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Full text of "Storia della Toscana sino al principato; con diversi saggi sulle scienze, lettere e arti"

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A^ 


STORIA 

DELLA  TOSCANA 


SINO  AL  PRINCIPATO 


CON   DIVERSI  SAGGI 


tCLLB 


SaENZE,  LETTERE  E  ARTI 


DI 


LORENZO  PIGNOTTI 


ISTORIOGEAFO  RBGIO 


z 


TOMO  PBJMO 


FIRENZE 

PRBS60  LEONAHOO  CIAROETTt 


PREFAZIONE 


PBBMBSSA 


ALLA  PRIMA  EDIZIONE  01  PISA 


A 


colotd^  i  ijuali  per  altro  titolo  non  conoscevano  il 
celebre  Dottc^  Lorenzo  Pìgnotti,  che  per  quello  di  primo 
Scrittore  di  Favole  e  di  Novelle  nella  nostra  lingua,  ma- 
raviglia non  piccola  avrà  dovuto  firarse  recare  l'annunzio. 
d'una  Storia  importantissima  uscita  dalla  sua  penna.  E  in 
fatdy  se  le  qualità»  che  si  ricercano  per  uno  storico»  sem- 
brano in  generale  le  più  opposte  a  quelle  che  costitui* 
•cono  un  poeta^  la  difficoltà  cresce  a  dismisura  quando  si 
consideri  il  genere  adottato  dal  Pignottii  a  cui  apparten- 
gono la  gentilezzai  la  grazia»  ed  il  brio.  Si  può  immagi- 
nare^ per  esempio  che  grandi  storici  sarebbero  forse  riu- 
aciti  Dante^  e  Torquato  j  ma  difficilmente  si  potrebbe  cre- 
der lo  stesso  deU'Àriosto  e  del  Forteguerri.  Ck>me  mai»  si 
dirà»  quella  pèùna»  che  scrisse  V Anatomia  del  cuore  di 
unét  donna  galante ,  ci  potrà  condurre  pe' ravvolgimenti 
pdUtici»  che  aprirono  le  porte  d'Italia  a  Ourlo  YIII^  e 
quindi  ne  lo  costrìnsero  con  si  rapida  fuga  a  partirsene? 
e  come  l'amabile  scrittore  del  Cardellino  e  della  Pado" 
vanellaf  ardirà  di  lottare  nella  narrazione  degli  avveni- 
menti che  precederono  quella  troppo  celebre  discesa  de* 


/ 


4  PREFAZIONE 

gli  Stranieri  in  Italia,  con  Io  Storico  famoso,  cke  al  dir  di 
un  sommo  uomo,  già  nostro  contemporaneo  (i),  dovreb- 
be riguardarsi  come  un  Tacito? 

Quantunque  la  risposta  migliore  a  tali  considerazioni 
sia  la  Storia  medesima ^  che  al  pubblico  finalmente  si  of- 
fre^ quantunque  il  quadro  preso  a  disegnare  dal  Machia- 
velli sia  ristretto  in  assai  più  brevi  confini,  e  cessi  quindi 
ogni  confronto j  nuli' ostante  non  crediamo  inutile  di  fare 
osservare,  che  quello  spirito  di  ordine,  di  chiarezza,  e  di 
naturalezza  in  ispecie,  che  diresse  il  Pignotti  in  tutti  i  suoi 
componimenti  poetici,  gli  ha  giovato  mirabilmente  quan- 
do si  è  dato  a  scriver  quest'Opera.  È  stato  osservato,  che 
manca  per  lo  più  la  naturalezza  ai  poeti  quando  dettano 
la  prosa.  L'abitudine  di  cercare  sempre  i  concetti  pelle* 
grini ,  o  pellegrina  almeno  l' espressione ,  allorché  non 
possono  esser  tali  i  concetti,  li  abitua  a  rigettare  l'espres- 
sione più  naturale,  perchè  troppo  comune;  e  il  minor  di- 
fetto che  avere  essi  possano^  è  quello  di  pendere  nel  lec- 
cato. Questo  difetto  medesimo  fu  rimproverato  all' Alga- 
rotti,  il  quale  benché  nelle  sue  opere  apparisca  più  scrit- 
tore di  prosa  che  di  versi,  nuli' ostante  aveva  passata  la 
sua  gioventù  nel  conversar  colle  Muse.  E  se  in  ogni  scritto 
debbesi  sfuggire  un  vizio,  the  più  d'ogn' altro  avverte  il 
lettore  del  troppo  studio  e  della  troppa  meditazione  del- 
l'Autore, debbe  soprattutto  esser  bandito  dalla  Storia,  il 
cui  principale  oggetto  é  il  racconto  del  vero,  che  mal  si 
accoppia  nell'animo  di  chi  legge  con  la  ricercatezza  e 
l'affettazione.  E  chi  ardirebbe  dubitarne^  dopo  che  fu 
detto  esser  l' espressioni  e  le  frasi ,  in  qualche  modo ,  la 
fìsonomia  de' concetti? 

(i)  Alfieri. 


PREFAZIONE  5 

E  in  vero,  quando  ti  prenderà  in  m«no  (juest' opera, 
agevolmente  si  riconoscerà  che  la  candidezza  dell'animo  < 
di  chi  icrisse  mirabilmente  rifulge  a  traverso  dell*  espres- 
sioni sanpre  chiare»  sempre  naturali,  non  mai  ricercate, 
e  condotte  soprattutto  con  quell'ordine  e  quella  giustezza 
di  disposizione,  che  deriva  dalP ordine  e  dalla  disposizione 
delle  idee.  A  questi  pregi  due  altri  più  importanti  se  ne 
aggiungono,  e  sono  l'^imparzialità  e  la  gravità  colla  quale 
editata,  pregi  non  troppo  comuni^  e  particolarmente 
questo  secondo,  in  uno  scrittore  di  Novelle.  Ma  sanno 
tutti  coloro,  che  hanno  conosciuto '  il  Pignotti  da  presso, 
che  negli  ultimi  venti  anni  della  sua  vita,  più  agevolmente 
si  trovava  in  lui  il  filosofo  che  il  poeta:  e  quando  dopo  il 
chiqnantesimo  anno  ha  preso  in  mano  la  lira  (  per  quel- 
la affetto  che  sempre  ci  riconduce  alle  Muse ,  anche  allor 
quando  si  sono  abbandonate  )  gli  argomenti  dei  suoi  canti 
chiaramente  mostrarono ,  che  aveva  da  gran  tempo  lasciati 
gli  scherzi  e  le  follie,  che  accompagnato  l'avevano  nella 
sua  gioventù. 

Considerando  egli  adunque  che  mancava  alla  Toscana 
uÉi  corpo  di  Storia,  che  cominciando  dagli  Etruschi^  of- 
frisse in  un  quadro  quanto  avvenne  di  memorabile  iu 
questa  provincia,  sino  all'epoca  in  cui  cadde  sotto  la  do- 
minazione di  quella  celebre  Famiglia,  che  sotto  il  libero 
governo  n'era  stata  il  più  beli'  ornamento,  cominciò  sino 
dal  1793  a  disegnarne  le  prime  linee. 

Gli  oscuri  barlumi^  dietro  a' quali  gli  antiquarj  e  i 
fabbricatori  d'ingegnose  ipotesi  conducono  i  lettori^  quan- 
do parlano  degli  Etruschi ,  gli  parvero  per  altro  bastanti , 
se  non  a  far  grossi  volumi,  a  comporre  una  breve  narra- 
zione, che  servisse  in  qualche  maniera  d'introduzione  alla 
sua  Istoria .  In  quella  si  propose  di  mostrare  quanto  gli 


6  PREFAZIONE 

Etnuchi  valessero  nell'armi,  nella  politica,  nelle  arti 
nelle  lettere,  nelle  scienze:  e  ricordandosi  di  quello  cVei 
doveva  alla- convenienza»  e  lasciando  alle  indagini  degli 
eruditi  quanto  è  incerto  ed  oscuro^  brevemente  si,  ma 
con  giustezza  e  precisione»  sperò  da  buon  cittadino  di  ri* 
vendicare  a  favore  deU'Etruria  quello  che  n9n  sembra 
abbastanza  provato  in  favore  dei  Greci  • 

Gli  Etruschi  perderono  il  loro  nome ,  quando  cadde* 
ro  sotto  la  dominazione  de'Romanii  e  un  altro  ne  acqui- 
starono^ e  con  esso  gran  fama  e  splendore,  quando  dopo 
molte  vicissitudini  si  poterono  costituire  in  liberi  go* 
verni.  L'immenao  e  ignobil  periodo ,  che  dagli  anni  47^ 
di  Boma  giunge  sino  agli  anni  iiiS  della  nostra  Era,  è 
quello  che  più  suole  imbarazzare  gli  scrittori  delle  storie 
moderne.  E^li  dimque  immaginò  di  rinchiuderlo  in  un 
solo  Libro,  nel  quale  cominciando  dall'  oflSrire  agli  occhi 
dei  leggitori  la  principal  causa  della  decadenza  del  roma* 
no  Impero,  e  in  conseguenza  del  servaggio  degl'Italiani, 
lidia  decadenza  della  miliziai  e  proseguendo  a  narrare 
tutte  le  rivoluzioni  e  le  sventure  che  ne  arvennero,  sia 
per  le  replicate  invasioni  de'barbarì,  sia  pel  dispotismo 
de'feudatar] ,  aia  per  la  tirannide  de' più  polenti,  giunge 
alla  istituzione  della  Cavalleria  destinata  a  reprimere  qu^ 
gli  eccessi,  che  nessuna  forza  aveva  potuto  sino  all<nra 
impedire.  E  perchè  dalle  narrazioni  dello  storico  non  vai» 
dano  disgiunte  le  riflessioni  del  filosofo,  non  .si  ac(»da  di 
far  considerare  a  qual  punto  di  cieca  ignoranza  pervenuti» 
allor  £[>sse  l'ingegno  umano,  in  specie  nti  famosi  Giudizf 
di  DÌO9  degni  di  brillare  in  un'epoca,  in  cui  alT esercizio 
delle  lettere  era  annessa  la  vergogna  e  il  disprezzo.  Pure 
un  qualche  barlume  di  splendore  rifulge  anche  in  que'bar- 
i  tempi,  in  mezzo  all'universale  abbrutimento;  e  il 


PREFAZIONE  7 

lettore  Sìxmoto,  nfletttmdo  a  qcuiiito  arrenne  in  appresso, 
è  costretto  a  riguardar  con  rammarico  la  niina  del  regno 
de'God. 

Ha  aicoome^  in  ^piesto  immenso  perìodo,  sie  n'eccet* 
tiuamo  la  dominazione  della  Contessa  Matilde,  poco  si 
mostra  la  Toscana  |  terminando  TAntore  il  II  Libro  della 
soa  St<ma  dopo  la  morte  di  quella  Donna,  che  fece  tre* 
mare  gFImporatorii  ed  i  Re  d^ Italia,  cambiare  doveva  il 
sistema  della  sua  narrazione^  e  adottarne  uno  più  ampio  # 
meno  rapido  per  i  quattro  secoli  che  gli  rìmanevano  a 
descrivere.  Q>nsiderando  poi  che  il  modo  di  guerreggiare 
in  quell'epoca,  sconosciuto  e  disusato  ai  nostri  giorni^ 
rende  talvolta  poco  intelligibile  la  ]^ressochè  continua 
narraxioae  de' fatti  d^arme  negli  antichi  storici,  pensò  di 
far  precedere  una  breve  A^>endice  dell'Aàiv  DILLA  GiJsaRA 
ma  BASSI  «EMPI,  per  indi  passare  a  descrivere  gli  avreni'» 
menti  dei  i^nattro  secoli  sopramentovati* 

La  divisione  di  e^si  in  tre  grandi  periodi  venka  luf 
minosamente  offerta  alla  mente  di  chi  prendeva  ad  esa-» 
minare  profondamente  le  cause  dei  progressi  e  dell'  in* 
gnndimento  della  Repubblica  Fiorentina,  principale  ogf 
ffMo  di  chiunque  diasi  a  scrivere  la  storia  di  Toscana. 

Costituita  Firenze  liberamente,  per  quella  tendenza, 
che  ha  sempre  il  governo  di  molti  a  cader  nel  dispotismo 
d'un  solo,  a  poco  a  poco  in  mezzo  alle  fazioni  si  vede 
precipitare  in  balia  d'uno  di  quei  Yicarj  Imperiali,  che 
fiirono  per  varj  anni  il  flagello  degl'Italiani.  Accprlamente 
egli  s*impadronisoe  ddla  forza  |  e  giovandosi  delle  divir 
sioni  ed  intestine  discordie  dei  cittadini,  ne  diviene  per 
breve  tempo  il  tiranno»  Il  pericolo  comune  fjs  per  un  mor 
mento  tacere  i  privati  interessi;  il  Duca  d'Atene  è  cacciar 
lo;  son  trucidati  barbaramente  i  moi  ministri,  e  ristabilHo 


8  PREFAZIONE 

è  il  libero  governo.  Questo  perìodo,  ehe  ha  un  principio  » 
un  mezzo t  ed  un  fine»  doveva  naturalmente  offinm  allo 
storico  una  parte  compiuta,  e  chiudersi  nel  suo  EI  I^ro* 

Riacquistata  dai  Fiorentini  la  libertà,  dopo  la  cac* 
ciata  del  Duca,  quella  stessa  forza  morale,  ch'era  servita 
per  abbatterlo,  doveva  giovare  infinitamente  ai  capi  di 
quella  fazione,  che  seppe  impadronirsi  del  governo  dopo 
la  sua  caduta:  e  quanto  era  essa  stata  più  grande  per  su- 
perar gli  ostacoli  opposti  dal  tiranno  e  da' suoi  satelliti, 
tanto  piii  forte  doveva  essere  la  consistenza  presa  da  quel 
Magistrato,  che  sotto  il  nome  di  Capitani  di  Parte  Guelfa 
estese  la  sua  autorità  su  tutte  le  parti  che  costituivano  il 
governo  della  Fiorentina  Repubblica. 

Le  istorie  moderne,  sino  alla  fine  dello  scorso  secolo, 
non  offrono  esempj  d'una  tirannide  esercitata  in  libera 
citta,  ed  in  nome  delle  leggi,  simile  a  quella  di  im  Magi* 
strato,  che  fu  per  un  tempo  padrone  della  libertà  degli 
averi  e  perfino  della  vita  stessa  d'ogni  classe  di  cittadini» 
Nei  var j  tentativi  da  essi  fatti  per  rovesciarlo»  una  famiglia 
si  distingue  fra  le  altre  per  la  sua  affezione  verso  il  basso 
popolo;  ne  fomenta  le  sollevazioni  contro  i  Capitani:  si 
oppóne  ai  mezzi  posti  in  opera  da  quelli  per  mantenersi 
nella  loro  mostruosa  autorità; ed  il  di  lei  capo,  eletto  Gon» 
faloniere  in  quei  tempi  tanto  favorevoli  a  chi  aspirava  al 
supremo  potere,  stabilisce  la  prima  pietra  del  fondamento 
di  una  nuova  e  straordinaria  dominazione,  che  dopo  aver 
fatto  i  suoi  discendenti  arbitri  per  più  d'un  secolo  della 
Fiorentina  Repubblica,  li  condurrà  dopo  varie  vicissitu- 
dini,  a  dichiararsene  assoluti  Signori,  Senza  titolo  alcuno, 
che  la  distinguesse  fra  le  altre  famigUe,  la  Casa  Medici 
non  solo  erane  la  principale,  ma  per  mezzo  de' suoi  ade* 
renti,  la  dominatrice  in  tutti  i  consigli  del  governo.  Sic- 


PREFAZIONE  9 

eome  gìttstameate  fu  dccto^  che  in  nna  Repubblica  mili- 
tare presto»  o  tardi  ne  diventa  Re  il  più  valoroso  ;  in  una 
Repubblica  di  mercanti  dovea  divenirlo  il  più  ricco  ^  I 
tesori  accumulati  dalla  Famiglia  BSedicea  sembrerebbero 
favolosi^  in  quei  tempi  specialmente  ove  le  materie  d'oro 
e  d'argento  erano  sì  scarse^  se  non  si  conoscessero  i  mezzi 
onde  acqnistoHi,  e  se  noti  non  fossero  i  talenti  di  Cosimo 
nell'industria  e  nel  traffico.  L'autorità  di  quella  Casa, 
cominciata  col  favore  del  popolo  ,  dopo  la  rovina  dei 
Capitani  di  Parte  Guelfa  in  Silvestro,  ed  aumentata  ne'suoi 
6g]i  e  nipoti,  divien  ferma  e  eostante  sino  dai  primi  anni 
della  vita  di  Cosimo.  Colle  sue  immense  ricchezze  aveva 
egli  comprato  gli  animi  di  quanti  erano  a  vendersi  nella  Re* 
pubblica;  e  colle  forze  e  i  voti  riuniti  di  questi,  si  prepa* 
rava  a  intimorire,  o  ad  opprimere  coloro,  ohe  non  avevano 
Tanimo  avvilito  abbastanza  per  lasciarsi  comprare.  Invano 
i  di  lui  emuli,  e  i  più  potenti  ed  arditi  cittadini  tentarono 
sin  da  principio  di  opporsegli  :  invano  lo  chiusero  in  car- 
cere, e  l'inviarono  in  esilio.  Essi  troppo  vilmente  opera» 
rono,  perchè  potesse  riuscir  loro  d' opprimerlo  ;  e  troppo 
apertamente  l'ofiesero,  perch'ei  potesse  loro  mai  perdo- 
narne il  tentativo.  Cosimo  dei  Medici,  dopo  un  brevissimo 
ed  onoratissimo  esilio,  fu  richiamato  alla  patì'ia;  vi  giunse 
da  trionfatore!  proscrisse  anche  troppo  crudelmente  (a) 
tutti  i  suoi  nemici  j  crebbe  in  estimazione  ed  in  autorità  ; 
e  ne  lasciò  morendo  l'onore  ed  il  peso  ad  un  figlio,  che 
non  lo  somigliava. 

Ma  tanta  era  la  forza  impressa  a  quella  straordinaria 
dominazione,  che  Piero,  quantunque  pressoché  sempre 
infermo,  quantunque  di  gran  lunga  inferiore  al  padre  ne( 

(a)  Teggasi  l'Autore,  Lib.  IV,  Gtp.  IX,  uno.  1434. 


10  PREFAZIONE 

talenti ,  quantunque  tradito  da  un  amico  fallace  (3),  che 
spezzar  gli  fece»  senza  ch'ei  se  n'accorgesset  il  giógo  sotto 
cui  teneva  oppressi  i  fedeli  suoi  numerosi  aderenti|  dopo 
qualche  pericolo  trionfò  delle  insidie  dei  suoi  coperti  ne-» 
mici)  con^rvò  Fautorità  lasciatagli  dal  padre,  e  la  legò  tutta 
intera  a* suoi  figli.  Inutilmente  ima  orribile  congiura,  che 
diramaTa  le  sua  fila  per  molte  parti  d'Italia»  alimentata 
dall'odio  d'ima  potentissima  famiglia  »  minacciò  di  minare 
i  due  giovani  fratelli»  e  ne  spense  il  minore,  Lorenzo  dei 
Medici»  scampato  a  tanto  perìcolo»  C0U4  prudenza»  co} 
senno  »  colla  magnanimità  »  e  con  una  generosità  senza 
esempio»  in  mezzo  a  mille  perìcoli  sempre  rìnascenti»  non 
solo  accrebbe  il  potere  e  lo  splendore  della  sua  Casa  »  ma 
divenne  l'uomo  più  grande  e  più  considerato  d'Italia.  Vi 
fu  un  tempo»  in  cui  le  principali  Potenze  di  essa»  armata 
contro  di  lui»  apertamente  facevano  intendere  ai  Fiorentini 
ch'egli  solo  era  la  cagion  della  guerra  1  ed  egli  solo»  colla 
saviezza»  colla  moderazione»  e  col  valore  divise  i  nemid 
estemi»  contenne  i  domestici  »  prese  parte  in  tutti  i  politici 
negozj  degl'italiani  Governi»  ruppe  i  disegui  de' Veneziani 
alla  Dieta  di  Cremona  |  e  lasciò  morendo  tutta  in  pace 
composta  questa  bella  Italia  »  che  si  è  risentita  sino  ai  no-> 
stri  giorni  degli  effetti  della  inunatura  sua  morte  (4)» 

(3)  Diotisalvi  Neroni ,  che  lo  indusse  a  richìedsre  a  moltissi- 
me  famiglie  i  danari  prestati  loro  da  Cosimo  (  per  cui  vari  falli- 
menti ne  seguirono)»  che  di  aderenti  alla  Gasa  Bfedici  ne  divenne- 
ro le  piii  implacabili  nemiche. 

(4)  L'Autore  tratta  magistralmente  l'ipotesi  »  qui  accennata 
di  volo;  e  crede  che  se  Lorenzo  fosse  giunto  all'età  dell'avo»  non 
avrebbe  avuto  luogo  l'invasione  di  Carlo  Vili;  e  in  conseguenza 
il  principio  di  quella  lotta  ^  che  non  è  terminata  mai  pib.  Vedi 
Lib.  lY»  Gap.  XY»  ann.  i49a. 


PREFAZIONE  ii 

Questo  gna  tratto  di  storia  »  che  cominciando  dalla 

13»ertà  riacquistata  dai  Fiorentiiu»  dopo  la  cacciata  del 

Duca  d'AtenCt  termina  alla  morte  di  LcHreipso  il  Magnifi« 

co,  difficilmente  si  potrebbe  dividerei  e  ijuindi  fa  dal* 

TAntore  rinchioso  nel  disegno  del  suo  quarto  libro. 

Colla  morte  di  Lorenzo  si  ecdissò  per  un  momento 
la  stella  della  Medicea  Famigliai  e  l'Italia  videi  di  lui 
tre  figli  (5)  erranti,  proscrìtti  e  fuggitivi»  implorare  dai 
Principi  confinanti  (6)  una  piccola  parte  di  quella  proto* 
zione,  di' essi  erano  stati  fortunati  altre  volte  di  poter  me* 
ritare  dal  loro  padre.  Ma  se  mancatit  col  mancare  di  Lo» 
renzo»  n'erano  i  talenti  e  il  senno,  rimanevano  per  altro 
negli  stranieri  paesi  gli  avanzi  delle  avite  ricishesze  (7),  eoi 
quali»  dopo  una  lunga  peregrinazione,  e  dopo  la  morte  del 
maggior  firatello,  poterono  i  due-giovani  Mediai  oomprare 
ìe  armi  del  Viceré  (8)  scampate  alla  rotta  di  Ravenna, 
ritornar  con  quelle  a  forza  nella  patriat  e  farsi  strada  a 
maggiori  grandezze.  Tutta  intera  l'Italia  si  onorerà  di 
dare  al  secolo  cbe  incomincia  il  nome  di  quel  proscritto, 
die  sotto  l'umile  sacco  d'un  Religioso  mendicante,  scampò 
alla  rabbia  de'  suoi  ^e9^|Bi  (9^,  e  toìXà  )' europa  Cristiana 


(5)  Piero ,  A»  mori  passando  il  Gi^rìglisno  nel  1  So^  i  il  Car* 
dioal  Giovanili,  chs  fu  poi  Papa  Leoas  Xj  •  GiuliaiiQ^  die  fa 
Dnca  di  HeoMuis. 

(5)  A  Bologna^  wrs  il  Bentivoglìo  aecoise  fireddamente  Piare  | 
•  ^  Urbino,  ovs  Giuliano  fit  magnificamepte  e  soa  rara  ainipizU 
ricevala. 

(7)  In  BMno  degli  agenti  dei  loro  traffico  ;  quantunque  Loren- 
10  avciSM  convertiti  molti  capitali  nella  compra  di  i^dte  •  vasta 
tsttote  in  Toscana, 

(8)  Raimondo  dì  Cardona  viceii  di  Napoli^ 

(9)  n  Giovio  a  il  Hardi  dicono  cha  fuggì  traveatito  da  frate* 


la  PREFAZIONE 

l'adorerà  prostesa  ai  piedi  del  trono  pontificale .  Quel 
compagno  del  suo  esilio^  quel  privato  Cayaliere  di  Ro- 
di (io),  che  riguardato  poi  venne  come  T anima  de' suoi 
consigli  (dopo  un  breve  pontificato  (ii)^  che  farà  desi- 
derare con  rammarico  quello  di  Leone  )  è  destinato  a 
succedergli j  ed  a  mostrare,  in  mezzo  alle*  spaventose  ed 
orribili  calamità  da  cui  sarà  percosso,  come  la  Fortuna  si 
prende  gioco  talvolta,  dopo  aver  balzato  dall'alto  al  basso 
della  ruota  i  suoi  favoriti,  di  rìcondurli  con  rapidità  mag- 
giore della  caduta  fino  al  sommo  di  essa .  Clemente  VII. , 
salvato  appena  dall'  orribile  sacco  dato  a  Roma  dagli 
scellerati  soldati  di  Carlo  V. ,  riconquistò  colle  loro  armi  e 
col  loro  sangue  l'autorità ,  che  in  quel  tempo  la  sua  Fami- 
glia perduto  aveva  in  Firenze,  giunse  ad  imparentarsi  còlla 
Gasa  reale  di  Francia 5  e  mori  lasciando  l'ultimo  rampollo 
del  ramo  di  Cosimo  Padre  della  Patria ,  sotto  un  titolo 
più  modesto,  Signore  assoluto  di  tutti  gli  Stati  che  forma- 
vano già  il  dominio  della  Repubblica  Fiorentina.  La  sola 
città  di  Siena ^  che  si  era  potuta  mantener  libera,  dovè 
presto  cedere  alla  potenza,  all'artifizio^  e  alla  fortuna  di 
Cosimo  L 

Elcco  adunque  in  cinque  Libri,  ben  distinti  fra  loro 
per  un  particolare  carattere,  divisala  Stobu  dblIà  Tosca- 
na SINO  AL  Principato.  Nel  primo  si  va  errando  fra  le  con- 
getture e  le  oscurità.  Nella  maggior  parte  del  secondo  una 
barbarle  universale  cuopre  la  superficie  del  globoi  il  dritto 
della  forza  e  delle  armi  è  il  solo  che  possa  invocarsi.  Il 
terzo  è  la  narrazione  continua  di  dissenzioni ,  di  turbolen- 

(10)  Giulio  de' Medici,  figlio  di  Giuliano  ucciso  nella  Congiu- 
ra de'Pazzi  ,e  che  fu  poi  Clemente  VII. 

(1 1)  Quello  di  Adriano  YL  Vedi  Lib.  V,  Gap.  VI  >  ann.  1  SsS. 


PREFAZIONE  i3 

ze,  e  dì  guerre.  Nel  quarto  si  vede  lina  privata  famiglia 
divenire  a  poco  a  poco  l'arbitra  d'una  potente  Repubblica, 
e  ìndi  ognor  preponderante  negli  ondeggiamenti  della  po- 
litica d'Italia.  Nel  quinto  finalmente  si  comincia  coli' inva- 
sione di  Carlo  YIIL  una  lotta,  che  non  avrà  mai  più  fine. 

Nella  maggior  parte  delle  storie  degli  altri  popoli, 
dopo  la  narrazione  degli  avvenimenti  politici  >  poco  più 
vi  è  da  aggiungere  :  nella  Storia  di  Toscana  sono  essi  forse 
la  parte  meno  importante. 

Dopo  l'invasiòne  de' barbari,  si  cominciaron  a  intro» 
durre  nelle  varie  provincie  d'Italia  diversi  dialetti,  deri- 
vati dall'antica  lor  lingua  innestata  in  quella  de' Vincitori. 
La  Toscana  vide  sorgere  nel  suo  seno  i  primi  scrittori, 
che  formarono,  polirono  e  ingentilirono  quel  dialetto,  che 
divenne  quindi  la  lingua  nobile  d'Italia.  Un  si  bel  vanto 
non  potea  toccarsi  leggermente  5  onde  l'Autore  disegnò  un 
Saggio  suix'Origike  della  LufouA  Itauaha. 

Alla  voce  del  più  grande  Scrittore  (la),  che  vantino 
le  moderne  nazioni,  da  ogni  parte  della  Toscana  si  eleva- 
rono Letterati  ed  Artefici,  che  insegnarono  a  cantar  dol- 
cernente  in  versi,  a  scrivere  elegantemente  in  prosa,  a 
trattare  il  pennello,  ad  animare  il  marmo,  a  fondere  il 
bronzo:  e  quindi  un  nuovo  Saggio  fu  preparato  sul  Ri- 
soiGÙiEiYTO  DELLE  Lettere,  SoEinEE  ED  Arti  per  Opera  di 
Dante,  del  Petrarca,  del  Boccaccio,  di  Donatello,  e  di 
Bmnellesco. 

Nel  risorgimento  intanto  dell'Architettura,  immensi 
tesori  si  profondevano  dai  Sanesi  per  fabbricare  la  loro 

(la)  Si  faccia  sempre  una. differenza  tra  lo  scrittore,  e, gli 
acritti.  La  divina  Commedia  non  è  la  pia  grande  opera  dell'  inge- 
gno de' moderni  ;  ma  chi  scrisse  quell'opera  iu  quei  tempi  è  il  pih 
grande  di  quanti  ne  son  venuti  in  appresso. 


/ 


t4  PREFAZIONE 

maestosa  Cattedrale»  dai  Pisani  per  quel  magnìfico  Gùnpo 
Santo I  uno  de' più  bei  monumenti  del  secolo,  dai  Fioren- 
tini peir  emulare  nelle  loro  Chiese^  nei  loro  Palagi  »  e  nelle 
pubbliche  l4;igge  (i3)^<{uanto  di  grande  rimanera  dell'an* 
tichità*  Come  mai  ciascuno  va  dimandando ,  un  popolo 
rincbiuso  tra  i  confini  di  una  poco  fertil  provincia,  può 
esser  giunto  a  si  gran  ricchezza ,  onde  inalzare  delle  moli 
degne  dei  Romani  medesimi?  Ecco  adunque  la  pecessitk 
di  dare  succintamente  almeno  un'idea  dell'orìgine  di  si 
stl*aordinftrìa  prosperità  j  in  un  Sàggio  soj»  OnoiEaao  dei 
'TdscAìrt)  che  accompagnerà  il  qtiarto  Libro»  ove  si  narrano 
contemporaneamente  le  tante  imprese  di  guerre  esterne , 
che  si  alimentatano  da  quelle  immense  ricchezze. 

D  secolo  di  Lorenzo  de^  Medici  in  fine  e  il  principio 
dell'altro  di  Leone»  ricordando  quello  di  Pericle»  inyitaya 
giustamente  lo  Storico  a  consacrare  i  suoi  talenti  alla  me- 
mòria di  quei  grandi ,  che  chiara  eternamente  faranno 
sopra  ogni  altra  questa  nostra  patria,  che  a  dispetto  del- 
l'invidia e  della  gelosia  chiara  sempre  si  mantiene  al  pari 
d'ogni  altra  provincia  d'Italia  (i4)«  Q  Leoniceno  neUa 
Medicina»  il  Soccini  nel  Dritto,  il  Toscanelli  nella  Mate- 
matica» il  Guicciardini  nella  Storia  »  il  Machiavelli  nella 
Storia  e  nella  Politica,  il  Poliziano  nella  Poesia,  il  Casa 
nell'Eloquenza»  il  Ghiberti»  Leonardo»  il  Frate»  Andrea 

(i S). Quella  dell'Orgagna  soprattatto^  che  dall'egregio  Sig4  Ci- 
cognara  lieUa  sua  8torìa  della  Scultura»  vien  chiamata  a  ragiojM  il 
ptb  M  Portico  del  mondo*  T.  L 

(i4)  La  Toscana»  nella  poesia  (  per  non  parlar  d'altro  )  ha 
tentato  ai  nostri  tempi  il  Pignotti»  il  Fiorentino»  e  il  Fantonì.  Non 
sappiamo  fra  i  contemporanei^  se  sopra  una  popolazione  eguale» 
verun'  altra  provincia  potesse  contrapporle  un  maggior  numero  di 
poeti  di  ugual  valore . 


PREFAZIONE  i5 

del  Sano,  Rafl^Uo»  il  CeUìiu,  U  Baoiurroti  nelle  Belle 
Artide  runico  Leon  Battista  Alberti  in  tatto,  (poiché  fu  ad 
un  tempo  matematico,  fisico,  poeta,  critico,  moridista,  ar> 
frihitetto»  acnltoret  e  pittore  )  formano  una  corona  d'Inge- 
gni, senza  parlare  de'minfxri ,  di  cui  non  sappiamo  se  la 
Grecia  stessa  vantar  ne  possa  una  qpale.  Se  dessa  era  fatta 
per  inalzar  Fanimo  di  qualunque  Scrittore,  molto  più  rì- 
cUaniar  doveva  particolarmente  gli  sguardi ,  ed  infiam- 
mare il  cuore  di  quegli,  che  passato  aveva  i  suoi  anni  nella 
ctthnra  e  nell'  esame  di  tutte  le  opere  derivate  daUe  arti 
del  Bello.  Un  ultimo  Saocuo  adunque  fu  ordinato  e  dispo- 
sto soujO  stato  dbllb  Scddooi  ,  Lettbbb  ed  Aiti  àiIa  fihb 
no.  aoosjo  xv.  e  al  pruìcipio  del  xvi.|  che  forma  esso  solo 
quasr  un  volume  dell'  int^a  opera ,  e  n'  è ,  senza  contra- 
sto, il  juù  bell'ornamento. 

Insegnate  in  tal  maniera,  e  ripiene  alcune  parti  del 
suo  lavoro  (i  5),  si  diede  a  ricercare  minutamente  ogni 
angolo  de'Fi<nrentini  Archiv),  i  quali,  benché  diligente- 
mente esaminati  e  da  MonsigncNr  Fabbrpni  e  dai  dotti 
amia  del  celebre  Roscoe  (16),  pur  non  ostante  gli  ofin- 
rooo  qualche  inedito  Documento.  Tutte  lesse  le  Storie 
manoacritte  »  e  le  Gronache  più  importanti  »  non  che  il 
voluminosissimo  Diario  del  Burcardo,  che  conservasi  nella 
Linrenziana  ,  unitamente  all'  altro  di  Paride  Grassi  :  e 
dopo  aver  fatto  ampia  messe  di  notizie  si  diede  a  scrìvere 
da  capo  a  fondo  la  sua  opera .  Si  avvedranno  i  meno  ac- 
corti che  in  essa  la  narrazione  acquista  forza  e  vigore  di 

Ci  5)  Qaelle  in  specie  che  appartengono  esclusivamente  alla 
leticraliini,  e  quells  dis  son  troppo  note  per  aver  bisogno  di  soc- 
istorio  e  di  monnmenti  • 
(16)  n  CauftBW  Baodini ,  e  il  Residente  Dritannioo  Sig.  Pca- 


i6  PREFAZIONE 

tuAtio  in  mano  che  creace  V  interéffle  f  e  progreditcoao  gli 
ftlrreniinenti I  nell'atto  stesso  che  i  diyersi  Saggi»  compo* 
sti  in  yar)  tempi ,  e  frutto  in  gran  parte  delle  mcJte  e 
giudiziose  riflessioni  ^  nate  dalla  lettura  degli  Scrittori  di 
Cui  parla ,  sembrano  lumeggiati  con  più  brillanti  colori  • 
lift  sola  ultima  parte ,  eh'  é  il  periodo  di  storia  divenuto 
famoso  e  per  i  grandi  cangiamenti  accaduti  in  Italia»  e 
per  la  penna  del  Guicciardini ,  sembra  da  lui  dettata  con 
maggior  vigore  delle  altre  «  Con  un  emulo  a  fronte  di 
quella  forza  e  di  quella  profondita  par  qhe  prenda  animo 
dal  contrasto  difficile  nel  quale  si  trova  .  Il  carattere  fer* 
mo  ed  ardito  del  Gipponi  »  V  audace  eloquenza  del  Savo- 
narola )  i  profondi  ragionamenti  del  Fiorentino  SegretariOi 
la  bontii  di  carattere  di  Giuliano  de' Medici»  l'inconsi- 
deratezza di  Piero,  la  magnificenza  e  soverchia  prodigalità 
di  Leone ^  l'arroganza  di  Lorenzo  (17)»  T accorta  placi- 
dezza di  Giulio  (  finché  fu  al  governo  di  Firenze  )  e  la  sua 
doppiezza  e  pusillaninutà  dopoché  fa  assunto  alla  Tiara  » 
tutto  è  luminosamente  trattato  in  un  quadro  più  ristretto, 
più  animato  e  più  vario  di  quello  che  abbiano  fatto  la  più 
parte  degli  Scrittori  dell'  istoria  Fiorentina^  ai  quali  »  in 
mezzo  ai  loro  pregi  »  manca  pressoché  sempre  la  conve- 
nienza della  misura  (18)  • 

Terminata  in  tal  maniera  di  scrivere  un*  opera  »  che 
meriterebbe  le  fatiche  di  un  mezzo  secolo ,  e  dopo  averla 
in  grandissima  parte  di  sua  mano  copiata  (19).,  o  cmtn- 

(17)  Piglio  dì  Piero  »  che  ta  poi  Duca  d'Urbino»  al  qnala  il 
Machiavelli  dedicò  il  suo  Libro  del  Prmcf/i«. 
V  (18)  Intendesì  già  degli  scrittori  della  storia  di  questi  tempi . 

(19)  Sono  d'altra  mano,  ma  da  lui  emendati,  il  Libro  IL»  il 
tIL»  e  porzione  del  lY.»  cioè  sino  al  i434-;l'<^PP*adice  sidl'Arte 


PBEPAZIONB  il 

daU^  uancaTale  sempre  quel  puUmento ,  che  gii  iciìttoii 
•oglion  dare  alle  loro  opere  quando  correggono  le  prove 
della  stampa  •  Persuaso  di  questa  verità  il  Conte  Alfieri 
eUbe  a  dire  ,  clie  un*  opera  MS.  era  un  Ubro  mezzo  fatto 
il  quale  non  può  ricevere  il  suo  intiero  compimento ,  che 
dalla  mano  sollecita  e  infatigabile  dell'Autore  i  che  pre- 
sieda alla  edizione  »  e  n'  emendi  ogni  fallo  • 

Disponevasi  intanto  il  Pignotti  a  darle  in  tal  maniera 
le  ultime  cure  »  quando  il  Governo  Francese  fece  pubbli- 
care la  celebre  Legge  sulla  stampa  i  colla  quale  (  senza 
parlare  del  resto)  si  costringevano  gli  Autori  a  inviare 
tlk  censura  i  loro  Manoscritti  trecento  leghe  lontano  dal 
lor  domicilio  •  Depose  egli  allora  ogni  pensiero  di  dare 
alla  luce  la  sua  Storia,  attendendo  tempi  migliori.  Percosso 
di  li  a  poco  dalla  lunga  e  crudel  malattia ,  che  lo  ha  con** 
dotto  al  sepolcro ,  la  dovè  lasciare  imperfetta  4 

Ma  peraltro  generale  »  dopo  la  sua  morte ,  manifesta- 
vasi  il  desiderio  di  veder  pubblicata  una  Storia ,  che  non 
solo  era  nota  favorevolmente  a  quei  pochi ,  a  cui  l'Autore 
avevala  confidata 5  ma  che  attendevasi  da  molti,  che 
conoscevano  l'Autore^  come  atta  a  riempiere  un  vuoto 
nella  nostra  letteratura .  Cedendo  i  di  lui  eredi  alle  uni*- 
versali  richieste  >  e  non  perdonando  a  spesa  per  ^  darne 
un'Edizione  nitida,  elegante,  degna  dell'Autor  suo  (*), 
furono  però  incerti  del  modo  da  tenersi  nel  pubblicarla  • 
Sapevano  essi  che  non  aveva  potuto  ricevere  l'ultima  mano 
dall'  illustre  Autore  e  dovevano  dunque  lasciare  intatti  an* 
che  quei  luoghi  visibilmente  difettosi,  che  l'incuria  la 

ciefla  guerra ,  il  Saggio  I.  >  la  maggior  parte  del  II.,  e  tutto  il  III*  Si 
tiotaciò  minutamente  per  le  ragioni  addotte  alla  nota  17  del  Lib. 
IV>  Cap.  XIV. 

(0  Parlasi  della  prima  citata  ediz.  di  Pisa  in  8.^  del  i8i3- 14 
Tomo  1,  a 


i8  PREFAZIONE 

fretta ,  o  il  pensiero  di  correggerli ,  ayeano  lasciato  scor- 
rere dalla  di  lui  penna  ?  o  pure  »  facendosi  interpreti  del 
suo  desiderio  »  arditamente  emendarli  ?  Nel  primo  caso  » 
che  cosa  mai  direbbero  della  di  lui  negligenza  quei  tanti  » 
cbe  a  guisa  dello  scarafaggio ,  non  cercano  che  le  immon- 
dezze nelle  opere  dei  più  riputati  Scrittori  ?  e  che  cosa 
direbbe  il  pubblico  della  loro  temerità,  nel  secondo? 
Stanano  essi  perplessi  in  tale  incertezza,  quando  leggendo 
quel  luogo  del  Saggio  IV,  ove  l'Autore  parla  del  Segreta- 
rio Fiorentino ,  in  quello  trovarono  la  sua  più  bella  dife- 
sa (20) .  Gessò  quindi  ogni  dubbiezza ,  e  fu  risoluto  di 
pubblicare  la  Storia  scrupolosamente  quale  si  ritrovava 
nel  MS.  —  Se  i  critici,  in  tal  modo,  additeranno  qualche 
neo  sparso  sopra  un  bel  volto ,  gli  Elditori  non  avranno 
almeno  il  rammarico  di  poterne  aver  alterata  la  fisonomia* 

(30)  ce...  E'  accusato  d'aver  talora  negletta  nello  scrivere  la 
ce  correzione  grammaticaleS  Si  può  dire  in  sua  difesa  che  i  falli  sono 
ce  così  lievi,  che  appena  alcuno  se  n'accorge .  Egli  è  il  primo  a  mo- 
te strare  che  si  può  scrivere  con  forza  e  con  chiarezza,  trascurando 
-ce  le  minuzie  grammaticali  '.  Occupato  dei  grandi  oggetti ,  ha  posta 
ce  tutta  l'energìa  nell'esprìmerìì,  prendendo  poca  cura  delle  regole , 
ce  tra  le  quali  spesso  gli  scrittori  implicati ,  perdendo  tempo  a  ven- 
cc  tilar  le  parole  e  la  loro  posizione,  arrestano  la  rapida  marcia  dal 
•e  genio,  e  snervano  lo  stile  ec.  »  Saggio  lY. 


•9 

AVVERTIMENTO 


A 


quanto  si  è  detto  nella  Prefazione  crediamo  do" 
vere  aggiungere  alcune  avvertenze  particolari^  che  ri" 
guardiamo  come  importantissime* 

Se  somma  è  la  difficoltà  per  ogni  storico  di  per* 
correre  rapidamente  de* grandi  periodi,  ove  gli  av- 
venimenti  senza  interruzione  si  succedono  gli  uni  agli 
altri  t  e  per  cosi  dire  fra  loro  si  oscurano ,  cresce  a 
dismisura  la  difficoltà  quando  il  di  lui  cammino  ifenga 
ad  ogni  passo  intersecato  dagli  avvenimenti  della 
Storia  Ecclesiastica ,  nella  quale  non  può  supporsi  che 
lo  storico,  che  per  incidenza  ne  parla ^  trattar  possa 
molti  soggetti  spinosi  con  quella  profondità  e  quella 
scrupolosa  esattezza  di  espressioni ,  che  si  richiedereb- 
bero da  un  controversista .  Depositari  noi  quindi  dei 
sentimenti  delV Autore,  crediamo  dover  prevenire  ogni 
sinistra  interpetrazione  di  espressioni  ambigue ,  d*  as* 
serzioni  poco  esatte  (i),  di  epiteti  dubbf ,  e  in  specie 
di  generali  sentenze  ,  delle  quali,  altre  non  esatte  per 
se  stesse  lo  divengono  però  quando  vogliano  intendersi 
a  seconda  dello  spirito  dei  fatti  già  esposti ,  altre  al 

(i)  Quella,  per  esempio  »  che  si  riproduce  più  d'una  volta , 
che  i  Pontefici  credano  d'avere  il  diritto  sui  Regni  della  Terra  »  e 
che  ad  essi  appartenga  la  facoltk  di  creare  i  Sovrani  »  che  non  h 
forse  verificata  che  in  qualche  rara  circostanza  ,  ma  che  genei*al- 
mente  è  falsa , 


I 


20 

contrario  per  se  stesse  giustissime,  potrebbero  essere 
/fisamente  interpetrate ,  se  si  volessero  riferire  soU 
tanto  a  un  tale  ,  o  tale  altro  particolare  avvenimento , 
a  cui  talvolta  van  dietro  •  U Autore  ,  come  si  è  detto  , 
non  ebbe  tempo  di  dar  V  ultima  mano  al  suo  lavoro  ,  e 
conseguentemente  non  può  negarglisi  qualche  indul* 
genza ,  molto  più  in  cose  difficili  a  trattarsi  anche  per 
chi  le  professa . 


LAN^RKXTIO    •    PIGXOTTO 

PHIIjOSOPHO-JHISTOUIC   •  TPOKTAF4 
IX    FABVLilS  -ITALiICO  •  CAU^flXK  •  SC1UBKXD3^ 

FACII^K  -PRIMO 
9\'l  •  VIX  •  AX  •  I^XXII  •  M  •  XI  •  D  •  XXVI 

I>KrKSS  •  XOX  •  AVG  •  AX«M*  nccc-xii 

BOX  CU    •  FRATRKS  «HKliKOKS 

AVX'^cviiO  •  n  •  ^i-vv  • 


Éb. 


/  rr/rr    ///r- 


1 

1 

I 

; 
I 


NOTIZIE 

STORICHE 


SULLA  VITA  E  SULLE  OPERE 


DI 


I^ORENZO  PIGNOTTI 


/ 


a3 


iJorenzo  Pignotti  nacque  in  Figline^  ricca,  eulta, 
e  popola tissima  terra  del  Valdarno  di  sopra ,  nel  9 
agosto  1739.  Ebbe  per  padre  un  agiato  negoziante 
di  quella  terra:  ma  al  nascere  di  Lorenzo  parve 
che  la  fortuna,  distruggendo  gli  averi  del  padre, 
volesse  opporsi  alla  futura  celebrità  del  figlio,  di- 
modocbà  si  può  dire  con  qualche  ragione  di  lui 
come  di  quell'illustre  Romano  che  nulla  doveva 
agli  avoli  suoi:  videtur  ex  se  natus:  fu  quasi  figlio 
di  se  medesimo. 

Uà  zio  paterno,  che  con  miglior  sorte  del  fra-* 
tello  avea  intrapreso  commercio  in  Arezzo,  chiamò 
colà  Lorenzo  allora  in  tenera  età  ed  orfano  per  la 
morte  del  padre  e  della  madre ,  insieme  colle  due 
sorelle  Maria,  ed  Anna,  e  col  fratello  Odoardo. 
i  L'esito  mostrò,  che  questo  zio  paterno  non  si  vol- 

'  geva  a  soccorso  del  nepote  per  un  sentimento  di 

umanità^  di  parentela,  o  di  commiserazione,  ma 
cedendo,  quasi  suo  malgrado,  al  dovere  che  la  legge 
imponeagli  di  alimentarlo.' Non  fu  altronde  tra* 
scurata  da  lui  la  educazione  del  nepote  t  11  Semi- 
nario d'Arezzo,  che  si  distinse  in  ogni  tempo  per  . 
ia  ottima  disciplina,  per  il  metodo  de'  buoni  studj , 
e  per  la  capacità  degl'istitutori,  ebbe  Lorenzo  nel 
numero  de' suoi  alunni. 


a4  NOTIZIE 

Jl  giovane  discepolo  mostrò  di  buon'ora  che  i 
tfuoi  talenti  lo  destinavano  ad  occupare  uno  de' pri- 
mi posti  fra  i  poeti  e  i  letterati  d'Italia.  Percorse 
con  una  rapidità  che  eccitò  la  sorpresa  de'  suoi 
maestri  le  prime  classi  delle  lettere  umane .  Spinto 
da  una  curiosità  che  tutto  abbracciava ,  e  dotato  di 
una  memoria  che  tutto  riteneva^  egli  arricchì  la 
sua  giovine  mente  delie  più  squisite  bellezze  dei 
classici  italiani  e  latini ,  e  il  gusto  della  sua  scelta 
mostrò  ch'egli  avrebbe  un  giorno  o  eguagliati^  o 
superati  i  modelli  che  prendeva  per  guida .  La  emur 
Iasione  suole  essere  T incentivo^  di  cui  le  istituzioni 
destinate  alla  scientifica  e  letteraria  educazione 
rlella  gioventù  si  valgoiio  per  impegnarla  allo  stu^ 
dio.  Il  giovine  Lorenzo  non  ebbe  bisogno  di  x]uesto 
stimolo  ordinario  9  e  che  sta  tanto  d'appresso  all'in* 
ìfìdiaL  f  per  lanciarsi  con  ardore  nella  carriera  dello 
lettere.  Egli  vi  era  chiamato  da  un  istinto  che  lo 
dominava;  e  la  distanza  ch'ei  lasciò  tra  se  e  i  suoi 
condiscepoli^  ravvicinandolo  a'suoi  maestri^  lo  rese 
l'oggetto  dell'ammirazione  degli  uni  e  degli  altri* 

Coloro,  che  nell'esame  delle  q-ualità  morali^  e 
delle  disposizioni  delio  spirito  di  un  uomo,  tutto 
attribuir  vogliono  alla  educazione,  avranno  sempre 
una  forte  obiezione  al  loro  sistema  nel  prematuro 
e  sollecito  annunzio  che  in  alcuni  giovani  individui 
fa  la  natura  delle  grandi  qualità  che  poi  sviluppano 
adulti.  Pignotti,  involto  nelle  miserie  del  padre, 
allorché  questi  co^  deboli  avanzi  del  suo  infelice 
commercio  erasi  ritirato  in  Città  di  Castello!,  donde 
fu  poi  chiamato  dai  doveri  di  parentela  dello  zio  , 
non  avendo  ancor  compiti  nove  anni,  poetava, ed  i 
suoi  versi  mostravano  un  genio  ben  superiore  alla 


STORICHE  a5 

età .  Nel  Seminario  di  Arezzo  non  era  egli  ancora 
escito  dalla  classe  degli  studenti  che  fu  reputato 
degno  di  esser  maestro. 

Dirigeva  in  quel  tempo  gli  studj  rettorici  in  quel 
Seminario  un' Ecclesiastico  alla  di  cui  poetica  ce» 
lebrità  nulla  sarebbe  mancato^  se  nato  fosse  in  un 
paese  men  ricco  di  poeti,  della  Toscana»  Il  Pievano 
Laudi  (  poiché  sotto  questo  nome  fu  sempre  di  poi 
conosciuto  )  letterato  amenissimo,  e  di  una  leggia* 
dria  classica  nelle  poesie  bernesche,  apprezzò  i 
talenti  letterarj  del  giovine  Pignotti  e  coltivò  in 
lui  la  innata  disposizione  ch'egli  mostrava  pel  poe* 
tare(i).  Non  era  egli  ancor  escito  dalla  classe  della 
Bettorica,  che  le  sue  poesie  formavano  lo  stupore, 
eia  delizia  delle  più  culle  persone  della  città, cosic* 
che  gli  ocelli  di  tutti  erano  rivolti  sul  seipioarista 
poeta* 

La  celebrità  che  distingueva  il  Pignotti  ancor 
giovine  impegnò  Monsignor  Filippo  Incontri,  che 
allora  copriva  la  Sede  Vescovile  di  Arezzo,  Prelato 
estimatore  de' talenti,  e  fornito  di  discernimento 
per  distinguerli,  a  proporgli  di  occupare  il  posto 
del  Landi  allorché  questi  fu  chiamato  dalla  catte- 
dra alla  cura  delle  anime.  Ma  né  le  inclinazioni 
del  Pignotti  lo  determinarono  ad  abbracciare  lo 
Stato  -Ecclesiastico,  come  avrebbe  dovuto  fare  se 
accettava  l'invito;  né  la  elevatezza  del  suo  ingegno 

(i)  Pignotti  ha  fatu  onorevol  menzione  del  suo  Maestro 
in  nna  sna  novella  tuttora  inedita  intit<^ata  lb  bukli  dbl  dutoi.0, 
„  Trovossi  a  caso  un  giorno  non  lontano 
^  Da  questo  pazzo  un  prete  a  Febo  caro» 
^  Che  già  cantò  la  vita  d'  un  piovano 
„  Con  tosco  stile  il  ^vk  purgato  e  raro» 
„  Uno  de'piii  bei  spiriti»  e  plb  dotti 
M  Che  il  fertil  Casentino  abbia  prodotti, 


atì  NOTIZIE 

avrebbe  saputo  abbassarsi  ai  dettagli  del  magistero^ 
che  gli  veniva  proposto  (2). 

Fu  allora  che  egli  dovè  manifestare  allo  zio  la 
sua  decisa  risoluzione  di  darsi  interamente  a  colti- 
vare le  scienze  e  le  lettere^  e  la  impossibilità  di 
legarlo  allo  StaJto  Ecclesiastico.  Questa  franchezza 
del  giovane  Pignotti,  autorizzata  altronde  dalla 
libertà  che  ognuno  dee  avjere  di  scegliersi  uno  sta- 
to^  dispiacque  allo  zio,  il  quale  bruscamente  negolli 
ogni  ulteriore  soccorsole  limitò  ogni  sua  generosità 
a  un  appuntamento  sì  meschino  e  sì  debole^  che 
appena  potea  bastargli  a  soddisfare  i  primi  e  più 
urgenti  bisogni  della  vita  « 

Le  più  grandi  reputazioni  hanno  spesse  volte 
dipeso  da  circostanze,  che  se  mancate  fossero,  uo« 
mini  che  hanno  fissata  V  attenzione  de'  loro  con- 
temporanei e  de'  posteri,  sarebbero  rimasti  confusi 
nella  folla ,  e  coperti  di  oscurità .  La  maggior  sorella 
di  Lorenzo ,  Maria ,  erasi  unita  in  matrimonio  in 
Arezzo  con  Antonio  Filippo  Bonci ,  uomo  che  nella 
sua  professione  di  agrimensore,  e  calcolatore  non 
avea  certo  ampj  mezzi  per  dar  soccorso  al  cognato, 
ma  avea  sortito  dalla  natura  un  animo  generoso, 
un  cuore  compassionevole ,  e  ciò  che  più  importa 
bastante  discernimento  per  distinguere  che  i  talenti 
del  suo  a  (line  erano  pregevoli  cose,  e  meritavano 
perciò  d'essere  coltivati,  e  protetti.  Il  cognato  cor- 

(3)  Ecco  come  egli  stesso  descriTe  questa  epoca  della  sua 
vita  nella  bella  Epistola  al  Gav.  Vittorio  t'ossombroni  : 
„  Tra  i  preti,  senza  voglia  d'esser  prete» 
9,  In  Seminario  i  primi  anni  passai; 
„  E  d'Enea  le  vicende  or  triste,  or  liete 
„  Lessi,  e  del  Yemisin  gli  scherzi  gai: 
„  A.ir  ingegno  abbozzato  in  questa  guisa 
„  Novelle  cognizioni  aggiunsi  a  Pisa. 


STORICHE  27 

resse  io  (accia  a  Pignotti  le  ingiustizie,  e  la  durezza 
del  zio  :  lo  accolse  presso  di  se  ;  lo  sottrasse  allo 
scoraggi  mento,  e  gli  somministrò  i  mezzi  per  con- 
tÌQuare  la  sua  educazione  letteraria ,  e  scientifica 
alla  Università  di  Pisa  • 

Il  Pignotti  mostrò  in  tutto  il  corso  della  sua  vita 
quanto  viva  fosse  la  gratitudine  sua  per  questa  gene* 
rosila  del  cognato.  Egli  dichiarò  sua  Patria  quella 
del  marito  della  sua  sorella,  e  suo  benefattore;  la 
storia  letteraria  può  anche  a  ragione  riguardarlo 
come  Aretino,  se  disprezzando  il  luogo  della  nasci- 
ta  deir  individuo  si  dee  piuttosto  valutar  quello 
della  nascita  della  sua  celebrità;  e  questa  osserva- 
zione, qualora  un  giorno  il  luogo  della  nascita  di 
Pignotti  fosse  per  divenire  oggetto  di  controversia 
erudita,  potrà  forse 

jàux  Saumaises  futures  epargner  des  tortures» 

Le  forze  deir  ingegno  del  giovine  Lorenzo  sem* 
bravano  proporzionarsi  alle  diverse  situazioni  nelle 
quali  trovavasi ,  e  come  seminarista  avea  saputo 
conciliarsi  Tammirazione  ,  ^  la  stima  de' suoi  Pre* 
cettori  umanisti,  cosi  discepolo  alla  Università  sep- 
pe conciliarsi  quella  de' suoi  Precettori  filosofi.  Il 
celebre  Professore  Soria  noto  per  la  vastità  delle  sue 
cognizioni  e  per  la  sua  eloquenza ,  fece  del  Pignotti 
anziché  un  suo  discepolo  un  suo  amico  del  cuore. 
Aveva  questi ,  suir  esempio  del  celebre  Francesco 
Redi  suo  compatriotto ,  prescelto  lo  studio  della 
medicina  e  della  filosofia ,  come  quello  che  più 
forse  era  da  lui  reputato  compatibile  coi  prediletti 
suoi  lavori  poetici  •  In  queste  due  facoltà  egli  fu 
laureato  in  Pisa  nel  primo  maggio  1763,  e  riportata 


38  NOTIZIE 

la  laurea  si  trasferi  a  Firenze  a  farvi  le  sue  pratiche 
tpediche  in  quel  Regio  Arcispedale .     . 

Ebbe  a  quell'epoca  TijQgegno  del  Pigiiotti  uo  più 
Tasto  teatro  ove  farne  conoscere  la  tempra.  CorabÌ7 
nando,  con  una  saviezza  non  tanto  frequente  nei 
giovani  coltivatori  delle  Muse^  ciò  che  egli  dovea 
al  pensiero  di  un  suo  utile,  e  decoroso  stabilimento 
onde  sgravare  il  cognato  del  peso  di  mantenerlo,  e 
ciò  che  sentiva  dovere  al  naturale  impulso  che  lo 
portava  esclusivamente  alle  lettere  ed  alla  poesia, 
procurò  di  acquistare  un  nome  in  medicina  colla 
sua  assiduità  al  pratico  studio  di  quest'arte^ come 
lo  avea  acquietato  e  andava  ogni  giorno  più  esten- 
dendolo colle  sue  poetiche  produzioni ,  che  recitate 
da  lui  nelle  più  colte,  e  più  distinte  società  della 
capitale  lo  aveano  reso  V  oggetto  della  meraviglia  , 
e  deMesiderj  di  tutti. 

In  tempo  de' suoi  studj  pratici  di  medicina  fu 
ascrìtto  il  Pignotti  nel  annoerò  degli  Accademici 
Apatisti;  e  ciò  che  prova  ch'egli  fin  da  quel  tempo 
seppe  unire  a  una  immaginazione  piena  di  vivacità^ 
e  di  grazia  quanto  la  memoria  può  possedere  di 
vaste  ed  utili  cognizioni^  fu  l'accoglienza  ch'ei  me« 
rito  sebbene  in  giovine  età  ,  dai  dotti  componenti 
la  cosi  detta  Accademia  del  Sibillone(3).  Quest'Ac- 
cademia, sebbene  apparir  potesse  frivola  pel  suo 
oggetto,  era  in  Firenze  un  residuo  di  quelle  amene 
società   letterarie,  che  nate  nella  ricchezza  di  ogni 

(S)  Il  Goldoni  nelle  Memorie  della  sua  Vita  parla  a  lungo 
di  auest' Accademia.  Siccome  detto  libro ,  uno  de'  più  sentili  ^n 
quel  genere  »  va  per  le  mani  di  tutti ,  crediamo  inutile  di  ri- 
poiiare  quanto  ne  dice ,  bastandoci  di  rimandare  a  quello  i  no- 
stri lettori. 


STORICHE  29 

geoere  di  lavori  di  fantasia  y  e  non  sembrando  di* 
rette  ad  alcuno  scopo  di  vera  utilità^  servivano  per 
così  dire  di  alimento  ai  begV  ingegni  che  le  frequen- 
tavano,  e  come  le  cose  di  mero  lusso  mostravano 
lo  sfoggio  che  si  potea  fare  tra  noi  dello  spirito  e 
della  erudizione  anche  dopo  avere  esauriti  soggetti 
di  maggior  conto.  Una  circostanza  mostrò  quanto 
il  giovine  Pigootti  si  mettesse  ben  presto  in  quella 
società  a  livello  de' pili  accreditati^  e  de'  più  vecchi 
campioni  suoi .  Propose  egli  un  quesito  relativo  ad 
un  oggetto  di  scienza:  dovea  far  quadrare  la  risposta 
della  Sibilla  alla  soluzione  del  quesìto^il  Nestore  di 
quell'Accademia^  e  la  Sibilla  avea  risposto  Scuffia. 
0  che  il  Nestore  non  sapesse  nel  momento  immagi* 
Dare  i  rapporti  tra  la  risposta  e  il  quesito,  come  era 
suo  impegno  di  fare,  o  mortificar  volesse  la  cele* 
brità  di  cui  godeva  il  giovine  poeta ,  si  fece  lecito 
di  osservare  che  savissima  ed  opportuna  era  stata 
la  risposta  della  Sibilla  al  quesito  in  quanto  che 
trattavasi  di  un  tema  più  degno  di  occupare  la  toe- 
letta di  una  donna ,  che  la  erudizione  di  un  lette- 
rato. I  poeti  non  si  offendono  impunemente,  e  il 
giovine  Pignotti  mostrò  in  quell'incontro  la  verità 
del  detto  d'Orazio/hcf^  indignatio  versum.  Con  una 
dissertazione,  in  cui  brillavano  i  tocchi  di  una  ori- 
ginai fantasia,  e  in  cui  si  ammiravano  profusi  i  fiori 
di  una  classica  e  squisita  erudizione  misti  alle  gra- 
zie di  ano  stile  lepido  e  piccantissimo,  mostrò  la 
congruenza  della  risposta  Sibillina  al  quesito,  e  fu 
coperto  di  applausi . 

^Queste  brighe  letterarie  e  questi  lavori  di  mero 
accademico  lusso  non  distolsero  il  giovine  Pignotti 
dagli  stud  j  più  serj  e  più  utili  della  medicina  pra- 


3o  NOTIZIE 

tica  a  cui  cbiainavalo  la  riconosceoza  e  il  dovere. 
Ottenne  egli  ben  presto  con  plauso  de' suoi  istitutori 
la  matricola  in  medicina^  e  col  sollecito  esercizio 
di  questa  professione  lucrosa  fu  quasi  subito  in  grado 
di  esimere  il  cognato  dal  pensiero  della  comoda 
sua  sussistenza.  Nato  con  un  senso  rettissimo  sebben 
dotato  di  una  fantasia  fervidissima  ^  egli  seppe  fino 
dagli  anni  suoi  giovani  subordinare  le  sue  più  ca- 
re inclinazioni  al  pensiero  delle  sue  convenienze 
sociali  f  e  ciò  che  recherà  ancor  più  meraviglia ,  e 
servirà  di  esempio  a  coloro  che  giovani  prendono 
per  bisogno  di  indipendenza  poetica  la  inclinazione 
sì  naturale  alla  vita  sfaccendata ,  e  affettano  la  im-* 
pazienza  di  Ovidio  senza  possederne  il  genio^  egli 
si  dette,  per  avere  uno  stabile  e  decoroso  posto 
nella  società,  all'esercizio  di  una  professione ,  alla 
di  cui  efficacia ,  come  qualche  altro  illustre  scettico^ 
non  era  molto  propenso  a  credere  (4). 

Un  medico  letterato  e  poeta  riunisce  tutti  i  mez- 
zi, e  tutti  i  vantaggi  per  fare  una  figura  brillante 
nelle  società  di  una  eulta  e  popolata  capitale.  Pi- 
gnotti  risenti  ben  presto  gli  ottimi  effetti  del  savio 
impiego  de'  suoi  talenti.  Se  allorché  si  mostrò  nelle 
società  come  mero  poeta  potè  dilettar  tutti,  e  fissare 
la  curiosità  di  tutti,  allorché  vi  comparve  come 
medico  accreditato  dalla  stima  delle  sue  guide^  e 

(4)  99  Ebbi  desio  di  rintracciar  l'arcano 

„  Principio  delle  cose,  e  il  cupo  seno 
„  Della  Natura,  ed  un  capriccio  strano 
,,  L'arte  a  studiar  mi  spinse  di  Galeno; 
f9  £  aUor  credeva  in  buona  coscienza 
„  Che  ci  fosse  nel  mondo  questa  scienza. 
,»  Mi  la  fallacia  vistane,  e  visto  anco 

„  Ir  l'astrologo  e  il  medico  del  paro  ec 

Pignoni,  ih. 


STORICHE  3f 

da'  suoi  successi ,  il  diletto  si  convertì  in  bisogno ,  e 
la  curiosità  in  brama  di  possederlo.  Nemico  di  ogni 
specie  di  queir  affettata   gravità  ,  con  cui  qualche 
seguace  di  Galeno  o  cuopre  la  sua  insufficienza  ,  o 
tenta  di  aggiungere  un  merito  di  opinione  al  reale 
suo  merito,  egli  professò  come  medico  e  nel  conte- 
gno, e  nel  metodo  tutta  la  semplicità  e  tutta  la 
franchezza  della  buona  Scuola  Toscana,  e  non  man- 
cò forse  a  lui  per  porsi  al  lato  del  Redi  fra  i  maestri 
nell'arte  salutare  j  che  il  volerlo .  Se  le  medicine 
che  si  apprestano  all'animo  sono  ben  spesso  più,  o 
al  pari  proficue  di  quelle  che  si  apprestano  al  cor. 
pò,  non  mancarono  al  buon  senso,  al  gusto,  alla 
erudizione,  ed  all'amenità  del  Pignotti    i    mezzi 
onde  essere  utile  a' suoi  illustri  malati,  e  illustri  fu- 
rono quelli  che  fin  dal  primo  esercizio  della  sua 
professione  alla  cura  sua  si  commessero .  Fra  questi 
illustri  malati  merita  di  essere  annoverato  il  Signor 
Marchese  Viale  di  Genova,  il  quale  assistito  e  curato 
da  lui  in  una  penosa  e  ostinata  oftalmia,  tale  attac- 
camento a  lui  prese,  che  restituitosi  in  patria  seco 
Io  volle,  e  non  risparmiò  né  preghiere  né  promesse 
per  trattenervelo,  esibendogli  un  decoroso  ed  utile 
stabilimento . 

Ha  Pignotti,  che  avea  contratta  in  Toscana  inti- 
ma ùmiliarità  ,  e  dimestichezza  co'  più  ragguarde* 
voli  personaggi ,  e  che  godendo  della  special  prote* 
zione  dell'illustre  Presidente  Pompeo  Neri  voleva 
onninamente  da  lui  dipendere,  come  egli  si  esprime 
in  una  sua  lettera  del  di  1 1.  Gennajo  1767.  diretta 
alia  sorella  io  Arezzo,  propose  all'impiego  chea 
loi  era  offerto  in  Genova  l'amico  .suo  Abate  Cesti 
aretino,  e  ricusando  fino  una  più  lumiapsa  colloca^ 


3a  NOTIZIE 

Kione^clie  i  beneyoli  suoi  protettori  di  quella  città 
gli  progettarono  in  Parigi,  ritornò  sollecitamente  in 
braccio  de'  suoi  protettori  Toscani  • 

Sembra  che  Pignotti,  o  calcolando  che  la  pro- 
fessione di  medico  continuata  a  esercitare  da  lui 
dopo  il  suo  ritorno  in  Firenze  non  gli  dava  la  indi- 
pendenza e  Tozio  necessario  a  un  col  ti  vator  delle 
Muse  )  o  impaziente  di  avere  un  più  vasto  campo 
in  cui  far  brillare  la  sua  eloquenza  e  la  sua  erudi- 
zione facesse  conoscere  questo  suo  desiderio  air  il- 
lustre suo  protettore  Pompeo  Neri,  il  quale  pensò 
di  fare  un  dono  al  Sovrano  e  alla  patria  proponen- 
dolo per  la  cattedra  di  Fisica  nella  nuova  Accademia 
che  rimmortale  Pietro  Leopoldo  stabili  nel  1769  in 
Firenze  per  la  istruzione  della  nobiltà» 

Questo  impiego  sebbene  non  molto  lucroso  dette 
a  Pignotti  il  mezzo  di  aumentare  la  sua  celebrità  y 
e  di  acquistare  nuove  e  più  strette  relazioni  col- 
rOrdine  il  più  illustre  della  città,  in  mezzo  al  quale 
aebben  non  di  elevata  nascita^  e  dato  interamente 
alle  lettere,  seppe  dipoi  vivere  sempre  ed  ammirato 
ed  amato*  A  questa  circostanza  si  dee  forse  attri- 
buire queir  urbano  e  costante  riguardo,  che  egli 
sempre  professò  alle  persone  per  nascita  distinte,- 
e  quella  inclinazione ,  che  sembrò  portarlo  sempre 
a  cercare  la  lor  compagnia,  inclinazione  di  cui  alcu- 
ni spiriti  cupi  e  difficili  hanno  preteso  di  fargli  un 
torto,  calunniandolo  col  nome  di  adulazione,  e  che 
altronde  mostra  quanto  V  animo  suo  fosse  sensibile 
a  tutte  le  convenienze  sociali,  e  quanta  importanza 
mettesse  in  stabilire  col  suo  esempio  quella  comu-» 
nìcazione  che  sempre  esister  dovrebbe  tra  gli  uo^ 
mini  di  lettere,  e  le  persone  che  hanno  i  mezzi  di 


STORICHE  33 

proteggerle.  Se  Pigootti  fosse  vissuto  al  tempo  di 
Lorenzo  il  MagniGco  egli  avrebbe  avuto  un  posto 
Dei  suo  cuore  insieme  con  Poliziano^  e  Landino. 

Nel  1774  fu  il  Pìgnotti  dalia  cattedra  di  Csica 
in  Firenze  elevato  a  quella  parimente  di  fisica  nel- 
l'Università di  Pisa.  Le  sue  lezioni  in  una  materia 
di  cui  si  può  dire  a  ragione  ornari  res  ipsa  negai , 
contenta  doceri ,  furono  modelli  di  eloquenza  e  di 
gusto.  In  un  tempo  in  cui  quella  città  era  divenuta 
specialmente  in  inverno  il  soggìoroo  di  delizie  d'il- 
lustri e  reali  Personaggi  allettati  a  godervi  la  dol- 
cezza del  clima  y  e  una  situazione  che  Tarte  ha  per 
cosi  dire  strappata  dalle  mani  della  natura  per  ren- 
derla più  deliziosa  e  più  bella,  le  lezioni  del  Pignotti 
erano  frequentate  da  questi  Personaggi  illustri,  che 
il  desiderio  di  udirle  confondeva  fra  i  suoi  scolari . 
Analizzando  la  natura  de' corpi,  e  investigando  le 
lor  proprietà,  egli  dava  a  tutto  un  atteggiamento  in- 
teressante ;  la  immaginazione  allettata  sembrava 
dover  servire  d'incitamento  alla  ragione  per  istruir*- 
si,  ma  era  però  sempre  la  immaginazione  della  ra*- 
giooe  compagna ,  accoppiamento  che  il  solo  gusto 
del  Pignotti  potè  rendere  un  ùtile  mezzo  d'istru^ 
zione  •  Egli  possedeva  la  eloquenza  delle  idee,  e 
quella  delle  parole,  e  V  una  e  T altra  comparivano 
sulle  sue  labbra  abbellite  da  ciò  che  di  più  interes- 
sante ha  la  magia  dello  stile  improvvisato,  e  la  pu- 
rità e  la  correttezza  della  dizione.  Egli  non  ebbe 
volubilità  di  eloquio,  cosa  che  il  volgo  de' parlatori 
e  degli  uditori  confonde  colla  eloquenza,  e  che  altro 
Don  è  che  verbosità  e  pronunzia  :  fu  al  contrario 
pronunziatore  tardo  anzichennò,  e  se  la  causa  deU 
i'iotrinseco  merito  delle  sue  lezioni  avessse  potuto 

Tomo  /.  3 


\ 


34  NOTIZIE 

confondersi  con  quella  del  suo  modo  di  declamare^ 
o  avesse  potuto  per  questo  perdere  del  pregio  suo  ^ 
gli  si  dovrebbe  far  rimprovero  di  una  certa  rao* 
notonia . 

Pare  che  si  possa  riferire  a  questa  epoca  il  prò* 
getto  che  il  Pignotti  concepì  di  dare  alla  poesia 
italiana  un  genere  di  componimento^  di  cui  in  mez- 
±0  allabbondanza  di  ogni  altro  mancava  >  e  al  quale 
dovè  egli  il  sommo  grado  di  fama  a  cui  tanto  fra 
noi  quanto  presso  le  straniere  nazioni  giunse  il  suo 
nome.  Noi  parliamo  delle  sue  favole^  le  quali  videro 
per  la  prima  volta  la  luce  in  Pisa  nel  1782  per  i 
torchi  del  Pieraccini.  Poche  opere  ebbero  il  successo 
di  questa  >  mentre  si  calcola  che  in  breve  tempo  se 
ne  facessero  fino  a  quindici  edizioni  in  Italia  ed  al- 
trove, pervenute  poi  più  che  a  trenta. 

La  favola  del  Pignotti  non  è  del  genere  di  quella 
di  Esopo  ^  o  di  Fedro^  né  di  quella  di  La  Fontaine 
o  di  Gay  sebbene  a  quest'  ultima  più  che  a  ogni 
altra  si  appressi.  La  favola  ornata  è  un  componi* 
mento  che  la  poesia  italiana  dee  a  Pignotti^  e  al 
fino  discernimento  che  egli  portava  anche  nelle 
cose  di  fantasia.  Alcune  favole  del  Crudeli  non  pre- 
sentano né  il  progetto  né  il  tentativo  di  questo  ge- 
nere. La  Fontaine  potè  in  una  lingua  che  tanto  si 
presta  alla  concisione,  e  alla  precisione,  e  tanto  ser- 
ve allo  spirilo,  mentre  tanto  poco  si  adatta  alla  ima- 
ginazione, darsi  a  una  favola^  il  cui  maggior  pregio 
è  la  rapidità  del  racconto ,  e  quella  bella  semplicità 
che  il  nostro  idioma  tanto  poco  conosce  da  non 
aver  termine  da  esprimerla  come  il  francese.  Una 
lingua  poetica  come  la  nostra  dovea  dare  alla  favola 
un  ornamento  che  la  facesse  comparire  con  altri 


STORICHE  $5 

prtfi  che  quelli  della  favola  d'ultramonte  e  d  oltre* 
mare  a  istruire  e  dilettare  in  tutte  le  classi  della  so- 
cietà, cosicché  non  rimanesse  più  confinata  negli 
augusti  limiti  di  una  istruzione  puramente  morale, 
e  circoscritta  nelle  biblioteche  della  gioventù. 

Per  disarmare  la  malignità  che  forse  affettava  di 
ravvisare  in  lui  nulla  più  che  un  poeta ,  Pignotti 
volle  mostrare  che  se  la  sua  mano  sapeva  con  tanta 
grazia  maneggiare  il  pennello  della  poesia,  potea 
con  eguale  successo  maneggiare  Io  stile  delle  scien<» 
te,  e  pubblicò  le  sue  Congetture  meteorologiche 
sopra  le  variazioni  del  barometro  secondo  la  teoria 
del  Signor  le  Roy .  In  un  soggetto  congetturale  te 
ipotesi  le  più  brillanti  e  le  più  ingegnose  sono  quelle 
cbe  più  appagano,  e  quanto  più  il  libro  è  ben  scrit^ 
to,  tanto  meno  il  lettore  misura  i  gradi  di  verisimi* 
glianza  o  dì  probabilità  della  ipotesi.  Le  congetture 
di  Pignotti  sono  piene  d' ingegno  e  coerenti  in  ogni 
lor  parte  al  sistema ,  co'  principj  del  quale  egli  prò- 
cedeva  a  sciogliere  le  difficoltà  del  soggetto.  11  suo 
stile  è  chiaro  e  dotato  di  scientifica  precisione:  le 
grazie  che  di  tanto  in  tanto  lo  adornano  gli  datino 
un'  ark  di  originalità  che  non  va  mai  disgiunta 
dalle  produzioni  degli  scrittori  di  genio.  La  rivolu* 
zione  che  in  questi  ultimi  tempi  subì  la  fisica  chi' 
mica  e  pneumatica  ha  renduti  necessar)  alcuni 
cambiamenti  in  quell'opera,  e  Pignotti,  seguace 
iempre  de'  progressi  del  suo  secolo,  gli  avea  già 
preparati,  ma  per  incuria  o  per  ignoranza  del  li« 
braio,  a  cui  furono  consegnati  per  istamparsi,  sono 
rimasti  tuttora  inediti . 

L'Elogio  di  Pignotti ,  scritto  da  dotta  e  celebre 
penna  ,  percorre  minutamente  le  opere  tutte  si  io 


36  NOTIZIE 

prosa  che  in  verso  onde  egli  arricchì  la  italiana 
letteratura.  Ma  noi  non  possiamo  esimerci  dall' in- 
dicare quell'opere  sue  di  maggior  grido,  che  avendo 
formata  un'epoca  nella  storia  della  poesia,  e  della 
letteratura  patria ,  ne  hanno  pur  formata  una  in 
quella  della  sua  vita  • 

Una  delle  originali  e  preziose  caratteristiche  delle 
poesie  di  Pignotti  è  quella  di  unire  a  quanto  ha  di 
più  vago  e  di  più  variato  la  fantasia  inventiva  quan- 
to di  più  istruttivo  e  filosofico  ha  la  ragione.  Egli 
non  ha  scritto,  tranne  alcune  poche  imitazioni ,  né 
Epistole,  né  Satire,  né  un'Arte  Poetica  come  Ora* 
zio  e  Boileau,  ma  ha  dato  all'Italia  un  modo  di 
poetale  che  lo  rende  1'  Orazio,  e  il  Boileau  dell'ita- 
liana  letteratura.  Sembra  che  sotto  la  sua  penna  le 
Grazie  si  spoglino  de'  loro  attributi  per  rivestirne 
la  ragione  e  la  filosofia  •  Se  egli  si  rivolge  nelle  sue 
poesie  ai  Grandi,  sa  come  Boileau  mescolare  a  Iodi 
giudiziosamente  espresse ,  precetti  di  letteratura  e 
di  morale  resi  con  verità  e  precisione ,  e  il  precetto 
sembra  perderne  l'aria,  tale  è  per  cosi  dire  la  di«> 
aiuvoltura  e  la  grazia  con  cui  si  annunzia.  Nella 
pittura  del  vizio  e  del  ridicolo  egli  nasconde  la  sferza 
in  mezzo  alle  rose,  e  si  fa  leggere  con  interesse  da 
quegl'istessi  ohe  forse  ha  presi  di  mira  scrivendo. 
,  ,  Questi  pregi ,  che  abbelliscono  tutte  le  poesie  di 
Pignotti^  o  si  tratti  delle  sue  favole,  o  si  tratti  delle 
sue  liriche  poesie ,  presagivano  un  genere  di  compo-* 
nimento  di  cui  doveano  formare  la  primaria  bellez- 
za ,  e  che  perciò  esser  dovea  un  genere  originale  •  i 
Ne' lavori  di  fantasia,  e  nelle  opere  di  gusto  é  dif-  * 
ficile  classare  i  generi  come. si  classano  le  pietre  e 
gl'insetti  nel  gabinetto  di  un  naturalista , e  il  genio 


STORICHE  37 

che  crea  si  rìde  dello  spirito  di  clsssaBione .  L'Ita- 
lia  possedeva  un  genere  di  poema ^  che  raggirandosi 
sulla  narrazione  di  un  avvenimento  celebre^  ma  ri- 
dicoloy  non  meritava  il  nome  di  poema  epico  y  a  cui 
perciò  i  classato rì  dettero  il  nome  di  poema  eroico- 
mico •  Ma  questo  genere  anche  sotto  la  penna  del 
facile  ed  ameno  Tassoni  fu  condannato  sempre  ad 
una  poco  decente  scurrilità  ;  e  le  Muse  non  si  ver- 
gognarono  talvolta  di  parlar  le  frasi  della  piazza  ^e 
del  trivio  •  Despreaux  aveva  mostrato  nel  suo  Leggio 
come  con  poca  materia  si  può  spargere  in  un  sog- 
getto molta  varietà  ,  del  movimento  e  delle  grazie^ 
e  in  Despreaux  la  varietà  non  affoga  la  unità  del 
sc^getto  in  una  farragine  di  episodj  posticci  che  la 
distruggono  :  il  movimento  non  consiste  nel  con- 
giungere il  mitologico  collo  storico,  V  allegorìcocol 
reale  ^  e  nel  condurre  gli  Dei  dell'Olimpo  a  un'oste- 
ria :  né  le  Grazie  invece  di  sorridere  decentemente 
si  smascellano  come  le  donne  del  volgo  •  Ma  per 
tenere  in  giusti  confini  il  ridicolo  in  un  tal  genere 
di  componimento  e  renderlo  quanto  più  è  possibile^ 
sia  permesso  il  dirlo ,  spirituale ,  è  necessario  uh 
senso  squisito  delle  convenienze ,  uùa  cognizione 
perfetta  di  tutte  le  gradazioni  delle  umane  follie,  e 
di  tutti  i  capricci  delle  ingentilite  passioni,  onde  il 
poeta  possa  scegliere  i  suoi  modelli  nelle  conver- 
sazioni, e  non  nelle  piazze.  La  unione  della  poesia 
allo  spirito  sarà  notata  dagli  annali  della  nostra  lette- 
ratura nel  Poemetto  del  Pignotti  la  treccia  donata. 
Noi  non  pensiamo  che  la  traduzione  sia  la  pietra  del 
paragone  della  bontà  di  un  componimento  poetico 
comaDque  esser  lo  possa  della  precisione  dello  stile. 
Ma  le  traduzioni  francesi  che  di  questo  poemettp 


38  NOTIZIE 

«ODO  State  fatte  mostrano  che,  anche  spogUato  della 
magia  dello  stile,  in  cui  il  maggior  pregio  della 
poesia  consiste,  le  spiritose  allusioni,  la. leggiadra  e 
rapida  narrativa,  la  pittura  piccante  de' caratteri , 
e  la  ricchezza  della  invenzione  hanno  potuto  con* 
servarsi  con  interesse  anche  a  traverso  il  mezzo 
trasparente  sì  ma  sempre  imperfetto  ed  oscuro  dalla 
traduzione  in  una  non  poetica  lingua  • 

Negli  Elogi  del  Consigliere  Tavanti,  del  Mattema. 
tico  Perelli,  e  del  Cavaliere  Ranuzzi,  Professore  di 
diritto  pubblico  nell'Università  di  Pisa ,  pagò  il  Pi* 
gnotti  un  debito  all'amore  di  patria,  poiché  o  Are- 
tini ,  o  quasi  Aretini  erano  quei  distinti  soggetti  • 
Nelle  Lettere  su  i  Classici  latini  al  suo  amico  Se* 
nator  Giulio  Mozzi,  egli  altro  non  facendo  che  te- 
ner conto  de' colloqui  che  seco  lui  su  molte  materie 
di  gusto  avea  avanti  in  occasione  delle  RR.  villeggia* 
ture  al  Poggio  a  Cajano,  di  cui  saremo  a  parlara 
più  diffusamente  in  appresso,  cosicché  dir  potea 


vestigia  retro 

Observata  seguorf 

mostra  qual  fosse  il  fino  suo  discernimento,  e  il 
tatto  suo  squisitissimo  uell' apprezzare  le  bellezze 
de' capi  d'opera  del  genio  nelle  due  arti,  si  spesso 
a  torto  chiamate  sorelle,  la  poesia  e  la  pittura:  egli 
ammiratori  del  Tasso  debbono  perdonargli  il  posto 
subalterno  in  cui  pur  sembra  che  abbia  voluto  col* 
locarlo  a  confronto  dell'Ariosto,  te  non  altro  in 
grazia  dell'  ingegnose  riflessioni  eh'  egli  fa  suir  uno 
e  suir  altro  poeta  . 

Era  da  credere  che  dopo  tante  originali  e  si  bel* 
le  produzioni  nulla  ormai  più  mancasse  alla  gloria 


STORICHE  39 

ktteraiia  di  Pi^otti.  Ma   egli  avea  concepito  il 
progetto  di  an"  opera  tanto  vasta  per  la  moltiplicità 
degli  oggetti  che  dovea  abbracciare^  quanto  impor- 
tante per  la  indole  degli  avvenimenti  che  dovea 
descrivere.  Noi  non  potremmo  determinare  quali 
furono  i  motivi  che  impegnarono  Piguotti ,  che  aspi- 
rava ad  assidersi  al  Ganco  della  Musa  della  Storia 
come  erasi  assiso  a  quello  della  Poesia ,  a  scegliere 
la  Storia   della  Toscana  da'  più  remoti  ed  oscuri 
tempi  dell'Etrusche  antichità  fino  allo  stabilimento 
del  Granducato.   Ma  noi  dobbiamo  congratularci 
con  noi  medesimi ,  e  con  tutti  i  Toscani^  che  questo 
soggetto  non  sìa  stato  tolto  alla  patria  nostra  lette-- 
ratnra,  e  divenuto  come  qualche  altro  toscano  sog- 
gettO)  il  dominio  della  letteratura  straniera.  11  celebre 
Gibbon ,  chiamato  dalla  forza  del  suo  genio  a  ma* 
neggiare  il  pennello  della  storia  >  stette  lungamente 
perplesso  nella  scelta  dei  soggetto  che  dovea  occu- 
pare  Tardità  sua  critica^  lo  sfarzoso  lusso  dello  sti- 
le suo,  e  la  immensa  sua  erudizione.  Nelle  memorie 
per  servir  di  storia  della  sua  vita  e  delle  sue  opere 
scritte  da  lui  medesimo  racconta  che  due  soggetti 
in  prefei*enza  di  ogni  altro  lo  allettavano:  la  storia 
della  libertà  svizzera^  e  quella  della  repubblica  di 
Firenze  sotto  la  casa  de'  Medici  ;  e  racconta  inoltre 
che  data  la  preferenza  a  quest'ultimo  soggetto,  co- 
me reputato  da  lui  il  più  interessante,  avea  già  pre- 
V        parati  molti  e  ricchi  materiali  per  affrontarlo .  Se 
Gibbon  avesse  posto  mano  a  questo  lavoro  istorico, 
e  Io  avesse  compito,  niuu  altro  avrebbe  ardito  forse 
di  scrivere  la  Storia  delle  Toscane  Repubbliche  do- 
poché la  più  bella  parte  di  questa  storia  fosse  stala 
trattata  da  si  valorosa  e  celebre  penna  •  Per  buona 


/ 


4o  NOTIZIE 

▼entara  della  nostra  letteratura  patria^  Gìbbon  me-» 
ditando  sulle  rovine  del  Campidoglio  in  occasione 
del  suo  viaggio  a  Roma^  si  rivolse  alla  decadenza, 
e  alla  caduta  dell'Impero  romano;  e  la  Storia  della 
Toscana  nella  più  luminosa  sua  parte  ^  e  ne 'periodi 
i  più  interessanti  delle  sue  vicende  morali  e  politi- 
che, rimase  intatta ,  onde  esercitare  la  erudizione 
del  nostro  Pignolti  • 

Quest'  opera,  di  cui  sebben  postuma  noi  parliamo 
adesso  per  non  interrompere  la  narrazione  delle 
opere  sue  letterarie,  poiché  la  vera  vita  di  un  let<» 
terato  tutta  nelle  sue  produzioni  consiste,  dovè  co* 
stare  a  Pignotti  lunghi  e  penosi  studj  e  una  fatica 
sempre  mal  compatibile  con  un'età  già  come  la 
sua  avanzata.  Poeta  da  giovine  riserbò  gli  ultimi 
anni  della  sua  vita  alla  gravità  dello  storico.  Pec- 
cheremmo di  arroganza  se  volessimo  anticipare  un 
giudizio  su  questa  opera,  che  mentre  noi  scriviamo 
non  è  ancor  divenuta  di  pubblico  dritto.  Ma  sarà 
lecito  allo  scrittore  delle  notizie  della  vita  e  delle 
oper.e  di  Pignotti  di  notar  tutto  ciò  che  in  queU 
r opera  è  degli  attributi  dell'uomo  e  del  cittadino 
anziché  dell'Autore.  La  moderazione  e  la  saviezza 
con  cui  Pignotti  giudica  degli  avvenimenti  operati 
dalle  passioni  le  più  intrattabili  dell'uomo,  e  la 
decisa  sua  avversione  per  tutti  quei  movimenti  po- 
polareschi ,  che  taluno  sarebbe  tentato  di  chiamare 
democratica  indipendenza,  e  che  chiama  sempre 
movimenti  della  canaglia:  la  venerazione  e  Tinte* 
resse  con  cui  segue  la  origine,  e  i  successivi  ingran* 
dimenti  della  Casa  Medicea,  in  tomo  alia  quale  co- 
me  centro  di  sicurezza  e  di  pace  le  lunghe  inquie- 
tudini, che  agitarono  la  Toscana,  rimasero  acquie- 


STORICHE  4i 

tate  ed  estinte,  mostrano  il  retto  suo  senso  nelle 
cose  politiche^  e  la  profonda  sua  cognizione  della 
umana  natura»  Quest'opera  più  importante  assai 
che  le  metamorfosi  del  Sulmonese,  poteva  avere 
come  quelle 9  sotto  la  penna  dell'autore  un  maggior 
grado  di  perfezione  se  egli  fosse  stato  in  tempo  a 
correggerla  ;  e  noi  in  questo  riguardo  non  possiamo 
frenarci  da  spargere  su  quel!'  opera  una  lacrima  di 
dolore  come  molte  ci  apprestiamo  a  spargerne  sulla 
sua  tomba . 

La  Storia  della  Toscana ,  al  di  cui  compimento 
con  tutto  impegno  il  Pignotti  si  accinse,  produsse 
due  effetti  neirulterior  corso  della  sua  vita  •  Da  un 
lato  impegnò  la  giustizia  del  Governo  a  compartir- 
gli  ozio  con  dignità,  dall'altro  contribuì  a  logorare 
ogni  di  più  la  sua  vacillante  salute^ 

Dispensato  nel  1801  dalle  lezioni  pubbliche,  fu 
poi  nel  successivo. anno  esonerato  affatto  dalle  cure 
della  sua  cattedra  ,  ond'  egli  potesse  a  migliore  suo 
agio  occuparsi  della  continuazione,  e  del  perfezio-' 
namento  del  suo  storico  lavoi^o  •  Promosso  al  grado 
di  Regio  Istoriografo,  fu  dichiarato  Consultore  del 
Sovrano  in  tutte  le  materie  di  pubblica  istruzione; 
e  finalmente  nel  1807  giunse  al  sommo  grado  delle 
dignità  letterarie  in  Toscana ,  essendo  stato  nomi* 
nato  Auditore  della  R.  Università  di  Pisa. 

Ma  3e  la  Toscana  è  per  possedere  in  Pignotti  uno 
storico ,  ^he  non  ci  faccia  invidiare  alla  Inghilterra 
nn  Hnme  ed  un  Robertson,  ella  ne  è  debitrice  alla 
bontà,  e  alla  munificenza  con  cui  S.  A.  I.  e  R.  il 
Granduca  Ferdinando  HI.  lo  trattò  sempre.  Que* 
st'ottimo  Principe,  amico  fino  da 'suoi  giovani  anni 
delle  lettere  e  decloro  coltivatori,  onorò  i  talenti  del 


4a  NOTIZIE 

Pigaotti  ammettendolo  nello  Scelto  cerchio  di  scien- 
ziati coi  quali  amava  talvolta  di  conversare  familiar* 
mente ^  e  Io  credè  degno  di  contribuire  ad  aumen- 
tare colla  sua  presenza  le  delizie  delle  sue  RR.  vil- 
leggiature al  Poggio  a  Gajano^  alle  quali  era  egli  dalla 
sovrana  bontà  spesse  volte  invitato.  Il  progetto  di 
una  Storia  Toscana  concepito  dal  Pignotti  in  quel- 
l'epoca appunto,  e  allorché  egli  perciò  godeva  di  una 
illimitata  celebrità,  mostra  ch'ei  non  credeva  dì 
avere  ancor  ben  pagato  il  suo  debito  di  attaccamene 
to  alla  patria^  e  di  riconoscenza  al  Sovrano,  se  non 
dava  alla  Toscana  una  storia  di  cui  mancava. 

L'onorevole  incarico  della  direzione  degli  stud| 
toscani,  che  Pignotti  avea  esercitato  con  tanta  utilità 
della  istruzione  pubblica  dal  1801  in  poi,  incominciò 
a  divenire  dopo  il  1808  un  peso  incomodo  sulle  su« 
braccia.  Nel  1809  era  stato  assalito  il  Pignotti  da 
un  colpo  di  apoplessia  che  ebbe  tutte  le  apparenze 
di  nervosa,  nel  palazzo  degl'illustri  suoi  protettori 
ed  ospiti  i  Signori  Principi  Corsini  in  Firenze,  ove 
il  Pignotti  ammessovi  dalla  liberalità  e  dall'amicizia 
del  Gran  Priore  Lorenzo  di  questa  casata ,  era  vi  pur 
trattenuto  da  un  egual  tratto  di  amicizia  e  di  libe- 
ralità degli  ottimi  Principi  nepoti  suoi,  ai  quali  fa 
sempre  la  compagnia  di  Pignotti  carissima^  come 
cara  ne  conservano  la  memoria.  Da  quell'epoca  ia 
poi  i  suoi  amici,  e  quelli  che  più  frequentemente  a 
lui  si  avvicinavano  incominciarono  a  notare  in'  esso 
un'  indebolimento  di  memoria  ,  che  andò  gradata- 
mente aumentandosi ,  in  special  modo  per  le  cose 
recenti,  sebbene  vivissima  e  pronta  la  conservasse 
()er  le  antiche.  Le  sue  facoltà  intellettuali  furono  ia 
progresso  indebolite  di  più^  da  altri  e  nuovi  attacchi 


STORICHE  45 

ipopletici  acquali  andò  soggetto.  La  sua  proclività 
ai  pianto  mostrò  che  la  robustezza  del  suo  spirito 
non  era  altrimenti  la  stessa  •  Le  sue  gite  da  Pisana 
Firenze  nella  calda  stagione ,  delie  quali  egli  tanto 
ti  dilettava ,  furono  affatto  intermesse ,  e  rimase 
stabilmente  a  Pisa,  soggiorno  reputato  da' medici 
più  allo  stato  di  sua  salute  opportuno. 

Pignottì  fino  da  giovine  non  avea  trascurato  alcun 
mezzo  per  corroborare  la  sua  fisica  costituzione.  Il 
gioco  del  pallone,  la  equitazione,  la  caccia ,  nella 
quale  però  non  dette  mai  segni  di  gran  destrezza, 
e  soprattutto  la  scUerma ,  furono  i  ginnastici  esercizj 
con  cui  procurava  di  rinvigorire  il  corpo,  mentre 
arricchiva  collo  studio  lo  spirito.  In  quest'ultimo 
esercizio  ebbe  a  competitore  l'amico  suo  Conte  Fe- 
derigo Barbolani  da  Montauto.  Procurò  anche  di 
sollevare  la  mente  con  distrazioni  piacevoli,  e  amò 
la  musica  specialmente  la  strumentale,  essendosi 
sufficientemente  addestrato  al  suono  del  flauto  e 
del  mandolino  .  Non  gli  si  può  rimproverare  di  es* 
Bersi  abbandonato  ad  alcuna  sorte  di  eccesso  ;  e  la 
sobrietà  fu  una  delle  sue  virtù  favorite.  Adottato  il 
metodo  di  un'unica  commestione  nell'intero  giorno, 
vi  rimase  fedele  fino  agli  ultimi  periodi  della  sua 
vita,  e  solo  si  abbandonò  forse  soverchiamente  al- 
l'uso del  caffè,  che  amava  con  trasporto,  e  che  nel 
suo  sistema  dovea  tenergli  luogo  del  vino ,  da  cui 
sempre  e  costantemente  si  astenne. 

Con  questo  austero  e  metodico  regolamento  di 

vita,  sembrava  che  Pignotti  dovesse  goderne  di  un 

corso  più  lungo.  Ma  le  forze  della  natura  indebolite 

già  ia  lui  dal  lungo  studio ,  che  talvolta  protraeva 

alle  più  tanle  ore  della  notte,  sembrarono  intera- 


44  NOTIZIE 

mente  abbandonare  il  suo  spirito,  se  non  abbando- 
narono con  eguale  prestezza  il  suo  corpo.  Gli  ultimi 
periodi  della  vita  di  questo  letterato  presentarono 
un  fenomeno  opportunissimo  ad  umiliare  rumano 
orgoglio.  Pope  citò  la  debolezza  del  carattere  di  Ba- 
cone per  avvertire  che  niuno  dee  insuperbirsi  della 
superiorità  delle  sue  cognizioni.  Noi  possiamo  citare 
non  la  debolezza ,  ma  l'assoluta  morte  dello  spirito 
di  Pignotti^  tuttora  animato  e  vivente,  per  avvalora- 
re lo  stesso  morale  precetto .  Quest'  uomo  sommo,  di 
cui  ognuno  potea  contemplare  nel  suo  volto  non  al- 
terati i  delineamenti  del  letterato,  cbe  avea  si  spesso 
istruite  e  ravvivate  le  società  che  aveano  il  bene  di 
possederlo,  fu  negli  ultimi  suoi  giorni  condannato 
ad  una  vjta  pressoché  automatica .  La  incomprensi- 
bile nullità  del  suo  spirito  annunziava  un  intero  e 
segreto  principio  di  universàl  debolezza,  e  reso  li- 
bero degl'insulti  apopletici  fu  assalito  da  repentino 
furiosissimo  attacco  infiammatorio  alla  vessica  che 
lo  tolse  da'  vivi  nel  5  Agosto  1 8 1  a ,  dopo  che  la.  re- 
ligione ebbe  a  lui  somministrati  i  soccorsi  che  il  de- 
plorabile suo  stato  di  mente  potè  ammettere. 

Il  morale  carattere  di  Lorenzo  Pignotti  merite- 
rebbe per  se  solo  un  elogio.  Quantunque  Noi  ne 
abbiamo  dato  qualche  cenno  nel  corso  di  queste 
notizie  della  sua  vita  e  delle  sue  opere ,  crederem- 
mo di  non  aver  reso  abbastanza  giustizia  alla  sua 
memoria  se  nulla  più  ne  dicessimo.  Allorché  leg* 
gendo  la  storia  letteraria  degli  uomini  che  illustra- 
rono il  decimosesto  secolo  colle  loro  opere  e  co' loro 
scritti  scorgiamo  con  qual  rabbia  indecente  Tun 
l'altro  si  lacerarono,  siam  tenuti  a  credere  a  quel 
filosofico  paradosso,  che  ci  dipinge  le  scienze  e  le  leU 


STORICHE  45 

lere  come  unicamente  capaci  di  corrompere  e  de- 
gradare la  umana  natura^  e  questa  tentazione  non 
ci  vien  talvolta  da  tempi  tanto  remoti.  In  Pignotti 
la  cultura  delle  lettere  parve  perfezionare  in  lui  un 
certo  senso  di  moral  rettitudine  che  forse  egli  avea 
in  parte  sortito  dalla  natura^  e  che  non  si  smentì 
giammai  in  tutte  le  azioni  della  sua  vita .  Natural- 
mente o  almeno  in  apparenza  flemmatico ,  la  paca* 
lezza  delle  sue  maniere  imprimeva  un  nuovo  carat- 
tere di  bontà  nel  suo  contegno  e  ne' suoi  discorsi. 
Reso  superiore  alla  invidia  da' suoi  successi  letterarj 
fino  da'primi  suoi  anni  o  non  la  conobbe  per  un  sen- 
so di  superiorità 9  0  non  la  potè  conoscere  per  una 
bootà  che  gli  era  innata.  Inesauribile  ne'suoi  parti 
poetici,  egli  non  conobbe  nemmeno  quella  gelosia 
di  mestiere,  che  mescola  talvolta  fiele  ed  assenzio 
nell'ambrosia  di  cui ,  secondo  il  detto  di  un  celebre 
letterato,  dovrebbero  sempre  viver  le  Muse^  e  vide 
con  indifierenza,  e  talvolta  con  riso  che  altri  in 
lontani  paesi  si  appropriassero  poetici  componimen-' 
ti  latti  da  lui  y  sebbene  dir  non  potessero  come  il 
PaoJo  di  Blarziale,  che  i  componimenti  eran  loro 
per  diritto  di  compra. 

Come  uomo  pubblico,  e  familiare  co' grandi, 
Pignotti  ne  meritò  la  fiducia,  perchè  non  ne  abusò 
mai;  e  divenuto  capo  del  pubblico  insegnamento 
ai  chiamò  fortunato  per  questo  solo  perchè  potè 
essere  utile  alle  persone  che  egli  apprezzava. 

La  gioventù  ^  la  quale  annuaziava  ingegno  e  di- 
sposizione allo  studio,  ebbe  in  lui  un  protettore  ed  un 
padre.  Ammesso  pf^r  le  eccellenti  sue  qualità  morali 
e,  pel  letterario  suo  merito  nella  società  de' potenti 
e  dei  grandi^  potendo  giungere  talvolta  alla  sorgente 


46  NOTIZIE 

delie  grazie^  egli  apprezzò  questo  favore^  prima  come 
omaggio  reso  alle  lettere^  ed  in  secondo  luogo  come 
mezzo  onde  far  conoscere  i  talenti  che  meritavano 
di  essere  o  protetti  o  distinti.  E  quanti  di  questi 
talenti  in  Toscana  sarebbero  rimasti  senza  Pignotti^ 
o  non  conosciuti  o  negletti  1 

Come  privato,  Pignotti  si  abbandonò  all'impulso 
d^  un  cuore  bene6co  senza  limiti ,  ed  era  una  mus^ 
sima  da  lui  spessissimo  ripetuta  che  non  può  im* 
maginarsi  piacer  più  vivo  e  più  puro  di  quello  che 
si  prova  nel  soccorrere  un  infelice.  Una  donna  di 
qualità  9  che  avea  fatta  nel  mondo  una  decorosa 
figura,  caduta  per  vicende  politiche  in  miseria  nella 
sua  vecchiezza,  ricorre  al  Pignotti,  il  quale  la  sov-* 
viene  con  una  forte  somma  di  danaro,  rendendole 
grazie  di  aver  avuto  fiducia  in  lui,  e  di  avergli  data 
occasione  di  esercitare  un  ufficio  di  umanità.  Lei 
defonta  ,  gli  eredi  conosciuta  questa  sovvenzione 
vogliono  restituir  la  somma  a  Pignotti,  il  quale  la 
ricusa,  dicendo  ch'egli  n'era  stato  abbastanza  ri- 
compensato dal  piacere  di  soccorrere  un'infelice. 

La  tranquillità  della  sua  letteraria  carriera  come 
quella  della  sua  domestica  vita  non  fu  avvelenata 
da  alcuno  di  quei  dispiaceri  che  non  di  rado  accocn* 
pagnano  le  grandi  celebrità.  Se  seppe  di  avere  degli 
invidi  o  de'nemici  (e  chi  è  òhe  non  ne  abbia  vivendo 
tra  gli  uomini?)  non  curò  la  invidia,  e  dissimulò 
l'altrui  inimicizia .  Egli  non  si  permise  mai  alcun 
tratto  né  in  privato  né  in  pubblico  che  annunziasse 
un  animo  esacerbato  dall'altrui  livore  :  o  tacque 
dei  suoi  nemici,  o  si  sforzò  di  scusarli.  Come  lette* 
rato  egli  era  persuaso  di  una  verità  che  ripeteva 
spesso  a' suoi  amici*,  vale  a  dire ,  che  se  un'opera  ò 


STORICHE  47 

cattiva  è  giostameote  depressa ,  e  se  è  buona  è  per 
ae  sola  sufficiente  a  difendersi  senza  bisogno  di  en- 
trare in  intrighi y  ed  in  dispute.  Egli  riguardò  le 
censure  che  si  faceano  anche  ingiustamente  a  una 
prodosìone  letteraria  come  il  miglior  servizio  che 
esser  potesse  reso  all'opera  inquantochè  invoglia* 
▼ano  Taltrui  curiosità  a  leggerla^  e  citava  a  tal  pro- 
posito r  esempio  di  Hume,  il  quale  diceva  che  un 
suo  scritto  attaccato  da  Warburton  avea  avute  per 
questo  solo  molte  edizioni,  mentre  un  altro  che  non 
avea  goduto  di  quest'onore  giaceva  dimenticato  nel 
magazzino  dello  stampatore  • 

Anche  nelle  cose  nelle  quali  era  più  in  grado  ed 
avea  più  diritto  di  decidere  e  di  far  valere  l'autorità 
della  propria  opinione  non  si  arrogò  mai  quel  tuono 
decisivo  e  impaziente  di  replica  y  che  tanto  spiace 
anche  sulla  bocca  di  chi  ha  ragione  •  Pignotti  non 
approvava  né  lo  stile,  né  la  economia  del  dramma 
di  Alfieri.  Allorché  quest'  uomo  grande  e  straordi- 
nario era  in  Pisa  occupato  del  progetto  di  dare  alla 
Italia  una  vera  e  perfetta  tragedia,  non  mancò  di 
consultare  tra  gli  altri  il  Pignotti  ,  il  quale  con 
esempi  tratti  specialmente  da  Metastasio  tentò  per- 
suaderlo che  si  pud  avere  uno  stile  drammatico 
sublime  senza  durezza.  Alfieri  corresse  alquanto  il 
mo  stile  ;  e  Pignotti  non  ebbe  la  minor  parte  in 
qoesto  cambiamento,  il  quale  si  dovè  più  al  modo 
con  cui  era  stato  dato  il  consiglio ,  che  al  consiglio 
medesiDio,  poiché  un  altro  Professore  che  avea  pre- 
teso d' imporne  all'alto  ingegno  del  Tragico  col 
tuono  dell'  autorità  cattedratica  fu  Y  oggetto  di  uu 
paogen te  epigramma. 

La  conversazione  di  Pignotti  allorché  egli  si  ab« 


48  NOTIZIE 

baadonava  liberamente  alla  effusione  del  suo  cuort, 
e  del  suo  spirito  era  interessante  e  istruttiva •  Golia 
memoria  ricca  delle  più  squisite  bellezie  dei  clas- 
aici  latini^  italiani  y  francesi  y  e  inglesi^  e  degli 
aneddoti  i  più  scelti  della  storia  letteraria  e  civile 
d'ogni  tempo  e  di  ogni  paese^  egli  avea  di  che  abbel- 
lire ogni  soggetto  su  cui  si  aggirasse  il  discorso,  e 
d'istruire  senza  affettazione  in  ogni  materia.  Chi 
poco  sa  ^  ed.  è  obbligato  per  far  pompa  d' ingegno 
a  dir  quel  che  sa  quando  la  opportunità  si  presenta^ 
ba  potuto  inventare  quel  proverbio^  che  pute  la 
immoralità  di  chi  lo  pronunziò  il  primo ^  che  un 
tratto  di  spirito  vale  la  perdita  di  un  amico.  La 
ricchezza  di  cognizioni  che  Pignotti  possedeva  gli 
dava  il  mezzo  di  spenderle  senza  ledere  l'amor  pro- 
prio di  alcuno  4  Fu  concepito  una  volta  il  precetto 
di  tener  conto  di  tutto  ciò  che  di  filosofico^  di  eru- 
dito,  di  critico,  e  di  originalmente  pensato  diceva 
nella  sua  conversazione.  Questo  progetto  non  fu 
eseguito,  e  se  lo  era,  la  raccolta  che  si  sarebbe  data 
alla  luce  avrebbe  potuto  ottenere  un  posto  distinto 
e  forse  il  primo  in  quelle  Raccolte  di  detti  e  pea« 
sieri  nelle  quali  è  ancora  incerto  se  tutto  appartenga 
ai  sommi  uomini  del  di  cui  nome  sono  state  intu 
tolate. 

11  Testamento  di  Pignotti  fu  la  espressione  dei 
sentimenti  di  gratitudine  de'quali  tanto  si  compia* 
ceva  il  suo  cuore  •  Con  un  legato ,  tenue  è  vero  pel 
rao  soggetto,  ma  prezioso  pel  modo  con  cui  era 
concepito ,  lasdiò  ai  Signori  Principi  Corsini  un  pe- 
gno della  memoria^  che  egli  portava  al  sepolcro 
dell'amorevolezza  con  cui  vivendo  era  stato  trattato 
sempre  dagl' individui  di  quella  illustre  famiglia. 


STORICHE  49 

Memore  iempre  di  quaoto  doyea  al  cognato  Bonci, 
riguardò  i  figli  della  sorella  a  lai  maritata  come 
figli  auoi  propr  j ,  e  gli  onorò  della  ani  versale  inati^ 
iasione  in  eredi. 

Le  Opere  di  Pignotti  faranno  passare  alla  più 
remota  posterità  la  viva  imagine  del  genio  suo  :  e 
dae  grandi  Artisti  contemporanei  con  mezzi  meno 
indipendenti  è  vero  dalle  ingiurie  del  tempo  e  dalle 
timane  vicissitndini  vi  faranno  passare  la  viva  ima- 
gine  de' suoi  delineamenti^  il  Signor  Pietro  Benve- 
nuti in  un  quadro  che  si  conserva  nella  galleria 
de'Signori  Principi  Corsini  in  Firenze,  ed  il  Signor 
Antonio  Santarelli  in  un  modello  di  rilievo  in  cera 
a  lui  commesso  dal  Signor  Professor  Rosini ,  e  che 
jHreaso  di  lui  si  conserva. 

La  sp<^lia  mortale  del  Pignotti,  se  creder  dob*» 
biamo  hoc  manes  curare  sepultos  meritava  un 
poeto  in  mezzo  alle  tombe,  che  nel  Camposanto 
Pisano  risvegliano  la  memoria  di  tanti  illustri  tra^ 
passati:  e  noi  dobbiamo  alla  pietà  dei  Signori  fra^ 
telli  Bonci  suoi  eredi  il  mausoleo,  che  in  quell'am* 
pio  e  venerabil  recinto  additerà  ai  contemporanei 
come  ai  posteri  il  luogo  ove  il  Padre  della  Favola 
italiana  terminò  la  sua  luminosa  carriera . 

G.C. 


Tornò  I. 


/ 


STORIA 

DELLA  TOSCANA 


SINO  AL  PRINCIPATO 


/ 


53 

DELL'ISTORIA 

PELLA  TOSCANA 


LIBRO  PRIMO 


COMPENDIO  D'ISTORIi 

^B«LI   ABTICai  POPOLt    DI  ET«OllI| 

CJP  ITOLO  /. 
SOMMARIO 

Be^U  Etruschi.  Loro  splendore.  Divisione  deWEtnaia.  Cift^ 
f/rincipali.  Governo  •  Guerre  con  Roma.  Gli  Etruschi  si  am- 
molliscono. Sono  Jinalmente  soggiogati  dai  Romani. 

JLl  ambizione  di  vajitare  un'aDticfaissinia  orìgine 
ila  sempre  dominato  non  solo  le  particolari  famiglie 
ma  ancora  le  intere  nazioni.  Le  une  e  le  altre ^ 
rimontando  troppo  in  alto ,  vanno  a  perdersi  fra  la 
.caligine  dell'antichità^  e  qualche  volta  un'oscurità 
opportuna  ne  copre  le  non  chiare  sorgenti.  Molto 
spesso  però  la  favol^  ha  supplito  alla  mancanza 
de'  fatti  j  e  sopra  piccolissima  base  ba  innalzato  un 
magnifico  edifizio.  Non  v'ha  forse  nazione  che  vanti 
una  splendida  antichità  al  paro  degli  Etruschi  o 
Toscani;  né  ve  n'ha  forse  altra  la  di  cui  orìgine 
M  più  incerta  o  più  inviluppata  tra  le  favole, 
I  Pelasgi ,  che  tanto  spesso  a  loro  comodo  si  con- 
ducono in  scena  dajjli  antiquari  ^  erano  unia  ,del^ 


54  LIBRO   PRIMO 

due  vaganti  greche  popolazioDi  Pelala  ed  Elle- 
nica, che  aopra  tutte  le  altre  ai  nominano  nei  più 
antichi  tempi.  La  prima  specialmente  comprendeva 
gli  uomini  i  più  rozzi  e  feroci  :  e  se  qualche  loro 
truppa  emigrata  approdò  e  ai  stabili  in  Italia  y  non 
venne  sicuramente  a  ingentilirla  e  istruirla .  Ma 
ostinandoci  a  cereare  una  derivazione  di  questo 
celebre  popolo  da  forestiere  emigrazioni ,  niente  è 
più  capace  di  gettare  il  lettore  in  un  vero  pirroni- 
smo quanto  le  varie  opinioni  degli  antiquari  sul- 
r  origine  degli  Etruschi.  Da  pochi  passi  di  antichi 
scrittori,  che  probabilmente  seguivano  ancor  essi 
delle  incerte  tradizioni ,  da  qualche  somiglianza  di 
costumi,  di  riti,  di  lingua,  ne  hanno  derivata  Tori- 
gine  da  quasi  tutti  gli  angoli  della  terra  •  I  più  dotti 
come  Buonarroti,  Maffei,  Freretec.  vanno eri*ando 
in  quest'oscuro  pelago  "idi  congetture  con  eguale  in- 
certezza ,  persuasi  che  debbano  avere  origine  da 
antiche  emigrazioni.  Chi  la  ripete  dall'Egitto  (i), 
chi  dai  Cananei  (a) ,  chi  da  questi  e  da'Fenicj  (3), 
chi  dai  Lidj  e  Pelasgi  (4),  chi  da  altre  parti  del- 
l'Asia, e  fino  dal  territorio  che  sta  fra  il  mar  Ca- 
spio e  r Eusino,  celebre  per  l'emigrazioni  tanto 
posteriori  di  quei  barbari  che  ruinarono  V  Impero 
Romano  (5).  Da  questi  varj  punti  orientali  altri 
conduce  quelle  popolazioni  all'E^roria  per  raare^ 
altri  per  terra,  rimontando  a  un'antichità  anteriore 
alla  navigazione,  e  con  lungo  strano  giro  per  venire 
in  Italia  gli  fa  prima  penetrare  in  Germania .  I 
francesi  antiquari  poi,  e  fra  questi  Freret,  burlan- 

(i)  BaonarrotiJ  (4)  SerT«.iii  Yir^. 

(s)  Maffei.  (5)  Duraódi. 

(3)  Mazzocchi . 


CAPITOLO  PRIMO  s   55 

dosi  dì  SI  tàiie  opinioni ,   quasi  sia  per  addurne 
delle  più  fondate  (6),  per  popolar  l'Etruria  invece 
dell'Oriente  si  volge  all' Occidente  ^  e  dai  popoli 
del  Trentino  dedace  l'origine  degli  Etruschi  :  altri 
dopo  il  diluvio  universale  segna  subito  una  strada 
per  coi  un'asiatica  colonia  è  venuta  in  Ctruria  (7): 
altri  finalmente  senza  rimontar  si  in  alto^  invece  di 
dedurre  in  questa  provincia  una  greca  coloniai  so- 
stiene che  dall'  Etruria  piuttosto  le  popolazioni ,  e 
le  arti  sien  derivate  in  Grecia  ed  altrove:  nò  man- 
cherebbero prove  del  genere  delle  congetturali  a 
sostener  siffiitta  opinione.  Dardano  fondator  di  Troia 
si  dice  più  volte  da  Virgilio  e  da  Servio  oriundo 
d' Etruria  partito  da  Gerito,  o  figlio  di  Gerito,  o  di 
Giove:  passato  dall'  Italia  in  Frigia  si  fa  autore  della 
troiana  stirpe  e  fondatore  di  quella  celebre  città;  (8) 
onde  invece  che  noi  fossimo  figli  de'  Frigi  o  dei 
Greci  ne  saremmo  i  padri .  Forse  non  abbiamo 
da  Platone  che  i  riti  religiosi  dell'  Etruria  erano 
penetrati  in  Grecia  7  (9)  Lasceremo  finalmente  alla 
scrupolosa  credulità  di  coloro,  che  amano  conciliar 
tutte  le  contradizioni,  il  sostenere  che  prima  l'emi- 
grazione si  sia  fatta  dall'  Etruria  in  Grecia,  e  che 
di  qua  sia  ritornata  in  Etruria.  Non  c'inoltriamo 
più  fra  queste  tenebre  di  cui  sono  impastati  '  innu- 
merabili e  grossi  volumi  :  la  sola  esposirìone  di  tante 
opinioni  contradittorie  basta  per  confutarle,  e  per 
lasciarci  in  quella  savia  dubbiezza  in  cui  resterà 
chi  ha  fior  di  senno.  Ma  è  egli  necessario  che  la 

(6)  Histoir.  de  l'Academ.  Tom.  18. 

(7)  Guamacci . 

(8)  .  .  .  Corjrti  tfrrhena  a  sede  profectum,  Virg.  L  7. 

•  •  •  hinc  Dardanus  artus.  Yirg*  L  3.  Y.  Senr»  ib. 

(9)  De  legibus. 


56  LIBRO  PRIMO 

vanità  vada  a  cercar  l'origine  in  ona  forestiera  ce- 
lebre nazione  7  Anzi  non  ìasingherebbe  più  Tamor 
proprio  nazionale  il  credersi  da  tempo  immemo- 
rabile cittadini  di  un  paese  distinto  per  arti ,  e  per 
lettere  fino  dalla  più  remota  antichità  ?  Nella  gene- 
rale incertezza  può  qualunque  Toscano  prender 
jiffatto  partito:  non  si  iruol  però  negare  che  sia  ap- 
prodata qnalche  colonia  greca  o  d'altra  nazione  ia 
Italia  e  probabilmente  a  Pisa;  ma  anche  ciò  con* 
cesso,  pondererà  Fnomo  di  senno  ee  sia  possibile 
<che  una  miserabile  emigrazione  per  lo  più  di  pirati 
o  gente  barbara  che  abbandona  il  suo  paese,  possa 
^ver  portato  le  cognizioni  e  le  arti  eleganti  che  fio?» 
rirono  in  Etruria*  L'epoca  dello  splendore  degli 
antichi  Toscani  precede  i  tempi  iatorìci  e  cade  in 
.quelli  ne'quali  le  nazioni  meno  rozze ,  credendo  la 
•semplice  verità  troppo  triviale,  vollero  renderla 
più  maravìgliosa  mischiandovi  la  £ivola ,  o  più  au- 
|[usta  coprendola  col  velo  religioso.  Il  marchese 
filaffei,  uno  di  quei  che  si  sono  più  distinti  in  queste 
ricerche,  e  moki  altri,  credono  tutto  incerto  ciò 
che  appartiene  all'Italia  prima  della  nascita  di 
Roma  •  Allora  comincia  ad  albeggiare  un  po'  di  lu- 
ce ;  ma  fino  ai  tempi  più  bassi  non  si  può  in  que- 
st'  oscuro  sentiero  fermare  il  pie  con  sicurezza  •  Solo 
può  credersi  che  il  «egno  degli  Etruschi  e  il  loro 
splendore  risale  alla  più  remota  antichità ,  precede 
tutte  le  nazioni  di  Europa ,  ed  emula  ^gli  Egiziani 
stessi  •  Ciò  si  deduce  <e  dall'  incertezza  stessa  del- 
l'origine,  dalla  perdita  de'  loro  libri,  de'loro  isto- 
rici, della  lor  lingua  (avvenimenti  che  non  possono 
aver  luogo  che  in  lunghissimo  tratto  di  tempo);  da 
moltissimi  passi  dei  più  vecchi  scrittori ,  ai  quali 


CAPITOLO  PRIMO  57 

può  aggiongerai  V  aiitoreviole  sentimento  d' illiiitri 
moderni  (io).  Vi  n  pnò  miire anche  on'osservasione  ^ 
naturale:  è  fuor  di  dubbio  che  q^ialcbe  specie  d'a- 
nimali si  è  affatto  perduta  ^  e  appunto  oe'  libri  dei- 
Vetrnsca  disciplina  si  vedeano  dipinte  alcune  specie 
di  uccelli  che  ai  tempi  di  Plinio  erano  mancate  (1 1). 
Bla  lasciando  V  oscurità  e  tenendo  dietro  a  quelli  sto- 
rici nei  quali  si  vede  un  po'  più  giorno  ^  pare  più 
d'ogni  altro  da  ascoltarsi  Tito  Livio ,  il  quale  asse- 
risce che  per  terra  e  per  mare  V  Etrurìa  fu  celebre 
e  potmite  assai  prima  di  Roma,  che  n'è  indisio  il 
nome  di  mare  Tosco  dato  all'infisriore,  e  ai  supe- 
riore di  jidiriatico  da  Adria  colonia  degli  Etruschi 
ifihe  dominò  di  qua  e  di  là  dall'Appennino ,  e  fino 
uell'Alpi  (is);  che  ì  Rezi  ossia  i  Grigioni  sono  di 
losca  orìgine,  e  che  quantunque  corrotto  ne  ritene- 
vano il  suono  della  lingua  •  Da  molti  altri  scrittori 
s'impara  che  il  dominio  de' Toscani  si  stese  su  quai|i 
ttttta  r  Italia  •  Era  allora  TEtruria  divisa  in  tre  parti  > 
cioè-Gircumpadanaj  Campana,  e  Media  (i3).  U  sup 

(io)  Stam  opìversde  di  .Q|ia  Società  di  Lett  lo^. 

(1 1)  Diod.4ib.  5.  Plinio  lib.  !••  cap,  i5«  Depicia  in  etnisca 
fiscipHM. 

(la)  Merita  dì  ess^  rìferìto.t|itto  il  paiio:  Tuscorum  qmteJRo' 

Manumlmperiumlate  terra  marique  Àlpes  patuere:  mari  supero 

mferoipie  »  qìdhus  Italia  insulae  modo  dngitur  quantum  potue- 

rint  nomina  sunt  argumento  quod  alterum  Tuscum  communi 

ffocabulo  gentium,  alterum  Adriacum  ah  Adria  9  Tuscorum  co' 

.ionia  j  vocavere  Italicae  gentes:  hi  in  utrumque  mare  vergentes 

sn^fioluere  urhibus  duodenis  ierras  prius  eis  Apenninum  ad.infe" 

rum  mare,  post  trans  Apenninum  .totidem,  quot  eapita  joriginis 

erantcoloniis missis,  quae trans  Padum omnia loca,excepto Ve- 

netorum  angulo  qui  sinum  circumcolunt  maris  usque  ad  Alpes 

tenuere»  Mpinis  quoque  gentihus  ea  haud  dubio  origo  est  maxi" 

me.  Bhetis  quos  Ipca  ipsa  efferarunt  ne  quid  ex  antiquo  praeter 

samum  limguae  nec  eum  incorruptum  tenuere.  Tit*  «L^t.  dee.  1. 

Kb.  5. 

(i3)01l4r.  GeQg?aph..lom«  a. 


58  LIBRO  PRIMO 

confine  81  rUtrinfie  poi,  e  generalmente  parlando, 
còl  nome  d'Etroria  8^  intende  la  Media  ^  che  dalla 
foce  della  Magra  giunge  a  quella  del  Tevere  •  Questa 
linea  fu  la  più  eateaa,  accorciandosi  TEtruria  nel- 
r  opposto  limite  formato  dalia  catena  d^li  Appen* 
nim^  che  accostandosi  al  mare  dalla  parte  d'occi- 
dente,  sempre  più  la  ristringono,  mentre  il  Tevere 
escito  dagli  stessi  monti  correndo  lungamente  verso 
Oriente,  finché  poi  costretto  dal  pendio  è  obbligato 
a  volgersi  a  mezzogiorno  per  scaricarsi  nel  mare^ 
dilata  il  marittimo  lato  di  questo  trapezio.  La  lunga 
spiaggia  ebbe  varie  città  e  porti  che  hanno  subito 
nel  corso  de' secoli  assai  vicende.  L' antica  Luni 
copriva  r  ultimo  punto  occidentale  delFEtrurìa  nel- 
la sinistra  sponda  della  Magra  (i4)«  U  suo  grande 
e  comodo  porto,  il  presente  golfo  della  Spezia,  ne 
faceva  florido  il  commercio,  e  rispettabile  la  po- 
tenza :  cadde  e  risorse  più  volte  :  era  deserta  e  mi- 
nata ai  tempi  di  Lucano  (i5),  si  trova  poi  nuova- 
mente popolata  nei  bassi  tempi:  adesso  disputano 
gli  antiquari  sulla  precisa  sua  situazione  (i6):  resta 
il  suo  nome  air  adiacente  paese  su  cui  probabilmen- 


(i4)  Noi  seguitiamo  l'opinioDe  dell' Holstenio  e  del  Celiano 
pi  attcsto  che  del  Glayerio  che  la  pone  nella  sponda  destra  « 
(i5}  «  .  •  •  •  desertae  moenia  Lunae,  Lac 
(i6)  Poteva  Lani  esser  illustrata  da  un  poema  del  dottissimo 
mio  amico  Raimondo  Cocchi,  intitolalo  La  ruma  di  LtaU^  se  la 
morte  non  lo  avesse  immaturamente  rapito.  Era  già  tatto  disteso 
in  prosa  ;  io  me  ho  ascoltati  due  canti  pieni  d'immaginazione^  e  di 
sentimento  ;  e  se  ne  vide  pubblicato  aallautore  in  versi  di  vario 
metro  il  primo  canto  di  cui  tale  era  il  principio  . 
Senti  che  batte  ancor  V  onda  marina 
Sulle  rive  di  Luni  e  freme  il  vento  , 
Ma  la  città  de*  popoli  reina 
E*  fatta  campo ,  e  vi  muggì  V  armento . 
Era  (ìesiderabile  che  fosse  dato  alla  luce  il  manoscritto  in  prosa. 


CAPITOLO   PRIMO  5^ 

te  dominava ,  detto  Lunìgìaua  •  CaraminaDdo  ver- 
so Oriente  aalla  marina  costa ,  e  trascurando  nomi 
poco  certi  ,  come  il  bosco  di  Ferania,  ed  altri  poco 
noti  paesi,  trovasi  Pisa ,  il  di  cui  lido  e  porto  hanno 
tanto  variato:  situata  sul  triangolo  formato  allora 
dalla  riunione  deirArno  e  del  Sarchio  (17)  era  assai 
atta  al  commercio,  giacché  quei  due  fiumi  riuniti 
portavano  mi  corpo  di  acque  sufficienti  a  sostener  ba- 
stimenti grossi  di  quei  tempi.  Il  celebre  interrimento 
della  spiaggia  toscana  ne  ha  sempre  più  slontanato 
il  mare  e  cangiato  il  porto*  Dopo  Ercole  Labrone 
(oggi  il  commerciante  e  popolato  Livorno)  s'in- 
contrano i  i^adi  ifoUerrani .  La  non  lontana  Volter- 
ra, che  colle  sue  fonti  salate  lavora  il  sale  per  la  To- 
scana, lo  lavorava  ai  tempi  di  Rutilio  Nomaziano  in 
questa  parte  asciugando  al  Sole  la  stagnante  acqua 
marina  (i3)  .  Sopra  queste  saline  Rutilio  contemplò 
la  villa  del  suo  collega  Albino.  Vetulonia  per  Tana- 
li^ia  del  nome  colla  selva  Tetulia  o  Vetletta  pare 
doversi  fissare  vicino  al  piccolo  fiume  Gomia ,  che 
cade  nelle  acque  calde  dette  le  Caldane.  Si  veggono 
ancora  tra  la  torre  di  San  Vincenzio  e  le  ruine  di 
Populonia  le  reliquie  di  una  città  che  non  possono 
appartenere  che  all'antica  Vetulonia  ;  fu  una  delle 
più  rispettabiK  città  etrasche,  e  da  essa  i  Romani 
imitanmo  la  pompa  dei  fasci  consolari  ed   altre 


(17)  Stnib.  Geogragfa. 
(1^)  RatilNom.  itiner. 

Sibiectas  vUlae  vacai  aspectare  salinas  .  •  . 
Qua  mare  terrenis  declive  canalihus  intrat  .  , 
Ast  ubi  flagrantes  advomit  Syrius  ignes  .  .  . 
Tarn  cataractarum  claustris  excluditur  aequor 

Ut  Jixos  latices  horrida  duvet  humus, 
Concipiunt  acrem  nativa  coagula  Phaebum , 
Et  gravis  aestivo  crusta  calore  coit . 


6o  LIBRO  PRIMO 

decorazioiii  lie' Magìatrajti  (19).  Ne  seguiva  Populo- 
nia  situata  in  anl^lioie  pronciontorio  che  si  distende 
in  mare  e  ai  ^av vicina  all'Elba^  onde  vedeva  sotto 
di  se  il  canale  di  Piombino  ;  la  qual  città  forse  mt^ 
dalle  ruine  di  quella n'è distante  tre  miglia:  il  beUp 
e  comodo  porto  di  Populonia  è  descritto  .da  Strabene^ 
ed  ha  adesso  il  nome  di  PortChbaraUo  (ao).  E)bb^ 
questa  città  una  sorte  molto  varia:  è  credtita  una 
delle  dodici  città  etrusche^  fu  rovinatia.ai  tempi  di 
Siila ^  e  nei  ^assi  tempi  più  volte  rifabbricata,  e 
distrutta-  Non  lungi  da  Populonia  T antica  Massa 
yeternense,  patria  di  Gallo  Cesare^  si  riconosce 
nella  moderna  Massa  (21).  Dall'altra  parte  del  pro- 
montorio ove  il  mare  s'insinua  tra  le  terre,  era 
r antico  porto  di  Falesia  :  il  lago  Prile  si  ritrova  nel 
Iago  di  Castiglione  (22).  Tra  questo  e  l'Ombrone 
poco  distante  dal  mare  era  Roselle,  nominata  co- 
me una  delle  dodici  città  etrusche  (a3).  La  favo- 
losa origine  del  prossimo  porto  di  Talamone,  risale 
fino  ai  tempi  degli  Argonauti:  obliato  poi,  fu  risarr 
cito  dai  Sanesi  ne' bassi  tempi  per  comodo  dei  Fio- 
rentini, quando  le  nimistà  coi  Pisani  jchiuse^  lorp 
il  porto  di  Pisa  •  Indi  s'incontra  l'altro  promontorio^ 
o  monte  Argentare,  che  5Ì  allunga  in  mare  verso 
la  piccola  isola  del  Giglio;  è  attaccato  al  continente 
cpn  sottile  lingua  di  terra,  forma  una  penisola^  ed 

(19)  Silìiu.  ItdL  lib.  8. 

Àfaeoniaeque  decus  dim  yetuloni^  gentis, 
Bissenos  haea  prima  dedit  praecedere  fasees , 
Et  junxit  totid^m  tacito  terrore  secures: 
Haec  alias  ebqris  di^coraAt  honore  curuUs , 
Et  prineeps  Tyrio  vestem  praetexuit  ostro, 

(ao)  Cli^ver.  ItaL  anttq.'lib.  3* 

(ai)  Ammiaii'  Marcel,  lib.  14»  e  4o* 

(a 3)  Cic.  prò  Mil.  OH.  Ceogr.  antiq.  tojii«  %. 

(3  9)  Dion.  d' Allear,  lib.  3. 


CAPITOLO    PRIMO  6r 

ha  nel  fieno  o  lato  orientale  Porto- Ercole,  nell'oc- 
ódetitale  lo  «stagno  del  moderno  Orbetello.  Nei  prìn- 
djdò  del  piccolo  istmo  fu  Cosa ,  deserta  fino  ai  tem- 
pi di  Rotilio  (24)>  eh' è  probabilmente  la  moderna 
Anddooia .  Graviaca  y  cui  forse  diede  nome  il  grave 
e  fistido  odore  delle  paludi  (sS),  era  situata  presso 
il  Some  Marta,  che  scarica  in  mare  le  superflue 
acque  del  lago  di  Bolsena .  Centumcellae  o  porto 
di  Traiano  9  fabbricato  da  lui  e  con  grandiose  opere 
monito,  avea  prossima  la  delixiosa  villa  di  quel** 
f  Imperatore  tanto  ammirata  da  Plinio  (a6).  Fi-^ 
nalmente  il  Tevere  con  due  rami  scaricandosi  in 
mare,  e  formando  Y  isola  sacra  (37)>  terminava  la 
toscana  spiaggia:  il  porto  di  Augusto  sul  ramo  destro 
conserva  il  nome  di  porto  come  sul  sinistro  Ostia  ; 
presso  la  quale  le  saline  stabilite  dal  Re  Anco  Mar- 
xio  con  qualche  Variazione  di  posto  per  l'avanza- 
mento  della  spiaggia  si  continuano  anche  ai  nostri 
tempi.  Dopo  avere  scorsa  la  spiaggia  marittima, 
parrebbe  che  si  dovessero  nominare  le  dodici  città 
0  popolazioni  nelle  quali  era  divisa  TEtrurìa,  ma 
quali  fossero  non  può  con  sicurezza  asserirsi  ;  onde 
d  contenteremo  di  nominarne  alcune  riguardate 
come  tali ,  o  che  meritano  per  la  loro  celebrità 
d'esser  distinte  dall'altre.  Pisa  e  Volterra  da  molti 

(34)  Ia  tavola  de'  topi,  la  di  cai  invasione  cacciò  di  Cosa  gli 
abilatorì ,  h  aolo  una  prova  deUa  desolasione  della  città.  Rutil, 

(iS)  Inde  Grawscaruni  fastìgia  rara  videmus 
Quas  premit  aestivae  saepe  paludi s  odor.  Ratil. 

(a6)  Plin.  lib.  6.  Epist.  3i* 

(37) qua  fronte  bicornis 

Dividuus  Tioeris  dexteriora  secat.  Rutil. 
E  stnso  come  ano  dei  più  accurati  scrittori  della  Geografia  ad* 
tica,0 Cellario,  abbia coaf osa  l'isola  sacra  alla  foce  del  Tevere 
CM  faefli  posta  dentro  Ronu  •  Celi,  geogr.  ant.  lib.  34  cap.  9. 


6j  libro   primo 

antiquari  (38)  non  ik)oo  registrate  traile  città  che 
formavano  il  regno  dell'Etruria,  non  già  perchè 
la  loro  antichità  e  splendore  non  ^[uagli  quella 
delle  altre;  ma  forse  un  governo  diverso  le  fi^ce 
riguardar  come  estranee  all'etrusca  costituzione. 
Altri  scrittori  poi  ve  le  annoverano  ""anzi  fralle  pri- 
me (39);  e  siccome  ciascuno  ai  appoggia  su  testimo- 
nianze di  scrittori  egualmente  autorevoli,  noi  cre- 
diamo conciliarli  agevolmente  imaginando  che  qual- 
che volta  sieno  state  unite  al  regno  d'EItruria  e  talora 
se  ne  siano  separate,  ciocché  la  male  architettata 
costituzione  etrusca  (come  mostreremo  fra  poco) 
£icilmente  persuade.  Arezzo  poi ,  CSortona ,  Perugia 
se  negli  antichi  tempi  del  governo  etrusco  non  ai 
veggono  annoverate  fra  le  principali  y  lo  furono 
ben  presto y  trovandosi  nominate  dagl'isterici  fralle 
prime  popolazioni  dell' Etruria  (3o).  Arezzo  fu  ce- 
lebre pel  suo  muro  paragonato  'da  Vitro vio  a  quell  o 
d'Atene  che  riguardava  il  monte  Imetto  ;  nacquero 
forse  Arezzo ,  e  Cortona  dalle  ruine  di  CSorito  :  fa 
questa  per  un  tempo  la  più  grande,  la  più  potente 
e  la  più  celebre  delle  città  etrusche  ;  ma  siccome 
non  si  sente  nominare  nelle  guerre  che  i  Romani 
ebbero  cogli  Etruschi^  si  può  congetturare  che  re- 
stasse distrutta  nei  civili  contrasti  degli  Etruschi 

(•j8)  Demster.  Elruria  regalis. 

(39)  Hos  parere  jubeni  Mphae  ab  origine  Pisae . 
Urb8  ETRUscà  SOLO  .  •  •  .  Yùrg.  AEii.  L  7. 
Il  preciso  ed  esatto  Virgilio  con   aaelle  parole ,  ìurbs  etrusen 
solo,  non  avrebbe    forse   yoluto   denotare  una  città  posta  in 
suolo  etrusco ,  ma  non  unita  alla  lega  etnisca  ? 

(3o)  Tit.  Liv.  lib.  I.  e.  9.  Itatfue  e  Cortona,  Perusia,  Ar- 

retio ,  qokE  fbbmc  càPiTà   populorum  Etruriae  ea  tempesttUe 

fuerunl  legati  etc.  Il  medesimo  autore  lib.  1  o.  Tres  validlssi- 

mae  urhes  BTRuaiàa  càPirà  ^FuUinii ,  Perusia ,  Jrretimm  pa- 

cent  petiere , 


CAPITOLO  PRIMO  «5 

stessi .  La  maggior  parte  deir  altre  città  nel  lungo 
tratto  de' secoli  è  caduta  in  oblio;  d'alcune  non  si 
può  che  con  dubbiosa  congettura  assegnar  il  vecchio 
nto;  ad' altre  ncm  resta  che  lo  scheletro  dell'antica 
grandezza  e  la  celebrità  del  loro  nome .  Veìo  era 
situato  dodici  miglia  distante  da  Roma  (3i)  >  se  ne 
accenna  il  sito  dai  dubbiosi  antiquari  ^  o  nel  mo- 
derno Scrofano,  o  piuttosto  sopra  una  scoscesa  rupe 
opposta  all'isola  Famesia  (3s).  Per  quanto  dal  i^a- 
lore  con  cui  resistette  ai  Romani  si  possa  formar 
grand' idea  di  questa  città  ^  appena  vi  sarà  alcuno 
che  s'induca  a  credere  ciocché  asserisce  un  antico 
scrittore ,  che  uguagliasse  la  grandezza  d'Atene  (33). 
Questa  popolazione  fu  una  delle  più  potenti  rivali 
di  Roma  ancor  nascente:  l'ostinata  guerra  che  si 
fecero  le  due  città  non  cessò  che  colla  totale  distru- 
uooe  di  Velo.  Di  Falena  è  incerto  il  sito;  il  Clu- 
verio  la  pone  ov'è  Civita  Gistellana^  altri  ov'è 
Gallese^  il  Cellario  la  crede  la  popolazione  dei  Fa* 
lisci.  Tarquene  era  una  città  vicino  al  mare^  non 
lungi  da  Corneto^  un  miglio  distante  dal  quale 
trovansi  le  mine  d*nna  città^  anche  adesso  chiama- 
ta dagli  abitatori  Tarquene  (34)»  Non  lungi  4.a  Tar- 
quene era  Argilla  ^  poi  Cere  ora  Cervetere  in  un 
sassoso  monticello  quattro  miglia  distante  dal  mare, 
com'è  descritta  da  Virgilio  (35).  Vulsini,  adesso 


f 


(3i)  Ciuvci-.  ( //a/,  ^/i/i^.  )  crede  corrotto  il  testo  di  Livio 
che  vigesimum  lapidem  debba  correggersi  in  duodecimum  : 
«ICO  il  Cellario  induce  a  dodici  le  miglia . 
\  (32)  Cluver.  Holste.  ft  Celi. 

I  (33;  Dionis.  d'Àlicarn. 

/  (34)  Cluver.  Ital.  aiitiq. 

'  (35)  Haud  procul  hinc  sarò  colUur  fundata  vetusto 

Urbis  j4giUinae  sedes*  Virg.  AEn.  lib.  8. 


64  LIBRO  PRIMO 

Bol«na  y  illustrata  o  piuttosto  oscurata  dal  natale 
di  Seianoy  si  conserva  ancora  come  Clusium,  ossia 
Chiusi,  detto  dagli  antichi  Etruschi  CamarSé  Fieso- 
le ,  città  nominata  sempre  dagli  scrittori  come  popo- 
lata e  potente,  andò  illanguidendosi  per  Taccresci- 
mento  della  sua  figlia  Firenze,  la  quale  con  debolis- 
sime prore ,  smentite  dal  continuato  silenzio  degli 
scrittori,  e  dagli  argomenti  più  certi  della  sua  na- 
scita, un  illustre  antiquario  ha  preteso  annoverare 
fralle  antiche  città  etrusche  (36).  Delle  città  maritti- 
me abbiamo  abbastanza  parlato  •  Molte  si  distinsero 
particolarmente  in  qualcuna  delle  arti  che  fioriva- 
no in  ÈttUria:  Arezzo  nella  figulina^  onde  tanto  ce- 
lebri furon  i  vasi  aretini,  Tarquene  nella  plastica 
o  modellatrice,  Vubinii,  che  forse  vale  città  dèi 
fahri ,  nella  scultura ,  Perugia  e  Cortona  nei  bronzi  ^ 
Chiusi  neir  intaglio  di  pietre  dure,  Volterra  nella 
scultura  degli  alabastri:  e  trovandosi  il  materiale 
nei  suoi  contorni  si  è  tiuovamedte  eccitato  Tingegno 
dei  moderni  a  resuscitar  quell'arte  • 

Il  governo  dell'antica  Etruria  è  assai  incerto:  si 
conoscerebbe  meglio  se  si  fosse  conservato  il  libro 
di  Aristotele,  in  cui  per  testimonianza  di  Ateneo 
trattava  degli  antichi  governi  dltalia,  e  fra  questi 
deir  etrusco.  In  mezzo  air  incertezza  però  si  può 
stabilire  che  le  dodici  popolazioni  formavano  uni 
governo  federativo;  ne  abbiamo  varie  prove*  I  loro 
deputati  si  univano  nelle  importanti  occasioni  pres- 
so Viterbo  ad  f unum  f^ultumnaé  per  trattare  dei 
pubblici  affari  (37)  :  questa  riunione  rassomiglia  al 

(36)  Lami  »  lèi.  d^  anticiu  toicanè  • 

(37)  Vanum  Vultumnae,  forM  fu  lo  fteifo  "Viterbo.  iTtdi 
Ciater*  •  €elL 


CAPITOLO  PRIMO  6S 

CoDcilio  Anifitionico  delle  greche  città,  cbe  si  ra- 
dunava ogni  anno,  ma  pare  che  il  Concilio  etrusco 
non  8Ì  riunisse  annualmente,  ma  solo  in  casi  straor^ 
dinar]  ed  urgenti.  Ciascuna  popolazione  avea  il 
dritto  da  per  se  di  far  la  guer#a  e  la  pace,  di  vivere 
in  repubblica  o  di  crearsi  un  capo  o  Re  o  Lucumo* 
ne,  di  unirsi  con  qualche  altra  città  e  far  congiunta* 
mente  con  essa  la  guerra  :  onde  i  vincoli  che  lega- 
vano insieme  questa  federazione  erano  debolissimi  : 
tutto  ciò  si  deduce  da  varj  racconti  degli  antichi 
scrittori  e  specialmente  da  Livio.  Vejo  fece  la  guer- 
ra ai  Romani  quasi  sempre  da  se  sola,  né  vi  si 
mescolarono  le  altre  città  se  non  quando  comin^* 
ciarono  ad  accorgersi  che,  oppresso  Vejo,  l'impeto 
dei  Romani  si  sarebbe  scaricato  contro  di  loro« 
Neir ultima  guerra  si  eleggono  un  Re:  questa  ele- 
sione dispiace  air  altre  popolazioni  più  per  Todio 
personale  delF eletto  che  per  l'azione  stessa,  ma 
non  son  riguardati  come  ribelli  ;  credono  di  aver 
esercitato  un  loro  diritto,  giacché  domandano  aju- 
io  al  resto  dell'  Etruria  (38) .  Si  noti  come  si  vie-> 
ne  alla  creazione  di  un  Re  per  evitare  le  tumul- 
tuose elezioni  degK  annui  magistrati  civili  e  mili- 
tari, ciocché  denota  una  città  quasi  libera  che  si 
crea  annualmente  i  governanti,  e  che  per  evitare 
i  tumulti  ch'eccitavano  quelle  elezioni  ricorre  in 
quell'anno  alla  scelta  di  un  Re  •  Da  tutto  ciò  sì  scor- 

(SS)  yejenieSi  tedio  annuae  amhitioms  quae  inierdum  caus* 
ta  discordiarum  erat ,  regem  creavere  :  offendit  ea  res  populo* 
rum  Etruriae  animos,  non  majore  odio  regni,  quam  ipsi$ 
regis  «...  Gens  itaque  auxilium  Vejentihus  negandum  do* 
tiec  sub  rese  essent  decrevit,  Tit.  Liv.  dee.  i.  lib.  5.  Questa 
passo  pHi  di  ogn'  altro  sviluppa  il  mal  ordiuato  sistema  del  go« 
fcmo  etrusco  • 

Tomo  /*  ^ 


66  LIBRO   PRIMO 

gè  che  vi  era  qualche  vincolo  Traile  dodici  popola- 
zioni^  raa  piccolissimo.  Se  poi  esistesse  un  generale 
Sovrano  9  che  avesse  qualche  leggiera  autorità  sopra 
tulte^  è  astiai  disputalo;  Servio  lo  asserisce;  il  nome 
di  Lucumone  è  inteso  dai  più  per  capoo  Re  di  una 
particolar  città,  Larte  per  Sovrano  di  tutta  TEtru- 
ria  (39),  se  pur  non  è  nome  proprio.  Per  quella 
medesima  istabilità  di  governo  per  cui  le  particola- 
ri città  ora  si  sceglievano  un  Re,  ora  volevan  vive- 
re in  libertà,  posson  esser  talora  venute  alTelczione 
d'  un  Sovrano  universale  ,  un  capitano  generale 
che,  come  lo  Statholder  in  Olanda  governasse  que- 
sta repubblica  federativa,  ma  con  assai  minore  au- 
torità .  È  molto  naturale  che  negli  urgenti  ca^si 
di  guerra  o  di  discordie  intestine  si  eleggesse  un 
capo  che  regolasse  la  prima ,  e  comprimesse  le  al- 
tre, com'è  stato  il  costume  di  tutt'i  popoli  «La 
confusione  fatta  da  qualche  autore  di  questi  gene* 
rali  coi  particolari  sovrani  delle  dodici  città,  che 
in  vai*]  tempi  le  han  governate,  ha  forse  fatta  na- 
scere quella  lunghissima  lista  di  re  etruschi  che 
numera  il  Derastero,  e  che  rimonta  ridicolosamente 
fino  avanti  il  diluvio  (4o).  Ci  sia  permesso  di  fare 
un  paragone.  Il  governo  dell' antica  Elruria  rasso- 
miglia in  qualche  parte  a  quello  della  Toscana 
dopo  la  ruina  del  sistema  feudale:  trovasi  essa  al- 
lora sciolta  e  divisa  in  tanti  piccoli  governi,  quan- 
te erano  le  città ,  alcune  delle  quali  unite  in  piccole 
turbolente  repubbliche,  altre  oppresse  da  tirannet- 


(39)  Maflei ,  osserv.  IcUer. 

