LIBRO TERZO
! per qaalche tempo il Donati, rafirenato dagli ordi-
diC. dì rigorosi: ma vedendo chela rotta dei Fiorentini
1^9 andava crescendo, e che non riceveva ordini , v<^e
piuttosto correre il rischio della condanna , che
mancare alla patria • Invitati dunque con ardile
voci la sua schiera y piombò sii i nemici, che l'ar-
dore, e la speranssa della proisima vittoria aveano
fatti soverchiamente distendete fuori di ordine:
questa truppa non solo ristabilì la pugna , ma di-
sordinò gli Aretini. Aveano ancor essi un corpo di
riserva guidato dal G>nte Guido Novello, a cui or-
dinarono di entrare in battaglia ; ma quest' uomo,
che nella battaglia presso Colle, ed altrove a vet
dato segni di poco vJore , non ismenti neppur qui
il suo carattere; oncb o che egli credesse le cose
perdute, o volesse ri^armiar le sue genti, si stac-
cò dagli Aretini ritiraidosi alle sue castella. Scon-
certati da questa defeione, gli Aretini furono in-
tieramente posti in rotta : il feroce Vescovo Gngliel-
mino dopo aver &tto lufBcio di ottimo generale, e
di soldato non volle sopravvivere alla sna disfatta ,
e mori valorosamente ombattendo (i3). L'oso, os-
sia Tabuso di quel tempt, che tollerava negli eccle-
siastici il maneggio delhrmi , può servire di qual-
che scusa al Vescovo (i'^) . Non può negarsi ch'ei
scordò dì fare entrare in battagli un considerabile corpo di trop-
pe, y. Robertson Istor. di Carlo \
(iS) Benché valoroso, il V^covo avea un gran difetto per
un Generale, cioè la vista cortatGli scudi dei feditori fiorente
aveano il Campo bianco .* egli-dintndò: quelle che mura sonot fa-
gli risposto I palvesi dei nemici . |ino Comp. Cron.
(i4) L'abuso era tale che fafendosi dal Papa gueira control
figli di Federigo li recusando di pendere le armi l'Arcivescovo dì
Magonza, con la scusa che non lonveniva ad un Sacerdote* &
privato della Chiesa dal Papa . Re Magun. lib. 5.
_ r
CAPITOLO SETTIMO iSg
non possedease talenti politici^ e militari: Tetà non ^^^^
avea abbattuto né il vigore , ne il suo guerriero ^^^
coraggio (i5). Arezzo non fu mai più grande quau- 1289
to sotto di luì; egli Tavea inalzato a un grado di
potenza da metter terrore alle Repubbliche di Fi-
renze, e di Siena. Ebbero la stessa sorte del Ve-
scovo molti dei principali dello stesso esercito come
Guglielmo dei Pazzi , eoo due suoi nipoti , Boncon-
to di Montefeltro ec. (16) Furono uccisi varj altri
uomini di conto, e circa a duemila soldati, oltre i
prigionieri. Dalla parte dei 'Fiorentini non se ne
accerta il nunoero. Si trovò in questa battaglia , la
più sanguinosa in Toscana dopo quella di Monte-
aperti, coi Fiorentini il Poeta Dante, che nei suoi
▼ersi piò di una volta fa menzione delle persone
(1 5) Governò la chiesa di Arezzo per 4o anni: deve supporst
che fosse eletto Vescovo di etk poco mioore di 3o , onde quando
combattè in Campaldino doveva essere ahneno circa il settantesi-
mo anno.
(16) U di cui corpo non si potè trovare. Dante che finge di
trovar la sua Ombra nel Purgatorio (Canto 5) così gli parla
qua! forza , o qual ventura
Ti traviò si fuor di Campaldino »
Che non si seppe mai tua sepoltura f
Oh , rispos' egli , appiè del Casentino
Traversa un' acqua , che ha nome l' Archiano
Che sovra l'Ermo nasce in Appennino»
L^, 've '1 vocabol suo diventa vano^
Arriva' io / forato nella gola ,
Fuggendo a piede » e sanguinando '1 piano.
Quivi perdei la vista » e la parola . • • •
Beo sai come nell' aer si raccoglie
Quell'umido vapor, che in acqua riede,
Tosto che giunge dove '1 freddo il coglie • • • .
lio corpo mio gelato in su la foce
Trovò l'Archi an ruhesto ; e quel schiuse
Nell'Amo, e sciolse al mio petto fa croce »
Cb* i' fé' di me, ouando '1 dolor mi vinse ;
Yoltommi per le ripe, e per lo fondo.
Poi di sua preda mi coperse e cinse •
i4o LIBRO TERZO
^che vi combatterono (17). L'esercito vincitore non
di e. volendo lasciar dietro luoghi forti in mano dei ne»
13^9 mici, indugiò otto giorni ad arrivare ad Arezzo,
indugio che probabilmente gli privò del T acquisto
di quella città. Ella era non solo scoraggila da si
gran rotta , ma quasi aperta^ mancandovi un pezzo
delle mura. Ritirativisi gli avanzi della battaglia,
e conoscendo che l'universale salvezza dipendeva
dal difender quel recinto, chiuso frettolosamente
con sbarre, e travi il pezzo mancante delle mura,
intrepidi alle ingiurie (18) come agli assalti , fecero
la più ostinata difesa. In vano appiccando il fuoco
i Fiorentini alla parte di legno delle mura, tenta-
rono entrarvi: fu l'apertura difesa con straordina-
rio valore: anzi fatta una sortita gli assediati arsero
le principali macchine da guerra dei nemici, che
furono costretti a ritirarsi (iq). La città di Firenze,
che era stata in somma apprensione (20), non si
rallegrò mai tanto di alcun'altra vittoria. Rientrò
in Firenze l'esercito in trionfo: fra gli altri trofei
si portarono pubblicamente lo scudo, e l'elmo di
Gugtielmino, e furono sospesi al creduto tempio
di Marte, ossia a San Giovanni (^i), ove restarono
fino ai tempi del Granduca Cosimo III che fece
(1 7) Vili. llb. 7. cap. 1 3o. Dino Corop. Cron. Leonardo Brani
hìst. fìor. lib. 4* Cron. Sancs. rer. ital. tom. i5.
(18) Volendo i Fiorentini insultare il morto Condottiero degli
A retini y collo macchine use a quei tempi scagliarono dentro la
città un asino con la mitra in testa •
(19) VilL Leon. Bruni lib. 4*
(20) La favola dei Priori che dormivano, risvegliati da ona
voce incognita, che annunziava loro la vittoria assai prima che ne
giungesse l'avviso, mosU*a abbastanza la sollecitudine in cui era
la città.
(ai) Bruni bis. lib. 3. Guazzesi dell'antico dominio del Vesco-
vo di Arezzo ce.
CAPITOLO SETTIMO i4i
toglier dalla vista del pubblico un monumento pe- =^^
renne deir abuso fatto delibarmi dagli ecclesiastici, ^^q
Gli andò incontro festeggiando la maggior parte 1289
del popolo^ e in solenne processione gii ecclesiasti-
ci. Benché si difendessero gli Aretini nel recinto
delle lor mura^ questa perdita recò un gran colpo
alla loro potenza^ e fu per essi ciocché ai Pisani la
rotta della Meloria. Tentarono più volte i Fioren- 1^90
tini, e col tradimento, e colla forza di occupare
Arezzo, ma sempre invano. Aveano segrete intel-
hgenze , per le quali doveano esser loro aperte le
porte. Si mossero improvvisamente, ed erano giun-
ti a Civìtella, quando uno dei congiurati essendo
caduto da uno sporto moribondo palesò il trattato
al confessore, che lo rivelò a messer Tarlato, e co-
si andò a vuoto (22). Solo il Conte Guido Novello
pagò la pena della sua defezione, giacché l'esercito
fiorentino portatosi nelle sue terre. Poppi, Castel
Sant'Angelo, Chiazzolo, Cietica, e Montauto di
Valdarno, le occupò, e diede loro il sacco. Si pro-
seguì la guerra con reciproci danni specialmente
degli Aretini , restando miseramente desolate le lo-
ro campagne. Abbattuta la potenza di Arezzo, si
volsero i Fiorentini contro i Pisani, alleati di quel-
la Repubblica* Erano i Fiorentini uniti coi Lucche-
si , e Genovesi • Benché i Pisani non avessero forze
da misurarsi con tanti nemici, andarono schermen-
dosi con bastante successo pel senno del loro Con-
dottiero il Conte Guido da Montefeltro. L'istoria ìagi
non presenta che piccoli fatti di campagne minate,
e castella prese, e perdute. Fra questi avvenimen-
(aa) VilL lib. 7. e. 137. Bruni lib. 4-
i4ii LIBRO TERZO
. ti ^ per qualche singolar circostanza y si distingue la
die. presa di Calcina ja . Era essa occupata dai fuorusciti
>39i pisani, e specialmente dalla famiglia Upezzingbi.
Il Conte Guido avea delie corrispondenze segrete
con alcuni del castello. Accostatasi di notte una
truppa y passato chetamente il fosso che lo circon-
dava^ dette la scalata: i 8140Ì autori dentro del ca-
stello, corsero a serrare di fuori la maggior parte
degli usci delle case, perchè i terrazzani 000 potes-
sero uscire. Gualtieri Upezzinghi correndo alla di*
fesa, fu traBtto da una lancia^ il castello fu preso,
e gli Upezzinghi condotti prigionieri in Pisa eoo
molti altri Guelfi, parte dei quali chiusi nella Tor-
re della fame. Una negligenza di Gualtieri cagionò
questa perdita^ e la sua morte. Nella sera che la
precedette gli fu recata una lettera, dove si avvi-
sava della trama. Giocava egli a tavola reale, osi
scacchi, se la pose in tasca senza aprirla^ e poi la
dimenticò: fu trovata ancor sigillata nelle tasche
del morto, e il carattere servì a scoprire il tradito-
1392 re, che era uno degli Anziani di Pisa, che fu deca-
pitato (^3). Mentre i Fiorentini per una parte^ i
Lucchesi uniti ai Genovesi dall'altra attaccarono il
territorio pisano, una squadra ligure^ condotta da
Arrigo dei Mari, assali Porto pisano, ne ruinò le
torri, e con barche piene di sassi tentò colmarne il
porto. L'odio fra queste due nazioni rivali giunse a
segno, che una delle torri essendo prossima a cade-
re, perchè tagliata alla base^ e solo appuntellata.
(a 3) La lettera era senza sottoscrizione 9 ma siccome a aucsti
.soli era noto il trattato , il Conte Guido tenendo segreta la leUe-
ra, trovò un pretesto per fare scrivere tatti gli Anziani, e cosi di-
scoperse il reo . Marang. Cron. di Pisa . Tronci Ann. Pìs.
CAPITOLO SETTIMO i43
avvisati di ciò e intimati di arrendersi i difensori .
che vi erano racchiusi , vollero piuttosto morire sotto di e
le mine che venir vivi in mano dei nemici (a4)* '^^^
Vinti gli Aretini^ e i Pisani ^ rallentato perciò in
Firenze il timor dei nemici esterni^ risorsero le in-
terne turbolenze. Non erano stati bastanti i prov-
vedimenti presi dal popolo nelle passate rivoluzioni ^^^^
a raffrenare le prepotenze dei Grandi: le guerre che
si facevano specialmente col consiglio ^ e colla mano
loro^ li rendevano arditi ^ e la vittoria orgogliosi, e
superiori alle leggi • Cosi era avvenuto a quest' epo-
ca. Insultavano con aperta insolenza ^ e soverchia-
vano non solo la bassa plebe ^ ma anche gli onesti
cittadini^ turbandoli nelle loro possessioni^ e usan-
do Tarmi, e il bastone (aS). Tacevano in faccia
loro le leggi: non si trovava giudice criminale, o
civile che osasse chiamarli in giudizio, né chi fa-
cesse testimonianza contro di essi. Giano della BeK
la , di condizione popolare^ insultato villanamente
da Berto Frescobaldi , uno dei Grandi, tenne pro-
posito con molti dei primi cittadini popolari come
ai potesse por loro qualche freno ; e convennero che
il tempo più acconcio era il presente, in cui i Grandi
per private inimicizie erano disuniti. Fu per questa
causa eseguita molto fìicilmente la mutazione: la
potenza del popolo era tale che non osarono i Gran-
di di opporvisi • Si determinò che i Priori fossero
eletti fra gli artefici, che realmente esercitassero
un'arte, e non bastasse aver fatto descrivere il no-
me alla matricola , onde così furono privati i Grandi
(a4) Ann. genoenA, rer. iuL Ioni. 6. Marang. Cron. Pis. Tron-
ci Add. Pis.
(a5) Dino Gorap. Cren, lib. i. Gio. Vili, loc cit Amm. lìb.
i44 LIBRO TERZO
.'di questa carica; ma Tiinportanza della riforma h
d; Q^ la creazione di un Gonfaloniere che da i^ cittadi-
1393 ni^ due per Sesto , i Priori a pluralità di voti doYeano
eleggere. Il tempo di questo Magistrato si stabili di
due raesi^ in modo però che nell'anno andasse tal
carica a cadere vicendevolmente in ogni Sesto , e di
ninna famiglia potesse esservi alcuno dei Priori, e
il Gonfaloniere ad un tempo istesso (36) : quaado
il bisogno lo richiedesse fosse pronto il Gonfalo-
niere facendo suonar la campana, e traendo fuori
il vessillo, o gonfalone^ formato di bianco con gran
croce rossa; e adunati mille uomini di fanteria , che
furono poi cresciuti fino a 4 mila, facesse eseguirla
giustizia. Ecco come appoco appoco, e quasi dian
pezzo dopo r altro andò formandosi il fiorentino
governo, secondo che era la Repubblica ammaestra-
ta dairesperienza: ecco finalmente in piedi la cele-
bre Magistratura dei Priori col Gonfaloniere alla te-
sta. Se qui si fosse arrestata la riforma sarebbe sta-
ta giusta; ma siccome difficilmente finora si pote-
vano provare i delitti dei Grandi, fu perciò ordi-
nato che la pubblica voce e fama attestata da due
soli testimonj bastasse a provarlo, e che un consor-
te fosse tenuto per V altro ; nello stesso tempo si
stabilirono due tamburi uno al palazzo del Potesti,
l'altro a quello del Capitano del Popolo, ove fosse
a chicchessia lecito di attaccar delle ac cuse contro
ì Grandi. L^ ingiustizia di questa legge si mostra
da se stessa a chi ha fiordi senno. Il Codice crimi-
nale è il termometro di una buona, o rea legisla-
zione; esso, quando è bene ordinato, e imparziai-
('j6) Gìo. Vili. Machiav. ist. fior. 1. 1. Bruni his. fior. L {.
CAPITOLO SETTIMO i45
mente eseguito^ è il Palladio della vera libertà reale,
personale, e politica; e tal non era in Firenze, per-d^c!
ciò avean luogo i faziosi tumulti cosi sovente per 1^9^
rinforzarsi sempre piiì contro i Grandi. Fu accele-
rata dal nuovo Governo la pace coi Pisani. Poche
furono le condizioni: restituzione scambievole dei
prigionieri ; franchigia di gabelle in Pisa pei Fioren*
tini, e loro collegati; disfatte le fortificazioni di
Pontedera, ed il Conte Guido obbligato a partir di
Pisa colla qual condizione ì Fiorentini rendevano
un tacito omaggio al valore di queir uomo, che te-
mevano: vi si aggiunse che per alcuni anni non
potessero i Pisani elegger Potestà, o Rettore se non
nelle terre dei Fiorentini o loro collegati; finalmen-
te che si rendessero i beni al Giudice di Gallura, e
agli altri Guelfi , ai quali fosse permesso il ritorno
nella patria (27). CoU'ultima mutazione nel fioren-
tino governo sì era esacerbato un corpo potente,
qual era quello dei Grandi, e fatta ad esso una fe-
rita nella parte più sensibile giacché non occupati,
come il resto della città, nel commercio, la loro
passione non poteva essere che la voglia di coman-
dare, ed era slato ad essi tolto il mezzo di soddi-
sfarla, specialmente per opra di Giano della Bella.
Quest'uomo retto nelle sue intenzioni, franco, e
leale, fu attaccato con sorde macchinazioni, e colle
cabale le più vili, ì racconti delle quali fatti dal
suo amico Compagni risvegliano lo sdegno «Oltre
Todio dei Grandi avea incorsa anche la gelosia , e
invidia del suo ordine, per Tautorità, e considera-
zione acquistata nell'ultima riforma: la sola che
(a7)Gio« Vili* lib. 8. cap. 3. Troocì» Manng*
^vuto U, IO
i46 LIBROTERZO
^gli fosae attaccata era la bassa plebe, che avea pia
^"^^ sentito il benefizio della protezione delle leggi; ma
1^94 questa sorte di gente pe'suoi bisogni, e per man-
canza di educazione è la più mutabile. Avvenne
che in una rissa tra i seguaci di Corso Donati, e di
Messer Simone da Galastrone fu commesso un omi-
cidio, e furono molti feriti: si attribuì generalmeD-
te l'uccisione a Corso, o ai suoi sgherri» Fattone il
processo fu da uno dei Ministri falsificato Tattestato
dei testimoni^ onde il Potestà ingannato assolvè
Messer Corso • Non lo soffri il popolo , attruppossi
perciò, e correndo alla casa di Giano della Bella
autore della riforma ^ lo stimolava a farla eseguire.
Giano lo rimandò al Gonfaloniere, che avea la for-
xa esecutiva : il popolo nel suo furore irragionevole
saccheggiò il palazzo del Potestà, e tra questi tu-
multi Corso ebbe agio di salvarsi, ascondendosi.
lagS Ma gl'inimici di Giano, che lo aspettavano ad ogni
passo, presero questa occasione accusandolo del tu-
multo, quasi che avesse animato il popolo alla se^
dizione in vece di consigliarlo a deporre Tarmi: gli
fece una formale accusa: i due partiti dei Grandi,
^ dei ricchi popolani, benché nemici, erano riuni-
ti nell'odio contro di lui, e si preparavano a soste-
ner l'accusa coH'armi. Benché colla protezione del
minuto popolo potesse difendersi, non volle Giano
ricorrere a questo pericoloso rimedio, amò meglio
andare in volontario bando; e il popolo di coi en
stato il difensore lo vide partire con dolore , ma non
si mosse (28). La pena confermata, e aggravata dai
suoi nemici, e fino dal Pontefice approvata, delle
(a8) Diao Comp. Croiu lib. 1 . Gio. Vili* llb. S. cap. 8.
CAPITOLO SETTIMO i4^
animo alla nobiltà di riprender Tantico stato. Gre- ^^
sce^a loro la speranza nel cedere una divisione fra ai e.
i ricebi popolani, in mano dei quali era il governo, ^^9^
e che per la disgrazia di Giano aveano inimica an-
che la minuta plebe. Mandarono pertanto una pa-
cifica supplica ai Priori, che volessero annullare i
provvedimenti fatti contro di loro; ma per darle
maggior peso si erano uniti, ed aveano date le armi
a molti dei loro aderenti cittadini , e masnadieri •
Arroossi allora il popolo infuriato, e già si trovava-
no a fronte i due partiti pronti ad appiccar la zuffa ;
quando alcuni più saggi cittadini s'interposero per
acquietargli, né i Grandi poterono ottenere, se non
che invece di due , tre esser dovessero i testimoni
nelle accuse contro di loro; lieve rimedio che fu poi
anche annullato (^q).
(a9)Gio Vili, llb.8. eia. Ammir. lìb. 4* Macbìav. ist. lìb. 3.
Potrebbe porsi in dubbio questo tumulto per non parlarsene da
Dino Compagni, cbe viveva , ed era fra gli attori : ma la sua Cro-
nica» per quanto veridica, ed anche minuta « tralascia talora dei
latti.
i48 LIBRO TERZO
CAPITOLO FUI.
SOMMARIO
Grandiose fabbriche inalzate in Firenze . Terzo giro delle su
mura • Maggioranza dei Fiorentini sugli tUtri popoli étlU-
Ha nel commercio e nelle lettere. Fazioni dei Bianchi e dei
Neri in Pistoia • Crudeltà che ne seguono , Pistoia si dà in
mano ai Fiorentini» Funeste conseguenze che ne derivano,
I Ghibellini si uniscono ai Bianchi^ i Guelfi ai Neri. £s*
irata di Carlo di F'alois in Firenze • Gli è data facoltà ài
riformare il Governo . Esilio dei Bianchi . Nuove divisim,
Roberto Duca di Calabria è chiamato dai Guelfi in Firm'
%e. Morte di Corso Donali. Turbolenze in altre Repubbli-
che della Toscana. Discesa delV Imperatore Arrigo FU in
Italia. Giunge in Pisa . Si reca a Roma, indi si move c<0tn
Firenze. Dopo due mesi è costretto a levarne il campò.
Muore indi a Buonconvento . Origine di Uguccione ddU
Faggiola. Suo valore. S* impadronisce di Lucca. Rompe le
truppe fiorentine alla battaglia di Montecatini . Prinàpj H
Castruccio, E" fatto arrestare dal figlio di Uguccione. Nen
osando di ucciderlo » lo tien prigione . Liberato dal popolo t
Castruccio è dichiarato Signore di Lucca .
7 JLje sediziose agitazioni cosi frequenti della 6oren-
diC. tina Repubblica erano effetto della soverchia prò*
^^9^ sperila, e ricchezza , e somiglianti alle malattie di
un corpo troppo vigoroso y e pletorico • Un popolo
avvilito dalla miseria, o abbattuto sotto un goyeroo
di ferro, benché possa per disperazione 8olle?arsi)
ciò non avviene che raramente, e solo quando vi è
spinto quasi a forza dall'esorbitanti gravezze, o in-
giustizie; mentre la potenza , e la ricchezza cbe
rendono l'orgoglio loro compagno più irritabile^
trovano nei motivi i più piccoli il malconteato^ e
CAPITOLO OTTAVO 149
perciò sono pronte ai sediziosi movimenti . Tali
appunto sono le cause dei Borentini tumulti indi- ^-"^^
caie dagli storici contemporanei (e). E che vera- 129$
mente questa repubblica ad onta delle civili tem->
peste fosse in un florido stato di ricchezze, di
potenza y e di prosperità crescente, oltre le prove
che si mostreranno neir esporre l'istoria del loro
commercio, potrà dedursidai pochi fatti che accen-
neremo. Una repubblica mercantile ^ e però econo-
ma , non si volge a spese grandi, e di ornamento ,
se non soprabbondino nel suo seno le ricchezze.
Nel tratto di pochi anni molte fabbriche dispen*
diose furono erette; e la generosità si unì colla pietà
religiosa ad abbellire Firenze • Poco innanzi , nel-
r anno ia88, un cittadino fiorentino più noto per
la sua figlia Beatrice divinizzata da Dante, che per
la pia, ed utile opera a cui die principio, Folco
Portinari, avea fondato lo Spedale di S.^ Maria Nuo-
va , uno dei piiì utili stabilimenti della Toscana, ed
il primo di questo genere. Cinque anni dopo, l'arte
di Galimala prese ad ornare il tempio di S. Gio-
vanni di marmi bianchi , e neri ; nello scorso anno
nel mese di maggio » il di di S.* Croce sMncominciò
la Chiesa di questo nome, con la grandiosità con
cui si ammira; e nel settembre nel luogo ovverà la
Chiesa diS.* Reparata, si die principio con tutta la
magnificenza alla maestosa Cattedrale di S.* Maria
del Fiore, formandosi i fondi per proseguirne la
fabbrica. Né i soli pii edificj, ai quali i mercanti
di buona voglia consacravano una parte dei loro
guadagni, furono T oggetto dei Fiorentini: per as-
(i) Dino Cron. Gìo. YilL itt io più ioogbi.
i5o LIBRO TERZO
. sicurare sempre più la repubblica dagli alteotali
di e. di alcuni Signori feudali, e specialmente i Pazzi, e
^^9^ gli Ubaldini, che dominavano nel Valdaruo di ao-
pra, fabbricarono due castelli, gli popolaroao, e
diedero agli abitatori dei privilegi . Furono questi
San Giovanni sulla riva sinistra deirArno, e Ca-
stelfranco sulla destra. La Signoria cresciuta tanto
in potenza, e in ricchezza credette meritare un più
onorevole albergo che quello delle private case dei
Cerchi ove sì adunava: si prese a fabbricare perciò
il magnifico Palazzo dei Priori, che oggidì appellasi
Palazzo Fecchio^ colla direzione di uno dei restau-
ia98ratori delK architettura, Arnolfo di Lapo. L'odio
pubblico si mescolò nel diseguo, e si amò meglio
che questo fosse irregolare, né si ascoltarono le aag-
gie dimostrauze dell'Architetto, perchè non veoisse
a posare sopra terreno Ghibellino quasi infame, e
maladetto: e le case degli liberti, e degli altri della
stessa fazione già demolite, dettero adito alla spa-
ziosa piazza. Finalmente con tutta la pompi eccle-
siastica , e secolare si cominciò il terzo giro delle
mura^ assistendo a benedir la prima pietra i tre
Vescovi, di Firenze, di Fiesole, di Pistoia, con
molti altri prelati, la Signoria, tutti gli altri ordini
della città, ed innumerabile popolo. Le private
persone ancor esse aveano cominciato a coronare le
vicine colline di numerose, e dilettevoli ville (a).
(a) Vedi Dante
Non era vinto ancora Montemaìo
Dal vostro Ucctllatoio ec.
L'Uccellatoìo è un silo sull* antica strada bolognese , onde si iu
un grazioso prospetto dei contorni di Firenze, come da Moo-
ternario di quelli di Roma , prospetto , che ai tempi Hi Dinte
era superato da quello di Firenze . Dante scriveva appunto ìi
CAPITOLO OTTAVO iSi
I Fioreatinì soprastavano agli altri popoli non'
aolo nel commercio^ ma nelle lettere, e nei polìtici ^°^'
affari. Basti per quelle nominar Brunetto Latini^ 1399
Guido Cavalcanti , e soprattutti Dante non solo nella
poesia, ma in tutte le scienze tanto superiore al suo
secolo. I talenti politici dei Fiorentini sono provati
da un singolare avvenimento, che ebbe luogo ap-
punto in quest'anno, in cui si istituì da Bonifa-
zio Vili il solenne Giùbbiieo. Egli apri i tesori
spirituali non solo ai Romani, ma a tutti i fedeli,
che andassero a visitare i sepolcri dei SS. Apostoli
Pietro e Paolo. La novità della divozione trasse a
Roma un'innumerabil quantità di pellegrini, ed un
testimone oculare asserisce, che di soli forestieri
erano in Roma ogni di noo mila persone (3) ; cioc-
ché non lasciò di recare a Roma un sommo proGt-
to. I Sovrani inviarono degli Ambasciatori a com.
plimentare il Papa, e a partecipar per loro delle
grazie spirituali; fra questi si trovarono insieme
alla presenza del Papa dodici Fiorentini Ambascia- iSoo
tori di dodici diversi Sovrani, ciocché fece dire al
Pontefice maravigliato, essere i Fiorentini nelle uma-
ne cose il quinto elemento: fatto veramente singo-
lare, ed esposto in un gran quadro della Casa Slruz-
questo tempo , o almeno in questo tempo contemplava sì bel
prospetto , onde fu poi privo per tutto il resto di sua vita , es-
sendone fra due anni partito esule.
(3) Gio. Vili. lib. 8. e. 36. 1 000 libbre di argento il giorno
erano offerte. Ptol. Lucensis. Rer. Ital. tom. 1. Si aggiunge la
testimonianza di Guglielmo Ventura da Asti : de Roma in Vi-
gilia Nalivitatis Christi , vidi turham magnani , quam nemo
dinumerare poterai Papa innumerabilem pecuniam ah
iisdem recepii , quia die ac nocie duo clerici stahant ad aliare
S, Petri tenentes in eorum manibus rastellos rastellantes pe»
cuniam injiniiam, Cbron. Rer. ItaL Script, tom. i. Mur. diss. 68.
i5s LIBRO TERZO
'zi, ove si rappresenta l'intera Ambasceria (4)* Si
ai G. ^^^^^ mostra faceva in pochi anni di pace la Goreo-
i3oo tina repubblica; ma appunto per soverchio vigore
era prossima a nuove* malattie. La potenza delle
varie famiglie, o grandi, o popolane, la voglia di
soverchiarsi scambievolmente in ogni occasione si
manifestava, mostrando che il vulcano non era
lungi da fare un'eruzione, quando una nuova fatai
divisione fu portata da una città vicina, cioè da Pi*
stoja. Le micidiali fazioni onde è piena T istoria di
questi tempi, fanno il disonore d'Italia, giacché in
esse di rado si spiegava quella generosità, e quel
valore per cui si stimano, e si ammirano fra loro i
nemici stessi . Si combatteva di rado a forza aperta,
ma per lo più coli' insidie, col tradimento; né cer*
cava il nemico di vendicarsi contro il vero sno ne-
mico; gli bastavano per sfogo della sanguinaria rab-
bia il padre, i figli, i parenti dell' offensore ^ ed
erano trucidati barbaramente senz' altro delitto,
che la parentela . Una breve storia della micidiale
divisione di Pistoja farà prendere idea del genio
crudele delle fazioni*
Era in questa città una ricca, e potentissima &-
miglia, discesa da un Ser Cancelliere, da cui perciò
avea preso il nome dei Cancellieri. Da due mogli
avea egli avuta numerosissima figliolanza, che in
due rami divisero la famiglia, la quale andò sem-
pre accrescendosi; né avendo altre famiglie che po-
tessero contrastar loro il primato, divennero i doe
(4) V. Serie di ritratti di uomÌDÌ illustri Toscani, t. i.ove
è nel priacipio riportatata la stampa del quadro. In odo dei 4
gran quadri del salone di palazzo vecchio ?i è la stessa rappre-
sentanza di pennello del Ligozzi.
CAPITOLO OTTAVO i53
rami per gelosia di potere rivali fra loro stessi ,'
ed UDO fu appellato dei Cancellieri Bianchi ^ e l'al-jì q^
trodei Neri, Più di loo erano gl'individui di que- »3oo
ste due famiglie, fra i quali si distinguevano diciotto
Cavalieri a sprone di oro. Bolliva questa gara sen-
za aperte ostilità; ma quando le materie combusti-
bili sono preparate, ogni scintilla basta a levare un
grande incendio. Alcuni giovani di parte Bianca, e
Nera^ in una cella di vino avendo soverchiamente
bevuto si querelarono^ ed uno dei piò ragguardevoli
di parte Nera detto Dorè di Messer Guglielmo, fu
battuto da un tal Carlino di Messer Gualfredi dei
primi di parte Bianca . Non osò resistere Dorè veg-
gendosi il meno forte, essendo Tallro accompagnato
dai fratelli: ma nella sera appostatosi per vendi*
carsi ^ vedendo passare Vanni fratello di Carlino,
lo chiamò a se. Quello ignaro dell'accaduto senza
alcun sospetto si accostò a Dorè, che gli menò
improvvisamente un colpo di spada sulla testa:
Vanni volendo per moto naturale pararlo, ebbe la
mano recisa per modo che non gli restò appiccato
che il dito grosso, e tagliata a un tempo la faccia.
Quest'eccesso risvegliò il risentimento dei suoi, che^
si preparavano alla vendetta , quando il padre di
Dorè, e i suoi fratelli, vedendo le fatali conseguenze
della di lui azione^ crederono placare la parte offesa
coir umiltà, ponendo l'offensore nelle loro mani;
onde mandarono Dorè a casa di Gualfredi, sperando
che le scuse che egli chiederebbe^ e questo atto di
umiliazione risveglierebbe la generosità, e calme-
rebbe la rabbia dell'offesa famiglia. Ma invece di
placarsi misero essi le mani addosso al giovine , e
condottolo in una stalla sopra una mangiatoja, gli
i54 LIBRO TERZO
Trecìsero quella mano con cui avea ferito Vanni ^
di egli tagliarono il viso, e cosi mal concio lo riman-
^^^^darono a casa (5). Questi atroci misfatti risv^lia-^
rono allearmi ed al sangue ambedue le parti , fra
le quali il resto della città, e del contado restò di-
viso. Quasi ogni giorno si veniva alle mani dai cit-
tadini, e molle crudeli uccisioni avvennero in quel-
la infelice città, alcuna delle quali raccoateremo.
Era in tempo di una di queste cittadine battaglie
stata scagliata una pietra dalla casa dei Pecoroni
sulla testa di un cavalier pistojese che combatteva,
chiamato Messer Detto , che dal colpo restò alquan-
to sbalordito: il suo nipote Messer Simone^ senza
aver contezza della mano , che avesse scagliato il
sasso, osservando una persona di quella casa chia-
mata Pero, che andava al Palagio del Potestà, corse
con molta brigata di sgherri al Palagio, e davanti
(5) Essendo questo fatto contato con qualche diversità da
varj storici » ho creduto dover seguire la Cronica intitolata:
Istoria Pistoiese y giacché pare che Io storico vivesse , e si tro-
vasse presente a molti degli avvenimenti che racconta con mi-
nuto dettaglio , e con candore . Ferreto Vicentino ( Rer. IlaL
tom. 9. }, che nel tempo dell'avvenimento dovea esser fanciullo,
aggiunge che da due fratelli , uno di capello nero , e 1* altro
biondo presero le famìglie i nomi di Neri , e Bianchi ; altri dice
da due mogli di Scr Cancelliere che una chiamavasi Bianca, l'altra
Nera . Tuttociò è di poco conto -y quello però che sembra certo
contro l'asserzione del Villani, e di tutti gli Storici fioren-
tini , è che non ebbero principio in quest* anno le fazioni dei
Bianchi, e dei Neri; ma da qualche anno erano cominciate.
Lo attestano le Istorie Pistoiesi , che nel principio del racconto
le suppongono esistenti, e Tolomeo Lucchese, il quale ali* anno
1 295 dice : item in getstis Lucent ium inveni kic incepisse fer-
ventem discordiam CaÀceUariorum de P istorio , ut nominare^'
tur Albi, et Nigri y quod nomen fermentavit Fiorentine , et
Lucae , et ex quo nomine utrohique exorta sunt multa mxda,
et adhuc perseverante Ptol. Lucen. Ann. Rer. Ital. t. 1. Pare
però che il vulcano già acceso facesse in quest^anno una nuo-
va terribile eruzione. Ciampi, Notìzie inedite della Sacrestia
Pistojese dei belli arredi ec. pag. 56.