(40)  Il  Lampredi  nella  dissertazione  del  governo  civile  degli 
antichi  Toi>CHui  non  pare  che  ammetta  mai  un  generale  sa- 
crano deir  Etruiia  j  ma  il  più  probabil  ktfetemu  seml>ra  Tesposto  . 


CAPITOLO  PRIMO  Cy^ 

ti 9  che  rapidamente  ai  succedevano^  innalzati  ed 
abbattuti  colla  stessa  prestezza  e  mala  fede^  on- 
deggianti fra  il  dispotismo  e  la  licenza  non  sapeva- 
DO  né  servire  ne  esser  libere.  Questo  fu  anche  pres*» 
so  a  poco  Io  stato  degli  antichi  Etruschi  per  quanto 
apparisce  dai  barlumi  della  loro  istoria:  lauto  è 
vero  che  il  genio  delle  nazioni^  stabilito  una  volta 
con  una  tacita  azione  non  ben  conosciuta  ad  onta 
delle  rivoluzioni  che  soflfre  tratto  tratto^  ,dura  ad 
influire  ne'successivi  secoli  i  più  remoti.  QuelT in- 
quieto spirito  d'indipendenza  che  agitò  gli  antichi 
Toscani^  e  gli  altri  popoli  d  Italia^  dopo  esser  de- 
generato sovente  più  che  in  libertà^  in  licenza^  6- 
naimente  nel  grande  e  generoso  animo  dei  Romani 
sciolse  il  diflicil  problemay  trovando  l'arte  di  con- 
ciliare i  differenti  interessi  ^facendoli  tutti  cospirare 
alla  gloria  e  all'utile  nazionale;  fissò  i  limiti  della 
potestà  esecutrice  senza  indebolirne  r  azione;  per« 
soase  la  ragionevole  obbedienza  senza  la  schiavitù, 
e  formò  cosi  una  delle  più  belle  costituzioni  che 
abbiano  conosciuto  gli  uomini  colla  quale  si  fece 
padrona  del  mondo.  Rotta  poi  la  base  di  quella  co- 
stituzione^ indebolita  dal  lusso,  lacerata  dalle  guerre 
civili,  avvilita  dal  dispotismo  divenne  schiava  dei 
barbari,  i  quali  poi  o  scacciati,  o  domiciliati  in 
essa,  non  fu  affatto  estinto  quell'irrequieto  spirito 
d'indipendenza  che  aveva  agitato  l'Italia,  restando 
ad  essa  l'inquietudine  pe'  piccoli  oggetti,  senza  il 
potere©  l'energia  pe'grandi.  Ma  ritornando  ai  re 
etruschi  trovasi  in  questo  catalogo  il  nome  d'Eolo 
che  forse  per  la  sua  destrezza  nelle  spedizioni ,  nellu 
navigazione,  e  per  aver  conquistate  e  dominate 
de/r  isole   dette  luogo  alla  favola  di  chiamarlo  il 


63  LIBtiò  PtìlMd 

rettore  de' venti.  E  veramente  la  potenzia  ùavate 
degli  Etruschi  fu  grande ,  ma  appena  si  conosce- 
rebbe senza  due  passi d' Erodoto ,  e  di  Tucidide.  Si 
vede  dà  essi  che  una  delle  più  antiche  battaglie 
navali  fu  tra  i  Focei  da  una  parte^  egli  Etruschi^  e 
i  Cartaginesi  dall'altra  presso  la  Sardegna.  La  vit- 
toria restò  ai  Focei  afendo  distrutte  quaranta  navi 
nemiche  e  costretto  il  resto  alla  fuga  (4i)-'  quest(y 
avvenimento  dimostra  non  solo  che  l'Etruria  era 
una  rispeltabil  potenza  di  mare^  ma  T  alleanza  cai 
Cartaginesi  popolo  tanto  celebre  pel  commercio  fa 
congetturare  il  traffico  degli  Etruschi .  Si  può  pari- 
mente distinguere  in  questa  serie  di  Sovrani  il  nome 
di  Mezenzio^  a  cui  ha  data  un'infame  celebrità  forse 
non  affatto  meritata  1'  Epico  romano;  almeno  ne 
ha  alterata  stranamente  l'istoria,  e  falsificati  gli 
eventi;  giacché  Enea  invece  di  poter  appendere  in 
trofeo  le  armi  di  Mezenzio^  come  per  onorare  il 
suo  Eroe  descrive  il  poco  yeridico  poeta  ,  fu  ucciso 
in  battaglia  contro  di  esso>  restando  anche  il  suo 
cadavere  insepolto:  disgrazia  tanto  temuta  dai  su- 
perstiziosi antichi  e  dallo  stesso  Enea,  nà  proba** 
bilmente  ignota  a  Virgilio  ,  giacché  si  tVova  traile 
altre  profetiche  imprecazioni  della  moribonda  Bi- 
done (43)*  Certamente  tutti  gli  anticlii  storici, 
Trogo  Pompeo,  Festo,  e  Servio  medesimo  che  cita 
Yarronie  si  accordano  sulla  vittoria  di  Mezenzio  ;  e 

*  ■ 

(40  Herod.  llb.  6.  Tucid.  lib.  a. 

(4 a)  Siccome  r  estreihe  Voci  della  moribonda  Didòhe  sono 
una  profezia  di  tatto  ciò  cbe  dovea  avvenire  ad  Enea  entrato  in 
Italia  y  e  a'  successori  di  lui  »  devono  pìrendersi  per  parte  di  4[|uella 
j)rofezia  i  versi 

Sed  cadat  ante  diem,  mediaque  inhurnatus  arena 

Haec  preror,  haric  prece/n  extremam  cum  sanguine  t'undo  . 

^oeio.  lib.  4- 


J 


CAPITOLO  PRIMO  ^y 

Lino  celebratore  dei  Ronfani ,  c|ig  p^ssa  sopra  a 
^qesto  avveqioiento  cou  un'affettata  ambiguftà,  ci 
conrerma  nella  stessa  opinione.  $e  fosse  poi  vero 
che  Mezenzio  si  movesse  in  favor  dei  Rutili  contro 
i  Latini  colla  condizione  di  aver  in  premio  i  vini 
cbe  attualmente  si  trovavano  nelle  campagne  lati- 
ne, come  ci  attestano  e  Varrone,  Plinio,  e  Ovi- 
dio (43)  che  vuole  le  romane  ff^ste  dette  f^inalia 
originate  da  quella  condizione,  ci  si  mostrerebbe 
a  un  tempo  e  la  piccolezza  degli  oggetti  di  siffatti 
eroi,  e  T intemperanza  di  Mezenzio.  Il  di  lui  ca- 
rattere ci  comparirà  anche  meno  atroce  se  si  ponga 
mente  cbe  Torribil  martirio  di  attaccare  i  corpi 
morti  ai  vivi  non  fu  sua  invenzione  ma  pena  usata 
fra  i  Toscani  (44)»  Nondimeno  il  carattere  di  Me*» 
senzio  sarà  sempre  atroce  alla  memoria  degli  uo^ 
ijfiini ,  giacché  i  bei  versi  di  Virgilio  lo  imprimono 
come  tale  nelle  menti  giovinette;  come  quello  del- 
Tinnocente  Didone  e  di   molti  altri  prodi  perso- 
naggi, vittime  delle  poetiche  immaginazioni:  tanto 
è  il  potere  che  hanno  \  genj  grapdi  sulla  pubblica 
opinione  (45)  ! 

(43)  Yarr.  cit.  da  PIìd.  1.  i4*  e.  i  a.  Ovid.  fast.  1.  4* 

(44)  Cic.  in  Horten.  Servius. 

(45)  Niuno  degli  aDlìcbi  istorici  ha  parlato  del  viaggio  di 
4^ea  in  Affrica ,  anzi  nella  maggior  parte  delle  cronologie  Didone 
h  tre  secoli  anteriore  ad  £Àea  :  la  sola  cronologia  di  Newton  fa 
contemporanei  quei  due  illustri  personaggi.  Il  Sig.  Ab.  Andres 
ha  consacrato  a  questo  tema  un'intiera  dissertazione,  ma  tutto  iì 
lasso  erudito  che  ha  spiegato  in  essa  per  giustificar  VirgUio  da  uq 
anacronismo  è  afiatto  inutile.  L'argomento  di  cui  fa  continuamen- 
te oso  il  S'\^*  Andres  è  la  scrupolosa  delicatezza  e  i)  giudizio  di 
Virgilio,  che  non  gli  avrebbero  permesso  si  gran  licenza,  ciocché 
iTTcbbe  qualche  forza  se  questo  fosse  il  solo  anacronismo  di  Virgi- 
lio; ma  sene  trovano  altri,  fra  i  quali  quello  ove  Palinuro  nel  6. 
ift.  delì'Eaeiàc  nomina  il  porto  Velino,  che  non  esisteva  ai  tcqipi 

^'Eoea,  come  ha  notato  (iellio  {Notti  attiche).  Tutte  le^rove si 


70  LIBRO  PRIMO 

Nasceva  intanto  e  prendeva  vigore  accanto  al- 
l'Etruria  quella  formidabil  popolazione  ,  la  quale 
doveva  in  seguilo  non  solo  dominar  sull'Etruria» 
ma  sulle  più  belle  proviucie  del  Globo.  L'origine 
dei  Romani  è  come  di  tutti  gli  altri  popoli  invitùpT 
pata  nelle  favole:  ma  mentre  i  principj  o  veri^  o 
favolosi  della  maggior  parie  dei  popoli  non  son  no- 
ti che  alla  laboriosa  diligenza  di  pochi  antiquarj , 
i  bei  versi  dell'Eneide  hanno  resi  comuni  a  tutte 
le  eulte  nazioni y  e  fatti  immortali  quelli  di  Roma. 
Fa  d'uopo  confessare  che  non  v'è  stata  nazione 
che  Io  abbia  tanto  meritato  (46).  Anche  però  in 
mezzo  a'  favolosi  racconti  che  alterano  e  abbelli- 
scono la  verità  ,  vi  sono  alcuni  fatti  sui  quali  si 
conviene  dai  piiì  ac<:reditati  istorici  ;  cioè  che  i 
Troiani y  figli  forse  una  volta  degli  Etruschi^  sieuo 
stati  gli  autori  di  questo  celebre  popolo.  Presa  Troia 
D  colla  forza  aperta ,  o  per  tradimento  d'Antenore  , 
£nea  si  ritirò  con  numeroso  seguito  in  Pergamo 
fortezza  di  Troia  ov* erano  custodite  le  cpse  preziose  ^ 
e  gli  Dei  tutelari:  ivi  però  non  potendosi  a  lungo 
sostenere  si  riparò  nella  parte  più  inaccessa  del 
monte  Ida^  ove  accorse  gran  turba  dall' espugnate 
ciltii,  e  dai  circonvicini  castelli.  I  Greci  sì  prepara^- 
vauo  ad  attaccare  quest'ultimo  refugio  dei  Troiani: 

4 

ridarrebbcro  dunque  alla  cronologia  Newtoniana  la  quale  disgra- 
KÌatamente  è  falsa  restando  confutala  dalle  astronomiche  osserva- 
zioni del  Whislon  e  dai  ragionamenti  di  Freret  e  d'altri.  Vedi 
Bailtjr  histoire  de  VAstron,  Chi  volesse  incolpar  Virgilio  dell'ina 
cronismo  consideri  quanto  è  felice  quella  colpa  che  ha  prodott 
versi  si  patetici  ed  eleganti.  Eia  colpa  (se  ve  n*ha  alcuna)^  è  tan 
f  o  più  scusabile  quanto  piii  sono  oscuri  e  favolosi  i  tempi  dei  qua!) 
5Ì  tratta ,  e  la  cronologia  anche  ai  nostn.  tempi  incerta. 

(4^)  Livio  ha  detto  con  molto  senno  -  Datur  haec  venia  an- 
tÀquitiifi  ni  mi  scendo  umana  diAnis  primordia  uibiuni  augusiio' 


CAPITOLO  PRIMO  7, 

aop  vedendo  così  fàcile  T impresa,  e  già  stanchi  da 
una  lunga  guerra^  acconsentirono  a  lasciargli  libe- 
ramente partire  co' loro  beni  (47).  S'imbarcarono 
i  Troiani^  e  traversando  V  Ellesponto  giunsero  iu 
Tracia  alla  penisola  Pallene  abitata  dai  Crusei  loro 
confederati.  Dionigi  d'Alicaruasso ,  ottimo  giudice 
degl' istorici  de' troiani   avvenimenti  che  potevano 
esistere  a' suoi  tempi,  assicura  che  tra  i  racconti 
delle  vicende  d'Enea  questo  era  il  più  verisimile. 
Da  Pallene,  dbpo  aver  toccato  varie  isole  dell'Arci- 
P^'3§^>  giunse  a  Butroto  porto  d'Epiro,  ove  con 
alcuni  scelti  compagni  andò  a  visitare  l'oracolo  di 
Dodona,  della  verità  del  qual  viaggio  cita  Dionigi 
alcuni  antichissimi  vasi  di  bronzo  ch*esistevano  an- 
che all'età  sua  in  quel  tempio,  nei  quali  era  incisa 
una  vecchia  iscrizione  che^attestava  il  fatto.  Virgi- 
lio nel  viaggio  d'Enea  ha  molto  seguitato  l'isto- 
ria che  dovea  essere  assai  nota  a'suoi  tempi;  perciò 
l'arrivo  in  Sicilia,  gli  amici  ivi  trovati,  l'incendio 
delle  navi  eccitato  dalle  donne  troiane,  non  sono 
affatto  abbellimenti  poetici  ma  si  leggono  nelle  an- 
tiche istorie.  La  predizione  delle  arpie  che  minac- 
ciava ai  Troiani  una  fame  tale  da  esser  costretti  a 
divorar  le  proprie  mense,  l'osservazione  di  Ascanio 
nel  primo  giunger  in  Italia  d'aver  divorate  le  men- 
se formale  di  strali  di  pane  sull'erba  (48);  queliti 
fatti  se  possono  al  severo  critica  comparir  puerili  e 
non  degni  della  maestà  dell'  epica  tromba ,  merita 
qualche  indulgenza  il  poeta  se  ha  voluto  secondare 
il  genio  de' suoi  concittadini,  presso, i  quali  siffatti 
racconti  dovevano  esser-  celebri  ,   trovandosi  regir 

(47)  Dionig*  d'Alicarn.  lib.  a. 

(48)  VirgìI-  Acne.  lib.  3.  e  7. 


73  LIBRO  PRIMO 

étrati  negr istorici  pi(i  gravi  (49)»  Tutte  le  altre  yU 
cende  d'Enea,  de' suoi  discendenti  »  e  della  nascita 
di  Roma  son  troppo  note  e  troppo  miste  alle  favole 
perchè  un  saggio  scrittore  possa  trattenervisi  e  spe- 

jrar  di  trarne  qualche  importante  notizia. 

iivKi  Appena  nata  Roma,  la  troviamo  presto  in  guerra 
BoÌa  cogli  Etrusclii,  giacché  Romolo  volse^  le  armi  con^ 
^9  tro  i  Veienti  :  vi  furono  più  volte  de'  sanguinosi 
contrasti,  e  questi^  popolazione  come  la  più  prossi- 
ma dell'etrusche  a  Roma  fu  frequentemente  alle 
prese  coi  Romani  e  gli  tenne  in  continuo  esercizio 
della  terribile  scuola  delle  armi.  La  città  di  Fideno 
cinque  miglia  distante  da  Roma  (5o),  fu  più  volte 
il  pomo  di  discordia  di  quelle  due  popolazioni  ; 
^conquistata  da  Romolo,  ribellatasi  sotto  Tulio  Osti** 
lio,  seguitò  la  parte  de' Veienti:  ad  onta  del  tradi-^ 
mento  di  Mezio  Suffezio  Re  d'Alba  che  unito  coi 
flomani  gli  abbandonò  nel  più  forte  della  battaglia, 
furono  i  Veienti  disfatti,  ripresa  Fidene;  e  l'adirato  ' 
vincitore  fece  attaccare  il  traditore  Re  d'Alba  alle 
cime  di  due  aU>eri  ripiegati ,  che  poi  me36Ì  in  li- 
l>ertà,  tornando  iurìosamente  in  aHo  ne  squarcia^ 
rono  il  corpo:  così  erano  trattati  i  Re  da  qpei  feroci 
popoli  (5i).  Anco  Marzio  combattè  più  volte  anche 
^sso  jcpi  Veienti ,  e  pe  /u  yiw:itore ,  Ma  più  4'  ogoi 

(49)  Dion.  d'Alicar.  lii>.  1-  ,      •  j   1 

(50)  Fidene  era  situala  presso  il  confluente  dell'Amene  e  del 
Tevere  come  si  deduce  da  Liv.  llb.  4.  QuesU  città  esisteva  ed  era 
popola tissima  sotto  Tiberio, nel  duodecimo  anno  del  di  cui  regno 
Tacconu  Tacito  che  minò  in  Fidene  un  teatro  ove  davasi  lo  spet- 
tacolo  d'una  pugna  di  gladiatori ,  nella  qual  i-uìna  cinquantamila 
persone  restarono  o  morte  o  ferite .  -Si  può  imaginare  che  non  tut^a 
>qQesu  popolazione  appartèìieise  a  Fi«£eAC,  ma  vi  fosse  ^oucorsa.a 
vda  Roma  e  dai  circonvicini  castelli . 

<5 1^  Tit.  I4ÌV.  lib.  i .  Dion.  d'Allear,  lib.  3, 


CAPITOLO  PEIMD  73 

tkro  Re  di  Roma  contrastò  coi  Toscani  Tarquinio 
Prisco.  Cinque  città  etnische  Chiusi ^  Boselle^  Voi-  di  R. 
terra ,  Arezzo ,  Vetulonia  si  unirono  coi  Latini  con- 
tro  i  Romani  :  furono  pia  volte  rotti  i  confederati 
pia  dal  valore  di  Tarquinio  che  dalla  forza  nemi- 
ca (Ò2) .  Una  fatale  rivalità  era  ormai  dichiarata 
ira  Romia  e  TEtruria:  la  crescente  Roma  già  spa- 
ventava i  popoli  confinanti:  contro  si  pericoloso  ne- 
mico si  unirono  tutte  le  popolazioni  etrusche  e  dopo 
varie  deliberazioni  mossero  improvvisamente  un  po- 
tente esercito^  passarono  il  Tevere,  e  sorpresero,  e 
entrarono  con  artifizio  in  Fidene  spargendo  pel  ter- 
ritorio romauo  il  terrore  e  la  desolazione  •  Non  osò  i5a 
Tarquinio, colio  alla  sprovvista,  escire  per  tutto  Tan^ 
no  in  campagna^  In  questo  tempo  prepararono  i  Ro- 
mani due  eserciti:  col  primo  si  mosse  Tarquinio 
contro  di  Veio,  vi  ruppe  i  nemici  e  ne  dc^lò  le 
terre  ;  ma  Collatino  che  guidava  V  altro  esercito 
tentando  di  ricuperar  Fidene,  piazza  di  tanta  im- 
portanza, fu  dal  presidio,  ch'era  stato  rinforzato, 
completamente  battuto  :  ne  segui  per  1*  altra  parta 
J'attacco  de'  Romani  contro  Cere  ove  trionfò  Tar- 
i]uioio  :  gli  affetti  pc^ò  della  sua  vittoria  ai  ridussero 
^lo  alla  devastazione  della  campagna ,  e  a  un  grossp 
bottino  eh'  era  per  lo  più  T  esito  di  quelle  gueri'e.  Fu 
più  fortunato  pe'Rooiani  il  seguente  anno,  fidene,  ,5- 
posto  sì  importante  19  pericoloso  ai  Qomaui  richia- 
mava la  loro  attenzione  per  ricuperarlo,  e  quella 
degli  Etruschi  per  sostenerlo:  v'erano,  forze  potenti 
di  questi  e  dentro  e  fuori  :  vinti  in  campo  aperto  gli 
JEtniscbi  ai  fece  l'assedio  di  Fidene  colla  più  grande 

(53)  Dionigi  d'Allear,  lib.  5, 


^ 


74  LIBRO    PRIMO 

'ostinazione:  alla  fine  espugnata^  furono  gastigali 

<j,E.  colle  verghe  e  la  morte  i  ribelli^  l'etrusca  guarni- 

''^^  gione  venduta  schiava ,  le  campagne  fidenati  divise 
tra  i  soldati  che  restaron  padroni  della  città,  espulsi 
ì  cittadini.  Si  radunava  intanto  un  altro  formidabile 
esercito  di  Etruschi  in  Sabina  per  vendicar  lafiron- 

i5s  to  ricevuto:  l'attivo  Tarquinio,  e  prima  che  tutte 
le  popolazioni  etrusche  vi  avessero  mandato  il  loro 
contingente,  Passali  presso  Eteto  (53), e  ne  riportò 

1^9  la  più  completa  vittoria  ,  la  quale  tanto  sbigotti 
TEtrAria  da  costringerla  a  chieder  supplice  la  pace 
al  vincitore.  I  deputati  per  placare  e  persuader 
Tarquinio,gli  rammentarono  ch'ei  traeva  lorigine 
da  una  etrusca  città  (54)  :  e  quantunque  esso  par- 
lasse loro  col  linguaggio  imperioso  che  detta  la  vit- 
tòria, fu  stipulata  la  pace  dopo  nove  anni  di  guer- 
ra (55) ,  con  una  dependenza  degli  Etruschi  dai 
Romani  più  di  nome  che  di  fatti.  Forse  non  si  ri- 
dusse che  alTomaggio  prestato  al  Re  di  Roma  delle 
divise  di  Sovrano  che  gì'  inviarono ,  cioè  la  corona 
d'oro ,  il  trono  d'avorio,  lo  scettro  ec.  ;  divise  che 
adornarono  il  magnifico  trionfo  di  Tarquinio .  Per 
pochi  anni  durò  la  pace  :  ai  Sabini  egualmente  che 
agli  Etruschi  importava  il  ricuperar  Fidene  :  venne 
perciò  loro  fatto  d'indurre  qualche  popolazione 
etrusca  a  prender  Tarmi,  e  unirsi  seco  loro.  Presso 
a  Fidene  sotto  il  confluente  dell'Aniene  col  Tevere 
due  eserciti  di  Sabini  e  di  Etruschi  si  erano  accam- 
pati sulle  due  sponde  di  questo  fiume,  comunicando 
fra  loro  per   un  ponte  di  barche.   Tarquinio  usò 

(f>3)  Monte  rotondo. 

(f»4)  Tarquene. 

(.^j)  Dionig.  d*Alicar.  lib.  3. 


CAPITOLO   PRIMO  75 

r  arie  per  separarli  :  mandò  nella  nolle  dei  battelli 
carichi  dì  combustibili  accesi  a  seconda  delTacqua,  ,ì,r. 
altri  De   fece  condur  contr' acqua,  che   ajutaLi  da  '^ 
un  vento  impetuoso^  giunsero  al  ponte  e  l'arsero: 
culti   iu  questa  confusione  dai  Romani  i  due  se- 
parati  eserciti   furono  interamente  sconfìtti  (^6). 
Qualche   altro  tentativo   contro  i   Romani   fecero 
nei  seguenti  tempi  gli  £truscbi  specialmente  sot-  «<)7 
to  Servio  Tulio  ;   ma   sempre  avutane  la  peggio,   ujB 
ni  composero  con  lui  come  aveano  fatto  con   Tar-  nj^j 
quinioy  riconoscendo  una  supremazia  che  poi  non 
aveva    realmente  luogo.  Dagli  esposti  racconti  si 
vede,  che  si  combatteva  in  questi  temp^con  rozza 
tattica,  che  Ja  guerra  si  riduceva  a  depredazioni  di 
campagne,  che  Tarte  di  prender  le  piazze  era  sco< 
nosciuta,  e  che  una  gran  battaglia  guadagnata  non 
produceva  acquisto  di  città,  di  castella,  e  di  rado 
lo  produceva  di  territorio:  restavano  i  vinti  solo 
umiliati  per  qualche  tempo,  e  tornavano  poi  alle 
ostilità  con  nuovo  vigore.  Dopo  tante   vittorie  in 
tanti  anni  suH'Etruria,  restavano  i   Romani  nei 
loro  antichi  confini  ristretti  sempre  dal  Tevere;   e 
i  Veienti  tante  volte  vinti,  non  distanti  piìi  di  do- 
dici miglia  da  Roma,  restavano  sempre  gli  stessi 
poteati  e  formidabili  nemici . 

Intanto  si  fece  in  Roma  la  celebre  rivoluzione  ^44 
per  cui  si  abolì  la  monarchia.  Le  insofiribili  tiran- 
nie di  Tarquinio  superbo,  gl'insulti  commessi  dalla 
sua  famìglia  contro  il  popolo,  e  finalmente  il  diso- 
norevole attentato  di  Sesto  contro  Lucrezia,  e  la 
magnanima  azione  di  questa  illustre  donna  ,  che 

(56)  Dionig.  «FAlicar.  lib.  3.  Tit.  Liv.  lib.  1. 


76  LIBRO    PRIMO 

-dopo  avere  svelata  l'infame  violenza  al  marito ^  e 
di  R.  ai  parenti  ebbe  il  coraggio  d' immergerai  un  ferro 
^^^  nel  seno^  eccitarono  la  giusta  indignazione  dei  Ro- 
mani a  sollevarsi  ed  a  cacciare  il  tiranno.  Lucio 
Giunio ,  a  cui  V  affettata  stolidezza  sotto  il  regna 
di  Tarquinio^  quando  ^accortezza  e  il  talento  era- 
no delitti  y  gvea  fatto  dare  il  dispregevole  nome  di 
Bruto f  nome  che  divenne  poi  si  celebre,  fu  pri- 
ina  rio  attore  di  questa  tragedia,  {espulsa  la  domi-* 
nante  famiglia,  Romia  si  costituì  in  repubblica: 
l'esule  Tarquinio,  vagabondoe  supplice  per  le  città 
d'Etruria  mostrando  il  tristo  spettacolo  della  sua 
perduta  gjraudezza,  eccitò  facilmente  la  pietà  di 
quei  popoli;  la  simpatia  e  l'onta  della  regia  mae- 
stà a^vviiita  mosse  in  favore  di  Tarquinio  l'animo 
e  le  forze  di  Porsena,  uno  dei  più  celebri  Re  degli 
Etruschi  che  regnava  in  Chiusi  e  forse  dominava  il 
resto  della  Toscana,  Anche  le  considerazioni  politi- 
che oltre  la  pietà  animarono  Porsena  ^  soccorrer 
Tarquinio;  giacché  l'esenUpio  poteva  divenir  con- 
tagioso e  formidabile  al  regio  potere:  si  diede  per- 
ciò a  fare  i  preparativi  per  la  guerra, che  non  era- 
no stati  mai  si  grandi  ^è  si  bea  .concertati.  Int^nio 
i  Tarquini  impazienti  di  dilazioc^e  avendo  già  per- 
suase à  prender  l'armi  due  popolazioni  etrusche,  i 
rò  y.eienti  antichi  nemici  di  Roma  e  i  Tarquinesi ,  ai 
quali  pareva  di  aver  ricevuto  un  particolare  affronto 
|)er  respulsix)ne  di  un  Be  loro  concittadino,  senza 
aspettar  le  congiunte  armi  d*£truria,  (adunato  un 
sufficiente  e^rcito  si  mossero  contro  Roma.  Usci- 
rono ad  essi  incontro  i  Romani,  ed  ebbe  luogo  una 
sanguinosa  ed  indecisa  battaglia,  memorabile  solo 
per  la  morte  del  console  Bruto  e  di  Aronte  figlio  di 


GAPILOLO  PRIMO  77 

TarquìniOi  Bruto  eoo  una  parte  dello  cavalleria  pre-' 
cedeva  l'esercito;  Aronte  6glio  di  Tarquinio  (iondii-  dìR? 
ceva  ancor  esso  una  vanguardia  di  cavalleria.  Ricono-  ^ 
<ciotisi^  e  animati  da  scambievole  odio^  intenti  più 
a  ferirsi  che  a  difendersi ^  si  trafissero  al  primo  col- 
po: si  azzuffarono  poi  i  due  eserciti;  l'ala  sinistra 
ov' erano  i  Veienti  soliti  a  cedere  ai  Romani  fu  vin- 
ta ,  ma  la  destra  composta  di  Tarquinesi  fu  vinci- 
trice {5y).  Intanto  Porsena^  radunate  le  forze  del- 
l'intiera  Etruria^  venne  contro  Roma /Si  è  notato 
cbe  pia  volte  i  Romani  aveano  vinti  gli  Etruschi^  ^145 
ma  in  quest*  occasione  furono  più  volte  soccombenti 
0  indeboliti  dalla  partenza  dei  realisti^  o  dallo  scon«« 
certo  che  produce  la  novità  del  governo,  o  che 
FEtruria  meglio  regolata  che  avanti,  riunitrin  un 
volere  e  in  uno  sforzo  unanime ,  guidata  da  un  va* 
loroso  e  saggio  Re  come  Porsena  combattesse  con 
insolito  valore.  E  veramente  due  volte  furono  vinti 
i  Romani:  l'unico  antemurale  di  Roma  era  il  monte 
Granicolo  da  essa  separato  dal  Tevere  e  difeso  da 
molta  truppa  ;  Porsena  l'investi  con  tal  arte  e  vigore 
cbe  se  ne  rese  padrone:  i  Romani  abbandonatolo  si 
rib'rarono  verso  il  ponte  Sublicio:  i  Consoli  rinco* 
rando  i  fuggitivi  condussero  l'esercito  al  di  là  del 
ponte  contro  Porsena .  Mamilio  con  una  schiera  di 
Latini  si  era  unito  ai  Toscani  ed  ebbe  il  comando 
deir  ala  destra  :  i  Tarquini  con  tutti  i  forusciti  Ro- 
mani e  loro  aderenti  ebbero  quello  delb  sinistra , 
il  centro  era  comandato  da  Porsena  col  fiore  dei 
Toscani .  Per  la  parte  dei  Romani  Spurio  Larzio  e 
Tito  Erminio  erano  incontro  ai  Tarquinj;  nell'ai- 

(57)  tiìv.  Itb.  3.  Dionigi  d'Aiìcwrn.  1.  5. 


s. 


78  LIBRO    PRIMO 

'Ira  ula  Marco  Valerio  e  Tito  Lucrezio  si  trotavatio 
diK*  a  fronte  di  Mamilio:  i  consoli  Poplicola  e  il  suo  col- 
***^  lega  nel  centro.  Dopo  i  più  ostinati  sforzi  di  valore 
da  ambe  le  partì,  furono  quasi  a  un  tempo  feriti 
Valerio  e  Lucrezio  y  e  costretti  ad  abbandonare  il 
campo.  Sbigottita  Tala  sinistra  dei  domani  comin- 
ciò a  piegare y  indi  a  ritirarsi  precipitosamente  verso 
il  ponte;  il  resto  dell'esercito  segui  presto  il  suo 
esempio )  e  una  fuga  universale  strascinò  confusa- 
mente i  Romani  sul  {x>Dte  e  verso  Roma  .  In  tanto 
pericolo  Orazio  Coclite,  Spurio  Liirzio^ed  Erminio 
con  qualche  avanzo  de'piìì  intrepidi  coprirono  i  fug- 
gitivi, percliè  più  sicuramente  potessero  far  la  riti* 
rata:  ma  finalmente  soverchiaodo  i  nemici  qua!  tor- 
rente, si  ritirarono  i  tre  guerrieri  sul  ponte  atfron- 
tando  r impeto  di  tutto  l' esercito,  Orazio  comanda 
che  si  tagli  alle  sue  spalle  il  ponte,  e  quando  è 
mezzo  rutto  e  ostringe  i  due  suoi  compagni  a  porsi 
in  salvo,  restando  solo  a  fronte  delle  nemiche  schie- 
re, e  girando  intorno  torvi  gli  sguardi  con  delti  acer- 
bi rampo^Mia  la    viilà  degli  Etruschi  che  scordati 
della  propria  libertà  vengano  a  combatter  Taltrui. 
La  vergoi;na  .'ini ma  i  nemici  che   gli  corrono  tutti 
addosso;  ma  stette  sempre  saldo  l'intrepido  guer- 
ricru  benché  malamente  ferito  in  una  coscia  •  diroc- 
cato finalmente  aitutto  il  ponte  saltò  nel  Tevere,  e 
quantunque  sfinito  dalla  fatica  e  combattuto  dalla 
vorticosa  condente  del  fiume  pwù  rapido  verso  gli  ar- 
chi elei  ponte,  giunse  a' suoi  a  salvamento,  che  ac- 
cogliendolo con  trionfali  grida,  e  portandolo  sulle 
braccia  gli  cinsero  il  capo  di  una  «corona,  e  gli  eres- 
sero in  appresso  nel  Foro  una  statua  di  bronzo*  Cosi 
Orazio  salvò  Roma  eudlo  sIcmmk»  tenapo  destando 


CAPITOLO    PRIMO  79 

ori'eraula  virtù  nei  Romani  insegnò  loro  di  quali' 
azioni  Tuom  forte  è  capace  (58).  Porseoa  intanto  diH? 
iàtto  passare  il  Tevere  a  una  parte  deir esercito^  e  ^^^ 
stretta  Roma  da  ogni  parte,  impediva  V  ingresso 
de'  viveri  ;  tuttavia  ne  giungevano  pel  Tevere  •  II 
Console  romano  fece  sparger  voce  che  un  grosso  nu- 
icero  dì  bestiame  introdotto  in  Roma  in  fretta^  cui 
mancava  in  quella  città  la  pastura,  si  sarebbe  gui- 
dato sotto  buona  scorta  a  pascer  nei  prati  fuori  della 
porta  Esquilina,  luogo  il  più  remoto  da'nemici. 
Avendo  questi  creduto  alla  falsa  nuova  mandarono 
spgreta mente  un  forte  distaccamento  per  dissipar 
la  scorta  e  impadronirsi  del  bestiame:  ma  da  varie 
parti  sboccando  iraprovisameojte  i  Romani ,  cbe 
avevano  atteso  gli  Etruschi  a  questo  agnato^  ne  ta- 
gliarono a  pezzi  circa  a  cinque  mila. 

La  fame  però  avrebbe  ottenuto  finalmente  quel 
cbe  non  poteva  la  forza ,  quando  Muzio  si  deter- 
minò a  sacrificarsi  per  la  patria,  uccidendo  il  Re 
degli  Etruschi.  La  risoluta  ferocia  con  cui  venne 
dd  eseguire  il  colpo >  il  suo  sbaglio,  la  fermezza 
con  cui  tenne  la  mano  sulle  fiamme  finché  fosse 
consunta,  son  note  abbastanza  negF  istorici  e  nei 
poeti  (59).  Ma  non  dee  passare  senza  la  debita  lode 
il  geoeroso  animo  del  Re  Etrusco,  il  quale  invece 
d'irritarsi  contro  a  chi  avea  attentato  alla  sua  vita, 
ammirò  il  coraggio  di  Muzio,  T  amore  verso  la 
patria  ,  e  fu  capace  di  perdonargli  (60).  A  tante 

(58)  Dion.  d'Alicar.  lib.  5.  Tit.  Liv.  lib.  a. 

(Sq)  y  ha  chi  ha  trattato  dì  favola  qaesto  avvenimento  : 
ma  se  non  si  ha  fede  a  Tito  Livio ,  e  a  Dionigi  d'Alicamas- 
so.  Don  importerà  più  scrìver  1* istoria  Romana  de  primi  tempi  ; 
Ycdi  Dissert.  sur  V incertitude  des  premiere  siede s  de  Rome, 
chap.  3. 

(5o)  Tit.  Liv.  lib.  a.  HHon.  d'Alic  lib.  5. 


8o  LIBRO    PRIMO 

prove  del  romano  eroismo  si  scosse  Porseoa  a  tegnay 
di  R.  che  r  odio  verso  i  Romani  si  converti  in  ammira- 
^^  zione  e  in  terrore^  avendogli  Muzio  asserito  che  se 
la  sua  mano  avea  errato^  v'erano  3oo  giovani  Ro- 
mani al  par  di  lui  risoluti ,  che  avean  giurato  ten- 
tare lo  stesso  colpo;  per  lo  che  considerando  quan* 
io  pericoloso  fosse  Taver  briga  con  siffatti  nemici, 
determinò  di  accomodarsi  e  far  seco  loro  la  pace* 
Avendo  perciò  tentato  invano  più  volte  di  riconci-' 
liarli  con  Tarquiuio,  abbandonò  alla  sua  sorte  il 
disgraziato  amico  e  si  compose  coi  Romani .  Vera- 
mente egli  dettò  le  condizioni  di  pace  da  vincitore, 
tuttavia  mostrò  T animo  generoso:  giacche,  dopo 
aver  voluto  per  ostaggi  i  figli  delle  persone  più  ri- 
spettabili di  Roma,  nell'atto  di  partire  restituì  loro 
la  libertà,  dicendo  che  si  fidava  all'onoratezza  dei 
Romani  più  che  a^  qualunque  altro  pegno:  con  regia 
munificenza  lasciò  ai  nemici  afflitti  dalla  fame^  i 
copiosi  magazzini  di  viveri  del  suo  campo  che  ayea 
sul  Gianicolo.  Ritornato  Porsena  alla  sua  reggia  in 
Chiusi,  i  Romani  gli  mandarono  con  solenne  am- 
basciata una  sedia  d' avorio  con  scettro  e  corona 
d'oro  e  veste  trionfale  (6i).  Si  è  veduto  che  quando 
i  vinti  Toscani  mandavano  quelle  insegne  trionfali 
ai  Re  di  Roma  prestavano  loro  un  omaggio  di  di- 
pendenza; può  dedursi  perciò  che  in  questa  guerra, 
se  si  eccettui  il  punto  principale  dell'esilio  de'Tar-* 
quini,  ch'era  ciò  che  importava  ai  Romani,  nel 
resto  questi  rappresentarono  la  parte  de  vinti  e 
Porsena  di  vincitore:  lo  che  si  confermerebbe  dav*' 
vantaggio  quando  fosse  stata  vera  l'onerosa  coadi'» 

(6i)Dion.d'Alic.lil>.  S. 


CAPITOLO  PRIMO  Si 

«ione  rammentata  da  Plinio  che  i  Romani  non  po- 
tessero far  uso  di  ferro  che  nell'agricoltura  (6a).  drii! 
Intanto  una  parte  deir  esercito  di  Porsena  sotto  la  ^^^ 
condotta  del  di  lui  figlio  Aronte  si  avanzò  contro 
gli  Aricini  e  i  Gumani  comandati  da  Aristodemo: 
essendo  ucciso  Aron  te ,  gli  Etruschi  si  diedero  alla 
foga  e  giunsero  stanchi  e  feriti  nelle  campagne  di 
Roma  ;  ivi  caritatevolmente  accolti ,  trasportati  in 
città  su  de' carri ^  ebbero  tuttavia  necessaria  assi- 
stenza a  segno  ^  che  una  gran  parte  di  loro  pensò 
cambiar  patria  e  stabilirsi  in  Roma  (63)^  ove  diede 
il  nome  ad  una  strada . 

Pare  che  il  sistema  di  un  re  saggio  come  Porse- 
na fosse  di  restare  in  pace  co' Romani^  e  che  alme- 
no continuasse  per  tutta  la  sua  vita^  giacché  non 
troviamo  per  molto  tempo  che  la  nazione  etnisca 
abbia  preso  parte  contro  Roma .  Non  la  lasciavano 
però  iu  pace  le  altre  popolazioni  confinanti ,  ì  Sabi- 
ni, gli  Equi  ed  i  Yolsci  tenendola  in  una  continua 
scola  di  quell'arte  che  dovea  diventare  a  tutti  fa- 
tale .  Più  volte  quei  popoli  furono  vinti ,  e  s' insan- 
guinarono le  latine  campagne  con  funeste  stragi  • 
Ma  più  che  le  armi  combatteva  per  loro  in  Roma 
la  discordia  fra  il  Senato  ed  il  popolo:  più  volte  in- 
terruppe i  romani  trionfi ,  e  diede  agio  ai  loro  emuli 
di  ricomporsi  e  di  tornare  ad  attaccargli  con  fresco 
vigore.  É  vero  che  le  turbolente  agitazioni  di  Roma 
furono  assai  differenti  da  quelle  dell'  altre  repub- 
bliche, le  quali  sono  state  macchiate  tante  volte 
dal  sangue  dei  più  zelanti  cittadini.  Per  molti  an- 
ni, e  finché  l'amor  della  patria  gli  tenne  abbastan- 

(63)  Plin.  lib.  34.  cap.  1 4* 
(63)  Dion.  d'Alic  Ub.  S. 


8a  LIBRO    PRIMO 

za  uniti,  fioche  tutti  teoderono  allo  stesso  fine^  per 
òiH.  quanto  la  discordia  imperversasse  in  Roma^  il  Se- 
'^^  nato  f  e  il  popolo  si  rispettarono  a  segno  che  fralle 
grida  tumultuose  non  le  spade  e  Taste,  ma  le  ra- 
gioni e  le  leggi  erano  Tarmi  con  cui  si  combatteva^ 
ed  ogni  rissa  di  un  popolo  si  sanguinario  e  feroce 
nel  campo  si  terminava  al  più  con  qualche  colpo 
di  bastone  o  di  pugna  •  Il  popolo  nelF  ebrietà  del 
suo  furore  y  piuttosto  che  por  le  mani  addosso  al  Se- 
nato, giunse  a  separarsi  da  lui  ritirandosi  da  Roma 
nel  Monte  Sacro,  rispettando  sempre  queir  adunan- 
za come  i  suoi  genitori  benché  troppo  severi;  ed  è 
nota  la  saviezza  di  Menenio  che  colla  favoletta  del 
-ventre  e  delle  membra  potè  placare  e  ricondurre  in 
Roma  la  plebe.  Finalmente  le  dispute  civili  erano 
per  lo  più  terminate  con  una  legge,  mentre  altrove 
si  finivano  col  sangue.  Una  virtuosa  emulazione  si 
eccitava  tra  i  due  ordini  per  cui  Correvano  per  lo 
più  a  combattere  con  maggiore  ardore  i  comuni 
nemici.  Di  rado,  pure  qualche  volta,  avvenne  che 
le  dissenzioni  passarono  dal  Foro  al  campo  milita- 
re. Vedendo  la  plebe  che  T  espediente  più  comune 
del  Senato  per  sedare  i  tumulti  ed  eludere  le  di- 
mando del  popolo,  era  di  condurlo  alla  guerra, 
talora  ricusò  di  marciare,  talora  nel  campo  si  lasciò 
vincere  o  almeno  non  volle  vincere  per  non  dare 
-  3^0  al  Console  che  lo  comandava  Tenore  del  trionfo: 
ciò  era  specialmente  avvenuto  combattendo  contro 
i  Volsci  ^  e  i  Vejenti  sotto  i  consoli  Quinto  Fabio  e 
Lucio  Valerio  (64).  Allora  fu  che  gli  Etruschi  do- 
po molti  anni  di  pace  pensarono  a  cambiar  sistema 

(64)  Dion.  d'Alicar.  lib.  6.  Tit.  Liv.  lib.  %. 


CAPITOLO    PRIMO  83 

credendo  il  tempo  più  opportano  d' oppri  roer  Roma  • 
Si  tenne  una  grand' assemblea  deiriutiera  nazione^  .iìr. 
in  cui  fa  deciso  di  sostenere  col  massimo  vigore  i  ^^^ 
Vejenti^  che  come  la  più  vicina  e  potente  popola- 
zione avea  ricominciato  ad  inquietare  i  Romani: 
erano  sicuri  che  gli  Cqui^  i  Sabini  ed  i  Vobci^  ne- 
mici perpetui  di  Roma,  si  sarebbero  uniti  seco  loro. 
S'incominciò  la  guerra  nelle  campagne  di  Vejo, 
ove  andavano  lentamente  adunandosi  le  truppe  to- 
scane  :  contro  di  queste  si  mosse  il  console  Fabio  ^ 
odioso  al  popolo,  mentre  l'altro  di  fazione  popolare 
si  era  portato  contro  gli  Equi^  i  quali  non  si  mos- 
sero ,  onde  qua  non  vi  fu  da  combattere  •  Non  cosi 
avvenne  all'altro  Console:  s'incominciò  la  pugna: 
erano  i  Romani  vittoriosi  e  i  nemici  in  scompiglio: 
marciò  la  cavalleria  per  compir  la  vittoria  :  si  ri- 
guardavano i  cavalieri  come  partitanti  della  nobil- 
tày  onde  l'infanteria  gli  lasciò  inviluppare  dai  ne- 
mici,  né  valsero  i  comandi ,  né  le  più  umili  pre- 
ghiere del  console  Fabio  a  farla  accorrere  in  soc- 
corso: restò  pertanto  assai  maltrattata,  e  la  vittoria 
imperfetta.  I  sediziosi  soldati,  non  contenti  di  aver 
mancato  al  loro  dovere,  rovesciarono  la  colpa  della 
disgrazia  sulla  cavalleria  e  sul  Comandante;  anzi 
nella  notte  abbandonarono  il  campo^  e  come  fug- 
gitivi si  ritirarono  a  Roma,  spargendovi  la  desola- 
zione, e  lo  spavento.  Convenne  a  Fabio  ritirarsi 
precipitosamente,  fortunato  abbastanza  che  i  Vejeo- 
ti  non  ai  accorgessero  della  partenza  di  si  grossa 
schiera,  onde  si  contentarono  di  saccheggiare  gli  «73 
aUxindonati  accampamenti.  Questo  evento  reso  no- 
\  to  accrebbe  sempre  più  negli  Etruschi  la  speranza 
;       ài  opprimer  Roma.  Da  tutta  l'Etruria  numerosi 


84  LIBRO     PRIMO 

corpi  dì  brave  troppe  corsero  ad  unirsi  aotto  Vejó, 
diK.  uè  mancarono  gli  ausiliarj  dell'altra  parte  del  Te- 
^7^  vere  •  Il  vicino  pericolo  scosse  finalmente  i  Ronàani; 
e  benché  il  tribuno  Pontifizio  rinnuovando  le  pre- 
tensioni del  popolo  tentasse  disturbare  V  arruola- 
mento^ la  prudenza  del  Senato,  e  il  timore  dei 
vicini  nemici  resero  numerosa  la  romana  armata , 
inferiore  però  airetrusca.  Era  stato  nominato  con- 
sole Marco  Fabio ,  fratello  del  console  poco  accetto 
dello  scorso  anno;  ma  la  sua  prudenza  e  valore 
fecero  risolvere  il  Senato  a  crearlo  y  a  cui  il  popolo 
diede  per  collega  Gn.  Manlio,  detto  per  soprannome 
Cincinnato  •  Di  rado  si  son  trovati  generali  in  più 
pericolose  circostanze:  dovean  combattere  contro  ne- 
mici tanto  superiori  di  numero;  né  erano  certi  della 
buona  voglia  de' suoi.  Il  fatale  esempio  dello  scorso 
anno  obbligò  i  consoli  a  straordinaria  cautela  :  coa- 
dotti fuori  i  due  eserciti,  e  accostatisi  a  Vejo,  ac- 
camparono in  posti  assai  vantaggiosi,  trincerandosi 
con  ogni  diligenza,  e  risoluti  di  star  sulle  difese , 
cosa  insolita  ai  Romani.  Ne  trionfavano  gli  Etru- 
schi ,  e  aggirandosi  intorno  colla  cavalleria  gli  in- 
sultavano colle  parole,  non  accorgendosi  che  secon- 
davano il  disegno  de^  consoli  di  destare  il  sopito 
valore  dei  Romani  ;  gl'insulti  furono  moltiplicati  a 
segno  che  i  soldati  corsero  al  Pretorio  domandando 
battaglia  :  i  consoli  fingevano  repugnarvi  per  ac- 
crescerne Tardore:  infatti  le  domande  si  converti- 
vano  in  grida  sediziose.  Fabio  che  volea  farne  buon 
uso  intimò  silenzio,  fece  ai  soldati  un  eloquente  e 
artifizioso  discorso ,  in  cui  rammentando  di  passag- 
gio i  disgraziati  avvenimenti  dell'anno  scoéso,  e 
dicendo  che  i  Romani  quando  volevano  eraiio  in- 


CAPITOLO    PRIMO  8?> 

vincibili  9  finse  di  arrendersi  ai  loro  desiderj  terini-^ 
nando  con  quelle  memorabili  parole  (65)  che  la  diR. 
morte  fugge  dai  bravi,  e  perseguita  i  fuggitivi  e  i  ^^^ 
codardi.  Furono  ricevute  coi  maggiori  applausi  le 
parole  di  Fabio  :  allora  Flaveolo,  che  pel  suo  valore 
dal  più  basso  rango  s' era  sollevato  a  quello  d' uno 
dei  priroarj  ufiziali,  salito  sopra  un'eminenz^gn'dò 
ai  soldati  che  giurassero  di  non  tornare  a  Roma  se 
non  vincitori:  fu  £atto  con  liete  grida  il  giuramento, 
e  marciarono  pieni  di  ardire  alla  pugna.  I  diligen- 
ti romani  storici  ci  hanno  dati  tutti  gF  indicati  det- 
tagli 9  mentre  del  valore  degli  Etruschi  siamo  ob- 
bligati a  cercar  le  prove  nelle  memorie  dei  loro  ne* 
mici,  disgrazia  delle  nazioni  che  non  hanno  storici; 
ma  egli  è  certo,  che  quantunque  sorpresi  dalla  mu- 
tazione di  scena,  e  dal  novello  arder  dei  Romani, 
andaron  loro  incontro  con  non  minor  coraggio  e 
valore.  11  console  Manlio  comandava  Tala  destra, 
Qainto  Fabio  fratello  del  console  la  sinistra  ,  jl 
conaole  Fabio  il  centro .  Se  si  ha  da  credere  agli 
storici  romani ,  gli  Etruschi  fecero  Terrore  di  or- 
dinarsi in  terreno  troppo  angusto,  in  cui  le  file  non 
avevano  bastante  spazio  da  distendersi  :  la  loro  or- 
dinanza era  si  stretta  che  appena  aveva  luogo  da 
agitar  le  braccia  per  lanciare  i  dardi,  onde  quei  dei 
Romani  non  cadevano  mai  a  vuoto:  Tala  etrusca 
opposta  a  Quinto  distendendosi  piiì  in  lungo  stava 
per  inviluppare  i  Romani»  Trasportato  il  Coman- 
dante con  alcuni  de' più  valorosi  in  mezzo  ai  nemici 
è  colpito  nel  petto  da  una  lancia;  se  la  trae,  ma 
cade  da  cavallo,  e  la  sua  ala  resta  inviluppata:  in- 

(65)  Vedi  Won*  <i' Alic  ant.  rom  1.9. 


86  LIBRO    PRIMO 

'tesolo  il  cònsole  corre  in  soccorso  accompagnato 
dih.  dall'altro  fratello  Gesone,  eda  unatmppa  di  arditi 
*'^  soldati^  e  rammenta  ai  fuggitivi  il  giuramento:  si 
rianimano  alla  sua  voce^  riguadagnano  il  terreno 
perduto:  corrono  a  ricercar  di  Quinto,  lo  trovano 
ancor  vivo  sotto  un  ammasso  di  cadaveri  ;  ma  han- 
no il  dispiacere  di  vederlo  spirare  sui  loro  occhi  • 
Respinti  da  questa  parte  gli  Etruschi,  lo  furono an* 
cor  nel  centro;  Tala  destra  dei  Romani  però  era  in 
rotta  :  una  ferita  del  console  Manlio  in  un  ginocchio 
r obbligò  a  uscir  dalla  battaglia,  e  la  nuova  della 
sua  morte  fece  prender  la  fuga  ai  soldati  :  accorrono 
ancor  qua  i  Fabi,  e  respingono  i  nemici.  Un  corpo 
di  Vejenti  era  corso  intanto  ad  espugnare  gli  allog- 
giamenti romani  :  v'era  appunto  trasportato  il  fe- 
rito Manlio,  che  scordato  il  dolore,  ebbe  cuore  di 
rimontare  a  cavallo  e  incoraggire  i  difensori.  Oltre 
i  vivandieri  e  i  servi  si  trovava  a  custodia  una  pic- 
cola ma  scelta  banda  di  veterani:  l'assalto  diventa 
furioso ,  il  console  cade  coperto  di  nuove  ferite ,  e 
gli  alloggiamenti  son  presi:  l'avidità  della  preda 
scomponendo  gli  ordini  degli  Etruschi  che  corsero 
a  rubare ,  salvò  l'avanzo  de'Romani  che  v'erano  in 
guardia  •  Il  console  Fabio  è  avvertito  di  questa  nuova 
disgrazia  ;  lascia  d^  incalzare  i  nemici  ;  accorre  qua 
e  trova  gli  alloggiamenti  presi  ;  gli  attacca  ;  e  gli 
Etruschi  si  difendono  col  vantaggio  del  sito*  Siccio, 
uno  degli  ufiziali  romani,  che  ne  conosceva  il  lato 
più  debole,  dirige  qua  l'assalto,  e  nello  stesso  tem- 
po per  non  animar  colla  disperazione  il  valor  degli 
Etruschi  lascia  libere  le  uscite:  sopraffatti  i  Toscani 
si  ritirarono  finalmente:  Fabio  avea  lasciata  la  bat- 
taglia indecisa,  ritoma  all'esercito,  e  compisce  la 


CAPITOLO    PRIMO  S; 

TÌttoria .  Gli  Etruschi  si  ritirarono  agli  alloggiamenti' 
ove  non  furono  molestati  :  era  incominciato  Tattacco  dìlft! 
a  mezzo  giorno,  la  notte  pose  fine  a  un  combattimen-  ^^^ 
to  dei  più  micidiali^  in  cui  ambe  le  partì  furono  più 
volte  e  vinte  e  vincitrici:  la  ritirata  che  il  giorno  ap- 
presso fecero  gli  Etruschi  non  lasciò  in  dubbio  una 
vittoria ,  il  principale  autore  della  quale  fu  univer- 
salmente riconosciuto  Fabio.  Gli  scrittori  della  roma- 
na istoria,  come  si  è  veduto,  non  hanno  lasciato  di 
rammentare  i  tratti  di  valore  di  quei  repubblicani, 
e  passano  sotto  silenzio  quei  degli  Etruschi ,  dei 
quali  non  possiamo  nominare  nò  i  comandanti ,  né 
gli  ofiziali.  Si  preparava  in  Roma  a  Fabio  un  so- 
lenne trionfo,  che  avea  cosi  ben  meritato:  ma  ei 
non  credette  dover  mostrarsi  in  quella  pompa  per 
una  vittoria  si  sanguinosa,  e  il  popolo  lo  vide  en- 
trare in  Roma  vestito  a  lutto  col  cadavere  del  fra- 
tello Quinto,  e  del  collega  Manlio;  e  il  rifiuto  del 
trionfo  (  aggiunge  lo  storico  )  fii  più  illustre  d' ogni 
trionfo  (66).  Che  la  vittoria  dei  Romani  fosse  più 
di  nome  che  di  fatti  può  dedursi  dal  vedere  le  osti- 
lità ricominciate  quasi  subito  dai  Vejenti;  gli  Equi 
altresì  insultavano  i  Romani.  Innovi  consoli  Fabio 
Cesone,  e  Virginio  escirono  in  campagna,  questo 
contro  i  Vcjenti,  quello  contro  gli  Equi.  Virginio  si  a;i 
lasciò  inviluppare,  e  ritirossi  sopra  un  colle:  ve  lo 
assediarono  gli  Etruschi;  e  se  sollecitamente  Taltro 
console  Fabio  non  fosse  marciato  in  di  lui  soccorso, 


(56)  Omni  actó  triumpho,  depositus  triumpkus  clariorfuit, 
Uv.  lib.  3.'  Vedi  per  tutti  questi  avveuimeati  il  citato  storico ,  e 
DioiLd'AJicam.  lib.  9. 


88  LIBRO    PRIMO 

^'^^mancando  di  vettovaglie,  avrebbe  dovuto  abbassar 

dìR.  le  armi,  e  rendersi  prigioniero  (07). 

^74  Gli  Etruschi  sostenendo  la  popolazione  dei  Ve- 
jenti  insultavano  continuamente  le  campagne  di 
Roma:  si  pensava  per  frenare  le  loro  scorrerie  a 
stabilir  de' forti  nella  campagna  di  Roma,  e  munirli 

3.5  di  truppa..  Allora  la  famiglia  de'Fabj  numerosa  di 
3oo  individui  chiese  al  Senato  di  confidar  loro  la 
difesa  del  paese:  fu  accettata  la  generosa  offerta ^  e 
gli  accompagnarono  circa  a  quattro  mila  fra  amici 
e  clienti  della  famiglia.  V'era  alla  testa  quel  Marco 
Fabio  che  avea  con  tanta  gloria  combattuto  contro 
gli  Etruschi:  da  lui  guidata  esci  di  Roma  questa 
piccola  e  valorosa  schiera  fra  l'ammirazione  e  gli 
applausi  dei  suoi  concittadini:  fissò  la  sua  stazione 
in  un  castello  presso  il  fiume  Cremerà  (68)  ,  e  fab- 
bricali varj  forti  e  torri  ad  atte  distanze,  fu  stabilita 
una  giudiziosa  linea  di  difesa  dalla  quale  ì  Fabj 
uscirono  più  volte  contro  i  Vejenti  che  osavan  de- 
predar le  campagne ,  e  ritornarono  sempre  vittoriosi. 
Intanto  da  tre  parti  gli  Equi ,  i  Volsci ,  i  Vejenti 
attaccarono  i  Romani  :  furono  i  Vejenti  presto  rotti 
dal  console  Emilio  e  costretti  ad  implorar  soUeci- 
iamente  la  pace.  Ottenuta  che  l'ebbero,  tutto  il 
resto  d'Etruria  s'irritò  contro  Vejo,  e  obbligò  questa 
popolazione  a  romperla .  Fecero  servir  di  pretesto  le 
scorrerie  de' Fabj,  e  pretesero  che  fossero  obbligati 
ad  abbandonare  la  pericolosa  stazione.  Fu  ricusato 


(67)  Liv.  lib.  9.  Dion.  d'Alic.  lìb.  9. 

(63) Il  fiume  Gremeni  chiamasi  adetso  la  Yalca,  o  Varca; 
rsce  dal  lago  di  Baccano  e  si  getta  nel  Tevere  5  miglia  lontano  da 
Roma.  Mur.  Ital.  Ant. 


CAPITOLO    PRIMO  89 

questo  articolo  y  ed  i  Fabj  proseguirono  a  tormen*' 
tare  i  Vejenti  con  ostilità  continue.  Elsasperati  co-  uiH. 
storo  e  vergognosi  di  trovarsi  frenati  da  un  pugno  ^^ 
di  gente  ,  e^seguirono  coU' insidie  ciocché  non  ave- 
vano potuto  a  forza  aperta  •  I  Fabj  dalle  reiterate  276 
vittorie  resi  meno  circospetti  uscirono  un  giorno 
disordinatamente  a  predar  de' bestiami^  che  lungo 
il  fiume  a  bello  studio  erano  mandati  dai  Vejenti, 
i  quali  in  grandissimo  numero  stavano  in  aguato  , 
donde  uscirono  improvvisamente  contro  i  Fabj.  11 
valore  con  cui  resistettero  eguaglia  se  non  supera 
la  celebre  resistenza  dei  Spartani  alle  Termopile  y 
o qualunque  altra  simile  impresa.  Dionigi  d'AIicar* 
nassoy  che  varia  alquanto  nella  narrazione  da  Livio, 
racconta  che  una  parte  sola  de'  Fabj  (  come  par 
verisimile )  era  escita  dal  castello  a  predare,  che 
colta  in  mezzo  dagli  Etruschi  resistè  bravamente; 
che  rotto  il  cerchio  d' armati  si  ritirò  combattendo 
in  un  colle,  onde  col  vantaggio  rispinse  piiì  volte 
i  nemici  che  da  ogni  parte  la  cingevano  :  questi  pe^ 
rò  formarono  alla  piccola  schiera  una  specie  d'asse- 
dio; in  cui  senza  cibo  si  trattennero  i  Fabj  per  tutta 
la  seguente  notte.  I  loro  compagni  all'apparii*  del 
giorno  intesa  la  disgrazia,  conoscendo  che  per  la 
lame  sarebbero  costretti  ad  arrendersi,  lasciati  pò-* 
ehi  in  guardia  del  castello,  si  mossero  per  porger 
loro  soccorso  o  morire:  fu  questa  piccolissima  trup- 
pa subito  circondata  da'nemici,  e  dopo  lungo  con- 
trasto tagliata  a  pezzi.  I  loro  compagni  intanto  chiu- 
si per  ogni  parte  sulla  collina,  estenuati  dalla  stan* 
chezza  e  dalla  fame,  pure  durarono  a  combattere 
fino  alla  sera  ,  inalzando  cumuli  di  cadaveri  con  si 
ostinato  valore,  che  i  nemici  non  osavano  piij  d'ac- 


90  LIBRO    PRIMO 

^costarai  9  e  perduta  la  terza  parte  dell'eaercito,  stet- 

cIi'k'  tero  sospesi  alquanto,  iodi  mandati  gli  araldi ,  offri. 

^7^'  rono  loro  una  sicura  ritirata  purché  deponessero 
Tarmi ,  e  abbandonassero  la  fortezza ,  condizioni 
rigettate  subito  da  quelli  animi  generosi.  Non  osa- 
ron  per  altro  gli  Etruschi  di  accostarsi ,  ma  tenen- 
doli sempre  assediati  lanciavano  sopra  di  loro  da 
lungi  pietre^  dardi  ed  altre  armi  missili.  I  Fabj^ 
benché  quasi  tutti  feriti  e  pressoché  disarmati,  es* 
sendo  Tarmi  loro  rotte  e  spuntate^  scesi  disperata- 
mente dal  colle  ,  si  avventarono  a  guisa  di  fiere 
contro  i  nemici^  e  strappando  loro  di  mano  le  ar- 
mi^ mantennero  per  qualche  tempo  una  si  dise* 
guale  contesa  9  finché  tutti  restaron  morti  sul  cam« 
pò:  la  rimanente  piccola  truppa  restata  in  guardia 
della  fortezza  si  difese  collo  stesso  valore,  e  stretta 
dalla  fame  esci  fuori  col  medesimo  coraggio,  e  cad- 
de colla  stessa  disperata  bravura  (69).  Gli  storici  e 
i  poeti  romani  hanno  celebrata  a  gara  una  si  me- 
morabile impresa,  e  se  ne  fece  in  Roma  ogni  anno 
con  festa  lugubre  una  gloriosa  commemorazione  (7 o). 
Il  nuovo  console  Menenio  affrettando  la  marcia  sa- 
rebbe probabilmente  giunto  in  tempo  per  liberare 
i  Fab)  :  fu  però  creduto  che  non  volesse  per  invidia 
a  quella  famiglia.  Gonfi  della  vittoria  gli  Etruschi 
si  mossero  contro  il  Console.  Se  dee  credersi  ai  ro- 
mani storici,  costui  scelse  una  svantaggiosa  posizio- 
ne, ove  fu  rovesciato  e  costretto  a  ricovrarsi  negli 
alloggia  menti ,  che  attaccati  dai  vincitori  dopo  poco 
contrasto  furono  espugnati .  Ebbero  i  Romani  ima 
vergognosa  rotta ,  i  fuggitivi  dovettero  la  vita  alla 

(69)  Tìt.  Liv.  Lib.  a.  Dion.  d*Alic.  lib.  7. 

(70)  Ovid.  fast.  lib.  11. 


CAPITOLO   PRIMO  gì 

avidità  dei  vincitori  che  ai  ferroarooo  a  depredar- 
gli alloggiamenti:  proieguirono  però  la  yittoria  ^  di R. 
avanzandosi  verso  Ronia^  e  trovando  poca  resistenza  '7^ 
occuparono  il  Gianicolo  (71)*  £ra  Roma  nel  più 
grande  sbigottimento  e  bloccata  dal  nemico:  richia* 
mò  sollecitamente  F altro  coosole  che  combatteva 
contro  i  Volsci  ;  venne ,  ed  ebbero  luogo  due  batta- 
glie:  la  prima  indecisa,  la  seconda  presso  la  por* 
ta  Collina,  dopo  la  quale  gli  Etruschi  furono  co-  377 
stretti  a  rìtirarsi .  Non  pare  però  che  la  vittoria 
dei  Romani  fosse  di  gran  momento,  giacché  il  cam- 
pò  degli  Etruschi  era  sempre  sul  Gianicolo  e  for- 
mava un  blocco  alla  città  per  cui  vi  si  penuria  va 
di  viveri .  Oltre  la  numerosa  popolazione  solita  , 
cooveniva  nutrire  una  gran  turba  di  persone  di 
campagna  accorsevi:  crescendo  questo  disastro,  i 
consoli  non  videro  altro  espediente  che  di  condurre 
gli  afiàmati  soldati  contro  il  nemico.  La  battaglia 
fu  ostinata  e  lunga ,  essendo  or  questi  or  quelli  più 
volte  e  vinti  e  vincitori  :'  finalmente  la  vittoria  si 
dichiarò  pei  Romani  ,  ritirandosi  ndla  notte  gli 
Etruschi  tacitamente  verso  Ve)o.  Il  numero  dei 
oQorti  e  feriti  fti  si  grande  anche  dalla  parte  dei 
Romani,  che  i  Consoli  Virginio  e  Servi  Ho  ricusarono 
il  trionfo  (73). 

Le  reciproche  perdite  tennero  i  due  popoli  al-  378 
qoanto  quieti.  Gli  Etruschi  però  legati  coi  Sabini 
ai  preparavano  ad  assediar  di  nuovo  Roma  :  i  loro 
eserciti  erano  separati  e  non  anche  bene  adunati 
aul  territorio  di  Vejo.  11  console  Valerio  con  straor- 
dinaria celerità  sorprese  i  Sabini  e  gli  i>uppe,  e 

(71)  Tic  liv.  Ub.  9.  I>loii.<d*A.licam.  lib.  9. 
(73)  Lìv*  e  Dion.  loc  cit. 


y     93  LIBRO   PRIMO 

'spintosi  senza  tardare  contro  gli  Etroschi  ^  sconfisse 
di  A.  ancor  questi  per  modo  che  dispersi  si  refugiarooo 

^^^  parte  a  Vejo ,  parte  nei  vicini  colli.  Tante  reiterate 
perdite  costrinsero  i  Vejenti  a  domandar  la  pace^  e 
collo  sborso  delle  spese  della  guerra  ottennero  una 
tregua  di  40  anni .  Per  quasi  tutto  questo  tempo  non 
presero  parte  le  popolazioni  etnische  nelle  conti- 
nuate guerre  che  si  fiscero  daiSabini ,  dagli  Equi  > 
dai  Volsci  ai  Romani  •  Si  esercitavano  questi  in  una 
formidabile  scuola  ^  mentre  Tozio^  ed  il  lusso  am- 
mollivano i  Toscani  •  Dopo  sì  lunga  pace  1^  ribel- 
lione di  Fidene, colonia  dei  Romani,  pose  di  nuovo 

3i^  le  armi  in  mano  agli  Etruschi.  Erano  stati  man- 
dati quattro  ambasciatori  a  Fidene  per  richiamarla 
al  suo  dovere  :  vi  si  trovava  Tolunnio  Re ,  o  Larte 
dei  Toscani ,  per  di  cui  ordine  o  vero,  o  equivoco 
furono  trucidati  gli  ambasciatori  (73).  È  facile  il 
comprendere  di  quanto  sdegno  si  accendessero  i 
Romani  a  questo  affronto,  e  quanto  sollecitamente 
corressero  a  vendicarlo. 'Ai  Fidenati  si  erano  uniti 
i  Falisci  e  i  Vejenti  comandati  da  Tolunnio.  I  Ro- 
mani, dopo  un  piccolo  vantaggio  riportato  non  sen- 
za sangue,  crearono  Dittatore  (come  solea  farsi 
ne' casi  pericolosi)  Ma  merco  Emilio,  che  uscì  contro 
i  nemici  situati  presso  le  mura  di  Fidene  ;  si  at- 
taccò in  una  furiosa  battaglia  in  mezzo  alla  quale 
Cornelio  Cosso  tribuno  dei  soldati,  giovine  am- 
mirabile non  meno  per  belleRza  di  corpo  che  per 
fortezza  di  animo,  vedendo  Tolunnio  che  abbigliato 

(73}  Si  racconta  che  i  Fidenati  Io  consultarono  nel  tempo 
ch'ei  giocava  ai  dadi,  e  ch'egli  intento  al  gioco  disse  uccide^ 
eh'  era  una  parola  tennica  ed  allusiva  al  gioco,  e  che  fu  interpe- 
trata  per  un  ordine  di  uccidere  gU»iimbasciatorì  •  Tit.  Liv.  Ub.  4* 
Valer.  Mass.  lib.  9.  e  9. 


/" 


CAPITOLO  PRIMO  93 

de' reali  ornamenti  combatteva  vigorosamente  con-" 
tro  i  Romani,  se  gli  scagliò  addosso,  chiamandolo  di  a! 
violatore  dei  sacri  patti  e  diritti  delle  genti,  e  gri»  *'^ 
dando  altamente  che  offriva  questa  vittima  all'om- 
bre dei  traditi  Legati  •  Al  primo  colpo  di  lancia  gettò 
Tolunnio  da  cavallo;  e  mentre  rialzato  tentava  rin- 
noovare  la  pugna,  l'uccise.  Becisagli  la  testa.  Cos- 
so la  fisse  in  un'  asta ,  e  questo  spettacolo  coster- 
Baado  gli  Etruschi  compi  la  rotta  (74)  •  Tornato 
r  esercito  vincitore  a  Roma  ,  Cosso  consacrò  nel 
tempio  di  Giove  Feretrio  le  spoglie  di  Tolunnio 
dette  opime  y  che  furono  le  seconde  dopo  quelle 
consacrate  da  Romolo  (^5)  •  Dopo  qualche  altra 
azione, cinta  Fideue  d'assedio,  i  Romani  se  ne  ini-  319 
padronirono  con  uno  stratagemma  che  comune  in 
quei  tempi  non  lascia  d' eccitar  la  meraviglia  per 
la  difficoltà  dell'esecuzione.  Una  mina  sotterranea 
fi]  condotta  fino  sotto  la  città  nella  parte  ove  meno 
potevano  temere  i  cittadini:  dato  l'assalto  dalla 
parte  opposta  ove  tutti  accorsero  i  difensori,  impro- 
visamente  esciti  per  la  mina  i  nemici ,  la  città  ne 
fu  piena,  ed  ebbe  Fidene  il  meritato  gastigo.  Sif- 
fatti avvenimenti  sbigottirono  a  segno  i  Vejenti  e  i 
Falisci,  che  tentarono  eccitare  tutte  le  altre  popo- 
lazioni etrusche  ad  unirsi  contro  i  Romani,  ma  non 
venne  loro  fatto  d'indurcele.  Assai  di  mal  animo  i 
Fidenati  obbedivano  ai  Romani:  non  osando  essi  soli 
scuotere  il  giogo,  persuasero  i  Yejenti  a  muoversi , 

(74)  Tit.  Liy.  lib.  4-  ^^1*  Mtts^  lib.  3.  cap.  a. 

(75)  Romolo  avendo  di  sua  mano  ucciso  ^  e  spogliato  il  duce 
dei  GÓiinesi  istituì  quest'uso  per  dare  maggior  lustro  all'  azione , 
come  nota  Tito  Idv.  lib.  i.  „  Ipse  cwnfactis  vir  magnificus,  tum 
fadorum  ostentator  haud  minor  spolia  ducis  hostium  caesi  sus- 
pensa  gerens  in  CapitoUum  ascemdit  ». 


94  LIBRO.  PRIMO 

-raiBpeodo  una  tregua  di  amii  otto  che  dai  Romani 

di^R.  avevano  ottenuta  :  onde  quelli ,  prima  dello  spirar 

^'^  della  tregua  9  depredarono  il   territorio  romano. 

3i6  Quantunque  la  Dieta  etrusca  non  avesse  acconsen- 
tito a  muover  Farmi  unitamente  contro  Roma ,  avea 
incoraggìto  i  particolari  ad  aiutare  i  Vejenti;  e  la 
speranza  della  preda  avea  fatto  ingrossarne  Teserei- 
to:  i  Romani,  per  civili  puntigli  fra  il  popolo  e  il 

317  Senato,  invece  dei  due  consoli  elessero  quattro  tri- 
buni militari  :  erano  veramente  dei  più  celebri  guer- 
rieri, ma  il  comando  militare  vuol  esser  di  un  solo: 
la  moltiplicità  dei  capi  produsse  la  contradizione 
degli  ordini,  e  la  confusione;  e  i  Romani  furono 
sconfitti  (76).  I  Fidenati  preso  animo  da  questa 
vittoria  si  sollevarono  ^  e  trucidati  barbaramente 
tutti  i  Romani  che  si  trovavano  in  Fidene,  si  uni- 
rono ai  nemici  di  Roma;  i  Vejenti  passato  il  Tevere 
si  accamparono  non  lungi  da  Fidene,  Si  trovava 
Roma  in  gran  sconcerto  e  spavento,  e  come  usa  vasi 
nei  tempi  pericolosi  era  stato  creato  dittatore  Ma- 
merco  Emilio.  Esso  attaccò  con  successo i  Vejenti^ 
né  valse  il  puerile  stratagemma  dei  Fidenati  ,  che 
nel  tempo  della  zuffa  escìrono  dalla  città  abbigliati 
da  Furie  agitando  delle  faci  accese  :  furono  i  Vejenti 
presi  in  mezzo  dai  Romani^  pochi  scamparono  la 
morte  o  la  servitù;  i  Fidenati  fuggendo  nella  città 
vi  furono  perseguitati  dai  Romani  che  vi  entrarono 
misti  ai  fuggitivi ,  e  fu  ripresa  e  saccheggiata  Fide- 
ne (77) .  I  Vejenti  umiliati  domandarono  la  pace,  e 
fu  loro  accordata  tregua  per\ao  anni.  Duravano  ad 
osservar  queste  tregue  i  vinti  nemici  dei  Romani , 

(96)  Tit  Liv.  lib.  4. 

(^7)  Tit.  Liv.  lib.  4*  Fior.  cap.  la.  e  i3. 


CAPITOLO  PRIMO  gS 

finché  durava  fresca  la  memoria  delle  percosse  ri-' 
cevute,  pcà  svaniva  insensibilmente  il  timore ^  ^di°R^ 
ritornava  T audacia.  Non  era  ancor  terminata  la   346 
tr^ua^  che  i  Vejenti  tornarono  a  molestar  le  cam- 
pagne romane^e  a  darvi  il  guasto:  ne  chiese  Roma 
soddisfazione  :  sul  principio  si  scusarono  modesta- 
mente i  Yejenti^  afflitti  da  dissenzioni  domestiche, 
ma  rinnovate  l'anno  appresso  le  istanze,  presero  il 
tuono  insolente  minacciando  ai  romani  ambascia- 
tori la  sorte  di  quelli  di  Fidene.  Più  non  vi  volle  3^^ 
perchè  i  feroci  animi  de'  Romani  non  solo  dichia- 
rassero a  quelli  la  guerra  y  ma  si  determinassero  a 
dbtruggere  la  città  (78).  Era  essa, come  s'è  notato 
altrove,  posta  sopra  una  rupe  forte  pel  sito ,  e  pel 
valore  de'  such  abitanti  non  inferiori  in  numero  ai 
Romani ,  e  Dionigi  d'Àlicamasso ,  come  abbiamo  già 
notato  ,  la  paragona  nella  grandezza  ad  Atenei  Sic- 
come le  guerre  fatte  finora  a  quel  popolo  rassem- 
bravano  più  a  scorrerie  che  a  operazioni  regolari, 
stabilirono  d'assediar  Vejo  nelle  forme,  stringerla 
da  ogni  parte  ^  e  piantarvi  i  quartieri  da  inverno  , 
cosa  insolita  fin  allora  alla  romana  milizia.  Questa 
novità  incontrò  delle  contradizioni  e  delle  querele, 
ma  vinse  finalmente  Tedio  contro  i  Vejenti  (79).  Si  35o 
prepararono  questi  con  tutto  l'impegno  alla  difesa, 
e  perchè  gli  animi  fossero  più  uniti  in  occasione  in 
cui  appunto  si  ricerca  una  cieca  obbedienza^  eles- 
sero un  Re  di  cui  è  ignoto  il  nome  :  ciò  dispiacque 
air  altre  popolazioni  d'£truria  per  V  odio  contro  la 
persona  eletta,  e  fu  perciò  risoluto  di  non  dar  loro 
soccorso  (86). 

(7S)  TiU  LiT.  lib.  4.  (80)  Tit.  Liv.  lib.  4. 

(79}  Piotar.  vtU  di  Caium. 

/ 


96  LIBRO    PRIMO 

.      L' assedio  cominciato  sotto  il  comando  dei  mili- 
di  R.  tari  tribuni  armati  di  potestà  consolare  soffri  pre- 
^  sto  una  disgrazia.  I  Vejenti,  esciti  ìraprovisamente 
di  notte,  incendiarono  le  macchine^  e  ruinarono  i 
lavori  fatti.  Questo  scorno  ricevuto  dalFarmi  ro- 
mane invece  di  diminuire  infiammò  il  coraggio 
della  gioventù,  che  corse  in  folla  a  vendicarlo:   si 
ristabilirono  i  lavori,  e  con  più  vigore  si  spinse  avanti 
l'assedio.  Quantunque  nel  general  Concilio  degli 
Etruschi  fosse  convenuto  di  non  dare  soccorso  ai 
Vejenti  j  pure  i  Falisci  e  i  Gapenati  (8 1  ),  preveden- 
do che  alla  ruina  de' Vejenti  sarebbe  succeduta  la 
loro,  come  più  prossimi ,  radunate  numerose  truppe 
attaccarono  improvisamente  una  parte  delF  eser- 
cito romano,  quella  cioè  comandata  dal  tribuno 
3^1  Sergio:  fatta  i  Vejenti  nello  stesso  tempo  una  sor* 
tita ,  questa  parte  del  romano  esercito  fu  rotta  e 
posta  in  fuga,  e  si  ricoverò  nel  campo  dell'altro 
tribuno  Virginio,  che  per  un  mal  inteso  puntiglio 
non  lo  avea  soccorso.  Furono  i  due  Tribuni  con- 
dannati ad  una  pena  pecuniaria  (82).  Riparato  pre- 
sto il  danno  seguitavano  i  Romani  a  stringer  Vejo. 
Non  si  può  abbastanza  ammirare  la  supina  indolen- 
za di  tutte  le  popolazioni  etrusche ,  le  quali  eccetto 
35:2  i  Falisci  e  i  Gapenati,  abbandonavano  al  suo  fato 
il  più  forte  baluardo  d'Etruria  ,  espugnato  il  quale 
era  agevol  cosa  il  prevedere  che  i  Romani  sareb- 
bero penetrati  nel  cuore  di  quella  provincia.  Forse 
furono  distratti  da  qualche  altra  «guerra  non  ben 
nota,  o  ne  furono  impediti  dalla  tiainaccia  di  un'in* 
3S3  vasione  di  Galli,  che  da  gran  tempo  passate  le  alpi 

(81)  Popoli  abitatori  del  paese  tra  Fiano  e  Ciyìtella  • 
(Sa)  Tit.  LÌY.  lib.  5. 


K 


CAPITOLO   PRIMO  97 

Occupavano  le  piaoure  di  Lombardia .  Altri  com- 
battimenti frattanto  ebbero  luogo  presso  l'assediata  aìR. 
città.  Tentarono  nuovamente  iCapenati  e  i  Falisci  ^^^ 
di  minare  i  lavori ,  ma  furono  con  gran  strage  354 
respinti  • 

Intanto  troviamo  un  fenomeno  che  può  esercii  3S5 
tare  le  congetture  de'  fisici  niodemi  y  e  che  occupò 
seriamente  i  guerrieri  ^  e  i  legislatori  di  Roma  e  di 
Vejo,  come  se  da  esso  dipendesse  T  esito  della  guer- 
ra •  11  Iago  Albano ,  senza  pioggia  o  causa  alcuna 
apparente^  anzi  in  stagione  aridissima^  crebbe  ad 
una  straordinaria  altezza ,  e  poi  versò  le  acque  fuori 
del  bacino ,  le  quali  si  fecero  strada  al  mare.  Un 
vecchio  etrusco  profetizzò  che  i  Romani  non  espu- 
gnerebbero Vejo,  se  non  avessero  derivate  quel- 
l'acque  non  in  mare^  ma  diffuse  nell'adiacenti 
campagne.  Il  Senato  di  Roma  per  confermare  o  scre- 
ditare siffatta  profezia  spedi  a  consultare  l'Oracolo 
di  Delfo:  i  sacerdoti  fecero  confermare  ad  Apollo 
il  presagio  del  vecchio  etrusco  :  il  Dio  aggiunse 
(  ciocché  di  rado  ometteva  )  che  espugnata  Yejo  ,  i 
Romani  mandassero  un  ricco  dono  al  suo  tempio,  ^^o 
Questo  avvenimento  interessa  il  naturalista  e  il  po- 
litico: per  comprendere  l' enorme  quantità  di  acqua 
ch'era  necessaria  a  produr  quell'effetto,  fa  d'uopo 
conoscerne  l'estensione.  Il  lago  Albano ,  detto  oggi 
di  Castello  (SS),  è  situato  presso  il  celebre  monte 
Albano;  ha  la  forma  quasi  ovale  che  comprende 
circa  otto  miglia  di  circuito  ;  l' ineguale  margine 
del  cratère  è  formato  da  rupi  e  colli  di  varia  altez- 
za; la  maggiore  giunge  a  piedi  4^0  dalla  superficie 

(83)  Ha  questo  nome  da  Castel  Gandolfo  già  fabbricato  da 
Gaodolib  Sacelli,  ora  Villa  Papale. 

TottM  L  7 


^ 


98  LIBRO    PRIMO 

'-dei  Jago,  la  minore  a  ^g2  (84)  :  questo  ^  come  del 
diR.  vicino  di  Nemi  e  di  tanti  altri  laghi,  è  stato  era* 
'^  tère  di  un  vulcano,  e  vi  se  ne  riconoscono  ancora 
chiaramente  i  segni  (85) .  Pare  che  nasca  da  censi* 
derabili  sorgenti  sotterranee ,  come  congetturò  il 
Kirker,  vedendo  sempre  trasportato  lateralmente 
il  piombo  con  cui  volle  scandagliarne  il  fondo  ,  e 
forse  v^  è  ancora  una  comunicazione  occulta  col 
prossimo  lago  di  Nemi .  Convien  credere  che  le  sot- 
terranee vie,  che  scaricavano  altrove  le  acque  del 
lago  in  quel  tempo,  si  fossero  ostrutte,  e  perciò  un 
corpo  cosi  grande  di  acque   vi   s'  accumulasse  da 
superare  la  descritta  altezza  (86).  I  devoti  Romani 
obbedirono  air  Oracolo,  fabbricarono  un   grande 
emissario  ancor  visibile ,  e  che  non  par  nato  nei  tem- 
pi di  Roma  povera ,  e  il  di  cui  dominio  si  estendeva 
a  poche  miglia  di  territorio,  ma  in  quelli  in  cui 
dava  leggi  al  mondo  (87).  L'emissario  va  adesso 
all'acque  silvie,  e  di  là  verso  il  Tevere  (88):  altri 
naturali  emissarj ,  più  antichi  probabilmente  deirar- 
tifiziale,  formano  le  acque  crabre  e  ferentine.  Il 
bizzarro  comando  del  toscano  Aruspice  e  dell'Ora- 
colo fu  probabilmente  dettato  dai  legislatori  di  Ro- 
ma ,  i  quali  occupati  o  nella  guerra  o  nel!'  agricoi- 

(84)  Kirker  presso  il  Volpi,  Latium'Vetus  . 

(85)  Lapi,  lez.  accad.  solrorigine  de* due  laghi. 

(86)  Non  mancano  esempj  di  siffatti  fenomeni.  Nell'isola  di 
Cberso  ed  Asero  situato  fra  l'Istria  e  la  Dalmazia,  celebre  per 
le  frequentissime  ossa  umane  imjiKetrite  che  vi  si  trovano  >  è  un 
Iago  che  senza  manifesta  causa  spesso  gonfia  ,  esce  dal  suo  letto,  e 
poi  vi  ritorna  • 

(87)  Se  ne  può  veder  la  descrizione  nell* opera  Vulpìi^  Latium. 
petus:  questo  stupendo  canale  5cavato  nelle  viscere  del  monte 

Sercorre  sotterra  circa  a  i5oo  piedi,  e  in  qualche  parte  è  formato 
i  grosse  pietre  quadrato . 
(d8)Vulp.  Lat.  vet. 


CAPITOLO  PRIMO  99 

tara  ^  conobbero  di  quant'  utilità  sarebbe  stato  V  ir-^ 
rigare  a  piacimento  le  campagne  poste  fra  il  lago  e  dìR. 
il  Tevere  piuttostochè  le  marittime^  e  per  esser  più  '^ 
focalmente  obbediti  fecero  comandarlo  dair  Ora- 
colo (89).  Obbedirono  i  Romani,  ma  non  lasciarono 
di  rinforzar  validamente  le  truppe.  Nelle  contese 
civili  erano  invece  de'Consoli  stati  scelti  i  Tribuni 
militari,  e  questi  talvolta  tratti  dair ordine  plebeo. 
La  Dieta  degli  Etruschi  nuovamente  adunata,  ben- 
ché ricusasse  di  dichiarar  la  guerra  a  Roma  solen- 
nemente, incoraggi  varie  popolazioni  a  soccorrer 
Vejo.  S'avanzò  pertanto   un  corpo  volontario  di  ^7 
Etnischi.  La  temerità  di  due  Tribuni  militari  li 
portò  incautamente  in  un'imboscata  ove  furono  mal- 
conce  le  loro  truppe .  Genuzio  uno  dei  tribuni  restò 
morto,  Atiniosi  salvò  sopra  un'eminenza  colPavan- 
Eo  dei  suoi.  A  queste  nuove  lo  spavento  fu  grande 
in  Roma  :  si  ricorse  a  un  Dittatore,  e  fu  scelto 
Gammillo  il  quale  creò  suo  luogotenente  Cornelio 
Scipione .  Il  nome  del  Dittatore  sparse  nuovo  corag* 
gio  nelle  truppe.  Dopo  aver  disfatti  intieramente  i 
Falisci  e  i  Gapenati  ausiliari  de' Vejenti,  si  pose  a 
stringer  la  città  col  piiì  gran  vigore;  ma  convien 
dire  che  disperasse  di  prenderla  colla  forza  aperta, 
giacché  ricorse  ad  una  sotterranea  mina  :  questa 
occulta  strada  dovea  condurre  dentro  la  rocca  di 
Yejo.  L'opera  era  grande,  lunga,  e  d'ardua  esecu- 
zione, se  si  consideri  la  difficoltà  di  condurre  la  sot- 
terranea via  occultamente  appunto  sotto  alla  roc- 

(89)  Cicerone  parlando  di  qaesl'  avvenimento  conferma  la 
./Jftra  congettura  :  Ita  aqua  albana  deducta  €ul  sttilitatem 
<un  suburSàni  non  ad  acrem  urbemque  retincndam  •  Gic  d« 
Difinat 


loo  LIBRO  PRIMO 

.^ca  (90);  ma  noi  abbiamo  negli  avanzi  dell'antiche 
di  R.  fabbriche  esemp)  luminosi  di  quanto  potesse  senza 
^  la  finezza  moderna  >  la  rozza  arte  diretta  dal  bvon 
senso  naturale  9  e  la  perseveranza  animata  dall'en- 
tusiasmo ;  e  un  fresco  esempio  si  è  mostrato  nello 
stupendo  emissario  del  lago  Albano.  Si  spinse  in- 
nanzi con  celerità  la  mina^  non  fu  interrotto  il  la* 
verone  notte  né  giorno,  cambiandosi  ogni  sei  ore  i 
minatori:  quando  fu  compita,  Gammillo  era  tanto 
sicuro  della  vittoria  ,  che  dimandò  le  istruzioni  a 
Roma  sulla  preda  che  si  farebbe  •  Realmente  ad  un 
segno  dato ,  i  soldati  Romani  eh'  erano  stati  per 
molti  giorni  tranquilli,  corsero  improvvisamente  da 
ogni  lato  ad  assalir  la  città  •  Mentre  i  Ve)enti,  per 
resistere  a  si  furioso  assalto,  s'erano  radunati  tutti 
sulle  mura  alla  difesa ,  quella  banda  di  scelti  e  riso- 
luti soldati ,  che  per  la  sotterranea  strada  era  pene- 
trata sotto  la  città,  esci  improvvisamente  nella  for- 
tezza ,  donde  correndo  sugli  attoniti  Vejenti,  prima 
che  avesser  tempo  di  ricomporsi  dallo  sbigottimento, 
apersero  le  porte,  e  introdotti  i  compagni,  si  compi 
dopo  dieci  anni  di  continuata  guerra  la  conquista 
d'  una  città,  che  avea  tanto  resistito  a  Roma,  e  ne 
aveva  emulata  la  potenza .  Cessò  la  strage  col  primo 
impeto:  i  cittadini  liberi  furono  condotti  a  Roma  e 
venduti  schiavi, restando  solitaria  la  città  colla  mag- 
gior parte  delle  fabbriche  in  piedi .  I  superstiziosi 
soldati,  dopo  essersi  caricati  di  preda  profana,  pen- 
sarono ancora  ad  arricchir  la  patria  di  preda  sacra  ^ 
delle  Imagini  miracolose  di  Vejo,  e  in  specie  del 
(ì 

(90)  Cosi  la  cbiama  Tìu  Liv.  lib.  5.  Operum  fuit  omnium 
longe  maximum  ac  lahoriosistimum ,  cuniculus  in  arcem  hostium 
agi  caeptus. 


CAPITOLO  PRIMO  loi 

àmolacro  di  Giunone;  ma  siccome  pareva  loro  una 
specie  di  sacrilega  inciviltà  il  far  cangiar  paese  ad  (H  a. 
una  Dea  senza  il  suo  consenso^  fu  da  una  sacra  ^^' 
deputazione  interrogato  il  Simulacro  s'era  contento 
di  andare  a  Roma  ;  e  la  pia  credulità  ,  o  la  super- 
stiziosa immaginazione  dei  circostanti  vidde  la  Dea 
col  cenno  della  testa,  e  udì  colla  voce  acconsentire 
alla  domanda  (91). 

Successe  a  quella  di  Veio  la  guerra  coi  Falisci ,  359 
che  si  prevedeva  come  T altra  lunga  ed  ostinata. 
Cammillo,  allora  tribuno  militare^  comandava  i 
Romani ,  avea  più  volte  rotti  i  nemici ,  e  bloccava 
la  città  alla  lontana.  Uà  maestro  di  scuola ,  che  con- 
duceva al  passeggio  i  fanciulli  delle  primarie  fami- 
glie de'  Falisci  ^  pensò  di  far  fortuna  con  un  tradi- 
mento: condotti  gl'innocenti  fanciulli  fra  i  nemici , 
gli  presentò  come  prigionieri  a  Gammillo,  dicendo 
che  gli  consegnava  Faleria  y  giacché  gli  dava  in 
mano  i  figli  de'primarj  cittadini.  La  virtù  di  Cam- 
mìllo  abborrendo  un  tal  misfatto ,  rispose  che  i  Ro- 
mani non  combattevano  coi  tradimenti  e  coli'  età 
imbelle y  ma  coli' armi  contro  i  nemici  armati;  e 
ondate  le  spalle  al  precettore  y  colle  braccia  legate 
al  tergo  lo  consegnò  ai  fanciulli,  perchè  percoten- 
dolo  colle  verghe  lo  riconducessero  a  Faleria •  Lo 
^rano  spettacolo  scosse  i  Falisci:  e  la  generosità 
romana  li  vinse  più  che  l'armi,  onde  mandarono 
a  Roma  una  deputazione  sottomettendosi  di  buona  36c 
Toglia  a  si  virtuosi  nemici  (92).  Le  scorrerie  dei 
Yulsinj  sul  territorio  romano  produssero  un'  altra 
piccola  guerra,  nella  quale  sentì  quella  popolazione 

(gì)  Tit.  Lìt.  lib.  5.  j^luUr.  vìt.  di  Gammtl. 
C93)  Tii.  Liv.  h  5. 


ioa  LIBRO  PRIMO 

.  'la  vendetta  de'  Romani  :  forse  si  preparava  loro  mag- 
ai R.  gior  ruina  se  non  era  il  contrasto  interrotto  da  av- 
venimenti  più  grandi . 

Un  nemico  più  pericoloso  minacciava  TEtruria 
e  Roma.  I  Galli  già  da  gran  tempo  abbandonato  il 
loro  paese^  aveano  occupate  le  pianure  di  Lombar- 
dia^ e  formata  la  Gallia  Cisalpina.  Si  dice  che  quei 
barbari  fossero  allettati  dalla  dolcezza  e  fertilità  del 
clima  italiano ,  e  specialmente  dal  vino,  straniero 
allora  alle  Gallie  (93).  L'impazienza  della  quiete 
e  l'avidità  di  predare  tirò  questi  popoli  in  Etruria  • 
Chiusi^  principale  città ,  si  vide  intorno  un  nume- 
roso esercito  di  quei  barbari:  ricorse  per  ajuto  ai 
Romani,  i  quali  divisi  in  questo  tempo  dalle  civili 
discordie,  aveano  esiliato  l'unico  uomo  capace  di 
salvar  Roma,  Fulvio  Cammillo  vincitor  dei  Ve- 
jenti  :  in  sì  pericolosa  circostanza  si  mostrarono 
egualmente  deboli  nel  consiglio  che  nell'armi.  lo- 
sca vece  di  soccorrer  vigorosamente  i  Toscani ,  man* 
daron  un'inutile  ambasceria  per  disputare  coi  Galli 
di  dritto  pubblico,  e  domandar  loro  le  ragioni  per 
cui  invadevano  le  terre  altrui.  È  memorabile  la  loro 
risposta:  Brenno  ridendo  alla  domanda,  disse  che 
le  occupavano  con  quel  medesimo  dritto  con  cui  i 
Romani  aveano  invase  le  terre  de' loro  confinanti , 
cioè  col  dritto  dell'armi,  e  che  tutto  apparteneva 
al  più  forte .  La  risposta  sarà  creduta  degna  di  un 
barbaro,  ma  eli' è  schietta  e  sincera ,  ed  à  fondata 

(93)  TìU  LÌY.  1.  S.  PlÌD.  L  43.  e.  I.  —  La  Oallia  coperta  da 
boschi  avea  un  clima  assai  più  rigido  del  presente,  onde  non  ri 
poteva  nascere  e  naturare  l' uva .  Anche  ai  tempi  di  Cesare  il  cli- 
ma era  sì  freddo  che  vi  si  trovava  il  Rendeer  animale  che  non  può 
vivere  che  tra  i  freddi  e  le  nevi  della  Lapponia.  Y.  Buffon  all'isto- 
ria di  quest'  animale  • 


CAPITOLO    PRIMO         io3 
sul  principio  che  ha  regolato  sempre  le  azioui  dei* 
popoli  y  ad  onta  di  tutti  quei  metafisici  romanzi  di^.^ 
chiamati  trattati  di  dritto  pubblico,  che  non  son  ^^ 
mai  serviti  né  ad  impedire  una  guerra,  né  a  fare 
una  pace,  e  che  solo  ne' nostri  politi  tempi  servono 
a  mentire  con  più  decenza ,  ossia ,  dare  una  rispo-      ^ 
sta  meno  schietta  di  quella  di  Brenno,  velando  con 
ÌQg^^^^^  sofismi  il  vero,  studiando  a  dare  una  ver»  . 
nice  di  giustizia  alle  più  evidenti  violenze  con  inge- 
gnosi manifesti,  accolti,  o  rigettati  secondo  il  partito 
di  chi  li  legge  (94)  •  Botta  la  conferenza ,  Fabio 
d'ambasciatore  fatto  nemico,  si  mescolò  in  una  sca- 
ramuccia fra  gli  Etruschi  e  i  Galli ,  ove  di  sua  ma- 
no uccise  uno  de' principali  loro  condottieri.  Esaspe- 
rati i  Galli  da  sì  manifesta  violazione  di  fede,  ab- 
bandonarono Chiusi I  e  corsero  a  Roma,  Son  note 
abbastanza  nella  romana  istoria  le  vicende  di  tal 
guerra,  in  cui  parve  che  la  Fortuna,  volendo  ven- 
dicare l'ingratitudine  dei  fiomani  contro  Gammil* 
lo ,  togliesse  loro  il  senno  e  il  valore.  La  confusione 
con  cai  andarono  a  combattere  i  Galli,  il  disordi- 
ne in  cui  erano  le  schiere  quando  gì'  incontrarono 
al  fiume  Allia  (qS)  ,  cagionarono  una  delle  rotte 
più  luttuose  e   memorabili   della  romana  storia  • 
Un  terrore  panico  sorprese   le  reliquie  dell'eser- 
cito, che  invece  di  ritirarsi  a  Roma,  e  difendendola 
seppellirsi  sotto  le  ruine della  patria,  si  sbandarono 
per  la  campagna  1  e  gran  parte  si  ritirò  nell'abban- 


(94)  Tit.  Liy.  1.  5.  Fiat  vita  di  Gamm. 

(95)  Allia  f  seeondo  il  Cluverìo ,  è  un  piccol  fiume  in  Sabina 
detto  ora  rio  del  3fbsso  distante  un  mifflio  da  Monterotoudo  e  1 3 
da  Roma:  Livio  però  lo  pone  a  1 1  miglia:  l'Oistenio  mette  AUia 
in  S.  Colomba  e  S.  Giovanni  di  là  da  Marcigliano  »  e  di  qui  conta 
fino  a  Roma  1 1  miglia , 


io4  LIBRO  PRIMO 

.  donata  città  di  Vejo ,  laaciando  Roma  io  balia  dei 

dìR.  Demici.  Si  maravigliarono  i  barbari  stessi  della  fa- 
^  cilità  della  loro  vittoria .  e  di  trovar  la  città  vuota 
di  abitatori  >  essendosi  il  resto  fortificato  nel  Campi* 
doglio.  Finalmente  fu  serbata  a  Gammillo  la  gloria 
di  liberar  la  patria  ingrata ,  e  di  salvarla  dal  diso- 
nore di  ricomprarsi  a  prezzo  d'oro.  Giungendo  nel 
momento  in  cui  si  pesava  sulle  bilance  il  prezzo  di 
Roma  9  ruppe  il  vergognoso  contratto,  sfidò  i  Galli 
a  nuova  pugna  entro  di  Roma  »  ove  furono  vinti  e 
posti  in  fuga  colla  stessa  fiicilità  cbe  lo  erano  stati 
i  Romani  al  fiume  Allia.  Riunitisi  in  seguito  alla 
distanza  d'otto  miglia  da  Roma  sulla  via  Gabinia  , 
fecero  una  valorosa  resistenza,  ma  furono  tagliati  a 
pezzi  intieramente,  non  vi  restando  chi  riportasse 
in  Lombardia  le  nuove  della  disotta  •  In  questa 
guerra,  come  in  molte  occasioni,  si  scorge  che  la 
salute  di  un  pubblico  e  di  un  regno  dipende  spesso 
da  un  sol  uomo  (96).  La  vittoria  dei  Romani  liberò 
altresì  TEtruria  da  ogni  pericola.  L'abbandonata 
città  di  Vejo  fu  sul  punto  di  risorgere  immortale  , 
e  le  glorie  del  Lazio  di  esser  trasfuse  in  Etruria . 
Roma  non  esisteva  più,  il  ferro  e  il  fuoco  de' Galli 
avea  tutto ruinato  fuori  che  il  Campidoglio:  fu  lun- 
gamente dibattuto  se  si  dovea'  cangiare  il  sito  della 
città,  e  trasportare  a  Vejo  la  romana  popolazione. 
Gammillo  vi  si  oppose,  e  salvò  al  Lazio  l'onore  dei 
futuri  trionfi. 

d6'i  Pare  che  questa  vittoria  empisse  di  nuovo  vigore 
i  Romani,  e  di  gelosia  e  terrore  i  Toscani,  giacché 
poco  dopo  troviamo  quasi  tutta  l'Eltruria  in  armi 

<9S)  Tit.  LtT.  L  5.  Pkt  tìU  dì  GanuiL 


CAPITOLO  PRIMO  io5 

contro  Roma .  Fu  dai  Toscani  attaccato  Sutri ,  città  ^^ 
alleata  de'Romani;  né  potendo  questi  esser  solleciti  aia. 
al  soccorso  (|uanto  facea  di  mestiero,  presa  la  città 
a  patti,  tutti  gli  abitatori  furono  lasciati  escire  col 
fido  vestita  indosso.  Questa  esule  miserabil  plebe 
fi'iocoDtrò  nell'esercito  romano  comandato  da  Cam^ 
millo^  che  veniva  in  soccorso.  Confortatala  a  star 
di  booQ  animo  y  si  avanzò  tacitamente  a  Sutri ,  ove 
i  vincitori  insolenti  non  si  aspettavano  siffatto  as- 
laho,  essendo  le  porte  aperte  senza  guardia.  Sor- 
presi dall'improvviso  assalto,  furono  agevolmente 
viati:  si  perdonò  a  chi  depose  le  armi  y  e  si  restituì 
la  città  ai  suoi  abitatori,  perduta  e  riacquistata  lo 
stesso  giorno. 

Noi  ci  accorgiamo  quanto  poco  dilettevole  debba  395 
«saere  ai  lettori  un  continuo  racconto  di  fatti  mici^ 
4Ìialiy  che  si  rassomigliano  tanto,  non  diversificanti 
da  alcuno  di  quelli  avvenimenti  civili  e  istruttivi 
che  poogono  sotto  degli  occhi  il  genio,  i  costumi 
d'una  nazione  e  le  rivoluzioni  del  suo  interiore  go* 
Terno;  onde  lasciando  da  parte  molte  altre  di  qué* 
ste  guerriere  imprese  dettagliatamente  riferite  nei 
foniani  annali,  ci  affretteremo  a  quelle  più  decisive 
cberuiuarono  finalmente,  e  posero  l'Etruria  sotto 
il  giflga  di  Roma .  In  mezzo  a  siffatti  racconti  ci  si 
presenta  una  riflessione  che  mostra  se  non  1'  uma* 
&ità  almeno  la  buona  fede  di  questi  guerrieri.  Di 
rado  si  faceva  tra  gli  Etruschi  e  ì  Romani  una  sta- 
bile jpace,  ma  lunghe  tregue  di  20  di  3o  e  40  anni, 
^pevano  bene  che  l'asserìre^  e  il  giurarsi  una  sta- 
llile pace  era  una  politica  menzogna  che  fu  lasciata 
Ai  più  politi  nostri  secoU.  Dopo  un'alterna  serie  di 
fregne,  di  violazioni,  e  di  molti  piccoli  fatti,  rico- 


/ 


I 


T06  LIBRO    PRIMO 

itninciate  le  ostilità  y  \  Tarquinesi  guadagnarono  qual- 
din!  che  vantaggio  aopra  i  Romani^  ma  disonorarono  la 
^^  vittoria  colla  crudeltà  avendo  trucidati  più  di  3cx> 
prigionieri .  I  Romani  non  poterono  subito  vendi- 
39;  carsene  distratti  da  altre  guerre  •  Qualche  tempo 
dopo  Fabio  Ambusto  marciò  contro  di  loro  che  ai 
erano  uniti  coi  Falisci  •  Queste  popolazioni  usarono 
un  vano  stratagemma  1  o  un  rito  superstizioso,  già 
praticato  anche  dai  Fidenati:  si  pose  alla  testa  del- 
r esercito  un  corpo  decloro  sacerdoti  vestiti  da  Fu- 
rie,  tenendo  degli  artefatti  serpenti  in  una  mano^ 
neiraltra  delle  fiaccole  accese;  Timproviso  e  strano 
spettacolo  colpì  d'un  momentaneo  terrore  i  Roma- 
ni, e  stavano  per  ritirarsi;  ma  incoraggiti  dal  Con- 
sole Fabio,  dissiparono  gli  spettri  e  ruppero  i  ne- 
mici (97).  Questo  non  fu  che  il  preludio  di  una  più 
sanguinosa  azione  che^  ebbe  luogo  lungo  il  Tevere 
con  un'oste  assai  numerosa  di  Etruschi,  i  quali  fu- 
rono disfatti  colla  perdita  di  sette  mila  uomini  (98). 
399  Due  anni  appresso,  un  corpo  di  Romani  guidati  da 
Quinzio  Penna  ne  attaccò  un  altro  di  Tarquinesi  : 
la  battaglia  fu  sanguinosa  e  indecisa,  ma  gli  adirati 
Romani  vendicarono  crudeltà  con  crudeltà;  avendo 
fatto  passare  sotto  le  verghe  e  scurì  de'  littori  molti 
prigionieri:  esempj  abominevoli,  e  che  possono  istrui- 
re quanto  sieuo  necessarj  nella  guerra  gli  scambie- 
voli riguardi,  e  quelle  leggi  le  quali  vogliono  che 
debba  finire  la  strage  colla  battaglia  (99) .  Avven- 
nero nuove  e  nuove  incursioni  de'  Tarquinesi ,  dei 
Falisci  ec.  :  ma  sempre  vinti ,  furono  obbligati  a  do- 

(97)  Tit  Lìv.  L  7.  Fior.  L  s.  cap.  8. 

(98)  Liv.  L  7. 

(99)  Liv.  loc.  cU. 


CAPITOLO  PRIMO  107 

mandar  la  pace^  e  ottennero  una  tregua  dì  anni  4o< 
Anche  il  resto  delFEtrurìa,  probabilmente  abbate  hìR. 
tata  da  tante  percosse^  restò  in  una  tranquillità  che  ^^* 
altri  forse  chiamerà  supina  indolenza,  mentre  quella 
feroce  nazione  che  minacciava  loro  i  ferri ,  diveniva 
aempre  più  formidabile  col  continuo  esercizio  del- 
farmi  contro  popolazioni  potenti:  onde  nelle  varie 
guerre  colle  quali  i  Galli  si  avanzarono  fino  presso 
Roma ,  non  vi  presero  parte  gli  Etruschi.  I  Volsci, 
i  Sanniti ,  ed  altre  genti  del  paese  detto  Magna  Gre* 
eia  9  furono  quasi    continuamente  alle  mani  con 
Roma  y  la  quale  trionfò  di  tutte.  E  se  più  giudizio- 
fiameiite  avessero  combinate  le  loro  operazioni  tutti 
i  di  lei  nemici,  si  può  predire  che  sarebbe  stato  aU 
la  fine  atterrato  questo  nascente  colosso  ;  ma  le  ge- 
losie ^  o  i  particolari  interessi  dividevano  quei  pò* 
poh  che  caddero  uno  dopo  Taltro  sotto  il  giogo  ro- 
mano. L'Etruria,  dopo  essere  stata  quasi  /^o  anni 
senza  molestare  i  Romani,  lasciando  loro  soggiogare 
le  popolazioni  poste  di  là  dal  Tevere,  cominciò  ad 
armarsi,  e  a  minacciar  quei  conquistatori  senza  che 
si  sappia  la  causa  di  questa  mutazione  di  sistema:  441 
i  preparativi  erano  formidabili  ;  onde  questi  pieni 
di  apprensione  di  una  pericolosa  guerra ,  nominaro* 
00  dittatore  Servi lio  Longo;  la  tempesta  si  dissipò 
di  se  stessa,  e  gli  Etruschi  non  si  mossero  (1).  Ma 
neiranno  appresso  tutte  le  popolazioni  d'Etrui-ia, 
eccetto  gli  Aretini ,  si  rivolsero  nuovamente  contro 
Roma:  cominciarono  dair attacco  di  Sutri ,  colonia  443 
de' Romani,  e  che  era  considerata  come  la  porta 
d'Etruria:  vi  corsero  in  ajutoi  Romani  comandati 

(1)  Tit  Liv*  L.  9.  Fas.  capii. 


io8  LIBRO  PRIMO 

djil  console  Emilio.  Gli  Etruschi  lungamente  deli- 
di  r.  berarono  se  convenisse  tenersi  sulla  difesa,  e  andar 
^^^  temporeggiando,  o azzardare  una  decisiva  battaglia: 
vinse  quest'ultimo  partito:  di  rado  si  è  combattuto 
con  tanta  ostinazione  (a) .  Pare  che  la  battaglia  re- 
stasse indecisa,  e  fosse  sospesa  dalla  notte.  Erano 
dall'una  e  dair altra  parte  caduti  i  più  valorosi:  le 
reliquie  di  ambedue  gli  eserciti  ritiratesi  agli  allog- 
giamenti si  trovarono  tanto  indebolite  da  non  poter 
rinnovare  le  ostilità ,  onde  ne  segui  una  tacita  tre- 
gua. Il  valore  degli  Etruschi  in  questa  battaglia 
mostrerebbe  che  il  lungo  riposo  non  avea  indebolito 
il  loro  militare  coraggio ,  se  non  vi  fosse  qualche 
relazione  dalla  quale  rilevandosi  che  il  Console  eb- 
be l'onore  del  trionfo,  ne  segue  ch'egli  fu  decisiva- 
mente vincitore.  Nell'anno  appresso  tornarono  gli 
Etruschi  all'attacco  di  Sntri  con  nuovo  esercito.  I 
Romani  guidati  dal  console  Fabio  andarono  loro 
incontro:  si  combattè  con  grandissima  animosità: 
gli  Etruschi  ebbero  la  peggio;  grande  fu  la  strage 
colla  perdita  degli  alloggiamenti;  e  gli  avanzi  si  ri. 
coverarono  nel  bosco  e  monte  Cimino  (3t)  •  Il  sacro 
orrore  di  questo  bosco  spaventava  i  Romani  a  segno 
che  crederono  una  profanazione  l'entrarvi:  i  meno 
superstiziosi  temerono  tuttavia  d'arrischiarsi  in  un 
paese  incognito ,  ed  era  sempre  presente  alla  loro 
memoria  la  fatale  avventura  delle  Forche  Caudine 
ove  l'esercito  romano  fu  dai  Sanniti  rinchiuso,  e 
445  fatto  passare  vergognosamente  sotto  il  giogo.  Quan- 


(9)Liv.  1.  9.  Nidlo  unquam  pmelio  fugae  mihus,  aut  plus 
caedis. 

3)  Liv.  L  9.  U  monte  Cimino  ora  chiamasi  la  montagna  di 
Viterbo . 


CAPITOLO   PRIMO  109 

do  consideriamo  che  il  bosco  Cimino^  ossia  di  Vi-i 
terbo,  incuteva  tanto  timore  a  un  popolo  si  valoro-  ^^ 
aoyci  si  parano  avanti  varie  riflessioni.  Si  perdona  44^ 
alla  superstiziosa  imaginazione  il  timore  delle  pò* 
tenze  invisibili,  contro  le  quali  non  basta  il  co- 
raggio dei  più  valorosi  guerrieri^  se  non  è  armato 
dalla  filosofia  (4).  Ma  non  possiamo  fare  a  meno  di 
Dotare  la  maniera  di  far  la  guerra  in  quei  tempi. 
Pare  che  il  coraggio  e  il  valore  della  mano  ne  fa- 
cessero il  fondamento  più  che  Tarte  di  campeggia- 
re, 0  le  regole  della  tattica .  Un  popolo  guerriero 
condotto  da  sperimentati  capitani  ignorava  la  situa* 
xione  della  montagna  di  Viterbo  a  segno  di  non  as- 

(4)  Tit.  Lìv*  L  9.  così  descrìve  il  bosco  Gimiiio .  Sjrlva  erat 
Cimina  tunc  irtvia  atque  horrenda,  quam  nuperfuere  Germanici 
*akiu,  nulli  ad  eam  diem  ne  mercatorum  quidem  adita  ec.  In 
ogni  temiM)  ì  boschi  grandi  e  folti  sono  stati  creduti  soggiorno  di 
<palcbe  Nome ,  e  quanto  l'oscurìt^  era  maggiore  tanto  più  grande 
»  referenza  e  il  timore .  La  filosofia  di  Seneca  non  Io  guardò  da 
questo  pregiudizio,  seppure  non  volle  adornarlo  coli' eloquenza  e 
quasi  colla  poetica  imaginazione.  Si  libi  occurrit  vetustis  arbori" 
his  et  soUtam  altitudinem  egressisfrequens  lucus,  et  cospectum 
coeli  densitaie  ramorum  submovens,  iUa  proceritas  sjrlvae  et  se' 
cretum  loci,  et  admiratio  umbrae  in  aperto  tam  densae  atque 
cantinuae,Jidem  tibi  numinis  facit .  Senec.  ad  Lue.  epis.  4i  •  La 
religione  e  il  buon  senso  hanno  disti'ulte  tutte  le  Deità  dei  boschi . 
n  bosco  del  Tasso  è  un'imitazione  del  bosco  di  Lucano  presso 
Marnila,  ma  Cesare  comparisce  più  grande  di  Gofiredo.  Vedi 
Phars.  1. 3.  V.  399. 

Lucus  erat  longo  numquam  violatus  ab  aevo , 

Obscurum  cingens  connexis  aera  ramis 

Sedfortes  tremuere  manus ,  motique  verenda 

Majestate  loci,  si  robora  sacra  ferirent  9 

In  sua  credebant  redituras  membra  secures . 

Implicitas  magno  Caesar  terrore  cohortes 

Ut  vidit,  primus  raptam  librare  bipennem 

Jusus ,  et  aeriam  ferro  proscindere  quercum , 

Effatur,  merso  violata  in  robora  ferro  : 

lam  ne  quis  vestrum  dubitet  prescindere  sjlvam , 

Credile  mefecisse  nefas.  Tunc  paruit  omnis 

Imperiis,  non  sublato  seciwa  pavore 

Turba ,  sed  expensa  Superorum,  et  Caesaris  ira , 


Ito  LIBRO  PRIMO 

-zardarsi  ad  entrarvi  :  e  di  Etruschi  credevano  di 
di^.  B^ere  ìii  questo  bosco  un  baluardo  insormontabile 
443  contro  i  Romani.  Stando  così  dubbioso  il  romano 
esercito,  Fabio  fratello  del  console ,  perito  nella 
lingua  etrusca,  si  o£frì  di  andare  ad  .esplorare  il 
terribil  bosco:  vi  penetrò  accompagnato  da  un  ser- 
vo, ambedue  in  abito  di  pastori:  passato  il  bosco  e 
il  monte,  osservata  la  situazione  del  paese  e  la  po- 
polazione, arrivarono  fino  neir  Umbria  sempre  sco- 
nosciuti agli  Etruschi  per  la  facilità  con  cui  parla- 
vano Tetrusca  lingua,  ma  (soggiunge  Tito  Livio) 
specialmente  per  non  sembrar  possibile  che  alcuno 
straniero  avesse  avuto  il  coraggio  di  entrare  iu  quel 
formidabil  busco  (5).  Giunse  Fabio  a  Camerino,  e 
trovando  quel  popolo  inclinato  a  favorire  i  Romani  ^ 
si  diede  a  conoscere:  ritornato  indi  al  campo  sti- 
molò il  console  a  salire  il  monte  e  penetrar  nel 
cuor  dell' Etruria .  Fu  eseguita  l'impresa;  ebbero  il 
guasto  le  campagne  etrusche  situate  oltre  il  monte 
Cimino;  e  carichi  di  preda  i  soldati  aveano  appena 
di  nuovo  varcato  il  monte  quando  incontrarono  i 
romani  Legati  con  due  Tribuni  che  comandavano  a 
Fabio  di  non  entrar  nel  bosco  Cimino:  tanto  era 
nei  Romani  il  timor  panico  di  questo  bosco.  L'im- 
presa omai  eseguita  ebbe  tanto  maggior  gloria,  e  la 
spedizione  del  fratello  del  console  si  riguardò  con 
quella  meraviglia  con  cui  ora  si  leggono  i  viaggi  di 
qualche  avventuriere  che  sia  penetrato  in  incogniti 
americani  deserti.  Questo  avvenimento  o  esasperò  , 
o  intimori  maggiormente  gli  Etruschi ,  che  per  evi- 
tare il  giogo  minacciato  dai  Romani  adunato  l'eser- 

(5)  Liv*  1*  9* 


CAPITOLO  PRIMO  ni 

cito  il  più  nuniaroso  che  avessero  mai  condotto  con»' 
tro  i  nemici  a  cai  si  erano  uniti  ancora  gli  Umbri  ^  di  it 
d  aTanzarono  secondo  il  solito  a  Sutri ,  e  incontra-  ^^^ 
tili  presentarono  loro  la  battaglia  •  Attoniti  i  Roma- 
ni e  spaventati  dal  numero  straordinario  de' nemici ^ 
festaron  chiusi  nel  campo  fortificato  •  È  molto  veri- 
simile  che  se  i  comandanti  etruschi  avessero  pro- 
fittato del  momento  y  attaccando  i  Romani  negli  al- 
loggiamenti,  senza  dar  loro  tempo  di  riaversi  dal 
repentino  sbigottimento ^  gli  avrebbero  vinti  ;  ma 
trascurando  V  opportuna  occasione  y   contenti  del 
lerfore  incusso  ai  nemici^  lasciarono  sopravvenir  la 
Dotte  minacciando  di  attaccargli  il  giorno  appresso  • 
G)n  queste  Tane  minacce  si  addormentarono ,  e  con 
supina  negligenza  furono  trascurati  gli  opportuni 
provvedimenti  contro  ogni  sorpresa  •  11  Console  ro- 
mano,  veduti  a  poco  a  poco  rinfrancati  i  suoi  ^  fatto 
loro  prendere  il  cibo  ,  sullo  spuntar  del  giorno , 
quando  il  campo  toscano  giaceva  confusamente  im- 
merso nel  sonno^  fé'  dar  Tassalto.  La  sorpresa  ca- 
gionò tanto  spavento^  che  si  gran  moltitudine  d'ar- 
mati prese  la  fuga  senza  resistenza  •  Fu  questa  pili 
strage  che  pugna  ,  e  la  strania  esagerazione  di  Livio 
serve  almeno  a  mostrare  il  gran  numero  dei  mor-  444 
ti  (6).  11  terrore  di  questa  rotta  indusse  Arezzo^ 
Cortona,  Perugia ,  che  in  questo  tempo  erano  le 
principali  popolazioni  di  Etruria,  a  domandar  la 
pace,  e  impetraron  tregua  per  3o  anni,  ma  le  altre 
popolazioni  persistevano  peiufnacemente  nella  guer- 
ni:  la  fomentavano  i  popoli  dell'Umbria,  ed  as&i- 

(6)IiiY.  L  9.  asserisce  che  il  numero  degli  Umbri  e  deeli 
Etnischi  tra  morti  e  feriti  giunse  a  60  mila>  numero  improbabile» 
onde  0  v'è  grand'  esagerazione  »  o  errore  nei  manoscritti. 


ìt2  LIBRO  PRIMO 

atevaoo  gli  Etruschi^  i  quali  intesi  a  vendicare  i 
d /a!  passati  affronti,  prepararono  uno  dei  più  fioriti  e 
'Ì44  nunaerosi  eserciti  che  avessero  mai  adunato  col  quale 
s^avanzarono  verso  i  Romani,  mentre  un  altro  eser- 
cito d' Umbri  lo  precedeva  e  secondava  •  Gli  Umbria 
nuovji  nemici  che  non  conoscevano  bene  la  forza  e 
il  valore  romano,  furono  presto  sconfitti  presso  il 
bosco  cimino.  Non  fu  così  facile  la  vittoria  contro 
gli  Etruschi:  s'incontrarono  i  due  eserciti  presso  il 
lago  da  Vadimone  (7):  erano  gli  Etruschi  coman-* 
dati  dal  loro  Re  Elio  Yoltemo  o  Volterrano .  Non 
parve  ai  Romani  che  conibattessero  i  soliti  guer-- 
rieri  tante  volte  vinti,  ma  che  avessero  acquistato 
un  nuovo  valore.  Lasciata  la  pugna  vagante  e  lon- 
tana  dei  dardi,  non  cominciarono  a  combattere  che 
quando  furono  a  colpo  di  spada,  scegliendo  ciascu- 
no il  suo  avversario.  Il  furore  e  T ostinazione  è 
uguale  da  ogni  parte,  cadono  tutte  le  prime  file,  e 
vi  succedono  col  medesimo  ardore  le  seguenti  :  am- 
be le  parti  più  volte  si  trovarono  nell'estremo  pe« 

(7)11  lago  Vadimone  è  celebre  per  varie  battaglie.  Olite  la 
presente^  27  anni  dopo  i  Galli  Senoni  vi  furono  rotti  da  Dolabel« 
la .  Chiamasi  adesso  lago  di  Bassano .  Plinio  descrive  come  una 
maraviglia  le  isolette  natanti  che  vi  si  trovavano»  e  soUe  cranU  ta- 
lora le  pecore  o  le  capre  salite  erano  trasportate  in  mezzo  del  lago. 
In  Oggi  si  scorge  lo  stesso  fenomeno  nelle  sulfuree  acque  Albunee 
fra  Roma  e  Tivoli,  rammentate  da  Virg.  Aen.  1.  7.  Il  fenomeno  è 
assai  facile  a  spiegarsi:  in  queste  torbide  e  stagnanti  acque  si  tro- 
vano sparse  sostanze  di  ogni  genere  e  di  varia  specifica  gravità  :  le 


lago  Vadimone  e  il  Tevere  si  trova  una  pianura  assai  ampi 
ove  seguirono  le  indicate  battaglie.  Quello  da  noi  esposto  è  il  ge« 
nerale  princìpio  della  formazione  di  quelle  isolette.  Ve  ne  possono 
essere  dei  particolari  ;  le  radiche  delle  piante  palustri»  specialmen- 
te delle  canne  e  degli  ontani,  s'intralciano  tra  di  loro,  e  ricoperte 
di  fanghiglie  e  foglie  putrefatte  formano  delle  piote,  le  quali  nnen* 
'dosi,  nasce  l'isoletta.  Targioni,  Viaggi  tom.  a.  Padule  di  Bicntiua. 


CAPITOLO  PRIMO  ii3 

ricolo:  le  fanterie  erano  o  morte  o  ferite:  la  caval- 
leria avea  perduto  la  maggior  parte  dei  cavalli  e  aiK. 
restata  perciò  inutile  :  allora  i  cavalieri  romani  non  ^^^ 
sdegnarono  di  supplire  alla  fanteria:  raccolti  in  una 
schiera^  passando  a  piedi  a  traverso  i  morti  e  i  fe- 
riti^ giunsero  alla  ruinata  infanteria  degli  Etruschi. 
L' inaspettato  rinforzo  decise  della  giornata .  Ebbe- 
ro gli  Etruschi  la  rotta  la  più  fatale;  questo  era  sta- 
to r  ultimo  sforzo  della  nazione  :  la  gioventù  più 
guerriera  fu  perduta  col  coraggio  nazionale^  e  gli 
spiriti  avviliti;  e  si  può  fissare  dalla  perdita  di  que- 
sta battaglia  la  mina  della  potenza  etrusca  (8).  I 
successivi  sforzi  furon  sempre  deboli^  e  si  comin- 
cia a  trovare  fino  da  questo  tempo  che  le  città  etni- 
sche si  comprano  dai  Romani  la  pace  o  la  tregua 
pagando  un  tributo:  si  scorge  una  certa  autorità 
dei  Romani  su  di  loro  (  un  Dittatore  per  esempio 
compone  le  sedizioni  degli  Aretini:  )  ogni  altro  44^ 
tentativo  fini  sempre  colla  disgrazia  dell' Etruria, 
ed  una  battaglia  da  essi  perduta  presso  Volterra 
mostra  che  i  Romani  erano  agevolmente  penetrati 
nel  cuore  del  loro  paese  (9).  Non  erano  più  in  ista- 
to  di  misurarsi  coi  Romani  ;  avevan  bisogno  di  po- 
tenti alleati  y  e  gli  trovarono  facilmente^  giacché  la 
romana  potenza  ognor  crescente  avea  risvegliato  il 
terrore  di  tutte  le  popolazioni  d'Italia.  Gli  Umbri , 
gli  Etruschi ,  i  Sanniti ,  i  Galli  adunarono  uno  dei 
pù  formidabili  eserciti  •  Il  numero  de',  combattenti 
è  certamente  esagerato;  giacché  si    fa  ascendere 
quello  de' Sanniti  e  de' Galli  riuniti  insieme  a  140 
mila  uomini  d'infanteria^  e  40  mila  cavalli:  gli 

(8)  Tit  Liv.  1. 9, 

(si)  Til.  Liv.  Lio. 
7&A.0  i.  S 


ii4  LIBRO    PRI  MO 

-Etruschi  e  gli  Umbri  formavano  un  altro  esercito  * 
di  h  II  loro  disegno  era  che  il  primo  esercito  cominciasse 
^^^  solo  Tattacco,  e  nel  bollore  della  mischia  l'altro 
piombasse  sui  Romani  già  stanchi.  I  consoli  Fabio 
Massimo  e  Decio  Mure,  penetrata  Tìntenzione  dei 
nemici^  chiamarono  un  altro  corpo  da  Roma,  e  Io 
mandarono  a  devastare  le  campagne  di  Etruria  fa- 
cendo una  diversione.  Invece  di  restare  fermi  al 
loro  posto,  ove  si  dovea  decidere  la  gran  lite,  la 
difesa  delle  campagne  trasse  T  esercito  degli  Etru- 
schi e  degli  Umbri  altrove:  intanto  i  Sanniti  ed  i 
Galli  allaccarono  i  Romani,  e  quantunque  alla  fine 
prevalesse  la  forza  di  questi,  si  trovarono  però  in 
gran  pericolo.  L'ala,  che  combatteva  sotto  il  con- 
sole Decio,  era  stata  rotta  e  posta  in  fuga:  quest'uo- 
mo prese  uno  di  quelli  espedienti  che  di  rado  man- 
cano di  produrre  un  felice  evento  sui  popoli  super- 
stiziosi .  Dopo  aver  tentato  invano  di  trattenere  i 
fuggitivi,  chiamato  il  pontefice  Livio,  gridò  ad  alta 
voce  ch'egli  si  offriva  in  sacrifizio  al  cielo  per  la 
salvezza  del  suo  esercito,  e  comandò  al  Pontefice 
di  pronunziare  le  mistiche  parole  di  questo  atto,  e 
le  imprecazioni  contro  i  nemici.  Dopo  averle  esso 
ripetute,  spinge  il  cavallo  nel  più  forte  della  mi- 
schia ove  disperatamente  combattendo  muore.  Que- 
sto superstizioso  rito ,  questo  spettacolo  trattenne  i 
fuggitivi  e  i  vincitori .  11  Pontefice  cominciò  ad 
esclamare  altamente  che  i  Romani  non  potevano  es- 
ser più  vinti:  si  animano  questi,  si  spaventavano  i 
Galli,  e  in  breve  restano  rotti  e  dispersi  :  tanto  be- 
ne e  tanto  male  può  produrre  la  superstizione! 
L'azione  di  Decio  è  grande  e  magnanima  qualun- 
que fosse  la  sua  maniera  di  pensare:  il  suo  corpo  si 


CAPITOLO  PRIMO         ii5 
trovò  eoo  pena ,  per  esser  sepolto  sotto  an  cumulo' 
di  nemici  (io).  La  moderna  opinione,  che  ha  finora  jila. 
caratterizsato  le  armate  francesi  come  dotate  di  una  ^^^ 
impetuosa  furia  nel  primo  incontro,  ma  incapaci  di 
sostenerlo  lungo  tempo,  può  trovare  una  conferma 
nell'osservazione  fatta  da  Livio  in  questa  battaglia 
sui  Galli  Senoni  (i  i),  se  pure  la  variazione  di  tempi 
e  di  climi  (post'anche  la  verità  deirosservazione)  non 
fossero  capaci  di  cangiare  i  temperamenti  e  perciò 
la  regola.  La  battaglia  fu  assai  sanguinosa  d'ambe 
le  parti,  contandosi  a5  mila  alleati  e  7.  mila  Romani 
morti  sul  campo.  Si  trova  in  seguito  qualche  altro 
movimento  degli  Etruschi  paragonabile  agli  ultimi 
tratti  di  un  animale  che  muore;  e  probabilmente 
r ultimo  è  quello  in  cui  si  mossero,  allorché  Pirro 
fìiceva  una  furiosa  guerra  ai  Romani;  ma  furono  fa-  4^3 
cilmente  vinti,  e  TEtruria  fu  intieramente  soggio- 
gata da  Tiberio  Goruncanio.  Dopo  questo  tempo  non 
si  sente  parlar  più  di'guerre  etnische. 

Cosi  fini  un  contrasto  che  avea  durato  più  di  4 
secoli.  La  mancanza  di  scrittori  etruschi  e  la  neces- 
sità di  leggerne  gli  avvenimenti  in  istorici  loro  ne- 
mici o  veneratori  di  Roma ,  non  ci  lascia  mai  ve- 
dere gli  Etruschi  in  un  bel  prospetto.  L'ignoranza 
di  notizie  decloro  interni  avvenimenti  politici,  ci 
toglie  il  mezzo  di  conoscere  quanto  questi  abbiano 
influito  sulla  loro  caduta.  Poche  riflessioni  però  ba- 
stano a  indovinarne  le  cause:  queste  si  trovano  nel 

(10)  Tìt.  Liy.  1. 10.  Egli  non  fece  cbe  imitare  sno  padre  De* 
do,  che  avea  faUo  lo  stesso  sacrifizio  nella  guerra  latina  nella  bat- 
taglia alle  falde  del  Yesavio  presso  la  città  di  Tesevi  che  ivi  esi* 
sten.  Il  celebre  Codro  fece  lo  stesso. 

(11)  Gallorum  ^uidem  corpora  intollerantissima  laboris  ai* 
tpte  aestus  fluere ,  primaque  eorum  praelia  plus  quam  virorum  , 
postrema  minus  quamfoeminarum  esse,  Litf»  L  io» 


ii6  LIBRO  PRIMO 

"lusso  di  quel  popolo,  e  nella  cibile  costituzione  .  È 


diR  celebre  V Etruria  in  tutti  gli  antichi  scrittori  per 
^^^  le  sue  ricchezze  e  pel  lusso  che  ostentavano  negli 
spettacoli,  nei  vestiti,  nelle  abitazioni,  nelle  men- 
se imbandite  fino  tre  volte  al  giorno  (la).  Nel  se- 
guente capitolo  sì  osserverà  che  le  belle  arti  vi  fio- 
rirono prima  che  presso  qualunque  nazione  d'Eu- 
ropa: tutto  ciò,  benché  faccia  lo  splendore  di  un 
popolo,  è  atto  ad  ammollire  gli  animi  e  i  corpi . 
Dall'altra  parte  i  Romani ,  educati  duramente  non 
conoscevano  altre  arti  che  T agricoltura  e  la  guer* 
ra;  e  quelle  mani  stesse  che  alla  testa  degli  eserci- 
ti avean  trattate  le  armi  coir^utorità  consolare ,  non 
sdegnavano  in  pace  di  maneggiare  T aratro.  Mentre 
i  Toscani  in  lunghe  tregue,  godendo  i  piaceri  che 
per  ogni  parte  offrivano  le  arti  di  lusso,  si  andava- 
no snervando  in  grembo  alla  mollezza ,  i  Romani 
sempre  più  s  indurivano  nella  scuola  della  guerra 
coi  Volsci,  i  Sabini  ec.  La  dostituzione  degli  Etru- 
schi era  altresì  la  meno  atta  alla  guerra;  lo  abbia- 
mo notato  fin  da  principio:  unite  in  debolissimo 
vincolo  di  federazione  le  varie  popolazioni  non  ave- 
vano neppure  regolate  adunanze  come  gli  Àmfizio- 
ni  in  Grecia:  non  si  univano  che  nei  casi  straordi- 
narj  al  tempio  di  Voltumna  i  loro  deputati,  e  la 
libertà  in  cui  era  ciascuna  popolazione  di  seguire  o 
no  la  risoluzione  comune ,  rendeva  queste  membra 
divise ,  e  non  capaci  di  agire  se  non  raramente  con 
uno  sforzo  unanime  e  ben  concertato  t  In  oltre  nien- 
te è  più  facile  che  por  la  divisione  in  siffatto  go- 
verno, e  allora  le  più  piccole  forze  possono  distrug- 
gerlo. Ne  abbiamo  non  pochi  esempi  :  si  è  veduta 

(la)  Demst.  Etmr.  regal. 


Al»  «il 


CAPITOLO  PRIMO  117 
ai  nostri  tempi  TOlanda,  che  unita  avea  resi.stito 
air  errai  vittoriose  di  Luigi  XIV  congiunte  a  quelle  a,  a 
deir Inghilterra,  soggiogata  poi,  perchè  divisa  in  *^^ 
due  partiti,  da  aS  mila  Prussiani:  si  è  veduta  la 
Svizzera  per  la  stessa  ragione  vinta  in  un  momen- 
to, ricever  legge  dai  Francesi,  Questa  è  la  sorte 
delle  repubbliche  federative,  e  questa  fu  delTEtru- 
ria,  benché  soccorsa,  ma  forse  troppo  tardi,  da  al- 
tre popolazioni  ch'ebbero  finalmente  la  stessa  sorte 
d'essere  ingojate  dai  Romani  sempre  vincitori .  Que- 
sto torrente,  frenato  dentro  le  sponde  per  alcuni 
secoli  dall'altre  città,  non  fece  che  acquistar  forza 
e  profondità  ;  e  avendo  finalmente  vsuperate  le  spon- 
de, non  solo  copri  della  sua  piena  l'intiera  Italia  , 
ma  si  distese  per  quasi  tutta  l'Europa,  per  l'Asia, 
per  l'Àfifrica ,  e  per  le  piiì  fertili  e  ricche  provincie 
del  mondo  allor  conosciuto:  non  è  perciò  maravi- 
glia se  soccombesse  TEtruria.  Quel  popolo  però,  il 
più  grande  che  abbia  avuto  la  terra,  in  seguito  non 
trattò  come  schiavi  gli  Etruschi ,  ma  piuttosto  co* 
aie  fratelli.  Varie  città  di  questa  provincia  otten- / 
nero  l'onore  della  romana  cittadinanza:  appoco 
appoco  r  E truria  restò  associata  alla  romana  poten- 
za, ne  prese  l'indole,  i  costumi,  ne  adottò  i  gene- 
rosi sentimenti ,  e  f u  a  Roma  di  non  piccolo  ajuto 
nelle  guerre  straniere  •  Da  questo  tempo  pertanto 
gli  avvenimenti  d'Etruria  si  confondono  con  quelli 
di  Roma ,  e  l'istoria  etrusca  è  fusa  per  dir  cosi  nella 
romana;  né  l'Etruria  è  più  oggetto  di  particolare 
istoria  finché,  dopo  ruinato  e  sciolto  il  romano  Im- 
paro, non  torna  a  formare  sotto  il  nome  di  Toscana 
QQa  provincia  separata  che  si  governa  colle  sue 
kggi. 


ii8  LIBRO  PRIMO 


CAP  ITOLO   IL 


SOMMARIO 

Mfàbeto  etrusco .  Studj  del  Demstéro.  Accademia  etnisca  di 
Cortona.  Dispute  tra  il  Cori  e  ilMaffei.  Opinione  del  Lanzi. 
Filosojia  degli  Etruschi.  Loro  idee  dell*  Essere  Supremo. 
Opposizione  del  Lampredi.  Se  Pittagora  nascesse  nelVEtru^ 
ria .  Rispetto  ilei  Romani  per  la  scienza  degli  Etruschi.  No^ 
moni  di  essi  nell'Astronomia .  Intenzioni  utili.  Rappresentanza 
teatrali.  Monumenti  pubblicati  da  Curzio  Inghirami.  Lavori 
in  bromo  degli  Etruschi.  Rovine  di  Pesto.  Opinioni  dei 
ffinckelmann . 


s 


ul  tema  che  andiamo  a  trattare  fa  d'uopo  esaer 
brevi  ^  per  noa  stancare  il  lettore  con  ragionamenti 
appoggiati  alle  più  lievi  congetture,  e  per  timore 
di  non  prendere  ad  ogni  passo  1* ombre  per  corpi . 
L'arte  del  critico  antiquario  si  ammira  quando^ 
avendo  sotto  degli  occbi  pochi  e  sicuri  materiali , 
forma  di  questi  un  ingegnoso  sistema .  Ma  qui  tutto 
è  incertezza:  lingua ,  letteratura,  scienze,  invenzioni 
si  appoggiano  più  all'immaginazione  che  al  giudi- 
zio •  La  lingua  specialmente  è  sempre  una  specie  di 
enimma,  e  fu  forse  meno  inestricabile  l'etrusco 
laberìnto  di  Porsena,  o  l'altro  di  Greta  ,  di  quello 
sia  la  lingua  etrusca.  Pure  una  folla  d'illustri  let- 
terati hanno  creduto  possedere  il  filo  di  Arianna  ; 
ina  per  comprenderne  la  difficoltà  si  osservi ,  che 
appena  son  giunti  ad  accordarsi  fra  loro  suU'  alfa- 
beto; e  son  degni  di  scusa  per  gli  scarsi  materiali 
con  cui  hanno  dovuto  fabbricare.  Se  da  un  antico 
suolo  ove  l'istoria  e  la  tradizione  ci  dicesse  ch'esi- 


X 


CAPITOLO   SECONDO      n/) 

fteTa  un  aagusto  tempio^  o  un  magnifico  palazzo , 
si  scavassero  pochi  rottami  di  colonne^  e  qualche 
sasso  mal  figurato^  potremmo  noi  fidarci  agli  archi* 
tetti  che  ci  presentassero  un  disegno  di  quelli  edifizj 
dedotto  da  si  scarsi  monumenti?  Eppure  gli  archi- 
tetti son  molti  nel  nostro  caso,  e  i  loro  disegni  per 
conseguenza  diversi,  presentandoci  chi  un  edifizio 
egiziano,  chi  un  greco,  chi  un  asiatico. 

È  naturale  l'immaginare  che  gl'ingegnosi  Tosca- 
ni abbiano  preso  cura  d' illustrare   il  loro  antico 
suolo,  ma  un  forestiero  vi  ha  fatto  le  più  grandi 
fatiche,  cioè  ring  lese  Tommaso  De  mstero .  Prima 
di  lui  però  Taretino  Attilio  Alessi  aveva  posto  la 
roano  a  questa  messe,  formato  un  alfabeto  etrusco, 
e  riportate  delle  iscrizioni  fino  dal  secolo  XVL  Ma 
la  sua  istoria  ov'è  tutto  ciò  riferito,  restando  come 
lo  è  ancora  manoscritta  (i),  furono  le  sue  osserva- 
zioni ignote  al  Derastero.  Questo  scrittore  nei  tre 
anni  in  cui  fu  Professore  di  Pandette  nello  Studio 
pisano,  raccolse  moltissimi  documenti  relativi  al- 
l'antica £truria;   e  benché  spesso  tratto  da  lievi 
congetture,  e  trasportato  dall' immaginazione  verso 
l'oggetto  che  ha  preso  ad  abbellire,  troppe  iuven* 
zioni  e  troppa  scienza  attribuisca  all'  Etruria  ,  è 
quello  però  che  ha  più  sudato  in  quest' arringo.  La 
sua  Etruria  regale  restò  inedita^  per  quasi  un  se- 
colo; e  allorquando  si  pensò  a  stamparla  in  Firenze, 
furono  da  essa  eccitati  i  fiorentini  antiquarj  a  farvi 
de'  schiarimenti  ed  aggiunte .  In  questa  epoca  si  ri- 
svegliò coi  più  gran  fervore  lo  studio  dell'antiquaria, 
che  divenne  di  moda;  e  i  Buonarroti,!  Cori,  i  Sal- 

(i)  Trovasi  il  BIS.  nella  Bibl.  Riccardiana . 


120  LIBRO    PRIMO 

villi ^  i  Lami  ec»,  assai  vi  si  distinsero.  Una  rispet- 
tabìl  città  deirEtruria,  per  illustrare  l'antica  ma* 
dre  vi  consacrò  a  bella  posta  una  Accademia  che  di 
antichità  etrusche  specialmente  si  occupasse,  e  ì 
Mafiei,  Passeri,  Mazzocchi,  Olivieri,  Bourguet  ec.^ 
con  moltissimi  altri  forestieri  letterati  fecero  a  gara 
a  distinguersi  in  questo  studio.  Tutti  costoro  quan- 
do si  occuparono  nella  lingua  sparsero  molto  sudore 
in  un  arenoso  campo,  e  n'ebbero  pochi  frutti;  e 
siccome  non  può  mai  tanto  vagar  la  fantasia,  quanto 
allorché ,  appoggiata  su  pochi  dati,  è  in  sua  balia 
prender  quelle  strade  che  più  le  aggradano ,  que- 
st'  illustri  uomini  spesso  con  faticosi  viaggi  giunsero 
a  diversissimi  resultati,  scusabili  se  hanno  talora 
errato,  giacché  il  loro  cammino  era 

Quale  per  incertam  lunam  sub  luce  maligna 
Est  iter  in  sjrhis  (a). 

La  diversità  dell'opinioni  fece  anche  talora  riscal^- 
dar  soverchiamente  gli  animi,  e  il  Maffei  e  il  Gori 
specialmente,  quasi  due  gladiatori  discendendo  nel- 
l'arena, e  scagliandosi  dell'erudite  insolenze,  otten- 
nero pur  troppo  quello  che  avea  presagito  il  Mafie!  ^ 
di  trastulbre  il  pubblico  a  loro  spese  (3). 

La  lingua  etrusca 

È  la  selva  selvaggia  ed  aspra  e  forte ,  (4) 
ove  pare  che  quei  letterati 

.  la  diritta  via  abbia n  smarrita. 


•  • 


(a)  Virg.  Aen.  Ub.  6. 

(3)  Fabbr.  Fila  Maffei,  Maffei^  ossenrazioni  letterarie»  ove 
parodiando  due  versi  delTasso  dice  del  sao  avversario  : 

Lieta  commedia  vuol  che  si  appresenti 
Per  lor  diporto  alle  straniere  genti! 

(4)  Dant.  Inf.  caut  i. 


CAPITOLO  SECONDO         lai 

Niente  meglio  lo  dimostra  che  la  varietà  deir  opi- 
nioni^ e  l'impotenza  di  dare  una  ragionevole  tradu- 
zione  de' pochi  resti  di  etrusche  scritture.  Dispu- 
tarono acremente  il  Maffei  e.  il  Gori  suW  etrusco 
alfiibeto.  11  primo  che  credette  gli  Etruschi  origi- 
nar] dai  Cananei  vuole  la  lingua  loro  nata  dalla 
samaritana.  11  Gori  trova  molta  somiglianza  delle 
lettere  e  dei  vocabili  etruschi  coi  greci  antichi,  opi<** 
oioDe  che  ebbe  più  seguaci  di  quella  del  Ma£fei  :  dopa 
molte  fatiche  si  formarono  degli  alfabeti,  quasi  però 
senza  norma.  11  francese  Bourguet  in  tanta  instabi- 
lità di  fondamenti  trovò  qualche  punto  di  appoggio. 
Confrontando  le  Tavole  Eugubine,  due  delie  quali 
sono  scritte  in  caratteri  latini,  ma  in  lingua  etrusca, 
credette  vedere  che  la 4*  in  lettere  etrusche  conte- 
nesse un  compendio  delle  due  latine,  parendogli  che 
si  ripetessero  qui  con  poca  variazione  molte  voci 
delle  latine.  Su  questa  base  fabbricò  un  alfabeto, 
in  seguito  gli  altri  monumenti  su'  quali  si  è  accre- 
scialo  e  migliorato  l'alfabeto,  e  interpelrata  la  lin- 
gua, SODO  le  varie  iscrizioni  :  si  trovano  le  più  corte 
in  gemme,  in  medaglie,  in  patere,  e  non  consistono 
per  Io  più  che  in  nomi  solitarj  accompagnati  da 
<]nalche  £gura ,  da  cui  si  è  creduto  dedurne  la  spie- 
gazione. I  funebri  monumenti  ne  contengono  delle 
più  lunghe;  sono  questi  urne,  tegoli,  olle:  quello 
che  hanno  di  più  importante  è  la  frequente  tradu- 
cono latina,  onde  i  nomi  proprj  somministrano  la 
chiave  deir  alfabeto,  e  le  traduzioni  fanno  strada 
^irioterpelrazione  della  lingua:  ma  incontrano  gli 
antiquari  tante  difficoltà  per  far  corrispondere  la 
traduzione  airoriginaIe,che  sou  costretti  ad  asserire 
essersi  spesso  cangiati  dei  sentimenti  nella  tradu- 


122  LIBRO    PRIMO 

zione  latina  (5) ,  cosa  possibile  ma  non  probabile,  e 
che  il  lettore  interpetrerà  a  suo  senno  o  come  una 
strana  bizzarria  degli  Etruschi, o  come  una  difficoltà 
degl'interpetri .  Più  lunghe  sono  le  iscrizioni  in  are, 
in  candelabri ,  in  statue.  Questi  monumenti  forma- 
no  il  fondamento  deir  iuterpetrazione  della  lingua 
etrusca.  Oltre  di  questa  si  assicura  essere  state  in 
Italia  le  lingue  euganea ,  volsca ,  umbra  ^  samnitica  ^ 
ed  osca .  Se  tanta  somiglianza  trovasi  tra  di  esse  e 
l'etrusca,  se  TEtruria  dominò  una  volta  su  tutta 
l'Italia,  Topinione  più  verisimile  ci  porta  a  crederle 
dialetti  di  questa.  La  scrittura  degli  Etruschi ,  come 
dei  più  antichi  popoli  orientali,  corre  da  destra  a 
sinistra,  e  talora  il  secondo  verso  da  sinistra  a  de* 
stra  alternandosi  le  direzioni,  metodo  che  ebbe  il 
nome  di  Bustrofedoy  dai  buoi  aratori,  de' quali 
imita  il  lavoro.  Dopo  le  fatiche  di  tanti  T  alfabeto 
del  Gori  è  il  più  ricevuto  :  nondimeno  il  Sig.  Ab. 
Lanzi,  che  con  tanta  copia  di  erudizione  ha  trattato 
il  soggetto ,  vi  ha  trovato  da  fare  qualche  cambia- 
mento .  Questo  dotto  uomo  è  d' accordo  col  Gori 
sulla  somiglianza  della  lingua  etrusca  colla  greca  e 
la  latina  ;  e  si  possono  distesamente  vedere  nella 
sua  opera  le  ingegnose  congetture  con  cui  ne  mostra 
l'analogia  (6).  Or  si  supponga  vero  ciocché  da  altri 
è  contrastrato,  qual  ne  sarà  la  conseguenza?  la  so- 
miglianza di  alcune  parole  prova  ella  che  Tetrusca 
sia  derivata  dalla  greca?  Parlando  di  una  nazione  i 
di  cui  storici ,  e  ogni  sorta  di  libri  si  sono  perduti, 
e  sulla  quale  da  storici  tanto  posteriori  si  traggono 
scarse  notizie,  potrà  egli  dedursi  che  la  lingua,  le 

(5)  Lanzi»  Saggio  di  lìngua  etros.  Tom.  s. 

(6)  Lanci»  loc.  cit 


CAPITOLO  SECONDO  laS 
scienze,  le  arti  sian  derivate  dalla  Grecia  ?  leggiera  e 
precipiUta  conseguenza  •  A  un  Gc*eco ,  che  cosi  ragio- 
nasse ad  uu  Toscano ,  potrebbe  questi ,  preudendo 
quaesitiun  meritis  supeiòiam ,  rispondere  :  e  perchè 
non  dedurre  piuttosto  che  dall' Etruria  sieuo  le  co- 
gnizioni,  la  liugua^  le  arti  derivate  ne' Greci  7  I 
nostri  antichi  Etruschi,  anche  per  confessione  de- 
gr  idolatri  de'  Greci  (7)  y  coltivarono  le  belle  arti 
quando  la  Grecia  era  barbara,  e  Tarti  sono  state 
sempre  compagne  delle  lettere^  anzi  precedute  da 
loro .  Risponde  il  Sig.  Lanzi  che  se  ciò  fosse  avvenu- 
to, gli  scrittori  latini  non  avrebbero  mancato  di 
propalare  questa  gloria  dell' Italia.  Non  è  però 
dilHcile  il  fargli  osservare  che  per  propalarla  facea 
di  mestiero  averne  degli  storici  monumenti,  e  di- 
sgraziatamente quando  cominciano  i  romani  scrit- 
tori erano  perdute  quasi  tutte  Tetrusclie  memorie. 
È  inoltre  da  notare  che  i  Romani  furono  ambiziosi 
sostenitori  della  propria  gloria  e  grandezza,  che 
ornarono  anche  colle  favole;  ma  trascurarono,  e 
talora  depressero  quelle  delle  loro  confinanti  popo- 
lazioni. Inoltre  la  negligenza  e  gli  errori  degli  an- 
tichi storici  su  questo  articolo  sono  credibili  ap- 
pena: ne  sia  un  esempio  Erodoto,  il  più  antico 
istorico  e  il  più  vicino  ai  tempi  eroici  :  benché  sia 
dimostrato  colle  prove  le  più  chiare  che  i  poeti , 
Lino ,  Orfeo  e  Melampo  abbiano  preceduto  Omero, 
quello  che  chiamasi  il  padre  dell'istoria  non  ha 
dubitato  di  asserire  che  sono  vissuti  dopo  (8) .  A 


(7)  WinkelmanD,  Stor.  dell'art,  del  dis.  1.  3.  e.  1. 

(8)  Gillieshistory  of  ancient  Grece  chap,  6.  La  Degligenza 
di  Erodoto  è  somma ,  siacchè  olU«  le  altre  prove.  Lino  e  nomi- 
nato da  Omero ,  nell'fiiad.  L  18  »  Melampo  nell'Odiss.  L  1 1. 


124  LIBRO  PRIMO 

tali  prove  si  potrebbero  aggiungere  a  sostener  la 
nostra  opinione  quelle  congetture  da  noi  addotte 
suir origine  degli  Etruschi  ^  e  T  autorità  di  Virgilio 
che  dair  Italia  deduce  V  origine  di  Troja  •  Queste 
riflessioni  non  si  fanno  che  per  moderare  la  sicura 
franchezza  ,  con  cui  da  molti  scrittori  si  giudicano 
le  cose  etrusche.  £  in  verità,  che  cosa  può  dedursi 
dalla  somiglianza  di  alcune  parole  di  due  lingue  ? 
Fingiamo  che  uno  di  quei  grandi  avvenimenti  o 
fisici  0  politici ,  che  hanno  cangiata  la  faccia  della 
terra  ,  distruggesse  i  monumenti  letterar)  d' Euro- 
pa f  e  non  restasse  memoria  che  le  lingue  italiana  ^ 
spagnuola  ,  francese ,  sono  in  gran  parte  figlie  della 
latina ,  che  una  di  quelle  fosse  affatto  perduta  e 
poche  iscrizioni  ne  restassero;  in  esse^  vedendo  gli 
antiquari  la  somiglianza  delle  parole,  potrebbero 
coi  medesimi  argomenti  che  adoprano  sull'etrusca, 
chiamare  una  figlia  dell'  altra ,  e  secondo  i  fram- 
menti di  quelli  storici  sopravvissuti  al  comune  nau- 
fragio,  0  secondo  il  loro  capriccio,  dare  a  questa^  o 
a  quella  il  nome  di  madre,  o  di  figlia:  neppure  ' 
uopo  sarebbe  di  tanta  somiglianza.  Due  popoli  che 
o  per  commercio,  o  fama  di  letteratura  si  comuni- 
cano le  idee,  si  comunicano  anche  i  vocabili,  e  quan- 
tunque originariamente  non  avessero  connessione, 
potrebbero  ai  più  tardi  nipoti ,  ignari  degli  avveni- 
menti, fare  un  inganno.  Le  riflessioni  seguenti  ba- 
steranno a  mostrare  quanto  sia  ancora  poco  nota 
Tetrusca  lingua  dopo  tante  faticose  ricerche.  Il 
monumento  più  insigne  di  questa  lingua  sono  le 
Tavole  Eugubine,  perchè  più  estese  di  qualunque 
altro;  furono  disotterrate  nei  contorni  di  Gubbio 
nell'anno  i444  ><^  numero  di  7.  Se  la  lingua  etnisca 


CAPITOLO  SECONDO        laS 
fo85e  iotelligibile ,  dopo  le  lunghe  pene  e  i  lavori  di 
liuti  eruditi  le  Tavole  Eugubine  sarebbero  chiara- 
meote  interpetrabe:  ma  sono  sempre  un  arcano. 
L'imparzial  lettore  potrà  dedurlo  dalla  varietà  si 
grande  di  opinioni  degl'interpetri.  11  Buonarroti  le 
credette  convenzioni  di  popoli:  il  Cori,  il  Bourgeut 
ima  poesia  osca,  o  lamenti  di  Pelasgi  afflitti:  TOli- 
vieri,  il  Maffei ,  il  Passeri^  parte  descrizioni  di  riti, 
parte  atti  legali  relativi  a  private  liti,  finalmente 
ilSig.  Lanzi  ^  che  dopo  tutti  con  tanta  diligenza  ne 
ba  investigati  i  sentimenti,  crede  riguardino  la  re- 
ligione e  i  sacrifizj;  nondimeno  con  quella  ingenui- 
tà, eh' è  propria  de^  gran  letterati,  confessa  averne 
ioterpetrata  una  piccola  parte,  e  che  la  maggiore 
resta  ignota  (9),  Per  sempre  più  conoscere  T  oscuri- 
tà della  materia  non  deve  lasciarsi  indietro  e  l'in- 
terpetrazione  di  una  di  queste  Tavole  del  celebre 
Dottor  Lami ,  e  la  sua  opinione  sulla  lingua  etru- 
Bca,  che  in  tanta  incertezza  sembra  forse  la  più 
probabile.  Mentre  tanti  letterati  per  interpetrarla 
vanno  a  cercar  la  somiglianza  delle  parole  etruscbe 
colle  samaritane  o  le  greche  ec,  egh  si  è  intiera- 
mente rivolto  alle  latine^  e  in  un  minuto  e  lungo 
esame  esposto  nelle  lettere  Gualfondiane,  parago- 
D^do  insieme  le  parole  latine  esprimenti  sostanze 
le  meno  soggette  a  variazione  di  .nomi  e  le  più  an- 
tiche, come  monti,  fiumi,  città^  indi  i  nomi  prò- 

(9)Lanu,  loc.  cit  La  sola  parola  che  era  scolpita  sulla  Chimera 
<fi  bronzo  della  real  ffallerìa  di  Firenze  è  un  nodo  per  gì'  interpetri; 
^  leggono  Tìnmcuifo  Tinmicuil .  Il  Buonarroti  la  crede  un  nome 
odcflartiste  o  dell' animale:  il  Gori  crede  che  significhi  una  qua- 
lità della  bestia 9  cioè  pianto  alla  vendetta:  il  Passeri  un  nome  di 
i^oa  Deità  vendicatrice  :  un  Inglese ,  Giovanni  Swinton ,  la  fa  si- 
giilficarc  dragone ,  capra,  leone  ;  e  questi  sono  i  più  dotti  interpe- 
tri dell'  etnisca  lingua . 


126  LIBRO   PRIMO 

prj  e  di  mìir altri  oggetti,  coli' etrudche ,  vi  trora 
una  somiglianza  assai  superiore  a  quella  che  i  piò 
dotti  antiquari  hanno  creduto  trovare  coir  altre  fo- 
restiere lingue;  onde  crede  che  questi  due  siano  dia- 
letti collaterali»  Si  potrebbe  anzi  dire^  come  ab- 
biamo già  notato,  che  avendo,  una  volta  TEtruria 
dominato  su  tutta  l'Italia  e  coltrarmi  e  coir  arti  e 
colle  lettere ,  è  assai  naturale  che  avesse  comunicato 
la  favella  ai  soggetti  popoli ,  onde  non  fossero  le 
lingue  di  essi  che  varj  dialetti  dell' etrusca,  e  uno 
di  quei  la  latina  :  e  in  verità  gli  antichi  frammenti 
di  questa  sono  quasi  inintelligibili  al  paro  dell'etru- 
sca.  Finalmente,  avendo  sempre  davanti  agli  occhi 
la  lingua  latina  per  iscorta,  dà  il  Lami  una  tradu- 
zione della  stessa  Tavola  Eugubina  (r  e) ,  cbe  il  Gori 
ha  interpetrata ,  e  da  lui  chiamata  Carmen  Orthium 
lamentabile.  Chi  ama  vedere  in  quanto  diverse  e 
lontane  strade  sieno  talora  deviati  daMoro  ìmaginarj 
sistemi  gli  antiquari ,  legga  le  due  traduzioni:  è  certo 
che,  quantunque  confuse  entrambe,  si  cava  senso 
più  netto  da  quella  del  Lami,  benché  quest'illustre 
letterato  forse  accorgendosi  del  comune  errore,  e  di 
essersi  anch' egli  smarrito  in  questo  laberinto^  e 
forse  deridendo  le  inutili  fatiche  degli  antiquari  , 
scherza  con  quei  versi  dell'Ariosto: 

Varj  gli  effetti  son  ,  ma  la  pazzia 
È  tutt*  ima  però  che  gli  fa  uscire. 
Gli  è  come  una  gran  seli^a,  oue  la  via 
Conviene  a  forza  a  chi  vi  va,  fallire  : 
Chi  su,  chi  giù,  chi  qua,  chi  là  travia  ec. 

Non  si  può  adoprare  un'imagine  più  atta  a  rappre- 

(io) Lettere  Gaalfondìane ,  lett.  ao. 


^ 


CAPITOLO  SECONDO         137 
sentare  i  viaggi  ipotetici  degli  antiquar}  per  gli  oscuri 
leotieri  delle  congetture  • 

Dopo  siffatti  esperimenti ,  dopo  tante  con  tradizio- 
ni non  si  dovrà  egli  confessare  che  la  lingua  etrusca 
è  inintelligibile?  Tuttavia,  se  tal  conclusione  è  un 
po'  umiliante  per  la  letteraria  vanità,  abbiamo  onde 
consolarci;  sono  si  scarsi  i  monumenti  in  quella  che, 
datane  anche  la  perfetta  intelligenza,  non  si  sapreb- 
be sopra  che  esercitarla*  Finiremo  le  riflessioni  sulla 
lingua  riportando  il  sentimento  di  una  società  di 
dottissimi  uomini j  gl'inglesi  scrittori  dell'istoria 
universale.  Secondo  la  loro  opinione,  i  caratteri 
al&betici  degli  Etruschi,  sono  i  più  antichi  che  al 
presente  si  trovino;  e  diversi  monumenti  di  quel 
popolo  gareggiano  in  antichità  con  tutti  quelli  eh' esi- 
•tono,  non  eccettuati  gli  egiziani . 

Pochi  ma  meno  incerti  oggetti  ci  presenta  l'etru* 
9ca  Scienza  ,  e  Letteratura  .  Gli  Etruschi  precedet- 
tero tutti  i  popoli  europei  nella  cultura  delle  lettere, 
arti  e  scienze,  non  solo  per  testimonianza  dei  nostri, 
ma  dei  forestieri  (it).  Un  dotto  uomo  più  volte 
nominato  non  tien  gran  conto  della  filosofia  e  delle 
lettere  etnische  ( 1 2)  ,  appoggiato  sull'osservazione 
che  i  Romani,  volendo  per  la  riforma  delle  loro  leggi 
consultare  un  saggio  popolo ,  non  all'  Etruria  si  ri- 
solsero, ma  alla  Grecia,  come  si  narra  da  Tito  Li- 
vio (1 3)  .Si  potrebbe  replicare ,  essersi  colà  indiriz- 
zati perchè  maggiore  è  da  lungi  la  reverenza  ;  ma 


(li)  Winclelmann,  Ist«  dell'  art.  tom.  1. 1.  3,  cap.  i.  Cajrlus 
Beeueil  d*  antiq' 

(19)  Lanzi,  Saggio  di  ling.  etrus. 
(i3)Tit.  LiT.L  3. 


128  LIBRO    PRIMO 

y'  è  gran  dubbio  che  il  racconto  di  Livio  sia  una 
favola^  comeba colla  sua  solita  sagacità sospettato  il 
chiarissimo  Gibbon  (i4)*  Abbiamo  già  osservato  che 
dove  fiorirono  le  belle  arti ,  hanno  anche  brillato 
le  lettere:  gli  avanzi  dell'arti  etrusche,  resistendo 
agliannii  si  ammirano  sotto  i  nostri  occbj^  mentre 
i  più  fragili  monumenti  destinati  a  conservare  i 
parti  delle  lettere  sono  distrutti:  perirono  tatti  i 
loro  storici y  e  n'esistevano  per  testimonianza  di 
Yarrone^  citato  da  Censorino^  fino  dal  loro  otta- 
vo secolo  (i5):  quel  poco  che  sappiamo  si  deduce 
da  alcuni  passi  di  greci  o  latini  scrittori^  che  a  caso 
ne  parlarono.  Seneca  ci  ha  molto  ragguagliati  sulla 
loro  teologia  naturale  e  sulla  fisica.  Or  cominciando 
da  una  delle  parti  più  importanti  dell'umana  dot- 
trina, cioè  dall'  idea  d'Iddio,  non  pare  se  ne  possa 
formare  più  grande  e  più  giusta  di  quella  degli 
Etruschi  riferita  dal  citato  scrittore,  ove  si  chia- 
ma Iddio  custode,  monarca  ^  spirito  animatore  del- 
l'universo e  della  mondana  macchina  signore  ed 
artefice  ec«  y  ma  ciascuno  amerà  meglio  il  passo 
originale:  Eumdem  quem  nos  Jovem  intelligunty 
*  custodem  j  rectoremque  universi ,  animum  oc  spi-- 
ritum ,  mundani  hujus  operis  dominion  et  aniji- 
cent ,  cui  nomen  omne  convenit  :  vis  illum  Falwn 
vacare?  non  errabis.  Hic  esty  ex  quo  suspensa 
sunt  omnia ,  ex  quo  sunt  omnes  caussae  auisor 
rum-  f^is  illum  Providentiam  dicere  ?  recte  dices: 


(i  4)  History  of  decline  and  fall  etc.  ckap,  ^. 

(i  5)  Censor.  De  die  natali  cap.  5.  E'  difficile  in  sì  oscura 
antichità  indovinare  qual  fosse  quest*  ottavo  secolo ,  e  donde 
minciasse  V  era  loro . 


CAPITOLO  SECONDO      129 

esi  enim  cujus  Consilio  huic  mundo  proi^idetury  ut 
inconcussus  eat  et  abtus  suos  explicet .  f^is  illum 
Naturam  vocare?  non  peccabis:  est  enim  ex  quo 
nata  sUnt  omnia  y  cujus  spiritu  vivimus .  ì^is  illum 
vocare  Mundum  ?  nonfaUeris  :  ipse  enim  est  totum 
quod  vides ,  totus  suis  partibus  inditus  ^  et  se  su- 
stinens  vi  sua .  Idem  et  Etruscis  quoque  visum 
estete.  (i6)*  L'idea  è  espressa  con  sublimità.  Pure 
è  piaciuto  ad  uà  illustre  letterato  (17)  di  chiamar 
questa  dottrina  erronea  y  né  dissomigliante  da  quella 
di  Pìttagora ,  di  Zenone ,  e  del  moderno  Spinosa  • 
Non  ci  porremo  a  investigare  le  poco  intese  dottri- 
ne di  Pittagora,  né  le  meno  intelligibili  di  Spinosa , 
né  ad  intrigarci  negli  oscuri  laberinti  dell'antica  e 
moderna  metafisica:  ma  ci  sembra  una  sofistica  se* 
verità  il  passar  quella  sentenza  sopra  un'  opinione 
che  parla  cosi  chiaramente  di  Creatore  delle  cose , 
col  di  cui  consiglio  si  provede  a  questo  mondo  ec. 
mentre  nel  sistema  di  Spinosa  la  materia  é  increata  ^ 
e  non  vi  si  ammette  consiglio  o  providenza.  L'uni- 
ca espressione  equivoca  che  parrebbe  avvicinarla  a 
Spinosa  saria 9  che  tutto  ciò  che  si  vede  è  Dio;  ma 
non  é  stata  una  simile  frase  adoprata  dai  più  orto- 
dossi scrittori,  la  quale  sciolta  poi ,  e  quasi  tradotta 
in  comune  linguaggio,  altro  non  significa  se  non 
che  neir  opere  meravigliose  della  Creazione  si  sco* 
preil  Creatore,  come  dall'industre  lavoro  l' ingegno 
dell'artefice:  cento  scrittori  di  versi  e  di  prosa  han- 
no ripetuto  lo  stesso;  anzi  un  ingegnoso  poeta  mo* 

(16)  Senec.  Quaest,  nat,  L  3.  cap,  4^* 

(17)  Lampredì^  Sag.  sulla  filos.  degli  Ant«  filnisc. 

7  o/no  f.  Q 


i3o  LIBRO     PRIMO 

derno  (i8),  rispondendo  appunto  a  un  ateista  dica 
eh'  egli  s' inganna  perchè 

.  •  •  quodcumque  vides,  quodcumque  movetur 
Est  Deus ,  et  grandi  ^estitur  imagine  munduài 

Pope  si  esprime  nella  stessa  forma  in  uno  dei  suoi 
saggi  morali;  e  fino  il  piissimo  Metastasi o  per  con- 
vincere anch' egli  un  incredulo  scrive 

Osnmque  il  guardo  giro , 
O  sommo  Dio,  ti  s^do  ec 

£  in  verità,  qual  migliore  argomento  si  può  usare, 
per  convincere  le  grossolane  menti  dell'esistenza 
del  Creatore^  che  presentar  loro  davanti  la  scena 
maravigliosa  dell'universo ,  l'intelligente  meccani- 
smo con  cui  si  fanno  i  /elesti  e  i  terrestri  movi- 
menti; e  dalle  create'  cose  dedurre  la  sapienza  del 
Creatore?  Ma  sempre  più  si  rileverà  l'ingiustizia 
deirinterpetrazioneda  un  passo  diSuida  (19)9  che 
riferisce  un  frammento  di  antico  etrusco  scrittore 
sulla  creazione  del  mondo^  degno  d'esser  letto  an- 
cora per  certa  somiglianza  che  ha  colla  Genesi  , 
benché  i  giorni  sieno  protratti  a  migliaja  di  anni . 
Conviene  leggere  il  passo  originale  perchè  meglio 
apparisca  l'analogia:  «  Opificem  rerum  omnium 
Deum  duodecim  annorum  millia  Unix^ersi  huius 
creationi  impendisse ,  ac  primo  millenario  fecisse 
coetum  et  terram,  altero/ecisse  firmamentum  illud 
ijfuod  apparet ,  idque  coelum  sfocasse ,  tertio  mare 
et  aifuas  omnes  quae  sunt  in  terra  y  quarto  lumi^ 

(18)  Sectan,  SaL  t. 

(19)  Suidasy  in  voce  Th^neni. 


CAPITOLO   SECONDO      i3i 

naHa  magna  solem  et  Itmam  >  ttemque  siellas , 
quinto  omnem  animam  polucrum ,  reptilium  et 
quadrupedum  :  videri  itaque  potest  sex  milliarios 
ante /omiationem  homi  ni  s  praeteriisse,  et  reliquos 
sex  milliarios  duraturum  esse  genus  hominumj  ut 
sii  unis^ersum  consumationis  tempus  duodecim  miU 
lium  annorum  p.  •  lu  questo  passo  il  Creatore  è  di* 
stìnto  dalle  cose  create^  lo  che  non  è  nel  sistema 
di  Spinosa  9  e  si  parla  si  distintamente  di  atto  di 
creazione,  che  se  restasse  alcun  dubbio  sarebbe  di- 
sciolto. La  parola  ipo\  fato  ammette  tante  spiega  ** 
zioni  nei  sistemi  degli  antichi  naturali  teologi,  che 
dopo  aver  chiaramente  parlato  Seneca  di  providen- 
sa  e  consiglio,  sarebbe  una  cavillosa  malignità  il 
torcerla  in  mala  parte  :  almeno  leggendo  gli  anti* 
chi  filosofi  si  trova  tanta  oscurità  di  sentimenti, 
che  non  è  giusto  attaccarsi  al  peggio:  anzi  siccome 
i  medesimi  errori  metafisici  sono  spesso  repetuti 
con  cambiamento  di  nomi ,  si  troveranno  in  Seneca 
Bolla  spiegazione  del  fato  molte  delle  stesse  sotti* 
gliezze  inintelligibili,  che  sulla  dottrina  della  gra- 
zia ,  e  della  predestinazione  inventarono  i  Gianse* 
nisti(ao).  E  veramente  anche  i  celebri  inglesi  scfit* 
tori  deir istoria  universale ,  e  l'acutissimo  Cudworth 
hanno  nel  miglior  senso  interpetrato  il  passo  di  Se- 
neca da  cui  ci  siamo  dipartiti. 

Di  tutto  il  resto  dell'etnisca  filosofia  >  non  abbia« 
mo  che  scarsi  frammenti  ;  filosofia,  che  come  tutta 
l'antica,  è  per  lo  più  ipotetica  e  tenebrosa:  ma  se 
si  potesse  provare  come  molti  eruditi  hanno  soste- 
nuto, che  Pittagora  fu  nativo  di  Etruria,  questa 

(ao)  Tedi  Senec.  quauL  naiur»  lib.  a.  $•  36.  S;.  5t.. 


i3a  LIBRO   PRIMO 

filosofia  acquisterebbe  un  grau  lustro*  La  lite  pende 
tra  Saino  e  TEtruria^  e  sì  può  citare  un  numero 
eguale  di  scrittori  per  una  parte  e  per  T altra.  Se 
cade  il  dubbio  sull'origine^  è  poi  certissimo  che  que- 
sto padre  della  filosofia  è  state  lungamente  in  Italia 
nella  Magna^Grecia ,  ove  fondò  una  celebre  scuola  , 
di  cui  per  ben  conoscere  la  dottrina,  Platone  ven- 
ne a  bella  posta  in  Italia  (ai).  Dopo  i  suoi  viaggi 
Pittagora  cercando  un  pacifico  terreno  ove  vivere 
fuggendo  Samo,  oppressa  dal  tiranno  Policrate,  e 
visitata  Olimpia y  Elide  e  Sparta,  non  vi  trovando 
agio  a  filosofare,  venne  in  Italia  ,  e  nella  pacifica  e. 
sontuosa  Magna -Grecia  risvegliò  la  più  grand'am- 
mirazione  del  suo  sapere  (sa)  •  Crotone  vide  più  di 
due  mila  discepoli  afifollarglisi  intorno:  la  pace  cbe 
godeva  allora  questo  paese,  la  sua  saggia  costituzio- 
ne, vi  avevano  generato  un  lusso  straordinario,  e 
Sibari  ha  perpetuato  col  suo  nome  fino  ai  nostri 
tempi  la  mollezza   per  cui  aveva  acquistato  una 
poco  onorevole  celebrità  •  Pittagora  ne  riformò  colle 
sue  lezioni  il  lusso  e  T  effeminatezza,  e  davanti  a 
questo  filosofico    e   politico  missionario,  le  donne 
stesse  deposero  i  ricercati  abbigliamenti ,  e  ne  pre- 
sero dei  più  modesti •  I  principi  della  morale  e  della 
politica  ,  cbe  tendono  a.  migliorare  la  società,  e 
render  gli  uomini  felici,  erano  il  principale  oggetto 
delle  sue  lezioni;  né  furono  da  lui  negletti  gli  ar- 
cani della  natura  •  Benché  molta  parte  della  sua 
dottrina  restasse  avvolta  in  tenebrosi  misteri ,    è 
certo  però  che  Pittagora  ha  insegnato  molte  delle 
più  belle  verità,  che  appresso  sepolte  nell'oblio, 

(ai)  Cic.  Tusctil.  lib.  i. 

(a 3)  Porph,  JamhL  Giustino. 


CAPITOLO  SECONDO  i33 
iodi  risorte^  hanno  fatto  onore  come  nuore  scoperte 
ai  moderni.  Alni  appartiene  b  dimostrazione  della 
celebre  proposizione  fyj  di  Euclide  nel  lib.  i.^  la  di- 
stribuzione della  sfera  celeste^  e  perciò  il  Copernica- 
no sistema,  l'obliquità  dell'eclittica^  la  causa  del- 
l'eclissi solare  e  lunare^  la  legge  di  gravitazione 
verso  il  Sole  dei  pianeti  in  ragione  reciproca  dei 
quadrati  delle  distanze^  la  natura  delle  comete 
ec.  (sS)  •  Anche 

R  signor  dell* altissimo  canto. 

Omero  viaggiò  per  V  Italia,  e  si  trattenne  in  Etru- 
ria  ove  forse  apprese  le  favole  di  A  verno,  di  Ache- 
ronte, di  Circe,  delle  Sirene  ec.  ^  e  sarebbe  sola- 
mente tristo  il  rammentare  che  in  questo  paese 
avesse  perduta  la  vista  (24)*  Tagete  fu  probabil- 
mente un  saggio  filosofo  etrusco,  giacché  è  parago- 
nato a  lui  Platone ,  e  solo  il  merito  suo  reale  è  gua- 
sto dalle  favole .  Il  sapere  degli  Etruschi  pare  fosse 
avuto  assai  in  pregio  dai  Romani,  giacché  per  testi, 
monianza  dì  T.  Livio  facevano  istruire  i  loro  figli 
nelle  toscane  ,  come  appresso  nelle  greche  lette- 
re (t5).  Coltivarono  gli  Etruschi  la  medicina,  e  pas- 
sò TEtrurìa  per  inventrìce  di  medici  rimedj  (26); 
noi  non  la  chiameremo  inventrìce  di  quella  scienza, 

(a 3)  Gregory»  Mac-LHuriiìy  Montucla,  Dateas»  Mainers  ee. 

(«4)  HeracL  Ponticfragmen,  de  PoUtiis,  Gori»  Mas.  Etrusc. 
Tom.  a. 

(a5)  Ecco  il  passo  di  Liv.  lib.  9*  Auctores  habeo  romanos 
pueros  siculi  nunc  graecis,  ita  lune  etruscis  Uteris  erudiri  solitos. 
Si  notino  le  parole  etruscis  Uteris,  onde  si  toglie  ogni  dubbio 
mosso  da  alcuni  scrittori  che  s'intenda  di  cerimonie  religiose: 
n'  erano  mandati  anche  per  questo  fine ,  ma  il  passo  di  Livio  parla 
d'istruzione  letteraria . 

(a6)  Martian,  Capeìl,  de  nupt.  Philosoph,  et  Mere.  lib.  6. 


i34  LIBRO   PRIMO 

gìaechò  non  sarebbero  forse  contenti  ì  medici  della 
maniera  di  provarlo  del  Demstero^  il  quale  da  una 
lettera  probabilmente  apocrifa  di  Ippocrate  a  File* 
pomene^  in  cui  dicesi  cbe  la  medicina  ba  stretta 
parentela  con  V  arte  divinatoria ,  deduce  che  gli 
Etruschi  inventori  di  questa  debbono  esserlo  stati 
anche  della  medicina  •  Un'  opinione  dei  Toscani  rin- 
nuovata  ai  dì  nostri  (27)  fu  che  i  fulmini  escìssero 
anche  dal  seno  4ella  terra ,  oltre  quei  che  scendono 
dalle  nubi  (28);  opinione  che  si  può  sostenere  al* 
meno  in  parte,  anche  dopo  le  grandi  scoperte  di 
Franklin,  giacché  nel  ristabilirsi  TequiUbrio  elet- 
trico tra  le  nubi  e  la  ferra,  può  qualche  volta  farsi 
su  questa  l'esplosione^  e  la  corrente  dell'elettrico 
fuoco  andar  dal  basso  all'alto  :  l'opinione  mostra 
negli  Etruschi  ingegno,  osservazione,  «  raflinatezza 
di  ragionare  ,  giacché  non  poca  n'  abbisogna  per 
contradire  alla  comune  credenza  ed  ai  sensi.  Ma 
chi  crederebbe  cbe  un  moderno  scrittore  abbia  ono- 
rato gli  antichi  aruspici  etruschi  e  latini,  con  una 
delle  più  grandi  moderne  scoperte,  colla  celebre 
invenzione  del  suddetto  Franklin^  l'arte  di  farsi 
obbedire  dai  fulmini?  Il  sig.  Dutens  nelle  sue  osser- 
vazioni più  ingegnose  cl^e  vere  sull'origine  delle 
scoperte  attribuite  ai  moderni,  dopo  aver  sostenuto 
che  gli  antichi  hanno  conosciuto  ed  adoprato  il  te« 
lescopio  (29),  ha  il  coraggio  di  avanzare  si  strana 

(27)  Maflfei. 

(38)  Plin.  Hist.  Dai.  lib.  ».  cap.  53.  Seneca  Quaest.  nattir. 

(39)  h'  esperienza  aveva  insegnato  aeli  antichi  cbe  scendendo 
in  fondo  di  an  pozzo,  si  vedevano  le  stelTe'anche  di  giorno  :  sì  fa* 
ceva  uso  di  alcuni  tubi  luoghi  ed  aperti  da  ambe  le  parti  per  guar- 
di^re  i  lontani  oggetti»  giacché  non  ricevendo  nelioccbio  cbe  i 
raggi  emananti  da  quel  solo  oggetto  che  si  guarda ,  la  sensazione  sì 
fa  pia  viva  :  questi  sono  i  tefescopj  degli  antichi:  il  Sig.  Datens 


CAPITOLO  SECONDO  i35 
ats^rzione^  né  ailra  ra^giooe  adduce  per  aosteuerla, 
se  non  che  sappiamo  che  vi  erano  alcune  cerimonie 
religiose  contro  i  fulmini  a  Gioire  Elido  y  che  egli 
traduce  Giosuè  Elettìfico.  Questo  Giove,  dice  egli, 
personificato  nel  fulmine  era  costretto  a  venire  in 
terra ^  fondandosi  specialmente  sui  vetsi  di  Ovidio: 

Elieiunt  coelo  te  Jupiter^  unde  niinores 

JPfunc  quoque  te  celebrante  pliciumque  sfocanti 

Soggiunge  che  Tulio  Ostilio,  nel  praticar  malamen^ 
te  la  cerimonia  di  evocare  il  fulmine  restò  ucciso, 
come  il  disgraziato  Bicheman  ai  nostri  tempi  :  que- 
st'aerea congeltura  prenderebbe  corpo  e  valore,  se 
si  verificasse  l'esistenza  di  un'antica  medaglia  rap- 
presentante Giove  in  alto  col  fulmine  alla  mano,  e 
al  disotto  un  uomo  che  regola  col  filo  un  aquilone, 
eh' è  il  metodo  con  cui  Franklin  portò  all'ultima 
evidenza  il  suo  sistema .  Ma  una  medaglia  così  sin- 
golare ch'ecciterebbe  tanto  l'attenzione  degli  anti- 
quari e  dei  filosofi,  non  si  sa  ove  sia ,  e  l' importanza 
del  fatto  meritava  che  Y  autore  si  procacciasse  i 
mezzi  di  vederla,  o  almeno  nominasse  l'amico  che 
asseriva  averla  vista;  giacché  il  pubblico  non  si  può 
contentare  di  sì  vaga  e  incerta  asserzione  (3o) .  Ma 

^  *gg^°°g6  gratuitamente  le  lenti  >  interpetrandt»  stranamente  dei 
passi  di  antichi  scrittori.  E*  facile  a  chi  ha  fior  di  senno  il  vedere» 
che  ana  scoperta  si  stupenda  non  sarebbe  stata  accennata  dubbia- 
mente »  ma  che  in  cento  luoghi  se  ne  avrebbe  \a  descrizione:  la 
saa  utìl ila  nella  navigazione,  nelle  armate,  l'avrebbe  fatta  ram* 
mentar  mille  volte .  Lo  stesso  si  dica  della  scoperta  Frankliniiana. 
Chi  crederebbe  che  siffatto  scrittore ,  che  ha  attribuito  agli  antichi 
quasi  tutte  le  più  grandi  scoperte  moderne,  si  rida  del  Demstero 
perchè  attribuisce  troppe  invenzioni  agli  Etruschi  •  Tanta  verità  è 
nascosta  nella  favola  aelie  due  bisacce  di  Esopo  ! 

(3o)  Ecco  le  parole  dell'autore  ce  nn  personaggio  degno  di  fé- 
«  de  mi  ha  asserito  che  ultimamente  si  è  trovata  una  medaglia  col- 


i36  LIBRO  PRIMO 

proseguendo  le  invenzioni  etrusche^  gì' indovini^  che 
certamente  osservavano  i  celesti  fenomeni  (giacché 
in  essi  gl'indovini  di  ogni  paese  hanno  sperato  leg- 
gere il  futuro)  fecero  menzione  dell'anno  grande, 
ciocché  mostra  perizia  non  ordinaria  di  astronomia. 
Plinio  asserisce  che  i  molini  a  mano  furono  inven- 
tati dalla  città  di  Bolsena  ;  e  se  Piseo  Tirreno  ag- 
giunse alla  nautica  l'ancora,  e  il  rostro  navale  (Si), 
é  un  nuovo  monumento  della  periztk^jdella  naviga- 
zione degli  Etruschi.  L'invenzione  degli  strumenti 
da  fiato,  o  piuttosto  la  cultura  grande  della  musi- 
ca,  é  congetturata  dall'osservazione  che  n^i  hassi 
rilievi  etruschi ,  e  non  d*  altra  nazione ,  esprimenti 
feste  e  sacrifizj,  si  veggono  gli  strumenti  da  fia- 
to (3^),  e  la  tirrena  tuba,  per  uni  versai  consenso 
degli  scrittori ,  fu  toscana  invenzione  (33).  I  Romani 
ebbero  le  prime  teatrali  rappresentanze  dall' Etru- 
ria;  e  dalla  sua  lingua  gli  attori  chiamansi  ancora 
istrioni  (34):  Le  favole  Atellane,  rozzi  componi- 
menti drammatici,  furono  dagli  Osci,  popolazione 
etrusca ,  portate  a  Roma  (35) .  Volunnio  scrìsse  del- 
l'etrusche  tragedie  (36),  probabilmente  avanti  che 
i  Romani  avessero  i  primi  rudimenti  delle  lettere; 
e  i  giojali  e  licenziosi  Fescennini  passarono  ai  Ro- 
mani dall' etrusca  popolazione  Fescennia.  Furono 
quelli  dirozzati  in  quasi  tutte  le  arti  dai  Toscani, 

(c  r  iscrizione  Juppiter  Elicius  rappresentante  Giove  col  fulmine 
ce  in  alto ,  e  sotto  un  uomo  che  regola  un  cervo  volante  » .  Dutens 
orig.  ec.  traduz.  di  Venez. 

(3i)  Plin.  lib*  7.  cap.  S6. 

(33)  Bnonarr.  Supple.  ad  Demst 

(33)  Athen.  Deips.  lib.  4*  PoUu.  Onomas.  cap.  1 1. 

(34)  Tac.  ann.  lio.  i4* 

(35)  Tit.  Liv.  dee  i .  lib.  7 . 

(36)  Verr.  presso  Demst. 


CAPITOLO   SECONDO      iZy 

e  da  questi  presero  e  virtù  e  viz)^  e  pregj  e  difetti. 
Le  maschere  sceniche  dei  Romani  sono  pure  inven- 
zione dei  Toscani  (37)  i  e  se  impararono  da  questi 
la  formidabile  disciplina  di  combattere  a  pie  fermo 
in  battaglione  serrato  (38)^  adottarono  ancora  le 
barbare  pugne  de' gladiatori.  La  maggior  parte  dei 
giuochi^  delle  processioni^  e  religiose  costumanze 
entrarono  in  Roma  dall'  Etruria  •  Ecco  indizj  di 
scienze  e  lettere ^  cultura  di  ogni  sorte,  poche  linee 
e  brevi  tocchi ,  ma  che  indicano  avere  appartenuto 
a  un  gran  quadro  distrutto  quasi  affatto  dal  tempo . 

Insigni  memorie  si  avrebbero  di  quel  popolo ,  se 
i  misteriosi  monumenti  pubblicati  da  Curzio  Inghi- 
rami  non  fossero  stati  dimostrati  apocrifi.  La  sin- 
golarità del  fatto  vuole  che  se  ne  faccia  parola.  Cur« 
zio  Inghirami^  giovine  volterrano,  neiranno  i634) 
trovandosi  alla  sua  villa  di  Scornello  tre  miglia 
distante  da  Volterra ,  scagliando  per  sollazzo  de' sas- 
si, avendone  smosso  alcuno  grande,  ne  vide  sotto 
di  esso  uno  nero  di  figura  globulare;  ed  avendolo 
rotto,  lo  trovò  formato  di  varj  strati  e  cortecce  di 
bitume,  cera,  incenso,  storace,  mastice,  peli,  e  nel 
centro  una  carta  nella  quale  erano  notate  delle  pro« 
fiszie.  Proseguendo  a  scavare,  molti  simili  inviluppi 
si  trovarono,  ne' quali  e  profezie  e  pezzi  d'istoria 
etmsca  e  riti  religiosi  erano  notati  ;  il  numero  di 
questi  monumenti  è  grandissimo,  e  sono  stampati 
in  un  grosso  volume  (39) .  Fra  quelli  avvi  una  let- 
tera di  un  Prospero  fiesolano,  a  cui  pare  apparten- 


C37)  DemsL  Tom.  2.  tav.  90. 
OS)  Athen.  lib.  6. 

C39}  Etruscarum  antiq.  fragmenta  a  Curtio  Inghirami  prope 
Scoruelium  reperta. 


i38  tlBRO    PRIMO 

ga  la  maggior  parte  di  queste  memorie  e  profezie  • 
Racconta  che  viveva  nei  tempi  di  Siila ,  e  nascoso 
avea  le  memorie  negV indicati  involucri,  eh* ei  chia- 
ma Schariih  (4^)*  Essendo  caduto  subito  il  dubbio 
suir autenticità  di  siffatte  memorie,  il  Granduca 
Ferdinando  IL  volle  farne  processo,  ed  elesse  ana 
deputazione  di  due  nobili  fiorentini  che  con  degl'in* 
gegneri  assistessero  all'  escavazioni,  nelle  quali  nuo- 
vi scritti  si  scopersero ,  e  i  deputati  e  i  periti  asse- 
rirono che  il  terreno  non  era  stato  tocco  da  più  se- 
coli ;  e  tutto  ciò  fu  da  una  formale  sentenza  dicbia* 
rato  (40  •  Ma  il  tribunale  competente  di  questa  lite 
era  quello  degli  antiquarj  non  dei  legisti.  Infatti 
quelli  presto  giudicarono  supposte  le  profezie  di 
Prospero  9  e  fra  gli  altri  si  distinsero  Enrico  Erne* 
atio  ,  e  Leone  Allacci  mostrandone  mille  incon- 
gruenze .  Realmente  la  frode  era  stata  un  po'  gros- 
solana .  Non  solo  Fautore  si  era  servito  di  carta  for- 
mata di  stracci ,  ma  avea  fatto  delle  profezie  trop- 
po evidenti ,  per  non  sospettare  che  fossero  nate 
dopo  r avvenimento.  Tale  è  quella  ove  si  profetiz- 
za che  la  Casa  Farnese  sarebbe  signora  di  Parma  • 
Per  quanto  si  voglia  credere  il  diavola  profeta  (J\^)^ 

(4 o)  Questa  parola  non  ba  alcun  senso  se  non  ai  volesse  dar- 
gli quello  dedotto  satiricamenle  dall' Allacci  dall'Ebraico  che  sjgni- 
ucsi frode,  inganno. 

(4  ■)  Documenti  raccolti  dal  sig.  Gtnonico  Lisci .  Si  può  nota- 
re quanto  sia  difScile  questo  giudizio^  giacché  un  terreno  smosso 
dopo  un  anno  o  due»  per  la  pioggia  e  a^vpallamento,  non  può  age- 
▼ofmeute  distinguersi  dal  terreno  non  sniosso. 

(4 a)  Il  celebre  Fontenelle,  dopo  ayere  scritto  l'estratto  del- 
l'opera di  Yandale  sugli  Oracoli ,  in  cui  si  sosteneva  ch'erano  in- 
Sanni  dei  preti  pagani ,  fu  il  suo  sentimento  attaccato  dal  gesuita 
»altOj  il  quale  sostenne  ch'era  il  diavolo  che  rendeva  gli  oracoli  e 
che  l'opinione  di  Vandale  e  di  Fontenelle  non  era  ortodossa*  Fon- 
tenelle stimolato  da  un  giornalista  a  rispondere  ^  ma  che  voleva  de- 
dioal-e  una  tal  questione ,  fece  al  giornalista  quella  celebre  rìapo- 


CAPITOLO   SECONDO      iSq 

^pena  si  troverà  nei  nostri  tempi  alcuno  imbecille 
che  creda  il  fiesolano  aruspice  capace  di  tanto  .  Re* 
filerebbe  a  dir  qualche  cosa  sull'autor  della  frode  : 
non  è  facile  a  determinarlo.  Il  primo  sospetto  cade 
in  Curzio  Ingbirami  ;  ma  non  può  verisimilmente 
immaginarsi  che  un  giovinetto  di  pochi  anni  V  ab- 
bia eseguita  ;  quando  fu  esaminato  ne  avea  venti 
finiti  :  dando  un  tempo  necessario  a  scriver  così  gran 
numero  di  carte ,  in  cui  si  dovevano  variare  tante 
mani  di  scritto ,  e  poi  quello  che  doveva  scorrere, 
perchè  il  terreno  si  consolidasse ,  e  non  apparisse 
smosso,  si  arriverà  a  un'età  si  tenera  di  questo  gio- 
vinetto da  non  crederlo  atto  ad  immaginare,  ed 
eseguir  T inganno.  Chiunque  sia  stato  però  il  falsa- 
rio, deve  porsi  per  la  mentovata  profezia  fra  lo  sta* 
bilimento  della  Casa  Farnese  in  Parma ,  cioè  fra 
l'anno  i544  ^  almeno  i55o  e  il  1634.  Forse  dopo 
aver  nascoso  gli  scritti,  la  morte  lo  prevenne  dal 
ridersi  della  semplicità  di  coloro  che  vi  prestassero 
fede  (43);  e  il  disputare  a  chi  ne  appartenga  l'in- 
venzione, ha  detto  saviamente  un  moderno  istori* 
co,  è  io  stesso  che  questionare^  qual  nazione  sia  la 
più  antica. 

Le  belle  arti  sono  abitatrici  di  tutti  i  climi,  ma 
simili  alle  piante  non  trovano  ogni  suolo  egualmen- 
te fecondo.  Figlie  dell' immaginazione,  son  nate 
ogni  volta  che  il  pubblico  applauso  o  il  regio  favore 
ne  ha  sviluppati  quei  germi,  che  la  natura  ha  in- 
siti nell'anima  tanto  degli  eleganti  greci  artisti ,  che 

Iti  :  «  /e  consens  que  le  diahle  aie  èie  prophete  puisque  le  Jesui» 
te  le  veux,  et  quii  crcit  cela  plus  ortodoxe  » . 

(43)  SI  consolli  la  dottÌMima  opera  di  Leone  Aliaceli  in  cui 
con  tanto  criterio  ed  erudizione  esamina  la  cartai  l'ortogr^^fìa  e 
llnchiostro  stesso  delle  scritture  nominate»  e  le  dimostra  moderne. 


i4o  LIBRO    PRIMO 

dei  selvaggi  americani.  Perduta  opera  sarebbe  per- 
tanto r  indagare  nelFoscuro  barlume  dei  vetusti  se- 
coli^ Torigine  della  pittura  e  delle  arti  sorelle:  e  se 
l'invenzione  della  pittura  è  stata  attribuita  ad  Amo- 
re^  che  dettò  alla  donzella  di  Sicione  V  ingegnoso 
artifizio  di  segnar  nel  muro  i  contorni  dell'ombra 
del  volto  del  suo  amante  che  stava  per  partire^  con* 
viene  confessare  che  siffatta  asserzione  è  più  poeti- 
ca che  istorica ,  essendo  troppo  facile  il  pensiero  per 
non  esser  prima  di  quel  tempo  caduto  in  mente  ai 
più  antichi  abitatori  della  terra  (44)*  ^  inutile  per- 
tanto il  perder  tempo  a  investigare  da  qual  altro 
popolo  gli  Etruschi  abbiano  appreso  le  belle  arti. 
Nulla  vi  è  di  sicuro  traile  tenebre  dell' antichità , 
onde  abbiamo  tutto  il  dritto  di  supporre  che  siano 
nate^  e  cresciute  in  Etruria,  come  lo  furono  in 
India,  in  Egitto.  Che  i  Greci  neir antiche  emigra- 
zioni in  Etruria  vi  abbiano  portate  le  belle  arti ,  co- 
me  ha  creduto  Winckelmann,  è  non  solo  incerto^ 
ma  probabilmente  falso ,  giacché  T epoca  della  gloria 
dell'arti  greche  essendo  posteriore  a  quella  del- 
l'etruscbe,  sarà  difficile  il  dimostrare  che  i  greci 
coloni  di  quei  tempi  fossero  più  culti  dei  loro  con- 
temporanei etruschi.  Ma  scorriamo  varie  epoche 
dell'antica  Grecia,  dalle  quali  si  possa  dedurre,  se 
in  questo  paese  si  coltivassero  le  arti  nei  tempi, 

(44)  Verameote  Plinio  parla  dell'  orìgine  dell'  arte  plastica  o 
modellatrice  quando  racconta  questo  faUo  (lib.  35.  e.  la.)  che  da 
molti  è  stato  applicato  all'  origine  della  pittura:  è  vero  che  ancor 
qnaesta  la  vuole  inventata  Collo  stesso  artifizio  in  Sicione  o  in  Co- 
rmto  »  e  deride  gli  Egiziani  perchè  vantavano  che  quell*  arte  era 
nata  presso  di  loro  6ooo  anni  prima  che  in  Grecia  (  lib.  3.  e.  3.)  : 
ma 'senza  eccettuare  la  cronologia  egiziana,  dovette  l'arte  esser 
nata  in  Asia  o  in  Egitto  assai  prima  che  in  Grecia ,  perchè  quei 
paesi  furono  culti  prima  della  Grecia. 


CAPITOLO  SECONDO         ,41 

ne' quali  fiorivano  in  Etruria.  Nella  prima  sua  epo- 
ca,  di  CUI  esiste  memoria,  dominata  dai  feroci  Pe- 
lasgi,  e  dai  rozzi  Elleni,  niuna  idea  ebbe  d'arti 
imitative ,  Successero  i  tempi  eroici  ;  e  la  nave  Ar- 
go  tanto  celebrata  non  condusse  probabilmente  che 
dei  corsari ,  che  andavano  in  Coleo  a  rapire  V  oro 
che  si  estraeva  dall'arene  del  fiume  Fasi .  Successe 
la  guerra  de'  sette  Eroi  contro  Tebe,  e  finalmente 
la  celebre  guerra  trojana.  Per  tutti  questi  tempi, 
non  si  ha  il  più  piccolo  indizio  che  fossero  coltivate 
le  belle  arti  in  Grecia,  ma  solo  la  poesia,  che  fra 
le  nazioni  anche  le  più  rozze  è  stata  compagna  de- 
gli eroi  e  dei  guerrieri.  Dopo  la  mina  di  Troja^  i 
Principi  ch'erano  stati  tant'anni  assenti  dai  loro 
dominj,  li  ritrovarono  tutti  sconvolti,  pronti  a  sol- 
levarsi ;  onde  turbata  la  pace  domestica ,  ne  segui- 
rono Serissime  guerre  civili ,  che  desolarono  quel 
paese  per  circa  quattro  secoli,  eloquentemente  de- 
«critte  da  Tucidide.  Il  IV.  secolo  dopo  la  i:uina  di 
Troja  coincide  coli' origine  di  Roma,  tempo  in  cui 
gr industri  Toscani,  le  di  cui  città  erano  floridissi- 
me  e  godevano  una  tranquilla  pace,  dipingevano, 
e  gettavano  maravigliosamente  il  bronzo;  giacché 
d  attesta  Plinio,  che  le  pitture  di  Ardea  e  di  La- 
Duvio  erano  anteriori  a  Roma,  e  che  il  carro  trion- 
&le  di  Romolo  fu  gettato  in  bronzo  dagli  etruschi 
artefici  • 

Questa  breve  istoria,  e  in  specie  la  testimonianza 
diPUnio,  che  le  arti  fiorissero  in  Etruria  prima 
della  nascita  di  Roina ,  distrugge  ogni  difficoltà  con- 
tro la  nostra  asserzione,  e  specialmente  quella  de- 
dotta dall'emigrazione  da  Corinto  di  Deniaratu,  ri- 
ferita da  Straboue,  su  cui  si  è  fatto  tanto  fonda- 


t^t  LIBRO   PRIMO 

mento  dai  fautori  de' Grecia  e  che  convien  esporre 
per  esser  da  tanti  riferita,  come  prora  che  moltid- 
Simo  debbano  nelle  arti  imitative  ai  Grejci  i  Tosca- 
ni  •  Eccola  • 

Dopo  la  fabbricazione  di  Róma  venne  Deraarato 
da  Corinto,  conducendo  delia  gente,  ed  avendolo 
accolto  gl'istessi  Tarqoinesi ,  genera  Lucumone  da 
una  donna  di  quel  paese  sua  moglie.  Divenuto  poi 
amico  di  Anco-Mar2Ìo  Re  dei  Romani ,  esso  Lucu- 
mone ebbe  il  regrlo,  e  fu  chiamato  Lucio  Tarquinio 
Prisco.  Tanto  questo  che  suo  padre  adornò  r£tru- 
ria ,  questi  coi  manifattori  che  dalla  patria  lo  ave- 
vano seguitato,  quegli  colle  ricchezze  che  si  trae- 
vano da  Roma.  Qbesto  è  il  celebre  passo,  su  cui  si 
appoggiano  molti  antiquarj  per  fare  i  Greci  maestri 
deirCtruria.  Ma  per  tagliar  subito  il  nodo,  convien 
rammentarsi  aver  noi  mostrato  che  fiorivano  le  arti 
in  Etruria  pria  della  nascita  di  Roma, onde  in  que- 
sta spedizione  di  Demarato,  se  potè  trovarsi  qual- 
che artista ,  poco  da  esso  poteva  accrescersi  alle  arti 
toscane  che  allora  fiorivano  più  delle  greche .  Ghia- 
mansi  da  Strabone  questi  artisti  demiurgi j  parola 
che  genericamente  abbraccia  ogni  genere  di  arti,  e 
grammaticalmente  poi  coloro,  i  lavori  dei  quali  so- 
no pubblicamente  esposti  a  vendersi.  Ma  ascoltia- 
mo un  altro  greco  istorico,  quasi  Contemporaneo, 
e  forse  alquanto  anteriore  a  Strabone,  cioè  Dionisio 
d'Àlicarnasso,  che  narra  la  venuta  di  Demarato. 
Così  egli  parla  (45);  «  Demarato  facendo  il  mer- 
caote  navigò  in  Italia,  avendo  a  sue  spese  caricata 
una  nave  di  merci  :  vendutele  per  le  città  etnische, 

(45)  Lib.  3.  !•  46.  antiab.  rom. 


CAPITOLO  SECONDO         143 
che  allora  erano  le  più  Jloride  dell' Italia,  e  fatto 
graa  guadagno,  non  volle  toccare   altri  porti ,  ma 
per  lo  stesso  mare  sempre  andando  e  venendo, 
portava  le  greche  merci  agli  Etruschi,  e  Tetrusche 
ai  Greci  ;  ma  nata  una  sedizione  in  Corinto  disegnò 
partirne  e  si  stabili  in  Tarquene  ec.  n  Non  v^  è  in 
quest'autore  una  parola  di  artefici  del  genere  che 
li  Terrebbe  intendere  «  ma  di  mercanti  che  vendo* 
DO  0  barattano,  colle  greche^  etruscbe  merci,  e  che 
corrisponde  esattamente  alla  parola  demiurgi.  Se  , 
come  asserisce  Dionisio ,  le  città  di  Etruria  erano  le 
pia  fortunate  d' Italia  cioè  nel  massimo  loro  splen- 
dore, non  si  ha  egli  da  immaginare  che  appunto  vi 
fiorissero  le  belle  arti?  si, paragonino  i  due  passi,  e 
poi  ciascuno  col  suo  intimo  senso  decida.  Innume*- 
rabili asserzioni  di  autorevoli  scrittori  attestano,  che 
ionauzi  alla  venuta  di  Demarato  erano  le  belle  ar* 
ti  Del  loro  fiore  in  Etruria  :  le  bellissime  pitture 
che  si  trovavano,  per  testimonianza  di  Plinio,  in 
Ardea^io  Cere,  furono  lavorate  avanti  la  nascita 
di  Roma.  La  quadriga,  la  statua  di  Romolo  coro- 
nata ààlla  Vittoria,  lavoro  di  bronzo  (46)»  fu  opera 
d^li  Etruschi ,  che  così  maravigliosamente  getta- 
vano quel  metallo.  Lo  stesso  Tarquinio  Prisco,  vo« 
fendo  fabbricare  l'insigne  statua  di  Giove  Capitoli- 
no, non  ai  Corinti  ricorse,  ma  a  Turriano  di  Fle- 
geile,  ov'erauo  arti  etruscbe.  Che  cosa  si  può  repli- 
care a  questi  fatti  ?  si  è  già  veduto ,  che  a  motivo 
delle  circostanze  politiche  e  delle  guerre  dei  Greci , 
OOQ  potè  la  Grecia,  prima  della  nascita  di  Roma, 
Coltivar  le  belle  arti,  per  le  quali,  ozio  e  tranquil- 

(46)  Dion.  d'Aliearn.  Ànticb.  rom.  lib.  5. 


i44  LIBRO  PRIMO 

lità  è  necessaria.  Resta  dunque  dimostrato^  per  quan- 
to una  siffatta  dottrina  n'è  capace^  Tanteriorità  del- 
Tarti  delFEtruria.  Mon  faremo  alcuna  critica  os- 
servazione (  che  molte  far  se  ne  potrebbero  )  sul 
passo  di  Strabene y  non  essendo  necessario.  Non  di- 
remo che  ì  Greci,  avidi  di  dedurre  tutte  le  belle 
cose  dalla  lor  patria,  hanno  spesso  sfacciatamente 
mentito,  come  Dione  Cassio  su  Cicerone  da  lui  ca- 
lunniato, per  deprimerlo  in  faccia  ai  suoi  filosofi. 
I  Romani  pur  troppo  li  conoscevano ,  e  Giovenale 
esclamò 

. ...  Et  quidquid  Graecia  mendax 
Audet  in  historia. 

Perciò  tutte  le  favolose  istorie  da  Pausania  e  da  al- 
tri asserite  sopra  Dedalo,  tanto  celebrato  per  arti* 
sta,  vanno  poste  nella  stessa  lista,  seppure  nella 
favola  di  Dedalo  adottata  da  Virgilio,  non  si  fosse 
voluto  simboleggiare  il  cammino  delle  belle  arti 
passate  dall'Oriente  all'Occidente. 

Dedcdus ,  ut  fama  est,fugiens  Minoia  regna 
Praepetibus  pefmis  ausus  se  credere  coelo 
Jnsuetum  per  iter  gelidos  enavit  ad  Arctos , 
Chalcidicague  le%fis  tandem  superadstitit  arce . 
Redditus  Jùs  primum  terris  tibi ,  Phaebe ,  sacnwit 
Remigium  alarum,  posuitque  immania  tempia . 

Rammenteremo  di  passaggio  ciò,  su  cui  da  molti 
si  fa  grandissimo  fondamento,  come  lavori  del- 
l'antica Etruria,  cioè  le  mine  di  Pesto.  Possidonia 
o  Pesto,  due  miglia  iùcirca  distante  dal  fiumicello 
Silaro  fra  la  Campania,  e  la  Lucania  fu  un'anti- 
chissima città  della  Magna-Grecia.  Adesso  ruìaata, 


CAPITOLO^SECONDO         i45 
ci  mostra  dei  maestosi  ruderi  che  fanno  fede  avere 
appartenuto  a  fabbriche  immense  ed  eleganti  •  Il 
Padre  Paoli  le  riguarda  tutte  come  etrusche^  altri 
come  greche  9  giacché  in  questa  parte  d^  Italia  detta 
Magna  Grecia,  fiorivano  le  belle  arti,  e  certo  alcune 
di  esse  hanno  la  greca  impronta  :  nondimeno  non 
coDvien  credere  tutto  greco,  e  qualche  cosa  convien 
riguardare  come  etrusco,  quando  TEtruria  domi- 
Dava  su  tutta  l'Italia  •  Realmente  iscrizioni  elru- 
8che,ed  alcune  d'insigne  grandezza,  si  sono  tro- 
vate tra  quelle  mine  che  fanno  fede  delle  fabbriche 
toscane,  che  vi  esistevano  ne' primi  tempi.  Alcune 
di  queste  iscrizioni  furono  trovate  dal  Cav.  Hamil- 
ton, e  dal  Sig.  d' Uancarville  incastrate  nelle  mu- 
raglie stesse  della  città ,  onde  può  dedursi  che  la 
città  prima  etrusca  fu  ornata  dai  Toscani,  e  che 
questi  ornamenti  cederono  ai  più  recenti  greci,  ora 
ruinati  dal  tempo  ancor  essi  (47)*  Ma  tratteniamoci 
DD  momento  sull'asserzioni  del  sig.  Winckelmanu 
che  per  esser  uno  dei  più  celebri  antiquarj  della 
nostra  età ,  merita  se  ne  faccia  maggior  conto .  Si 
trova  una  certa  contradizione  nei  suoi  sentimenti , 
0  almeno  una  confusione  per  la  sola  voglia  di  attri- 
buir tutto  ai  Greci,  e  non  creder  la  nazione  etrusca 
capace  da  se  sola  di  muover  un  passo.  Non  può  egli 
negare  che  l'  Etruria  coltivasse  le  belle  arti  prima 
della  Grecia  (43);  nello  stesso  tempo  però  asse- 
risce, che  dalla  venuta  dei  Pelasgi  in  Italia  si  può 
cominciar  V  istoria  dell'arti  etrusche ,  le  quali  sep- 
pur non  deggiono  ai  Greci  intieramente  Y  origine , 
almeno  lor  deggiono  il  maggiore  avanzamento  ;  ma 

(47)  Antiqultés  etrusques  par  M.  d' Hancarvìlle  • 

(48)  Lib.  3.  cap.  i.  Istor.  delle  arti  ec. 

Tvtno  i.  I  o 


j46  libro  primo 

che  cosa  iiaouo  portalo  questi  Peiasgi  in  Italia  7  non 
le  arti  del  disegno ,  che  per  confessione  deirautore 
furono  anteriori  in  Toscana  •  Forse  una  cultura  mag* 
giore  ?  ma  in  tempo  di  questa  supposta  emigrazione , 
la  Grecia  era  mepo  eulta  dell'  Etruria  ;  e  se  mai 
alcuno  volesse  senza  documenti  credere  il  contrario, 
come  mai  un'emigrazione  di  pirati  (conferme  si  è 
notato  di  sopra  )  o  di  miserabile  volgo ,  costretto  ad 
abbandonare  il  proprio  paese  ^  si  può  presumere  che 
apportasse  de'  lumi  di  scienze  e  di  arti  7  Si  può  egli 
credere,  come  vuole  insinuare  l'autore,  che  innanzi 
alla  venuta  di  questi  pirati  hise  l' Etruria  in  una 
profonda  ignoranza  ,  e  all'  apparir  loro  y  che  veni^ 
vano  da  paese  piiì  barbaro,  cominciasse  la  cultura 7 
Sono  queste  asserzioni  senza  prova, anzi contradit- 
torie;  né  altro  si  potrà  concedere  che,  o  per  questa 
venuta ,  o  col  commercio  di  altri  popoli ,  abbiano 
gli  Etruschi  appresi  ijoro  avvenimenti^  o piuttosto 
le  favole ,  e  introdotte  nuove  parole  nella  lingua  • 
L'argomento  di  quest'  illustre  scrittore  per  sostener 
l'opinione,  che  gli  Etruschi  furono  scolari  dei 
Greci,  dedotto  dall'osservazione  che  talora  impres* 
sero  nei  loro  lavori  le  greche  istorie  piuttosto  che 
le  proprie,  è  assai  leggiero,  giacche  l'esperienza  ci 
mostra  quanto  spesso  anche  i  moderni  amino  dipin- 
gere 0  scolpire  piuttosto,  che  i  proprj ,  gli  esterni 
fatti ,  o  personaggi  che  per  la  lontananza  si  conci- 
liano maggior  reverenza;  ed  Ercole,  e  Alessan- 
dro, e  Giro ,  e  Socrate ,  sono  sovente  i  temi  delle 
moderne  arti  •  Che  per  vocale  tradizione ,  piuttosto- 
chè  da'  scritti  monumenti ,  conoscessero  gli  Etru- 
schi quei  fatti,  si  deduce  dalla  confusione,  o  im- 
perfezione delle  notizie.  Nell'etrusca  corniola  del 


CAPITOLO  SECONDO  i/\j 
Bvfseo  Stosciano,  esprimente  gli  Eroi  che  coaibat* 
Urano  Tebe,  non  sette^come  narra  la  greca  storia, 
ma  sol/cìnque  ne  sono  rappresentati:  altri  sbagli  o 
variazioni  si  trovano  su  i  greci  fatti.  Ma  non  si  può 
assicurare  che  non  abbiano  frequentemente  espressi 
anche  i  loro.  Dentanti  bronzi,  o  marmi,  o  terre 
storiate,  che  ci  restano,  alcuni  monumenti  non  sono 
intelligibili,  perchè  alludono  a  storie  sconosciute, 
ed  è  probabile,  che  in  molti  di  questi  si  esprimano 
avvenimenti  etruschi  a  noi  ignoti;  e  veramente  la 
statuetta  di  metallo,  con  iscrizione  sulla  coscia, e  suU 
la  gamba, che  rappresenta  un  fanciullo  con  collana,  e 
bolla  pendente,  un  globo  nella  sinistra,  e  un  au« 
gello  nella  destra,  crede  il  Buonarroti  (49)9  essere 
il  celebre  Tagete, inventore  deiraruspicina.  Si  può 
vedere,  presso  lo  stesso  quanti  altri  bronzi  o  di  mi- 
tologia etrusca^  o  di  storia,  sieno  rappresentati. 
Per  ciò  che  riguarda  la  mitologia, è  assai  dubbioso^ 
secondo  il  parere  del  chiarissimo  Maffei,  se  la  pren- 
dessero dai  Greci, o  non  piuttosto  questi  dagli  Etru- 
schi (5o)*  Egli  è  molto  naturale  Timmaginare,  che 
i  lavori  più  antichi  di  questi  popoli  partecipino  della 
rozzezza  che  hanno  tutte  le  arti  nella  loro  infanzia: 
Fosservazione  e  l'istoria  però  c'insegna  che  veloce- 
mente progrediscono,  e  nel  corso  ordinario  degli 
umani  eventi,  non  si  ricercano  molti  anni  per  con- 
durle ad  una  certa  perfezione.  Cimabue,  Giotto, 
Masaccio,  non  sono  molto  distanti  di  età.  È  assai 
difficile  in  tanta  lontananza  di  tempi ,  e  incertezza 
di  memorie ,  1"*  assegnare  1'  epoche  dei  progressi 
della  scuola  etrusca;  le  tre  fissate  dagli  autiquarj , 

(49)  Appendix  ad  Demst 

(50)  Maffei ,  Osservar.  leUer.  Tom.  3.  estr.  del  Demst. 


i48  LIBRO  PRIMO 

e  la  franchezza  decloro  giudizj  nelF attribuire  a 
ciascuna  i  lavori  etruschi  che  si  paran  loro  davanti^ 
possono  ragionevolmente  recarsi  in  dubbio  da  aom 
di  senno ,  che  contempli  gli  enormi  sbagli  in  cui 
son  talora  caduti  i  giudici  delle  antiche  opere  • 
L'asserire  quando  si  trovano  dei  lavori  ^  che  riva- 
leggiano i  Greci ,  che  i  Toscani  hanno  imitato  que- 
sti ,  inerendo  alle  tre  imaginate  epoche ,  è  un  si- 
stema (5i);  e  lo  spirito  di  sistema  conduce  spesso 
all'errore.  Possono  i  moderni  Toscani,  per  sover- 
chio affetto  al  loro  paese ,  stimar  troppo ,  e  troppo  at- 
tribuire ai  loro  antenati,  e  perciò  ingannarsi;  ma  il 
soverchio  entusiasmo  verso  i  greci  artisti  non  può 
deludere  gli  entusiasti  7  Siamo  giusti:  non  si  ponga 
a  confronto  T  antica  Etruria  colla  Grecia  de' tempi 


(5i)  WìiickelmanD>  storia  deU'arti.  Lanzi  «  deUa  scaltura  degU 
antichi . 

Un  esempio  degli  errori  in  cui  conduce  lo  spìrito  di  sistcnia 
è  un  passo  di  Orazio  citato  dal  secondo .  Le  statuette  toscane  son 
poste  da  quel  poeta  tra  i  piii  preziosi  monumenti  signa ,  marmar, 
ebur,  Th^rrena  sigilla  etc.  L'antiquario  asserisce  che  il  poeta 
intende  di  quelle  lavorate  nella  terza  epoca ,  altrimenti  invece 
di  Th^rrena  avrebbe  usata  la  parola  Tuscanica  :  come  se  i  poeti 
adoprassero  nelle  loro  espressioni  la  precisione  matematica  o  isto- 
ricade  come  se  la  parola  Thyrrena  non  ci  risvegliasse  l'idea  d'an- 
tichità al  par  della  Tuscanica ,  la  quale  inoltre  non  è  né  elegante  » 
né  poetica.  Parimente  non  vedo  come  questo  dotto  autore  abbia 
prodotto  r  autorità  di  Orazio  »  come  se  questo  poeta  abbia  voluto 
seriamente  asserire  che  i  Romani  de'  suoi  tempi  avevano  pittori  ^i 
lottatori  y  e  musici  più  valenti  dei  Greci  : 

pinttimus  atque 

PsallimuSf  et  luctamur  Achivis  doctius  unctis  . 
Orazio  avanza  questa  proposizione  come  un'  assurdità ,  facendo 
precedere  il  verso 

Nihil  intra  est  alea,  nihil extra  in  nuee  duri. 
Non  cadde   mai  in  pensiero  ai  Romani  di   gareggiare  in  quel- 
l'arti coi  Greci,  come  Virgilio >  che  scriveva  nello  stesso  tempo , 
asserisce 

Excudent  alii  spirantia  mollius  aera 

Credo  equid^m ,  vivoi  ducent  de  marmare  vultus  ee. 


CAPITOLO  SECONDO  149 
dì  Pericle  e  di  Alessandro  ;  ma  si  cooTenga ,  che 
la  Etruria  è  stata  maestra  di  se  stessa  ^  e  che  fra  i 
pochi  suoi  resti  ve  n'ha  alcuno  che  s'avvicina  al- 
l'arte somma  dei  Greci  •  Noi  non  siam  gran  fetto 
in  istato  di  giudicare  con  precisione  fioo  a  qual  punto 
fossero  portate  le  arti^  presso  gli  Etruschi^  giacche 
fralle  ruine  deirantichità  assai  scarsi  monumenti 
ci  restano y  né  forse  i  migliori.  Veggiamo  però  che 
dalla  semplice  argilla  (5 a)  giunsero  a  gettare  grandi 
statue  di  bellissimo  bronzo ,  come  ne  fanno  fede  la 
Chimera  della  Real  Galleria  di  Firenze  (53) ,  la  sta- 
^  tua  vestita  alla  romana  ,  che  nell'orlo  del  panneg- 
giamento ha  incisi  caratteri  etruschi,  la  statuetta 
di  Ercole  alta  un  palmo,  che  ha  la  pelle  di  leone 
avviticchiata  al  braccio  sinistro  (54)  »  la  Pallade  di 
grandezza  naturale ,  e  specialmente  la  statua  ritro- 
vata a  Pesaro,  sulla  spiaggia  deirAdriatico,  che  rap« 
presenta  un  giovine  dì  naturale  grandezza ,  e  che 
Winckelmann  afferma  esser  una  delle  più  belle 
statue  di  bronzo  che  abbia  a  noi  tramandata  l'anti- 
chità (55);  benché  getti  qualche  dubbio  sull'origi- 
ne etrusca .  È  da  notare  che  le  iscrizioni  non  son 
mai  sulla  base ,  né  sul  piedistallo ,  ma  sulla  statua 
stessa,  ch'é  una  prova  della  più  alta  antichità.  Non 
ebbero  tal  uso ^  né  i  Greci,  né  i  Romani,  ma  popoli 
anteriori;  e  veramente  racconta  Erodoto,  che  l'an- 
tichissimo simulacro  di  Sesostri  da  lui  veduto ,  avea 

(5i)  Tutte  le  nazioni  hanno  incominciato  dal  dar  forma  al- 
l' argilla ,  e  in  qnasi  tutte  le  antiche  lingue  scultore ,  e  vasajo 
sono  sinonimi. 

Inque  Jotfis  dextra  fidile  fulmen  erat,  Ovid. 

(53)  Fu  trovata  in  Arezzo  nello  scavare  i  fondamenti  della 
lertezuu 

(54)  Winckel.  Tom.  a.  lib.  7.  e.  a. 

(55)  Lo  stesso ,  Tom.  1 .  lib.  3.  e.  a. 


M 


i5o  LIBRO  PRIMO 

«opra  di  se  T iscrizione:  lo  scritto  corre  da  destra  a 
sinistra ,  altro  segno  di  antichità  remota.  Gettarono 
con  maestria  il  rame:  le  loro  monete  son  fuse,  e 
non  coniate:  se  ne  trovano  molte:  hanno  per  lo  pia 
da  una  parte  Giano  bifronte,  dall'altra  spesso  un 
delfino  e  la  clava,  talora  la  ranocchia  e  l'ancora; 
vi  si  scorgono  dei  punti  o  globetti  che  ne  indicano  . 
probabilmente  il  valore  (56).  Incisero  ancora  indo?- 
strìosa mente  ,  come  alcune  etrusche  patere  vaga- 
mente lavorate  fanno  fede;  e  da  varj  cammei  e  prò* 
fonde  incisioni  in  pietre  dure,  veggiamo  quanta 
fosse  fra  loro  perfezionata  quest'arte .  Se  non  abbia- 
mo lavori  etruschi  da  porre  in  confronto  colle  più 
stupende  opere  di  Fidia  e  di  Prassitele,  ne  restano* 
alcuni  che  vi  si  appressano;  la  Diana  del  museo  di 
Ercolano  è  fra  questi:  Winckelraann ,  poco  amica 
deirantica  e  della  moderna  Etruria ,  tuttavia  con- 
féssa che  questa  statua  in  alcune  parti  è  lavorata 
con  siffatta  maestria  ,  che  i  più  bei  piedi  non  si 
scorgono  nelle  migliori  greche  figure  (Sy).  La  gem- 
ma che  rappresenta  Tideo,  del  museo  Stosciano, 
mostra  la  forza  di  espressione  che  ponevano  ne'l^ 
ro  lavori  gli  Etruschi.  È  scolpito  quest'Eroe  nuda 
in  atto  di  cavarsi  una  freccia  dalla  gamba:  la  dili* 
genza  con  cui  è  espressa  la  musculatura,  indica  a 
qual  perfezione  fosse  giunta  l'arte,  e  quanto  si  col- 
tivasse la  Qotomia  sua  indispensabil  compagna»  Non 
vuol  dissimularsi  clie  talora  non  si  scorgano  degli 
atteggiamenti  forzati  e  ricercati,  difetti  ne' quali 
cadono  anche  nella  letteratura  (giacché  tutte  le 
produzioni  di  gusto  si  somigliano  )  coloro  che  han- 

(56)  Baonarroti,  Appen.  adDemst.  $,  3S. 

(57)  Lib.  3.  e.  a. 


CAPITOLO  SECONDO  i5i 
no  la  voglia  e  non  il  potere  dello  stile  forte  ed 
espressivo:  il  basso-rilievo  Capitolino  (58),  che  rap- 
presenta Mercurio  in  compagnia  di  Apollo  e  di  Dia- 
na, è  di  siffiitto  stile,  ed  assai  mediocre;  gli  atteg- 
giamenti forzati,  in  specie  delle  dita  di  Mercurio, 
mostrano  quel  difetto:  ma  il  giudizio,  che  questo 
stile  difettoso  sia  generalmente  lo  stile  degli  antichi 
e  moderni  Toscani,  è  falso  ed  ingiusto.  Egli  è  certo 
che  le  arti  che  imitano  la  natura  si  perfezionano 
col  lungo  esercizio.  È  noto  quanto  si  esercitassero 
in  esse  gli  Etruschi,  giacché  dalla  sola  città  di  Bol- 
leoa,  quando  fu  soggiogata  da  Marco  Flavio  Fiacco, 
non  meno  di  due  mila  statue  furono  trasportate  a 
Roma  (59).  Da  questa  istoria  si  deduce  l'esercizio 
grande  de' Toscani  nella  scultura;  e  il  grand^ eser- 
cizio in  un  popolo  ingegnoso  conduce  presto  alla 
perfezione  •  Dalle  statue  che  di  loro  ci  restano  nella 
fiorentina  Galleria,  si  ricava  l'arte  maravigliosa  di 
fondere  dei  Toscani ,  essendo  d' ottimo  metallo,  tut- 
te di  un  pezzo,  vuote  al  di  dentro,  mentre  gli  an- 
tichi Grecia  secondo  Pausania,  le  fabbricavano  di 
lamine  rozzamente  lavorate  (60)  •  Essendo  proba- 
bilmente  periti  i  capi  d'opera  degli  Etruschi,  mal 
si  può  giudicare  del  merito  loro  nelle  belle  arti  dai 
pochi  monumenti  che  ci  restano  guasti  ancora  e  rui- 
nati  dall'età:  sappiamo  però  ch'esistevano  etrusche 
opere  in  Roma  ch'eccitavano  lo  stupore:  tal  era 
TApoUo  colossale  di  bronzo  alto  cinquanta  piedi, 
eh'  essendo  stato  collocato  da  Augusto  nella  biblio- 


(58)  Se  ne  vede  la  stampala  fronte  dell* opera  di  Wincket 
aiann ,  Storia  ec. 

(Sq)  Plin.  lib.  34. 

(So) Mafiei,  ossert*  letter*  T.  3.  estrat.  del  Demst. 


i5t  LIBRO    PRIMO 

teca  del  Tempio  in  un'età  in  cui  lo  studio  delle 
belle  arti  era  tanto  in  pregio  ^  convien  credere  che 
le  sue  forme  fossero  assai  eleganti:  è  veramente 
celebrata  da  Plinio  per  una  bellissima  statua ,  e  il 
suo  giudizio  è  assai  da  valutarsi  (61):  egli  era  forse 
quello  che  avesse  maggiori  cognizioni  e  buon  gusto 
nell'età  sua^  la  più  celebre  dell'antichità  per  le 
belle  arti  in  Italia  •  Una  statua  di  bronzo  di  sì  smi- 
surata grandezza y  da  attirar  per  le  sue  belle  forme 
r ammirazione  di  Plinio  mostra  certamente  la  per- 
fezione dell'arte  presso  la  nazione  fra  cui  fu  getta- 
ta. Winckelmann,  che  ha  preteso  che  gli  Etruschi 
nelle  belle  arti  nonsieno  mai  esciti  dalla  mediocri- 
tà,  si  è  anche  azzardato  ad  indicarne  le  cause.  «  Pare 
(die' egli)  che  fossero  più  de' Greci  inclinati  alla 
malinconia,  e  alla  tristezza,  come  inferir  possianao 
dal  culto  religioso,  e  costumanze  loro:  e  si  osserva 
altronde  che  all'  uomo  dotato  di  siffatto  tempera- 
mento, atto  certamente  ai  più  profondi  studj ,  troppo 
vive  e  profonde  riescono  le  sensazioni  :  per  la  qual 
cosa  non  si  produce  ne' di  lui  sensi  quella  dolce 
emozione  che  rende  lo  spirito  perfettamente  sensi- 
bile al  bello  n .  Chi  ha  fior  di  senno  vede  agevol- 
mente la  falsità  di  siffatto  ragionamento  •  Le  vive  e 
profonde  sensazioni  sono  indivisibili  compagne  di 
una  viva  imaginazione ,  prima  sorgente  delle  belle 
arti,  quanto  più  vivamente  e  profondamente  sono 
scolpite  in  essa  le  imagini  degli  esterni  oggetti >  tanto 
è  più  atta  a  ritrarli  coll'arti  imitatrici  ;  né  la  ma- 

(6i)  Lib.  24.  e.  7.  Videmus  certe  ApolUnem  in  hihUotheca 
templi  Augusti  tascanicam  L  pedum  a  pollice;  dubium  aere  mi- 
rahiliorem  art  pxdcritudxne  * 

Adoprandosi  la  (parola  tuscanicum ,  al  sìg.  Lanzi  non  cadrà 
dubbio  che  non  intenda  di  Toscani  antichi .  Y.  nota  5i . 


CAPITOLO  SECONDO  i53 
Bnconia  e  la  soperstizione  vi  sono  contrarie,  ma  ne 
possono  soltanto  variare  T oggetto*  La  malinconica 
pietà  religiosa  non  ha  impedito  la  nascita  e  lo  svi- 
luppo delle  belle  arti,  e  i  capi  d^ opera  che  adorna* 
DO  il  Vaticano,  e  invece  della  Venere  di  Coo,  del- 
l'Elena,  d'Ercole,  di  Giove, ha  prodotto  la  Trasfi- 
gurazione, la  Madonna  della  Seggiola,  il  s.  Michele 
Arcangiolo ,  il  Mosè  di  s.  Pietro  in  Vinculis  ec.  Al 
contrario  qualche  nazione  di  Europa,  più  gaja,  piii 
spiritosa,  dedita  al  piacere  al  par  della  greca,  col- 
tivatrice delle  belle  arti,  come  sarebbe  la  francese, 
benché  nelle  lettere  abbia  prodotti  tanti  capi  d^ ope- 
ra, è  assai  lungi  da  esser  giunta  neUe  belle  arti  al 
ponto  ove  Roma  si  sollevò  sotto  Leone.  Queir  anti- 
quario, dalla  giusta  venerazione  pe'Greci,  passò  a  un 
eotusiasmo  troppo  ardente:  l'entusiasmo  è  ottimo 
per  spingere  nella  carriera  gli  artisti  e  gli  scrittori, 
ma  pericoloso  al  sommo  per  giudicare:  e  infatti  Tin- 
flaenza  di  questo  entusiasmo,  che  vela  la  ragione,  si 
trova  assai  frequentemente  nei  giudizj  di  quello 
scrittore  e  appunto  sugli  artisti  toscani  :  giacche  dopo 
avere  cosi  severamente  censurato  gli  antichi ,  ha  avu- 
to il  coraggio  di  portare  lo  stesso  giudizio  sui  mo- 
derni toscani .  Aveva  egli  prima  asserito ,  che  degli 
etruschi  artisti  poteva  dirsi  quello  che  Pindaro  dis- 
se di  Vulcano,  ch'era  nato  senza  le  Grazie  (62);  indi 
s(^ginnge:  «  questi  caratteri  dell'arte  presso  gli 
antichi  popoli  in  Etruria  ravvisansi  anche  oggidì 
nell'opere  dei  loro  successori,  e  un  occhio  impar- 
ziale ben  gli  scorgerà  nei  disegni  di  Michelangelo , 
il  pili  grand' artista  che  abbiano  avuto  i  Toscani:  uè 

(Sa)  Storia  dell'arti  del  disegno  1.  3.  cap.  3. 


1^  LIBRO  PRIMO 

può  negarsi  che  questo  carattere  non  sia  uno  de*  di- 
fetti di  Daniello  da  Volterra  y  di  Pietro  da  G>rtona 
e  di  altri  ec.  n.  L'autorità  e  fama  di  questo  scritto- 
re non  ci  permette  di  tacere.  Dopo  il  risorgimento 
delle  Arti^  la  Toscana^  cui  si  dee  il  risorgimento 
stesso^  ha  prodotto  innumerabili  artisti^  che  si  sono 
altamente  distinti  in  tutte  le  varie  maniere  y  ed 
hanno  maneggiato  tutti  gli  stili;  e  se  Michelangelo 
e  Leonardo  da  Vinci  hanno  superato  tutti  nella  su- 
blimità della  imaginazione  e  nella  vivezza  del- 
l'espressione^  non  è  mancato  un  Andrea  del  Sarto , 
un  Jacopo  da  Pontormo  ed  altri  ^  che  abbiano  mo- 
strato cbe  la  gentile  e  delicata  maniera  non  è  estra- 
nea alla  Toscana .  Che  poi  fra  i  varj  stili  il  subli- 
me, il  forte,  l'espressivo  sia  stato  lo  stile  e  la  ma- 
niera dominante  de' Toscani  moderni,  ne  converre- 
mo ben  volentieri  ;  giacché  questo  invece  di  un 
rimprovero  è  l'elogio  più  grande  che  far  si  possa  ai 
nostri  artisti  •  E  per  verità  qual  sarebbe  mai  il  poe- 
ta ,  che  non  aspirasse  piuttosto  alla  sublimità  di 
Omero  che  alle  tenere  dolcezze  di  Auacreonte?  Ne- 
gli altri  stili  vi  può  esser  competenza  fra  gli  arti- 
sti y  ma  il  grande,  il  sublime,  che  Michelangelo  ha 
espresso  nella  cappella  Sistina  non  trova  cosa  che 
possa  stargli  a  fronte  :  la  colossale  statua  di  Mosè^ 
da  chi  non  è  fanatico  dell'antichità,  si  riguarda 
colla  stessa  ammirazione ,  che  i  più  pregevoli  anti- 
chi lavori:  veggiamo  in  essa  la  sublimità  e  gran- 
dezza d'espressione  unite  alla  compostezza  e^riposo 
naturale  delle  membra,  ciocché  forma  il  sommo 
della  perfezione.  Ma>come  mai  si  può  fare  il  torto 
agli  artisti  toscani  di  paragonarli  al  rozzo  e  zotico 
Vulcano  nato  senza  le  Grazie?  Chi  è  stato  dopo  il 


CAPITOLO   SECONDO      i55 

risorgimento  deirarti  il  maestro  della  grazia?  noa 
si  riconosce  da  tutti  ih  Leonardo  da  Vinci?  non  ba 
prevenuto  in  questo  pregio  lo  stesso  Raffaello  ^  che 
ha  da  lui  tanto  appreso?  Noi  ci  rimettiamo  al  giu^ 
dizio  dell'imparziale  lettore^  e  di  quelli  assennati 
intendenti ,  che  secondo  il  loro  squisito  senso  giù- 
dicano,  non  coirautorità  dei  nomi  celebri.  Ma  da 
questa  breve  digressione  tornando  agli  antichi  £tru- 
ficbi  y  la  sodezza  dello  stile, fu  il  carattere  dell' archi* 
lettura  toscana:  esso  è  noto  abbastanza .  Inferiore 
agli  altri  ordini  nella  leggiadria  e  nella  delicatezza, 
nelle  colonne  più  grosse,  nei  cornicioni  senza  fregj 
mostra  ana  nobile  semplicità  congiunta  alla  stabi- 
lità dell'edifizio,  pregio,  se  non  l'unico,  almeno  il 
primo  dell' architettura  «  Pare  che  allorquando  i 
primi  uomini,  lasciati  i  rozzi  tetti  di  paglia,  pa^ 
sarono  ai  solidi  materiali,  incominciassero  ad  usare 
l'ordine  toscano,  come  asserì  uno  dei  padri  del- 
l'architettura (63)  •  Erano  naturalmente  le  antiche 
capanne  un  poco  più  eleganti  de' mal  proprj  abitu- 
ri, fabbricate  con  dei  tronchi  d'albero  nell'estre- 
mità  della  facciata ,  congiunti  poi  superiormente 
con  un  tronco  trasversale,  che  sosteneva.il  tetto  di 
strame ,  o  di  tavole  •  Estendendosi  poi  la  fabbrica , 
in  vece  di  due  furono  di  mestieri  quattro  o  più  al- 
beri ,  e  quando  passarono  ai  materiali  di  pietra ,  è 
naturale  che  sostituissero  colonne  ad  alberi ,  ed  ec- 
co delineata  la  nascita  dell'ordine  Toscano.  Bella 
magnificenza  e  grandezza  delle  fabbriche  etrusche 
nulla  ci  resta  se  non  che  qualche  memoria  di  anti* 
co  scrittore  :  solo  il  sepolcro  di  Porsena  a  Chiusi  ^ 

(63)  Palladio  architett.  cap.  1 4* 


/ 


tS6  LIBRO    PRIMO 

che  leggiamo  descritto  da  Plinio^  ci  potrebbe  dar 
qualche  idea  della  grandiosità  delle  loro  fabbriche. 
Si  suppone  situato  presso  quella  città  ,  formato  di 
larghe  pietre  quadrate ,  e  compreso  da  quattro  lati 
o  muri^  ciascuno  de' quali  si  estendeva  3oa  piedi 
in  lunghesza^  5o  in  altezza:  neirarea  intema  di 
piedi  novemila  si  raggirava  un  inestricabile  labe- 
rinto,  i  di  cui  avanzi  erroneamente  si  pretende  di 
mostrare  in  alcune  tortuose  caverne  della  città  di 
Chiusi,  sapendo  noi  da  Plinio  e  Varrone  eh'  era  al 
di  fuori,  e  che  non  esisteva  più  ai  tempi  di  Plinio. 
Sopra  il  vasto  quadrato  si  ergevano  cinque  pirami- 
di, quattro  negli  angoli  ed  una  in  mezzo,  larghe 
alla  base  76  piedi,  aite  i5o.  Stava  in  cima  di  esse 
un  grosso  globo   di  bronzo;  pendevano  dal  globo 
varie  catene ,  cui  eran  attaccati  campanelli  mobili , 
e  sonanti  quand'erano  agitati  dal  vento.  Sulla  cima 
delle  gran  piramidi  se  ne  sollevavano  delfe  minori^ 
e  su  queste,  altre;  ma  Varrone,  mosso  dalla  poca 
probabilità  dell'altezza  di  queste  piramidi,  e  della 
loro  disposizione,  si  vergognò,  al  dir  di  Plinio ^  di 
riferirla  intieramente ,  ciocché  può  mettere  ogni 
uomo  ragionevole  in  diffidenza,  essendo  più  agevo* 
le  il  disegnarle  sulla  carta ,  che  il  farle  stare  in  piedi. 
Si  aggiunge  che  di  si  sterminata  fabbrica  non  esi- 
steva vestigio  ai  tempi  di  Plinio ,  cioè  circa  600  anni 
dopo  Porsena;  eppure  Roma  ci  mostra  avanzi  di 
antiche  fabbriche  in  moltissimi  luoghi  che  contano 
più  di  i6oo  anni.  La  figura  piramidale  è  atta  a 
conservare  un  edifizio  davvantaggio.  Non  esisteva 
seguo  di  queste  famose  ruine  in  Chiusi  ai  tempi  dì 
Plinio;  eppure  dopo  tanti  secoli  esiste  quasi  intiera 
in  Roma  la  piramide  di  Cajo  Gestio.  Tutto  ciòcci 


CAPITOLO   SECONDO      167 

mostra  la  piccola  probabilità  di  questo  gran  monu- 
mento. 

Che  nella  pittura  TEtruria  sia  stata  anteriore  al- 
la Grecia  può  dedursi  da  molti  fatti ,  che  ha-  inge- 
gnosamente raccolti  il  chiarissimo  Tiraboschi  (64). 
Plinio  assicura  che  ai  tempi  trojani  non  era  ancora 
inventata  quest'arte  (65).  Nei  due  grandi  poemi  di 
Ornerò^  ne'quali  si  descrivono  e  sculture^  e  intagli 
assai  spesso^  non  ai  fa  mai  menzione  di  pitture,  e 
la  prima  pittura  nominata  come  greca  è  al  tempo 
di  Tarquinio  Prisco^  tanto  dopo  alle  antiche  pittu* 
re  etrusche .  Non  sosterremo  che  gli  Etruschi  fosse^ 
ro  i  primi  d'ogni  nazione  a  dipingere,  ma  i  primi 
probabilmente  in  Europa  .   Quantunque  sì  fragil, 
cosa  sieno  le  pitture ,  che  sotto  i  nostri  occhi  veg* 
giauK)  disfarsene  molte  che  non  contano  lunga  e(à  ^ 
tuttavia  ai  tempi  di  Plinio  esistevano  in  Ardea  piu^ 
tare  etruséhe  più  antiche  di  Roma ,  assai  da  lui 
commendate;  e  quantunque  i  tempietti  ove  si  tro- 
vavano fossero  scoperti,  ai  mantenevano  assai  bene. 
Eguale  antichità  contavano  le  pitture. di  Cere  (li6): 
similmente  in  Lanuvio  n'erano  delle  bellissime  per 
testimonianza  deiristesso,  ove  le  nude  pitture  di 
£lena  e  di  Atalanta  apparivano  sì  vaghe ,  che  Pon- 
zio, Legato  dell'Imperatore  Caligola ,  ebbe  mente, 
di  toglierle',  se  la  natura  dell'edificio  l'avesse  per- 
messo :  la  stabilità  del   loro  «colorito  ne  ha  fatte 
pervenire  alcune  sino  ai  nastri  tempi,  benché  sot- 
terrate ed  esposte  all'  umido  :  furono  queste  trovate 

(64)  Stor.  della  letter.  Ital.  tom.  i. 
(65}Lib.  35.  cap.  4* 
(66)  Plin.  1.  35. 


\ 


\ 
/ 

i58  LIBRO  PRIMO 

nei  sepolcri  scavati  presso  Y  antica  Tarquinia  ^ici- 
no  a  Corneto.  Sono  i  sepolcri  tagliati  nel  tufo:  vi 
si  scende  per  una  cavità  di  figura  conica,  che  va 
dilatandosi  dall'apertura  in  basso:  sono  siffatte  sUa- 
ze  funerarie  curvate  in  volta  :  ma  ciocché  sembra 
più  singolare  è  il  trovar  dipinte  le  volte  e  le  pareti 
di  tai  sepolcri,  benché  destinati  a  star  sempre  chiu- 
si (67)-  È  noto  come  le  più  antiche  pitture  non  fu- 
rono formate  che  di  un  sol  colore  dette  perciò  mo- 
nocrom^tfcfte,  tratteggiate  con  semplici  linee.  Di 
tal  sorte  sono  appunto  le  pitture  degli  Etruschi 
formate  coi  contorni  biancastri  sopra  un'  intonaca- 
tura o  smalto  di  fondo  scuro:  la  maggior  parte  di 
queste  pitture  rappresenta  dei  combattimenti:  in 
una  crede  Winckelmaon,  che  sia  simboleggiata  hi 
dottrina  degli  Etruschi  sullo  slato  deiranime  dopo 
hi  morte:  »  a  questa,  dice  egli ,  si  riferiscono  due 
Genj  neri  alati  con  mazza  in  una  mano /e  un  serpe 
neiraltra,  che  tirano  pel  timone  un* cocchio  in  cui 
siede  V  imagine  forse  dell'  anima  del  defunto ,  e 
due  altri  Genj,  che  battono  con  lunghi  martelli 
aopvù,  una  figura  virile  nuda  caduta  a  terra .  Non  so 
se  possiamo  assicurarci  dell' in  terpetrazione;  so  che 
anche  nella  sua  ipotesi  si  apre  un  vasto  ed  oscuro 
campo  ai  metafisici  per  esporne  il  significato.  Se 
gli  Etruschi  usassero  la  maniera  di  dipingere  a  più 
colori  non  ci  è  noto  ;  sappiamo  però  che  solevaoo 
talora  dipingere  le  statue,  e  di  tal  sorta  ci  resta  an- 
cora la  bella  Diana  del  museo  di  Ercolano  di  cui 
abbiam  fatto  parola .  £  facile  V  imaginare  che  a 

(67)  WinckeU  Stor.  delle  art.  1.  3.  cap.  a. 


\ 
1 

\ 


CAPITOLO  SECONDO  iSq 

figure  tratteggiate  con  un  solo  colore^  non  si  poteva 
dar  molta  espressione;  tuttavia  si  può  in  esse  talo- 
ra conoscere  la  franchezza  della  naano^  e  la  corret- 
tezza del  disegno. 

Una  deUe  più  eleganti  manifatture  dell'  Etruria 
furono  certamente  i  celebri  vasi  di  terra  <:otta ,  detti 
etruschi .  La  lontananza  dei  tempi  y  la  scarsezza  dei 
monumenti)  ha  dato  luogo  a  molte  dispute.  Il  dot^ 
tissimo  antiquario  Senator  Buonarroti^  il  Gori^  il 
Guamacciy  li  hanno  creduti  lavoro  antico  etrusco. 
Il  Maffei  ^  Winckelmann  ^  altri  gli  hanno  giudi* 
cati  vaai  campani,  siculi,  e  di  varie  città  della  Ma- 
gaa-Grecia.  JNoi  esamineremo  brevemente  la  que- 
stione con  tutta  la  imparzialità,  e  ne  trarremo  quelle 
conseguenze  che  i  fatti  ci  presentano  •  Gli  argo- 
menti del  Buonarroti  per  crederli  etruschi   sono 
questi.  L'autorità  degli  antichi  scrittori  che  nomi- 
Dauo  tante  volte  i  vasi  etruschi ,  la  somiglianza  tra 
parecchie  figure  espresse  in  quei  vasi  e  quelle  inci- 
se su  tazze  etrusche  di  bronzo,  usate  nei  sacrifizj, 
le  figure  de'Fauni  a  coda  di  cavallo,  mentre  presso 
i Greci  erano  pinte  corte,  e  simili  a  quelle  delle 
capre;  la  figura  di  un  certo  uccello  di  specie  ignota 
a  Plinio  gran  naturalista,  e  che  afFerma  essersi  tro- 
vato dipinto  nei  libri  etruschi  dìvinatorj,  le  corone, 
i  vasi  in  mano  di  Bacco,  gVistrumenti  musicali  ec. 
glieli  mostrano  etruschi ,   giacché  non  si  trovano 
nei  greci  lavori.  Winckelmann  trova  di  qualche 
peso  tali  argomenti ,  poi  replica ,  colla  sua  solita 
maniera  di  ragionare:  primo  che  l'eleganza  di  que- 
sti vasi  e  la  correttezza  del  disegno  sono  tali  da  non 
potere  appartenere  agli  Etruschi;  secondo  che  la 
gran  quantità  che  se  ne  trova  in  Sicilia,  in  Campa- 


i6o  LIBRO    PRIMO 

DÌa  ec.  e  la  gran  acarsezza  in  Toscana  (66) ,  mostra 
che  là  piuttosto  che  qua  si  fabbricassero.  Veggiamo 
che  cosa  e'  insegni  V  istoria  •  La  creta  fu  lavorata 
dagli  Etruschi  in  ogni  tempo  ^  dacché  abbiamo  me- 
morie storiche .  Tarquinio  Prisco  per  fabbricar  la 
statua  di  Giove  capitolino  chiamò  l'artista  Tur- 
riano  non  di  Grecia^  ma  di  Flegelle^  città  che  non 
solo  nei  più  antichi  tempi  era  sotto  gli  Etruschi  y 
ma  dove  in  questo  tempo  non  erano  che  arti  etru- 
sche  (69) .  Durò  V  arte  di  fabbricare  le  statue  di 
creta  in  ogni  tempo ,  ma  specialmente  le  statuette 
toscane  ossia  thjrrrena  sibilla  erano  assai  in  pregio 
ai  tempi  di  Orazio  (70)  •  A  questa  sorta  di  aigitli 
doveva  appartenere  la  statuetta  di  creta  che  pos- 
sedeva Tiberio  9  la  quale  era  tanto  espressiva  da 
far  dire  al  poeta  che  Prometeo  scherzando  T  aveva 
formata  : 

Ebrius  haecfecit  tetris  puto  monstra  Prometheus 
Satunialitio  lusit  et  ipse  luto. 

Né  di  minore  artifizio  é  Taltra^  di  cui  dice  Mar- 
ziale : 

SumfragiliSy  sed  tu,  monco,  ne  speme  sigiUwn^ 
Non  pudet  Alcidem  nomen  habere  meum. 

Essendo  tanto  celebri  i  sigilli^  o  statuette  toscane  , 

(68)  Vi  è  una  specie  di  contradixione  ;  ecco  le  sue  parole  :  ^  Uà 
miglior  fondamento  per  sostener  la  comune  opinione  sarebbe  sUto 
l'indicarne  alcuni  (yasi)  che  effettivamente  in  Toscana  fossero 
sUti  scavati,  ma  nessuno  ha  saputo  produr  finora  tali  monumenti. 
„  Indi  più  sotto  „  voglio  pur  anche  accordare  che  alcuni  rottami 
di  vasi  di  tciTa  cotta  furono  scavati  nei  contorni  di  Comete  ec 

(69)  Plinio  1.  35.  cap.  1  a, 

(70)  Cpis.  a.  lib.  a. 


CAPITOLO  SECONDO  i6i 
deve  dirsi  che  i  vasi  di  creta ,  che  appunto  si  chia- 
mavaao  sigillati  o  storiati,  fossero  di  mano  toscana  . 
E  in  verità,  che  gli  Etruschi,  e  specialmente  gli 
Aretini  fino  dalla  maggiore  antichità  lavorassero 
vasi  di  terra  eleganti  e  degni  delle  mense  dei  Re, 
si  deduce  da  var  j  passi  di  classici ,  e  in  specie  da 
Marziale. 

Arretina  nimis  ne  spemas  vasa  monemus^ 
Lautus  erat  tuscis  Porsenafictilibus. 

Dalla  più  remota  antichità  ai  tempi  di  Plinio  si 
mantenne  Farte  in  Toscana,  e  quello  scrittore  asse* 
risce  che  ipiù  nobili  ed  eleganti  vasi  di  creta  erano 
ai  suoi  tempi  quei  di  Samo,  di  Sagunto,  di  Perga- 
mo, e  di  Arezzo  (71).  In  molli  altri  luoghi  e  nel 
distico  attribuito  a  Virgilio (7^),  e  nei  versi  di  Per- 
610(73),  si  parla  di  vasi  etruschi,  e  in  specie  di 
aretini.  Per  molti  secoli  si  hanno  sicure  testimo- 
nianze di  quest^arte  conservata  in  Toscana;  vi  fio- 
riva prima  che  in  Grecia  avessero  cominciato  a 
mostrarsi  le  belle  arti,  e  vi  durava  elegantissima 
anche  dopo  la  declinazione  di  quelle,  come  appren- 
diamo da  Plinio.  I  tanti  vasi  poi  scavati  nei  con* 
torni  di  Volterra,  di  Cortona ,  di  Arezzo ,  di  Popu- 
looia ,  di  Corneto,  e  che  si  conservano  in  varj  mu- 
sei ,  e  ciò  ch'esporremo  sopra  l'escavazioni  fatte  in 
Arezzo,  distrugge  abbastanza  la  seconda  obiezione 
diWinckelmann.È  veroche  la  manifattura  dialcuni 
di  questi  è  grossolana ,  ma  se  ne  trovano  degli  assai 


(71)  PHn.  1.  35,  cap.  la. 

(72)  Arretine  calix  mensis  decorate  paternis 

Ante  manus  medici  quam  bene  sanus  eros 

(73)  Sat.  1,  e  a. 

/'omo  /.  •■ 


i62  LIBRO    PRIMO 

eleganti  y  ed  è  facile  immaginare  che  in  un  paese ^ 
sede  dell'arte  originaria^  dee  incontrarsi  il  buono, 
il  cattivo,  e  i  lavori  dell'arte  bambina^  e  adulta  e 
perfetta.  Ma  per  ben  comprendere  la  quantità  di 
bei  vasi  ritrovati  in  Arezzo,  principal  officina  del- 
l' Etruria  ,  conviene  innanzi  riferire  il  racconto  di 
alcuni  vecchi  scrittori  poco  noti  ed  anche  inediti. 
Il  primo  sarà  Ser  Ristoro  d'Arezzo  vissuto  circa  la 
metà  del  secolo  XIII.  (74)-  ^ì  ^i^  permesso  riferire 
uno  squarcio  di  questo  scrittore,  affinchè  meglio  si 
scorga  Belle  sue  rozze  native  espressioni  il  senso 
che  faceva  sopra  di  lui  e  sugli  psservatori  suoi  coe- 
tanei la  vista  dei  vasi  che  allora  si  scavavano  .  „  I 
vasi,  die' egli,  erano  formati  de  terra  collata  subli- 
lissima  come  cera  e  de  forma  perfetta ....  nelli  quali 
vasi  furono  disegnate  e  scolpite  tutte  le  generazioni 
delle  piante  e  de  le  folie,  e  de  li  fiori,  e  tutte  le 

generazioni  delli  animali,  chese  ponno  pensare 

e  fecionli  de  due  colori ,  come  azurro  e  rossi ,  ma 
più  rossi ,  li  quali  colori  erano  lucenti  e  suttilissi- 
mi,  non  avendo  corpo,  e  questi  colori  erano  per- 
fetti che  stando  sotto  terra  parca  che  la  terra  non 

li  potesse  corrompere quando  se  cavava  al 

nostro  tempo  per  alcuna  casione  dentro  della  cit- 
tà, e  de  fori  d'attorno,  presso  quasi  due  milia,  tro- 
vavansi  grande  quantità  di  questi  pezzi  de  vasa  cosi 
freschi  e  coloriti  che  parean  fatti  via  via  .  •  •  •  en 


(74)  L'opera  intiera  è  ioedita,  il  manoscritto  si  trova  nella 
biblioteca  del  fu  suddecauo  Riccardi:  è  intitolato  „  Incominciasi 
il  libro  della  composizione  del  raondo composta  da  Ri- 
storo d'Arezzo  ec.  ^  L'autore  pone  in  fine  la  data  cioè  V  an- 
no 1  aSa ,  onde  può  dirsi  che  sia  vissuto  circa  la  metà  del  1 31^ 
secolo.  U  Gori  ne  pubblicò  uno  squarcio,  che  riguarda  appunto 
i  vasi  aretini . 


CAPITOLO  SECONDO  i63 
tak  ae  trovava  acolpita  imagine  magra  ^  en  tale 
grotta ,  e  tale  rìdea  e  tale  piangea ,  e  tale  morto  e 
tale  vivo  ^  e  tale  vecchio  e  tale  citolo^  e  tale 
iimudo  e  tale  vestito»  e  tale  armato  e  tale  sciarma- 
tO|e  tale  appè  e  tale  a  cavallo,  e  trovavanlìse  stor* 
mi  e  battaglie  mirabilmente  in  ogni  diverso  atto  •  •  •  • 
trovavaalise  scolpito  e  disegnato  sì  mirabilmente 
che  in  la  scoltura  se  conosciano  gli  anni  el  tempo 
chiaro  e  Toscaro,  e  se  la  figura  parca  de  longe  o 
d'appresso,  e  ogni  variazione  de  monti,  de  valli , 
de  fiumi,  de  sei  vi  <?c.  trova  vanlise  spiriti  volare  per 
aere  en  modo  de  garzoni  innudi ,  portando  pendoli 
ogni  diversità  de  poema  ec.  „  Poi  si  diffonde  questo 
scrittore  sulla  maraviglia  ch'eccitavano  negli  os- 
Bervatori,  i  quali  dice  appena  lo  credevano  lavoro 
amano.  Per  quanto  costui  vivesse  in  età  rozza ,  lo 
stupore.  Testasi  il  trasecolamento  che  mostra,  e 
che  ci  narra  esser  nato  negli  altri  alla  contempla- 
tione  de'  vasi,  son  tali  da  far  credere  che  il  lavoro 
ne  fosse  assai  elegante,  e  dalle  battaglie  ed  altre 
pillare  si  deduce  facilmente  esser  lavoro  etrusco. 
U  secondo  scrittore  è  celebre  e  notissimo  cioè  Gio« 
vanni  Villani ,  e  parla  sullo  stesso  tuono  di  Ristoro 
dicendo:  che  in  Arezzo  anticamente  furon  fatti 
per  sottilissimi  maestri  vasi  rossi  con  diversi  in* 
tagli  y  e  di  sì  sottile  intaglio  y  che  reggendoli  pa- 
Teano  impossibili  essere  opera  umana ,  e  ancora 
se  ne  trovano  ;  e  de  cierto  ancora  se'  dice  che  el 
sito  e  Varia  d'Arezzo  genera  sottilissimi  uomini. 
Il  terzo  viveva  nel  tempo  dello  splendore  delle  belle 
arti  sotto  Leone  X.  Egli  è  Attilio  Àlessi  aretino , 
nella  di  cui  storia  parimente  manoscritta  si  legge  il 
«eguente  passo:  Mostrano  y  oltre  alle  predette  cose, 


164  LIBRO   PRIMO 

maravigliosa  antichità  i  V€Lsi  aretini  y  tanto  sottili 
e  di  sì  mirabil  lustro ,  che  stavano  a  paretene  dei 
vasi  di  cristallo  y  e  di  questo  ne  fo  testimonianza 
io>  che  ne  trovai  uno  appresso  alia  riva  del  fiume 
Castro  y  lontano  dalla  città  1000  passi ,  a  foggia 
di  bicchiere ,  (U  modo  sottile  e  risplendente  ,  che 
superava  qualsisia  sorte  cU  vetro ....  vi  furono 
trovati  gran  quantità  e  numero  (U  frammenti  con 
lettere  ne  fondi  di  ciascun  vaso  y  ed  alle  volte  vi 
fu  presente,  quando  si  cavavan  le  grotte ,  Hf esser  . 
Giovanni  de'  Medici  y  che  fu  poi  Papa  Lione  X.  y 
e  in  alcuno  si  vedea  un  combattimento  di  augelli  ^ 
una  caccia  con  leoni  y  cani ,  cavalli  y  carrette ,  e 
ancora  Dei  y  Bacco ,  Giove  Ammone  y  figurati  con 
maravigliosa  industria  ed  arte  •  •  •  •  trovati  alla 
riva  di  detto  fiume  presso  il  ponte  delle  Carcia- 
relle  (^5)  V  anno  i49^f  presente  il  predetto  Gio- 
vanni allora  Cardinale  y  e  se  ne  trovano  spesso 
nei  fondamenti  quando  si  edificano  le  case,  f^oa 
potrà  porsi  in  dubbio  V  elegansa  dei  vasi  qui  ram- 
mentati^ facendone  fede  un  dotto  e  culto  uomo^ 
che  vivea  nel  tempo  del  maggior  gusto  dell'  arti . 
Ecco  pertanto  una  grandissima  quantità  di  vasi  an- 
tichi ritrovati  in  Arezzo:  ma  per  compir  T  istoria 
della  figulipa  di  quella  città  >  riporteremo  un  estrat- 
to d' ingegnosi  frammenti  inediti  scritti  sulla  figu- 
lina aretina  da  un  dotto  uomo  di  Arez2o,  poco  tempo 
fa  mancato  di  vita  ^  il  Sig.  Auditore  Francesco  Rosai 
eruditissimo  y  che  (la  fatto  onore  alle  lettere  y  al  suo 
paese ,  e  alla  giuri5pr^denza  y  che  ha  esercitato  im- 
portanti cariche  ,  e  che  colla  modestia  ha  nascosto 

(75)  Era  qui  ana  delle  fabbriche  di  questi  vasi  come  ha  mo- 
strato il  Sig.  Auditor  Rossi ,  di  cui  parleremo  quanto  prima . 


CAPITOLO  SECONDO  i65 
molti  de'  pregj  ond'era  ornato  (76)  .  Essendo  stato 
il  territorio  aretino  per  tanti  secoli  si  celebre  pei 
8Q(n  vasi  y  ha  esso  ricercati  i  luoghi  ov'  erano  situate 
le  fabbriche .  Tre  ne  ha  scoperte  dentro  alla  città  , 
ed  otto  almeno  nel  contado  :  ei  si  è  arrestato  all'esa- 
me  di  due  di  <]iieste ,  situate  T  una  presso  delF  altra 
io  un  posto  detto  anticamente  CentumH:ellaé  cor- 
rotto adesso  in  Cincelli  (77)  ,  situato  al  ponente  di 
Arezzo,  da  esso  distante  circa  a  sei  miglia  y  non 
lungi  dal  castello  di  Rondine ,  ove  una  villa  del- 
l'autore  gli  dava  agio  di  occupare  si  dottamente 
l'ozio  delle  ferie  autunnali  •  Non  solo  vi  ha  ritro- 
vati infiniti  rottami  di  vasi  finissimi  j  ma  fino  gli 
avanzi  delle  fornaci  ,  i  trogoli ,  e  gli  utensili  per 
fabbricarli .  Dai  residui  della  fabbrica  e  dalla  posi- 
zione delle  vasche  ancora  superstiti  y  ha  potuto  de* 
darre  la  maniera  di  fabbricare  i  vasi  aretini  •  Se- 
condo le  sue  osservazioni,  da  un  terreno  situato 
sotto  la  fabbrica  si  estraeva  la  creta,  ch'era  finissima 
€  leggiera^  e  conserva  ancora  siflfatte  qualità.  Mani- 
polata avanti  si  gettava  in  vasche  piene  di  acqua  , 
ove  scioglievasi  la  parte  più  sottile:  quest'acqua 
torbida  impregnata  della  creta  più  fina  passava  in 
altra  vasca  ove  (  per  usare  i  termini  chimici  )  si 
decantava,  riducendosi  in  sostanza  impalpabile,  e 
con  essa  si  lavoravano  i  finissimfi  vasi  aretini  •  Tal 
creta  è  ancora  quasi  del  colore  di  terra  d'ombra,  e 
quando  è  cotta  prende  un  vivo  rosso.  Si  vedono 

(76)  La  cortesia  degli  eredi ,  e  in  specie  del  Sig.  Fulvio  Rossi» 
degnissimo  fratello  delVaatore  j  mi  ha  permesso  trar  le  notizie  qui 
inserite  e  di  pubblicarle . 

(72)  Che  Cincelli  si  chiamasse  CentumceUae  deducesi  da  una 
Carta  del  monastero  di  S.  Flora ,  e  Lucilla  de'  Gassinesi  notai» 
daU'Aleotti  e  pubblicata  dal  Sig.  Gamici . 


ì66  LIBRO  PRIMO 

aDcora  le  fornaci  di  figura  quadrata^  formate  di 
mattoni  piccolissimi ,  la  lunghezza  dei  quali  e  di  | 
di  braccio  sopra  i  di  larghezza.  I  vasi  sono  storiati 
di  animali ,  cacce  ec.  abbelliti  con  vaghissimi  or- 
nati (78).  Si  facevano  colle  forme^  e  due  para  di 
queste  furano  trovate  di  sostanza  cretacea  pur  esse^ 
e  che  si  conservano  ancora .  Dagli  avanzi  di  queste 
forme  ^  anche  dopo  tanti  secoli^  si  riconosce  che 
neir adoperarle  si  faceva  uso  dell'olio^  acciò  la  creta 
più  facilmente  si  staccasse.  Posta  la  raffinata  creta 
nelle  forme ^  si  abbozzava  il  vaso^  che  poi  si  perfe« 
zionava  sulla  ruota .  Avendo  intorno  alle  fornaci 
trovati  varj  rottami  di  vasi  cotti  senza  vernice^  ha 
creduto  che  fosse  loro  data  dopo  almeno  la  prima 
leggiera  cottura^  come  è  anche  il  sentimento  del 
Winckeimann  e  del  Fea  (79).  Il  colore  de' vasi  di 
Gincelli  è  per  lo  più  rosso  corallino;  ve  n'ha  però 
di  colore  di  fior  di  pesco  ^  altri  neri,  altri  di  co- 
lor d'  accia jo  :  ei  non  ha  mai  trovato  V  azzurro 
veduto  dal  citato  Ristoro.  Benché  il  diligente  in- 
vestigatore non  abbia  avuta  la  sorte  di  trovar  mai 
dei  vasi  intieri,  nondimeno  ne  ha  rinvenuti  fram- 
menti cosi  grandi ,  da  poter  giudicarne  come  fossero 
intieri  :  sono  leggerissimi  e  finissimi  a  paro  di  qua- 
lunque siculo  o  campano,  o  almeno  creduto  tale. 
La  somma  perizia  del  dotto  ed  intelligente  antiqua^ 
rio  non  ne  lascia  dubitare;  ed  esistono  ancora  molti 
di  quei  grossi  frammenti  per  testificarlo  a  chi  dub- 
bioso  amasse  farne  il  paragone.  Dopo  questa  breve 
storia  dei  vasi  etruschi ,  tireremo  alcune  conseguen- 
ze che  ci  sembrano  inevitabili .  Da  monumenti  ia- 

(78)  Ei  ne  ha  fatti  fare  i  disegni . 

(79)  Vedi  le  note  all'opera  di  Yincielmtnn  lom.  1.  cap.  4. 


CAPITOLO  SECONDO  167 
dubitati  e  testimoniaoze  dei  più  autorevoli  antichi 
scrittori  si  deduce  che  io  Etruria^  e  specialmeote  in 
Arezzo  si  fiibbricavano  i  vasi  di  creta  fino  dai  tempi 
più  antichi  y  ed  avanti  che  le  arti  cominciassero  a 
coltivarsi  in  Grecia;  che  quest'arte  vi  fu  continuata 
ed  era  io  gran  pregio  ai  tempi  di  Plinio  ;  che  i  vasi 
aretini  erano  finissimi  ed  al  sommo  eleganti:  resta 
pertanto  assicurata  all'Etruria  la  gloria  di  questuar- 
te,  e  solo  può  dubitarsi  se  si  fabbricassero  ancora 
nella  Magna  Grecia;  e  quando  ciò  si  accordi  con- 
verrà dire  con  molta  probabilità^  che  quel  paese 
dagli  Etruschi  abbia  appreso  V  arte,  giacché  questi 
la  coltivarono  prima  che  neiruna  e  nell'altra  Grecia 
Dascessero  le  belle  arti.  Ma  le  prove  dell' esistenza 
delle  figuline  nella  Magna-Grecia,  sono  elleno  senza 
eccezione  7  Non  ne  abbiamo  altro  fondamento  che 
la  copia  grande  di  quei  vasi  là  trovati,  e  le  iscrizioni 
greche  talora  in  esse  impresse,  ma  le  porcellane 
della  China ,  ond'è  piena  l'Olanda ,  i  vasi  di  terra 
delfa  inglesi,  sparsi  per  tutta  l'Europa,  sarebbero 
ai  posteri  ignari  una  sufficiente  prova ,  che  quei  vasi 
furono  fabbricati  nel  posto  ove  si  trovassero?  Non 
potevano  nella  stessa  forma  gli  antichi  vasi  esser 
trasportati  dalie  principali  officine  di  Etruria  alla 
Campania,  alla  Sicilia?  E  gli  opulenti  Campani,  o 
SìcqU  non  potevano  ordinare  ai  fabbricatori  di  ap- 
porvi le  iscrizioni  che  loro  piacevano,  come  ai  di 
nostri  anche  le  armi  delle  famiglie  si  fanno  impri- 
mere e  su  porcellane  e  sopra  utensili  d' altra  sorte 
commessi  in  lontani  paesi?  E  appunto  forse  si  son 
mantenuti  ivi  più  saldi  per  esservi  più  pregiati , 
mentre  alla  sorgente  si  avevano  in  minor  pregio  e 
cura.  Queste  non  sono  che  congetture  contro  le 


i68  LIBRO  PRIMO 

fabbriche  della  Magna-Grecia:  ma  non  è  qualcosa 
più  di  congettura  il  silenzio  universale  degli  anti- 
chi classici  scrittori?  Questi  non  parlano  per  T Ita- 
lia che  di  vasi  etruschi  è  aretini.  Plinio  fra  gli 
altri  y  che  non  ha  lasciato  innominato  alcun  paese 
celebre  per  arti  e  manifatture ,  che  ci  ha  rammen* 
tato  le  figuline  di  Arezzo ^  di  Sagunto^  di  Samo,  di 
Pergamo;  non  paria  che  di  calici  fabbricati  in  Sor- 
riento  (80):  qua!  più  acconcia  occasione  vi  era  di 
rammentare  le  figuline  e  i  vasi  campani  e  siculi?  per* 
che  non  lo  ha  fatto?  Questo  silenzio  di  lui  e  di  tutti 
gli  altri  antichi  scrittori  si  spiegherà  difficilmente: 
anzi  si  ha  da  qualche  classico,  e  in  specie  da  Ora- 
zio,  che  i  lavori  di  creta  della  Campania  erano  assai 
grossolani  (8i).  L'ultimo  refugìo  del  Sig.  Winckel- 
mann  e  dei  suoi  seguaci,  per  diminuir  la  gloria 
dell'arte  etrusca^sarà  il  solitO|  cioè  che (  conceden- 
do,  quello  non  può  negarsi,  la  somma  finezza  dei 
vasi  aretini)  rai:te  etnisca  si  è  perfezionata  nella 
terza  epoca,  quando  ebbe  appreso  dai  Greci.  Si 
sono  fatte  di  sopra ,  a  queste  arbitrarie  epoche  le  no- 
stre osservazioni  :  ma  non  disputiamo  d' ay vantag- 
gio.  Sarà  però  sempre  vero,  che  l'arte  primaria  è 
etrusca  ,  e  continuata  dai  più  remoti  tempi  fino  al- 
l'età di  Plinio.  Che  gli  Etruschi  dei  tempi  più 

(80)  Heiìnet  hanc  nohilitatem  et  Arrttium  in  Italia ,  et  cali* 
cum  tantum  Surrentum,  Lib.  SSr,  cap.  la. 

(81)  Horat.  1.  1.  sat.  6. 

Pocula  cum  cyatho  duo  sustinet ,  astat  eckùius 
Vilis  cum  patera  euttus  campana  supellex. 
Per  provare  che  ìa  Sicilia  si  layorasse  la  creta  il  Sig.  WiDckelmaira 
non  ha  trovato  che  un  passo  di  Diodoro  Siculo  «  in  cui  dicesi  che 
il  padre  di  Agatocle  fu  vasajo ,  e  un  altro  di  Ateneo ,  in  cui  si 
nominano  patellae  siculae,  come  se  dove  si  fabbricano  i  pentoli  e 
tegami,  ne  seguisse  e  fosse  una  prova  che  vi  si  dovesse  lavorare  le 
porcellane  • 


CAPITOLO    SECONDO       169 

bassi  ^  e  come  gli  chiama  Winckelmaon  della  terza 
epoca  y  abbiano  appreso  dai  Greci ,  può  essere  ; 
ma  le  prove  certe  sempre  mancano^  giacché  T  as- 
serire che  in  quest'epoca  si  riconosce  nei  lavori 
etruschi  lo  stile  greco,  è  forse  un  dire  molto  e  una 
gran  prova  presso  alcuni  antiquar)  e  un  gregge  di 
dilettanti  che  va  loro  dietro  ciecamente;  è  un  dir 
nulla  a  chi  esamina  senza  prevenzione,  e  giudica 
secondo  i  dettami  della  ragione,  e  non  dell'autorità 
dei  nomi  illustri  (82).  Realmente  è  egli  un  ragiona- 
mento ,  a  cui  uom  non  prevenuto  possa  acquetarsi , 
il  seguente?  Vi  sono  delle  monete  antiche,  che  han- 
no Tiscrizìone  etrusca:  Tidea  più  semplice,  che  si 
presenta  a  uno  spìrito  non  prevenuto,  è  che  questo 
sia  lavoro  etrusco:  ecco  come  ragiona  il  Sig,  Win- 
ckeltnann  .  <<  Mentre  la  scrittura  dimostra  che  i  Cam- 
pani abbianla  avuta  dagli  Etruschi,  dall'impronta 
che  non  è  punto  seconda  lo  stile  dell'arte  etrusca, 
s'inferisce  che  il  disegno  abbianlo  essi  imitato  dai 
Greci  »  •  Si  potrebbe  avere  maggior  fiducia  in  que- 
sta maniera  di  ragionare,  se  non  ci  fossero  noti  gli 
enormi  abbagli  presi  nel  giudicare  e  della  maniera 
greca  e  degli  stili  var)  dai  più  celebri  uomini  non 
dilettanti,  ma  artisti;  errori  dai  quali  non  è  stato 
esente  Ra&el  d'Urbino,  Giulio  Romano  ec.  (63) * 

(8a)  SoDa  deferenza  cieca  e  servile  che  si  da  specialmente 
a^e  belle  arti  agl'intendenti,  d'Alembert  cit^  il  seguente  aned- 
<roto  :  ragionando  alcuno  assai  giustamente  sulle  bellezze  e  sui  di- 
letti di  un  quadro  di  Raffaello,  un  pittore  che  lo  ascoltava  disse  : 
Toìd  ce  que  M.  dit  est  vrai,  mais  test  qu*on  n*a  pas  eoutume  de 
rftre  cela .  Aggiunge  che  gli  errori  o  i  pregiudìzj  erano  paragonati 
<uirAl>b.  di  S.  Piero  alle  pillole  cke  s' ingojano  senza  masticare  » 
•Urimenti  non  s* in goj crebbero  mai.  D^jfiemhert  elog,  de  VAb,  de 
S,  Pierre, 

(83)  Vasari,  vila  di  Buonarroti  r 


/ 


170  LIBRO    PRIMO 

E  in  verìtà|  cos'è  la  maniera  che  chiamano  greca? 
è  quella  che  più  si  accosta  alla  perfezicme  e  a  ciò 
che  dicesi  bello  ideale.  Una  nazione  che  fervorosa- 
mente coltiva  le  belle  arti ,  non  vi  può  finalmente 
giungere  senza  Tajuto  di  precetti  stranieri?  Lo  po- 
terono gl'Italiani  in  quel  paese  detto  Magna-Gre- 
cia;  e  poco  distante  da  esso  non  l'avrà  potuto  TEtru^ 
ria  9  che  tanto  tempo  e  con  tanto  ardore  coltivò  le 
belle  arti?  lasciamo  le  prevenzioni,  e  giudichiamo 
col  nostro  dritto  senso.  Nel  contrasto  sui  vasi  etru- 
schi, i  forestieri  ci  rendono  giustizia.  Gl'Inglesi 
hanno  imitato  i  vasi  etruschi,  e  Wedgegood  ha  da-» 
to  il  nome  di  Etruria  al  paese,  ove  la  sua  celebre 
fabbrica  è  stabilita  •  Termineremo  con  un  breve 
paragone  fra  il  lusso  degli  antichi  e  dei  moderni  # 
Noi  usiamo  le  finissime  porcellane:  il  fondo  candi- 
do dà  un  gran  rilievo  alla  bellez2^  e  agli  ornati  : 
ma  essi  son  goffi,  le  figure  mal  disegnate,  o  stor- 
piate dalla  cottura ,  né  mai  paragonabili  a  quelle 
dei  vasi  etruschi ,  il  disegno  delle  quali  Winckel- 
mann  paragona  a  quelli  di  Raffaello.  Il  lusso  degli 
Etruschi  è  assai  celebrato:  si  conosce  però  poco  più 
che  per  questa  fama  generale:  ma  i  loro  imitatori, 
i  Romani;  dopo  ch'ebbero  abbandonata  la  sempli- 
cità e  la  povertà  repubblicana,  e  spogliate  le  Pro- 
vincie d'Oriente,  si  abbandonarono  a  un  lusso  a 
cui  non  son  giunti  mai  i  moderni  •  I  palazzi  erano 
di  una  grandezza  superiore  a  ciocchà  si  è  mai  fatto 
dopo,  anche  senza  citare  la  casa  aurea  di  Nerone; 
le  porte  sovente  di  marmo  numidico,  gli  usci  in- 
tarsiati di  tartaruga  (84)  >  le  pareti  delle  stanze  in- 

(84) . .  .  inhiant  testudine  poste9*  Virg.  Georg.  L  a. 


CAPITOLO  SECONDO  171 
croshite  dei  marmi  i  più  rari^  coperte  di  ricchissimi 
paramenti  e  tappeti^  travi  dorate^  e  gemme  inca- 
strate in  esse  (85),  e  fontane  nelle  camere ,  pavi- 
menti di  eccellente  mosaico  spesso  rappresentanti 
interessanti  storie,  e  i  vasi  etruschi  per  finimento 
d'ornato.  I  palazzi  erano  altissimi,  e  sulla  cima 
stava  un  giardino  pensile  di  piante  rare  e  costose: 
Tingresso  talora  era  fiancheggiato  da  una  selva  di 
colonne;  e  il  peristilio  della  villa  de' Gordiani  ne 
aveva  aoo  del  più  bel  marmo  numidico  (86).  Il 
lusso  delle  gemme,  in  specie  delle  perle,  nelle  don- 
ne, appena  può  esprimersi:  dopo  essersene  coperte 
il  capo,  le  trecce,  il  collo,  le  orecchie,  le  dita,  le 
braccia,*  ne  attaccavano  gran  quantità  alle  scar- 
pe (87):  e  la  celebre  Lollia  Paolina,  in  qualunque 
occasione  un  po' solenne,  non  portava  meno  in  dosso 
del  valore  di  quattro  milioni  di  lire  francesi  (88)  • 
Il  costo  delle  loro  cene  supera  Timmaginazione:  le 
mense,  benché  si  facessero  d'argento  e  d'avorio,  le 
più  apprezzate  erano  di  cedro  nodoso ,  perchè  ma- 
culate come  il  pardo,  coi  piedi  d'argento  o  d'oni- 
ce (89):  i  vasi  per  lo  più  d'argento  (  essendo  stato 
ordinato  da  Tiberio  che  gli  aurei  servissero  solo  ai 
sacrifizi  )  coperti  però  di  gemme  (90);  si  nominano 

(85)  F'idi  artes  ^terumque  manus  verisque  metaìla 
Viva  modis,  Idbor  est  auri  numerare Jigurtis , 
Jtut  ehur,  aut  dignas  digitis  contingere  gemmas. 

Stat. 

(86)  Capital,  in  Crord. 

(87)  Ncque  aiim  gestare  margaritas  nisi  calcent  et  per  unio' 
n^ambulent  satis  est,  Plin.  1.  9.  cap.  56. 

(88)  Vedi  PlÌD.  loc  cìtat.,  e  le  note  dell'Arduino . 

(89)  Il  Meorsio  ne  descrìve  qualcuna  che  costava  5o  mila 
iioniu. 

(90)  Turba  gemmarum  potamus  et  smaragdis  teximus  cali- 
ce' Plin.  in  prae.  1.  33. 


172  LIBRO  PRIMO 

anche  vasi  d'intiere  gemme  (91).  Il  lusso  nei  mi- 
nistri delle  cene  era  tale,  da  volerli  tutti  dell' istea- 
s' età  air  incirca,  e  dello  stesso  pelame  e  color  di 
capelli  (92).  Il  costo  delle  cene  di  LticuUo,  d'Api- 
ciò,  di  Vitellio  appena  troverà  fede.  I  pesci,  di  cui 
eran  si  avidi,  dovevano  vedersi  vivi  alla  mensa  pri- 
ma di  cuocersi,  e  v'erano  perciò  sotto  la  mensa 
delle  conserve  (qS).  L^  acipensere ,  che  si  aveva 
tanto  in  pregio ,  era  portato  in  tavola  con  pompa  da 
ministri  coronati  a  suon  di  tibia.  Questo  non  è  che 
un  piccolissimo  saggio  del  lusso  de' Romani;  era  in 
vero  stravagante ,  ma  conveniva  spendere  in  qualche 
maniera  quelle  immense  somme  ,  che  dal  vinto 
mondo  colavano  a  Roma .  I  suoi  cittadini  non  con- 
tenti dello  spoglio  d'Oriente,  e  degl'immensi  tributi 
che  traevano  dalle  provincie,  vi  avevano  acquistate 
vastissime  possessioni,  per  cui  basterà  un  solo  esem- 
pio: sotto  Nerone,  per  testimonianza  dì  Plinio,  sei 
cittadini  Romani  possedevano  l'intiero  territorio* 
dell'Affrica  soggetta  ai  Romani  (94)* 

Gli  Etruschi  dopo  gli  Egiziani  sono  stati  i  più 
superstiziosi  popoli  della  terra.  Prima  però  di  con- 
dannargli converrebbe  meglio  conoscerli  per  deci- 
dere se  le  loro  superstizioni  non  erano  forse  utili 
leggi  politiche .  Fra  i  popoli  ignoranti  della  vera  re- 


(91}  Pacai,  in  paneg^  Parum  se  lautos  putabant  nisi  aestivam 
in  gemmis  capacihus  glaciem  Jalema  Jregissent ,  E  più  posila- 
mente  Cicer.  Yen*.  6.  Erat  itli  vas  vinariupi  ex  una  gemma  per- 
grandi  trulla  excavata  cum  manubrio  ajureo .  Probabilmente  ti 
parla  di  pietre  dure  delle  piii  belle  e  rare . 

(93)  Senec  Epis.  9S. 

(93)  Dicevano  cbe  il  pesce  doveva  esser  sì  fresco  da  avere  il 
gusto  del  mare»  e  i  più  golosi  lo  sentivano. 

(94)  Vedi  per  molti  articoli  senza  citazione  Meurs.  de  luxu 
Bom, 


CAPITOLO  SECONDO  175 
ligioDe^  è  degna  di  lode  la  saviezza  de' legislatori 
che  rhaano  fatta  servire  al  buon  ordine  ed  alla 
pubblica  felicità.  In  tutti  i  governi  vi  è  stato  sem- 
pre una  classe  di  persone ,  per  cui  la  verità  nuda  è 
pericolosa^  e  alcuni  pregiudizj  utili.  Roma  discepo* 
la  deirStruria  ce  ne  mostra  gli  esempj  •  Se  qualche 
volta  il  romano  Senato  fu  pieno  di  persone  che^  di- 
sprezzando la  pagana  teologia  j  riser  delle  pene  di 
Tantalo  e  di  Sisifo  (95),  era  molto  lungi  da  togliere 
À  salutevole  benda  dagli  occhi  del  popolo ,  il  quale, 
incapace  di  ragionare  troppo  sottilmente ,  avea  bi- 
sogno di  qualche  cosa  di  sensibile  per  fissare  la  sua 
adorazione  ^  e  a  cui  indirizzare  i  voti  ;  e  che  minac- 
ciando una  inevitabile  pena  ai  delitti  nascosti,  con- 
solasse r  afflitta  virtù  nei  casi  i  più  disperati^  ver- 
sando su  di  lei^  quasi  balsamo  soave,  la  speranza 
di  ana  futura  ricompensa  •  %  vero  ancora  che  gli 
errori  religiosi  del  paganesimo,  almeno  per  un  tem^ 
pò,  non  fecero  nascere  divisioni  e  guerre  sacre  in 
Italia  ;  Roma  era  pronta  a  dar  la  cittadinanza  a  tutte 
le  Deità  straniere,  e  l'Egiziano  poteva  adorar  paci- 
ficamente in  Roma  il  cocodrillo  senza  essere  scher^ 
aito  0  perseguitato  dal  Romano  che  accanto  ad  esso 
bruciava  incensi  a  Giove:  e  siccome  il  governo  aveva 
in  mano  e  dirigeva  questo  pericoloso  strumento,  la 
aoperstizione ^  sapea  moderare  0  avvivarne  Fazione, 
e  lo  chiamava  in  soccorso  ne'  pubblici  bisogni  •  I 
Romani ,  avendo  imparato  dagli  Etruschi  i  riti  re* 
ligiosi  ,  ne  impararono  probabilmente  ancora  gli 
utili  effetti.  Il  sacerdozio  presso  gli  Etruschi,  come 
spesso  fra  i  Greci,  fu  congiunto  colla  primaria  au- 

(9^) Sallus.  Conjura.  Gat.  allocuzione  di  Cesare. 


174  LIBRO  PRIMO 

torità;  la  carica  di  Augure  non  conferi  vasi  chea 
personaggi  sena  ter  j  e  consolari  :  qualora  perciò  nella 
religione  degli  Etruschi  incontriamo  cerimonie  che 
ci  sembrano  ridicole  e  inette^  non  fa  di  mestiere 
subito  condannarle^  giacché  ignoriamo  il  fine  della 
loro  istituzione  •  Una  delle  arti  superstiziose  fu  la 
divinazione,  la  di  cui  origine  ha  la  base  sopra  nn 
assai  rozza  favola .  L'etrusco  Tage  o  Tagete  figlio 
della  terra,  scappato  fuori  dal  solco  profondo  di  un 
aratore  di  Tarquene,  insegnò  agli  Etruschi  Tarte 
divinatoria  (96).  Ride  facilmente  il  lettore  saperfi* 
ciale,  nel  mirare  de' gravi  magistrati  leggere  il  fu- 
turo nelle  viscere  degli  animali^  nel  volo  d^li  uc» 
celli,  nella  fame  o  inappetenza  de' polli,  né  intra- 
prendere una  spedizione^  o  dare  una  battaglia  sen- 
za il  consenso  degli  animali:  ma  il  filosofo  ammira 
la  saviezza  dei  magistrati ,  che  con  tali  mezzi  in- 
terpetrati  a  l(»x>  senno,  potevano  o  raffrenare  T  in- 
tempestiva arditezza^  o  ravvivare  il  coraggio  dei 
soldati.  Dopo  Tagete,  che  non  lasciò  alcuno  scritto, 
Bacchi  o  Bacchide  fu  il  primo  a  scriverne  in  rego- 
la ;  Labeone  in  1 5  libri  con  tutta  la  gravità  espose 
questa  scienza.  I  libri  degli  Etruschi  in  questo  ge- 
nere reputati  classici,  e  guardati  con  sacro  terrore, 
erano  appellati  Àcherontici  ;  né  i  Romani,  per  quan- 
to perfezionassero  le  altre  arti ,  si  crederono  giunti 
mai  nell'arte  divinatoria  al  sapere  dei  loro  maestri  ; 
onde  fino  nei  bassi  tempi  li  troviamo  consultare  nei 
casi  urgenti  i  classici  etruschi  (97) .  Convien  con- 


9. 


(96)  Fatalem  glebam  motis  aspexit  in  arvis,  Ovid.  Cicer.  1. 
de  divinai.  Abbiamo  veduto  di  sopra  che  Tage  fu  un  saggio  filo- 
sofo. 

(97)  Tunc  quis  nunc  artis  scripta  et  monumenta  volutans 
Voces  terrijicas  chartis  promebat  €truscis.  Glaud* 


CAPITOLO  SECONDO  ,75 
fe»are  che  il  caso  ha  talora  coufermato  queste  stra- 
vag^nze:  aon  noti  gli  augurj  della  nascita  di  Boma 
presi  dair apparizione  dei  dodici  avvoltoj:  gli  an- 
tichi aruspici  presagirono  che  la  romana  potenza 
durerebbe  per  dodici  secoli;  il  capriccio  della  For- 
tuna  fece  verificare  la  bizzarra  predizione,  e  il  po- 
tere di  Roma  si  estinse  appunto  coir  Impero  d'Oc- 
cidente nel  XII  secolo  (98).  I  Romani,  che  come 
abbiamo  notato  si  crederono  sempre  inferiori  ai  lo- 
ro  maestri  (99),  mandavano  ogni  anno  dieci  figli  di 
Senatori  in  Etruria  a  imparar  Taruspicina;  sul  prin- 
dpio  niuno,se  non  di  nobile  e  senatoria  stirpe,  po- 
teva esercitare  quell'arte;  fu  poi  avviliU,  e  in  tut^ 
ti  i  castelli  si  trovavano  degli  astrologi  che  prezzo- 
lati davano  la  buona  ventura  (1). 

Una  delle  parti  più  importanti  di  questa  scienza 
era  Tosservazione  dei  lampi, dei  tuoni,  della  cadu- 
U  dei  fulmini;  e  il  nome  della  ninfa  Bigoa,  mae- 
stra di  questa  parte  di  divinazione,  fu  tanto  celebre 

L' imperator  Giuliano  condaceya  sempre  seco  i  toscani  aruspici. 
kmm.  Mercell.  J.  23.  cap.  5. 

(gS)  Questa  non  è  una  di  quelle  profezie  frequentemente  in- 
renUte  dopo  il  successo  j  ne  parlano  più  secoli  avanti  alla  sua  ve- 
rificazione Varrone,  Gensorino,  Cicerone»  ed  altri.  Sì  vede  in 
CUodiano  che  l'Italia  spavenUta  dall' invasione  de*  Goti  rammen- 
tava con  terrore  il  presagio  ; 

Tum  reputant  annos ,  interceptoque  volala 
FuUuris  incidunt  properatis  saecula  metis. 
Qaud.  De  bcU.  getico.  E  mentre  si  appressava  U  sua  verificazione, 
Saudiano  schernendola  aggiunge 

Surge  precor^  veneranda  parens,  et  certa  secundis 
Fide  Deis,  humilemque  metum  depone  senectaet 
Urbs  aequaeva  polo ,  tunc  demwn  ferrea  sumet 
Jura  in  te  Lachesis ,  cum  sic  mutauerit  axem, 
Foederibus  natura  novis ,  tUflumine  verso 
Irriget  Aegyptum  Tanais  Meotida  Nilus  ec. 
(99)  yos  Tusci  ac  barbari  auspiciorum  populi  romani  jus 
tnetis  ?  Cic  De  nat  Deor.  Aul.  GclL  Noe.  Att.  t.  e.  5. 
(1  )  Quin.  Enn,  adjinem  L  i.  De  div. 


176  LIBRO  PRIMO 

fra  gli  Etruschi ,  quanto  il  nome  di  Franklin  tra  i 
moderni  fisici.  Può  certamente  parerci  ridicola  tutta 
la  scienza  fulgurale  degli  Etruschi^  ma  Seneca  che 
ne  ammira  la  sapienza ,  ci  svela  i  misteri  che  sotto 
di  essa  erano  ascosi ,  misteri  che  insegnavano  agli 
uomini  la  più  utile  morale  •  Ponendo  nella  destra 
al  sommo  Nume  un  arme  pronta  a  cadere  sul  capo 
degli  scellerati^  cercavano  di  frenar  coloro  che  non 
seguono  la  virtù ^  che  per  timor  della  pena  (a).  I 
morali  precetti  della  fulgurale  scienza  sempre  più 
si  nobilitano,  sviluppando  le  altre  circostanze.  I 
fulmini^  che  scaglia  Giove  di  sua  propria  volontà , 
sono  innocenti  ed  atti  solo  a  spaventare  i  rei  :  non 
scaglia  1  dannosi  e  micidiali ,  se  non  col  consiglio 
degli  altri  Numi .  £  che  7  quelli  uomini  sapientis- 
simi credevano  forse  ^  che  il  Supremo  Rettor  delle 
cose  avesse  bisogno  deir  altrui  consiglio  ?  no  certa- 
mente:  ma  sotto  questo  velo  esposero  un'eccellente 
dottrina  ,  che  insegna  ai  grandi  e  ai  dominatori 
della  terra,  a  non  punire  senza  avere  ascoltato  il 
parere  de'savj  uomini  (3).  L'addotto  passo  di  Se- 
neca ci  mostra  una  piccola  parte  della  morale  poli- 
tica  degli  Etruschi,  nascosa  sotto  un  velo,  che  ta- 
lora ce  li  fa  comparire  ridicoli; onde  conviene  am- 

(a)  Senec  Qoaest.  oatar.  lib.  3.  e  4i-  ^d  coercendos  animos 
imperitorum  ,  sapientissimi  viri  (Etrusci)  indicaverwU  inevita- 
hilem  metum,  ut  supra  nos  aliquid  timeremus.  Utile  erat  in  ton- 
fa audacia  scelerum  aliquid  osse,  adversus  quod  nemo  satispo* 
tens  esse  videretur .  Ad  coercendos  itaque  eos,  quibus  innocentia 
nisi  metu  non  placet,  posuere  supra  caput  judicem  et  quidem  or- 

matum. 

(3)  Discant  hoc  ii,qui  magnam  potentiam  inter  honunes 
adepti  sunt,  sine  Consilio  necfuhnen  quidem  mittii  advocent, 
considerent  muUorum  sententiam ,  placita  temperent,  et  hoc  sibi 
proponant  uhi  aliquid  percuti  debet ,  nec  Jovi  qUidem  satis  suum 
esse  consilium  *  Senec.  Qoaest  natur.  lib.  a.  e.  43« 


CAPITOLO  SECONDO         177 

mirare  o  almeno  rispettare  in  silenzio  anche  quella 
parte  che  non  s'intende.  Oltre  Li  scienza  misterio- 
sa dei  fulmini^  ì  toscani  aruspici  interpetravano  gli 
altri  prodigj  :  questi  credevansi  presagire  delle  di- 
sgrazie :  gli  etruschi  auguri  insegnavano  la  medici* 
na  a  questi  mali  (4)>  e  se  altro  di  buono  non  aves- 
sero òitto  y  richiamavano  Y  attenzione  del  volgo 
verso  un  Essere  j  sotto  il  di  cui  occhio  vigilante 
erano  le  sue  operazioni,  e  pronto  a  punirlo,  o  a  pre- 
miarlo. Nei  nostri  tempi  poi  l'orgoglio  e  Tigno-  * 
raoza  ha  inventato  ^  che  gli  straordinarj  fenomeni 
annunziano  delle  sventure:  l'immaginarsi  che  il 
sole  si  oscuri  y  che  appariscano  delle  comete ,  che 
la  Natura  si  metta  in  iscompiglio  per  annunziare 
la  morte  di  un  Cesare  o  di  un  Carlo  V,  diviene  as- 
sai ridicolo  in  faccia  al  filosofo^  che  contemplando 
la  immensità  della  natura  ^  vede  V  universo  prodi- 
giosamente popolato  di  Soli,  fra  i  quali  la  nostra 
terra  diviene  si  piccola  cosa,  che  se  per  un  atto 
dell'onnipotenza  restasse  annichilata,  non  farebbe 
maggior  vuoto  nella  natura  ,  che  un  granello  di 
arena  tolto  dal  lido  del  mare .  E  se  sì  piccola  cosa  è 
la  terra,  che  cosa  diventeranno  i  suoi  abitanti?  re- 
sta umiliato  a  siffatta  considerazione  il  nostro  orgo- 
glio, e  svanisce  ogni  terrore  degl'immaginati  porten-  . 
ti.  Ma  tornando  alla  religione  degli  Etruschi ,  oltre 
Giove,  riconoscevano  dodici  Dei  che.  Consenti  o 
Complici y  erano  chiamati  consiglieri  di  Giove,  Dei 
che  non  era  lecito  il  nominare,  benché  fossero  stati 


(4)  Vedasi  Iiucano»  lib.  i.  ove  il  Tosco  Aronts 
Monstra  jubet  primum  ec. 

Tomo  L  <« 


178  ^   LIBRO  PRIMO 

loro  dati  i  nomi  che  £nDÌo  ha  racchiusi  in  dae  non 
molto  poetici  vera , 

Juno,  presta,  Minerva,  Ceres,  Diana,  Venus,  MarSf 
Mercurius,  Jovis^  Neptunus,  Vulcanus,  Apollo. 

Se  non  fosse  probabilmente  stata  una  calunnia  di 
Antonio  la  cena  d'Augusto,  parrebbe  che  avesse 
derisa  o  profanata  la  maestà  di  questi  numi  ^  giac- 
ché vestito  esso  colle  divise  d'Apollo  fu  detto  che 
gli  altri  cinque  commensali  rappresentavano  gli  aU 
tri  Dei  (5)  e  sei  donne  le  Dee.  Questa  cena  o  vera, 
o  calunniosa,  fu  creduta  dal  pubblico,  il  quale  nei 
giorni  seguenti  (  essendo  stata  gran  carestia  )  disse 
scherzando  che  gli  Dei  avevano  divorato  tutto  il 
frumento.  Varie  Deità,  oltre  le  nominate,  si  ado- 
ravano dagli  Etruschi,  e  fra  queste  la  Dea  Nurzia 
in  Bolsena ,  nel  cui  tempio  usavansi  numerar  gli 
anni  coi  chiodi. 

È  stato  da  alcuni  creduto,  che  gli  Etruschi  aves- 
sero i  barbari  sacrifizj  di  vittime  umane  :  niuno 
scrittore  però  lo  asserisce,  e  solo  è  stato  dedotto 
dair  osservare  nei  resti  delle  loro  antichità  figure 
umane  in  atto  di  esser  sacrificate.  Tale  è  il  gruppo 
della  tavola  8i  del  Demstero^  ove  si  scorge  un 
vecchio  con  un  ginocchio  sopra  un  piedistallo,  e 
due  persone  in  atto  di  ferirlo,  ma  probabilmente  è 


(5)  Sevet.  in  Octav.  cap.  70. 
Cum  primum  istorum  conduxit  mensa  ehoragum, 

Sexque  Deos  vidit  Manila  sexque  Deas, 
Impia  dum  Phaehi  Caesar  mendacia  ludit, 

Dum  nova  Divorum  coenat  adulteria. 
Omnia  se  a  tetris  tane  Numina  declinaruni, 

Fugit  et  auratos  Jupiter  ipse  thronos. 