CAPITOLO OTTATO i55
at Potestà 9 ed alla di lui famiglia uccise il supposto
reo, e se ne parti impune . Quest^ insulto all'Ammi- ^- q,
nistratore della giustizia non fu solo: la sua fami- i3oo
glia istessa un'altra volta per aver voluto difendere
alcuno assalito nel Palazzo, fu insultata, ferita, e
qualcuno ucciso; onde sembrandogli di esser troppo
vituperato, gettò il bastone delia Signoria per ter-
ra, e partissi. Inorridisce l'umano lettore a percor-
rere anche di votogli enormi attentati riferiti dallo
storico, eseguiti per lo più coir insidia, col tradi-
mento . Si pone il colmo all' orrore pensando , che
anco quando V insultata maestà delle leggi poteva
esercitar la sua forza, i rei non erano condannati
che in denari , o ad un confine , pena che di rado
era osservata (6). Tra queste due furiose sette vi
erano alcuni pochi moderatici quali perciò si chia-
mavano i posati y che vedendo andare in mina la
città, e il contado, in quei lucidi intervalli, nei
quali un lampo di ragione si mostrava , persuasero
alla maggior parte di dare il governo della città
ai Fiorentini per ordinarlo. Erano questi bramosi
di spegnere le nascenti discordie , onde presa col
consenso dei Pistojesi la signorìa della città , ne
avevano fatti escire varj dei più colpevoli, e conli-
uatigli a Firenze. Ma essi vi portarono fatalmente
il veleno della discordia, il quale trovando i corpi
abbastanza disposti a riceverlo si sviluppò col mag-
gior vigore. Siccome vi erano i semi delle dissen-
sioni fra due potenti famiglie Cerchi, e Donati (j),
(d) Istor. Pislol. Rer. Itnl. tom. ii.
(7) Chi brama vedere dettaglia taniente i perniciosi effetti
prodotti in Firenze da queste divisioni, 0 lo sconvolgimento, la
poca sicurezza dei cittadini , l* irregolarità dei giudizj ec. legga la
i56 LIBRO TERZO
^baslò che la parte Nera fosse sostenuta dai Donati,
di e P^i'chè i Cerchi si unissero alla Bianca; e come
'^^^ avviene nel corpo umano, che una malattia nuova
esacerba ancora le vecchie mal guarite, si risveglia*
rono le parti Guelfa, e Ghibellina, a questa unen-
dosi la Bianca, alla Guelfa la Nera. Non tardarono
quindi ad aver luogo varie sanguinose risse per la
città. Invano tentò di acquietare le fazioni il Pon-
teGce, prima col chiamare a Roma Vieri dei Cerchi
possente cittadino, che con durezza inaspettata dal
PonteGce niegò di pacificarsi con Corso, indi col
mandar a Firenze Legato il Cardinal di Acqua -sparta
che non trovò ostacoli a far le paci, che egli dise-
gnava , ma credendo necessario che gli fosse rilasciato
l'arbitrio di riformar la città, la fazione Bianca co-
me Ghibellina , che aveva la principal parte nel
i3oi governo, temendo perderla non volle acconsentire;
anzi essendo trapelata la propensione del Cardinale
contro i Cerchi, gli fu^ mentre stava a una finestra
del Vescovado, tirato un quadrello che vi restò
fisso (8). Si parti finalmente il Cardinale adirato,
ponendo la città sotto l'interdetto. La parte Bianca
per le ricchezze, e parentele della famiglia dei Cer*
chi era divenuta la piò potente; e la sua influenza
si estese anche sulla disgraziata Pistoja , ove i Ret-
Cronica di Dino Compagni , che viveva in quel tempo , che ocoi*
pò le prime cariche» e che avrebbe potuto dire
• • . . quaeque ipse miserrima vidi.
Et quorum pars magna Jui .
(8) Essendosi assai sdegnato, i Fiorentini per placarlo gli pre*
sentarono i3oo fiorini nuovi, ed io (dice il Compagni )^He]ì portai
in una coppa di arienlo ; e dissi: a Monsignore non gli sdegnate»
perchè siano pochi, perchè senza i consigli palesi non si paò dare
Eiù moneta » Rispose gli avea cari» e molto li guardò, e non li v«l«
{. Dino Comp. Gron. lib. i.
/
CAPITOLO OTTAVO 1S7
tori mandati, invece di riunire i cittadini , si posero
a perseguitare colla forza aperta i Neri, ed attac- di C.
candoli per le strade, per le case, nei loro fortilizj, >^oi
e col ferro, e col fuoco, gli costrinsero alfine a fug-
girsi, e cercar ricovero altrove. Anche in Firenze
prevalsero ì Bianchi a segno, che molli dei primi
cittadini dovettero partirsi, e fra questi Corso Do«
nati. L'influenza delia più potente città di Toscana
operava sul resto, e il partito Bianco amalgamato
col Ghibellino andava a divenirvi dominante. Ma
Corso Donati andato a trovare il Pontefice, ed il
Cardinal di Acqua-sparta, mostrò loro il pericolo
di lasciar tanto crescere per tutta la Toscana la fa*
zione Bianca, o Ghibellina, nemica antica dei Pon-
tefici. Sedeva nel soglio Pontificio Bonifazio VII!
avido di soprastare ai Re, alle repubbliche, ai po-
poli, e pronto ad abbracciare i partiti che potessero
accrescere la sua secolare potenza (9) . Egli gustò
le ragioni di Corso, ed avendo, per toglier la Sici-
lia al Re Federigo, chiamato in Italia Carlo di Va-
lois, concertò seco celatamente la ruina di parte
Bianca. Andati a Roma gli Ambasciatori di questa ,
gli persuase a rimettere in lui le differenze; ed essi
facilmente si affidarono al Padre dei fedeli. Fece
egli da ambe le parti dichiarar Carlo pacificatore di
Firenze, ma in sostanza egli ebbe commissione di
render la parte Nera dominante. I principali di par-
te Bianca erano dolati di molta buona fede, virtù
pregevole fra i privati, ma non sempre lodata negli
aflari politici, giacché sovente è sacrificata airarti-
iiziu, il quale quando succede nei suoi fini è sempre
(9} Vedi Dante inf. can. 19. e il carattere che ne fa più Yolte.
i58 LIBRO TERZO
" approvato^ e quella schernita (io). Si appressò Carlo
dl^c!^ Firenze accompagnato da una scorta di Soo, o al
i3oipiù 800 cavalieri, ai quali si aggiunse un gran Do-
merò di fuoruscili, e amatori di novità. Si deliberò
se si dovesse lasciare entrare: non era difficile ai
Bianchi, e dai numerosi compagni che gli si erano
uniti, tutti loro nemici, e dalla premura, che mo-
strava della sua venuta la fazione contraria « il pre*
vedere che Carlo venia per abbatterli : il Governo
poteva con un atto vigoroso impedirlo, giacché se
avesse negato riceverlo e si fosse armato fortificando
Poggibonzi , quando Carlo era a Siena, non si sareb-
be arrischiato a venire avanti, non avendo forze da
contrastare ai Fiorentini. Niente è più pericoloso
della debolezza nei tempi di fazione: non si ebbe
il coraggio di resistergli, d'inimicarsi la Casa di
Francia , ed inasprire d'avvantaggio il Pontefice. Fu
dunque ricevuto, e gli fu data la- facoltà di rifor-
mare il governo (ii)* Comparve nello stesso tem-
(10) Lo stesso Dino Comp. attore in questa scena come nno
dei Signori, sì scorge dalla sua Cronica, che era fatto più per es-
ser Missionario che uomo di Stato : e veramente oltre le tante
omelie fatte ai cittadini , il principio del secondo libro è un pezzo
di sacra declamazione ce Levatein , o malvagi cittadini^ pieni di
scnndalit e pigliate il ferro, e il fuoco nelle vostre mani, e disten'
dete le vostre milizie ec, »
(1 1) 11 Villani seguitato da tutti dice, che Carlo entrò in Fi-
renze il di di Ognissanti; il Compagni anch'esso presente, il di 4«
novembre: aggiunge una curiosa circostanza, e che fu solo prega-
to ( essendo sulla fine di ottobre ) di non entrare in Firenze il di di
Ognissanti « perchè il popolo minuto in tal dì fa festa coi vòU
nuovi , e assai scandali sarebbero potuti incorrere » Dino Comp.
Cron. lib. a. Un'altra circostanza è che interrogati non solo i Con-
sigli ^ ma tutte le Arti se Carlo si dovesse ricevere, tatti furono,
pel sì ic eccetto i fornai, che disseno che né ricevuto , né onorato
fosse perchè venia per distruggere la città ». Vedi lo stes. loc cit
Sulla data deirin^rpsso importa assai poco il giorno, ma solo il sa-
vio lettore può dedurne quanto facile sia 1* alterarsi le drcostaue
CAPITOLO OTTAVO iSg
pò, ed entrò in città, sforzando le porte, Corso
Donati con molti seguaci ed assai altri se ne accreb- ^"^^
bero del popolo incostante: fece violentemente aprir i3oi
le porte di tutte le prigioni, andato al palagio licen-
ziò il Gonfaloniere, e i Priori: assali coi suoi parti*
giani i Bianchi, molti ne uccise, e saccheggiò le
loro case, e botteghe; stando spettatori , anzi fauto-
ri i Francesi di siffatte crudeltà che durarono sei
giorni • Allora la parte Nera vittoriosa s'impadronì
del governo, e mandò molti in esilio. Il PonteGce,
che Yolea solo la mutazione del governo, ma non
avea consigliato queste violenze, biasimando e Carlo
di Valois, e Corso Donati, mandò di nuovo a Fi-
renze il Cardinale di Acqua-sparta, che poco ascol-
tato, prese la solita vendetta ecclesiastica di porre
la città sotto rinterdetto. Si rispettavano cosi poco
fra loro anche i parenti, che il figlio di Corso Do-
nati stando a cavallo il di di Natale a udir la pre-
dica nella piazza di Santa Croce, e vedendo passare
Niccola dei Cerchi suo zio, gli corse dietro fuor di
Firenze, lo raggiunse al Ponte di Africo, ove appic-
catasi la zuffa fra di essi ed i loro partigiani , furono
il zio, ed il nipote uccisi. Intanto tutto era disordi-
ne, e scompiglio. Carlo, che favoriva, ed avea ri-
messa in istato la parte Nera, volea apparentemente
comparire neutrale, onde col pretesto di congiure, ^
e di delitti esso ed i suoi perseguitavano ì disgraziati
Bianchi. Talora erano arrestati, e sequestrati nella
dagli storici i più verìdici » come erano il Villani, e il Compagni
ambedue presenti alla venuta di Carlo, e che non avevano nessun
interesse di porla in un giorno piuttosto che in un altro : se impor-
tasse lo stabilir quella data, potrebbe anteporsi l'autorità del Com-
pagni , che era fra i Signori del Governo , si per la curiosa circo-
stanza dei vini, si perchè pare <3he egli scrivesse giorno per giorno.
i6o LIBRO TERZO
"loro abitazione alcuni dei più ricchi cittadini, m
^2(>'qualiy se volevano esser posti in libertà ^ si iacea
»3oi pagare una grossa ammenda: si ardevano le case di
altri che si erano salvati: si faceano nella notte eoa
i3oa tutto il rigore visite domiciliari , traforandosi per
ansietà di ricerca coi ferri fino i sacconi. Fiualmen*
te nel di a aprile, quei che restavano ancora di parte
Bianca furono esiliati^ e fra questi si trovano doe
celebri nomi cioè quello di Dante allora Ambascia-
tore al Papa, e T altro di Petracco di Parenzo, pa-
dre del celebre Petrarca, che si ritirarono in Arez-
zo, ove nacque da Petracco queir illustre poeta.
Pare che T innocente mediocrità di talento del Com-
pagni lo facesse obliare in questo naufragio della
parte Bianca. Dopo cosi crudel medicina, si parti
Carlo, credendo avere abbastanza ordinate le cose*
Pareva che cacciata la maggior parte dei Bianchi ,
dovessero cessare le atroci esecuzioni , e le stragi , ma
coi più vani pretesti si proseguivano; una lettera di
Gherardino Diodati refugiato a Pisa ai suoi consor-
ti, nella quale dava loro speranza del ritorno degli
esuli, bastò per fare arrestare e decapitare due suoi
nipoti insieme con altri; né la madre, che scapi-
gliata si gettò per la pubblica strada ai piedi del
Potestà, potè ottenere che ingannevoli parole (f a).
Messer Donato Alberti preso coli' armi alla mano,
condotto vilmente sopra un asino a Firenze, fu fatto
porre alla corda, e trarre in alto, e lasciatolo ivi
appeso, si aprirono tutte le finestre, e le porte del
Palazzo perchè il popolo godesse del fiero spettaco*
lo, e finalmente quasi per pietà ottenne il Potestà
(is) Dino Coinp. Gron. lib. »•
CAPITOLO OTTAVO 161
di fargli tagliare la testa, e terminar colla morte lu^^^~~'
strazio, e gf insulti (i3). Né qui si acceuaa che uua ^^q^
piccolissima parte di tanti eccessi. Questa fu la pa- >^^'^
ce messa io Firenze da Carlo di Vaiois, chiamatovi
da Bonifazio Vili come paciere. Era quel Principe
discendente del Santo Re Luigi, che appunto po-
chi anni avanti lo stesso Papa avea canonizzato, e
che il devoto storico deir atroce rivoluzione va pia-
mente, e inutilmente invocando (i4)« ^li espulsi
Bianchi o Ghihellini andarono refugiandosi per le
città ^ ove più dominava il luro partito, e dove po-
tevano almeno esser tollerati; e Pistoja, Arezzo,
Bologna, Pisa^ e molle altre città, e castella furono
il loro ricovero. La più parte dei Signori di conta-
do erano Ghihellini, si unirono perciò facilmente,
gli esuli con essi, e con gli ujuti delie città nomi-
nate cominciò una disastrosa guerra di fatti picco-
li, ma micidiali, di arsioni, devastazioni, e ruhe-
rie. La sola Siena si teneva saviamente neutrale,
ma in tempo di fazioni la saviezza diventa uua
colpa ^ e gli arrahhiati faziosi dei due partiti chiama-
vano meretrice la Lupa Ci5). Erano intanto pa-
droni deJ governo di Firenze i Neri, ossia i Guelfi,
e somma influenza aveano acquistata i Grandi ri-
spettati, e temuti; henchè non avessero potuto rom-
per la legge che gli escludeva dal governo. Fra i i3o3
principali erano i Buoudelnionti, i Pazzi, gli Spi-
ni^ ma specialmente Corso Donati, il quale avendo
avuta la prima parte nella rivoluzione, avrebbe vo-
(i3} Dino Comp. loc. cit.
(i4) << O buono Re Luigi che tanto temeste Dio ! ov'è la fede
della real Casa di Fiaocia? j> ec. Dino Goinp. loc* cit.
(1 5) Dino Couip. loc cìt*
i62 LIBRO TERZO
. luto averla anche nel governo. Inquieto sempre^ e
di G. app^ten^^ di cose nuove, circondato sempre da ao-
i3o3|iiÌQÌ facinorosi nutriti alla sua tavola^ rassomiglia-
va più a un Signore di castella , che a un cittadino
repubblicano. Scontento dei Rettori, e del Gover-
no, cercava ogni mezzo di eccitar dei tumulti, e
i3o4 mirava forse a più alto segno. Affettando integrità,
e desiderio che il pubblico non fosse frodato, pre-
tese che si rendesse conto di una grossa somma di
denaro impiegata nella compra di grani in tempo
di una carestia, che avea afflitto Firenze. Resisteva
il Gonfaloniere con molti grandi cittadini , o perchè
vi fosse stata della frode, che sarebbe rilevata, o
perchè paresse loro la dimanda un affronto, o pic-
cati che quest'uomo torbido dovesse ogni momenta
eccitare dei motivi da tenere inquieta la città . Eb-
be Corso l'accortezza di tirare nel suo partito il
Vescovo di Firenze Tosinghi, uomo eloquente, de-
stro, e che conciliava a quella parte maggior rispet-
to. Si divise nuovamente il paese in due partiti: si
armarono, si fortificarono nelle case, nelle strade,
e il pubblico Palazzo, e il Vescovado stesso presen-
tavano r immagine di due fortezze. I nuovi Priori
e Gonfaloniere inabili a richiamare la calma, invi-
tarono i Lucchesi come loro amici ad esser pacifi-
catori: accettarono Tinvito, e una Deputazione loro
venne a Firenze con molti armati; ebbero il go?er-
no nelle mani, e per alcuni giorni furono Sigoofi
di Firenze. Fecero posar le armi, stabilirono im
oblio generale delle ingiurie, e lasciarono la dtti
in una momentanea calma. Per renderla più dure-
vole il Pontefice Benedetto XI con migliori inten*
zioni di Bonifazio , istigato segretamente dai Bian-
CAPITOLO OTTAVO i63
chi, che pure io ud piccolo numero mascherati esi- ^^=
«levano ancora in Firenze, vi mandò il Cardinale ^."!^'
da Prato. Egli era di famiglia Bianca-Ghibellina, i3o4
onde o prese a favorirla per genio di partito, o ve-
ramente vide che il vantaggio della città sarebbe
stato il rimettere i fuorusciti, vide che una gran
parte del popolo vi si sarebbe indotta, giacché la-
sciando da parte i nomi di Bianchi, e Neri , o Ghi-
bellini, o Guelfi si era accorta negli ultimi faziosi
tentativi di Corso, che dal partito dei Neri si volea-
no opprimere i popolani , e forse cacciargli dal go-
verno. Vedendo il Cardinale favorito da non pochi
il suo disegno, e colla sua unzione, e affettuosa elo-
quenza avendolo a molti persuaso, ne cominciò il
' trattato, e già alcuni sindaci dei Bianchi erano ve-
nuti a parlar seco in Firenze* Avvisatosi il contra-
rio partito deir imminente mina, pensò di rime-
^ diarvi con un inganno. Contraffatti i sigilli del
: Cardinale, furono a suo nome scritte delle lettere,
' colle quali s'invitavano i Capi di fazione Bianca a
venire sollecitamente con quanta gente armata pò-
c' tessero a Firenze. Si finse che le lettere fossero in-
tercettate; e lette nel pubblico, si eccitò rabbia, e
;^ dispetto contro il Cardinale, che per evitare i pri-»
^mi movimenti di un tumulto fu consigliato di an-
>dare a Prato sua patria, ove non fu più felice nel
rlar rientrare i Bianchi, onde pieno di sdegno con-
ttro i Fiorentini alfine partissi (iC). Restò nella ci-
^vile discordia la città, e si tornò alle armi, fra le
^uali i capi della parte Nera volendo ruinare spe-
\
l (16) L'istoria della falsiBcazìone dei sigilli è raccontata da
^pio. Villani, benché il Compagni non lo accenni: ambedue quei>ti
^istorici erano in Firenze •
,64 LIBRO TERZO
' cialmente i Cavalcanti , i più potenti della parte
Ì."c"' Bianca che fossero in Firenze, lanciarono un fuoco
.3o4*di artiCzio sulle case, e botteghe loro situate presso
Mercato nuovo, le quali ardendo, comunicando U
fuoco ai vicini, il danno fu immenso (17); giacché
quella parte della città era la più ricca pei mercan-
tili fondaci, l disgraziati padroni, e la fona pub-
blica istessa furono impotenti ad estinguerlo, e
spettatori del comune danno. Il tumulto della cit-
tà gli urli degl'infelici, i ladri che si arrischiavano
a rubare impunemente , facevano uno dei più tristi
«petlacoli . Terminato Y incendio, molti ricchissimi
cittadini si trovarono nella più gran nniseria. In-
tanto il favor del Cardinal da Prato alla parte Bianca
accresciuto dalla pertinace contrarietà dell' opposto
partito, lo portò a tentare di rimettere coli' artifi-
zio, o colla forza la parte Bianca in Firenze. Dopo
aver col racconto esagerato degli avvenimenti esacer-
bata la romana Corte contro i Neri , indusse il Pi-
pa, che si trovava a Perugia, a chiamare a se i loro
Capi i più vale.nti, ed accorti per trattar con essi
della tranquillità di Firenze ( 1 8). Obbedirono essi ,
/in) Pare cbe si servissero di una sorte di fnoco greco Vef
cao. I. del lib. 3. giacché era lanciato « Di mercato ^ea*io n
SMttò fuoco in Calimala ce Dino Compagni Cron. lib. 3. Giow
ni Vili. lib. 8. ec 71. asserisce che il fuoco si distese tanto,*
fra Baiasi , e torri arse , furono piji di 1 7 00 , e che il midollo , » h
mrtc pil importante della cìui restò distrutta. Che si «mosche-
ro allora delle misture di simil fuoco h mostrato anche da wwKj^
velia di Francesco Sacchetti. Aggiunge il Compagni che il h»»
fu lavorato in Ognissanti, che ser Neri AbaU Priore di Swi Pw.
ScherajfBio, che fu uno dei primi attori in questa scelerat««a, I»
portò in una pentola , e che era di tal sorte, che quando cadeva ■
terra Issciava un colore azzurro . _
08) Cosi il Villani : il Compagni dice che si mossero spcrt»-
neamente per scusarsi presso il Papa dell* avvenuto incendio; ■•
il primo pare sempre meglio informato delle molla occoKe «W
Governo .
CAPITOLO OTTAVO i65
irai quali era Corso Donati; e il Cardinale fece sa-
pere ai fuorusciti segretamente esser tempo di rien- ai°c!
trare colla forza nella patria^ mentre la parte av- >3o4
irersa era priva dei più valorosi difensori. Non tra-
scurarono i fuorusciti l'opportuna occasione ; e se
fossero stati guidati dal valore, e dal senno ^ il col-
po era fatto. Riuniti da tutte le parti si avanzarono
verso Firenze in numero di 1600 cavalli, e 9 mila
pedoni, ed erano giunti alla Lastra sopra Montugbi,
prima che in Firenze se ne avesse sentore : onde se
profittando dello spavento, e confusione eccitati dal-
la sorpresa , senza perder tempo avessero assalita la
città, la vittoria era sicura • Ma mentre si tratten-
gono una notte ad aspettare altri ajuti; mentre pe-
netrati nella città che avea dato ordine alla difesa ,
si accampano in luogo ov'erano privi di acqua, in-
vece di occupare una sponda deirArno ; mentre
combattono con poca energia , e al primo incontro
si ritirano; mentre i Bolognesi invece di avanzarsi
in loro soccorso, si ritirano sbigottiti alla nuova dei
primo svantaggio; il colpo andò a vuoto. A tutto
ciò si unisca il poco concerto neir azione di tanti
corpi che da tante parti doveauo venire, e che non
attaccando Firenze nel giorno stabilito, i loro cor-
rispondenti segreti nella città aon si mossero, gli
assalitori furono respinti, e lasciarono alcune vitti-
me infelici al furore della parte irritata , e vittorio-
^ (>9)* Questa allora portò le armi contro alcune
castella partitanti dei nemici, frai quali distingue-
i^mo il castello di Stinche dei Cavalcanti posto in
Val di Greve, perchè dopo breve difesa gli abitanti
(tg) Gio. Yill. Hb. 8. e. 72* Dino Comp. Cron. lib. 3. Ambe-
due questi scrittori eran preseuti al fatto • Àoimir. ìbU lib. 4.
i66 LIBRO TERZO
-arresi condotti a Firenze, e chiosi nelle naoTcar
dfc! ^^^' fabbricate presso San Simone sul terreno degli
1 3o5 Ubertì y diedero ad esse il nome di Stinche (30). La
parte Nera, ad onta della vittoria, scorgeva eoa di-
spiacere, che in Toscana era la Bianca assai poten-
te^ giacché Pistoja, Pisa, Arezzo, e Bologna la &•
vorivano: volendo muover loro guerra ceree un Ca-
pitano di nome, e di autorità, ed invitò Roberto
Duca di Calabria figlio del Re Carlo* Venne questo
Principe, a cui fu dato il comando delle genti fio>
rentine riunite alle luccliesi. Si fece con massioo
vigore l'assedio di Pistoja: si difesero i cittadini eoo
coraggio da sgomentare i nemici • Il Fontefice.Gle-
mente V che come Padre di .pace ^ voleva spcngcre
questa guerra nata dall'odio delle parti, mandò doe
Cardinali, che prima colle preghiere^ e poi colle mi-
naccie tentarono di riconciliare gli animi, ma iou-
tilmente: si partirono scomunicando quei che non
i3o6 obbedivano. Il solo Duca di Calabria, che aveva dei
motivi di non disgustare il Papa, si parti lascian-
. dovi però tutte le sue genti . Si difesero bravamente
i Pistojesi dal mese di aprile fino a' dieci di geDuajo,
e non si arresero che dopo aver soflGerto i disagi i
più orribili della fame (^i); anche allora non capi-
tolarono che ad ottimi patti: che la Terra restereb-
be Hbera, e le fabbriche e le fortificazioni illese,
patti che i Fiorentini offersero loro, sapendo che
veniva Napoleone Orsini Cardinal Legato, chea-
vrebbe dichiarato che la città era della Chiesa: i
(ao)Gio. Vili. lib. 8. e. 7 5.
(21) Dino Comp. Cron. lib. 3. Gio. Vili. lib. 8. e. 8a. Dice 3
primo cbe quando si arresero non aveano Tettovagìia cbe perai
giorno, e che aveano alcuni giorni innanzi mandate ^ao^iIebo^
che inutili, donne » Teccbi» e fanciulli.
CAPITOLO OTTAVO 167
patti però non furono osservati. Il Papa vedendo'
inutili contro di Firenze Tarmi sue spirituali, voi- ^"^|
le tentar Je temporali mandando a far loro la guerra i3o6
il Legato, ma queste riesciroao egualmente vane:
terminò il Legato con poco onore la sua guerra tem-
porale, ricorrendo di nuovo alle armi spirituali , e
scomunicando Firenze. Pareva che la città non po-
tesse restar tranquilla, e pochi anni passarono sen-
za civili discordie: bisogna concludere clie la costi- 14^7
tuzione politica era difettosa ^ ed anco senza V uni-
versale epidemia dei Guelfi, e Ghibellini, e dei
Bianchi, e Neri sarebbe stata divisa, come prima
di questi nomi lo era stata dagli Uberti. I potenti
volevano il governo in mano ad esclusione del po-
polo; e questo sarebbe loro venuto fatto agevolmen-
te, giacché il popolo intento alle arti meccaniche,
0 alla mercatura, ha poco ozio per applicarsi al-
le arti del governo, e per lo più si lascia tranquil-
lamente regolare quando non è oppresso. Ma Pa-
vidità di occupare le cariche divideva gli animi
dei primi cittadini, e cominciavano fra loro le fa-
zioni, nelle quali si traevau dietro V innocente po-
polo: inoltre credevano, o volevano che la libertà i3o8
loro consistesse nel soprastare alle leggi, e uniti in
fazione turbavano a segno T esecuzione delle leggi,
che i Capitani , e i Potestà di Firenze non aveuno
coraggio, o forza da tenerli in freno (^2). Niente
(a a) Pochi aoiii avanti il Poteste avea faUo arrestare per ma-
lefizìo Talano dei Gaviciulli. Tornaaclo il Potestà dalla Gasa dei
Priori fu assalito dai parenti e consorti di Talano , ne fu inala-
Dieote ferito, e restò liberato il reo; onde sdegnato il Potestà ab-
bandonò la caricale tornò al suo paese. Gio. Vili. lib. 8. e. 78.
Vedi Dino Gomp. che sulla fine della sua Gronica dice: In questa
Città . • . • g/i uomini vi si uccidono , il male per legge non si
ifi8 LIBRO TERZO
^ più di tali violenze esacerba il popolo, ed è capace
di C. ^'' •''allevarlo . Fra ì prepotenti cittadini si dìstin-
i3o8gt]eva sempre Corso Donati^ né l'eguaglianza repub-
blicana poteva sodisfare un cuore tanto ambizioso.
Fu creduto che egli aspirasse alla tirannide: i nuo-
vi vincoli di parentela con Uguccione della Faggiola,
e la sogreta alleanza con esso lo facevano sospettare:
si aggiungeva la sua maniera di vivere, colla quale
tendeva a guadagnarsi l'animo dei più arditile fa-
cinorosi , essendo la sua casa , e la sua tavola aperte
a costoro, e uscendo sem()re fuori a cavallo circon-
dato da una masnada di simil gente. Fu accasato;
ma temendosi la sua arditezza, e le forze che avreb-
be potuto radunare se gli si fosse dato il tempo de-
bito e legale per rispondere all'accuse, il Governo a
lui contrario, passando su tutte le fornìe,un'ora dopo
non essendo comparso, lo condannò come ribelle:
e senza perder tempo marciò contro di lui la fora
pubblica. Si difese egli coi suoi per le strade, e per
le case col più ostinato valore, ad onta della gotta di
cui era malato, e pose in gran perìcolo la città-
Ajutato però il Magistrato non solo dal popolo, ma
dalle straniere truppe clie vi si trovavano, assalitolo
da tutte le parti nelle strade delle sue case, final*
mente lo ruppe. Si ritirò egli fuori di porta alla
Croce cercando di salvarsi, ma giunto dai suoi ne-
mici, fu ucciso verso S. Salvi, e in quella chiesa
sepolto» Così morì un uomo che fu e il sostegno, e
il terrore della sua patria ; pieno di valore, e di
eloquenza non poteva meno rolla lingua che colla
spada, e Taria nobile e maestosa ornava queste qua-
punisce , ma come il malfattore ha degli amici , e può
spendere, è liberato dal maleJiciQ .
CAPITOLO OTTAVO 169
lilà. Tutte le piccole repubbliche della Toscana
erano agitate dagli stessi moti, e o Guelfi 0 Ghibel- ^^q
lini, o Bianchi o Neri, o Nobili o Popolani non pò- »3o8
tevano viver tranquilli. In S. Miniato iMangiadori,
e 1 Malpigli, chiamate le loro forze combatterono,
e vinsero il popolo, e gli tolsero il governo. In Prato *^®9
i Bianchi cacciarono i Neri, ma ne furono espulsi
il giorno appresso: i Volterrani, ei S. Geminianesi
si ruìnarono scambievolmente le campagne, e fu-
rono poi acquetati dai Fiorentini. Arezzo era stato
per qualche tempo governato dai Tarlati, che si-
gnori feudali, e perciò Ghibellini o Bianchi, ne
a veano cacciata la parte Guelfa o Nera, ed erano
stati perciò nemici dei Fiorentini. Neil' anno scorso
cacciati i Tarlati , si era pacificata coi Fiorentini ac-
comunando le cariche con tutti i cittadini, senza
privilegio di nome; e la parte dominante si fece ap-
pellare parte Verde: ma poco durò quel raggio di
senno ; nel presente anno vi rientrarono i Tarlati ,
ne cacciarano la parte Guelfa, e si ricominciò da essi
la guerra coi Fiorentini, i quali devastarono le cam-
pagne aretine. Nell'anno seguente ebbe luogo tra di i3io
essi un afiare assai più vivo; a veano gli Aretini at-
taccato Città di Castello, che chiese ajuto ai Fio-
rentini; vi marciarono essi sollecitamente con un
corpo di seimila uomini, ai quali erano unite le
bande catalane condotte dal Maliscalco del Re Ru-
berto di Napoli poco innanzi. Trapassando il terri-
torio aretino, queste truppe si distesero impruden-
temente sotto Cortona in un diflicile passo, ove era-
no aspettate dagli Aretini guidati da Uguccione della
Faggiola, Capitano, che doveva un dì essere si fa-
tale alla fiorentina Repubblica: ma i suoi soldati, e
170 LIBRO TERZO
. gli Aretini stessi non mostrarono il solito valore. I
dì G. Fiorentini^ che doveano esser per la maggior parte
1 3 10 trucidati^ o presi , respinsero i nemici con molta
strage^ e fra gli altri vi fu morto Vanni Tarlati ^ uno
dei primi del Governo aretino»
Intanto la fama portava che il nuovo Imperatore
Arrigo VII si preparava a scendere in Italia . Era
gran tempo da che un somigliante astro, apporta-
tore sempre di novità^ e rivoluzioni, non era com-
parso nel cielo d'Italia; e intanto la sua politica
costituzione era assai alterata. Non esìsteva più
quella Lega Lombarda, che aveva saputo abbattere
la potenza di uno dei più formidabili Imperatori ^
e costringerlo a riconoscere la sua indipendenza.
Questa Lega^ così vantaggiosa all'Italia^ ed atta a
raflfrenare le forestiere invasioni, si era rotta in pezzi
alle scosse delle azioni; e l'Italia, e specialmente
la Lombardia in questo momento, invece di quelle
vigorose, ed energiche Repubbliche che aveano re-
sistito alla Casa di Svevia per la loro unione, non
prestava che un sanguinoso teatro di guerra civile.
Guido della Torre dominava duramente in Milano
d'onde avea cacciato Maffeo Visconte, Simone dì
Colubiano in Vercelli, e Novara , Alberto Scolto in
Piacenza, il Conte Filippone in Pavia, i Passerini
in Mantova , in Parma i Signori di Correggio , ia
Como Martino Lavetario, Alboino della Scala in Ve-
rona, in Rovigo Ricciardo di Camino, in Brescia
Maffea dei Maggi. Cremona con turbolento alterna-
tivo governo ora dai nobili era dominata, ora dalia
plebe; Iipdi, e Crema da Antonio da Fixaratico;
Modena^ « Reggio dai Ghiberti. Bologna era libera;
Fi^rrara strappata dai Veneziani agli £stensi , recu-
CAPITOLO OTTAVO 171
perata dal Legato del Papa, tenevasi in Vicarialo "^
dal Re Roberto. Tutti questi Signori, che vacilla- j"c!
vano nel loro piccolo Stato, dovean temere una tal >3io
venuta, e sarebbe st^to comune interesse unirsi e
impedire risdutamente il passaggio; ma si odiava-
no anche più tra loro, di quello che temessero l'Im-
peratore. In Toscana non vi era che Pisa, ed Àrezxo
che ne bramassero la venuta. Pisa sempre addetta
alla fazione imperiale, sperava ingrandirsi sulle rui-
iie dei Fiorentini, che aveano superbamente trattati
gli Ambasciatori di Cesare : perciò per agevolargli
la strada gli fece pagare 4^ mila fiorini di oro, ed
altri ne promesse al suo arrivo. Siena si tenne uni-
ta con Firenze, che decise di non permetter l'in-
gresso nella sua città all'Imperatore , né riconosce-
re in lui alcuna superiorità, anzi non avean mancato
di mandare Ambasciatori ai Sigg. di Lombardia con-
sigliandogli ad opporsi al- suo passaggio, e specialmen-
te a Giulio della Torre Signore di Milano, che ebbe
tanto motivo poi di pentirsi di non aver seguitato il
loro consiglio (aS). Aveq Firenze ricchezze, e corag-
gio, e non le mancavano esempi di aver contrastato
intrepidamente con altri Cesari. É vero che l'Impe-
ratore non voleva ascoltare i nomi di Guelfi, o di
Ohibellini , e dicea di venire per mettere concordia
in Italia ; ma i prudenti Fiorentini aveano nix esem-
pio fresco davanti agli occhi nella venuta di Carlo
di Valois entrato in Firenze col bel titolo di pacie-
re, e che vi avea recati tanti sconcerti. Un'altra i3ii
revoluzione avea alterato il sistema d'Italia. Il Pa-
pa era un polente rivale dell'Imperatore, ed atto
(2 3} Istor. Pistoiesi •
17» LIBRO TERZO
78 frenare con la sua presenza, e prontezza le di lai
di e. ^^^'^P^^^^'^^ • I^ Papato non esisteva più in Roma,
>3ii ma in Avignone. Filippo il Bello, Re di Francia,
che avea sentita la formidabil potenza di BonìGizio,
alla morte del suo successore Benedetto tramò l'ele-
zione di un suo suddito, il Vescovo di Bordeaux, e
potè non solo farlo eleggere, ma trasportare la Sede
pontificia vicino alla sua capitale, per aver su di
esso la maggiore influenza (24)* Avrebbero perciò
fatto gran senno gK Italiani a imitare i Fiorentini,
e chiuder le porte d'Italia al nuovo Imperatore. Il
saggio Re di Napoli Ruberto non solo si preparo a
difendere il regno, ma inviò anche a Roma il suo
fratello con della truppa per animare i Romani a
contrastargli l'ingresso. Si era egli strettamente
legato coi Fiorentini, e nel passar di Firenze indi
per Siena, tornando da Avignone, avea esortati i
cittadini alla concordia per esser più forti contro
il forestiero nemico. E già quell'Imperatore comin-
ciava a dar dei segni non equivoci dell'obbedienza
che esigeva, e dell'impero che pretendeva esercitar
sulla Toscana come sul resto dell'Italia . I suoi Am-
basciatori venuti a Firenze intimarono, che l'eserci-
to fiorentino si partisse dal contado di Arezzo y che
era sotto la protezione dell'Impero, e che la repub-
blica gli mandasse Ambasciatori a fargli omaggio.
Alla domanda imperiosa Retto firunelleschi , uoido
altiero e feroce, e insuperbito per la caduta di Corso
Donati, di cui fu autore, essendogli stata commessa
la risposta replicò con orgoglio, e indecente inso-
lenza : onde i Signori disapprovatala pregarono gli
(a4) Marat. Ann. d' Ital.
CAPITOLO OTTAVO 173
Ambasciatori di tornare per altra risposta^ la quale
fu gentile^ ma ferma, e negativa: dopo la quale si ^^q
diedero tutti i provvedimenti per la necessaria di- iSn
fesa y essendo già Arrigo giunto a Turino. AgFin^
Titi che con tutto Tardore gli facevano i Ghibellini
si aggiunse un'epistola di Dante. È scritta con una
certa fierezza , che era il carattere di quell'uomo,
la quale conservava anche parlando ad un Impera*
tore ; vi sono dell' espressioni che sentono il rim-
provero sulla sua lunga tardanza a Milano, lo in-
cita contro Firenze, indicandogli che la vera testa
dì queir idra di ribellioni , che pullulavano una
dopo l'altra in Lombardia, era Firenze: né s'in-
gannava . Se lo scritto sembrerà poco pio verso la
patria, dee almeno saperglisi grado che la gene-
rosità lo trattenesse dal portar le armi contro di
essa quando l'imperatore ne faceva l'assedio. Que-
sta lettera però resa nota fu a lui fatale: l'odio dei
cittadini, che il tempo cominciava a calmare, si esa-
sperò, e nel i3i5 fu di nuovo confermato il suo
esilio; ed ei perdette ogni speranza di rientrare
nella patria. Intanto, quasi che ancor dopo la morte
Corso Donati dovesse agitare la città, quei del suo
partito ne cercarono vendetta, ed uccisero Betto
Brunelleschi che avea armato il popolo contro Corso;
e trovandosi forti abbastanza andarono al monaste-*
To dì S. Salvi, ove senza onore era stato sepolto il
suo cadavere, lo dissotterrarono, e gli celebrarono
magnifiche esequie, facendo armati la guardia per-
chè il divin servizio non fosse turbato. Quell' omi-
cidio, e r altro avvenuto in seguito di Pazzino dei
Pazzi per opera dei Cavalcanti, avrebbero proba-
bilmente ricacciata la città negli antichi civili di*
174 LIBRO TERZO
Tsordini^ senza il timore di Arrigo » che espugnata
(li C. Brescia si preparava a venire in Toscana: ma forse
>3>> non la credendo agevole impresale volendo tentare
le vie piacevoli,^ mandò nuovi Ambasciatori ^ ai
quali fu vietato Tingresso in città. Combattevano i
Fiorentini colTarmi, in cui erano più potenti,
coi denari: con questi aveano sostenuto Brescia ,
con questi, dopo che Arrigo ne fu partito, la fecero
ribellare^ e collo stesso mezzo guadagnarono Messer
iSiaGhiberto Signor di Parma, che alzò contro di lui
lo stendardo di ribellione in Lombardia . Si cita-
rono allora i Fiorentini a mandare a Genova dodici
persone a scusarsi; e, ricusando essi, furono posti
al bando dell'Impero. Dopo i tanti insulti alla regia
Maestà, conveniva prepararsi alla più valorosa difesa.
Era grande la fama di Arrigo .Tutta la Lombardia
o vinta dal timore, o dalle armi gli avea ceduto. I
Pisani erano impazienti di averlo fra le mura^ e i
loro Ambasciatori ne sollecitavano in Genova la
partenza. Benché Pisa, dopo la fatai rotta della Me-
loria, non fosse più risalita all'antica potenza, era
sempre commerciante, e ricca: quella guerra tan-
to a lei funesta non era terminata che nel i3oo
in cui avea stipulato coi Genovesi una pace as-
sai gravosa , col riscatto dei prigionieri , i quali
però in i5 anni di carcere erano per la maggior
parte periti. Una mortale epidemia, in cui lasciò
la vita l'imperatrice stessa, e il mal umore dei Ge-
novesi , lo fecero finalmente imbarcarsi per Pisa:
giunse a Porto-pisano nel di 6 marzo, e fu ricevuto
nella città con allegrezza, e pompa straordinaria,
ove si radunarono tutti i fuorusciti, e i malcontenti
di Toscana, o stranieri, molti altri o tratti dalla
CAPITOLO OTTAVO 175
speranza , o dalla curiosità, o dal desiderio di fargli ^=^
la corte, come il Vescovo di Arezzo, Uguccione ,^j q
della Faggiola, Federigo di Montefeltro. Gli offri- ^^i^
rono i Pisani colle chiavi la signoria della loro Re-
pubblica. Questa era una formalità; ma tali non
erano le somme anche esorbitanti ch'ei trasse dalla
repubblica, somme, che se dee prestarsi fede ad
un istorico contemporaneo (^5), fecero mormorare
assai il popolo. Nei primi di aprile nell'orto dei
Gambacorti, ii»ve solca spesso tener dei consigli coi
suoi primi Signori , dichiarò solennemente nemici
dell'Impero varj Principi lombardi che si erano
ribellati, e i Fiorentini, e i Lucchesi. Le sue genti
nel tempo di questo soggiorno fecero alcune piccole
scorrerie sul contado fiorentino , e lucchese : non
si fece però impresa di conto, perchè anelava Arri-
go di esser coronato, in Roma , dove si portò sollecita^*
mente per la via di Maremma; e ad onta del par-
tito formato dalle genti mandatevi dai Fiorentini,
unite a quelle del re Roberto ed agli Orsini , colle
quali ogni dì si veniva alle mani, se gli fu impedita
la via di San Pietro, prese la corona in S. Giovanni
Laterano(26). Partito di Roma, si avviò verso To-
scana per la parte di Perugia. Ricevuto allegra-
mente in Cortona, e in Arezzo, qui si trattenne
due giorni , e vi ricevette gli Ambasciatori di San
Sepolcro venuti a implorar perdono. Si mosse verso
Firenze. Montevarchi colle sue deboli fortificazioni
lo arrestò solo tre giorni • San Giovanni si era cir«
(9 5) Ferreto Yicent. hisU llb. 5. rer. itaL tom. 9. Ist Pist.
Haraog. Cron. Pis.
(a6) Albert. Muas. Gio. Vili. libr. 9. e. 1^2, Ferr. Yicent.
loc ciU
176 LIBRO TERZO
T . conciato di una fossa piena di acqua ^ ma appena
die. vide dar lo scolo alle acque, si arrese» Non trovò
^^^^ r esercito imperiale resistenza di qualche conto fino
air Incisa, ove un grosso corpo di Fiorentini si era
accampato a guardare il passo in sito assai forte.
Non credendo opportuno l'Imperatore il perder tem-
po'ivi, e vedendo difficile di forzargli col vantaggio
che aveano del luogo, fece salire le sue truppe per
altra via montuosa mostratagli dai fuorusciti, e
prendere Montelfi. Una schiera di Fiorentini ve-
dendo avanzarsi i nemici per occupar quel passo,
tentò velocemente di prevenirli; ma percossa da
una banda di Tedeschi scesa dal monte, fu rotta
e costretta a ritirarsi frettolosamente all' Incisa: i
nemici pertanto occuparono Montelfi. G>n questa
operazione, all'esercito fiorentino restava tagliata
ogni comunicazione con Firenze, e privo di vetto-
vaglie, si sarebbe trovato a mal partito, se V eser-
cito imperiale conoscendo il vantaggio del posto vi
si fosse mantenuto. Ma di là si mosse, e giungendo
alle porte di Firenze prima dell'armata fiorentina,
pose in gran sconcerto, e terrore la città, che fu
meglio rassicurata quando per altra strada giunsero
la notte le sue genti, e molto più quando arrivati
gli ajuti di Lucca, di Siena, e di molte città di
Toscana, e di Romagna, che il comune timore riu-
nì va, si fece in Firenze una massa assai numerosa di
truppe non minore di 4 ^^^ cavalli , e ^4 ™^'^
fanti. Questo esercito, in quei tempi grandissimo,
tenne si poco conto degl' Imperiali, che le porte
restarono sempre aperte, fuori di quella che corri-
,3i3spondeva al campo nemico . È vero cheTesercito
imperiale era assai minore del fiorentino; ma la
CAPITOLO OTTAVO 177
sua cavalleria agguerrita, e valorosa recava spavento
agi' imbelli Italiani (^7), né si ardivano i Fioren* ^^q^
tini misurarsi a campo aperto. Sapevano bene però i^i^
cbe il tempo combatteva per loro, e che presto
mancberebbero air Imperatore denari, e vettova-
glia. Per la parte degrimperiali la guerra si ridus»
se a devastare il paese, non avendo gente da far
r assedio della città nelle forme; per la paKte dei
Fiorentini non si fece che star sulle difese, e solo
sotto le mura alcuni dei giovani più ardenti esci-
rono talora a scaramucciare: piccole battagliole,
che servivano di spettacolo ai cittadini ed alle donne
istesse affacciate alle mura. Fecero i Fiorentini la
guerra con molto senno dalla torre della chiesa di
S. Miniato , dalla rocca di Fiesole, dalla villa dei
Benincasa a Bipoli, luoghi da loro assai fortificati.
Andavano speculando i movimenti dei Tedeschi, e
quando ne vedevano qualche piccola partita allon-
tanata dal campo, le correvano sopra con superiori
forze ed erano per lo più vincitori. Parimente fu-
rono intercettati più volte i viveri : 5o some di essi
che venivano di Arezzo restarono prese, e dei 200
soldati, che le scortavano, 70 uccisi, e 60 prigio-
nieri. Bernardino da Polenta Capitano dei Fioren-
tini occupò il castello di Leccio, indi la torre che
stava sul ponte delF Incisa , e poi Ganghereto. A
Castel fiorentino dai Sanesi uniti ai Fiorentini era
stato intercettato un grosso convoglio di viveri: le
foci, e i monti del Mugello erano presi, onde non
restava al campo imperiale libera altra via, che
(2n) Istor. Pìstol. »>Lo Imperatore avea daòm ila cavalieri,
in fra i quali c'avea 800 > che avebbero combattuto eoo tuUi
quelli di drento. „
Tonto 11, la
178 LIBRO TERZO
'.quella del Casentino (a8). Mancavano perciò le
di^G. vettovaglie agl'Imperiali: Arrigo ai ammalò a San
>^^^ Salvi ^ov' era attendato, di una terzana doppia ^ ori-
ginata probabilmente dalF insalubre aria romana,
in cui avea passata l'estate. Conosciuta la difficoltà
dell'impresa 9 dopo due mesi, levò finalmente il
campo la notte dell'ultimo di ottobre. Ebbe la
gloria Firenze di aver cacciato un Imperatore eoo
un valoroso esercito, di cui da tre anni ai parlava
con terrore da tutta l'Italia . Si ritirò Arrigo a San
Casciano, ove si trattenne circa due mesi, facendo
dar l'assalto ai vicini castelli (29) • Alcuni di que-
sti furono arsi, altri risparmiati . Giunto a Poggi-
bonzi ordinò che il castello, già disfatto da Cario
di Valois, fosse rifabbricato sul poggio, ciò che fo
presto eseguito, e prese il nome di Castello, o Pog-
gio Imperiale. Prosegì l'Imperatore il viaggio a
, Pisa, ove dopo aver dimorato brevemente, prese
la via di Roma, molestato sempre dai confederati
dei Fiorentini: finalmente esacerbata la malattia
cominciata a S. Salvi, si morì a Buoncon vento , ed
il suo corpo portato a Pisa fii ivi sepolto (3o).
(a8) Alber. Moss. hist Augn. Iib. 9. rer. il. tona. 1 o.
(39) Fra i Castelli risparmiati vi fu Lacardo, forse pel
suo buon cacio . Vedi . Iter» Hai, Henrici KIL Nicolai episcopi
Botrontinensis» Lo scrittore era compagno di viaggio adTIia-
peratore» e dice »> Miaua castra combussit, alia retinuit sicat
Lucardum uhi Jiunt boni casei ,,^
(3o} Fa creduto che fosse fatto avvelenare dai Fiorentiai
neir ostia con cui si comunicò per mezzo dei frati Domenicani .
Questa voce crebbe in modo, cbe portato a Pisa il cadavere, al-
cuni frati di quell'Ordine furono uccisi dal popolo: pia di traaila
Pisani si vestirono a bruno» e andarono incontro al cadavere.
( Cron. Bolognese Mura. rer. ital. scrip.) Per smentire siffatta ca-
lunnia non si ha che da leggere l' istoria di Ferreto Tìcentioo
che descrive a lungo la malattia dell'Imperatore con tutti 1 seoi
progressi > e la poca cura eh' ei ne prendeva , e sì vedrà che questt
CAPITOLO OTTAVO 179
In tutto il tempo di questa guerra Siena si tenne
ferma nella lega coi Fiorentini^ e allorquando si^^^!
accostarono i nemici alle sue muralo passarono sul i^*^
suo territorio^ non solo si difese, ma gii attaccò
felicemente più volte, e recò all' esercito imperiale
non pochi danni, specialmente incettando le vetto-
vaglie, che dai Pisani erangli inviate (3i). Anche
il resto della Lega Toscana, fuori che Pisa , ed
Arezzo, stette salda, e mostrò quel che possa Tuoio-
ae,e la concordia contro i forestieri invasori. La
letizia, il dolore, il giubilo, la costernazione, e varj
movimenti eccitò la morte dell'Imperatore in Ita-
lia, secondo i varj partiti^ ed interessi. Si rallegrò
Firenze col resto della Lega Toscana , perchè quan-
tunque lo avessero gloriosamente respinto, finché
restava in Italia, era un centro di riunione a tutti i
malcontenti fuorosciti, e a quelli che mascherati si
celavano fra le loro mura . Una delle città più co-
sternate da quella morte fu Pisa , che vedea la Lega
Toscana probabilmente rivolgersi a suo danno. 11
re di Sicilia Federigo, che si era con loro, coi Ge-
^ cagionò la morte; noìidiineno basta che uoa caluonia sia
pronanziata una Yolla» perchè sia ripetuta da cento penne. Per
questa spedizione si vedano Gio. Vili. lib. 9. Istor. pistol. Ferr.
Vicen. his. e r itinerario dell'Imperatore scritto dal Vescovo di
Batrintò» tuUi scrittori contemporanei. Ohi avesse voglia in un
evento tragico di mescolarvi del comico non ha che da confronta-
re le lunghe > e stucchevoli riflessioni alla Cronica Sanese fatte dal
Benvoslienti (rer. ital. t. i5. sulla morte dell' Vnperatore con un
passo della Gron. Pis. del Marangone. Questo pretende che morisse
per troppa castità, e continenza , il Benvoglienti di un male che
suol per lo pih nascere da incontinènza , facendo una faba censura
al Vocabolario della crusca : ma è egli d' uopo cercare o veleno^ o
altre cause per ispiegare la morte dì un malato di febbre maligna,
accompagnata da un carbonchio? Tedi» oltre i citati» Albertino
Mass. rer. itaL tom. 1 o.
(3i) Malevul. istor. di Siena par. 2. lib. 4*
i8o LIBRO TERZO
- novesi, e coli' Imperatore legato contro il re RoIkt-
^°^*to, e che con potente flotta unita a quella dei Ge-
1 3i 3 novesi y si trovava in mare pronto alKimpresa^a
cui per terra s'incaminava il defunto Imperatore,
fu dolorosamente sorpreso udendo in mare la trìsU
nuova, e venne a Pisa ad accertarsene^ e a mesco-
lare le sue querele con quelle dei Pisani. Gli otkr-
sero essi la signoria della repubblica^ come i Fìoreo-
tìni avean fatto al re Roberto; ma né Federigo, né
Amedeo Conte di Savoja, né Amerigo di Fiandra
vollero accettarla . Vedendo la tempesta cbe andari
preparandosi, presero al loro soldo molta truppa
dell'Imperatore^ e ne fecero Capitano il più valente
di quel tempo, Uguccione della Faggiola. Di que-
st'uomo, uno dei più illustri guerrieri del soo se*
colo, che ha fatta vacillare la fiorentina potenza,
e piangere i Reali di Napoli, non è chiaramente
manifesta Torigine. La famiglia della Faggiola non
era nota prima di Uguccione, e a lui deve tutto il soo
splendore. Nel distretto di Arezzo, in quei tempi
estesissimo nell'Appennino, che sovrasta a S. Se-
polcro, esisteva in mezzo a scoscese rupi^ ed ai
faggi, dai quali trasse probabilmente il nome, la
Fajola ; e i ruderi ruinosi cbe vi si veggono anche
al presente, possono esser resti delle case di Ugno-
cione (3a)* Nato ivi di oscura origine, ma ricco
benestante, e coli' anima guerriera fece il ano ti-
rocinio militare insieme con Maglinardo da So*
sinana, ed altri Ghibellini contro i Bolognesi,
poi con Azzo Marchese di Este, indi cogli Areti-
ni, dei quali fu Potestà, e Capitano: ed essendo
(3 a) Guazzesl dell' antico domìnio del vescovo dì
par. a. j. 6. Nota.
CAPITOLO OTTAVO i8i
assai accetto air Imperatore » fu maudato da lui ;
vicario a Genova. Di là ritornato^ fu eletto dai ^- ^|
Pisani loro condottiere, pericoloso però alla libertà i3i3
pisana, come lo era stato ai sospettosi Aretini. Coa-
£ermava la sua celebrità guerriera uo feroce aspet-
to, che fa la più grande impressione sui sensi, e
suir espettazione del volgo. Smisurato di statura,
robustissimo di membra, faceva uso di armi più
grandi, e più pesanti delle comuni, e si contavano
di lui varie meravigliose prodezze, fra le quali che,
abbandonato in una battaglia da tutti i suoi, in
mezzo ai nemici ferito, e malamente pesto, si era
pur ritirato in salvo, riportando fitte nell'ampio
scudo 4 partigiane, e |3 verrettoni scagliatigli ad.
dosso dai nemici. Non valeva meno nel consiglio ,
che nelle armi, né era scrupoloso sulla scelta dei
mezzi che lo conducessero alla grandezza. La sua
sola venuta rincuorò i Pisani. Parca che alla morte
dell'Imperatore )a fazione Ghibellina in Italia, e
apeoialmente in Toscana dovesse^ssere spenta, giacr
cbè avea contro di se il re Roberto, il più potente
Sovrano d'Italia, Signore, oltre il regno di Napo-
li, di Provenza, di Roma, e che dominava per
mezzo dei suoi Vicarj in Firenze, e in Lucca; le
quali repubbliche tenevano unita nell'istesso par-
tito la maggior parte della Toscana. Ma tanto può
tin uomo solo talvolta, che Uguccione fece pender
la bilancia contro questa Lega . Non perdette tem-
po, e spinse le bande tedesche unite ai Pisani con-
tro ì Lucchesi. Erano essi rinforzati dai Fiorentini,
Sanesi , dalle genti dei Malcspini, e dei Fieschi:
furono nondimeno rotti da Uguccione, che una
volta perseguitatili fino nei borghi di Lucca, ove
i8a LIBRO TERZO
. fu posto il fuoco; portate via delle statue, ed alzati
di (^ dei trofei schernevoli ai Lucchesi (33) » dopo averne
>3i4ii] più luoghi devastate le campagne, gli costrinae
a restituire a Pisa molte castella usurpatele fino dai
tempi del Conte Ugolino. Ma, quello che fu di
maggior momento, impose loro, se volean la pace,
di rimettere nella città i Ghibellini, fra i quali
avendo un gran partito, si apriva la strada a insi-
gnorirsi di Lucca . Era divisa questa città tra i
Bernarduccì, e gli Qbizi: dominavano però gli Obi-
zi, e invano il Vicario del re Roberto, Gherardo da
S. Lupidio, si afifaticava a tener fra loro 4a pace.
Seppe profittarne lo scaltro Uguccione, il quale
tenendo occulto trattato con i malcontenti rientra-
ti, e fra questi con Gastruccio Àntelmitielli , che
tanto poi si rese celebre , marciando a Lucca colla
scelta dei suoi nel dì 14 giugno , ed essendogli
aperta dai fautori una porta, vi entrò, ed ajntato
da questi s'insignorì della città , onde fuggirono ^
principali della contraria fazione, e il regio Vica-
rio. Fu Lucca messa a sacco, specialmente il pa-
lazzo del Vicario, né si rispettò davvantaggio il te-
soro pontificio tratto da Roma , e dai suoi contorni
dal Cardinal di S.* Fiora per ordine pontificio, e de-
positato in S. Frediano, che giungeva a un milione
di fiorini dì oro. Fu preda ancor esso degli avidi
soldati, che non risparmiarono neppure gT insulti
alle vergini, e alle più nobili matrone (34)* I Ghi-
bellini, o Bianchi, specialmente i Pistojesi si distin-
sero per la rabbia persecutrice dei loro nemici, do-
(33) Alber. Mass. lib. 3. rer. ital. tom. 10. Trooci Ann. Pis.
(34)Gio. Vili. lib. 9. e. 59. Istor. pistoles. Alberti. Muss. Rer.
Ital. toni* X.
CAPITOLO OTTAVO i85
pò i quali eccessi che durarono 8 di^ tornarouo i
Piaanì in trionfo, avendo Uguccione lasciato suo die.
figlio Francesco Signore della città con buona guar- i3i4
dia. Restò costernata Firenze alle nuove di tanto
disastro, e si prepararono con vigore ad una guerra
pericolosa, che vedeano imminente. Già fino qual-
che tempo innanzi la morte dell'Imperatore , quan-
do fecero stretta lega col re Roberto» gli aveano
per alcuni anni concesso il governo della città con
patto che non ne fosse alterato il sistema, e vi avea
esso inviato un Vicario con poca truppa. Ora che il
pericolo si accresceva » vi mandò con 3oo scelti ca-
valieri il sup fi'atello minore Pirro Conte di Gravi-
na, giovine di grazioso aspetto, e di belle maniere»
che si guadagnò T affetto dei Fiorentini ; e rimessa
nel suo arbitrio la creazione dei Priori» e degli altri
Magistrati, procurò in questa elezione di soddisfare
ì voti del pubblico. Importava il diminuire più che
si poteva il numero dei nemici, onde cercò di ac-
comodarsi cogli Aretini , che uniti ad Uguccione
sarebbero stati pericolosi : si fece con essi la pace , e
a condizioni eguali (35). Non posava però Uguccio-
ne; egli facea delle continue scorrerie ora sul Vol-
terrano» ora sul Pistojese fino a Garmignano» spaven-
tando i Fiorentini : prese Seravalle» e tentò Ja sorpresa
di Pistoja : la trama era ben concertata : guadagnò al-
cuni villani» che facean la guardia sulle mura» i quali
secondo T ordine preso» in una oscura notte del di 1 1
di dicembre lasciarono scalare le mura a 5o nemi-
ci» che aperta» o rotta la porta» entrarono coi loro
compagni circa 80 cavalieri» e 3oo fanti. Elssendo
(35)yilL lib. 9. cap. 63. Amai, istor. fior. lib. 5.
i84 LIBRO TERZO
="^ riconosciuti però, tutta Pistoja fu in moto auonan-
<HC. ^^ le campane a martello, e si cominciò a com-
i3i4 battere. Se Uguccìone giungeva in questo tempo,
il colpo era fatto: armato il popolo, conosciutone il
piccolo numero, li assali coraggiosamente: dopo lun-
go contrasto vedendo spuntare il giorno , e non com*
parire gli ajuti, furono costretti a ritirarsi dalla cit-
tà. N'erano appunto esciti, quando apparve troppo
tardi Uguccione: ma gli convenne ritirarsi (36). I
Fiorentini, che miravano farsi sempre più periodo-
sa la guerra , mandarono a cercare nuovi soccorsi al
Re Roberto. Chiese di andarvi l'altro suo fratello
Filippo Principe di Taranto col figlio Carlo: il sag-
gio Roberto che ne conosceva la leggerezza mal to.
lentieri vi acconsenti : vennero con esso 5oo scelti
cavalieri. Dopo la caduta di Lucca aveano i Fioren-
tini assai ben fortificato Monte Catini come un'im-
portante barriera • Uguccione volle attaccarlo , e
prevedendo , che i Fiorentini gli sarebbero stati
contro, col più grande sforzo raccolse quante genti
^3, 5 potè di Pisani,' di Lucchesi, delle truppe del Ve-
scovo di Arezzo, dei Conti di Santa Fiora, e dei
molti Ghibellini, e fuorusciti. Subito si fece anche
daiiF'iorentini un numeroso esercito coirajuto del-
le città collegate, Bologna, Perugia, Gubbio, Sie-
na, Pistoja, Prato, Volterra; e colle truppe napole-
tane giungeva a tre mila cavalieri , e moltissinu
fanteria, che si fa da alcuni ascendere a 3o mih
uomini; ma la forza in quei tempi consisteva nella
cavalleria. Il principe vi marciò alla testa per libe-
rare Montecatini, cbe Uguccione assediava. Erano
(36) Istor. Pistol.
CAPITOLO OTTAVO i85
assai minori le genti di Ugoccione^ raa superiori
di valore, e di Capitano. Si trovarono a fronte i^-^^|
due eserciti. Stettero qualche tempo fermi, divisi iSi5
dalla Nievole, fiumicello che scorre per una valle,
ia quale separa le alture di Montecatini , e MonsuU
mano. Filippo, Comandante dei Fiorentini, era
malato di febbre. Facevano essi delle scorrerie pres-
so il campo pisano per incitare alla pugna, e ve-
dendolo immobile , crésceva la loro audacia , cre-
dendolo intimorito; e lo scaltro Uguccione appunto
cercava di accrescere T inconsiderata confidenza del
nemico. Finalmente, credendo gli fosse intercetta
la via delle vettovaglie, prese il partito di ritirarsi,
ovvero lo finse, ma in buon ordine, e pronto a
battersi se Toccasione si ofifriva (S^). Lo seguitò co-
me se già fosse rotto, allegro , e in poco buon ordi-
ne r esercito fiorentino; quando ad un tratto, arre-
statosi , Uguccione di assalito diventò assalitore, fe-
ce attaccar h debole vanguardia, composta di Sa-
nesi, e Colligiani da i5o dei migliori soldati gui-
dati dal suo figliò, e da Giacotto Malespini fuoru-
scito fiorentino. La ruppero presto, e corsero impru-
dentemente sulla schiera di Pieno ov'era il nerbo
dell'esercito: benché in tanto pericolo ninno voltò
le spalle, e furono perciò quasi tutti tagliati a pezr-
zi . Uguccione allora con 800 cavalieri tedeschi, che
erano il fiore della sua truppa, assali con tal vigore
i nemici poco ordinati, che agevolmente gli vinse.
Il maggior contrasto si fece intorno al Conte di
Gravina, ov' erano le truppe migliori, ma anch'es-
se furono poste in fuga • La battaglia fu sanguino-
(37) Istor. Pìstd. Rer. ItaL toni. 11.
i86 LIBRO TERZO
f 8Ì88tma, e i Fiorentini ebbero una delle rotte pia
di G. memorabili • Vi restò morto un figlio di Ugoccìo-
i3i5 ne^ alla qnal nnova Tintrepido guerriero non mu-
tò aspetto: ma T ardore della vendetta, e l'odio
contro i Fiorentini lo incitò a proclamare che noa
si ^cessero prigioni , e non si risparmiasae la vita
ad alcuno; onde fu grandissima la strage. Circa a
due mila se ne contano morti dei vinti dal Villani,
ma il numero dovette esser maggiore come si de-
duce da altri scrittori, molti affogati nella Nievele,
pochi i prigionieri • Una lugubre celebrità ebbe la
sconfitta di Montecatini dalla morte di Piero fratello
del Re sommerso probabilmente in un padale,il
di cui cadavere non potè ritrovarsi, di Carlo figlio
del Principe di Taranto suo nipote , e di molti dei
principali Fiorentini, e delle città collegate (58).
Siccome di queste si trovavano a combattere per-
sone delle principali famiglie^ si videro per qualche
tempo Napoli, Firenze, Bologna, Siena, Perugia
quasi intieramente vestite a lutto. Fra i più distin*
ti si contarono 1 14 delle prime famiglie di Firen^
se, Carlo Conte di Battifolle, Carroccio, e Brusco
di Aragona guerrieri dei più apprezzati: dall' altra
parte, oltre il figlio di Uguccione , vi restò il suo
compagno Malespini, che portava V imperiale inse-
gna, e che mai non lasciò uè pur ferito a morie.
Vi rimase ferito Castruccio Antelminelli che mili-
ta va sotto Uguccione • Gli avanzi della rotta armata
si dispersero verso Pistoja, Fuceochio, Cerbaja, e
molti restarono annegati nei pantani della Coscia-
na • La preda dei vincitori fu immensa ; la moUec-
(38) Gio. Vili. lib. 9. e 70. Istor. PistoL Albert. Mosb. UK d
Tronci Ann. Pis. Gron. Saaese di andrea Dei •
CAPITOLO OTTAVO 187
sa, e il lasso fiorentino avea portato tra le armi i*
tappeti^ i letti serici, e fregiati di oro con la più^"^^
nobile supellettile da rassomigliar piò ai Sibariti, i3i5
che agli Spartani (Sg). Molte bandiere furono pre«
se, fralle quali due stendardi regi. Avvenne questa
battaglia il di 29 di agosto • 11 corpo del Principe
Carlo fu di decente funerale onorato , e quello del
tiglio di Uguccione sepolto in uno dei cassoni del
Campo Santo di Pisa col suo nome notato. Si trovò
in questa battaglia coi suoi Pisani il Conte Ranie-
ri (40) da Donoratico: conservava sempre fresco
Todio ereditario contro i Reali di Napoli, T autore
dei quali Carlo I avea fatto decapitare insieme con
Corradiuo il suo avo Gherardo ; onde , essendosi i3i6
trovato fra i morti il cadavere del Principe Carlo ,
si narra che Ranieri calpestandolo con barbara com-
piacenza, invocando T ombra del suo avo a gustare
il feroce piacere della vendetta, ed esecrando quel-
la di Carlo , si facesse crear cavaliere sul cadavere
stesso (4i)* Montecatini, e Monsulmano si arresero
subito al vincitore, e molte castella seguirono la
stessa sorte • Abbattuto da queste perdite , se ne
tornò a Napoli il Principe di Taranto, e il Re Ro-
berto vi mandò nuovo Vicario il Conte di Monte-
scaggioso e di Andria , detto ancora il Conte No-
vello. Le pubbliche disgrazie però che sogliono o a
dritto, o a torto produrre il malcontento contro i
(39) Fcrr. Vicent. bist lib. 7.
(40) Alber. Muss. Io cbiama Neri figlio di Fazio .
(40 Molti Scrittori narrano il fatto fra quelli Alber. Mass. de
gest. ital. lib. 4* Ber. Ital. tom. io. più precisamente riporta le pa-
role di Ranieri: et tallite , inquit. Avi Gerardi manes : este hujus
muneris mei largitionefelices: Tuque Canis Senex Carole» Cor*
radini vere Romanorum regis, atque Avi meicarnifeXf accipito
d ignam tua feritate propaginem .
i88 LIBRO TERZO
-. regolatori del governo, aveano eccitato un partito
di 0. in Firenze contro i Reali di J^apoli , del quale era
i3i6£apo Simone della Tosa, mentre Pino della stessa
famiglia dirigeva il contrario , sostenendo cbe non
si dovea rompere un' amicizia da tanti anni mante-
nuta con quella casa reale. Il contrasto si terminò
col limitare assai le facoltà del Vicario regio. Si
sarebbero forse anche risvegliati dei pericolosi tu-
multi y senza il timore di Uguccione. Ma la fortuna
cominciava a stancarsi del suo favore verso di lui.
Trova vasi in Lucca un uomo straordinario, supe-
riore di talenti ad Uguccione, senza la sua crudeltà.
Castruccio Anlelminelli Castracani , uomo dei più
grandi cbe abbia prodotto l'Italia, prima di giun-
gere all'altezza, e celebrità, a cui lo portarono i
suoi talenti, passo per varie avventure. Esule di
Lucca col padre per esser nemici della fazione do-
Qiinante, perdette in Ancona i genitori: passò in
Inghilterra sotto gli auspicj del suo parente Àlde-
rigi, ricchissimo lucchese mercante, probabilmen*
te iniziato anch'esso alla mercatura. Il suo spirito
elevato però lo fece penetrare alla corte del Re
Eduardo, a cui fu sommamente accetto. Giuocaa-
do c(»l Re alla palla, e cogli altri cortigiani, uno
di questi per disputa di giuoco gli tirò una guan-
ciata in presenza dei Re (43)* Non soffri Taffronlp
(4^) Tigrini » Vita Gas. Reram ItaL 5. tom. 1 1 . Aldo Maonx.
Azioni di Gasiruccio. Quanto è impareggiabile il Machiavello nello
stile istorico» e nelle profonde riflessioni onde T arricchisce, ahret»
tanto è^negligente nei fatti : questa negligenza però giunge al ma^
gior grado nella vita di Castruccio di cui na piìi tessuto un romaa*
zo che un'istoria: l'ordine dei fatti è confuso, le circostanze erra-
te, la nascita, e incertezza della condizione di Castruccio non ap-
poggiata ad alcuna testimonianza . Questa tela di falsiti è coronata
coU' asserzione che non ebbe moglie, né figli, quando n'ebbe tao-
CAPITOLO OTTATO 189
il generoso Castruccio, e tratto fuori un pugnale ''^
r occise neir istante • Pel sollecito ajuto dei suoi ^\^c^
amici y e forse per connivenza del Re, fatto subito i3i6
ìcnbarcare^ passò in Fiandra ove ardea la guerra
tra gr Inglesi^ e i Francesi, prese il partito di que-
sti sotto Musciatto Francesi Fiorentino, che vi mi-
litava con 400 cavalli, e i5oa fanti italiani, e vi
si distinse per molte prove di valore. Quando Uguc-
Clone costrinse i Lucchesi a rimettere gli esuli, tor-
nò Castruccio alla patria, e pel suo valore, e con-
dotta ne furono cacciati gli Obizi, e fatto Signore
Uguccione . Nella, battaglia di Montecatini si di-
stinse altamente (43), e fu uno dei piò attivi, e va-
Wosi seguaci di Uguccione. Ma benché questo tanto
gli dovesse, il valore, e il talento di Castruccio, che
si guadagnava T affetto universale, cominciò a dar
si gran gelosia al sospettoso Uguccione, che delibe-
rò disfarsene. Trova vasi a Pisa mentre il suo figlio
governava Lucca : questi , ricevuti gli ordini dal
padre, invitò a cena Castruccio , e lo fece arrestare.