CAPITOLO  SECONDO  179 

questa,  come  Yarie  altri  simili  rappresentanze^  una 
cerimonia  dei  misteri  mitriaci;  in  questi,  passati 
poi  anche  ai  Romani,  quelli  che  vi  s' inalza vano^ 
erano  esposti  a  varie  prove^  che  incutessero  loro 
terrore  ,  e  alla  minaccia  di  morte  per  provarne  il 
coraggio •  Tertulliano  li  chiama  mimi  del  marti- 
rio (6)  ;  e  il  crudele  e  stravagante  Comodo  con  un 
Tero  omicidio  profanò  i  misteri  mitriaci  (7).  Qual- 
che cosa  di  simile  (  giacché  spesso  le  follìe  si  rasso* 
migliano  )  è  stato  usato  nella  società  de'  liberi  mu- 
ratori :  quei  che  vi  s' iniziavano  erano  esposti  a 
simili  minacce ,  ai  nudi  ferri ,  al  fuoco  ec.  (8)  •  La 
mancanza  di  scrittori  greci  o  latini,  che  non  avreb* 
bero  lasciato  di  far  menzione  di  si  crudele  uso,  e  la 
facile  spiegazione  che  può  darsi  alPetrusche  figure, 
d  da  il  dritto  di  assolver  Tetrusca  nazione  da  un 
costume ,  che  ha  disonorato  non  pochi  popoli . 

(6)  TertuIL  cap.  1 5.  De  corona  : 

(7)  Sacra  mitriaca  vero  omicidio  poUuiL  Lamprid.  de  Ccm* 
nodo. 

(S)  Le  fecret  dee  Francma^oni  trahì  et  revéié.         ^ 


DELL'ISTORIA 


DELLA  TOSCANA 


LIBRO  SECONDO 


CAPITOLO  /. 


SOMMARIO 

romana  concessa  agli  stranieri.  Mecenate .  f^icen- 
de  della  Toscana  nelTinvasione  de*  Barbari.  Assedio  di  Fi- 
raucm  F'alore  di  Stilictme^  e  morte  di  Radagasio .  Alarico  a 
Boma .  Riscatto ,  e  sacco  di  quella  dttà .  Regnò  di  Valentiniom 
no.  Imprese,  e  marte  di  Eùot  Fine  iM' Impero  d  Occidente. 
Odoaere  Red  Italia. 

J^OQ  fa  per  la  Toscana  una  diagrasia  Veaset  con- 
quistata dai  Bomani.  Questa  nazione  veramente 
grande  e  nelle  armi ,  e  nel  consiglio ,  uni  e  imme- 
desimò con  se  stessa  non  solo  la  Toscana ,  ma  passo 
passo  r Italia  intiera^  e  in  seguito  molti  de' vinti 
popoli.  Acquistarono  le  città  italiane  le  prime ^  i 
diritti  della  romana  cittadinanza;  e  i  vinti  parteci- 
parono dello  splendore  e  della  gloria  dei  vincitori  • 
Questa  era  la  più  saggia  maniera  di  tenere  fedeli 
ed  obbedienti  le  vinjte  nazioni  •  Divenivano  esse 
gloriose  del  nome  di  cittadino  romano,  potevano 
sperare  di  eguagliare  i  più  raggiiardevoli  abitanti 
di  Roma^  ed  erano  perciò  interessate  ai  vantaggi^ 
e  alle  grandezze  di  quel  governo.  Fu  questa  una 


i8a  LIBRO    SECONDO 

delle  più  poteati  cause  dei  rapidi  progressi  »  e  del 
solido  stabilimento  del  romano  Impero.  La  piccola 
e  meschina  politica  delle  greche  repubbliche  »  con- 
servando con  gelosa  vanità  il  genuino  sangue  del- 
Tantiche  famiglie^  e  sdegnando  di  associarvi  le 
estranee /impedì  loro  di  prendere  quel  vigore,  a 
xui  crebbe  la  romana.  Sparta,  ed  Atene  restarono 
sempre  nella  loro  piccolezza,  e  dopo  una  breve 
epoca  luminosa,  andarono  languidamente  decli- 
nando. Roma  associò  a' suoi  interessi  gli  uomini  più 
grandi,  nàti  anche  fuori  del  suo  seno:  arrivando 
essi  senza  ostacolo  fii  primi  gradi  nella  Repubblica, 
e  nel  principato,  o  le  prestarono  interes«inti  ser- 
vigj,o  la  illustrarono  colla  celebrità  del  loro  nome. 
Tra  quelli  che  Roma  ha  tratto  dalla  Toscana,  ve 
ne  ha  uno  troppo  illustre  ,  per  essere  lasciato  in 
oblio  dà  un  Toscano  •  È  questi  Cilnio  Mecenate ,  la 
di  cui  famiglia  onorò  la  città  di  Arezzo  (t).  Discen- 
dente dal  regio  sangue,  ma  privato  personaggio, 
superò  la  celebrità  dei  Re  suoi  antenati:  il  di  lui 
nome  è  congiunto  coi  più  illustri  nomi  della  nazione 


(i)  Tutti  gli  scnttori  in  versi,  e  in  pron  Io  fanno 
dalla  stirpe  reale  degli  antichi  Re  di  Toscana ,  e  nominatamente 
da  Cilnio  Mecenate  Re  dej^li  Etruschi,  ed  Aretino,  che  regnò  in 
Arezzo  400  anni  avanti  a  qaesto  suo  celebre  discendente.  (Dem* 
ster*  Hetruria  regal.)  La  casa  Cilnia  è  nominata  da  var)  scrittori 
come  ragguardevole  in  Arezzo  ne' tempi  dell'  antica  Etruria,  come 
in  quelli  in  cui  fa  sotto  il  governo  di  Roma;  Livio,  lib.  10.  A- 
truriam  rehellare  ah  Arretinorum  moiu  orto  nunciabatur  «6t 
Cilnium  genus  praepotens  etc,  n  indi  »  Seditionihus  ArretinO' 
rum  compositis,  et  Cilnio  genere  cum  plebe  in  gratiam  reducio  • 

Silio  Italico  9  Pun.  L  7. 

Ocius  accitum  captivo  ex  agmine  poscit 

Progeniem  j  rituique  ducis,  dextraeque  labores 

Cilnius  Arreti  tjrrrhaenis  ortus  in  oris 

Clarum  nomen  erat,  sed  laeva  addiixerat  hora 

Ticini  fuvenem  ripis  etc. 


CAPITOLO  PRIMO  i83 
pia  grande.  Aagasto,  Mecenate ,  Virgilio,  ed  Orasio 
si  nominano  quasi  sempre  insieme  y  e  si  danno,  e 
ricevono  scambievolmente  maggior  luce  dalla  loro 
aoione  (s)  •  Il  nome  di  Mecenate  è  divenuto  comune 
ai  protettori  delle  lettere  e  delie  scienze,  ma  assai 
volte  è  male  applicato.  Mecenate  poteva  proteggere, 
perchè  sapeva  apprezzare  le  lettere;  egli  era  dotato 
di  quel  gusto,  e  di  quel  delicato  tatto  che  ne  sente 
le  vere  bellezze:  senza  si  fatte  qualità  non  si  pos« 
sono  proteggere  utilmente  le  lettere,  giacché  le 
mediocri,  o  cattive  produzioni  premiate,  mentre  il 
vero  merito  ò  trascurato,  scoraggiscono  più  della 
totale  e  fredda  indifferenza ,  onde  questo  nome  è 
spesso  profanato,  e  pochi  somigliano  a  Mecenate.  I 
più  grandi  Sovrani  non  hanno  mai  ricompensato 
con  tanta  generosità  i  letterati,  né  li  hanno  mai 
tanto  onorati  quanto  esso  •  L' amico  d'Augusto  non 
•degnò  sedere  sovente  con  pochi  dotti  amici  alla 
sobria  mensa  di  Orazio.  Senza  Mecenate  forse  il 

(a)V  piii  grande  Imperatore»  il  pih  potente  de'snoi  conG^enti 
non  sdegoarono  di  trattare  con  familiarità  il  figlio  d'  un  libertino, 
ed  an  nativo  delle  campagne  di  Mantova ,  Orazio ,  e  Virgilio .  Au* 
gusto  sederà  spesso  tra  loro  :  Orazio  era  Hppo>  Virgilio  asmatico, 
onde  Augusto  scherzando  con  essi  dicea  talora  :  Io  mi  trovo  tra  le 
Ugrìme,  e  i  sospiri  •  Non  si  può  negare  che  1*  amicizia  di  questi 
nomini  grandi ,  e  i  di  loro  versi  non  abbiano  gettato  sul  di  lui  ca- 
rattere un  lustro  che,  abbagliando,  non  lascia  ben  vedere  le  sue 
cniddtà,  e  la  sua  tortuosa  politica  ;  giaechè  pochi  sono  quei,  che 
Conoscono  i  saoi  difetti,  e  quasi  tutti  conoscono  i  versi  di  quei 
gran  poeti ,  sì  che  con  ragione  ha  scritto  l'Ariosto  : 
Tfonfu  sì  giusto,  e  sì  benigno  Augusto 

Come  la  tuba  di  Virgilio  suona  ; 

V  avere  avuto  in  poesia  buon  gusto 

La  proscrizione  iniqua  gli  perdona . 
Angusto  era ,  come  Mecenate,  scrittore  anch'esso,  dotato  d'ottimo 
criterio ,  e  capace  di  conoscere  i  difetti  delle  sue  stesse  opere  : 
aveva  scritto  una  Traeedb  l* Aiace ^  di  cui  non  era  contento,  e 
1>Qrciò  la  condannò  ali  oblio.  Interrogato  dagli  amici  So  di  esitar, 
nspoie,  H0  ingojato  la  spugna  • 


i84  LIBRO  SECONDO 
Cantore  d'Enea  sarebbe  restato  ndl'oscurità,  e  nel- 
la miseria  (3).  Augusto  fece  sempre  sommo  con- 
to di  lui^  cke  insieme  con  altri  rispettabili  per- 
sonaggi, più  volte  s'interpose  tra  esso,  ed  Antonio, 
e  sedò  le  nascenti  gelosie  dei  due  ambiziosi  riva- 
li (4)*  Nel  tempo  difficile  delle  guerre  civili ,  Au- 
gusto diede  a  Mecenate  il  governo  di  Roma  e  del- 
l'Italia,  ed  ei  gli  fu  sempre  fedele,  ed  utilissimo 
servitore  in  pace,  ed  in  guerra  (5)  •  Fra  tutti  i  swÀ 
cortigiani  pare^che  osasse  più  degli  altri  dirgli  con 
francbezza  la  verità;  ed  è  degno  di  somma  lode  ao< 
che  Augusto  per  aver  sofferto  con  paziensa  le  se- 
vere, e  talora  anche  dure  riprensioni  dell'  amico  (G). 

(3)  Paneg.  in  Pìsonem. 

Ipse  per  Ausonias  Aeneja  carmina  gentes 
Qui  coniti  ingenti  qui  nomine  pulsai  Ofympum, 
Meoniumque  senem  romano  provocai  ore, 
Forsitan  illius  nemoris  laiuissei  in  umbra 
Quod  canit,  ei  sterili  tantum  cantasset  avena 
Ignotus  populis  ,  si  Mecenate  carereU 
Martial.  Epigr.  lib.  8,  Ep.  56. 
Jugera  perdiderat  etc. 
Vedi  Probo  grammatico  ,  in  vita  Virgilii  etd. 
I         ^  KeltempodbeAagustoper  ristabilire  la  salateiiodeboliu  dalle 
I     fatiche  dì  corpo  >  e  di  spirito  neU*iiltima  guerra  eon  Antonio  respt- 
'    rava  l*aria  salubre  di  Atella  nella  Campania,  Virgilio,  condottovi  da 
Mecenate  «  gli  lesse  in  quattro  giorni  le  sue  Georgiche;  e  quando 
la  debolezza  del  petto  cu  Vitello  non  gli  permetteva  di  seguitare» 
ne  proseguiva  la  lettura  Mecenate  stesso .  V.  Vita  Virgil.  d' inceilo 
•    Autore  attribuita  a  Donato  : 

(4)  Appianusr  Hor,  Sat.  5.  Kb.  I. 

»  Huc  venturus  erat  Maecenas  aptimus  >  atque 
^  Cocce] US  missi  magnis  de  rebus,  uterque 
»  Legati,  aversos  soliti  componere  amicos, 

(5)  Tacito  lib.  6.  Anna!. 

(6)  Sedendo  un  giorno  Augusto  in  Tribimale ,  presente  Mece- 
nate, et  accorgendosi  questo,  che  irritato  Augusto  stava  per  con- 
dannare molti  alla  morte,  non  potendo  penetrare  la  foUa,  che  lo 
circondava,  scrisse  queste  parole  5{crge  pero  tandem  Carni/ex^  e 
gettò  lo  sceitto  in  seno  di  Augusto,  che  avendolo  letto,  s'alato  senza 
pondaanare  alcuno  »Dion»  lib.  So.  Zonnaras.  Ann.  fom.  3.  Cedre- 
nus  in  histor. 


CAPITOLO  PRIMO  i85 

Si  accorae  con  dolore  dopo  la  di  lai  morte  quanto 
avesse  perduto^  quando  pentitosi  di  avere  nel  bol- 
lore della  collera,  coi  castigo  troppo  solenne  di  Giù- 
lia,  propalate  le  vergogne  della  casa,  asserì,  che  se 
fosse  Yissato  Mecenate,  quest'uomo  probo  gli  avreb- 
be francamente  detto  quella  verità,  che  niuno  ave- 
fa  osato  (7).  Se  è  vero  che,  contro  al  sentimento 
di  Agrippa,  egli  consigliasse  Augusto  a  non  lasciare 
V impero  vedeva  da  gran  politico  l'impossibilità  che 
Roma  tornasse  Repubblica;  onde  rabdicazìone  d'Au- 
gusto poteva  prima  risvegliare  delle  guerre  civili  in* 
di  dar  luogo  a  un  pessimo  successore  (8).  Non  solo 
amò  di  proteggere  le  lettere,  ma  entrò  anche  nel 
rango  delli  scrittori  in  versi,  e  in  prosa:  i  suoi  Dialo» 
gbi  rammentati  da  un  antico  grammatico  (9),  il  suo 
Prometeo  lodato  da  Seneca  (io),  lo  fanno  conoscere 
per  elegante  e  giudizioso  scrittore  •  Seneca  ha  con^ 
servato  un  verso,  che  ci  mostra  quanto  il  di  lui  fi- 
losofico spirito  fosse  libero  da  quei  pregiudizj,  per 
cm  la  superstizione,  o  l'orgoglio  attaccano  tanta 
importanza  alla  tomba  (ii)«  Queste  grandi  qualità 
possono  fargli  perdonare  alcune  piccole  macchie. 
Si  accusa  di  essere  stato  assai  molle  e  ricercato  nella 
persona ,  a  segno  di  passare  per  effeminato,  e  di  aver 
dato  un  nonie  poco  onorevole  ai  soverchiamente  de* 


(7)  Senec  lib.  6.  De  heneAc 

(S)  Bion.Xiphìliii.  ec.  Nella  tragedia  U  Cinna  &  P.'Gomeille^ 
Cùma  9  e  fiiaaeimo ,  che  sì  lanno  dal  poeU  rappresentare  le  parti 
di  Mecenate  e  di  Acrìppai  trattano  d*aTanti  aa  Augusto  la  questio- 
ae  di  abdicare^  o  ritenere  T impero  con  profonditi t  ed  iu^pgao 
d^i  del  più  gran  publicista  « 

(^)  Sosipater  Cbarisiof < 

(10)  Seoecepisb  19. 

(1 1  )2Vec  tumulum  curo,  MCpelii  natura  relictos.  Senec^epist.gS. 


i86  LIBRO  SECONDO 
licati^  che  Mecenati  in  seguito  si  appellaroDO  (is). 
Ma  questo  è  svanito;  e  il  nome  di  Meoenale  è  restato 
|)er  disegnar  solo  i  protettori  delle  lettere.  Della 
stessa  moliesza^e  ricercatezsca  ^  che  aveva  nella  per- 
sona fu  accusato  il  suo  stile;  ma  non  essendo  a  noi 
giunte  le  sue  opere,  non  possiamo  giudicarne*  Non 
furono  Orazio  y  e  Virgilio  i  soli  dotti  amici  di  Me- 
cenate: Properzio  (iS),  Lucio  Varo  (14)  scrittore 
di  tragedie^  lodato  da  Quintiliano  (i&)>  Domizio 
Marso  scrittoi'e  di  epigrammi  (16)^  ne  accrebbero  il 
numero;  né  fu  in  Roma  alcuno  eminente  letterato, 
di  cui  Mecenate  non  si  facesse  gloria  di  ricercare 
l'amicizia  (17).  Come  nelle  altre  cose,  era  delicato 
nella  mensa ,  e  la  ricercatezza  delle  vivande  vi  fece 
ammettere  de' cibi  assai  singolari  (18).  Fu  molto 
infelice  negli  ultimi  tre  anni  della  sua  vita  :  una 
febbre  lenta  lo  andò  consumando;  era  accompa* 

(la)  Juven.  Sat  la. 

Praecipitare  volens,  etiam  pulcherrima,  vestem 

Purpuream  teneris  quoque  Maecenatibus  aptam, 
(i3)  Lib.  a  Eleg.  6.  et  alibi. 
(1 4)  Paneg.  in  Pisonem.  ^ 

(i5)  Lib.  10,  Gap.  i. 

(16)  Martial.  lib.  7,  Ep.  4* 

(1 7)  Manca  solo  a  quesU  lista  il  nome  di  Tibullo^  il  quale  pro- 
babilmente volle  vivere ,  lontano  dal  tumultuoso  vortice  delle  cor- 
ti, in  una  tranquilla  povertl^  come  si  deduce  dai  suoi  versi (  Eleg.  1. 
Lib.  I.) 

Divitias  alius  etc. 

Me  mea  paupertas  vita  traducat  inerti 
Dum  meus  exiguo  luceat  ime  focus . 

(iS)  Fra  le  vivande  singolari  può  contarsi  la  carne  di  asino 
gmvane .  Plin.  lib.  8,  cap.  43.  PuUos  asinorum  epulari  Maecenas 
instituit  multum  eo  tempore  praelatos  onagris.  Gli  asini  selvatici 
furono  in  uso»  come  cibo  delicatissimo,  alle  mense  dei  Re  Persia- 
ni .  Teophilac.  Simocata  lib.  4-  cap.  a.  Anche  in  oggi  si  nutriscono 
a  bella  posU  gli  onagri  per  la  mensa  dei  re  di  Persia  •  Adam.  Olea- 
i-ius,  Itmer.  Pers.  p.  a.  Antonio  Pratense,  Cancelliere  di  Francia, 
usò  r  iftesso  cibo.  Joan.  Brojerìn  de  re  cibaria. 


CAPITOLO  PRIMO  187 

gnata  da  un  terribile  sintonia,  cioè  dalla  mancauza 
totale  dì  sonno 9  unico  sollieTO  nelle  malattie  del 
corpose  della  mente:  né  1*  artificiale  mormorio  deU 
r  acqne ,  né  la  musica  furono  capaci  di  conciliar- 
glielo  (19);  e  se  non  è  eaagernto  il  racconto,  ^isse 
tre  anni  in  questo  stalo  (oo) .  Si  '  dice  eh'  egli  era 
però  tanto  attaccato  al)a  vita /che  andie  «i  misera- 
bile,  non  avrebbe  amato  perderla ,  benché  cosumato 
dai  pia  atroci  tormenti  (ai)  .'  Morì  finalmente  dopo 
tre  anni  di  languore,  e  con  le  ultime  parole  racco* 
mandò  ad  Augusto  il  suo  amico  Orazio  (sa).  L*ami- 
co  Orazio  aveva  bramato  di  non  sopravvivere  a  Me- 
cenate; il  cielo  esaudì  in  gran  parte  i  suoi  voti/non 
essendo  sopravvissuta:più  di  tre  mesi  (a3),  0  le  sue 
ceneri  furono  portate,  eulicolle  Esquilino  a  riposare 
accanto  a  quelle  dell'amico  (24)*  I  difetti  di  Mece* 
nate  sono  piccoli  nei;  e  simili  alle  macchie  leggiere 
d'un  bel  quadro,  che  facilmente  si  tolgono,  e  vi  re- 
sta il  bel  colorito;  così  il  tempo  gli  ha  cancellati,  e 
resta  il  di  lui  nome  immortale  (36)  • 

La  Toscana ,  divenuta  parte  dell'  Impero  roma- 
no,  fu  soggetta  alle  vicende  di  questo  gran  corpo. 
Parte  poco  considerabile  di  un  gran  tutto ,  per  moU 
te  tempo  appena  è  nominata  neir  istoria  :  comincia 
ad  uscire  dall'oscurità  quando  la  più  gran  parte 
delle  città  italiane  divennero  repubbliche ,  cioè  do- 
do la  metà  del  dodicesimo  secolo .  Per  questo  tratto 

(19)  Sencc,  lib.  de  provid.  cap.  3« 

(10)  PlÌD.  lib.  7»  cap.  5i. 

(ai)  Senec.  Epist.  loi. 

(aa)  Svet.  in  yita  13.orain,Horatii  Flacci,  ut  mei,  memor  esto, 

(33)  Dion*  Uh.  So. 

(34)  Svet.  in  Horat.  vita . 

(35)  Si  perdonerà  facilmente  ad  un  toscano  questa  digres- 
sione. 


i88         LIBRO  SECONDO 

di  tempo  ebbero  luogo  delle  graodi  rivolàtioni  4 
Dalla  ruma  dell'Impero  romano  comincia  per  Tlla- 
lia  una  serie  delle  più  grandi  srentnre  aotto  il  go^ 
yemo  dei  Barbari ,  dalle  quali  non  respirò  fino  al- 
l'estinadone  del  loro  regno.  Quantunque  T istoria  di 
cui  ci  occupiamo I  no^  riguardi  quel  tempO|  in  cui 
la  Toscana  miserabile  e  oppressa  1  come  tntte  le 
altre  provincie  d'Italia ,  non  è  che  di'  rado  nomina-' 
la  y  e  solo  per  lo  più  per  qualche  sventura^  tì  sono 
però  in  questi  undici  secoli  alcuni  avvenimenti^ 
che  precedettero  il  suo  più  regolare  governo ,  troppo 
grandi  per  esser  trascurati  «  Di  questi  perciò  &rc«io 
un  breve  quadro  prima  di  venire  alla  sua  partico- 
lare istoria.  Tali  sono  la  ruina  dell'impero  d' Occi- 
dente,  il  regno  dei  Goti^  la  distruzione  di  esso^  lo 
stabilimento  dei  Iioogobardi^  k  ruina  ancor  di  que- 
sti ^  e  la  nascita  del  nuovo  impero  d'Occidente  sotto 
Carlo  Magno  y  che-  nen  portò  tuttavia  maggior  tran- 
quillità a  questo  desolato  paese. 

Terminate  le  civili  convulsioni^  con  cui  sogliono 
estinguersi  le  repubbliche^  e  stabilito  il  principato^ 
vi  fu  un  tempo  considerabile  in  cui  la  numerosa 
popolazione  di  quel  vasto  dominio  visse  pacifica  e 
tranquilla.  Un  illustre  moderno  scrittore  (26)  ha  eoa 
molta  probabilità  asserito  che  se  si  dovesse  cercare 
negli  annali  del  genere  umano  l'epoca ,  in  cui  una 
parte  più  numerosa  di  uomini  (37)  è  vissuta  più 
felice^  converrebbe  ricorrere  ai  primi  tempi  dell'Im- 
pero romano ,  poco  dopo  il  suo  stabilimento .  I  con- 
fini n'  erano  difesi  dalle  legioni  ^  e  dal  terrore  del- 


(a6)  Gibbon's  ofthe  historjr  of  decline  andJalL  ee. 
(37)  L'Impero  romano  non  comprendeva  meno  di  1  ao  milio- 
ni dì  abitatori . 


CAPITOLO  PRIMO  189 
l!apmi  romane,  e  perciò  rispettati  dai  Barbari;  le  le- 
gioni  tenute  in  freno  dalla  saviezza  del  Governo  non 
avcano  acoperto  affatto  il  segreto  d'essere  T arbitro 
deirimpero;  la  cultura  dello  spirito,  e  le  arti  so- 
dali erano  state  dai  vincitori  comunicate  ai  vinti  ; 
1^  leggi  erano  savie  :  e  quantunque  il  prepotente 
arbitrio  dei  governatori  potesse  violarle,  non  dovea 
dò  aver  luogo  troppo  spesso,  e  con  troppo  mani- 
festa ingiustizia ,  come  avverrebbe  in  Oriente  ;  giac- 
ché una  nazione  istruita  sente  più  vivamente,  e 
trova  i  mezzi  di  far  giungere  al  trono  più  agevol- 
mente i  suoi  gravami .  Quasi  per  un  secolo  fu  go- 
vernato r  Impero  da  una  successione  di  saggi  e 
virtuosi  Imperatori;  e  Nerva,  Trajano,  Adriano; 
e  i  due  Antonini,  sono  ancora  nominati  tra  i  più 
grandi  benefattori  del  genere  umano.  Anche  nel 
tempo,  in  cui  il  governo  iu  in  mano  di  un  Tibe- 
rio, di  nn  Caligola,  di  un  Nerone,  la  massa  dei 
sudditi  romani  godeva  i  vantaggi  delle  savie  leggi  ; 
e  la  crudeltà,  la  foIHa  di  questi  mostri  si  stendeva 
solo  ad  alcuni  individui,  che  per  la  loro  nascita, 
ed  impieghi  godevano  il  pericoloso  onore  di  avvici- 
narsi troppo  al  padrone.  Ma  questi  tempi  di  calma , 
e  di  felicità  introducevano  insensibilmente  nell'Im- 
pero  i  semi  della  sua  ruina ,  che  inosservati  anda- 
vano lentamente  maturandosi.  Le  barbare  nazioni, 
superiori  ai  Romani  nella  forza  fisica,  eguali  nel 
coraggio,  erano  state  soggiogate  dalla  superiorità 
dell'arte  militare:  questa  si  rilassava  tra  i  Romani 
nel  tempo,  che  si  perfezionava  dai  Barbari;  la 
mollezza  dei  primi ,  fece  riguardare  il  mestiero  del- 
l'armi  come  faticoso,  e  fu  ceduto  di  buona  voglia 
ai  stranieri ,  che  gl'Imperatori  arruolavano  volen- 


ìgo  LIBRO  SECONDO 

lierì  nelle  legioni ,  giacché  da  essi  più  che  dai  na- 
zionali potevano  sperare  un  sostegno.  Questi  peri- 
colosi ausiliarj  s'istruirono  di  tutte  le  finezze  della 
tattica  romana  ^  e  le  comunicarono  ai  loro  paesani  : 
mentre  questi  si  agguerrivano^quelli  più  si  sneryaYa* 
no,  a  segno  che  nei  tempi  dell'  Imperatore  Graziano 
giunsero  a  deporre,  come  peso  soverchio,  la  ferrea 
armatura  (a8).  Scoperto  il  pericoloso  segreto  della 
debolezza  romana,  non  fu  difficile  a  quelle  nazioni, 
invitate  dalla  dolcezza  del  clima,  dalle  ricchezze, 
e  dai  loro  compagni,  di  attaccarla  con  successo: 
tuttavia  un  Impero  cosi  potente,  e  che  avea  gettate 
radici  si  profonde  resistè,  per  dir  cosi,  colla  sua 
forza  d'inerzia  per  molto  tempo.  L'antico  valore 
latino,  eccitato  dalle  disgrazie,  si  risvegliava  talora 
in  petto  d'Imperatori,  e  di  abili  condottieri  ;  e  nelle 
campagne  d'Italia,  di  Francia,  di  Grecia,  più  volte 
restarono  vittime  della  loro  stolida  ferocia  innuoie- 
rabili  osti  di  Barbari,  L'Impero  romano  non  cadde 
che  dopo  molte  replicate  scosse,  e  lottò  più  secoli 
anche  nella  sua  debolezza  contro  moltiplicati  ne- 
mici. Uno  di  questi  avvenimenti  è  degno  di  es- 
sere rammentato  nell'istoria  di  Toscana ,  come  assai 
glorioso  alla  città  di  Firenze .  I  figli  di  Teodosio  si 
erano  divisi  l'Impero  .  Onorio  governava  quello 
d'Occidente,  principe  debole  di  carattere  come  di 
temperamento,  privo  di  passioni,  e  per  ciò  di  ta- 
lento, senza  vizj,  e  senza  virtù.  Era  perciò  rOcci* 
dente  in  suo  nome  governato  da  Stilicene,  che  può 
contarsi  come  uno  degli  ultimi  Generali  romani: 
pieno  d'ambizione,  e  di  valore,  e  forse  il  solo  ao- 

(aS)  f^egetius,  de  re  milit 


CAPITOLO  PRIMO  191 
stegno  del  cadente  Impero ,  giustificò  colle  sue  im- 
prese la  scelta  di  Teodosio^  che  con  dargli  in  sposa 
la  sua  figlia  addottiva  Serena  ^  avvicinandolo  al  tro- 
no^ lo  avea  interessato  alla  difesa  di  quello^  e  i 
viacolr  si  erano  accresciuti  pel  matrimonio  della 
figlia  di  Stilicene  con  V  Imperatore  stesso.  Si  era 
già  abbastanza  segnalato  questo  Eroe  contro  i  Goti 
condotti  da  Alarico^  che  prima  nella  Grecia^  e  nei 
boschi  d'Arcadia  (29)^  aveva  ridotti  a  mal  partito^ 
e  poscia  in  ItaUa  replìcatamente  disfatti  nelle  san- 
guinose battaglie  di  Polenzia,  e  di  Verona  (3o).t 
Dopo  breve  respiro  fu  T  Italia  inondata  da  una  ^■^*^'? 
mensa  turba  di  Barbari^  mossi  dalle  settentrionali  406 
parti  della  Germania  in  cerca  di  stabilimento,  o 
rapina.  Tale  avvenimento^  che  interessa  special- 
mente Firenze, è  quasi  una  scintilla  luminosa,  che 
getta  tra  tante  tenebre  questa  nobile  città,  ed  un 
preludio  delle  sue  glorie  future  •  Componevano  quel- 
l'esercito, volontario  di  varie  nazioni.  Vandali, 
Svevi)  Alani  ec.  riuniti  sotto  la  condotta  di  Rada- 
gasio.  Tble  era  lo  sconcerto  deirimperio,  si  mal 
guardate  le  frontiere,  che  questa  poderosa  oste  pe- 
netrò senza  ostacolo  nel  cuore  dell'Italia.  Molte 
città  furono  saccheggiate  ,  e  distrutte  ;  e  men- 
tre Roma,  e  il  Senato  tremavano j  ed  Onorio  si 
chiudeva  in  Ravenna,  che  le  paludi,  onde  era  al- 
lora cinta,  rendevano  inespugnabile;  la  sola  città 
di  Firenze  resistè  con  eroica  costanza  all'  impeto 
ostile,  e  ne  consumò  con  lento  assedio  la  forza.  Ri- 

(39)  Zommus  »  lib*  5.  GlancL  de  bello  Ostico. 

(3o)  Sigon.  deRe^no  Italiae  Mutai.  Ann.  d'ItaL,  Claud,  de 
MoGetìco:  i  Testìgj  di  Polenzìasi  Teggooo  aS  miglia  al  sud-est 
di  Torino:  Cluven  Ital,  antiq. 


193         LIBRO    SECOKDO 

Anni  dotta  air  ultime  estremità^  fu  soccorsa  da  Stilicone 
di  R.  alla  testa  dell' armata  imperiale.  Gli  avvenimenti 
non  aono  distintamente  narrati  (3i).  L'esercito  dei 
Barbari  9  comandati  non  dal  solo  Radagasio,  ma  da 
due  altri  Gapi^  non  formava  un  corpo  animato  da 
una  sola  volontà^  ed  era  più  forte  pel  numero^  che 
pel  valore  dei  combattenti  :  una  parte  solo  di  essi 
formò  l'assedio  di  Firenze.  Stilicone ^  che  era  pa- 
drone del  paese^  e  ne  conosceva  {Perfettamente  il 
locale^  pare  che  chiudesse  tutti  i  [lassi ^  onde  pote- 
vano portarsi  i  viveri  al  campo  di  Radagasio ,  ed  in 
tal  guisa  convertisse  gli  assediatori  in  assediati  (S^). 
Gli  affiamati  Barbari  dettero  i  più  furiosi  assalti 
all'assediata  città:  resistè  essa  intrepidamente;  on- 
de furono  quelli  costretti  alla  fine  dalla  £ime  a  ren- 
dersi a  discrezione.  Radagasio  fu  trucidato;  la  mag- 
gior parte  de' vinti ^  scampati  dalla  fame  e  dal  ferro^ 
furono  venduti  schiavi  «  e  l'eroica  difesa  dei  Fioren- 
tini salvò  Roma,  e  l'Italia.  Vi  restava  però  ancora 
una  gran  parte  di  questo  esercito  sparso  per  l' Ita- 
lia, e  bastante  a  ruinarla  :  atterriti  costoro  dal  &to 
dei  loro  compagni  pensarono  più  alla  ritirata,  che 


(3 1)  Oros,  et  Jugust. 

(Sa)  Si  vede  che  questa  era  ta  sna  maniera  di  guerreggiare  : 
così  avea  chiosi  i  Goti  in  Grecia  sul  Monte  Pholo  presso  al  fiume 
Peneo  ;  che  per  neglìgenta  »  gli  scapparono  di  mano  :  cosi  di  nuo- 
vo avea  stretto  Alarico  su  i  monti  ai  Verona,  miando  temendone 
forse  il  valore,  animato  dalla  disperazione»  concludendo  un  accora 
do,  lo  lasciò  partir  libero.  Dalle  parole  di  Orosio  si  può  congettu- 
rare che  il  corpo  principale  dell' armata  nemica  fosse  sul  monte  di 
Fiesole  «  In  arido  et  aspero  montis  jugo  »  In  ìtnum  oc  panmm 
verticem  »  La  situazione  di  questo  monte,  circondato  da  momti  pia 
alti ,  e  di  Firenze  cinta  da  una  serie  di  colline ,  gì'  intervalli  delle 
quali»  e  le  gole  de'pib  alti  monti  potevano  essere  agevolmente 
serrate»  rendevano  pid  facile  siffatta  operasione  •  Zosinu  iik*  5. 
MfarceUin.et  Prosper.  Chron. 


Dm 


G4P1T0L0  PRIMO  ìq3 

alla  vendetta^  e  la  prudenza  di  Stil icone  non  cre-^ 
dette  opportuno  impedirla .  ^"q] 

Ma  ormai  il  fatai  segreto  della  debolezza  roma-  4o6 
na^  era  troppo  conosciuj;o,  debolezza  ^  che  andava 
crescendo^  perchè  ristesse  cause  operando  senza  iu^ 
terruzione^  gli  effetti  divenivano  sempre  più  gran- 
di, e  più  sensibili:  i  Barbari^  che  avean  gustato  una 
volta  le  delizie^  e  i  tesori  d* Italia^  benché  talora 
respinti,  vi  tornavano  con  maggiore  alacrità ,  spe- 
cialmente quando  mancavano  alle  armate  imperiali 
Condottieri,  che  eredi  del  valore  latino,  supplisse- 
ro colla  capacità  alla  debolezza  delle  truppe.  Cosi 
appunto  ruinato  dalle  cabale  della  corte  di  Onorio^ 
e  poi  ucciso  Stilicone,  l'Italia,  e  Roma  non  ebbero 
più  difesa:  ritornò  il  feroce  Alarico  (33),  e  non  più 
trattenuto  da  quell'Eroe,  giunse  alle  mura  di  Ro- 
ma ,  popolatissima ,  ma  troppo  ricca ,  e  perciò  am*  408 
mellita  dal  Jusso .  Nei  tempi  della  sua  povertà,  e 
virtù,  con  assai  meno  popolazione  avea  mirato  in- 
trepidamente le  sue  mura  cinte  dai  Galli,  e  dai 
Cartaginesi ,  ed  avea  saputo  con  eroica  costanza 
trionfare:  ma  i  tempi  erano  tanto  cangiati,  che  una 
città  ^  che  comprendeva  almeno  un  milione  di  ahi-  409 
tatori^  si  riscattò  dalle  armi  de' Goti  con  tutto  Toro 
ed  argento,  e  preziose  spoglie,  che  piacque  ai  Bar- 
bari di  domandare  (34)*  Fu  piuttosto  accesa,  che 
saziata  l'avidità  de' Goti  da  queste  concessioni:  ri- 
tornarono poco  dopo  con  mendicati  pretesti  a  Ror 
ma,  a  cui  fu  dato  il  sacco  (35),  ed  esposta  a  tutti 
gli  orrori  che  la  militar  licenza  si  crede  permessi: 

(33)  Zosim.  lib.  f). 

(34)  E'  singoiare  che  tra  V  altre  domande  dei  Goti ,  ?i  fa  quel 
b  di  tremila  libbre  di  pepe . 

(35)  Procop.  1.  I . 

yw/iu  i.  i3 


\ 

,▼ 


194  LIBRO  SECONDO 

"co6Ì  undici  secoli  dopo  la  sua  fondazione,  questa 
jiCL  superba  citte  ^  che  avea  dominato  sulla  più  bella 
4^0  parte  del  globo,  rimase  preda  de' Goti,  e  furono 
smentiti  tanti  pomposi  vaticiuj  e  dei  pagani  pro- 
feti, e  dei  poeti,  che  le  promettevano  un'immorta'* 
le  possanza.  Intanto  Onorio,  che  gì' intrighi  di  cor. 
te  avevano  privato  del  solo  uomo  atto  ad  arrestare 
la  comune  mina,  incapace  di  riconoscerei  torti  dei 
di  lui  nemici,  insensibile  ai  pubblici  mali,  privo 
quasi  c^  regno,  se  ne  stava  chiuso  tra  le  mura  di 
Ravenna,  meno  infelice,  perchè  dovea  alla  sua  stu- 
pida imbecillità,  più  che  alla  fermezza  d'animo, 
l'indifferenza  a  tante  sventure.  Finalmente,  morto 
Alarico,  il  torrente  ostile  abbandonò  l'Italia,  e  tor- 
nò per  mancanza  di  contrasto,  in  mano  al  debole 
Imperatore  il  suo  regno. 

L'Impero  d'Occidente  durò  a  sostenersi  ancora 
pel  valore  di  qualche  illustre  condottiero,  che  tratto 
tratto  pareva  sorgere  quasi  dalle  ceneri  dell'italia- 
no valore;  ma  è  un  doloroso,  e  a  un  tempo  istrut- 
tivo spettacolo,  il  mirare  quanto  spesso  i  princìpi 
sacrifichino  alla  gelosia  o  propria  o  de' loro  adula- 
45a  tori,  la  salvezza  del  regno.  Stilicone,  che  aveva 
salvato  l'Impero,  e  poteva  salvarlo  ancora,  fu  vit- 
tima della  cabala  di  corte.  Un  altro  illustre  guer- 
riero, il  celebre  Ezio,  difese  anch'esso  l'Impero  di 
Occidente  col  suo  ingegno,  e  coraggio  sotto  un  Im* 
peratore  imbecille  al  par  d'Onorio,  e  n'ebbe  la 
stessa  ricompensa.  Son  note  l'imprese  d'Attila,  il 
di  cui  nome  suona  ancor  con  orrore  alle  cristiane 
orecchie  (36)  •   Air  invasione  degli  Unni  da  esso 

(36)  Questo  feroce  barbaro  amava  la  lode»  ma  disprenava 
r  esagerazione .  Il  poeta  liarullo  gli  presentò  in  Padova  uo  poema , 


CAPITOLO   PRIMO         ijjS 
guidati  y  iV  tìmido  Valentioiano  si  apparecchiava  a  "^ 
fuggir  d* Italia:  era  l'Impero  sfornito  di  difensori,  aic! 
Esio  con  una  rara  attività  potè  riunire  iusieme^  as-  4^^ 
sociando  agi' interessi  dell'Impero  anche  quei  dei 
Goti^  che  si  erano  stabiliti  in  Linguadoca^  una  trup. 
pa  capace  di  £ir  fronte  agli  Unni.  Forse  un  esercito 
sì  numeroso  non  ayea  mai  invaso  le  romane  pro- 
vÌDcie,  forse  non  fu  data  mai  più  gran  battaglia  di 
quella y  che  in  Gharapagna  nei  campi  Catalauni  (37)^ 
avvenne  tra  i  due  eserciti,  che  durò  circa  a  due 
giorni  (38) .  Gli  Unni  ebbero  la  peggio  ;  e  furono 
obbUgati  a  ritirarsi;  e  Tesagerazioni  che  si  leggono 
di  3oo  mila  uccisi,  se  non  possono  ammettersi  dal 
saggio  critico,  servono  però  a  mostrare  un'orribile 
strage.  Pure  il  liberatore  dell' impero^  Ezio,  ebbe 
la  sorte  di  Stilicone;  e  siccome  essendo  Tidolo  delle 
truppe  era  pericoloso  il  farlo  arrestare^  l'ingrato^  e 
imprudente  Valentìniano  fece  egli  stesso  da  carne- 
fice; nel  tempo,  che  Ezio  stava  seco  parlando,  tratta 
improvvisamente  la  spada ^  gliela  cacciò  nel  seno. 
Vi  fu  pure  nel  treno  dei  cortigiani  qualche  anima 
assai  libera  da  dirgli  che  in  questa  azione  colla  ma* 
DO  sinistra  si  era  tagliato  la  destra .  Le  truppe,  che  4^6 
adoravano  Ezio,  non  tardarono  ad  ammutinarsi,  e 
trucidar  l'Imperatore. 
Ma  la  finale  ruina  dell'Impero  d'Occidente  era 

eh*  d  non  uitendeTa.  Quando  seppe  dagrinterpetri  che  lo  fiiceva 
iiioendere  dagli  Dei,  e  chiamava  lui  stesso  un  Dio»  t'adirò  a  segno 
da  ordinare ,  che  il  poema  e  l'Autore  fossero  gettati  oel  fuoco  :  gli 
perdonò  poi  pensando  ,  che  questa  severità  avrebbe  alluotanato  gli 
ahrì  scrittori  da  tesser  le  sue  lodi  :  Callimacus  Exper,  in  Vita  dt» 
tiUe^  Si  paragoni  il  bium  senso  del  Re  degli  Unni,  colla  vanità  di 
Alessandro  Magno  »  che  voleva  esser  creduto  figlio  di  Giove  »  e  con- 
aderata  on  Dio  • 

(37)  Presso  Glialons. 

(38)  Jornandes,  de  rebus  Geiicis,  cap.  36.  4i* 


196  LIBRO  SECONDO 

"7  riserbata  ad  Odoacre  (39).  Nato  nel  Norico^  edu* 
dìc.  <^to  però  in  Italia ,  teneva  uno  dei  primi  posti  fra 
4?^  quei  stranieri  mercenarj^  che  T  Impero  pagava  per 
la  sua  mina.  Alla  testa  di  questi  soldati,  che  di 
difensori  divennero  presto  nemici,  distrusse  gli  avan* 
zi  dell'impero  d'Occidente,  e  prese  il  nome  di  Re 
d'Italia.  L'ultimo  dei  degenerati  Imperatori  fu  Ro« 
molo  Augusto,  che  per  un  bizzarro  accidente  riunì 
due  nomi  illustri,  cioè  del  fondatore. di  Roma^  e 
del  fondatore  dell'Impero;  e  che  per  scherno  fu 
appellato  Momillo  Augustolo.  Era  cosi  disprezzato, 
che  Odoacre  non  credè  pericoloso  il  lasciarlo  in  vi- 
ta •  Il  deposto  Imperatore  fu  relegato  sulla  deliziosa 
collina  di  Miseno,  villa  prima  modesta  di  Mario, 
poi  sontuosa  di  LucuUo,  indi  degl'Imperatori,  che 
vide  morire  Tiberio,  e  che,  passando  per  varie  vi- 
cende, dopo  essere  stata  abitazione  di  questo  de- 
gradato Imperatore,  divenne  in  seguito  un  santua- 
rio ed  una  fortezza ,  ed  è  ora  un  nudo  colle,  che 
coir  amenità  del  sito  fa  fede  dell'eleganza  e  del 
gusto  degli  antichi  Romani. 

È  invalsa  una  moda,  in  specie  fra  gli  scrittori 
francesi ,  di  considerare  il  governo  romano  come  ti- 
rannico, ed  oppressore  delle  altre  nazioni,  perchè 
fece  suo  unico  oggetto  l'arte  della  guerra,  e  domi-^ 
nò  su  tanta  parte  del  mondo  colla  forza  delle  armi  ; 
ma  un  saggio  osservatore,  che  abbracci  colla  men- 
te le  rivoluzioni  di  molti  secoli ,  assolverà  facilmente 
dall'accusa  quel  popolo  generoso.  I  Romani  non  solo 
conquistarono,  civilizzarono  ancora  i  vinti  popoli: 
inoltre  lo  stato  di  guerra,  in  cui  l'istoria  dei  passa- 
ti eventi  ci  mostra  che  sono  state  sempre  e  saranno 

(39)  Theoph.  Gassid.  in  Chrouic. 


CAPITOLO  PRIMO  197 
le  oasioni^  ci  pone  avanti  agli  ocelli  quanta  ragione 
areasero  i  Romani  di  porsi  in  istato  di  conquistare  ai  e. 
per  non  esser  conquistati.  Veramente^  appena  per*  4?^ 
duta  la  superiorità  delle  armi^  ecco  Roma^  e  rita« 
lia  preda  de' primi  feroci  occupanti  >  ed  esposta  a 
quelle  calamità^  che  il  valore  dei  suoi  figli  avea  per 
tanti  secoli  tenute  lontane.  Quantunque  gravi  fos- 
sero quelle  finora  sofferte^  da  questo  momento  co- 
mincia una  serie  dei  più  tristi  avvenimenti  per  gli 
infelici  Italiani.  Odoacre^  primo  R<e  d'Italia^  ci  si 
dipinge  come  savio ^  moderato^  clemente^  e  rispet- 
toso pei  riti  religiosi  degli  abitanti^  ne' quali  non 
fece  alcuna  innovazione  •  Ad  onta  però  di  questo 
carattere»  è  sempre  trista  la  sorte  de* vinti:  un  ter- 
so delle  fertili  campagne  d'Italia  dovette  cedersi  ai 
vincitori  (40)9  dei  quali  neppur  esso  poteva  talora 
frenare  T insolenza^  e  che  credevano  donar  quello, 
che  non  toglievano .  Estinte  le  scienze ,  e  le  lettere 
(eccettuate  l'arti  le  più  grossolane  indispensabili 
anche  ai  barbari  )  tutto  ciò  che  è  figlio  dell'elegan- 
za ^  e  del  gusto ,  e  che  teneva  occupate,  e  nutriva 
tante  mani,  era  aflfatto  perduto;  le  campagne  dere- 
litte, e  perciò  sterilii  L^ opulenza  dei  nobili  roma- 
ni, che  per  fino  al  sacco  di  Roma  aveano  possedute 
immense  tenute  in  Aflfrica,  e  in  Asia,  e  che  alimen- 
tavano l'ozioso  popolo  di  Roma, «era  svanita.  L'Af- 
frica, nutrice  già  dell'Italia^  era  separata  dall'Ira* 
pero  di  Occidente:  qu^l  poco,  che  produceva  il  mal 
colt-ivato  suolo,  era  caduto  per  la  maggior  parte  ai 
vinscitori;  onde  ta  fame,  e  la  desolazione  spopolava* 
ho  iquesto  paese  una  volta  sì  felice  « 

(4o}  Proeop^  Kb.  i* 


200  LIBRO  SECONDO 

.  di  avere  intorno  chi  le  possedeva  :  la  stima  che  egli 
di  e  f^^^  ^^  Gassiodoro ,  il  piò  dotto  uomo  dei  suoi  tempi 
4^8  (]a  lui  eletto  segretario^  il  piacere,  che  prendeva 
nella  sua  compagnia>y  usando  di  farlo  parlare  di 
quelle  notizie  scientifiche  che  si  aveano  in  quel 
tempo 9  l'averlo  inalzato  alle  cariche  piò  distinte, 
lo  provano  abbastanza  «  Anche  il  disgraziato  Seve- 
rino Boezio  insigne  filosofo,  ed  elegante  scrittore 
godè  per  molto  tempo  il  favore  di  Teodorico ,  e  fu 
inalzato  ai  primi  onori:  se  ne  incorse  poi  la  disgra- 
zia /diede  forse  motivo  all'altrui  calunnie  co' suoi 
arditi,  ed  imprudenti  discorsi  (6),  Fu  racchiuso 
per  molto  tempo  nello  squallore  d' una  prigione  in 
Pavia,  e  poi  crudelmente  fatto  morire^  Il  suo 
lib.  (7)  scritto  tra  le  tribolazioni ,  e  V  orrore  della 
carcere  per  cercare  appunto  il  balsamo  alle  sue  pia- 
ghe da  quella  filosofia  che  promette  più  di  quel  che 
mantiene ,  desia  V  ammirazione  di  chi  considera  i 
tempi  ne'  quali  fu  scritto  •  Una  viva ,  ed  elegante 
immaginazione ,  ha  vestito  di  colori  poetici  le  mas- 
sime Stoiche:  non  perde  questa  opera  a  confirouto 
d^i  più  lavorati  scritti  di  Seneca;  e,  se  si  prescinde 
dalla  ^magia  dello  stik  del  Padre  della  romana  elo* 
quenza  ,  può  stare  accanto  ai  di  lui  filosofici  scritti» 
Nà  è  maraviglia  ;  poiché  era  stato  educato  Boezio 
nelle  scuole  d'Atene,  ove  s'insegnavano  ancora 
quasi  per  Uradizione.  i  sentimenti  de' filosofi  d^li 
aurei  tempi  di  Grecia  * 


ove  er«  intagliato,  come  snol  direi ,  a  giorno  il  ano  nome:  scor- 
rcndo  colla  penna  negli  spàzi  ^rooti  della  lamina  scmieTa  il  auo 
nomel.     > 

(6)  Vales.  Fj*ag.  il. 

.    >•  ('7)Decon»ilat.Philo8efliiae.  ^  •  ^' 


CAPITOLO  SECONDO  soi 
Regnò  Teodorìco  in  Italia  trentatrè  anni  :  mori  . 
lasciando  una  sola  figlia  ^  la  celebre  y  e  disgraziata  ^i  e. 
Amala^unta .  Quantunque  in  questo  breve  prospetto  ^^^ 
non  aia  nostro  disegno  di  occuparci  dei  particolari 
avvenimenti^  tuttavia  le  avventure  della  bella  figlia 
di  si  gran  Sovrano  meritano  commemorazione.  Era 
essa  dotata  delle  grazie  del  corpo,  e  dello  spirito  :  il 
padre  y  che  stimava  le  lettere ,  la  fece  istruire  in 
esse,  e  lo  scenziato  Gassiodoro  si  dette  ogni  cura 
per  adornarle  la  niente  :  fu  per  tempo  maritata  con 
Eatarìco  destinato  al  regno:  morto  però  prima  di  ^ 

Teodorico ,  fu  dichiarato  suo  successore  il  figlio  di 
Amalasuitta  Àtalarico,  che  non  avea  più  di  otto, 
ovvero  dieci  anni  alla  morte  di  Teodorico  •  La  ma- 
dre, di  luì  tutrice  prese  ogni  cura  per  dare  al  figlio 
queir  educazione  che  avea  ricevuta  ella  stessa  •  I 
Goti  però  disprezzando  le  scienze,  e  le  lettere,  e 
credendole  indegne  di  un  animo  generoso ,  costrin- 
sero la  madre  a  cacciare  i  maestri ,  e  a  dare  per 
compagni  al  Re  dei  giovani  Goti  suoi  coetanei* 
Sciolto  ogni  freno,  diedesi  in  preda  con  questi  al 
vino,  e  ad  altre  sregolatezze,  delle  quali  mori  vit« 
tinoa  nella  fresca  età  di  anni  sedici.  Àmaiasunta 
per  l^gi  longobardiche  era  esclusa  dal  regno  :  il 
suo. partito  però  fece  eleggere  Re  Teodato  scelto  da 
lei  per  isposo ,  che  ignaro  affatto  delle  arti  del  go- 
verno, e  della  guerra,  si  occupava  solo  delia  rozza 
letteratura  di  quei  tempi ,  qualità  atta  a  risvegliare 
il  dispregio  de'  suoi  sudditi  •  Forse  questo  pregio 
determinò  la  vanità ,  e  il  capriccio  di  Àmaiasunta; 
forse  anche  un  più  profondo  disegno,  la  speranza 
di  governare  in  nome,  di  un  t;iomo  incapace.  Co- 
monque  sia ,  non  poteva  Àmaiasunta  far  jpeggiore 


2o%  LIBRO   SECONDO 

^scelta  .  LMograto  Teodato  y  presto  tediato  degli  au- 

di  G.^^^^^^^ì  consigli  della  sua  benefattrice  ^  o  forse  sii- 

^^^  molato  da  qualche  confidente  ambizioso ,  la  confinò 

in  un^  isoletta  del  lago  di  Bolsena  ,  ove  in  seguito 

fu  strangolata  sul  fiore  della  bellezza ,  e  della  gio« 

ventù  (8) . 

La  gloria  del  regno  de'  Goti  si  estinse  col  loro 
gran  Re  Teodorico:  il  debole  Teodato ,  impaurito 
dalle  minaccie  dell'imperatore  Giustiniano^  che 
pretendeva  come  parte  dell'impero,  le  lontane  pos- 
\  sessioni  d'Italia^  promise  dì  abdicare  il  regno:  ma 

non  avendo  fatto,  né  osando  di  porsi  alla  testa 
delle  truppe  che  doveano  marciare  per  f^r  fronte  a 
quelle  guidate  da  Belisario,  ne  commesse  il  coman- 
do a  Vitige  ,  il  quale ,  dai  Goti  che  sdegnavano  on 
Re  imbecille ,  fu  acclamato  loro  Sovrano^  ed  ucciso 
il  vile  Teodato  (9) . 

Gl'imperatori  d'Oriente  si  riguardavano  come 
gli  eredi  naturali  dell'  Impero  d'Occidente,  e  per- 
ciò il  regno  de'  Goti  in  Italia  era  a'  loro  ocelli 
tm'  usQrpaziooe  .Quelli  che  precederono  Giustiniano 
non  ebbero  ne  talenti,  né  forza  per  tentarne  la  con- 
quista .  Egli  ne  concepì  il  progetto,  e  ne  confidò 
r  esecuzione  all'  uontio  più  capace,  al  gran  Belisa- 
rio. Era  questi  uno  di  quegli  uomini,  che  la  natura 
fi^rraa  di. rado,  non  inferiore  nei  militari  talenti  ai 
più  grandi  Generali  dell'  antica  Roma  ,  piò  stima- 
bile perchè  mancando  di  truppe  valorose,  e  dei 
mezzi  per  far  sussistere  le  sue ,  dovette  lottare  con 

mille  difficoltà  ignote  agli  antichi  Generali;  abile 

I  » 

.•  [  t  (^)  Jomac^d.  De  rebus  Geticis[CBjf,  5y., 

(9)  Procop.  De  beUo  Getic  Iìd/  1.  Cassiodor.   Epìs.  Sa, 
Kb.  10.  €c.  '      •  i  ' 


CAPITOLO  SECONDO  ao3 
nelle  arti  di  guerra,  come  in  quelle  di  pace,  freddo 
Del  consiglio,  fervido  e  intrepido  neir  azione,  attori  (^ 
a  debellar  colle  armi ,  e  a  conciliarsi  Tanimo  dei  ^^5 
Tinti,  era  il  più  acconcio  a  compire  i  progetti  di 
Giustiniano.  Procopio,  segretario  di  queir  Eroe,  e 
testimone  oculare,  ne  ha  descritte  T  imprese  ;  e  se 
si  Teglia  anche  creder  qualche  volta  parziale,  non 
può  al  più,  che  aver  adoperato  un  colorito  più 
\ago  nel  dipingere  i  grandi  avvenimenti ,  il  fondo 
de' quali  troppo  noto,  è  attestato  da  altri  scritto- 
ri. Belisario  si  era  già  segnalato  contro  i  Persia* 
ni,  e  avea  terminata  una  difBcile  guerra  contro  i 
Vandali:  TAffrica  recuperata,  e  il  loroBeGelimero 
condotto  in  Costantinopoli  prigione,  aveano  deco- 
rato il  suo  trionfo.  Giustiniano  lo  inviò  in  Italia  538 
con  un' armata ,  che  può  parere  disuguale  a  tanta 
impresa,  giacché  non  oltrepassava  ottomila  uomini 
tra  fanti  e  cavalli;  ma  il  valore,  e  la  sagacia  del 
Capitano  supplivano  alla  piccolezza  dell'  esercito  : 
parte  colla  forza ,  e  parte  colla  dolcezza  conquistata 
la  Sicilia^  indi  il  regno  di  Napoli,  s'incamminò  a 
Roma,  che  gli  apri  senza  contrasto  le  porte,  ri- 
guardando i  Greci  come  i  liberatori  d' Italia  •  1 
Goti,  per  arrestare  quest' incendio,  che  minacciava 
di  distruggere  il  loro  regno ^  adunarono  un'armata 
di  centocinquanta  mila  combattenti,  e  si  avanzare* 
no  verso  Roma  (io)«  Belisario,  non  avendo  fbrze  da 
tener  la  campagna,  si  chiuse  in  Roma,  che  fu  tosto 
aai^ediata  •  Durò  .circa  ou  anno  l'assedio;  in  cui 
l'ostinato  ftirore*  de'Goti  da  uha  parte,  e  la  fermez- 

Ba  e  il  valore  di  Belisario  dall'altra,  dettero  origine 

.'ti''  • '    .  ' 

(!•}  Per  gli  «Tvenimenti  diqiiesta  guerra .  V.  Prdcop.  lib.  i. 
tCnJomandes  De  rebus  Geticis.  Marat.  Annah  d' It  ce. 


3o4  LIBRO  SECONDO 

=  ai  fatti  più  illustri .  Non  la  £uDe^  non  le  iBakttfe 
di  G.  contagiose,  non  lo  scoraggi  menta  dei  Romani,  non 
^^^  i  tradimenti^  poterono  Ttncere  quest^firoe.  Sulle 
mura  di  Roma  furono  sostenuti  da  una  piccola 
truppa  attacchi  tali,  cbe^  e  pel  furore,  e  per  la 
durata^  e  pel  numero  dei  morti,  e  per  le  conse- 
guenze, possono  paragonarsi  a  grandi  battaglie  (i  i ). 
L'esercito  de' Goti  sempre  rispinto^  diminuito  di 
quasi  la  metà,  e  dalle  armi  degli  assediati,  e  dalle 
malattie,  dovè  finalmente  abbandonar  T  impresa  « 
Questa  difesa  conciliò  una  decisa  superiorità  alle 
armi  imperiali.  &:oraggiti  i  Goti,  in  parte  si  sban- 
darono, e  r  avanzo  non  fu  più  capace  di  resistere 
alla  vittoriosa  armata  greca ,  che  accresciuta ,  at-^ 
tacco  varie  città  d'altana.  Poche  ebbero  il  coraggio 
di  resistere^  e  tra  queste  Fiesole,  naa  fu  presta 
espugnata:  passò  quindi  Belisario  a  Ravenna,  ove 
si  era  chiuso  il  Re  de' Goti.  Era  Vitige  uno  dei  più 
valorosi  di  sua  nazione,  g;iacchè  eletto  da  libero 
consenso  di  un  popolo,  che  non  pregiava  che  il  va- 
lore militare,  ed  eletto  nel  tempo  del  perìcolo,  p»- 
re  nel  confrónto  si  vede  quanto  era  inferiore  a  Be- 
lisario. Vitige  si  trovava  assediato  in  Ravenna,  co- 
me Belisario  in  Roma,  Ravenna  si  stimava  assai 
più  forte  di  Roma*  Gli  assediati  eguagliavano  al- 
men<>  in  numero  gli  assedi;inti,  eppure  non  si  scor- 
ge alcuno  di  quei  tratti  che  distinsero  tanto  in  quel- 


(il)  In  tiD  assecHo  dato  alla  mote  Adrimay  efce consefvata  an- 
cora i  suoi  ornati,  furono  gettate  su  i  Barbari  le  statue^  le  colonne  r 
e  tutto  ciò  clic  si  presentara  ai  combattenti  ^  U  Fauno ,  cbe  dor- 
me» nel  palano  Barberini  fu  ritrovafa  nello  scaro  de' Unni  di  onel 
Castello  gettatovi  probabilmente  in  quell'  occasione  •  Jngmiut 
Bargaeus  De  aedific.  Urbis  Romae  wersoribus .  Thesétu,  apud 


Anni 


SECONDO        ao5 
lo  di  Roma  il  greco  valore*  Ravenna  finalmente  fu 
obbligata  a  capitolare,  e  il  Re  de' Goti  restò  prigio-  ^"q| 
siero  di  Belisario .  Poco  mancava  alla  total  con-  539 
qaista   d' Italia  ^  quando  il   sospettoso  Giustiniano 
richiamò  Belisario  col  pretesto  della  guerra  per- 
siana. È  vero,  che  egli  lo  avea  disobbedito,  ricu- 
sando di  accettare  un  ignominioso  trattato  da  lui 
concluso  coi  Goti;  è  vero,  che  era  stato  tentato  da 
essi  con  T offerta  della  corona  d'Italia;  ma  la  sua 
pronta  obbedienza,  le  gotiche  spoglie,  e  il  Re  stes- 
so Yitige,  ch'egli  condusse  ai  piedi  dell'Imperatore, 
furono  la  sua  più  bella  difesa  •  Alla  partenza   di 
Belisario  si  rianimarono  i  deboli  avanzi  del  gotico 
regno:  sì  elesse  nuovo  Re  Ildibaldo,  che  fu  presto 
ucciso  (ad);  indi  Erarico  poco  degno  di  esser  no- 
minato, e  finalmente  Totila,  che  colle  armi,  e  col 
consiglio  ricuperò  la  maggior  parte  d'Italia.  Invano  546 
fu  rimandato  Belisario  senza  truppa,  senza  denari^ 
senza  viveri:  il  suo  solo  nome,  se  non  potè  liberar 
Roma  dall'assedio  di  Totila,  fu  quello  almeno  che 
sostenne  gli  avanzi  miserabili  delle  greche  forze; 
e  se  si  consideriuo  le  difficoltà  dalle  quali  si  trovò 
circondato,  e  gli  sforzi  d'ingegno,  e  di  valore  coi 
quali  seppe  superarle,  non  apparirà  meno  grande 
in  questa  poco  felice  campagna  d'Italia,  che  nelle 
sue  più  splendide  vittorie  (i3)*  Richiamato  a  Co- 
stantinopoli, servì  per  tutta  la  sua  vita  fedelmente 
una  corte ^  ove  tutto  il  merito  si  eclissava  a  fronte^ 
del  favore.  Soltanto  si  ricorreva  a  lui  negli  estremi 

(la)  Io  mezzo  di  nu  gran  banchetto»  una  delle  sue  guardie 
die  ^  stava  dietro  9  irritata  per  essere  stata  dal  Re  maritata  ad  un 
altro  una  fanciulla  da  esso  amata ,  gli  tirò  improvvisamente  uu 
colpo  tale ,  che  gli  fece  balzar  la  testa  sulla  tavola . 

(i3)  Procop.  lib.  3, 


io6  LIBRO  SECONDO 


Spericoli,  e  passati  questi  era  negletto:  fino  nella 
diC.  sua  ultima  decrepitezza ,  mentre  una  scorreria  di 
^4^  Bulgari  e  Schiavoni  minacciava  la  città  stessa  di 
Costantinopoli  sprovvista  di  truppa,  il  tremante  Im- 
peratore,  i  deboli  cortigiani  9  il  popolo  tutto  rivol- 
sero gli  occhi  all'obliato  veterano , che  scordatosi 
degli  affronti)  salvò  con  la  sua  intrepidezza  una 
corte  ingrata  (i4)«  Chi  crederebbe  che  dopo  que- 
st'ultimo y  e  sì  segnalato  servigio,  si  fosse  avuto  T in- 
solenza di  mescolare  il  suo  nome  ad  una  cospirazio- 
ne o  vera,  o  supposta  contro  V  imperatore?  Belisa- 
rio fu  custodito  come  prigioniero  nel  proprio  pa- 
lazzo, fu  costretto  a  discendere  fino  all' umiliazione 
di  giustificarsi*  Fu  finalmente  assoluto,  ma  dopo 
otto  mesi  terminò  una  vita  piena  di  gloria,  e  di 
persecuzione.  Per  la  ritirata  di  Belisario  era  rimasa 
l'Italia  in  mano  ai  Goti;  e  Giustiniano,  che  appena 
avea  i  mezzi  di  difendere  l'Impero  d'Oriente,  ane- 
lava sempre  a  quello  d' Occidente ,  e  sopra  tutto 
all'Italia,  È  cosa  comune  l'osservare  quanto i  Prin- 
cipi amino  conquistare  nuovi  dominj,  piuttosto  che 
accrescere  la  forza  e  lo  splendore  di  quelli ,  che  pos- 
siedono. Il  vacillante  Impero  greco  erd  sempre  mi- 
nacciato dai  Barbari,  le  scorrerie  de'quali  insulta- 
vano la  maestà  di  Costantinopoir,  e  ardivano  di 
avvicinarsele:  egli  invece  di  pensare  seriamente  ad 
assicurare  il  centro  de'  suoi  regni,  impiegava  i  te- 
sori ,  e  le  armi  per  recuperare  l'Italia.  Dopo  molti 
vani  tentativi,  affidò  l'impresa  a  Narsete.  L'istoria, 
che  è  la  maestra  della  vita,  lo  specchio  dei  Sovrani, 
e  dei  ministri,  giacché  nel  passato  il  più  delle  volte 
da  una  mente  perspicace  si  legge  il  futuro,  ci  mo- 

(14)  Jgatius  Uh.  5.  Thophan.  Chron. 


CAPITOLO  SECONDO  307 
«tra  quanto  spesso  la  sorte  de'  regni  dependa  dalla 
sceka  d'un  uomo.  Belisario , e  Narsete  recuperarono  ^i  e. 
successivamente  V  Italia .  Tutto  fu  inutile  senza  di  ^  4^ 
essi:  tutti  gli  ostacoli  cederono  al  loro  valore;  né  la 
mancanza  di  virilità,  né  T educazione  molle  e  fé* 
minile y  tolsero  a  Narsete  i  pregi  di  un  Eroe.  Aveva 
già  militato  sotto  Belisario  nella  stessa  guerra; egli 
condusse  in  Italia  il  suo  esercito  non  grande ,  ma 
valoroso^  e  composto  di  guerrieri  di  differenti  na* 
zioni  j  con  marcie  maestre  costeggiando  l'Adriati- 
co. Probabilmente  tra  Matelica,  e  Gobbio  s'azzuf* 
fàrono  le  armate  di  Totila^  e  di  Narsete;  e  dopo 
un'ostinata  battaglia  i  Goti  furono  completamente 
battuti 9  e  Totila  ferito  nella  fuga,  o  per  mano  dei 
nemici,  o  de' suoi,  mori,  essendogli  apprestati  in* 
Tano  tutti  i  soccorsi.  Questa  battaglia  decise  della 
sorte  d'Italia,  poiché,  quantunque  fosse  eletto  nuo- 
vo Re  dei  Goti  di  Teja,  uomo  valoroso,  tuttavia 
s'impadronì  passo  passo  Narsete  di  quasi  tutto  il 
paese  ,  e  di  Roma  stessa ,  ed  in  un  altro  fatto  d' ar- 
me, che  durò  due  giorni  alle  falde  del  Vesuvio, 
Teja  rimase  morto  dopo  infinite  prove  di  valo- 
re (i5):  il  resto  de' Goti  stipulò  con  Narsete  un 
onorevole  ritirata  fuori  d'Italia.  Pare  per  altro  the 
0  non  mantenessero  i  patti ,  o  che  altri  Groti ,  che 
presidiavano  alcune  piazze ,  in  specie  in  Toscana, 
non  ratificassero  il  trattato,  onde  non  finì  la  guerra. 
Intanto  un  poderoso  esercito  di  Franchi  o  eccitati 
già  da  Teja ^  o avidi  naturalmente  di  preda,  era  ca- 
lato in  Lombardia  •  Narsete  spedì  loro  incontro  parte 
dell'esercito,  e  intanto  si  mosse  a  recuperare  la 
Toscana .  Firenze ,  Volterra ,  Pisa  gli  apersero  le  554 

(i5)  Procop.  Uh.  4*  Marat*  Ann.  d'ItaL 


9o8  LIBRO  SECONDO 

:  porte;  la  sola  Lucca  gli  fece  aa'  oitinata  resistenxai 
ai  e.  ^^  cedette  alfine  ancor  essa .  Intanto  Y  esercito  dei 
^^4  Franchi  scorse  l'Italia  fino  in  Calabria,  ma  al  fiume 
Volturno  fa  rotto ,  e  disperso  da  Narsete.  Può  ri- 
guardarsi questa  guerra  come  un'  appendice  della 
gotica ,  che  in  quest'  anno  restò  terminata  dopo 
anni  venti ,  ed  estinto  il  gotico  governo ,  dopo  anni 
sessantaquattro.  L'odio  al  nome  de' Goti  fa  ralle- 
grare il  lettore  superficiale,  quando  incontra  la  mi- 
na del  loro  regno  ;  ma  agli  occhi  del  profondo  os- 
servatore ,  questo  avvenimento  comparisce  una  ca- 
lamità per  l'Italia,  giacché  cominciando  ad  esse- 
re ,  per  cosi  dire ,  amalgamati  insieme  i  vincitori , 
e  i  vinti,  la  durezza  de' primi  conquistatori  era 
ammansita  ;  e  se  allora  si  fosse  consolidata  l' Italia 
in  un  governo  stabile,  e  indipendente  sarebbe  for- 
se rimasta  tale  anche  in  futuro  ;  mentre  divenuta 
suddita  di  Costantinopoli ,  oltre  la  dependenza  e  i 
tributi,  essendo  sempre  debolmente  difesa  in  tanta 
lontananza,  era  facilmente  la  preda  del  primo  po- 
polo intraprendente.  Durò  Narsete  a  governare  l'Ita- 
lia per  molto  tempo,  e  non  fu  occupato  che  in  pic- 
cole guerre ,  che  o  i  Goti  restati  ancora  in  qualche 
città ,  o  lo  spirito  d' indipendenza ,  o  i  forestieri  gli 
fecero;  e  in  tutte  fu  vincitore.  Dopo  sedici  anni ,  il 
suo  governo  cominciò  a  parer  duro,  o  che  l'avidità 
dell'oro  lo  tradisse,  o*che  il  genio  naturale  di  novità 
facesse  ai  Romani  bramare  un  cambiamento,  il  Se- 
nato di  Roma  chiese  all'  Imperator  Giustiniano  il 
di  lui  richiamo  •  Se  fosse  poi  vera  la  disonorevole 
ambasciata  'a  lui  fatta  a  nome  dell'  Imperatrice  So- 
fia (16),  o  almeno  le  parole  oltraggiose  da  lei  dette 

(i5)  Raccontano  alcuni  storici  che  l'Imperatrice  Sofia  gli  fa- 


CAPITOLO   SECONDO        20^ 

pabblicamente^  e  che  in  yeadetta  Narsete  chiamasse 
i  Longobardi  in  Italia  ,  mostrando  loro  la  facilità  ^^[ 
ddla  conquista ,  sarebbe  questa  una  nuova  prova  ^^4 
dei  grandi  effetti  prodotti  da  piccole  cause  ^  ed  un 
avvertimento  ai  Sovrani  di  rispettar  gli  uomini  che 
hanno  reso  loro  importanti  servigj .  Comunque  ciò 
sia  fu^richiamato  Narsete:  temendo  egli  gl'intrighi 
della  corte  ^  non  uscì  d' Italia  y  e  morì  vecchissimo 
in  Roma  •  Egli],  e  Belisario  possono  riguardarsi  come 
gli  ultimi  Generali  del  greco  impero.  An:ibedue 
riconquistarono  V  Italia  più  col  proprio ,  che  col  va- 
lore delle  truppe  :  ambedue  disgraziati  alla  corte , 
ove  le  grandi  imprese  di  un  Eroe  lontano  toccano 
meno  T animo  dei  deboli  principi,  che  le  voci  in- 
Àdiose  di  calunniatori  presenti .  Belisario  tuttavia 
(Scomparisce  più  grande  di  Narsete ,  che,  reso  ce- 
lebre dalla  sola  guerra  d' Italia ,  sacrificò  alla  ven- 
detta del  primo  torto  ricevuto  gì'  interessi  del  So- 
vrano. Una  lunga  serie  di  guerriere  imprese  in  Af* 
frica  y  in  Persia  ,  in  Grecia  ,  in  Italia  distinsero  Be- 
lisario. Più  virtuoso,  e  più  paziente  di  Narsete, 
non  oppose  ai  suoi  occulti  nemici,  che  la  franchez- 
za, e  r  innocenza  ;  né  si  vendicò  de'  ripetuti  oltrag- 
gi della  corte  imperiale,  che  con  più  fedeli  servig)  : 
disgraziato  nei  domestici  vincoli ,  V  infamia  ,  e  la 
dissolutezza  della  sua  moglie  Antonina,  degna  ami- 
ca e  confidente  dell'Imperatrice  Teodora,  T invi- 
luppò in  tanti  pericoli ,  e  disgusti,  che  forse  quella 


cesse  dire ,  o  almeno  pubblicamente  dicesse ,  esser  tempo  che  un 
eonoco  sao  pari  tornasse  a  filare  al  serraglio  j  e  cbe  egli  rispon- 
àesse:  che  avrebbe  filato  un  filo  tale,  che  da  esso  non  sì  sarebbe 
1* Imperatrice  saputa  sviluppare,  «  Murat.  Anu.  d*Ital.  Sigouio 
Horat.  Mane.  Rerum  ital.  script«  tom.  2.  pag.  4^7  '^8. 

i'itlìM  i.  i4 


«IO  LIBRCy  SECONDO 

^stessa  disgrazia,  che  avea  posto  Narsete  al  coperto 

j^  Q  d' incorrerli ,  parrà  a  qualcuno  meno  grave  (17). 

568  Priva  l'Italia  d'  uomini  cosi  grandi,  passò  presto 
dal  giogo  de' Goti  a  quello  de' Longobardi  •  Questi 
popoli  nominati  già  da  Tacito,  Strabone,  Vellejo 
Patercolo,  abitavano  tra  l'Elba  e  TOder.  Alboino 
loro  Re  ferocissimo  guerriero,  faceva  si  poco  con  tu 
dei  paesi  che  possedeva  in  confronto  dell'Italia, 
da  lui  creduta  sicura  conquista',  che  muovendosi 
con  un'  immensa  oste,  la  quale  conduceva  seco  in- 
tiere famiglie  con  tutti  i  beni  mobili,  concesse  agli 
Unni  e  ad  altri  popoli  conGnanti  il  paese  che  ab- 
bandonava .  Ai  confini  d' Italia  ,  sali  il  feroce  Re 
sopra  un  alto  monte  per  contemplarne  la  bellezza , 
ed  anticiparsi  il  piacere  del  possesso  (18).  Vi  entrò 
senza  contrasto  dalla  parte  del  Friuli:  Verona  ,  Vi- 
cenza, ed  altre  città  si  arresero  senza  resistenza. 

$69  Le  poche  milizie  imperiali  incapaci  di  tener  la 
campagna  si  chiusero,  e  si  difesero  in  alcune  città  ; 
ma  a  poco  a  poco  tutto  il  fertile  paese  detto  in 
appresso  Lombardia,  cedendo,  prese  dai  conqui- 
statori il  nome;  indi  la  Toscana,  l'Umbria  la  Mar- 
ca ebbero  la  stessa  sorte,  difendendo  l'Esarca  Lon- 
gino poco  più  di  Ravenna,  e  di  Roma.  Ecco  una^ 
nuova  barbara  dinastìa  a  dominare  l'Italia*  Il  va- 
lore d'Alboino  n'eguagliava  la  crudele  ferocia,  che 


(17)  L'Istoria  della  memlicit^,  e  cecità  di  Belisario  è  una  fa- 
vola abbracciata  avidamente ,  e  senza  esame  dai  poeti  »  dai  retori  • 
e  dai  filosofi  come  un  esempio  illustre  delle  vicende  della  sorte. 
Questa  favola  non  sì  trova  che  ne* versi  di  ano  screditato  acrittort 
(Zetzes  chit.)  molti  secoli  posteriore  a  Belisario.  Obi  ha  fior  di 
senno  agevolmente  comprende  che  un  sifi'atto  uomo  non  poteva 
domandar  l' elemosina  • 
(1 S)  Paal^. a. ec.  Sigon.de  Regno Ital.  lib.  1  .Marat.  Ann.  d^tal. 


CAPITOLO  SECONDO  aii 
apparentemente  fu  la  cauda  della  tua  morte .  Prima  . 
d'invader  T Italia ,  a?ea  quasi  intieramente  distrutta  di  e. 
in  una  gran  battaglia  la  nazione  dei  Gepidi,  ed  uc-  ^^ 
ciao  il  loro  Re  Cunemondo^  la  di  cui  figlia^  la  vaga 
Rosmunda^  fu  costretta  a  sposare  il  vincitore.  So^ 
coodo  i  costumi  barbari  di  quei  tempi ,  in  un  gran 
coQvito  di  Longobardi ,  beveva  Alboino  nel  cranio 
di  Gunemondo,  legato  in  oro  (19).  In  Verona, 
quando  forse  reso  era  più  feroce  dal  vino,  costrinse  - 
l'iofelice  Rosmunda  a  bere  nell'orribile  tazza;  que« 
sto  fu  il  principio  d'una  serie  di  tragici  eventi.  Ir* 
ritata  la  moglie,  sedusse  coi  vezzi  e  le  arti  del  sesso 
dae  signori  Longobardi,  uno  dei  quali  trucidò  Al- 
boino mentre  dormiva.  Siccome  era  questo  fie  ido^ 
latrato  dai  Longobardi,  Rosmunda  coi  suoi  amanti, 
Elroegisto  e  Peredeo,  fu  costretta  a  fuggire;  si  rico- 
verò in  Ravenna  cercando  la  protezione  dell' Esarca 
Longino,  che  con  avid' occhio  contemplò  le  bellez- 
ze di  Rosmunda,  e  il  ricco  tesoro  del  Re  de* Lon- 
gobardi da  lei  recato.  Persuase  egli  &cil mente  al 
di  lei  incostante  e  crudele  carattere,  a  disfarsi  d'CI- 
megisto,  cui  ella  porse  una  tazza  di  veleno  come 
un  ristorativo,  mentre  usciva  dal  bagno  ;  il  sapore 
della  bevanda  avendone  fatto  ad  esso  indovinare  la 
Datura,  puntò  la  spada  al  di  lei  petto,  e  la  costrinse 
a  bere  il  resto,  e  cosi  pagarono  ambedue  la  pena 
del  loro  misfatto. 

Il  regno  dei  Longobardi  in  Italia  durò  circa  due 
secoli.  Ebbero  la  sorte  di  tutti  i  conquistatori  d'Ita- 
lia. Il  robusto  valore  dei  guerrieri  del  Nord  fu  pas- 
so passo  ammollito,  e  snervato  dalla  dolcezza  del 

(19)  Questo  era  il  costume  di  niolte  naxiooi  barbare,  •  lo  è 
^cora  dei  selvaggi  americani. 


2ia  LIBRO  SECONDO 


?  clima  9  e  «lalle  delizie  d' Italia ,  Tunammità  dei  Ca- 
dì C.pì  9  che  gli  rendeva  vittoriosi^  durava  nel  tempo 
^^9  del  pericolo 9  e  della  invasione,  la  quale  compita, 
naturale  era  il  desiderio  di  godere  i  frutti  della 
conquista ,  e  l'abbandono  alla  mollezza ,  ed  al  riposo. 
La  natura  della  loro  politica  costituzione  non  era 
atta  a  conservare  il  vigore  del  governo.  Re  con  picco- 
lissima autorità,  vassalli  maggiori,  quasi  indipenden- 
ti, e  che  comandavano  ad  altri  minori  vassalli^  che 
cercavano  la  stessa  indipendenza ,  e  che  non  obbedii 
van  mai  alla  legge,  ma  alla  forza:  tutto  il  rimanente 
del  popolo  conquistato,  considerato  come  schiavo, 
e  trattato  anche  peggio  degli  utili  animali  domesti- 
ci :  era  questo  il  complesso  che  formava  il  governo 
feudale  sì  dei  Longobardi,  che  dell' altre  nazióni , 
che  avéauo  conquistate  altre  infelici  provincie  (ao)  • 
Nello  spazio  di  due  secoli,  da  Alboino  a  Deside- 
rio, sì  contano  venticinque  re  di  quella  nazione; 
il  termine  medio  sono  otto  anni  di  dominio  per 
ciascuno  (21).  Tra  la  folla  di  questi  re,  deve  di- 
stinguersi Rotari,  che  col  senno,  e  coir  armi  illu- 
strò il  regno  longobardico .  Non  era  egli  nato  al  re- 
gno d'Italia:  la  scelta  di  lui  onora  la  saviezza  di 
una  donna,  cioè  della  regina  Gundeberga  sorella 
del  re  Adaloaldo.  Mancato  esso  di  vita  senza  prole, 
trasferi  i  suoi  diritti  al  di  lei  marito  Àrioaldo,  che 

(ao)  Si  vegga  la  saggia  fii vola  d'Esopo  del  serpente  a  cento 
teste ,  e  quello  a  una  testa  sola ,  che  è  V  immagine  del  sistema 
feudale,  e  della  monarchia . 

(ai)  Alcimi  privi  d'ogni  scienza  col  solo  naturai  senno  si  di- 
stinsero; fra  questi  si  nomina  Agiluf  marito  della  bella  e  savia  Teo- 
dolinda, al  di  cui  palafreniere  ha  il  nostro  Boccaccio  applicato  un 
ingegnoso  tratto  di  spirito  in  una  scherzevole  Novella  Dee  .*  gior- 
nata 3^  Novell,  a. 


CAPITOLO  SECONDO        ai3 

creato  dai  longobardi  per  Sovrano  pagò  d' ingrati- 
ladine  colei  che  gli  avea  dato  quasi  in  dote  il  re-  ^^^ 
gno.  Le  di  lei  attrattive  aveano  (atta  tale  ìmpres-  569 
sione  in  uno  dei  principali  signori  longobardi , 
detto  Adalolfo^  ch'ebbe  il  coraggio  di  tentarne  la 
fede  conjugale  avendogli  la  casta  Principessa  spu- 
tato sul  viso  in  risposta;  il  perfido  amante  in  ven* 
detta  r  accusò  di  tramar  la  morte  del  marito  insie- 
me con  Tato  Duca  di  Toscana  per  farlo  dichiarar 
Re,  e  sposarlo.  Sulla  sola  fede  di  costui ,  il  credulo,  53, 
ed  imbecille  marito  fece  racchiudere  T  innocente 
regina  nella  fortezza  di  Lomello^  ove  stette  pri- 
gione circa  tre  anni  ,  dopo  i  quali  Clotario  re 
de'Franchi,  intimò  al  marito,  che  una  regina  di- 
scesa dal  sangue  de'  Franchi ,  non  dovea  sopportar 
la  pena,  e  l'infamia  di  un  si  nero  delitto  senza 
prova:  si  ricorse  pertanto  a  ciò,  che  era  chiamato 
giudizio  di  Dio  :  comparve  un  certo  Pitto,  o  Carello 
a  pugnare  in  favore  di  Gundeberga  (22);  il  tradi- 
tore restò  vinto ,  e  la  Regina  ristabilita  nel  primiero 
onorevole  grado*  Dopo  la  morte  del  marito  i  Lon-  535 
gobardi  ebbero  tal  fiducia  nel  senno  e  virtù  di  lei , 
che  le  lasciarono  l'elezione  dello  sposo,  e  Sovrano; 
ella  giustificò  la  loro  stima  colla  scelta  di  Rotarì , 
uno  de'  re  più  saggi  (a3) .  Per  lo  spazio  di  anni  set- 
tantasette, dacché  il  loro  regno  era  stabilito  in  Ita- 
lia, i  disgraziati  popoli  erano  stati  governati  senza 
leggi  scritte.  Esistevano  solo  alcune  leggi  tradizio- 
nali, o  consuetudini,  secondo  le  quali  erano  giudi- 
cate le  civili  controversie  :  è  facile  il  vedere  che  o 
mancando  iq  infiniti  casi  queste  leggi,  o  essendo 

(aa)  Sigon.  1.  a.  de  Reg.  Ital. 
(a3)  Paul.  Diac  lib.  4. 


si4  LIBRO  SECONDO 

^  anche  più  numerose ,  la  varietà  delle  circostanze, 
d"c.  ®  l'arbitrio  de' giudici  doveva  produrre  le  più  capric- 
^4^  ciose  ingiustizie.  Rotari  fu  il  primo  a  formare  un 
Codice  di  leggi  longobardiche  (24):  riunì  quelle^ 
che  erano  soltanto  tradizionali:  ne  aggiunse  altre 
che  credè  opportune,  e  Gssò  almeno  una  base,  ed 
un  testo  che  restringesse  alquanto  il  licenzioso  ar- 
'  bitrio  de'  giudici ,  e  gli  avvicinasse  più  alla  giusti- 
zia. Fu  fatto  sì  utile  lavoro  in  Pavia,  sede  ordina- 
ria de' Re  (:i5):  questo  fu  il  principio  del  Codice 
scritto  longobardico,  da  varj  successori  poi  accre- 
sciuto (à6) .  Si  distinse  Rotari  anche  tra  le  anni  ; 
aggiunse  alle  sue  provincie  una  parte  del  Genovesa* 
to,  che  obbediva  all'Esarca,  e  respinse  eoo  una  san- 
guinosa rotta  presso  il  Panaro  V  esercito  riunito  dei 
Greci,  e  Romani:  lasciò  il  regno  al  suo  figlio  Ro- 
doaldo,  indegno  di  un  tanto  padre  .  Quasi  niun' al- 
tra notizia  abbiamo  di  lui,  se  non  che  dopo  un  hre- 
vty  e  glorioso  regno  senza  aver  prole,  fu  trucidato 

(aOPaalDiac.  1.  4. 

(aS)  Noi  impariamo  dal  principio  dell'Editto  di  Rotari,  1  .*  db 
dièci  Re  contavano  i  Longobardi  prima  delT  invasione  d' Itaiia, 
giacché  egli  si  chiamava  il  Re  diciassettesimo ,  ed  era  il  settimo 
a  Italia ,  a.^  che  il  codice  fu  approvato  dai  principali  LongohmT' 
di,  e  doli  esercito  i  oode  si  scorge,  che  il  potere  legislativo  era 
diviso  tra  i  Re  e  i  suoi  guerrieri  ec. 

(96)  In  mezzo  alle  strane  e  barbare  leggi  longobardiche  tra- 
sparisce il  retto  senso  di  questo  Legislatore,  come  di  altri.  Mentre 
per  tanto  tempo,  e  fino  quasi  alla  nostra  etk  una  ignorante  super* 
stizione  adottata  anche  dai  legisti,  ha  fatto  considerar  le  streghe 
come  dotate  della  potenza  di  nuocere  agli  uomini ,  e  ne  sono  state 
regolate  le  ridicole  formalità  de*giudiz} ,  esli  apertamente  condan- 
na questo  pericoloso  pregiudizio.  Godic.  Longobainl.  Rotharìs  na* 
mero  379.  NuUuS  presumaLaldiam  alienam  aut  Ancillam  ,  quasi 
stri^am  quae  dicitur  Masca  occidere  quia  Cristianis  mentibms 
nullatenus  est  caBDzif dvm  ifsc  fossibils  bst  ut  noMimsM  utrtiem  ^mm 

'  INTaiNSECUS  POSSIT  COMEDEEE  CC.  C  ncllo  StCSSO  CodicC  QO  SUO  sttccas- 

sore , Luitprando,  disapprova»  benché  non  osi  proibire  i  duelli. 
Luilprandus  num.  65. 


CAPITOLCr  SECONDO  niS 
da  UD  longobardo,  a  cui  avea  disonorato  la  moglie. 
Il  di  lui  saccessore  fu  Ariberto,  di  nazione  bavaro,  ^j^^ 
scelto  dai  lìbero  Toto  dei  longobardi  al  trono;  fu  il  664 
suo  regno  breve,  e  senza  fama;  Io  terminò  coirim- 
politico  atto  di  dividere  il  regno  fra  i  due  suoi  figli , 
JBertarido,  e  Gondebérto.  Il  regio  potere  è  inlolle- 
raote  di  compagnia  (27)^  e  il  fatale  tentativo  è  sia  • 
to  quasi  sempre  accompagnato  tra  i  fratelli  dalle 
tebane  vicende.  Benché  i  due  Re  si  fossero  scelta 
diversa  sede  del  loro  governo,  uno  Pavia,  l'altro 
Milano ,  si  attaccarono  presto  a  forza  aperta .  Fu 
chiamato  in  soccorso  da  Gondeberto  il  Duca  di  Be- 
nevento Grimoaldo  ,  che  terminò  con  ispoglìarli 
amendue,  ed  occupare  il  trono  contrastato.  Era 
Grimoaldo  un  uomo  straordinario ,  e  le  sue  vicende 
singolari.  Ultimo  de' figli  di  Gisolfo,  Duca  del  Friu- 
li, allorquando  fu  invaso  dagli  Avari,  si  era  singo- 
larmente distinto:  l'imprudente  suo  padre,  avendo 
osato  con  piccole  forze  di  affrontare  l'intiero  eser- 
cito degli  Avari  era  stato  tagliato  a  pezzi:  la  ma- 
dre, e  i  figli  si  erano  dopo  la  battaglia  rinserrati 
nel  Foro  Giulio,  o  sia  Cividad  del  Friuli:  quella 
scellerata  donna,  invaghita  del  Re  degli  Avari,  gli 
apri  le  porte;  ma  con  una  morte  infame,  e  prece- 
duta dalle  più  disonorevoli  circostanze,  pagò  il  fio 
del  tradimento.  Avean  presa  intanto  la  fuga  i  figli, 
tra  ì  quali  Grimoaldo,  il  più  tenero  di  tutti,  fug- 
giva in  groppa  del  cavallo  d'un  fratello  (a8).  Rag- 
giunto da  uno  dei  persecutori ,  fu  violentemente 
tratto  di  sella,  e  gli  fu  per  la  sua  bellezza  rispar- 

(07) .  •  •  •  Omnisque  potestas 

Impatitns  consortis  erat,  Lwcr. 
(aS)  PauL  Diac.  1.  4* 


atfy  LIBRO  SECONDO 
\  miata  la  vita.  Era  condotto  prigione  in  groppa  pu- 
dic.  re  del  cavallo  del  suo  nemico:  pienb  di  ardire,  e 
^4  coir  animo  fatto  pei  più  grandi  attentati ,  questo 
fanciullo,  avendo  yeduto  pendere  al  fianco  del  suo 
rapitore  il  pugnale,  ebbe  coraggio  di  prenderlo,  di 
trafiggerlo  ;  ed  entrato  in  sella ,  volgendo  precipito- 
samente indietro  il  cavallo ,  potè  salvarsi  .  Dopo 
varie  vicende  divenne  Duca  di  Benevento,  e  la  fil- 
ma della  sua  potenza^  e  valore  indussero  Tincauto 
Gondeberto  nella  contesa  col  fratello  a  ricercarne 
r a juto.  Vide  costui  la  fiicilità  d'impossessarsi  del 
regno  d' Italia ,  onde ,  raunato  un  potente  esercito , 
e  creato  il  suo  figlio  Duca  di  Benevento,  si  mosse 
dichiaratamente  contro  i  due  fratelli,  che  vinse  in 
battaglia,  uccidendo  di  sua  mano  Grondeberto ,  e 
s'impadronì  dello  scettro  d'Italia,  sposando  la  loro 
sorella.  Ha  detto  uno  de'pii!k  illustri  romani,  che 
se  mai  è  lecito  il  violar  la  giustizia,  lo  può  esser 
quando  conduce  al  regno  (29).  Questa  è  l'ingiusta  , 
e  pericolosa  divisa  di  tutti  gli  usurpatori;  e  disgra* 
ziatamente  gli  uomini  giudicano  dagli  eventi,  la 
grandezza  e  felicità  dei  quali  cuopre  i  gran  delitti  • 
Se  si  dovesse  giudicar  Grimoaldo  con  quella  regola 
non  apparirà  che  la  di. lui  grandezza.  Nel  suo  fero- 
ce carattere  traspariscono  dei  lampi  di  generosità , 
adombrati  però  dal  sospetto.  Si  era  l'altro  fratello 
Bertarìdo  refugiato  presso  gli  Avari  :  fece  loro  inti- 
mare Grimoaldo  che  lo  dessero  nelle  sue  mani,  0 
gli  avrebbe  riguardati  come  nemici.  Non  volendo 
questi  guerra,  né  tradir  Bertarido,  gli  consigliatono 
la  fuga  :  ma  quel  disgraziato,  non  sapendo  ove  re- 

(39)  Massima  di  Giulio  Cesare .  Quod  si  violandam  est  jus, 
regnandi  causa  violandum  est;  caeteris  rebus  pMatem  eolas. 


CAPITOLO  SECONDO         ai7 

fugiarsi^  prese  la  resoluzione  di  Temistocte;  andò 
a  gettarsi  tra  le  braccia  del  suo  nemico^  non  cbie-  ^\c, 
deodogli  che  di  viver  privatamente  tranquillo  nei  ^<5a 
suoi  stati  (3o).  Fu  accolto  da  Grimoaldo  lietamen- 
te, e  trattato  per  qualche  tempo  con  generosità  ;  ma 
il  concorso^  e  l'affluenza  degli  antichi  sudditi  al  lo- 
ro detronizzato  re^  ingelosirono  Grimoaldo^  che  dai 
suoi  amici  fu  consigliato  a  disfarsene.  Si  diedero 
segretamente  gli  ordini:  furono  questi  da  Onulfo 
rivelati  a  Bertarido  ,  che  quasi  miracolosamente 
giunse  a  salvarsi  in  Francia;  e  s'è  vero  che  Gri- 
moaldo non  solo  perdonasse,  ma  premiasse  la  fe- 
deltà dell'amico  di  Bertarido^  è  questo  un  tratto 
tanto  più  degno  d'ammirazione  quanto  più  atroci, 
e  privi  d'ogni  virtù  erano  i  costumi  di  quei  tempi. 
Fu  anche  Grimoaldo  saggio  legislatore ,  aggiungen- 
do al  codice  di  Rotari ,  ciò  che  l' esperienza  avea 
mostrato  mancarvi  (3i). 

Una  disputa  teologica  produsse  in  seguito  singo- 
W  cambiamento  negli  affari  d'Italia.  L'obbedien- 
za^ e  la  consuetudine  più  che  la  forza  conservavano 
ancora  gli  avanzi  dell'antico  dominio  in  Italia  agli 
Imperatori  d'Oriente.  Questi  erano  la  Sicilia ,  una 
parte  del  regno  di  Napoli,  Ravenna  colla  Pentapo- 
li.  Roma  istessa  riceveva  e  gli  ordini,  e  i  governa- 
tori da  Costantinopoli  ;  e  quantunque  non  di  rado 
disobbedisse,  non  avea  finora  ardito  di  dichiararsi 
bdipendente.  La  dìsputa  sul  culto  delle  sacre  im- 
magini,  risvegliata  in  Oriente,  divise  tutto  il  mondo 
cristiano.  Il  greco  imperatore  Leone  Isaurìco ,  oltre 
all'imprudenza  di  mescolarsi  in  dispute  teologiche, 


(3o)  Paul.  dìac.  1.  5. 

(3i)  Paiil.'Diae.  Marat.  Ann. 


ai8  LIBRO    SECONDO 

'^ebbe  l'altra  di  attaccare  un  rito  già  dal  tempo  ata- 
^'^Q  bilito,  e  caro  alla  maggior  parte  dei  popoli  (3a).  La 
669  lusinga  del  suo  favore,  la  forza  del  suo  potere  fece- 
ro piegare  i  reluttanti  greci  Prelati  ;  e  il  popolo  di 
Oriente,  non  senza  tumulto  e  sedizione,  vide  rapirsi 
le  Immagini  adorate.  Ma  l'Occideute  più  remoto 
dalla  potenza  imperiale,  e  più  libero  perciò  ne'suoi 
sentimenti y  resistè  coraggiosamente  ai  Mandati  im- 
periali: gli  esecutori  armati  furono  o  scacciati,  0 
uccisi;  e  il  Pontefice  Gregorio ,  dopo  avere  insultato 
anche  grossolanamente  nelle  sue  lettere  il  greco 
Imperatore,  dette- l'impulso  agl'Italiani  di  scuote- 
re il  giogo  d'un  eretico  Imperatore.  La  maggior 
parte  dell'Italia  soggetta  a' Greci  esci  dal  dominio 
imperiale.  Cosi  una  disputa  teologica,  se  non  giun- 
se a  privare  totalmente  de'suoi  stabilimenti  in  Ita- 
lia  l'imprudente  Leone,  quasi  annichilò  il  suo  po- 
tere su  di  essi  ;  ed  ecco  Roma ,  che  dopo  tante  vi- 
cende, si  trovò  per  questo  singolare  avvenimento 
liberata  dai  giogo  straniero^  e  in  facoltà  di  elegger- 
si qualunque  politica  co^ituzione  le  fosse  a  grado. 
799  Una  languida  memoria  de' lóro  antichi  titoli,  senza 
però  conoscerne  il  potere ,  ed  i  limiti ,  fece  risorger 
l'autorità  del  Popolo,  e  dei  Senato,  che  non  pote- 
vano adunarsi,  e  deliberare  senza  sconcerto  e  tu- 
multo. In  mezzo  a  questa  inevitabile  confusione 
egli  era  naturale  che  la  religiosa  riverenza  versoli 
romano  Pontefice  lo  facesse  riguardare  come  il  pri- 
mo Magistrato:  verso  di  lui  pertanto  si  rivolsero  a 
poco  a  poco  gli  sguardi  della  moltitudine:  le  sue 
ricchezze,  le  sue  relazioni  co' forestieri  Prìncipi,  la 

{3a)  Theophares  Gregor.II.  cpwt.  1.  «d  Imperai.  Leon.  ce. 


CAMPITOLO  SECONDO  S19 
tua  religiosa  influenza  lo  costituirono  insenaibi Inden- 
te il  Sovrano  4i  Roma  ^sovranità  legittimata  dal  li-  ^^c] 
bere  condenso  del  popolo ,  e  confermata  dal  posses  7^9 
«odi  dieci  secoli.  Questo  à  un  titolo  più  nobile ,  e 
più  legale  delle  controverse  donazioni  di  Costanti- 
no^ di  Carlo  Magno,  e  d'Ottone.  I  prudenti  Fon- 
tefici,  nel  momento  in  cui  lo  zelo  di  religione  degli 
Italiani  aveva  scosso  il  giogo  dei  Greci ,  si  accorse- 
ro, cbe  queste  città  lasciate  senza  sostegno  sarebbe- 
ro S^ùlmeote  cadute  in  mano  de' Longobardi ,  a 
loro  iorse  più  formidabili  ancora  dei  Greci.  Quan- 
tunque perciò  minacciassero  di  fare  eleggere  un 
Doovo  Imperatore,  ebbero  la  prudenza  di  arrestarsi 
alla  minaccia,  e  di  rispettare  i  deboli  avanzi  del- 
l'liopero  greco  ^  sicuri  di  avere  su  questi  popoli 
iufluenza  superiore  a  quella  degl'Imperatori^  e  im- 
porne ai  Longobardi  collo  specioso  titolo  di  provin- 
cia soggtlte  al  greco  Impero.  Liutprando  però,  che 
governava  allora  quei  popoli,  parea  disposto  a  pro- 
fittare della  confusione  in  cui  si  trovava  l'Italia 
p^  impadronirsi  delle  città  non  più  difese  dalle 
forze  de' Greci*  Si  avauzò  verso  Ravenna  di  cui  gii 
(urooo  aperte  le  porte:  lo  stesso  fece  in  qualche  al- 
tra città,  ma  Liutprando,  che  avrebbe  dovuto  trat- 
tare con  somma  dolcezza  i  popoli,  che  volontaria- 
mente gli  si  davano,  o  mancava  di  questa  pruden- 
za, 0  di  forza  per  tenere  in  freno  gì'  indisciplinati 
Longobardi,  Quei  popoli  spogliati,  e  atrocemente 
vessati  si  pentirono  di  averli  accolti  :  non  tennero 
perciò  lungamente  i  Longobardi  la  loro  conquista  . 
I  Veneziani  stimolati  dal  Pontefice  si  mossero  in 
aita  dei  Greci:  fin  da  quésto  tempo  aveano  in  piedi 
rispettabili  forze  di  mare;  furono  improvvisamente 


220  LIBRO  SECONDO 

^^  colla  flotta  sopra  Ravenna,  ove,  dicesi,  fu  fiitto  pri- 
di  e.  gione  un  nipote  di  Liutprando  (33) ,  fu  ucciso  Pe- 
739  redeo  Daca  di  Vicenza;  e  Ravenna  colle  altre  città 
tornò  in  potere  dei  Greci.  La  stupida  avidità  dei 
Longobardi  era  tentata  continuamente  dalle  ricches- 
ze  di  Roma,  e  trattenuta  da  un  religioso  timore. 
Liutprando  si  mosse  contro  di  essa  :  il  Pontefice 
Gregorio,  che  ne  conosceva  bene  il  carattere,  gli 
fu  incontro ,  e  gli  parlò  in  guisa ,  che  in  vece  di 
attaccar  Roma  andò  a  prostrarsi  nella  Basilica  Va- 
ticana, ove  spogliatosi  non  solo  delle  armi,  ma  del 
manto,  e  della  corona  reale,  lasciò  tutto  alla  tom- 
ba di  S.  Pietro.  Morì  questo  Re  dopo  un  lungo,  e 
felice  regno.  Paolo  Diacono  ne  fa  un  lungo  elogio. 
Noi  troviamo  in  esso  alcune  rare  qualità:  ce  lo  de- 
scrive, cioè,  valoroso  nella  guerra^  eppure  amante 
della  pace;  ignorante  delle  lettere,  ma  per  la  sua 
saviezza  degno  di  esser  paragonato  ai  filosofi  •  Fu 
certamente  assai  devoto,  e  obbediente  agli  Eccle- 
siastici ;  riscattò  con  gran  tesoro  da' Saraceni  Tossa 
di  S.  Agostino  (34) 9  ^  àsi  Pavia  andò  incontro  a 
questa  reliquia  fino  a  Genova .  Era  nel  suo  pakszo 
in  Pavia  una  chiesa,  in  cui  come  in  una  cattedrale, 
dai  preti,  e  dai  cherici  quotidianamente  si  celebra- 
vano  i  divini  uffizj  ;  Tra  le  altre  prove  del  suo  co- 
raggio, e  della  sua  personal  bravura ,  si  racconta  (35), 
che  essendogli  stato  riferito  come  due  suoi  scudieri 
si  erano  vantati»  di  volerlo  uccidere ,  gli  fece  venir 
seco  nel  più  folto  di  un  bosco,  ove  essendo  egli  so- 


(33)  Marat.  Ann.  d'Ital. 

(34)  Sigon.  de  regno  ital.  1.  3. 

(35)  Lo  stesso  aneddoto  si  narra  di  Enrico  IV  Re  di  Francia  « 
ma  gli  aneddoti  son  quasi  sempre  incerti  >  e  spesso  falsi . 


CAPITOLO  SECONDO      aai 
l0|  arrestatosi  a  un  tratto^  disse  loro  risolutamente  y 
che  era  adesso  il  tempo  di  eseguire  il  loro  disegno:  ^j  o. 
attoniti  quelli,  ed  atterriti,  gli  domandarono  per-  7^9 
dono  (36).  Il  suo  nipote  Ildebrando,  incapace  di 
regnare,  fu  dopo  pochi  mesi  deposto,  ed  eletto  Ba- 
chÌ5  Duca  del  Friuli.  Una  delle  sne  prime  imprese 
fu  l'assedio  di  Perugia .  Papa  Zaccaria  si  portò  a  744 
trovarlo,  e  potè  tanto  sul  di  lui  spirito,  che  non  solo 
lo  persuase  a  scioglier  l'assedio,  ma  ad  abbandonare 
ancora  il  mondo .  Passò  dunque  Rachis  dal  soglio 
al  chiostro  nel  Monte  Cassino  (37);  e  sua  moglie  75 j 
Tasia ,  e  sua  figlia  Rotrude  fabbricarono  un  mona* 
stero  ove  si  chiusero  •  Successe  a  Rachis  il  fratello , 
quell'Astolfo,  su  cui  è  fondato  il  comico  raccopto 
deirAriosto  (38).  Questo  Re  era  di  un  carattere 
^  diverso  dal  fratello:  occupò  Ravenna,  e  mi- 
nacciava Roma.  Si  accorse  il  Papa  Stefano  II,  che 
troppo  precaria  difesa  era  alla  Santa  Sede  il  rispetto 
religioso  contro  costui ,  e  che  uopo  era  procacciarsi 
altronde  qualche  appoggio  più  sicuro  (89);  implorò 
dnnqne  l'ajuto  de'Frandii.  Il  valore  guerriero  di 

(36)  PaoL  diac  Anast.  in  Lac. 

(37)  AnasUs.  in  Zachar. 

(38)  Astolfo,  Re  de'  Longobardi,  quello 
Cui  lasciò  il  f ratei  Monaco  il  Regno  ec. 

Arìost.  canto  a8. 
La  Yoglìa  di  farsi  monaco  pareva  epidemica  ne'  Principi  in  que- 
it'  anni .  Carlo  Manno  fratello  di  Pipine ,  e  figlio  del  famoso  Carlo 
Martello  veone  in  Italia,  edi6cò  un  monastero  nel  Monte  Soratte, 
OTC  8Ì  consacrò  facendosi  tonsurare  da  Papa  Zaccharia  :  ivi  però 
tfOTandosi  disturbato  dalle  frequenti  visite  de'  forestieri ,  in  spe- 
cie fìraocesi  »  si  ritirò  al  Monte  Cassino  •  Anselmo  Duca  del  Friuli  » 
copato  di  Astolfo ,  sì  ritirò  anch'esso  in  un  monastero  da  luì  fab- 
oncato  a  Panano.  Anastasio  Imperatore,  vinto  in  battaglia  da 
Teodosio,  si  fa  chierico.  Teodosio  cacciato  dal  Regno  da  Leone 
Isa  urico  insieme  col  figlio  prende  1*  abito  ecclesiastico.  L'islesso 
jwrtilo  prese  Faroaldo  Duca  di  Spoleti . 

(39)  Anast.  in  Steph.  Auuales.  Frane,  ec. 


saa  LIBRO  SECONDO 


".  questo  popolo 81  era  attrattogli  sguardi  del  mondo ^ 
^i  Q^  specialmente  per  le  vittorie  sugli  Arabi.  Questa  ua- 
75tà  zìone  animata  dal  fanatismo  religioso^  in  brevissi- 
mo tempo  avea  fatto  immense  conquiste;  dopo  sog- 
giogata la  Persia^  TEgitto^  e  la  fertile  spiaggia  del- 
r Affrica  f  che  dall'Egitto  si  stende  fino  ad  Abila  o 
Ceuta,  passato  lo  stretto  ^  e  dato  un  nuovo  nome  a 
Calpe  (40)9  aveva  come  un  torrente  inondata^  e 
soggiogata  la  Spagna  piò  rapidamente  che  un  viag- 
giatore non  l'avrebbe  percorsa:  indi  invasa  la  Fran* 
eia,  minacciava  tutta  l'Europa ,  quando  questo  tur- 
bine di  guerra  fu  arrestato  dai  Franchi,  e  dal  valore 
di  Carlo  Martello.  Nella  incapacità  dei  re  franchi, 
Carlo  Martello  governava  la  Francia  sotto  il  titolo 
di  Maggiordomo:  il  suo  figlio  Pipino  ne  avea  eredi- 
tato la  carica,  la  potenza,  e  il  valore:  stanco  però 
di  sostenere  tutto  il  peso  della  monarchia ,  senza 
il  diadema,  ambi  quest'onore  che  tutti  i  guerrieri, 
ed  il  popolo  erano  volonterosi  di  conferirgli:  uno 
scrupolo  però  degno  per  la  sua  rarità  d'esser  ram- 
mentato dall'istoria,  gli  tratteneva;  ed  era  il  giu- 
ramento di  fedeltà  prestato  all'imbecille  Chilpe- 
rico  (40*  I^i<^orse  Pipino  a  Papa  Zaccaria:  ooo 
mancavano  mai  distinzioni,  e  sottigliezze  metafisi- 
5^  che  a' teologi  per  giustificare  i  potenti:  Zaccaria 
sciolse  Pipino,  e  i  Franchi  dal  giuramento,  lo  di- 
chiarò Re  di  Francia;  fu  consacrato,  ed  unto  da  S. 
Bonifazio  Arcivescovo  di  Magonza;  eChilperico  ra- 
sato, e  vestito  da  monaco,  fu  racchiuso  in  uu  con- 
vento. Dopo  un  sì  segnalato  servizio  non  poteva  un 

(4o)  Gebel  al  Tarik,  o  sia  il  Monte  ili  Tarik  nome  d*ano  dà 
Condottieri  Arabi  in  Spagna  onde  poi  GibelaHar ,  o  Gibilterra. 
(4 1  )  Tbeopharet  iu  Chronogr.  Ctdre&of  in  Hif  L 


CAPITOLO  SECONDO       aaS 
sQCcessore  di  Zaccaria  ricorrere  invano  al  Re  dei 
Fnnchi:8Ì  mosse  in  fatti  Pipino  colle  sue  truppe  a;  e. 
ver30  ritalia,  e  non  trovando  contrasto  giunse  a  7^4 
Pavia^  ove  assediò  il  Re  Astolfo,  che,  vedendosi  a 
mal  partito,  mosse  parole  di  pace,  e  fu  fatto  un 
accordo,  in  cui  si  obbligò  di  cedere  alla  Santa  Sede 
Ravehiia  coir  Esarcato.  Ma  partite  le  forze  dei  Fran- 
chi,  oon  osservò  il  trattato,  e  forse  credendo  che 
il  Re  de' Franchi  non  vorrebbe  di  nuovo  con  grave 
spesa  ricondurre  un  esercito  in  Italia,  per  donarne 
Qoa  parte  al  Papa ,  non  solo  non  adempì  le  pro- 
messe, ma  corse  imprudentemente  a  far  l'assedio 
di  Roma.  Il  Papa  in  tanto  pericolo  scrisse  una  lette- 
ra in  nome  di  S.  Pietro ,  indirizzata  non  solo  al  suo 
protettore  Pipino  ,  ma  ai  di  lui  tìgli,  ed  al  popolo 
tutto  francese  ,  promettendo   loro  per  tale  azione 
la  vita  eterna  del  Paradiso  (4^)9  ^  minacciando  lo- 
ro, se  non  si  movevano,  le  pene  eterne.  Non  fu  il 
Re  de' Franchi  disobbediente  agli  ordini  di  S.  Pie- 
tro; assediò  di  nuovo  Astolfo  in  PaTÌa,e  lo  costrinse  7^5 
a  cedere  a  Roma  una  delle  più  importanti  parti  del 
dominio  greco,  e  longobardico  (43)*  Questa  cessione 
di  Astolfo,  o  donazione  di  Pipino  formava  a  S.  Pie- 
tro, 0  sia  ai  suoi  successori,  un  considerabile  stato. 
1  critici  però,  neir analizzare  la  lettera  stessa  del 
Papa  Stefano  a  Pipino  ,  hanno  mosso  delle  sottili 
questioni  sul  donatario  (41) • 

(40  (^'  Caroli  DO . 

(43)  Cioè  Ravenna 9  Rìmini,  Pesaro,  Fano,  Cesena,  Sinlga- 
^)m,  Jesi,  Porli muopoK  (Forlì),  Montefeltfo,  Cìceraggìo,  Monte 
^  littcaro,  Castello  di  s.  Mariano,  o  Marino,  Bobbio,  Urbino, 
^li,Laccolo»  Gubbio,  Comaccbio ,  e  Narni.  Marat.  Ann. 
<li!uL 

(44)  Fcco  le  parole  della  Lettera  :  Donatio  facta  B.  p€tr9 


Mi  LIBRO   SECONDO 

Poco  sopravvisse  Astolfo  al  suo  umiliaute  tratta- 
dì  G.  ^o*  fu  eletto  Re  Desiderio  Duca  di  Toscana ^  in  cui 

755  dovea  terminare  il  languente  Regno  de'  Longobar- 
di •  11  monaco  Racbis^  fratello  di  Astolfo ,  annojato 
dalla  monastica  vita^  era  uscito  da  ritiro^  e  favorito 
da  un  grosso  partito,  aspirava  al  regno.  Desiderio 
ricorse  al  Papa^  che  intimò  al  monaco  di  tornare 

756  al  convento;  ed  era  tanta  l'autorità  del  capo  della 
Chiesa  ,  che  a  quelT  intimazione  si  trovò  Racbis 
abbandonato  da  tutti  i  seguaci.  Desiderio  a vea  pro- 
messo al  Papa  di  dargli  alcune  città  ;  non  mante- 
nendo le  promesse ,  ricorse  il  Pontefice  al  solito  suo 
protettore  Pipino,  che  mandò  in  Italia  dei  mini- 
stri  ;  e  le  questioni  furono  accomodate  in  vantag- 
gio della  S.  Sede.  Fu  questo  V  ultimo  servigio  re- 
sogli dal  Re  de' Franchi,  il  quale  morendo,  lasciò 
il  regno  ai  suoi  due  figli ,  Carlo  che  si  acquistò  me- 
ritamente il  nome  di  grande,  e  Carlo  Manno. 

Egli  era  della  politica  di  Roma  V  impedire  qua- 
Ituique  amicizia  .  o  alleanza  tra  i  Longobardi ,  e 
i  Franchi:  fu  moli  ^  ^«*ave  perciò  al  Pontefice  l'udi- 
re, che  si  trattavano  i  matrìmonj  tra  le  due  fa- 
miglie reali  d'Italia,  <  'li  Francia.  La  madre  dei 
nuovi  principi  Berta  (45)  era  venuta  a  bella  posta 
a  Pavia:  strepitò  il  Pontefice  contro  questo  trat- 
tato: le  sue  ammonizioni  avrebbero  avuto  T  ap- 
provazione de' posteri,  se  i  principi  fossero  stati 
uniti  ad  altre  mogli,  come  ei  supponeva,  ciò  che 

sanctaeque  Dei  ecclesiae,  et  Reip,  I  due  primi  nominati  non  si 
suppongono  possessori  di  beni  materiali  $  cosa  significa  la  parola 
Reip,  P  Molti  dicono  V  Impero  Romano  .  Le  chiavi  però  della 
citta  furono  depositate  suir  altare  di  s.  Pietro  ,  ene  prese  il  Papa 
)]  governa.  / 

(f*»)  AunaL  Francorum. 


nni 


CAPITOLO  SECONDO        «5 
era  hXso:  gli  altri  motivi^  che  egli  adduce  per  di-^ 
stoglier  sifl&tti  matrimoo]^  anitì  a  delle  minaccie,  <^>^< 
soo  degni  della  frivolezza  igooraDte  di  quei  tem-   ^ 
pi {4^.  Carlo,  che  era  uno  di  quei  caratteri  grandi,  770 
che  rìspetCaya  la  religione  finché  non  abusava  del 
800  potere,  non  fece  alcun  cónto  né  delle  esortazio« 
ni,  nèdelle  minaccie,e  sposò  la  figlia  di  Deside- 
rio; ma  questo  vincolo,  che  faceva  ombra  al  Papa, 
presto  si  sciolse  col  repudio  che  fece  Carlo,  senza 
alcun   giusto  motivo ,   della   moglie ,  sposandone 
un'  altra  (47)  •  Nuovi  e  più  furti  dissapori  nacquero 
tra  i  due  Re.  Morto  Carlo  Magno,  fratello  di  Carlo, 
i  due  figli  erano  stati  dallo  zio  spogliati  del  regno, 
senza  che  se  ne  sappia  alcun  motivo,  e  senza  die  gli 
storici  di  quei  tempi  osino  neppur  condannare  que- 
st'atto  di  crudeltà  e  d^ ingiustizia:  tanto  è  vero  che 
la  luce  delle  grandi  azioni  fa  dimenticare  i  delitti!- 
Si  erano  i  nipoti  rifugiati  alla  corte  di  Desiderio  : 
non  solo  questi  diede  loro  tutta  la  protezione  ;  ma 
istigò  il  Papa  suo  nemico,  ed  a  cui  avea  tolto  po- 
c'anzi alcnne  città,  a  riconoscerli  per  Sovrani  •  Carlo 
invitato,  dal  Papa  a  vendicare  le  comuni  ingiurie 
non  si  fece  molto  pregare  ;  venne  in  Italia  ;  strinse 

(46)  Eccone  un  saggio  :  Gbe  pazzìa  è  questa ,  eccellentìs- 
•ùni figliuoli^  Re  grandi ,  appena  oso  dirlo»  che  la  vostra  nobil 
gente  dei  Franchi  eminente  sopra  le  altre  genti  ^  e  la  splendi* 
da,  e  Dobilissima  prole  della  resa  vostra  possanza»  si  voglia  mac- 
ellare colla  perfida ,  e  puzzolentissima  gente  de'  Longobardi  ,  la 
qoilc  neppure  è  compatata  tra  le  genti»  e  dalla  di  cui  nazione 
^■ppiamo  di  certo  che  son  venati  i  lebbrosi?  Niuno  vi  è  che  non 
su  pazzo»  al  quale  possa  neppure  nascere   sospetto  che  re  si 
nnomati  si  vogliano  impacciare  in  un  contagio  sì  abominevole  ec. 
Aggiuoge  aver  posto  questa  esortazione  sul  sepolcro  di  s.  Pie- 
^»  e  d'inviarla  da  quel  samto  luogo,  con  minftccìar  loro  anche 
u  teomonica  se  non  ne  faceano  conto .  Cod.  Carol.  Epìst.  4^* 

(4/)  Egiaardus  vita  Caroli  Magni. 


226  LIBRO  SECONDO 

"Desiderio  in  Pavia^  che,  dopo  un  lungo  asaedio,  fu 


d/c!  obbligato  ad  arrenderai .  Mandato  in  Francia ^  cbiuao 
790  in  un  Monastero,  divenne»  religioso,  e  mori  in  odore 
di  santità  (48)*  H  figlio  iVdelgiaio,  dopo  aver  brava- 
mente difesa  Verona,  sin  che  fu  possibile,  fuggissi 
alla  fine;  ed  imbarcato  a  Porto  pisano,  si  riparò 
alla  corte  di  Costantinopoli.  Cosi  terminò  in  Italia 
il  regno  de'  Longobardi,  la  di  cui  caduta  fu  accele* 
rata  dalla  politica  di  Roma .  Carlo ,  dopo  la  presa , 
ed  espulsione  di  Desiderio,  a' intitolò  Re  de*  Fran- 
chi ,  e  de'  Longobardi  :  fiirono  questi  trattati  amo- 
revolmente. Nel  tempo  dell'assedio  di  Pavia  era 
Carlo  andato  a  visitare  a  Roma  il  Pontefice  Adria- 
no, e  gli  aveva,  dicono,  non  9olo  confermate  le 
donazioni  di  Pipino,  ma  aggiunte  delle  nuove.  Che 
queste  fossero  state  fatte  forse  verbalmente  dall'uno, 
774  e  dall'altro  re  si  deduce  dalle  lettere  del  Papa,  ma 
non  bene  quali  fossero  :  non  certan^ente  quelle  ri- 
ferite dal  Sigonio  (49)  >  giacché  in  ea^  da  vasi  quello, 
che  Carlo  non  possedeva ,  come  la  Sicilia  •  Dopo  la 
conquista  d'Italia,  parve  però  che  si  raffreddasse  la 
generosità  di  Carlo,  che  divenuto  possessore  d'un 
sì  bel  paese,  non  amava  probabilmente  di  perderlo. 
Vi  sono  non  pochi  moniimenti  dai  quali  si  com- 
prende che  egli  esercitò  degli  atti  di  sovranità  non 
solo  sulle  città  d' Italia  donate  alla  Santa  Sede,  ma 
su  Roma  stessa  (56) .  Intanto  questo  gran  Sovrano 
stabilì  il  suo  figlio  il  giovine  Pipino  re  d'Italia  (5i), 

(48)  Murat.  Aonal.  d'Ital. 

(49)  De  i-egQO  Ital. 

(&o)  V.  Murat.  Anu.  d'ItaL  ove  à  ripoi'tano  due  passi  molto 
interessanti  di  Paolo  Diac  e  di  Eginardo. 
(5i)  Anual.  Fraucorum. 


r 


CAPITOLO  SECONDO         a»; 

ed  ecco  il  principio  di  un'altra  dinastia ,  che  la 
Francia  diede  a  questa  prorìncia .  Poteva  dispiacere  ^^q] 
a  Roma  lo  stabilimento  di  un  nuoTo  dominatore  in  774 
Italia;  il  naturai  desiderio  d'ingrandirsi  in  ogni  So- 
vrano,  poteva  far  nascere  delle  dispute  fra  i  due 
Itati  confinanti,  nelle  quali  la  possanza^  che  aveva 
aJQtato  il  Papa  contro  i  Longobardi ,  gli  sarebbe 
stata  nemica  :  ma  la  pietà ,  la  religione  ,  il  rispetto 
della  Garlovingia  famiglia  verso  la  sacerdotale  au- 
torità j  i  consiglieri ,  e  ministri  di  questi  principi 
per  la  maggior  parte  ecclesiastici  la  rassicuravano  ; 
fra  questi  in  seguito  il  principal  ministro  fu  il  savio  800 
eoclesiascicu)  S.  Adalardo  abate  di  Carbeja  (5:i). 
Intanto  si  appressava  un'  epoca  interersante  per 
f  Italiane  per  l'Europa  tutta.  Regnava  il  Pontefice 
Leone  III  che  era  stato  acculato  di  varj  delit- 
ti y  e  aveva  conth>  di  se  un  forte  partito  •  Tornato 
Carlo  in  Italia ,  e  venuto  a  Roma,  forte  il  Papa 
del  di  lui  appoggio^  intimò  a  tutto  il  regolare  e 
secolare  Clero  di  adunarsi  nella  chiesa  di  S.  Pie- 
tro, e  di  esporre,  se  alcuno  ne  avea ,  le  accuse* 
Niuoooso  parlare.  Nel  giorno  poi  di  Natale,  cele- 
brando il  Papa  la  messa  solenne  nella  Basilica  Va- 
ticana, si  mosse  ad  un  tratto,  e  venne  a  posare 
sulla  testa  di  Carlo  una  corona  ;  ed  il  Clero,  e  il 
popolo  ad  alta  voce  gridavano  :  a  Carlo  piissimo 
augusto  coronato  da  Dio  grande ,  e  pacifico  Im- 
peratore y  vita,  e  vittoria  (53).  Tre  volte  fu  ripe- 
tuta r  acclamazione ,  e  il  Papa  imitando  i  sacerdoti 

(5i)  Asnal.  d' ItiL  Mar. 

(53)  Bginar.  Fita  Cìiroli  M.  Joannes  Piaconus  eie.  Il  primo 
Kiìtlore  cortigiano,  segretario  di  Carlo  ALt  dice  che  fu  quésta  una 
sorpresa  Citta  a€arlo,raltro  che  fu  an  affare  concertato. 


saS         LIBRO    SECONDO 


f  d'Isdraello ,  uose  con  V  olio  santo  Carlo  Imperatore 
di^c!^  Pipino  re  d' Italia.  Cosi  V  Impero  di  Occidente 
800  spento  da  quattro  secoli  risorse  per  un  ardito  passo, 
con  cui  il  Papa  credè  possedere  ^  o  si  usurpò  la  fa* 
colta  di  creare  i  Sovrani .  Forse  il  Papa  nel  donar 
questo  titolo  non  credette  ccmferir  d'avvantaggio 
che  i  titoli  de'  Vescovati  ^  e  Patriarcati  della  Gre- 
cia y  o  dell'Asia  ;  e  certamente  quello  solo  sprov*- 
vitto  di  forze  non  sarebbe  niente  di  più:  ma  con- 
ferito a  un  si  potente  Sovrano  come  Carlo ,  e  di 
altri  suoi  intraprendenti  successori  in  tempii  nei 
quali  la  venerazione  a' decreti  pontificj  era  tan- 
ta ,  diveniva  un  istrumento  validissimo  da  palliare 
con  una  vernice  d' equità  le  più  ardite  pretensioni 
L'Impero  romano  si  era  esteso  sulle  più  fertili  e  più 
colte  Provincie  allora  note  del  globo  :  queste  erano 
state  strappate  colla  forza  dal  quel  gran  corpo  •  Un 
Imperatore  romano  poteva  rivendicare  colla  forza 
o  r  intero ,  o  parte ,  o  almeno  i  diritti  di  vassal- 
laggio dai  Sovrani  di  quelle  provincie  .  L'acclama- 
zione di  Carlo 9  naturalmenie  concertata  fira  lui  ed 
il  Papa ,  era  un  atto  utile  ad  entrambi ,  giacché 
questo  y  senza  nulla  perdere ,  donava  ampiamente 
di  ciò  che  non  possedeva  :  il  dono  immaginario 
poteva  esser  ridotto  a  qualche  cosa  :  intanto  il 
Papa  esercitava  un  atto  dei  più  grandi^  ed  au- 
torevoli ,  come  quello  di  conferire  la  corona  im- 
periale .  Non  furono  comprese  in  quel  momento 
le  conseguenze  ({ip^ndenti  da  queir  avvenimen- 
to, ed  esempio.  Varie  furono  le  visite  che  que- 
sto Sovrano  infatigabile  fece  all'Italia,  ma  nia- 
nn  ebbe  ronseguenza  di  tanta  importanza .  La  vita 
di  queslu  iVlouan  a  ,  degno  al  par  di  qualunque  al- 


CAPITOLO  SECONDO     aag 

tro  del  nome  di  grande ,  fa  una  continua  serie  di 
viaggi,  e  battagKe:  il  suo  dominio  abbracciò  due  ^4 (>^ 
terzi  deir  antico  Itepero  romano:  si  estei^deva  an-  ^o<> 
che  di  pia  dalla  parie  del  Nord  ,  oTe  fe^e  trentatrè 
campagne  ora  per  domare,   oi^a  per  rimettere  in 
dovere  quei  feroci  popoli  impazienti  di  freno .  Fu 
sempre  vittorioso  in  Spagna  controi  Sanicein ,  d'oi¥< 
de  ritirandosi  per  accorrere  a  sedare  la 'ribellione 
de^ Sassoni,  fu  nella  ritirala  atlacfcaitèin  uno  stmt* 
to  e  svantaggioso  passo  fra  i  Pilone! ,  in  cm  sì  efa4iey 
occaltamente  postati  i  suoi  nemici,  'éd'orve^in  èpe-'' 
eie  la  sua  retrognairdia,  fu  tagliatala  j^esti.  Que^aè 
la  celebre  rotta  di  Boncisvatle,  in  cui  tra  gli  altri' 
guerrieri  restò  ucciso  il  famoso  Radiando,  ò  Orlan- 
do, sa  di  cui  hanno  scritto  i  romansrteH ,  e-  in  epe-* 
deiliàvcrfoso  Tilpi«o,  o  Tnrpìiio  Àrciveì8f]o>i^o  di 
Reims(54),  fipesiso  comicamente  citato  dà*  uno'dei- 
pià grandi  italiani  poeti.  Toltìa»  <}ueeta  sventura,  il 
suo  regno  fu  felice.  Il  Codice  longobardico  fu'da 
lui  emendato,  e  accresciuto 'con  varie  importanti 
^gif  le  quali  sì  possono  vedere  nei  Capitolari; 
prese  le  più  efficaci  misure  compatibili  con  quella 
barbara  legislaaiope  per  rimediare^lle  ingiustizie  . 
E  &cile  il  vedere  quanto  oppressi  esser  doveano  i 
mifierabili  popoli  sotto  il  feudale  governo;  quanto 
difficile  cbe  i  lamenti  di  questi  pervenissero  alle 
orecchie  di  un  sovrano ,  che  colb  voglia  avesse  an* 
che  il  potere  di  far  rendei  gitisEtizia;  Carlo  perciò 
costituì  dei  giudici  itineranti.  Alzavano  essi  tribù- 


<  •• 


(54)  In  un  G)Dcilio  celebrato  in  Roma  nel  768  tra  i  dodici 
vcscoYi,  si  trova  questo  Turpino  arcivescovo  di  Reims:  ma  il  Ro« 
n^ioo  a  lui  attribuito  fu  scritto  piitdi  éae  secoli  dopo,  da  un  fra- 
te de*  oofnfini  di  Frància,  e 'di  Spagna.  Fabricio  BibKoth.  Latin* 

■^e'diiacri.  *>    *»  '       * 


s3o         LIBRO   SECONDO 
.  naU  nelle  piazze  delle  città^  invitavano  chi  area  da 
di  G.  dolersi  dei  governatori  ad  esporre  i  loro  gravami  ;  yì 
^^^  chiamavano  i  migliori  legisti  dei  paeaej  il  Conte, 
il  Vescovo  ec. ,  e  questo  giudizio  facevasi  in  pub- 
blico. Un  si  fatto  tribunale  esercitò  i  suoi  diritti 
anche  nelle  città  pontificie ,  onde  chiaramente  si 
scorge  che  Carlo  se  n'era  riserbato  Talto  domi- 
nio (55).  Benché  devoto  alla  S.  Sede,  ebbe  sempre 
assai  di  vigore  per  non  ceder  debolmente  alle  pre- 
tensioni indiscrete ,  e  per  tenerla  entro  i  suoi  limi- 
ti. La  grandezza  delle  sue  imprese  ne  copri  i  difet- 
ti •  Pisa  si  vanta  di  aver  dato  in  Pietro  Diacixio  un 
maestro  a  si  gran  Monarca ,  che  però  si  dubita  se 
sapesse  leggere.  Quantunque  ignorante  delle  lette- 
re, onorò  e  ricercò  i  dotti  per  una  specie  d'istinto, 
di  cui  pec  tutte  le  pregevoli  cose  la  natura  ha  dota- 
to gli  uomini  grandi  :  fece  ogni  sforzo  per  risvegliarle 
in  Francia^  e  io  Italia .  La  maraviglia  che  le  sue 
grandi  imprese  eccitarono  nei  contemporanei,  lasciò 
una  profonda  traccia  nei  posteri  anche  barbari ,  a 
segno  che  i  suoi  avvenimenti  fnrono  mescolati  colle 
fjiVole,  le  quali,  per  rendersi  credibili,  si  attaccano 
sempre  ad  uomini  straordinar).  I  poeti,  e  i  roman- 
zieri si  occuparono  di  Carlo ,  e  le  pubbliche  piazze 
d'Europa  furono  piene  di  curioso  popolo  che  pende- 
va dalla  bocca  d'alcuno,  che  raccontava- gli  avveni- 
menti di  Carlo  Magno  (56).  Carlo,  prima  di  mori* 
re,  in  una  Dieta  di  rispettabili  princìpi  in  Aquis- 
grana  avea  fatto  dichiarare  Imperatore  il  suo  figlio 
maggiore  Lodovico  (57) .   Merita   riflessione  quc- 

(55)  Anaal.  FranconMD  Eginar. 

(56)  U  nome  di  Giftrlfttani^  origiiutU)  diMì  fatte  persona. 

(57)  Annal*  Franoor.  Thegan.  De  gestis  Ludovici  Pii  cap^  <^ 


/ 


CAPITOLO  SECONDO  sSi 
st'aiione  di  Carlo.  Il  rutabilimento  della  dignità  ==^ 
imperiale  in  Occidente  era  stato  un  atto,  che  avea  ^rc! 
ncevBtor origine,  e  il  primo  impulso  dal  P«|>a;  fi>4 
onde  parea  che  al  medesimo  fonte  dov^aae  ricorrer 
Cado  per  istallare  nella  stessa  dignità  il  suo  figlio: 
e^  pertanto  o  credè  stabilita  su  più  salda  iMise  una 
desume,  in  cui  convenissero  i  più  potenti  principi 
^lla  Germania^  o  volle  far  comprendere,  che  l'in- 
tervento del  somoK)  Sacerdòte  era  necessario  soU 
Unto  nello  stabilimento ,  e  nella  creazione  d' un 
Impero,  né  Tatto  solennfe  dovea  ripetersi  ad  ogni 
individuo,  o  volle  togliere  la  pericolosa  influenza , 
6  quasi  supremazia,  che  un  atto  tale  pareva  attri« 
l^re  al  sacerdozio  sopra  T  Impero.  La  Carlovingia 
Simiglia  stabilita  da  tre  eroi ,  Carlo  Martello ,  Pi« 
pino,  e  Carlo  Magno,  giunta  al  più  alto  splendore 
Mto  il  terzo,  cominciò  dopo  la  sua  morte  a  decli* 
Bare;  i  degenerati  suoi  discendenti  non  possedevano 
«Icuns  virtù  dei  loro  antenati .  Lodovico ,  erede 
della  più  gran  parte  dei  suoi  regni ,  schiavo  della 
móglie  y  deposto  per  cabala  degT  intriganti  suoi  figli , 
per  commiserazione,  che  desta  ne' popoli  il  degra-* 
dato  figlio  di  nn  eroe,  richiamato  al  trono,  debole 
ugualmente  di  corpo ,  che  di  spirito ,  dopo  un  regno 
Mnia  gloria ,  sentendosi  illanguidir  la  sua  macchi- 
na, li  fece  trasportar  in  un'  isola  del  Reno  pr^so  a 
Magonza.  Avendo  perduto  T  appetito,  credè  che  il 
Cielo  lo  punisse  per  non  aver  osservata  in  queir  an- 
no la  quaresima,  e  vi  morì  di  langoore  (58). 

I  auot  figli  si  contrastarono  il  piugiie  retaggio  del 
toro  grandmavo  coir  armi .  La  Germania,  e  l'Italia       \ 

(SS)  Aiiii«Francor. 


93a        LIBRO   SECONDO 

^,~,\-  furono  iosaaguinate  dalle  loro  dìacordie  :  caddero 
<^i  C'  poi  i  degeneri  dissceodenti  neir  avvilinMnto  ;  ed  i 
^  '  ^  cogaomi  steasi  di  Carlo  il  balbo  y  Carlo  il  grasso  ec», 
mostrano  la  loro  degenerastoae  di  colepo,  come  di 
spirito.  L'Italia^  in  cui  si  fiuccedevauo  rapidamente 
i  conquistatori ,  era  trattata  da  tutti  come  passe  di 
conquista,  e  perciò  ciascuno  di  quelli  abusaTa  del 
dritto  d'opprimerla*  la  mez2o  a  queste  miserie  «ra 
minacciata  da  un'altra,  disgrada.  Gli  Arabi  da 
quaklielempo  padroni .  della  Sicilia  passati  in  Ca« 
labfia,  si. erano  fortificati  «sul  delisuoso  Miseno^  coo- 
verteado  la  tomba  di  S.  Severino  in  un  asilo  degli 
adoratori  di  Maometto.  Di  qui  minacciavano  tutta 
IMtalia,  e  scorrendone  con  le  loro  flottiglie  le  co- 
ste^, dìstru^isero  la  città  di  Luni^  rimoatarono  il 
Tevere,  giunsero  presso  a  Boma^  e. spogliarono  la 
Basilica  di  S.  Pietro.  Per  difendere  appunto  questa 
ricco,  e  rispetta)»ile  luogo  da  nuove  scorrerie^  Leo- 
ne IV  lo  cinse  di  mura  (5$);  vi  fabbricò  delle  ca* 
se,  perchè  gli  abitatori  di  esse  servissero  almeno  di 
qualche  temporana  difesa,  e  ae  concesse  Tabita- 
zione  a  una  moltitudine' di  Corsi  fuggiti  dalla  loro 
patria.  Ebbe  il  luogo  dal  suo  fondatore  il  nome  di 
città  Leonina,  che  trovasi  ora  racchiusa  entro  il 
circondario  di  Boma  moderna  «  L' insolensa  de^Sa- 
vaceni  era  taiita ,  che  giunsero  fino  a  sorprendere  in 
un 'isoletta  alla  foce  del  Bodano  BoUndo  arcivescor 
vo  d'Arles  ;  e  burlandosi  dei  semplici  Sfàoi  sudditi 
e  popolani,  fecero  pagare  uno  straordinario  riscatto 
4I  suo  cadavere  (6c)<  Tanto  inetti  alla  difesa  eran 


I  *  ' 


(59)  Anastas.  bibliotli.  Vita  Leon.  IV 

(60)  £ra  andato  T  Arci  vescovo  all'Isola  di  Gamereue,  ov« 
r  abbazia  di  s.  Cesarlo  da  lui  posseduta  avea  dt'graii  borni.  Sorpre* 


CAPITOLO    SECONDO     a35 
divenuti  gF Italiani^  che  non  più  di  20  Saraceni  ^^ 
sbalzati  dalla  tempesta  alla  spiaggia  tra  Nizza  e  Mo-  ^[q. 
naco^  entrati  di  notte  in  un  castello,  probabilmen-  ^U 
te  Frassineto,  vi  scannarono  tutti  quelli  che  cadder 
loro  tra  mano;  indi  fortificatisi,  chiamati  altri  com- 
pagni, fecero  delle  scorrerie  in  Francia,  in  Italia, 
peoetrareno  nel  Monferrato ,  saccheggiarono  presso 
a  Turino  il  monastero  della  Novalesa,  e  si  manten- 
nero per  molto  tempo  in  quel  posto  con  vergogna 
di  tutti  i  Principi  italiani*      . 

so  ivi  dai  Saraceni y  fu  stipulato  un  costosi^mo  riscatto.  Intanto 
l'accuoraniento,  e  forse  gli  strapazzi  condussero  a  morte  l'Atei  ve- 
scovo nel  tempo  della  sua  liberazione.  Gli  scaltri  Saraceni  tennero 
occolla  la  morte ,  e  nel  tempo,  che  vem^*  a  riceverlo  la  tua  geate» 
portarono  il  cadavere  a  terra  accomodato  in  una  sedia,  e  vestito 
degli  abiti  pontificali ,  e  presero  rapidamente  il  denaro .  Si  accosta- 
rono alla  sedia  i  suoi ,  e  volendo  parlargli  >  trovarono  un  cadavere. 


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a34  LIBBO  SECONDO 

CAPITOLO   Ili. 

SOMMARIO 

Duchi,  Conti,  e  Marchesi  di  Toscana,  Origine  delle  Case  d^Este» 
e  di  Brunswich»  Imprtse  di  Bomfarió  •  Influenti  de*  Marchesi 
di  Toscana  sugli  affari  d*  Italia .  Ugone  n'  è  eleUo  Me  •  Sue  di* 
scordie  col  Marchese  Lamberto .  Esclusione  della  linea  Bavara 
dal  dominio  della  Toscana,  Linea  di  Provenza  •  Tigone,  detto 
il  grande,  governa  giustamente.  Sua  morte.  Vicende  di  Ugo- 
ne,  e  di  altri  re  d' Italia.  Avventure  di  Adelaide  Ji^ia  del  Re 
di  Borgogna .  Bon\fa*io  Marchese  di  Toscana..  Sua  magniji- 
cenzd ,  sua  ricchezza ,  e  sua  morte.  Metilde  Contessa  di  To- 
scana. Gregorio  VII  Arrigo  IV  Sacca  dato  a  Boma  dai  Nor- 
manni, e  morte  del  Pontefice.  Morte  di  Arrigo,  e  di  Corrado 
mÈoJif^ia*  Arrigo  V  Imperalcfre.  Potemtadi  Meiilde,  e  sua 
morie . 

l^a  Toscana^  esposta  a  tutte  le  rivoluzioni  d'Ita- 
Atmi  Ha ,  passò  dal  giogo  dei  Goti  a  quello  de'  Longo- 
3  .'bardi y  indi  dei  Franchi.  In  questi  governi  però 
quasi  uniformi  ^  era  stata  governata ,  ed  oppressa 
da  un  Duca,  o  Conte ,  o  Marchese  che  dipendeva 
dal  Re  d'Italia,  (iìon  questo  nome  erano  distinti  i 
principali  ministri  del  regno  d' Italia  .  Giudici  sul 
principio^  e  condottieri  de' Barbari^  divennero  do- 
po il  nono  secolo  principi  distinti  di  un  solo  gra« 
dino  dal  trono  •  Era  dritto  di  questi  ,  anzi  officio , 
d' intervenire  al  concilio  nazionale  ,  e  le  leggi 
non  avean  validità  senza  la  sanzione  loro.  Nei 
paesi  che  governava ,  il  Duca ,  o  Conte  era  supre- 
mo comandante  civile  e  militare  con  potere  as- 
soluto; ne' giudizj  o  civili  o  criminali  erano  assi- 
stiti da' loro  Assessori  o  Scabini  che  si  suppone- 
vano più  istruiti  del  Signore .  La  loro  condotta  pò- 


CAPITOLO  TERZO        935 

tef  A  esier  ioggetta  all'  esame  de'  Giudici  itineranti 
fltabiliti  da  Carlo  Magno ,  quando  la  debolezza  ,o  àìC 
timore  gli  consigliava  a  soggettar  visi.  Si  possono  con*  ^*4 
sìdenire  perciò  nel  potere,  nell'abuso  di  esso,  e 
probabilmente  nella  forma  dei  giudizj,  molto  si- 
mili ai  Bassa ,  o  Governatori  della  porta  Ottoma* 
na .  Dovevano  ad  un  cenno  del  sovrano  marciare 
co' sudditi  in  armi;  con  lui  erano  divise  per  metà 
le  tasse  levate  sul  popolo.  Avea  il  Sovrano  il  dritto 
di  richiamargli  a  piacimento ,  nò  i  figli  legalmente 
ereditavano  la  carica:  ma  presto  invalse  Tuso,  che 
DOQ  potessero  esser  privati  del  loro  uiBzio  senza  un 
processo ,  a  cui  un  Duca ,  o  Conte  assai  potente 
sdegnava  spesso  di  comparire;  e  l'uso  pericoloso 
di  confermare  i  figli  nella  carica  del  padre  ^  unito 
alla  potenza  del  figlio ,  la  rese  psso  passo  eredita* 
ria.  In  una  lunga  serie  di  questi  padroni  della  To- 
scana appena  trovasi  alcun  avvenimento  degno  di 
meoioria  (i)«  Lasciando  nell'oblb  quei,  dei  quali 
si  omosce  poco  pia  cka  il  nome ,  la  di  cui  serie , 
sempre  incerta,  esercita  le  inutili  ricerche  de'&ti^ 
cosi  eraditi  ,  daremo  noi  uno  splendido  principio 
a  ({Qesta  specie  di  governo  coi  nomi  di  fioni&cio , 
ed  Adalberto,  che \lbr mano  lo  stipite,  onde  deru 
vano  due  delle  più  illustri  famiglie  d' Europa ,  la 
casa  d*  Este ,  e  quella  di  Brunswich  «  li  favore  ac^ 
cttdato  dalla  prima  agli  uomini  di  lettere  ha  rice* 
votola  più  fi^rtunata  ricompensa  nell'immortalità, 
che  le  hanno  data  due  dei  cinque,  o  sei  capi  d' o- 
pera  che  l'ingegno  umano  abbia  in  Europa  saputo 
finora  produrre ,  l' Orlando  Furioso ,  e  la  Gerusa- 
lemme Liberata .  La  seconda  famiglia ,  dopo  va- 
ti) T.  Cosimo  della  Rena  dei  Duchi,  e  Marchesi  di  Toàcaa». 


I 


33&         LIBRO  SECONDO    ' 
-.rie  splendide  vicende  è  stabilìt»  sul  trono  d'una 


dì  G.  ^^^'^  nazioni  più  potenti  (a).  Sogbono  per  lo  più  i 
d>4  genealogici  alberi,  che  la  vanità  ostenta  agli  occhi 
del  pubblico,  cominciare  da  un  uomor  rllusire ,  al 
disopra  del  quale  manca  la  chiarezza  della  sorgen- 
te :  ciò  non  è  vero  di  Bonifazio  :  diacendeva  esso 
da  una  famiglia  padrona  degli  ampj  dominj  della 
Baviera  e  della  Sassonia  ^  i  di  cui  limiti  neir antica 
Geografia  si  estendevano  assai  più  de'  moderni  (3)* 
Bonifazio  detto  il  Bavaro  fu  Conte  di  Lucca ,  che 
in  quei  tempi  era  riguardata  come  la  principal  Cit- 
tà della  Toscana.  Il  di  lui  figlio  Bonifazio  secondo, 
uni  molto  verisimilmente  a  questo  titolo  anche  quel- 
lo di  Duca^  e  Marchese  di  Toscana,  e  ai  segnalò  per 
la  difesa  dei  Paesi  a  lui  commessi,  e  per  la  fedeltà 
al  debole  figlio  di  Carlo  Magno  da  cui  probabil- 
mente la  sua  famiglia  riconosceva  lo  stabilimento 
in  Italia*  Oltre  la  Toscana,  era  «tota  commessa  alia 
sua  cura  la  difesa  della  Corsica  (4),  e  della  Sarde- 
gna .  lusultovano  i  Saraceni  Affricaui  non  solo  que- 
st'isole, ma  le  coste  della  stessa  Toscana.  Adunata 
una  piccola  flotta  esci  dal  Porto  di  Pisa:  si  dilegua- 
rono in  faccia  ad  essa  i  pirati.  Egli  dopo  aver  visi- 
tate le  coste  di  Corsica  ^  fece  uno  sbarco  in  Affrica 
tra  Utica ,  e  Cartagine .  Non  usati  i  Saraceni  ad  es- 
sere insultati  dai  Cristiani  in  quelle  spiagge ,  adu- 
nato un  gran  numero  di  combattenti  attaccarono  il 
campo  di  Boni&zio  per  cinque  volte,  ed  altrettante 
ne  furono  respinti  con  grande  strage:  i  vincitori 
carichi  di  gloria  ^  e  di  bottino  se  ne  tornarono  alla 

(9)  Marat.  Antich.  Eftténs.  lieìbuiz.  origtnes  Guelpbièae. 

(3)  Gibbon  *s  AntiquUies  ofthe  House  of  Brunswick^ 

(4)  Da  lui  probabilmente  ebbe  il  nome  il  forte  di  Bonifazio 
in  queir  Isola .  Co^m.  della  Reaa . 


CAPITOLO  SECONDO  337 
bocca  deirAroo.  Al  merito  di  difenaore  della  To- 
scana contro  i  nemici  della' sua  Religione^  ^SS^^'^^dì^c! 
Bonifiizio  quello  di  difensore  del  bel  sesso.  È  nota  ^^4 
abbastanssa  la  debolezza  del  carattere  delF  erede  di 
Carlo  Magno ,  Lodovico  Pio ,  e  le  vicende  della  sua 
moglie  Giuditta .  Discendeva  essa  come  Boui£sizio 
dalla  famiglia  Guelfa  di  Baviera  ^  che  iouestata  poi 
ia  Italia  nella  Casa  d'Este  per  via  di  femmine,  die- 
de probabilmente  origine  alla  famosa  fazione  Guel- 
fa. I  figli  dì  Lodovico  Pio,  e  specialmente  il  turbo- 
lento Lotario  Re  d'Italia ,  o  abusando  della  debo- 
lezza  del  padre ,  o  intolleranti  dell'ascendente,  che 
avea  sopra  di  lui  la  matrigna  Giuditta,  aveano  co- 
stretto quel  debole  Sovrano  ad  abdicare  il  regno,  e 
racchiusa  questa  in  un  monastero  di  Tortona ,  men- 
tre la  compassione  verso  il  degradato  figlio  di  Carlo 
Magno,  e  la  venerata  memoria  del  padre  ricondu- 
cevano  il  cuore  de' sudditi  a  riporlo  sul  Trono,  Bo- 
nifazio impugnando  la  spada,  cinta  secondo  le  leggi 
di  Cavallerìa  in  difesa  del  bel  sesso,  corse  con  alcu- 
ni fedeli  seguaci  a  liberar  Giuditta  dalla  sacra  prì- 
gione,  e  la  ricondusse  salva  alle  braccia  del  treman- 
te marito .  Questa  galante  e  valorosa  impresa  gli 
trasse  però  addosso  V  odio  del  re  d' Italia ,  e  fu  co- 
stretto a  ricovrarsi  in  Francia ,  ma  probabilmente 
ritorno  al  suo  governo,  e  morì  in  Toscana.  Il  di  lui 
figlio  Adalberto  I  ora  insultato  come  un  pubblico 
Assassino,  ora  esaltato  come  un'Eroe  da  Papa  Gio- 
vanni yill>  secondo  che  gli  fu  amico,  o  nemico,  è 
distinto  dalla  sola  cronologia  da  Adalberto  II  suo 
figlio,  trovandosi  in  molti  scrittori  confusi  insieme, 
ed  ignorandosi  affatto  le  azioni  del  prìmo.  Adal- 
berto II  fu  uno  de' più  celebri  Duchi,  e  Marchesi 


a38  LIBRO  SECONDO 

di  Toscana .  Le  aue  rìcchesoe  lo  reaero  il  più  potente 


Ann' 

dì  G.  ^^'  Principi  italiaoi  |  e  la  ToscaDa  cominciò  sotto  di 
Bi4  lui  ad  avere  uu'  inflaeosa  deciaiva  nelle  riyoliizioai 
d^  Italia  •  Si  trovaTa  essa  contraatata  da  due  Re  Be- 
rengario^ e  Lamberto.  Era  il  Duca  di  Toscana  ne* 
mìco  del  secondo^  o  voglioso  d' ingrandirsi  sulle  di 
lui  mine,  sollecitato  ancor  più  dairambizione  della 
moglie  Berta ,  che  figlia  del  Re  Lotario  di  Lorena^ 
aspirava  forse  ancor  essa  al  titolo  di  Regina.  Scosso 
il  giogo  imperia  le  9  e  unitosi  col  Conte  Àdebrando, 
adunato  un  potente  esercito^  marciò  contro  Lam- 
berto verso  Pavia.  Questa  indisciplinata  truppa  con- 
dotta da  inesperti  generali ,  avanzatasi  fino  a  S.  Don- 
nino, Parma,  e  Piacensa,  e  ivi  &tto  alto,  era  ne- 
gligentemente addormentata  •  La  sorprese  nella  not- 
te fattivo  Lamberto  con  poca  e  scelta  cavalleria; 
Tattaccarla  e  il  porla  in  foga  fu  un  punto  solo:  aal- 
89S  vossi  Adebrando  :  Adalberto  fu  fatto  prigione  tro- 
vato nascosto  in  una  stalla  •  Lamberto  quando  gli 
fu  condotto  piacevolmente  gli  disse,  che  il  luogo 
ove  la  sua  viltà  lo  avea  fiitto  nascondere  avea  veri- 
ficato la  profezia  di  sua  moglie  (5)  •  Restò  per  poco 
tempo  prigioniero  Adalberto.  Correndo  alla  caccia 
precipitosamente  Lamberto  cadde ,  e  mori  della 
percossa  non  senza  sospetto  però  di  essere  stato  uc- 
ciso dal  suo  compagno  di  caccia  Tigone  •  Perde  l'Ita- 
lia un  ottimo  Re ,  giovine  di  anni,  ma  non  dì  sen- 
no, come  un  isterico  di  quei  barbari  tempi  con  e- 
spressioni  men  barbare  della  sua  età  ha  scritto  (6). 

(5)  Si  era  vantata  di  voler  fare  del  suo  marito»  o  un  Re  ,  o  un 
Asino .  Liutpn  apud  Sigonium  lib,  6.  de  Regno  Italiae . 

(6)  Inerat  illi  honesta  morum  probitas,  sonda  et  formiìdo- 
Iosa  severitas,et  quem Juventus  omaverat  in  corpore,  splendida 
mentis  canicies  aecorabat  sancta  ec.  Liutpraadas . 


CAPITOLO   TERZO         aSg 

Sbrigato  da  ai  potente  nemico,  corae  Berengario 
a  Pavia ,  ore  liberò  il  prigioniero  Adalberto ,  lo  di  e!* 
ripose  nel  suo  slato  di  Toscana ,  e  divenne  il  solo  ^9^ 
Re  d'Italia:  ma  il  potente  partito  dell'estinto  La  m- 
berta  non  poteva  essere  tranquillo;  sapendo  quanto 
Berengario  avea  ragione  di  odiarlo,  gli  eccitò  un 
rirale,  invitando  Lodovico  re  di  Provenza  al  Re- 
gno d'Italia,  come  Principe  del  sangue  di  Ciarlo 
Hagoo.  Berengario  vedendosi  venire  addosso  questo 
nuovo  turbine  di  guerra ,  sprovvisto  di  forze  e  di 
denari  ricorse  al  suo  amico  Adalberto ,  da  cui  po- 
tentemente assistito  potè  porre  in  piedi  un  esercito 
di  tal  forza  che  venuto  in  Italia  Lodovico,  fu  stret- 
to a  segno  che  vistosi  perduto,  gli  convenne  capi- 
tolare, e  promettendo  con  giuramento  di  non  ten- 
tar più  una  simile  impresa,  fu  da  Berengario  lasciato 
partire  (7).  I  nemici  però  del  re  d'Italia  e  sopra 
tatti  il  Papa,  non  restarono  tranquilli:  richiama- 
vano Lodovico,  e  il  Papa  gli  prometteva  ancora  le 
inaegne  imperiali:  vedendo  però  che  senza  il  con- 
senso del  potente  Marchese  di  Toscana  sarebbe  sta-^ 
to  vano  ogni  tentativo,  si  rivolsero  alla  di  lui  mo'* 
glie  Berta,  che  avea  grandMnfluenza  suirsinimo  del 
marito  •  Vinto  Adalberto  dagli  stimoli  di  tanti  prin- 
cipi italiani ,  e  dalle  persuasioni  della  moglie  man- 
dò ad  invitare  Lodovico.  Non  fu  egli  restio  (8).  Be- 
rengario privo  di  un  tanto  appoggio  non  ardì  oppor- 
segli,  ma  cedendo  al  tempo  riparossi ,  e  sì  fortificò 
in  Verona  •  Lodovico  occupata  senza  contrasto  Tlta* 
lia,  ne  fu  coronato  Re  in  Pavia:  proseguendo  il  suo  _, 
viaggio  in  Roma  ricevè  da  Papa  Benedetto  le  inse- 

(7)  LiatpraniL  lib.  a: 

(8)  Liutpr*  Hist.  lib.  a.  Anoiì«  in  paneg.  Berenga.  Ilb.  4- 


a4o.  LIBRO  SECONDO 
^gne  imperiali;  rivolto  iodi  a  coaipir  la  vittoria  si 
di  e.  preparava  a  stringere  in  Verona  Bejpengario  che 
900  non  lo  aspettò^  e  refugioasi  in  Baviera  ;  la  fortooa 
però  pareva  che  scherzasse  colla  corona  d' Italia ,  e 
Berengario;  il  marchese  di  Toscana  in  questo  tempo 
dava  e  toglieva  a  hio  senno  quella  corona  •  A vea  egli 
ricevuto  nella  sua  Corte  l'Imperatore^  lo  a  vea  traU 
tato  con  tale  splendidezza,  che  quello  non  usato  a 
tal  lusso,  e  a  siffatta  magnificenza^  e  forse  piccato 
di  esser  sopraffatto  da  un  suo  vassallo ,  susurrònel- 
r orecchie  a  un  confidente,  che  costui  la  faceva  più 
da  re  che  da  marchese  ^  e  che  non  gli  mancava  che 
il  regio  titolo.  Queste  parole  riportate  ad  Adalber- 
tOy  interpetrate  malignamente  dalla  moglie,  istilla- 
rono un  veleno  nel  cuore  del  marito^  per  cui  so- 
spettando che  le  sue  ricchezze  tentassero  Pavidità 
deir Imperatore,  alienò  da  lui  a  poco  a  poco  colla 
sua  influenza  l'animo  dei  principi  italiani.  A  vea 
Lodovico,  credendosi  sicuro  da  ogni  pericolo,  per 
altrui  consiglio  sbandato  Tesercito,  e  stavasi  tran- 
quillo in  Verona  (9).  Informato  di  ciò  Berengario, 
si  mosse  tacitamente  con  una  truppa  scelta  e  riso- 
902  luta  :  sorpresa  Verona,  fece  prigioniero  Lodovico,  a 
cui  rimproverando  la  rotta  fede,  fece  cavare  gli  oc- 
chi, ed  abdicare  il  regno,  e  cosi  tornossi  il  cieco 
Imperatore  in  Provenza .  Restò  per  alcuni  anni  sen- 
za competitore  Berengario,  ma  non  tranquillo  :  fa 
privato  anch'  esso  del  R^gno  da  Ridolfo  re  di  Bor- 
gogna chiamatovi  dagl' incostanti  Baroni,  il  favor 
dei  quali  non  godette  molto  neppur  egli.  La  pos- 
sanza de' re  d' Italia,  come  in  ogni  sistema  feudale^ 

(9)  Liutp.  Hist.  lib.  3. 


CAPITOLO   TERZO         2^1 

dipendeTa  dairticcordo  eoo  lui  de' Baroni  suoi  vas- 
salii:  questi  per  la  naturale  instabilità  di  tutti  i  pò-  ^[  e. 
poli  di  odiare  il  presente^  e  di  amare  il  futuro^  ap-  9^^ 
pena  messo  in  trono  un  re  erano  scoutenti  delFope- 
ra  loro,  cercavano  di  deporlo  e  crearne  un  nuovo, 
che deponeraùo  colla  stessa  volubilità:  pocbi  favori- 
ti eccitavano  innumerabili  nemici,  i  quali  erano 
sempre  in  quel  sistema  abbastanza  forti  per  mutare 
il  governo.  Tale  fu  per  moltissimo  tempo  la  situa- 
none  d'Italia,  simile  ad  un  malato  che  non  trovan- 
do riposo  va  cangiando  loco  e  medico  inutilmente  • 
Morto  già  da  qualche  tempo  il  potente  marchese  di 
Toscana  Adalberto  II,  il  suo  figlio  Guido  caduto  '  in 
sospetto  di  Berengario  ,  forse  per  gì'  intrighi  del- 
l'ambiziosa  Berta  sua  madre,  era  stalo  imprìgio* 
nato.  La  Toscana  però  gli  era  restata  fedele ,  onde 
avea  potuto  dopo  la  caduta  di  quello  agevolmente 
ristabilirsi  •  Egli,  e  Lamberto  erano  fratelli  uterini 
di  Ugo  Duca  di  Provenza  ,  nato  dalle  prime  nozze 
della  loro  madre  Berta  con  Lotario  Conte  di  Arles . 
Era  parimente  loro  sorella  Ermenegarda,  maritata 
ad  Alberto  Conte  di  Ivrea, donna  non  inferiore  alla 
madre  Berta  negrintrighi  politici  (  1  o).  Questa  pro- 
babilmente secondata  dalla  sua  famiglia  di  Toscana 
invitò  il  fratello  Ugone  al  regno  d' Italia.  Con  tai 
potenti  appoggi  non  potea  mancare  il  progetto . 
Venne  Ugone  per  mare  sbarcando  a  Pisa, ove  con- 
corsero tutù  i  principi  d'Italia,  e  gli  ambasciatori 
di  Papa  Giovanni;  di  là  portossi  a  Pavia,  ove  fu 

(io)  Ermenegarda  cum  mariti  dictionem  vidua  administra^ 
^t sfavore  Principum  italicorum  muliebribus  iUeeebris  sibi  con- , 
oliato,  tantas  opes  quaesiverat  ut  etiam  Rodulpho  regnum  cri- 
pte cogitaifit,  Sigoo.  De  regno  ital.  lib.  6. 


34a  LIBRO    SECONDO 

~  ektto ,  e  colla  solita  faazione  c<at>nato  in  Milano 


jì°^ dall^Àrci vescovo  Lapiberto.  Invano  dopo  poco  lem- 
9oa  pò  la  solita  istabjUtà  degV  Italiani  tentò  di  minare 
Ugone.  Più  scaltro^  e  più  fortunato  degli  altri ^  di- 
scoprì una  pericolosa  congiara;  e  Geto^e  Valporto, 
capi  di  essa ,  furono  puniti  il  primo  colla  perdita 
degli  occhi  e  della  lingua^  l'altro  delia  vita  (i i) • 
Una  congiura  spenta  rinforza  sempre  il  governo: 
quello  di  Ugone  prese  perciò  maggior  vigore  ;  ma 
la  sua  avidità^  e  ingiustizia^  T ingratitudine  a' suoi 
bene&ttori  ne  oscurarono  il  carattere^  e  furono  forse 
in  seguito  la  causa  delle  sue  disgrazie.  Ei  dovea  il 
regno  d'Italia  alla  famiglia  dei  marchesi  di  Tosca- 
na ^  di  cui  tentò  con  la  fixxle ,  ed  esegui  la  mina. 
Guido  successore  di  Adalberto  era  cresciuto  ancóra 
di  potenza  per  il  matrimonio  con  Bla  ria  ^  o  Marozia 
degna  figlia  di  Teodora ,  e  vedova  del  Conte  Albe- 
rigo •  Questa  donna  nelle  sue  dissolutezze  non  po- 
neva neppure  la  femminile  decenza  •  Ella  fece  di 
Roma  ,  e  del  Vaticano  una  scena  di  prostituzione . 
Armata  delle  arti  femminili,  e  di  non  femminile  co- 
raggio, abile  a  regolare  i  tumulti  sediziosi  di  Roma, 
si  era  impadronita  della  mole  Adriana ,  e  dettava 
leggi  al  Papa,  e  al  popolo  romano*  Guido,  Duca  di 
Toscana ,  non  ebbe  repuguanza  di  sposare  una  si 
fatta  donna,  tutto  cedendo  in  lui  all'avidità  del 
potere .  Non  ne  ritrasse  però  altro  flutto  che  di  as- 
sociare il  suo  nome  ad  alcune  sceleratezze  della 
moglie,  e  ben  presto  se  ne  mori.  Il  suo  fratello 
Lamberto  ,  divenuto  per  la  morte  di  Guido  ,  mar- 
chese di  Toscana ,  ambiva  lo  stesso  titolo ,  o  diso- 

(il) Liatpr.  Hist. lib.  3. 


"^ 


CAPITOLO   TERZO        343 

nore^  di  marito  di  Marozia.  Il  Re  d'Italia  geloso 
della  potenza  toscana ,  la  quale  vedeva  accrescersi  ^^  ^^ 
con  questo  matrimonio  di  Lamberto^  immaginò  per  9^^ 
ispogliarlo  dello  Stato  una  strana  favola  adattata 
aUMgnoranza  dei  tempi  (i^)*  Fece  spargere  che  né 
Lamberto^  né  il  morto  Guido,  né  la  sorella  Ernie- 
negarda  erano  figli  di  Adalberto ,  ma  stati  supposti 
da  Berta  •  In  un  caso  in  cui  si  ricercavano  le  prove 
le  più  delicate ,  Lamberto  non  ebbe  difficoltà  di  ap- 
pellarsi al  cosi  detto  giudizio  di  Dio,  e  di  provare 
r  autenticità  della  sua  nascita  colla  forza  delle  ar- 
mi :  accettò  volentieri  Ugone  la  disfida ,  e  gli  pose 
a  fronte  uno  dei  suoi  più  forti  combattenti  detto 
Teutino,  il  quale  però  fu  soccombente  :  tuttavia  lo 
adegnato ,  e  ingiusto  Ugone  sostituendo  la  prepo- 
tenza al  valore  ch'era  mancato  al  suo  campione, 
investi  del  Ducato  di  Toscana  il  proprio  fratello  Bo- 
sone  spogliandone  Lamberto  a.  cui  fece  cavar  gli 
occhi  (i3)  .  La  Bavara  linea  di  Bonifazio  restò  cosi 
esclusa  dal  dominio  della  Toscana  •  Sopravvisse  però 
a  questa  catastrofe  Lamberto  (i4)>  da  cui  fu  pro- 
pagata la  linea  in  Oberto ,  ed  indi  nelle  due  fami* 
glicd'Este,  e  di  Brunswich,  Spento  il  rivale,  non  93  ^ 
sdegnò  il  re  d' Italia ,  di  ambir  le  nosze  della  prò* 
stituta ,  e  già  attempata  Marozia ,  o  piuttosto  il  do- 
minio di  Roma;  si  portò  in  quella  città  ed  è  comu- 

(la)Liutpr.Hist.  lib.  3.  ,     ..«         ji 

(i3)  Qo«sto  avvenimento  ci  fa  ricordare  la  Cavola  d  Esopo  del 
Lapo»  e  dell'Agnello . 

(i4)  Adalberto  III  da  Leibniz,  e  da  Muratori  credesi  figlio  di 
Guidone  di  Marozia:  ma  raccuratissimo  Gibbon ,  portando  in  que- 
ste ricerche  il  più  ingegnoso  criterio,  mostra  cbe  tal  discendenza  è 
iaconcàiabile  coUa  cronologìa ,  onde  lo  crede  figlio  dì  Bonifazio , 
fratello  minore  di  Adalberto  II.  V.  Gibbons  Antiquities  of  the 
Bouse  of  Brunswick  • 


a44  LIBRO   SECONDO 

^  ne  fama  ^  che  la  sposasse .  Non  si  comprende  però 
jiG, come  non  fusse  dichiarato  Imperatore,  giacché  era 
9^^  figlio  di  Marozia  il  Papa  regnante  Giovanni  XI  nato 
com'era  fama  da  Papa  Sergio;  forse  credeudosdo 
sicuro^  indugiò  troppo  a  ricercar  quest'  onore  .  In- 
tanto il  SQO  orgoglio  rivoltò  la  nobiltà  romana  ,  e  i 
posterióri  avvenimenti  glielo  impedirono  .  Un  tri- 
viale accidente  di  famiglia  y  uno  schiaffa  dato  da 
Ugone  al  suo  figliastro  Alberigo^  fece  sollevare  i 
Romani  y  che  alla  testa  di  questo  corsero  per  espu- 
gnar la  mole  Adriana ,  ove  stavano  Marozia  e  il 
re  4' Italia,  mentre*  te  sue  milizie   erano  fuori  di 
Roma  (i5).  Si  fece  egli  calare  dalle  mura   del  Ca- 
stello, e  andò  a  trovar  le  sue  truppe;  ma  tentò*ÌD- 
vano  di  rientrare  in  Roma  :  fu  imprigionata  Muro- 
zia  ,  fu  disprezzato  il  Papa,  tutta  V  autorità  fu  con- 
ferita ad  Alb^rigt),  dichiarato    signore  di  Roma, 
che  seppe  resistere  allegarmi,  ed  alle  arti  di  Ugo- 
ne. Cacciato  da  Roma^  odioso  agV  Italiani,  pure 
ebbe  forza  di  respingere  il  Duca  di  Baviera  ,  che  in- 
vitato dai  Principi  secolari  ed  ecclesiastici  d' Italia 
avanzossi  fino  nella  valle  di  Trento  y  ove  battuta  la 
sua  vanguardia  credè  opportuno  il  retrocedere  •  Ma 
r  inquieto   Ugone  ,  avido  sempre  d' ingrandirsi , 
tolse  il  Ducato  di  Toscana  al  fratello  Bosone  pet* 
dàtlo  al  suo  figlio  Lotario,  che  già  a  vea  fatto  dichia- 
rare re  d' Italia.  Trovò  T  animo  del  popolo  assai 
disposto  a  questa  mutazione  :  la  moglie  di  Bosooe 
Willa,  era  cosi  avida  delle  altrui  ricchezze,  chele 
donne  di  Toscana  aveaao  abbandonati  tutti  i  loru 
preziosi  ornamenti  per  non  tentare  la  di  lei  crudele 

i' 

(i*»)  Frodcard  in  C/tron,  apud  Duchesne, 


r 


CAPITOLO  TERZO         »45 
avarizia.  Usando  Ugoqé  delle  sue  solite  arti,  fece" 
credere    di  puhhlic;o>  cbe  gli  toserò  dal  f<*^tello '^l^l 
tramate  delle  insidie  ;  né  cii^  è  ìoiprobabile ,  es^  9S3 
sendo  i  fratelli,  dello  stésso  carattere  .  Imprigiona  il 
maritOy  e  spqgliflndo  la.  moglie  (f6)  di  tutto  Torp, 
e  di  tutte  le>  gemme  colla/più  indecente,  yiolctn- 
za (17),  la  rimandò  in  Bprgogpa.. Investi  deLgo- 
veraodi  Tosc^mi  il  su^  figlio  naturale  Oherto.idi 
cnj  poco  parla  l!;istoria.  A  lui  auwre^^  IJgone,!chiàt 
maio  senza  ragióne  il  graud^.,  i?pn>e  dall'istoria  ri* 
serbalo  a  persone  clxe  si  sono  inalzata  aprala  sfera 
di  questo  sovrano  ^di  Toscftn»  ;  Poteva  .c^n  maggior 
precisione  esser  chiamato  gitt$to,,:e  pio,  giaiqidbè 
UMva  talora  nel  tempp  della  icacfia,  Q:di  ui^a.inahrr 
eia,  sloDtaparsi  à;A  suo  Seguito,  e  visitare  iscono^- 
sciuto  le  capanpe  dei'  suoiii-c^istici:  sudditij,   interro^ 
gargli  sol  goveitui;),  e  sul  jcaratt^re  del  loro  Sovrana, 
ed  ascollar  l^  rispojst^  jpion  maaqUm'Ate  dal  timore, 
0  dairadulazione;  % jvenerata  la  sua  memori^  dagli 
ecclesiastici,,  ai  qn^JifecjBtdei  ricpbi  doni*  La  Sadia 
di  Firenxe  è  uno  4ei  settej.inQnafiJtei^i  da  lui  (ba- 
dati, e  riccamente  dota  ti,,  oy^  scorgasi  la  sua  touv 
ba,  la  sua  fita|tu$,  od.pve  aont^o^e^ite  Qon\>om 
fredda  rettofi(;;^,d9cla(C|^zio^)e  si  c^e}>rano  le  siile 
lodi.  MaJicp  .^llfl:^a  miortjei.|pJjqea  mascolina(di 
Provenza,  e, gli  sqtìc^se.ufì  ^f  s^raneo ,  :  cioè  Tedal- 
do, avo  d^lja  ^elebr^  Contessali. Matilde  com^  vedre- 
010  in  appresa,  Infpl^to  ^Irc;  d'Italiia  Ugune^  con- 
servando il  sanguii)arìo  nfitoral^,  fece  uccidere  :il 


I  '   1  '  '    Iti 


(i*j)  Jnulier  jussa  est  vefstibus  exui:  quo  jacto ,  apparutt 
eam  cupiditate  gemmae  in  occultissimis  corporié  partihus  ahdi^ 
disse ,  Siff.  De  regno  ital.  -,      .    , 


-46  LIBRO   SECONDO 

Duca  di  Spoleti  Anscario  sul  sospetto^  p  pretesto  che 
di"G!gli  fossero  da  quello  tramate  delle  insidie:  volle 
^^3  ùlv  lo  stesso  al  di  lui  fratello  Marchese  d'Ivrea,  ma 
questi  scampò  per  la  pietà  di  Lotario  figlio  di  Tigo- 
ne ,  che  feee  segretamente  avvertirlo^  onde  si  salvò 
colla  fuga  in  Germania  *  La  frode^  e  la  crudeltà 
formavane  il  carattere  di  Ugone^  e  vi  si  univa  la 
più  sfrenata  dissolutesza  :  un  serraglio  di  concubine 
più  di  lusso,  che  d'uso  alla  sua  età  servivano  piut- 
tosto ad  irritare,  che  a  spegnere  gl'impotenti  desi- 
derj.  La  fama,  o  la  maldicenza  sparse  che  non  ri- 
spettasse nelle  dissolutezze  neppure  i  vincoli  pia 
sacri  di  parentela  :  ma  le  sue  iniquità  erano  giunte 
al  colmo:  cercavano  gì'  Italiani  alcuno  che  gli  libe- 
rasse da  un  tiranno  :  il  timore  però  faceva  che  lo 
cercavano  in  silenzio  •  Tutti  i  cuori  erano  rivolti 
verso  l'esule  Marchese  d' Ivrea  salvato  dal  figlio. 
11  suo  amico  Amedeo  venne  sconosciuto  in  Italia, 
ed  esponendosi  ai  più  grandi  pericoli,  gli  portò  gli 
«inanimi  voti  degli  Italiani.  Si  accostò  pertanto  al* 
l'Italia:  si  sollevò  questa  in  favore;  ed  essendo 
giunto  a  Milano,  rifinitisi  i  principi  ecclesiastici  e 
aeoolarì,  erano  ral  punto  di  dichiararlo  re  d'Ita- 
lia. Ugone,  vistosi  perduto,  tentò  T ultimo  col- 
po (id).  Il  figlio  Lotario,  suo  compagno  nel  regno, 
^m  un  aiùabile  glovihe  : 'ne  abbiam  notata  T  uma- 
nità nel  salvare  ad  onta  dèi  padre  K>  stesso  Beren- 
gario. Vedendo  Ugone  che  it  figlio  avea  l'afifezione 
^di  una  gran  parte  d' Italia ,  1q  fé'  presentarsi  al- 
l' assemblea  di  Milano ,  supplicando  che  se  il  pa- 
dre avea  demeritato  il  regno^  non  facessero  a  lui 

(i  8)  Lmtprand.  Hist  lib.  5. 


CAPITOLO   T;ERZ0        a47 
inoocente  il  torto  di  escluderlo^  che  era  Re  per' 

I        <■     •  Abbi 

loro  eledone  •  ^  q^ 

Fq  commossa  da  questi'  atto  la  Dieta  ,  e  Lotario  9^^ 
confermato  Be  piò  però  dì  tìtolo,  che  di  potenza , 
la  quale  restò  tutta  a  Berengario.  Sì  ritirò  Ugone 
ÌQ  Provenza  ove  mori  in  breve .  Lotario  dopo  aver 
regnato  qualche  anno  senza  biasimo,  e  senza  lode, 
0  morì  naturalmente,  o  di  veleno,  lo  che  se  fosse 
vero,  avrebbe  Berengario  mal  pagato  colui  che  gli 
avea  salvata  la  vita.  Questo  delitto  è  incerto,  ma  949 
la  persecuzione  contro  Adelaide  yedova  di  Lotario 
è  aoa  macchia  indelebile  ai  nuovi  re  d' Italia  , 
Berengario,  ed  Adelberto  suo  figlio.  In  mezzo  ad 
un  tedioso  ed  uniforme  racconto  di  tradimenti, 
di  stragi ,  di  rivoluzioni  ^  meritano  una  partico- 
lare attenzione  le  avventure  della  bella ,  e  sag- 
gia Adelaide  •  Era  essa  figlia  di  Ridolfo  II  re  di  9^» 
Borgogna; la  sua  figura,  e  le  sue  avvenenti  manie- 
re avevano  cattivato  il  cuore  del  figlio  di  Berenga- 
rio che  gli  offerse  la  mano;  ricusò  ella  dMmparen- 
tarsi  con  quelli  che  avean  minato  e  forse  fatto  mo- 
rire suo  marito,  irritati  dal  rifiuto  il  padre,  e  il 
figlio,  la  spogliarono  di  tutte  le  ricchezze,  e  la  rac- 
chÌQsero  in  una  rocca  sul  lago  di  Garda,  ove  la 
moglie  di  Berengario  Willa  giunse  a  maltrattarla 
fioo  eolie  percosse  (19).  Restò  colà  racchiusa  con 
una  serva  per  molto  tempo^  quando  un  prete  detto 
Martino,  fatta  un'apertura  nel  muro ,  o  una  mina 
^terranea  ^  di  là  la  trasse,  e  si  nascosero  tutti  tre 
i&  un  bosco  sul  lago  di  Garda  >  ove  sarebbero  morti 

.('9)  Quast'avTeatuni  è  coqUU  dalla  monapa  Rofvida  poetes* 
o  di  cpiel  secolo ,  dà  Odilone  Ab.  dì  Glagnl ,  Donizone  ec  r.  Aftf- 
f^*  Rerum.  HaL  Script. 


346  LIAEQ  SECONDO 

'  di  fame  senza  il  soccorso  di  uu  pescatore,  andò  in- 


^.(^  tanto  il  prete  a  svelare  il  segreto  al  Vescovo  di 
9^1  Reggia,  non  ardi  egli  di  darle  ricovero:  lo  ebbe  però 
da  Atto 9  o  kzzo,  ohe  la  raccolse  nella  fortissima 
rocca  di  Canossa..  La  reclamò  invano  Berengario* 
invano  formò  il  più  stretto  as^edip  della  fortezza , 
c\%e  per  essere  secondo  la  poca  esperiea^ea  di  quei 
tempi 9  inespugnabile,  fu  Tassodio  convertito  in 
blocco.  Tutto  però  fu  inutile:  venne  Ottone  pri- 
mo dalla  Germania,  e  liberatala,  arnmirandone  la 
viriù^e  la  bellezza ,  b  credè  degna  d'esser  sua  spo- 
sa .  Dopo  Carlo  Magno  y  non  era  comparso  sulla 
sjcena  d'Europa  im  Covrano  del  nierito  di  Ottone, 
e  clie  unisse  a  pardi  lui  la  saviezza,  e  il  valore  ; 
sedò  i  sediziosi  tumuli^  di  GerQpania>  ruppe  in  una 
gran  battaglia  pressa  A^ngust^  gli  ITngberi,  chesoor- 
*  ..  revano  sedta:  ostacoUi  là  Francia,  Tltidia,  e  la 
Qevmdnìa ,  commettendo  i  più  grandi  eccessi ,  e 
distrusse  intieràm^te  la  loroarmMa;.  mise  ordine 
alle  cose  d'Italia/ ne  fu  coronato,  re  e  imperatore; 
visitò  Bdpaa  piìiì valte.,ie  tentò,  di  iristabiitirvi  quel- 
lordine  ,  e  qtjella  quiete  che  lio  Clevòiisenza  disci- 
plinale un  pojWlo  non  osato  ad  obbedire  ne  ave- 
vamo sbandita.  Vi  trovò  però  i  prù^grandi  ostacoli; 
fo,^<>spirato  contro  di  lui:  si  salvò  correndo  alle 
ape.  truppe. alloggiate' fuok*  di(R9nui ,  e  nie  rattennè 
il;  furore,  quando  respinti  i  fioibaoi  correvano  a 
£airne  strage*  Padrone  di  se  stesso,  e  dèlia  am  tcol- 
lero  y  ne  impose  ai  turbolenti  Roibahi  j-e  fece  rJspet^ 
lare.il  sacerdozio, /e  T  impero.  Si  leggono  varj  éà* 
pienti  di  donazioni  fatte  da  lui  alla  Chiesa  romana: 
bantto  questi  ristesse  ecceiioni  d^gli'aiW.  Si  no- 
minano in  sì  fatte  donazioni  città,  clie  >nofi  appar- 


CAPITOLO  TERZO         :i49 

ieoevano  all'Iaij^ratore  (20)  .  Dopo  uà  Regno  glo-  , 
riosp  in  guerra.)  em  pace,  mori  Ottooe  ia^ìando  il  ai  e, 
suo  figlio  il  gH)VÌfi0  Otlone  11  Imperatore  ^  re  d'  Ita-  91^ 
Uà,  e  di  una  gira n  parta  deila  Germania.  Egli  non 
ayevja  ei^itato  ne  la  aaviezsu/i^è  il. valore^  né  la, 
cleixtenpui  dei  padce*  V/fqi^to  m  JtatijEi^  v^go  di  se* 
goalarsi  ne^le  laivvpii,  e  di  togliere  ilre^lo  d'Italia;ai 
Saraceni ;i  ^  fi^r^e  ai  Greci,  mos^e  le  sue  trappe: 
segui  uua  aangutDp;Sa  battaglia  ifk  Calabria  colla  peg« 
gio  d'Ottonye  (ai))  e  gr^^ndissima  strage  de'jsuoi, 
fra  i  quali  ijDSolti.  dei  principali  signori,  ed  Eccle- 
siastici tedescli^ ,  come  il.Yescovod'Augusta^  l'Abate 
di  Fulda ^  che  .maneggiavano  la  apada,e  il  piastora- 
le.  Era  Ottone  ii\  rischio  di  e^^r  pre/»o  dai  Sarace* 
ni:  fuggiva  vicifio,  al  Udo  del  maae:. scampò  for^ 
tanataroente.  .'^ccpltp  da  una  nave  gretcfi,  chf  fa- 
ceva vela  noiji  Iji^qgidaUf^  api^ggia^  a  cui  fe'centio^' 
ed  accostossi  spronando  il  cavallo  in  mare.  Egli 
p€;rò  s^  irj9ydiVJà.ìn  jpano^.di  t^n  pirato,  o  di  «m)  Hc^ 
niico,  da.  cui  j  d^pdeudoh)  cpUa  speranza  di  un 
ricino  riscatta j  g|i  i;eune  &tto  digitarsi  (a^)*  Ptie* 

r  f  •      •  -, 

.•       .  ■•      l.l      *      .       '■  '  '  •  ''  ' 

J  ' 

(20}  In  quettp  i;ipp;tato  dal  Cardiaal  JSaropio  vi  è  DOOiikKala 
fino  Venezia,  Vedi  Murai.  Aniu  d'UaL 

(Qi)Mtirtit.  AnVi.<lMtat 

(2? )  Un  soJdgkt  Schi^yone,  della  greca  na^i^e  il  ri^ockobbe  ;  Ot- 
tone promise  un  ri^chissjn^o  riscaito  al  Capitano  cniedendosU  la 
t»4rniissioti«  di  ^feÀ)té  u A  méèse  eìV  ImpevatHte  Teofanisf ,  ime  gl( 
maudei-ebbc  de)  ^a<:;chi  d!  ora.  per  dscatlarlo»  Ena  essa  nella  ^i^tii 
di  Rossano^  fu  sepó  scaltramente  concitato  il  piano  della  comme- 
dia. ^Ucrrcb^'-iom^arva  la  nate ,  usci  ^i  Ro^satio  una  quantità  é^ 
bestie  da  soma^rtcfite  di  saccbi^  c^  pare«aAo  pieni  di  moaela^ 
Stavano  in  alcune  barcnette.de'  bravi  soldati  vestiti  da  marinari» 
Si  i^eostò  alia  na^ife;  pfééa  ^eWoro  ;  'Véscovo  di  TWet*  ,  pìer  coni 
chiudere  il  contratto  •  Condotto  alla  proda  Ottone,  alla  vista  dei 
noi)  .fidandcfìi^kt  9«a  abilità  «al  n«bDl#»  sjpiccò  Vin  mIio  ^  taellt  ao» 
qua ,  e  un  Greco  che  i|Ì  frolle  -ritenere  per  I»  veste  ùx  malaiaèlilé 


dSo  LIBRO  SECONDO 

^  parava  nuove  forze  per  vendicar  rinsalto ,  che  avean 
diG.^ff<^rlo  le  sue  armi^  qoando  morì  in  Roma.  U 
97^  terzo  Ottone ,  che  successe  al  padre  neili  Meati  do- 
min),  fu  ancor  esso  assai  inferiore  all'avo^  e  poco 
migliore  di  suo  padre:  coronato  Imperatore  visitò 
più  volte  r Italia, e  Roma  che  era  sempre  imaiersa 
nelle  stesse  turbolenze  •  La  memoria  dell'  antiche 
imprese,  e  del  perduto  splendore  romano  senza  il 
valore ,  tenendo  inquieti  i  degeneri  descendentì,  gli 
spingeva  non  a  lodevoli  imprese ^  ma  a  sedizioni. 
Crescenzio  dotato  di  uno  spirito  torbido^  e  di  teme- 
rità più  che  di  coraggio,  eccitò  Roma^  e  l'Italia  a 
disfarsi  del  governo  d'estero  principe.  Queste  voci, 
che  non  fecero  impressione  alcuna  sugi' Italiani , 
produssero  il  loro  effetto  in  Roma ,  che  si  sollevò 
contro  r  Imperatore.  Corse  Ottone  a  domare  i  ri- 
belli: si  fortificarono  le  mura  di  Roma ,  ma,  vacil- 
lando i  Romani,  si  chiuse  Crescenzio  nella  mole 
Adriana.  Capitolò  finalmente:  Ottone,  che  Tavea 
assicurato  della  vita,  il  fece  decapitare;  sentì  poi 
rimorso  di  quella  mala  azione,  o  gli  fu  fatto  senti- 
re da  S.  Romualdo,  e  per  espiare  la  colpa  andò  in 
pellegrinaggio  a  piedi  nudi  al  Monte  Gargano^  cele- 
bre pel  santuario  di  S.  Michele.  Passò  anche  da 
penitente  una  quaresima  nel  monastero  di  Classe: 
mori  o  di  morte  naturale,  o  di  veleno  datogli  in 
vendetta  dalla  moglie  di  Crescenzio,  che  (si  dice) 
avea  avuto  l'imprudenza  di  scegliersi  per  aaiante: 
né  santo,  né  eroe  mori  in  tanto  odio  degl'  Italiani, 
che  il  cadavere  stesso  cha  si  trasportava  in  Aqui- 

ferìto.  GivBfe  saKo  ai  lido  lasciando  un  raro  esempio  di  an  Greeo 
burlato  da  un  Tedesco .  Marat  Aon.  d'Ilal^ 


; 


CAPITOLO   TEBZO        a5i 

^rana  era  insultato  dal  popolo  ovunque  passata^  e""™, 
la  truppa  armata  che  gli  serviva  di  scorta  fu  più  ^iq^ 
d'una  volta  assalita  (a3)«  Era  intanto  succeduto  !97^ 
Tedaldo  nel  governo  di  Toscana  ad  Ugone  detto 
il  grande 9  e  a  lui  Bonifazio  padre  della  Contessa 
Matilde.  A  questa  celebre  donna  come  Signora  di 
Toscana ,  e  come  una  delle  pia  potenti  attrici  del 
sanguinoso  contrasto  tra  il  sacerdozio  •  T impero, 
si  deve  dallo  storico  toscano  una  speciale  attenzio- 
ue.  Si  riguardava  Bonifazio  in  questi  tempi  il  più 
rispettabile  principe  d^ltalia:  signoreggiava  Manto- 
va, e  Ferrara  (a4);  divenne  indi  Marchese  di  To- 
scana: aveva  egli  due  fratelli  Tedaldo,  e  Corrado, 
il  primo  di  esemplar  castità  (26)  Vescovo  d'Arezzo, 
Taltro  valoroso  guerriero.  La  bravura  di  Corrado 
salvò  Bonifazio  in  un  fatto  di  arme  in  Lombardia  ; 
assalito  da  quei  popoli  combattendo  valorosamente, 
ed  avendo  colle  sue  mani  troncato  il  capo  ad  un 
MilJato  che  Tavea  ferocemente  appellato  a  batta- 
glia, era  tuttavia  vicino  a  soccombere.  Fu  soccorso 
«lai  suo  fratello  Corrado,  che  uscendo  dal  bosco 
itnprovisamente  co'suui,  attaccò  i  nemici,  ristabili 
la  pugna,  e  finalmente  gli  disfece:  fu  però  questa 

(a3)  Dìtmaro ,  lib.  4*  AnnalìsU  Sassone  ec 
(a4>  Mui-at  Antiquit.  Ital.  diss.  6. 
(aS)  Donìz.  cap.  5. 

Extat  cactus  ita  quod  quodam  tempore  quidam 
Perversi  vane  prò  quaaam  debilitate 
Hortabaniur  ewn  stttprum  committere  secum, 
Quod  praesul  tractans  jussit  deducere  partam 
Quippe  lupam  quandam ,  prius  ignem  ponere  mandans 
Ante  saum  stratum  :  videi  ignem  fhtmmij^^um 
Approprians  juxta  dumjlammas  sensit  abundans 
^  In  lacryjnis  clamat  ;  vae,  vae  mihi  si  modo  raram 
Flammiculam  vilemnequeo  sufferre ,  perire 
Si  me  contin^at  Barathrijìammam,  miser:  illam 
Quomodo  sufferre  poterò? 


252  LIBRO  SECONDO 


'vittoria  a  lui  fatale  aveodone  riportata  una  ferita/ 
di  c«  cb^  trascurata  dopo  molto  tempo ,  lo  coudoase  l<en- 
>o<^  tamente  alla  tomba.  Le  ricchezze  di  Bonifazio,  la 
aura  pompa  più  che  regia^  e.anluasodi  osteuta2ione 
furono  spiegati  nelle  sue  seconde  nózze  con  Beatri- 
ce figlia  di  Federigo  Doca  di  Lorena  dopo  la  morte 
I037  della  prima:  moglie  Riofailda  (96) .  Andò  egli  a 
prender  Beatrice'col  tretio  il  più  sontnosa*  I  cavaN 
li  se  crediamo  a  Donizone  (27)  erano  ferrati  di  ar- 
gento^ i  chiedi  non  ribattuti.  Condusse  la  sposa  in 
Lombardia:  secondo  Taso  di  quei  tempi  tenne  in 
Marego  per  tre  mesi  corte  bandita ,  ove  non  solo  i 
nobili  forestieri)  ma  ogni  sorte  di  popolo  solevano 
concorrere ,  e  tutti  erano  trattati  lautamente  :  i  buf- 
foni ,  i  mimi ,  i  giocolatori  con  volgari  e  grossolani 
spettacoli  y  con  plateali  buffonerie  adattate  alla  roz* 
zezaea  dei  tempi  erano  T  anima  di  questi  diverti- 
menti; r  oro,  e  r  argenta  adornavano*  le  tavole,  ove 
si  portavano  le  yiyànde  colle  bestie  da  soma:  si  tri- 
turavano, gli  aromi  qolle  macine  da  mulino,  e  vi 
erano  dei  pozzi  di  vino,  ove  con  secchi  di  argento 
ciascuno  poteva  dissetarsi.  Benché  sì  fatte  descri- 
zioni passano  credersi  esagerate,  convien  però  de- 
durne, che  la  magnificenza  di  quelle  nozze  avea 
sorpreso  T Italia:  più  terre,  e  castella,  forse  in  Lo- 
rena, forse  nel  Bresciano  furono  .portate  in  dote  al 
Marchese  di  Toscana  da  Beatrice'.  11  dono  ancora 
di  3oo  cavalli,  ed  altrettanti  astori  fatto  dal  suo 
Visconte,  0  Vicario  di  Mantova  Alberto  air  [mpe- 

ratore  Arrigo  quando  venne  in  Italia,  eccitarono 

»    .   ,  ■  '     , 

(a6)  Era  questa  figlia  dlGiselberto  Gontip  ^^^  Sacro  Palazzo  in 
Italia. 

(a^)  Cap.  9.  Vita  Matbil.  Doniz. 


\ 


CAPITOLO  TERZO  ^53 
r ammirazione  di  questo  Principe,  argomentando 
la  ricchezza  del  principale  da  quella  del  suo  Vica-  ^iq. 
rio  (28).  Può  far  meraviglia  la  ricchezza  straordi-  i^»? 
Daria  di  Bonifazio:  ma  olire  le  città ,  e  castella, 
ch'egli  possedeva  fuori  dì  questa  provincia,  si  era 
impossessato  di  moltissimi  beni  ecclesiastici  (39),  e 
di  altri  faceva  un  vile  mercimonio  conferendoli  per 
denari.  È  vero  che  ogn'anno  soleva  andare  al  cele- 
bre monastero  della  Pomposa  ,  e  far  ivi  solenne 
confessione,  e  penitenza  de' suoi  peccati  non  senza 
offrire  ricchi  donativi  a  quella  Chiesa  (3o),  sofiren- 
do  talora  pubblicaniente  la  disciplina,  con  cui  il  san- 
to Abate  Guido  lo  flagellava  davanti  all'altare  (3 r). 
Morì  di  morie  violenta  in  età  assai  avanzata .  Pas- 
sando per  un  bosco  fra  Mantova  e  Cremona  fu,  da 
un  traditore  nascoso,  ferito  con  un  dardo  avvelena- 
to: il  di  lui  corpo  è  sepolto  in  Mantova.  Restò  la 
vedova  Duchessa  Beatrice  con  tre  figli  cioè  Federi* 

(38)  Narra  Donizomc  che  T  Imperatore  Arrigo  ^  ayeiido  inyì? 
tato  a  pranzo  Alberto ,  questi  ricuso  per  rispetto ,  dicendo  di  qon 
aver  osato  giammai  sedere  alla  tavola  di  Bonifazio:  che  ottenutane 
poi  da  questo  la  permissione ,  e  ricevuto  in  dono  dall'  Imperatore 
molte  pelliccie,  tutti  questi  doni  presentò  al  suo  principale^  ed 
una  di  cervo  piena  di  denaro  per  farsi  perdonare  1  ardire ,  e  pla- 
carlo. Questi  latti  o  veri,  o  &lsi  son  atti  a  mostrare  i  costumi»  e  la 
maniera  di  pensare  di  quei  tempi.  Certamente  la  potenza  di  Boni- 
&ZÌO  aveva  dato  sempre  ombra  all' Imperatore  Arrigo  m  ;  e  nei 
tempi  addietro  essendo  andato  alk  sua  udienza  a  Mantova  ne  avea 
ordinato  l'arresto.  Bonifazio  però,  sospettando  della  fede  delllm- 
peratore  ,  vi  andò  con  una  forte  scorta  di  armati ,  i  quali  nell'  atto 
che  entrò  all'  udienza ,  vedendo  serrare  la  porta  la  forzarono ,  ed 
entrarono  dentro;  Bonifazio  fece  le  scuse  di  questo  fatto  all'Impe- 
ratore,  osservando^  che  erano  sempre  soliti  di  accompagnarlo. 

(99)  Marat.  Antiq.  ItaL  diss.  36. 

(3o)  Doniz. 

Fratres  ac  Ahhas  ejus  delieta  lavahant 
Ecclesme  quorum  solilo  dabat  optima  dona 
Rex  el^nim  nuUus  dedit  ibi  meliora, 

(3i)  Doniz. 


t54  LIBRO   SECONDO 

^^gO)  Beatrice^  e  Matilde,  ne' quali  coosolidaiidosi  il 
^*^' possesso  de'  vasti  domin]  paterni ,  ed  essendo  i  tigli 
1027  in  sua  custodia,  diveniva  una  persona  assai  impor« 
tante.  Il  matrimonio  di  questa  vedova  era  ambito 
dai  più  potenti  Signori .  Egli  è  perciò  che  occulta- 
mente ne  bramò  il  trattato  Goffredo  Duca  di  Lore- 
na; e  venuto  in  Italia  sposò  Beatrice,  e  stabili  (co- 
me fu  creduto)  nello  stesso  tempo  il  matrimonio 
di  suo  Aglio  Goffredo  il  gobbo  cotta  figliastra  Matil- 
de, allora  in  età  molto  tenera*  La  potenza  de' du- 
chi e  marchesi  di  Toscana  facea  da  qualche  tempo 
ombra  agl'Imperatori  avendo  quelli  più  volte  dato, 
io55  e  tolto  il  regno  d' Italia  :  non  è  da  maravigliarsi  se 
questo  matrimonio  trattato  con  mistero,  e  coocbiu- 
so  senza  sua  saputa,  dispiacesse  all'Imperatore  Ar- 
rigo che  vedeva  un  uomo  scaltro ,  ed  ardito  come 
Goffredo,  più  volte  suo  ribelle,  impossessarsi  di 
fatto  dei  dominj  del  morto  Bonifazio,  senza  la  sua 
approvazione . 

Essendo  pertanto  venuto  in  Italia,  trovandosi  in 
Mantova ,  non  ardì  Goffredo  di  presentarsi  a  lui  ; 
mandò  però  la  sua  moglie  Beatrice  a  Gir  le  scuse,  e 
prometter  fedeltà.  Ad  onta  del  salvacondotto,  fu 
essa  ritenuta  dall'Imperatore,  il  quale,  per  assicu- 
rarsi sempre  più  di  Goffredo,  tentò  con  tutte  le  arti 
di  avere  in  mano  il  piccolo  figlio  di  Beatrice  ;  che 
però  in  questo  tempo  essendo  morto,  e  poco  aranti 
la  sorella  Beatrice ,  tutta  la  speranza  di  questa  casa 
insieme  col  ricco  dominio  si  riunì  in  Matilde.  Passò 
l'Imperatore  in  Toscana,  e  si  abboccò  col  Pontefice 
Vittorio,  il  quale  celebrò  un  Concilio  in  Firenze. 
Si  era  intanto  Goffredo  ritirato  in  Lorena,  sdegnato 
coli' Imperatore,  il  quale  temendone  te  macchina- 


CAPITOLO  TERZO  a55 
zioni  e  rattiTità,  noD  tardò  a  tornare  in  Germania. 
Restò  Beatrice  in  arresto  fino  alla  di  lui  morte,  cheaTc 
avvenne  Tanno  seguente;  ed  essendo  per  opera  del  «o^s 
Papa  proclamato  re  di  Germania^  il  di  lui  figlio 
Arrigo  IV  ancor  fanciullo,  per  intercessione  del-iose 
ristesso  Pontefice  perdonò  ai  nemici  del  padre,  e 
fra  questi  a  Goflbedo,  e  messe  in  libertà  la  di  lui 
mogUe  Beatrice.  Strinse  Goffredo  amicizia  col  Pa- 
pa»  e  lo  invitò  a  Firenze^  ove  venuto  creò  Cardinale 
il  di  lui  fratello  Federigo,  monaco  cassinese,  col 
titolo  di  S.  Giovan  Crisostomo.  Mori  il  Pontefice 
Del  tempo  in  cui  si  era  portato  il  nuovo  Cardinale 
a  Roma  a  prender  possesso  della  sua  chiesa .  Fu  esso 
creato  Papa  col  nome  di  Stefano  IX  con  universale 
applauso,  ed  ecco  un  novello  accrescimento  di  po- 
tenza in  Italia  all'ambizioso  fratello  Goffredo.  Si  1057 
preparava  probabilmente  a  profittarne,  specialmente 
nella  minorità  del  nuovo  re  di  Germania  Arrigo  IV. 
Già  i  tesori  del  Santuario  del  Monte  Gassino  per 
ordine  del  Papa  erano  stati  portati  segretamente  a 
Roma  con  gran  reluttanza  de^ monaci;  ma  una  vi- 
sione narrata  alla  sua  credulità,  e  gli  scrupoli  nitti 
indi  nella  sua  coscienza,  gli  fecero  rimandare  in- 
dietro il  tesoro,  e  la  sua  morte  in  breve  avvenuta 
ruppe  i, vasti  disegni  del  fratello,  che  ambiva  al  re- 
gno d'Italia,  e  alb  corona  imperiale.  Dopo  varie 
vicende  essendo  ritornato  in  Lorena,  mori  lascian- 
do un  figlio  del  primo  matrimonio  chiamato  Gof- 
fredo, o  Gozzelone  il  gobbo,  che  o  innanzi,  o  in 
questo  tempo  sposò  V  unica  figlia  di  Bonifazio  e 
Beatrice ,  la  celebra  Contessa  Matilde  •  Pare  però  1 069 
che  il  di  lei  marito  avesse  poca  influenza  nel  go- 
y&ùo  degli  stati  della  moglie,  giacché  in  varie  oc* 


tt56  LIBRO  «ECONDO 

'^ca^Honi  troviamo  negli  atti  di  sovranità  esercitati  in 
jiC.  questo  tempo  in  Toscana,  ed  altrove  i  nomi  con- 
*«^  giunti  di  Beatrice,  é  Matilde,  piuttostochè  di  Gof- 
fredo .  Il  partito  ciie  questi  avea  preso' ia  favore 
dell'Imperatóre  nelle  già  insorte  controversie  tra  il 
Papa,  e  l'Imperatore,  non  lo  dovea  render  molto 
accetto  alla  moglie  uè  alla  suocera  drclriarate  parti- 
tanti  del  PonteBce .  £  dubbio  se  mai  fosse  consa- 
mato  il  matrimonio  tra  quei  due  con)ugi:  egli  è 
certo  che  dopo  non  molto  tempo  perde  Matilde  il 
marito,  e  la  madre.  Fu  quello  Ucciso  in  un  assai 
stravagante  maniera  (3:i).  Quest'avvedimento  ebbe 
luogo  nel  febbrajo,  o  nell'aprile.  Gessò  di  vivere 
nella  città  di  Pisa  la  contessa  Beatrice,  donna  or- 
nata di  molte  virtù  morali,  religiosa,  e  prudente, 
di  cui  vedesi  ancora  Tuma  sepolcrale  nel  Campo 
3anto,  ove  erano  già  i  barbari  versi 

Quamvispeccatrìx,  sum  Domna  uocata  Beatrix 
In  tumulo  missajac^o  quae  conUtissa  (33): 

Resa  padrona  di  se  stessa  Matilde,  signora  di  ric- 
chi, e  possenti  dominj  in  Toscana  ed  altrove,  si 
rese  sommamente  celebre  per  Tattaccamento  alla 
S.  Sede,  e  in  specie  a  Gregorio  VII  nelle  tumultuo- 
se, e  sanguinose  questioni,  che  in  questi  tempi  agi- 
tavano la  Chiesa  e  l'Impero.  La  sua  religiosa  pietà 
dovea  certamente  inclinarla  al  partito  della  Chiesa: 
è  da  notarsi  però  che  vi  era  unito  anche  il  suo  in- 
teresse .  Secondo  le  leggi  dì  quei  tempi,  gli  stati  di 

(3  a)  Nel  tempo  che  si  trovava  al  li^ogo  comune ,  che  dovea 
aver  comuDÌcazione  colla  pubblica  strada ,  ud  traditore  gli  scagliò 
un  dardo  di  basso  in  alto»  da  coi  trafitto  in  breve  se  ne  mori.  Mur. 
Ann.  d*  Ital. 

(33)  y,  Morrona,  Pisa  illustrata  ec« 


OAPITOLO  TERZO        aS? 

Bonifazio  suo  padre  non  passavano  alle  femmine/ 
e  per  esser  posseduti  anche  dai  maschi  era  Decessa-  ^q 
rio  un  atto  dell'Imperatore ^  o  del  re  d'Italia .  Ma-  1069 
tilde^  priva  di  questi  diritti^  avea  tutto  da  temere 
dalla  parte  dell'Imperatore;  ella  fu  pertanto  uno 
dei  più  fermi  appoggi  di  Gregorio  VII.  che  arrogan- 
dosi la  facoltà  di  dare^  e  di  togliere  i  regni  ^  risve- 
gliò una  disputa  che  divise  per  luogo  tempo  scan. 
dalosameute  il  mondo  cristiano,  e  che  sovente  pro- 
dusse le  scene  le  più  sanguinose.  Se  quella  preten- 
sione in  qualche  tempo  ha  soverchiamente  accre- 
sciuta l'autorità  dei  Pontefici,  ha  poi  sommamente 
contribuito  a  diminuirla,  mettendo  in  guardia  i  So- 
vrani contro  Roma.  Può  dirsi  che  il  contrasto  co-  ,q  3 
minciasse  coU'elezione  di  Gregorio  VII.  al  pontifi- 
cato .  Si  era  già  segnalato  da  gran  tempo  nel  soste- 
nere le  pretensioni  di  Roma:  promosse  colla  sua 
autorità,  ed  eloquenza  la  bolla  di  Stefano  IX.  in  cui 
si  pretende  di  esentare  gli  ecclesiastici  dal  Foro 
secolare,  e  si  vieta  che  s'impongano  su  di  loro  gra- 
vezze di  alcuna  sorte  dai  laici.  Era  ^tato  il  più  va- 
lido sostenitore  dell' asserzione ,  che  uè  l'Impera- 
tore^ né  altri  sovrani  hanno   dritto  di  approvare 
l'elezione  dei  Papié  Si  scorge  anche  nel  suo  carat- 
tere una  certa  imperiosa  durezza  nell' opporsi  alle 
determinazioni  del  santo  Abate  Desiderio  del  Monte 
Gasino,  perchè  avea  messo  in  penitenza  il  giovine 
Abate  deirisola  di  Tremiti,  che  avea  fatto  cavar  gli 
occhj  a  quattro  religiosi  sul  solo  sospetto  di  ribel- 
lione. Questo  dotto,  pio,  ma  feroce  Cardinale,  es- 
sendo eletto  Papa  con  nome  di  Gregorio  VII.  contro 
ciò  che  avea  sostenuto,  richiese  l'approvazione  di 
Arrigo  ;  e  se  fosse  vero  ciò  che  racconta  il  cardinale 


26o  LIBRO  SECONDO 


^Germania,  credè  opportuno  il  Pontefice  di  porsi  in 
dì  G.  sicuro  (36)^  e  si  chiuse  con  Matilde  nella  fortissima 
> 07^  rocca  di  Canossa.  Vi  comparve  in  atto  di  suppli- 
chevole Arrigo.  Non  coudescese  a  vederlo  T  altiero 
pontefice;  che  alli?  replicate  premure  di  Matilde, 
alle  umili  preghiere  della  Marchesa  di  Susa  Adelai- 
de suocera  di  Arrigo,  del  di  lei  figlio,  e  di  molti 
altri  principi  e  prelati  che  gP intercessero  perdono; 
ma  avanti  di  riceverlo  esigè  da  lui  la  più  abietta 
umiliazione.  Era  Canossa  circondata  da  un  triplice 
recinto  di  mura:  fu  nel  mese  di  gennajo  per  tre 
giorni  tenuto  Arrigo  nel  secondo  recinto  dalla  mat- 
tala fino  alla  sera,  spogliato  delle  insegne  reali  in 
abielte  vesti ,  e  a  piedi  nudi  in  tempo  di  un  atro- 
cissimo inverno,  e  costretto  a  digiunare  per  Tistes- 
so  tempo:  fu  indi  ricevuto  dal  Papa^  a  cui  promise 
tutto  ciò  che  volle.  Lo  assolvè  quegli  dalla  scomu- 
nica, ma  non  lo  ristabili  nel  regno  coll'autorità, 
che  si  era  arrogato  per  deporlo,  lasciando  ora  alla 
Dieta  quella  decisione  ,  che  non  aveva  aspettato 
avanti  .  Questo  straordinario  avvenimento  eccitò 
r indignazione  di  quasi  tutti  i  principi  italiani  con^ 
tro  Gregorio,  e  contro  Arrigo;  accusandosi  il  primo 
di  crudeltà,  ed  orgoglio,  il  secondo  di  viltà,  e  bas- 
sezza ,  a  segno  di  chiudersi  a  questo  disgraziato  So- 
vraqo  le  porte  delle  città  in  faccia  •  Alfine  potè  più 
l'universale  compassione  che  il  disprezzo.  Animato 
dai  numerosi  partitanti,  Arrigo  riprese  le  insegne 
reali,  negò  di  presentarsi  alia  Dieta  dì  Germania: 
nella  quale  considerandosi  Arrigo  come  deposto,  fu 

(36)  Vedi  per  tutti  questi  atti  umilianCt  di  Arrigo  Lamber. 
Scarafurgien.  Chron.  Card,  de  Arag.  Vita  Gregor.  Doniz.  Vita 
Mnthild.  ce. 


CAPITOLO  TERZO  261 
creato  nuovo  re  Ridolfo  Duca  di  Svevia .  Dispiacque 
a  Gregorio  ^  che  avea  con  tanta  facilità  deposto  Ar-  di  e. 
rigo,  questa  elezione  senza  il  di  lui  consiglio;  e  si  >97^ 
espresse y  che  (37)  a  luì  era  riserbato  il  decidere/m 
chi,  se  a  Ridolfo,  o  ad  Arrigo  spettasse  la  corona 
di  Germania*  Dalle  terre  della  Contessa  Matilde  in  1079 
Lombardia ,  ove  avea  dimorato  finora,  tornò  a  Ro« 
ma,  e  tenne  un  concilio,  in  cui  fu  determinato  di 
spedir  delegati  in  Germania  a  prender  cognizione 
di  questi  affari .  Intanto  essendo  Arrigo  tornato  in 
Germania,  adunato  un  piccolo  esercito,  incominciò 
le  ostilità  contro  il  suo  rivale:  si  combattè  per  lo 
spazio  di  circa  due  anni  e  colle  armi,  e  colle  caba- 
le, e  furono  più  volte  i  due  Re  e  vinti,  e  vincitori. 
Essendo  però  rimaso  superiore  Ridolfo,  in  un  san- 
gtdnoso  fatto  di  arme  avvenuto  di  gennajo,  ne  spe* 
di  le  nuove  al  Pontefice  insieme  con  nuovi  lamenti 
contro  Arrigo.  Determinato  dalla  vittoria,  il  Papa 
dichiarò  Ridolfo  re  di  Germania  mandandogli  la 
corona  di  oro,  o v'era  scritto  quel  celebre  verso 

Petra  dedit  Petro,  Petrus  Diadema  Hodulpho* 

Rinnovò  le  scomuniche  contro  Arrigo,  condannane 
dolo  in  virtù  di  esse  ad  esser  sempre  perdente  nel- 
le battaglie  (38).  Secondo  1^ asserzione  di  Sigiberto 
predisse  il  Pontefice  anche  la  morte  di  Arrigo.  Certo 
è  che  egli  ne  profetizzò  la  ruina  (Sq):  ma  la  sorte 

(37)Lib.  4*£p*  a3,  a4>  aS. 

(38)  Cosi  si  esprime  »  Ipse  autem  Uenricus  cum  suisfautch 
ribus  in  ornai  congressione  belli  nullas  vires,  nullamgue  in  vita 
fua  victorìam  ohtineat  ec. 

(39)  Gregofé  yn.  Epist.  detta  lìb.  8.  »  Nefandorum  perturba  • 
tionem  r^erita  ruina  cito  sedandam,  et  Sanctae  Ecclesiae  pacem, 
ef  securitatem  (sicut,  et  de  divina  Clementia  conjidentes  promit- 
timus)  proxime  stabiliendam.  V.  Barooìo,  e  Fleurj. 


a6a  LIBRO    SECONDO 

"  smentì  tutti  i  presagi .  Arrigo  fu  vincitore ,  e  il  suo 


drcl^'ivale  ucciso  in  una  gran  battaglia  in  Germania. 

>o:9 Sconcertò  questo  caso  gli  affari  del  Pontefice,  il 
quale  (  giacché  gli  uomini  giudicano  sempre  dagli 
eveiki)  fu  altamente  condannato.  Non  andavaoo 
meglio  le  cose  in  Italia,  ove  si  accrebbe  il  partito 
di  Arrigo .  Avea  la  Contessa  Matilde  adunate  delle 
poderose  forze  per  opporsi  ai  di  lui  fautori,  ma  ve- 
nuti alle  mani  i  due  eserciti  nel  Mantovano,  quello 
di  Matilde  restò  interamente  sconfitto  (4ò)- 

In  grande  imbarazzo  posero  queste  vittorie  il 
Pontefice,  e  Matilde;  e  già  il  vincitore  Arrigo  avi- 
do di  vendetta  era  penetrato  in  Italia  ;  gli  stati  di 
Matilde  doveano  soffrire  i  primi  questa  burrasca: 
abbiamo  appunto  dai  fiorentini  storici,  cbe  Firenze 

loSi  fu  strettamente  assediata  (40  da  Arrigo,  ma  valo- 
rosamente resistendo  da  aprile  fino  al  ai  di  luglio, 
fu  finalmente  costretto  quel  Re  a  ritirarsi  :  sì  avviò 
verso  Roma,  cui  parimente  strìnse  di  assedio.  Ma- 
tilde si  trovò  addosso  tutto  il  partito  che  avea  Arri- 
go in  Lombardia,  e  a  lei  si  ribellò  Lucca,  che  forse 
era  allora  la  principal  città  di  Toscana.  Finì  Tas- 
sodio di  Roma,  come  quello  di  Firenze:  Taria  io- 
salubre  della  campagna  romana  combattè  contro  di 
Arrigo  più  che  Tarmi  de' Romani  (42):  risvegliata- 
si una  funesta  epidemia  nel  suo  esercito  fu  costret- 

iodato  a  partirne.  Era  naturale,  che  ritornato  in  To- 
scana e  in  Lombardia  ,  occupasse  le  terre  della  prin- 
cipale alleata,  e  fautrice  del  Papa:  ella  però,  la- 


(4o)  Card,  de  Arag.  Yit.   Gregor.  Bertold.  Costa ntìen.  in 
Chi*oi]. 

(4i)  Gio.  Villa,  lib.  4«  cap.  a3.  Aram.  lib.  1. 
(43)  Card,  de  Aragon.  Vita  Gregor.  VII. 


CAPITOLO  TERZO  a63 
aeiandolo  padrone  dei  luoghi  aperti^  si  ritirò  alle  "= 
sue  fortezze,  delle  quali  molte  erano  insuperabili  ^iq] 
dalla  rozza  arte  della  guerra  di  quei  tempi;  mante*  ^^^^ 
Dendo8Ì  amica  del  Papa  y  lo  soccorse  anche  più  voi* 
te  in  denari.  Arrigo,  dopo  varj  tentativi  inutili, 
entrò  alla  fine  pacificamente  in  Roma  due  anni  1084 
dopo  questa  spedizione,  essendogli  dal  popolo  aperte 
le  porte,  refugiato  Gregorio  nella  Mole  Adriana  (43). 
Fece  consacrare  un  altro  Papa ,  che  si  chiamò  Cle* 
mente  III ,  il  quale  gli  diede  solennemente  la  co- 
rona imperiale  :  ma  alla  nuava,  che  il  celebre  Duca 
Roberto  Guiscardo  con  poderoso  esercito  veniva  a 
liberar  il  Papa^  si  ritirò  Arrigo,  e  venne  a  Siena* 
Intanto ,  Roberto  o  per  forza,  o  per  tradimento  en- 
trò in  Roma,  ed  il  suo  indisciplinato  esercito  com* 
posto  di  Normanni ,  e  Saraceni  messe  il  fuoco  in 
varie  parti  della  città,  le  dette  il  sacco  (44) >  diso-* 
Dorò  le  donne,  fece  schiavi  molti  Romani,  e  liberò 
il  Papa^  il  quale  dopo  sì  orribile  avvenimento,  non 
si  credendo  sicuro  in  Roma  ,  si  ritirò  sotto  gli  au^ 
spicj  di  Roberto  a  Salerno,  ove  presto  fini  di  vive- 
re. Illibato  nei  costumi,  rigido  nella  disciplina,  e 
dotato  di  molte  virtù  ecclesiastiche,  si  conta  con 
ragione  tra  i  più  distinti  soggetti,  che  abbiano  oc- 
cupato il  soglio  pontificio:  ma  essendo  stato  il  pri- 
mo ad  arrogarsi  dei  diritti,  che  la  ragione  fredda 
conosce  per  abusivi,  e  che  tutta  T illuminata  po- 
sterità ha  condannati,  avendo  egli  risvegliata  una 
guerra  fra  il  sacerdozio,  e  Timpero,  che  ha  durato 


(43)  jànnaleSf  Saxon.  apud  Echard.  Cardin,  de  Arag,  Vita 
Grcg.  VII. 

(44)  Bertold.  Costantiensis  in  Chron.   Landul.  Senior.  Hist. 
mediol.  lib.  4* 


d64  LIBRO   SECONDO 

.  tanto  tempo,  ed  è  stata  tanto  spesso  fetale  ai  due 
di  e.  partiti  y  non  ba  ricevuto  dalla  saggia  posterità  un'in. 
*^^^  liera  approvazione.  Egli  agi  sempre  però  di  bnona 
fede:  il  suo  zelo  fu  indiscreto,  ma  dettato  dalla  per- 
suasione de' suoi  diritti;  e  fu  nell'errore,  piuttosto 
che  nella  colpa.  Dovea  intanto  Matilde  resistere  al- 
le armi  di  Arrigo.  Devastava  il  suo  esercito  le  terre 
di  quella  Signora,  che  non  avea  forze  bastanti  da 
fargli  fronte.  Era  assediato  Castel  di  Sorbara.  Es- 
sendo avvisata  la  Contessa,  che  quelle  genti  stava- 
no alTessedio  colla  maggior  negligenza,  vi  spedi 
chetamente  la  sua  piccola  armata ,  che  sorprenden- 
do nella  notte  gli  assediami,  gli  ruppe,  e  disperse 
facendone  molti  prigioni .  Seguitò  sempre  questa 
Principessa  l'amicizia  dei  romani  pontefici,  ed  alla 
partenza  di  Arrigo  d'Italia  questo  partito  ebbe  un 
po' di  respiro.  Una  donna  si  celebre,  e  padrona 
lossdi  tanti  stati,  come  Matilde,  era  ambita  in  ma- 
trimonio da  moltissimi  principi  di  Europa. Fra  gli 
altri  ne  avea  richiesto  le  nozze  Roberto  figlio  del 
celebre  Guglielmo  Duca  di  Normandia,  detto  il  Con- 
quistatore  dalla  conquista  fatta  in  seguito  del  regno 
d'Inghilterra:  ma  colla  mediazione  di  Papa  Urba- 
no II.  passò  Matilde  ad  un  nuovo  matrimonio  con 
Guelfo  V.  Principe  valoroso,  figlio  di  Guelfo  IV.  duca 
di  Baviera.  Non  erano  essi  del  partito  di  Arrigo, 
onde  con  questo  matrimonio  si  fortificava  quello 
def  Papa.  Irritato  da  tal  matrimonio  Arrigo,  dopo 
aver  devastate  le  terre  (4^)9  ^^b^  P^i*  eredità  della 
madre  Matilde  possedeva  in  Lorena  ,  tornò  in  Ita- 
lia .  Si  ritirarono  i  due  conjugi  ai  loro  luoghi  forti. 

(45)Doniz.yaaMathìI. 


CAPITOLO   TERZO         a65 

Arrigo  intanto  espugnò  Mantova;  ma  ae  egli  era  il 
piò  delle  volte  superiore  ai  suoi  nemici  nelle  armi^^^  q] 
\o  vìncevano  essi  neir  artifizio.  Venne  fatto  a  Ma-  »o8S 
Ulde^  ed  a  Guelfo  di  eccitare  discordia  tra  Arrigo, 
e  il  suo  figlio  Corrado,  e  colla  speranza  della  corona 
d'Italia  indurlo  a  ribellarsi  dal  padre  (46).  N'ebbe  109) 
questi  alcun  sentore,  e  lo  fece  arrestare,  ma  fuggito 
di  prigione ,  e  ricoverato  nella  corte  della  Contessa, 
fu  da  lei  inviato  al  Pontefice,  cbe  lo  assolvè  dalla 
scomunica  ;  e  riuniti  in  suo  favore  moltissimi  prin- 
cipi italiani,  fu  creato  re  d'Italia,  e  n'ebbe  dal- 
l'Arcivescovo di  Milano  la  corona  (47) •  Feri  questo 
colpo  Arrigo  nel  più  vivo  del  cuore  •  Si  dice  cbe  se 
non  fosse  stato  trattenuto  da' suoi ,  si  sarebbe  dato 
la  morte.  Né  qui  si  arrestò  l'artificiosa  Matilde:  per 
fargli  gustare  nuove  amarezze  maneggiò  segreta- 
mente la  fuga  de^la  di  lui  moglie  Adelaide,  h  qua- 
le scappata  col  di  lei  mezzo  dalla  prigione  ov'era 
racchiusa  in  Verona,  andò  a  trovar  la  Contessa  (48); 
che  l'accolse,  e  trattò  splendidamente^  e  l'istigò  a 
presentarsi  al  Concilio  di  Piacenza ,  ove  interven- 
nero ooo  Vescovi ,  e  più  di  3o  mila  laici .  In  si 
numerosa  udienza  espose  Adelaide  i  torti  sofferti; 
che  non  mancarono  in  un  luogo  si  solenne,  davanti 
al  Pontefice  di  esser  pienamente  creduti,  quand'an- 
che fossero  stati  esagerati.  Venne  incontro  al  Pon- 1095 


(46)  Le  dicerìe  inventate  per  denigrare  Arrigo  furono  le  piii 
strane.  Si  disse  tra  l'altre  calunnie ,  che  Arrigo,  avendo  omessa 
prigione  la  moglie  Adelaide,  permise  a  molti  di  usarle  violenza  : 
fra  questi  volle  costringere  il  nglio  a  far  lo  stesso ,  il  quale  recusan- 
do  fa  preso  in  odio  dal  padre  ec.  L'invenzione,  e  la  credulità  son 
degne  di  quei  tempi. 

(47)  Landulph.  Sen.  Hist.  medio!. 
(4S)  Doniz.  Vita  Mathìld.  Ann.  Saxon. 


:i66  LIBRO  SECONDO 

7  tefice  il  nuovo  re  d^  Italia  Corrado ,  che  gli  teQoe 


j^^^  la  staffa  :  gli  promise  quello  anche  la  corona  impe* 

^ogS  rìale^  esigendo  però  che  renunsiasse  al  dritto  delle 

investiture  ecclesiastiche  ,  che  era  stato  il  prindpal 

punto  di  discordia  tra  il  Pontefice  e  il  di  lui  padre 

Arrigo . 

La  scaltra  Matilde^  o  per  freddezza  di  tempera- 
mento ,  o  per  ambizione  non  portata  alle  dolcezze 
conjugali,  avea  contratto  con  Guelfo  un  matrimonio 
soltanto  di  apparenza  •  Si  è  già  veduto ,  che  anche 
il  primo  marito  probabilmente  non  lo  era  stato 
che  di  nome  y  forse  non  fu  difficile  a  Guelfo  il  sog- 
gettarsi  a  questa  legge ,  non  essendo  né  le  bellezze  ^ 
né  Tetà  (49)  di  Matilde  tali  da  irgliela  parer  gra- 
vosa. Era  stato  questo  un  matrimonio  politico,  ove 
ambedue  i  conjugi  credettero  trovare  il  loro  conto. 
Colla  parentela  ,  e  cogli  ajuti  del  Duca  di  Baviera 
si  era  Matilde  munita  contro  di  Arrigo  di  un  valido 
appoggio  :  Guelfo  dall'  altra  parte,  oltre  le  vedute 
di  dominare  sullo  spirito-  e  perciò  sugli  stati  della 
consorte,  avea  la  speranza  di  ereditarli,  giacché 
pare,  che  tra  le  condizioni  matrimoniali  vi  fosse 
la  reversione  di  essi  al  marito  (5o)  alla  morte  di 
Matilde.  Ma  egli  restò  altamente  deluso:  avea  Ma- 
tilde fino  dall'anno  1077  fatta  un.a  segreta  dona- 
zione di  tutti  i  suoi  stati  alla  sede  pontificia;  né 
per  altra  parte  una  donna  contraria  alle  dolcezze 
conjugali^  è  atta  a  ricever  la  legge  dal  marito .  Forse 
ebbe  per  lui  qualche  riguardo  finché  il  timore  di 

(49)  Quando  si  maritò  a  Guelfo  era  nel  suo  anno  44  •  P^^"  ^ 
bellezza  nìooo  dentanti  saoi  panegiristi  ne  fa  menzione  •  Qu^^ 
silenzio  sopra  una  donna  è  decisivo . 

(50)  U  Muratori  sostiene  con  molto  criterio  questa  condizio- 
ne, V.  Annal.  d'Iul.  Ann.  1089»  e  9S. 


CAPITOLO  TERZO  aC; 
Arrigo  la  obbligò  a  star  seco  unita;  ma  cessato  il 
pericolo  per  la  perdita  del  potere  di  Arrigo^  diven-  ^"^| 
oe  a  Matilde  gravoso  un  inutile  sposo:  ed  egli^  sco-  >o9^ 
perla  la  donazione  ^  si  accorse  di  essere  stato  burlato. 
Dae  siffatte  persone  non  potevano  più  vivere  insie- 
me con  un  decente  risjpetto;  si  fece  pertanto  il  divor- 
zio^ asserendosi  dal  marito  che  il  matrimonio  non 
era  stato  mai  consumato ,  e  non  coutradicendolo 
Matilde  (5i).  Il  padre  di  Guelfo^  uditane  la  nuova 
corse  per  impedirlo;  ma  il  trovarsi  subito  d'accordo 
col  figlio^  lo  sdegno  concorde  di  ambedue,  che  gli 
fece  passare  al  languente  partito  di  Arrigo  ,  chiara- 
mente mostrano  come  si  erano  trovati  delusi .  In- 
tanto il  disgraziato  Arrigo  ritiratosi  in  Germania , 
per  vendicarsi  del  Gglio  ribelle ,  ne  fece  eleggere 
re  il  secondogenito  Arrigo,  ed  ebbe  il  dispiacere  di  »>o4 
veder  ancor  questo  sedotto  da'  suoi  nemici ,  che 
facendo  giuocare  Tarme  potente  della  religione,  e 
consigliandolo  a  staccarsi  da  un  padre  scomunica- 
to, lo  indussero  a  ribellarsi.  Una  Dieta  germanica 
gli  die  quella  corona  :  il  disgraziato  padre  non 
sopravvisse  a  questo  colpo:  morì  in  Liegi  dopo  1106 
cinquantasei  anni  di  età,  passati  fino  dalla  sua 
infanzia  tra  le  tempeste  civili,  e  i  tumulti  di  guer- 
ra ;  Principe  a  cui  non  si  può  negare  il  guerriero 
valore,  ma  questo  pregio  servì  ad  accrescerne  l'in- 
dole dispotica;  né  i  costumi  de' suoi  tempi  erano 
atti  a  sminuirla.  Ebbe  la  disgrazia  di  avere  un 
terribil  rivale  nel  Poutefice  Gregorio  VIJ.  Si  fecero 

(5i)  JVelpho  a  conjugio  D.  Mathildis  se  penitus  sequestra' 
vii,  asserens  illam  a  se  omnino  immunem  permancisse  :  quod  ipsa 
in  perpetuum  reticuisset  si  non  ipse  prior  inconsiderate  puhli' 
casseU  Bertold.  in  Chron. 


a68  LIBRO  SECONDO 

.una  guerra  mortale^  quello  coir  armi  temporali^ 
ai Q, questo  colle  spirituali^  in  cui  Arrigo  fu  spesso  soc- 
7106  combente.  Ambedue  però  furono  le  vittime  della 
loro  animosità.  Morì  Gregorio  quasi  esule  da  Roma 
che  si  era  veduta  saccheggiar  sotto  gli  occhj  •  L'odio, 
ed  il  partito  però  eccitato  da  lui  contro  di  Arrigo  lo 
perseguitò  fino  alla  tomba,  ove  cadde  dopo  aver 
sorbito  il  calice  il  più  amaro .  Fra  i  contrasti  di 
questi  due  rivali ,  Matilde  0  più  destra,  0  più  fortu- 
nata ,  conservò  i  suoi  stati,  e  la  sua  potenza  :  soprav- 
visse  loro  lungamente,  ed  ebbe  la  maggior  parte 
della  gloria  di  aver  minata  almeno  in  Italia  la 
fazione  di  Arrigo.  Questo  disgraziato  padre  era  da 
qualche  tempo  stato  già  vendicato  dalla  stessa  Ma- 
tilde della  ribellione  di  Corrado,  il  quale  non  avea 
goduto  molto  tempo  il  frutto  de' suoi  delitti.  Quan* 
tunque  egli  venga  celebrato  dagli  storici  di  quel 
tempo ,  e  dagli  ecclesiastici  stessi  per  giovane  il  più 
virtuoso  paragonato  ad  un  angelo (5 a),  non  conser- 
vò la  grazia  di  Matilde,  la  quale  volendo  dominare 
come  Regina  non  poteva  amare  un  re  d'Italia;  lo 
rispettò  finché  servi  ai  suoi  disegni  :  cessato  il  timore 
del  padre  di  lui,'  scemò  anche  il  rispetto.  Egli  si 
vide  rapire  da  questa  donna  ambiziosa  anche  le  più 
leggiere  prerogative  della  corona  italiana:  si  ritirò 
pieno  di  disgusti  in  Firenze,  ove  in  breve  finì  i  suoi 
giorni.  Che  egli  morisse  di  veleno  che  gli  fosse  fatto 
dare  da  Matilde  son  cose,  che  la  malvagità  di  quei 
tempi  potè  far  sospettare,  ma  non  dimostrare  (53). 


(5a)Uspergìen. 

(53)  Cum  pert^nisset  Florentiam  rex  ipse  prudens ,  et 
piens,  et  decorusfacie  (prah  dolor  ! }  adoUscenSp  accepta  poi 


CAPITOLO  TERZO  269 

li  suo  fratello  iotanto  alla  corona  di  Germania  bra- 
maya  unir  quella  d' Italia  insieme  coli'  imperiale  ;di°c! 
venne  come  gli  altri  re  di  Germania  con  un  potente  ^^^ 
esercito  in  quest^infelice  paese,  che  per  la  sua  ferti* 
litày  e  ricchezza  ha  attratto  sempre  l'avidità  degli 
stranieri^  e  per  la  sua  divisione  in  tante  piccole  po- 
tenze d'interesse  diverso,  e  perciò  mal  concordi,  ' 
non  ha  formato  mai  una  forza  uniforme,  e  compat- 
ta da  poter  resistere  alle  invasioni.  Il  viaggio  di  Ar- 
rigo in  Italia  segnò  una  traccia  di  desolazione  (54)  ; 
passò  per  la  Toscana ,  e  giunse  in  Arezzo, «  trovando 
questa  città  divisa  in  dcTe  partiti  pel  ridicolo  moti- 
vo, qual  luogo  duvea  esser  la  aede  della  cattedrale, 
non  acquietandosi  immediatamente  alla  sua  decisio- 
ne, ruinò  una  gran  parte  della  città  (55).  Matilde 
che  dava  ombra  a  tutti  i  re  d' Italia ,  e  a  cui  tutti 
i  re  d'Italia  davano  del  sospetto,  si  ritirò  al  di  lui 
passaggio  nella  fortezza  di  Canossa,  mandando  a 
complimentarlo:  ma  il  tumulto  più  fiero  avvenne 
in  Roma,  ove  dopo  essere  stato  Arrigo  amorevol- 
mente accolto  dal  Pontefice,  dopo  essersi  scambie- 
volmente abbracciati  e  baciati ,  un  momento  do- 
po, quando  si  volle  farlo  renunziare  alla  collazione 
dei  benefizj  ecclesiastici ,  pria  di  dargli  la  corona 
imperiale,  rifiutando  esso  di  farlo ,  nacque  tumul- 
to; fu  arrestato  il  Pontefice  dai  Tedeschi,  indi  si 
venne  alle  mani  tra  gì'  Imperiali  e  i  Romani, e  do- 
po varie  zaffe  si  partì  da  Roma  Arrigo  conducendo 


ne  ab  Jyiano  Medico  M^thi(dis  Comitissae,  vitamjinwit,  Lan- 
dollos  bis.  M ediolan. 

(54)  Pandulphus  Pise^us  in  vita  Pasch,  passò  l' Italia  fpre- 
mendo  sangue ,  ed  oro. 

(55)  Otto  Frisingeosii  Gfaron.  lib.  7. 


ft70        LIBRO    SECONDO 
'seco  il  prigioniero  pontefice  (56),  il  quale  final 


di  €.  lu^i^^^  cedendo  le  sue  pretensioni ,  fu  riposto  in 
»m  libertà^  e  coronò  Imperatore  Arrigo  V^  benché 
dopo  protestasse 9  che  questo  era  un  atto,  a  cui 
Favea  condotto  la  violenza .  La  fama  della  Contessa 
Matilde  avea  eccitato  un'  altra  curiosità  neir  Impe- 
ratore :  non  volendo  ella  nel  tempo  in  cui  V  Italia 
era  a  discrezione  dell'esercito  imperiale  muoversi 
dai  suoi  luoghi  forti  di  Lombardia,  volle  Arrigo 
&rle  l'onore  di  andarla  a  visitare  nella  fortezza  di 
Bibbianello  sul  Reggiano,  ove  accolto  da  Matilde 
con  regia  splendidezza  si  trattenne  tre  giorni; e  sic- 
come ella  tra  le  altre  lingue  parlava  la  tedesca,  coq- 
versò  seco  senza  interpetre,  ed  altamente  sorpre- 
so della  di  lei  saviezza ,  non  solo  la  confermò  iu 
tutti  quelli  stati,  de' quali  si  poteva  supporre,  che 
il  legittimo  possesso  avesse  bisogno  di  un'imperiale 
approvazione;  ma  avendola  riguardata  con  filiale 
rispetto,  chiamata  col  nome  di  madre,  la  dichiarò 
ancora  Vice-Grerente ,  o  Vice.Regina  di  Lombar- 
dia (57).  Mantenne  essa,  tra  tutte  le  tempeste  che 
agitarono  l'Italia,  un'influenza  preponderante  iu 
essa  fino  alla  morte,  un  anno  avanti  la  quale  ebbe 
ancora  il  contento  di  recuperare  la  città  di  Mao* 
iii5  tova  a  lei  ribellata  fino  dall'anno  1090.  Finalmente 
terminò  una  vita  piena  di  agitazione,  e  di  Igloria. 
Principessa  pia,  saggia,  ed  accorta,  le  si  perdonano 
facilmente  la  simulazione,  e  l'artifizio,  che,  vizj 
ne' privali,  si  eclissano  davanti  allo  splendore  del- 

(56)  Usperge.  in  Chron.  OUo  Frisingen.  Pandolph.  Pisao.  in 
Vita  Pasch. 

(57)  Cui  Liguri  regni  regimert  dedii  in  viceregis,  nomìM 
quam  matris  verbis  claris  vooitavit  ec.  Doniz.  Vita  MalhiL 


CAPITOLO  TERZO.  aji 

la  gloria ,  che  acquistano  i  saccessi  pubblici ,  ed 
importanti I  in  qualunque  maniera  ottenuti.  Se  ba-^i^^ 
stasse  l'asserzione  di  uno  scrittore  assai  lontano  da  i>iS 
quest'età^  si  potrebbe  anche  lodare  come  fautrice 
delle  lettere  (58).  La  sua  memoria  è  stata  onorata 
dai  posteri,  specialmente  da  quelli,  ai  quali  ella 
fece  sì  larghi  doni .  Roma  erede  de'  di  lei  stati,  ne 
ba  celebrato  sempre  la  virtù,  ne  ha  voluto  posse- 
dere gli  onorati  resti,  ai  quali  è  stato  nel  XVII 
secolo  (59)  eretto  un  magnifico  Mausoleo  nel  più 
maestoso  dei  tempj. 

(SS)  Benven.  da  Imola  Comm.  di  Dante  • 
(!h)  Urbano  Vili,  le  fece  erigere  un  Maoiolco  nuettOBO  in 
S.  Pietro. 


271        LIBRO    SECONDO 
CAPITOLO    IV. 

SOMMARIO 

Riflessioni  sulle  vicende ,  gli  usi  e  i  costumi  dei  secoli  ^scorsi. 
Giudi*]  di  Dio.  Duelli.  Tregua  di  Dio.SUUo  dM  Ualim  nel 
Mille .  Cavalieri'erranH  •  Fine  del  Governo  feudale  • 

JLIalla  ruina  dell'  Impero  di  Occidente  fino  alla 
Anni  fine  del  regno  della  Gintessa  Matilde  abbiamo  8Co^ 
^ì  ^'  80  circa  a  sei  secoli  di  disgrazie  per  X  Italia:  i  Goti, 
i  Longobardi,  i  Franchi  erano  poco  dissimili  nei- 
r ignoranza,  e  nella  barbarie,  e  trattavano  i  vinti 
popoli  come  gli  armenti.  La  luttuosa  storia  di 
questi  tempi  non  ci  offre  che  una  scena  di  desola- 
zione. E  come  sul  principio  di  questo  libro  abbiamo 
notato,  che  per  asserzione  di  un  grand' ìstorico  (i) 
non  vi  è  stato  tempo  in  cui  una  porzione  più  gran- 
de del  genere  umano  sia  vissuta  più  felice,  quanto 
dopo  lo  stabilimento  dell'Impero  romano  per  circa 
un  secolo  i  così  un  altro  storico  egualmente  cele- 
bre (3)  ha  asserito  j  che  se  si  cercasse  il  periodo^  io 
cui  una  gran  parte  degli  uomini  sia  stata  più  op- 
pressa e  più  infelice,  si  troverebbe  alla  ruina  del- 
r Impero  romano  d'Occidente,  e  dopo  quell'epoca. 
Nei  tempi  di  civilizzazione ,  per  quanto  crudele  e 
atroce  sia  la  guerra,  vi  son  tuttavia  certi  limiti,  io 
cui  la  ferocia  delle  nazioni  ingentilite  dalla  cultura 
si  arresta.  Gli  Unni,  i  Vandali,  i  Goti,  i  Longo- 
bardi non  ebbero  alcun  freno  :  nelle  loro  invasiooi^ 
non  risparmiavano  né  sesso^  né  età,  né  rango;  e 

(1)  Gibbon . 

O)  Robertfon.  introd.  alla  YiU  di  Garb  V. 


.CAPITOLO    QUARTO       t^S 
chi  resisteva,  e  chi   non  resisteva  era  nella  prima  .^ 
furia  dell' iacDrsioDe  tagliato  a  pezzi;  le  città  sac-  diC. 
cheggiate,  indi  poste  a  fuoco,  gli  abitanti  condotti  '*'' 
schiari  (3),  le  campagne  distrutte,   percliè  i  noiìse- 
rabili  che  si  eran  salvati  nei  luoghi  alpestri  peris- 
sero dalla  fame:  intiere  provincie  furono  convertite 
in  deserti,  e  nazioni  esterminate.  Molte  provincie 
dell'Impero  romano,  qnali  più,  quali  meno  soflfer-  ' 
aero  qaesto  flagello,  che  era  seguitato  dalla  pesti-' 
lenza,  e  dalla  fame  (4):  alcune  se   ne   risentono 
ancora  .  La  costa  dell'Afirica  sul  Mediterraneo ,  ce- 
lebro per  le  3oo  popolate  città  al  tempo  dei  Roma- 
ni, fu  neir.iiiTasione  dei  Vandali  ridotta  un  de- 
serto   arenoso  come  lo  è  ancora:  la  Tracia,  i 


(3)  Rei  sacco  dalo  ■  Roma  d*  Genierìco  poco  tnoatuii  la  ririoa 
deU'Impero,  e  4S  aoDi  dopo  quello  di  Alttrico,  era  sempre  questa 
tJVk  piena  dei  primi  patrìzj ,  e  pili  opulenti  :  udb  gran  parte  di  e»- 
s)|  priva  di  tiiUi  i  loro  beni,  fu  condotta  in  &ch>avitii  in  AlTrica, 
coslretta  a  morire  di  stento  su  quelle  rive .  Hientc  di  ciò  clieavea 
l'ipparenia,  e  il  colore  d'oro,  e  di  argento  Tu  risparmiato  dai 
Vandah  :  le  staue  di  metallo  furono  fuse  ,  e  Gpo  il  celebre  letto  di  i 
metallo  doralo,  die  copriva  il  Campidoglio,  la  dnr»tura  del  quale, 
a  ad  tempio  tntto ,  era  costata  5  milioni  di  zecchini  ec.  Donati ,  ' 
Sonui  anliijua .  ,  •  , 

(4)  Si  consulti  Robertson  (Hisl.  di  Car!o  V.  introd.  nota  S) 
ove  si  Tedranno  le  triste  |a'o ve  della  nostra  asserzione.  Anche  il 
Murai.  Ant  ital.  difvert.  31  ,  ed  ivi  Paolo  Diacono  che  nell'iova- 
sioue  de'  Longobardi  dice;  non  erat  tane  virlui  Homa/iis  ut  resi- 
tiat postettt , quia  et  peslilenlia  plurimos  in  Li^iirin,  ef  Vene- 
Ha  extìnXBral,et  famei  nimia  ingruens  universum  Itiitiam  deva- 
f'abaf.  La  peate  più  terribile,  1" 
■lei  gei 

<t  "gli  u. 


esista  mcmorin 

negli  annali 

o'543,  si  spars 

per  tutto  il 

li.edi^tni^eci 

ca  alla  meli 

Sannidaunad.'ll^  più  orri- 

do di  Milano,  eh 

ne  fu  sppt- 

mo  i  propri  ligi 

.  Procopio  , 

sce  ,  c/.e  nel  «,lo  Piceno  m>.. 

;  nel  len  itorio  d 

nimini  due 

,rono  V7  non.lni 

uccidendcli 

ev;.noaqL.e1lac 

sa. 

% 


d74  LIBRO  SECONDO 

.delle  più  coUivate  provincie  romane, ebbe  la  stessa 
^[\>^ sorte.  L'Italia  abbiamo  veduto  quanto  spesso  soffri 
fti4  r incursioni  di  questi  barbari.  Dai  suo  florido  sla- 
to, che  al  tempo  della  romana  potenza  Tavea  resa 
il  più  cullo,  e  più  popolato  paese,  era  caduta  nella 
più  gran    miseria  ,  e  presentava   lo  spettacolo  di 
città  ruiua te,  o  abbruciate  ;  il  suolo  era  ricoperto 
da  salvatiche  piante:  le  ftere  moltiplicate  abita vauo 
^      pacificamente  negli  avanzi  ruinosi  :  le  acque  dei 
fiumi  non  regolate  inondavano^  stagnando^  vaste 
estensioni  di  terrìtorj  (5),  onde  iufettavasi  Taria; 
dal  quale  male  continuato  fino  ai  nostri  tempi  non 
SODO  gmirile  ancora  alcune  campagne,  e  in  specie 
•/  le  romane,  che  erano  una  volta  si  rìdenti^  e  sì  po- 

polate (6) .  L'  asserzione  di  Papa  Gelasio,  che  in 
Italia,  e  in  Toscana  la  specie  umana  era  quasi  an- 
nichilata, bencbè  possa  credersi  esagerata,  è  espres- 
siva della  desolazione  di  quei  tempi  ;  né  diverse 
dalle  sue  sono  le  parole  di  un  illustre  pontefice  del 
secolo  successivo  (7).  Le  ripetute  scorrerie  di  tante 
barbare  genti,  e  che  una  succedeva  alT  altra,  pri- 
ma che  i  disgraziati  abitatori  cominciassero  a  respi- 
rare, doveano  realmente  condur  T  Italia  a  questo 
slato.  Cominciarl^no  finalmnte  questi  Barbari  a  sta- 
bilirsi: prima  i  Coti,  indi  i  Longobardi  vennero  con 
tutte  le  loro  famiglie  preudendo  possesso  del  terri^ 

(5)  Marat,  antiq.  Ital.  diss:  3 1 . 

(6)  Baron.  Ann.  i^g6,  Gelas.  epìst.  ad  Andronicum. 

(7)  S.  Greg.  Mag.  lib.  3 ,  cap.  38,  dialog,  cosi  si  esprìme:  Mox 
effera  Ijongobardorum  gens  in  nostram  cervicem  grassaia  est  ..« 
depopulutae  urbes ,  emersa  castra,  concrematae  Ecclesiae,  de- 
strada  monasteria  virorum ,  acfoeminarum ,  desolata  praedia, 
atque  ah  omni  cultura  destituta  in  solitudine  vacai  terra,  nullus 
kanc  possessor  habitat ,  occuparunt  bestiae  loca  quae  prius  mul- 
titudo  hominum  tenebat . 


CAPITOLO  QUARTO  ajS 
torio,  ed  usandone  come  proprio  (8),  ponendo  in 
•cbiavilò  gli  abitatori,  Taceudogli  lavorare  come ser*  diC. 
vi,  ed  appena  dando  loro  il  necessario  alimento,  >*^^ 
Abbiamo  già  veduto  cos'era  il  governo  feudale,  e 
quanto  grave  ai  popoli,  che,  oltre  l'orribile  oppres- 
sione, erano  sonimamenle  avviliti.  Quando  noi  vo- 
gliamo (dice  uno  di  questi  Barbari)  Jare  il  pia 
vergognoso  nome  ad  un  nemico  lo  chiamiamo  ro- 
mano (9).  Cosi  la  sorte  per  una  strana  vicenda  ven- 
dicava questi  popoli  del  disprezzo,  in  cui  erano 
stali  tenuti  un  giorno  dai  Romani.  La  vita  di  quel- 
rinfelici  era  valutata  meno  delie  bestie  da  soma,  e 
nel  vergognoso  codice  penale  di  quei  tempi  trovasi 
la  vita  di  uomo  valutata  meno  di  un  falcone  ,  o  di 
un  cavalla  da  battaglia:  i  costumi  erano  i  più  fero- 
ci: s'incontrano  ad  ogni  passo  neiristorìa  Sovrani, 
Papi,  Ecclesiastici  regolari,  e  secolari,  avvelenati, 
strozzati,. scannati;  e  quello  che  piò  rivolta  un  ani- 
mo ingentilito  dall'educazione^ si  è  l'osservare  l'in- 
differenza, con  cui  siffatte  azioni  erano  accolte,  ed 
anche  talora  applaudite  dalle  piìj  religiose  persone . 
Si  potrebbe  fare  una  lunga  iì^la  di  assassioj,  vene- 
ficj  ec;  un  solo  fatto  darà  idea  del  resto.  L'Impe- 

(8)  Qaalclie  volta  ùoti  tutto  il  terreno  era  occupato:  sotto 
Odoacrelas<^  tena  parte .  ^  Parev.a  strano  e<l  ingiusto  al  pastor 
di  Mantova  (e  lo  era  certamente)  cìie  uifu  piccolissima  porzione  di 
terreno  italiano   fosso   conceduto    ai  veterani   soldati   di  Roma 

(Virg.EcLL) 

»  O  lÀcida  f  vivi  pervenimiis ,  aduena  no  tris 
»  Quoà  nunquantveriti  sumus ,  ni  possessor  agelli 
»  Diceret  :  haec  mea  sunt ,  veleres  migrate  eoloni  • 
Eppure  era  quello  un  piccolissimo  male  in  paragone  di  questi . 

(9)  In  hoc  solo ,  Cdest  Romani  nomine  «  quidquid  ignobiliia- 
tis,  auidquid  timiditatis,  q^ddquid  avaritiae,  quidqaid  iuxuriae , 
quiaquid  mendacii  %  imo  quiaquid  vitiorwn  est  comprehenden- 
fe^  •  Lintppndii  legatio  apud  Murat.  Script,  rerum  ital.  voi.  a« 
pan.  a.  ^ 


276  LIBRO   SECONDO 


<v 


=  ratore  di  oriente  Maurizio  è  dasli  scrittori  cootem- 
di  C.  poranei  descrìtto  come  savio ^  e  buono;  i'  usurpator 
iii5  Poca  gli  fé' svenare  ad  uno  ad  uno  sotto  degli  occhi 
i  figli 9  il  fratello:  il  disgraziato  padre,  nel  tempo 
ili  questa  tragedia  altro  non  fece  che  proferir  parole 
di  pazienza,  e  di  rassegnazione  ai  voleri  del  Cie- 
lo (io).  Eppure  (chi  lo  crederebbe?)  un  rispetta- 
bilissimo Pontefice,  Gregorio  Papa,  si  rallegra  della 
ruina  di  Maurizio  (i  i),  e  chiama  felicissimi  i  tempi 
del  regno  di  Foca .  Né  il  carattere  delle  persone 
consecrate  a  Dio  ne  ammansiva  la  fierezza.  I  Ve- 
scovi, gli  Abati  esercitavano  il  niestiero  delle  armi, 
atto  a  nutrire  quel  sanguinario  carattere ,  che  avean 
portato  dal  secolo:  si  trovano  più  volte  e  i  Patriar- 
chi d'Aquileia,  e  i  Vèicovi  di  Colonia  e  di  Augu- 
sta, egli  Abati  di  Fulda,  e  cento  altri  alla  lesta 
dell'  esercito  maneggiar  meglio  la  spada ,  che  il 
pastorale  :  onde  non  fanno  meraviglia  le  atroci  azio- 
ni dei  medesimi  anche  in  tempo  di  pace.  I  Ponte- 
fici stessi  diedero  talora  l'esempio  della  profana 
zione  dei  mister)  i  piò  augusti.  Una  questione  poco 
intelligibile  ad  i  non  iniziati  alla  teologia  suU'  uni- 
ta, o  duplice  volontà  in  Gesù  Cristo,  avea  formato 
una  divisione y  ed  eccitato  dei  muovimenti  nel  po- 
polo, che  si  riscalda  anche  più  forte  per  ciò  ch'ei 
non  intende:  l'Imperatore  Costante  avea  saggia- 
mente proibite  le  dispute  sulla  combattuta  opiuio- 
ne.  Non  solo  questo  saggio  decreto  fu  fulminato  di 

(  I  o)  Esclamò  sempre  :  justus  es  Domine ,  et  rectum  judicium 
tuum.  Murat.  Antud'Ital. 

(1 1)  Egli  inalza  le  mani  al  Cielo  parlando  alla  moglie  di  Foca: 
Quod  tam  dura  longi  temporis  pondera  cert^icibus  nostris  amata 
sunl.  Ed  a  Foca  stesso  :  Quiescàt  Jeliclssimis  temporibus  vestris 
universa  Rcspub.  etc. 


CAPITOLO    QUARTO       377 

amatemi  da  Martino  I,  ma  il  Pontefice  Teodoro  por-  ^"^ 
tatosi  al  sepolcro  di  S.  Pietro,  versò  alcune  gocciole  ^^^ 
dal  calice  consacrato  nel  calamajo,  indi  scrìsse  con  mS 
questo  sacro  inchiostro  la  condanna  dei  Monoteliti^ 
ossia  degli  assertori  di  una  sola  volontà  (la).  Una 
grande  profanazione  con  maggior  ferocia  spiegò  Ste- 
fano VI  contro  Formoso  suo  antecessore,  pontefice 
assai  riputato.  Avea  la  disgrazia  di  essere  stato  in 
quei  tempi  di  fazione  della  setta  nemica  di  Stefano. 
Era  egli  morto,  e  riposavano  in  pace  i  suoi  resti  :. 
Ste&no  volle  sfogar  la  sua  rabbia  contro  il  cadavere^ 
Sotto  il  pretesto  del  troppo  comune,  e  ormai  tolle* 
rato  abuso  di  esser  passato  da  un  vescovado  all'  al- 
tro, fece  dissotterrare  il  cadavere;  e  con  ridicola  fun- 
zione pubblicamente  degradatolo,  il  fé'  gettare  nel 
Tevere,  dichiarando  nulle  tutte  T ecclesiastiche  or« 
dinazioni  da  esso  fatte  (i3).  Indi  a  non  molto  que* 
sto  stesso  feroce  Pontefice  fu  posto  in  prigione,  ed 
ivi  strangolato.  Sarebbe  troppo  lungo  il  far  qui  la 
serie  dei  Papi  degli  Antipapi,  che  si  son  fatti  la 
guerra,  e  scambievolmente  trucidati  («4)*  ^^  ^^ 
decente  istorico  amerà  di  macchiar  la  sua  penna 
colle  sceleratezze  di  cui  le  prostitute  Teodora,  e 


(13}  Murai.  Ann.  d'Ital. 

(i3)  Non  si  può  a  meno  di  non  esclamaref  : 
....  Tantae  ne  animis  caelestibus  ime  ? 

(i4}Francone^  Cardinal  Diacono ,  fa  strangolare  Benedetto 
TI  e  si  far  elegger  Papa:  è  cacciato,  e  fngge  in  Costantinopoli  dopo 
spogliata  la  Basilica  Vaticana;  tornato  a  Roma,  ove  era  stato  elet- 
to GioTanni  XIV,  lo  imprigionò,  e  il  fe'morire  di  ferro ,  o  velano . 
Benedetto  IX  venuto  in  odio  dei  Romani  oer  la  disonestà ,  i  la- 
dronecci ,  gli  assassini,  n'  è  cacciato,  ed  è  éictto  Silvestro  IH;  do- 
po tre  mesi  però  ritorna  Benedetto,  cacciato  Silvestro,  e  poi  vende 
il  Pontificalo  a  Gregorio  VI.  Gli  scandali  della  Chiesa  di  questi 
tempi  sono  a  lungo  contati  da  Herman.  Contra.  Leone  Ostiense 
Papa  Vict.  3 ,  dialogo  3 ,  ee. 


«7»  LIBRO    SECONDO 

5  Marozia  infamarono  Roma,  e  il  Vaticano ,  e  crearono 


^"°*  Papi,  il   merito  principale  de' quali  era  la  bellez- 
iiiS  fla  (fS),  ovvero  trasmisero  quasi  per  eredità  ai  loro 
dissoluti  descendenti  quell'augusta  carica  (t6).  Ne 
la  religiosa  solitudine  degli  eremi  era  abitata  dalla 
tranquillità^  e  dalla   virtù.  Frequentemente  vi  si 
trovano  non  solo  gli  intrighi  del  secolo,  ma  vi  suc- 
cedono le  stesse  sanguinose  tragedie  ;  onde  si  scorge, 
che  colle  spoglie  secolari  non  si  abbandonavano  dai 
regolari  i  feroci  costumi  del  secolo  (17),  né  convie- 
ne maravigliarsene,  I  Re  vendevano  i  vescovadi,  e 
Tabbazzie,  o  le  davano  in  commenda  a  prii>cipi,  e 
principesse:  si  vedevano  j>ertanto  adorni  del  pasto- 
rale.giovinetti  di  fresca  età,  che  ignoravano  anche 
i  primi  articoli  della  fede  (18).  La  castità  prescritta 
dai  canoni  era  poco  conciliabile  con  quell'età  e  con 
qtiei  costumi.  La  scandalosa  vita  dei  vescovi ,  e  dei 

(i5)  Lmtprantio  racconta  che  Marozia,  invaghita  di  Giovan- 
ni, il  fece  prima  Vescovo  di  Bologna,  poi  di  Ravenna,  indi  Papa 
«Gio vanni  X  che  in  seguito  cacciato  prigione  dal  partito  opposto 
di  strapazzi,  e  dolore  se  ne  mori 

(16)  Ottaviano  fìglio  di  Alberigo,  e  nipote  di  Marozia  si  fece 
elegger  Papa  di  anni  18 >  e  convertì  in  un  postribolo  il  Vaticano. 

07)  Diamone  an  saggio.  Ralfredo  Abate  di  Farfa  è  avvele- 
nato da  due  monaci  Campone,  e  Ildebrando  :  si  disputarono  qne- 
sti  due  scellerati  in  seguito  col  denaro ,  e  colla  forza  il  dominio  di 
quella  Abbazia,  e  di  altre  da  quella  dependenti .  Ildebrando ,  gua- 
dagnati col  denaro  i  Marchesi,  ne  caccia  Campone:  questi  offre  pia 
danaro  agli  stessi,  e  ne  caccia  Ildebrando. Tampone  restò  padrone 
del  campo  di  battaglia  :  ebbe  varj  figli ,  e  figlie  che  dotò  co' denari 
del  Monastero.  Alberigo  Signor  di  Roma  caccio  colla  forza  Cam- 
pone, e  vi  mandò  un  esemplarisslmo  Aliate,  Dagoberto  ,  ma  i  Mo- 
naci, che  non  volevano  riforme  !o  av^'eleuarono.  Dal  figlio  di  Al- 
berigo fu  mandato  uncltro  Abate,  Adamo,  che  accusato  di  stupro 
comprò  la  salvezza  a  caro  prezzo  di  oro,  ritratto  dai  beni  dclPAb- 
bazzìa  venduti.  Questo  non  h  che  un  piccolo  saggio  dei  fatti  che  si 
potrebbero  addurre,  tratti  non  da  scrittori  nemici  di  Roma,  ma 
d;ii  più  santi,  ed  aftwcrati  alla  fede ,  come  Muratori,  ed  altri . 

(i  ^)  \,  Ottone  Vescovo  di  Vercelli ,  de  pressuris  EccUsiae. 
• 


CAPITOLO    QUARTO      279 


ODI 


parochi ,  che  non  arrossivano  di  mantenere  pub-  ^ 
blicamente  delle  donne  prostituite ^  fu  quasi  neces- j"^' 
sariamente  tollerata,  giacché  quando  sì  volle  porvi  >i>^ 
qualche  freno  si  risvegliarono  delle  contese  capaci 
di  agitare  tutto  il  corpo  ecclesiastico  (19). 

Le  leggi  con  cui  araniinistravasi  la  giustizia  era- 
no conformi  alla  barbarie  dei  tempi  ;  prima  del 
re  Rotarì  si  è  veduto  che  la  consuetudine,  o  piut- 
tosto il  capriccio  dei  giudici,  senza  leggi  scritte, 
decideva  della  vita ,  e  delle  sostanze  dei  popoli  : 
egli  cominciò  a  stabilire  questa  incerta  legislazio- 
ne, adunando  in  un  Codice  le  vaghe  leggi ,  e  for- 
mando almeno  una  base  stabile  su  cui  si  regolasse-» 
roi  giudizj:  queste  leggi  però  septivano  la  barbara 
ignoranza  dei  secoli.  Erano  già  in  uso  le  decisioni^ 
tanto  abusivamente  chiamate  Giudizj  di  Dioy  per- 
chè la  barbara  presunzione  faceva  credere  che  Id- 
dio sospenderebbe  T  ordine  della  natura  ad  ogni  lor 
cenno  facendo  un  miracolo  •  Le  prove  si  facevano 
in  varie  guise,  neir acqua  fredda,  immergendovi 
l'accasato,  e  sperando  che  se  era  reo,  galleggereb- 
be ,  ricusando  l'acqua  di  riceverlo  nel  suo  seno  ;  e 
ciascun  vede^  che  i  maggiori  scellerati  erano  sicuri 
di  salvarsi  (20).  Più  pericolose  erano  T  immersione 
d'nua  mano  nell'acqua  bollente,  il  passeggiare  sa 
i  vomeri  infuocati,  o  il  passare  a  traverso  le  Barn- 
ine:  tuttavia  si  trovano  eseguite  pia  volte  queste 
pericolose  prove  con  felicità  in  faccia  del  pubblico. 

{ì^)  Landutfus  senior ,  ArnolphiiS  Rerum  Itale.  ^ii;.4*  ^^ 
rat.  Ann.  d'Iul.  loSg. 

(ao)  La  gravità  specifica  del  corpo  umano,  è  maggiore  dì 
quella  deU' acqua,  la  differenza  però  ò  piccolissima,  onde  si  son 
trorati  degli  uomini,  che  galleggiavano  naturalmente  su  di  t8$ti,i 
na  si  contano  ftssai  di  rado ,  come  il  celebre  prete  napoletano  . 


i8a  LIBRO   SECONDO 

^  Non  è  difficile  che  l' ingegno  umano^  stimolato  dalla 
dì  G.  <)^c^^si^^  ^  in  SI  importanti  occasioni^  trovasse  dà 
11 15  segreti  per  soffrire  il  fuoco:  fu  fama  che  i  sacerdoti 
di  Apollo^  e  nel  monte  Soratte  i  popoli  Hirpini,  pas- 
seggiassero su  i  carboni  ardenti  impunemente  (ai). 
Il  saggio  Varrone  ci  spiega  il  fenomeno  (a^);  e  se 
ai  dì  nostri  fosse  di  tanta  importanza  quanto  negli 
antichi  un  siffatto  esperimento^  son  sicuro  che  gli 
ingegnosi  fisici  avrebbero  fatta  questa  scoperta,  co- 
me se  n'è  veduto  dei  saggi  (33).  A  prove  cosi  strane 

(ai)  PIÌQ.lib.  8.  Super  ambustam  Ugni  struem  ambulantes 
non  aduri  dicebantur .  Tedi  anche  Virg.  Aeneid.  1 1.  ver.  ^85.  la 
preghiera  di  Arunte .  ^ 

»  Summe  Deum ,  et  Sancii  cusios  Soractis  Apollo, 
y>  Quem  primi  colimus ,  cui  pineus  ardor  acervo 
»  Pasci  tur ,  et  medi}im  tfreti  pietate  per  ignem 
»  Cultores  multa  premimus  vestigia  pruna  ec. 
(aa)  Vedi  Varrone  citato  da  Servio  nel  superiore  passo  di  Vir- 
gilio. 

Quod  medicamento  plantas  tingerant, 
Alber.  Mag.  nel  lib.  de  mirabilibus ,  accenna  anche  la  maniera  di 
poter  toccare  il  fuoco  senza  scottarsi.  La  callosità  straordinam 
della  pelle  può  far  soffrire  senza  dolore  il  contatto  del  ferro  arden- 
te. V.  HaUer.  lib.  XII.  $.  io.  Tactus^  ove  egli  dice  aver  veduto 
toccare  impunemente  il  vetro  fluido  di  nna  fornace  dei  monti  (fi 
Basilea,  e  vi  si  vedono  citati  molti  autori,  che  asseriscono  lo  stcf* 
so,  e  in  specie  coloro  che  attestano  che  a  Siam,  e  nel  Malabar  vi 
sono  alcuni  che  passeggiano  su  i  carboni  accesi  ;  suHa  fede  del 
Costeo  de  ignis  medie,  praefa,  asserisce  :  Hibisci  radicis  partula- 
cae,  et  mercurialis  succo  manus  ad  metal  tu  mferendum  idoneas 
reddi . 

Ì23)  Allorquando  si  trattava  di  trovare  i  mezzi  da  preservar 
^  ncend]  le  abitazioni  di  legno ,  Lord  Mahon  in  Inghilterra 
fece  vedere  che  un  sacchetto  di  polvere  da  schioppo  ricoperto  d'ana 
vernice  di  sua  iuveuzione  gettato  nel  fuoco  non  arse  (Rozier  Jour- 
nal de  Pk)rsi(jue).  La  più  diCBcil  prova  pare,  che  fosse  quella^ 
passar  fra  due  cataste  di  legne  ardenti;  e  perciò  ne  abbiamo  pochi 
esempì ,  e  la  maggior  parte  infelici,  come  nell'anno  itoa  in  Mi- 
lano, nel  1098  in  Antiochia ,  per  provare  1*  autenticità  della  landa 
con  cui  fu  ferito  Gesù  Cristo.  Il  più  felice  effetto  avvenne  in  Fi- 
renze, dove  Pietro  dettò  poi  Igneo  Vallombrosano  passò  atti*avcr- 
5o  due  cataste  dì  legno  ardenti  pei*  provare  ,  che  il  Vescovo 
Tentone  era  stat(1'eTeitó  simouiacàmente .  La  prova  fu  fatta  per 


CAPITOLO  QUARTO      a8i 

e  fallaci  era  esposta  la  probità^  la  fede^  le  sostanze 
degli  uomini  più  specchiati^  Tonore  delle  più  rispet-  ^q^ 
labili  matrone y  e  delle  stesse  regine.  Il  duello  era  m^ 
un'altra  di  queste  crudeli  prove.  La  donna  produ. 
ce?a  un  campione,  che  se  era  vinto,  veniva  senza 
pietà  condannata.  Né  questi  esperimenti  erano  ap* 
provati  dal  solo  volgo,  ma  dagli  ecclesiastici  stes« 
5Ì,  trovandosi  nei  messali,  e  ne  rituali  di  quei  tempi 
le  formule,  e  i  riti  di  questi  giudizj  (^4)*  ^  debo- 
lezza del  governo  era  costretta  a  tollerar  le  guerre 
private  :  in  mezzo  alle  popolate  città  i  feroci  abita- 
tori,  simili  ai  selvaggi  nello  stato  di  natura,  assu- 
mevano il  fritto  di  vendicar  colla  forza  le  recipro- 
che ingiurìe.  In  varie  partite  perciò  armati  passeg* 
giavano  i  cittadini,  ed  ogni  momento  erano  insan* 
guinate  le  strade  dalle  loro  risse.  La  consuetudine 
coir  impotenza  delle  leggi  avea  autenticata  una  tal 
barbarie  (a5);  siccome  però  T  esercizio  degli  affari 
e  pubblici  e  privati  veniva  interrotto  da  questa  con- 
tinua guerra,  la  pietà  religiosa,  e  il  comune  inte- 
resse inventarono  la  celebre  Tregua  di  Dioy  quasi 
universalmente  accettata  ,  per  cui  era  stabilito  che 
dal  giovedì  al  lunedì  vi  fosse  una  tregua,  in  cui 

ordine  dì  San  Giovan  Gualberto  ;  nondimeno  se  il  tratto  è  breve  p 
e  la  distanza  da  nna  catasta  all'altra  non  è  troppo  corta,  il  vènto 
che  impetaosamente  soffia  in  questo  spazio  può  farla  trapassar  sen- 
ta danno  da  un  giovine  cbe  rapidamente  corra .  Qui  si  avverta  che 
non  si  negano  i  miracoli:  anzi,  siccome  non  vi  è  alcun  Ecclesia, 
stico,  che  non  condanni  siffatte  prove, non  si  fa  altro  che  mostrare 
la  maniera  naturale  come  poteano  avvenire  i  pretesi  miracoli, 
senza  che  la  potenza  divina  si  prestasse  ad  autenticare  questi  te- 
merarj  esperimenti. 

(34)  Murat.  Antiche  Ital,  diss.  38.  In  una  Dieta  tenuta  in  Ve- 
rona ann*  987 ,  fu  deeiso,  che  qualora  venisse  dubbio  sulla  varità 
di  un  documento  legale  si  ricorresse  al  Duello:  in  questa  Dieta 
erano  moltissimi  ecclesiastici  •  ' 

(35)  y.  Pier  Damiani  lib.  4*  Epist.  17  ed  altrove. 


28«  LIBRO   SECONDO 

.  uiuno  ardisse  assalire  il  suo  nemico  (26);  onde  ne- 
*^  di  egli  altri  giorni  era  aperto  il  campo  alle  civili  batta- 
\  ^^iSglte*  Intanto  l'interesse  degli  ecclesiastici  faceva 
credere  alla  superstiziosa  ignoranza  ,  che  V  opera 
migliore  con  coi  si  potessero  espiar  le  colpe,  e  gua- 
dagnare la  vita  eterna ,  era  il  donare  i  suoi  beni  ai 
monasteri;  ed  appunto  in  questi  secoli ,  e  con  que- 
sta massima  si  arricchirono  tanto.  Con  scandalosa 
gara  talvolta  si  disputavano  più  monasteri  la  stessa 
preda  (ay).  Un'altra  volta  facevasì  credere  che  il 
fine  del  mondo  era  vicino,  specialmente  allo  spira- 
re del  decimo  secolo;  onde  per  guadagnarsi  il  Cie- 
lo, molti  ricchi  ignoranti  donavano  il  suo  ai  mona- 
steri (28).  Siccome  prepotenti,  e  crudeli  erano  i 
signori  di  quei  tempi ,  è  facile  il  vedere  ,  che  mol- 
ti ricchi  scellerati  vicini  alla  morte  dovevano  ri- 
correre al  compenso,  che  credevano  il  più  facile  di 
espiare  le  atroci  loro  colpe ,  col  donare  alle  chiese 
quei  beni,  che  la  natura  gli  sforzava  a  lasciare. 
Non  convien  dissimulare  che  qualche  santo  ec- 


(a6)  Landulfus  senior  lib.  a.  cap.  3o.  Quatenus  omnes  homi' 
nes  ah  hora  i.  Jovis  adprimam  horam  dici  lunae  cujuscumque 
eulpaejorentf  sua  negotia  agentes  permanerent  :  et  quicumque 
hanc  legem  offenderei  videlicet  trequa-m  dei  in  exilio  damnatut 
eie,  at  qui  eamdem  servaverìt  ab  omnium  peccatorum  'vincuUs 
ahsolvetur  eie.  Merita  riflessione  questo  passo  ^  da  cui  si  dedocono 
li  strani  costumi  del  tempo ^  e  1*  universa!  credenza,  che  chi  si  sog- 
gettava a  questa  sacra  legge  poteva  senza  scrupolo  ne^lì  altri  gioroi 
uccidere  il  suo  nemico,  e  tuttavia  avendo  osservata  la  Tregua  ah 
omnium  peccatorum  vincidis  ahsolvetur.  Pid  Concilj,  e  Papi, 
Urbano  II  y  Pasquale  II ,  Innoccnzio  II  confermarono  la  TreguA 
di  Dio* 

(37)  Vedasi  la  diss.  67.  Antich.  Ital.  del  Muratori  in  cui  i5 
motivi  si  adducono  dell'immensa  quantità  di  ricchezze  degli  ec- 
clesiastici . 

(aS)  Molte  di  queste  donazioni. hanno  òer  causale.  Pro  re» 
medio  animae  suae  ,  altre ,  adi^entànte  multai  termino . 


CAPITOLO   QUARTO      ^83 

clesiastico  (39)  >  qualche  saggio  sovrano  (So)  non 
lasciavano  d'inveire  contro  siffatto  abuso^  senza  pe-  ^- ^ 
rò  correggerlo .  Ma  ciò  che  dipinge  co' più  vivi  co-  ntS 
lori  Tabbrutimento  dei  tempi  è  il  vedere,  che  si 
commerciava  degli  uomini ^  come  di  armenti;  i  pri« 
gionieri  di  guerra^  quei  che  navigando  aveano  la 
disgrazia  d'incontrare  delle  navi,  i  di  cui  padroni 
senza  aver  guei^ra  dichiarata  con  alcuno  l'avevano 
con  tutti,  ove  5Ì  presentava  l'occasione  di  rubare  , 
erano  presi,  e  venduti  schiavi.  I  Veneziani  stessi 
fecero  quest'odioso  commercio,  non  avendo  ribrez- 
zo di  vendere  i  disgraziati  Cristiani  agli  Ebrei ,  e 
Saraceni  (3 1  ) .  Che  più  ?  gì'  istessi  crudeli  padri  non 
dissimili  dai  negri  affricani  giunsero  a  vendere  i 
loro  proprj  figli  per  redimersi  dalle  durezze  dei  tri- 
buti. Le  campagne  d'Italia  erano  si  ripiene  di  mal- 
viventi, che  i  viaggiatori  furono  obbligati  ad  unirsi 
in  caravane,  come  nei  deserti  di  Arabia.  Costumi 
sì  feroci,  dissoluti,  e  brutali  in  tutti  gli  ordini  di 

(39)  y.  Epìst^  di  S.  Girolamo  ad  Èusticum  eie»  e  nelV  epi- 
taffio dì  Nepoziano  ahi  nummum  addunt  nummo ,  et  matronarum 
opes  venantur  ohsequiis:  sunt  ditiores  monachi  quam  saeculares, 

(So)  V.  Capitolari  di  Carlo  Magno  ano.  Sii.  Inquirendum  est 
si  iUe  saeculum  dimissum  haheaty  qui  quotidie  pos sessi ones  au- 
gere  quoUbet  modo ,  qualihet  arte  non  cessat,  suadendo  de  cae^ 
lestis  regni  beatitudine;  comminando  de  supplicio  inferni,  et 
sub  nomine  Dei ,  aut  cujuslibet  sa;ncti ,  tam  divites ,  quam  pau» 
peres,  qui  simplicioris  naturae  sunt,  se  rebus  suis  expoliant,  et 
legitimos  eorum  haeredes  exhaereditant  :  ac  per  hoc  plerosque 
adjìagitia ,  et  scelera  própter  inopiam  ,  ad  quam  per  hosfue* 
Timi  devoluti  per  etranaa  compellunt ,  ut  quasi  necessario  J urta, 
et  latrocinia  exerceant ,  cui  paternarum  rerum  haereditas ,  ne 
ad  eum  perveniret  ab  alio  praerepta  est,  E  più  sotto  :  Quid  de 
his  dicendum,  qui  quasi  ad  amorem  Dei,  et  Sanctorum  sive 
Martyrum ,  sive  Confessorum  ossa ,  et  reliquias  Sanctorum  cor^ 
porum  de  loco  ad  locum  transferunt  ;  ibique  novas  Basilicas  coi' 
stntunt ,  et  quoscumque  potuerunt  ut  res  ilUc  tradant  inslantissi' 
me  adhortantur, 

<3i)  Murat.  Autiq.  Ital.  diss.  3o. 


a54        LIBRO    SECONDO 

Anui  Parsone  erano  accompagnati  dalla  più  stupida  igno- 
diG.  |.3D2a«  Tutte  le  nazioni  probabilmente  una  volta 
furono  selvaggie;  ma  dacché  esistono  storici  monu- 
menti ,  non  ci  hanno  conservato  memoria  di  si 
profonda  ignoranza  nel  paese  d'Italia,  quanta  nei 
i  secoli  accennati  •  I  barbari  conquistatori  attaccava- 
i  no  una  specie  di  vergogna ,  e  di  avvilimento  alla 
'  cultura  delle  lettere,  asserendo  che  le  scienze  ten- 
dono a  corrompere y  snervare^  e  deprìmere  la  men« 
te;  e  che  quei,  eh' è  usato  a  tremare  sotto  la  sferza 
del  pedagogo  ,  non  oserà  di  guardare  con  intre- 
pido occhio  una  spada,  o  una  lancia  (3^).  Molti 
dei  più  grandi  sovrani,  dei  principali  ministri  non 
sapevano  né  leggere ,  né  scrivere  (33) ,  e  nei  più 
importanti  affiiri  vi  era  Tuso  di  apporre  il  segno 
della  croce  in  vece  della  sottoscrizione.  Gli  stes- 
si ecclesiastici,  presso  i  quali  si  trovava  quel  po- 
co di  sapere  di  questi  buj  secoli ,  per  la  più  gran 
parte  emulavauo  l'ignoranza  dei  secolari;  e  spes- 
so  non  potevano  soscrivere  i  Concilj  dei  quali 
eraiio  membri  (34),  e  d'uopo  fu  talora  sospender- 

(3a}  Procou.  de  bello  Goth.  lib.  i .  Voltaire  ba  fatto  parlare 
il  linguaggio  del  silo  secolo  a  Lpredano  ( Tancredi  atto  i.  se.  i.  ) 
Couibien  deìs  citpyens  aujourd*hui  prévAius 
Pour  ces  arls  seduisanls  que  V  Arabe  cultive  , 
Arts  trop  pernicieux,  doni  V  eclat  les  captive, 
A  nos  vrais  chevaliers  noblement  inconnus . 

(33)  ^el  nono  secolo  Herband,co/ii«5pa/atii  quantunque  su- 
premo Giudice  dcir  Impero  non  sapea  scrivere  il  suo  nome  (  Traile 
de  diplomatie  par  deux  Benedectius } .  Teodorico  uno  dei  re  piii 
granai ,  benché  amantissimo  dei  letterati ,  non  sapea  scrivere  il  suo 
nome.  Si  dubila  lo  stesso  di  Carlo  Magno .  Che  si  dovrà  dire  degli 
altri  ? 

(34)  Una  delle  dimande  che  si  faceva  a  chi  chiedeva  gU  or- 
dini ecclesiastici  era  se  sapeva  leggere  il  Vangelo  .  Un  autore  di 
quell'età  con  stile  degno  di  esso  così  rimprovera  gli  ecclesiastici  e 
potius  dediti  gulae,  quam  glossae ,  potius  coUigunt  libras,  quam 
legunt  tibros,  libentius  intuentur  Martkam,   quam  Marcumi 


CAPITOLO   QUARTO      a85 

li  dalle  sacre  funzioni  per  la  loro  ignoranza  (35). 
Non  si  vuol  dissimulare  che  alcuni  dotti  padri  della  ^i  q^ 
(Chiesa  non  si  trovino  in  questi  tempi ^  ma  benché  ^«^^ 
assai  superiori  al  loro  secolo ,  mostrano^  una  tinta 
di  barbarie  nello  stile  ^  e  sono  rare^  e  deboli  faci  in 
UD  deserto  di  tenebre .  Pavia  >  che  era  la  sede  del 
regno  longobardico ,  e  dove  perciò  si  portavano  le 
persone  dì  maggior  ingegnose  cultura;  Roma  capi- 
tede  del  regno  ecclesiastico ,  ed  ove  lo  studio  dei 
dojumi  e  della  lingua  latina^  consacrata  omai  alla 
religione,  dovéa  aver  luogo^  erano  le  città  più  cul- 
le; ma  qual  cultura  (36)!  Gregorio  II  inviando  i 
Moi  legati  al  sesto  Concilio  Ecumenicp,  che  pur 
doveano  essere  scelti  tra  i  più  dotti,  chiaramente 
parla  della  loro  ignoranza,  non  solo  delle  buone 
lettere,  ma  della  stessa  sacra  Scrittura  (37).  Tutta 
la  scienza  di  Pavia  si  riduceva  allo  studio  della 
grammatica,  di  cui  come  gran  professore  è  da  Paolo 
diacouo  celebrato  Flaviano,  zio  del  suo  maestro: 
ma  qoesl^arte  stessa  era  in  tal  decadenza  ,  che  gli 
dritti  per  le  grammaticali  scorrezioni  si  rendono 
^juasi  ieiintelligibili  (38):  Se  tanta  ignoranza  era  in 


malunt  legere  in  Salmone,  quam  in  Salamoie»  Alanus  de  ^tie 
praedicandì  apuÀ  Lebeat . 

(35)  Concil.ftoni.  aiiii*.8a^.  " 

(36)  Se  taluDO  del  Clero  predicava  al  popolo  si  serviva  »  $a- 
ptbdo  egli  leggete,  delle  predicne  antiche  cne  esistevano  nelle 

Chkse.  Marat;  dissi  4^*  "^^^l- It*^- 

(37)  Marat,  diss.  4^.  Antiq.  ItaL 

(3S)  Un  frammentò  di  lettera  del  Papa  yVdriano  II  riferito  da 
MahiUon  nctU'  appci|«lice  alla  «oa  dh>lòmasia  è  pieno  di  scorrezioni 
incredibili:  vi  si  trovano  le  espressioni  eori^tnque  novilissimis su- 
xoles,  «  ut  inter  eos  dissentiojiat,  et  di\^isis  inveniantur,  »  Una 
<um  Judiculuni  »  una  cum  omnei'hen^tentnni  y^  aui  tamde  reoi- 


piendi  eos  qi^amque  ie  nostro  misso  ;  unfi  cum  nostrum  Ji^dicu- 
tum  .  Cofi  si  Scriveva^ in  Roma  dal  Pana,  o  da'  suoi 


'apa,  o  da  suoi  segreta  r) 


t86         LIBRO    SECONDO 
:  Roma  y  e  in  Pavia ,  può  ciascuno  immaginarsi  quali 
die.  tenebre  coprivano  il  resto  d^ltalia.  Arrestiamoci  un 
"  ^'  momento  per  due  importanti  reflessioni  ;  la  prima 
presentandoci  una  consolazione  per  essere  stati  ri- 
serbati  a  vivere  in  tempi  meno  infelici^  mostra  il 
torto  di  coloro ,  che ,  vituperando  la  presente^  lo- 
dano V  antica  età  quasi  aurea ,  ignorandone  gli  er- 
rori: la  seconda  ci  mostra  T  infelicità  più  grande 
dei  popoli,  le  azioni  le  più  scellerate^  i  costumi  i 
più  feroci ,  e  brutali  uniti  colla  più  profonda  igno- 
ranza delle  scienze ,  e  delle  lettere  :  questo  (atto  è 
la  più  eloquente  risposta  ai  detrattori  del  sapere^  i 
quali  debbono  esser  sempre  molti,  giacché  V  imma- 
ginare le  scienze ,  e  le  lettere  come  noci  ve  alla  mo- 
rale è  la  maggior  consolazione  degl'  ignoranti .  Il 
paradosso  sostenuto  con  tanto  ingegno  dal  ginevrino 
filosofo  è  smentito  dall'osservazione,   e  con  que* 
sta,  non  coi  sottili  ragionamenti,  deve  decidersi  la 
questione .  Ma  proseguendo  il  nostro  racconto ,  Tisto- 
ria  delle  umane  vicende. ci  mostra  che  vi  è  un  ulti- 
mo limite  nel  bene,  e  nel  male,  al  quale  giunte  le 
cose^  conviene  che  retrocedano.  Già  i  ripetuti  atti  di 
oppressione  che  i  forestieri,  e  i  naturali  principi 
esercitavano  su  i  miserabili  popoli  d'Italia,  comin- 
ciavano a  eccitare  dei  sintomi  nunzj  di  un  movi- 
mento che  finire  dovea  in  una  memorabile  rivolu- 
zione •  L^  oppressione  produce  Io  scoraggimento  nei 
popoli,  ma  quando  cresce  troppo  gli  conduce  alla 
disperazione,  la  quale  eccita  finalmente  un  corag- 
gio capace  di  tutto  •  I  passaggi  degl'  imperatori  io 
Italia  solevano  segnare  una  traccia  di  desotazìooe: 
questa,  si  spesso  ripetuta,  risvegliò  la  sensibilità 
degr Italiani ,  e  produsse  Belle  scene  sanguinose- 


CAPITOLO   QUARTO       a87 

Già  sotto  Arrigo'per  qoesto  motivo  »  dopo  una  fu- 
riosa rissa  fra  i  soldati  imperiali ,  e  ì  ciltadini,  Pa-  ^^o. 
via  era  stata  quasi  intieramente  distrutta;  nel  pas*  >&»S 
giù  per  r  Italia  xlell' Impera tor  Corrado  i  suoi 


soldati  erano  venuti  alle  mani  coi  cittadini  di  Ra- 
venoa,  e  alla  di  lui  coronazione  in  Roma  tra  i  Ro* 
mani,  e  i  medesimi  avvenne  una  ferociasìiua  batta- 
glia. Parma  ,  per  l'istesso  motivo,  fu  smantellata  , 
e  saccheggiata  dai  soldati  di  Corrado  II;  né  mai  vi 
era  passaggio  di  truppe  forestiera  (  e  questi  erano 
fi^uentissimi.)  senza  che  le  città,  e  le  campagne 
fossero  desolate,  disonorate  le  donne,  e  inondato  di 
sangue  il  paese.  Se  le  passeggiere    vessazioni  dei 
forestieri  erano  gravi,  più  intollerabili  si  rendevano 
le  domesticbe,  perchè  continue.  Era  Tltalia,  se* 
condo  quel  gotico  sistema ,  governata  da  molti  Du- 
chi, e  Marchesi,  i  quali  tutti  doveano  dipendere 
dal  re  d' Italia,  e  dall'imperatore  ;  ma  in  fatti  non 
ne  riconoscevano  la  supremazia  che  quando  la  forza 
li  costringeva,  e  la  facevano  da  indipendenti  sovra* 
ni.  Questi  principati  erano  divisi  anche  in  più  pic- 
cole frazioni  di  sovranità  ,  dominate  da' più  piccoli 
signori ,  obbligati  a  dipendere  da  quel  Duca ,  o  Mar- 
chese principale  da  cui   aveano  originalmente  rice- 
vuto questo  piccolo  feudo;  ancor  essi  imitando  i 
loro  principali,  si  erigevano,  quando  ne  ayeano  il 
potere,  in  indipendenti  sovrani .  Oltre  sififatta  ge- 
rarchia di  principi ,  la  di  cui  legale  e  naturale  esi- 
stenza dovea  aver  luogo  in  q\i^l  sistema  ,  gli  Impe- 
ratori tratti  dall'avidità  del  denaro  ne  aveano  creati 
inoltissirai  altri  di  un  nuovo  ge^uere:  con  quel  su- 
premo dritto  che  credevano  avere ,  staccavano  dal 
dominio,  e  dalla  dependenza  di  qualche  città  una 


n 


a88  LIBRO    SECONDO 

"porzione  di  terreno^  un  monte,  una. cocca ^  un  di- 
di  G.  '*^po  9  e  concedevano  a  chi  gli  pagava  i  dritti  di 
Mi5  feudal  5Ìgnore  (S^).  (jostui  vi  si  fortificava ^  credeva 
d'esser  divenuto  un  Sovrano^  ed  esercitava  il  dritto 
di  sovranità  su  quei  pochi  miserabili ,  che  aveaao 
la  disgrazia  di  essere  abitatori  di  quel  tratto  di  pae- 
se :  ma  siccome  V  esercizio  di  questa  autorità  non 
avrebbe  potuto  soddisfargli,  si  ponevano  alla  testa 
di  quei  sgherri  che  aveano  facoltà  di.  mantenere  ^ 
e  con  essi  scorrevano  il  paese  nobilitando  in  questa 
forma  il  mestiero  di  assassino  :  i  ricchi  viandanti 
erano  spogliati,  e  talora  imprigionati ,  e  costretti  a 
pagare  un  grosso  riscatto.  La  novella  di  Ghino  di 
Tacco  non  è  favola  che  forse  per  quello  che  riguar- 
da l'abate  di  Glughy  (4o).  Era  pertanto  coperta 
r  Italia  da  una  folla  di  signori ,  o  tirannetti ,  che 
non  conoscevano  altro  codice  per  governare  i  loro 
sudditi ,  che  il  capriccio ,  e  la  violenza  .  La  vita 
solitaria  che  menavano  nei  loro  castelli  circondati 
da  brutale  canaglia,  T ignoranza  profonda  dei  tem- 
pi non  gli  rendeva  sensibili  alli  stimoli  di  onore, 
e  di  compassione,  e  invano  la  religione  o  predica  fa 

la  mansuetudine,|o  spaventava  colle  pene  future(4i)* 

» 

(39)  Sì  chiamavano  a  distinzione  degli  altri  Comites  pagani; 
sì  sono  ancbe  detti  Castellani  Mui*at.  Antiq.  [tal. 

(4o}  Decam.  ^iorn.  10.  nov.  »•  Fra  gli  ahri  Niccolò  Marcbese 
d' Este  in  un  suo  viaggio  fu  preso  dal  Castellano  di  S.  Michele.  Atr 
zolino  Vescovo  di  Siena  tornando  dalla  corte  del  Papa  da  Avigno- 
ne fu  fatto  prigione  a  Mantova  da  Cario  Grimaldi,  e  costretto  t 
pagarre  di  riscatto  5oo  fiorini.  Jano  degli  Alberti,  Conte  di  Monte 
Carelli , rubava  con i  suoi  masnadieri!  viandanti: presa  con  essi 
dai  Fiorentini,  gli  fa  mozza  la  testa,  e  impicca U  i  suoi  sgherri . 
Cosi  gli  stessi  Fiorentini  disfecero  il  Castello  di  Montebom,  per- 
chè i  Signori  che  aveangli  dato  il  nome,  arrestavano,  e  facevano 
pagare  gravosi  dazj  ai  mercanti  :  misero  altresì  in  dovere  il  Contt 
fjggieri;  i  Conti  di  Certaldo ,  di  Figline,  di  Maugona  ec. 

(4i)  Neil'  Arcliivio  del  Capitolo  de*  Canonici  di  Modena  tre- 


CAPITOLO  QUARTO         189 
I  celebri  Cavalieri  erranti ,  tanto  posti  in  ridicolo 
da  chi  non  ne  ba  ben  conosciuto  V istituzione ,  e  i ^^^q 
doveri ,  servirono  talora  di  qualche  freno  alla  fero*  «i^S 
eia  di  questi  illustri  assassini  e  ne  castigarono  i  de* 
litti.  Avidi  di  gloriale  di  difficili  imprese^ avendo 
giurato  nel  cinger  la  spada  di  proteggere  Tìnnocensui 
oppressa  ,  e  vendicare  i  torti  y  bene  spesso  venne 
loro  fatto  di  purgar  la  terra  da  varj  di  questi  mo- 
stri •  Sìffiatti  tempi ,  per  la  crudeltà  dei  piccoli  de- 
spoti ,  e  per  le  illustri  azioni  dei  Cavalieri  erranti , 
rassomigb'ano  molto  all'  eroica  età  della  Grecia  ;  ed 
Ercole^  e  Teseo  »  e  tanti  altri  Eroi  sono  i  Cavalieri 
erranti  degli  anticbi  tempi  •  Ma  non  potea  durare 
an  governo  si  ingiusto  e  violento:  la  sofferenza  po- 
polare ba  i  suoi  confini  ;  né  era  difficile  il  minare 
un  despotismo  appoggiato  su  base  si  poco  stabile .  Il 
governo  feudale  era  un'idra  a  mille  teste ^  e  a  po- 
che braccia.  Le  gelosie,  le  rivalità ,  i  diversi  inte- 
ressi doveano  naturalmente  dividere  questa  folla  di 
piccoli  Sovrani  in  varj  partiti ,  tenerli  sempre  in 
guerra,  e  mostrare  ai  popoli,  anche  abbrutiti,  la 
debolezza  de'  loro  dominatori,  e  la  facilità  di  libe- 
rarsi da  quel  giogo.  Le  circostanze  divennero  sem- 
pre più  propizie  a  questa  rivoluzione.  Vi  furono  de- 
gr intervalli,  nei  quali  la  forza  superiore  che  dovea 
tenere  unite  tutte  queste  membra ,  era  stata  strana- 
mente indebolita  :  tale  avvenimento  ebbe  luogo  in 
specie  alla  morte  di  Ottone  II.  Nella  cronichetta 
dei  Re  d'Italia  (4^)>  'i  descrive  questo  tempo,  come 

vuian  SsgramenUrìo  di  Gregorio  il  Grande»  scritto  nel  nono» 
Ofvero  nel  decimo  secolo  ^  ove  leggesi:  Missa  cantra  Tjrrannos»  \ 

Monitori  Àntiq.  Ital.  disB.  46.  / 

(4a)  Tom.  a. 

Tomi}  /.  ♦  o 


ago  LIBRO  SECONDO 


^  un  interregno ,  in  cui  mancava  alia  forza  superiore 
di (2. ogni  attività;  e  durante  l'infanzia  di  Ottone  IIL 
M*^  ebbero  le  città  italiche  agio  di  scuotere  il  giogo  de- 
gr Imperatori  e  debite.  Giunto  a  matura  età  Otto- 
ne III.  venne  in  Italia^  e  cercò  di  ridurre  all'obbe- 
dienza te  ribellate  città;  morto  però  nell'anno  looa, 
senza  prole^  due  Re  d'Italia  Arrigo  ^  ed  Arduino 
se  ne  contrastarono  il  possesso ,  contrasto  assai  fa- 
vorevole alla  libertà  nascente  delle  italiane  città. 
A  questi  contrasti  successe  in  seguito  quello  più 
lungo^  e  più  tempestoso  tra  il  Sacerdozio  ,  e  l'Im- 
pero^ che  rilassò  sempre  più  i  vincoli  di  dipenden- 
za ,  che  legavano  le  italiane  città  ai  loro  domina- 
tori f  e  diedero  agio  a  quelle  di  scuoterne  affatto  il 
giogo*  Lentamente  però,  e  variamente  si  è  operata 
una  siffatta  rivoluzione.  In  alcuni  regni  il  Sovrano 
principale  ha  posto  in  piedi  una  milizia  stabile  e 
regolare  ;  che  non  solo  lo  ha  reso  indipendente  nelle 
urgenze  dai  potenti  vassalli^  ma  gli  ha  dato  anche 
agio  di  tenerli  in  briglia ,  e  finalmente  di  spogliarli 
delle  loro  abusive  prerogative .  In  altri  paesi  ^  come 
in  Italia^  le  particolari  città  sì  armarono,  e  cac- 
ciandolo non  curando  i  loro  despoti,  vi  stabilirono 
repubblicano  governo:  altre  di  queste  più  placida- 
mente ottennero  dagl'  Imperatori  ò  gratuitamente , 
o  coir  oro  il  privilegio  di  governarsi  da  loro  stesse: 
alcuni  finalmente  de'  feudali  governi  son  restati  in 
piede  fino  ai  nostri  tempi ,  com'  era  la  PoUonia ,  e 
ve  n'è  un'imagine  ancora  in  Alemagna.  Riguardo 
agli  altri  più  piccoli  feudatarj  che  regnavano  nei 
castelli  I  e  nelle  rocche  alpestri  in  proporzione  che 
i  governi  regolari  presero  piede ,  furono  in  gran 


CAPITOLO  QUARTO       S91 

pirte  distrutti,  e  pochi  ne  restano  ancora  privi  per 
lo  più  de'  loro  privilegi .  ji^^ 

In  questo  generale  movimento  d'Italia  per  la  >>«^ 
libertà  y  V  entusiasmo  fanatico ,  che  quanto  è  atto  a 
far  degli  sforzi  di  valore  perchè  è  cieco  al  pericolo , 
altrettanto^  per  la  stessa  causa ,  è  incapace  della 
fredda  deliberazione  y  trasportò  gV  animi  al  di  là 
dei  giusti  limiti  ad  una  specie  d' intemperanza  di 
libertà.  Credendosi  più   libere  quanto  erano  più 
indipendenti  V  una  dall'altra ,  le  italiche  città  y  non 
<olo  si  stabilirono  ciascuna  in  sola  e  isolata  repub- 
blica, ma  tutte  le  terrei  e  fino  i  borghi  più  pic- 
coli si  divisero  spesso  m  tante  frazioni  repubblicane 
Don  più  grandi  di  S.  Marino  (43)  •  Questa  opera* 
sione  sarebbe  stata  la  3tessa ,  che  se  gli  abitatori 
delle  città  che  furono  una  volta  selvaggi ,  e  che  ce« 
derono  una  parte  della  loro  naturale  libertà  per  go- 
dere i  vantaggi  della  società  civile ,  e  divennero  cit- 
tadini^ rìnunziassero  ad  un  tratto  a  questi  diritti  per 
amore  di  libertà  y  e  ritornassero  alla  foresta  •  I  sel- 
vaggi si  fanno  una  continua  guerra  :  cosi  dovean 
Corsela  una  folla  di  repubbliche,  di  cui  era  coperta 
r Italia:  divise  d^ interessi ,  dovean  esser  sempre 
colle  armi  alla  mano  •  Queir  istessa  intemperanza 
di  libertà  agitando  gli  spiriti  della  stessa  repub- 
blica^ doveva  renderli  disobbedienti  alle  mede- 
«me  l^gi^  che  si  erano  fatte,  e  dividerli  in  più 
partiti.  Questo  ragionamento  è  provato  dai  fatti. 
Firenze,  Pisa,  Lucca,  Siena, Pistoia,  Arezzo,  Cor- 
tona^ non  che  più  piccoli  castelli^  furono  spesso 
insanguinate  dalle  civili  risse.  In  Lòmbai^dia  eb- 

(4))  P«r  otempto:  Poggibonsi  era  una  Repubblica  . 