Ma come il favore dei Lucchesi a quest'uomo era
grande, quanto Todio verso Uguccione, non osò il
figlio di tentare un colpo si pericoloso senza la pre-
senza del padre, che chiamò con la più gran pre-
mura a Lucca per eseguirlo. Era Pisa egualmente
ti ec. tatto ciò apparirà chiaramente a chi confronterà gli scrìtto-
ri contemporanei, e in specie il Villani con Machiavello che scrì-
veva un secolo e mezzo dopo.
(43)11 Machiavello nella Vita di Castruccio attribuisce intie-
ramente a lui la vittoria di Montecatini « asserendo che Uguccione
non vi si trovò» impedito da una malattia. U Tigrìni nella vita
di Castruccio dice lo stesso : ma contrasta con questa asserzione
Tautorìtk di Giov. Yillani scrittore contemporaneo al fatto. Che
Castruccio avesse gran parte nella vittorìa non può dubitarsene»
essendovi restato ferito m una gamba» e non avendo voluto medi-
carsi finché Fazione non fosse terminata.
I90 LIBRO TERZO
7che Lncca stanca della tirannia di Ugnccione ^ clie
di G.^PP^'^^^ ^^^ ^^^^ decapitare Banduccio Buoncon-
i3i6ti^ e il figlio, perchè gli davan ombra, sotto vanì
pretesti di tradimento (44)* Irritali da questa fre-
sca crudeltà i Pisani, appena partito Uguccione,
levarono rumore, uccisero i suoi partitanti, e die-
dero il governo al Conte Gaddo della Gherardesca.
Questa nuova giunse a Lucca in tempo che i Luc-
chesi tumultuavano chiedendo la libertà di Ca-
struccio. Non osando resistere Ugnccione , fu tratto
di prigione, e presentato al pubblico Castruccio,
carico di catene. À tal vista infuriossi viepiù il po-
polo: si vide costretto Ugnccione a fuggire, e tolte
le catene a Castruccio, fu con rara felicità lo stesso
giorno, destinato per la sua morte , dichiarato Si-
gnore di Lucca (4&) •
f44)^^* 1^1>- 9* e* 74* Tignili vita Gas.
(45) Vedi Gìo.yiU. lib. 9. cap. 76. Tigr. viU Gas. Aldo Ma-
Duzio. ìsL PbtoL
«9«
CAPITOLO IX.
SOMMARIO
jivventure di Uguccione della Faggiola . Dispute tra Siena e
Massa . Imprese di Castruccio, S'impadronisce di Pistoia.
Bompe i Fiorentini e si avtf teina Jino sotto le mura di Firenze.
Pompa trionfale di Castruccio, Congiura contro di lui sco-
perta . Sue nuove imprese contro i Fiorentini . Duca di Atene
in Firenie . "Nuova congiura contro Castruccio ugualmente
scoperta . Discesa in Italia di Lodovico il Bavaro. Castruccio
è creato da lui Duca di Lucca, e 'fi altre città di Toscana.
Lo accompagna a Roma , ove lo fa coronare Imperatore • È
eletto da lui suo Vicario , e Senatore di Roma • // Bavaro de-
pone il Papa Giovanni XXII, , e fa eleggere Niccolò K. Ca^
strucclo perde Pistoia. Ritoma da Roma; cinge di assedio
Pistoia, e di nuovo se ne impadronisce. Muore alT età di 47
anni.
XJa disgrazia di UguccioDé rallegrò ì Fiorentini ,
Anni
non prevedendo quanto più terribile nemico esser ^q^
doveva a loro Castruccio. Ad essi mandò il Re di i3i6
Ifapoli nuovo Vicario il Conte Guido da Battifolle.
Ija paura, che TAttivo Uguccione avesse dei fau-
tori in città, determinò quei che governavano, for^
se per togliersi T odiosità delle crudeli esecuzioni ,
a far venire in Firenze Landò di Agubbio Bargel-
lo, e di dargli un supremo potere sulle vite dei
cittadini. Questo crudele inquisitore agiva per im-
pulso di queij che governavano; ma siccome poteva
anco farlo di propria volontà, avea sparso il terrore
per Firenze • Sulla semplice delazione , e senza re-
golar forma di processo, faceva uccidere i cittadini
a suo talento ; né il Vicario del Re di Napoli osava
colla forza di opporsegli avendo il Re giurato di
191 LIBRO TERZO
Tnon alterare il governo. Udo dei gran difetti dì
diC. <]°^^^> e di molte Repubbliche di quei tempi, è
i^> 7 il non avere stabilito un savio, e regolar metodo
nei giudizi criminali che assicurasse la vita, e la
libertà dei cittadini, e armato di sufficiente forsà per
r esecuzione. Fu con fatica, e solo per interposizione
del Re di Napoli deposto questo sicario, il cui go-
verno avvili la maestà della fiorentina repubbUca,
avendo però lasciata lunga memoria di se colla mo-
neta falsa sparsa nella città, che avea avuto ardire
di battere (i). Si fece pace dai Pisani, e Lucchesi
colle città Guelfe toscane, mentre Uguccione che
si era refugiato in Verona presso Cane della Scala ,
aiutato di genti da Cane, e da Spinetta Malaspinai
tentò, ma invano di rientrare in Pisa. L'inutile
tentativo costò la vita ad alcuni cittadini pisani dei
Lanfranchi, che fu creduto aver con lui corrispon-
denza, e a Spinetta la perdita delle sue terre, che
furono occupate da Gastruccio. Anch' esso andò a
ricovrarsi nello stesso asilo, generoso asilo del va-
lore, e dei talenti sventurati. Allora probabilmente
fece Uguccione amicizia con Dante. Gl'illustri guer-
rieri hanno quasi sempre onorato le lettere : al ca-
rattere fiero di Uguccione era £itto per piacere quel-
lo dei fiorentino Poeta, e le sventure legano insieme
i disgraziati. Militò Uguccione sotto gli stendardi
del Signore della Scala, specialmente nella guem
fatta ai Padovani, e assai avanzato in età mori po-
chi mesi innanzi a Dante . Non è già che i Signori
della Scala fossero nemici dei Pisani, solo gV indusse
ad aiutare Uguccione la pietà ch'eccita un uomo
(i) VilL lib. 9. cap. 74. 77.
CAPITOLO NONO 193
grande fralle sventure. Erano essi Ghibellini come
gli altri Lombardi, nemici dei Guelfi, e perciò dei ^iq.
Fiorentini . » 3 1 7
Mentre regnaTa la pace in Toscana, un movi-
mento passeggiero minacciò la tranquillità , e il
governo della sanese Repubblica . Era nata una di-
sputa tra di essa e la Repubblica di Massa sul pos-
sesso del castello di Girfalco occupato dair ultima.
Dopo inutili rimostranze vi mandarono i Sanesi
molta gente armata, che cominciavano la devasta-
zione delle campagne, quando ravveduti i Massesi
oederoDo il castello disputato, e furono ricondotti
a Siena gli armati: questi però, che aveano sperato
di saccheggiar Massa , tornando scontenti , e tro«-
vandosi coir armi in mano, mossero tumulto gri-
dando, moia il Capitano. Venne fatto ai principali
di sedare il tumulto; i malcontenti però del gover-
no tentarono profittarne. Erano da quello, come si
è notato a suo luc^o, esclusi i nobili, i dottori, i
notari, e solo vi si ammettevano mercanti di me-
diocre condizione, che si riducevano a pochi. I
dottori , e i notari presero quest'occasione , in cui
credevano i Nove dei Governo intimoriti, per fare
istanza di esservi ammessi : ne furono sdegnosa-
mente, e con minaccie rigettati: allora unitisi^cogli
altri malcontenti stabiliron di uccidere i Nove e
crear Capitano Messer Sozzo Tolomei , e Potestà
Messer Antonio di Messer Ricovero, e così andava-
no distribuendo le cariche; e già la sera del di a6 ot-
tobre levatisi , corsero verso il Palazzo per uccidere
il Magistrato, gridando di voler parte al governo.
Fortunatamente erano stati assoldati 3oo fanti , e
iuolti cavalli per mandarsi in soccorso del Re Ro-
Tomo 11. i3
194 LIBRO TERZO
Uberto, e per lo stesso motivo vi si trovavano loo
A QUI •
di c.^ A vai ieri, e 800 pedoni dei Fiorentini guidati dai
i3>7 Rucellai. Con questa truppa il Governo ai oppose
ai sollevati^ i quali dopo due ore di contraato furo-
no rotti y prestando la notte un'opportuna oscurità
per fuggire , o per nascondersi (a) . Prendevano
qualciie respiro intanto i Fiorentini confermati
sempre più nella fazione Guelfa che dominava in
Toscana .
La Lombardia era per la maggior parte Ghibel-
lina, ma divisa in piccoli Signori, e Repubhlichet^
te, male atte a stare unite in una Lega , onde noo
potevano gran fatto resistere alla fiorentina^ poten"
te di armi, e di ricchezze, sostenuta dal Papa^ e
dal Re di Napoli • Ma vi era un uomo capace eoi
suoi talenti guerrieri di bilanciare questi svantag-
gi^ cioè Castruccio. I Fiorentini essendo tranquilli
in Toscana , aveano con poca avvedutezza invialo
un corpo di truppe della Taglia Toscana in Lom-
bardia, istigati dal Papa^ e dal Re Roberto ad aiu-
tar colà il {vacillante loro partito. Matteo Visconti
capo dei Ghibellini di Lombardia con armi^ e da-
nari eccitò Castruccio contro diloro.Pococi voleva
i3i9a muover quest'uomo (3): vedendo da se stesso,
che anche nella sua quiete i Fiorentini non tarde-
rebbero molto ad attaccar Lucca , e Pisa di partito
a loro nemiche; forse ancora credendo che Tinsta-
bile volontà dei cittadini, che lo aveva inalzato al
Principato di Lucca, non potevano confermarsi che
con azioni grandi atte ad imprimere riverenza^ e
(a) Cron. Sane. Eer, Ital. tom. 1 5. Mulev. istor. Sanes. p« 1.
lib* 5. Aniinir.ist.lib. 5.
(3) Gio. VilL lib. 9. e. io5.
CAPITOLO NONO igS
terrore; o finalmente sentendosi i militari talenti ,
fosse impaziente di mostrargli contro i nemici della dì e.
sua patria, era assai disposto air ostilità. Aiutato '^*9
perciò di armi, e di denari dai popoli di Lombar-
dia, e in specie dai Visconti, messe insieme una
truppa di agguerriti soldati più Formidabile pel va*
lore, che pel numero, ed entrò nelle terre dei Fio-
rentini ponendole a sacco: indi pose V assedio a
Santa Maria a Monte, e presto se ne impadronì. A
questo attacco inaspettato i Fiorentini sprovvisti ,
sulla fiducia della pace, non poterono opporsi. On.
de se ne tornò Gastruccio carico di preda tranquil-
lamente a Lucca. Questo principio di ostilità in
Toscana fu una conseguenza della guerra di Lom-
bardia: n'era il fomite maggiore la citlà di Geno-
va, dopo che cacciati i Ghibellini avea data la si-
gnoria al Re Roberto: contro di essa perciò era i33o
diretto lo sforzo maggiore dei Ghibellini lombardi^
che la travagliavano per terra, mentre lo era per
mare dalla flotta siciliana . Gastruccio vi marciò
anch'esso con buona truppa di Lucchesi, e Pisani
per aver parte alla gloria delia presa che si credeva
sicura. Profittando della sua lontananza fecero i Fio-
rentini una scorreria sul Lucchese: Gastruccio al-
lora con la pili grande speditezza ricondusse indie-
tro le sue truppe, e giunse ì ^nemici verso Fucecchio.
Consumarono i due eserciti molto tempo inutil-
mente divisi dalla Gusciana, e senza alcun fatto
si ritirarono. Non fu gloriosa ai Fiorentini l'impre-
sa ^ ma utile ai loro confederati Genovesi. Genova,
che colla giunta di questo nemico sarebbe caduta,
non solo si sostenne, ma gli costrinse a ritirarsi.
Nel seguente anno, temendo sempre i Fiorentini
tg6 LIBRO TERZO
"l'attivo Gastruccio^ fecero lega col Marchese Spi-
^(^. netta Malaspina ^ dandogli aiuti, perchè, inquie-
>3a stando Gastruccio, non gli permettesse di ymiire
sulle terre loro . Ma Gastrnccio radunate le sue
genti, poco temendo le offese del Marchese, andò
incontro ai Fiorentini , che si erano accampati sul
Lucchese. O che il genio di Gastruccio imprimesse
terrore in questi , o che non lo avessero creduto
fornito di tante genti, entrò un timor panico fra
loro a segno, che profittando della notte si ritira-
rono precipitosamente, e lasciarono Gastruccio pa-
drone della campagna, il quale diede il guasto o?e
più gli piacque.
Erano già parecchi anni dacché Firenze si tro-
vava piuttosto sotto la protezione, che sotto il do-
minio del Re di Napoli. Pare che ciò si facesse
quando o i pericoli esterni, o le dissenzioni interne
minacciavano la Repubblica, benché essa non fosse
libera dagli esterni timori, essendo armato uno dei
suoi più potenti nemici. Gastruccio tuttavia , e il par-
tito che si era eccitato da Simone della Tosa negli an-
ni scorsi, e il desiderio di novità, fece tornar i Fio-
rentini nella solita forma dell' antico governo, ed
essendo spirato il tempo della Signoria data al Re
Roberto, non fu rinnovata (4)* Poco innanzi però
non essendo il pubblico contento dei soliti gover-
natori, come avviene quando non vanno prospere
le cose, avea aggiunto airoflizio dei Priori, dodici
Buonominij due per Sesto, da stare in officio sei
mesi. Era la loro apparente incombenza di Goosi-
glieri dei Priori; ma questi nulla potevano concla-
(4) Giot Vili. lib. 9. cap. 1 86.
CAPITOLO NONO 197
dere senza la loro autorità (5). Intanto Castruccio
padrone della campagna scorreva impunemente idi e.
castelli e le città suddite , o alleate dei Fiorentini. ^^^*
Pistoja posta quasi ad egual distanza da Firenze, e ^3^3
Locca , e il di cui possesso era perciò utile tanto
air una che all'altra, si reggeva coirinfluenza dei
Fiorentini ; ma Castruccio tanto travagliò il conta-
do colle armi, e la città cogF intrighi, che dovette
per minor male divenir tributaria di lui, conten-
tandosi egli per ora di siffatto titolo, e attendendo
migliore occasione a farsene Signore . I Fiorentini
mal concordi, in vece di por cura a resistere a
quest'attivo nemico, animati sempre dalla fazio-
ne , mandavano dei soccorsi contro i figli di Mat«
teo Visconti, che con varia fortuna sostenevano
il loro partito in Lombardia . Castruccio però faceva
continui progressi, giacché non trattenuto né dai
presidj, né dagli aiuti dei Fiorentini, né dai rigori
deir inverno s' insignori di una gran parte della
montagna di Pistoja: si volse indi sulle campagne
di Fucecchio, S.& Croce, Castelfranco, e passato
Arno sopra Montopoli, recò loro infiniti danni : ed
una Repubblica si potente di oro, e di genti non
osò mandargli incontro alcun esercito. Ciò diede
tant' animo al loro nemico, che ardi avvicinarsi a
Prato con non più di 600 cavalli, e 4^>oo fanti,
minacciando di occuparlo . A quest' ultimo insulto
risvegliati dalla vergogna i Fiorentini , fecero a
gara ad armarsi : diedero il perdono ai banditi per
fazioni , che si fossero condotti sotto le bandiere
della Repubblica, dei quali in breve non meno
(5) Gio. YUl. e. 137.
98 LIBROTERZO
7 di 4^>oo vi si riunirono. Mossero perciò verso Prato
die. un esercito di i5oo cavalli, e ao mila fanti. Sa-
i3a3|.ebbe stato il contrasto troppo disuguale: stette
nondimeno Castruccio per qualche tempo intrepi-
do a fronte di si grand' esercito: ma quando si ac*
corse che si preparavano i Fiorentini ad attaccarlo,
si ritirò cheta mente nella notte a Seravalle. Parea
che una truppa tanto numerosa dovesse seguitarlo,
e por Tassedio anche a Lucca; ma essendo discordi
fra loro i nobili , e il popolo, restarono in questa in-
certezza qualche giorno, e poi quasi disordinata-
mente si ritirarono a Firenze. I fuorusciti, che
secondo i patti dovevano esser rimessi , li aveano
preceduti; ma venendo innanzi colle bandiere spie-
gate , e in sì gran copia , il popolo cominciò a guar-
darli come nemici, e non volle riceverli: foronco-
stretti a ritirarsi, ma unita la nuova ingiuria alle
vecchie, meditarono i mezzi di rientrarvi a forza.
Sapendo il malcontento della nobiltà esclusa dal go-
verno^ ebbero segreto trattato con essa. Amerigo Do-
nati , non degenere dal padre Corso, guidava questa
trama: nella notte di San Lorenzo doveano i fuoru-
sciti accostarsi a Firenze, esservi introdotti^ correr
la città armati coi loro amici, e mutare il governo.
La trama fu scoperta nel giorno avanti all'esecu-
zione: si armò il popolo, e corse su per le mura
con moltissimi lumi, i quali veduti dai fuorusciti,
si accorsero che il trattato era svelato, e si ritira-
rono. Il Governo prudentemente abbracciò, nel
perseguitare i complici , le vie della clemenza (ti).
intanto Castruccio, che aspirava al dominio di tut-
(6) Gio. Yill.llb. 9. cap. 31 4* e 319.
CAPITOLO NONO J99
ta la Toscana, volle insignorirsi di Pisa: tenne pra- =^
tica con un Lan franchi di uccidere Conte Mieri ^-^^^
della Gberardesca , che n'era Signore , ossia ne di* i^^iS
rigeva il governo : scoperta però la trama, non eb-
be altro effetto che la morte del Lanf ranchi, e il
bando dato a Castruccio di nemico di Pisa , ponen-
dosi la sua testa a prezzo (7), ciocché rallegrò molto
Firenze , che vide staccarsi una città potente dal
suo nemico più grande . Non sbigottito però Castruc-
cio tentò un colpo, il quale, se gli fosse felicemen*
te successo, avrebbe assai sconcertati i Fiorentini.
Era Fucecchio terra di molta importanza, assai
popolata , e difesa da buona guarnigione . Avuta
speranza di esservi introdotto , vi si accostò di not-
te con soli i5o cavalli, e 5oo fanti. Vi fu realmen-
te ammesso; ma la guarnigione, e i terrazzani aven-
do prese le armi , si cominciò a combattere : sareb-
bero restati i terrazzani soccombenti , se spuntato
il giorno non avessero dati dei segni chiedendo aiu-
to alle guarnigioni dei vicini luoghi , S. Miniato ,
Castelfranco, e Santa Croce. Corsero queste trup-
pe, e giunsero che ancor si combatteva; durò tut-
tavia Castruccio lungamente a battersi con gran
valore; ma vedendo impossibile il resistere al nu-
meroso aiuto sopraggiunto, che lo assaliva alle spaU
le, e ai terrazzani che dalle strade, e dalle finestre
con ogni sorta di armi lo combattevano, dopo aver
date tutte le prove del più saggio e coraggioso capi-
tano, ferito nel viso, si ritirò facendosi strada a
traverso i nemici . Si narra che essendo sempre de-
gli ultimi a ritirarsi nelle battaglie, trovandosi pe-
(7) Vii. lib. 9. c« a3o.
aoo LIBRO TERZO
"rò inviluppalo dai nemici che perseguitavano i stioì
jf^' fuori del castello, accorgendosi di non esser cono-
1^33 sciuto si 6nse uno dei persecutori , fra i quali essen-
do giunto ai suoi che cercavano con dolore il loro
Duce, riconosciutolo volsero faccia, e inseguirono
i nemici Gno alle porte (8). Facea quest'uomo ai
Fiorentini la guerra, colie armi e colle segrete pra-
tiche, colle quali tentò d'insignorirsi di Prato, di
^3a4Pisa, e fin della stessa Firenze. Furono scoperti
però i suoi trattati che avea specialmente con Tom-
maso Frescobaldi , il quale tentò di corrompere le
milizie francesi per mezzo di un frate loro con-
i3a5fessore (9). Fuggi il Frescobaldi, e fu dichiarato
traditore della patria, e il frate condannato a per-
petua prigione. Pistoja vagheggiata da Castruccio,
e dai Fiorentini avea subito varie vicende. Un ec-
clesiastico pistoiese, Orman no Tedici, Abate di Pac-
ciana, dotato di quella ambizione sì mal conforme
al suo stato, e di scarso talento, immaginò profittar
delle circostanze per farsi Signore di Pistoja • Gua-
dagnato con le sue ricchezze il minuto popolo, e i
contadini', mostrandosi zelante per la pace, corsela
città sostenuto dai suoi partitanti, prese il Palagio,
i luoghi forti , e restò Signor di Pistoja , ne cacciò
gli amici dei Fiorentini, e fece tregua con Castruc-
cio . Non avea però TAbate i talenti per sostener quel
posto, il quale era piuttosto esercitato dal suo nipote
Filippo più attivo j e di più mente. Peraltro, o che
questo si trovasse sovente inceppato dall' inezie , e
dai capricci del zio neiramministrazione, o amasse
esser libero Signore, cospirò contro di lui col coo-
(8) Vili. lib. 9. Gap. a33. Tigrimì vita Caslr.
(9) Vili. lib. 9. e. 293.
CAPITOLO NONO 201
861130, ed aiuto di Gastrnccio, e lo cacciò dallo Sta- ^^
to» Ne restò Signore per circa due anni, raa presto j "e.
8Ì accorse che trovandosi in una città divisa dai par- i3ft5
titi colla neniicizia del zio, tra i Fiorentini, e Ca-
struccio che se ne contendevano il dominio, non
l'avrebbe esso potuta conservare. Bramando di dar
la città a Castruccio, convenia ingannare i Fioren*
tini, che aveano in Pistoja dei cittadini attenti, dei
partitanti , e delle soldatesche; per addormentarli
il Tedici, mentre si maneggiava segretamente con
( Castruccio, intavolò con quelli un trattato di dar
r loro Pistoja: vi restarono colti, e quando imraagi^
• navano di occupar la terra, udirono inaspettatamen*
; te esservi entrato, e averne preso il dominio Ca-
i struccio. Erano i Capi del governo fiorentino insie-
; me con Urlimbracca condottiere tedesco, ad un
I Banchetto in San Piero Scheraggio, quando ricevet-
,. tero le nuove del primo tumulto di Pistoja . Esciti
^ frettolosamente da tavola, montati a cavallo corsero
, ad un tardo soccorso, giacché trovarono per la stra**
da parte delle loro milizie, e i cittadini, e partitan-
ti , che si erano colla fuga salvati . Seimila fiorini
: di oro, spesi da Castruccio a tempo, guadagnarono
i mezzani: la più gran parte n'ebbe il Cremona,
che ingannò i Fiorentini; e il Padre Gregorio, che
menò segretamente la trama tra Filippo, e Castruc-
cio, fu in ricompensa creato in Lucca Abate di San
Frediano; Filippo Tedici divenne Capitano di Ca-
struccio, ne sposò la figlia non senza sospetto di es-
sersi disfatto dell'altra moglie col veleno (io). L'o-
dio della città di Firenze contro Castruccio, e il ti-
ilo) Istor. PìstoL
M2 LIBRO TERZO
Z more erano cresciuti a segno, che unanime deter-
di C. minò guerra la più vigorosa ed alta a liberarsi affatto
i3a5da si gran nemico: ed essendo giunto in Firenze
Raimondo di Gardona , che avea fama di eccellen-
te guerriero, fu creato dai Fiorentini Capitano gene-
rale di questa guerra • Diede subito ottime spe-
ranze di felice successo, giacché espugnò in brevis-
simo tempo il castello di Àrtimino, che appartene-
va ai Pistojesi. Fecero dunque i più gran preparati?i:
comprendeva V esercito i5 mila pedoni di genie
scelta nella città di Firenze, o nel contado, che
l'odio contro Castr uccio, e T attaccamento alloro
beni, e alle loro famiglie rendevano più animosi, e
fedeli ; aSoo erano i cavalieri gran parte pren a
soldo da diverse nazioni (i i). Accrebbero in seguito
quest'esercite le città collegate. Il Papa unito con
essi non mandò altro aiuto che quello delle censore
fulminate contro Castruccio • Cominciò la guem
felicemente pei Fiorentini • Incamminatosi l' eser-
cito verso Pistoja, Castruccio che non avea forxe
da tenersi a campo aperto, vi si chiuse difenden-
dola • U Capitano dei Fiorentini depredando ilpae>
se, e con molti insulti facendo correre fino il palio
sotto le mura , tentò di tirarlo a battaglia : quando
si accorse che tutto era vano , fece un ùAso attacco
al castello di Tizzana , e improvvisamente si avao
zò verso la Gusciana , ed occupò un importante pa-
sto cioè Cappiano atto a danneggiare le campagne
lucchesi, il pericolo di Lucca trasse di Pistoja Ga*
(11) Dice il VilU L 9. cap. 3oi . L' oste mai per Io cornane à
Firenze per se proprio non la fece maggiore senza aiato dì adu-
sta ed ebbero i Fiorentini in loro oste bene 800 e più tra-
bacche , e padiglioni , e tende di panno lino , e non era dì y d»?
uon costasse r oste ai Fiorentini tremib,epib fiorini di oro.
CAPITOLO NONO ao3
straccio, che portatosi in Valdinievole, usando di
tutta la maestria nell'arte della guerra, con un ^l(>^
fosso che fece prestamente fortificare , e difendere , >3a5
cercò di assicurare alla meglio le campagne luc^
chesi. Era Altopascio nelle mani dei Lucchesi , ca-
stello molto forte, ben guardato, e stimato assai
importante per la distanza di sole otto miglia da
Lucca: fu assediato con tutto il vigore dai Fioren-
tini. Cercò invano Gastrnccio con varie diversioni
fino sul territorio di Firenze di allontanar di là
l'esercito: dovette finalmente il castello rendersi.
Questo considerabil vantaggio gli animò a segno
da creder di poter conquistar Lucca, e ruinare af-
fatto Castruccio : mosso pertanto da Altopascio si
inoltrò colle sue genti il Capitano dei Fiorentini in
sul pantano di Sesto. Ma Castruccio, benché infe*
riore di genti, più abile nel campeggiare, fece pren-
dere i posti uecessarj che per negligenza, o igno-
ranza avea lasciato di occupare Raimondo, e fortificò
i poggi di Vivinaia , Montechiaro, Ceragli, e Por-
cari, dimodoché era chiusa la strada air esercito
fiorentino per andare a Lucca ; e finalmente lo co-
strinse a levare di là il campo. Nel volersi ritirare
in luogo più vantaggioso, si attaccò tra due partite
di soldati una scaramuccia assai viva, che durò
molte ore. Crebbero da una parte, e dall'altra i
rinforzi, e più volte or questi, or quelli furono re-
spinti, ma alla fine cessero il campo i Fiorentini ,
dei quali restarono prigionieri alcuni dei primi
Condottieri, fra i quali il Tedesco Urlimbracca ,
Francesco Brunelleschi , e Giovanni della Tosa •
V'intervenne col suo solito vigore, e intrepidez-
za 'Castruccio , che vi resiò ferito , e alla sua
io4 LIBRO TERZO
7 presenza si dovè probabilmente la vitUnia. Qne-
diC^^ fatto quanto animò i Lucchesi, tanto sco-
i3a5 raggi i Fiorentini j che assai superiori di nome-
rò, erano obbligati in ogn' incontro a ritirarsi.
Ifon essendo però le genti di Gastruccio abbastana
per misurarsi coir esercito nemico, avea egli spt-
dito colla maggior fretta per aver degli aiuU dai
Visconti ; ma mentre che questi tardavano a ve-
nire, temea che i Fiorentini, sui quali si tenea co-
me in pugno la vittoria, impauriti si ritirassero;
onde fece trattener Raimondo, e pascer di speran-
ze con finti trattati di dedizione di castella • Giunse
finalmente a Lucca Azzo Visconti con non pio
di 800 cavalieri tedeschi , uniti a aoo di Passerino
Signore di Mantova, e Modena. I Fiorentini ai era-
no ritirati ad Altopascio • Il Visconti più avido di
oro, che di gloria, non pareva volersi avanzare, se
non gli erano pagati i denari promessigli • Vi acoofie
prontamente Gastruccio, e lo contentò di denari, e
di promesse. Non trascurando alcun mezzo ^ e sa-
pendo quanto un giovine è sensibile alle premure
del bel sesso, lo fece circondare dalle preghiere ddle
più belle donne di Lucca: infiammollo alla pogm
col mostrargli, che si combattevano i comuni ne-
mici, che quel Raimondo che comandava ai Fio-
rentini era stato vinto più volte da suo padre^ esao
zio(ia), e non ha molto fuggito dalla prigione, che
il nome dei Visconti era ad esso fatale^ e che gli
restava ad esser vinto da lui. Ritornò Gastruccio
(1^) Nel 1 3 19 > era stato rotto da Galeazzo Visconte figlio di
Maffeo; nel i3aa da Marco Visconti presso Basignara: neu asaa
seguente fu fatto prigione in Modezia ossia Monza da Galeas»
Visconte • Lstor. di Parma , Rer. itaL tom. la.
CAPITOLO NONO aoS
all'esercito; e nel tempo che si aspettava il rinforzo .
di Azzo, cominciò un falso attacco per trattenere i di e.
Fiorentini , fatto con tal arte cheparea volesse sebi- »325
vare la battaglia. Erano sempre i Fiorentini assai
superiori di numero ai Lucchesi^ ad onta dell'aiuto
del Visconti ( 1 3) • Giunto finalmente Azzo si attaccò
da ambi i lati con ardore la pugna • Avevano i Fio-
rentini secondo il costume loro fatte tre schiere: la
prima ^ composta de'feditori fiorentini^ e francesi^
che non comprendeva più di i&o a cavallo, non solo
sostenne l'impeto della prima schiera nemica, ma
trapassò per mezzo di essa: questa però non era
che una lieve scorreria, il nerbo dei nemici trova-
vasi dopo i feditori . Azzo coi suoi presto ruppe la.
schiera seconda guidata da Bornio, Maliscalco di
Raimondo , che dopo pochi colpi si mise vergogno-
samente in fuga; cosi la cavalleria dell'esercito fio-
rentino fu presto rotta. La fanteria si battè con
maggior coraggio, ma ebbe la stessa sorte* Castr uc-
cio, quando previde T esito della battaglia, fece da
una truppa occupare il ponte a Cappiano per to-
gliere la più tacile ritirata al nemico. Fu grande la
strage, e la ruina, non si accerta il numero dei
morti, ma di essi, e dei prigionieri fu grandis-
simo. Fra questi si contò il Capitano Raimondo di
Cardona con suo figlio, e molti altri illustri fore-,
stieri, e cittadini di Firenze: fu preso il Carroccio,
la campana, tutti i carriaggi, tende, e bandiere, e
può questa rotta, che avvenne ai a3 di settembre,
annoverarsi tra le memorabili sconfitte della fio-
(i 3) l^ell'Ist. PIslol. si dice che Caslruccio fu gettato da ca-
vallo da Urlimbracca condottiero tedesco, il quale poco appresso
fu preso 5 ma pare ciò avvenisse nella scaramuccia descritta .
2o6 LIBRO TERZO
r reo lina Repubblica, come si scorge dalle cons^nen*
die. ze che si trasse dietro (i4)« C^struccio seosa Iro-
i3!i5 var più resistenza, lasciando assediato Altopascio^
marciò fino a Signa, castello molto forte, che oc-
cupò senza resistenza ; si avanzò indi sul contado
fiorentino ponendo a sacco la campagna, e depre-
dando, e ardendo le ville, che sempre numerooe
sono state intomo a Firenze, e minando le campa-
gne (r5). Giunto a Peretola fece il di 4 ottobre per
scherno deTiorentini correr verso Peretola de'palj
dalle mosse medesime donde cominciavano i plj
di Firenze ; e i Fioretitini impauriti si tenoero sem-
pre serrati tra le mbra ad onta de' tanti armati
che avevano in città ^ e furono in continuo travaglio
noUe e giorno • Ne qui si arrestò il furore dei vin-
citori, ma si stese per la maggior parte del contado
fiorentino. Pochi giorni dopo si arrese Altopasdo
con tutta la guarnigione prigioniera di guerra,
cb^era di 5oo soldati, indi Carmignauo , il castello
di Artimino, e in seguito la maggior parte delle terre
dei Fiorentini gli aprirono le porte.Se in questo tem-
po il Vescovo Guido di Arezzo alle^ di Castrai*
ciò, e potente in armi, fosse venuto colle sue forze
(i 4) Gio. Yill. Kb. 9. cap. 3o5. Istor. PìstoL Amm. Tegri. Tha
diCastr.
(iS) F'ill» Uh, 9; ca/i. 3 1 6. Castruccio pose il campo a S. Moro
ardendo , e rubando campi , e borghi , e Quaraccbi , e tntte le ?ile
d' intorno , e la sua gente scorrendo, fino alle ttara dì Fireme» ti
dimorò per tre di, facendo guastare per fuoco e ruberia dal fiome
Arno innno alle inoutagne , e iofìno a pie di Carreggi in sa Rime-
di, ch'era il pih bel paese di Villate^ il meglio accasato, e «ggìar*
dinato, e più nobilmente per diletto dei cittadini che altrettanta
terra che fosse al mondo . A dì 4 di ottobre fece a dispetto dei
Fiorentini correre tre pai) dalle nostre mosse intino a Peretola
r uno a cavalli , V altro a fanti a piede, T altro a fé mine meretrìci;
e non fu uomo ardito di uscire ai Firenze .