!i9a  LI^RO   SECONDO 

riebbero  luogo,  le  istesse  fatali  vicende  •  I  diagraikiti 
diC.  popoli  j  dopo  lunghe  agitazioni  y  e  sanguinosi  con- 
111^  trasti,  couosendo  quanto  erano  infelici  nella  demo- 
cratica costituzione  cercarono  finalmente  )a  quiete 
sotto  il  governo  d*un  solo.  Così  Milano  si  riposò 
sotto  Azzo  Visconti  (44)  \  Modena  ,  e  Reggio  sotto 
Obizo  d'Este  :  i  Padovani  sotto  Jacopo  di  Carrara  ec. 
Le  città  della  nostra  Toscana  furono  più  restie, 
però  soggette  a  più  lunghe  convulsioni  •  È  stato 
dimostrato  dal  più  grande  de'  metafisici  (45)  qual 
possanza  abbiano  le  mere  parole  sulle  opinioni  degli 
uomini ,  e  quanto  perciò  ne  sia  pernicioso  Y  abuso . 
Niente  v'à  di  più  vago,  e  di  più  abusivo  delle  pa- 
role di  libertà  e  di  uguaglianza  •  La  civile  libertà 
non  consiste  in  altro ,  che  in  obbedire  a  una  savia 
legislazione  vigorosamente  eseguita,  onde  a  ciascuno 
sia  liberamente  permesso  ciò  che  le  leggi  non  vie- 
tano .  Siccome  poi  un'  uguaglianza  geometrica  è 
sicuramente  impossibile  tra  i  cittadini ,  la  vera 
uguaglianza  consiste  neir  esser  tutti  ugualmente 
sottoposti  alle  leggi,  dimodoché  sul  più  ricco,  e  pia 
potente,  come  sul  piò  debole,  e  più  meschino  agi- 
scano colla  medesima  forza  imparziale;  questa  è  la 
vera  uguaglianza,  ogni  altra  è  chimerica.  Se  il  pro- 
blema si  sciolga  più  facilmente  in  una  repubblica , 
o  in  un  principato,  T istoria  che  scrìviamo  Re  sarà 
giudice  :  sarà  essa  una  scuola  ove  il  saggio  lettore 
potrà  giudicare  dei  beni,  o  dei  mali  della  demo- 

(44)  Gal vaneus  Fiamma  :  Ptima  Lexfmt,quod  omnes  Civi- 
tatés  sibi  tubjectae  ab^l/ue  omni  personarum  captione  suis  cm- 
bus  esseni  habUéUio  tutissima ,  et  istius  Sanctissimae  Legis  tfi- 
caeptorfuit  illustris  miìes  Aio  F'ice-Comes ,  oh  cujus  merìlttm 
possidet  Paradisum . 

(4^)  Loke,  liuman.uaderstending. 


CAPITOLO  QUARTO  295 
crazia,  e  del  governo  monarchico.  Tutte  le  più 
aottili  j  e  più  dotte  ricerche  sulla  natura  dei  gover-  ai  e. 
ni  sono  inutili:  in  politica  come  in  fisica  conriene  >>>^ 
finalmente  ricorrere  air  esperienza  •  Se  vedremo 
quelle  repubbliche ,  turbolenti ,  agitate  ;  se  le  stra- 
gi, Tesilio  dei  cittadini  saranno  pressoché  continui^ 
uè  mai  sicure  le  loro  vite  ;  se  al  contrario  troveremo 
una  lunga  calma  nel  principato^  la  questione  sarà 
decìsa  dalla  esperienza  •  Dovendo  la  storia  esser  la 
maestra  della  vita,  &  d'uopo  contemplar  gli  avve« 
nimenti ,  che  andiamo  ad  esporre ,  non  come  oziosi 
racconti ,  ma  come  lezioni  istruttive  , 


DELL'ARTE 

DELLA  GUERRA 


NEI   BASSI    TEMPI 


APPENDICE 

J^lelle  guerre  presso  che  continue^  le  quali  »  dopo 
lo  stabilimento  della  costituzione  repubblicana,  eb- 
bero fra  loro  le  italiche  e  le  toscane  città ,  si  deaeri- 
Yono  talora  delle  operazioni  poco  intese ^  perchè  non 
si  sono  gli  storici  dati  la  pena  di  spiegarci  Tarte 
della  guerra  di  quel  tempo ,  e  le  macchine  belliche 
allora  in  uso.  Per  ischiarimento  della  futura  storia 
ne  daremo  un  breve  ragguaglio.  Nel  tempo  dell'op- 
pressione feudale  tutti  i  sudditi  erano  obbligati  di 
andare  alla  guerra  ad  un  cenno  del  Signore  :  nep- 
pure si  eccettuavano  gli  stessi  ecclesiastici  senaa  qq 
particolare  privilegio:  e  siccome  il  mestiero  delle 
armi  era  il  più  onorevole ,  i  Vescovi  ^  e  gli  Abati  di 
rado  dimandavano  di  esserne  dispensati,  anzi  ago- 
gnavano avidamente  alla  distinzione  che  procu- 
rava il  valor  guerriero,  cercando  di  unire  cosi  le 
ricchezze  ecclesiastiche  con  i  trofei  militari .  Inva- 
no le  canoniche  leggi  proibivano  loro  1*  esercizio 
delle  armi:  chi  vi  si  sottometteva  era  deriso  ap- 
punto come  ai  di  nostri  chi  citasse  le  civili,  e  ca- 
noniche leggi,  per  evitare  il  duello  (i)  •  Sotto  il  feu- 

(i)  n  Pio  ab.  Ermoldo  Nigello»  costretto  a  prender  le  anni, 


APPENDICE  «95 

dale  governo  il  nervo  delle  truppe  era  la  caval- 
leria, composta  di  nobiltà  che  aveva  interesse  a 
vincere,  e  stimolo  a  distinguersi;  mentre  la  fan- 
teria, composta  per  lo  più  di  miserabile  turba, 
che  poca  gloria,  e  niuno  interesse  vedeva  nella 
vittoria  dovea  combattere  con  poca  energia  •  E  ve- 
ramente per  molti  secoli ,  anche  dopo  la  ruina  di 
quel  governo,  durò  la  cavalleria  a  formare  la  for- 
za principale  dell'esercito.  Erano  i  cavalieri  otti** 
mamente  armati:  si  conducevano  appresso  loro  da- 
gli scudieri,  e  dai  paggi  più  cavalli  (a),  e  in  varj 
tempi  hanno  ricevuto  varj  nomi  e  di  lance ,  e 
d'uomini  d'arine  ec.  L'istoria  però  delle  nazioni 
più  dotte  in  quest'  arte  ci  mostra  come  la  truppa 
migliore  è  stata  sempre  l'infanteria,  e  la  falange 
macedone,  e  la  legione  roman^  poterono  resiste- 
re,  e  rompere  le  numerose  schiere  della  persiana 
e  partica  cavalleria  •  Durò  la  superiorità  di  questa 
truppa  perfino  al  tempo  del  gran  Consalvo  di  Cor- 
dova, che  nelle  guerre  d'Italia,  mutando  tattica, 
formò  quella  celebre  fanteria  spagnuola  e  italiana, 
che  divenne  presto  superiore  alla  cavalleria ,  che 
ha  ùitto  per  tanto  tempo  la  gloria  della  nazione 

ad  onta  del  tao  vestito ,  si  vantava  santamente  di  non  aver  ferito 
mai  alcuno y  e  ne  portava  l'attestato  sol  suo  scodo  »  per  cai  fu 
tanto  deriso  • 

Hoc  egomei  scutum  humeris  ensemque  revinctum 

Gessi,  sed  nemo  mejeriente  dolet . 
Pippin  haec  aspiciens  risii,  miratur ,  et  infit, 
Caede  amds,frater,  litera  amato  magis. 
De  reb.  gest  Ludov.  Pii  p.  a.  t  a.  rer.  itaL  script. 
(3)  Alla  destra  degli  scndieri  era  condotto  il  nobile  cavallo 
da  battaglia 9  sensa  perspna  sopra  ,  perchè  fosse  pia  fresco  al  bi- 
sogno >  onde  il  nome  di  dextrarii,  indi  destrieri:  intanto  il  cava- 
liere cavalcava  un  cavallo  meno  pregevole,  che  palafreno #  o  ron- 
lino  era  detto.  Mar.  '' 


agg      DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 

spagnuola ,  e  che  per  dae  secoli  fino  alla  battaglia  di 
Rocroi  (3)  è  atata  invincibile  •  Le  milizie  delle  città 
italiane  divenute  Repabbliche  ebbero  varia  aorte. 
Finché  i  cittadini  stessi  sì  armarono  per  sostener 
la  loro  libertà y  o  animati  dalla  frenesia  de' partiti, 
formarono  delle  truppe  assai  valorose,  e  capaci  di 
resistere  alle  migliori  milizie  imperiali,  che  sotto 
un  valoroso  Imperatore  furono  più  volte  sconfitte, 
e  in  specie  riceverono  la  celebre  rotta  di  Legnano 
(  an.  1 176)  in  Lombardia,  per  cui  fu  tanto  abbas- 
sata la  potenTHi  di  Federigo  JL  in  Italia ,  anche  in 
Toscana  le  sanguinose  battaglie  di  Monte-aperti ,  e 
di  Qampaldino  mostrarono  il  pertinace  valore, con 
cui  combattevano  i  cittadini;  ma  subito  che  essi 
trascurarono  il  mestiero  delle  armi  (4),  e  stipen- 
diarono i  mercenarj,  le  guerre  divennero  vergo- 
gnose e  ridicole.  I  capitani  dei  mercenari  o  non 
volevan  combattere  per  mantenere  intatte  le  loro 
truppe ,  o  erano  facilmente  corrotti  dal  nemico; 
Taltra  truppa  riunita  con  essi  0  di  plebaglia ,  o  di 
villani  non  usi  all'  armi  e  ai  perìcoli ,  prendeva 
vilmente  la  fuga  al  prìmo  incontro;  e  il  Machia- 
vello con  ragione  derìde  questi  fatti  d'arme,  i  qua- 
li talora  duravano  parecchie  ore,  battendosi  i  sol- 
dati in  distanza,  senza  la  morte  di  una  sola  perso- 
na •  Sdegnando  i  cittadini  il  mestiero  delle  anni, 
sì  posero  nella  dipendenza  di  quei  condottieri,  che 
pei  circa  a  due  secoli  furono  in  Italia  celebri  pe'lo- 

(3)  Dopo  molta  decidenxa  nella  sua  dUcipUoa ,  fu  in  qneilft 
bat*^gUa  disfatta  €  nunaU  dal  gran  Gondé  •       

(4)  Ammir.  iti.  fior.  Per  tutto  il  secolo  XIH.  e  il  principio 
del  Xiy.  |«  milizie  delle  città  italiane  furono  valorose»  perchè  com- 
poste di  cittadini  :  dopo  il  principio  del  XTVt  cominciarono  a  de- 
clinare . 


APPENDICE  a97 

ro  tradimenti ,  come  pel  loro  valore.  Essi  poneva- 
DO  i  loro  soldati  air  incanto^  vendendoli  al  maggio- 
re offerente;  né  di  rado  avveniva  che  una  truppa , 
dopo  essere  stata  nemica  dei  Fiorentini  ^  o  dei  Mi- 
lanesi, guadagnata  dai  denari,  passava  a  combatter 
per  loro.  Queste  truppe  avean  bisogno  della  guerra 
per  vivere }  onde  quando  era  pace  si  univano  sotto 
UQ  capo,  e  ponevano  a  sacco  gl'innocenti  paesi,  o 
fonavano  le  più  ricche  città  a  pagar  loro  forti  con- 
tribuzioni. Siffatte  turme  di  masnadieri  erano  chia- 
mate G>mpagnie.  Cosi  Lodrisio  Visconti,  Malerba, 
e  specialmente  il  Duca  Guarnieri  nel  XIV  secolo 
fecero  tanto  danno  all'Italia  ;  e  le  più  potenti  città 
non  sdegnarono  di  prender  la  legge,  e  pagar  loro 
uo  vergognoso  tributo.  La  viltà  degl' Italiani  in  tol- 
lerarli, è  provata  dalla  facilità  con  cui  poteano  di- 
struggerli :  giacché  i  soli  villani  del  Mugello,  come 
vedremo  nel  corso  di  questa  storia,  quasi  intiera- 
mente distrussero  una  delle  più  grandi  di  queste 
Compagnie  (5)  •  Dopo  la  declinazione  della  romana 
tattica,  le  armi  del  soldato  da  offesa,  e  da  difesa 
furono  spesso  variate.  Si  é  veduto  come  i  Romani 
itessi  ai  tempi  di  Graziano  deposero  il  vestimento 
ferreo  ond'erano  armati:  fu  qi^atp^, ripreso  da  ro- 
busti guerrieri  del  Nord  ;  poi  seoondo  la  mollezza , 
0  robustezza  degl'Italiani,  vicen^volmcfite  abban- 
donato, e  ripreso.  Talora  il  ferro  si  cangiò  in  cuojo, 
e  la  coriacea  armatura  ha  dato  probabilmente  il 
nome  alla  corazza  (6)  •  Il  peso  degli  scudi  di  ferro 
è  stato  alleggerito,  formandolo  di  legno,  di  cuojo,  o 
di  vimini  ;  e  le  diverse  materie  o  figure  hanno  creato 

(5)  BfaUeo  Vili,  cronic* 

(6)  Murat.  diss.  a6. 


398  DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 
i  numi  dì  targa y  scudo,  rotella,  brocchiere,  paye- 
se  (7):  le  spade  talora  accorciate  hauDo  preso  i  no- 
mi di  stocchi  (8).  L'arco  e  la  balestra  davano  il 
nome  agli  arcieri  ^  e  ai  balestrieri .  Scagliavano  i 
primi  dardi  più  piccoli  assai  dei  quadrelli ,  mo- 
schetti (9)  o  verettoni  gettati  dalle  balestre ,  ma 
supplivano  colla  velocità  alla  piccolezza  dell'ar- 
me (io).  Erano  alcune  balestre  cosi  grandi,  che 
conveniva  scaricarle  col  pirae ,  e  perciò  aveano  al- 
la corda  adattata  la  staffa .  Ylna  truppa  disordinata 
e  leggiera  soleva  precorrere  l'esercito ,  scorrer  quinci 
e  quindi,  e  dare  il  guasto  alle  campagne,  e  queste 
eran  chiamate  gualdaue  (1 1)«  Feditori  poi  o  ferito- 
ri erano  quelli ,  che  cominciavano  la  battaglia .  So- 
levano esser  delle  migliori  truppe,  giacché  sovente 
l'esito  della  pugna  dipendefira  da  essi:  poiché  scom- 
pigliata la  prima  schiera,  assai  spesso  tutto  il  resto 
dell'esercito  di  disordinava.  Diamo  ora  un'occhiata 
alle  macchine  da  attaccare,  e  da  difender  le  ciUà. 


(7)  Scudi  di  Pavia ,  quadri  di  figura  :  Aulici  Ticinen.  de  UtuL 
Papiae,  Aveànò  nelle  finte  guerre  1  Pavesi  dei  scudi  di  vinchi.  V. 
lo  stesso  aut.  tijeU^  diss.  suddetta ,  ove  dottamente  »  nota  che  an- 
che gli  antichi  aveano  Scudi  di  vinchi  per  testimonianxa  di  Yege* 
lio  Seuta  tUi  vÌniòié''^imodtim  cratium  rotundata  tenebant .  Il 
brocchiere  probathiln^^nte  era  uftt>  ècndo»  che  avea  in  messo  imo 
spuntone  per  offendef'e,  o  per  deviare  l'arme  nemica* 

(8)  Fugionibus  itti  coeperunt  ensìbug  obsoletis .  Frater  Pipi- 
nus  in  chron.  rer;  ital.serip*  t.  9. 

(g)  Moschetti»  o  mosche tte»  erano  specie  di  <iardi.  Mar. 
diss.  a6. 

(1 0}  Tillani ,  lib.  a  »  cap.  66*  Quando  i  Genovesi  balettram- 
no  un  quadrello  di  balestro ,  quelli  saettavano  tre  saette  co'laro 
archi. 

(il)  Corridor  vidi  per  la  terra  vostra 
O  Aretini ,  e  vidi  gir  gualdane  ec. 
Dante ,  canto  aa  Inf.  Probabilmente  vide  questo  spettJicoki  il  poe- 
ta quando  dopo  la  rotta  di  Campaldino,  data  agli  Aretini  »  l'eser- 
cito fiorentino  devastò  il  territotio  di  quella  citta . 


« 
t 


APPENPICE  399 

Disgraziatamente  per  gli  uomiui.il  crudele  mestìero 
della  guerra  non  è  stato  che  con  piccoliasimi  inter* 
valli  interrotto,  dacché  abbiamo  memorie  iatoriche. 
È  molto  facile  immaginare  perciò  che  gli  strumen- 
ti di  distruzione  usati  dai  Greci ,  e  dai  Romani  non 
sieno  stati  mai  perduti.  Poteva  alterarsi  la  discipli- 
na militare,  perdersi  il  coraggio  insieme  coir  indu- 
striosa tattica  greca  e  romana,  ma  le  varie  macchi- 
ne per  attaccare,  e  per  difender  le  città  doveano 
passare  di  generazione  in  generazione  poco  cangia- 
te, e  mutato  forse  solo  il  nome .  Cosi  probabilmen- 
te l'ariete,  T onagro,  le  catapulte ,  le  baliste,  le  tor- 
ri messe  in  opra  dagli  Ebrei,  dai  Greci ,  dai  Roma- 
ni, son  passate  ai  bassi  tempi  coi  nomi  di  mangani, 
manganelli,  trabacchi  ec.  solo  la  terribile  invenzio- 
ne (leir  artiglieria ,  mutando  tanto  r  arte  della  guer- 
ra, ha  potuto  farle  obliare.  Le  fortificate  città  era- 
no circondate  spesso  da  doppie  mura;  ossia,  dopo 
le  più  alte  interne ,  era  un  altro  recinto  piii  basso , 
fatto  probabilmente  per  impedir  V  azione  dell'arìe- 
te  contro  le  mura  più  alte  (la)*  Un  fosso,  quando 
si  poteva,  pieno  di  acqua,  ed  una  palizzata  si  esten- 
devano avanti  alla  seconda  muraglia  :  stavano  mol- 
te torri  sulle  mura,  il  corpo  delle  quali  stendevasi 
in  fuori  per  aver  agio  di  percuoter  di  fianco  gli  as- 
salitori. Le  scorrerie  de' Barbari  si  frequenti  avean 
fatto  scegliere  la  posizione  delle  città  e  de' castelli 
ne' luoghi  i  più  alpestri  per  guisa,  che  l'Italia  di. 
venne  quasi  una  selva  di  torri,  e  di  rocche  munite 
in  specie  ne'monti,  uve  l'arte  era  aiutata  dalla  na- 
tura. Nelle  città  istessei  continui  sospetti  originati 

(ta)  ChiamaTasi  barbacani ,  o  antemurale . 


3oo    DELL'ARTE  DELLA  GUEERÀ 

dalle  &zioni|  avean  convertite  le  case  in  fortificati 
castelli:  poche  ve  n'erano  delle  considerabili  senta 
torri  ^  nelle  quali  faceasi  anche  sfoggio  d'architet- 
tura'(i3);  onde  non  farebbero  tanta  meraviglia  le  io 
mila  torri  che  Tesagerazione  di  Beniamino  Navar* 
rese  contò  in  Pisa .  Si  fabbricavano  poi  o  di  legno 
o  di  sasso  castelli,  o  bastie  (i4)  ^^  offesa^  e  da  di- 
fesa intorno  alle  mura^  alle  torri,  sulle  rive  di  im 
fiume,  sopra  una  collina,  o  dove  si  stimasse  il  ter- 
reno più  atto  air  offesa ,  o  alla  difesa .  Erano  presso 
a  poco  gli  stessi  i  battifolli  (i5),  e  cont^ievano 
stanze  per  alloggiarvi  fiinti^  e  cavalli.  La  terribile 
catapulta  degli  antichi  Greci ,  e  Romani ,  con  coi 
si  scagliavano  pesi  si  enormi,  non  è  chiaramente 
descritta  dagli  storici  antichi  •  Il  celebre  Commen- 
tator  di  Polibio  (i  6)  ne  ha  indovinata  la  costruzio- 
ne^ seppure  m  molte  |)arti  la  sua  immaginazione 
non  ha  supplito  ove  ipaneava  T istoria.  Pare  che 
per  mezzo  di  funi  elastiche  in  specie  di  minugia,  e 
degli  stessi  crini  e  capelli  intortigliate  sa  dei  travi 
si  tendesse  fortemente  un  cilindro  di  legno,  sulla 
cima  del  quale  stava  un  gran  cucchiajo  in  cui  si 
ponevano  i  corpi  da  lanciarsi  :  liberato  dalla  tensio- 
ne il  cilindro  scoccava  come  un  arco,  gettando  ad 
una  gran  distanza  enormi  masse  (f7).  La  Balista, 
varia  nella  costruzione  dalla  Catapulta  ,  prodoceva 
Jo  stesso  effetto:  forse  era  una  grandissima  balestra, 


(tS)  Ainmir.  iti.  fior.  lib.  d. 
(i4)  Iodi  il  nome  di  bastioni . 

(i  5)  n  YilUni  considera  le  bastie  e  i  battifolli  come  U  steMi 
cosa. 

(i6)nGaT.diFoUrd. 

(17)  Se  ne  Teda  k  fianra  ndle  note  a  Polibio  del  Gat.di 
FoUrd.  * 


APPENDICE  3oi 

come  iodica  il  nome,  formata  di  un  grosso  cilindro 
di  elastica  materia^  che  tesa  per  mezzo  di  qualche 
macchina  potea  scagliare  de'corpi  pesantissimi.  Da 
queste  due  macchine  non  dovean  differir  molto 
quelle  che  nerbassi  tempi  si  chiamarono  Mangano^ 
Trabocco^  Asino  (i8)^  Troja,  Volpe  ec.  Già  si  de- 
duce da  qualche  oscura  descrizione ,  che  nel  Man- 
gano vi  era  una  fionda  ^  o  balestra  (19);  doyea  per* 
ciò  questa  macchina  rassomigliare  all'antica  bali- 
sta: e  yeramente  masse  pesantissime  si  scagliavano 
con  questa  (so).  Sovente  grossi  animali,  come  ca- 
valli, ed  asini  erano  per  disprezzo  gettati  nelle  as- 
sediate città  (ai).  Coi  trabocchi ,  benché  dì  struttu- 
ra diversa  dai  mangtfni,  si  scagliavano  pure  im- 
mense pietre .  Di  questi  fece  uso  Ezzelino  neir  as- 
sedio della  rocca  d' Eate  (aa) ,  e  negli  Annali  mo- 
danesi  descrivesi  una  grandissima  di  queste  mac- 
chine (a3)  •  Per  romper  l'impeto  dei  massi  scagliati 
dai  mangani  si  adopravano  delle  reti  di  grosse  funi, 

(iS)  Anche  gli  antichi  ayeano  Vonager* 

(19)  Instrom.ds  restgnat  Castri  FnmoniSt  si  iroitii/undat 
de  Manganalo,  Mar.  antiq.  ital.  di».  96. 

(ao)  Negli  Annali  genovesi  dello  Stella^  ann.  1379  ^  si  nomi- 
na una  troja  che  gettava  massi  del  peso  dai  1  a  ai  18  canta ra  vale 
adire  di  libbre  a700.Il  mangano  vien  chiamato  in  latino  halearica 
machina ,  lo  che  mostra,  che  vi  era  una  specie  di  fionda ,  per  cui 
«raro  celebri  gli  abitanti  delle  Baleari  : 

Extrmtur  mirae  halearica  machina  motis , 
Quae  valido  iongum  transverberat  aera  jactu. 

Grunt.  Kb.  S. 

(ai)  Frequente  è  l'espressione  degli  storici:  furono  manga- 
nati asini*  Dopo  la  rotta  di  Gampaldino  i  Fiorentini  per  ischerni- 
re  il  Vescovo  di  Arezso  Gugliàmino»  che  era  restato  morto  in 
quella  battaglia ,  venuti  ad  assediar  la  città»  vi  gettarono  col  man- 
gano un  asino  colla  mitra  in  testa ,  come  riporterassi  a  suo  luogo . 

(aa)  Rolandinns. 

(2^)  Trabuccum  Murtinentium,  qui  Jactus  fuerat  in  platea 
Communis  Mutinae^  cujus  pertica  erat  quantum  sex  paria  boum 
ducere  poterant . 


3oa    DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 

o  panni ,  o  una  specie  di  graticci  distesi  davanti  al-' 
le  torri  percosse  :  indi  ebbero  origine  le  vinee  o  cra^ 
ttSy  graticci  o  gatti  (^4):  sotto  queste  stesse  mac- 
chine i  soldati  s'avanzavano  a  batter  la  muraglia» 
11  formidabile  ariete  degli  antichi  non  era  escito 
mai  di  moda  •  O  ra  venia  condotto  sopra  dei  carri 
spinti  contro  di  tB^\  più  spesso  questo  lungo  e 
grosso  trave  colla  ferrata  punta  era  sospeso,  ed  on- 
deggiante in  aria ,  e  facendosi  oscillare,  si  mandava 
ad  urtare  contro  le  muraglie:  gli  scommossi  sassi 
erano  poi  fatti  cadere  con  delle  pertiche  uncinate, 
che  emulavano  una  delle  tante  speciè^di  carri  degli 
antichi  (a5).  Si  rammenta  da  Gotti fredoViterì>iense 
un  altro  ìstrumento  non  ben  noto  (a6)  detto  Talpa, 
atto  a  scavar  sotterraneamente  il  terreno,  per  to' 
gliere  alle  muraglie  il  fondamento,  e  farle  cadere: 
egli  è  certo  che  si  usavano  queste  specie  di  mine:  i 
minatori  si  avanzavano  sotterra  verso  le  mura:  si 
praticavano  le  contrammine,  cioè  si  procurava  di 
ritrovar  la  sotterranea  strada;  e  questo  si  faceva 
scavando  obliquamente  imo  o  più  fossi  scoperti  che 


(a4)  GiiUi  per  isbaglio  furen  pre9i  dagli  Accademiei  ddb 
Crnica  per  ìstrumenti  da  battere  i  mari{  non  erano  che  una  co* 
perta ,  e  difesa  :  Bemi  Ori.  innamor* 

GatU  tessuti  di. vinco  e  di  legno  m 
Huc/aciunt  reptare  catum,  teetique  sub  Uh 
Suffodiunt  mufQS%  Ginlelm.  Brito  L  7. 
Siccome  qualche  volu  sotto  qbesta  coperta  ossk  GmUo  ai  facea 
muover  r  ariete  con  cui  li  percuotetan  le  mara,  pa^iadieiaer 
nata  la  confusione  dell'  uno  coU'  altro  •  Yeset*  lib.  k*  <^P*  >  5*  ^ 
neas  dixerunt,  veteres  quas  nunc  militari  barbaroque  usu  cmttos 
vacata  Alimoniui  apnd  Duchange  :  Erant  carri  vumneis  eatibus 
tabulisque  ligneis ,  in  quibus  latentes  militesfundasnenia  suffb' 
derent  murorum  • 

(a5}  Folard  in  Polibio* 

(a6)  E*  chiamato  Talp  a  cavans  arces. . 


APPENDICE  3o5 

ndassero  a  ritrovarla  (27).  Erano  in  uso  i  graffi 
ler  arroncigliare  i  combattenti ,  e  tirarli  giù  dalle 
Quraglie^  e  triboli  ferrei,  o  apine  da  spargersi  nei 
ampi  per  danneggiare  e  imbarazzar  la  cavalleria. 
*(oQ  mancava  neppure  una  specie  di  cavalli  di  Fri* 
ia:  erano  questi  grossi  legni  di  figura  triangolare^ 
»  prismatica,  che  Voltati  su  qualunque  lato  resta- 
vano dritti,  che  si  riunivano  insieme  in  un  issante, 
i  formavano  un  sufficiente  riparo  (d8).  Fra  le  mac« 
^hine  più  pericolose  per  le  assediate  città  si  contac- 
io con  ragione  le, tprri  di  legno:  erano  altissime,  e 
li  proporzionata  larghezza;  s' inalzavano  più  delle 
nura  istesse,  e  piene  di.  <;ombattenti  travagliavano 
id  ogni  altezza  i  difensori,  ora  combattendo  a  li^;.> 
vello  con  quei  che  stavano  sulle  mura,  ora  fuluii*.    : 
Dandoli  colle  pietre >  e  coi  dardi  dall'alto,  ora  dan*< 
do  l'impulso  air  ondulante  ariete:  una  parte  del 
lato  superiore  della  torre  staccavasi  improvvisamen- 
te dalla  cima,  e  ruotandosi  su  i  cardini  ai  quali  era    > 
appoggiata,  si  abbassava,  ^i  .di^tendeya  sulla  mura-* 
;lia,  e  diveniva  un  ponte  per  ^cui  i  più  arditi  ea- 

* 

(97)  Si  Uega  un  passo ^di  Matteo  Villani  lib.  3.  cap.  no,  I 
^adtorì  dell' oste  eoo  ffma  costo  e  con  jnolto  studio  condoce- 
^0  una  cava  sotterranea  per  abbatter  le  mura  della  Scarperia—» 
FTOTÌdero  qaeUi  di  dentro  di  cavar  di  fViorì  dei  fossi  per  ritrovar 
*  can  dei  nemici  ionanxi  cbe  ag^nngeMe  alle  mura ,  ma  i  loro 
Wersarj  adopraron  gran  forse  per  ritraHi  da  questo  lavorio.  •«.  e 
*P^ilire  i  loro  cavatori  ••..  i  qoali  lavoràndo  con  gran  sollecitudi- 
t  aOa  cava  dei  nemic»'  perveniiefo  >  la^cpiale  era  venuta  innanzi 
*<> braccia 9  e  presso.  aL[e  muta  90  oracela  »  la  quale  di  presente  . 
^ta  F  affocarono  9  e  cacciarono  i  cavatori ,  e  guastaron  la  lor 

(38}  Nicolaus  de  Tamsilla  rer.  ital.  script,  t.  8|  p.  565  »  par- 
Mo  di  Manfredi  Re  di  Sicilia  :  Jacfa<_suff4  d^fjngenio  JUarchiomis 
Wtholii  quaedam  ligned  instrumentum  trianguUUa  sic  uttijiciase  ' 
Wposita  quod  de'ìoco  in  locum  léyitfnduofbanlur,  et  sen^per 
fwio capite  erecta  stab^nt:  his  i^s(r^Pientis  excroitusse^eirr 
pcinzit ,  et  vallàvit ,  utj^ónJficUfi  p^sfit  ^x  Ula  parte  irwmmpi.  - 


3o4  DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 
travanro  nella  città •  Gli  antichi  ne  fecero  usò:  è  ce- 
lebre quella  torre  di  Demetrio  detta  Elepolo  (39)  ; 
ed  all'assedio  di  Marsilia  le  torri  usate  da  Cesare 
erano  di  si  smisurata,  grandezza^  che  i  Galli  ignari 
dell'ajuto  che  porge  T ingegnosa  meccanica,  stima- 
Tano  i  Romani  più  che  uomini,  perchè  movevano 
con  tanta  celerità  macchine  si  enormi  (3o)«  Fra  le 
torri  immense,  che  nei  tempi  dei  quali  parliamo 
ai  videro,  furono  quelle  accostate  da  Federigo  L  alle 
mura  di  Crema .  La  difficoltà  di  muoverle  ha  eser- 
citato l'ingegno  dei  meccanici  del  nostro  tempore 
fra  questi  si  è  distinto  il  commentator  di  Polibio, 
il  quale,  perchè  ecciti  meno  meraviglia  questa  ope- 
razione, ci  rammenta  quella  sorprendente,  con  cui 
Farchitetto  Aristotele  nel  secolo  XV  trasportò  da 
un  luogo  in  un  altro  una  torre  di  pietra  .  I  sacchi 
di  lana ,  dì  paglia ,  ed  ogni  materia  cedente  era  po- 
sta in  uso  per  deludere  i  colpi  dell'ariete,  e  del- 
Faltre  macchine  :  ma  si  poneva  ogni  cura ,  quando 
ai  potea,  per  arderle,  e  perciò  si  erano  inventate 
varie  misture  di  solfo  e  bitumi,  che  apprendendosi 
al  legno  non  era  si  agevole  lo  smorzarle  (3f).  Fu 
per  molto  tempo  celebre  il  misterioso  fuoco  greco 
inestinguibile  dall'acqua.  Il  pregevole  segreto  della 
sua  composizione  portato  probabilmente  a  Costanti- 
nopoli da  Gallinico  d'Eliopoli  di  Siria  nell'anno  718 
vi  si  mantenne  nascoso  per  lungo  tempo,  come  il 
Palladio  dello  Stato.  A  questo  dovette  la  sua  sai  vesta 

(ag)  FoUrd  in  Polib. 

(So)  Non  te  cxtimare  Bomanos  sine  ope  Deprum  betlum  %t' 
rere^qui  tantum  €iUitudMs  machinationes ,  tanta  celeriiaU  jpro- 
mév&re  potseni.  €•«•  de  beli.  ^alL 

(3i)  V.  Viu  di  Col»  di  Riemo  ove»  htesticaro  solfo,  fece» 
èii0,trtmmiina,  lana,  e  arsnìno  Vasindia. 


APPENDICE  3o5 

r  impero  greco  ^  quando  gli  Àrabi  vincitori  in  ogni 
lato  nel  principio  del  secolo  YIII  condussero  invano 
oomerose  flotte  nel  porto  di  Costantinopoli:  mille 
ottocento  legni  furono  arsi  con  i  loro  condottieri  e 
soldati:  spaventati  finalmente  abbandonarono  Tim- 
presa;  e  se  il  greco  Impero  si  sostenne  per  7  secoli 
tal  vantaggio^  lo  dovette  a  quel  terribile  segreto  •  Per 
quanto  il  mistero,  che  ponevasi  con  ragione  in  questo 
fuoco ,  abbia  coperto  di  oscurità  la  sua  composizio- 
ne (3a)^  pure  si  è  in  gran  parte  indovinata.  Pare 
che  il  principale  ingrediente  fosse  il  nepta  o  petro* 
leoy  il  più  leggiero  di  tutti  gli  oli,  e  che  quando  è 
poro,  appena  è  in  contatto  coU'aria s'infiamma;  Tac- 
qoa  non  era  capace  d'estinguerlo  (33) •  Neil' ardere 
produceva  delle  somme  esplosioni:  era  scagliato  da 
lungi  attaccato  ai  dardi  o  a  macchine ,  che  imi- 
tando le  figure  di  draghi,  o  altre  bestie  feroci,  dal- 
la loro  gola  vomitavano  questo  fuoco  infernale. 
Per  4  secoli  fu  fedelmente  custodito  l' importante 
aegreto.  finalmente  fu  svelato  ai  Saraceni,  che  nel- 
la spedizione  di  S.  Luigi  in  Egitto  lo  ritorsero  con- 
tro i  Cristiani  (34)*  L'uso  del  greco  fuoco  ha  du- 

(3 a)  V.  il  Ducbang*  Anna  Gomnena  è  quella  che  ne  parla  più 
chiarameDte»  Alexiad.Lib.i  1  e  12.  Leon.  cap.  i9.Tactica.  Menrs. 
Tom.  6, 

(33)  Secondo  le  notisie  del  chimico  Marius  citato  da  Somare 
Dision.  art  Nephta  »  ana  candela  fatta  di  nephta  e  di  resina  in 
parti  egoaliy  arde  sotto  dell'acqua.  La  sola  arena  ed  orina  erano 
capaci  di  spegnere  il  fuoco  greco .  Plinio  crede  che  il  fuoco  di  Me- 
dea (osse  nsregliato  col  nepnla .  Plin.  hist.  nat.  a.  1 00. 

(34)  Memoires  du  Ghevalier  d  e  Joinville.  Il  Cav.  de  Joinvilte 
fa  compagno  di  S.  Luigi  nella  sua  disgraziata  spedizione  contro 
rEgitiO}le  memorie  ne  contengono  l'istoria  scritta  nel  XIII.  se- 
CIÀO  in  cui  yissero  è  uno  de'  libri  piii  interessanti .  Invano  il  pir- 
ronico  o  piuttosto  stravagante  Arduino  ha  tentato  impugnarne 
r autenticità  dimostrata  all'  ultima  evidenza  dal  Sig*  de  la  Bastie , 
Mcmoir.  de  l' Acad.  de  belles  lettres  tom.  1 5. 

Tomo  /.  ai 


3o6  DELL' ARtE  DELtA  GUERRA 
rato  fino  alla  mela  del  XIV,  secolo;  ha  ceduto 
poi  ^  ed  è  atato  fatto  obliare  dalla  più  lerrìlrile  in- 
venzione della  polvere .  Non  è  con  precisione  fissato 
il  tempo  di  questa  scoperta^  cbe  ba  prodotto  uoa 
mutazione  si  grande  nell'  arte  della  guerra  •  Due 
epocbe  devon  distinguersi ,  cioè  il  tempo  dell' io- 
venzione  della  polvere,  e  del T  applicazione  di  casa 
alla  guerra.  Rogerio  Baccone  Monaco ,  morto  in  Ox- 
ford Taimo  1292,  si  riguarda  con  ragione  perla- 
Tentore  della  polvere,  giacché  è  il  primo  che  parli 
della  sua  composizione  (35):  al  principio  del  secolo 
XIV.  ne  fu  fatta  l'applicazione  alla  guerra.  U  Pe- 
trarca, scrivendo  innanzi  all'anno  <3449  P^^^ 
delle  armi  da  fuoco  come  già  inventate  da  qualche 
anno,  e  cbe^  prima  rare ,  erano  divenute  allora  co. 
muni  (36).  La  celebre  battaglia  di  Greci  avvenne 
nell'anno  ìÒ^6,  e  la  vittoria  degli  Inglesi  fu  dovuta 
in  gran  parte  a  quest'arme ,  come  attesta  uno  scrit- 
tore contemporaneo  ^87) .  Se  poi  realmente  esìste  » 
come  attesta  lo  Stetenio  (38)  in  Amberg  nel  Pala- 
tinato  di  Baviera  nell'armeria  pubblica  un  pezzo 
d'artiglieria,  in  cui  è  T iscrizione  dell'anno  i3o3) 
se  suir  autenticità  dell' iscrizione  non  può  cader 
dubbio,  questo  è  il  più  antico  monumento  dell'uso 

(35)  De  mtrab.  pot.  art.  et  nat.  eb.  m6. 

(36)  Glandes aeneae  quamfUininUs  injcclis  horrisono  sonilu 
jacintus  Erai  haec  peslis  nuper  rara,Fuutc  comtHunis  eU.Vt- 
trar.  de  remed.  utrius.  fort.  dlal.  99. 

(37)  Gio.  Villani  lib*  13.  cap.  65.,  saettavamo  pallotioU  di 
ferro  con  fuoco,.,  e  facevano  sì  gran  tremuoto ,  e  romore  che 
parca  ohe  Dio  tuonasse.  Tre  auai  avanti  a  questa  battaglia  ne 
ayean  fatto  uso  i  Mori  assediati  dagli  Spagnoli  iu  Algerias,  (Marbo. 
ist.  di  Spagna)  :  in  Danimarca  se  ne  fece  uso  nello  stesso  tcmpo^ 
onde  pare  che  dopo  Tanno  1 33o  fosse  quest'arme  micidiale  comu- 
ne in  Europa . 

(38)  Ada  erudii.  1769.  p.  ig. 


APPENDICE  307 

deìV  armi  da  fuoco.  Abbiamo  riferito  i  più  sicuri 
documenti  «opra  si  celebre  scoperta ,  lasciando  na- 
vigare per  r  oscuro  pelago  delle  congetture  coloro , 
che  sopra  incertissimi  indizj  nella  favola  di  Salmo- 
neoy  e  in  altri  equivoci  racconti  hanno  preteso  di 
trovar  presso  gli  antichi  Tuso  della  polvere  (39). 
Durò  qualche  tempo  anche  dopo  questa  scoperta 
1*  uso  delle  altre  armi  •  In  proporsione  però  che  ann 
dò  perfezionando  Tartiglieria^  gli  archi^  le  balestre, 
e  l'altre  armi  missili  furono  appoco  appoco  obliate. 
Si  fece  un'intiera  rivoluzione  nella  guerra,  ma  la 
prìncipal  mutazione  è  avvenuta  negli  assedj«  Mol- 
tissime erano  allora  le  piazze  inespugnabili  (40)  : 


(39)  Vedasi  M.  Dateiu  nell'opera»  ScofE^tm  dbou  antichi 
ATTUnciTs  Al  Mooma»  che  eostieiie  questa  opìnÌMie,  quasi  obe  Sai- 
moneo»  Caligola»  ed  altri  da  lui  citati»  noa  ayessero  petalo  imi- 
tare il  tuono»  e  il  lampo,  come  gli  strìoni  in  teatro»  qua^  si  po- 
tesse far  fondamento  sopra  il  MS.  di  un  3f arco  greco,  che  non  si 
sa  ehi  sia,  né  in  che  tempo  vissuto  «  Sbatto  sogno  dell' ingegnoso 
autore  potrà  unirsi  agli  altri  dell*  uso  tUW  conduttore  elettrico  » 
del  telescopio  ec*  eh' ei  Uova  tra  gli  antichi.  L'asserzione  di  un  uo- 
mo grande  «come  di  Lord  Bacone»  che  nell' Lidia  ed  alia  China 
fossero  conosciute  le  armi  da  fuoco  circa  a  a  mila  anni  fa  »  merita 
pth  riguardo  e  migliore  esame  »  ma  non  vuoisi  ciecamente  abbrac- 
ciare sulla  sua  parola  •  Baoon's  Essaj  the  vicissitiule  of  tUings. 

(4oì  Gli  artiBzi  e  i  modi  co'quali  si  cercava  di  espugnare  e 
di  difenderle  piazze,  sono  effre|^iaaAente  descritti  dal  Taaio  nel- 
l'assedio di  Gerusalemme.  L  Ariete: 

Già  r  ariète  alla  muraglia  appressa 

Macchine  grandi»  e  smisurate  travi. 

Che  han  testa  di  monton  ferrata  e  dura: 

Temon  le  porte  il  cozzo,  e  l'alte  mura. 
L* azione  della  Talpa  per^iscavar  le  muraglie. 

Altri  percuote  i  fondamenti  a  cara . 

Ne  crolla  il  muro»  e  ruinoeo  i  nanchi 

Già  fessi  mostra  all'impeto  de' Franchi  • 
Mezti  impiegati  per  opporsi  alT  azione  dell* Arie  la . 

Che  ovunque  la  gran  trave  iu  lui  f^  stendt;  » 

Cala  fasci  ai  lana ,  e  li  frappone . 

Prende  in  Se  le  percosse,  e  fa  più  lente 

La  materia  arrendevole  e  cedente . 


3oB    DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 

adesso  non  ve  n'ha  alcuna •  Per  quanto  angolari 
scrittori  troppo  amanti  dell'  antichità  celebrino  la 
forza  delle  catapulte^  e  delle  baliste,  ossia  de' man- 
gani ec.  come  eguali  nell'eflFetto  dei  colpi  scagliati 
sulle  muraglie  dai  cannoni ,  è  facile  il  vedere  qnao* 
to  restavano  indietro  nella  celerità  dell' operasione. 

V  attacco  per  meno  delle  Torri  : 

Questa  è  torre  di  legno  ;  e  s'erge  tanto  » 

Che  pnò  del  moro  pareggiar  le  cime , 

Torre»  che  grave  d  uomini  ed  armata» 

Mobile  è  sulle  rote»  e  vien  tirata  • 
Viene  avventando  la  volubil  mole 

Lance  e  quadrella ,  e  quanto  può  s'accosta  : 

£  come  nave  in  suerra  a  nave  suole» 

Tenta  d*  unirsi  alla  muraglia  opposta . 

Bla  chi  la  guarda»  ed  impedir  ciò  vuole» 

L' urta  la  fronte  e  l' una  e  Taltra  costa  : 

La  respìnge  con  l'aste  »  e  le  peroote 

Or  con  le  pietre  i  merli»  ed  or  le  rote  • 
Tanti  di  qna  tanti  di  ìk  far  mossi 

£  sassi  e  dardi  »  eh'  oscuronne  il  cielo  • 

S'urtar  duo  nembi  in  aria»  e  là  fermotsi 

Talor  respinto  onde  j>artiva  il  telo. 

Come  di  fronde  sono  i  rami  scossi 

Dalla  pioggia  indurata  in  freddo  gelo» 

£  ne  caffgiono  i  pomi  anco  immaturi , 

Cosi  cadeau  i  Saracin  dai  muri  : 
Però  ohe  scende  in  lor  pih  grave  il  danno» 

Che  di  ferro  assai  meno  eran  goeraiti  • 

Parte  de'  vivi  ancora  in  fuga  vanno 

I>ella  gran  mole  al  fulminar  smarriti . 

Ma  quel  »  che  già  fu  di  Nicea  tiranno» 

Vi  resta,  e  fa  restarvi  i  pochi  arditi. 

E  *1  fero  Argante  a  contrapporsi  corre  » 

Presa  una  trave  alla  nemica  torre . 
E  da  se  la  respinge  e  tien  lontana. 

Quanto  T  anete  è  lungo  e  '1  braccio  Corte . .  . 

I  Franchi  intanto  alla  pendente  lana 

Le  funi  recideano  e  le  ritorte 

Con  lunghe  falci;  onde  cadendo  a  terra 

Lasciava  il  muro  disarmalo  in  guerra . 
Cosi  la  torre  sovra ,  e  più  di  sotto 

L' impetuoso  il  batte  aspro  ariete , 

Onde  comincia  omai  forato  e  rotto 

A  discoprir  interne  vie  scerete  ec. 


APPENDICE  3o9 

Pochi  erano  questi  atramenti  ad  un  aasedìo^  e  Tia- 
ter?allo  fra  nn  colpo  ed  ao  altro  non  piccolo^  ri- 
cercandosi non  poco  tempo  per  adattarci  pesanti 
corpi  sulla  macchina ,  e  per  caricarla ^  (4i)  e  i  colpi 
della  quale  mal  calcolati  spesso  mancavano  di  ferire 
il  posto  importante.  Il  piccolo  danno  fatto  alle  mura 
io  una  giornata  d' assalto  era  agevolmente  riparato 
Della  notte;  e  in  questa  guisa  se  l'assediata  città  era 
abbastania  fornita  di  difensori^  e  di  vettovaglie^  di 
rado  era  presa ,  avendo  i  difensori  il  vantaggio  del 
luogo.  U  astone  de'  cannoni  rapida^  e  continuata  di 
giorno  9  e  di  notte  mina  alla  fine  ogni  più  forte  ri- 
paro^ ed  è  diretta  con  matematica  sicurezza  al  punto 
che  specialmente  si  prende  di  mira.  L'arte  degl' in- 
gegneri è  giunta  a  segno  di  calcolare  all' incirca  il 
temp^  in  cui  la  piazza  sarà  presa .  Nelle  battaglie 
campali  l'effetto  del  cannone  è  stato  minore.  La 

E  nel  dmio  XVIU.  è  mirabile  la  desefiùone  di  una  torre  eom* 
posta  di  varie  macchine  da  offesa  : 
Si  scommette  la  mole,  e  ricompone 

Con  sottili  giontore  in  un  congiunta  : 

E  la  trave  »  che  testa  ha  di  montone , 

Dall'ime  parti  sue  cozzando  spunta . 

Lancia  nel  mezzo  un  ponte  :  e  spesso  il  pone 

Sull'opposta  muraglia  a  prima  giunta } 

E  fuor  di  lei  su  per  le  cime  n'  esce 

Torre  minor,  eh'  in  suso  è  spinta  »  e  cresce . 
(4i)Il  Sig.  di  Voltaire  9  avendo  interrogato  il  Conte  di  Holn- 
itein  di  Baviera  se  esiste  il  pezzo  d'artiglieria  ( Remarque  sur  V  es- 
sai desmoeurs  etc.)>  n'ebbe  per  risposta  che  dopo  le  piii  esatte 
lieerche  non  fu  trovato»  onde  conclude  la  falsità  detrasserzione:  ma 
poteva  esistere  una  volta 9  ed  essere  per  trascuratezza' distrutto. 
l<o  stesso  illustre  scrittore,  che  ha  spesso  il  difetto  di  passar  troppo 
leggermente  sulle  questioni  >  non  avrebbe  asserito  esser  falso  ,  che 
si  sia  fatto  uso  dell  artiglieria  alla  battaglia  di  Greci,  e  in  altre  oc- 
casioni in  quei  tempi,  se  avesse  avuto  satt' occhio  gli  addotti  passi 
del  Villani  e  del  Petrarca ,  che  formano  prove  positive  superiori 
alla  negativa  dedotta  dal  silenzio  degli  Atti  della  Torre  di  Londra  : 
non  avrebbe  parimente  negato  a  Rogerio  Bacone  l' invenzion  della 
polvere,  se  avesse  consultato  originalmente  l'opere  dello  stesso . 


3 IO  DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 
formidabile  bajonetta  è  giunta  a  saperarlo.  Subito 
che  una  truppa  sia  auioiala  da  un  cieco  Talore,  ed 
abbia  tanta  riaoluzione  da  correre  ed  attaccare  una 
batteria y  marciando  sui  cadaveri  de' suoi  compagni 
l' esperienza  ha  mostrato  che  la  batteria  in  pochi 
istanti  è  presa  •  Cosi  delle  armi  bianche  non  è  re* 
stato  ai  moderni  guerrieri  che  questo  terribile  istro- 
mento ^  e  la  sciabola.  Quasi  ad  ogni  guerra  si  è  ve- 
duta qualche  riforma  nella  tattica  :  e  il  celebre  au- 
tor di  quest'arte,  se  vivesse  avrebbe  di  che  &re 
delle  notabili  mutazioni  alla  sua  eccellente  opera. 
Appena  però  si  può  perdonargli  Tasseraione,  che 
dopo  la  mina  della  tattica  romana  non  vi  fu  piò  tat- 
tica fino  ai  tempi  di  Nassau  e  di  Gustavo.  Lascian- 
do da  parte  Castruccio,  e  il  Duca  Francesco  Sforsa^ 
abbiamo  notato  qual  riforma  fu  fatta  da  Gonsalvo 
nella  milizia^  riforma  che  rese  la  fanteria  spagnuda 
la  prima  truppa  d'Europa.  Chi  chiamerrebbe  que- 
st'uomo grande  privo  di  tattica?  Chi  il  Pescara? 
Chi  uno  dei  Generali  paragonabile  ai  più  grandi 
dell'antichità^  Alessandro  Farnese?  É  celebre  la 
sua  marcia  a  Parigi .  Era  questa  città  stretta  di  as- 
sedio  dalle  truppe  d'Enrico  IV.,  Farnese,  che  tro- 
vavasi  nelle  Fiandre,  ebbe  ordine  da  Filippo  IL  di 
marciare  a  Parigi,  liberarlo  dall'assedio  senza  azzar- 
dar battaglia.  Il  problema  era  de' più  difficili,  do- 
Tendo  inoltrarsi  in  paese  nemico,  e  trovarsi  conti* 
nuamente,  ora  a  fronte,  ora  ai  fianchi,  ora  alla  coda 
uno  de*pin  risoluti  guerrieri ,  qual  era  Enrico,  alla 
testa  delle  sue  valorose  troppe.  Pnre  Farnese  ginn- 
se  a  Parigi ,  fece  levar  1*  assedio  colla  più  fina  e 
maestra  tattica,  e  ritornò  nelle  Fiandre  sempre  in- 
quietato da  quell'attivo  Sovrano,  che  non  lo  poten- 


APPENDICE  Sii 

do  mai  tirare  a  battaglia  giunse  Qno  a  mandargli 
un  ridicoio  cartello  di  disfida  (4^)*  Questo  Genera- 
le, queste  truppe  potranno  chiamarsi  ignare  di  tat« 
tica  (4*})?  Non  vuol  dissimularsi  ancora  per  gloria 
deir  Italia  y  che  gì'  ingegnosi  ritrovati  con  cui  Vati- 
ban  ha  restaurato  Y  arte  di  difender  le  piazze  de- 
tonai agl'Italiani.  I  Francesi  stessi  non  prevenuti 
hanno  confessato  che  nell'  opera  del  Capitano  Mar- 
chi si  trovano  i  principj  sui  quali  Vauban  ha  rifor- 
mato Tarte  delle  fortificazioni . 


(4a)  V<  pe^  tutte  quéste  opeiMioni  ^cìalitieiite  Davìla  , 
Nlébte  prora  meglio  la  maestria  delle  operazioni  di  Farnese  »  e  la 
sapferìorìtà  sol  suo  nemico^  quanto  l'impetuosa  rabbia  di  Enrico, 
che  non  potendo  tirarlo  a  battaglia  mandò  a  disfidarvelo.  E'  nota 
la  saggia  risposta  di  quello:  cbe  non  era  solito  di  battersi  quando 
piaceva  al  nemico  »  e  cb'  ei  ve  lo  costringesse,  e  avrebbe  veduto 
che  allora  non  ricusava  la  battaglia. 

(43)  Se  Gbibert  intende  per  non  aver  tattica  non  aver  quel- 
la di  Nassau^  e  di  Gustavo,  avra  ragione  :  né  Gonsalvo,  né  il  Far- 
nese avean  cmella:  ma  siccomie  la  tattica  de*  nostri  tempi  è  forse 
pih  diversa  aa  quella  di  Gustavo  ec.  cbe  non  era  questa  dalla  tat- 
tica di  Farnese  ec.  si  potrebbe  con  lo  stesso  rondamento  asserìi^tf 
che  Nassau  e  Gustavo  aon^enoibber  la  tattiea. 


DELL'  ORIGINE  E  PROGRESSI 


DELLA. 


LINGUA  ITALIANA 


SAGGIO  PRIMO 


17  ra  i  graudi  cambiamenti  che  la  caduta  dell'  Im- 
pero Romano  ha  prodotto  in  Italia ,  uno  è  certa- 
mente la  mutazione  della  lingua .  Siccome  la  nasci* 
ta  di  questa  nuova  favella  interessa  la  Toscana  so- 
pra le  altre  provincie  d'Italia,  conviene  nella  sua 
storia  seguitarne  l'origine,  e  i  progressi,  che  ap- 
partengono  appunto  ai  secoli,  che  abbiamo  finora 
percorso.  Due  delle  più  grandi  invenzioni  degli  uo- 
mini sono  la  favella,  e  la  scrittura:  colla  prima 
hanno  espresso  le  loro  idee  per  mezzo  di  una  specie 
di  musica y  coli' altra  per  mezzo  di  una  pittura.  In 
qualunque  adunanza  di  uomini  i  più  selvaggi  oca 
è  mai  mancata  la  prima ,  e  di  rado  almeno  un  io- 
forme  abbozzo  della  seconda.  Ma  la  lingua  de'seU 
vaggi  uomini  diflferisce  da  quella  dei  culti  e  dotti; 
quanto  quelli  uomini  stessi:  i  pochi  bisogni  della 
gente  rozza  non  hanno  suggerito  che  i  vocaboli  a 
quelli  corrispondenti ,  mentre  i  tanto  moltiplicati 
bisogni  di  una  società  eulta ,  la  itarietà  tanto  mag- 
giore degli  oggetti  fisici  ,^  le  passioni  fattizie  tanto 
più  numerose,  e  la  lunga  gradazione  dei  sentimenti 
morali  ignota  ai  selvaggi,  fa  nascere  la  necessità  di 


SAGGIO  PRIMO  3i3 

esprìmere  tutte  queste  nuove  idee,  e  perciò  arrìc- 
chiflce  la  lingua  •  Posaedono  anche  i  bruti  una  specie 
di  loquela  9  con  cui  eaprimon  chiaramente  fra  loro 
le  passioni  più  forti ^  lo  sdegno ^  T amore,  la  gelosia, 
i  demderjy  e  la  intendiamo  ancor  noi  in  quel  bruto 
specialmente  che  abbiamo  quasi  associato  alla  civil 
società,  e  che  è  divenuto  al  pastore  fido  guardiana , 
ed  il  compagno  e  Tajutoal  cacciatore.  La  formasio- 
ne  delle  lingue  non  è  stata  finora ,  e  probabilmente , 
non  sarà  mai  V  opera  dei  filosofi  ;  onde  non  è  da 
maravigliarsi  di  tutte  le  loro  irregolarità ,  e  capric* 
ci:  son  figlie  meno,  della  ragione,  che  dell' imma* 
gÌDa£Ìone  :  e  questa  essendo  vivissima  tra  i  selvag- 
gi ,  anche  in  tale  imperfetto  stato ,  ha  perciò  delle 
parole  sommamente  pittoresche.  Oltre  la  naturai  for- 
mazione della  lingua  fra  gli  uomini  di  fresco  riuniti 
insieme  ,  vi  è  quella  a  cui  debbono  V  origine  molte 
delle  lingue  moderne,  cioè  il  mescolamento  grande, 
ed  improviso  di  una  lingua  con  un'altra,  come  av- 
viene ad  un  popolo  che  è  conquistato*  L'inglese,  la 
francese,  la  spagnnola,  e  l'italiana  riconoscono  que- 
sta causa.  La  nostra  ebbe  per  sua  principal  madre 
la  latina,  a  cui  tanto  si  rassomiglia  •  Fino  dai  tempi 
nei  quali  Roma  era  la  signora  del  Mondo,  concor- 
rendo a  Roma  tanti  stranieri  tratti  dalla  curiosità, 
0  in  cerca  di  ricchezze,  di  onori,  e  di  stabilimenti, 
si  dovea  insensibilmente  alterare  la  Terenziana,  e 
Tulliana  purità,  come  chiaramente  si  lagna  essere 
avvenuto  già  ai  suoi  tempi  Tullio  medesimo  (i),  e 

»  (i)  Aetatis  iUius  istafuit  laus  tanquam  innocentiae  sic  la- 
»  tìne  loquendi,  sed  hanc  rem  deteriorem  vetustas/ecit  et  Somme , 
»etin  Graecia  :  confluxerimt  enim ,  et  Athenas  :  et  in  hanc  ur- 
»  bem  multi  inquinate  loquentes  ex  diversis  locis  quo  magis 
»  expurgandus  est  sermo .  (  Cic*  de  dar,  orai,) 


3i4  DELL'ORIO.  DELLA  LINO.  ITAL. 
in  seguito  il  latino  Satirico  (2) .  TiRUvia  finché 
Roma  fu  la  padrona^  e  che  i  forestieri  non  vi  veni- 
vano che  come  tributar^,  erano  obbhgaii  ad  appren- 
der la  lingua  dei  vincitori ,  e  l'alteraùone  era  len- 
tissima. Ma  quando  i  Barbari  ebbero  soggiogaU 
F.Italia^e  vi  stabilirono  il  regno^  toccò  allbrar  ai 
tinti  Italiani  ad  imparar  la  lingua  dei  Barbari.  Sic- 
come però|  per  quanto  numerosi  fossero  i  vincitori^ 
erano  di  assai  superati  dai  sudditi  Katiani  dovea  il 
fondo  della  lingua  latina  conservarsi ,- ma  prender 
nuove  foggie,  e  piegarsi  quasi  alle  leggi  delle  Ungve 
dei  vincitori. 

Che  la  lingoa  italiana  con  piccola  differema  da 
quella  che  dal  volgo  si  parla  adesso  esistesse  anche 
presso  gli  antichi  Romani^  e  fosse  b  lingoa  del  vol- 
go^ è  un'opinione  che  appena  posso  farmi  a  credere 
essere  stata  seriamente  sostenuta  da  uomini  assai 
dotti.  Tale  fu  il  sentimento  di  Leonardo  Brunii  e 
difendendosi  anche  da  Ercole  Strozzi  nei  dialoghi 
del  Bembo ,  ci  si  mostra  che  questa  opini<me  avea 
anche  in  quei  tempi  dei  seguaci .  Fino*  nei  tempi 
nostri  un  uomo  di  merito»  il  Quadrio,  Tha  soste- 
nuta. I  loro  argomenti  son  tanto  frivoli  da  non  me- 
ritar confutazione,  giacché  altro  da  essi  non  poà 
dedursi  se  non  che  la  plebe  romana  parlava  un  la- 
tino corrotto,  che  differiva  da  quello  degli  elegaati 
scrittori,  quanto  la  lingua  italiana  del  popolaeciù 
differisce  da  quella  dei  Redi,  e  dei  Cocchi .  Né  meno 
singolare  é  l'opinione  del  March.  Maffei ,  che  non 
crede  che  le  lingue  dei  Barbari  conquistatori  ab* 
biano  niente  contribuito  alla  formazione  della  nuo- 

(a)  Jampridem  Sirus  in  Tiheriin  defluxit  Orontes 
Et  linguam,  et  mores.,,,  vexit.  Ja?.  sat.  a. 


SAGGIO  PRIMO  3i5 

va  lingua^  e  che  solamente  sia  nata  dalla  continuata 
alterazione  della  latina  •  Non  vi  è  che  un  ingegnoso 
argomento  di  questo  scrittore ,  che  non  vale  per  ve- 
rità a  stabilire  il  suo  sentimento^  ma  piuttosto  a  far 
nascere  una  difficoltà  non  focile  a  sciogliersi.  Es- 
sendo le  lingue  boreali  de' conquistatori  sì  dure,  di- 
sarmoniche, e  piene  di  consonanti ,  come  mai  da 
quelle  unite  alla  latina  ha  potuto  nascere  una  fa- 
vella così  dolce ,  e  così  piena  di  vocali  ?  Non  si  pud 
risponder  altro  che  questa  è  una  di  quelle  biszarrie 
del  caso,  T irregolari,  ed  innumerabili  direzioni 
del  quale  non  può  l'umano  ingegno  né  prendere, 
né  seguitare;  e  che  è  nata  questa  dolce  lingua  nello 
stesso  modo  che  spesso  da  deformi  genitori  nascono 
bellissimi  figli,  o  come  si  esprime  l'Ariosto, 

Che  dalle  spine  ancor  nascon  le  rose^ 
E  da  una  fetid* erba  nasce  il  giglio* 

Ma  egli  é  certamente  impossìbile  che,  unite  e  con- 
fuse insieme  due  nazioni,  le  parole  specialmente 
della  dominante  non  entrino  nell'altra  favella ,  sa- 
pendo noi  per  una  lunga  esperienza,  che  nazioni 
estere ,  e  non  assolute  padrone  d' Italia  ,  come  la 
spagnuola ,  e  la  francese ,  in  tempo  in  cui  vi  do- 
minarono colle  mode,  con  T influenza,  vi  hanno 
insinuato  moltissime  parole.  Molto  più  dovea  ciò 
avvenire  relativamente  alla  lingua  di  un  popolo 
padrone,  e  stazionario  in  Italia,  e  che  parlava  con 
schiavi .  Inoltre  i  faticosi  etimologisti  ci  mostrano 
chiaramente  moltissimi  de'  settentrionali  vocaboli, 
che  vi  si  sono  introdotti  (5);  fa  d' uopo  però  confes- 

(3)  Tedi  soprattatti  11  Muratori  nelle  antich.  Ital.  disser- 
tas.  3!i.33. 


3 1 6  DELL'QRIG.  DELLA  LING.  IT  AL. 
aare  che  questi  hanno  una  piccolissima  proporaone 
coi  vocaboli  di  origine  latìna^de'quiali  per  la  maggior 
parte  è  composto  il  nostro  linguaggio  (4)*  Nata  cosi 
l'italiana  favella  ha  perduta  una  delle  più  belle  qua- 
lità della  madre^  cioè  le  declinazioni ,  e  perciò  ha 
dovuto  ricorrere  agli  articoli  y  di  cui  era  priva  la  la- 
tina^ per  indicar  con  essi  il  caso,  che  in  quella  era 
indicato  dalla  varia  terminazione  della  parola:  per 
questo  cangiamento  sì  è  resa  per  dir  così  più  pesan- 
te, e  certamente  più  monotona,  giacché  in  vece 
dell'iperbato  tanto  gentilmente  variato  dai  Latini, 
e  che  concilia  tanta  maestà  alla  dizione,  è  obbliga- 
ta per  causa  degli  articoli  a  presentare  in  ordine 
poco  variabile  il  nominativo,  il  verbo,  e  l'accusa- 
tivo. Invano  il  Boccaccio,  e  dietro  a  lui  molti  de- 
gli antichi  scrittori  hanno  tentato  di  dare  alla  figlia 
questa  bellezza  della  madre,  colle  trasposizioni. 
L'esperienza  ha  mostrato  che  ella  non  vi  si  presta. 
L'essenziali  mutazioni  cominciarono  pertanto  quan- 
do, ruinato  l'Impero  di  Occidente,  prima  i  Goti 
nel  secolo  VI  in  seguito  i  Longobardi  si  stabilirono 
in  Italia.  L'inondazione  poi  temporaria  chetante 
volte  ha  sofferto  dai  Greci,  che  sotto  la  scorta  di 
Belisario  ,  e  Narsete  son  venuti  a  riconquistare  uà 
patrimonio  reclamato  dagl'Imperatori  di  Oriente  e 
vi  si  SODO  lungamente  trattenuti,  dai  Franchi, da- 
gli Ungheria  e  da  altre  nazioni,  dovette  appunto 
come  le  inondazioni  dei  fiumi,  e  dei  torrenti  lasciar 
sul  suolo  d'Italia  delle  particelle  eterogenee  e  stra- 
niere ,  che  mescolate  collo  sfigurato  latino,  hanno 

(4)  Si  prendu  un  libro  italiano,  e  si  cominci  a  leggere  »  si 
scorrerli  talora  un*  intera  pagina  in  coi  tutte  le  parole  si  Utnreraa- 
no  di  origine  latina  • 


SAGGIO  PRIMO  3i7 

fioalmeote  composto  Tltaliana  favella.  Il  periodo^ 
ÌQ  cui  è  atidata  forinandosi ,  à  assai  lungo,  e  com- 
ppeiidc  più  secoli  ;  ma  siccome  non  abbiamo  auto- 
revoli  testimonianze  che  ella  sia  stata  cominciata  a 
scrivere  avanti  al  fine  dell' undecimo  secolo,  con- 
vien  concedere  circa  a  sei  secoli  alla  sua  Ibrmazio- 
ne.  Questa  languida  e  lunghissima  infanzia  si  dee 
specialmente  alla  barbarie,  ed  alla  profonda  igno- 
ranza  in  cui  restarono  immersi  gl'Italiani.  Non 
possiamo  con  precisione  fissare  il  tempo,  in  cui 
aveva  acquisUto  sufficiente  forma  da  esaere  scritta 
perchè  tutto  si  scriveva  in  latino,  ma  nelle  Carle 
di  questo  stesso  latino  le  piò  antiche  si  trovano 
delle  parole  della  lingua  volgare  già  nata,  parole 
che  l'ignoranza  dell'equivalenti  latine  costringeva 
i  barbari  scrittori  a  latinizzare  appunto  come  il 
volgo  di  Ungheria  anche  nei  i;iostri  tempi  parla  la- 
tino,  o  siooili  a  quelle  che  la  bizzarria  dell'imma- 
gioazione  ha  fatto  burlescamente  latinizzare  nelle 
Hacheronee  poesie  di  Merlino  Coccai .  Vi  hanno  di 
queste  Carte  che  dai  dotti  autiqoarj  si  riferiscono 
all'ottavo,  ed  anche  al  settimo  secolo  (5),  onde  fa 

(5)  Ve  ne  sono  alcune  importantissime  per  provare  la  nostri 
proposizione  riporUte  dal  Murai.  Antiqui,  ital.  diss.  ^.  In  una 
Cèrta  del  Capitolo  di  Lucca  dell'anno  777  si  trovano  T espressio- 
DI  :»  Ojgfero  a  Deo  omnipoienti,  et  ad  Ecclesia  monasteri  eie.  Si 
▼eggono  ^à nati  gli  articoli  nel  volgare,  e  traspoitali  per  ignoràn- 
la  nel  laUno  :  (Offro  a  Dio,  e  alla  Chiesa  )  In  Legibus  Alamannis 
Cap.  Baliisii  s'incontrar  posaru  arma  Josum(^OMir  già  le  ar- 
mi); la  parola  josum  per  giù  trovasi  anche  nelle  opere  *  S 
AgMUno.  In  una  Carta  del  secolo  Vin,  in  cui  si  distinguono  i 
«onfim  di  possessioni  scritta  in  latino  si  trovano  le  parole  • 
da  pars  (da  un  lato)  da  uno  capu  corra  via  pubblica.  AlirB 
Carta  del  nono  secolo:  jivent  in  longo  periicas  guatordice, 
ut  traverso  de  uno  capo  pedes  dece^  de  alio  nove  in  tra'- 
verso.  Ma  una  delle  Carte  che  meriu  ossenraxione  su  tntte 
«  tllre  si  trova  nell'Archivio  sopra  mentovato  dei  Canonici  di 


3i8  DELL'ORIO.  DELLA  LING.  IT  AL. 
d'uopo  convenire^  che  fioo  da  questi  tempi  la  lin- 
gua volgare  avesse  comincialo  a  formarsi ,  e  che  vi 
fossero  già  due  lingue ,  una  latina  per  scrivere , 
r  altra  volgare^  di  cui  si  faceva  comunemente  uso: 
né  è  verisimile  come  alcuni  hanno  creduto  che  fosse 
una  sola,  e  questa  latina,  come  la  troviamo  in  quei 
tempi  scritta.  I  documenti  da  noi  riportati  nelle 
note  vi  sì  oppongono;  ed  essendosi  cominciata  a 
scrivere  l'italiana  favella  sicuramente  nei*duodeci- 
mo  secolo,  convien  dare  un  conveniente  tempo  al- 
la sua  formazione,  prima  che  potesse  scriversi ^  e 
quest'operazione  non  suol  essere  molto  sollecita.  11 
più  specioso  argomento  che  si  porti  per  provare  che 
nei  secoli  XI  e  XII  il  volgo  parlasse ,  ed  intendesse 
il  latino  si  è  che' in  latino  si  predicava  al  popolo: 
ma  questa  è  una  di  quelle  frequentissime  contra- 
dizioni,  e  di  quelle  appena  intelligibili  stravaganze 
che  si  trovano  nelle  cose  umane.  Si  usava  la  lingua 
latina  per  più  maestà;  era  la  lingua  sacra,  la  lin- 
gua dei  dotti  ;  e  nella  stessa  forma  che  si  predicava 
allora  in  lingua  non  intelligibile  al  volgo,  adesso 
questo  medesimo  volgo  nei  riti  i  piii  venerabili 

Lucca.  Yed.  Murai,  disi.  24.  In  essa  si  dà  la  deicrizìotie  di  vt- 
rie  ricetle  per  tingere  i  mofaici»  e  le  pelli»  e  per  scrivere  colToro  li- 
quido. Si  crede  questa  Carta  dal  dotto  MabElon  appartenere  ai 
tempi  di  Carlo  Magno  .*  Vi  si  leggono  le  seguenti  espressioni .-  ejcis 
ut  refridet  — ^  secundo  quod  -—  (secondo  che  )  cuse  ipsas  peiies, 
laxas  desiccare  (lascia  seccare)  batte  lamina  ,  et  post  iila  baltm- 
ta  -«  per  martellum  adequetur  tam  de  latum,  qiuun  de  langum — 
scaldiuo  ilio  infoco  batte  et  tene  illum  cum  tenaiea  ferrea  — 
sed  tornate  de  intro  inforas  -—  destende  atm  ibi  scalda  *'-*  pone 
ad  battere  et  denante  —  setacciatur  — *  modicum  laxa  st4ìre  — 
adplanare  cum  matiola  lignea ^-^  ossa  grand.  Questa  Carla 
scritta  in  latino  :  mostra  già  nate  molte  parole  dell'  italiana  favel- 


Li  •  Varj  dotti  uomini  Credono  che  appunto  nd  settimo  secolo 
aJiSé^^  esser  parlata  comunemente  la  lingua  latina  »  e  cominciasae 
im  imperfetto  gergo  della  volgare.  Blair,  Cronologi 


SAGGIO  PRIMO  Sf9 

iiialsa  le  sue  preghiere  al  Cielo  nella  alesaa  lingua ^ 
che  Qou  intende.  Che  le  latine  prediche  poi  non 
fossero  intese  dal  popolo  che  le  ascoltava  chiara- 
mente si  deduce  dalle  ìnterpetnizioni  che  dopo  la 
predica  latina  si  fiicevaoodi  essa  al  volgo  (6).  Dalla 
copia  delle  volgari  parole  che  si  ritrovano  nelle  la- 
tine carte  deir  ottavo  secolo  si  può  con  molta  ra- 
gione asserire  che  fino  da  quel  tempo  si  parlava 
comunemente  la  volgare  favella  •  Benché  non  si 
possa  con  precisione  assegnare  il  tempo ^  in  cui  si  è 
cominciato  a  scriverla^  è  chiaro  però  esser  ciò  av- 
venuto prima  della  metà  del  duodecimo  secolo.  Se 
non  si  volessero  ammettere  come  una  prova  sicura 
i  versi  italiani  che  stavano  scritti  in  mosaico  nella 
tribuna  delFantica  cattedrale  di  Ferrara  (7),  (giacer 
cbè  può  moversi  il  dubbio,  che  sieno  stati  scritti 
qualche  tempo  dopo  per  confermare  una  memoria 
venata  per  tradizione)  toglie  ogni  dubbio  una  mem- 
brana riportata  dall' Ughelli  (B).  Nel  seguente  se* 

(6)  Tedi  Antìcli*  Estensi  par.  I.  cap.  36.  pag.  356.  Parlandosi 
di  on'  omelia  del  Patriarca  di  Aquileja  31  dice  :  quam  praedictus 
Pairiarcha  liberaliter,  sapienter  praedicasset ,  et  per  eum  (c'tok 
prò  eo  )  Gherardus  Paduanus  Episcopus  m ateanaliter  ejusprae- 
dicationem  explanasset  ec,  Qaesta  notizia  toglie  ogni  diiBcoltli 
mostrando  l'uso  delle  due  lingue  latine,  e  volgare.  Anche  nei 
tempi  posteriori  ;  dopo  formata,  e  cominciata  a  scriversi  la  lingua 
italiana,  si  è  seguitato  V  uso  negli  atti  pubblici,  neUe  pubbliche  e 
solenni  orasioni  di  parlar  latino.  Dante  inviato  ambasciatore  al 
Senato  Veneto  avea  cominciata  la  sua  orazione  in  latino ,  ma  il  Se- 
nato lo  fece  tacere  ,  o  dimandò  che  conducesse  seco  un  interpre- 
te, di  che  egli  altamente  si  bgna .  Yed.  Lett.  di  Dante. 
(^}  Baruff.  Pref.  ai  Poeti  Ferraresi  :  ecco  i  versi 

//  mUle  cento  trempta  cinque  nato 

Fu  questo  tempio ^  e  a  Zorzi dedicato: 

Fu  Niccolao  scolptore, 

E  CUelmofu  fautore . 
Di  essa  si  parlerà  piii  aJLutigo  nel  saggio  secondo . 

(S)  Ital.  Sacr.  La  membrana  è  scritta  in  lingua  volgare,  e  A 
appartiene  ali*  anno  1 1  a2  .-  in  essa  si  stabiliscono  alcuni  conOui . 


Ì2ù    DELL'ORIG.  DELLA  LING.  ITAL. 

cole  poi  fu  comunemedte  scritta  ^  e  la  Toscana  ne 
ha  il  più  autentico  documento  neirìatoria  di  Ricor- 
dano Malaspina,  la  prima  che  in  italiana  fiiyella  aia 
^ta  scritta  (9).  Appena  però  gF  italiani  ingegni 
risvegliati  dal  lungo  sonno  d'ignoranza^  e  special- 
mente/i  toscani  cominciarono  a  maneggiarla,  ne 
ingentilirono  la  rozzezza^  l'arricchirono  di  nuoye 
spoglie  f  e  a  poco  a  poco,  per  dir  così^  toltala  dalla 
degradazione  in  cui  giaceva  nella  bocca  del  volgo, 
la  sollevarono  a  segno  da  potere  assidersi  con  di- 
gnità accanto  alla  madre  senza  quasi  perdere  nel 
confronto.  Ma  come  appunto  nei  giovani  la  prima 
facoltà  che  si  mostra  è  T immaginazione  avanti  alla 
matura  ragione,  cosi  nelle  lingue  nascenti  la  figlia 
deir immaginazione,  cioè  la  poesia,  suol  precedere 
la  filosofia.  I  poeti  si  distinsero  i  primi  nel  polire, 
ed  arricchire  la  nostra  lingua.  Quando  ci  facciamo 
a  considerare  però  i  rozzi,  duri^  ed  insipidi  yovi 
che  si  scrivevano  in  Italia  anche  dopo  la  metà  del 
XIII  secolo;  e  sulla  fine  poi  di  esso  troviamo  scrit^ 
to  per  una  gran  parte  il  maraviglioso  poenu  di 
Dante,  non  possiamo  che  guardar  con  somma  am- 
mirazione i  progressi  della  lingua,  o  piuttosto  il 
divino  ingegno  di  quel  gran  poeta.  Non  può  for- 
uiarsi  una  giusta  idea  del  merito  di  Dante  chi  non 
legge  gli  scritti  dei  suoi  predecessori  per  conoscer 
la  povertà  della  lingua.  Egli  ne  è  stato  veramente 
il  creatore,  e  in  specie  della  lingua  poetica.  I  gran- 


(9)  Fa  molla  maraviglia  che  T  eruditiatimo  Tiraboschi  yw- 
dare  an  saggio  della-rossezxa  deUa  lingua  italiana  nel  aeoolo  TOSL 
riporti  alenai  versi  molto  rossi,  scritti  neU'  anno  1  a64  da  nn  poeti 
milanese.  Quando  avrebbe  potuto  avere  nn  migliore^  e  pia  pv^ 
modello  ndl'istoria  del  Malaspìna,  scritta  certamente  avanti  a  qasl 
tempo. 


SAGGIO   PRIMO  3ai 

dissimi  poeti  sono  anche  più  rari  dei  grandi  Glosofi, 
perchè  il  talento  di  quelli  è  formato  da  due  ele- 
menti y  che  rarissimamente  possono  insieme  tro- 
varsi uniti ,  e  che  sembrano  anzi  incompatibili , 
cioè  di  una  vivacissima  immaginazione ,  e  di  un 
freddo  e   pacato  giudizio.   Innumerabili  sono  le 
immagini  che  alla  fantasia  commossa  si  affacciano, 
e  le  volano  intorno  rapidamente:  in  quella  folla  fa 
d'uopo  che  la  tranquilla  ragione  scelga  le  poche , 
capaci  di  formare  il  bel  quadro.  L'immaginazione 
è  un  ardente  destriero  ^  che  lasciato  a  se  stesso  sal- 
terebbe irregolarmente  fuori  di  strada  per  balze  e 
dirupi^  a  rischio^ sempre  di  fiaccarsi  il  collo:  il  giu<* 
dizio  è  il  cavaliere  y  che  lo  regge  non  con  ruvido 
cavezzone,  ma  con  un  filo  di  seta.  Se  la  briglia  sia 
troppo  dura,  se  con  indiscreti  tratti  ne  faccia  trop« 
pò  uso  il  cavaliere^  perde  il  cavallo  la  sua  sensibi- 
lità, né  più  si  arrischia  ai  bei  slanci.  Di  qui  nasce 
che  i  poemi  di  grande  immaginazione  nascono  nei 
tempi,  nei  quali  ìion  è  ancora  formata  la  severa 
critica  j  che  colla  sua  fredda  circospezione  spegne 
sovente  il  bel  fuoco  poetico.  Questo  rarissimo  ta- 
lento, composto  di  quei  due  ingredienti  nella  loro 
giusta  dose,  per  dono  singolare  avea  concesso  la 
ffatura  a  Dante:  potè  perciò  creare  non  solo  la  lin- 
gua poetica,  ma  molte  parole  e  frasi,  di  cui  si  ar- 
ricchì ancor  la  prosa .  Noi  adesso  non  ci  accorgiamo 
gran  fatto  di  quanto  siamo  debitori  a  questo  gran 
scrittore,  perchè  le  ricchezze  che  ha  recato  nella 
nostra  lingua  son  divenute  comuni  agli  scrittori  suc- 
cessivi, onde  non  si  rimonta  mai  air  origine;  come 
un'opulenta  famiglia  godendo  delle  sue  ricchezze!^ 
di  rado  rivolge  grato  il  pensiero  a  colui ,  che  sudi 

J'OMO   I.  21 


^. 


3aa  DELL'OaiG.  DELLA  LING.  ITAL. 
tanto  il  priiuo  per  adunarle.  Non  è  questo  il  luogo 
di  mostrare  le  sue  felici  fatiche.  Ciò  richiederebbe 
un'analisi  troppo  minuta ,  e  troppo  tediosa.  Può 
dirsi  che  egli  facesse  come  Augusto  che  trovò  Roma 
£sibbricata  di  mattoni^  e  la  lasciò  di  marmo  (io).  Nou 
sarebbe  a  proposito  il  r  innuova  re  adesso  un'odiosa, 
e  disgustevoi  questione,  che  nel  secolo  XVI  eoo 
tanta  animosità  divise  gl'italiani  letterati  ,  se  que- 
sta lingua ,  toscana y  o  italiana  debba  appellarsi  ;  ma 
piuttosto  è  questo  il  luogo  di  giustificare  i  Toscaoi 
dall' imputazione  di  esercitare  un  dispotismo  sUlla 
lingua,  e  di  non  ricevere  che  con  difficoltà  le  pa- 
role dell'altre  italiane  provincie^  erigendo  una  spe* 
eie  di  tribunale,  e  facendosene  giudici  esclusivi. 
Esaminiamo  imparzialmente  se  i  Toscani  abbiano 
qualche  dritto  di  più  degli  altri  Italiani  in  questo 
giudizio.  Il  caso  ha  fatto  che  i  primi  grandi  scritto- 
ri sieno  stati  toscani.  Dante,  Petrarca,  e  Boccaccio 
scrissero  la  loro  lingua.  Ciò  è  tanto  vero  che  il  dia- 
letto toscano  fu  quello  che  a  preferenza  di  qualun- 
que altro  d'Italia  (i  i)  essi  scrissero,  che  con  picco- 


(lo)  SvetOD.  Yit.  August. 

(li)  Contro  qaesta  asserzione  si  suol  citare  raatoritìi  di  Dan- 
te che  nel  libro  de  vuleari  Eloquentia  è  stato  di  contrario  senti- 
mento .  Io  non  porrò  in  dubbio,  come  alcuni  banno  fatto,  l'aii- 
tenticità  di  questo  libro  :  noterò  solo  cbe  non  si  può  citar  Dante  su 
questo  articolo .  La  lingua  era  allora  incerta  ed  errante,  non  a?eTa 
preso  indole  e  carattere  prima  che  da  luì  fossero  impressi  ;  non  po- 
teva Romolo  parlare  della  grandezza  di  Roma  prima  di  arerb  fab- 
bricata .  Dante  co'  suoi  due  grandi  successori  Petrarca  »  e  Boccac- 
cio fondarono  la  lingua ,  e  la  fondarono  su  base  toscana .  Se  que- 
sti tre  usarono  pi*eferibilmen  te  la  toscana ,  la quistione  è  decisa. 
Questo  mi  par  aimostrato  dall'  osservare  cbe  di  tutti  i  vocaboli  e 
dialetti  d'Italia,  il  dialetto  e  vocaboli  toscani  son  quelli  cbe  vi  si 
ritrovano  per  la  maggior  parte ,  e  cbe  questi  son  tuttora  in  bocca 
del  comune  dei  Toscani.  E  perchè  non  vi  si  trovano  i  dialetti,  e  i 
vocaboli  dell*  altre  provincie ,  se  non  assai  di  rado  ? 


SAGGIO   PRIMO  3a5 

lissiroa  variazione,  si  parla  ancora  in  Toscana.  La 
para  lingaa  del  Boccaccio,  e  degli  altri  antichi  si 
couserva  assai  più  nei  volgari  artigiani  fiorentini,  e 
nelle  genti  del  contado,  che  nella  più  eulta,  e  no- 
bil  parte  di  Toscana,  nella  quale  il  eomniercio  C(^ 
forestieri  ha  non  poco  alterato  l'antica  &vella;  e 
non  di  rado  avviene  che  alcune  parole  di  quei  scrit- 
tori andate  in  disuso  si  ritrovino  nelle  campagne  io 
bocca  dei  pastori  come  vi  si  ritrova  l'antica  sera* 
plicità  dei  costami.  Avendo  la  toscana  lingua  pos- 
seduto fortunatamente  i  primi  illustri  scrittori,  es- 
sa è  divenuta  la  lingua  dotta,  la  lingua  da  scriver* 
si;  haono  quelli  sudato  ad  ornarla  ogni  giorno  di 
nuovi  e  ricchi  fregj:  tutte  le  aggiunte  furono  mo^ 
(Iellate  sul  dialetto  toscano:  da  essi  soli  ha  acquir 
stato  la  purità,  l'eleganza,  che  adesso  non  è  più 
possibile  il  toglierle:  e  realmente  che  eos'è  purità, 
ed  eleganza  di  lingua?  (12)  Rimontando  ai  tempi 
rozzi  quando  una  lingua  è  priva  di  scrittori  non 
esiste  allora  uè  purità,  né  eleganza:  tutte  le  parole 

(la)  Fa  molto  meravìglia  come  ano  dei  più  ìIIimUì  Italiani  vi* 
fentioieghi  l'esistenza  di  purità  delle  lingue,  {Snegio  sulla  Un» 
gua  Italiana  delV Ab,  Melchior  Cesarotti)  ecco  le  sue  parole } 
»  Ifiuna  lingua  ^  pura.  Non  solo  non  esiste  attualmei|te  ^ana  di 
»  tale,  ma  non  ne  fu  mai ,  anzi  non  può  esserlo  :  poiché  una  lin- 
»  goa  nella  sua  primitiva  origine»  si  torma  dall'accozzamento  di 
^  varj  idiomi—.,  quindi  la  supposta  purità  d^Ue  lingue  oltre  che  è 
»  afiàtto  falsa,  è  inoltre  un  pregio  chimerico,  poiché  una  lingua 
»  del  tutto  pura  sarebbe  la  più  meschina ,  e  barbara  di  quante 
»  esìstono  ee.  »  Lo  stesso  autore  poi  scordatosi  di  quello  ehe  ha  as- 
»  serito  aggiunge  più  sotto  :  »  Quindi  è  ridicolo  il  credere,  come  sì 
»  crede  e  si  afl'erma ,  che  la  lingua  latina  fosse  men  latina  nel  se- 
»  colo  detto  di  bronzo,  che  in  quel  dell'  oro ,  benc/iè  forse  potesse 
»  dirsinnea  ^ìxrsL :  >»  Non, è  questa  un'evidente  contradizione  ad 
onta  dèi  forse?  L'  opera  citata  è  piena  di  strane  asserzioni  di  Xhk'd 
tenore  che  pajouo  dirette  in  specie  contro  i  Toscani  :  spero  che  chi 
le  ha  lette ,  le  troverà  pienamente  confutate  nel  presente  ragiona* 
mento  senza  che  vi  sia  di  me^iei^  di  analizzarle  ad  naa  p^  v«lta  • 


3a4  DELL'Ol^IG.  DELLA  LINO.  ITAL. 
sono  eguali ,  come  gli  uomini  nello  stato  di  natura: 
solo  si  distinguono  dalla  moltitudine  alcune  poche, 
che  esprimono  col  suono  le  idee  rappresentate.  Pri- 
ma dei  grandi  scrittori  tutte  le  parole,  o  toscane,  o 
lombarde,  ó  veneziane,  o  napoletane,  tutti  i  loro 
dialetti  avevano  un  merito  eguale;  ma  dopo  che  on 
sommo  ed  imaginoso  scrittore  ha  preso  ad  accop- 
piare le  toscane  parole  colle  belle  imagini^  dopoché 
tante  volte  sono  state  il  veicolo  allo  spirito-  ed  al 
cuore  di  grandi  pensieri,  di  dolci,  e  delicati  senti- 
menti, dopo  aver  noi  fremuto  per  mezzo  di  esse 
all'atroce  spettacolo  di  Ugolino,  versato  delle  tene- 
re lacrime  su  i  due  sfortunati  Cognati,  Tanimo,  e 
r orecchie  associano  a  quelle  parole  quelle  idee;  e 
potendosi  dir  lo  stesso  in  tutti  gli  altri  casi,  ecco 
come  i  grandi  scrittori  danno  ad  un  dialetto  na- 
scente ,  e  perciò  come  hanno  dato  al  nostro  toscano 
la  purità ,  la  nobiltà  e  1'  eleganza  •  I  susseguenti 
scrittori  si  son  formati  su  i  primi ,  e  non  hanno  fatto 
che  coltivar  Io  stésso  terreno.  Sono  gli  uomini  ani- 
mali di  abitudine,  l'associazione  delle  idee  è  per 
loro  una  seconda  natura  (i3);  da  quella  nascono 
innumerabilì  piaceri ,  e  dispiaceri  :  il  trovarci  nella 
italiana  lingua  presentati  i  più  bei  quadri  di  natura 
pel  veicolo  delle  parole  e  dialetto  toscano^  ^la  unito 
sì  strettamente  insieme  Tidea  di  purità,  di  elegan- 
za e  di  nobiltà  colle  toscane  frasi,  che  senza  accor- 
gersene ,  pronunziate  ancora  dai  non  Toscani  si 
ascoltano  con  una  specie  di  riverenza  per  le  ima- 
gini  con  cui  sono  state  accoppiate.  Quando  più  scrit- 
tori celebri  sorti  i  primi  in  una  lingua,  hanno  mes- 

(tS>  ][jok«  htiBiaa  UndersUodiiig.  a.  Bool. 


SAGGIO   PRIMO  3^5 

se  ÌD  corso  le  parole  di  quella^  e  le  hanno  elevate 
per  dir  così  alla  dignità  di  rappresentare  delle  idee 
nobili ,  dei  pensieri  grandi ,  diventano  nobili  an- 
ch'esse, molto  più  quando  sono  state  mantenute 
in  questo  possesso  dagli  scrittori  nella  celebrità  suc- 
cessori dei  primi^  e  quando  i  più  illustri  uomini 
estranei  alla  Toscana,  come  un  Ariosto,  un  Tasso, 
8Ì  son  soggettati  con  poche  eccezioni  alla  medesima 
legge.  Giunge  un  punto,  in  cui  la  lingua ,  che  po- 
vera al  principio  va  sempre  arricchendosi,  ha  acqui- 
stato tutti  quei  colori,  ossia  quelle  parole,  e  quelle 
frasi  con  cui  può  vivamente  dipingere  e  le  vaghe 
scene  della  natura,  e  le  passioni  forti,  e  le  modifi- 
cazioni di  esse:  queste  parole,  queste  frasi. prima 
messe  in  corso  dagli  scrittori,  che  hanno  formato 
la  hngua,  indi  accettate  ,  e  confermate  da  quelli 
venuti  dopo,  son  quelle  che  formano  ciocché  chia- 
masi purità  di  lingua .  Dopoché  il  tempo  ha  per  dir 
cosi  messo  il  sigillo,  e  autenticate  come  pure  quelle 
parole,  e  quelle  frasi,  sarebbe  opera  perduta  il  con- 
trastar loro  questo  rango  colle  metafisiche  sottigliez- 
ze, sostenendo  che  non  esiste  purità,  o  impurità  di  ' 
lingua .  È  la  lingua  uq  fiume  che  scarso  da  princi- 
pio va  ingrossandosi  di  pure  acque,  e  diviene  a  po- 
co a  poco  profondo,  ma  limpido,  e  trasparente  (i 4); 
dopoché  é  giunto  alla  sua  pienezza  comincia  a  rice- 
ver dei  rivi  sempre  più  lutulenti;  quanto  più  corre 

(  1 4)  Lo  stile  di  una  lìngua  glanU  alU  sua  perfezione  può 
esprimersi  con  due  yersi  scritti  sm  Tamigi  da  uno  dei  più  celebri 
poeti  inglesi  Deuham,  yersi  tanto  giustamente  celebrali  dai  suoi 
concittadini . 

Thù*  déepyet  èUar^  tho*  gentlejret  noi  duU* 
Strong  vuitho*  ut  rage ,  witho'  ut  overflouring  ^fuìV . 
»  Quantunque  profondo,  chiaro;  quantunque  placido ,  non  tor» 
»  bido;  forte  jenxa  furia ,  pieno  senza  traboccare  « 


3a6  DELL'OBIG.  DELLA  LING.  ITAL. 
si  arricchisce,  ma  le  troppe  ricchezze^  come  acca- 
de ^d  una  nazione,  la  corrompono.  I  fatti  vaglion 
più  dei  ragionamenti:  si  paragonino  Tullio  con  Se- 
neca 9  Virgilio  con  Lucano  ec.  Non  vi  è  bisogno  per 
le  persone  di  gusto  di  ragionare,  ma  di  sentire:  si 
sentono  le  orecchie  delicate,  ed  use  a  ciò  che  noi 
chiamiamo  eleganza  ,  ferire  ingratamente  da  una 
parola  o  nuova,  o  straniera,  e  che  non  è  in  corso, 
come  una  società  eulta  e  civile  resta  offesa  da  una 
persona  zotica  e  villana  che  vi  sia  introdotta;  ben- 
ché riguardate  filosoficamente  e  senza  le  regole  di 
convenzione,  che  Tabitudiue  ha  stabilite,  né  quel- 
le, né  queste  maniere  posson  chiamarsi  rozze,  o 
ineleganti.  Mi  pare  di  avere  abbastanza  mostrato 
come  nasca ,  e  come  si  conservi  ciocché  si  chiama 
purità  di  lingua.  Avendo  la  Toscana  avuto  la  sorte 
che  i  primi  grandi  scrittori  hanno  messo  appunto 
in  corso,  e  di  moda  il  toscano  dialetto,  e  i  suoi  vo- 
caboli, ed  essendovi  in  questa  provincia  sì  piccola 
differenza  tra  la  lingua  parlata,  e  la  scritta,  e  tanta 
essendovene  tra  questa,  e  il  dialetto  della  maggior 
parte  delle  altre  provincie  d'Italia;  ecco  perchè  la 
Toscana  ha  creduto  di  potere  senza  taccia  dì  arro- 
ganza, non  già  erìgere  un  tribunale,  che  si  attribui- 
sca un  dritto  esclusivo  di  giudicare  del  merito  de- 
gli scrittori  delle  altre  provincie,  e  di  pronunziar- 
ne un'irrévocabil  sentenza ,  ma  di  raccogliere  insie- 
me in  più  volumi  le  parole,  le  frasi  già  originaria- 
mente sue,  perché  messe  in  corso  dai  suoi  primi 
scrittori,  e  in  seguito  le  altre,  che  altri  celebri  au- 
tori anche  stranieri  hanno  aggiunte  per  fissar  cosi 
la  lingua ,  e  nello  stesso  tempo  darne  il  vero  signi* 
ficato  ai  forestieri .  La  celebre  Accademia  della  Gru- 


SAGGIO   PRIMO  3a7 

sca,  e  quella  ;  che  Tè  succeduta^  non  hanno  mai 
preteso  di  tirare  una  linea  ^  o  una  barriera  a  qua- 
lunque nuova  voce,  o  di  ricevere,  o  rigettare  a  ca- 
prìccio, e  senza  giuste  ragioni  quelle  che  più  le  ag* 
grada,  come  sovente  con  amarezza  è  stata  accusata 
da  altre  provincie  d'Italia  •  La  quantità  degli  scrit- 
tori non  toscani,  ammessi  nel  Vocabolario,  come 
scrittori  autorevoli ,  ed  atti  a  dar  la  sanzione  alle 
frasi  da  loro  usate,  dimostra  la  falsità  della  prima 
proposizione:  per  la  seconda  poi  vuoisi  pacatamen- 
te osservare  con  quanta  cautela  u#po  sia  di  proce- 
dere ad  ammettere  nella  lingua,  e  dar  la  sanzione 
a  una  nuova  voce.  Fu  detto  ad  un  Imperatore  che 
egli  poteva  dar  la  cittadinanza  romana  ad  un  uomo, 
non  già  ad  una  parola:  il  pubblico  colto  ed  elegan- 
te è  quello  che  ha  il  dritto  di  ammetterla  ,  o  di  ri* 
gettarla.  Quando  tutte  le  Accademie  facessero  dei 
solenni  decreti ,  che  una  parola  dev'  essere  ammes* 
sa,  e  riconosciuta  per  nobile,  e  pura,  se  quel  giudi- 
ce si  ostina  a  rigettarla  sono  inutili  i  decreti:  né 
può  chiamarsi  giudice  capriccioso,  poiché  se  la  ri- 
getta ha  sempre  una  tacita  ragione,  che  talora  nep- 
pure ei  ben  conosce,  ma  che  l'abitudine  gli  fa  sen- 
tire; come  senza  conoscerne  le  fisiche  ragioni,  ri- 
getta il  palato  una  vivanda  nuova ,  che  il  cuoco  ha 
creduto  dover  essere  applaudita.  E  in  verità,  quali 
sono  le  condizioni  per  cui  una  parola  straniera  può 
esser  ricevuta  in  una  lingua?  Con vien  prima  che  in 
questa  lingua  non  vi  abbia  l'equivalente;  altrimenti 
sarebbe  capricciosa  ed  ingiusta  cosa  il  toglier  senza 
ragione  l'impiego  a  un  cittadino  per  darlo  a  un  fo- 
restiere :  ma  ciò  non  basta:  fa  d'uopo  che  questa 
parola   sia  universalmente  intesa ,  sia  entrata  in 


3ft8  DELL'ORIO.  DELLA.  LINO.  ITAL. 
corso,  e  vada  vagando  per  le  bocche  delle  cnlte  per- 
sone;  e  se  la  Toscana  pretende  die  questa  seconda 
coudizione  debba  avverarsi  sul  suo  suolo,  non  ha 
torto,  giacché  essendo  questo  il  suolo  ov'è  nata  la 
lingua  che  si  scrive  ,  conviene  che  sul  suolo  stesso 
si  faccia  la  prova  se  felicemente  vi  geraiogli .  Se 
questo  dritto  non  fosse  a  lei  a  preferenza  concesso, 
ogni  provincia  d'Italia  potrebbe  arrogarselo,  i  Pie- 
montesi mettere  in  corso  delle  parole  che  rigettas- 
sero i  Veneziani,  e  ai  Genovesi  dispiacer  quelle, 
che  i  Bolognesi  avessero  adottate .  Senza  questo  ar- 
gine posto  dai  saggi  Accademici  all' intrusione  dei 
forestieri  vocaboli,  a  quest'ora  una  generale  inoQ- 
dazione  avrebbe  tanto  sfigurata  1* antica  coltura  di 
questo  terreno,  che  appena  sarebbe  più  riconoscibi- 
le da  coloro  che  conversano  coi  dotti  antichi.  EgU 
è  vero  però  che  nel  lungo  tratto  dei  secoli  il  tempo 
che  tutto  cangia  ,  altera  ancora  le  lingue  »  e  per 
quanto  quei  saggi  Accademici  abbiano  cercato  di 
fissarla,  devono  necessariamente  avvenire  in  esse 
delle  sensibile  mutazioni ,  o  per  caso,  o  perchè  tale 
è  la  loro  natura.  Invecchiano  alcune  parole,  ed 
escon  fuori  di  uso:  forse  alcune  avean  relazione! 
delle  pratiche,  le  quali  escile  fuori  di  moda,  sono 
appassite  anche  le  parole  che  le  rappresentavano: 
il  giro  delle  frasi  si  è  talora  cambiato:  le  nuore 
scoperte  nella  fisica,  l'analisi  dei  sentimenti  morali 
han  fatto  nascere  nuove  maniere  di  esprimersi.  Non 
conviene  ostinarsi  su  tutte  le  antiche  frasi,  e  paro- 
le. Chi  pertinacemente  vorrà  scrivere  la  lingua  di 
tre  secoli  indietro,  senza  piegarla  alla  maniera  del- 
la lingua  parlata  ai  suoi  tempi ,  non  incontrerà  l'ap- 
provazione del  pubblico,  e  comparirà  ricercato,  ed 


SAGGIO  PRIMO  339 

affettato.  Questo  è  uno  scoglio  in  cui  urtano  legger- 
mente anche  illustri  scrittori  moderni:  conviene, 
per  quanto  si  può,  adoprar  la  pasta  deir antica  lin- 
gua purissima ,  ma  coniarla  sulle  moderne  forme; 
&  d'uopo  vestire  dell'ottimo  panno,  e  delle  lucide 
sete  dei  nostri  antichi,  ma  la  forma  del  vestito  es- 
ser deve  alla  moda.  Tutto  cede  al  tempo,  tutto  al- 
meno lentamente  si  cambia,  e  in  specie  le  lingue; 
la  nostra  però  ha  resistito  più  delle  altre;  e  in  ve- 
rità, qual  è  tra  le  viventi  quella  che  abbia  tanto 
conservato  la  sua  indole,  il  suo  carattere  dalla  sua 
nascita  ai  nostri  tempi  al  par  dell'italiana?  Quale 
può  mostrare  scrittori,  che  nati  nello  sviluppo  pri- 
mo di  essa,  si  sieno  mantenuti  freschi,  per  dir  co- 
sì ,  e  vegeti  nella  stessa  lingua  per  cinque  secoli ,  e 
si  gustìuo  ancora  come  Dante 7  Deve  questo  vantag- 
gio ai  suoi  grandi  scrittori,  che  dopo  una  lunga  in- 
fanzia, la  condussero  rapidamente  alla  virilità:  Dan- 
te, Petrarca,  Boccaccio  essendo  stati  sempre  tetti, 
l'hanno  mantenuta  fresca  e  vigorosa .  Io  non  ardi- 
rò di  decidere  se  questa  virilità  duri  ancora,  o  se 
ella  verga  alla  sua  vecchiezza;  spero  soltanto  che 
ninno  disconverrà,  che  ormai  nel  tratto  di  tanto 
tempo,  abbia  ella  formato  il  suo  carattere,  prese 
quelle  maniere  che  più  le  convengono,  e  lungamen- 
te esercitate;  e  che  per  dir  così,  la  sua  educazione 
sia  da  gran  tempo  compita.  Posto  ciò,  si  scorgerà 
l'impossibilità  di  farla  ora  piegare  a  nuovi  costumi, 
come  da  alcuni  valenti  scrittori  si  consiglia.  Ella 
può  acquistar  nuove  parole ,  giacché  la  Fisica ,  e  la 
Morale  avendo  fatto  tanti  progressi ,  e  introdotte 
tante  nuove  idee,  fa  d'uopo  che  accetts^ndo  le  idee, 
si  accettino  i  segni  per  indicarle;  ma  sarà  difficile 


5So  DELL'ORIO.  DELLA.  LING,  IT  AL. 
farle  prendere  nuove  maniere^  quanto  sarebbe  dif- 
ficile il  farle  prendere  a  una  persona  sul  declinare 
dell'età.  Per  esempio  manca  alla  lingua  nostra  un 
pregio,  quello  cioè  delle  parole  composte,  qualità 
che  tanto  abbellisce  la  greca,  ed  è  adottata  da  al- 
cuna delle  lingue  viventi,  e  in  specie  dall'inglese; 
è  dispiacevole  il  mancar  di  questa  dote ,  ma  non  è 
ora  più  ten^po  di  acquistarla .  Può  dispiacere  ad  un 
quinquagenfario  il  non  avere  appresa  la  musica,  ma 
non  è  più  tempo  allora  d'impararla  ..La  nostra  lin- 
gua figlia  primogenita  della  latina,  ne  ha  seguito  in 
questa  parte  l'indole:  neppur  la  latina  possiede  che 
scarsamente  parole  composte.  Il  dotto  Quintiliano 
aveva  il  torto  di  eccitar  gli  scrittori  a  formarle:  non 
era  più  tempo  per  la  stessa  ragione.  Vani  tentativi 
sono  stati  fatti  nei  nostri  tempi  o  poco  innanzi  da- 
gl'Italiani per  crear  parole  composte:  l'esperienza 
ba  mostrato  che  son  frutti  che  non  allignano  nel 
nostro  suolo ,  essendo  in  breve  tempo  appassiti  :  sol- 
tanto se  n'è  tollerato  l'uso  nei  poeti  ditiraoibict 
per  un'indulgenza  a  un  genere  di  poesia,  che  sup- 
pone la  mente  esaltata  oltre  l'uso,  del  qual  genere 
non  abbiamo  che  un  bell'esemplare,  e  non  è  da 
bramarsi  di  averne  da  vantaggio .  So  che  si  contra- 
sterà da  molti,  che  le  lingue  si  formino  un  carat- 
tere, un'indole,  per  cui  non  possono  poi  adottar 
nuove  maniere:  potrei  risponder  coli' esperienza^ 
la  quale  decide  in  mio  favore:  ma  tenterò  di  esa- 
minar questo  tema  più  a  fondo.  Ogni  lingua  nella 
sua  nascita  è  povera ,  non  possedend/)  che  le  parole 
atte  ad  esprimere  i  bisogni  della  vita, e  le  idee  che 
quella  società  più  o  meno  estesa,  ha  già  formate: 
compariscono  i  grandi  scrittori:  questi^  dotati  di 


SAGGIO    PRIMO  33i 

quel  tatto  finissiioo  9  che  a  pochi  ha  compartito  la 
natura ,  cominciano  dà  scegliere  in  mezzo  al  con- 
fuso ammasso  le  parole^  che  T orecchio ,  il  giudizio, 
r  immaginazione  fanno  parer  loro  le  più  belle  ;  ne 
producono  inoltre  delle  nuove  prese  dalle  straniere 
lingue,  che  hanno  maggiore  affinità  colla  loro;  crea- 
no nuove  frasi,  riunendo  insieme  più  parole,  ed 
accostumando  la  lingua  a  certi  modi:  essi  sono  le- 
gislatori non  capricciosi,  ma  legislatori  come  Solo- 
ne, o  Licurgo,  essendo  fatti  tali  dalla  natura:  si 
arrischiano  a  delle  novità,  che  non  son  poi  permes- 
se ai  loro  successori:  molte  volte  felici,  qualche 
volta  sfortunati,  il  tempo  ed  il  pubblico  danno  il 
sigillo^  e  tolgono  di  uso  ciò  che  hanno  stabilito.  La 
libertà  che  possiedono  quei  scrittori  è  assai  grande, 
e  moltissime  espressioni,  specialmente  metaforiche 
da  loro  create,  benché  assai  ardite^  son  ricevute  a 
poco  a  poco  dai  posteri,  che  in  favore  di  tant'altre 
bellezze  fanno  grazia  talora  anche  a  frasi  troppo 
ardite.  Ma  queste  medesime^  che  ninno  adesso  ose- 
rebbe di  creare,  diventano  sovente  frasi  accettate: 
Torecchio,  e  la  mente  vi  si  affa  a  segno,  che  ninno 
vi  trova  più  che  dire.  Chi  mai  adesso  per  la  prima 
volta  oserebbe  dire  -^  il  Sole  tace  —  il  lume  fio- 
co  —  il  ifisibile  parlare  (i5),  e  tanti  altri  arditi 
tropi  che  ha  usato  Dante?  Egli  è  perciò  che  ogni  lin- 
gua possiede  espressioni,  che  sembrerebbero  ridico- 
le in  un'altra,  perchè  il  genio  è  diverso.  Chi  direb- 
be  nella  nostra  per  esprimere  i  suicidj,  coloro  che 

(i  5)  Si  osservi  la  somiglianza  di  alcune  ardite  frasi  create  da 
uomini  sommi  di  diverse  Dazioni  :  Dante  ha  detto  il  \>isibUe  parla» 
re^  come  Milton,  oscurità  t;<5i&iZe ;  visibile  darkn ess.  Paradise 
Lost. 


333  DELL^ORIG.  DELLA  LING.  IT  AL. 

hanno  partorita  la  morte  a  loro  stessi  y  e  odiando 
la  luce  hanno  gettata  pia  V animai  si  rìderebbe 
di  queste  metafore  :  eppure  tali  sono  V  espressioni 
di  Virgilio ,  fra  i  poeti  latini  il  più  casto  y  e  il  più 
temperato  nei  suoi  colori  : 

•  •  .  qui  sibi  lethum 

Insontes  peperere  marni  ^  lucemqae  perosi 
Projecere  animam. 

Ecco  pertanto  come  si  forma  il  genio ,  T indole,  il 
carattere  dì  ogni  lingua ,  dalle  fatiche  dei  grandi 
scrittori .  Dopoché  hanno  dato  il  tuono ,  e  la  legge 
a  quella  nazione ,  dopoché  ella  per  più  secoli  ha 
lette  y  apprese  a  memoria ,  e  ripetute  con  piacere 
quelle  frasi  ^  hanno  esse  ricevuta  la  sanzione  ;  e  sic- 
come non  ha  quasi  luogo  il  raziocinio  in  affiirì  di 
sentimento  y  poco  vagliono  le  disquisizioni  metafi- 
siche sulle  opere  di  gusto.  Ciò  é  si  vero,  che  quan- 
do nasce  disputa  sulla  bontà  di  una  frase,  sulla  sua 
giustezza  9  sulla  sua  arditezza  ,  potendo  ognuno  col 
medesimo  dritto  approvarla  ,  o  disapprovarla ,  si 
suol  ricorrere  quando  si  può ,  agli  esempj  dei  gran- 
di scrittori ,  come  a  giudici  infallibili.  Quando  per- 
tanto costoro  hanno  formata  la  lingua  ^  quando  le 
hanno  dato  un'indole,  un  carattere  particolare ^  in- 
vano dopo  più  secoli  si  tenterebbe  di  avvezzarla  a 
nuove  maniere.  Esse  possono  fare  moltissimo  bene, 
e  moltissimo  male  ad  una  lingua  :  e  se  un  grande 
scrittore  vi  ha  introdotto  delle  cattive  maniere, è 
tanto  difficile  che  non  vi  si  mantengano  quanto  il 
togliere  ad  un  vaso  V  odore  di  quel  fluido  che  vi  si 
è  infuso  quando  era  nuovo .  Ne  veggiamo  qualche 
esempio  nella  lingua  di  una  delle  più  dotte ,  e  più 


SAGGIO    PftlMO  333 

«olte  Da«tODÌ^  deiringlese.  Gran  fondatore  del  loro 
stile  poetico  è  stato  certamente  Shakespeare,  ma 
non  di  rado  fra  le  più  sublimi  espressioni  si  trovano 
dei  troppo  arditi  tropi  y  emuli  di  quelli  del  nostro 
secolo  XVII,  e  dei  pensieri  troppo  ricercati.  I  di- 
fetti di  questo  grand' uomo,  come  le  sue  grandi  bel* 
lezse  hanno  avuto  somma  influenza  nello  stile  di 
quella  gran  nazione:  e  una  tinta  dei  difetti  di  Sha- 
kespeare trasparisce  pure  negli  scritti  dei  loro  più 
gran  poeti,  se  se  n'eccettui  Pope.  Che  i  fondatori 
della  lingua  inglese  non  possedessero  il  più  purgato 
gusto,  non  è  mia  sola  opinione.  Uno  dei  loro  più 
autorevoli  scrittori  Hume,  Puòy  dic'egli,  riguar- 
darsi come  una  disgrazia  dell'inglese  letteratura ^ 
che  nella  ristorazione  delle  lettere  ^  gV  inglesi 
scrittori  fossero  forniti  di  gran  genio  prima  di 
possedere  il  gusto  nel  pia  piccolo  grado ,  e  perciò 
dettero  una  specie  di  sanzione  alle  maniere  ricer- 
cote,  e  a  sentimenti  forzati .  Nondimeno  tale  è  la 
segreta,  e  non  avvertita  influenza  dei  grandi  scrit- 
tori^ tale  è  la  forza  dell'abitudine,  che  quantunque 
quella  dotta  nazione  dotata  di  finissimo  gusto  co- 
nosca, e  riprovi  la  maggior  parte  di  quei  difetti, 
alcuni  tuttavia  trapelano  nei  loro  scritti.  Le  loro 
metafore  ci  appajono  più  ardite   delle    nostre:  e 
chiamerebbero  essi  timidezza  in  noi  quello  che  noi 
chiamiamo  caricatura.  Ossia  che  il  ridicolo  spetta* 
colo  che  nel  secolo  XVII  abbiamo  dato  air£uropa 
del  più  stravagante  metaforico  stile ,  e  dei  falsi 
concetti  ci  abbia ,  dopoché  sìam  ritornati  alla  ra- 
gione, fatti  vergognare  dei  nostri  falli,  e  resi  trop» 
pò  timidi;  sia  che  le  nostre  pupille  troppo  lacerate 
dallo  slacciato  colorito  di  quello  stile,  si  sieno  rese 


334  DELL'ORIO.  DELLA  LING.  ITAL. 

di  soverchio  sensibili  e  delicate,  moke  di  quelle 
che  uno  dei  loro  piò  graudi  scrittori  e lùama  y^arote 
che  bruciano y  e  pensieri  che  respirano  (i6)  a  mol- 
ti Italiaui  e  stranieri  pajouo  espressioiu  ardite.  Mi 
sìa  lecito  addurre  uii  esempio,  e  fare  uà  paragooe. 
(Jua  delle  poesie  posta  dagl'Inglesi  fra  le  più  pei^ 
fette  è  la  celebre  elegia  di  Gray  sul  cimitero  di 
campagna  •  Egli  1'  ha  cominciata  eoa  un'idea  trat^ 
ta  da  Dante^  cb'ei  non  dissimula ,  aosù  di  cui  citai 
>ersi: 

se  ode  squilla  di  lontano 

Che  paja  il  giorno  pianger  che  si  muore . 

L'idea  è  gentile:  la  campaaa  che  suona  airioibrii- 
lìir  del  cielo  è  atta  a  risvegliare  una  maieatosa  me- 
lanconia. L'ingle^così  letteralmente  ai  e^iprime: 
la  campana  batte  il  funerale  del  giorno  che  muo- 
re (17):  battere  il  funerale  del  giorno  sembrerà  a 
molti  un'  espressione  un  poco  ardita^  e  di  un  colo^ 
rito  che  a^^enti,  per  usar  la  frase  dei  pittori  :  si 
osservi  quanto  giudiziosamente  Dante  nei  suoi  ori- 
ginali versi  vi  ha  posto  il  paja^  che  addolcisce  il 
colorito,  e  lo  riduce  al  suo  vero  grado.  Potrei  no- 
tare ancora  quanto  più  vera,  e  più  toccante  diventa 
r  imagine  di  Dante  con  quei  di  lonùano ,  giaccliè 
non  si  può  negare  che  VeSklio  di  deatare  un  me- 
lanconico sentimento  non  sia  maggiore  quando  da 

(16)  Thaughts  that  breathe  and  vvords  tbat  barn.  Graj  of 
the  progress  of  poesy. 

(17)  »  The  Curfe>t.  toU  the  K.ne11  ofparting  day.  « 
Curfevv  s'ìgtì  i^C9l\\  cuoprifuoco.h'isiìiazionis  dì  questa  eampanaè 
dei  tempi  di  Guglielmo  il  conauiftalore»  il  quale  temoadoie  adu- 
nanze uotturne,  ordinò  che  al  tocco  di  questa  campana  ciascuno 
iosse  ritirato  in  casa,  spegnesse  i  lùmi^  e  cuoprisse  il  fuoco. 


SAGGIO    PRIMO  355 

longi  alla  campagna  ascoltiamo  sulla  sera  quel 
saoQo  reso  cupo,  ed  ottuso  dalla  lontananza  stessa. 
Altri  esempj  si  potrebbero  addurre:  ma  forse  alcuno 
mi  accuserà  di  troppa  arditezza  perchè  ho  osato 
decidere  delie  frasi  di  una  lingua  straniera^  e  non 
avrà  torto  •  Forse  è  il  mio  giudizio  prevenzione 
nazionale:  i  frutti  di  ogni  clima  hanno  un  sapore 
adattato  al  terreno  da  cui  son  nutriti,  ed  al  palalo 
degli  abitatori. 

Ritornando  in  strada  da  questa  piccola  deviazio- 
ne ,  mi  pare  di  aver  giustificata  quella  poca  di  au- 
torità, che  il  caso,  e  1*  ingegno  dei  suoi  primi  scrit- 
tori hanno  data  nella  lingua  ai  Toscani;  autorità 
contro  di  cui  si  è  tanto  declamato,  come  il  più  duro 
dispotismo.  Esaminiamo  ora  imparzialmente  quali 
vantaggi ,  e  quali  svantaggi  ne  abbia  ritratto  Fita» 
liana  favella,  dopo  che  il  dialetto  toscano  è  dive- 
nato  il  dominante.  Essa  ha  acquistato  certamente 
il  pregio  di  una  straordinaria  dolcezza:  questa  na- 
sce dalle  molte  vocali,  e  dalle  poche  consonanti 
ed  eccettuate  le  lingue  orientali,  è  superiore  in  que- 
sta qualità  a  tutte  le  altre,  in  specie  alle  lingue 
settentrionali,  nelle  parole  delle  quali  l'occhio  vede 
con  una  specie  di  ribrezzo  una  selva  di  consonanti, 
ed  appena  intende  come  sia  possibile  il  pronunziar- 
le. Delle  Provincie  italiane  il  dialetto  toscano  è  il  più 
dolce,  specialmente  il  fiorentino,  la  di  cui  dolcezza 
nella  pronunzia  è  anche  soverchia,  giacché  elidendo 
troppo  ed  ingojando  per  dir  cosi,  le  consonanti  e 
talora  le  vocali  stesse,  si  converte  in  difetto.  Questa 
dolcezza  tanto  atta  al  canto,  ed  alle  tenere  poesie  ha 
fatto  forse  nascere  un  si  gran  num(;rodi  poeti  (giac- 
che niun'altra  nazione  ne  conta  un  terzo  di  quei 


336  EELUORIG  DELL\  LING.  IT  AL. 
che  possiede  T Italia)  una  gran  parte  dei  Tersi  dei 
quali  privi  d'imagini^  e  di   leggiadri  sentimenti, 
mero  5uono  armonioso  (t8),  non  fanno  che  colla 
dolcezza  della  lìngua  e  del  ritmo  lusingare  soave- 
mente le  orecchie.  Se  fra  questa  messe  abbondan- 
tissima non  si  trovassero  dei  più  grandi  alunni  deile 
Muse,  ci  avrebbe  quella  qualità  recato  più  danno, 
che  vantaggio;  ma  siccome  uno  dei  poetici  pregi  è 
l'armonia^  quando  questa  è  unita  alla  sodezza  dei 
piensieri,  e  alla  vivezza  delle  immagini,  si   ha  una 
poetica  perfezione  superiore  alle  altre  nazioni  :  qoc- 
st'armonica  dolcezze)  giunge  a    seguo  che  la  plebe 
sovente  canta  versi  che  non  intende,  bastonandole 
quel  solletico  che  dà  la  melodia  della  lingua  al- 
l'orecchie. Siffatto  pregio  però  è  forse  compensato 
da  un  difetto;  nel  toscano  dialetto  terminano  tutte 
le  parole  colla  vocale;  né  si  elide  quasi  mai  nella 
pronunzia,  se  non  ne  succede  un'altra;  di  molte 
sillabe  perciò  son  composte  le  parole  più  lunghe  che 
in  molte  altre  lingue.  Se  si  paragonino  le  nostre  pa- 
role colte  inglesi,  e  le  francesi  e  si  attenda  alla  loro 
pronunzia,  si  vedrà  quanta  economia  di  sillabe  sia 
nelle  loro.  Le  sillabe  son  formate  dalle  vocali,  e 
queste  sono  in  gran   quantità  elise  da  loro;  quasi 
tutte  le  ultime  lo  sono  certamente,  mentre  le  nostre 
devono  battersi,  e  perciò  formar  sillaba.  Né  solo  le 
finali  ma  molte  delle  intermedie  svaniscono  agli 
stranieri  fra  le  labbra;  onde  talora  una  parola ,  che 
pronunziata  air  italiana  formerebbe  tre  sillabe  in 
francese,  e  più  ancora  ^nell'inglese  si  riduce  ad  una. 

(18)  ...  .  Versus  rerum  ioopes 
Nugaeque  canor.ne. 

Hor.  Poet. 


SAGGIO    PRIMO  337 

iHk  questa  qualità  traggono  specialmente  vantaggio 
i  loro  poeti ^  che  racchiudono  piò  immagini    in  più 
corto  spazio^  e  quanto  più  è  breve' il  quadro^   ove 
seosa  però  urtarsi  ossia  confondersi ,  son  ristrette  le 
imagini  ^  tanto  più  ci  colpisce.  Vi  sono  dei  dialetti 
italiani 9  e  soprattutto  il  genovese,  e  il  piemontese  , 
che  elidono  moltissime  vocali,  e  nei  quali  perciò  le 
parole  sono  cortissime.  Se  in  Genova,  o  in  Piemonte 
l'ossero  nati  i  primi  grandi  scrittori ,  che  avessero 
sollevato  il  loro  dialetto  alla  dignità  della    lingua 
dominante,  com'è  avvenuto  alla  Toscana,  avrebbe 
la  lingua  acquistato  il  pregio  della  brevità  delle 
parole,  ma  a  gran  scapito  però  di  dolcezza  :  lascerò 
ai  delicati  critici  a  decidere  se  lo  scapito  sarebbe 
stato  pari  al  guadagno.  Oltre  il  superare  in  dolcezza 
quasi  tutte  le  viventi  lingue,  l'italiana  forse  non 
cede  ad  alcuna  in  ricchezza  di  espressioni,  e  ne  su- 
pera molte:  questa  ricchezza  quanto   favorisce  la 
poesia  e  l'eloquenza,  altrettanto  è  sfavorevole  alla 
precisione  filosofica .  Non  le  manca  al  bisogno  mai 
la  parola,  che  l'esatta  ragione  richiede  preferibil- 
mente ad  ogn' altra,  per  dire  ciocché  vuol  essere 
insegnato  senza  ornamento,  e  il  Galileo,  il  Machia- 
vello, il  Redi,  il  Cocchi,  il  Magalotti  ce  V  hanno 
insana to;  ma  fra  tanta  copia  di  voci  non  si  pre- 
senta sì  presto  allo  scrittore  quella  che  il  preciso 
filosofico  linguaggio  richiede,  sepolta  tavolta,  e  im- 
pUcata  nella  ricca  varietà  dei  fiori,  ossia  delle  si- 
mili, ed  analoghe,  ma  non  precise  parole.  Si  trova 
perciò  lo  scrittore  spesso  povero  in  mezzo  alla  copia. 
Un  linguaggio  meno  ricco  qual  è  il  francese  e  che 
appena  conosce  ir  colorito  poetico  ,  si  presta  subito 
alla  filosofica  precisione.  Essa  è  simile  ad  una  per- 

7'omo  /.  11 


338  DELL'ORIG.  DELLA  L^ING.  ITAL. 
sona  non  ricca ,  ma  ecoDoma ,  che  conosce  perfetta- 
mente la  moneta ,  e  sa  spenderla  a  tempo  e  con  giu- 
dìzio:  somiglia  uno  scrittore  italiano  non  preciso  ad 
un  ricco  prodigo ,  che  getta  le  monete  di  oro  talvol- 
ta male  a  proposito  per  togliersi  la  briga  di  sc^lier 
tra  esse  quelle  di  argento ,  o  di  rame  ,  che  conver- 
rebbero alla  circostan'/a.  Ci  mancano  gli  eloquenti 
scrittori ,  perchè  ci  mancano  le  cause  che  produco- 
no la  vera  eloquenza ,  occasioni  cioè  da  parlare  di 
grandi  interessi  in  pubblico ,  come  una  volta  in 
Grecia ,  poi  in  Roma ,  indi  in  Inghilterra ,  ed  in 
Francia^  ove  perciò  è  giunta  al  più  alto  punto  V  e- 
loquenza.  Sarebbe  rimasto  luogo  di  distinguersi  ai 
sacri  Oratori  y  ma  con  dolore  dobbiam  confessare 
che  assai  pochi  ne  contiamo  più  che  mediocri^  né 
si  saprebbe  chi  contrapporre  a  un  Massillon  ^  a    an 
Bordalone ,  a  un  Flechier  y  a  un  Bossuet  tra  i  Fran- 
cesi; a  un  Salisbury,  a  un  Scherlok,  ed  a  tanti 
altri  tra  gFInglesi.  Non  ne  ricerheremo  troppo  mi- 
nutamente la  ragione,  che  ci  condurrebbe  forse  a 
disgustevoli,  e  odiose  conseguenze  :  ma  egli  è  certo 
che  con  temi  così  belli,  quali  presenta  la  Religio- 
ne, e  la  morale  atti  a  sollevar  lo  spirito,  ed  infiam- 
mare il  cuore,  non  possiamo  da  che  la  lingua  è 
natit» mostrare  un  libro  che  si  avvicini  ai  citati  «   Si 
vuole  per  lo  più  nelle  prediche  introdurre  delle  sot- 
tili dispute  teologiche   intelligibili  certamente   al 
volgo,  che  tuttavia  loda,  ed  applaudisce  quello  che 
non  intende.  La  regola  sarebbe  di  parlare  assai  più 
al  cuore,  che  allo  spirito,  giacché  di  rado  sMgnora» 
no  dagli  uomini  i  proprj  doveri,  che  a  chiarissime 
note  son  stati*  scoi  piti  in  seno  a  ciascuno.  Sono  poi 
scritte  le  sacre  orazioni  per  lo  più  in  uno  stile  ri- 


SAGGIO   PRIMO  339 

cercato^  ed  enfatico:  è  una  prosa  poetica  ove  si  scor* 
gono  i  salti  di  una  bizzarra  immaginazione  piutto- 
stoche  l'ispirazione  di  Apollo.  Vuol' egli  il  predica- 
tore dirvi  che  si  fa  giorno?  Vi  conduce  innanzi 
l'Aurora  che  colle  dita  di  rose  apre  le  finestre  di 
Oriente.  Vuol  narrarvi  l'avventura  del  profeta  Gio- 
na ?  vi  descrive  una  tempesta  col  fischiar  dei  venti^ 
e  col  muggito  dei  flutti^  e  trovate  nella  descrizione 
dei  laceri  brani  di  Virgilio  o  dell'  imagini  dell'A- 
riosto scontraffatte,  e  quasi  bei  visi  in  caricatura. 
Vuol  fare  una  similitudine  ?  Vago  di  far  pompa  di 
ciò  che  crede  di  sapere^  ve  lo  trae  da  qualche  feno- 
meno filosofico^  scordatosi  che  la  similitudine  deve 
illustrare^  e  spiegar  d'avvantaggio  il  pensiero ,  e 
perciò  esser  tratta  dai  comuni  oggetti,  e  non  dive- 
nire al  pubblico  più  oscura  di  ciò  che  si  vuol  ri- 
schiarare. So  che  molti  si  appelleranno  dal  mio 
giudizio y  che  chiameranno  falso,  e  indiscreto;  ma 
io  sempre  domanderò  loro  che  mi  producano  un  ori- 
ginale capace  di  stare  a  fronte  con  i  citati:  non  mi 
ai  mostrerà  che  il  Scgneri^o  il  Tornielli,  che  supe- 
riori a  tutti  gli  altri  Italiani  sono  però  molto  lonta- 
ni da  quelli .  Ma  appunto  questa  mancanza  deve 
eccitare  sempre  più  gì'  italiani  ingegni  a  battere  una 
nuova  carriera,  mostrando  loro  vuoto  un  posto  glo- 
rioso, che  possono  occupare . 


Fine  del  Tomo  Primo 


/ 


34i 
LIBRO  PRIMO 


SOMMARIO 

QpiTOLo  L  Origine  degli  antichi  Toscani.    .     .  Pag.  53 

Varie  opinioni  degli  Antiquari 54 

G>ngettare  dell'Autore 56 

Antichissinio  splendore  dei  Toscani    ....  ivi 

Asserzione  di  T.  Livio Sj 

Divisione  dell' Etrurìa ivi 

Vicende  di  Populonia 6o 

Porto  di  Talamone .  ivi 

Città  Etnische 6i 

Rovine  di  G>rito 6^ 

Potenza  di  Vejo 63 

Gttà  che  si  distinsero  in  qualche  arte  •     •     •     •  64 

Governo  dell' Etrurìa' ivi 

Debolezza  della  Federazione  Etnisca ....  65 

Lncnmoni ,  e  Larti  di  Etruria ivi  e  66 

Eolo  Re  d'Etrurìa.  Potenza  di  essa     ....  67 

Alleanza  co'  Girtaginesi 68 

Mezenzio ivi 

Orìgine  delle  feste  dette  Vinalia. 69 

Orìgine  de' Romani 70 

Viaggio  d'Enea  accertato  da  Dionigi|d' A  licamasso.  71 

Guerra  di  Romolo  contro  i  Vejenti     ....  721 

Supplizio  di  Suffezio  Re  d'Alba ivi 

Guerra  di  Tarquinio  Prisco  contro  i  Toscani    .  73 

Assedio  e  presa  di  Fidene ivi 

Pace  tra  i  Romani  e  gli  Etruschi 74 

Nuove  guerre .ivi 

Rozza  tattica  de' popoli  guerreggianti .    .     •     .  75 

Porsena  marcia  in  favore  di  Tarquinio  il  Sup.  .  76 

Morte  dì  Bruto^  e  di  Aronte. ivi 


< 


342  INDICE 

Vittorie  di  Porsena 77 

Atto  magnanimo  d'Orazio  Coclite 78 

Agnato  teso  agli  Etruschi 79 

Muzio  Scevola '^ 

Pace  co' Romani °^ 

Guerre  co'  Sabini ,  Equi ,  e  Volsci 81 

Nuove  guerre  con  Roma 83 

Sedizioni  nel  campo  Rom.  Fuga  deD'infanteria.  iti 

Elezione  di  Cincinnato 84 

Vittoria  de'Romani  dopo  un'ostinaU  battaglia  .  87 

Manlio  rifiuta  il  trionfo  .     j >^i 

Azione  gloriosa  della  Famiglia  de'  Fabj  ...  88 

Restano  tutti  morti  sul  campo 90 

Rotu  de'  Romani >▼* 

Gli  Etruschi ,  dopo  la  perdiu  d' una  battaglia , 

si  ritirano  verso  Vejà 9» 

Tregua  di  4o  anni  co'  Vejenti 9» 

Ribellione  di  Fidene  contro  Roma ivi 

Gli  Ambasciatori  Romani  son  trucidati  ...  tri 

Mamerco  Emilio  creato  Dittatore  .....  m 

Rotta  degli  Etruschi 9^ 

Strattagemma  per  impadronirsi  di  Fidene    .     .  ivi 

I  Romani  eleggono  4«  Tribuni  militari    ...  94 

Sono  sconfitti i^ 

Vittorie  de'Romani.  Fidene  è  presa  di  nuovo 

e  saccheggiata ìtì 

Assedio  di  Vejo gS 

I  Falisci  e  i  Capenati  soccorrono  i  Vejenti  .     .  96 

Fenomeno  del  lago  Albano •     •  97 

Cammillo  scelto  Dittatore 99 

Conquista  Vejo 100 

Guerra  co' Falisci 101 

Tradimento  del  maestro  di  scuola  dì  Falerla     .  i?i 

Generosità  di  CammilTo ivi 

Faleria  si  sottopone  ai  Romani ivi 

Invasione  de'GaUi io) 


n 


INDICE  343 

Ambascerìa  de'  Romani 1 02 

Celebre  risposta  di  Brenno ivi 

Rotta  de' Romani io3 

Roma  salvata  da  Cammillo i  o4 

Nuove  guerre  coi  Toscani io5 

Riflessioni  su  di  esse ivi 

Guerra  de'Tarquinesi^  Falisci  ec  contro  i  Ro- 
mani   106 

Attacco  di  Sutri 107 

Riflessioni  sul  bosco  Cimino 1 08 

Battaglia  perduta  dagli  Etruschi 1 1 1 

Tregua  di  3o  anni  fra  i  Romani  ed  alcune 

popolazioni  etnische ivi 

Rotta  degli  Etruschi  al  Lago  Yadimone  .     •     .   1 1 3 
Nuove  coalizioni  degli  Timbri^  Sanniti^  Galli 

ed  Etruschi  contro  Roma ivi 

Decio  si  sacrifica  per  la  salvezza  dell'  esercito  .   1 14 
L'Etruria  è  soggiogata  da  Tiberio  Coruncanio  .  1 15 

Riflessioni ivi  e  116 

CinroLO  IL  Alfabeto  Etrusco 119 

Stndj  del  Demstero  sull'Etruria     .     .     .     .     .     ivi 

Accademia  Etnisca  di  Cortona i  ao 

Diversità  d'opinioni  sulla  lingua  Etnisca.     .     .     ivi 

Alfabeto  Etrusco  del  Lanzi 122 

Se  le  scienze  9  lettere  ed  arti  Etnische  siano 

derivate  dalla  Grecia ivi  e  1^3 

Opinione  del  Lanzi ivi 

Riflessioni  dell'Autore iti4 

Tavole  Eugubine ivieiaS 

Interpetrazioni  del  Lami ,  e  del  Gori ....     ivi 

Conclusione 126 

Scienza  degli  Etruschi 128 

Idea  che  aveano  dell'  Essere  Supremo     ...     ivi 

Opposizioni  del  Lampredi 1 29 

Scarsi  frammenti  dell'Etnisca  Filosofia.  Di  Pi- 
tagora, e  della  sua  dottrina   i3i 


t. 


344  INDICE 

Pregio  in  cui  era  presso  i  Romani  il  sapere 

degli  Etruschi  .- i33 

Coltivarono  l'astronomia^  e  la  medicina     •     .    ivi 

Osservazione  del  Dutens i34 

Inveuzìoni  degli  Etrusclii i36 

Rappresentanze  teatrali  .     .     ; ivi 

Monumenti  pubblicati  da  Curzio  Inghìrami*     .  lij 

Belle  Arti  degli  Etruschi i4o 

Se  le  apprendessero  dai  Greci  .  .  .  .  :  .  i4i 
Prove  che  confutano  le  opinioni  dei  fautori  dei 

Greci ivi  e  i4a 

Rovine  di  Pesto  ...  i  :..:..  i44 
Iscri  zioni  etrusche  di  Hamilton  e  di  d'Hancarville.  1 4$ 
Opinioni  del  Winkelman  confutate  •  ...  ivi 
Monumenti  che  rimangono  delle  arti  Etnische.  i49 

Monete  fuse  dagli  Etruschi i5o 

Incisione  in  pietre  dure  ........     ivi 

Sculture  in  marmo i5i 

Ammirazione  di  Plinio  per  l'Apollo  Etrusco  .  i5a 
Ragionamenti  del  Winkelman  confutati .     .     •    ìtì 

Architettura  Toscana i55 

Sepolcro  di  Porsena  a  Chiusi    .     .     .     .     ivi  e  1 56 

Pitture  degli  Etruschi 167 

Vasi  Etruschi.  Questione  su  di  essi  .  .  .  .  169 
Argomenti  del  Buonarroti  in  lor  favore  .     .     .    ìyì 

Risposta  di  Winkelmann ìtì 

Prove  in  favore  dell'Etruria 160 

Lusso  degli  Etnischi 170 

Paragone  tra  il  lusso  moderno  e  l' antico.     .     .    ivi 

Superstizione  degli  Etruschi lya 

Tagete  insegna  agli  Eltnischi  l'arte  divinatoria  .  174 
I  Romani  inviano  in  Etruria  i  loro  figli   ad 

apprendere  l'aruspicina 175 

Ammirazione  di  Seneca  per  la  scienza  fulgnrale.  1 76 
Se  gli  Etruschi  sacrificassero  vittime  umane  •  178 
Misteri  Milriaci 179 


INDICE  345 

LIBRO  SECONDO 

SOMMARIO 

Capitolo  I.  Le  città  Italiane  acquistano  il  dritto  della 

cittadinanza  Romana 181 

Mecenate 182 

Suo  favore  per  le  lettere ,  e  suo  gusto     .     .     .   i83 

Servigi  da  lui  prestati  ad  Augusto i84 

Sue  opere i85 

Suoi  difetti ivi 

Suoi  dotti  Amici 186 

Suo  6ne  infelice 187 

Vicende  della  Toscana  anteriori  al  di  lei  gover- 
no regolare ivi 

Decadenza  dell'  arte  della  guerra  .     .     .     .     •189 

Invasione  dei  Barbari ivi 

Stilicone  governa  l' Impero  in  nome  di  Onorio  .   190 

Assedio  di  Firenze 191 

Soccorso  recato  da  Stilicone .ivi 

Morte  di  Radagasio 192 

Ritirata  dei  Barbari    .     .     .  , ivi 

Invasione  di  Alarico,  dopo  la  morte  di  Stilicone.   198 

Giunge  a  Roma ,  che  si  riscatta ivi 

Presa ,  e  sacco  di  Roma 194 

Imprese  di  Ezio ivi  e  195 

Invasione  degli  Unni ,  condotti  da  Attila ...  ivi 
Ruina  delllmp.  di  Occid.  per  mano  di  Odoacre  .  196 
Riflessioni  sul  governo  dei  Romani.  .  .  ivi  e  197 
Capitolo  U.  Invasione  di  Teodorico  Re  dei  Goti .  .198 
Odoacre  refugiato  in  Ravenna ,  si  arrende  alle 

sue  armi ivi 

Sua  morte ivi 

Governo  di  Teodorico,  sue  leggi  .     .     .      ivi  e  199 
Protegge  le  lettere ivi  e  aoo 


346  INDICE 

Casaiodoro «     ....   1 99  e  aoo 

Boezio.  Suo  fine  infelice ìtì 

Morte  di  Teodorico ^01 

Amalasunta.  Suoi  pregi  di  corpo  e  di  spirito.     .    ivi 

Atalarico  suo  figlio ivi 

Amalasunta  è  strangolata  per  ordine  di  Teo- 
dato suo  secondo  marito aoa 

Morte  di  Teodato ivi 

Giustiniano  concepisce  il  progetto  di  riconqui- 
stare l'Italia,  e  ne  affida  l'esecuzione  a  Belisario,    ivi 

Talenti  di  questo  Generale ivi 

Picciol  numero  di  truppe  da  lui  condotte  inltalia  ao3 

Entra  in  Ronìa '   .     .    ivi 

Assediato  dai  Goti  ^  vi  si  chiude ivi 

Bitiratii  Goti  da  Roma,  Bel  isari  o  assedia  Ravenna.  ao4 
Ravenna  è  obbligata  a  capitolare    ...     ivi  e  ao5 

Richiamo  di  Belisario ivi 

Totila  recupera  la  maggior  parte  d' Italia    .     .     ivi 
Belisario  ritorna  in  Italia  ••••••••    ivi 

Suoi  sforzi  di  valore  e  d' ingegno  .     .     •     •    •    ivi 

Ritorna  a  Costantinopoli ivi 

Accusato  di  cospirazione  ,  è  assoluto ,  ma  dopo 

otto  mesi  termina  di  vivere 206 

Giustiniano  invia  Narsete  in  Italia ivi 

Disfatta  dell'armata  di  Totila,  e  sua  morte  .     ,  207 
Elezione  di  Teja ,  che  sconfitto  anch'  esso  da 

Narsete^  muore  nell'azione ivi 

Discesa  dei  Franchi  in  Italia ivi  e  208 

Son  rotti  e  dispersi  da  Narsete ivi 

Riflessioni  sulla  fine  del  regno  dei  Goti   ...     ivi 

Governo  di  Narsete ivi 

Sua  morte 209 

Riflessioni  su  Belisario  e  Narsete    .     .     •     .     .     ivi 

I  Longobardi  invadono  l'Italia 210 

Loro  conquiste.  Valore  e  ferocia  del  loro  Re 
Alboino   .     •     •     »  .  .     ivi  e  2 1 1 


INDICE  347 

È  fatto  trucidare  da  Rosmonda^  sua  moglie  aio  e  ai  i 

Regno  dei  Longobardi iyi 

Governo  di  Rotari.     ; aia 

Vicende  di  Gundeberga ivi  e  a  1 3 

Codice  Longobardico ai4 

Altri  Re  Longobardi ai5 

Ardire  e  fermezza  del  fanciullo  Grimoaldo       .     ivi 

Divien  duca  di  Benevento a  16 

Uccide  di  sua  mano  Gondeberto,  ne  sposa  la 

sorella^  e  divien  Re  d'Italia ivi 

Suo  governo ivieaiy 

Dispute  sulle  Immagine ivi  e  a  18 

Principio  della  potenza  dei  Pontefici       ...     ivi 

Nuove  conquiste  dei  Longobardi 319 

Mossa  dei  Veneziani  in  ajuto  dei  Greci  ...  ivi 
Morte  di  Liutprando  Re  dei  Longobardi       .     .  aao 

Suo  carattere ivi 

Vicende  di  Racbis aai 

Regno  di  Astolfo ivi 

Occupa  Ravenna,  e  minaccia  Roma  ....  ivi 
Il  Papa  implora  V  ajuto  dei  Franchi   .     ...     ivi 

Mossa  di  Pipino  verso  l'Italia aa3 

Accordo  con  Astolfo  in  Pavia ,  e  sua  partenza  .  ivi 
Astolfo  rompe  il  trattato,  e  fa  l'assedio  di  Roma  .  ivi 
Pipino  ritoma  ih  Italia.  Trattato  umiliante  di 

Astolfo,  e  sua  morte    ......     ivi  e  aa4 

Desiderio, Duca  di  Tose,  eletto  Re  dei  Longobardi,  ivi 

Carlo  Magno  Re  dei  Franchi ivi 

Sposa  la  figlia  di  Desiderio       ......  aaS 

Fine  del  Regno  dei  Longobardi aa6 

Pipino  Re  d'Italia ivi 

Coronazione  di  Carlo  Imperatore,  e  di  Pipino 

Re  d'Italia^  in  Roma       .....    aa^  e  aa8 

Riflessioni  su  quest'avvenimento ivi 

Vittorie  di  Carlo aag 

Sua  rotta  in  Roncisvalle ivi 


« 


548  INDICE 

Emenda  il  Codice  Longcòardico 229 

Suoi  Capitolari     ....»....;     iti 
Costituzione  dei  Giudici  itineranti      .     .     .     .     iri 

Protegge  i  letterati aSo 

Fa  dichiarare  Imperatore  suo  figlio  Lodovico   .     Ì¥Ì 

Riflessioni  su  quest'atto ivi  e  281 

Morte  di  Lodovico.     •.:....«.    ivi 
I  suoi  figli  si  contrastano  V  eredità  di   Carlo 

Magno iviea3a 

Scorreria  dei  Saraceni  in  Roma a3a 

Leone  IV.  la  cinge  di  mura ivi 

I  Saraceni  infestano  varie  parti  d'Italia   .     .     .  233 
Capitolo  m.  Stato  della  Tose,  nelle  rivoluzioni  dltalia.  a34 
Diritti  dei  Conti  o  Marchesi  nelle  provincie  che 

governavano ivi 

Queste  cariche  divengono  ereditarie  ....  a35 
Origine  delle  Case  di  Elste,  e  di  Brunswich .     .    ivi 

Bonifazio  II.  Duca  di  Toscana ,  236 

Sue  imprese  in  Affrica ivi 

Libera  Giuditta  moglie  di  Lodovico  Pio .  .  .237 
Adalberto  IL  ricco  e  potente  ....  ivi  e  a38 
Vicende  della  Toscana  e  dell'Italia  prima  di 

Tigone ivi  e  seg. 

Venuta  di  Tigone  in  Italia 241 

Coronato  Re  d'Italia  in  Milano 242 

Marozia^  figlia  di  Teodora,  sposa  Guido  Duca 

di  Toscana ivi 

La  linea  Bavara  è  esclusa  dal  dominio  della  Tose.  243 

Tigone  in  Roma ivi 

Sollevazione  de'Romani ivi 

Tigone  respinge  il  Duca  di  Baviera ivi 

Investe  del  governo  della  Toscana  Oberto  suo 

figlio  naturale ;  245 

Gli  succede  Tigone,  chiamato  il  Grande.     .     .     ivi 

Sue  qualità,  e  suoi  meriti ivi 

Fondazioni  da  lui  fatte ivi 


INDICE  349 

Sua  morte a4^ 

Tedaldo  avo  della  Contessa  Matilde  gli  succede  .     ivi 
Vicende  di  Ugone  Re  d'Italia  ....      ivi  e  ^4^ 

Sua  morte 247 

Àyyentture  della  bella  Adelaide ivi 

Discesa  di  Ottone  L  in  Italia     .     .     .     .     ^    .  iì^S 

Suo  valore  e  saviezza.     . ivi 

Donazioni  da  lui  fatte  alla  Chiesa ivi 

Suoi  successori ^^g 

Bonifazio  Marchese  di  Toscana aSi 

Sue  ricchezze^  e  sua  pompa.     .     .     .     .      ivi  o  26 a 

Sue  qualità  « ^S'ò 

Sua  debolezza ivi 

Sua  morte ivi 

Concilio  celebrato  in  Firenze 2 54 

Contessa  Matilde^  erede  degli  stati  paterni ,  spo- 
sa Goffredo    ti55 

Morte  di  Beatrice  madre  di  Matilde     .     .     .     .  a56 

Carattere  di  Matilde ivi 

Sua  lega  con  Gregorio  VII.   .     .     .  .     ivi  e  aSy 

Carattere  di  questo  Pontefice     ....     ivi  e  a58 

Sua  lettera  a  Filippo  Re  di  Fraiicia 258 

Vertenze  tra  esso  ed  Arrigo  IV.  Imperatore  .     .ivi 
Concilio  adunato  in  Wormazia,  ove  Gregorio  è 

deposto ivi  e  269 

Gregorio  depone  Arrigo,  e  assolve  i  di  lui  sud- 
diti dal  giuramento 259 

Conseguenze  che  ne  derivano ivi 

Arrigo  a  Canossa 260 

Umiliazioni  da  lui  sofferte ivi 

Indignazionexlei  Principi  italiani ivi 

Vicende  di  Arrigo ivi 

Il  Papa  dichiara  Ridolfo  Re  di  Germania .      .     .261 
Ridolfo  è  ucciso  in  un  fatto  di  arme  contro  Arrigo.  262 
Arrigo  sconfigge  le  truppe  della  Contessa  Matil- 
de, nel  Mantovano ivi 


35o  INDICE 

Pone  l'assedio  a  Roma 261 

È  costretto  a  toglierlo ,  e  yì  entra  paiìificaiftenfe 

"   in  appresso •     mea63 

Roberto  Guiscardo  viene  a  liberare  il  Papa 

chiuso  in  Gistel  S.  ^gelo iyi 

Sacco  dato  a  Roma  dai  Normanni iti 

Morte  del  Papa  in  Salerno     .......  263 

Riflessioni  sul  suo  Pontificato ìtì 

Nuovo  matrimonio  di  Matilde  con  Guelfo  V.     .  26^ 

Arrigo  ritorna  in  Italia ìtì 

Corrado  suo  figlio  gli  si  ribella 265 

È  creato  Re  d'Italia    ^ 'm 

Artifizi  di  Matilde ivi  e  266 

Celebre  Donazione  da  essa  fatta  alla  Sede  Pon- 

tincia ITI 

Divorzio  tra  Matilde  e  Guelfo 267 

Morte  di  Arrigo m 

Suo  carattere ivi  e  268 

Morte  di  Corrado  in  Firenze ivi 

Arrigo  V 26g 

Sue  vicende ,  2jo 

Morte  di  Matilde ìtì 

Capìtolo  IV.  Riflessioni  sulla  condotta  dei  Barbari 

nel  far  la  guerra 373  e  3^3 

Stato  dell' Italia 3^4 

Governo  feudale 3^5 

Codice  penale  di  quei  tempi ivi 

Ferocia  ne' costumi ìtì 

Vescovi  ed  Abati  portatori  di  armi 376 

Condanna  de' Monoteliti in 

Ferocia  di  Stefano  VI.  contro  Formoso    ...  377 
Intrighi  del  secolo  nei  monasteri  e  n^li  ertud  .  378 

Vescovadi  ed  Abbazzle  vendute ìri 

Giudizj  di  Dio 379 

Varietà  delle  prove ivi 

Guerre  private 381 


INDICE  55f 

Tregua  di  Dìo  .     .     .     . 281 

Abusi  degli  EÀ;cle$iastìci aSii 

Abbrutimento  generale ^83 

Vergogna  annessa  alla  coltura  delle  lettere  .     .  ^84 

Ignoranza  degli  ecclesiastici  stessi ivi 

Stato  di  Pavia  e  di  Roma ^85 

Feudalità ^87 

Abusi  di  essa ^88 

Istituzione  della  Cavallerìa  per  reprìmerli    •     •289 
Malcontento  de' popoli,  e  divisione  tra  i  Feu- 
datari   ivi 

Dispute  fra  il  Sacerdozio  e  l'Impero    ....  290 
Abolizione  del  sistema  feudale:  var)  modi,  coi 

quali  si  operò ivi 

Intemperanza  di  libertii 291 

Stabilimento  di  varj  Principati ......  'ig^t 

DELL'ARTE  DELLA  GUERRA 

N£I   BASSI   TEMPI 

SOMMARIO 

Obbligo  dei  sudditi  di  andare  alla  guerra  nei 

tempi  dell'oppressione  feudale 294 

Importanza  della  cavallerìa ngS 

Armatura  de'cavalierì     . ivi 

Cambiamento  di  tattica  nei  tempi  posteriori      .     ivi 

Battaglie  fra  i  cittadini  armati 296 

Introduzione  delle  soldatesche  mercenarìe  .  ,  ivi 
Yarìetà  delle  armi  da  offesa  e  da  difesa  .  «  .  297 
Macchine  da  attaccare,  e  difendere  le  città.  298  e  299 

Bastie 3oo 

Baliste,  Catapulte,  Mangani,  Trabocchi,  ec.  ivi  e  3oi 

Arìeti,  Talpe 3oa 

Mine,  Contrammipe  e  Trìboli  di  ferro  .  ivi  e  3o3 
Torri  di  varia  forma  e  grandezza ivi 


353  INDICE 

Fuoco  Greco    ..•.•..••!.  3o4 
Sua  composizione  •••••••••.  3o5 

Invenzione  della  polvere 3o6 

Cambiamenti  recati  nell^Arte  della  guerra  da 

questa  scoperta •     •     •     •     •  ioj 

Riflessioni  sulla  Tattica 3o&  e  seqq. 