CAPITOLO NONO 107
sopra Firenze, come ne fu dallo stesso vivamente
sollecitato, si trovavano i Fiorentini a mal partito; ^-"^^
ma il Vescovo o per non irritar davvantaggio il i3'j5
Papa, che però lo avea già interdetto, o mosso dalie
preghiere della madre eh' era fiorentina della casa
Frescobaldi: o facendogli ombra la crescente gran-
dezza di Castruccio, noir si mosse, e così salvosst
Firenze, i di cui cittadini credendosi mal sicuri si
posero con ogni diligenza a fortificar le mura . Per
maggior insulto alla repubblica fiorentina fece Ga-
struccio batter monete a Signa coir impronta del-
l'Imperatore Ottoneicbe furono chiamate Castane-
cini. Dopo tanti danni^ e tanti insulti fatti al ne-
mico tornò Castruccio a Lucca, e vi entrò il 10 di
novembre in pompa trionfale. Volle imitare ì riti
degli antichi Romani; la mattina di S. Martino,
giorno racro a' Lucchesi, si mosse la lunga proces-
sione da Altopascio. Lo precedevano i prigionieri
coi trofei presi al nemico, il Carroccio colle fioren-
tine insegne, gli stendardi della repubblica, quelli
del Re Roberto rovesciati, 0 strascinati per terra,
i Fiorentini cattivi passavano col capo, é piedi nu-
di^ e legati , quei d'altre nazioni erano disarmati,
e sciolti. Fra i prigionieri di conto, quei che più
ferivano gli occhi erano Urlimbracca tedesco. Con-
dottiero di molto nome , ragguardevole per la sua
(a aia , alta statura , ed aria feroce . Pietro Narsi
francese , e Raimondo di Cardona spagnuolo col
figlio accompagnati da una squadra di Bavari, e
cavalieri spagnuoli prigionieri . Il Generale fioren-
tino marciava vestito di nero con faccia dimessa.
LI suo figlio vestito di tela di argento sopra un pic-
:olo cavallo. 1 soldati di Castruccio coronati duellerà,
ao8 LIBRO TERZO
^ : risplendenti di oro . e di argento. Era tratta mn-
Anni "^ , . 11. 1 .
die. n^^ la vana preda, e le spoglie prese al nemico.
i325 Appariva finalmente Castruccio in un cocchio apo^
to air usanza romana ^ tirato da quattro cavalli
bianchi, vestito di porpora di oro fregiata, e coro-
nato di alloro. Stava fra due statue, la Giiistitia,e
la Pace , e colla Copia sotto i piedi . La ciui en
tutta ornata di tappeti , e le strade sparse di frondi.
Gli archi trionfali erano frequenti , come altresì
varj altri spettacoli per render la pompa più bella.
Qua si vedeva un magnifico castello, che nel pas-
sar del Trionfo era combattuto da giovinetti vestiti
di bianco, e difeso da altri vestiti d'aazurro: lino
torneamento, altrove una caccia, e si salutavano i
vincitori in molti luoghi dalla musica. Il concorso
dei spettatori delle vicine campagne fu immen-
so, avendo Castruccio proclamato salvocondotto ia
quei giorni anche ai nemici che volessero godere
dello spettacolo. Fu incontrato alla porta dalCI^
ro, dalla Nobiltà, e dal resto del popolo, vestiti io
gala, fra i continuati applausi. Firenze intanto,
i3a5 com'era usata nei rovesci , diffidando quasi di se
stessa, ricorse al Re di Napoli, diede la signoria
al Duca di Calabria con alcune condizioni, la princi-
pale delle quali èra di non alterare il governo (ifi)
Corse in questo tempo Castruccio un grave peri-
colo. Si trovavano fralle sue truppe alcune com-
pagnie francesi: era nella battaglia d 'A Itopascio re-
stato prigioniero Pietro Narsi cavaliere della Cootea
di Bari in Lorena. Nel tempo della sua prìgiooia
probabilmente cominciò un segreto trattato coi ca-
(16) Istoria manoscritta lacchese ,
CAPITOLO NONO aog
pi, o ufBzìali delle truppe francesi (al servizio di
Castruccio; trattato, che quando fu poi riscattato, ed ^\q^
eletto Capitano dai Fiorentni, coi denari loro potè i^^^
più vigorosamente proseguire . 11 disegno mirava
alla vita di Castruccio, a cui pareva attaccata la
fortuna di Lucca. Ma era difBcile che un simil ma-
neggio potesse fuggire alla vigilanza di queir uo-
mo avveduto: lo scoperse, fece arrestare nove com-
plici^ e quantunque in quei tempi di licenziosa di-
sciplina militare non si ardisse por le mani nel
sangue delle truppe forestiere , gli fece davanti a
tutto r esercito coraggiosamente decapitare (17).
Nel tempo che si aspettavano gli aiuti di Napoli
seguitò Castruccio ad infestare le terre dei Fioren-
tini, scorrendo nei paesi restati fin' allora intatti .
Vedendo che all'arrivo del Duca di Calabria non
avrebbe potuto mantenersi in Signa, ne disfece le
fortificazioni, e ruinò il ponte. Indi cercando ogni
mezzo di nuocere al nemico, aveva immaginato
d'impedire il corso di Arno, alzando un muraglio-
ne alla Gonfolina, e facendo una tura, onde regur-
gitando Tacqua restasse allagata Firenze. Ma tanto
poco si conosceva Tarte di livellare in quel tempo,
che gli idraulici da lui consultati gli mostrarono
r impossibilità dell'esecuzione (18), dicendogli che
il pendio di Arno fino alla Gonfolina, che non è
maggiore di braccia 3i , giungeva a i5o, onde evitò
la città questo nuovo pericolo. Frattanto il Generale
dei Fiorentini , non sbigottito che la trama ordita
contro Castruccio fosse riuscita vana, tentò nuova-
mente l'animo di alcuni capitani borgognoni per ot-
(i7)Gio.Vlll.lib.9.c. 333.
(i8)Gio. Vili, lib.9. e. 335.
7 unto il. 14
910 LIBRO TERZO
= tenereCarmignano. Questi «paventati daireMCiitiooe
^°^^ fatta da Castruccio gli scopersero segretamente il trat-
i3a6 tato, e dato ordine a ciò che avesse a farsì^ venendo
Piero con quella vana speranza con non più di aoo
cavalli, e 5oo &nti, gente però tutta scelta^ si trovò
inviluppato negli aguati tesigli da Castruccio; e do-
po aver valorosamente combattuto, con molta del-
la sua gente restò prigioniero. Castruccio fra le
molte accuse disse^ che Piero avea mancato alla
parola datagli quando fu liberato , di non militar
contro dì lui, onde gli fece tagliar la testa snlla
piazza di Pistoja (19). Giunse intanto in Firenze
prima il Vicario del Duca di Calabria^ cioè Goal-
tieri Duca di Atene , indi il Legato del Papa. O che
Castruccio temesse le forze di questa Lega ^ o come
è più verisimile, essendo egli malato^ né potendo
porsi alla testa delle truppe, volesse acquistar tem-
po, scrisse al Legato una lettera piena di modera-
zione ^ in cui si mostrava pronto a far la pace coi
Fiorentini • Questo leggiero principio di trattato
svanì ben presto, o perchè Castruccio non fosse di
buona fede, o perchè vi si opponessero i Fiorentini^
che aspettavano il Duca di Calabria, dalle di coi
forze , e potere aveano soverchiamente gonfiatele
speranze. Giunse finalmente il Duca con moltissi-
mi dei principali Signori napoletani, ricevuti splen-
didamente in Siena, ove trattennesi soverchiamen*
te ^ e ne chiese la signoria, come di Firenze • I Sa-
nesi gelosi della loro libertà tumultuarono^ furono
asserragliate le strade, ed erano prossimi ad attac-
car le truppe del Duca. Adunato però il Consiglio ^
(19) Vili. lib. 9. cap. 346. Istor. Pislol.
CAPITOLO NONO aii
fu per decenza , ed onore del Duca concluso che per'
cinque anni gli fosse data la signoria, ma che il^^e!
òuo potere si riducesse a eleggere Potestà di Siena 1 326
uno dei tre che gli fossero proposti dal popolo, il
quale non Potestà, ma Vicario del Duca si appel-
lasse, giurando di osservar le leggi , e gli statuti di
Siena (^o). Passò indi a Firenze: ma mentre egli
perde un tempo prezioso in Siena , e in Firenze
nelle vane cerimonie, e pompose accoglienze dei
Fiorentini, mancò il momento favorevole (21) di
opprimere Gastruccìo , il quale ristabilito in salute
non ascoltò più parola di accordo. Si fecero grandi
provvedimenti in armi, e in denari. Domandò il
Duca accrescimento di autorità, e l'ottenne dentro
però a certi limiti. I Grandi della città dolendosi
sempre, che il governo fosse tra le mani del popo-
lo^ si unirono insieme per dare al Duca l'assoluta
signoria di Firenze, parendo loro di guadagnare in
siffatta mutazione. Non osò il Duca però d'impe-
gnarsi in si difficile passo , conoscendo troppo nel
popolo l'amore della libertà: s'incominciò la guer-
ra contro Gastruccio coU'armi ecclesiastiche: egli e
il suo alleato Vescovo di Arezzo furono pubblica-
mente scomunicati dal Legato sulla piazza di San-
ta Croce, con tutte le solenni formalità (22); ma
Gastruccio non temeva che le armi temporali. Ben-
ché tanto inferiore di forze al Duca, e ai Fiorenti-
ni , benché assalito da Malaspina , cogli ajuti del
Legato, e del Signor della Scala da una parte, e
(ao) Cronica Sanese . Rer. Ital. tom. 1 5. MalevoL 1 56. Sane,
pag. a. lib. 5.
(21) Vili. lib. 10. cap. i.
(aa)yiil. lib. 10. cap. 3.
aia LIBRO TERZO
^. dei Napoletani sbarcati a Genova dall'altra^ e ben-
di e. <^bè inoltre gli si fossero ribellati due castelli sulla
i3a6 montagna di Pistoja, verso la qual città considera-
bili forze dei Fiorentini si erano avanzate, riparò
da ogni parte: impedi ai Napoletani T ingresso in
Lunigiana, e al Malaspina, e ai Fiorentini di scor-
rere i castelli ribellati, ai quali aveva posto as*
sedio; anzi con marcie spedite, e maestre tagliò la
ritirata ad un gran corpo di questi guidati dal Con-
te di Squillace, da Amerigo Donati, e da Giannozao
Cavalcanti in modo che , in pericolo di rimaner
prigionieri, furono costretti a tornare a Firenze pel
contado bolognese (a3). Tentarono il Duca , e i Fio-
rentini di vincer coU'arte, e coi segreti maneggi
quell'uomo, che non potevano coir armi. Era in
Lucca la famiglia Quartigiani numerosissima: Guer-
ruccio, uno dei principali, guadagnato dal Duca, e
dall'oro dei Fiorentini, indusse tutta la famiglia
potente di amici, e dependenti, a una congiura^ di
cui questo era l'ordine. Dovea il Duca colle truppe
portarsi verso Pistoja: questo movimento avrebbe
tratto colà Castruccio. Allora ad un segno concer-
tato le genti, che avevano i Fiorentini a Fucecchio,
e in Val di Arno, avrebbero rapidamente cavalcato
a Lucca, ove sarebbe stata aperta loro una porta
dai Quartigiani, i quali nello stesso tempo correndo
per la città , sollevandola contro Castruccio , a vria-
no alzate le bandiere del Papa e del Duca. Ai Quar-
tigiani era unita nella cospirazione la famiglia Avo-
i327 gadri non meno numerosa. Niente è più nocivo al-
le congiure della tardanza ; gli animi dei congiura-
(23) VilL lib. IO. cap. 6.
CAPITOLO NONO iiS
ti 8on sempre in una pericolosa sospensione. Aven-
do troppo tardato il Duca a muoversi^ uno della di e.
famiglia impaurito rivelò a Gastruccio l'ordine della ^^^7
cospirazione. Furono subito arrestati i Quartigiani,
trovate le insegne nemiche preparate ^ e fatta una
sanguinosa esecuzione dei principali complici della
famiglia Quartigiani . Messer Guerruccio con tre
8Q0Ì figli furono impiccati, agli altri con crudele
operazione fu tolto il modo di propagar la famiglia.
Degli Avogadri da prima condotti per Lucca sul-
l'asino, cavalcando a ritroso, furono poi impiccati,
e bandito il resto (24) dei complici.
Durava V Italia ad esser divisa nelle due fazioni
Guelfa, e Ghibellina. Si riguardava la prima come
superiore, giacché seco si trovavano il Papa, che
oltre la temporale era padrone dell'arme spiritua-
le, in quei tempi potentissima; Roberto Re di Na-
poli, Signore della Provenza, e dai di cui cenni
dipendeva Genova; la Repubblica fiorentina ricchis-
sima, e capace di sostenere il peso di lunghe guer-
re, oltre molte altre più piccole città, e Signori alla
medesima Lega aderenti. In Toscana il potere sa-
rebbe stato assai preponderante dalla parte Guelfa
se un uomo solo, cioè Gastruccio col valore, e col-
ringegno non avesse non solo arrestato, ma fatto
traboccare la bilancia dall' altro lato. In Lombar-
dia preponderava il partito Ghibellino; ma i mem-
bri di esso eran troppi per isperarne V unione. Ve-
dendo essi crescere la potenza della fazione contra-
ria per r influenza del Legato del Papa, Cardinale
del Poggetto , che impadronitosi di Bologna , di
(ti4) Gio. Vili. lib. 10. cap. 25. Tegr. Vita Gastruc.
ai4 LIBRO TERZO
Parma , del Modenese minacciava i Gbibellioi di
^°U* Lombardia, pensarono di opporre la secolare po-
,3a7 tenza all' ecclesiastica, ch^ erano state sempre riva*
li . Vacava da gran tempo, cioè fin dalla morte di
Arrigo Settimo, il trono imperiale. Ne offersero la
Corona a Lodovico Duca di Baviera , invitandolo a
riceverla in Italia , in Milano , e in Roma. Si mos-
se il Duca , e in Trento fu incontrato dai principali
Signori di I^ombardia come i Visconti di Milano,
Cane della Scala Signore di Verona., Passerino Bo«
nacossi di Mantova , uno dèi Marchesi di Este Si-
gnori di Ferrara , Guido Tarlati Vescovo di Arezzo,
deposto dal Papa. Castruccio, non credendo oppor-
tuno il muoversi, vi mandò Ambasciatori come fe-
cero i Pisani, i fuorusciti di Genova, e Federigo di
Sicilia. Da Trento passò il Bavaro a Milano ove dal
Vescovo di Arezzo, da quello di Brescia, e di
Trento fu coronato colla solita corona di ferro (^S).
Il governo di' Milano tolto ai Visconti, il loro arre-
sto, r estorsioni enormi di danaro fatte ai Milanesi
mostrano il di lui carattere avido, crudele, ed in-
giusto, che confermò anche in altre parti d'Italia .
Il Duca di Calabria intanto, riescitog li vano il col-
po d'insignorirsi di Lucca, volle per non perdere
affatto il credito, tentar qualche nuova impresa.
Adunato perciò T esercito, ne diede il comando , e
l'istruzioni al Conte Beltramo, il quale arrestatosi
a Signa finse di minacciar Carmignano, ma si vol-
se, quando men se l'aspettava Castruccio, sopra a
Santa Maria a Monte. Non avea Castruccio assai
genti da misurarsi in campagna con questo esarci-
(a 5) Vili. lib. 10. cap. 17. 19.
CAPITOLO NONO *i5
to: quel piccolo luogo però, assai fortificato^ difeso ^^^^^;
da scarsa guarnigione^ e da ir ostinazione dei ter- ^^q^
razzani fedelissimi a Castruccio , avendo ricusato ^^^7
di rendersi , resistè con maraviglioso ardire per
molto tempp a tante genti , sostenne varj replicati
assalti y e finalmente non si rese che a buoni pat*
ti (s6). Castruccio postato a Vivinaia, non volle ,
tanto inferiore di truppa, azzardare per un castello
la somma delle cose, avendo la sicura speranza
della superiorità colla prossima venuta del Bavaro.
Era già questo arrivato a Pontremoli; andò ivi a
trovarlo Castruccio, e onorandolo, e colmandolo di
doni , lo dispose a secondare i suoi disegni . Giunto
tra Lucca e Pisa, ricusarono i Pisani di riceverlo,
benché promettessero pagargli 60 mila fiorini d'oro.
£ssi amici sempre del partito imperiale, non gli
niegavauo l'ingresso che per la compagnia di Ca-
struccio, di cui temevano troppo i Regolatori del
governo. Non acconsenti il Bavaro consigliato da
Castruccio: gli Ambasciatori pisani nel loro ritorno
furono arrestati, e prima che potessero i Pisani sa*
per Tesito del trattato, si trovarono circondati dal-
le truppe del Bavaro da una parte, e da quelle di
Castruccio dall'altra. Quello si portò nel borgo di
San Marco sulla strada di Firenze, questo sulla
strada di Lucca ; e furono fatti due ponti sull'Arno
uno sopra Taltro sotto la città, per £icile comuni*
cazione dei due campi. Fu occupato nello stesso
tempo Porto pisano, e la maggior parte dei castelli
di questa Repubblica. Il Vescovo di Arezzo, ch'era
stato il mediatore del trattato , che avea nutrite
(36) Vili. lib. IO. cap. 19.
2i6 LIBRO TERZO
^^ speranze altra volta di farsi Signore di Pisa^ e che
di e. vedeva con questa operazione cader quella città io
>^^7 mano del Bavaro^ e probabilmente di Castracelo,
di cui era segreto rivale, reclamò altamente la fede
pubblica, il diritto delle genti violato negli Ambi-
sciatori. Fra lui e Castruccio ebbe luogo un'iQd^
cento altercazione alla presenza del Bavaro (27), il
quale parendo che favorisse più Castruccio, si parti
il Vescovo assai sdegnato; e quando poi seppe che
Pisa aveva aperto loro le porte, non sdegnando ri-
cever dentro neppur Castruccio, accuorato sene
mori. Prima però di riceverlo, sostennero i Pisani
un assedio più di un mese, e furono di denari spe-
cialmente ajutati dai Fiorentini. Avrebbero anche
potuto mantenersi più lungamente, e forse tanto
da stancare il Bavaro, che anelava di portarsi a Ro-
ma , se quei che reggevano Pisa fossero stati di ac*
cordo : ma lo scaltro Castruccio ebbe i mezzi di s^
minarvi la discordia . Le voci del giovine Conte
Fazio, e di Band uccio Buonconti guadagnati da Ca-
struccio che prometteva la pace, furono ascoltate
dal popolo, che sempre soffre negli assedj. È vero
che fu convenuto che Castruccio non entrerebbe io
Pisa, ma era facile vedere, che quest' articolo non
sarebbe, come non fu, osservato. Ebbero motivo di
pentirsi del T accordo i Pisani, giacché oltre i ses-
santa mila fiorini che di buon grado avean conv^
nuto di pagare, furono aggravati di un'altra pia
(q^) Istor. PistoL Vili. llb. 10. cap. 34* 35. 36. Rlraprorertt*
dolo il Vescovo d' iogratitndiue ìq faccia al Bavaro , rispose m te-
desco , che le bestie operavano a forza di sproni, e di frusta; e
soggiuogeodo il Vescovo che si spiegasse meglio , replicò Castnic-
ciò , che non era il maestro dei ragazzi. Il Bavaro cominciò forte
a ridere , e il Vescovo si parli adirato. Tegr, viL Cos.
CAPITOLO NONO 217
pesante contribuzione di 100 mila. Già fino da due
aooi era stata Pisa (dopo una battaglia di mare dì e.
perdata) obbligata a ceder la Sardegna al Re di ^^^7
Aragona^ onde queste gravezze^ dopo tanta dimi-
nuzione delle rendite^ e commercio^ dettero alla
sua potenza un nuovo tracollo. L'occupazione di
quella città sbigottì molto i Fiorentini ; i quali te-
mevano che la tempesta andasse a scaricarsi sopra
di loro . Per quanto però fosse istigato il Bavaro da
Gastruccio^ per quanto grande fosse l'ascendente .
che avea sul suo spirito , l'ambizione di esser coro-
nato in Roma lo fece affreltarsi colà. Prima di par-
tire^ andò a Lucca, onoralo con gran magnificenza
da Gastruccio, che fu da lui creato Duca di Lucca ^
di Piste ja, di Volterra^ di Prato, di San Gemigna-
no, di G^lle, e gli furono donate molte castella , che
appartenevano alla pisana Repubblica (^28). Era il
Bavaro incantato della prudenza, dell'accortezza ,
e del valore di quest'uomo, onde volle seco con-
durlo a Roma, per valersi appunto dei suoi consi-
gli: e benché non di buon grado si scostasse Ca-
struccio dalle sue terre per timore di tradimenti,
vi si lasciò tuttavia indurre. Si credeva che il Ba-
varo dopo la coronazione sarebbe entrato ostilmen-
te nel regno di Napoli ; vi si aggiungeva il timore
di Federigo Re di Sicilia, con cui era collegato il
Savaro, e lo epavento si aumentava dalla presenza
di Gastruccio , onde il Duca di Calabria stimò op-
portuno di ritornare a suo padre per vegliar seco
alla difesa del regno , lasciando a Firenze suo Vica- i3a8
rio Filippo da Sanguineto (39). Quasi nello stesso
(a8) Tcgr. Vita Castruc.
(<29)yii[. iib. iO. e. 5o.
ai8 LIBRO TERZO
'. tempo, ma per diverse strade si partirono il Duca
d °o! ^i Calabria per Napoli ^ Gastruccio per Roma , OTe
i3aS nella lontananza del Papa regnavano le stesse di-
zioni che nel resto d'Italia. Si era arrestato a Vìle^
bo il Bavaro^ mentre si deliberava in Roma se si
doveva ricevere. Non vi stette ozioso, perchè essen-
dogli noto che il Signore di Viterbo , che lo avea
graziosamente accolto^ possedeva gran riccbene,e
che Tavea nascose, lo fece prendere, e coi tormeo*
ti palesarle : e spogliato degli averi , e della signo-
ria, fu condotto poi prigione a Roma sotto falsi pre-
testi . Questi fatti possono servire a consolare i lei-
tori delle ingiustizie dei loro tempi , osservando cbe
nulla è nuovo. Giunse a Viterbo Gastruccio, e coi
suoi maneggi , colla sua sagacità , ed eloquenza di-
s])ose i Romani a ricevere il nuovo Imperatore (3o).
Alla venuta del Duca di Baviera, la parte che &vo*
riva il Re Roberto fu cacciata dai Golonnesi, e da-
gli altri Ghibellini. Fu il Duca coronato Imperato-
re anche in Roma, dovendo la buona aca^lienn;
e il pacifico ingresso in gran parte all'Eroe lacch^
se, che fu da lui creato suo Vicario e Senatore di
Roma. In faccia del popolo romano^ Gastruccio ec-
clissava la grandezza imperiale : preceduto dalla El-
ma delle sue gesta , lo splendore della soa corte
eguagliava, e forse sorpassava il lusso di quella del-
l'Imperatore j nelle vesti, e nelle divise, nei motti,
sotto il velo della rassegnazione al cielo , si acor^
vano le sue ambiziose speranze (3i). Aveva il P'p
(3o) Istor. PìstoL Se non fosse stato lo grande senno di C^
straccio » il Bavaro non vi sarebbe stato ricevuto»
(3 1 ) Si fece vedere vestito di roba di scìamìto cremisi w»
di coi parte anteriore erano queste parole: egli e quel che Dìo vt»"
CAPITOLO NONO S19
eliminate le censure contro il Bavaro^ e i suoi se-' .
;uaci. Volle questi vendicarsi, e deporre il Papa • die
iTarie circostanze fecero applaudir dai Romani que- *^^^
tratto. Essi, prima dell' ingresso in Italia del Ba-
^aroy scontenti della lontananza del Papa, lo avea-
ìo con solenne ambasciata invitato alla sua vera
lede, ma inutilmente: allora fu che invitarono il
Savaro. Si aggiunse una disputa teologica ad ec-
:itare contro Giovanni XXII un potente partito.
[ frati minori con più candore, che senno, avean
>reso a predicare una dottrina assai pericolosa al-
' interesse dei chierici, cioè la povertà Evangeli-
;a ; sostenendo che Gesù Cristo , e gli Apostoli
lon aveano posseduto cosa alcuna • Si opposero a
[uesta dottrina col favore di tutta la Corte ponti-
icia i Domenicani asserendo che Gesù Cristo, e i
)iscepoli aveano il possesso, perchè avean Tuso dei
»eni della terra. Aggiungevano che Giuda Scariot-
e era il camarlingo , e dispensiere dei beni che
K)S8edevano, e con sottigliezze scolastiche, e oscu-
e distinzioni sull'uso, e possesso facevano una guer-
a di parole. Il lusso, e la ricchezza della Corte di
Lvignone, a cui questa dottrina era un alto rimpro-
ero, l'anatematizzarono come una grande eresia;
un Papa conosciuto per essere stato dei più avidi
lei beni terreni prese bella vendetta di quei reli-
;iosi , condannandoli al pratico esercizio della loro
[ottrina cioè ad essere incapaci di possedere (Ss).
^ : e nella posteriore : sarà quel che Dio vorrà : Gio. Vili. lib. io.
ip. 60, Macb. Vita di Castr. Manuzio.
(3 a) Si è seguito scrupolosamente in questo racconto Albert.
088. Rer. Ital. tom. X. Ludov. Bav. Gìo. Vili. 1. 9. €• i56. Balajt.
ita Pap, U Platina aggiunge cbe alcuni difensori di quella asser-
one furon bruciati . Vita Joann. XXIL
aao LIBRO TERZO
-. Essi allora si dettero a screditare il Capo delli
dì G. Chiesa y e prestarono la loro voce al Ba^aro, che
i3a8 osò dichiararlo non legittimo Papa , e ne fece eleg-
gere un altro cioè Pietro di Gorvara col nome di
Niccolò y. deir Ordine dei Minori, che fin allora
avea avuto fama di santità , ma tratto dall'ambizio-
ne si lasciò indurre al pericoloso onore. Fra le al-
tre leggi allora stabilite dell'Antipapa, e Antimpe*
ratore vi fu quella ( per lusingare il popolo roma-
no ) che il Papa non potesse star più di tre mesi
lontano da Roma, altrimenti decadesse dal sublime
posto. Il nuovo Papa colle solite pompose cerimo-
nie dette la corona imperiale al Bavaro, e creò Car-
dinali.
Intanto una trama ordita in Firenze con dn
fuorusciti pistojesi fece perdere a Gastr uccio Pistoja:
questi concertarono il diseguo con Filippo da Sao-
guineto, il quale fece segretamente in Prato prepa-
rare gli attrezzi necessari per passare i fossi, e per
scalare le mura. Partitosi di Firenze sul imbrunir
della sera alla fine di gennajo eoo scelta troppaalta
all'impresa giunsero di notte improvvisi a Pistoja,
aiutati dai loro fautori; nella parte meno abitata
scalarono le mura^ e in altre parti le ruppero. Bi-
Avegliati i soldati di Castruccio attaccarono i ne-
mici con tanto impeto, che giunsero a cacciarli
fuori delle mura ; ma ricondotti all' assalto da Fi-
lippo, doverono le truppe di Castruccio cedere final-
mente al numero: molti restarono prigioni fra '
quali un nipote di Castruccio, figlio di Filippo Te-
dici, e un nipote di questo, ambedue garzoncelli,
che furono in trionfo condotti a Firenze: e Pistoji
CAPITOLO NONO aai
fu miseramente depredata (33) . Alla nuova di que*'
sta disgrazia parti rapidamente da Roma Castruc- ^|"^^
ciò, e lasciando indietro 5oo cavalieri , e mille ba- i^^^
lestrieri, la marcia dei quali era lenta , con soli
13 uomini a cavallo giunse presto nei suoi stati, e
colla presenza atterri quei che macchinavano nuove
cose, e confermò i vacillanti • La prima operazione
fu di occupare stabilmente il governo dì Pisa pri-
vando di ogni autorità i ministri imperiali. Colo-
rava quest^atto una vernice di scusa: l'Imperatore
conducendolo a Roma avea causato la perdita di Pi-
8toja . L'acquisto di Pisa più che abbastanza V in-
dennizzava della perdita di quella città (34)^ che
gli stava però sempre a cuore .Messo però air ordi-
ne uno scelto corpo di truppe marciò su di essa y e
la cinse di assedio. Era assai ben fornita di guarni-
gione, trovandosi in essa 3oo cavalieri fiorentini , e
1000 pedoni, oltre i Pistojesi partitantì del fioren*
tino governo, e pronti a difendersi ; male però prov-
vista di vettovaglia per avarizia. Pretendevano i
Fiorentini che V approvvisionarla toccasse al Duca
di Calabria , ossia al suo Vicario Filippo, ed esso ai
Fiorentini: in questo contrasto sì trovò assediata.
Furono allora fatti i soliti provvedimenti , e colle
truppe dei collegati mosse Filippo un esercito assai
superiore a quello di Castruccio verso Pistoja , e
mandò subito secondo V uso dei tempi a sfidarlo a
battaglia • Questi inferiore di truppe finse accettar-
la, temporeggiando per fortificare il suo campo, lo
che eseguì con tal maestria, che in tutti i tentativi
fu Filippo respinto con perdita. I Pistojesi si dife-
(33) Istor. Pistol. Vili. lìb. io. e 19.
(34) Vili. lib. 1 o. cap. 83. Istor. PbtoL
%a% LIBRO TERZO
sero bravamente (acendo spesso delle sortite , e po-
4°^' nendo fuoco alle cnaccfaine di Castruccìo, ma egli
i338 sapeva che la fame combatteva per lai. L'odio però
contro i ribelli pistojesi lo trasportò a delle crudel-
tà Era la Pieve a Montecuccoli guarnita di troppe
pistojesi, situata due miglia presso al campo di Ci-
strucclo, e da quella si faceano spesso delle sortile:
stretta però dalla fame, fu obbligata a capitolare.
Non volle Castruccio ricever gli assediati a patto
alcuno convenevole: si arresero dunque a discrixio-
ne. I Pistojesi furono appiccati alle mu^a,ì^or^
stieri malamente manomessi ; ciocché tirò aoa ven-
detta crudele contro i prigioni, che erano io Pisto-
ja^ che furono tagliati a pezzi, o appiccati (35):
tanto è necessario osservare ciò che chiamaosi leg^
della guerra, cioè alcuni scambievoli riguardile
quella generosità che conviene ai guerrieri , cioè che
cessata l'azione debba ogni ostilità cessare, e i pri-
gionieri riguardarsi come fratelli. Tentò Filippo
colle diversioni sul Lucchese, e sul Pisano mooiere
di là Castruccio. Tutto fu inutile. Pisloja final-
mente dovè capitolare, benché a buoni patti, e aprir
le porte a un piccolo esercito quasi in faccia ad al-
tro tanto superiore, che non Tavea potuta aoccor-
rere. Durò Tassedio quasi tre mesi dai i3 di ma^
gio ai 3 di agosto. Era Castruccio divenuto sempre
più grande, e più potente; e quantunque l'occupi-
zione di Pisa avesse un po' alienato TaniiDo del-
l'Imperatore, si potè a prevedere , per TasceDdenle
che aveva sopra di lui, che non gli sarebbe stato
difficile riguadagnarlo . In qualunque evento p^
(35) Istor. PistoL
CAPITOLO NONO «3
esser pronto a salvarsi^e noo ricever la legge dal Ba-
varoy avea Castruccio qualche segreto filo di acco- ^^q
modamento coi Fiorentini (36), i quali erano assai i3aS
scoraggiti. Si accostava Tlmperatore alla Toscana da
una parte, dall'altra stava Castruccio ancor più
formidabile. I Fiorentini sbigottiti non fidandosi
ai trattati di Castruccio^ aveano preso a fortificar le
mura prevedendo un assedio: né si può negare che
grande non fosse il loro pericolo, quando la morte
inaspettata di Castruccio gli liberò dal timore.
U assedio di Pistoja fu probabilmente la causa della
sua morte, e di quella di molti soldati, e ufSziali:
sulla fine di luglio egli stava la maggior parte del
giorno al Sole a incoraggire quei che lavoravano, o
le difese del suo campo , o le offese al nemico; né
sdegnava di por mano al lavoro come Y ultimo dei
soldati. Si ammalò di una febbre, per cui in pochi
giorni nel di 3. di settembre morì nell'età di an-
ni 47* Prevedendo la morte, con la più gran pre-
senza di spirito consigliò ai suoi figli di tenerla ce*
lata più che potessero, e intanto prendere le dispo-
sizioni che indicava loro (Sy). Fu grande, e ben
Tatto nella persona, di bel viso, pallido, di biondi
capelli ch^ portava irti, e ritti: ebbe tanto senno
n quei tempi di credulità da disprezzare lastrolo-
;ia; all'eloquenza naturale non mancava la grazia,
;he la dignità del sembiante rendeva più maestosa :
;ol solo nome di fratelli,e di figli spesso sedò i soldati
umultuanti, e come si comanda meglio coll'esem*
MO, era il primo a ferire nelle battaglie, e l'ultimo
ritirarsi . A lui si deve in parte il ristabilimento
(36) Gìov. Vili. lib. 10. cap. 87.
(3^) Vili. 1. 10. cap. 87. Tegr. ViU CasU*. Islor. Pistol.
324 LIBRO TERZO
" della milizia italiana : le milizie disciplinate , e pia
^i Q in credito erano le forestiere: le italiane andavano
i^^S disordinatamente a combattere: Gastruccio le adde-
strò, e le fece muovere all' assalto ordinatanaente.
In tempo di pace fece esercitare la gioventù nei
militari movimenti, dar dei finti assalti ai castelli,
e tuttociò che sì pratica in vera guerra , distribuendo
dei premj ai più destri. In battaglia poi si trovava
presente nei luoghi più pericolosi , animando, lodan-
do, e sgridando a tempo i soldati. Bencbè il primo
guerriero del suo secolo, è dubbio se fosse maggiore
nell'armi, o nel consiglio: bencbè nutrito^ e vis-
suto in mezzo alle rivoluzioni, non sparse quasi
mai il sangue^ se non quando la necessità ve lo co-
strinse. Fu un di quegli uomini grandi, che quan-
tunque ignaro delle lettere, ne conosceva il pregio,
e faceva conto degli scenziati. Animatore dell'arti
utili, e delle manifatture, premiava generosamente
chi ne introduceva delle nuove : restano ancora i
monumenti dei numerosi lavori di pubblica utilità,
ponti , strade, fortezze, che a lui si debbono (38).
Fu certamente un uomo straordinario, e se il teatro
delle sue azioni fosse stato più vasto, e i mezzi più
grandi^ si sarebbe distinto al paro dei più celebri
uomini dell'antichità . Nella piccola sfera però in
(38) Tesnr. Vita Castmc. Le fortezze di Sarzanello, la torre dì
Pontremoli, la rocca di Nozzano,il castello di Ghivizzano in Gar^
fagnana con molti altri fortilìzj furono da lui eretti: rese Locca
per quei tempi inespugnabile , e vi fabbricò il castello deQ*A^*
sta : tre ponti fabbricò sulla Lima : quello sulla Pescia ha un* iscrt*
zione cbe 1* attesta : per mezzo di un ponte uni Castel-Doorodelli
Garfagnana colla villa di Castiglione: né vi fu quasi fiume» o rio
su cui non fabbricasse dei ponti oltre le tante strade dispendkifis-
sime» e per luoghi diflìcili> come dà Montramito a Viareggio a
traverso le paludi .
CAPITOLO NONO aaS
cui fu obbligato ad agire di privata persona^ diven- .
ne uno dei più potenti Principi d'Italia, giacché dì G.
alla sua morte possedeva Lucca, Pisa, Pistoja, la ^^^^
Lunigiana, gran parte della riviera di levante di
Genova, e innumera bili castelli: e se avesse vissuto
di più in quei tempi di rivoluzione, e di divisione
deir Italia in tante piccole Signorie, si pud conget*
turare che qui non si sarebbe arrestata la sua gran-
dezza: tenne la signoria di Lucca quindici anni .
Rimase erede degli stati, ma non dei talenti pa-
terni, Arrigo suo figlio maggiore: la potenza di
Lucca terminò con Castruccio, giacché poco tempo
appresso si vide questa città posta a prezzo, com-
prata da un privato cittadino, e riprese dai Fioren-
tini le città, e castella occupate già da Castruccio.
Ai suoi figli, alla venuta dell'Imperatore, fu tolta
la Signoria di Pisa, e poi quella di Lucca.
Tomo IL i5
3a6 '
CAPITOLO X
SOMMjìRIO
Nuovfi mutazione di governo in Firenze. Arrivo del Bavara e
dell* jintipapa a Pisa , Estorce molte somme dai suoi amici.
Ritoma in Germania» Discesa in Italia di Giovanni Redi BoC'
mia . I FiorentirU ricusano di comprar Lucca. Si armano con-
tro di essa . Ne prendono il dominio i Tedeschi . Piccole guer-
re tra Pisa, Massa f e Siena . Inondarne in Firenze • yi-
cende di Arezzo . Lucca sotto il dominio dei Signori dellu Sca-
la . / Fiorentini ne tentano inutilmente la compra . Guerra
dei Fiorentini contro Mastino della Scala, Dedizione di
zo ai Fiorentini . Pace con Mastino *
"T ridiente poteva accadere di più fortunato ai Fio-
di a reatini quanto la morte di Castruccìo; e benché
> ^^9 restassero in piedi le formidabili sue forze per una
parte^e per Taltra l'imperatore si fosse già mosso
contro la Toscana, non ne fecero alcun conto^ man-
cando Tanima, che dava moto, ed energìa a laoli
corpi divisi. Poco sollecita la Repubblica di questi
movimenti, prese a riordinare lo Stato: dette mo-
tivo a questa riforma la morte del Duca di Calabria
già Signore dei Fiorentini, per cui ritornava in ma-
no loro libero il governo . Restando il sistema lo
stesso, il più difficile a farsi, senza animosità, e
aenza favore era la così detta imborsazione , ossia
la scelta delle persone atte alle cariche, ì nomi
delle quali a suo tempo dovevano trarsi a sorte. Fa
ciò fatto con molta prudenza , e saviezza : giacché
ai Magistrati attuali, Priori, G)nsiglieri, Gonfalo-
nieri di compagnie. Capitani di parte Guelfe, Cin-
que della mercanzia, e Consoli delle Arti, fa ag-
CAPITOLO DECIMO aaj
giunto uu numero di popolani^ cioè due per Sesto
per ogni Magistrato; e questi formavano il numero ^i q^
di novant'otto persone alle quali fu rimesso Tar- ^^^9
bitrio di nominare i cittadini maggiori di 3o anni
da imborsarsi • I nominati però dovevano subire Io
squittìnio, ed erano ammessi ottenendo voti 649
purcbè non si trovasse valevole obiezione contro di
loro. Approvato quest' ordine in pieno parlamento
nella Piazza dei Priori^ si annullarono gli anticbi
Consigli^ e due soli ne furono stabiliti , uno di 3oo
persone^ in cui non erano ammessi che popolani,
del quale era capo il Capitano del popolo , T altro
di aòo y a cui presiedeva il Potestà^ dove e Grandi
e popolani potevano essere ammessi; le delibera-
zioni prese dalla Signoria, per aver forza di legge,
esser dovevano approvate dal primo ^ indi dal se^
condo Consiglio. 11 metodo era molto saggio, se lo
spìrito dominante della fazione Guelfa, non l'avesse
poi sconcertato (j).
Giunse il Bavaro a Pisa, e poco appresso V An-
tipapa, che vi entrò solennemente con maestosa
cavalcata .■ Si rinnovò qui pubblicamente la comme^
dia rappresentata in Roma contro Pupa Giovanni:
prima il fiavaro dopo un lungo sermone di Miche-
Jiijo da Cesena frate minore, apponendo al Piipa
iTiolti delitti, lo depose: indi l'Antipapa fatto so-
lenne parlamento, confermò la sentenza del Bava-
ro^ scomunicando il Papa, il Re Roberto, i Fio-
rentini tutti nemici del Bavaro, e dei Pisani. Le
persone pie però si scandalizzarono di quest'atto, e
CI t^rpetrarono come segni della divina collera una
(1) Gio. Vili. lib. IO» cap. 1 la. Aram. lib. 7.
328 LIBRO TERZO
=^ tempesta di acqua, e gragoaola in quel giorno, e
^•"^Ipiù la morte del Maliscalco del Re. Girando esso
i3a9 per Pisa, e chiamando il popolo .a quel parlamea-
to, era fortemente infreddato: entrato la aera inno
bagno di acque stillate avendo queste preso fuoco»
vi mori miseramente (a). Lo sciocco volgo , che
vuol sempre penetrare i segreti del Cielo , non pen-
sava che l'Antipapa, il Bavaro, il Predicatore era-
no più rei del Maliscalco, e che sopra quelli sareUe
caduta la vendetta del Cielo, quando avesse volato
mostrarla • Non fece T Imperatore in questo suo
viaggio d'Italia alcuna cosa di conto. Fu la sua ve-
nuta più nociva ai suoi amici ai quali estorse molto
oro, che ai suoi nemici, coi quali non guerreggiò
che coi tradimenti^ sempre più vergognosi quando
riescono vani : così tentò di occupar per tradimento
J^'irenze , e non fé' che procurar una atroce morte
a quei cittadini che si erano impegnati nel tratta-
to (3) . Mancava sempre di denaro, benché ponesse
tutti a contribuzione. Oltre i denari pagati dai Pi-
sani , Lucca fu tassata a a5o mila fiorini di oro : dieci
mila ne pagò la vedova di Castruccio perchè man-
tenesse i suoi figli nella signoria di Lucca ^ e restò
delusa; 4 'uila Raimondo di Cardona per riscatto;
23 mila Francesco Castracani Antelminelli per es-
ser fatto Vicario di Lucca . Ad onta di tante estor-
sioni, non potendo pagare i soldati^ lasciava com*
mettere a questi tutti i disordini: in fatti 8oo ca*
valieri tedeschi per mancanza di paghe gli si ribel-
larono, e avendo tentato invano d'impadronirsi di
Lucca, occuparono il Ceruglio, rocca resa assai fiuie
(•a) Vili. lib. IO. e. 1 1 5. 1 16. 1 46. Tron. Ann. Pis.
(3}yili.lib. 10. e. 11 8.
CAPITOLO DECIMO 229
da Ca&truccio , minacciando di darla ai Fiorentini.
L' Imperatore mandò ad essi Marco Visconti ^il qua- dì e.
le trattò accordo^ promettendo loro sessantamila >^^^
fiorini^ purché tornassero in Lombordia: ne con-
vennero i soldati ritenendo tuttavia Marco per ostag-
gio* Il di lui nipote Azzo che trovatasi presso Tlm-
peratore, e che da lui era stato privato dello stato
di Milano y promise sborsare 120 mila fiorini dì
oro 9 per pagare i soldati 9 purché V Imperatore lo
rimettesse nei suoi stati. Fu accettato il partito:
Azzo parti col Porcaro (4)> già Vicario imperiale
in Lucca , e indisposto contro di lui^ che condusse
Azzo a Milano: gli fu rimesso nelle mani quello
stato dal vicario, a cui Azzo pagò a5 mila fiorini .
Iodi si fortificò in quella città non curando pagare
il resto, stimando opportuno il vendicarsi dell'Im-
peratore y che senza ragione lo aveva già privato
dei suoi stati, e ritenuto prigione. Schernito l'Im-
peratore, si parti di Pisa per la Lombardia, onde
vendicarsi di Azzo; ma non era più tempo. I Signo-
ri lombardi si erano quasi tutti ritirati dalla sua
amicizia^ conoscendo che quest' uomo non avea
fatto altroché rubare i suoi amici, senza far danno
ai nemici. Azzo Visconti si difese colFarmi ecoUo-
rOy e il Ba varo tornò presto in Germania • Perché
non mancasse però mai alla misera Italia il flagel-
lo degli avidi stranieri , vi comparve indi a non
molto Giovanni Re di Boemia figlio dell'Impera-
tore Arrigo VII che prese a imitare il Bavaro.
I Tedeschi del Ceruglio delusi fecero prima prigio-
niero Fautore del trattato Marco Visconti, e indi
(4) Pare secondo la spiegazione del Villani cbe questa parola
corrotta significhi Burgravio.
fiSo LIBRO TERZO
"Capitano, coDoscendone ì talenti. Parlilo T impera*
diC. ^ore, Marco occupo Lucca, cacciando il nuovo Vi-
>3a9 cario imperiale; e siccome la sua compagnia non
cercava che denari, ne offerì la compra alla Re-
pubblica Boreotina . Non poteva darsi occasione
più vantaggiosa, cbe l'ottenere per pocbi denari una
città, che era stata rivale di Firenze, che per la sua
posizione teneva in soggezione Pisa , e Pistoja , olire
molli altri vantaggi • Si dibattè lungamente in Con-
siglio se si dovesse far questa compra, che sarebbe
forse giunta a 80 mila fiorini ; e il solo spirto di
partito la fece disapprovare. Pino della Tosa e il
Vescovo di Firenze erano gli autori del trattato;
Simone della Tosa loro contrario vi si oppose con
ragioni assai frivole, ma che aiutate dalla parsimo-
nia fiorentina , finalmente prevalsero . Rinnovato
in seguito il trattato, vi furono dei ricchi cittadini,
che vedendo la manifesta utilità, proposero di com-
prarla a loro spese per essere a suo tempo rimbor-
sati dal Comune ; ma il partito contrario gli fece
tacere colie minaccie: grande esempio ma non in-
frequente di sacrificar la patria air amor proprio,
e picche particolari (5)! I Pisani che, appena par-
tilo l'Imperatore, erano tornati in libertà, caccian-
done il vicario, vollei*o acquistar Lucca, offerendo
60 mila fiorini; ma avendo pagato troppo presto il
denaro a persone di poco delicata coscienza, lo per-
derono senza ottener la città (Q). Questo trattato
risvegliò la gelosia dei Fiorentini, che, ad onta dei
('Jyill. lib. 1 o. e. 1 36. Questo Scrittore fu dì quel cìttadbi
che privatamente s' associarono a comprarla; e sviluppa le piccbe»
e i ridicoli pret*!Sti degli avversar].
(6)Vill.lib. 10.C. i38.
CAPITOLO DECIMO aSi
partiti , 6Ì accorgevano dell' errore a seguo di rouo-^
ver Farmi contro i Pisani. Dopo tante perdite ^ e aie.
tante estorsioni di denari sofferte non erano questi ^^^9
in stato di far nuova guerra, onde chiesero la pace
che fu presto conclusa col patto, che non si mescole-
rebbero nelle cose di Lucca, e con altre condizioni^
fralle quali di riconciliarsi col Pontefice: questa
portava seco l'abiurare T Antipapa. Dopo la par-
tenza dell'Imperatore, stava egli nascoso in un ca-
stello del Conte Fazio, il quale si vide costretto a
consegnarlo ai Pisani. Premeva tanto a Giovanni
. Papa di assicurarsi di un pericoloso rivale, che do-
nò al Conte Fazio castella, e benefizj ecclesiastici,
come ad altri cittadini Pisani fece generosi doni
ribenedicendo, ed onorando assai la pisana repub-
blica. L'Antipapa, abbandonato da tutti, abiurò
egli stesso i suoi errori , e condotto ben trattato però
ad Avignone, e consegnato al Papa fu tenuto in
cortese prigione, ove morì dopo tre anni: e cosi
Pisa ritornò all'amicizia del Papa (7). Lucca posta
tante volte all'incanto, finalmente per soli 3o mila
fiorini venne in potere di Gberardino Spinola (8).
Allora apparve scopertamente la mala avvedutezza
dei Fiorentini, che accorgendosi dell'errore si po-
sero a far guerra a Gberardino, per acquistar colia
forza, e con grandissimo dispendio quella città,che
avrebbero avuto a sì buon prezzo. Presero in questa
guerra molti castelli dei Lucchesi, e posero final-
mente il campo intorno a Lucca . Lo Spinola, che
abbagliato dallo splendore dell'imprese di Castruc-
cio credeva forse che la di lui potenza nascesse dal
(7)0. Vili. lib. 1 o. e i64- Marang. Gronic di Pìs.
(b) Lo stesso 1 45.
aSa LIBRO TERZO
' possesso di quella città ^ cominciò ad accorgersi di
^i(^, essersi addossato un peso troppo grave per le sue
i33o spalle. Si trattò allora accomodamento per cui i
Fiorentini avrebbero avuto il possesso di Lucca con
eque condizioni: ma per la parte loro, il trattato
si maneggiò con mala fede: esso era doppio e coi
Lucchesi e collo Spinola , ne fu questi avvisato , e
i33i il trattato si ruppe (<^)« Nacque intanto un disordine
nel campodei Fiorentini ; il loro Capitano Gastruc-
ciò Gabbrielli volle fare impiccare un soldato bor-
gognone che, nell'andare a morire, implorò il soc-
corso dei compagni: questi erano in numero di 6o3.
Prese Tarmi^ tolsero dalle mani dell'esecutore il loro
compagno, saccheggiarono l'albergo del Capitano,
vi raessero il fuoco, e posero quasi in rotta l'eser-
cito. Castruccio avea fatto una più forte esecuzione
senza che alcuno osasse parlare, tanto vale l'ascen
dente di un uomo (ro). Veduti i disordini della
città, e del campo, lo Spinola fece offrire la signo-
ria di Lucca a Giovanni Re di Boemia, che, come
si è veduto , era di fresco venuto in Italia . Accettò
esso r offerta , mandò per formalità Ambasciatori
ai Fiorentini, che desistessero dall'impresa, e nello
stesso tempo aiuto ai Lucchesi di ottocento cava»
lieri. Sapendo i Fiorentini che questi s'avvicinava-
no, e dietro loro le altre genti del Re Giovanni,
credettero opportuno il ritirarsi. Non venne ionaozi
quel Re, ma tenuti dei trattati col Legato del Papa
che per proprio interesse era nemico dei Fiorenti-
(9) L' Istor. Villani era stato uno ilei mediatori coi Lucchesi,
e condanna i suoi concittadini.
(10) Gio. Vili. lib. toc. 173.
CAPITOLO DECIMO aSS
ni (11)9 s'insospettirono di essere abbandonati dal
Papa loro antico alleato, e che Giovanni avesse delle ^i e.
taire ostili contro di loro. 11 sospetto avea del fon- ^^^*
damento. Giovanni era figlio del loro gran nemico
rimperatare Arrigo VII morto col rossore di es-
sersi ritirato dalla città di Firenze invendicato; on-
de il figlio poteva avere ereditato l'odio paterno:
anche l'amicizia , che era stata con raro esempio tra
l'Imperatore e il Pontefice, accresceva il timore.
Intanto fu proseguita la piccola guerra con Lucca .
Vi giunsero però gli ottocento Tedeschi , e ne pre-
sero il dominio: niun patto fu mantenuto allo Spi- i33a
noia 9 ed eìy che avea fatta quella compra più da
mercante che da Principe , computando il guada-
3[no che vi potea fare, perdette il suo denaro, ferita
più sensibile ad un siffatto carattere • Pistoja , dopo
a morte di Castruccio , agitata da varie fazioni si
?ra poi accomodata con Firenze. Insorti nuovi tor-
bidi nell'anno scorso entrativi per mezzo dei lor
^autori i Fiorentini, aveano obbligato la città a dar
oro il governo per un anno , e l' arbitrio di rifur-
narla: la giustizia con cui esercitarono questo go-
verno fu la causa che ogni due anni fosse loro ri-
ronfermato. I Sanesi andavano frattanto estendendo
1 contado: nell'anno i33i contrastando coi Conti
li S.^ Fiora aveano loro tolto Scansano, Arcidosso,
^stel del Pisano, e costretti a prender la legge, e
icliieder la pace* Il Re Giovanni sostenitore , come
(1 1) n Legato pretese di avere come benefizio semplice la
leve dell' Impruneta allora vacante: ne erano patroni i fiuondcl*
lODti come fondatori : sosteneva il Legato , che il diritto di colla-
ione era pontificio : il popolo fiorentino prese le parti dei Buon-
elmonti: altro non potendo il Legato, pose Firenze sotto l'inter-
etto. Vili. lib. 10. e. i8a.
j^ LIBRO TERZO
-tutti i Principi che venivano in Italia, dei tìran-
di G. ^^^^^ feudali , avea mandato in soccorso dei Conti
i33a 200 cavalli, che furono rotti da Guido Capitan gè»
nerale dei Sanesi presso castello Accarigi. La dtU
di Massa era occupata dai Pisani, perciò tra questi
e i Sanesi ebbe luogo una piccola guerra : i ÌIa«^
tani, con un finto trattato di dar la città ai Sanesi,
trassero colà il loro esercito. Si avvicinavano i Pi-
sani per prenderli in mezzo: fortunatamente Guido
Capitano dei Sanesi si unì con molte altre troppe
che avea a guardia di quei castelli il PiccoIomiDÌj
e insieme altaccaron il dì i4 decembre, e ruppero
i Pisani , dei quali fu preso il Capitano con soo
soldati. Ad onta però dì questa perdita i Pisani rin-
forzati di nuove truppe, scorsero sul territorio sa-
nese, e assai lo danneggiarono; non arrischiandosi
il capitano sanese di attaccarli , e niegando di aoc-
corrergli i Fiorentini, perchè non fossero confiscite
le ricche merci che avevano a Pisa. Fu poi per in*
sinuazione del Papa, e mediazione del Vescovo di
Firenze fatta fra loro la pace (12), colla restitoao-
ne delle terre prese a i Massetaui dai Sanesi; e i
Pisani dovettero lasciar Massa in libertà, la guar-
dia della quale ebbero i Fiorentini • La potenu e
la violenza dei Signori Ubaldini aveano spesso ?olte
sossopra il Mugello : erano adesso amici e depea-
denti della fiorentina Repubblica • Per teneteli peri
più in freno, fu preso il partito di fabbricare uitt
terra forte di là dal giogo deirAppennino sul Ga-
me Santerno. Fra i deputati a questo lavoro si trovo
lo storico Giovanni Villani, a cui si lasciò Ttr^^'
(la) Cron. San. Malev. i56. San. pan. ia.lìb. 5*Gìo*^
lìb. 10. e. ai 4*
CAPITOLO DECIMO a35
trio di dare il nome alla terra, che volle chiamar
Fioreozuola (i3)> quasi piccola Fiorenza • Crescen-^"^)
do i sospetti d'accordi segreti tra il Papa e il Rei332
Giovanni, i Fiorentini, senza più pensare agli an-
tichi od) contro i Ghibellini, fecero una lega coi
Signori lombardi , nemici di quel Re e del Pon-
tefice. Furono questi i Signori di Este, gli Scaligeri
Signori di Verona, i Visconti di Milano, Rusca
Capitano di Como, Gonzaga di Mantova, Guido
Filippino, e Feltrino, e quei di Correggio, lascian-
do luogo al Re Roberto e ad altri d' entrarvi. In-
tanto stringendosi sempre più la lega tra il Papa e i333
il Re Giovanni, si venne alle mani tra il Bglio di
questo Re , e il Marchese di Este presso Modena ,
ove fu rotto il Marchese; il quale, ritentando poi
la sorte dell'armi contro le genti del Pontefice,
fu nuovamente sconfitto e fatto prigione, e Ferrara
assediata (i4)- Sarebbe questa città caduta nelle
mani del Papa, molto più che il Re Giovanni si
preparava a venire da Parma in soccorso degli as-
sedianti, ma gli alleati cercarono di prevenirlo; vi
mandarono una scelta truppa di ^oo cavalieri, che
riuniti ad altri aiuti presso Ferrara, determinarono
di attaccare i nemici benché molto ben trincerati .
Nel di 14 aprile si combattè assai ostinatamente >
ma gli assediati furon vinti con gran strage; e sic-
come erano chiusi fra la città e gli assalitori, sic-
come il fiume era pieno di barche armate degli al-
leati, pochi scamparono la morte, o la prigionia.
Vi si distinsero due Capitani fiorentini, lo Scali, e
lo Strozzi, che attaccarono le genti di Linguadoca
(1 3) Gio. Vili. lib. IO. cap. ao3.
(i4) Vili* lib. 10. e. ao6. ai 6. Stor. PistoL
«36 LIBRO TERZO
"7 : comandate dal Conte di Arrangnac: vi restò esso prì-
dicgìonecon molti Baroni francesi ((5). Dopo questa
i333jpQd3 j^^]jj,^ la parte Pontificia in Italia, avendo
poco appoggio nel Re Giovanni, che debole di sol-
dati, e di moneta 9 pareva che sarebbe presto parti-
to. Volendo egli trar qualche vantaggio da Lucca,
non trovando miglior partito la dette in pegno per
35 mila fiorini di oro ai Rossi di Parma , e poco
dopo parti d' Italia • Fu in questo tempo nel novem-
bre in Firenze una delle più forti inondazioni^ di
cui si abbia memoria: si ruppero tre dei quattro
ponti, e fu malcoudotto, quello di Rubaconle che
restò in piedi : in due iscrizioni una latina e T altra
italiana situale sul Ponte vecchio a Levante e a Po-
nente si conserva la niemoria di questa disgrazia.
G)l]a ruina del Ponte vecchio cadde e fu traporta-
ta dal fiume la supposta statua di Marte: già mi-
nata e rosa dall'età, mutilata dal mezzo in sa ap-
pena riteneva T effigie di ciò ch'era stata (r6). Al
Palazzo Vecchio^ che trovasi nella parte più alta
di Firenze, copri Facqua il primo gradino della
gran scala; e coperta pure rimase la metà delle co-
lonne di porfido di S. Giovanni. Il flagello fu co>
mune a tutta la Toscana, il di cui suolo , per le
piogge notte e giorno continuate , restò inondato
dai fiumi, il letto dei quali era piccolo airìroprov-
vìso accrescimento dell'acque • I danni in Firenze
furono grandissimi, ma anche in Pisa e Valdarno:
(i5) Vili. lib. 10. e aiS.Istor. Pistol. Amm. Istor. Fior. Im
queste per isbaglio si dà per morto nella battaglia il CoDte di à
gaac» indi si ritrova vivo, e pieno di tanto orgoglio chenìegava
cambiato con uno dei Marcbesi di Este, protestando non Toler
ser scambiato con un uomo minore di lui .
(i6} Boccac lez. sol Canto i3. dell' Inf. di Dante .
CAPITOLO DECIMO 2Z7
Empoli fu mezzo distrutto come molte altre terre .
Anche il Tevere fece grandi ruine in Roma (i7)'dJ°c!
Gli a£fari pontìficj andavano sempre peggiorando 1^34
in Italia. I Collegati^ dopo la liberazione di Fer-
rara ^ assediavano Argenta , mentre il Legato si era
colle reliquie del suo esercito^ ridotto in. Bologna .
Riuscendo vano ogni trattato di pace, presa Argenta^
corsero fino a Bologna^ ove il Legato non credendo
che ì suoi soldati francesi sarebbero stati per vin-
cere i nemici y esortava le Compagnie bolognesi ad
unirsi coi suoi. Ma questi , stanchi del duro gover-
no e delle crudeltà dei forestieri, si sollevarono,
gli tagliarono a pezzi , e il Legato con pochi si
ricovrò nel castello, ove fu dai Bolognesi assedia^
to. Sarebbe facilmente caduto nelle loro mani, se
1 Fiorentini, benché suoi nemici, mossi da ri-
verenza verso la Santa Sede, non avessero mandato
delle genti, le quali Io trassero con difBcoltà dalle
mani dei Bolognesi (18), e Io condussero a Firen-
ze, donde si partì presto per Avignone colla mor-
tificazione (19) di dover la salute ai suoi nemici ^
Giunto colà, contando le sue avventure al Pontefi*
ce Giovanni XXII, non lasciò di lodare pubblica-
mente la generosità dei Fiorentini, quantunque in
segreto li dipingesse coi più odiosi colori, attribuen-*
do loro tutte le disgrazie accadute alle sue armi • Il
Papa adirato ne avrebbe cercata vendetta, se non
fosse stato prevenuto dalla morte, che presto av-
^1^) YilL lib. II. cap. 1.
(18) Fra coloro che l'accompagnarono vi fu nn uomo dei pia
seienziati di quei tempi, Giovanni di Andrea, oriundo del Mugel-
lo , Professore in Bologna , e di cui la scienza canonica per molti
secoli non vantò il maggiore .
(19} ViU^lib. ii.c.6.
s3d LIBRO TERZO
* venne; dopo la quale fa facile a Firensela pace col
^"(^l nuovo Papa, tornando all'antico sistema. LasdA
i334Papa Giovanni immensi tesori la di cai somma se
non è esagerata j non è stata mai posseduta da alcun
Sovrano (ao).
Erano in questo tempo i Fiorentini quasi in pa-
ce, se si tolga la parte cbe aveano cogli alleati di
Lombardia in quelle guerre col piccolo contingen*
te, cbe per patti di Lega vi tenevano, e le deboli
ed interrotte ostilità contro i Lucchesi. Arezzo frat-
tanto^ cbe avea sofferto varie vicende, e che giusta
la sorte di quasi tutte le Repubblicbette d'Italia,
sotto il nome e la forma di governo libero , si tro-
vavano signoreggiate da qualcbe famiglia potente ,
iS35lo era adesso dai Tarlati. Il Vescovo Guglielmo
Tarlati, già confederato dei Lucchesi, e di Gastroc-
ciò nel tempo della depressione dei Fiorentini ,
aveva dato alla sua famiglia, e perciò ad Arezso Dna
potenza da fare invidia a Firenze. Divenuto poi il
Vescovo nimico di Gastruccio, come abbiamo visto
di sopra, dopo la sua morte Piero di lui fratello
n'avea ereditata la potenza e i talenti , onde l'areti-
na Repubblica si era impadronita dì città di Ga-
(ao) Racconta il Yillani che la somma in contante giunse a
18 milìom di fiorini di oro, e 7 più in gioielli. Aggiunge <r e noi me
possiamo fare piena fede ^ e testimonianza vera , che il /tostn
fratello carnale uomo degno di fede che allora era in corte ma-'
cante di Papa , che dai tesorieri e da altri deputati a coniare , tf
pesare il detto tesoro gli fu detto, e in somma recato per fame
relaxione al Collegio dei Cardinali per mettere in inventario » Si
narrano indi le arti per ratinarlo . Il buon Villani vi fa le sae giu-
ste riflessioni. Per concepir bene quella somma couTÌen ridurk
al valore dei nostri tempi, cioè» abbracciando la riduzione della
moneta antica di Robertson, a 1 a5 milioni di zecchini • Ciascuna
persona sensata concepirà facilmente una grande esagerazione. ET
vero che tutti gli scrittori si accordano sull'inunensa quantità dei
tesori da esso lasciati.
CAPITOLO DECIMO 289
stello^ del Borgo, di Cagli ^ di Massa Trebara con
tutte le castella appartenenti a queste città. I Perù- j°^^
gini loro emoli tenendo occulte pratiche s'impadro- i335
Direno del Borgo: fatti arditi da questo successo,
congiunte le forze con quelle di Guglielmo Signore
di Cortona , fecero delle scorrerie nel contado di
Arezzo^ credendo che gli Aretini atterriti dalla per*
dita del Borgo non oserebbero escir fuori: ma Piero
Tarlati, celebre sotto il nome di Pier Saccone, fat-
tosi loro incontro, gli assali e gli ruppe perseguitane
doli fino a Cortona; ove sbigottiti si chiusero, scor-
rendo frattanto gli Aretini arditamente le perugine
campagne, e devastandole fino alla città stessa. Ad
onta però di questa vittoria, i Perugini tolsero loro
per tradimento città di Castello (ai), non senza un
segreto piacere dei Fiorentini, ai quali benché in
pace e in amistà cogli Aretini, dava ombra la loro
potenza di nuovo crescente, e che dopo tali percosse,
e dopo la perdita fatta dai Tarlati di molte castella
in Val di Ambra, cominciò di nuovo a declinare.
^ degno di memoria un nuovo regolamento di poli-
ta preso in questi tempi in Firenze per mostrare
[uanto sia pericoloso il lasciare in mano dei Magi-
trati, specialmente criminali, un arbitrario e di-
crezionario potere, di cui è troppo facile T abusare ^
lacchè non dovrebbero essere che puri esecutori
ella legge. Erano stati fino dall'anno scorso mol-
iplicati gli esecutori della giustizia, e creati sette
lapìtani dì guardia, detti Bargellioi, ciascuno dei
uali comandava a a5 fanti armati, sotto colore di
1 vigilare alla sicurezza della Repubblica contro i
(al) Vili. 11. cap. 37.
24o LIBRO TERZO
^ fuorusciti^ e i loro corrìspoDdenti ; ma in realtà per
di e. assicurare le redini del governo nelle mani di quelli
isss^i^e le tenefano, per istigazione segreta dei quali
gii esecutori operavano. In quest'anno^ per dar
maggior forza e più concordia a questa sistema , e
farlo dependere da una sola volontà , fu creato un
Capitano di guardia o Conservatore, che comanda-
va a 5o cavalieri e loo fanti^ che aveva il diritto
di arrestare chi più gli era in grado, esiliare , e far
le più sanguinose esecuzioni senza ordine di siaUUi,
e senza render conto che a quelli coi quali se l'in-
tendeva • Il primo in questo ufficio fu Messer Jaco-
po Gabbrielli di Gubbio, che dopo un anno di aspro
e crudele governo , se ne tornò alla patria aasai ar-
riochito. Il suo successore incorse anche più lo ade-
gno del popolo, che attroppatosi , e correndo coi
«assi su gli esecutori, costrinse il Governo, dopo
due anni in circa ch'era durata quella carica, ad
abolirla (ss).
Dopo tanti contrasti per ottener Lacca , i Fioren-
tini furooo altamente sorpresi, e intimoriti quando
la videro cader nelle mani della casa più potente di
Lombardia, dei Signori della Scala. Questa &mi-
glia sì illustre per valore, per magnificensa, per
l'amore alle lettere, e alle scienze nasconde nel-
l'oscurità, come la più gran parte dell'altre, la sua
origine, giacché pare che gli officiosi genealogisti
arrestandosi sempre a un uomo illustre, che ne £)r-
mi la sorgente, non ardiscano fare un passo al di
là ove incomincia a intorbidarsi. Il nostro Villani
più semplice , e meno lusinghiero, ne (a gli ante-
la a) Glo. YìU. lib. 1 1. cap. i6. t 39»
CAPITOLO DECIMO 241
BBti fabbricatori di scale, onde dal mestiere pren- . .
dessero il nome (aS), mentre altri gli fa Signori ^iO.
feudali in Borgogna^ d'onde venissero in Italia (24); *^^^
e i versi di Ferreio Vicentino magnificano sempre
di più il Cane e la Scala , nomi tanto poco illustra-
ti dagli eruditi (sS). Quelli che stabilirono in Ve-
rona la potenza furono Mastino, che dopo esseme
stato Potestà nel ia6o, fu eletto Capitano perpe-
tuo. Ucciso jdai congiurati y gli successe con mag-
gior fortuna il fratello Alberto^ che con ai anno
di Signoria vi stabili saldamente la Casa, ed estese
il dominio. Dei suoi discendenti Can-Francesco portò
la famiglia al più alto punto di potenza e di gloria
col senno e colla spada ^ valoroso della persona e
quasi sempre vincitore, ottenne dal pubblico meri-
tamente il nome di Grande, che la magnificenza e
generosità usata ai letterati^ e a tutti grillustri in-
felici, gli confermarono. A lui successero i nipoti 1 330
Alberto, e Mastino, con diseguali talenti: il primo
d'indole pacifica e dato alle lettere, il secondo avido
di Stati e di guerra, sotto di cui l'illustre Casa co-
minciò a declinare. Mentre però e la fama del zio^
•
(a3) Vili. lib. 1 1. cap. 94.
(a4) Con. Ist. di Ter. lib. 8.
(a5) I nomi di Cane^ di Mastino continuati nella famiglia,
some anche della Scala « suppongono qualche particolare fatto non
ben noto • Ferr. Vincent poi dopo aver detto nic (cioè in Verona)
Caecis orla latebris
Nobilitas
là r etimologia del nome di Cane
Mater in amplexu cari diffusa mariti
Jlfembrafovebat ùvans , blandaque in imagine somni
yisa sibi est peperisse canem, qui fortìbus armis
Terrebatque suis totum latra tibus orbem .
Illum etiam medios vibrantem tela per hostes
Cernebat, summaeque gradus atloUere Scalae ec*
«rr. Vincenl. Carmen, de Scalig. orig. lib. a. Rer. itaL tom. 9.