DELL'  ORIOmE  £  PROGRESSI 

É 

DELLA  LINGUA  ITALIANA 

SOMMARIO 

Mutazione  della  lingua  prodotta  dalla  caduta 

dell'Impero  Romano 3i3 

Irregolarità  delle  lingue  .     ,     .     .     ,     .     .     .  3i4 
È  falso  che  la  lingua  Italiana  si  parlasse  dal  vol- 
go in  Roma 3i5 

Opinione  del  Marchese  Maffei  .     ,     ,     .     ivi  e  3i6 
Mutazioni  essenziali  della  lingua  in  Italia  co- 
minciale nel  secolo  VI ìi'j 

Sei  secoli  sono  impiegati  nella  sua  formazione  .  3i8 

Opposizioni  ribattute SiQeseqq. 

Storia  di  Ricordano  Mala  spina 3ai 

I  Poeti  si  distinsero  i  primi  nel  pulire  la  lingua  .    'm 

Meriti  di  Dante ivi  e  3aa 

Se  la  lingua  debba  chiamarsi  Tose,  o  Italiana.  333 
Elsame  di  <{uesta  <{uestione   .......    i^ 

Gran    libertà   dei    primi  formatori  delle  lin- 
gue   3a4  e  seqq. 

Opinione  dell' Hume 334 

Esempio  di  Gray 335 

Vantaggi  e  svantaggi  ritratti  dalla  lingua ,  dopo 

che  il  dialetto  Tose,  divenne  ildominante.  336  e  33; 
Carattere  di  esso,  e  conclusione.    .     .     ,  338  e  seqq. 


STORIA 

DELLA  TOSCANA 

SINO  AL  PRINCIPATO 
CON   DIVERSI   SAGGI 

SVLLE 

SaENZE,  LETTERE  E  ARTI 

DI 

LORENZO  PIGNOTTI 

ISTOfilOGRÀFO  REGIO 


r 


TOMO  SECONDO  l^  ] 


FIRENZE 

PRESSO  LEONARDO  CIARDETTI 

i8a4. 


DELL'ISTORIA 


DELLA  TOSCANA 

LIBRO    TERZO 


CAPITOLO   L 


SOMMARIO 


Stato  della  Toscana  dopo  la  morte  deUa  Contessa  Matilde, 
Potenza  e  imprese  dei  Pisani.  Crociate, 


9 

antica  Toscana  si  estendeva  dalla  foce  della  Ma- 


L 

gra  a  quella  del  Tevere .  Sotto  i  Duchi ,  e  Marchesi 
fu  distinta  in  tre  parti  coi  nomi  di  Toscana  Reale^ 
Ducale,  e  Romana  (i)^  i  confini  delle  quali  anda- 
rono spesso  variando  •  La  Repubblica  fiorentina  ne 
conquistò  una  parte^  e  finalmente  passati  ì'suoi  do- 
minj  sotto  i  Medicei  sovrani,  e  i  loro  successori,  è 
restato  il  nome  di  Toscana  all'antico  Stato  fiorenti- 
DO  aggiuntovi  il  sanese^  e  il  pisano.  Questo  è  il 
paese,  della  di  cui  storia  ci  occuperemo  adesso,  per- 
correndo i  tempi  in  cui  sciolto  il  vincolo  feudale, 
che  lo  teneva  debolmente  unito  all'Impero,  le  sue 
città,  come  quelle  del  resto  d'Italia,  si  costituirono 
in  turbolenti  repubbliche.  Fra  queste  fisserà  la  no- 
stra attenzione  specialmente  Firenze,  che  mirando 
alla  conquista  della  Toscana  abbraccia  nei  suoi  av- 

(i)Ghoro(;raph.  medil  aen*  Mur.  Scrip.  iul.  tom.  la. 


4  LIBRO   TERZO 

veniraenti  le  più  ìmportaotì  vicende  delle  altre 
città. 

Conservò  la  Toscana  un'ombra  di  dependenza 
dalla  Contessa  Matilde  fincli'ella  visse^  più  per  dq 
tioìore  reverenziale,  che  per  la  di  lei  reale  possan- 
za. Già  molte  città  si  governavano  come  iadepen- 
denti,  e  più  volte  troviamo  Pisa^  e  Lucca ,  che  si 
fanno  la  guerra,  benché  signoreggiate  almeno  in 
apparenza  da  Matilde.  Si  può  assicurare ,  che  se  vi 
era  dependenza  fin  ch'ella  visse,  restò  affatto  tolta 
alla  di  lei  morte:  molto  più  essendo  la  sua  erediti 
contrastata  da  varj  pretendenti.  1  di  lei  successori 
Corrado,  Ulrico,  e  Guelfo,  che  ne  riceverono  l'in- 
vestitura, appena  si  trovano  nominati.  Il  vincolo 
di  dependenza  delle  varie  città  di  Toscana  andò 
rilassandosi,  e  finalmente  si  sciolse,  ma  in  varj 
tempi. 

Una  delle  città  di  Toscana,  forse  la  prima  a  sot- 
trarsi al  feudale  governo,  fu  Pisa.  Strabone,  ed  al- 
tri autori  hanno  data  ad  essa  una  greca  origine  (3). 
Situata  vicino  al  mare  sul  triangolo  formato  nelle 
passate  età  dalla  confluenza  di  due  fiumi  l'Amo, 
ed  il  Serclìio  (3),  era  attissima  al  commercio,  ed 

(2)  Strabooe  (  Geograph.  Itb.  5.)  racconta,  che  fa  labbrìcita 
dai  Pise!  del  Pelopoaueso^  che  andati  con  Nestore  all' assedio  <fi 
Troja ,  nel  ritorno  furono  spinti  altri  sul  lido  toscano  oy*  è  situata 
Pisa ,  altri  a  Metaponto  sul  confine  d' Italia:  secondo  lo  stesso  an- 
tere era  Pisa  meno  celebre  ai  suoi  tempi  di  quello  fosse  stata  aoa 
volta.*  si  distingueva  pure  per  la  fertilità  del  terreno,  per  legai  da 
costruzione  ,  e  per  la  Lapidicina . 

(3)  Tale  ù  fa  posizione  di  Pisa  notata  da  Strabonc  Lib.  5.  Cosi 
è  descritta  da  Ru litio  Nnmatiano,  tanto  tempo  dopo,  nei  segaenti 
versi  : 

j>  Alpheae  velevis  contemplor  originis  urbem 

»  Quam  geminis  cingunt  Amus,  et  Auser  aquis. 

n  Conurn  p ira  midi s  coeuntia  f  lumina  ducunt^ 
»  Intratur  modico  frons  patefacta  solo. 


CAPITOLO  PRIMO  5 

alla  navigazione  in  tempi  in  specie^  nei  quali  que- 
sta si  faceva  con  legni  sottili .  La  troviamo  perciò 
assai  per  tempo  ricca  ^  e  mercantile  ^  e  frequentata 
da  tutte  le  barbare  nazioni^  come  appunto  dalla 
ridicola  querela  che  fa  contro  di  essa  il  più  ridico- 
lo  poeta  Donizone  si  deduce  (4).  I  popoli  navigato- 
ri sono  stati  sempre  potenti,  sì  per  le  ricchezze, 
come  per  le  cognizioni  utili ,  che  colla  navigazione 
acquistano.  Fino  alla  fine  del  secolo  XV  quasi  tut- 
ta la  navigazione  dei  popoli  europei ,  e  di  quelli 
dell'Asia  ,  e  dell'Affrica  che  avevano  comunica- 
zioue^  e  commercio  coi  primi,  si  limitava  al  Medi- 
terraneo, Adriatico,  Arcipelago,  e  Ponto  Eusino,  e 
le  prime  tre  italiane  Repubbliche  Pisa ,  Genova ,  e 
Venezia  ne  furono  per  molto  tempo  le  dominatrici. 
Pisa,  fino  dall'anno  926,  era  la  principale  ritta  di 
Toscana  per  testimonianza  di  Liutprando  (5).  Nel 

n  Sed  proprium  retinet  communi  in  gurgite  nomen , 
»  Et  pontum  solus  scilicet  Amus  adit. 
Non  è  ben  noto  in  cbe  tempo  il  Serchìo  si  sia  diviso  dall' Arno  : 
ambedue  {questi  fiumi  hanno  le  foci  in  mare  distanti  circa  6  mi- 
glia. E'  strana  cosa,  come  una  siffatta  notizia  sia  sfuggita  alla  dili- 
genza del  Chiarissimo  Gibhon  (  Antiqui ties  ofthe  House  ofBrun» 
swich)f  che  gli  ha  creduti  sempre  uniti .  Che  siano  stati  sempre 
disuniti,  e  che  il  piccoio  Oseri  sìa  indicato  neWAuser  non  si  può 
sostenere,  perchè  le  descrizioni  di  Strabone,  e  di  Rutilio  conside- 
rano YAuser  come  un  fiume  quasi  eguale  all'Arno,  giacche  se 
fosse  stato  un  piccolo  influente ,  non  avrehhe  questi  detto  dell' Ar- 
no, dopo  la  congiunzione. 

»  Sed  proprium  retinet  communi  in  gurgite  nomen 
»  Et  pontum  solus  scilicet  Amus  adit, 

(4)  Doniz.  nella  vita  delia  Contessa  Matilde  scritta  in  harbari 
versi  latini  si  lamenta  aspramente  che  la  di  lei  madre  Beatrice  sia 
sepolta  piuttosto  in  Pisa  che  in  Canossa ,  e  fa  così  parlar  Canossa 

»  Qui  pergit  Pisas  vidit  illic  monstra  marina  . . . 

»  Haec  urbs  Paganis,  Turcis,  Libie is ,  quoque  Parthis 

n  Sordida  Chaldaeis  sua  lustrant  litora  tetri  ec, 

(5)  Questo  Scrittore  nel  raccontarci  che  Ugon»,  invitato  al 
regno  d'Italia,  sbarQÒ  a  Pisa  aggiunge  quae  est  Tusciae  Provine 
ciae  caput. 


6  LIBRO   TERZO 

princìpio  del  secolo  XI  cioè  neiranuo  ioo4f  tro- 
viamo negli  Annali  Pisani ,  che  questi  fecero  guer- 
ra coi  Lucchesi^  e  gli  vinsero  (6);  ed  è  la  prima 
impresa  di  una  città  italiana  contro  di  un'altra^  lo 
che  mostra  che  già  ella  agiva  da  per  se ^  e  si  era  o 

di^!  totalmente  ,  o  almeno  in  gran   parte  sottratta  al 

4oo4  dominio  del  Duca  di  Toscana .  Si  legge  negli  an- 
nali pisani^  ed  in  altri  scrittori  una  serie  d'impre- 
se^ varie  delle  quali  oscuramente  narrate^  o  forse 

ioo5 esagerate.  Cosi  nell'anno  ioo5,  troviamo ,  che  per 
una  spedizione  dei  Pisani  contro  delia  città  marit- 
tima di  Reggio,  essendo  stata  lasciata  sprovvista  di 
difensori  Pisa,  Musetto  re,  o  capo  dei  Saraceni, 
che  occupavano  la  Sardegna,  colse  questo  tempo 
per  farvi  un'invasione,  e  dopo  averle  dato  il  sacco, 
si  partì,  o  ne  fu  scacciato  (j).  Mentre  intanto  la 
flotta  pisana  gli  sconfisse  presso  Reggio,  e  se  cre- 
diamo alle  stesse  memorie  se  ne  impossessò  ancora 
(  lo  che  però  non  è  asserito  da  alcun  contemporaneo 
scrittore  )  questi  Barbari  stazionati  in  Sardegna  do- 
ravano sotto  la  condotta  di  Musetto  ad  infestare  il 
littorale  d'Italia,  ed  occuparono  improvvisamente 

1016  la  città  di  Luni.  Temendo  il  Pontefice  Benedet- 

(6)  yy' Fecerunt  hellum  Pisani  cum  Lucensibus,  et  vicenaU 
eos  ad  aquam  bongam,  Ann.  Pis.  ioo4« 

(7)  Ann.  Pis.  Racconta  il  Tronci  che  una  donna  detta  Kinseca 
Gismondì  9  nel  momento  dell*  in vasione  corse  gridando  al  Palano 
dei  Rettori,  e  fece  suonar  la  campana  a  martello ,  per  cui  radaiia6 
i  Pisani  ne  cacciarono  i  Saraceni;  che  una  statua  fu  eretta  né 
quartiere  di  quella  donna  attaccato  dai  Saraceni,  e  che  ha  dato  il 
nome  al  quartiere  suddetto?  ma  tutto  il  racconto  è  nnaiaTolt. 
Pia  ^erisimilmente  era  questo  il  quartiere  ahi  tato  dagli  Arabile 
Gildei  che  trafficavano  in  Pisa.  Nelle  tre  lingue  araha ,  caldea,  ad 
ebraica  la  parola  Rinsa  o  Kinseia }(  giacché  variamente  è  prooaD» 
siala)  sìgnilica  riunione,  sinagoga,  e  congregazione  sacra ,  o  prò 
fana .  Era  probabilmente  que&to  il  quartiere  ove  abitavano  quii 
forestieri,  e  vi  poteva  essere  la  Chiesa  loro. 


CAPITOLO    PRIMO  7 

to  Vili  che  TÌ  ai  fermassero,  si  dice  (8)  che  vi 
mandasse  un'armata;  ma  non  essendo  allora  ì  Pon-^|°^^ 
tefici  in  stato  di  aver  delFarmate^  è  più  probabile  1016 
che  eccitasse  i  Genovesi,  e  i  Pisani  ad  espellere  un 
potente  nemico  da  un  posto ^  che  per  essere  egual- 
mente vicino  ad  amendue  i  territorj ,  avevano  que- 
ste due  città  lo  stesso  interesse  di  cacciarlo  (9).  Si 
racconta  che  Musetto  appena  potè  salvarsi  colla  fu- 
ga^ che  la  maggior  parte  di  quei  barbari  restò  ta- 
gliata a  pezzi  ^  e  la  stessa  Reina  ,  i  di  cui  ornamenti 
preziosi  furono  inviati  dal  Papa  al  Re  Arrigo  II.  Era  1017 
molto  naturale  che  i  Pisani  e  i  Genovesi,  i  quali 
doveano  star  sempre  in  timore  delle  piraterie,  e 
invasioni  di  quei  barbari,  finché  occupavano  la  Sar- 
degna ,  pensassero  seriamente  a  snidarli  da  quel 
paese:  il  Papa  stesso  spedi  a  bella  posta  ai  Pisani 
Legato  il  Vescovo  d'Ostia  per  animarli  a  tale  ira- 
presa  :  questi  uniti  ai  Genovesi  conquistarono  la 
Sardegna  (io),  cacciandone  i  Saraceni;  e  il  Papa 
per  quel  diritto,  che  credeva  di  avere  su  tutti  i  re- 
gni della  terra,  investi  del  dominio  i  Pisani,  non 
senza  gelosia  dei  Genovesi,  i  quali  meno  potenti  in 
quel  tenijK),  dovettero  cedere  alla  forza.  11  bisogno 
scambievole  di  difendersi  dal  comune  nemico  gli 
tenne  uniti,  ed  essendo  nell'anno  ioao  quei  bar- 
bari sotto  lo  stesso  condottiero  sbarcati  in  Sarde- 
gna^ ne  furon  nuovamente  cacciati:  restò  preda  dei 


(8)  Dìtmar.  Chron.  Lib.  VII. 

(9}  E*  ooUto  negli  Annali  pisani»  anno  xoi'j.n  Pisani,  et 
Januensesfecerunt  beuum  cum  Mugeto ,  et  vicerunt  illum  ....«• 
Ditniaro  pone  la  spedizione  citata  nell'anno  afanti,  ma  o  qualche 
errore  in  quei  tempi  assai  comune,  o  la  varia  maniera  di  compu- 
tar r  anno  >  può  accomodare  la  cronologia . 

Ciò)  Ann*  Pijan.  Rerum  ItaL  Scrip.  Tom.  6. 


8  LIBRO  TERZO 


7VÌncitorì  tutto  il  loro  tesoro,  che  per  una  iodeonìs- 
^i  (^  zazione  delle  spese  fu  concesso  ai  Genovesi.  La  po- 
B017  tenza  navale  di  Pisa  andava  sempre  crescendo:  noi 
non  ci  arrestiamo  sopra  altri  avvenimenti  avvolti 
io63  nell'incertezza ,  e  oscurità  dei  tempi  (ii)*  L' an- 
no io63  è  assai  glorioso  per  Pisa.  Con  una  potente 
flotta  andarono  i  Pisani  ad  attaccare  la  città  di  Pa- 
lermo :  egli  è  difBcile  il  credere  che  la  prendessero 
come  asseriscono  gli  Annali  pisani .  Una  città  tan- 
to popolata  di  gente  guerriera  come  i  Saraceni,  non 
si  occupava  facilmente  da  quella  gente  da  sbarco, 
che  poteva  esser  sulla  flotta  pisana;  più  verisimile 
è  ciò  che  narra  il  Malaterra,  che  accorsa  alla  difesa 
dal  vicino  paese,  al  comparir  della  flotta,  una  io- 
numerabile  quantità  di  Mussulmani  uniti  ai  citta- 
dini, si  contentassero  i  Pisani,  rotta  la  catena  che 
serrava  il  Porto,  di  bruciare  quattro  navi,  e  condor 
seco  loro  la  più  ricca,  del  bottino  della  quale  assai 
grande^  fu  fatto  uso  per  cominciare  la  magnifica 
Cattedrale  (12). 

Si  accese  intanto  il  fervore  delle  Crociate,  im- 
presa tanto  lodata  negli  antichi,  biasimata  nel  se- 
colo presente.  11  religioso  entusiasmo  e  l'ignoranza 
del  tempo  nascondevano  ciocché  la  ragione,  e  la 
sana  politica  potevano  chiaramente  mostrare.  Avreb- 
bero queste  sconsigliata  unMmpresa  si  lontana,  la 

(1 1)  Tali  SODO  la  presa  dì  Cartagine,  anno  i  o35.  della  città 
di  Lipari  col  saccheggio  di  quell'Isola,  e  la  conijuista  di  Roma 
(Sigon.  de  regao  ital.  Ann.  Pis-  Tronci),  ed  altre  simili  iuiurese 
che  negli  Annali  pisani,  Rerum  Italie.  Scrip.,  ed  in  quelli  del 
Trouci  si  narrano. 

(iq)  F/  Ciò  narrato  da  una  delle  principali  iscrizioni  posta 
nella  fiicciata  del  Duomo,  ove  p'^rò  non  si  parla  della  presa  dì  P>- 
lernio ,  lo  che ,  se  foòse  stato  vero ,  non  si  sarebbe  taciuto  od- 
r  iscrizione . 


CAPITOLO  PRIMO  9 

quale  m  aveva  felice  esito^  era  facile  il  prevedere' 
che  non  si  poteva  lungamente  tenere  daXristiani  j^c. 
una  si  lontana  conquista;  la  religione  illuminata  106S 
non  avrebbe  permesso  lo  spargimento  di  tanto  san- 
gue innocente.  Era  certamente  onorevole  pei  Cri- 1099 
stiani  il  possedere  il  suolo  ove  TAutore  della  loro 
religione  nacque,  visse,  e  colla  morte  compì  il  mi» 
stero  della  redenzione:  la  vista  di  questo  suolo  po- 
teva ispirar  penàeri  santi,  ed  incitare  ad  atti  vir- 
tuosi: questi  però  sono  accetti  al  cielo  in  qualun- 
que paese:  nondimeno  T impresa  sarà  sempre  ri- 
guardata con  occhio  rispettoso  non  tanto  per  la  ve- 
nerazione religiosa  che  vi  si  attacca  senza  molto 
esaminarla,  quanto  per  esser  resa  immortale,  e  po- 
sta per  le  bocche  dei  dotti,  e  degl'indotti  da  uno 
dei  più  sublimi,  e  più  soavi  pezzi  di  poesia,  che 
abbia  prodotto  V  ingegno  umano ,  in  cui  tutto  è 
eroismo,  quasi  tutto  è  religione.  Il  freddo  isterico 
per  altro,  che  riguarda  con  occhio  imparziale  quel- 
li avvenimenti,  vede  più  millioni  d'ingannata  gen- 
te condotta  al  macello,  costretta  a  depredar,  per 
vivere,  i  paesi  cristiani  per  cui  passava,  ispirando 
un  egual  orrore  agli  amici,  e  ai  nemici,  morendo 
la  maggior  parte  di  stento,  o  di  ferro,  perdersi  per 
la  strada ,  pochi  giungere  alla  difficile  conquista  ,  e 
in  mezzo  al  sacco,  agli  stupri,  e  al  sangue  di  cui 
inondarono  Gerusalemme  (i3),  andare  a  prostrarsi 


(i3)La  strage  orribile  fatta  dai  pii  guerrieri  nel  tempio  di 
Salomone,  descritta  dal  Tasso ,  Canto  19.  è  nn  fatto  istorico,  col- 
la sola  differenza  che  invece  di  Rinaldo»  con  cui  il  Tasso  volle 
onorare  la  Casa  di  Este ,  vi  si  trovò  Tancredi . ..  i/i  tempio  se  con- 
cluserunt ,  ergo  Tancredus  cum  suis  adveniens ,  expugnare  eos 
coepit  :  nec  morafores  patefactae ....  caedes  immensa  peracta 
est ,  adeo  ut  in  cruore  peremptorum,  pedes  nostrorum  tenus  su- 


IO  LIBRO  TERZO 

"al  Santo  Sepolcro.  A  questa  impresa ^  allora  tanto 


die.  gloriosa^  si  mossero  le  potenze  marittime  italiane,  i 
1099  Veneziani 9  i  Genovesi^  i  Pisani  spinti  egaalmeDte 
dall'amor  della  religione,  e  del  guadagno.  Elssi  fa- 
rono  i  provvisionieri  di  queste  armate:  portarono 
loro  viveri 9  armi ,  munizioni,  e  si  arricchirono  delle 
spoglie  deirAsia:  il  Tasso,  che  ha  con  molta  esat- 
tezza seguitato  i  veri  avvenimenti  della  sacra  guer- 
ra ,  che  più  volte  ha  fatto  onorevoi  menzione  dei 
Genovesi,  e  nei  cui  versi  il  ligure  Guglielmo  fab- 
bricatore della  fatai  Torre  è  tanto  distinto,  ha 
obliato  i  Pisani  (i4)*  ^^  ^g^^  ^on  ebbe  il  torto, 
giacché  giunsero  tardi  a  quell'impresa,  guidati  dal 
loro  Arcivescovo  Daiberto  (  1 5) .  Benché  avessero  si 
poco  dritto  alla  conquista, ci  si  manifesta  la  poten- 
za dei  Pisani ,  e  del  loro  Arcivescovo,  nelle  indi- 
screte di  lui  pretensioni  • 

Creato  Patriarca  di  Gerusalemme  per  queirauto- 
rità ,  che  si  arrogavano  i  Papi  di  esser  temporali 

ras  pene  tingerentur,  negue/beminis,  neque  parvuUs  peperee- 
runt  — .  Gesta  Dei  per  Francos. 

(i4)  Il  Guarìni  non  amico  del  Tasso  nota  quest' omissioiie, 
come  animosità  y  in  quel  sonetto  sul  Giuoco  del  Ponte  • 
Quale  or  di  guerra  in  simulacro  armata 

Di  valore  mdivisa  Amo  divide, 

E  qual  fu  sempre ,  ove  più  Blarte  ancide, 

Pisa  a  pugnare  invitta  :  a  vin^  nata  ; 
Tal  da  penna  Jtimosa  ini)idiata 

Pugnar  Goffredo  in  sul  Giordan  la  vide , 

E  schiere  dissipar  Perse,  e  Numide 

Di  sacre  spoglie ,  e  piii  di  gloria  ornata . 
Se  tal  era  d' Etriiria  il  vinto  stuolo 

Al  periglioso  varco  y  allor  che  volse 

L' intrepido  Romano  a  lei  la  fronte; 
Le  fama ,  che  cantò  d' Orazio  solo 

Contro  Toscana,  or  narreria ,  che  tobe 

Un  sol  Toscano  a  tutta  Roma  il  Ponte  • 


Un  sol  1  escano  a  tutta  Roma  u 
(1 5}  Vedi  Gesù  Dei  per  Francos. 


CAPITOLO   PRIMO  ir 

padroni  del  mondo,  dei  quali  Daiberto  era  il  Vica* 
rio,  pretese  questi  esser  T arbitro  del  nuovo  regno,  ai  C 
Il  pio  Goffredo  si  piegò  a  prenderne  da  lui  Tinve-  ^099 
slitura:  un  quarto  della  città  fu  ceduto  alla  Chiesa, 
colla  condizione  che,  alla  morte  di  Goffredo  senza 
successione,  o  quando  nuovi  acquisti  ne  avessero 
accresciuto  il  piccolo  regno,  la  santa  città  assieme 
coD  Giaffa  ritornerebbero  al  sovrano  Signore,  cioè 
alla  Chiesa.  L'estensione  della  pisana  possanza  in 
quella  città  è  confermata  dal  nome  di  Castello  Pi* 
sano,  che  fu  dato  all'antica  Torre  Psephina  detta 
anche  la  Torre  di  DaTid ,  ove  il  Tasso  dopo  la  pre- 
sa della  città  fa  ricoverare  il  Soldano  con  Aladino . 


13  LIBRO  TERZO 

CAPITOLO     II. 

SOMMARIO 

Origine  di  Firenze,  Suo  incremento.  Situazione  delle  sue  mura* 
Pandette  trovate  dai  Pisani  in  Amalfi .  Varie  Repubbliche  in 
Toscana .  Governo  di  Siena .  Impresa  delle  Baieari  fatta  dai 
Pisani,  Altri  acquisti  e  potenza  dei  medesimi. 

D.  ,„eUe  .«...„.  c,„«  eh.  1»U«.«.U  op. 

rando  avevano  prima  indebolito^  e  poi  distrutto  il 
potere  degl' Imperatori^  e  dei  Duchi  sulle  città  di 
Toscana  y  Firenze  si  trovò  libera  ^  benché  più  tardi 
che  Pisa:  la  potenza  maggiore^  che  le  ricchezze 
acquistate  dai  commercio  davano  a  quella  città, 
furon  probabilmente  la  causa,  che  si  ponesse  in  li- 
bertà prima  di  Firenze:  per  molto  tempo  non  fa 
che  una  piccola  città,  e  di  poco  rilievo.  Nata  pro- 
babilmente dairindustria  di  coloro  che  dal  mare, 
e  dalla  ricca  e  commerciante  città  di  Pisa  col  co- 
modo dell'Arno,  trasportavano  le  merci  alla  popo- 
lata città  di  Fiesole,  dovevano  i  suoi  abitatori  sta- 
bilirsi sulla  sponda  delFArno  specialmente  dalla 
parte  fiesolana,  quando  per  Parte,  o  per  lente  ope- 
razioni della  natura ,  rotto  ed  aperto  il  sassoso  io- 
ciampo  che  alla  Golfolina  probabilmente  impediva 
il  libero  corso  delTArno,  le  acque  lasciarono  sco- 
perta la  pianura  fiorentina  (i).  L'industria,  ed  il 

(i)  Vedi  Introduz.  Anche  il  Landino  lo  attesta. 
„  Sillanus  primus/ugiens  asperrima  montis 

„  Purgavit  nostros  arte  colonus  agros , 
„  Atque  Arnum  recta  contractum  undique  limphis 
„  Obice  disrupto  compulit  ire  via. 


CAPITOLO  SECONDO  i3 
commercio  cbìamaodo  le  ricchezze^  e  queste  la  po- 
polazione y  dovette  la  città  accrescersi ,  e  la  comoda 
situazione  chiamarvi  a  poco  a  poco  gli  abitatori  di 
Fiesole.  Cosi  Firenze  figlia  di  Fiesole  si  aumentò 
spogliando  dei  suoi  abitatori  la  madre  (2)^  special* 
mente  quando  le  incursioni  dei  Barbari  del  Setten- 
trione essendo  cessate,  meno  necessaria  si  rendeva 
la  sicura  posizione  di  un  monte,  e  quando  la  forza 
crescente  della  figlia  era  giunta  a  segno  di  poter  re- 
sistere al  par  della  madre  alle  accidentali  violenze 
e  dei  Signori  feudali ,  o  di  emule  città.  Che  Firenze 
fosse  una  colonia  romana  dedotta  da  Siila,  fu  cre- 
denza comune  degli  storici  di  questa  città,  appog- 
giata piò,  sulla  incerta  tradizione,  che  sopra  auten- 
tici monumenti.  Poliziano  ha  mostrato  che  la  colo- 
nia fu  dedotta  dai  Triumviri  Augusto,  M.  Antonio^ 
e  Lepido  (5);  e  se  quando  ha  parlato  come  poeta 
ha  chiamato  Firenze  città  Sillana  (4)>  scrivendo  poi 
come  critico  ne  ha  mostrata  la  vera  origine  col- 
Tautorità  di  Frontino  (5).  Ai  coloni  soldati  cesa- 
riani  furono  assegnati  300  jugeri  di  terreno,  ed  è 
molto  probabile  che  da  questi  veterani  guerrieri 
fosse  eretta  la  statua  di  Marte,  che  si  confinò  fino 
ai  bassi  tempi,  e  fabbricato  il  Tempio  a  questo  Dio, 
convertito  poi  in  quello  del  Batista  (6).  Anche  il 

(3) ,,  £  il  fiorentino  popolo  maligno, 
j.  Che  discese  da  Fiesole  ab  antiquo» 
9,  E  tiene  ancor  del  sasso»  e  del  macigno  ec.  Dan. 

(3)  Epist.  lib.  1.  epist.  a.  ad  Petmm  Medie. 

(4)  Elegia  in  obitu  Albierae  Albitiae* 

(5)  Julii  Front,  de  agrorom  mensaris.  Fedi  Borghini  dell'ori^ 
gine  di  Firenze. 

(6)  Son  diirisi  gli  antiqnarj  su  questo  Tempio  »  credendo  al- 
cuni» che  sia  stato  sempre  Battistero  :  anche  la  statua  di  Marte  si 
crede  dai  più»  che  fosse  la  statua  di  qualche  antico  Romano»  Pa- 


i4  LIBRÒ  TERZO 

nome  di  Florentia  è  motivo  di  gran  questione  ;  fn 
tante  congetture  quella  sembra  la  più  verisimile 
che  dal  nome  dei  fiorii  ossia  dei  gigli  fiorentini ,  dei 
quali  erano  tanto  sparse  le  campagne»  prendesse 
il  nome  (7).  Comunque  ciò  sia,  è  per  lo  più  delle 

trono  della  Colonia  ^  e  se  veramente  era  a  cavallo >!' opinione  è 
giusta  perchè  il  Dio  Marte  non  si  rappresentava  a  cavallo.  Oltre 

Snesti  monumenti»  gli  Antiqoarj  hanno  trovato  nella  città  vestig 
el  circo,  delle  terme,  ed  altri  antichi  edifizj.  Chi  si  compiace  ai 
siffatte  notizie  può  consultare  Borghini»  Diss.  sull'origine  di  Fi- 
renze, il  Manni  in  molte  diss.  ec.  Pel  tempio  di  S.  Giovanni  ve* 
dasi  il  Mei ,  Lettera  al  Borghini,  ma  in  specie  Gio.  Battista  NeUi, 
che  con  assai  solide  ragioni  lo  crede  eretto  nei  tempi  longohardid. 
(7)  Forse  Arvajlorentia  fu  convertito  in  Fiorenza  ciò  che  an- 
co dalla  moneta  fiorino ,  in  cui  è  impresso  lo  stesso  fiore ,  da  Santa 
Maria  del  fiore,  e  da  tant' altre  testimonianze  vien  confermato , 
essendo  facile  poi  il  convertire  un  giglio  in  un'altro^  o  mutarne  il 
colore,  come  spesso  avvenne  nella  tazioni.  Campus  erat  ad  Mu» 
nionis  ripasflorum  omni  genere  ^  sed  praecipue^  liliorum  JecuR- 
dissimus.  Scala  hist  fior.  Ed  allora  il  Mncnone  passava  per  b 
città .  U  Vettori  (  Fior,  illustr.)  sostiene  che  la  sola  parola  Floren- 
tia significa  Gigli  traendolo  dal  lih.  a.  dei  Paralipomeni  ec  U  Me- 
nochio  spiega  la  parola  Florentia  ^rjlores  liliorum.ìì  DotL 
Lami  nelle  sue  Lezioni  di  Antichità  toscane  Lez.  i.  2.  ec.  ha  pre- 
teso sostenere  che  Firenze  fosse  fabbricata  dagli  antichi  Etni- 
schi :  molte  delle  sue  congettare  sono  debolissime  ,  alcune  in^ 
gnose,  ma  tutte  insieme  incapaci  a  provarlo.  U  crederla  città 
etrusca^  perchè  la  sua  edificazione  non  è  nominata  nell'istoria 
romana  j  è  debolissimo  argomentq.  Poche  città  sono  state  solen- 
nemente fabbricate  in  guisa  da  esseme  tenuto  contro  dagli  storici: 
moltissime  son  nate  da  poche  case  riunite  insieme,  accresciute  in- 
sensibilmente, e  per  circostanze  favorevoli,  di  oscuri  castelli  dive- 
nute poi  grosse  città,  come  è  accaduto  a  Firenze.  L'essersi  sca- 
vati in  Firenze,  o  piuttosto  nelle  vicinanze,  dei  monumenti  etru- 
schi, non  prova  se  non  che  Firenze  è  stata  fabbricata  sopra  suolo 
etrusco .  Se  sopra  alcuni  deserti  terreni ,  sotto  i  quali  sono  stati 
trovati  importanti  monumenti  etruschi ,  fossero  innan^  state  hìh 
bricate  terre ,  o  castelli,  1* invenzione  di  quei  monumenti  non  ca- 
ratterizzerebbe quei  castelli  per  Etruschi  :  per  concludere ,  tutti  i 
barlumi  delle  congetture  di  quel  dotto  uomo  non  vaglìono  a  con- 
trabilanciare il  silenzio  perpetuo  degli  Scrittori  suU'  esistenza  di 
Firenze  in  tempi  anteriori  alla  deduzione  della  Colonia,  e  se  era 
una  città  considerabile  etnisca  ornata  di  teatri,  anfiteatri ,  bagni, 
ippodromi  ec  di  lavoro,  e  tempj  etruschi  come  sostiene  l'Autore, 
.sarebbe  stata  qualche  volta  nominata  come  Etnisca  dagli  antichi 
Storici ,  e  Geografi . 


% 


CAPITOLO  SECONDO  i5 
città^  come  degli  uomini;  la  loro  infanzia  è  sepolta 
neiroblìo .  Questa  fu  assai  lunga  nella  città  di  Fi- 
renze^ e  se  si  eccettua  il  passeggiero  lampo  di  valore 
dei  Fiorentini  nel  sostener  Tassodio  di  Radagasio^ 
non  cominciò  a  brillare  finché  non  fu  costituita  in 
repubblica  .  L'estensione  delle  sue  mura  era  assai 
piccola  y  e  si  trovava  tutta  sulla  riva  destra  delTAr- 
no:  tale  fu  il  suo  primo  cerchio^  cominciando  da 
levante:  al  canto  dei  Pazzi  era  la  porta  detta  di  San 
Pietro  y  dalla  chiesa  di  questo  nome  situata  fuori  di 
essa:  di  qui  sì  volgeano  le  mura  verso  tramontana  a 
Santa  Maria  in  Campo;  e  poi  verso  al  Canto  alla  pa- 
glia y  ma  curvandosi  ^  ove  ora  è  il  principio  della  via 
dei  Servi ^  era  una  piccola  porta  o  postierla^  come 
allora  dicevasi^  ed  un'altra  simile  ove  oggi  è  il 
principio  di  Via  dei  Martelli:  trovavasi  poi  la  se- 
conda porta  principale  al  Canto  alla  paglia  ^  detta 
Porta  del  Duomo,  o  del  Vescovo;  quindi  curvando- 
si le  mura,  si  giungeva  alla  terza  porla  detta  di  San 
Pancrazio  dalla  chiesa  di  quel  nome,  situata  fuori 
di  essa  :  piegandosi  verso  mezzogiorno  trovavasi  una 
postierla  detta  Rossa  press'  a  poco  nel  luogo  che 
ne  ritiene  ancora  il  nome:  di  qua  giungevasi  all' ul- 
tima Porta  detta  di  Santa  Maria,  da  una  chiesa  di  tal 
nome  (8):  da  quel  punto  girando  le  mura  al  luogo 
ov'è  situato  il  palazzo  dei  giudici  di  Rota,  e  allora 
probabilmente  Castello,  detto  Altafronte,  includen. 
do  S.  Piero  Scheraggio,  e  la  Badia,  si  ricongiunge* 
vano  a  Porta  S,  Pietro.  Dentro  si  piccolo  spazio  era 

(S)  Disfatta  quella  Chiesa  t  o  cangiato  il  suo  nome ,  e  mutata 
la  porta  t  ha  durato  il  loco  a  diiamarsi  Por  Santa  Biaria.  L'Am- 
nurato  dice  »  La  chiesa  da  cui  prende?a  il  nome  ritirata  più 
addentro ,  e  chiamata  S*  Biagio  indarno  cercherebbe  alcuno  di 
niiTeiure  w. 


i6  LIBRO  TERZO 

racchiusa  T  antica  Firenze^  ed  un  solo  ponte  allori 
fuori  della  Città  ^  nel  posto  ove  Amo  è  più  ristret' 
to,  serviva  a  questa  piccola  popolazione >  che  per  es- 
sere  il  più  antico  di  tutti  conserva  ancora  il  nome 
di  Pontevecchio  (9).  Oiminciando  la  città  a  libe- 
rarsi da  un  oppressivo  governo,  e  a  prendere  vigore 
se  ne  aumentò  presto  la  popolazione^  e  molti  sob- 
borghi furono  fabbricati  fuori  del  primo  recioto. 
Divenuti  questi  assai  estesi  fu  d'uopo^  e  per  poi^ 
al  coperto  dei  nemici  assalti,  e  per  crescere  \  en- 
trate del  Pubblico  coi  dritti  delle  porte  ^  cingere 
di  mura  la  novella  parte  della  città.  Chiusa  da  que- 
ste la  Chiesa  di  S.  Pietro^  presso  di  essa  fu  situata 
la  Porta  di  questo  nome,  e  volgendosi  per  quella 
strada  che  passa  d'avanti  a  Santa  Maria  Nuova, 
giuugevasi  a  S.  Lorenzo,  che  ne  era  compreso,  e  la 
Porla  ne  prendeva  il  nome  •  Di  qui  circolarmente 
si  veniva  ad  Arno,  nel  quale  spazio  erano  due  porte 
cioè  Porta  a  S.  Paolo ,  e  Porta  Carraia  sull'Amo ,  e 
fra  queste,  due  postierle^  indi  le  mura  secondavano 
il  fiume  fino  al  Castello  di  Altafronte^  o  Palazzo  dei 
Giudici^  d'onde  slontaoandosi  dal  fiume  andavano 
nuovamente  a  ricongiungersi  con  la  Porta  di  S.  Pie- 
tro. Fu  cominciato  questo  lavoro  nell'anno  1078,6 
continuato  per  più  anni  •  Nello  spazio  dei  due  se- 
guenti secoli  era  tanto  accresciuta  in  specie  sulla 
sinistra  riva  dell'Arno,  òhe  fu  d'uopo  di  nuove 
mura  circondarla  (anno  i285  ),  lo  che  fu  ospito 
coir  opera  di  un  illustre  architetto ,  Arnolfo  di  La* 
pò,  il  qual  recinto  con  qualche  variazione  è  giunto 
fino  ai  nostri  tempi.  L'epoca  precisa^  in  cui  Fi- 

(9)  Malasp.»  Tillanì,  Varchi^  Amm. 


CAPITOLO  SECONDO  17 
reDze.  onninamente  sottratta  al  dominio  dei  Duchi 
di  Toscana ,  si  costituisse  in  repubblica ,  non  è  ben 
noia.  Siccome  pecò  il  freno  con  cui  la  reggevano^ 
andaya  sempre,  come  abbiam  visto ,  allentandosi , 
si  scorgono  talora  esercitarsi  da  Firenze,  e  da  altre 
città  degli  atti  di  città  libera,  forse  in  quegli  inter- 
valli >  nei  quali  la  poteùKa  dei  Duchi  era  indebo- 
lita ,  o  nella  loro  lontananza  •  Alcuni  però  di  questi 
fatti  narrati  dagli  antichi  storici  sono  con  molta 
ragione  negati  dai  moderni  (io).  Così  riguardasi 
adesso  come  una  favola  che  i  Fiorentini,  ai  quali 
Fiesole  dava  ombra, benché  tanto  diminuita,  nella 
festa  solenne  di  S.  Romolo  che  in  quella  città  ai 
solennizzava,  andati  colassù  in  numerosa  Schiera, 
quando  meno  se  l'aspettavano  i  Fiesolani,  date  le 
mani  alle  armi  se  ne  impadronissero,  e  smantel- 
lando le  case  costringessero  gli  abitatori  a  scendere 
a  Firenze  (11).  Scarse  ed  incerte  notizie  abbiamo 
degli  avvenimenti  di  questa  città  fino  alla  fine  del 
dodicesimo  secolo^  in  cui  si  scorge  la  repubblica 
stabilita,  e  se  ne  comincia  a  conoscer  più  chiara- 
mente l'indole  del  governo.  In  questo  non  piccola 
spazio  di  tempo,  in  cui  Firenze  non  fu  intiera- 
mente serva,  né  lìbera,  si  trovano  negli  antichi  sto- 
rici avvenimenti,  che  partecipano  molto  del  ro- 
manzo: noi  perciò  vi  passeremo  sopra  rapidamente. 
La  potenza  marittima  di  queste  repubbliche  ne  fa- 
ceva ricercar  spesso  Tajuto  da  varie  potenze:  Ro- 


(10)  Marat.  Ann.  d'ItaU  an.  i oi o* 

(1 1)  Le  memorìe  deiranno  1027 ,  ci  mostrano  nel  Diploma  di 
Corrado  Primo ,  il  contado  desolano  distinto  dal  fiorentino  :  esi- 
steva sempre  il  sno  Vescovo,  e  le  lettere  di  Jacopo  vescovo  di 
quella  citta  riportato  dall'  Ughelli  fanno  menzione  Civitaiis  Fé- 
sulanae  :  non  era  dunque  quella  citici  distrutta . 


J  orno  II. 


■■< 


'  y 


i8  LIBRO  TERZO 

berlo  II  Principe  di  Capua  a  dispetto  dell'  investi- 
tura^ e  dei  soccorsi  di  Papa  Onorio  II  era  atalo  cac- 
ciato dal  suo  domiuio  dal  celebre  Ruggieri  11^  con- 
te, e  poi  re  di  Sicilia  ;  e  ad  onta  della  Crociata  ban- 
dita in  suo  favore ,  Roberto  si  era  trovato  costretto 
col  Papa  is tesso  a  ricovrarsi  in  Pisa  a  sollecitar 
Tajuto  della  repubblica.  Mossi  da  zelo  di  religione, 
e  dall'oro  i  Pisani^  approntarono  una  fiotta,  e  alla 
fama  che  Ruggieri  fosse  morto,  Con  20  grosse  navi 
trasportarono  Roberto  a  Napoli- ,  otè  accolto  con 
quell'applauso,  che  ristabilita  del  p<Npolo  suol  fare 
a  ogni  principe  ultimo  giunto ,  credette  in  un  mo- 
mento di  divenire  il  padrone  del  regno.  La  flotta 
pisana  si  accrebbe  in  seguito  di  altre  20  navi  ^  colle 
quali  fu  dato  il  guasto  alla  costa,  saccheggiate  delle 
città,  e  fra  queste  Amalfi,  decaduta  dall'antica 
gloria,  e  potenza,  ma  sempre  assai  ricca  (12).  Fa 
grande  il  bottino  dei  Pisani;  ma  la  parte  più  pre- 
ziosa si  asserisce  che  fossero  le  Pandette,  perdute, 
o  quasi  obliate  in  Italia.  Si  controverte  però  il  fìt- 
to, e  non  è  questo  il  loco  di  criticamente  esaminar- 
lo (i3),  ma  supponendolo  vero,  è  assai  onorifico  ai 
Pisani  che  in  quella  età  di  pochi  lumi,  in  mezzo  a 
feroci,  ed  avidi  guerrieri ,  vi  fosse  chi  pregiasse  tanto 
quest'opera  di  riputarla  degna  di  adornare  la  pa- 
tria. La  repubblica  fiorentina  credette  il  prezioso 
manoscritto  un  trofeo  degno  delle  sue  vittorie;  e 
^  dopo  la  conquista  di  Pisa  lo  trasportò  in  Firenze 
^.""*  ove  è  guardato  sempre  dai  forestieri  con  una  vene- 
ii35  rubile  curiosità.  Il  supposto  acquisto  delle  Pandette 
ha  resa  celebre  la  pisana  spedizione  più  della  cou< 

(1 3)  OroDÌca  varia  pisana.  Marat  Renun.  itaL  tom.  6. 
(i  3)  Parleremo  più  a  lungo  di  tal  questione  a  suo  luogo* 


CAPITOLO   SECONDO        19 
quiiU  delle  Baleari  ^  e  le  questioni  insorte  in  seguito 
su  quel  Codice  hanno  contribuito  ad  illustrare  Tisto-  ^q 
ria  di  quella  Repubblica;  ma  T impresa  non  fini  fé-  n^^ 
licemente  pei  Pisani.  Ruggieri  viveva  sempre:  la 
morte  della  sua  diletta  moglie  lo  avea  gettato  in 
cupa  melanconia  per  cui  invisibile  a  tutti  stava 
rinchiuso  in  una  camera ,  e  il  pubblico  avido  sem« 
pre  di  novità  y  e  pronto  a  far  congetture^  e  a  con- 
vertirle indi  in  certezza  ^  ne  avea  immaginata  la 
morte  .  Riscosso  dalla  melanconia  Fattivo  Ruggieri  nSy 
alle  nuove  dell'invasione  di  Roberto^  e  dei  Pisani, 
volando  rapidamente  di  Sicilia  al  continente,  tra* 
vati  i  Pisani  all'assedio  della  Fratta,  li  ruppe  fa» 
cendo  moltissimi  prigioni  (i4)>  ^  li  costrinse  a  riti* 
rarsi  precipitosamente  col  Principe  Roberto  a  Pisa. 
Nella  venuta  però  in  Italia  di  Lotario  III  Impera* 
tore,  che  sostenne  il  Papa,  ed  occupò  la  Calabria, 
e  la  Puglia ,  i  Pisani  con  grande  armata  andarono 
a  coadiuvar  l'impresa,  occupando,  e  saccheggiando 
molte  città  della  costa ,  ed  assediando  Salerno,  da 
cui  indi  o  per  dispetto  concepito  contro  V  Impera- 
tore ,  ed  il  Papa ,  o  per  altro  motivo  non  ben  noto, 
si  ritirarono  (i5).  Per  molto  tempo  si  segnalarono 
i  Pisani  nelle  marittime  imprese  quasi  sempre  ne- 
mici dei  Genovesi,  e  talora  dei  Veneziani  (f  6),  es- 
sendo queste  le  potenze  che  si  contrastavano  V  im- 
pero del  mare. 

Le  imprese  di  terra  avvenute  in  Toscana  in  que- 
sti tempi  fra  le  città  recentemente  libere  non  sono 
di  gran  conto. Oltre  la  fiorentina,  e  la  pisana  erano 

(1 4)  Sreviar.  Pisanae  historiae.  Mur.  Rer,  Ital,  tom,  6. 
(i5}Roinual.  Paler.  Ghron.  Rer.  ital.  tom.  7. 
(16)  DandoL  in  Ghron.  Rer.  ital.  tom.  i3. 


so  LIBRO  TERZO 

.  Date  in  Toscana  molte  altre  repubbliche  ^  aecondo 
^•£  la  forma  di  quei  tempi ,  come  abbiamo  a  suo  luogo 
>> 37  osservato.  Lucca  nominata  più  volte  dai  classici 
scrittori  (17)^  fu  antica  Colonia  dei  Romani.  Nei 
bassi  tempi  però  la  sua  celebrità  divenne  maggiore 
per  essere  stata  più  frequentemente  la  capitale  di 
Toscana,  o  sia  la  sede  dei  Duchi ,  e  Marchesi  (f8), 
e  aver  in  appresso  mutata  forma  di  governo ,  per 
la  potenza  a  cui  fu  sollevata  dall' ingegno ,  e  valore 
di  un  suo  cittadino  (19).  L^  origine  di  Siena  non  è 
si  recente  come  è  stata  l'opinione  di  molti  scrit- 
tori (ao).  Siena  fu  anch^essa  Colonia  dei  Roma- 
ni (21)  che  per  esser  creata  tale  ai  tempi  del  regno 


(1 7)  Cicer.  LW.  Veli.  Pater.  Tolom.  ec  Fa  stabllìu  Colonìi 
Rom.  laS. anni  avanti  Fera  Crist.  Veli.  Pater:  lib.  1:  Liv.  lib.  4i* 
Si  rammentano  delle  dispule  fra  i  Pisani ,  e  i  Lucchesi  a  motivo 
di  territorio.  Liv.  lib.  ^S, 

(iS)  Fiorentini  Memor.  sulla  Contessa  Matilde. 

(19)  Gastruccio  Castracani  Antelminelli. 

(30)  L'Istor.  di  Giov.  Vili.  lib.  1 ,  e.  56  »  è  piena  di  anacroni- 
smi sull'origine  di  Siena.  Biondo  Flavio»  e  Leonardo  Bruni  ap- 
Eoggiano  le  loro  asserzioni  sopra  instabilissimi  fondamenti .  Stn* 
one»  Tolomeo»  e  Plinio  la  nominano  tra  le  città  di  Toscana.  La 
Sena  Gallica,  o  Sinigaglia  è  di  origine  più  antica  detta  dai  Galli 
Senoni  a  et  claris,  et  Rubicon  ^  et  Senonum  de  nomine  Sena  »  Ai 
Senesi  toscani  deve  applicarsi  il  racconto  di  Tacito  »  che  da  essi  fa 
battuto  probabilmente  coi  pugni,  (  giacché  non  si  parla  di  basto- 
ni )  il  Senatore  Manlio .  Un  congetturale  antiquario  potrebbe  tro- 
vare in  tal  avvenimento  la  disposizione  di  quel  popolo  al  giuoco 
dei  pugni  •  Manlius  patritius  Senator  pulsatum  se  in  Colonia 
Senensi  coetu  multitudinis,  et  jussu  magistratum  quaerebatur, 
vocati  qui  arguebantur,  et  cognita  caussa  in  convictos  vindica- 
tum,  additumque  Senatus  ConsuUum ,  quo  Senenses  modestiae 
admonentur. 

(ai)  Negli  antichi  itinerarj  si  trova  Sena  Julia  più  volte  per 
indicare  la  Siena  toscana:  Plinio  racconta  le  colonie  stabiLte 
ce  Patisca  Rusellana ,  Senensis  ec,  lib.  3.  e.  5.  l*  ingegnoso  Autore 
Chorographiae  Italiae  medii  aevi  corregge  il  Cluveriu ,  che  asse- 
risce Siena  non  esser  nominata  prima  dei  tempi  di  Augusto»  ri- 
portando un  passo  di  Appiano  Atessand.  Guerr.  civil.  tom.  i.  ofe 
si  lig^e  che  Pompeo  nella  guerra  di  Siila  contro  Mario»  e  Carbo- 


CAPITOLO  SECONDO       %t 

» 

della  famiglia  Giulia  y  e  probabilmente  di  Augusto , 
fu  chiamata  Siena  Giulia .  La  sua  celebrità  però  Anni 

A'  f^ 

comincia  all'epoca  dell'italiane  repubbliche.  Come  ^|h' 
Firenze  e  Pisa,  andò  ella  estendendo  il  suo  territo- 
rio^ soggiogando  i  Signori  feudali,  e  si  estese  fino 
al  mare  su  i  desolati  paesi  di  Populouia ,  e  di  Ros- 
sella ,  si  occupò  nel  commercio ,  a  cui  apriva  un 
comodo  passo  il  porto  di  Talamone  utile  in  seguito 
anche  alla  fiorentina  repubblica,  quando  le  fu  ser- 
rato il  porto  pisano .  Il  suo  governo  fu  simile  in 
gran  parte  a  quello  di  Firenze  misto  di  nobiltà,  e 
popolo,  e  perciò  turbolento,  contrastandosi  spesso 
quei  due  Ordini  la  suprema  autorità,  e  togliendo- 
sela a  vicenda  •  Siena  rivaleggiò  in  potenza  in  qual- 
che tempo  colla  stessa  Firenze.  Pisa,  e  Firenze, 
che  erano  sempre  alleate,  furono  in  guerra  contro 
Lucca  e  Siena  parimele  confederate,  colle  quali 
era  unito  il  Conte  Guido  Guerra  della  celebre  fa- 
miglia ,  che  ebbe  tanto  dominio  in  Italia  ;  ma  que- 
ste furono  sconfitte,  e  devastate  le  castella  del  Conte 
Guido  dai  Fiorentini:  i  Sanesi  colti  a  un'  imboscata 
restarono  quasi  tutti  prigioni,  ed  il  territorio  luc« 
chese  fu  dai  Pisani  miseramente  saccheggiato  (122). 
Il  vigore,  con  cui  combatterono  fra  loro  le  nominate 
repubbliche,  o  per  impulso  delle  fazioni,  o  per  am- 

ne  Tinse  Mario  presso  di  Siena 9  ed  espugnò  la  Città.  Ma  si  dere 
egli  intendere  la  Siena  toscana  o  la  Gallica^  cioè  Sinigaglia?  è  al- 
meno incerto.  Pure  sapendo  dall' anterior  racconto,  che  Pompeo 
avea  disfatto  Carbone  presso  Rimini,  che  Siila,  in  di  cui  favore 
militava  Pompeo,  assediava  Mario  in  Prencsto  ,  è  facile  congettu- 
rare, che  Pompeo  dopo  la  prima  vittoria  si  avanzasse  verso  Siila 
per  porgergli  ajuto,  e  che  la  Siena  ove  segui  il  fatto  fosse  la^iena 
Gallica .  Anche  il  racconto  di  Plutarco  può  confermare  la  nostra 
congettura.  Vita  di  Pomp. 

(33)  AnnaL  Pis.  tom.  Y.  rer.  ital. 


9«  LIBRO  TERZO 

'  Lizione  di  soprastare  alle  altre,  ci  risveglia  una  tri- 


^Q^  sta  riflessione,  che  unite  avrebbero  potuto  arrestare, 
iiS;  e  respingere  le  forestiere  invasioni^  che  per  tanti 
secoli  hanno  desolata  T  Italia  • 

I  Pisani,  che  divenivano  una  delle  prime  potenze 
marittime,  avendo  preparatala  spedizione  contro 
Majorca  posseduta  allora  dai  Saraceni,  erano  in- 
quietati dai  Lucchesi  loro  confinanti  e  nemici  •  In 
queste  spedizioni  si  poneva  sulle  navi  la  più  gran 
parte  della  gente  atta  alle  armi:  restando  solo  a  casa 
le  donne ,  i  fanciulli ,  ed  i  vecchi ,  turba  mal  atta 
alla  difesa,  poteva  agevolmente  la  città  esser  sac- 
cheggiata ,  e  molti  degli  abitatori  fatti  schiavi  :  ri- 
corsero perciò  ai  Fiorentini  •  Mandarono  questi  a 
Pisa  gente  che  bastasse  alla  difesa  •  Il  Capitano  fio- 
rentino volendo  evitare  i  disordini  che  una  truppa 
anche  amica  suol  portare  iA  una  città  ove  è  stazio- 
nata, accampossi  due  miglia  fuori  di  Pisa,  dando 
i  più  severi  ordini  che  niuno  dei  suoi  soldati  ardisse 
11,4  di  entrarvi  •  Uno  solo  disobbedi ,  fu  preso ,  e  con- 
dannato alla  morte  :  intercessero  in  di  lui  favore 
colla  più  gran  premura  i  Pisani^  ma  inesorabile  il 
Capitano  lo  fece  appiccare.     ' 

L^  impresa  delle  Baleari  è  una  delle  più  gloriose 
ai  Pisani,  La  religione,  l'onore,  T interesse  gli 
stimolavano  a  distruggere  un  nido  di  corsari  sara- 
ceni ,  che  in  mezzo  al  Mediterraneo  insultavano  le 
coste  di  Francia ,  e  d' Italia  :  infestavano  il  mare 
ponendo  in  schiavitù  i  Cristiani,  interrompendo, 
e  minando  il  commercio  •  Il  Pontefice  Pasquale  II 
gl'istigava  a  questa  impresa  utile,  e  gloriosa:  dodici 
Ambasciadori  furono  a  lui  mandati  per  concertarla, 
alla  testa  dei  quali  era  il  loro  Arcivescovo  Pietro, 


CAPITOLO   SECONDO        a3 
che  fu  poi  il  coodottiero  della  spedizione.  11  Papa 
mandò  Bosone  Cardinale  come  suo  Legato^  e  diede  ^°q| 
ai  Pisani  stendardi  ed  indulgenze.  iii4 

Era  difficile  l'attaccare  isole  popolate  di  gente 
guerriera^  e  che  dalle  vicine  coste  di  Affrica^  e  di 
Spagna^  dominata  in  gran  parte  anch'essa  dai  Sa- 
raceni^ potevano  ricevere  grandi  ajuti:  non  bastava 
lo  sbarcarvi  felicemente:  conveniva  formar  Tasse- 
dio  di  piazze  assai  forti,  e  che,  secondo  i  metodi  di 
quelle  guerre,  duravano  lungamente:  facea  d'uopo 
portarvi  di  lontano  le  provvisioni ,  e  le  complicate 
macchine  di  assedio .  Non  atterriti  da  questi  osta- 
coli, ne  fecero  i  Pisani  l'impresa.  Oltre  l'Arcive- 
scovo Pietro  principal  duce,  si  leggono  i  nomi  dei 
Gherardeschi,  Gualandi,  Visconti,  celebri  sempre 
nella  pisana  storia .  I  feudali  Signori  che  dominando 
sulle  coste  di  Provenza,  di  Linguadoca^  di  Catalo- 
gna, bramavano  la  distruzione  di  quei  barbari,  co- 
me Guglielmo  Signore  di  Montpelieri,  Almerico  di 
Narbona,  Raimondo  Conte  di  Barcellona,  vennero 
personalmente  con  dei  gran  rinforzi.  1  soli  Geno- 
vesi, benché  avessero  lo  stesso  interesse,  non  dettero 
che  delle  vane  promesse:  forse  videro  il  tentativo 
assai  difficile;  né  dispiaceva  loro,  che  la  potenza 
pisana,  che  era  forse  la  dominatrice  del  Mediter- 
raneo, fosse  umiliata  da  qualche  disgrazia.  Se  i 
racconti  non  sono  esagerati,  tra  grandi  e  piccoli 
era  la  flotta  pisana  composta  di  5oo  legni  (sS).  Tre 
sono  queste  Isole,  che  si  stendono  dalla  costa  di 
Valenza  verso  il  Sud,  Ivica  la  più  vicina  alla  co- 
sta, Minorca  la  più  lontana,  Majorca  situata   in 

(a 3}  Tronci  Ann.  Pis.  ann.  1 1 1 4* 


94  LIBRO  TERZO 

^^  mezzo  «  Pare  che  V  armata  pisana  cominciasse  Tat- 
^"^\acco  sulla  prima  (a4)>  e  che  in  dieci  giorni  in 
>>i4  circa  s'impadronisse  dopo  molti  assalti  delle  prin- 
cipali città  ^  di  cui  ruinò  intieramente  le  fortifi- 
cazioni j  liberando  gran  quantità  di  schiavi  cri- 
stiani; passata  indi  alla  principale,  cioè  a  Majorca 
o v'era  la  forza  maggiore  degU  inimici,  vi  trovò 
la  più  gran  resistenza .  Prima  che  i  Pisani  si  acco- 
stassero alla  principale  città  ^  sostennero  dei  feroci 
attacchi  dai  Saraceni,  che  li  assalirono  a  campo 
aperto,  e  in  ordinata  battaglia  {^5).  Sconfitti  però 
più  volte  si  ritirarono  nella  principale  lor  città,  ove 
furono  assediati  ;  e  per  molto  tempo  varia  fu  la  for- 
111^  tuna  della  guerra.  Nei  molti  assalti  si  distinsero 
con  segnalati  tratti  di  valore  oltre  varj  Pisani,  Gu- 
glielmo di  Montpelieri,  e  Amerigo  di  Narbona,  e 
il  Conte  di  Barcellona ,  che  vi  restò  malamente  fe- 
rito: furono  però  i  Pisani  replicatamente  respinti^ 
ed  insultati  dai  Mori.  La  lunghezza  dell' assedio, 
il  cattivo  nutrimento,  l'aria  poco  sana  risveglia- 
rono una  epidemia  pericolosa  nell' esercito  :  i  Signori 
ausiliari  minacciavano  di  abbandonar  l'impresa: 
mancavano  le  vettovaglie,  e  i  denari;  era  nato  Io 
scoraggimento,  e  il  desiderio  di  ritirarsi  .Giunte  le 
nuove  a  Pisa, si  fecero  nuovi  sforzi,  e  si  animarono 
i  difensori,  i  quali  avendo  in  più  volte  superato  il 
triplice  recinto  delle  mura,  finalmente  presero  la 
città  per  assalto,  avendola  i  Mori  contrastata  palmo 

(94)  li  Tronci  la  confonde  con  Mlnorca  che  chiama  Ebuso. 
K  noto  che  Ebuso  era  Ivica.  Clnver.  IntrocL  ad  Geograph.  10). 
9.  cap.  7. 

(a5)  Non  bisogna  prestar  fede  all'  esagerasioni  de^li  annali 
pisani 4  e  del  Tronci,  che  fa  ascendere  a  70  mila  fanti» 3  vèìÌè 
cavalli  >  e  4  mila  arcieri  i  Saraceni* 


CAPITOLO  SECONDO      a5 
a  palmo  •  Minorca  seguitò  presto  il  fato  della  prin< 
cipale  isola  (26) .  Il  numero  dei  Mussulmani  truci-  di  e. 
dati,  dei  Cristiani  liberati  dalle  catene  eccede  la>^>7 
probabilità:  il  bottino  fu  immenso;  Tóro^  le  gem- 
me, le  preziose  spoglie,  frutto  delle  rapine  di  tanti 
anni  di  quei  corsari,  cadde  in  preda  dei  vincitori, 
e  fu  tra  loro  diviso.  La  fama  di  questa  vittoria 
riempiè  di  giubbilo  il  mondo  cristiano.  Ritornarono 
i  Pisani  in  trionfo  «  Il  suolo  conquistato  non  parve 
sepolcro  decente  pei  loro  morti,  onde  s'imbarcaro- 
no quelli  forse  più  distinti;  e  per  non  funestare  la 
gioja  del  ritorno  con  questa  vista  lugubre,  furono 
sepolti  in  Marsiglia  nella  Badia  di  S.  Vittore,  con 
una  iscrizione  clie  esisteva  ai  tempi  del  Tronci. 
Fra  i  prigionieri  che  adornavano  il  trionfo  si  con- 
tava la  moglie,  ed  il  figlio  del  re  di  Maiorca  Nuz- 
zaradeolo,  morto  nel  tempo  dell'assedio,  e  Burabè, 
che  eragli  succeduto.  La  Regina  ed  il  fi^io  diven- 
nero cristiani  (2']).  Questo  giovine,  che  si  dipinge 
come  saggio,  e  modesto,  ascritto  fra  i  canonici 
della  Cattedrale  di  Pisa,  indi  per  testimonianza  del 
Tronci ,  rimandato  a  governare  il  suo  nativo  paese 
di  Majorca  come  re,  o  almeno  governatore,  è  uno 
dei  tanti  esempi  dei  scherzi  della  sorte.  1  Pisani 

(a6)  Tronci  Ann.  Pisan.  an.  1116.  Sreuiarium  histor.  Pisa- 
noe  rerum  Italie,  Script.  Tom.  6.  Gesta  Triumphal.  Pisan. 

ihidiCTn  • 

(37)  Sono  attestati  questi  fatti  dalla  seguente  Iscrizione  situaU 

nella  facciau  della  Cattedrale . 

„  Regiae  me...*  genuit^  Pisae  rapuere .  .  > . 

„  Hic  ego  cum  nato  bellica  praedafui. 
„  Majoricae  regnum  tenui,  nunc  condita  saxo 

„  Quod  cernis  jaceojine  polita  meo . 
„  Quisquis  es  ergo  ....  memor  esto  conditionis , 

„  Atque  pia  prò  me  mente  precare  Deum . 


aG  LIBROTERZO 

clonarono  della  ricca  preda  riportata ,  còme  nn  mo- 
dfc.  numento  perenne  di  gratitudine,  ai  Fiorentini  guar- 
i>i7  dianì  della  loro  città  le  due  colonne  di  porfido,  che 
stanno  ancora  inoperose  accanto  alla  porta  di  San 
Giovanni.  Questa  impresa  fu  compita  nello  spazio 
di  due  anni  (a8)  in  circa  :  poteva  essere  tema  de- 
gno di  un  epico  poema ,  giacché  la  religione^  la  glo- 
ria ,  il  pubblico  vantaggio  delle  nazioni ,  che  navi- 
gavano nel  Mediterraneo ,  erano  atti  a  risvegliare 
Teroismo  più  dell'impresa  degli  Argonauti,  o  del- 
Tassedio  di  Troja;  e  se  il  Diacono  Pietro  Vernense, 
che  con  barbaro  stile  ha  cantato  in  sette  libri  di  versi 
latini  quell'impresa  ,  avesse  avuto  V  immaginazio- 
ne,  e  la  coltura  di  Omero,  di  Marone ,  e  di  Tor- 
quato, le  gesta  dei  Gherardeschi,  dei  Gualandi,  dei 
Visconti,  che  ora  son  coperte  di  oblio,  suonerebbero 
per  le  bocche  degV  Italiani  (29). 

Siffatta  conquista  accrebbe  al  sommo  la  forza 
della  pisana  repubblica .  Aveva  essa,  sulle  priaci- 

(a 8)  Dice  il  Troncì  che  i  Pisani  partirono  nell'anno  1 1 1 4  , 
6  Agosto  9  e  che  V  impresa  restò  compita  il  di  3  di  Aprile  1117. 
Ma  egli  s'inganna.  Yi  sono  però  molti  imbarazzi  nella  Cronolo- 
gia :  giacché  nella  Cronica  intit.  Gesta  Triumpk,  Pisan,  si  pone  la 
presa  di  Majorca  ,  e  il  ritorno  dei  pisani  neuan.  1116.  L'UgheUi 
nel  Catalogo  degli  Arcivescovi  Pisani  deduce  con  pih  certezza 
che  r  impresa  fu  compita  negli  anni  iii4e  i5,eil  Poeta  L.  Ver* 
nense  più  autorevole  di  tutti  perchè  scrittore  contemporaneo  ,  ed 
autore  di  un  poema  latino  ove  descrive  la  spedizione ,  lo  termina 
con  questi  versi  : 

Tuncfuit  a  Christo  tecto  Qelamine  camis 

Centenus  quintus  decimus  miìlesimus  annus  • 
Era  esso  Diacono  dell'Arcivescovo  Pietro ,  non  si  sa  la  sua  patria  ; 
alcuno  lo  ha  creduto  Veronese  tramutando  Vemensis  in  Verona^ 
sis  :  non  potrebbe  esser  egli  di  Vernio  ?  si  trova  il  suo  Poema  nel 
Tom.  6.  Murat.  rer.  ital.  script.  Per  questa  impresa  vedi  il  citato 
poema;  il  Tronci;  Gesta  triwnphaUa  per  PisanoS:  Breviarum, 
Pisanae  historiae  etc,  frammenti  riuniti  nel  Tom.  6.  Rerum 
Italie,  script. 

{jy)  La  potenza  delle  lettere;  e  in  specie  della  Poesia  ad  onta 


CAPITOLO  SECONDO  a; 
pali  coste  dei  mari  allora  navigabili  y  grandi  stabi- 
limenti :  col  possesso  della  Corsica,  della  Sardegna,  ^^ 
delle  Baleari  dominava  una  gran  parte  dell' occi- 1 1 1 7 
dentale  Mediterraneo,  con  quelli  della  Siria  Torien^ 
tale  ;  e  presso  Asof  nel  mar  Nero  un  porto ,  a  cui 
avea  dato  il  nome  di  porto  pisano,  e  lo  conservava 
fino  nel  decimoquinto  secolo.  Questi  stabilimenti 
rendevano  il  suo  commercio  il  più  florido  :  non  è 
da  maravigliarsi  pertanto  se  Temula  sua  perpetua, 
Genova  ,  che  avea  veduto  terminar  V  impresa  delle 
Baleari  con  successo  tanto  differente  da  quello  avea 
sperato ,  ne  prendesse  maggior  gelosia  .  Si  ruppe  la  nao 
guerra  fra  di  esse:  combatterono  con  varia  fortuna: 
i  successi  son  variamente  narrati  dai  genovesi,  e 
pisani  storici  (3o).  Alla  gelosia  di  commercio  si 
aggiungeva  la  vanità:  mal  soffrivano  i  Genovesi, 
che  alla  sede  arcivescovile  di  Pisa  fossero  soggetti 
i  vescovi  di  Corsica  •  Il  Papa  Callisto  II  che  tolse 
air  arcivescovado  di  Pisa  quel  lustro ,  invece  di  se- 
dare ,  accrebbe  V  incendio.  Seguitò  gran  tempo  que- 
sta piratica  guerra,  i  successi  della  quale  però  pare 
fossero  poco  favorevoli  ai  Pisani  (3j). 

dei  saoi  detrattori  sark  sempre  grandissima  per  dare,  o  toglier  Ut 
fama  9  e  si  avvera  sempre  l' aureo  detto  di  Orazio . 

•  .  •  .  non  semel  Ilios  vexata  non  pugnavit  ingens 

Idomeneus ,  Stenelusve  solus 

Vixerefories  ante  Agamennona 

Multi  ^  sed  omnes  illacrimahUes 

Urgentur  orco  ignotiquelonga  nocte^  careni  quia  vate  sacro. 

Lib.  4*  Ode  9. 

(3o}  Vedi  Caffar.  Lib.  &.  Ann.  Pis.  Marat  rerum  Italie. 
lom.  6. 

(3 1)  Gafiar.  lib.  1.  Ugbelli  lul  sacra . 


a8  LIBRO  TERZO 


CAPITOLO    III. 

SOMMARIO 

Discesa  in  Italia  di  Federigo  L  Dieta  di  Roncaglia,  Diritto  im- 
periale delle  Regalie  ammesso .  Ribellione  delle  Città  Italiane, 
e  lega  Lombarda  •  Pace  di  Costanza .  Nuova  lega  delle  dita 
di  Toscana,  Investitura  della  Sardegna  data  da  Federigo  ai 
Pisani  •  jiyvenimenti  in  Oriente*  Odj  tra  i  Pisani  e  i  GenovetL 

xVndava  sempre  più  consolidandosi  il  governo  re- 
pubblicano delle  ciltà  italiche^  che  in  mezzo  anche 
a  qualche  turbolenza ,  ond'  erano  agitate  y  il  com- 
mercio rendeva  ricche  e  potenti.  Contro  la  nascente 
loro  libertà  e  industria,  sorse  frattanto  una  tempe* 
sta  pericolosa  •  La  mancanza  di  forza,  e  di  consiglio 
dei  passati  Imperatori  avea  rallentate  tanto  le  redi- 
ni del  regio  potere  su  quelle,  da  dare  loro  agio  final- 
mente di  porsi  in  libertà.  Era  comparso  sul  trooo 
imperiale  Federigo  I  della  casa  di  S?evia,  principe 
pieno  di  talento,  di  coraggio,  e  di  orgoglio,  avido 
di  gloria,  e  di  stati,  che  mal  soffrendo  la  perdila 
dei  dritti  imperiali  sulT Italia,  venne  con  potente 
esercito  per  riconquistarli.  La  sua  presenza  sparse 
il  terrore  da  per  tutto.  Le  città  lombarde,  contro 
seni  fu  diretta  specialmente  la  marcia,  erano  fra  lo- 
j°^*  ro  discordi,  onde  non  poterono  validamente  oppor- 
iiao  segli.  I  Milanesi,  già  rei  ai  suoi  occhi  di  avere  spre- 
giati gli  ordini  imperiali,  soffrirono  specialmente  la 
sua  rabbia:  stretta  Milano  di  assedio,  fu  obbligata 
alla  più  umiliante  capitolazione,  preludio  alla  tota- 
le sua  distruzione ,  che  avvenne  4  anni  dopo  per  le 
stesse  armi.  Intanto  tutte  le  città  di  Lombardia  at- 


CAPITOLO   TERZO  29 

terrìte  da  questo  attivo  Imperatore^  intimate  a  man- 
dare ì  loro  deputati  alla  gran  Dieta  di  Roncaglia  ^f^ 
sul  Piacentino^  ubbidirono  prontamente.  In  quella  >*ao 
Dieta  espose  diffusamente  Federigo  gì'  imperiali 
dritti  sull'Italia,  ne  mostrò  la  violazione;  e  perchè 
una  vernice  di  equità  meglio  colorasse  ciocché  era 
abbastanza  sostenuto  dàlia  forza  dell'  armi ,  fra  i 
principi  ecclesiastici,  e  secolari,  fra  i  deputati  del- 
le città  (i)  fece  intervenire  alla  Dieta  alcuni  dei  più 
celebri  Professori  legisti  della  Università  di  Bolo* 
gna,  il  Bulgaro,  il  Gosia,  Jacopo,  ed  Ugone  da 
Porta  Ravegnana ,  che  decidessero  sul  dritto  delle 
regalie  controverso  tra  le  italiane  città,  e  l'Impe- 
ro, ^iuna  scienza  è  piò  pieghevole  della  legge;  e 
la  sottigliezza  delle  interpetrazioni  sa  trovare  delle 
ragioni  invisibili  all'occhio  del  senso  volgare.  Quei  ii38 
Legisti  altamente  onorati ,  e  premiati  da  Federigo, 
non  mancarono  di  trovare  le  pretensioni  imperiali 
le  più  giuste .  I  Deputati  delle  città  non  contradis- 
^ero,  credendo  che  un  possente  sovrano  alla  testa 
di  un  numeroso  esercito  non  potesse  aver  torto.  Gli 
furono  perciò  unanimemente  concesse  le  regalie  (2). 
Gli  Uifiziali  però,  e  i  Potestà  mandati  dall'Impe- 
ratore a  governare  le  città  sottomesse,  esercitavano 
con  durezza  un  impero,  che  anche  dolce  dovea  mal 
soffrirsi  da  popoli  usati  al  libero  governo.  Si  ribel- 

(1)  Pisa  era  del  partito  di  Federigo ,  e  come  depalati»  e  legi- 
sti intervennero  alla  Dieta  per  quella  città  Tacito  Duodi ,  Onorio 
Lanfrancbi^  e  Rosso  Botta cci»  tutti  tre  dottori,  onorevolmente  ri- 
cevati daU' Imperatore.  Tronci  Ann.  Pis. 

(a)  Le  Regalie  sono  spiegale  da  Radevico,  lib.  a.  cap.  5.  Tum 
episcopi  quum  prima tes  et  civitates  uno  assensu,  uno  ore  in  ma^ 
num  principis  regalia  reddi  olere ....  DucatuSf  marchius,  comi* 
taius,  consulatus,  monetai,  telonia-.fodrum,  tfCttigalia,  portus, 
pedatica  ,  etc. 


3o  LIBRO  TERZO 

laroDO  le  oppresse  ci  Uà,  e  ammaedirate  dagli  ante- 
dÀc]  ^^^^^  av veni  menti  si  unirono  insieme  formando  la 
li 38 celebre  Lega  Lombarda,  fomentata  dal  Papa ^  dal 
re  di  Napoli,  e  fino  dal  greco  Imperatore,  nemici 
di  Federigo.  Potè  questa  Lega  fer  fronte  alle  di  lai 
forze;  consumato  il  suo  esercito  all'assedio  di  Roma 
1 183  per  una  epidemia  assai  comune  in  queiraria,  Federi- 
go si  trovò  obbligato  a  ritirarsi  col  miserabile  avanzo 
dei  suoi  guerrieri ,  e  dopo  piccole  azioni ,  e  inutili 
tentativi  esci  precipitosamente  d'Italia ,  costretto  per 
salvarsi  fino  a  travestirsi.  Ansioso  però  di  recupera- 
re l'autorità  sulle  ribellate  città,  tornò  con  grosso 
esercito  in  Italia.  Dopo  varie  infruttuose  negozia- 
zioni ,  l'esercito  imperiale  venne  alle  mani  eoo 
quello  delle  città  collegate  fra  Legnano,  e  il  Tici- 
no: fu  sanguinosa  ed  ostinata  la  battaglia  ,  ma 
l'esercito  imperiale  restò  totalmente  sconfitto  ad 
onta  delle  maggiori  prove  di  talento,  e  di  personal 
valore  date  da  Federigo .  Questo  colpo  rovesciò  la 
sua  potenza  in  Italia  •  Cominciò  ad  ascoltar  voci  di 
accordo;  e  finalmente,  dopo  varj  negoziati  si  fece  la 
celebre  Pace  di  Costanza,  in  cui  si  stabilirono  i  pri- 
vilegi, e  la  libertà  delle  città  longobarde  (3).  Non  si 
era  mescolata  in  questi  avvenimenti ,  né  aveva  ade- 
rito alla  Lega  alcuna  città  di  Toscana ,  ma  irritate 
ancor  queste  dall'  intoUerabil  governo  tedesco ,  ne 
scossero  il  giogo,  e  le  città  principali  di  Toscana, 
Firenze,  Lucca,  Siena,  Arezzo,  Perugia  (eccetto 
Pisa,  sempre  aderente  all'Impero)  formarono  ira 
loro  una  nuova  lega  (4).  Nel  trattato  di  Pace  di 

(3)  Sìgon.  de  regno  ital.  lìb.  1 5. 

(4)  Vita  Innocen.  3.  apud  Murat  diss.  48.  CMtates  Tusddu 
propter  importahilem  jélemannorum  tirannidem  ,  secieiatem  im- 


capìtolo    terzo  3i 

Costanza ,  olire  il  riconoscere  la  libertà  delle  città  ^^^^ 
longobarde,  Federigo  si  trovò  obbligato  a  ceder  le  ^\(^ 
regalie.  Restò  solo  Inailo  dominio  all'Imperatore.  «^^^ 
Si  eleggevano  le  città  i  loro  Consoli ,  che  doveano 
esser  confermati  dall'Imperatore,  obbligo  che  andò 
presto  in  disuso:  si  riserbavano  alla  sua  autorità 
gli  appelli ,  e  il  dritto  di  decider  le  questioni  tra  le 
Comunità,  e  i  Signori  confinanti:  fu  costituito  per- 
do in  Italia  un  Vicario  imperiale,  e  a  questa  carica 
fu  scelto  Obizo  di  Esle ,  e  si  stabili  su  questa  base 
la  libertà  italiana  .  La  lega  Lombarda  formava 
uua  repubblica  federativa  ^  nella  quale  ogni  città  si  ^ 
regolava  independentemente  dalle  altre  nei  suoi 
affari  interni:  ma  per  gli  esterni,  che  riguardavano 
la  pace,  la  guerra,  la  comune  sicurezza,  esisteva  un 
generale  Consiglio  formato  dai  Rettori ,  deputati 
delle  varie  comunità,  che  dirigeva  i  pubblici,  e 
comuni  negozi .  Questo  decideva  le  liti  che  nasce- 
vano fra  le  città  collegate;  e  quella  che  avesse  re- 
cusata  la  decisione  era  messa  al  bando  dei  Lombar- 
di. Si  rinvigoriva  questa  Lega,  di  cui  si  era  prova- 
to il  benefizio,  quando  qualche  estera  potenza  mi- 
nacciava ritalia,  e  se  fosse  durata  l'avrebbe  assicurata 
dall'estere  invasioni  si  frequenti.  Pare  che  disgrazia- 
mente  per  questo  infelice  paese  non  si  sostenesse 
che  poco  più  di  un  secolo  ^  restando  distrutta  nelle 
fazioni  dei  Guelfi  e  dei  Ghibellini,  che  nacquero 
in  seguito,  e  che  non  solo  città  da  città,  ma  divi- 
sero con  le  più  sanguinose  agitazioni  cittadini  da 
cittadini,  e  parenti  da  parenti.  Pisa,  come  abbiamo 
notato,  non  ebbe  parte  ne  alla  lega  Lombarda ,  ne 

vicem  inierunt  praeter  Chitatem  Pisanam,  quae  unquam  potuU 
induci  ad  hanc  societatem  • 


3a  LIBRO  TERZO 

-.alla  Toscana.  Federigo  con  tutti  gli  artificj  avea 
di  G.  cercato  di  guadagnarsi  Tamicizia  delle  potenze  ma- 
ii83  rittime  (5),  disegnando  far  uso  delle  forze  loro  con- 
tro Guglielmo  Re  di  Sicilia.   L'importanza,  che 
questo  guerriero  Sovrano  poneva  neiramicizia  dei 
Pisani,  è  dimostrata  da  molti   fatti.  Oltre  i  vari 
privilegj  y  che  concesse  a  Pisa ,  soffrì  talora  anche  il 
tuono  orgoglioso,  con  cui  osò  di  parlargli  quando 
si  credette  offesa:  Barisone,  cittadino  pisano,  uno 
dei  Giudici,  Governatore  della  parte  della  Sarde- 
gna detta  jirborea,  ebbe  la  vanità  di  farsi  dichia- 
rare Re  di  queir  Isola ,  ed  offerendo  a  Federigo  4000 
marche  di  oro  colla  mediazione  dei  Genovesi,  ne 
ottenne  il  titolo.  Non  potendo  sborsar  però  i  dena- 
ri, era  in  procinto  di  andar  cattivo  in  Germania; 
pagarono  per  lui  i  Genovesi ,  ma  Barisone  ebbe  la 
sorte  del  Re  Teodoro ,  restò  prigioniero  insolvente 
dei  Genovesi.  I   Pisani  spedirono  a  Federigo  un 
Console,  che  gli  rimproverò  un'ingiusta  concessio- 
ne in  termini  altieri  (6) ,  e  protestò  che  ì  Pisani  si 
sarebbero  opposti  con  tutte  le  loro  forze ,  come  ve- 
ramente fecero  occupando  colle  armi  TArborea. 
L'anno  appresso  però  Federigo  per  riconciliarsi  con 


(5)  Si  veggano  le  ampie  concessioni  fatte  da  Federigo  ai  Pi- 
sani nel  Diploma  riportato  dal  Tronciy  in  cai  specialmente  si  con- 
cedono loro  città»  e  terre  di  Sicilia  sotto  la  speranza  di  futura  con- 
quista. Guntero  Ligurino,  lib.  3  descrivendo  il  passaggio  di  Fe- 
derigo aggiunge  : 

Occurrere  Duci  proceres  quos  bellica  Pisa 
Miserai  aequoreis  celeberrima  Pisa  triumphis, 
Pisa  peregrinis  stalio  bene  nota  carinis, 
Hos  jubet  in  Siculum  condicio  iempore  regem 
Cogere  belligeras  atque  emunire  carinas , 
Vedi  TroQci ,  Annali  Pisani . 

(6)Gom^  mai,  gli  disse,  per  pochi  denari  potesti  concedere 
ad  altri  quello  che  non  è  tuo?  Eolici*  hisi»  genuen,  lib,  a. 


CAPITOLO    TERZO  33 

essi  9  persuaso  aocora  dall'  oro  y  rivocò  il  privilegio  y 
concedendo  la  Sardegna  ai  Pisani,  e  dandone  Tin-  ^ic. 
vestitura  al  loro  Console:  e  in  fatti  Pisa  abbracciò  ^^^^ 
sempre!  suoi  interessi.  Fino  dall'anno  1167  per 
istigazione  di  Federigo  i  Pisani  mandarono  dodici 
galere  sulla  spiaggia  romana^  che  rimontato  il  Te- 
vere, e  giunte  presso  Roma,  infestarono  i  contorni, 
impedirono  il  trasporto  dei  viveri ,  e  costrinsero 
quel  popolo  a  condescenderé  alle  richieste  imperia- 
li  (7).  Desiderando  Federigo  gl'istessi  servigi  dai  »>97 
Genovesi^  avea  tentato  di  por  d'accordo  le  due  re- 
pubbliche, ma  invano;  quantunque  il  suo  Arcican- 
celliere  Cristiano^  Arcivescovo  di  Magonza ,  non 
aderendo  i  Pisani  alle  sue  proposizioni  conciliato- 
rie, gli  avesse  messi  al  bando  dell'Impero:  tuttavia 
lo  stesso  Federigo  ristabili  poi  fra  loro  almeno  una 
breve  apparente  riconciliazione  (8). 

Non  più  di  188  anni  conservarono  i  Cristiani 
Gerusalemme,  frutto  di  tanto  sangue,  e  tante  fati- 
che.  Saladino ,  Soldano  di  Babilonia  e  di  Egitto, 
ne  fece  la  conquista.  Questo  Principe  è  riguardato 
dai  suoi  amici ,  e  dai  suoi  nemici  come  pieno  di 
eroismo,  di  generosità,  e  di  prudenza  ;  e  i  tanti  rac<* 
conti,  molti  dei  quali  probabilmente  favolosi,  mo- 
strano almeno  l'opinione  delle  sue  grandi  qualità, 
la  quale  quando  è  universale  ha  sempre  una  base 
vera.  Questi  è  probabilmente  quell'Eroe  prognosti- 
cato da  Ismeno  nella  Gerusalemme  Liberata  ,  al 
fuggitivo  Soldano;  per  consolarlo  in  mezzo  alle  sven- 
ture, in  leggiadri,  e  sublimi  versi,  pieni  di  gran- 


(7)  Ann.  Pis.  Tom.  6.  rer.  Ital. 

(S)  AnnaL  Pitaa.  Caffar.  Ann.  genuan.  lìb.  3, 

TBmo  //. 


34  LIBRO  TERZO 

^dezza^  e  di  verità  (9).  Tentò  il  Soldano  cacciare  i 

die.  Cristiani  da  tutto  il  resto  del  paese,  che  tenevano 

**^7in  Scria:  nella  valorosa  difesa  che  fece  la  città  di 

Tiro  dalle  armi  asiatiche,  difesa  che  onorò  tanto 

Corrado  Gglio  del  Marchese  di  Piemonte ,  ebbero 

non  poca  parte  i  Pisani,  coirajuto  dei  quali  avea 

1188  già  battute  due  volte  le  navi  nemiche .  La^  pisana 

flotta  scorrendo  il  mare  prese  molti  legni  destinati 

(9)  Interrogato  Ismeno  dal  Soldano  sul£ esito  di  quella  guer- 
ra risponde  : 

Ma  eh' io  scuopra  il  futuro ,  e  ch'io  dispieghi 
Dell'occulto  destin  gli  etemi  annali , 
Troppo  è  audace  desio ,  tropp'alti  preghi; 
^on  è  tanto  concesso  a  noi  mortali: 
Ciascun  quaggid  le  forze  »  e  il  senno  impieghi 
Per  avanzar  fra  le  sciagure^  e  i  mali» 
Che  sovente  addivien  che  il  saggio  »  il  forte 
Fabbro  a  se  stesso  è  di  beata  sorte . 


Ma  pur  dirò>  perchè  piacer  ti  debbia. 

Ciò  che  oscuro  vegg  io  quasi  per  nebbia  : 
^^S^ìo  9  o  parmi  vedere ,  anzi  che  lustri 

Molti  rivolga  il  gran  pianeta  etemo  t 

Uom  che  l'Asia  ornerà  co*  fatti  illustri 

£  del  fecondo  Egitto  avrà  il  governo  : 

Taccio  i  pregi  dell' ozio ,  e  Farti  industri. 

Mille  virid  cne  non  ben  tutte  io  scerno: 

Basti  sol  questo  a  te  »  che  da  lui  scossa 

Non  pur  saranno  le  cristiane  posse, 
Ma  infìn  dal  fondo  suo  l'impero  ingiusto 

Svelto  sarà  nelle  ultime  contese  ; 

E  l'afflìtte  reliquie  entro  un  angusto 

Giro  sospinte,  e  sol  dal  mar  difese. 

Questi  fia  del  tuo  sangue  ec. 
r^on  è  da  omettere  ciò  che  narra  Bernardo  Tesoriere  (Cronic  cap. 
i65.  rer.  Ital.  script.)  che  una  gran  quantità  di  Cristiani  cacciati 
di  Gerusalemme  si  ricovrò  ad  Alessandria  di  Egitto,  ove  fonino 
beo  trattati  e  nutriti  dai  Ministri  di  Saladino:  che  comparse  ivi  al 
marzo  la  flotta  dei  Veneziani»  Genovesi,  e  Pisani  «  furono  imbar- 
cati coloro  che  aveano  da  pagare  il  nolo,  e  rigettati  gli  altri.  Ciò 
inteso  il  Governatore  Saraceno,  riprese  aspramente  i  Comandanti 
sulla  poca  carità  verso  i  loro  fratelli,  a  cui  la  generosità  di  Saladino 
avea  risparmiata  la  schiavitii:  gli  fece  ricevere  sulla  flottategli 
a p provvisionò  di  biscotto  a  sue  spese. 


CAPITOLO  TERZO  35 

a  portare  i  TÌT^ri  alle  armate  di  Saladino:  indi, 
perseguiUfndo  nove  galee  piene  di  n^unizioni,  e  di  ^c. 
viveri^  costrinse  i  barbari  a  porvi  il  fuoco  per  set-  *>^^ 
trarle  al  nemico  (io).  Queste  ripetute  perdile  co* 
ftrìnsero  il  Saladino  a  levar  l'assedio  da  Tiro,  fa- 
cendo per  isdegno  e  dolore  tagliar  la  coda  al  proprio 
cavallo^  per  spronare  i   suoi  soldati  alla  vendet- 
ta (ii)  .  Fu  però  questo  an  piccol  vantaggio  dei 
Cristiani  per  tante  perdite:  non  restarono  ad  essi 
di  tutte  le  conquiste  che  le  tre  sole  città  di  Tiro^ 
Àntiodiia,  e  Trìpoli.  La  nuova  della  perdita  di  Gè- 
rosalemme,  spargendo  per  tutta  l'Europa  il  dolo- 
re, e  la  vergogna,  riaccese  nuovamente  gli  spiriti 
raffreddati  a  quella  impresa.  Il  principale  attore  in  ns^ 
questa  guerra   fu  il   celebre  Federigo  Barbarossa 
Imperatore 9  che  spinto  o  dalla  gloria,  o  dalla  reli- 
gione, o  dai  rimorsi  di  tanto  sangue  sparso^  e  di 
tanti  oltraggi  fatti  ai  pontefici,  credette  soddisfare  a 
tutto  con  questa  impresa ,  conducendo  seco  anche 
ino  figlio:  molti  Italiani  vi  accorsero:  una  grossa 
Dotta  vi  fu  condotta  dai  Veneiiani,  a  cui  unirono 
la  propria  i  Pisani  guidati  dal  loro  Arcivescovo 
Ubaldo .  Nel  tempo  che  Tlmperator  Federigo  si  era 
irrestato  in  Grecia  trattenuto  dalla  mala  fede,  e 
dalle  insidie  dei  Greci,  Guido  re  di  Gerusalemme, 
:he  Saladino  avea  messo  in  libertà,  postosi  alla  te- 
ita  dei  Crociati,  che  in  grandissima  quantità  erano 
[ionti  a  Tiro  da  varie  parti  dell'Europa,  e  in  spe- 
:ie  d'Italia ,  mise  l'assedio  a  Tolemaide,  ossia  Acri. 

(io)  Reram ital.  Scrlp.  Bem. Tesor. 

(il)  Licar.  Epìs.  Cronic. rer.  Ital. Tom.  7. Sì  congettura ch« 
■  questo  atto  di  Saladino  nascesse  il  costume  dei  Turchi  di  attae- 
irie  code  dei  cavalli  allo  ftendardo  per  segnale  guerriero.  Mur. 
Jin.  dlul.  anno  1187. 


n 


36  LIBRO  TERZO 

'^^Si  trovò  alla  testa  dei  Pisani  il  loro  Arcirescovo 
ai  e.  Ubaldo  :  mentre  V  assedio  si  continuava  col  pia 

1189  grand' ardpre^  il  vigilante  Saladino  vi  accorse  con 
una  potente  armata^  e  si  postò  in  guisa ^  che  gli  a^ 
sediatori  divennero  quasi  assediati:  si  diedero  cU 
ambe  le  parti  le  maggiori  prove  di  valore:  atavaoo 
per  restar  soccombenti  i  Cristiani ,  mancanti  di 
tutto  y  quando  Tarrivo  di  una  numerosa  squadra  di 
Frisia 9  e  di  i)animarca  portò  loro  ajuto  di  armati, 
e  dì  vettovaglie.  Intanto  Federigo,  passato  in  Asia, 
dopo  molte  valorose  azioni,  bagnandosi  per  evitare 

1190  il  caldo  nelle  fredde  acque  del  fiume  Salef  in  Ar- 
menia, ebbe  la  disgrazia  di  esser  come  Alessandro 
Magno  sorpreso  da  un  insulto  morboso,  ma  dissi- 
mile nell'esito,  perchè  in  poche  ore  restò  nlo^ 
to  (12).  Prese  il  comando  dell'armata  il  suo  figlio 
Federigo,  e  seguitando  il  viaggio  verso  Tolemaide, 
perdette  la  maggior  parte  delle  sue  genti;  giunse 
con  piccola  scorta  a  quella  città,  ove  dopo  poco 
tempo  finì  di  vivere.  Seguitò  ancora  T assedio  per 
due  anni  circa ,  ricevendo  sempre  i  Cristiani  nao¥Ì 
soccorsi,  e  giuntivi  finalmenre  i  re  di  Francia,  e 
d'Inghilterra,  con  grandissime  forze  fu  presali 
città:  e  il  feroce  Riccardo  re  d'Inghilterra  fece  ta- 
gliare a  pezzi  cinque  mila  Saraceni.  Questa  barlian 
azione  fu  un  vergognoso  contrasto  colla  generosità 
di  Saladino  di  sopra  narrata.  Era  intanto  succesR) 
neir  Impero  a  Federigo  il  suo  figlio  Arrigo  VI  mAìo 
dissimile  dal  padre  nella  grandezza  di  animo,  e 
nel  valore.  Avea  egli  sposata  Costanza,  che  figlia 
del  Re  Guglielmo  di  Sicilia  privo  di  altra  prole, 

(1  a)  Altri  dicono  che  vi  affogò . 


CAPITOLO   TERiO  57 

portava  seco  i  dritti  di  quel  regno .  Alla  morte  pe- 
rò  di  Guglielmo  furono  usurpati  ì  suoi  stati  da  Tan-  di  G. 
credi  Conte  di  Lecce.  La  sollecita  morte  di  questo  **9o 
usurpatore,  e  del  suo  primogenito  Ruggieri,  l'in- 
fanzia di  un  pupillo  restato  sotto  la  tutela  della 
Regina  Sibilla  ,  invitarono  Arrigo  a  riconquistare 
quelli  stati:  volendo  invader  Napoli,  e  la^  Sicilia 
avea  bisogno  di  forze  marittime:  guadagnò  pertan- 
to colle  più  larghe  promesse  i  Genovesi,  ei  Pi- 1194 
sani  (i3).  Furono  felici  i  progressi  della  sua  arma- 
ta; ma  Todio  inveterato  tra  i  Pisani,  e  i  Genovesi 
die  origine  a  molti  sconcerti .  Bramo  stazionate  a 
Messina  le  loro  flotte:  gli  scambievoli  insulti,  che 
l'odio  nazionale  sempre  genera,  gli  fece  venire  al- 
le mani  in  mare,  e  in  terra  •  La  strage ,  il  saccheg- 
gio dei  loro  fondachi  in  Messina  fu  scambievole,  e 
i  mezzi  usati  per  aggiustargli  dall'imperial  Siniscal- 
co non  furono  che  palliativi.  Arrigo  impadronitosi 
di  Sicilia  esercitò  il  breve  suo  impero  con  uno  scet- 
tro di  ferro .  Violando  la  fede  data ,  impngionò  la 
Regina  col  figlio,  che  avea  promesso  crear  Duca  di 
Lecce:  fece  morire,  e  acciecare  molti  dei  principali 
baroni^  e  per  insultare  fino  1«  ceneri  dei  morti, 
schiuso  il  sepolcro  di  Tancredi ,  e  del  figlio  Rug- 
gieri, fu  per  suo  ordine  strappata  loro  dal  capo  la 
corona:  ninna  mantenne  delle  magnifiche  promesse 
ai  Pisani ,  e  ai  Genovesi:  privò  i  secondi  fino  del 
dritto  di  tenere  il  Console  nei  porti  di  Sicilia ,  e  la- 
gnandosi essi  di  tanta  ingiustizia,  li  minacciò  di 

(i3)  Ai  primi  oltre  il  prometter  Siracnsa  disse —-che  dopo 
Ko  riconoscerebbe  da  essi  qael  Regno  —  Eritque  non  meum  sèd 
mstrum — Caffar.  Ano.  gen.  Ai  Pisani  fin  di  allora  concesse  la  metà 
K  Palermo ,  di  Messina ,  Salerno ,  e  Napoli,  tutu  GaeU ,  Trapani  • 
t  llaxxara#  quando  fossero  conquistate  •  ,^ 


38  LIBRO  TERZO 

distrugger  Genova.  Tornò  in  Germania  carico  di 
oro^  e  di  esecrazioni  delle  spogliate  provincie.  Si 
mantenevano  sempre  gli  od j  ^  e  le  ostilità  tra  i  Pi- 
sani^ ed  i  Genovesi.  Aveano  i  primi  occupata  Sira- 
cusa. Udita  si  fatta  nuova  i  Genovesi,  mossi  dal- 
l'isole del  Levante,  ove  si  trovavano  con  una  sqoa* 
dra,non  osando  soli  attaccarli,  giunti  a  Malta  tras- 
sero nel  loro  partito  Arrigo  Conte  di  queir  Isola, 
celebre  Ammiraglio,  o  Pirata  di  quei  tempi,  e  qdì- 
te  le  due  armate  assalirono  Siracusa,  e  dopo  sette 
giorni  di  ostinato  contrasto  se  ne  impossessarooo, 
facendo  gran  strage  dei  Pisani  (i4)*  Invano  nel  se. 
guente  anno  tentarono  i  Pisani  riguadagnarla  ^  at- 
taccandola per  mare,  e  per  terra.  11  Conte  di  Mal- 
ta ,  restatovi  alla  custodia ,  valorosamente  gli  re- 
spinse. 

(14}  Caffi  Ah.  Genae.  lib.  4* 


3» 
CAPITOLO   IV. 

SOMMARIO 

Oovemo  Repubblicano  in  Firenze,  Demolizione  divarj  Castelli 
feudali.  Dissensioni  inteme.  Fazione  dei  Guelfi,  e  Ghibellini^ 
Guerre  con  Pisa  »  e  con  Siena .  Guerra  dei  Pisani  coi  Genove- 
si,  Federigo  JI  Imperatore,  e  Pier  delle  Vigne,  Diverse  fa- 
zioni  in  Toscana,  Monete  battute  in  Firenze,  Imprese  deiFiO" 
ventini,  "Nuove  guerre  e  imprese  dei  Pisani,  Turbolenze  in  Fi' 
reme.  Battaglia  di  Monteaperti  tra  i  Guelfi  e  i  Ghibellini, 

In  questo  tempo  la  città  di  Firenze  era  andata 
crescendo  in  popolazione^  e  in  ricchezze.  I  suoi 
cittadini  simili  alle  api  industriose  lavoravano  in 
silenzio;  le  manifatture  di  ogni  genere,  e  in  specie 
quella  della  lana,  di  utilità  tanto  universale,  vi 
erano  incoraggite,  e  premiate*  Benché  non  sia  ac« 
certato  con  sicurezza  il  tempo  preciso,  in  cui  Fi- 
renze si  costituisse  in  vera,  e  stabile  Repubblica, 
ciò  dovea  essere  avvenuto  assai  prima  della  fine  del 

XII  secolo.  L'autorità  imperiale  abbattuta  dalla 
Lega  Lombardica;  T  indipendenza  di  questa  rico- 
nosciuta dall'Imperatore  nel  trattato  xii  Costanza  , 
aprivano  la  strada  alla  libertà  anche  delle  città  to- 
scane; e  quantunque  più  tardi  queste  formassero  la 
toscana  lega,  e  qualche  avanzo  di  autorità  restas- 
se agl'Imperatori,  o  piuttosto  ai  loro  ministri,  andò 
questa  presto  svanendo;  e  al  principio  del  secolo 

XIII  si  trova  il  governo  di  Firenze  stabilito  in  vera 
fornoia  repubblicana .  I  primi  magistrati  delle  città 
lìbere  furono  i  Consoli,  nome  consacrato  alla  liber- 
tà della  romana  grandezza.  Le  città  d'Italia  appe- 
na postesi  in  libertà,  presero  questi  rettori:  in  di- 


4o  LIBRO  TERZO 

versi  tempi  il  numero  fu  vario:  alcuni  amministra- 
vano gli  affari  politici^  ed  erano  detti  Consoli  mag- 
giori (i),  ad  altri  erano  commessi  i  civili,  e  crimi- 
nali piati.  Siffatte  Magistrature  si  adottarono  anche 
dalle  terre,  e  castelli  per  voglia  d'imitare  le  grandi 
repubbliche.  Nei  primi  tempi  talora  anche  il  Ve- 
scovo entrò  a  parte  del  governo  politico^  special- 
mente se  qualche  dritto  ne  avea  ricevuto  dall'  Im- 
peratore, se  era  decorato  del  titolo  di  conte,  e  se 
la  sua  ricchezza,  e  dominio  gli  dava  una  potenza 
straordinaria ,  come  al  Vescovo  di  Arezzo .  Dopo 
qualche  tempo  però»  o  la  parzialità  dei  Consoli  pei 
loro  amici,  o  le  dissensioni  che  nascevano  nell'am- 
roinistrazione,  o  le  discordie  dei  cittadini  nell'ele- 
zioni, £ece  prima  diminuire  l'autorità  di  questi 
Magistrati,  indi  a  poco  a  poco  abrogarla,  e  s'istitai 
la  carica  di  Potestà.  La  legge  stabili  ch'esser  do- 
vesse forestiero,  perchè  privo  di  relazioni,  di  ami- 
cizia, o  di  parentela  potesse  con  maggiore  integrità 
esercitar  la  giustizia,  e  terminato  Tufizio  partendo- 
si, non  si  trovasse  esposto  al  risentimento,  e  alle 
vendette  a  cui  la  giustizia  anche  esattamente  am- 
ministrata espone  talora  i  più  incorrotti  giudici. 
Non  sdegnavano  quel  posto  i  primarj  Signori.  Era 
perlopiù  ornato  il  Potestà  del  cingolo  militare, 
giacché  nelle  occasioni  marciava  alla  testa  delle 
truppe,  conduceva  seco  una  corte  splendida,  e  per 
amministrar  la  giustizia,  alcuni  assessori,  o  giudici 
civili,  e  criminali.  Il  suo  ufizio  si  ristringeva  al 
termine  di  un  anno,  e  di  rado  ottenea  la  confer- 
ma :  niun  suo  parente  lo  poteva  accompagnare ,  e 

(i)  Sututi  della  GitUi  di  Pìstoja. 


CAPITOLO   QUARTO        4j 

di  rado  8Ì  permetteva  alla  stessa  moglie:  era  vieta • 
to  al  Potestà  e  ai  suoi  ministri  il  familiarizzarsi 
cogli  abitanti,  e  dare,  o  ricevere  da  essi  pranzi,  e 
cene.  Nella  prima  istituzione  essendo  tanta  l'auto- 
rità di  questa  carica,  o  che  ne  abusassero  i  Potestà, 
0  che  paresse  al  popolo  che  egli  troppo  favorisse  la 
nobiltà ,  o  la  gelosia  repubblicana  non  vedesse  sen- 
za timore  riuniti  nella  stessa  persona  il  poter  civi- 
le, criminale,  e  il  comando  delle  truppe,  fu  l'au- 
torità divisa,  e  si  creò  il  Capitano  del  popolo,  che 
non  solo  lo  conduceva  alla  guerra,  ma  nelle  sedi- 
zioni e  tumulti  interponeva  l'autorità,  e  la  forza. 
L'ufizio  del  Potestà  fu  poi  limitato  quando  in  ap- 
presso si  elessero  i  Priori,  e  poi  il  Gonfaloniere . 
Questi  Magistrati  furono  per  lo  più  comuni  alle 
città  libere  d'Italia,  e  perciò  di  Toscana,  non  sen- 
za però  molte  variazioni,  e  modificazioni  in  varj 
tempi ,  che  sarebbe  troppo  nojoso  il  minutamente 
dettagliare ,  e  che  solo  accenneremo  quando  lo  ri- 
chiederà l'importanza  del  soggetto  (a).  In  questo 
tempo  Firenze  aveva  i  suoi  Consoli:  essi  trovansi 
quivi,  ed  altrove  anche  innanzi,  ma  non  è  sicuro 
segno  di  totale  libertà  (S).  Oltre  i  Consoli ,  il  di  cui 
numero  è  incerto  (4),  vi  erano  i  Priori  dell'arti,  un 
Potestà,  un  Senatore,  dieci  Buonuomini,  un  Con- 
siglio generale,  un  altro  particolare.  In  mano  di 
questi  era  il  governo;  l'ufizio  del  Potestà,  di  cui  si 


(a)  Marat.  Antìq.  ItaL  Diss. 

(3)  Nel  diploma  della  pace  di  Gostanza  si  dice  che  i  Consoli 
doyeam  esser  confermati  dall'Imperatore ,  onde  si  Tede  che  già 
esistevano  tali  Magistrati  anche  avanti  l'intiera  libertà  delle  città 
italiane  • 

(4)  Àmm.  Ist.  Fior.  Lib.  i. 


4a  LIBRO  TERZO 

ha  menzione  anche  qualche  tempo  innanzi^  si  tro- 
va in  quest'anno  saldamente  stabilito. 

Per  molto  tempo  i  Fiorentini  presero  poca  parte 
nelle  guerre  d'Italia,  e  furono  piuttosto  occupati 
ad  assicurare  il  territorio  dalle  altrui  violenze.  Era 
stata  la  Toscana ,  come  il  resto  d'Italia^  ripiena  di 
feudali  Signori ,  che  situati  in  monti,  in  rocche, in 
castelli  assai  forti,  infestavano  le  pubbliche  strade, 
svaligiando  ,  e  prendendo  prigionieri ,  e  facendo 
pagare  grossi:  riscatti  a  quei  viandanti,  che  abba- 
stanza ricchi  aveano  la  disgrazia  di  passar  per  le 
strade  ad  'essi  vicine  •  Tale  era  la  rocca  di  Monte- 
buoni  ,  posseduta  dai  Signori  Buondelmonti ,  tale 
Monte  di  Croce  dai  Conti  Guidi ,  il  castello  di  Fo- 
gna, Monte  Orlandi,  Monte  CacioUi,  ove  prepo* 
tenti  Signori  erano  annidati  (5).  I  Fiorentini  intol« 
leranti  di  tai  disordini  aveano  già  da  molti  anni  in 
varj  tempi  castigato  costoro,  disfacendo  la  rocca 
di  Monlebuoni,  Monte  di  Croce,  il  fortissimo  ca- 
\  stello  di  Fogna ,  e  molti  altri,  o  sottomettendoli  alla 

loro  obbedienza.  La  terra  di  Semi  fonte  era  stata 
una  di  quelle  che  avea  dato  più  impaccio  ai  Fioren- 
tini. Fosta  nella  Valdelsa  tra  Lucardo  e  Vico  sopra 
di  un  poggio,  la  situazione,  le  mura,  le  rocche  la 
rendevano  assai  forte.  N'erano  stati  Signori  i  Conti 
Alberti,  che  battuti,  e  intimoriti  dalla  fiorentina 
potenza,  mentre  trattano  di  cederla  a  questa  Re- 
pubblica, avutone  sentore  i  Semifontesi,  sollevati- 
si, e  gittato  dalle  finestre  del  pubblico  palazzo  il 
Rettore  degli  Alberti,  ordinarono  upa  repubblichetta 
di  governo  popolare,  la  quale  animata  dai  Sanesi 

(5)  Amm.  Ittor.  Fior.  lib.  i. 


Addì 


CAPITOLO  QUARTO  43 
contro  i  Fiorentioi^  più  volte  fece  scorrer  le  sue 
genti  sul  fiorentino  territorio;  e  quantunque  in  se- 
guito le  armi  di  questi  gli  costringessero  a  divenire 
loro  sudditi,  si  erano  poi  ribellati  ;  onde  nelTan- 
no  i2oa.  fu  con  tutto  il  vigore  intrapresa  dai  Fio- 
rentini la  guerra  contro  Semifonte^  ed  uno  dei  Con-  ^°^' 
soli  vi  andò  ad  oste.  Si  difesero  i  terrazzani  con  un  laoa 
vigore  inaspettato;  ricusarono  più  volte  aggiusta- 
mento con  ottime  condizioni,  che  il  Console  sco- 
raggilo dalla  soverchia  resistenza  offerse  loro:  ma 
ad  onta  della  più  bella  difesa,  una  terra  di  non  più 
di  3oD  fuochi  non  potea  resistere  alle  forze  sempre 
crescenti  dei  Fiorentini.  Fu  a  forza  espugnata,  e 
benché  si  perdonasse  la  vita  ai  terrazzani ,  e  si  fa- 
cesse un  aggiustamento  per  cui  restarono  sudditi 
dei  Fiorentini;  o  che  nuovamente  si  ribellassero,  o 
per  qualunque  altra  causa,  fu  finalmente  diroccata 
affatto  Semifonte,  e  in  oggi  si  può  additare  sola- 
mente il  poggio  nudo,  ove  era  situata  (6).  Si  me* 
scolò  Firenze  in  qualche  altra  guerra  di  poco  conto 
o  contro  i  Lucchesi,  o  i  Sanesi  per  lo  più  unita  in 
alleanza  coi  Pisani.  La  mal  organizzata  repubblica- 
na costituzione  di  Firenze  avea  cominciato  presto 
però  a  produrre  delle  divisioni  interne.  La  famiglia 
degli  liberti  era  la  più  ricca,  e  potente.  Mal  sof* 


(6)  Pace  dì  Gertaldo.  Guerra  di  Semif.  Giov.  Vili.  Ist.  ìih.  5. 
cap.  ag.  Duro  fatica  a  credere  che  la  fiorentina  repubblica  disfa- 
cesse questo  castello  per  gelosia ,  e  che  la  sua  crescente  grandezza 
potesse  farle  ombra  come  hanno  creduto  il  Manni ,  e  il  Borghini 
< Origine  di  Firenze)  riportando  quel  dettato  che  correva  comune- 
mente:/''/(>re/isa^^/<<  in  là,  che  Semifonte  si  fa  città .  Ss^rk 
qaesto  ironicamente,  e  per  derisione  dell'orgoglio  dei  Semifontesi 
stato  detto*  non  potendo  mai  un  Castello  di  soli  3oo  fuochi  dar 
ombra  ad  una  città  come  Firenze  »  ma  fu  disfatta  per  prevenire 
nuove  ribellioni . 


44  LIBRO  TER20 


*  frendo  costoro  di  essere  come  tutti  gli  altri  cittadi- 
^Q^  ni  soggetti  alle  comuni  leggio  fino  dagli  scorsi  tempi 
laoaavean  dato  assai  inquietudine  a  Firenze^  giacché 
nell'anno  1 1 Ss >  formata  una  potente  associazione 
con  altre  famiglie  contro  il  Governo,  si  divise  la 
città  in  due  partiti,  ed  ebbe  laogo  una  guerra  civi- 
le, la  quale  cessando,  e  ricominciando  secondo  le 
circostanze,  durò  presso  a  cinque  anni  (7)>e  fini 
per  stanchezza  delle  parti  • 
ia.i5  Era  stato  questo  un  preludio  delle  sanguinose 
turbolenze  che  doveauo  agitar  la  fiorentina  Repub- 
blica, e  che  presto  si  accesero.  In  quest'anno  poi 
cominciò  la  più  fatale  discordia  ;  e  la  bellezza  fem- 
minile ne  fu  la  causa .  Una  delle  prime,  e  più  ric- 
che famiglie  era  quella  dei  Buondelmonti ,  che  già 
prepotente  in  contado,  messa  in  dovere  dai  Fioren- 
tini, si  era  stabilita  in  Firenze.  Buondelmonte,  ca- 
po della  famiglia,  leggiadro  giovane,  avea  promesso 
di  prendere  per  isposa  una  fanciulla  degli  Amidei, 
famiglia  egualmente  potente.  La  bellezza  di  un'al- 
tra della  famiglia  Donati,  anch'essa  delle  prime,  lo 
colpì  tanto,  e  le  insinuazioni  della  di  lei  madre 
tanto  poterono,  che  mancando  al  primo  impegno, 
sposò  la  Donati.  Quest'offesa  ai  di  nostri  finirebbe 
Dell'attirare  il  disprezzo  sopra  un  giovane  leggiero, 
né  altra  pena  incorrerebbe  che  l'universal  condan- 
na  di  uomo  senza  carattere;  ma  non  era  cosi  in  quei 
tempi  di  costumi  feroci  e  sanguinar).  Gli  Amidei 
con  i  loro  parenti  la  credettero  un'offesa  da  lavarsi 
col  sangue;  e  il  dì  di  Pasqua  di  Resurrezione,  men« 
tre  Buondelmonte  vestito  di  bianco  sopra  un  bian- 

(7)  Rie.  Malas.  Ammir.  ìsU  fior*  lib.  i. 


CAPITOLO  QUARTO  45 
co  cavallo  venia  di  oltre  Arno  verso  le  case  degli 
Amidei  presso  a  S.  Stefano^  passato  il  Pontevecchio,  dìG. 
questi  lo  assalirono  accanto  alla  statua  di  Marte  si-  >^*^ 
taata  a  pie  del  ponte  e  lo  uccisero  (8).  Questa  mor- 
te pose  in  scompiglio  la  città ,  la  quale  si  divise  in 
due  partiti.  Prese  le  armi,  sbarrate  le  strade,  i  cit- 
tadini combattevano  nelle  vie,  nelle  piazze,  dalle 
case,  dalle  torri,  e  duraron  degli  anni  a  battersi 
nella  più  crudel  maniera.  In  questa  occasione  en- 
trò nella  città  un'altra  politica  epidemia ,  che  de- 
solava già  ritalia,  e  di  cui,  quantunque  abbia  fatto 
^>arger  tanto  sangue,  è  stata  assai  controversa  Tori- 
gine,  cioè  la  fazione  dei  Guelfi,  e  dei  Ghibellini  (9)^ 
accostandosi  i  primi  ai  Buondelmonti ,  i  secondi 
agli  liberti ,  che  era  la  più  potente  famiglia  dell'al- 
tro partito;  e  perciò  essa  piuttosto  che  gli  Amidei 
vi  si  pose  alla  testa  •  Infierì  per  molto  tempo  la  ci- 
vile guerra  fra  i  cittadini,  rimanendo  intanto  sepolte 
in  un^^opportuna  oscurità  le  azioni  di  barbaro  valo- 
re, che  insanguinarono  la  comune  patria  •  Una  cit- 
tà, come  Firenze,  di  cui  la  molla  principale  era  il 
commercio,  non  potea  restar  lungamente  in  guer* 
ra,  senza  che  quello  minasse,  perciò  combattuti 


<8)  Malasp.  cap.  104. 

{9)  La  pia  vensimile  opinione  è  che  questa  fazione  sìa  nata 
in  Germania  :  ecco  il  passo  pia  autorevole  per  istabilirla  ;  Factum 
est  sub  Conrado  IL  Svevo:  qui  circiter  annum  loaS,  imperium 
iniit  in  pugna  quam  gessit  cum  Guelpho  Bavariae  Duci . . .  cum 
in  ea.  pugna  Guelphi  Bavariae  ducis  auxiliares  simbolum  hoc 
hdberent  — .  Eie  Guelphi —  qui  vero  sub  Conradi  Caesaris  —  hic 
Guibeling  ^-^  clamarent  f  quod  Conradus  in  vetustae  nobilitatis 
pago  Waiblingen  nutritus  esset,  inde  primum  Caesarianis  Cui' 
bellini  f  Pontificiis  Guelphi  nomen  haesit  quod  Guelphus  Italica 
Pontijfcis  auxilia  contra  Conradum  Caesarem  adduxit  —  Felìc. 
Osi.  nota  SS.  robr.  6.  Histor.  Albertini  Muss«  Moratori  Antic. 
EsteiL  tom.  1.  cap.  3i,  Rer.  ital.  disser.  3. 


46  LIBRO   TERZO 

^^  dall'animosità^  e  dairinteresse  facevano  i  cittadini 
^"^1  sovente  delle  temporarie  tregue,  indi  si  tornava  aK 
iai7  le  armi.  Fu  un  palliativo  a  questo  male  Tardorp 
risvegliato  di  una  nuova  Crociata  .  Molti  Fiorentini 
di  animo  feroce,  e  guerriero,  lasciando  le  domesti- 
che brighe  andarono  a  questa  impresa  (io):  è  cele- 
iai9bre  fra  di  essi  il  nome  di  Buonaguisa  dei  Galigari, 
che  nell'assalto  di  Daraiata  fu  il  primo  a  salir  sulle 
mura,  ed  a  porvi  lo  stendardo,  o  gonfalone  bianco 
e  rosso,  insegna  della  sua  patria,  che  per  memoria 
di  azione  si  illustre  fu  appesa  nel  tempio  di  S.  Gio- 
vanni (li)-  I  discendenti  di  quest'uomo  per  ono- 
rarsi  del  suo  nome,  lasciato  il  vecchio  casato  dei 
Caligari,  presero  quello  dei  Buonaguisi. 
laao      Fra  le  repubbliche  di  Pisa,  e  di  Firenze  si  ruppe 
in  quest'anno  la  pace  finora  da  tanto  tempo  conti- 
nuata  •  Gli  Ambasciatori  pisani  vennero  alle  mani 
coi  Fiorentini  in  Roma,  ove  si  trovavano  per  assi- 
stere alla  coronazione  di  Federigo  II.  Il  motivo  (se 
pure  è  vero)  fu  assai  ridicolo,  ed  indegno  degli 
effetti  che  produsse  (12).  Ma  probabilmente  vi' eb- 
be parte  qualche  altra  causa,  che  dagli  "Storici  non 
si  accenna.  Era  assai  facile  aggiustare  ano  sconcer- 
to nato  da  piccolissimo  motivo,  senza  venire  ad  una 
pericolosa  rottura.  I  Pisani  probabilmente  comin- 
ciavano a  mirar  con  occhio  di  gelosia  la' ci^escente 
potenza  dei  Fiorentini,  il  commercio  dei  quali  an- 


(10)  Rìcord.  Malas.  cap.  106.  ^ 

(t  1)  Il  Malaspina  racconta  che  alla  sua  etk  si  mostraya  il  di  di 
S.  Giovanni.  Gio.  Villani  lo  conferma  >  e  aggiunga  che  vi  era  an- 
cora ai  suoi  tempi .  * 

(la)  Un  cane  promesso  da  uno  smemorato  Cardinale  frìnn 
ad  uno  degli  Ambasciatori  pisani ,  indi  ad  uno  dei  ficn'entini  gli 
fece  venire  alle  mani .  Malasp.  cap .  1 1 3. 


9  ,• 


CAPITOLO   QUARTO        47 

dava  continuaitieote  aumentandosi  •  Erano  le  loro 
merci  obbligate  a  passar  di  Pisa^  e  per  mezzo  del  ^iq^ 
suo  porto  escir  dal  continente:  non  è  fuor  di  prò-  >^3i 
posilo  cbe  'prendessero  questa  occasione  per  inter- 
romperne il  corso;  realmente  confiscarono  subito  le^ 
merci  dei  Fiorentini  cbe  si  trovavano  in  Pisa .  L^osti- 
oazione  dei  Pisani  non  solo  a  ritenerle^  ma  il  negar 
fino  di  restituire  in  loro  vece  delle  balle  di  stoppa 
come  si  contentavano  i  Fiorentini j  purcbè  con  que- 
sta apparente  restituzione  fosse  salvato  il  decoro  (i  3), 
chiaramente  mostra  Talienazione  dei  Pisani  da  una 
riconciliazione,  e  conferma  la  nostra  congettura  . 
Si  dovette  pertanto  venire  alle  armi.  I  Pisani  mae- 
stri di  guerra  per  mare  non  lo  erano  egualmente 
sulla  terra  ;  venuti  alle  mani  i  due  piccoli  eserciti 
presso  Castel  del  Bosco  (14)7  furono  sconfitti  i  Pì^ 
sani  restandone,  oltre  i  morti^  prigionieri  i3oo. 
Non  ci  tratterremo  sulla  guerra  dei  Fiorentini  coi 
Sanesi  sostenuta  in  difesa  di  Montepulciano,  che  però 
fu  preso,  e  mezzo  rovinato  dai  Sanesi .  Se  ne  ven* 
dicarono  i  Fiorentini  con  devastazioni  alle  sanesi 
campagne,  coir  inutile  assedio  di  Siena  e  con  villar 
ni  insulti  contro  della  città  (i5).  Durò  questa  pic- 
cola guerra  di  scorrerìe  circa  sei  anni;  ed  al  fine  laSi 
col  mezzo  del  Cardinale  Prenestino,  a  ciò  deputato  laSa 
dal  Papa,  si  fece  la  pace  (16) •  ia33 

Le  civili  discordie,  cbe  la  guerra  sacra  avea  al- 1^34 
quanto  calmate,  traendo  fuori  di  Firenze  Tumore  ia35 


(1 3)  Malasp.  cap.  1 1 3. 
(i4)  Malasp.'cap.  11.4*  ii5« 

(i5)  Vi  era  l'uso  d' insulure  una  cillà  collo  scagliarvi  dentrQ 
coi  mangani  asini,  e  bruUure . 

(16}  Annal.  Senen.  Rer.  Ital.  Script,  iota.  1 5. 


48  LIBRO  TER20 

morboso  che  l'agitava^  si  risvegliarono.  Il  contra- 
di^c!  ^^^  ^^  ^^  Sacerdozio  e  V  Impero  non  era  stato  mai 
ia35 estinto:  l'interesse  mondano ,  e  non  lo  zelo  di  reli» 
gione  lo  avea  sempre  risvegliato;  onde  gl'Impera- 
tori^ e  i  Papi^  che  si  disputavano  il  temporale  pos- 
sesso d' Italia ,  erano  sostenuti  dalle  due  potenti 
fazioni 9  seguitando  i  Guelfi  il  Papa,  i  Ghibellini 
rimperatore.  L'una^  o  l'altra  fazione  era  domi- 
nante secondo  il  vigore^  ed  il  talento  dei  loro  capi: 
si  è  veduta  l'attività ,  e  la  forza  dell'Imperatore 
Federigo  I^  protettore  della  Ghibellina  fazione,  e 
nemico  del  Papa  •  Il  suo  figlio  Arrigo  YI^  con  più 
vizi  del  padre y  senza  averne  ereditata  alcuna  virtù, 
mori  presto  carico  dell'  odio  pubblico  y  lasciando 
un  figlio  pargoletto^  che  quantunque  ereditasse  i 
dritti  al  regno  di  Sicilia,  di  Germania,  e  le  preten- 
sioni all'Impero,  era  di  età  troppo  tenera  per  poter 
dar  ombra  alla  Corte  di  Roma  •  Giunse  intanto  al- 
l'imperiai  corona  Ottone  lY  della  famiglia  Guelfa, 
e  perciò  del  partito  pontificio:  ma  venendo  in  Ita- 
lia per  esercitarvi  i  suoi  dritti ,  la  Corte  di  Roma 
non  lo  riguardò  più  per  suo  amico.  Papa  Innocen- 
zio  III  giunse  finalmente  a  scomunicarlo,  e  scor- 
dato dell'inimicizia  con  Roma  della  Casa  di  Svevia, 
tentò  di  opporgli  il  giovine  Federigo ,  non  potendo 
prevedere  quanto  più  terribil  nemico  dovesse  essere 
un  Principe  eguale,  o  superiore  all'avo  Barbarossa 
nel  talento,  e  nel  valore.  Dopo  la  morte  sollecita 
di  Ottone  die  il  Pontefice  al  giovine  Federigo  la 
corona  imperiale,  facendogli  però  prima  promette- 
re di  portar  l' armi  in  Terra  Santa .  Otteneva  eoa 
due  fini:  promuoveva  un'impresa  sempre  cara  alla 
Corte  di  Roma,  ed  allontanava  dall'Italia  un  uomo 


CAPITOLO   QUARTO        49 

che  potea  dar  delle  brighe  alia  sovraiutà  pontificia.  ^^ 
Non  prese  il  nuovo  Imperatore  graii  cura  di  eseguir  ^^o. 
la  promessa^  premendogli  di  aggiustare  prima  le '^^^ 
cose  d'Italia:  per  questa  mancauza,  ed  altri  grava- 
mi,  fu  Federigo  percosso  dalla  solita  arme  dei  Pa- 
pi j  dalla  scomunica  fulminata  da  Gregorio  IX,  non 
valendogli  la  scusa  di  essere  infermo.  Venuto  il 
tempo  opportuno^  fece  vela  da  Otranto  con  parec- 
chie navi  y  e  giunse  ad  Acri  y  non  facendo  conto 
delle  censure,  o  credendo  di  riceverne  una  tacita 
assoluzione,  coU'adempire  alla  promessa.  Ma  trovò 
tutto  il  Clero, e i  di  lui  aderenti  suoi  dichiarati  ne- 
mici, che  in  vece  di  promuovere  unitamente  l'im- 
presa di  Terra  Santa  ^  pieni  di  fanatico  zelo^  attra- 
versarono i  suoi  disegni,  spargendo  che  non  si  do- 
vea  aver  comunicazione  con  un  principe  scomuni- 
rato;  nello  stesso  tempo  furono  invasi  i  suoi  domini 
di  Puglia  dall'esercito  pontificio,  che  portando  per 
divisa  le  chiavi  di  S.  Pietro  sul  vestito  era  detto 
Chiavisi gnato.  L'attivo  Federigo  trionfò  di  tutti 
gli  ostacoli:  costrinse  il  Soldauo  ad  una  capitola- 
zione, per  cui  gli  furono  cedute  le  città  di  Gerusa- 
lemme, Betlemme,  Nazzaret  e  Sidone.  Ad  onta  di 
questi  santi  acquisti  riguardato  con  orrore  dagli  ec- 
clesiastici, non  si  trovando  chi  lo  coronasse  Re  di 
Gerusalemme ,  egli  forse  per  burlarsi  della  cerimo- 
nia^ posta  la  corona  sull'altare,  se  la  mise  in  capo 
da  per  se  stesso.  Ritornato  rapidamente  in  Puglia^ 
riconquistò  ben  presto  i  perduti  dominj .  Dopo  tante 
reciproche  ofiese  è  facile  l'immaginare,  che  non  vi 
era  da  sperar  reconciliazione  fra  lui,  e  il  Pon  tefice  (  1 7). 

(1 7)  Molti  sono  gli  Scrittori  di  questi  avvenimenti .  Yedansi 
ìgtr  latti  gli  Ann.  del  Afurat.  ann.  i  aaS:  29. 

Tomo  IL  4 


/ 


So  LIBRO  TERZO 

2^  Le  città  di  Toscana  erano  divide,  ma  Pisa  avea 
die.  sempre  seguito  il  partito  imperiale.  Agli  antichi 
ia35  favori  ricevuti  dalla  casa  di  Svevia  si  a<>?iun<^eva 
una  misura  della  Corte  di  Roma  atta  ad  irritare  i 
Pisani.  Sempre  sollecita  quella  Corte  dei  suoi  avan- 
zamenti» avea  inviato  in  varie  parti  d'Italia  dei  re- 
ligiosi, in  specie  Minori ,  e  Domenicani  per  l'otti- 
mo fine  di  predicar  la  pace,  e  la  concordia,  ma 
che  neir^istesso  tempo  esigevano  dai  popoli  il  giu- 
ramento di  fedeltà  al  Papa,  e  portavano  lettere  ai 
Vescovi,  che  comanda vau  loro  di  esiger  lo  stesso. 
Furono  quei  religiosi  sbanditi  da  Rinaldo  Duca  di 
Spoleti ,  e  da  Federigo  proibite  queste  pericolose 
ia4o  missioni  (i8).  Era  la  Sardegna  dominata  dai  Pisa- 
ni: in  essa  si  portò  uno  di  questi  sacri  inviati  cfait- 
mato  Alessandro^  cappellano  del  Papa ,  colla  quali- 
tà di  Legato  Apostolico,  e  gli  venne  fatto  di  sedur- 
re i  pisani  Feudatarj.  Ubaldo  Visconti  teneva  in 
feudo  dalla  Repubblica  pisana  il  giudicato  di  Gal- 
lura, Adelasia  quello  di  Torri,  e  Pietro  di  Capra ja 
quello  di  Arborea .  Ottenne  il  Legato  Apostolico 
che  renunziassero  in  sua  mano  i  respettivi  giudica* 
ti  (ig),  contro  il  giuramento  già  prestato  alla  Re- 
pubblica ,  e  gli  ricevessero  nuovamente  in  feudo 
dal  Papa .  Quest'atto  esasperò  il  Governo  di  Pisa,  ed 
essendo  in  essa  dei  cittadini  soliti  ad  obbedire  cie- 
camente a  Roma,  anche  negli  affari,  ove  la  religio- 

(18)  CroDic  dì  Rice,  da  S.  Germano  rer.  ital.  tom.  7.  p€tr. 
de*Yin.  epis.  lib.  1.  cap.  19. 

(19}  I  giudici  erano  chiamati  anche  regesa  regendo^Emo 
figlio  di  Federigo  II  sposò  la  nominata  Adelasia,  restata  vedora» 
e  riunì  varj  giudicati  o  per  V  autorità  imperiale  del  padre  »  o  coUi 
concessione  dei  Pisani^  e  fu  perciò  Re,  o  Governatore  della  Sar* 
degna . 


CAPITOLO  QUARTO        5i 

ne  Don  ha  Inogo^  vi  furono  dei  scompigli ,  e  delle 
divisioni,  benché  la  parte  che  aveva  nelle  roani  ildi°c* 
governo  si  mantenesse  salda  nell'antico  partito  im-  i^4o 
periate  (ao).  Si  portò  Federigo  in  Toscana  per  ec- 
citare quelle  città  contro  Roma^  e  confermare  i  suoi 
partitanti  •  Si  arrestò  per  qualche  tempo  in  Pisa 
per  concertare  i  mezzi  di  far  più  vigorosamente  la 
guerra  contro  il  Pontefice  :  questo  intanto  moltipli- 
cava contro  lui  le  censure.  Per  dar  loro  maggior 
solennità  intimò  un  Concilio *in  Roma  in  S.  Gio- 
vanni Lateranoy  chiamando  gli  ecclesiastici  da  tut- 
te le  cristiane  provincie.  Federigo,  non  spaventato    . 
da  questi  fulmini,  contro  i  quali  era  oramai  ag. 
guerrìto,  trovandosi  all'assedio  di  Faenza,  non  solo 
arrestò  tutti  gli  ecclesiastici,  che  si  portavano  a 
quel  Concilio,  ma  sapendo  che  in  Genova  era  adu- 
nata una  gran  schiera  di  Prelati  francesi  assieme 
coi    Cardinali  Jacopo   Vescovo  di  Palestrina,  ed 
Ottone  di  S.  Niccolò  in  Carcere ,  per  passare  a  Ro« 
ma  per  mare,  persuase  i  Pisani  a  unir  le  forze  loro 
a  quelle  condotte  di  Sicilia  da  Enzo  suo  figlio,  e 
attaccar  la  flotta  genovese  nel  passaggio .  Benché 
tanto  nemici  dei  Genovesi,  per  reverenza  al  Clero 
i  Pisani  avvertirono  i  Prelati ,  e  i  Genovesi  a  non 
arriscbiftrsi  al  passaggio .  Sprezzata  la  minaccia  gli 
imprudenti  Genovesi  benché  inferiori  di  numero, 
e  colle  navi  cariche  di  uno  stuolo  di  gente  imbelle, 
invece  di  allargarsi  in  mare,  e  sfuggir  la  batta<^'lia , 
andarono  baldanzosamente   ad   incontrar  la  flotta 
nemica^  e  tra  l'isola  del  Giglio,  e  Monte  Cristo 
non  lungi  dalla  Meloria  il  di  3.  di  maggio  ebbe 

(30)  Cav.  FUm.  dal  Borgo  dell'  Istor.  Pis.  dìsser.  4* 


52  LIBRO  TERZO 

:  luogo  una  sanguinosa   battaglia   colla   peggio  dei 

f]i  (^,  Genovesi  :  ventidue  galee  furon  prese  dai  Pisani, 
ia47  tre  colate  a  fondo:  4ooo  prigionieri^  fra  i  quali 
due  Cardinali, e Taltra  turba  di  ecclesiastici,  furo- 
no condotti  a  Pisa  in  trionfo;  e  Tunica  distinziooe 
che  riceverono  questi  fu  di  essere  legati  con  catene 
di  argento  (si)  •  Non  mancò  Federigo  di  vantar 
questa  vittoria  come  un  giudizio  di  Dio,  che  favo- 
riva la  sua  causa  ;  e  il  suo  segretario ,  ed  amico 
Piero  delle  Vigne  fece  uso  di  tutta  l'eloquenza  per 
mostrare,  che  in  tale  avvenimento  era  manifesta  la 
mano  del  Signore  (a^)*  Intanto  animato  dalhi  vit- 
toria Federigo  s'inoltrò  colle  armi  per  gli  stati  poa- 
tificj,  ne  occupò  varie  città,  e  si  spinse  fino  sotto 
Roma.  Papa  Gregorio  aggravato  dall'età,  e  forse 
anche  dai  dispiaceri ,  cessò  di  vivere. 

Proseguirono  i  Pisani  la  guerra  contro  Genova 
col  massimo  vigore,  liberarono  Savona  dall'assedio, 
e  nel  mese  di  settembre  uscirono  dal  pisano  porto 
con  ro5  galee,  e  loo  legni  più  piccoli  (aS),  por- 
tandosi contro  di  Genova  :  il  qual  magnifico  arma- 
mento andò  probabilmente  a  terminare  nella  bo- 
riosa ,  ed  inutile  soddisfazione  di  scagliar  contro  la 
città  delle  freccie  guarnite  di  argento  (a4).  Pio  volte 
le  flotte  imperiali  9  e  pisana  si  accostarono  alla  ri- 
viera di  Genova^  ma  nulla  vi  fecero  d'importante, 

(ai)  BartoL  Serio,  rer.  iuL  tom.  6.  e  specialmente  un'aotes- 
tlca  caru  citata  dal  Gay.  Flam.  Dal  Borgo  diss.  4.  dell' istor.  Pisi- 
na.  Villani  lib.  6.  cap.  ao. 

(a  a)  Petrus  de  Yine.  epist.  cap.  8.  e  9. 

(a3)  In  questo  grande  armamento  non  vi  è  nulla  di  esageralo 
dagli  storici  »  essendo  attestato  dalla  pubblica  iscrizione  »  che  stata 
affissa  lungh' Arno  nel  Palazzo  detto  delle  Vele ,  e  eh' è  stata  tra- 
•portata  ultimamente  nel  Campo-Santo  di  Pisa . 

(34)  Bartol.  Sor.  conyin.  Gafiar.  rer.  iuL  tom.  6. 


♦ 


CAPITOLO  QUARTO  53 
anzi  pare  che  sfuggissero  rincontro  dell' armata  ge- 
novese (a5).  A  Gregorio  IX  era  succeduto  Celesti-  ^[  q^ 
no  IV  che  poco  visse,  e  perciò  ebbe  poco  da  fare  1^47 
coir  Imperatore:  in  suo  luogo  fu  eletto  Innocen- 
zo IV  della  famiglia  dei  Fieschi:  la  sua  amicizia 
coirimperatore  fece  sperare  facile  un  aggiustamen- 
to: aia  gr  interessi  rendono  nemici  i  più  stretti 
amici.  Dopo  molti  inutili  negoziati  Innocenzo, 
temendo  le  armi,  e  le  insidie  di  Federigo, era  fug- 
gito d' Italia ,  e  portatosi  in  Francia ,  tenuto  un  Con- 
cìlio in  Lione,  avea  scomunicato^  e  deposto  T Im- 
peratore «  Esso  intanto  dominava  Tltalia.  Fra  le 
città  dì  Toscana ,  benché  Firenze  fosse  divisa  nelle 
due  fazioni,  pure  vi  preponderava  la  Guelfa.  L'Im-  1^4^ 
peratore,  sotlìando  sulle  fiamme  quasi  spente,  vi 
riaccese  più  forte  il  fuoco  Ghibellino,  eccitando 
specialmente  gli  liberti,  e  promettendo  aita  alla 
loro  parte;  si  tornò  nuovamente  alle  armi .  In  più 
luoghi  della  città  si  dettero  sanguinosi  combatti- 
menti (a6):  giuntovi  finalmente  il  figlio  delTIm- 
peratore  con  1600  cavalieri  tedeschi,  i  Guelfi  fu- 
rono obbligati  a  cedere;  si  ritirarono  da  Firenze, 
ma  con  aria  feroce,  e  colle  armi  alla  mano:  anzi 
prima  di  partirsi  venendo  a  morire  dalle  ferite  ri- 
cevute nelle  passate  azioni  Rustico  Marignolli,  ca- 
valiere dei  primi  tra  i  Guelfi  nel  giorno  stesso  della 
loro  partenza  lo  condussero  a  seppellire  in  S.  Lo- 
renzo in  mezzo  alle  armi, come  in  aria  di  trionfo > 
giacché  il  solo  segno  funebre  erano  le  bandiere  ro- 
vesciate, e  che  si  strascinavano  sul  suolo.  Nella 
notte    appresso,  conoscendo  inutile  la  resistenza,  / 

(a 5)  Bartol.  Script,  loc.  e.  Tronci  Annali. 
(a6)  Blalasp.  cap.  137.  Amm.  lib.  a. 


54  LIBRO   TERZO 

*  uscirono  i  Guelfi  dalla  città  (27)  •  Il  furore  delle 


^"^' discordie  civili  non  ha  limiti:  i  Ghibellini  restati 

1^48  padroni  non  potendosi  più  sfogare  contro  i  Guelfi 
minarono  le  loro  abitazioni^  e  specialmente  le  tor- 
ri^ delle  quali  era  adoma  in  quei  tempi  Fireuze, 
come  le  altre  città  d'Italia.  Quella  dei  Tosinghi 
formata  a  colonnelli  di  marmo,  che  adornava  mer- 
cato vecchio,  s'inalzava  novanta  braccia   da  terra; 

ia49  un' altra  giungeva  a  i3o:  furono  queste,  insieme 
con  molte  altre,  gettate  al  suolo.  La  brutale  rabbia 
di  costoro  si  scorge  nel  barbaro  tentativo  di  ruioare 
il  tempio  di  S.  Giovanni,  che  non  era^reo  di  altro 
delitto,  che  di  essere  il  luogo  ove  i  Guelfi  usavano 
di  tener  le  loro  adunanze.  Stava  una  bella,  ed  alta 
torre  al  principio  di  via  degli  Adimart:  tentarono 
di  farla  cadere  su  quel  tempio ,  e  così  minarlo. 
Avendola  appuntellata  con  grossi  travi  dalla  parte 
che  guardava  il  tempio,  e  dallo  stesso  lato  in  gran 
parte  tagliata,  posero  il  fuoco  ai  puntelli:  il  caso 
salvò  sì  bell'edìGcio,  essendo  la  torre  caduta  altro- 
ve (38).  Si  erano  i  Guelfi  ritirati  in  gran  copia  a 
Capraja:  vi  furono  strettamente  assediati  dai  Ghi- 
bellini rinforzati  dai  Tedeschi,  ed  animati  dall'Im- 
peratore Federigo  stazionato  a  Fucecchio:  man- 
cando ai  Guelfi  le  vettovaglie  dovettero  rendersi  a 
discrezione,  e  sofirire  gli  strazj  dei  barbari  vincito- 
ri,  essendo  parte  di  essi  acciecati ,  parte  uccisi, 
parte  condotti  in  schiavitù  da  Federigo  nel  R^no 
di  Napoli  (29).  Queste  disgrazie  invece  di  abbat- 

laSotere,  non  fecero  che  irritare  i  Guelfi:  essi  io  Val 

(37)  Amm.  lib.  a. 
(aé)  Malasp.  cap.  1 3^^ 
(^9)  Malasp.  cap.  1 40. 


CAPITOLO    QUARTO        55 

d'Arno  di  sopra  difendeodosi  vigorosamente  ruppero  ^^^^ 
i Ghibellini,  che  se  ne  tornarono  vergognosamente 4.*^°* 
in  Firenze.  laSo 

Già  il  popolo  cominciava  ad  avvedersi  di  esser 
sacrificato  alle  discordie  dei  Grandi ,  e  di  servire 
alle  loro  private  vendette^  sotto  il  pretesto  di  pub- 
blico bene:  preso  coraggio  da  questa  disfatta ,  tu- 
multuando specialmente  contro  gli  liberti,  capi 
della  dominante  fazione ,  chiese  altamente  nuova 
forma  di  governo  •  I  nobili  impotenti  a  resistere 
dovettero  cedere,  fu  costituito  il  nuovo  governo  in 
modo,  che  il  popolo^  che  probabilmente  o  n'era 
escluso,  o  v'avea  di  rado, e  piccola  parte,  vi  fosse 
più  liberamente  ammesso.  Tolta  la  Signoria  al  Po- 
testà, dodici  Anziani  detti  del  Popolo  furono  creati , 
ed  essendo  in  sesti  divisa  la  città,  due  per  sesto 
ne  furono  eletti,  ed  un  Capitano  del  Popolo  invece 
del  Potestà, la  di  cui  carica  abolita,  fu  però  nel  se- 
guente anno  rimessa,  ma  con  limitazione  maggiore 
di  autorità.  Per  assicurare  questa  nuova  forma  di 
governo  contro  le  prepotenze,  dei  Signori ,  i  quali 
sovente  stimavano  grandezza  l'insultare  alle  leggi, 
stabilirono  una  forza  pubblica:  20  bandiere, o  gon- 
faloni furono  dati  a  ao  caporali  in  città,  tre  per 
sesto,  e  quattro  al  sesto  d'Oltrarno  (3o);  e  a  quello 
di  S.  Piero  Scberaggio,  probabilmente  più  popolati. 
Al  suono  di  una  campana,  ove  il  bisogno  richiedes- 
se, doveano  le  persone  atte  alle  armi  radunarsi  sotto 
la  loro  bandiera  :  lo  stess'  ordine  fu  preso  in  con- 

(3o)  Siccome  la  parta  piii  estesa  della  ciuà  è  sUto  sempre 
tulla  sponda  dritta  deU'Arno»  fu  comime  uso  di  chiamar  Oltrarno 
quella  situata  sulla  sinistra:  chi  brama  sapere  tutte  le  bizzarre  ligu- 
re dipinte  nelle  bandiere,  può  consultare  Malasp.  cap.  \i.  • 


56  LIBRO  TERZO 

-lado:  furono  date  le  baadiere  a  96  pivieri,  la  gio» 


^.''^'ventù  dei  quali  dovea   esser  pronta  alle  armi  per 
i25o  sostenere  il  Governo^e  difenderlo  dagl' interni, co- 
me dagli  esterni  nemici . 