Yoièé*> il. lO
a4a LIBRO TERZO
=■6 i vasti suoi Stati erano ancora in piedi, i Fioren-
2j°2' tini videro con terrore che ei fece T acquisto di Lue-
i336ca; poiché^ posto cosi il piede in Toscana^ poteva
assai danneggiare la fiorentina Repubblica, molto
più per mezzo della fazione nemica a quella che
governava Firenze . Ne ignoravano i Fiorentini che
cercava anche d'insignorirsi di Pisa. Era già con-
venuto nella Lega coi Signori lombardi che i Bossi
dovessero vendere Lucca ai Fiorentini , onde ne fé»
cero questi alte lagnanze • Mastino allegò varj pre-
testi^ e disse finalmente di esser pronto alla riveu-
dita^ ma che computando i denari da pagarsi ai
Rossi, che la tenevano come Vicarj del Re di Boe-
mia (26), e al Re stesso, non avrebber potuta ot-
tener Lucca i Fiorentini con meno di 36o mila
fiorini di oro, non pensando mai che volessero pa-
gare una somma sì grande. Ma ne pareva ora ai
importante T acquisto, spaventava tanto la vicinan-
za di Mastino, ed erao sì grandi le ricchezze dei
Fiorentini , che fu determinato di comprare per
somma sì esorbitante una città che si era rifiatata
per 80 mila fiorini dalla compagnia del Ceruglio,
e per minore ancora da Gherardino Spinola • Ma-
stino, che aspirava al regno di Lombardia, di To-
scana, e forse di tutta l'Italia, e che vedea torsi
cosi la chiave della Toscana, non bisognoso di de-
nari (37), quando gli Ambasciatori fiorentini offer-
sero di pagare la somma richiesta, cercò delle cas-
(a6) Vili. lib. 11. cap. 44* ^ 4^« Istor. PìstoL
(37) Si diceva che dopo il re di Francia non vi era altri si po-
tenti che Mastino y Signore di dieci grandi città, di mollissiiiù ca-
stelli , e di eutrata di 700 mila fiorini di oro. £ra fama che avesse
fatto fabbricare una corona di oro per coronarsi ra diLomlMidiaf
e di Toscana •
CAPITOLO DECIMO «43
se di dilazione si frìvole, che al fine gli ambascia- ^=='
tori sdegnati si partirono dalla sua Corte, ed egli ^^^
incominciò la guerra contro la Repubblica, facen- iS36
dosi subito dalle sue truppe delle scorrericf da Luc«
ca in Valdinievole . Veduto i Fiorentini il pericolo
di questa guerra, e la difficoltà di contrastare alla
potenza di Mastino, se avesse potuto attaccarli con
tutte le forze , procurarono una diversione ; e sapendo
che i Veneziani erano per molte cause suoi nemici,
fecero seco loro alleanza, in cui si obbligavano di
tenere assoldati due mila cavalli e altrettanti fanti
in Lombardia, perchè i Veneziani ne potessero far
uso contro Mastino (28). Esso per infestar di più i
Fiorentini si collegò cogli Aretini , e mandò loro 800
cavalieri, che per Forlì vi dovevano giungere; ma
fu loro vietato il passo dalle genti dei Fiorentini
unite a quelle dei Bolognesi^ e dei Manfredi Signo-
ri di Faenza • Si strinse di più la lega tra i Fioren-
Mni, i Bolognesi, e i Perugini, ai quali si aggiunse
il fie di Napoli, Venne intanto a Fi repze Piero
de' Rossi già Signore di Parma, di Lucca, e di Pon-
tremoli, che cacciato dai suoi stati, essendo Pontre-
moli assediato dalle genti di Mastino, chiedeva ai
Fiorentini soccorso. Introdotto alla presenza del
Magistrato, parlò con tal Veemenza contro Mastino^
mostrando non cercar che l'occasione di agire ostil-
mente contro di lui, che non fu creduto potersi
scegliere miglior Capitano per la guerra che si avea
da fare in Toscana . Fornito di genti dai Fiorentini^
per costringere le truppe di Mastino a levar Tasse*
dio di Pontremoli , pensò di avviarsi verso Lucca ,
(aS) YiU. lib. 1 1. e. 48. e 49. Istor. PistoL
244 LIBRO TERZO
'. donde ùsci il Maliscalco di Mastino; ma inferiore
di G. di Fiorentini non voleva azzardar la battaglia . Ve
i336 lo costrinse però il Rossi presso al Ceruglio, lo rup-
pe^ e lo fece prigioniero con tredici ufiziali (39 . Non
potea Piero cominciar la sua impresa eoa n^aggior
successo: ma i Signori Lombardi collegati coi Fio-
rentini^ che ne conoscevano il valore^ lo desidera-
rono per Capitano del loro esercito^ insieme col
fratello Marsilio: egli andò volentieri a spiegarci
suoi talenti in una piiì ampia sfera , e più viciuo al
suo capitale nemico, e lasciò per Capitano dei Fio-
rentini Taltro fratello Orlando superiore in ferocia,
inferiore nei talenti ai fratelli. Piero, benché eoo
minori forze di Mastino , ebbe senopre la superiori-
tà in campagna^ e lo costrinse a starsi racchiuso
nella città, o trincerato in luoghi forti ^ mentre an-
dava devastando le campagne di Padova^ di Mestre,
e di Treviso: finalmente lo ferì nella parte più sen-
sibile espugnando i forti ch'erano in difesa delle
saline di Padova, e impossessandosi delle saline,
causa principale delle differenze , e perciò della
guerra tra Mastino e i Veneziani (3o). Volgendo
V animo a cose maggiori tentò più volte di occupar
1337 la città di Padova; e gli veniva fatto^ se mentre
con piccola scorta nella notte era andato a sorpren-
dere il Borgo di San Marco, le genti y a cui ordina-
to avea di seguirlo e di essere alla punta del giorno
allo stesso Borgo ^ non avessero sbagliata la strada
nelle tenebre. Dopo essersi incertamente aggirate,
tornarono al campo, e Piero ebbe buona sorte di
ritirarsi illeso. Mastino privo di generosità , e pieno
i
39) Vili. lib. 1 1. cap« 56. Istor. PistoL loc cit.
3o; Vili. lib. 1 1. cap. 61 • Ifttor. PistoL loc. ciu
CAPITOLO PECIMO ^5
dì bassezza, accorgendosi qual sorte di nemico avea
in Piero, tentò disfarsene, corrompendo alcuni u6- di e
ziali tedeschi, acciò T uccidessero. Si scoprì la tra- *^^7
ma, e gli ufiziali per isfuggir la pena, col seguito
di più di mille cavalieri si partirono dall'esercito,
ponendo fuoco agli accampamenti. L'orgoglio e la
soverchia potenza di Mastino avea risvegliata la ge-
losia degli altri Signori Icfmbardi: le prime sue di-
sgrazie ne fecero riunire una gran parte coi Vene-
ziani e Fiorentini per abbatterlo più sicuramen-
te (3f). Andando poco prosperamente per lui la
guerra, gli Aretini suoi alleati, non potendo aver
soccorso, si trovavano a mal partito, premuti da
una parte dai Fiorentini, dai Perugini dall'altra.
Si risolverono pertanto di sottoporsi per anni dieci
al governo dei Fiorentini, limitandone però assai
l'autorità, e furono ricevuti. Pare che stanchi da
tante agitazioni, e interne , e esterne sperassero con *
questa dedizione qualche tranquillità sotto la pro-
tezione dei Fiorentini. Questa speranza condusse
fuori di Arezzo per due miglia una folla di popolo,
coi rami di olivo, incontro ai dodici Cittadini man-
dati di Firenze ad ordinarne lo stato, ai quali si
fecero sommi onori. Contribuirono assai a questa
impresa i Tarlati , che avendone avuto da gran
tempo il governo, lo vedeano ora vacillante. Pietro
Saccone però trasse tutto quel profitto che potè^
essendogli pagati a5 mila fiorini di oro per Arezzo,
e ]4 niila pel Viscontato di Val di Ambra, acqui-
stato già dal suo fratello Vescovo (S^). Si confermò
• .
(3i) Gìo. YIlLlib. 11. e. 6i.
(3a) Venne Pier Saccone in Firenze (Vedi Villani lib. ii.
eap. 69.) con una comitiva di pia di loo persone a cavallo* In sei
«46 LIBRO TERZO
■frattanto la lega dei Fiorentini coi Veneziani, e con
^°c! ^^^^^ g^i 3'^" Signori lombardi (33), per la distra*
1337 zione degli Scaligeri. Mosso Mastino verso Mantova
si era portato a Bovolento per impedire a Piero dei
Rossi l'unione col fratello Marsilio, e ì trasporti
delle vettovaglie. Ma Piero , sapendo che il campo
di Mastino non poteva avere altr'acqua da bere, cbe
quella del canale tra Bovolento, e Cbioggia, vi fece
gittar dentro tante sozzure, e lo resesi fetido ed
immondo, che fu costretto Mastino a levare il cam-
po. Era Padova guarnita da Alberto della Scala:
vi si trovavano dentro quei di Carrara, Signori uaa
volta di Padova, maltrattati assai ora da Alberto:
tenne Piero pratica con questi, e accostatosi col-
r esercito a quella città , vi fu introdotto , fece pri-
gione Alberto, e fu data la signoria alla famiglia
Carrara (34)- Piero animato sempre più alla distru-
zione del suo nemico, senza arrestarsi un momento
dopo la presa di Padova, andò ad attaccare il ca-
stello di Monselice, trovandosi nel più forte della
zuffa, e combattendo nell'antiporto, quasi guada,
guata la piazza fu ferito da una lancia nel fianco
fra la commettitura della corazza. Ad onta di que-
sto colpo volle passare il fosso, trattasi la lancia
dal fianco; ma incrudelito il dolore della ferita, e
versando in gran copia il sangue, si fece porre in
lina barca, e condurre a Padova ove presto se ne
morì. 11 dolore affettuoso dei soldati anche merce»
di, che TÌ dimorò , diede splendidi coayiti ai Fiorentini» e Tnltio»
giorno in Santa Croce ne fece uno dei più magnifici , nel qu^Ie mk
ai mille cittadini dei più onorevoli erano alla priaia mensa.
(33) Erano questi Azxo Visconti Signore di MUano» Ofoiat
marchese di Este» Luigi Gonxaga Signoro di MantOTa.
(34) Cortus. hist. tom. XII. rer. lUL Gio. Yill. lib. 1 1 . cap. 64*
CAPITOLO DECIMO 247
narj, la costernazione della parte di cui era Capita-
no, la letizia del nemico , ne fecero il vero elogio . ^j- q^
Gli furono celebrate poraposamente l'esequie in ^^^^
Padova , in Venezia^ in Firenze; uè guari andò che
il suo fratello Marsilio^ per febbre contratta dalle
continue fatiche della guerra, e pel dolore del fra-
tello, ebbe la stessa sorte (35). L'ardire, e la bra-
vura che avevano impresso nelle truppe, ^durò qual-
che tempo, giacché la Lega s' impadronì di Mestre^
Orci, Canneta, e d^Ha stessa città di Brescia. Dapo^i338
varj altri danni fatti al nemico si era l'esercito ac-
campato presso a Verona città principale di Masti-
no: e perchè era troppo ben difesa da sperar di oc-
cuparla, fattovi correr dei palj per ischerno, secon-
do Tuso di quei tempi, si portarono gli alleati sopra
Vicenza, Mastino veggen.dosi ridotto a mal partito,
perdute tre delle sue principali città, minacciato in
Verona, le sue genti sempre battute, tentò tutti i
mezzi per accordarsi coi suoi più potenti nemici,
cioè coi Veneziani; i quali vedendo che finora non
avevan tratto alcun importante profitto da una guer-
ra dispendiosa, essendo Padova venuta in mano dei
Signori Carrara, Brescia dei Visconti, offerte loro
da Mastino condizioni vantaggiose, le accettarono:
furon esse la cessione di Trevigi, Castelfranco (56)
e Bassano. Vi si accordarono anche gli altri alleati
di Lombardia, molti dei quali avean guadagnato
(35) Vili. lib. 11. cap. 64. 65. e Istor. Pistol. dicono: Piero
era savissimo di guerra , prò' e cortese oltre a osni altro che a
quel tempo si trovasse, e il pia avventuroso cavaliero in fatto di
arme*
(36) Così il Villani» ma neir istor. del Corlus. (Rer. Ital.
tom. 1 a. ) sì dice che i Veneziani ebbero Trevigi ^ e Ubertino da
Carrara BaasaiKr» , e Castelfranco •
«48 LIBRO TERZO
\ delle città, e delle terre ^ e tutti erano stanchi del
die. dispendio che recava la guerra. I soli Fìorentiai fu-
i339ronoi malcontenti. Erano entrati in una dispea*
diosa guerra per guadagnar Lucca, e non avevano
ottenuto che pochi castelli, ch'erano quasi un' ap-
pendice di quella città • Più di 600 mila fiorini
erano stati spesi • Avea contratti il Comune molti
debiti coi particolari, e impegnate le rendite di va-
rie gabelle per alcuni anni. Benché pertanto e lo
sdegno contro la mala fede dei Veneziani , e il ti-
more di Mastino , che possedendo Lucca sarebbe
stato sempre pericoloso, gli distogliessero dalla pa-
ce.vi furono obbligati dalle circostanze, perchè non
cadesse su di loro tutto il peso della guerra (Sj).
(S7) Vili. lib. 1 1 • eap. 7^ 6i. 89.
» '
.*
^49
CAPITOLO XL
SOMMARIO
Pestilenta in Firenze • Ambasciata dei Romani • Congiura contro
il Governo scoperta . Guerra con Pisa , Fiorentini in Lucca , I
Fiorentini son retti dai Pisani, che pongono r assedio a Luc^
ca» di cui s* impadroniscono . Duca di Atene Conservatore di
Firenze i e Generale dei Fiorentini, Gli è ceduta la Signoria
per un unno ; indi dichiarato assoluto Signore di Firenze a
vita • Estorsioni e rigorose esecuzioni sotto il suo governo,
F'izj del Duca e dei suoi cortigiani . Indignazione generale •
ingiuste crudeltà. Tre cospirazioni si formano a un ter^o
€ontro di lui. Tutti gli Ordini dei citìadini si sollevano contro
il Duca ,e lo cacciano di Firenze, dojto averne egli rinunziata
la Signoria,
LJ na repubblica la di cui forza sta nel commer-
cio-com* era la Fiorentina, non dovrebbe prender^.""*
parte in gtierre dove non è quello interessato. Le 1339
conquiste ch'ella può fare son sempre assai più di-
spendiose delle rendite^ risvegliano la gelosia dei
Tjcini y e impegnano in nuove guerre coi confinan-
ti. AI fine di una guerra fatta per l'acquisto di
Lacca si trovò la repubblica ^ senza averla potuta
ottenere, assai indebitata; ed ebbe la sorgente delle ~
sue ricchezze, cioè il commercio, una terribile scos-
sa nel fallimento delle compagnie dei Peruzzi, e
din Bardi • Aveano queste dato in prestito a Eduar-
do III re d' Inghilterra un' immensa somma di
denaro. Era questo Re intrigato nella guerra con la
Francia» Ma quantunque per lo più vincitore^
quantunque avesse invaso più volte le provincia
aSo LIBRO TERZO
-. francesi, tuttavìa il lusso, e la magnificenza della
di C. ^^^ Corte , le spese della guerra incalcolabili, e gra-
^3^9 vose anche ai vincitori, lo posero neir impotenza
di soddisfare ai sijoi creditori, e convenne loro fal-
lire per un milione, e 365 mila fiorini di oro(i).
Se si dia alla moneta il valore che avea io quel
tempo, si vedrà che questo denaro sarebbe equi va-
lente a circa sette milioni di zecchini dei nostri
tempi. Perduta una tal somma dalla città di Fi-
renze si può facilmente concepire il danno delsoo
commercio. Si crederebbe interamente perduta: ma
questi dapni temporaij facilmente si riparano, quao-
da non sono esauste o divertite altrove le foati pri-
marie della ricchezza, le quali restando inFireoie
sempre illese, ben presto riempirono la momenta-
nea deficienza. Ma non potea in più mal punto
ciò avvenire, mentre il pubblico che trae le sue
rendite da privati si era tanto indebitato. Si ag-
giunse a questi mali la carestia dei vi veri, e ciò che
suole ben spesso accompagnarla, una febbre pesti-
lenziale per cui, se non esagerano gli antichi acrìt-
tori, non meno di i5 mila persone mancarono ia
quest'anno dentro le mura di Firenze. Per conso-
lare con una lieve aura di ambizione le calamità
dei Fiorentini vi giunse una onorevolissima Amba-
sciata da Roma . Questa città nella lontanansa del
Pontefice era stata agitata da politiche convulsiooi,
originate dalla discordia dei Grandi. Siccome era
fama che i Fiorentini avessero in gran parte sopite
le loro, col togliere ai Grandi ogni parte nel go-
verno, vennero i romani Ambasciatori pe^info^
( i) Gìo. Vili. lib. 11. cap. 87.
CAPITOLO UNDECIMO aSi
marsi della fiorentina Gostitozione ^ *e dei mezzi
d'impedire ai Grandi il turbare la pubblica quie-^ic.
le (a). Ma mentre i Romani venivano ad appren- »34o
dere la maniera dì viver tranquilli dai Fiorentini,
stavano per ricominciare in Firenze le domestiche
ostilità. Erano Andrea Bardi, e Bardo Frescobaldi,
stati molto aggravati da Jacopo Gabbrielli di Gub-
bio, creato n.uovamente Capitano della guardia, ed
esecutore degli ordini dispotisci di quei pochi , che
voleanoil governo esclusivo nelle loro mani» da cui
e i Grandi, e la plebe n'erano affatto allontanati, e
molti ancora del loro ordine. A quei due inaspriti
delle recenti offese, si unirono molti altri dei Gran*
di, privati del governo per legge, e dei popolani che
per prepotenza n'eran tenuti lontani, e si tramò
una congiura per mutare il governo. I loro amici
forestieri. Pazzi, Tarlati, Guidi, libertini, ec. do-
veano venire in Firenze, e il di a di novembre
si dovea sollevar la città, e mutare il reggimento.
Fu scoperta la congiura il giorno avanti a quello del-
Tesecuzione da Andrea dei Bardi, che o per timo-
re, o per rimorso rivelò il trattato a Jacopo Al-
berti uno dei capi del governo. Questi adunati, non
vi essendo tempo da perdere, fecero suonar la pubr
blica campana a martello , e il popolo corse armato
per tutta la città contro i traditori , ai quali non
erano ancor giunti soccorsi , onde quelli che si tro-
vavano dalla parte dritta delTArno non si mossero:
dall' altra parte poi corse alle armi, e tentarono di
difendersi nella via detta dei Bardi . Circondati da
ogni parte dal popolo armato, stavano per venire
(a) Till. lib. u.c. 1 1 5.
202 LIBRO TERZO
"alle mani, quando il potestà Matteo da Ponte bre-
diC. sciano^ uomo venerabile, s'interpose^ e ponendo in
1340 vÌ5ta ai Bardi^ e Frescobaldi il pericolo imminente
di esser trucidati colle loro famiglie^ gli persuase a
posar l'armi : ottenne lo stesso dal popolo^ promet-
tendogli che i congiurati partirebbero di Firenze,
fuori della qual città gli accompagnò egli stesso
nella notte (3).
i34i Parea che la fortuna scherzasse coi Fiorentini ,
offerendo 9 e togliendo loro a un tempo replicata-
mente la città di Lucca, turbandogli sempre o ne
cercassero T acquisto coll'armi, o coi denari. Ma-
stino della Scala dopo la /perdita di Parma, toltagli
da Azzo da Correggio, vedendo non poter più so-
stener Lucca, l'offerse ai Fiorentini al prezzo di
aSo mila fiorini di oro: acconsentirono i Fioren-
tini, ma prima che venisse loro in mano^ dovettero
• contrastare coi Pisani. Pareva a questi di non poter
più sostener la loro libertà, se Lucca restava ^deì
Fiorentini (4)* Sarebbe loro piaciuto; non potendo
vincer coi denari ì Fiorentini , che Lucca restasse
in libertà: fecero va rj consigli nei quali fa alla fine
determinato che si prendessero Tarmi colle quali
se ne contrastasse ai Fiorentini il possesso ; e dopo
qualche inutile trattato con Mastino, vi posero l'as-
sedio. Aveano adunate molte soldatesche e dai Ghi-
bellini toscani, e dai Signori di Lombardia , spe-
cialmente da Luchino Visconti, di cui comprarono
l'amicizia col tradimento. Uno dei primi cittadini
(3) YIIL lib. 1 1 . e. « 1 7. 1 18. Istor. Pìstol.
(4) SI diceva che Mastino» coacludendo il trattalo coiDepatali
fiorentini avea detto loro : Io vi vendo Lucca , e Pisa vi domo.
Biarang. croniche di Pisa •
CAPITOLO UNDECIMO a53
milanesi^ Francesco da Postierla ^ avea sposato la
bella, e virtuosa Margherita Visconti^ stretta pa*!]"^!
rente di Luchino^ e di cui questi invaghito era ^^4<>
stato da lei rigettato. Reso noto al marito il suo mal
animo, T indusse a tramare una congiura ,la quale
scoperta, fuggi Francesco in Avignone, donde coi
più insidiosi artifizj fu da Luchino tirato a Pisa. Ad
onta di un salvocondotto , con cui lo aveano i Ret^
tori di Pisa assicurato , fu ivi preso e consegnato a
Luchino, che per colmo di barbara brutalità lo
fece decapitare insieme colla saggia, e sventurata
consorte (5). Per quella perfidia ebbero i Pisani
potenti aiuti da Luchino , e poterono sostenersi in
faccia ai Fiorentini. Il Vicario di Mastino trattava
nello stesso tempo anche coi Pisani, ponendo Lucca
air incanto. Dopo varie altercazioni sul pagamento
dei denari , fu finalmente introdotta in Lucca la
gente dei Fiorentini, restando perj5 in mano dei
Pisani due luoghi forti appartenenti al contado luc-
chese, il Ceruglio,e Monte-Chiaro, per cui furono
scemati 70 mila fiorini di oro. Non si partivano
però i Pisani, e restando immobili nella pianura di
Lucca, avrebbero fatto gran senno i Fiorentini a
starsene sulle difese, o occupando dei posti impor-
tanti, impedire il trasporto delle vettovaglie all'ar-
mata pisana , o travagliando il contado loro con
delle scorrerie: ma si recarono a vergogna il la*
sciarli tranquilli, giacché uniti alle genti di Masti-
no erano superiori , onde accostatisi ai nemici pre-
sentarono loro la battaglia presso alla Ghiaia • Non
la ricusarono i Pisani: si combattè con varia fortu-
(5) Corio, Stor. di Mìl.
a54 LIBRO TERZO
^ tuna. Inclinò sul principio la vittoria ai Fiorentini,
diC.^ fu fatto prigioniero Giovanni Visconti figlia di
>34i Luchino; ma disordinatisi neir inseguire il nemico,
furono da una sclìiera, restata a guardia del campo,
rotti e posti in fuga . Ebbero gran parte in questa
vittoria i balestrieri , fra ì quali ve n' erano molti
dei Genovesi assai stimati in questa sorte di arme.
La cavalleria dei Fiorentini tanto più numerosa di
quella dei Pisani fu in gran parte disabilitata dal-
l'azione per questa sorte di armi. La perdita dei
Fiorentini tra morti , e prigionieri non fu minore
di due mila uomini (6). Da questo vantaggio cre-
sciuto l'animo ai Pisani, strinsero nuovamente
Lucca di assedio. Fu singoiar cosa il vedere in que»
i34a sto momenCo comparire gli Ambasciatori del vec-
chio re Roberto chiedendo ai Fiorentini il possesso
di Lucca come cosa propria, giacché dicevano, fino
dal i3i3 Lucca si era posta in sue mani, quando
gli fu tolta da Uguccione della Faggiola . Non fece
però minor meraviglia il pronto consenso dei Fioren-
tini ^ i quali perdevano una città tanto desiderata, e
comprata con tant^oro, e tanto sangue. Gli stessi
Ambasciatori, avuto il possesso, andarono a Pisa,
e intimarono a quella Repubblica di levar l'assedio
di una città appartenente al re di Napoli: ma i Pi-
sani, non cedendo cosi facilmente, proposero di
mandare Ambasciatori al re. Si può congetturare
che il Re antico amico dei Fiorentini agisse di con-
certo con essi, per far ritirare i Pisani, come que-
sti realmente sospettarono. Era stato fatto Gene-
rale dei Fiorentini il Ma la testa. Si mosse per far
(6) Giov. Vili. lib. II. e. i33. i34. Istor. PistoL Mamig.
CroQ. di Pisa.
CAPITOLO UNDECIMO ^55
levar V assedio 'di Lucca : fu però scaltramente
tenuto a bada dal Capitano dei Pisani, il quale ^-^q)
non avendo gente bastante per misurarsi coi Fio- i36a
rentini, e sapendo quanto mancava Lucca di vi-
veri, volea combatter colla dilazione. Giunse al
fiorentino esercito il Duca di Atene con loo, ca-
valli francesi; vi giunsero anche altri rinforzi;
ebbero luogo varie operazioni sul fiume Sercbio
ove i Pisani benché inferiori valorosamente si di-
fesero: il Malatesta, superiore di forze, non potè
mai sloggiarli, o forzarli alla battaglia; e dopo molti
tentativi per soccorrer Lucca fu obbligato a ritirarsi.
Abbandonati cosi i Lucchesi, doverono venir a pat-
ti coi Pisani: questi furono assai moderati, poiché
(data facoltà ai Fiorentini che vi erano di ritirarsi)
si contentarono di tenere per quindici anni nel ca-
stello di Lucca, detto dell'Agosta, e di Ponte-tet-
to, e della Torre di Montuolo, un loro presidio, che
fosse pagato però dai Lucchesi; in tutto il resto fos-
sero liberi (7). Dopo tante spése, e tanto sangue,
Lucca sì bramata^ tenuta un momento, fu nuova-
mente perduta.
I poco felici avvenimenti, come avvenir suole,
avevano eccitato l'odio contro i regolatori della Re-
pubblica fiorentina. Questi per coprirsi, e per vol-
gere altrove i pensieri, e la rabbia dei nemici, fe-
cero scegliere per conservatore, e protettore della
Città^ e suoi stati Gualtieri (8) Buca di Atene ^ e
(7) Vedi Vili. lib. 10, cap* lag, i3o. iBi. i3a. ed i segaenti,
e ristor. Pistol.
(8) Egli era titolar Baca di Atene, educato in Grecia , figlio
di un altro Gualtieri vero, Duca di Atene, ucciso combattendo
contro una compagnia di Catalani , formata in Grecia come lo
compagnie di Italia erano formate. Questo tiranno di Firenze^ do-
256 LIBRO TERZO
? Conte di Brienne, originario francese ^ DUtrìto m
^°q' Grecia, e in Puglia. Fino dal tempo che avea in
i34a Firenze sostenute le veci del Duca di Calabria, ai
era acquistato gran riputazione di saviezza^ e di
giustizia: onde finito il tempo della condotta del
Mala testa, fu eletto Generale, e Conservatore colla
più estesa facoltà di esercitar la giustiziale dentro,
e fuori di Firenze. Aveva il Duca moltissima ambi-
zione, e sufficiente talento per profittare delle cir-
costanze della città* Era essa divisa in tre Ordini
di persone , Grandi^ Popc^ani ricchi, e Plebei: tro-
vavasi il governo intieramente in mano dei secon-
di; gli altri due Ordini perciò doveano essere scon-
tenti ; aggiunte agli antichi torti le disgrazie acca-
dute alla Repubblica, per poco saggia ammioistra*
zione di chi governava , le lagnanze furono piò
frequenti, e più ardite: i più arditi, e con più ra-
gione, erano i Grandi. Non contento il popolo dì
aver loro tolta ogni parte del governo, non am-
ministrava ad essi la giustizia: si facevano agiro
nel più severo modo contro loro le leggi, le quali
tacevano i) più delle volte per l'Ordine che gover-
1343 nava: anche in questo però non mancavano perso-
ne, cui era odioso il Governo, giacché le cariche più
importanti si riducevano in mano di pochi. Tutti
i malcontenti si unirono col Duca sollecitandolo
vivamente a farsi Signore assoluto della città^ e pro-
misero di sostenerlo, anteponendo cosi la servitù
. della patria ad un libero ma aristocratico governo,
in cui non avean parte . Manteneva il Duca ed au-
mentava questa buona disposizione, e con alcuni
pò varie vicende in Puglia > e in Francìa^perdè la tìU neilt cd*-
bre battaglia di Potiers.
CAPITOLO UNDECIMO aS;
colpi di vigore che avevano Taria della più esatta
giustìzia , si trasse gli applausi dei malcontenti, e^"^!
incusse terrore nei popolani , avendo chiamato in i34^
giudizio, e fatto provare il rigor delle leggi appunto
ad alcuni, che per esser nel numero di quelli , fra
i quali le principali cariche si dividevano, erano
impuniti, e perciò odiosi agli altri • Giovanni dei
Medici fra i più potenti era stato Capitano di Lucca.
Arrestato^ per forza di tormenti, confessò che per
denari aveva lasciato fuggir Tarlato dal campo,
benché la fama portasse che non era reo che di
mala custodia, e gli fu mozzo il capo. Ebbe la me-
desima sorte Guglielmo A Ito viti accusato di barata
teria. Rosso dei Ricci, e Naldo Rucellai furono ar-
restati ancor essi , il primo dei quali si era appro-
priato le paghe dei soldati, T altro avea ricevuto
denari dai Pisani per secondare i loro interessi. Non
volle il Duca punir questi di morte, perchè il trop-
po sangue non rivoltasse il pubblico : furono però
condannati in denaro, indi il Ricci a perpetua car-
cere^ il Ruceliai al confine di Perugia (9). Questi
gastigbi in 4 delle principali famiglie, use ad essere
inipunite, e odiose alla plebe ed ai Grandi, conci-
liarono gran favore al Duca^* il quale credendo ornai
(9) Vili. lib. la. cap. 1. a. Istor. Plstol. Questi pochi delitti pu-
niti per un colpo dì vigore del Governo ci possono fare congettura*
re q.i^.')nti altri andavano impuniti, e quanta era la corruzione del
Governo, e perchè in una Repubblica coramercJante fosse tanta
avidità) dei pubblici impieghi . Con gran verità scrive un certo au-
tore di quei tempi, dell' imprese andate male dei Fiorentmi:
questo si crede sia stato piuttosto perchè lo popolo, che V ha
retta , ha più atteso al guadagno che al bene della Repubblica ,
e -ve desi che gran parte dei mercatanti fiorentini per attendere
al Comune hanno lasciatili fondachi , e le mercanzie, Istor.
PistoL
J^utrio IL 17
v~^
358 LIBRO TERZO
" maturo il disegno di farsi Signore assolato^ e sa*
die. pendo di averne la forza , volle nondimeno doman-
«343 dar la Signoria al Gonfaloniere, e Priori. Nega-
rono questi con modeste, ma ferme rimostranze;
conoscendo però il favore grande del pubblico verso
di lui, per non eccitare un pericoloso tumulto ,
dovendosi la mattina appresso adunare il popolo,
fu deliberato dal Magistrato che gli si dasse per un
anno la Signoria con quelle limitazioni con coi
l'avevano goduta il Re Roberto, e il Duca di Cala-
bria* La sera innanzi andò il Magistrato con altri
rispettabili cittadini al Duca, che per conciliarsi
maggiore stima di pietà e di moderazione, abitava
nel convento di Santa Croce; e dopo molti dibatti-
menti fìnse di accordarsi. Ne furono da nota] di
una parte, e dell'altra firmate le condizioni , e ap-
provate dal Duca con suo giuramento (io). Venne
nella matiin?i del dì 8 settembre il Duca al palaz-
zo dei Priori accompagnato dalla maggior parte
della nobiltà ,da innumerabil plebe armata , e dalle
proprie truppe. Il Gonfaloniere espose la delibera-
zione fatta la sera: quando si sentì che la Signorìa
di Firenze era data al Duca per un anno, molte
voci deirinfimo popolo gridarono a vita. Aperte le
porte del Palazzo, vi fu dalla nobiltà condottole
istallato assoluto Signore, cacciandone ì Priori, e
Gonfaloniere, i quali restarono col solo nome tra-
sportati altrove» rappresentare una scenica farsa.
Si fecero fuochi di gioia . Le armi del Duca si videro
appese ad ogni canto: al suono di tutte le canapane
furono sulla torre inalberate le sue bandiere: e ii
(ló) Gio. yiil. lib. 1 a. cap. 3.
CAPITOLO UNDECIMO a5g
Vescovo Acciaioli pronunziò uu'omilia, in cui fece
Suonare altamente le lodi delle sjippos te virtù del j"^*
Duca. Tutte le città della Repubblica ancora si det- 1343
tero al medesimo (i i): diventò egli pertanto Signore
di Firenze non colla limitata autorità^ colla quale
i Reali di Napoli più di una volta Tavean tenuta,
ma con assoluto potere » parte concessogli , parte
usurpato. Diritto di vita sulle persone^ collazioni di
impieghi^ imposizioni di tasse, o gabelle, tutto fu
nel suo arbitrio: tanto può un momentaneo accie-
camento prodotto dalla furia dei partiti ! Quelli
che potevano più guadagnare nella mutazione era-
no i cosi detti Grandi, che esclusi dalle cariche , e
obbligati ad obbedire al governo dei mercanti ,
avevano ora tutto il fondamento di sperare che il
V Duca, a cui il loro rango gli avvicinava più degli
altri, concederebbe ad essi e favore, e non piccola
parte nel governo. Uno dei primi atti del Duca fu
la pace, e poi la lega coi Pisani, credendola utile
a confermare il suo dominio; ciocché dispiacque
assai ai Fiorentini. Egli è più facile l'acquistare
gli stati che il mantenerli. Pochi possono essere i
favoriti nella mutazione, e questi anno innumera-
bili scontenti tra quelli, che speravano, o si cre-
de vau dovuto lo stesso premio. L'animo ancora,
che nell'esecuzione deir impresa è stato assidua-
mente vigilante, ed attivo, ottenuto il fine, suole il
più delle volte rilassarsi, quando la vigilanza do«
vrebbe accrescersi (^12) . Credette il Duca di poter
(11) Gio. Vili. lib. 1 3. cap. 3, e 4-
(la) £di notarsi la lettera scrìtta al Duca dal re Hoberto
per le inerita che gli dice, ei consigli che gli dà: ^on senno ^
non virtù, non lunga arnislà> non servigi a meritare, uou ven-
dicatogli di loro onte , ti ha fatto Signore dei Fiorentini, ma l<i
a6o LIBRO TERZO
^ conservare colla forza quello che si era acquistalo
diC. ^^^'^ benevolenza, onde assoldò molte truppe fore-
i333 5tiere pagate coi denari della Repubblica, mezzo
insufficiente contro una popolosa città, che sia mal
disposta. Presto trascurò l'amicizia dei Grandi, e
si pose a coltivare la plebe, stendendo il suo favore
sopra la più bassa gente, per avere in essa uà for-
te appoggio. I suoi cortigiani, e ministri, quasi tut-
ti forestieri, divennero presto per l'insolenza ed e-
storsioni intollerabili al pubblico. Erano suoi prin-
cipali confidenti Cerrettieri Visdomini, consigliere
dei pubblici affari, e dei privati amori, Guglielmo
di Assisi Capitano del popolo, (ora col nome di
Conservatore suo esecutore, e carnefice), e Arrigo
Fei abilissimo nell'arte di spremer denari dal pub-
blico. Il suo Consiglio di Stato però aveva uu'arii
di dignità essendo composto di Prelati , cioè dei Ve-
scovi di Lecce, e di Assisi , di Arezzo, di Pistoja ,
di Volterra, non avendovi luogo altri secolari che
Tarlato Tarlati, e Ottaviano Belfort: ma da que-
sto rispettabile consesso non escivano che leggi gra-
vose al pubblico, ed esecuzioni sanguinarie . Sof-
loro grande discordia , e il loro grave stato » di che se* loro pia
tenuto , considerando Tamore che ti hanno mostrato credendoÀ
riposare nelle tue braccia . 11 modo , che hai a tenere ^oleudoti
bene governare si è questo . Che ti ritengUi col popolo , che prima
reggeva^ e reggiti per loro consiglio , non loro per lo tuo; fortlGca
giustizia e i loro ordini , e come per loro si goveruava per sette ,
fa che per te si governino per dieci, eh' è numero comune , che
lega in se tutti i singolari numeri; ciò vuol dire noUi reggere per
se, nò divisi, ma a comune. Abbiamo inteso, che traesti aneli i
Bettori della casa della loro abitazione, cioè dei Priori del Palazzo
del Popolo fatto per loro acconteutamenlo dal Popolo: rimettilt\i,
e abita nel palagio ove sia il Podestà ove abitava il Duca di Cala-
vria , quando ei fue Signore in Firenze: E se questo non farai,
non ci pare , che tua salute si possa stendere innanzi per ispasio
di molto tempo. ( Gio, VilL Uh. i a. cap. 4*)
CAPITOLO UNDECIMO i6i
frivano lo stesso trattamento le città suddite della ^
Repubblica: i suoi Potestà non avevano altra cura die.
che di spremer dell'oro dai cittadini per empir le *^43
casse del Duca « È molto probabile che siffatte per-
sone cogli stessi mezzi cercassero di arricchirsi an-
ch'esse; ma il Duca, quando erano impinguate^ col
metodo dei Sovrani di Oriente^ li spogliava dei mal
guadagnati tesori ; e questa era Tunica sodisfazione
che dava all'angariato pubblico (i 3). Principali per-
sone furono fatte morire per lievi cause, altre mul-
tate gravosamente in denari (i4)- ^ questo si ag-
giunse r insolenza , la sregolatezza dei Duca , e dei
suoi dipendenti verso le donne le più oneste, fra le
quali si sforzavano d'introdurre gli usi, e le ma-
niere libere delle Corti francese, e napoletana, e so-
stituirle alle modeste e decenti dei Fiorentini repub-
blicani. Né solo le comuni dissolutezze deturpavano
i suoi cortigiani , ma vizj ancora dai quali aborre
la natura (i5). Si sparse un malcontento in tutti gli
ordini di persone; nei Grandi, oltre gli addotti mo-
tivi, per non essere ammessi al governo, come spe-
ravano; nel popolo per averlo perduto; in tutti gli
Ordini per le cresciute imposizioni; sicché non era-
no scorsi tre mesi che il governo del Duca era de-
testato con più violenza che non fosse poco innanzi
bramato. Non fu difficile al Duca il conoscere la
nitilazione, e l'odio crescente del pubblico: la sua
maniera di operare in queste circostanze fu poco
giudiziosa . Era assai naturale T immaginare che in
un nuovo principato si potesse ordire contro di lui
(iBJIstor. Pislol.
Ci 4) ^io. Vill.lib. 12. e. 8.
( I r>) Istor. l*Ì5lol.
a6a LIBRO TERZO
7 qualche congiura ; credè di potersi guadagnare V af^
di C. fezione pubblica con un'aria di confidenza, e di si-
i343eurezza straordinaria, che giunse non solo a di-
sprezzare, ma a punire come calunniatori coloro che
gli davano salutevoli avvisi. Matteo di Marozzo, a-
vendolo avvertito, che la famiglia dei Medici tra-
mava di ammazzarlo, fu con inutile e mal avveduta
barbarie attanagliato, e impiccato: questo terribile
esempio non spaventò altri ; tanta è la speranza e il
coraggio dei delatori . Lamberto degli Abati sue*
cesse a Matteo nella delazione, e nella pena : aven-
dogli scoperto che alcuni nobili fiorentini tramava-
no la sua morte, e che ne tenevano pratica con Gio-
vanni del Riccio Capitano di Mastino, ebbe il pre-
mio degno del mestiero di delatore. Questa crudele
severità, senza riguadagnarli Tanimo dei Fiorenti-
ni , era atta ad invitare i malcontenti a congiurare
arditamente. Pareva però che con inaudita leggerez-
za il Duca curasse più le parole, che Fazioni ; giac-
ché, essendogli riportato che Rettone di Gino già be-
neficato da lui avea sparlato del suo governo , gli fece
svellere la lingua , conficcarla sopra una lancia, e
accanto ad essa strascinare il disgraziato Rettone so-
pra un carro per la città, confinandolo indi in Roma-
gna, ove dalle conseguenze della ferita si morì (i6).
JNon può esprimersi quanto in una città loquace , e
volonteirosa di esaminare, e giudicare gli affiiri pub-
blici, siffatto gastigo sbigottisse ed inasprisse ad un
tempo i cittadini, vedendo perduta anche la liberti
della parola. Essendo animati contro il Duca in si&tr
ta guisa tutti gli ordini dello stato , tre cospirazioni
(16) Gio.yiU.lib. ia.c8.
/
CAPITOLO UNDECIMO a63
si formaroDo contro di lui nello stesso tempo, senza
che Tuna fosse informata dell'altra. Capo della pri- dia
ma era lo stesso Vescovo di Firenze Acciaioli: avea ^^43
egli caricato il Duca di strabocchevoli lodi nella pri-
ma istallazione, e n'avea gran rossore. Non si co-
municando i congiurati delle tre cospirazioni , erano
varj i progetti per disfarsi del Duca, niuno dei quali
potè essere eseguito, perchè cresciutigli i sospetti si
era messo in guardia con molta vigilanza , benché i
congiurati restassero per molto tempo a lui occulti •
Francesco Brunelleschi uno degli aderenti del Duca
ebbe sentore della congiura dei Medici da un Sanese
che v'interveniva* Questi però non seppe nominar- \
gli altri che Paolo del Marzecca cittadino florentino,
e Simone da Monterappoli . Arrestati questi, e tor-
mentati, svelarono i congiurati, dei quali era capo
Antonio degli Adimari, uomo di gran riputazione, e
per le sue qualità , e per la grandezza della fami-
glia. Citato, comparve, fu ritenuto; ma il Du-
ca non osò farlo morire . Spaventato dal numero
grande, e dall'autorità dei congiurati, non paren-
dogli aver forze da agir contro di loro, mandò per
dei soccorsi in varie parti della Toscana, ed al Si-
gnore di Bologna • Giunta una parte di questi , fece
chiamare 3oo dei principali cittadini , una gran
parte dei quali era dei congiurati, sotto pretesto di
volersi consigliar con loro come solca talor usare: era
sua intenzione di arrestargli, e parte farne morire,
parte tenerne prigioni, e spaventare con questa ese-
cuzione il resto della città, scorrerla cogli armati e
stabilire vie più il dominio. Si sparse la nuova della
chiamata; e trovandosi tanti compresi nella lista,
che appariva chiaramente una lista di proscritti, il
a64 LIBRO TERZO
* numero dette animo a ciascuno: in breve tempo le
d^G. ^^^ cospirazioni si riunirono in una , e determinaro-
1343 no, in vece di andare ad offrire il loro capo al tiran-
no^ di animosamente assalirlo. Venuta la mattina
di S. Anna destinata all' impresa ^ furono a bella
posta accese delle risse fra la plebe , e venendosi
alle mani, comparve ad un tratto il popolo armato:
si sbarrarono le strade ; la nobiltà , e il popolo obliate
le antiche gare, si abbracciarono, e corsero uniti a
sostenere la causa comune . I soldati forestieri del
Duca, alle nuove della sollevazione^ si mossero in
suo aiuto: molti non poterono giungere al Palazzo^
e furono uccisi, o fatti prigioni; alcuni vi arriva-
rono, e si unirono alla guardia, ch'era solita star-
^ vi. Vennero alcuni pochi dei nobili, che gli erano
restati fedeli , e una parte deir infima plebe ^ che
egli avea cercato di cattivarsi: ma questi, vedendo
che la più grati parte della città era sollevata con-
tro il Duca, lo abbandonarono. 1 Priori, che male
accortamente per sicurezza vi si erano ritirati al
cominciar del tumulto, vi furono come ostaggi ri-
tenuti dal Duca. 1 soldati parte a pie, parte a caval-
lo, ch'erano sulla piazza in di lui difesa, furono
ben presto vinti dall'infuriato popolo; e scesi da
cavallo si ritirarono per salvezza dentro al Palazzo.
Chiuse dal popolo tutte le strade che conducevano
ad esso , non restava al Duca alcuna speranza di
soccorso, né altra difesa che le mura .Queste erano
assai forti, e provviste abbastanza di genti; manca-
vano però i viveri. Vi stette assedialo fino al di 5
di agosto . Intanto radunato il popolo in Santa Re-
parata dette potestà al Vescovo unito a 14 cittadini
di riformare i! governo. Tutti gli agènti dei Duca
CAPrtÒLO UN DECIMO a65
cbé Tennero iti mancy del popolo furoiio drudelmeute
strazia ti 9 e fatti in peezi. Tal sorte ebbero un no^ ^^
tiaio del Conservatore, Simone di .Norcia,. Arrigo i343
Pei, che* fa scoperto nell'atto che Cbggiva .travestito
da frate ^ ed un altro Napoletano* Il popolai non si
contentò della semplice morte, ma gli straniò pub*,
blicamente nella maniera più attoce» Trovatasi
intatìto il Duca colle sue genti stretta > dalla «fiime
iiÌ'Pà1iiÀb/i6 Védéhdòsi ridotta a mal {lartito, cerca
iicdombda'mento . Erano venuti gli Ambuscìatorì
èìii^esi con opportuno aiuto ai Fiorentini. Questi»
insienie col Vescovo, e col Conte Simone trattaro*
no* òol pòpolo, il quale però ricusò ostinatamente
ógni accordo se non gli erano prìmi^: dati nelle ma^
ni Guglielmo di Assisi Conservatoiie'col figlio, «
(ìerrettieki Visdómini. Ricusò il Duca; ma i soldati
fìraneesi, che erano colà racchiusi protestarono non.
Toler morire di fame , o di ferro per tre persone che
non avrebbero neppur salvate, e nella stesala aera
Scoiarono fuori della porta il figlio del Conserya>
tore. Era' un giovinetto di beir aspetto y dì anni i8
non compiti > è non avea altro delitto ohe di esser
figlio di un uomo odioso. Questo bastò al popolaccio
per farne scempio: fu trafitto da mil'le^colpi , strac-
ciato in brani, e lacerato fino coi denti. Lo stesso
strazio fu fatto del padre, ch'era stato spettatore
della carnificina del figlio. Chiesto cpn alte grida,
e cacciato ancor esso dai Palagio, fu tagliato in
pezzi, portato in trionfo per la citià, e con avidità
ferina ne fu gustato il sangue^ e la carne. JÈl strano
il vedere come il popolo riunito possa commettere
delle atroci azioni, di cui ciascuna persona presa
solitariamente non sarebbe forse capace ; pare che
Tomo 11, ' %\s
K-.::
aOe ' LIBRO TERZO
vsì moitiplicfaifia le passioni in proporzione che il
di"?,| numero della folla cresce, e credendo di fere una
1S43 giustizia- nasca emulazione di ferocia^ e ciascuno
gareggt in superare f;li altri in crudeltà . Questa
brutale occupazione fu la salute del Visdomini^ che
obliato in quel momento potè fuggire nella notte «
Dopo tante crudeltà con^iuciò il popolo ad ascoltare
trattati di accordo • Dette il Duca plenipotenza di
farlo per mezze» del Vescovo di X^ecce ai 14 £le(ttiy
e al Vescovo Acciaioli : per questo trattato il dì 3
di agosto renunziò soleonemenjte in faccia dei
sanesi Ambasciatori^ e del Conte Simone alla si-
gnoria di Firenze^ e delle altre citt^, della Repub-
blica , e per segno d^lla rinunzia depose d' avanti
ai testimoni il bastone. Parti il di 6 di agosto ac-
compagnato dal Cjònte che ai QOnfioigriptimò di
confermare.la rennnzia • Bitusò sulle prime ^ ma
minacciato di esser ricondotto a Firenze, s'indusse
a ratificarla» Lasciò atroce^ e- infame memoria di
se ^ né si lode del suo governo e b^ la cura cb'ei si
dkede di riunire glianinou di molli cittadini per
inveterato^ ed ereditario ^ alieoati (17)*
(a;) Tedi VUL|ib. a», ^p. S. i5. tS. Iftor.
l^iìXE DEL Tono Szcoif bo
«
467
LIBRO TEfi.ZO
A „ . , . I , t • ' » I r , I
\
ti' • * ,, 1 f ' 1 » •
t
ITI
6
; SOMMABìIO .
Capitolo I. Slato della Toscana dopo la morte d^Ila
-P Contessa Matilde . . ,v,^,:, 7 • , r, f^?^ 4
8v Pis^. 3ua angine , ; ,, - ;^ . .• /. ;, • jW
ia Sua ricchezza , ... ., ..^ ; ... ; . ; ,• ., ; ,.• .- 5
1 ; Sua potenza. ., •.;,•;., v. 6'.rff.i.;» '' - 1:- * -'■
ot Suci'imprjBse. . . •. '. *. ;' '> :^ / ' t
i'/. Pam A\^ M ^el; C^9^i|ir^ ^^^^^}f> 4i L?*nJ^ t
;,; di Sardina. .1 • • • , «.j • .•..,•. \ • 7
oK I Pisapl ?ono incestiti dal Papa del d^minÌQ
i, . delk §?i??l6gna. . , . . .. ,.• .• /. •,;.i t »^i
: , AtUcc^no. Paler^?. i r . v.,' . / d' , " ' j • / ^®
;/: Craciate.. ..... •,;. .'/ ,•; • •. i »^i
; Riflessioni su di esse ^ , .j ,. j .j .. ». ;, ^ j *^*
Pane che vi prendono i^;^^i«^i}i .. -, . • ,» /^ *<>
i 7 Pretesti di Daibertq Ar^iyesfcfly 0 di Pisa .., .^ ivi
Dà r inve?titpra di C^s^J«pipie.3 Gofir^ ^ i x
CàprrpLO. II, Origine 4i.Ejr^pje 1 j, - % r „• > xa
. 1 Estensipn^ delle. sue mu^^ .^; 1 . . . ...>(.. , .. * i5
; Aumento di Popol^}oji^i b Ji • r c'm:-.:/. »6
A " tìSftondo e terzo recinto delle mur^ ,. ^ .. .^ ivi
-. Notizia cc;rte. di Fiy^M^)aVa,Cppj|ei^U,fe^^^^ ^7
. . Paivdetjte ritrovate in Amalfi . •- •. •ni.t: • ^^^
: . I Pisani ^aji»P<ptti d^.R^g?WÌ„nrr ^: ^ r,t ,< *9
. DueW;0. ]\fcr^h^.A,T/ìfe<pq9b ,f. • -i.-l ^^
iJ. Oii#il|0*|di,8iei||ft i.,:. .t.) liV.:^ > .-^ V '.-1 ^^^
Estende i;ijii^*iOO|^iii» ^ .•,;•.'-) ►m ;• m: .4 ^'
Sua goverrt>i.;^..sUfl pQt^M43,. ♦.. a") » ' *i '^*
. , Spedizione i/<^jPÌ#at4: i*,*>4 n* j-fi-'^ n- ^ **
(1
i-o I N t) 1 e E
Farinata capo dei Ghibellini 7 5
Massa di tessi in Slewa • . ivi
Celebre battaglia di Monteaperli , e roum dd
Guelfi . • . .75e7t5
Capitolo V. Decadenza dei Guelfi ...... 78
Cacciarti da rarie cìtt^ di Toscana , «ono aocolti
in Lucca ìv»
I loro beni sono confiscati 79
Concilio dei Ghibellini in Empoli . . . . ìtì
Farinata , si oppone al progetto di minar Fi-
renze i\i
Stabilimento della Taglia . ' 80
Guerra con Lucca e con gli eiuli Guelfi . . ivi
Paóe con Lucca; abbandono e miseria dei Guelfi. 8 1
Venuta di Carlo di Angiò in Italia • . . 82 e 83
Battaglia di Benevento; morte de! Re Manfredi . ivi
Carattere di questo Re 84
Buina dei Ghibellini in Toscana ..... ìtì
Cavalieri Gaudenti tentano di pacificar Fi-
renze ivi e 85
Riformano lo Stato , ivi
Distinzione del popolo in Ani ivi
Nuove dissensioni e tumulti ...... ivi
Finta pacificazione dei Guelfi e Ghibrflmi . . 87
I GhibeHinr abbandonano Flréfrze .... ivi
I Fiorentini ofirOno il governo dfeHa ^oro città
al Re Carlo, che vi manda un VièaHò . . ìtì
Si confiscano i beni dei Ghibiellmi .... 88
I Guelfi matóano contro 1 Sannsi ■ .... 89
II Conte Ugolino della ' Glièrai41esca caccia i
Guelfi di Sardegna, e vi stafcfHsce il dòriiiùio
pisnno. •....'.....',. , go
Mossa del giovine Cbrrà'drno di Svévìa '.'.'. gì
Sùei^rime tniprese!/^.' . ;'• • r/. ... ga
Le città GhibèlHne^f^nò a gara a somministrai^
glidanaro ed ajuti . . : \' \ . f . . Iti
INDICE 57»
Pisa si distingue fra le altre 9*
IVI
Ingresso di Corradino in Pisa
Imprese dei Pisani in di lui favore* , . . . gS
Corradino marcia verso Roma ivi
Il Papa scomunica CorradinQ e i Pisani ... ivi
Battaglia di TagliacoMO 94
Disfatta e fuga di Corradino 'vi
È arrestato e àaXJO in mano di Carlo .... iv»
Stia morte per mano del carnefice 'vi
Crudeltà del Re Carlo dopo la vittoria . • • 9^
I Sanesi sono attaccati dal Vicario di Carlo . . g6
Pace coi Sanesi *^'
PoggiBonzi disfatto 97
Pace coi Pisani • '^^
I Pisani si riconciliano col Papa 9®
Personaggi ragguardevoli in Firenze . . . . »vi
n Papa pacifica 1 Guelfi e i Ghibellini ... 99
Dopo quattro giorni , i Ghibellini sono costretti
a fuggire .....•• 'v>
Guerra civile in Pisa -, 100
II Re Carlo la fomenta 1^^
I Fiorentini vi prendono parte 'V'
Pisa è obbligata ariceverla legge dai vincitori, ivi e loa
Morte di Papa Gregorio in Arezzo ivi
Fazioni fra i Donati e gli Adimari in Firenze . io3
Nuova concordia tra i Guelfi e i Ghibellini, ivi e io4
• Affari di Sicilia ivi
Vespro Siciliano , . io5
Cambiamento di Governo in Firenze . . • . ivi
Capitolo VI. Potenza, e ricchezza di Pisa. . • .107
Eanensione dei suoi domin) »Vi e 108
Suoi stabilimenti oltre mare. ivi
Rivalità dannosa con Firenze ...... 109
Sinoncello Giudice di Oinarca, cagione dèlia
guerra dei Pisani coi Genov«ii . . . . .110
Sue imprese, e sue avventure i ..... ivi
2
7
t INDICE
Gombattìmeiiti di poco coato ♦ i « «
Perdite successive dei Pisani . , • ♦ • • '^^
Chiedono inutilmente soccorso ai VenpMani. . 1 1 3
Fanno gli ultimi sforzi e affidano il comando del-
le flotte al Conte Ugolina della Gherardesca. ivi
Battaglia della Melorìa "4
Rotta memorabile dei Pisani, e loro total deca-
denza . • . . : • . • . » . . . . • 1 1 5
Varie eause che si opposero al loro risorgimento, ivi
Trattato in Firenze per T eccidio di Pisa. . ,116
Lega delle città Guelfe contro di essa. ... ivi
n Conte Ugolino è creato Potestà e Capitano del
popolo in Pisa "7
Conclude la pace coi Fiorentini» ivi
Cede loro molte castella ........ ivi
Fazione in Pisa dei Gherardeschi e dei Viscon-
. ti • • .. 118 e 119
L'Arcivescovo Ruggiero Ubaldini anima il parti-
to Ghibellino ivi
Sua dissimiJazione. ....•••.. ivi
Rottura aperta con Ugolino 120
L'Arcivescovo è vincitore, e Ugolino è obbligato
a rendersi a discrezione lai
Orribile supplizio di Ugolino coi figli e nipoti . ivi
Riflessioni sui delitti attribuitigli . .... ivi
Vicende del governo di Siena i a^
Morte del Re Carlo di Napoli 1 29
CàPiTOLo VII. Vicende della Repubblica di Arezzo . i3i
Potenza dei suoi Vescovi . i3a
Vastità dei loro domin) ivi
' Carattere, del Vescovo Ubertini . . . . ivi e 1 33
Caccia i Guelfi di Arezzo, e ne assume il domi-
: ' • nio , ...... , . , ' ./ u • . , . . i34
I Fiorentini si armano contro Areakzo. . . ^ ivi
Gli Aretini si (muovono, et invadono il terrìtorìo
■ di Montevarchi , ...tv.. . ^ , . i35
INDICE 173
AI Fiorentini si unisòoiào gli aiuti 4^^ città
Guelfe, e marciano contro Arezzo , • • . i35
Gli Aretini si cbiudoQO dentro le, muia • • • ivi
' . l Fiorentini, dòpo essersi appressati ad Arezzo «
. si ritirano, dividendosi dai Sanesi « . . . ivi
Gli Aretini battono i Sanesi nella ritirata ^ « ivi
Passaggio di Ciarlo II. Re di Napoli • • • • ^ i36
Gli Aretini tentano inutilmente di sorprenderlo
. e imprigionarlo * * • • * i^i
Celebre battaglia di Campaldino 137
^ Botta degli Aretini . « . «. • • é . • . « . « x38
Morte del Vescovo Guglielmino libertini. . » ivi
Dante si trova a <{nella battaglia i39
L'indugio dei Fiorentini salva la dttk di Arezzo. i4o
Intrepidità degli Aretini in difenderla « . . ivi
Decadenza di Arezzo , «14'
Guerre di Firenze con Pisa .•«•••• ivi
Presa di Calcinaio, e di Porto pisanp « • . .14^
Turbolenze inteme in Firenze i43
Giano della Bella .. ^ ^ ^ . ivi
Cambiamento di governo ivieio4
Pace coi Pisani ......•..•..♦ i45
Capitolo YIII. La soverchia prosperità causa dellf
frequenti sedizioni in Firenze « , • ,. « .149
Fondazione dello Spedale di S. Maria Nuova. ; ivi
Ornamenti al tempio di S. Giovanni ; • • . ivi
Inalzamento della Chiesa di S. Croce, e 4ella
Cattedrale di & Maria del Fiore. . .... ivi
Del Palazzo Yeccbio ....•,.. ; • ♦ ., i5o
• Terzo giro delle mura. ••..••«• ivi
Preminenza dei Fiorentini nel commercio, n€Ì)e
lettere, e negli affari politici. • • •. • . . iSi
i AmbasciaU al Papa Bonifazio VOL . . .. • .^. ivi
Micidiali, fjsziopi neU': istcHrie. di cpeati t^pipi « 1 5a
Fazioni dei Biancbi e dei Nfsri.in Pist0)a.ii5a e i53
, Loro crudeltà. . . . , * 41*.. 4L. ivi
!i74 INDICE
Pistojà 8Ì dà in mano mi Pionmtiiu. . . . . i55
Vari Pìsto)^, confinati a Firense, tì recano il
seme della discordia* ••.•••.. ìtì
Si risvegliano le parti Guelfe e Ghibelline . • 1 56
Potenza della parte ftaoca, o Ghibellina. , . iri
Perseguitata la Nera, oGuetfa 167
Corso Donati, di parte Nera, concerta con Bo-
nifazio Vili la ruina dei B«uichi « . . . iri
' ' Carlo di Yalois in Firenze « « • • • . . i58
Gli è data facoltà di rifbmtave il goivemo • • iri
Corso Donati entra a mano armata in Firense • iSg
Crudeltà che duttirono 6 giorni • . • « . • ìtì
* ' Edilio della parte Bianca . . . • . • .160
' ' Partenza di Carlo . . • . • . . . • • ivi
Proseguono l'esecuzioni eontro i Bianchi . » ivi
Fatti di arme fra i Bianchi esuli ed i Neri • .161
Nuove divisioni in Firenze per opera di Corso
Donati « i6a
I Lucchesi sono chiamati a Firenze per pacifica-
re la città ivi
"^ ' Benedetto XI v' invia il Cardinal da Prato . . i63
' Inganno usato dai Guelfi ivi
Lanciafnò un fuoco di artifizio sulle case e botte-
' • ghe dei Cavalcanti • i64
' Danni che tke resultane ivi
n Cardinale tenta hrvano di rimett»^ i Bianchi
* • in Firenze .* % i . . ■ ; . . . ivi e i65
Roberto Duca di Calabria è chiamato dai Guelfi- 16S
-Assedio di Pistoia . . . . ^ ' ivi
Firenze è interdetu ......... 167
Morte df Còi^so Donati ; 168
Agitazioni in tutte le Repubbliche di Toscana . 169
Statodell'Itiliarvet^il i3io ... ... ivi
- Annunzio <d^à ' disolea délPIaiperatore Arrigo
"VHte Italia. ; ....*..... 170
Firenze gli si oppone 171
INDICE ^yr^.
Arrigo giunge à Torino . . . '. . . . .173
Lettera che gli scrive Dairte . . ' . . . . . ivi
1 Fforenlini son posti al bando dell' Ithpwo . ; 174
Arrigo entra in Pisa . . . . . . . . -^ ivi
S'incammina verso Roma . • . . . . i 178
È coronato in San Gio.Laterano . . . -' ^ ivi
Si muove contro Firenze j i ivi
Dopo due mesi è fed^fctio a rìlìrapsi . . .^ i 178
Muore a Boncorlvento. *....'..•. ivi
Origine di Uguceionfe ietta Paggiòla . . .' i 180
Suo valore e sue imprese. . . • . ^ . .181
S'impadronisce di Lucca i8a
Tenta di sorprender Pimoìa. . . . . . : i83
Battaglia di Montecatini . . ' . . . . . . i84
Bravura e vittoria- di Ugucciorie . . . ' ' . . i85
Personaggi clie vi perirono . .• . '. ' . .'.186
Principj di Gastruccio. . .* . . . . ". .188
Gelosia che desta in Ugilcclone : . . . '• 189
È fatto arrestare dal di lui figlio . \ ... ivi
Non osa ucciderlo, e Io tien prigione . ... ivi
Liberato dal popolo, Gastruccio è dichiarato Si-
gnóre di Luéca 190
LIBRO TERZO
SOMMARIO
, f
^
Càpitoho IX. Vemita dì Lànd<^ di Agubbiò ^h Fh
Fenze •. •. . . ■. . % v . ■ . . . . 191
Fa battere faba moneta «... i . . '. 192
Paee dei Pisani e Lueohed ^oUe èktk Oitt^lf^ . ivi
llgocciode tenta <invano dt'rienir«re4n'Pi^. -' . ivi
Milita al servis&io dei Signort ideila Setola. '. . ivi
' Dispute tra Siena e Massa. " . '. ^ ." . . .193
MòVJnieiili civlb id Siena. . .^' '.■.••'. . ivi
Matteo Visconti eecita Gastruccio- contro'^f Fio-
remitoi. > . .' .- . JV^ V'^^i "'J^'^'.^-'. '^ . it)4
/
a7« INDICE
Casfniccip pone a sacco le loro terre . . - -195
Marcia contro Genova^ indi si ritira .... ivi
liCga dei Fiorentini col M. Malaspina. • . -196
Cessa in Firenze la Signorìa del Re Roberto . ivi
Pistoia divien tributaria di Castruccio. . • • ^97
Castruccio si avvicina a Prato ...... ivi
I Fiorentini si armano, ed ei si ritira. . ivi e 198
' La sua testa è posta a prezzo dai Pisani • . • 199
Tenta d'impadronirsi di Fuceccbio .... ivi
L'Abate di Pacciana divien Signore di Pistoia • aoo
D di lui nipote lo caccia, e dà la Città in mano
di Castruccio , aoi
Guerra vigorosa dei Fiorentini contro di lui . %o%
Si cbiude dentro Pistoia .... t ... ivi
I Fiorentini assediano Àltopascio, e se ne impa-
droniscono ao3
Vittorie di Castruccio ivi
Si avanza sino a Signa 206
Fa correr dei pai) a Peretola vn
Riprende Altopascio • • . rri
Pompa trionfale di Castracelo ao^
Congiura contro di esso scoperta . . ao8 , e 909
Seguita a infestar le terre dei Fiorentini ... ivi
Giunge in Firenze il Duca di Atene . . . .aio
Castruccio y e i| Vescovo di Arezzo suo alleato
tono scomunicati . an
Nuova congiura oontto Castmocòo, ugualmente .
scoperta , . , , ai*
I Ghibellini. oflGroQo la corona imperiale a Lo-
dovico Dilea di Baviera si4
Q Duca ^ -mo^e » ed è incontrato a Trento dai
printfipdi^ Signori italiani. m
E coronato in Milano* ..'•.' >▼*
Giungea Pqntrempli» e si abbocca con Ca^uvc-
S'incammioano con esso alla ^olu di Pia» . • ^^
i M
INDICE «77
' ' ' Vi èntf ino dopo l'assedio di un mese. . 'v i 2 1 6
' -^ Castruccio è creato dal Bavaro DUcia di Luc<?a^
"'- e di altre citta della Toscana. . *. • '» ^'7
: - Parte con lui per Roma ... • • • '^»» ^ 2>8
' ' Ingiustizie e crudeìtìi del Bavaro * • ; -^ ^ ivi
' ' ' Canniccio lo fa èorotiare Imperatore m Romii ivi
• ' Splendidézza di Castruccio . . ' . > . . ^'i ivi
^ È creato Vicario Imperiale, e Senatoi'e di >R0ma. ivi
' n Bavaro depone il Papa Gio^. XXIL , e^ftt eleg-
gere NiccóW V. . . . . .' i -5it«9 è aao
^'^"^ Càsiruècio perde Pistoja . .•.■.•» . ivi
' Ritorna precipifosatnénte dàRoina- . V . . 2-21
^ "^ S' impadronisce del governo di Pisa . • : - j^. ivi
Marcia' contro Pistòla!; e lai fcitìge di assedio, ivi « 233
Crudekh di Caétrucriò contro i rJbefti' '. . ' i ivi
Pistoia" è costretta a capitolare . , . .' • ivi
Morte di Castrucciò. . ..•.'.'-'. • aa^^
Suo carattere, e sue qualità U . .1 . * - a84
'' I snoi figK perdono la Signori» di Pisa e. di
.' Lucca ." ;••'."•.■■ '.•' .'•"•{ '• ." \ '••'' •" ^ ^^5
(Capitolo X. RMbrma deHo state di- Fircwri .- .^ . 11&6
' " IlTBaVaro e l'Ahtfijapa giungotié ^ Pisa: . • [ i^^j
Estorstottì del;Bàt^d . v '. . i - ' *^*8
»i " Ritorna in GenrfaYiià i . v ; . j. «j . aag
'^ • Discesa in Italia di Gioi Re di Bdemitf . • . i ivi
Marco Visconti occupa Lucca-, e l' offre in com-
pra ai PitoréMini ^ . , i . i> J ; 4 V a3o
ITibrentliii rJcusanty di' comprala >. • ' . } ivi
L'Antipapa abiura, è consegnato a Giovannr, e
^ muore iri Avignone' : ; . : •* . . . '.' a3i
Lucca * comprata da GheràrdlttO Spinoh . 1 ivi
L' offre a Gio. «e di Boemia : . » : ' . . .* aSa
I di lui soldati se ne impadroniscono; e tìon
• mantengono i* patti -alfe- Spinola" ." ' .< •. - . 233
Piccole guerre tra Pisa, Mfissa « Siérfà . • V ! a 34
Fabbrica di Firenzuola ivi e a35
i .'I
I
( i
/ >
I '
I <
07? INDICE
l^gik dei FioiretiUm coi Signori I,4>inbitr4i • » m
ÌBimdkt^ne ìm Ficeose . ^ .,,.«• • «36
r Morte, di Papa Qioyaimi ....... ^3j
Guerra di Arezzo e Perugia ...... %3g
Capitano .di guardia hi Ficcwze* .... ., . • a4o
D^fp.'dv^ a«(U..a'è aboliui la ^axùca . . . . rri
Prigione della Famiglia della $cala . . . . rti
FKOgrejsfsi della ana grande^^a . . . . »4i
IfaMìpO'Cpifipra'Liicqa . . ^ . . ivi« ^a
I ( Fiorentini, tentano inutilmente dj , acqui-
. 4arla .. . . . . , -. ^ .. .. ivi e ^43
, . Guerra di Maatinf cpntro di easi ^ • • • » iri
/. yarie yic^ndedi es^ ... ... . . ., ,,. , ivi e a44
l^er^^ K«^ iiia^ia.cQntrpiM^tipQ ,.^ . . iri
/ ì Cooae]:va 4ew|>r6 h aup^i^rjU^ Qo^Ut^ ìe di )uj
I /. truppe . . # ,. • -r . f» . « » •^.^. . '• l'fi
' -^ Mastino tenta di fareuccider^Piei^ da^ ^pi* ì^i ^ ^4^
Arezzo^ alleata di Madino» #i d^ per lo^^nni ai
'< FiomUtitli .1. ■■»•..-' .: .-.(.-..j •, ^ *. , • » iti
r' '* Pier dei {to^si prenda P^adova^i e muoi^ sftto
^v■, . Mooselio^i. .- * ^ ^ .... f.,.-'. •./ •. • *4^
- V .. Pace deitFi0De«tìni con MaalÀO;. f .. ^kj e ^4^
CoTOLO XJ. Fallin^entp dellaj(il9^pp|ppiffiif,.dei Pe*
( * iiuzsri e dei Bardi in Fir§|i?so, . , f. ^. •. • ^4$
I/i Panni .chaaei^ndejépittìl .^ . ;. . < . . . s5o
Ciawstiii »*« •.> • «• • ,,.,.,^'« Iti
<'' . An4>atfciata dei Romani ai Fioiven^nz • ... iri
vi Ongiiira coitflPK» M tRT^tWi delUf Bj^p^bbliqp ^
1 ' * (juQrra coi Pisani per Vnoqp^pllp ài huo^ •. . s5>
I Pisani vj j^Pl^gim^rafi^jedì^ « • . . ..., f in
e. Coinpriino. ramiciat^.de) Visconti ppa nn tra*
dìmi^nlo ' '• »• • • 1. »• . « < . :. » Iti
Ro9ìpono. i f^iotentiw . . ., ^ . . . . ^M
• flntrano ialiucoata piQtti ..',.,,.. . ^ ^ aSS
> *
INDICE ^'jQ
Gualtieri Duca di Atene è scelto per regolatore,
e protettore di Firenze 255 e 21 56
Sua origine , suo carattere ivi
Esercita severa giustizia ^5^
Dimanda la Signoria di Firenze . . . 255 e a58
Gli è ceduta per un anno ivi
È dichiarato Signore a vita ivi
Fa pace e lega coi Pisani 2 59
Trascura l' amicìzia dei Grandi 260
Fa molte estprsioni, e rigorose esecuzioni, ivi e 261
Vizj del Duca e dei cortigiani ivi
Indignazione generale ivi
Ingiuste e inutili crudeltà del Duca .... 262
Tre cospirazioni si formano a un tempo contro
di lui ••• ^ ....•• ivi e 263
Una di ^^^ è svelata ivi
I congiurati si riuniscono ••••... 264
Assediano il Duca in Palazzo ivi
Crudeltà del popolo ivi e 265
n Duca è cacciato di Firenze, dopo averne ri-
nunziata la Signoria • 266
I
• *
' r
( •