La  sentenza  poutificia  contro  Federigo  non  man- 
cò di  produrgli  dei  tristi  effetti:  in  Germania,  in 
Lombardia,  in  Puglia,  ed  altrove  si  eccitarono  delle 
ribellioni  contro  di  lui:  fu  abbandonato  da  molti 
dei  suoi  amici.  Anche  i  Pisanit  che  si  trovavano 
involti  nella  stessa  scomunica,  vollero  riunirsi  colla 
Santa  Sede:  il  Papa  gli  riceveva  a  braccia  aperte, 
ma  esigeva  che  abbandonassero  il  partito  di  un  Im- 
peratore separato  dal  grembo  della  Chiesa:  esitaro- 
no essi  un  momento  ;  ma  restarono  fermi  al  par- 
tito imperiale  (3i).  Anche  quell'uomo  singolare, e 
per  tanto  tempo  amico,  favorito,  e  principal  mini- 
stro dell'  Imperatore,  Piero  delle  Vigne,  cadde  final- 
mente nella  sua  indignazione:  il  delitto  è  incerto: 
ma  un  favorito  che  ha  tanti  nemici  può  assai  age- 
volmente esser  minato  quando  gli  affari  del  soo 
padrone  vanno  male.  Il  pubblico, sempre  malcon- 
tento di  ogni  governo,  è  pronto  a  condannare  il 
ministro,  ed  assolvere  il  Principe.  A  questa  causa 
si  aggiunga  quella  addotta  da  Dante:  l'invidia ,  e  la 
persecuzione  dei  cortigiani  (3a).  Fu  il  disgraziato 
ministro,  che  avea  per  tanti  anni  fedelmente  ser- 

.    (3 1)  Flam.  d^l  Borgo  diss.  4*  dell' Ist*  Pìsan. 
(3 a)  Dante  Inferno  C.  1 3. 
La  meretrice,  che  mai  dall*  ospizio 
Di  Cesare  non  torse  gli  occhi  putti. 
Morte  comune ,  e  delle  Corti  vizio  » 
Infiammò  contro  ine  eli  animi  tulti; 
£  gFÌAfiainmati  innanuRar.sì  Angusto, 
Che  i  lieti  onor  tornaro  in  tristi  lutti  ec« 
Dante  crede  che  Pietro  si  ucoidejse  da  se  ateaso* 


CAPITOLO  QUARTO  57 
vito^  £Eitto  acciecar  in  S.  Miniato^  indi  mandato  a 
Pisa  per  esporlo  alla  derisione  del  popolaccio.  Ca-^jj^^c! 
duto  da  un  mulo  mori  di  una  grave  percossa  neli^^o 
capo  (33).  Finalmente  dopo  una  vita  sempre  agi- 
tata mancò  di  vita  anche  Federigo  in  Fiorenlino , 
castello  di  Puglia .  Fu  sepolto  in  Palermo^  e  fra  tutte 
le  iscrizioni  sepolcrali  presentate  al  suo  figlio  Man- 
fredi ,  si  dice  che  quella  che  più  gli  piacque  fu  la- 
voro di  un  cherico  aretino  (34)  ;  nia  pare  ve  ne  fosse 
apposta  un'altra  meno  elegante.  Niun  sensato  scrit- 
tore ha  negato  grandi  talenti  a  questo  Sovrano;  il 
giudizio  che  se  ne  forma  y  sarebbe  pia  concorde  se 
non  avesse  avuto  la  disgrazia  d'incorrere  nella  sco- 
munica gli  Ecclesiastici  perciò  lo  hanno  dipinto  qual 
empio,  e  irreligioso^  riguardando  come  delitto  contro 
la  religione^  la  resistenza  alle  pretensioni  pontificie 
meramente  secolari.  Altri  al  contrario  lo  ha  giudicato 
pieno  di  quel  vigore  di  spirito-  che  sa  distinguere  la 
Tera  religione  dalle  contrastate  prerogative  ecclesis^- 
stìche,  onde  ebbe  il  coraggio  di  resistere  alle  armi 
temporali  di  Roma^  come  alle  spirituali.  Il  lettore 
sayio  per  altro,  secondo  la  propria  maniera  di  pen- 
sare, se  ne  fermerà  a  suo  senno  il  carattere.  Segui-  »^^» 
tando  il  sistema  delTavo  Federigo  I.  ,  fu  nemico 
delle  repubbliche  italiane,  considerandole  ribelli 
air  Impero.  Come  quello  favori   le  scienze,  ^e  le 

(33)  Il  docomento  pHi  autentico  della  morte  di  Piero  h  quello 
dello  spedale  di  S.  Chiara  di  Pisa» riferito  dal  Cav-  Flam.  dal  Borgo 
-diss.  4*  déll*Ì8tor.  Pisan.  ove  si  dice  che  fa  sepolto  in  S.  Andrea . 

(34)  Qnesta  era  V  iscrizione  : 

^1  prohitas ,  sensus,  virtutum  copia ,  census, 
Nohilitas  ortif  possent  resìstere  morti  : 
Nonforet  extinctus  Fridericus  qui  jacet  intus, 
JJ  anonimo  Scrittore  della  Cronic  Sicil.  ne  riferisce  un'  aUra.  Re- 
rum, ital.  Tom.  a  5. 


58  LIBRO  TERZO 

lettere.  Il  primo  però  fu  liberale  di  onori ,  e  di 
ó^C.  premj  ai  Profesaori  di  legge ,  specialmente  ai  Bolo- 
ia5i  gnesi,  interessandoli  a  prender  la  difesa  dei  dritti 
imperiali:  il  secondo  amò  i  letterati  per  amore 
delle  lettere  9  né  sdegnò  di  entrare  anch'esso  nel 
rango  di  autore;  toccò  anch'esso  la  poetica  lìra^  e 
si  guardano  con  venerazione  i  frammenti  poetici  di 
un  gran  Sovrano,  che  si  conta  tra  i  fondatori  del- 
l'Italiana  poesia.  Trasfuse  l'amore  del  sapere  nei 
suoi  figli  naturali:  Enzo  Re  dei  Sardi  si  distinse 
come  poeta,  e  Manfredi  fu  gran  protettore  delle 
lettere. 

Animato  il  popolo  fiorentino  dalla  morte  del  pro- 
tettore dei  Ghibellini,  dopo  aver  costituito  il  gover- 
no nella  descritta  forma  per  tenere  in  freno  sempre 
più  i  Grandi  che  erano  Ghibellini,  intesa  la  morte 
deU'Imperator  Federigo,  richiamò  i  Guelfi,  e  furoo 
fatte  pacificar  le  due  sette.  Era  però  difficile  il  te- 
nerle d'accordo.  La  parte  Guelfa  divenuta  superiore 
pretese  di  far  rimettere  in  Pistoja  gli  esuli  Guelfi  : 
la  fiorentina  repubblica  era  pronta  a  riguardare 
come  pia,  e  giusta  una  misura  che  avea  presa  ella 
stessa;  onde  s'interessò  a  sostenerla.. Aesistendo  i 
Pistojesi,  vollero  i  Fiorentini  costringerli  coli' ar- 
mi: ricusarono  i  Ghibellini  d'aver  parte  all'im- 
presa ,  e  di  marciare  contro  i  loro  amici  :  questa  fa 
la  causa  che,  tornati  i  Guelfi  da  quella  spedizione, 
in  cui,  benché  non  venisse  loro  fatto  di  rimettere 
gli  amici  in  Pistoja  aveano  però  rotti  i  Pistojesi, 
cacciassero  di  Firenze  i  Ghibellini,  e  ciocché  mo> 
stra  l'animosità,  e  la  voglia  non  di  spegnere,  ma 
di  perpetuare  il  partito,  cangiarono  Tarme  del  Co- 
mune: il  giglio  bianco  in  campo  rosso  fu  mutato  ia 


CAPITOLO  QUARTO        5g 

giglio  rosso  in  campo  bianco,  ritenendo  i  Ghibellini  ^^ 

l'antica  insegna  del  Comune:  cambiamenti,  che  die. 
quantunque  possano  apparir  piccoli ,  contribuivano  ^^^^ 
col  distintivo  deir insegna  a  mantenere,  e  ad  ani** 
mare  le  divisioni  (35)  •  Cosi  le  fazioni  che  si  volea* 
no  spegnere  erano  risorte,  e  il  governo  della  Repub- 
blica andava  ondeggiando  fra  Tuno,  e  T altro  parti* 
lo.  Se  l'espulsione  di  una  fazione  partoriva  la  quie* 
te  interna  ,  produceva  quasi  sempre  una  guerra 
esteriore.  Gli  esuli  Ghibellini  si  riuniscono  a  Mon- 
taja  con  alcuni  Tedeschi  già  seguaci  dell'Imperator 
Federigo:  sono  soccorsi  dai  Sanesi,  e  dai  Pisani:  i 
Fiorentini  vanno  loro  incontro,  e  gli  dissipano: 
questo  non  fu  che  il  preludio  di  un  più  forte  com« 
battimento.  Si  erano  volti  i  Fiorentini  contro  i  Pi* 
stoiesi ,  quando  furono  recate  le  nuove  che  i  Pisani 
aveano  rotto  i  Lucchesi  loro  alleati  a  Montopoli. 
Corsero  perciò  in  loro  soccorso:  giuntili  presso  Pon« 
tederà,  ed  attaccatasi  una  feroce  battaglia,  furono 
i  Pisani  sconfitti  con  grandissima  perdita,  facendosi 
ascendere  a  3  mila  i  prigionieri,  fra  i  quali  il  Potè* 
sta  medesimo  di  Pisa  (36).  In  ogni  altro  luogo  fu^ 
reno  le  armi  dei  Fiorentini  superiori:  Figline,  ove 
eransi  rifugiati  molti  Ghibellini,  fu  preso;  MontaU 
cine,  liberato  dall'assedio  dei  Sanesi. 

La  città  andava  rapidamente  crescendo  di  popò- 
lazione,  e  di  ricchezze,  ed  era  ciò  avvenuto  special 
mente  nello  spazio  di  anni  34 >  come  lo  mostrano 
varie  osservazioni.  Non  esisteva  che  il  solo  Ponte 
vecchio  nell'anno  I3i8;  fu  in  detto  anno  fabbrica- 


(35)  Rie.  Malas.  cap.  45. 

(36)  Malasp.  cap.  i5o.  Amin.  lib.  a. 


6o  LIBRO   TERZO 

^  to  quello  della  Carraia:  i8  aoni  dopo^  RubacoDte 
^"^|da  Mandella  Milanese  Potestà  di  Firenze  dette  il 
luSanonieal  Ponte,  che  ora  dicesì  delle  Grazie;  e  nel 
presente  anno  si  costruì  quello  di  Santa  Trinità.  Si 
battè  ancora  in  quest^  anno  per  la  prima  volta  mo- 
neta di  oro:  il  bel  fiorino  di  Firenze,  che  acquistò 
celebrità  in  tutti  i  paesi  commercianti,  fu  amnoiira- 
to  fin  d'allora  sulle  spiagge  dell' Affrica  dal  Re  di 
Tunisi  forse  con  invidia  dei  Pisani;  e  le  loro  rispo- 
ste derogatorie  alla  fiorentina  Repubblica,  mostra- 
no la  continuata  animosità  fra  le  due  Repubbliche, 
seppure  non  è  questo  uno  dei  tanti  menzogneri 
aneddoti,  di  cui  son  piene  T istorie. 

Il  fiorino  di  oro,  i  suoi  componenti,  e  general- 
mente la  moneta  di  una  Repubblica  di  tanto  com- 
mercio ^  meritano  una  più  dettagliata  illustrazione. 
Si  era  finora  fatto  uso  di  moneta  di  argento,  e  di 
rame,  la  quale  probabilmente  cominciò  a  battersi 
nel  XI  secolo.  Non  trovandosi  alcuna  moneta  par- 
ticolare alla  Toscana  sotto  i  Ducbi,  e  Marchesi,  uè 
memorie  di  esae^  si  può  con  qualche  verisimiglian- 
za  concludere  che  non  ne  avesse  una  propria,  e 
cominciasse  ad  averla  quando  si  stabili  la  Repub- 
blica •  Se  può  parere  strano  che  una  città  di  tanto 
commercio  cosi  tardi  battesse  moneta  di  oro ,  si 
rifletta  al  valore  molto  maggiore  che  avea  allora 
l'argento,  e  si  vedrà  che  con  questo  solo  poteva 
supplire,  aggiungendovi  le  monete  d'oro  estere,  che 
correvano  per  l'Italia  come  gli  Agostari  ec«  Vene- 
zia, che  più  di  buon'ora  di  tutte  le  altre  città  d'Ita- 
lia coltivò  un  esteso  commercio,  battè  moneta  d'oro 
più  tardi  di  Firenze,  cioè  l'anno  1 285.  Che  Pisa 
abbia  battuto  moneta  d'oro  innanzi  a  questo  tem- 


CAPITOLO  QUARTO  6i 
pò,  potrebbe  dedursi  da  tre  monete  d^oro  col  noaie 
deir  Impera  ter  Federigo  II,  e  il  nome,  e  V  insegne  ^j  q^ 
pisane^  che  si  trovano  nella  copiosa  raccolta  di  Mon-  >a^^ 
8Ìgoor  Franceschi  Arcivescovo  di  Pisa  (*);  se  non 
potesse  cadere  il  dubbio  che  fossero  battute  da  Fe- 
derigo nell'ingresso  in  quella  città  per  sempre  più 
affezionarsela.  Il  dubbio  può  prender  piede,  quan* 
do  si  riflette  che  jiè  Venezia ,  né  Genova  battevano 
moneta  d'oro,  e  che  Giovanni  Villani^  che  visse  vi- 
cino a  quei  tempii  asserisce  francamente  lo  stesso 
di  Pisa.  Sarebbe  strano  che /juest' uomo,  che  fu  uno 
dei  Deputati  alla  Zecca  di  Firenze^  che  si  è  presa 
cura  di  far  registrar  le  antiche  monete  fiorentine 
coi  nomi  degli  Zecchieri^  e  versato  tanto  in  siffatte 
materie,  ignorasse  questo  fatto,  e  sapendolo,  si 
esponesse  al  ridicolo,  in  cui  cade  un  autore,  che 
scrive  cose  notoriamente  false.  Ma  lasciata  siffatta 
questione,  egli  è  certo,  che  Pisa,  Genova,  Lucca 
la  batterono  per  autorità^  e  permissione  imperiale > 
come  mostrano  le  armi  degl'Imperatori  impresse- 
vi; mentre  Firenze  la  battè  di  propria  autorità,  né 
vi  stampò  che  S.  Gio.  Batista ,  ed  il  giglio.  È  vero, 
che  le  città  hanno  nei  nostri  tempi  preteso  che  ciò 
fosse  piuttosto  onore  conceduto  dagl'Imperatori  di 
porvi  le  loro  armi  che  permissione,  a  somiglianza 
di  quelle  famiglie  che  hanno  avuto  licenza  d'in- 
qoartare  o  il  giglio,  o  T  aquila  nelle  armi  loro  da- 
gl'Imperatori, o  dai  Be  di  Francia;  ma  siccóme  si 
è  sempre  preteso  dagl'Imperatori,  che  spettasse  ad 
essi  il  concederne  il  dritto,  resta  dubbioso  il  titolo 
di  quelle  città.  Forse  ancora  chiesero  quel  privile- 

(*)  Ora  posseduto  dai  saoì  eredi. 


62  LIBRO  TERZO 

"  gìo  per  autorizzare  di  più  Hi  loro  moneta  presso  gli 
^|*C  esteri,  e  facilitare  il  corso  sótto  Tombra  dell'auto- 
isSa  rità  imperiale.  In  qualunque  maniera  si  voglia  ciò 
intendere,  maggior  vera  potenza  mostrava  quella 
città,  che  da  per  se,  senza  bisogno  di  licenza,  bat« 
teva  moneta  senz'altro  privilegio,  che  la  bontà  della 
sua  lega  (  che  tosto  si  fa  nota  all'accortezza  dei  mer- 
canti), e  che  presto  rese  sì  accreditato  negli  esteri 
paesi  il  fiorino  di  oro  di  Firenze,  e  gli  fece  dar  la 
preferenza  sugli  altri  (Sj).  Fu  esso  battuto  di  oro 
finissimo  al  peso  di  una  dramma,  ossia  tre  denari, 
ovvero  settantadue  grani;  questo  è  il  peso  del  nostro 
zecchino  gigliato,  il  quale  ne  ritiene  le  impronte, 
e  il  valore.  In  quel  tempo  la  proporzione  dell'oro 
all'argento  era  di  uno  a  io  -f-  f(^  (38),  onde  il  fio- 
rino di  oro  fu  diviso  in  20  fiorini  di  argento  delti 
anche  popolini ,  soldi  ec.  la  somma  dei  quali  forma?a 
il  peso  di  IO  dramme,  e  ^^  ossia  grani  770  in  circa. 
L'impronta  era  la  stessa,  e  la  grandezza  all'inar- 
ca ,  onde  potè  rendersi  verisimile  la  burla  dei  po- 
polini dorati  conlata  dal  lepido  Boccaccio.  QuesU 
vigesima  parte  del  fiorino  di  oro  fu  suddivisa  in  is 
denari,  ciascuno  dei  quali,  se  la  proporzione  deh 
Toro  all'argento  si  fosse  mantenuta  la  stessa^  cor- 
risponderebbe ad  uno  dei  nostri  comani  soldi  di 
lira;  con  più  un  terzo  di  un  quattrino.  Vari  furono 
i  nomi  del  fiorino  di  oro,  due  soli  dei  quali  meri- 
tano spiegazione,  cioè  fiorino  di  galea,  e  fiorino  di 
suggello.  Il  ptimo  ebbe  quel  nome  per  essere  stam- 

(37)  Più  volte  foresUerì  Signori >  e  Groverni  dimindarono  b 
permissione  ai  Fiorentini  di  battere  il  fiorino  di  oro  per  la  soa  ce- 
lebrità .  Borghini  loc.  cit.  

(38)  Si  mantenne  ule  fino  al  secolo  XTV  9  ossia  alla  ac^^erta 
di  America.  Carli  sulle  Zecehe* 


CAPITOLO  QUARTO  63 
pato  l'anno  tà^a,  in  cui  armaronsi  dalla  fiorentina  ,  . 
Repubblica  le  galee ^  e  s'intraprese  il  commercio  di  di  e. 
Egitto:  avendo  ottenuto  dal  Soldano  gli  stessi  pri-  >^^^ 
vilegi  che  i  Veneziani^  volle  batter  questo  fiorino 
per  porlo  in  confronto  col  veneto,  che  avea  colà 
tanto  credito.  L'altro  fu  chiamato  di  suggello  per- 
chè un  dato  numero  di  fiorini  di  oro  pesati  diligen- 
temente dal  pubblico  ufizio  erano  chiusi  in  un  sac- 
chetto di  pelle,  e  col  pubblico  sigillo  marcati,  si 
pagavano  questi  gruppetti  senza  riscontrarsi,  e  fa- 
cevano un  comodo  nei  grossi  contratti.  Oltre  sifiatta 
divisione  materiale,  e  servibile,  fu  anche  diviso  il 
fiorino  di  oro  in  una  moneta  immaginaria  inventa- 
ta per  comodo  della  mercatura  cioè  la  lira,  anch'es- 
sa formata  delle  sue  parti  aliquote,  soldi  e  denari , 
ciocché  dovea  frequentemente  far  nascere  della  con- 
fusione coi  soldi,  e  denari  del  fiorino  di  oro.  Anche 
avanti  era  esistita  la  lira  immaginaria  in  Firenze, 
e  nel  secolo  Xll  equivaleva  al  valore,  che  poi  ebbe 
il  fiorino  di  oro  (39),  ma  divenuta  frazione  di  esso, 
fa  soggetta  a  dei  continui  e  forti  cambiamenti,  e 
per  le  varie  operazioni  del  commercio,  e  in  specie 
per  il  deterioramento  della  moneta  di  argento,  in 
cui  cambia  vasi  il  fiorino  di  oro.  £  in  verità  1^  aggio 
di  questo  andò  stranamente  crescendo.  Finche  Tau- 
mento  fu  moderato,  poteva  immaginarsi  che  il  co- 
modo e  il  pregio  maggiore  in  cui  tenevasi  Toro,  ne 
fossero  la  causa  :  ma  essendo  giunto  sopra  ai  3o  per/ 
100,  è  facile  il  vedere  che  il  motivo  nasceva  dal- 
Talterazipne  del  fino  argento,  con  cui  si  battevano 
i  fiorini,  o  popolini^  o  guelfi,  o  soldi  di  argento, 

(3^)  Rico.  Itfalasp.  Stor.  fior.  e.  98. 


64  LIBRO  TERZO 

f  giacché  seta  mistura  onde  componevansi  aodi  qoe* 
j°2^sti,  invece  di  contenere  770  grani  di  argento,  co- 
laSa  me  faceva  di  mestiero  per  equivalere  a  73  grani  di 
oro ,  ne  conteneva  soli  700,  o  anche  meno,  e  il  re* 
sto  rame,  o  altro  metallo,  l'accortezza  dei  banchieri 
gli  rìduceva  al  giusto  valore,  e  nel  cambio  voleva 
tanta  più  moneta  di  argento  quanta  supplisse  alla 
mancanza .  Da  questa  causa  nascono  le  strane  mu- 
tazioni, e  gli  sbalzi,  per  dir  così,  sofferti  dalla  lira 
come  frazione  del  fiorino  di  oro:  qualche  volta  una 
lira  e  mezza  equivaleva  al  fiorino,  talora  a,  3,6, 
7  ,  ec.  Senza  siffatte  notizie ,  innumerabili  abbagli 
si  prendono  dai  lettori,  e  dagli  scrittori  stessi  nel 
computar  le  lire  del  fiorino  (40) ,  essendo  special- 
mente delusi  dal  vocabolo  lira,  che  da  moneta  im- 
maginaria passò  finalmente  a  reale  sotto  Cosimo  I, 
ed  è  divenuta  una  frazione  costante  del  fiorino  di 
oro,  o  zecchino,  composto  di  i3  e  3  di  esse. 

Fu  questa  un'epoca  gloriosa  pei  Fiorentini:  era- 
no resi  potenti  dal  commercio  accompagnato  in 
questo  tempo  da  quella  frugalità  che  n^è  la  base, 
il  di  cui  quadro  è  vivamente  dipinto  da  Dante  (4i) 

(4o}  Ancbe  il  celebre  inglese  Scrittore  della  Vita  dì  Lorenzo 
il  Magnifico ,  trovando  nell' Ammirato ,  che  il  fiorino  di  oro  era  va* 
lutato  lire  tre,  e  soldi  i  o»  ha  creduto  poter  generalmente  stabili- 
re, che  questo  fosse  il  valore  del  fiormo,  quando  non  fu  che  di 
quell'anno.  In  una  parola  noi  abbiamo  un  termine  sempre  fisso 
cioè  il  fiorino  di  oro^  o  Zecchino,  che  dal  ia5a  in  qua  non  hi  sof- 
ferto al  piii  che  V  alterazione  di  4  grani  ;  convien  piuttosto  dal  fio- 
rino di  oro  dedurre  il  valore  della  lira ,  che  da  questa  il  fiorino , 
onde  quanto  pììi  cresce  il  numero  delle  lire,  tanto  più  scema  il 
loro  valore  :  per  esempio  quando  era  composta  dì  lire  quattro, 
ciascuna  di  esse  corrispondeva  a  5  dei  nostri  paoli,  posta  l'istessa 
proporzione  fra  l'oro,  e  l'argento  la  quale  però  è  variata.  Per  tut- 
te le  variazioni  di  queste  monete,  e  pel  numero,  e  nomi  loro  si 
possono  consultare  il  Conte  Carli ,  e  1  autore  della  Decima  • 

(40  Fiorenza  dentro  delie  cerchia  antiche ,  ec. 


CAPITOLO  QUARTO        65 

per  contrapporlo  al  lusso ^  ed  alla  profasione  dei' 
suoi  tempi .  Seguitarono  le  loro  imprese  felicemen-  ^i  °(q) 
te,  Pistoja  più  volte  attaccata  dovette  6nalroente  ^^^^ 
prender  la  legge  dai  Fiorentini ,  e  rimettere  i  Guelfi: 
assalirono  indi  Volterra^  ove  regnava  il  partito  Ghi- 
bellìnoy  e  che  situata  in  luogo  fortissimo^  non  pa- 
reva possibile  9  secondo  la  maniera  di  combatter  di 
quei  tempii  il  vincerla.  Non  era  probabilmente  in* 
teozione  dei  Fiorentini  che  devastarne  le  campagne^ 
secondo  la  guerra  di  quei  tempi .  Mentre  ciò  avve- 
niva sotto  gli  occhi  dei  Volterrani^  non  soffrendo 
questi  che  impunemente  i  nemici  lo  facessero^  aper- 
ta improvvisamente  una  porta  ^  uscirono  loro  addos- 
so: ma  rispintili  furiosamente^  e  dando  ad  essi  la 
cacciasi,  con  insperata  fortuna  entrarono  i  Fiorenti- 
ni misti  ai  fuggitivi  in  Volterra ,  e  guadagnarono  la 
piazza  più  forte  della  Toscana  •  Può  recarsi  a  gloria 
dei  vincitori;  che  fu  Volterra  benché  presa  di  as- 
saltOy  salvata  dal  sacco.  Tutte  le  imprese  erano  in 
quest'anno  andate  loro  felicemente^  onde  ebbero 
ragione  di  chiamarlo  Tanno  vittorioso  (4^) .  Aveano  >954 
sconfitti  i  Sanesi;  ed  obbligati  a  ritirarsi  dall'asse- 
dio di  Montalcino,  e  a  ricever  legge  da  loro;  messi 
in  dovere  ì  Pisto'jesi;  obbligatili  a  riporre  i  Guelfi 
in  città  y  e  fabbricato  ivi  un  castello  sulla  Porta  fio- 
rentina in  modo  da  dominarla ^  occupato  Poggibon- 
zi^e  con  la  recente  presa  di  Volterra  ponendo  il 
colmo  alla  loro  prosperità,  eccitarono  la  sorpresa , 
e  il  terrore  delTaltre  città  di  Toscana.  Dopo  l'im- 
presa di  Volterra  si  portò  l'esercito  fiorentino  sul 
contado  pisano,  e  passata  l'Era  prese  a  devastar  le 

(4d)R.  Malasp.c.55. 
Temo  11.  6 


66  LIBRO  TERZO 


T  campagne.  La  fama  delle  fiorentine  vittorie  avea 
diC.  scoraggiti  i  Pisani ,  e  le  interne  divisioni  indeboliti. 
i^H  Si  era  ^  secondo  l'uso  di  quei  tempi  y  levato  a  rumore 
il  popolo  pisano  contro  la  nobiltà ,  e  avea  formato 
un  governo  popolare^  di  cui  se  vollero  parteciparci 
nobili  furono  obbligati  ad  entrare  tra  popolaci, 
molti  abbandonarono  la  città  (4^)>  1^  quale  trovan- 
dosi divisa  non  ebbe  in  questo  tempo  coraggio  di 
contrastare  al  nemico;  gli  chiese  pace  rimetteado 
le  condizioni  al  suo  discreto  arbitrio:  accettarono  i 
Fiorentini,  e  tornò  l'esercito  trionfante  a  Firenze 
per  consultar  su  quelle;  erano  essi  uniti  contro  i 
Pisani  coi  Lucchesi ,  e  Genovesi^  si  fece  perciò  un 
congresso  in  Firenze  degli  Ambasciatori  di  quelle 
due  Repubbliche  (44) >  ^^^  fiorentino  Governo,  e 
furono  dettate  ai  Pisani  le  condizioni  :  4a  principale 
e  più  utile  pei  Fiorentini  fu  V  esenzione  di  tutti  i 
dazi  e  gabelle  alle  loro  merci,  che  erano  obbligate 
a  passar  pel  dominio  pisano:  che  si  restituissero  ai 
Genovesi  i  castelli  di  Lerice^  e  Trebbiano:  ai  Iiuc- 
chesi  Motrone,  al  Vescovato  di  Lucca  Montopoli: 
lasciassero  liberi  i  castelli  di  Garvaja,  e  di  Massa  di 
loro  ultimamente  occupati,  dassero  in  mano  ai  Fio- 
rentini o  il  Castello  di  Ripafratta,  o  Piombino^  con 
qualche  altro  provvedimento  meno  importante  (45). 
Non  si  può  dare  ai  vincitori  molta  lode  di  moden- 
zìone:  temporeggiarono  i  Pisani  neir adempimento 
alle  condizioni,  e  se  si  videro  obbligati  9  cedere  alle 

(43}TronclAiin.  Pisani  an.  ia54* 

(44)  Ann.  Genuen.  lib.  VI  ver.  ital.  Tom.  6. 

(45)  Queste  condizioDÌ  son  riferite  variamente  piii  o  meso 
gravose  dagli  Storici  Bartolom.  Scriba  Ann.  Genuen.  lib.  6.,  dal 
Tranci  Ann.  Pisani  >  dal  Malasp.  cap.  i55.^  che  ve  ne  a| 
qualcun' altra. 


CAPITOLO  QUARTO  67 
cÌTODetanze,  era  facile  il  prevedere  che  alla  prima 
opportunità  avrebbero  violato  una  pace  vergognosa .  4p°^ 
Questo  momento  non  era  lontano:  il  partito  Gbì-  ia55 
bellino  per  la  morte  di  Federigo,  e  per  la  poca  at- 
tività di  Corrado,  restato  inferiore  in  Italia,  comin- 
ciò a  rilevarsi  per  opera  di  Manfredi,  figlio  natura- 
le di  Federigo.  Questo  Principe,  a  cui  la  natura  fa 
cortese  di  molti  doni,  degno  figlio  di  Federigo  II, 
ne  possedeva  i  talenti  :  leggiadro,  amabile,  pieno 
di  attività ,  e  d'ingegno  era  stato  creato  dal  padre 
Principe  di  Taranto:  egli  però  divenne  presto  la  per- 
sona più  importante  dei  regno  delle  due  Sicilie,  pri- 
ma come  tutore  del  piccolo  Gorradino,  indi  come 
Sovrano.  A  Vendo  nemica  la  Corte  di  Roma^  che 
Yolea  disporre  a  suo  senno  di  quel  regno,  cercò  di 
guadagnarsi  il  partito  dei  Ghibellini  che  a  lui ,  co- 
me figlio  del  primo  loro  protettore,  facilmente  si 
volsero.  Vedendo  Firenze  dominata  dal  contrario 
partito  ,  eccitò  la  Repubblica  Pisana  a  rompere 
quelle  condizioni,  colle  quali  poco  innanzi  era  sta- 
ta costretta  a  comprarsi  una  pace  vergognosa  (46) . 
Non  vi  volle  molto  a  far  muovere  i  Pisani  :  tuttavia  ia56 
non  contro  i  Fiorentini  portarono  direttamente  le 
ormi ,  ma  contro  i  loro  alleati ,  i  Lucchesi .  A  que- 
sta infrazione  dei  patti  non  tardarono  a  porsi  in 
moto  i  Fiorentini.  Unite  le  loro  genti  alle  lucchesi, 
attaccarono  i  Pisani  presso  a  Ponte  a  Serchio,  e  le 
ruppero  con  grandissima  perdita  dei  Pisani  (47)*  Si 
avanzarono  i  vittoriosi  Fiorentini  fino  a  S.  Jacopo 

(46)  Ammir.  Istor.  Fior.  lìb.  a. 

(47)  L'Ammir.  lib.  a.  copiando  il  Malas.  racconta  che  oltre  i 
■ftorli»  e  gli  affogati  nel  Serchio  »  3  mila  furono  i  prigionieri:  pro- 
queste  perdite  son  quasi  sempre  esagerate. 


68  LIBRO  TERZO 

gassai  presso  di  Pisa;  e  ia  segno  di  giarisdicLone,  e 
di  e  ^pr^gio  <l6Ì  Pisani  vi  batterono  moneta  (48)*  Gostret- 
ia56  ti  i  vinti  a  domandar  frettolosamente  la  pace,  l'ot- 
tennero,  ma  le  condizioni  furono  gravose ,  poiché 
oltre  i  patti  stipulati  nel  i254>  ^^  aggiunse  ia  ces- 
sione dì  varj  castelli  ai  Lucchesi ,  e  ai  Fiorentini • 
Fra  quelli  che  erano  costretti  a  cedere  a  questi  eni?i 
Mutrone,  lo  che  assai  doleva  ai  Pisani  giacché  es- 
sendo situato  sul  mare  poteva  divenire  un  comodo 
porto  ad  una  nazione  commerciante,  e  indnstrìon, 
che  non   solo  non  avrebbe  avuto  più  bisogno  di 
Porto  Pisano,  ma  acquistava  i  mezzi  di  divenire 
una  potenza  marittima .  Non  potendo  con  la  foni, 
tentarono  coir  oro  dMndurre  i  Fiorentini  a  minir 
Motrone:  non  vuoisi  lasciare  in  oblio  un'azione  lo- 
devole di  Aldobrandino  Ottobnoni.  Nelle  disciis* 
sioni  sopra  Mutrone  questo  virtuoso  cittadino  avea 
opinato,  che  si  disfacesse  come  inutile  alla  fioren- 
tina Repubblica:  erano  quasi  persuasi  i  suoi  com- 
pagni, e  il  giorno  appresso  se  ne  dovea  fare  il  par- 
tito: il  Ministro  pisano,  che  era  in  Firenze^  aven- 
done avuto  sentore,  fece  segretamente  offrir  da  un 
amico  ad  Aldobrandino  4  nula  fiorini  di  oro,  se  gli 
riesci  va  di  far  prevalere  la  sua  opinione.  Si  accorse 
Aldobrandino  dall'  offerta ,  che  il  suo  sentimento 
era  falso:  dette  buone  parole  al  mezzano,  giunto 
poi  in  Senato,  chiesta  scusa  della  mutazione  di  sen- 

(48)  Avaano  ivi  fatto  tagliare  un  altissimo  pino»  e  per  espri- 
merlo nella  moneta  si  vedea  un  trifoglio  ai  piedi  di  S^n  Giofanai. 
Attesta  il  Villani  di  aver  veduto  parecdù  di  questi  fiorini,  onde 
non  pare  possa  cadervi  il  dubbio  che  vuol  muovere  il  Gav*  Flan. 
dal  Borgo,  molto  piii  che  lo  stesso  Tronci  pisano  annalista  m  teia- 
pi  tanto  piii  bassi  afferma  di  avere  avuto  m  mano  pia  di  ubo  A 
questi  fiorini  di  oro. 


CAPITOLO   QUARTO        69 
timento,  con  tanta  eloquenza  perorò  per  la  con  tra  « 
ria  opinione 9  che  giunse  (non  però  senza  molta  die 
difficoltà)  a  far  cangiare  la  deliberazione  che  il  Ma-  «^^^ 
gistrato  stava  per  prendere.  Era  Aldobrandino  male 
agiato  dei  beui  di  fortuna ,  onde  quando  fu  nota 
tanta  illibatezza  y  che  ad  onta  del  suo  silenzio  tra- 
pelò air  orecchie  del  pubblico^  ne  riscosse  sommo 
applauso  (49)-  ^gli  i^on  fece  che  il  debito  di  un 
buon  cittadino;  e  le  lodi  che  si  usano  dare  in  sorai« 
glianti  avvenimenti,  sono  piuttosto  una  indiretta 
satira  al  genere  umano,  la  rarità  di  queste  azioni 
rendendole  piuttosto  eccezioni,  che  regole  comuni 
della  vita.  Essendo  nell'anno  appresso  mancato  di  1^57 
vita  quest'onorato  cittadino,  la  patria  con  magnifi- 
ca pompa  ne  fece  in  S.'  Reparata  1* esequie,  e  gli 
eresse  jper  eternarne  la  memoria  un  mausoleo. 

L'abbattimento  del  partito  Ghibellino  in  Tosca- 
na  avea  specialmente  causate  le  perdite  dei  Pisani . 
Manfredi,  sul  cui  ajuto  aveano  sperato,  era  lontano 
e  involto  nelle  guerre  eccitategli  dal  Papa,  e  dai 
snoi  sudditi:  il  sostegno,  che  aveano  sempre  avuto 
dagl'Imperatori,  mancava  loro  in  questo  tempo  in 
cui  l'Impero  agitato  da  varie  fazioni  era  vacante. 
Le  città  d'Italia  avevano  goduto  il  dritto  di  parte- 
cipare all'elezione  (5o)  del  Re  dei  Romani ,  e  d'Ita- 
lia: è  vero  che  poco  tempo  innanzi  nel  Concilio  di 
Lione  Innocenzo  IV  dopo  la  deposizione  di  Federi- 
go II  avea  data  la  facoltà  di  eleggere  a  quel  posto  a 
sette  Principi  di  Germania ,  ossia  Elettori  :  ma  non 
crederono  probabilmente  le  italiche  città  di  aver 
perduto  quel  dritto.  Pisa  fra  queste,  considerando 

(49)  Gio.  VUL  Ili.  lib.  6.  e.  64. 

(50)  Morator.  dìss.  3.  de  imp.  rom.  et  regum.  ital.  eie. 


70  LIBRO  TERZO 

"  le  sue  critiche  circostanze,  e  quanto  di  forza  le  si 


aTc! accrescerebbe  per  reiezione  di  on  Imperatore  a 
ia57  lei  amico,  e  quasi  sua  creatura,  fece  un  atto  che 
può  sembrare  orgoglioso  ai  nostri  tempi ,  ma  che 
fu  allora  dettato  dalla  politica ,  e  dalla  considera- 
zione che  godeva  questa  Repubblica  •  Essa  mandò  a 
dar  ia  sua  voce  per  l'elezione,  ossia  ad  eleggere 
realmente  Imperatore  il  Re  Alfonso  di  Gastiglia, 
che  graziosamente  accolse  l'onorevole  ambasceria. 
Bandino  di  Guidone  Lancia,  della  famiglia  Gasalei 
di  Pisa ,  fu  r  ambasciatore ,  e  coi  riti  solenni  lo 
elesse  per  la  sua  Repubblica  Re  dei  Romani,  ed 
Imperatore;  il  qual  concesse  i  più  ampj,  ed  estesi 
privilegi  alla  città  di  Pisa  (5i).  Quest'atto  grande, 
e  rispettabile  mostra  la  considerazione  di  cui  Pisa 
godeva ,  e  se  (  come  (5a)  pare  )  nello  scisma  in  cui 
erano  gli  Elettori,  la  nomina  che  fecero  dello  stes- 
so Alfonso  l'Arcivescovo  di  Treveri ,  il  Re  di  Boe- 
mia, il  Duca  di  Sassonia,  il  Marchese  di  Brande- 
burgo  fu  posteriore  alla  pisana  elezione,  questa  ne 
ricevè  anche  un  lustro ,  ed  una  dignità  maggiore 
per  essere  stata  seguitata  da  sì  potenti  Principi.  Gli 
altri  Elettori ,  con  molti  Principi  di  Germania  avet- 
no  già  eletto  Re  dei  Romani  Riccardo  conte  di  Go^ 
novaglia,  fratello  del  Re  d'Inghilterra.  Nel  tempo 
della  sospensione  tra  i  due  concorrenti,  i  Fiorentioi 

(5i)  Esiste  il  diploma  riferito  dairUgbelIi»  dal  Tronci,  dU 
Cav.  Flam.  dal  Borgo,  in  cui  vi  sono  le  parole:  E^o  Bandinus 
Lancea  etc. , . ,  in  romanorum  regem,  et  imperaCorem  rom,  im* 
perii  nunc  uacantis  eligo,  et  assumo ,  promoveo  atque  voco  etc^ 
ed  esiste  l'accettazione  di  Alfonso»  e  il  diploma  dei  privilegi  ai 
Pisani . 

(5a)  I  diplomi  di  elezione ,  e  di  concessione  di  privilegi  soa 
segnati  nell'anno  ia56,  e  l'elezione  fatta  dai  Principi  nominati 
nel  1357.,  ovvero  58. 


CAPITOLO  QUARTO        71 

crederono  forse  Alfonso  più  favorevole  al  loro  par-  . 
tito^  onde  gli  spedirono  il  loro  illustre  cittadino  dìC. 
Brunetto  Latini;  ma  le  disgrazie  che  avvennero  ai  ^^^7 
Ghibellini  fiorentini  resero  inutile  l'ambasciata  (53). 
Il  Papa  Alessandro  IV  restò  per  qualche  tempo 
neutrale,  poi  cominciò  ad  appellare  eletto  Riccar* 
dO|  e  finalmente  alla  morte  di  questo  negò  di  rico- 
noscere Alfonso.  La  premura  dei  Pisani  in  elegger- 
I09  e  dei  Ghibellini  italiani  per  riconoscerlo^  lo  re* 
sero  sospetto  alla  Corte  di  Roma  la  quale  dopo  lun- 
ghe^ agitazioni  lo  escluse  dall'Impero. 

L'inattività 9  in  cui  si  trovava  il  potere  imperiale  ia58 
in  Italia  ;  e  l'impotenza  dei  Pisani  a  favorirlo ,  o 
ad  esserne  ajutati^  rese  più  facile  la  lóro  riconcilia* 
zioue  colla  Chiesa,  dal  di  cui  grembo  erano  separati 
da  sedici  anni ,  dal  tempo  cioè  in  cui ,  vinti  i  Ge- 
novesi, condussero  prigionieri  in  Pisa  i  Prelati,  che 
andavano  al  Concilio  Lateranense.  Aveano  essi  ri* 
cosata  la  riconciliazione  con  Innocenzìo  IV  per  es- 
servi la  condizione  creduta  da  loro  poco  generosa 
di  abbandonare  il  loro  alleato,  ed  amico  Federigo  11. 
Mon  esisteva  più  siffatto  ostacolo ,  onde  avendo 
chiesto  ad  Alessando  IV  l'assoluzione  dalle  censu- 
re, fu  loro  concessa,  e  imposto  l'obbligo  di  seguire 
le  parti  dell'Imperatore,  che  sarebbe  da  lui  rico- 
nosciuto, e  l'utile  e  salutare  penitenza  di  fabbrica- 
re uno  spedale ,  che  fu  quello  di  S.^  Chiara .  Si  ese- 
gui la  fondazione  da  Fra  Mansueto  TanganeUi  di 
Castiglione  aretino,  penitenziere  del  Papa,  ed  alla 
pubblica  funzione  assisterono  molti  Prelati ,  e  lo 
stesso  S.  Bonaventura  (t>4)«  Voleva  il  savio  Ponteft» 

(^^J  Rie.  Blalasp.  e.  i6a. 

Cronic  Pis.  Flam.  dal  Borgo  diss.  5.  Tronci  te. 


71  LIBRO  TERZO 

yce  pacificarli  anco  coi  Genovesi  ^  che  contrastand<^ 


^°^Moro  la  Sardegna,  e  invaso  il  Principato  di  Gaglieriy 
r»58  tenevano  assediata  Santa  Gilia  •  Ordinò  il  Papa  a 
due  cavalieri  dimoranti  in  Sardegna ,  che  colasi 
portassero  come  suoi  Legati ,  intimassero  loro  so- 
spensione di  ostilità^  che  rimettessero  la  piazza 
contrastata  nelle  loro  mani,  e  che  egli  avrebbe  poi 
pronunziata  la  sentenza:  ma  prima  che  questi  giun- 
gessero, i  Pisani,  espugnata  la  piazza,  aveano  rìca* 
perato  il  Principato  di  Caglieri ,  che  diedero  in 
feudo  a  tre  famiglie  pisane  ai  Visconti,  ai  figli  del 
Conte  di  Capra ja,  e  ai  Gherardeschi  j  Io  che  avven- 
ne nell'anno  susseguente,  nello  stesso  tempo  in  coi 
in  Levante  presso  Acri  uniti  ai  Veneziani  dettero 
una  micidiale  sconfitta  ai  Genovesi  con  una  immen- 
sa  strage,  la  perdita  di  aS  galere,  e  la  loro  espul- 
sione dal  porto  di  Acri.  I  Pisani,  ed  il  resto  dei 
Ghibellini  toscani  non  poterono  valersi  dell' ajuto 
imperiale;  Tebbero  finalmente  da  Manfredi,  che 
sempre  attivo  proseguiva  a  fomentare  il  partito 
Ghibelliuo  in  Firenze.  Era  questo  tiranneggiato 
dal  Guelfo  dominante,  escluso  dalle  cariche  pub- 
bliche, e  guardato  con  vigilante  gelosia,  onde  na- 
scondeva nel  silenzio  i  proprj  sentimenti:  incorag- 
gito  però  da  Manfredi,  tramava  occultamente  del- 
le innovazioni .  Guidavano  la  cospirazione  quei  de* 
gli  liberti,  che  giudicati  meno  pericolosi,  dopo 
l'espulsione  dei  Ghibellini, eran  restati  in  Firenze. 
Fu  la  congiura  scoperta.  Chiamati  in  giudizio,  ri- 
cusaron  di  comparire,  e  prese  le  armi,  ardirono  di 
ii59  violare  i  ministri  della  giustizia  .  Il  popolo  però 
voltossi  tutto  contro  loro,  e  ne  arrestò  alcuni ,  che 
perderono  la  testa  sotto  la  scure .  Molte  altre  fami- 


CAPITOLO  QUARTO  ^^ 
glie  complici  della  congiura  fuggirono  di  Firenze:'  . 
restò  involto  in  questa  disgrazia  TAbate  di  Yallom-  ^^  q^^ 
brosa,  della  famiglia  Beccheria  di  Pavia,  preso  a  13^9 
sospetto  dì  essere  complice:  i  tormenti  gli  fecero 
confessare  ciocché  forse  non  era  vero,  e  gli  fu  mozza 
la  testa  (55).  Si  ritirarono  gli  esuli  a  Siena,  che  era 
allora  divenuta  ricovero  di  quel  partito  •  Fra  i  fuo- 
rusciti fiorentini  trova  vasi  Manente,  ossia  Farinata 
degli  liberti,  capo  della  famìglia,  d'indole  feroce, 
eloquente,  qd  ugualmente  capace  nelle  armi  e  nel 
consiglio  (56).  Era  egli  l'anima  della  fazione  Ghi- 
bellina: infiammò  i  Sanesi  all'armi  contro  i  Fio- 
rentini, irritò  contro  di  essi  con  tutti  gli  artificj 
Tanimo  del  Re  Manfredi  (57),  che  mandò  loro  in 
soccorso  una  scelta  truppa  di  800  cavalieri  tedeschi 
guidati  dal  Conte  Giordano,  sperimentato  guerrie- 
ro: altri  mille  ne  furono  assoldati:  vi  concorsero 
tutti  i  Ghibellini  di  Toscana,  e  si  fece  a  Siena  una 
massa  assai  numerosa  dei  più  feroci  nemici  del  Go- 
verno fiorentino:  di  questa  truppa  però  formavano 
il  nerbo  i  cavalieri  tedeschi:  erano  assoldati  per  tre 
mesi;  onde  vedendo  Farinata  che,  se  non  si  tirava 
da  essi  partito  prima  di  questo  termine ,  manche- 

(55)  Malasp.  cap.  1 59. 

(56)  FUipp.  Villani  degli  Uomini  Illus.  Fior. 

(57)  Avea  qael  Re  mandato  non  più  di  aoo  cavalieri  tedeschi: 
fl  piccolo  soccorso  scoraggi  i  Ghibellini:  Farinata  però  ne  trasse 
il  miglior  partito.*  avendoli  ubriacati  gli  mandò  insieme  con  altre 
troppe  contro  i  Fiorentini  y  che  si  trovavano  presso  Siena .  Vi  si 
spinsero  con  tanto  furore ,  che  nel  principio  i  Fiorentini  presero 
la  fnga  :  veggendo  poi  il  piccol  numero  di  combattenti  tornarono 
vergognosi  mdìetro,  e  messigli  in  mezzo  tagliarono  a  pezzi  tutti  i 
Tediescbi,  e  poi  strascinarono  per  disprezzo  sul  suolo  l'insegne  di 
Manfredi  •  Questo  avvenimento  fatto  sapere  da  Farinata  al  Re,  che 
gli  esagerò  il  valore  dei  suoi,  e  il  dispregio  fatto  alle  sue  insegne, 
impegnò  il  Re  nell'impresa  con  mplto  calore  come  Farinata  avea 
previsto  •  Malasp.  cap.  164* 


74  LIBRO  TERZO 

.  rebbe  il  denaro  per  confermarli ,  tentò  di  tirare  i 
df^)  Fiorentini  ad  nn' azione  (58).  Avendo  per  meno 
ia6odi  fidati  emissarj  ,  che  farono  dne  frati  minori, 
fatto  credere  ai  primi  della  fiorentina  Repubblica 
che  se  si  fosse  mosso  il  loro  esercito  verso  Siena , 
sotto  colore  di  rinforzare  Montalcino,  sarebbe  aperta 
loro  una  porta  per  liberar  la  città  dalla  tirannia  di 
Provenzano  Salvani,  potente,  ed  altiero  cittadino, 
fu  dai  Fiorentini  creduto  al  fraudolento  invito;  e 
quantunque  molti,  e  specialmente  Tegghiajo  Aldd- 
brandi  degli  Adimari,  colla  più  forte  ostinazio- 
ne (59)  dissuadesse  un'impresa  inutile,  giacche  si 
sarebbe  vinto  colla  pazienza ,  e  il  tempo  avrebbe 
combattuto  per  loro,  fu  messo  in  campagna  im 
esercito  numerosissimo  di  genti ,  ma  non  di  solda- 
ti. Si  disse  che  non  fossero  meno  di  3o  mila,  e  da 
tutte  le  città  alleate,  o  piuttosto  soggette  ai  Fioren- 
tini, vennero  truppe  ausiliarie;  ma  siccome  dalle 
medesime  città  erano  stati  cacciati  i  Ghibellini, 
questi  si  erano  riuniti  a  Siena ,  e  i  Guelfi  a  Firen- 
ze,  onde  i  due  eserciti  presentavano  il  tristo  aspet- 


(58)  Nel  racconto  del  memorabil  fatto  dì  orme  di  Monteapef^ 
Uy  e  negli  avvenimenti  che  lo  precedettero  abbiamo  seguitato  Ri- 
cordano Malaspina  scrittore  contemporaneo ,  e  la  di  cui  autorità 
84;mbra  perciò  superiore  ad  ogni  altro  •  Tnttayia  lo  Storico  Sanese 
Malevolti  nega  molti  di  questi  fatti;  e  asserisce  che  il  Conte  Giorda- 
no era  venuto  fino  dal  dicembre  dell'  anno  scorso  cogli  800  cavai* 
li,  onde  non  pnò  esser  vero  il  racconto  degl'insulti  fatti  all'inse- 
gne ec.  Se  veramente  nei  libri  pubblici  di  Siena  si  trovano  idoci- 
menti  autentici  della  sua  asserzione^  non  vi  è  replica.  Ma  non  sa- 
rebbe stato  fuori  di  proposito  »  che  egli  avesse  riportato  le  parole 
dei  pubblici  libri ,  come  fa  tante  volte  • 

(59)  Sullo  stesso  tuono  parlò  il  Gherardini:  eli  fu  comandato 
dagli  Anziani  di  tacere  sotto  pena  di  lire  100;  volle  pagar  la  pena, 
ma  parlare  ;  gli  fu  raddoppiata  »  e  pagò  la  multa  di  lire  3oo  per 
dire  delle  inutili  verità.  Fu  finalmente  fatto  tacere  coUa  miiyurf" 
della  pena  della  testa.  Malasp.  e*  166. 


CAPITOLO  QUARTO  76 
to  della  divisione^  e  guerra  civile  deli' intiera  To- 
scana •  Dal  solo  Arezzo  si  asserisce^  che  fino  in  5  di  e. 
mila  venissero  in  soccorso  dei  Fiorentini  sotto  il  >^^ 
comando  di  Donatello  Tarlati  ^  mentre  un'altra 
schiera  di  fuorusciti ,  condotti  dal  loro  Vescovo  (60), 
si  era  riunita  in  Siena;  e  se  dee  credersi  a  Raffaello 
Roncioni^  una  scelta  truppa  di  3  mila  Pisani  ven- 
nero a  Siena.  L'esercito  Guelfo  era  superiore  in  nu- 
mero al  Ghibellino,  essendo  quella  fazione  domi- 
nante in  "Toscana  y  ma  probabilmente  non  vi  fu 
quella  sproporzione  che  voglion  far  credere  alcuni 
storici.  Marciava  l'esercito  Guelfo  come  a  sicura 
vittoria,  sperando  dover  senza  combattere  entrare 
in  Siena:  giunto  sui  colli  di  Monteaperti  si  arrestò  ' 
per  aspettar  l'avviso  dai  Sanesi  di  procedere  più 
innanzi  •  Niente  è  più  capace  di  sconcertare  un 
Capitano,  ed  una  truppa  quanto  il  vedersi  venire 
coraggiosamente  incontro  un  nemico  che  si  crede- 
va vinto  o  fuggitivo:  cosi  i  fiorentini  Condottieri, 
che  andavano  alla  sicura  conquista  di  Siena,  quan- 
do scorsero  avanzarsi  risolutamente  i  nemici ,  alla 
testa  dei  quali  era  la  truppa  tedesca  ,  tanto  alla  lo- 
ro formidabile,  cominciarono  a  sbigottirsi •  Si  venne 
alle  mani,  e  fu  combattuto  con  molto  valore;  ma 
non  reggendo  all'impeto  dei  Tedeschi,  piegarono  i 
Fiorentini  •  Ad  accrescer  la  costernazione  si  aggiun- 
se il  tradimento.  Molti  Ghibellini  nascosi,  nel  tempo 
della  battaglia  passarono  ai  nemici.  Fra  questi  Boc- 
ca degli  Abati  prima  di  passare  all'altra  parte,  ti- 
rò a  tradimento  un  colpo  a  Jacopo  del  Vacca  della 
famiglia  dei  Pazzi,  che  portava  l'insegna  dellsi  Re- 

(60)  Leonar.  Bmii.  his.  lib.  a.  Glngurta  Tornili.  Ist.  SancM 
par*  L  Ub*  5.  Blalayolti  lib.  1 .  p.  a.  Ptoloemeiu  Locena.  Ann. 


76  LIBRO  TERZO 

^=  pubblica  ^  e  lo  fé  cadere  col  braccio  mouo  in  ter- 
die.  ^A  (6i)  •  Sparse  quest'atto  il  terrore  tra  i  Fiorenti- 


ia6o  ni^  non  sapendo  più  distinguere  gli  amici  dai  ne- 
mici: il  solo  contrasto  rimase  intorno  al  Carroccio 
su  cui  stavano  le  bandiere,  e  dintorno  la  miglior 
parte  dei  difensori  (63)  volenterosi  di  comprarsi 
una  morte  illustre  col  valore,  piuttosto  che  la  sal- 
vezza colia  fuga.  Fu  chiaro  tra  questi  Giovanni 
Tornaquinci,  che  presso  al  settantesim' anno  stava 
con  suo  figlio  alla  guardia  di  quel  posto:  vedendo 
tutto  perduto,  incoraggito  il  figlio,  e  gli  altri  a  se- 
guitare il  suo  esempio,  si  scagliò  trai  nemici^  pror 
testandosi  di  non  voler  sopravvivere  a  tanta  mina; 
e  valorosamente  combattendo  fu  ucciso.  Una  parte 
del  rotto  esercito  si  era  refugiato  nel  castello  di 
Monteaperti.  Preso  a  forza  il  castello,  furono  i  re- 
fugiati  tagliati  a  pezzi  (63).  Non  è  facil  sapere  il 
numero  dei  morti  in  una  battaglia,  esagerandolo 
sempre  i  vincitori,  e  nascondendolo  i  vinti:  questi, 
ossia  gli  scrittori  fiorentini,  non  confessano  che  a5oo 
morti,  e  i5oo  prigionieri;  ma  il  numero  dovete 
esser  più  grande,  inferiore  però  air  esagerazione  de- 
gli istorici  Ghibellini  (64)*  Si  conta  questa  battaglia 
fra  le  più  sanguinose  di  quei  tempi:  avvenne  il  dì  4 
Settembre .  Festeggiarono  la  vittoria  con  solenne 
pompa  i  Sanesi ,  in  cui  vedeasi  il  Carroccio  dei  Fio- 

(61)  Malasp.  cap.  167. 

(6a)  Leonar.  Bruni  Hist.  Fior.  lib.  a. 

(63)  Amm.  Htst.  Fior,  lib*  a.  Dante  : 

la  strage ,  e  il  grande  scempio 

Che  fece  l'Arbia colorata  in  rosso. 
(64)  n  più  autentico  monumento  sarebbe  la  lettera  dei  Saaea 
scritta  al  Re  Manfredi,  oye  i  morti  si  fanno  ascendere  a  soli  3  mi- 
la» ma  probabilmente  è  apocrifa  •  Tedi  Gronic»  San»  Rer«  iiaL  scr* 
lom.  1 5. 9  e  nota  del  Benvoglienti  • 


CAPITOLO  QUARTO  77 
rentìni  strascinato  a  ritroso^  e  il  nome  di  Città  della 
Vergine  fu  preso  da  Siena  in  questa  circostanzai  di  e! 
come  un  devoto  attestato  di  riconoscer  dal  Cielo  il  *^^^ 
felice  successo  (65)  • 

(65)  Malayolti  Ist  dei  fatti  9  e  gaarr.  dei  San.  Nelle  monete  al- 
le parole  Sena  itetus,  fu  aggiunto  Civitas  Virginis .  Questo  sto- 
rico per  conceder  tutta  la  gloria  di  questo  giorno  ai  Sanesi ,  esclu- 
de il  soccorso  dei  Pisani .  Il  Benvoglienti  poi  vuole  escludere  l' in- 
flaensa»  e  Tajuto  del  Re  Manfredi.  Si  vegga  la  risposta  vittoriosa 

del  Cav.  Flam.  dal  Borgo  Diss.  6.  d-"''-*   --• -^ *•  -  - 

dne  Scrittori  senza  lasciar  loco  a  re 
specialmente  il  racconto  di  Malasp.  e 
pili  antico,  e  perciò  più  autorevole. 


78  LIBRO  TERZO 


CAPITOLO  r. 


SOMMARIO 

Decadenza  della  Parie  ùuelfa.  Concilio  di  Empoli*  Magas' 
nimità  di  Farinata  degli  Uìferti.  Guerra  con  iLucca  e  co- 
gli esuli  Guelfi.  Venuta  di  Carlo  d'Angiò  in  Italia •  Bai- 
taglia  presso  Benevento ,  e  morte  di  Manfredi.  Riforma  id 
Governo  di  Firenze  •  Turbolenze  cht  succedono .  Discesa  di 
Corradino  di  Svevià  in  Italia .  Imprese  dei  Pisani  armati 
in  suo  favore .  Battaglia  di  Tagliacozzo  •  Fuga  di  Com- 
dino.  Arrestato,  è  dato  in  mano  di  Carlo,  Morte  di  Cor- 
radino .  Pace  di  Carlo  coi  Pisani  ,  e  con  altre  città  di  Tosca- 
na. Pace  tra  i  Guelfi  é  i  Ghibellini  di  niun  effetto.  Guem 
civile  fra  i  Pisani ,  fomentata  dal  Re  Carlo.  Morte  del  Pupa 
Gregorio  X.  Nuova  concordia  fra  i  Guelfi  e  i  GhibelUm  w 
Firenze.  Affari  di  Sicilia.  Celebre  Vespro  Siciliamo.  Nuovo 
cambiamento  di  Governo  in  Firenze. 

JLja  rotta  di  Monteaperti  fu  uno  dei  colpi  più  fa- 
tali alla  fazione  Guelfa  non  solo  in  Toscana,  ma 
per  tutta  Tltalia.  La  costernazione  dei  vinti  fu  ta- 
le^ che  non  ardirono  trattenersi  in  Firenze,  e  di* 
fendersi  :  nove  giorni  dopo  la  rotta  si  partirono 
volontariamente  tutte  le  famiglie  Guelfe,  la  maggior 
parte  delle  quali  ritirossi  a  Lucca,  restata  Guelfa 
sola  in  Toscana^  giacché  Prato,  Pistoia^  Volterra 
ec.  seguitarono  la  sorte  dei  vincitori,  e  da  quelle 
furono  obbligate  a  ritirarsi  i  Guelfi  (i).  Non  tarda- 
rono a  giungere  i  vincitori  a  Firenze,  e  non  poten- 
dosi sfogare  contro  i  nemici,  presero  a  minarne  le 
case:  ma  ciò  che  mostra  quanto  sia  cieca ^  furiosa, 

(i)  Malasp.  Gap.  1 70* 


CAPITOLO  QUINTO         79 
ed  ingiusta  la  rabbia  dei  partiti,  non  contenti  di 
minare  in  S.^  Reparata  il  sepolcro  dal  pubblico  voto  ^^o! 
già  poco  innanzi  eretto  ad  Aldobrandino  Ottobuo-  ^^^o 
ni,  ne  trassero  il  cadavere,  e  strascinato  per  la 
città,  lo  gettarono  nei  fossi (2).  Furono  confiscati  i 
beni  dei  Guelfi ,  e  la  città  cominciò  a  governarsi 
sotto  rinfluenza,  o  dependenza  del  re  Manfredi. 
Dovendo  partirsi  il  Conte  Giordano,  si  adunò  in 
Empoli  una  grande  assemblea  dei  Ghibellini  per 
concertare  il  modo  di  assicurare  la  superiorità  in 
Toscana  al  loro  partito .  La  componevano  persone , 
che  quantunque  varie  d' interesse  erano  tutte  ne* 
miche  di  Firenze.  I  Pisani,  i  Sanesi,  gli  Aretini, 
e  gli  altri  Toscani  temevano  la  crescente  potenza 
dei  Fiorentini,  che  minacciava,  a  loro  servitù.  I  Si- 
gnori feudali,  i  Conti  Guidi,  Alberti,  di  S.»  Fiora ^ 
e  gli  Ubaldini,  dei  quali  i  Fiorentini  aveano  fre- 
quentemente gastigato  le  insolenti  soperchierie,  ne 
bramavano  la  ruina:  fu  proposto  perciò  che  nìuna 
cosa  potea  più  consplidare  la  forza  Ghibellina  quan- 
to il  disfare  la  città  di  Firenze,  ove  la  fazione  Guelfa 
avea  sempre  più  dominato  che  la  Ghibellina ,  ed 
ove  le  instabili  vicende  della  sorte  potevano  pure 
ristabilirvela.  Fu  questa  la  proposizione  dell'amba- 
sciatore  di  Siena,  sostenuta  da  quello  di  Pisa,  città 
capitali  nemiche  di  Firenze  (3).  Quasi  tutta  Tas- 
se mblea  aderiva  alla  stessa  opinione,  e  sta  vasi  per 
condannare  alla  distruzione  una  città  si  rispettabile, 
quando  Farinata  con  detti  grossolani,  ma  pieni  di 
forza  protestò  altamente  che  egli  non  s'era  esposto 
a    tanti  pericoli  per  ruinar  la  sua  patria,  ma  per 

(a)  Giov.  Yill.  Is.  lib.  6.  cap.  64. . 

(3)  Giogurta  Tommasi  UU  dì  Siena  par.  a  »  lib.  6. 


8o  LIBRO  TER20 

'potervi  vìvere  onoratameute:  che  egli  finche  avei 
dìG.  sangue  nelle  vene  non  l'avrebbe  permeaso  (4).  Non 
>a6oo53|.Q||Q  1  Ghibellini  ostinarsi,  temendo  il  valore, 
l'ingegno  ,  e  partito  grande  che  si  traeva  seco  que- 
st'uomo degno  di  eterna  memoria,  giaccl>è Firenze 
gli  deve  la  sua  esistenza  (S).  Si  determinò  il  numero 
dei  soccorsi  che  le  città ,  i  castelli ,  i  Signori  colle- 
gati dovessero  al  bisogno  contribuire,  e  questo  fa 
chiamato  Taglia •  Si  elesse  Potesti^  di  Firense  per 
due  anni  il  Conte  Guido  Novello,  il  quale  esigè  che 
la  città  prestasse  giuramento  di  obbedieo'ifta  al  Re 
ia6i  Manfredi.  Tenea  egli  ragione  nel  palazzo  vecchio 
di  S.  Apollinare,  onde  per  potere  con  più  agio  io- 
trodurre  in  città,  e  nel  palagio  le  sue  genti  di  Ca- 
sentino ,  aprì  una  nuova  porta  nelle  mura  più  vi- 
cine, che  Porta   Ghibellina,  e  la  corrispondente 
strada,  via  Ghibellina  furono  appellate.  I  Sanesi 
ottennero,  che  cinque  castella  situate  ai  confini  tn 
loro  e  i  Fiorentini,  e  che  formavano  a  questi  oo 
forte  antemurale ,  fossero  disfatte .  1  Pisani  che  fos- 
sero loro  rese  varie  castella  dai  Lucchesi,  usurpate 
nell'ultima  guerra  coi  Fiorentini.  Lucca,  di  fit- 
zioDC  Guelfa  avea  dato  ricetto  ad  una  gran  quantità 
dei  Fiorentini  esuli:  si  mosse  contro  di  essa  il  Conte 
coU'armata  della   Taglia  ;  ne  scorse,   e  travagliò 
assai  il  territorio:  resisterono  vigorosamente  i  Luc- 
chesi, giacché  essendo  seco  loro  riuniti  i  fuorusciti 
Guelfi  di  varie  città  di  Toscana^  la  disperasione 

(4)  Vedi  Dante,  Infer.  can.  io,  ove  è  descrìUo  noUImeate  3 
caraUere  di  Farioata ,  che  predice  V  esìlio  al  Poeta. 

»  Ma  fui  io  sol  colà ,  dove  sofferto 

»  Fu  per  ciascun  dì  torre  via  Fiorenxa , 

»  Colui  che  la  difese  a  tìso  aperto. 

(5)  Malasp.  Gap.  1 70.  Amai.  lib.  a* 


CAPITOLO   QUINTO       8i 

Ì5pirava  valore,  ed  è  per  questo  che  sì  difesero  per  ^^ 
circa  due  anni  contro  la  forza  della  Ghibellina  Lega  ^^ 
tanto  più  potente  di  quella  città.  La  guerra  più  ia6^ 
vigorora  era  loro  fatta  dai  Pisani  che  roiravaQO  alla 
distrussione  di  Lucca:  erano  essi  i  più  attivi,  e  più  1263 
numerosi  nell'esercito  della  Taglia,  Benché  partis* 
sero  dall'esercito  molte  genti  tuttavia  i  Pisani  uniti 
ai  Sanesi  proseguirono  a  infestare  il  territorio  dei 
Lucchesi,  e  dopo  averli  più  volte  sconfitti  ^  s' inol- 
trarono fino  alle  mura  di  Lucca  ,  vi  batterono  mo- 
neta, scagliarono  delle  freccie  nella  città,  e  vi  rap- 
3resentarono  la  loro  celebre  giocosa  pugna  ,  chia- 
mata comunemente  il  Giuoco  del  Ponte  (6).  Final- 
ajente  chiesero  i  Lucchesi  la  pace,  e  T ottennero 
lai  Fiorentini  colle  condizioni  di  entrare  ancor  essi 
iella  Taglia^  e  di  cacciar  tutti  i  Fiorentini  ed  altri 
!juelfi  fuorusciti.  Andò  errando  questa  infelice  turba 
Il   uomini,  di  femmine,  di  ragazzi,  esponendola 
oro  miseria  agli  occhi  di  tqtta  T  Italia  • 

L' ìstabile  fortuna  però  si  preparava  a  vendicar- 1264 
i  «   I  Papi  col  loro  partito  continuamente  vessati 
la  Manfredi,  e  dai  Ghibellini,  vedendo  i  fulmini 
!ella  scomunica  inutili  contro  quel  Re,  avean  più 
olte  chiamate  le  armi  francesi  ad  invadere  il  regno. 

(6)Brcviar.  histor.  Plsanae.  Ber.  ital.  tom.  6.  Ivi  è  chiamata 
txesto  giuoco  Ludus  ad  Afassascutum ,  forse  cU  Massa  ^  e  scu- 
o:  e  questa  è  la  pritna  memoria  di  quel  celebre  spettacolo,  e, 
3a  dicendosi  che  fosse  allora  istituito  ò  da  credere  che  molto 
manzi  si  praticasse.  Anche  in  Pavia  un  simile  giuoco  descrivcsi 
lU'Anonimo  Ticinensc^  Fer^e  Icdue  armi  di  scudo^  «'mazza 
irono  in  seguilo  riunite  in  una,  nel  targonc,  arme  di  olTcsa,  e  di 
fesa.  Che  Lorenzo  dei  Medici  riformasse  quest'arnie  si  aderisce 
pza.  prove.  La  prima  sua  istituzione  è  ignota  ma  probabilmente 
di  origine  longobardica  j  è  vero  che  nell'Ànon«  Ticincnse  non  si 
rscrive  che  lo  scudo ,  con  cui  correvano  di  lontauo  ad  urtarsi: 
a  noQ  è  ivi  chiamato  Ludus  ad  Massascuiura , 

l'i.mn  II.  6 


82  LIBRO  TERZO 

^^  di  Napoli  •  Carlo  di  Angiò  fratello  del  santo  Re  Lin- 
di C.  gì  d^  Francia ,  quanto  inferiore  in  santità  ^  tanto 
ia64  superiore  in  talento  al  fratello^  lo  avea  accompa- 
gnato nella  guerra  sacra  in  Egitto^  ove  le  loro  armi 
ebbero  sì  infelice  successo  (7).  Tornato  in  Francia, 
animato  sempre  da  quello  spirito  d'intrapresa, già 
eccitato  in  lui  dalla  Crociata,  ascoltò  facilmente  le 
proposizioni  dei  Pontefici  Urbano  IV ,  e  Clemente 
IV,  che  r  invitavano  alla  conquista  del  regno  di 
Puglia,  e  di  Sicilia ,  creandolo  Senatore  di  Roma. 
Ne  fece  egli  i  piiì  vigorosi  preparativi,  e  la  sua  mo- 
glie Beatrice  ne  prese  le  maggiori  care,  impegoao- 
do  tutte  le  sue  gioje.  Ambiva  ansiosamente  al  titolo 
di  Regina ,  e  la  femminile  vanità  era  stata  troppo 
esulcerata  ,  quando  trovandosi  colle  sue  tre  sorelle 
Regine ,  fu  obbligata  a  sedere  un  gradino  più  ab- 
ia65  basso ,  perchè  priva  di  quel  titolo  (8).  Carlo  Signore 
della  Provenza  pose  insieme  un  fiorito  esercito  di 
gente  agguerrita,  che  inviò  alla  volta  di  Roma, 
mentre  esso  salito  sopra  una  flotta  di  non  più  di 
venti  galee  con  soli  1000  uomini  d' arme,  scelta 
truppa  e  valorosa  ,  si  mise  in  mare,  e  fu  singolar- 
mente favorito  dalla  fortuna,  essendosi  esposto  al 
rischio  di  esser  preso  ;  giacché  veleggiava  la  flotta 
di  Manfredi,  che  composta  di  legni  pisani,  geno- 
vesi ,  e  siculi  giungeva  ad  80  galere  ;  ma  la  tempe- 
sta l'avea  dispersa,  onde  passò  indisturbato  avanti, 

(7)  Vedi  Mémoires  da  Ghevalier  de  Tonville ,  compagQo  ndU 
spedizione  di  S.  Luigi . 

(8)  Ricor.  Malasp.  e.  75;  e  Gio.  Villani  lib.  6.  e  93.  La  mag- 
giore era  moglie  del  Re  di  Francia  ,  la  seconda  del  Re  d*^ In- 
ghilterra ,  la  terza  del  fratello  eletto  Re  dei  Romani;  furono  que- 
ste 4.  Principesse  figlie  di  Raimondo  Conte  di  Provenza:  la  qui 
provincia,  Tultima ,  cioè  Beatrice»  portò  in  dote  a  Carlo. 


CAPITOLO  QUINTO  83 
entrò  nella  foce  del  Tevere ,  e  sbarcò  a  Roma  •  Si 
avan2Ò  anche  il  suo  esercito  felicemente  in  Italia ,  ^^^ 
condotto  dal  Conte  Guido  di  Monforte  ^  con  cui  si  ^^65 
trovava  la  moglie  di  Carlo ^  Beatrice:  risorsero  le 
speranze  dei  GuelEi  e  4^0  cavalieri  fiorentini^  sotto 
la  scorta  del  Conte  Guido  Guerra ,  andarono  in 
contro  ai  Francesi  in  Lombardia ,  e  furono  la  loro 
guida  per  la  Romagna,  e  Marca  infino  a  Roma. 
Coronato  Carlo  dal  Pontefice  insieme  con  sua  mo-  j^es 
glie  re  della  Sicilia  di  qua ,  e  di  là  dal  Faro  y  non 
perde  un  momento  a  marciare^  benché  nel  cuor 
deir  inverno  9  contro  il  nemico  avendo  necessità  di 
afifrettarsi  per  mancanza  dei  mezzi  di  sussistere: 
Presso  Benevento  avvenne  T ultimo  di  febbraio  la  ^ 
sanguinosa  battaglia ,  che  decise  di  quel  bel  regno: 
in  es»)  i  Fiorentini  esuli ,  altamente  si  distinsero  : 
il  Re  Manfredi^  dopo  aver  combattuto  col  più  gran 
valore  y  vedendo  il  suo  esercito  sconfitto»  non  volle 
sopravvivere  alla  disfatta  y  si  cacciò  nel  più  forte 
della  mischia,  e  restò  ucciso.  Fu  dai  vincitori  uniti 
in  Crociatale  pieni  di  benedizioni^  e  d'indulgenze 
dato  un  orribil  sacco  a  Benevento^  citta  papale  ^ 
spogliate  le  chiese,  disonorate  le  donne ,  e  trucidati 
i  vecchi,  ei  fanciulli  (9).  11  cadavere  di  Manfredi, 
ritrovato  dopo  tre  giorni ,  fu  sepolto  presso  il  Pon- 
te di  Benevento  vilmente  in  una  fossa ,  ove  Todìo^ 
la  superstizione, e  la  poca  generosità  del  suo  rivale 
:oudannollo  (io).  Egli  avea  avuto  la  disgrazia  di 

(9)  Quest'orrida  scena  durò  olto  giorni,  ed  è  descritta  da 
ìaba  Malaspina  istorico  Guelfo,  e  parziale  perla  fazione  di  Carlo. 

(io)  Vedi  Dante,  Purgai,  canto  3,  cne  ad  onta  della  sco- 
nitnìca  in  cui  mori  Manfre«li  lo  ha  posto  in  luogo  di  salvazione, 
inmollendo  colla  poetica  immaginazione  la  durezza  della  teologi- 


84  LIBRO   TERZO 

7  dispiacere  ad  un  Corpo  allora  potentissimo  che  Io 
^^(),  dipìnse  coi  più  neri  colori:  i  più  atroci  delitti  gli 
ia66fujrouo  apposti^  la  morte  del  padre ^  e  del  fratello 
Corrado:  non  ve  ne  ha  però  prova  alcuna  di  fon- 
damento. Imitatore  di  suo  padre,  fu  gran  protettore 
delle  scienze,  e  delle  lettere  (i  i)  :  rammentarono 
con  desiderio  il  suo  governo  bea  presto  i  Siciliani, 
e  Napoletani:  la  posterità  imparziale  lo  ha  riguar- 
dato con  molta  stima,  ed  una  gloriosa  memoria 
resta  sempre  di  questo  Principe  nel  nome  di  Man- 
fredonia da  lui  edificata .  La  sua  ruina  fu  anche 
quella  dei  Ghibellini  in  Toscana ,  e  nel  resto  d'Ita- 
lia incoraggiti  i  Guelfi  occuparono  molti  castelli; 
il  popolo,  a  cui  è  sempre  odioso  il  governo  presen- 
te, e  spera  nel  futuro^  mormorava  delle  gravezze 
irnposte  dal  Conte  Novello  per  sostener  la  guerra. 
Mentre  il  segreto  fremito  dal  malcontento  annun- 
ziava la  vicina  tempesta,  cercarono  le  più  sagge,  e 
devote  persone  di  pacificare  le  due  fazioni.  Chia- 
mati da  Bologna  a  Firenze  due  dei  Cav.  frati  Gau* 
denti  (12)^  che  fra  le  virtù  di  cui  facevan  profes- 
sione vi  era  quella  di  pacificare  le  inimicizie,  fa 

ca  condanna y  che  vuole,  che  per  ogni  anno»  in  cai  si  è  vissnti 
nelle  censure  ecclesiastiche ,  se  ne  passino  3o  in  Purgatorio: 

n  Vero  è  che  quale  in  contumacia  muore 

^>  Di  santa  Chiesa ,  ancor  che  alfin  si  penta, 

»  Star  gli  convien  da  questa  ripa  fuore 

»  Per  ogni  tempo ,  eh*  egli  è  stato  trenta. 
(11)  Non  solo  Niccolò  di  Tamsilla  suo  panegirista,  ma  Saba 
Malaspina  di  partito  a  lui  contrario,  si  accordano  in  questa  parte. 
Murat.  rer.  ital.  scrip.  tom.  8. 

(  1  a)  Erano  chiamati  Cavalieri  di  S.  Maria  :  vestivano  di  bian- 
co col  mantello  bigio  :  nel  vestirsi  faceano  promessa,  comeglialtri 
Cavalieri,  di  difender  le  vedove,  e  i  pupilli ,  e  inframmettersi  a 
far  le  paci.  Loderingo  di  Don  Liandolo  ne  fu  1* istitutore,  uno 
dei  due  che  vennero  a  Firenze,  e  l'altro  Messer  Catalano  Bla- 
levolti.  Malas.  Cap.  83. 


CAPITOLO  QUINTO  85 
data  loro  facoltà  di  riformar  lo  Stato.  Questi  eles- 
sero treotasei  cittadini  per  lo  più  popolari^  e  mer-  ^iq^ 
canti  indistintamente  Guelfi,  e  Ghibellini  per  con-  «^^^ 
sultare  sugli  affari  pubblici:  allora  fu  il  popolo  di- 
stinto in  sette  Arti,  che  si  chiamarono  in  seguito 
maggiori,  quando  vi  si  aggiunsero  le  minori,  dato 
a  ciascheduna  il  Gonfalone,  affinchè  quando  occor- 
resse fossero  pronti  i  Capitani  di  esse  col  loro  se- 
guito (i  3).  Ninna  distinzione  conveniva  meglio  a 
una  città  commerciante.  Intanto  nel  fiorentino  po- 
polo, per  la  più  parte  sempre  di  cuore  Guelfo,  era 
risorta  la  speranza  di  ripigliar  lo  Stato,  e  manife- 
stare i  suoi  sentimenti  per  la  vittoria  di  Carlo:  i 
trentasei  Riformatori  insieme  coi  due  Capi  o  Pote- 
stà Cav.  Gaudenti  ,  parea  che  favorissero  quella 
setta  •  Il  Conte  Guido  ,  che  vedea  crescere  il  mal- 
contento, chiamò  a  Firenze  i  soldati  dalle  città  col- 
iegate  per  sostenersi  :  dovendosi  però  levare  una 
grossa  contribuzione  per  mantenerli ,  crebbe  il  mal 
umore  nel  popolo,  il  quale  armato  avendo  alla  testa 
Messer  Gianni  Soldanieri,  si  fortificò  con  serragli  a 
pie  della  torre  dei  Girolami.  Il  Conte  colla  sua 
truppa,  e  coi  Ghibellini  fece  testa  alla  piazza  di  San 
Giovanni;  ma  crescendo  gli  assalitori  che  colle  ba- 
lestre, colle  pietre  dalle  finestre,  e  dalle  torri  gli 
attaccavano,  non  si  credette  più  sicuro,  e  si  ritirò 
vilmente  coi  suoi  da  Firenze  a  Prato  il  di  1 1  no- 

(i3)  Queste  sette  arti  maggiori  comprendevano;  la  prima 
i  Giodici,  e  Notai,  seconda  i  mercanti  dì  Galimala,  e  dipan- 
iti franceschiy  3.  i  Cambiatori,  4«  quelli  dell'arte  della  Lana, 
5.  Medici,  e  Speziali,  6.  Setaioli,  e  Merciai,  7.  i  Pellicciai.  A 
qaeste  ne  furono  in  seguito  aggiunte  cinque  minori  ,  le  quali 
poi  in  varie  riforme  accresciute ,  e  diminuite  si  ridussero  a  i4> 
formando  colle  maggiori  il  Num.  di  ai.  Mach.  Islor.  fior.  Lib.  3. 


86  LIBRO  TERZO 

-vembre.  Essendosi  però  tosto  accorti  i  Gbibellioi 


'^l^^  dell'errore,  il  giorno  appresso  tornarono  a  Firenxe 
ia66  con  animo  di  rientrarvi:  furono  però  ributtali  dalli 
porta  del  Ponte  alla  Carraia  (i4)*  La  Corte  di  Ro- 
ma ,  vedendo  qual  vantaggio  ne  ritrarrebbe  da! 
cacciare  affatto  di  Firenze  i  Ghibellini,  non  avea 
lasciato  mezzo  di  stimolar  quel  popolo  colla  minac- 
cia anche  degF interdetti  a  espeller  dalla  città  i  Te- 
deschi, che  formavano  al  suo  desiderio  il  maggiore 
ostacolo:  lo  che  ottenuto,  cercò  tutte  le  vie  di  ri- 
volger la  città  alla  sua  de vozione  (  1 5) .  1  Pisani  per 
la  disobbedienza  al  Papa,  e  nella  guerra  contro  la 
Sardegna,  e  contro  ì  Lucchesi ,  e  per  esser  recidivi 
nel  peccato  contro  la  Corte  di  Roma  della  loro 
adesione  al  partito  Ghibellino,  erano  ricaduti  nel- 
r ecclesiastiche  censure.  Ruinata  la  potenza  Ghi- 
bellina cercarono  di  riconciliarsi  colla  Sede  Aposto- 
lica; il  metodo  più  breve  per  troncare  le  difìicoUà, 
è  stato  sempre  V  oro:  depositò  la  pisana  Repub- 
blica 3o,ooo  lire  nelle  mani  dei  Ministri  PoutiOcj^ 
e  fu  assoluta  (i6). 
ia57  ^i  fu  un  momento  in  Toscana,  in  cui  parve^ 
che  gli  uomini ,  deposta  la  frenesia  delle  fazioni, 
volessero  riprendere  il  senno:  dopo  i  pii  offici  dei 
Cav.  Gaudenti  si  pensò  a  minare  gli  animi  in  altra 
maniera:  furono  richiamati  molti  dei  Guel6,eTari 
matrimoni  si  fecero  fra  le  famiglie  nemiche:  fra 
questi  è  da  notarsi  quello  di  Guido  Cavalcanti,  uno 
dei  padri  dell'italiana  Poesia,  colla  figlia  del  cele- 

(i4)  Rico.  Malasp.  e  i85. 

(i5)Bla]lene  Anecd.  Thesaur.  ove  sono  riferite  ?irie  letUie 
del  Papa . 

(i6)  Breviar.  hist.  Pis.  Rer.  iuL  scr.  tom.  5. 


CAPITOLO  QUINTO  87 
bre  Farinata  degli  liberti.  Egli  non  vìvea  più^  e  ^^ 
fino  dal  Ta64  la  morte  Tavea  opportunamente  aot-  di  e. 
tratto  alla  vista  della  mina  del  suo  partito  ^  laacian-  >^^7 
do  vari  figlia  alcuni  dei  quali  ebbero  un  trista 
fine.  Questa  pace  però  non  era  che  apparente,  e 
dettata  più  dàlia  politica^  che  dalla  riconciliazio- 
ne: il  cadente  partito  dei  Ghibellini,  che  pure  re- 
stava con  qualche  forza  nelle  città  di  Toscana,  era 
stato  obbligato  a  prendere  il  tuono  di  moderazióne , 
e  i  Guelfi  non  ancora  abbastanza  potenti  per  oppri- 
merlo ,  vi  rispondevano  cogli  stessi  sentimenti  : 
erano  entrambi  in  maschera ,  la  quale  però  presto 
cadde:  i  Guelfi,  che  erano  stati  oppressi,  volevano 
opprimere,  o  almeno  prendere  tutte  le  redini  del 
governo:  ne  vedevano  la  fiicilità.  Erano  sicuri  del 
favore  delle  due  prime  potenze  d'Italia,  del  Papa, 
e  del  Re  Carlo,  che  avevano  interesse  che  una  cit- 
tà si  ricca  fosse  a  loro  devozione;  vi  si  aggiungeva 
il  favore  del  popolo,  facile  sempre  a  odiare  i  vecchi 
dominatori ,  e  propenso  ai  nuovi  •  Chiesero  però  se- 
gretamente ì  Fiorentini  Guelfi  aiuto  al  Re  Carlo^ 
che  vi  mandò  il  conte  Guido  Mon forte  con  800 
cavalli  :  non  aspettarono  i  Ghibellini  V  arrivo  di 
questi ,  ma  prevedendo  la  loro  sorte ,  per  la  mag- 
gior parte  abbandonarono  la  patria.  Grati  i  Guelfi 
al  re  Carlo  gli  offrirono  il  governo  della  città  di  Fi- 
renze per  IO  anni,  come  avean  fatto  f  Ghibellini  a 
Manfredi  :  ricusò  sul  principio  il  re,  ringraziando 
gentilmente,  ma  sopra  nuove  istanze,  vi  mandò  un 
suo  Vicario,  che  annualmente  dovea  mutarsi,  e  che 
la  reggeva  col  consiglio  di  dodici  Buon- uomini  (17). 

(17)  Bftalasp«€ap.  i85. 


88  LIBRO  TERZO 

i  beni  dei  violi  farouo  secondo  1'  uso  conGscati  : 
^"^Siascendo  però  questione  sul  loro  destino^  e  inviati 
1267  ambasciatori  per  aver  Topinione  del  Papa,  e  del 
re  Carlo^  fu  convenuto  il  seguente  provvedimentOi 
cioè:  che  tre  parti  ne  fossero  fatte;  una  si  dovea 
concedere  al  Comune;  colla  seconda  indennizzare 
i  Guelfi^ che  aveau  perduto  le  robe  loro  nella  rivo- 
luzione; la  terza  si  depositasse  per  i  bisogni  del  loro 
partito,  ed  appartenesse  a  parte  guelfa .  Per  conso- 
lidare però  sempre  più  in  mano  di  questa  parte  il 
governo^  tutta  la  somma  di  questi  beni,  senza  divi- 
sione, fu  infine  deciso  che  appartenesse  ai  Guelfi, 

10  die  dava  ad  essi  una  stabile  preponderanza;  fo^ 
mandosi  così  un  deposito^  che  si  ebbe  cura  di  ac- 
crescere in  ogni  occasione,  e  che  serviva  mirabil- 
mente  e  in  pace,  e  in  guerra,  e  a  remunerare  i 
loro  fedeli,  e  ad  allettare  le  speranze  dei  bisognosi. 
Gli  amministratori  di  questi  beni  furono  tre^  eletti 
da  tre  Sesti  della  città ^  il  di  cui  offizio  durava  due 
mesi,  e  passava  indi  agli  altri  tre  Sesti:  ed  ecco 
l'origine  dei  celebri  Capitani  di  parte  guelfa,  la 
potenza  dei  quali  tanto  crebbe  in  appresso,  che  di- 
vennero come  vedremo  i  tiranni  della  repubblica. 

11  Potestà,  o  Vicario  del  Re  Carlo  coi  la  Buonuo- 
mini,  che  corrispondevano  ai  dodici  Anziani,  non 
potevano  che  deliberare,  e  far  le  proposizioni  :  que- 
ste doveano  essere  il  dì  seguente  approvate  nel  Con* 
siglio  degli  80,  formato  parte  di  Grandi^  parte  di 
popolo  uuiti  alle  Capitudiui  delle  Arti,  e  final- 
metite  la  risoluzione  passata  nel  Consiglio  dei  3oo 
prendeva  forza  di  legge  (i8).  Per  le  comuni  rivo- 

(18)  Rìcor.  Mal.  Gap,  186. 


CAPITOLO  QUINTO  89 
luzionì^  in  cui  gli  uomini  seguono  il  partito  cleì~^. 
vincitori^  tornarono  le  città  di  Toscana  Guelfe,  di C. 
trattane  Pisa,  e  Siena:  la  parte  dominante  perse-  ^^^7 
guitava  ostilmente  la  vinta  per  la  Toscana,  e  tutti 
gl'incontri  erano  distinti  da  tratti  scambievoli  di 
rabbia  dei  quali  il  seguente  ne  sìa  un  esempio.  In 
S.  Ellero,  o  Ilario  si  erano  refugiati  molti  Ghibel- 
lini, onde  facevano  delle  scorrerie  sul  contado  fio- 
rentino; vi  andò  il  Vicario  di  Carlo ^  e  lo  espugnò 
con  gran  strage  dei  nemici,  fra  i  quali  è  memora- 
bile un  giovane  degli  liberti,  che  piuttosto  che  ca- 
etere  nelle  mani  dei  suoi  arrabbiati  antagonisti ,  si 
gettò  da  un  campanile  (19).  Ansiosi  i  Guelfi  di 
vendicarsi  della  rotta  di  Monteaperti,  volsero  le 
loro  forze  contro  i  Sanesi:  attaccarono  Poggibonzi^ 
ove  si  erano  radunati  molti  Ghibellini:  si  difesero 
questi  con  tanto  valore^  che  essendo  venuto  a  Fi- 
renze lo  stesso  Re  Carlo,  consumò  circa  4  niesi  nel- 
Fespugnazione  di  quella  terra,  e  finalmente  man- 
cativi afi*atto  i  viveri^  T ottenne  per  capitolazione. 
Pisa^  e  Siena  in  Toscana,  come  più  potenti,  si 
mantenevano  unite  per  sostenere  1'  avanzo  della 
fazione  Ghibellina. 

Gli  stabilimenti  dei  Pisani  in  Sardegna  erano 
stati  presi  di  mira  da  diversi  avventurieri,  che  cer- 
cando regni  si  volgevano  al  Papa,  che  gli  dispen- 
sava. Don  Arrigo  3  fratello  di  Alfonso  re  di  Casti- 
glia^di  spirito  turbolento,  ed  inquieto,  costretto 
f>erciò  dal  fratello  a  partire  dalla  sua  corte,  dopo 
un  lungo  soggiorno  in  Tunisi  era  venuto  in  Italia. 
Cugino  del  re  Carlo^  che  in  mezzo  alle  ricchezze 

(19)  Rie*  Malasp.  Gap.  187. 


90  LIBRO  TERZO 

^^  di  Sicilia  ^  e  dì  Napoli  era  sempre  poyero,  gli  avea 
j °^  sommÌDÌ8trato  aomme  rilevanti  di  denaro^  e  ambi- 
ia67  va  di  esser  dichiarato  re  di  Sardegna:  il  ano  cugino 
vi  si  opponeva  pretendendo  di  essere  investito  di 
queir  isola  egli  stesso,  ciocché  forni  un'opportunità 
al  Papa  di  non  concederla  ad  alcuno ,  avendovi 
sopra  delle  mire.  Era  sempre  viva  la  madre  diEn« 
zo,  e  dal  tempo  in  cui  esso  restò  prigioniero  dei 
Bolognesi  avea  governata  malamente  la  provincia 
di  Torri  coirajuto  di  Michele  Zanche,  uno  dei  ce- 
lebri barattieri  condannato  da  Dante  air  Inferno, 
ministro^  o  marito  di  quella  vecchia  Signora  (so). 
La  Corte  di  Roma ,  che  non  perdeva  occasione  di 
accrescere  il  suo  dominio,  teneva  presso  di  lei  m 
Padre-maestro,  come  Vicario  Papale,  che  vi  aveva 
introdotto  non  poche  roiliaue  Guelfe:  n'ebbero  ge- 
losia ì  Pisani,  vi  spedirono  una  poderosa  armata 
comandata  dal  Conte  Ugolino  dei  Gherardeschi , 
che  cacciandone  i  Guelfi,  vi  ristabilì  il  dominio 
pisano.  Si  adirò  il  Pontefice,  minacciò  i  Pisani  dei 
soliti  fulmini  ecclesiastici ,  ma  si  astenne  dal  vib^a^ 
gli ,  forse  perchè  questa  Repubblica ,  che  gli  avea 
più  volte  lungamente,  e  pazientemente  sofferti , 
non  vi  si  accostumasse,  e  finisse  per  non  curarli  (ii). 
Esclusi  tutti  i  pretendenti  al  dominio  di  quest'iso- 
la, l'inquieto  Don  Arrigo  di  Castiglia  ottenne  di 
laSS esser  creato  Senatore  di  Roma,  Frattanto  il  Be 
Carlo,  che  agiva  col  titolo  di  Vicario  imperiale,  ri- 
cevuto dal  Papa  dopo  la  presa  di  Poggibonsi,  si 


(ao)  Dante  Infer.  Can.  aa.  Tedi  il  Comento  di  BeiiTenotodi 
Imola. 

(ai)  Vedi  Bfartene  Anecd.  tom.  a.  e  Gav.  Flam.  dal  Borjp 
àìs».  7.  sulla  ator.  Pia* 


CAPITOLO  QUINTO  91 
portò  aul  pìflaiK)  contado  ,  occupando  castelli ,  e  ^=7 
ruinando  le  torri  del  Porlo  pisano.  Si  dolsero  i  Pi-  ^-  q^ 
saoi  col  Papa,  che  questo  Re,  sua  creatura,  dopo  i^cs 
averli  perseguitati  nei  suoi  stati ,  spogliati  dei  loro 
beni,  e  sbandili,  venisse  a  turbar  la  Toscana:  gli 
rispose  esso  una  lettera  assai  singolare,  in  cui  ap- 
prova interamente  il  Re  Carlo,  e  minaccia  ai  Pisa- 
ni, se  persisteranno  nel  loro  partito  mille  sciagu- 
re (:i2)«  Pisa  però,  e  il  partito  Ghibellino  aveano 
ripreso  coraggio  alle  nuove  dell'imminente  venuta 
del  giovane  Corradino,  che  si  preparava  a  ricon- 
quistare colle  armi  i  suoi  ereditar)  regni  delle  Sici- 
lie. Questa  mossa  mise  in  movimento  tutta  l'Ita- 
lia; i  popoli  delle  Sicilie  sempre  scontenti  si  solle- 
varono io  molte  parti,  e  Roma  stessa  agitata  dal 
turbolento  Senatore  Don  Arrigo,  si  dichiarò  in  fa- 
vore di  Corredino,  essendo  perseguitati,  e  spogliati 
i  Guelfi.  Si  ritirò  sollecitamente  Carlo  di  Toscana, 
correndo  alla  difesa  dei  suoi  regni,  avendo  lasciata 
uua  piccola  truppa  sotto  il  comando  di  Guglielmo 
Braisleve  • 

Corredino  era  fra  i  i5  e  16  anni;  e  per  la  sua 
tenera  età,  la  madre  si  opponeva  all'impresa:  ma 
Tardor  guerriero  che  l'animava  superò  gli  ostacoli 
del  materno  timore  •  Lo  accompagnava  un  altro 
giovinetto,  ed  amico,  della  stessa  età  all'incirca, 
Federigo  di  Austria.  Con  buono  esercito  entrati  in 
Italia,  ai  arrestarono  in  Verona ,  donde  per  man- 
canza di  denaro  molte  delle  lor  truppe  tornarono 

(sa)  Questa  singoiar  lettera  e  riportata  dal  Marlene  Thesaur. 
Anecd.  Vedasi  il  Cay.  Flam.  dal  Borgo  diss.  7.  sull'Ist.  Pis.,  il 
quale  piccato  di  vedere  i  suoi  concittadini  paragonati  dal  Papa  ad 
Erode»  rileva  gli  anacronismi  del  Papa* 


ga  LIBRO   TERZO 

.  indietro .  Intanto  i  fuorusciti  Ghibellini  si  unirono 
jjiC^con  essi  in  gran  copiale  le  città  di  quel  partilo 
ia68  fecero  a  gara  a  somministrare  denaro.  Pisa  si  di- 
stinse sulle  altre  ;  spedì  dieci  galere  ai  porto  di 
Vado,  ove  si  imbarcò  Corradiuo,  giunse  felice- 
mente al  porto  pisano,  e  fece  il  solenne  ingresso 
in  Pisa  il  sabato  santo,  7  di  aprile.  Dopo  breve 
tempo  arrivò  il  suo  esercito,  che  traversata  la  Lom- 
bardia era  passato  pel  Pontremolese,  e  fu  fornito 
dai  Pisani  di  viveri.  Nel  tempo  in  cui  si  trattenne 
in  Pisa  fece  dei  movimenti  contro  i  Lucchesi.  Si 
erano  con  essi  riuniti  i  Fiorentini ,  e  il  corpo  fraa- 
cese  lasciato  da  Carlo  :  queste  truppe  andarono  os- 
servando i  nemici,  e  schermendosi  contro  il  no- 
merò superiore:  stettero  tuttavia  a  fronte  qualche 
tempo  i  due  eserciti  divisi  dalla  Guscianella.  Si 
contentò  Gorradino  di  devastare  le  campagne  luc- 
chesi, non  volendo  impegnarsi  in  un'azione,  che 
potesse  o  diminuir  le  sue  forze,  o  distrarlo  dalla 
principale  impresa.  Trenta,  ovvero  /^o  galere  (aS) 
furono  approntate  dai  Pisani  in  servigio  di  questo 
Principe,  che  doveano  favorire  le  sue  operazioni  di 
terra,  ove  entrarono  più  di  cinque  mila  Pisani:  e 
veramente  non  solo  dettero  il  guasto  alla  spiaggia 
napoletana ,  ma  fecero  dei  tentativi  i  più  arditi. 
Erano  venute  sa  galere  dalla  Provenza  a  Messina, 
e  unitesi  con  esse  nove  galere  messinesi,  si  trovaron 
in  faccia  ai  Pisani .  Presero  questi  il  largo  forse  per 
guadagnare  il  vento:  le  messinesi  credendo  che  si 
ritirassero  ne  cominciarono  la  caccia,  ma  non  furo- 
no seguite  dalle  provenzali  ;  onde  trovatesi  sole  at- 

(a 3)  Variano  gli  Scrittori.  Saba  Malasp.  ne  conta  solo  sS. 


CAPITOLO  QUINTO        gS 
taccate  vivamente  dai  Pisani  fuggirono  alla  spiag-  ^^, 
già,  8ù  cui  si  salvarono  i  Messinesi^  abbandonati  i  ^^q 
legni:  non  contenti  i  Pisani  delle  galere^  smontaro-  ^^^^ 
no  arditamente  sul  lido^  ed  attaccarono  i  fuggitivi, 
che  si  refugiarono  in  Messina,  e  nel  porto  stesso 
furon  dai  Pisani  bruciate  le  galere  cattive  (^4)*  ^^ì^* 
dero  indi  il  sacco  a  Milazzo ,  e  più  grandi  successi 
avrebbero  ottenuto,  senza  la  discordia  dei  Coman- 
danti •  Era  partito  da  Pisa  Corradino  il  di  j5  giu- 
gno, essendogIÌ3Ì  unito  gran  numero  di  Pisani,  con- 
dotti da  Gherardo  dei  Conti  di  Donoratico.  Prese 
la  strada  di  Siena,  evitando  Firenze,  ove  si  stava 
in  gran  sospetto:  fu  ricevuto  volentieri  a  Poggibon- 
zi,  ed  a  Siena:  allora  il  Braisleve,  che  vedeva  la 
sua  truppa  inutile  in   Toscana,  pensò  di  portarsi 
verso  il  R^no  in  ajuto  del  suo  Uè  Carlo,  e  prese  la 
strada  aretina  coi  soli  Francesi:  avvisatone  Corra- 
dino, mandò  segretamente  una  parte  dei  suoi  verso 
Laterìne,  che  si  posero  in  aguato  a  un  passo  stret- 
to, chiuso  da  una  parte  dai  monti,  dall'altra  dal- 
TArno  al  Ponte  a  Valle,  ove ,  colto  improvvisamente 
questo  corpo,  restò  intieramente  o  morto,  o  prigio- 
niero (a^).  Proseguì  la  sua  marcia  Corradino  verso 
Roma:  il  Papa  si  era  chiuso,  e  fortificato  in  Viter- 
bo, ove  avea  cominciato  la  sua  guerra  contro  ì  ne- 
mici di  Carlo  ,  scomunicando  Corradino  ,  e  i  Pi- 
sani, e  privando  questi  deirpnore  della  Sedia  Ar- 
civescovile. Dopo  gli  applausi,  e  le  feste  (36)  con  cui 
fu  ricevuto  in  Roma,  si  avanzò  Corradino  con  gres- 

(a4)  Saba  Malasp.  rer.  ital.  toro.  8. 
(  a 5)  Rico.  Malasp.  e.  1 9 1 .  forse  il  Ponte  a  Romito .  / 

(a6)  Le  feste  singolari  e  la  pompa,  e  ostentazione  delle sup- 
pelleUili  preziose  che  fecero  in  quest  occasione  i  Rom^ini,  possono 
vedersi  nell'Istor.  di  Saba.  Malasp.  loco  cit.  e  lib.  4*  9  6. 


94  LIBRO  TERZO 

so  esercito  ad  affrontare  il  nemico ^  ch'era  venato 
^."J?*  ad  opporsegli  verso  Tagliacoszo:  ivi  »i  venne  alle 
ia6S  mani  il  dì  tiS  agosto.  É  assai  nota  questa  battaglia, 
e  la  vittoria  che  Carlo  dovette  ad  A  lardo  di  Valé- 
ry: sapeva  egli  Toso  dei  Tedeschi  di  disordinarsi 
al  principiar  della  vittoria  per  avidità  di  rubare: 
fece  nascondere  dietro  ad  un  colle  la  truppa  mi- 
gliore insieme  col  Re  Carlo.  Cominciata  raziooe^e 
rotti  sul  bel  principio  i  Francesi^  si  disordinarono 
i  Tedeschi  per  correre  al  bottino,  come  avea  previ- 
sto Alardo:  esci  fuori  allora  Carlo  con  quella  scelta 
schierale  pienamente  gli  sconfisse  (27) .  Disperso 
r  esercito  ;  Corradi  no  con  Federigo  Duca  di  Austria, 
e  Gherardo  da  Pisa,  trovatisi  soli,  si  travestirono 
per  salvarsi,  e  noleggiato  in  Astura  un  piccolo  le- 
gno,  vi  s^ imbarcarono.  Venuto  il  sospetto  che  fos- 
sero persone  d^mportauza  da  un  anello  prezioio, 
che  Corradino  per  mancanza  di  denari  offerse  al 
padrone  della  barca,  fu  data  loro  la  caccia  del  Fran- 
gipane j  Signore  del  luogo,  ed  arrestati ,  vennero  in 
mano  di  Carlo.  È  nota  la  barbara  sentenza,  con 
cui  questo  sanguinario  Re  condannò  Corradino  a 
perder  la  testa  sul  palco ,  senz'  altro  delitto  che 
Taver  tentato  di  ricuperare  colle  armi  il  regno  pa- 
terno. Sofferse  intrepidamente  la  morte  il  real  gio« 

(27)  Questa  ò  la  relazione  dì  tutti  gli  storici  del  tempo  :  è  Te- 
rOt  che  nella  lettera  del  Re  Carlo  al  Papa,  scrìtta  sul  campo  di 
battaglia ,  riferita  dal  Martcue  (Tfaesaur.  Anecd.  epis.  690.)  non  si 
fa  parola  dello  stratagemma  di  Alardo  :  ma  potendosi  snppom 
che  il  Re  non  volesse  attribuire  ad  altri  il  mento  di  tanta  vittoria, 
abbia  taciuto  quella  circostanza,  si  è  creduto  doversi  conformare 
air  universale  consenso  degli  storici  di  quei  tempi.  Vedasi  Rie 
Malesp.c.  193.  Gio.  Vili.  Nicobald.  rer.  ital.  tom.  9,  Saba  Malas. 
rer.  ital.  tom.  8.  Sozoro.  Istor.  Carlo  in  memoria  ddla  vittoria  fece 
presso  Tagliacozzo  fabbricare  una  Badia  col  nome  di  Santa  B|*rÀ 
della  Vittoria  • 


CAPITOLO  QUINTO        96 
▼inetto,  e  soltanto  si  dolse  dell' afflisiooe,  che  ana 

A        * 

Ul  nuova  avrebbe  recata  alla  sventurata  sua  ma*  ^(^ 
dre^  e  della  aorte  dei  compagni^  che  avea  involti  >a^ 
nella  sua  disgrazia  ;  e  dopo  averli  abbracciati  e  ba- 
ciati, aoffri  il  colpo  fatale.  Fini  in  esso  la  Gisa  di 
Svevia  resa  tanto  illustre  dai  due  Federighi ,  e  da 
Manfredi.  I  Napoletani  non  senza  lacrime  mirarono 
la  ferale  esecuzione:  Tetà  tenera,  la  bellezza,  l'in- 
nocenza, e  il  coraggio  del  giovinetto  lo  avean  reso 
piò  interessante:  dopo  di  lui  anche  Federigo  d'Au- 
stria f  e  il  conte  Gherardo  da  Donoratico  perdcrono 
la  testa.  Galvano  Lancia  ;  si  vide  prima  morir  sot- 
to gli  occhi  il  suo  figlio,  indi  subì  la  stessa  sorte, 
come  moltissimi  altri  Principi,  e  Baroni.  Carlo  si 
segnalò  in  crudeltà:  le  città  saccheggiate,  i  popoli 
trucidati ,  i  soldati,  che  avean  fatto  il  loro  dovere, 
impiccati,  sigillarono  la  vittoria.  Colla  comica  rap- 
presentanza delle  formalità  di  un  giudizio,  invano 
volle  Carlo  dare  una  vernice  di  equità  ad  un  atto 
barbaro:  la  morte  di  Corradino  era  necessaria  alla 
sua  sicurezza,  e  di  rado  gli  ossequiosi  giudici  mani- 
festano un'opinione  diversa  da  quella  del  Sovra- 
no (a8) .  La  flotta  pisana,  sentita  la  disgrazia,  e  la 
trista  catastrofe  del  Principe  Svevo,  si  ritirò  al  suo 
porto. 

La  ruina  di  Corradino  portò  la  costernazione  ai 

(a8)Ricobaldo  storico  ferrarese  narra  di  avere  inteso  da  Gìo- 
vaccbino  da  Reggio,  che  si  trovò  presente  al  giudizio,  che  fra  gli 
altri  Guido  da  Sozzara  «  lettore  di  leggi  in  Modena ,  e  in  Reggio , 
che  era  allora  in  Napoli  «  sostenne  pubblicamente  che  Corradino 
noo  potea  condannarsi*  Mur.  An.  aitai.  La  stoccata  da  Roberto 
di  Fiandra  tirata  nel  petto  al  Giudico  che  avea  letta  la  condanna 
(  Rico  Mabs.  e  gS.  ),  il  guanto  tirato  da  Corradino  in  segno  d*  in- 
'vestitora  dei  suoi  dritti  in  D.  Pietro  di  Aragona  (  Aen.  Siivius, 
hiftlor.  Austr.  )  sentono  molto  la  favola» 


gC  LIBRO  TERZO 

"Ghibellini  d' Italia ,  e  in  specie  a  quelli  di  Firense. 


^"^1  Molti  di  questi  si  trovavano  in  Siena,  ove  si  era 
ia6&  ridotto  anche  il  Conte  Novello  dopo  la  sua  vergo- 
,269  gnosa  fuga.  Si  erano  assoldate  alcune  squadre  di 
Tedeschi^  e  Spagnoli,  avanzo  dell'esercito  di  Cor- 
radi no  da  Provenzano  Sai  vani  ^  ch'era  quasi  Signo- 
re di  Siena  (29)9  cogli  ajuti  dei  Pisani  e  dei  fuoru- 
sciti guidati  dal  Conte  Guido  Novello^  si  era  fatto 
un  grosso  esercito,  il  quale  si  mosse  contro  Colle. 
Non  erano  in  Firenze  che  4^0  cavalieri  francesi: 
senza  perdere  un  istante  con  questi  il  Vicario  di 
Carlo,  Gio.  Bertaldo,  e  con  quella  fiorentina  trup- 
pa che  subito  lo  potè  seguire,  si  avanzò  contro  i 
nemici  assai  più  numerosi,  e  profittando  del  disor- 
dine in  cui  si  pose  il  campo  nel  mutar  la  posizione, 
gli  attaccò,  e  gli  ruppe  con  gran  strage  dei  Sanesi. 
La  memoria  di  Monteaperti  rese  crudeli  i  j^iorenti- 
ni .  Provenzano  preso  ebbe  mozzo  il  capo  come 
molti  altri:  ciò  non  accadde  al  Conte  Guido,  che 
con  più  cautela,  o  paura,  si  mise  per  tempo  in  sal- 
vo. Fu  fatta  la  pace  coi  Sanesi  con  patto  che  fosse- 
ro di  Siena  cacciati  i  Ghibellini;  e  in  tal  guisa  an- 
la^oche  Siena  divenne  Guelfa.  Fra  i  Ghibellini  obbli- 
gati a  fuggire  vi  furono  tre  ragguardevoli  persone 
degli  liberti,  forse  figli  di  Farinata,  e  un  Grifoni 
di  Figline.  Arrestati  nella  fuga,  e  condotti  a  Firen- 
ze, interrogato  sopra  di  loro  il  sanguinario  Re  Car- 
lo, gli  condannò  alla  morte:  non  si  perdonò  che 
al  più  giovinetto  degli  liberti  per  la  sua  età^  ma 
con  una  sorte  anche  peggiore  fu  mandato  prigione 
a  Capua  ove  finì  infelicemente  i  suoi  giorni.  DegU 

(39)  Guido  da  Cor.  His.  Pis.  fragni,  rer.  ilal.  I.  a4* 


CAPITOLO  QUINTO        97 
altri  due  fratelli.  Assolino  neir andare  a  morire^ 
interrogato  da  Nericozxo  ove  fossero  condotti ,  co-  ^i  q[ 
raggiosamente  rispose,  a  pagaie  un  debito  lascia-  >^7o 
ioci  dai  nostri  maggiori,  mostrandosi  degno  figlio 
dì  Farinata  (3a)  .  Poggibonzi  in  ogni  tempo  centro 
di  questa  fazione,  e  ora  ribelle  ai  Fiorentini,  fu 
disfetto;  era  allora  grande,  e  popolato,  ed  avea 
r apparenza  più  di  una  città,  che  di  una  terra. 
Ostina  poco  avanti  avea  avuto  la  stessa  sorte.  Il  par- 
tito Guelfo  dominava  ora  in  Toscana;  Pisa  quasi 
sola  conservava  il  suo  attaccaniento  al  partito  Ghi- 
bellino: era  però  incapace  di   resistere  a  tanti  ne* 
mici  sostenuti  da  un  re  vittorioso,  e  potente:  eb- 
bero i  pisani  uua  felice  occasione  di  accomodarsi 
seco,  e  coi  nemici  guelfi.   Il  di  lui  fratello,  il  San* 
to  Luigi  re  di  Francia ,  animato  sempre  dallo  zelo 
di  combattere  i  Saraceni ,  e  sempre  infelice  nelle 
sue  imprese,  condusse  una  potente  armata  contro 
Tunisi  y  e  invitò  anche  il  fratello  Carlo:  questo, 
che  temeva  le  flotte  dei  pisani ,  e  le  conseguenze 
di  una  guerra  che  lasciava  accesa  in  Toscana  nella 
sua  assenza,  si  accomodò  facilmente  con  essi,  non 
sdegnando  di  mandare  quattro  Ambasciatori  alla 
repubblica ,  coi  quali  fu  convenuto  facilmente  delle 
condizioni  :  per  le  altre  città  toscane  si  tenne  un, 
congresso  in  Pistoja,  ove  si  fece  per  la  mediazione 
del  regio  Vicario,  e  degli  altri  Ambasciatori  un  ac« 
cordo. 

Composte  le  cose  di  Toscana,  vi  fu  pace,  e  la 
fiorentina  Repubblica  passò  qualche  tempo  tran- 
quilla sotto  la  protezione  del  Re  Carlo.  Restava  pe* 

(3o)Guidus  de  Corvar«t Rerum  italicarum  scrìptores,  tom.  a4. 

TtUHO  li,  '  7 


c)8  LIBRO  TERZO 

■^  rò  sempre  vivo  V  odio  tra  i  due  partiti  in  Italia  ;  e 
di  e!  I>^"chè  nella  città  di  Firenze  il  fuoco  foise  coperto 
>»7o  dalle  ceneri,  mancando  le  forse  non  il  mal  aniaio 
ai  nascosi  Ghibellini,  era  pronto  a  divampare  al 
primo  soffio.  Cbi  non  v'era  interessato  vedeva  la 
necessità  di  togliere  tanto  scandalo  •  Tale  era  il 
PonteGce  Gregorio,  che  quantunque  italiano,  vis- 
suto molto  tempo  fuori  d'Italia  (Si)}  non  conosce- 
va i  mondani  interessi,  né  T importanza  pel  soo 
domiuio  secolare  di  sostenere  una  fazione  ai  Papi 
aderente;  facilmente  perciò i  Pisani  si  riconciliaro- 
no seco,  colla  condizione  di  ricevere  guarnigione 
del  Papa  in  alcuni  castelli  controversi.  Furono  as- 
soluti, e  restituito  a  Pisa  Tonore  della  Sedia  Arci- 
vescovile (3a).  intanto  egli  era  venuto  in  Firenze 
per  passare  a  Lione,  ove  avea  ordinato  un  Concilio 
generale  per  eccitare  nuovamente  i  fedeli  all' im- 
presa di  Terra  Santa.  Fu  nello  stesso  tempo  Firen- 
ze decorata  dalla  presenza  di  Carlo  Re  delle  Sici- 
lie, e  del  greco  Imperatore  Baldovino  II,  che  dopo 
aver  passata  la  prima  gioventù  come  un  regio  men- 
dicante alle  Corti  Europee,  dopo  aver  seduto  fra  i 
bisogni,  e  lo  stento  per  pochi  anni  sul  trono  di  Co- 
stantinopoli,  cacciato  di  Grecia,  era  tornato  alla 
primiera  vita  miserabile,  e  vagabonda .  Molti  Car- 
dinali, e  Baroni  accompagnarono  questi  Sovrani. 
In  faccia  ad  essi  il  virtuoso  Pontefice,  pieno  di  apo- 
stolico zelo,  si  accinse  a  pacificar  gli  animi,espeD- 
ger  le  discordie  :  non  osarono  i  Guelfi  resistere  alla 
sua  autorità,  e  con  solenne  funzione,  resa  più  mae- 

(3i)  Era  stato  Arcidiacono  di  Liegi,  poi  passato  io  Sorùi  ave- 
va  avuta  la  nuova  della  sua  elezione  in  Acri. 
(3u)  Guid.  de  Gorv.  rer.  ital.  tom.  a4. 


CAPITOLO  QUINTO        99 
stosa  dalla  presenza  di  tanti  augusti  Personaggi  ^  es- 
sendo  stati  richianaatì  molti  degli  esuli  Ghibellini ,  die. 
si  fece  pubblicantiente  la  pace  tra  i  due  partiti.  Era-  ^^7'> 
DO  stati  eretti  dei  palchi  sul  greto  di  Arno  presso 
il  Ponte  Rubaconte.  lyi  si  abbracciarono  e  baciaro- 
no i  principali  delle  due  fazioni.  Il  Papa  fulminò 
le  più  forti  censure  contro  i  violatori:  ma  il  Re 
Carlo  piò  politico  che  pio^  non  amava  la  riconcilia* 
zione  y  contraria  ai  suoi  interessi,  e  che  gli  avrebbe 
tolto  l'influenza  sopra  questa  potente  Repubblica. 
Non  erano  passati  4  giorni,  che  dai  ministri,  del  ^^i^ 
Re,  e  da  altri  del  partito  Guelfo  insultati ,  e  minac* 
ciati  i  Ghibellini  stimaron  meglio  cercar  la  sicurez- 
za nella  fuga,  che  nelle  promesse,  e  censure  ponti- 
ficie «  Irritato  il  Papa  se  ne  parti,  lasciando  la  città 
interdetta  (33).  Giunto  in  Lione  vi  tenne  un  solen- 
ne Concilio,  T  oggetto  principale  fu  il  solito  scopo 
di  quel  tempo,  a  cui  si  dirigeva  il  non  anche  estin- 
to entusiasitio  di  Europa,  cioè  la  conquista  di  Ter- 
ra Santa:  si  presero  delle  misure,  e  per  rimuovere 
ogni  ostacolo  al  passaggio  dall'Europa  all'Asia,  si 
fece  tra  i  Greci  e  i  Latini  una  delle  tante  ricouci* 
liazioni  apparenti.  , 

Nella  pace  &tta  in  Toscana  tutte  le  città,  o  di  1274 
buon  grado,  o  per  forza  erano  divenute  Guelfe,  o 
almeno  prendevano  la  legge  da  questa  fazione,  fuori 
che  Pisa^  che  con  più  dignità  dell'altre  nella  pace  1275 
restò  ghibellina;  era  tollerata  dalla  fazione  guelfa 
toscana  per  non  riaccendere  una  guerra  pericolosa, 
giacché  pareva  che  fossero  i  cittadini  pisani  uniti 
concordemente  iu  quel  partito:  ma  presto  nacquero 
ancor  là  dei  tumulti.  I  Visconti,  e  Gherardeschi, 

(33)  Malasp.  Gap.  198.  Amm.  iib.  a. 


loo  LIBRO  TERZO 

famiglie  principali  di  Piaa^  erano  Guelfe:  la  priin* 
di"c!  po^^^d^vft  il  giudicato  di  Gallura  in  Sardegna ,  ed 
1275  affettando  quella  prepotenza  di  cui  si  facevan  glo- 
ria i  Signori  in  quei  tempi ,  fin  dagli  anni  scorsi 
avea  eccitato  dei  pericolosi  tumulti.  Giovanni  Vi« 
sconti  y  dopo  aver  fatto  assassinare  un  Gualfredncci 
Ghibellino,  e  tolti  colla  violenza  dalle  mani  dei 
pubblici  esecutori  i  sicarj,  citato  davanti  al  trìba- 
nale,  osò  comparirvi,  e  confessare  audacemente  il 
delitto.  Il  debole  Governo,  benché  pronunziasse 
contro  di  lui,  e  del  Conte  Ugolino  Gherardeschi, 
da  cui  era  stato  il  Visconti  sostenuto  nelle  sue  pre- 
potenze, la  condanna  di  confine  del  primo  a  Rosi- 
gnauo  e  a  Vada ,  del  secondo  a  Montopoli  y  fa  co- 
stretto dopo  i5  giorni  a  richiamarli.  Tornati  a  Pi- 
sa, fieri  dell'impunità,  Giovanni  divenuto  più  in- 
solente fece  assassinare  due  altri  cittadini  pisani  y  e 
vedendo  che  il  popolo  irritato  stava  per  muover» 
contro  di  luì,  se  ne  fuggi  in  Corsica  nel  suo  giudi  - 
cato  di  Gallura.  Perseguitato  però  ivi  colle  arraì  dai 
Pisani,  vinto,  e  fuggitivo  salito  sulle  galere  del  Re 
Carlo ,  sì  riparò  presso  i  Conti  di  S.*  Fiora ,  ed  ebbe 
•  da  Pisa  T esilio.  Il  Conte  Ugolino  della  Gherarde- 
sca,  ricusando  di  pagare  la  tassa  di  una  Signorìa 
posseduta  in  Corsica,  n'era  stato  privato^  e  po- 
sto in  prigione.  Altre  famiglie  potenti  erano  acoo- 
tente  perchè  costrette  a  obbedire  alle  leggi  :  il 
Conte  Anselmo  di  Capraja ,  e  gli  Upeuinghì  si 
partirono,  ed  andarono  ad  unirsi  coll'esule  Viscon- 
ti. Il  malcontento  di  questi  Pisani  diede  animo  ai 
Guelfi  di  mutar  lo  stato  di  quella  R^ubblica^  fe- 
cero lega  la  maggior  parte  delle  città  toscane  coi 
ribelli,  e  dettero  loro  ajuto.  Il  feroce  vecchio  Gìo- 


CAPITOLO  QUINTO  loi 
TaDoi  VucoDtì  8Ì 1110866  contfo  la  patria,  pose  Tas-^ 
aedio  al  castello  di  Montopoli,  e  se  ne  rese  padrone .  ^^q] 
Reclamarono  invano  i  Pisani  al  Re  Carlo,  con  cui  la?^ 
avean  conchiusa  la  pace:  dette  loro  buone  parole, 
e  lettere  pel  suo  Vicario  in  Toscana  con  ordine  di 
desistere  dalla  guerra,  ma  probabilmente  gli  man* 
dò  segretamente  un  contrordine:  giacché  seguitò  il 
Vicario  ad  agir  contro  i  Pisani,  né  fu  la  trasgres* 
fione  punita  col  suo  richiamo,  e  per  altra  parte  im« 
portava  molto  al  Re  Carlo,  che  Pisa  sola  in  Tosca- 
na Ghibellina,  mutasse  fazione.  Morì  frattanto  in 
Montopoli  Giovanni  Visconti  col  suo  figlio  Lapo, 
ma  non  cessò  la  guerra  (34)  *  ^'^"  ^^^^  cittadini  la 
fomentarono.  Escito  di  prigione  il  Conte  Ugolino, 
anelando  alla  vendetta,  se  ne  partì  coi  suoi  figli 
per  Lucca,  e  animato  dai  Fiorentini  proseguì  la 
guerra  contro  Pisa,  la  quale  era  inabile  a  resistere 
a  tutte  le  forze  della  Toscana  riuuite  ai  soldati 
francesi  condotti  dal  regio  Vicario:  furono  perciò  i 
successi  poco  felici  pei  Pisani.  Inutile  fu  la  barriera  ^^"fi 
del  fosso  Rinonico  (35),  scavato  fra  Pisa  e  Ponte- 
der a.  in  distanza  di  circa  otto  miglia  da  Pisa,  e 
lungo  circa  a  io  che  comunicava  coirArno:  benché 
difeso  dai  militari  ordigni,  fu  superato  dai  Fioren- 
tini (36).  Si  vide  Pisa  nella  necessità  di  accomo- 

(34)  SI  veggano  per  questa  serie  <li  avvenimenti  Guido  da 
CoTf ara ,  loco  cit.  V  iftor.  manos.  del  Can,  Roncioni ,  Cav.  Flam. 
dal  Borgo  diss.  8. 

(35)  Cosi  detto  dal  prossimo  Villaggio  Rinonichi,  e  per  sba- 
glio detto  dai  Fiorentini  istorici  Arnonico,  come  ha  dimostrato  il 
Cav.  Flam.  dal  Borgo  diss.  8.  dell'  ist.  Pis.  Passava  il  fosso  al  luogo 
oggi  detto  le  Fomacette  t  ove  sboccava  in  Arno  le  acque  che  con- 
daceva  dalle  palndi  »  servendo  cosi  a  due  oggetti  *  che  presto  di- 
vennero inutili.  La  difesa  era  piccola ,  e  piccolo  il  pendio,  difetto 
che  il  rialzamento  del  letto  di  Arno  rese  sempre  maggiore . 

(36}RicBlalas.cao3. 


f02  LIBRO  TERZO 

*  darsi;  e  ricever  la  legge  dai  vincitori:  fu  obbligata 


di"a  ^  restituir  la  terra  al  Conte  Ugolino^  altri  castelli 


1276 ai  collegati^  ed  a  rimettere  in  Pisa  assoluti  da  ogni 
bando  i  Guelfi  cac,ciati  (37)*  Ritornarono  in  Pisa 
come  trionfanti  il  Conte  Ugolino,  i  Visconti,  il 
Conte  Anselmo  di  Capra ja,  gii  Upezzinghi,  ed  aU 
tri  Guelfi;  e  quantunque  Pisa  si  mantenesse  Ghi- 
bellina, ebbero  costoro,  ed  in  specie  il  Conte  Ugo- 
lino grande  influenza  nel  governo,  giacché  sostenuti 
dal  partito  dominante  in  Toscana ,  non  potevano 
essere  senza  pericolo  delia  quiete  pubblica  colla 
forza  aperta  le  loro  operazioni  combattute.  U  santo 
Papa  Gregorio  sempre  dritto  nei  suoi  fini  scevri  di 
ogni  interesse  mondano,  indifferente  al  Guelfo,  e 
al  ghibellino  partito,  avea  fino  di  Lione  esclamato 
contro  questa  guerra,  e  fulminata  ancor  la  scomu- 
nica per  mezzo  del  suo  Legato  in  Pisa  contro  gli 
ostinati  guelfi,  benché  antichi  favoriti  della  Santa 
Sede  (38);  onde  ritornato  in  Toscana,  era  sempre 
più  irritato  coi  Fiorentini  già  posti  sotto  Tinterdet- 
to.  Nel  suo  viaggio  volle  fuggir  Firenze,  ma  fa  im* 
pedito  dalla  piena  dal  valicar  TArno  fuori  di  es* 
sa .  Non  essendo  decente  che  un  Papa  passasse  per 
una  città  maladetta,  la  ribenedi  nel  l'entrar  vi,  e 
tornò  ad  interdirla  quando  ne  fu  escito:  seguitando 
il  viaggio  giunto  in  Arezzo  mori,  e  vi  si  conserva 
beatificato  il  suo  corpo»  Avea  questo  Papa  stabilito, 
che  morendo  il  Pontefice  fuori  della  Curia,  nello 
stesso  luogo,  senza  perder  tempo  si  eleggesse  il  duo- 


(37)  Rie.  Malas.  e.  ao3.  Tolte  le  altre  condizìoui  possono  leg- 
gersi nella  cliss.  8.  sulP  isl.  PJs.  del  Cav.  Flam.  dal  Borgo . 

(38)  Guid.  de  Cor?,  loco  citai. 


CAPITOLO  QUINTO       io3 
vo  (39).  Il  palazzo  del  Vescovo  aretino  ebbe  perciò 
r  onore  di  divenir  Conclave,  ove  fu  eletto  il  nuovo  ^i  e. 
Pontefice  Innocenzo  V»  ^376 

Firenze  era  vissuta  qualche  anno  assai  tranquil- 1377 
la ,  mancandovi  il  fomite  della  ghibellina  fazione  ; 
ma  il  desio  di  soprastare  agli  altri  è  troppo  ineren- 
le  al  cuore  degli  uomini ,  germe  utile  quando  gli  1^78 
spinge  a  cercare  una  distinzione  con  azioni  virtuo- 
se, dannoso  quando  si  vuol  ottener  colla  forza.  Que- 
sto germe  pericoloso  si  sviluppa  più  facilmente  nelle 
Repubbliche,  nutrici  perciò  di  gran  virtù,  e  di 
gran  delitti,  ma  per  lo  più  turbolente,  e  agitate. 
Per  invidia  di  ricchezze ,  per  emulazione  di  pote- 
re, nasceva  già  in  Firenze  un'altra  fazione  tra  i 
Donati,  e  gli  Adimari,  che  si  traevano  dietro  altre 
famiglie  potenti ,  ed  in  parte  vi  trapelavano  insen- 
sibilmente le  mascherate  animosità  guelfa ,  e  ghi- 
bellina. Gli  uomini  di  senno  in  quei  lucidi  inter- 1^79 
valli,  nei  quali  la  ragione  dominava  sulle  passioni, 
vedendo  l'importanza  della  quiete,  accordatisi  col- 
la Comunità,  inviarono  ambasciatori  al  Papa  per 
pregarlo  a  riunire  gli  animi.  Niente  di  più  puerile 
sembrerà  al  sensato  lettore  che  le  si  frequenti  ricon- 
ciliazioni dei  Fiorentini  violate  quasi  subito  ;  ma 
sempre  son  fanciulli  nel  senno  gli  uomini  acciecati 
dal  partito.  Niccola  III  accettò  la  difficile  impresa, 
e  ne  incaricò  il  Cardinale  Frangipane  suo  Legato 
in  Romagna.  Era  egli  stato  religioso  Domenicano, 
e  celebre  predicatore.  Venne  a  Firenze  con  3oo  ca- 
valieri. I  Ghibellini  esuli  cercarono  di  essere  inclusi 
in  questa  riconciliazione  :  dopo  molti  maneggi  si 

(39)  Decretai.  6.  Bonifacì  8.  de  elee,  et  elee.  poss. 


to4  LIBRO  TERZO 

-  fece  r  accordo  traile  fesionì,  isi  richiamarooo  i  Ghi- 
^IQ  bellini,  e  aopra  molti  palchi  etetti  sulla  piazsa  vec- 
laSochia  di  Santa  Maria  Novella  il  di  i8  Gennajo,  in 
faccia  del  popolo  e  di  tutti  i  magistrati,  e  primarj 
di  ogni  fazione  ai  abbracciarono,  esortandoli  con  un 
eloquente  orazione  il  Cardinale  alla  concordia  (4o)« 
Furouq.  eletti  i4Buonomini,  8  GuelG,  e  6  ghibel- 
lini, e  in  mano  loro  posto  il  governo  della  città. 
Molti  cittadini  però  dell'uno,  e  delKaltro  partito, 
la  presenza  dei  quali  era  pericolosa  in  Firenze,  si 
confinarono  nel  patrimonio  della  Chiesa ,  altri  ab- 
bandonarono la  città,. ritirandosi  alle  loro  ville. 
Restò  confermata  solennemente  la  pace  generale  da 
ambe  le  parti,  dati  mallevadori  con  pene  pecunia*» 
laSi  rie  gravosissime  a  chi  vi  mancasse  •  Con  sifl^tta 
operazione  il  Papa  acquistò  in  Firenze  un'influen- 
za anche  più  grande  di  Cario,  la  di  cui  potenza 
era  dai  Fiorentini  temuta;  giacché  quantunque  si 
riguardasse  come  amico  e  creatura  della  Chiesa,  la 
soverchia  potenza  di  un  Re  faceva  sempre  gelosia 
al  dominio  dei  Papi,  ed  alla  fiorentina  Repubblica. 
Avea  però  egli  intanto  soflferto  dei  colpi  assai  dolo> 
rosi  :  la  Sicilia ,  che  gemeva  sotto  il  suo  scettro  di 
ferro,  scosse  finalmente  il  giogo.  Giovanni  di  Pro- 
ceda seguace  della  fazione  Sveva ,  fu  il  principale 
autore  del  movimento.  Carlo  gli  avea  confiscati  i 
suoi  beni.  Incitò  a  questa  impresa  Pietro  di  Arago- 
na, la  di  cui  moglie  Costanza,  figlia  di  Manfredi, 
ne  avea  ereditato  i  diritti.  Venne  Giovanni  stesso 
travestito  in  Sicilia  ad  infiammar  gli  animi  alla 
ribellione,  e  ottenne  dalTImperator  greco  sussidj 

(40)  Malasp.  Gap.  3o5.  Amm.  lìb.  3. 


CAPITOLO  QUINTO  io5 
in  denaro^  pronietteùdogU  una  potente  diversione 
all'impresa y che  Carlo  contro  di  lui  apparecchiava.  ^|  q^ 
Già  si  era  mosso  Pietra  con  la  sua  flotta  ,  quando  i  i^^i 
Palermitani  non  potendo  più  soffrire  gK  insulti,  e 
k  insolenze  dei  Francesi  cantarono  il  celebre  Ve- 
spro Siciliano,  in  cui  trucidarono  quanti  Francesi 
si  trovavano  in  quella  città:  tutta  risola  in  breve 
fa  perduta,  e  Pietro  di  Aragona  vi  fu  ricevuto  co- 
me un  angelo  liberatore.  Queste  disgrazie  di  Carlo 
Don  dispiacevano  molto  ai  Fiorentini,  giacché  la  di 
Ini  potenza  avea  cominciato  a  porgli  in  sospetto,  che 
un  Principe  avido  tanto  di  dominio  non  s'insigno- 
risse del  loro.  L'ultima  riforma  del  governo,  con 
cui  si  erano  ammessi  i  Ghibellini  fra  i  primi  rego- 
latori della  Repubblica ,  non  poteva  essere  stabile 
dettata  da  una  momentanea  espansione  di  cuore,  e 
dalla  coscienza  più  che  dalla  politica ,  dovea  com- 
parir pericolosa  alla  gelosia  dei  Guelfi,  tanto  supe- 
riori in  numero;  e  per  altra  parte  era  difficile  ad  ia8a 
ogni  mutazione  di  Rettori  trovare  sei  Ghibellini  di 
comune  sodisfazione:  i  patti  della  pace  stabilita  fu- 
rono rotti:  si  esclusero  dalle  cariche  i  Ghibellini,  ai 
confinati  si  trattennero  le  rendite ,  e  infine  furono 
dichiarati  ribelli .  Si  riaccendeva  il  fuoco  della  di- 
scordia ;  i  più  savj  cercarono  dei  rimedj  :  si  riuni- 
rono a  proporli  sei  cittadini ,  fra  i  quali  il  Cronista 
Dino  Compagni ,  benché  assai  giovine  e  perciò  ine- 
sperto dei  pericoli  dei  contrasti  popolari  ;  fu  ascol- 
tata la  sua  voce,  e  accettato  il  suo  consiglio;  si 
mutò  perciò  nuovamente  il  governo:  si  elessero  tre 
persone  chiamate  Priori  delle  Arti,  che  dovessero 
cambiarsi  ogni  due  mesi  :  era  questo  il  supremo 
Magistrato,  e  col  Capitano  del  popolo  trattava  i  più 


io6  LIBRO  TERZO 

"importanti  aflari  della  Repubblica;  fu  il  suo  prÌDci- 
di  G.  P'^  di  i5  giugno:  dopo  i  due  mesi  ne  fu  accresciuto 
laSail  numero  fino  a  sei,  eletti  da  ciascun  Sesto  della 
città:  questo  fu  il  principio  della  celebre  Magistra- 
tura, che  si  mantenne  per  tanto  tempo  in  Firenze. 
Pare  che  ayessero  il  potere  esecutivo ,  e  che  adunas- 
sero quando  ne  iacea  di  mestiere  i  Consigli  per  d^ 
liberare.  Attenti  poi  i  Fiorentini  a  ciò  che  potesse 
assicurare  di  più  la  Repubblica,  e  memori,  che  gf in- 
citatori alle  discordie  erano  sempre  i  nobili,  studia- 
rono di  tenerli  in  dovere:  non  stimando  giusto 
escluderli  dall'esercizio  delle  pubbliche  cariche, 
vollero  almeno  che  preso  il  nome  di  cittadino  si  a^ 
rolassero  ad  alcuna  delle  arti  (4i)* 

(4i)  Giac*  Malasp.  se^to  dell' istor.  Gap.  a  14.  Gìo.  YiH 
lib.  7.  e.  Sa.  Dino  Compagni  lib.  i* 


IC7 

CAPITOLO   FI. 

SOMMARIO 

Potenza  e  ricchezza  di  Pisa»  Guerra  coi  Genovesi .  Battaglia 
detta  Meloria,  e  rotta  dei  Pisani,  Lega  delle  città  guelfe 
contro  di  loro  •  Trattato  coi  Fiorentini ,  e  cessione  delle  loro 
castella .  Fazione  dei  Visconti  «  e  dei  GherardescìU  in  Pisa . 
Orribile  supplizio  del  Conte  Ugolino  eoijigli  e  nipoti,  Rijles- 
sioni  sui  delitti  attribuitigli,  Vicende  del  Governo  di  Siena, 
Morte  del  Re  Carlo  di  Napoli. 


JL  isa  Della  passata  guerra  era  stata  umiliatale  co 
stretta  a  ricever  la  legge  dai  vincitori:  ma  nelle ^^ni 
stesse  perdite  avea  mostrata  la  sua  potenza,  giacché  i^ga 
sola  contro  tutta  la  Lega  Toscana  y  sostenuta  anche 
dal  suo  re  Carlo,  si  era  per  qualche  tempo  corag- 
giosamente difesa;  e  se  avea  terminato  per  cedere, 
conservava  ancora  un  atteggiamento  Aero  ed  impo- 
nente. Popolata ,  e  ricca,  V  opulen2a  dei  suoi  citta- 
dini la  rendeva  una  delle  più  considerabili  città 
d'Italia,  giacché  i  Visconti, i  Gherardeschi ,  e  tan- 
t'altre  famiglie,  che  possedevano  Signorie,  e  terre- 
ni in  Corsica  ,  «e  in  Sardegna,  benché  colle  prepo- 
tenze talora  ne  turbassero  la  tranquillità,  vivevano 
con  grandezza,  e  splendore.  I  dispendiosi,  e  ma* 
gnifici  sacri  edifizi  del  Duomo,  di  S«  Giovanni, 
del  campanile  eretti  nei  due  passati  secoli,  e  del 
Campo-Santo ,  che  in  quest'  epoca  ebbe  il  compi- 
mento, 8on  prove  autentiche,  e  oculari  delle  loro 
ricchezze.  1  suoi  domini  erano  specialmente  sulla 
costa  marittima,  e  si  estendevano  dal  Corbe (i)  fino 

(i)  II  Corbo  o  Coi'vOyè  la  punta  orientale  del  golfo  della 
Spezia  pdco  dbtante  dalla  foce  della  Magra . 


io8  LIBRO  TERZO 

^a  Civita  Vecchia.  Signoreggiava  poi  sulle  isole  di 


^"^  Sardegna  I  Corsica,  Capraja,  Elba,  Pianora^Gor- 
ia3a  gona,  Giglio  f  Monte  Cristo  (a),  onde  si  scorge  cbe 
i  suoi  dominj  erano  pia  estesi  in  mare  che  in  terra- 
ferma, come  conviene  a  una  potenza  marittima.  E 
in  verità  la  sua  forza  era  specialmente  sul  mare, 
giacché  nei  mari ,  che  per  quel  tempo  si  dice?aoo 
remoti,  in  Levante,  sulle  coste  della  Siria  a?ei 
degli  stabilimenti  precarj  in  verità,  ma  sufficienti 
per  commercio,  e  in  fondo  del  mar  Nero  fino  nel 
XV  secolo,  un  porto  conservava  ancora  il  nome  di 
Porto  Pisano  (3).  Le  flotte  numerose  di  loo,  e  an- 
cora ooo  legni ,  armate  spesso  da  questa  Repub- 
blica ci  scoprono  le  sue  ricchezze,  originate  dall'in- 
dustria ,  e  dal  commercio  •  La  forza  marittima  for- 
mava la  sua  vera  potenza,  per  cui  era  rispettatale 
temuta  dagF  Imperatori ,  dai  Regi ,  e  la  sua  amici- 
zia spesso  sollecitata  :  ma  ella  si  accostava  alla  soa 
decadenza  •  Erano  stati  finora  i  Pisani  una  delle 
tre  principali  potenze  marittime ,  e  coi  Veneziani, 
e  i  Genovesi  si  erano  divisi  l'impero  dei  mari  allora 
conosciuti.  La  gelosìa  del  commercio  le  avea  spetso 
fatte  venire  alle  mani ,  e  ciascuna  cercava  il  ano 
ingrandimento  sulla  mina  dell'  altra .  Pisa  si  era 
veduta  sorgere  accanto  un'  altra  industriosa  repob- 
blica ,  la  fiorentina ,  le  di  cui  ricchezze^  e  potenti 
andavano  sempre  crescendo  •  Non  ne  avrebbe  do- 

(a)  Questo  dominio  ai  deduce  da  dae  aolenni  trattali  &tti(lM 
Pisani,  uno  deU'  anno  i a65  »  con  Re  di  Tunisi  Elmiro  di  Moniao, 
l'altro  nel  ii3o,  con  Mico  uno  dei  Re  affricani«  endqoilì  p(^ 
gì' interessi  reciproci  si  nominano  le  terre  dominate  dai  nsaai:  li 
possono  vedere  Flam.  dal  Borgo  deU'  istor.  Pis.  diss.  4*     .     .    . 

(3)  Vedasi  l' istor.  dei  Commer.  dei  Toscani  da  noi  riferita  m 
appresso.  Saggio  in. 


CAPITOLO  SESTO^  log 
Tuto  prendere  gelosia ,  perchè  inesperta  qaella  nei- 
Farti  marittime^  che  faceano  la  sua  poteota ,  ed^io, 
avendo  bisogno  del  mare,  sarebbe  stata  sempre  in  ^^^^ 
Dna  certa  dependenza  ^  quando  non  ne  fosse  tiran- 
neggiata. Era  dunque  l'interesse  di  Pisa  lo  starsi 
unita  con  Firenze,  potendosi  le  due  repubbliche 
spesso  giovare  con  degli  scambievoli  soccorsi.  Una 
£ilsa  politica  le  rese  rivali  per  la  diversità  delle  fa- 
zioni guelfa  e  ghibellina ,  che  furono  il  flagello 
deir  Italia  ,  e  pel  meschino  interesse  di  miserabili 
castelli.  La  vanità  di  estendere  uno  sterile  dominio 
stilla  terra  destò  fra  loro  ostinate  guerre >  in  cui  il 
sangue,  Tindustriai  e  Toro  furon  perduti,  che  im- 
piegati nell'oggetto  grande,  per  cui  furono  grandi 
queste  due  repubbliche,  la  navigazione,  e  il  com- 
mercio, le  avrebbero  probabilmente  rese  arbitre  del- 
ritalìa.  Pisa  cadde  dall'antica  grandezza,  prima 
perdendo  la  potenza  marittima,  indi  la  libertà,  nel 
tempo  che  manteneva  una  rivalità  pericolosa  colla 
fiorentina  repubblica.  Era  in  guerra  coi  Genovesi  : 
avea  nei  passati  tempi  combattuto  contro  di  loro 
con  varia  fortuna ,  e  i  disgraziati  eventi  si  erano  bi- 
lanciati coi  prosperi.  Abbiamo  veduto  a  suo  luogo 
che  dalla  sua  flotta  unita  a  quella  di  Federigo  II  era 
stata  disfatta  la  genovese  presso  la  Meloria,  scoglio 
glorioso  allora  alle  armi  pisane  quanto  dovea  essere 
in  appresso  funesto.  Nel  i a58,  i  Pisani  aveaii  com- 
battuto nei  mari  di  Levante  uniti  ai  Veneziani  contro 
i  Genovesi  riportandone  una  compiuta  vittoria  col- 
la presa  di  24  galere:  queste  vittorie  dei  Pisani,  e 
la  loro  alleanza  coi  Veneziani  aveano  abbattuto  al- 
quanto i  loro  rivali,  e  fino  all'anno  laSft  fu  fra 
loro  pace,  o  almeno  quella  quiete,  che  nasce  dalla 


Ito  LIBRO   TERZO 

^stanchesza  ,  o  dal  timore  reciproco.  Il  genio  torbi- 
di e  ^^>  ^  instabile  di  Siooncello ,  Giudice  di  Cinarca, 
ia82  dette  il  priocipal  motivo  alla  nuova  guerra.  Costui, 
perdute  nella  tenera  età  colla  morte  del  padre  le 
aue  terre  neir isola  di  G>rsica)  refugiato  in  Pisa, 
cresciuto ,  e  fattosi  prode  nelle  armi ,  col  di  lei 
ajutOy  e  sostegno  fu  mandato  in  Corsica  come  Go- 
vernatore, e  Giudice.  Era  allora  una  parte  di  quel- 
l'isola posseduta  dai  Pisani,  un'altra  dai  Genove- 
ai:  l'attivo  Sìnoncello  col  suo  nome  e  valore,  noo 
solo  riguadagnò  le  sue  terre^  ma  si  estese  fino  a 
Bonifazio.  Temendo  però  le  forze  dei  Genovesi, 
per  conciliarseli,  fino  dall'anno  1349*  ^<»*<l^^<>  ^^ 
benefizj  dei  Pisani^  si  accordò  a  riconoscere  le  sue 
terre  come  feudo  di  Genova:  ma  divenuto  in  ap- 
presso più  sicuro,  ed  insolente,  dopo  aver  oflfesi  i 
Pisani ,  prese  ad  inquietar  gli  stessi  Genovesi ,  e 
tutti  gli  altri  mercanti  cbe  giungevano  a  quelTisu- 
la.  Si  vide  Genova  in  necessità  di  tenerlo  in  freno; 
mandò  delle  truppe  in  Corsica  ^  che  in  pochi  giorni 
gli  occuparono  le  sue  terre ^  ed  ei  fu  costretto  a  sal- 
varsi colla  ftiga.  Si  ricovrò  a  Pisa,  ove  pentito  del- 
la ribellione  si  pmtestò  di  riconoscere  l'antica  so- 
vranità dei  Pisani.  Questi  vollero  prenderne  la  pro- 
tezione. Un  Ambasciatore  genovese  venne  a  per- 
suadergli, cbe  non  dovean  prender  la  difesa  di  un 
ladrone  ribelle:  l'orgoglio  dei  Pisani  accolse  con 
(liìidegno  questa  ambasciata,  si  ostinò  a  proteggere 
Sinoncello,  licenziò  il  ligure  Ambasciatore,  e  man- 
dò.i  suoi  a  Genova  per  dichiarar  le  intenzioni  di  di- 
fender col  Tarmi  il  loro  vassallo.  Furono  dai  Genove- 
si coOk  eguale  orgoglio  trattati  i,Pisani,  onde  fu  riso- 


CAPITOLO  SESTO  ni 
Iota  la  gwrra  fatale  (4)  -  Forse  sperarono  questi  col 
valore,  e  influenza  di  queir  uomo  sostenuto  dalle  di  e. 
loro  armi ,  riprendere  la  parte  di  Cìorsica,  che  te«  ^^^^ 
Devano  i  Genovesi  :  e  veramente  rimandato  là  col 
piccolo  rinforzo  di  iso  cavalli,  e  aoo  pedoni,  potò 
ricuperare  le  sue  terre  perdute.  Var|  combattimea-* 
ti  per  lo  più  svantaggiosi  ai  Pisani  precedettero  la 
decisiva  giornata,  alcuni  dei  quali  rammenteremo 
brevemente.  Insultarono  i  Pisani  Porto-Venere  sbar* 
candovi  delle  genti,  e  saccheggiandolo:  ma  furono 
i  Genovesi  vendicati  dalla  tempesta  che  portò  17 
galere  a  rompersi  sulla  spiaggia  toscana  con  la  morte 
della  maggior  parte  dell'equipaggio  (5).  Si  molti-  lass 
plicarono  le  reciproche  offese  per  tutto  Tanno:  mol- 
te navi  mercantili  dei  Pisani  furono  prese;  e  intan^ 
to  con  straordinarj  sforzi  si  facevano  da  ambe  le 
parti  i  piò  vigorosi  armamenti.  Una  flotta  pisana 
forte  di  54  galere  era  stata  condotta  da  Andreòtto 
Saracini  verso  la  Sardegna  in  traccia  dei  nemici ,  e 
non  gT  incontrando ,  sbarcate  a  terra  delle  genti 
riconquistò  varie  città  ribellate:  dopo  questa  impre^ 
sa  avea  veleggiato  verso  Piombino,  distaccando  im-^ 
prudentemente  i5  galere  per  corseggiare  altrove, 
mentre  si  potea  temere  d'incontrare  una  flotta  ne* 
mica  eguale,  o  superiore;  realmente  venivano  a 
cercar  la  flotta  pisana  54  galere  genovesi  comanda, 
te  da  Uberto  Doria,  che  non  trovandola  presso  la 
Sardegna ,  sì  erano  rivolte  verso  Piombino.  Non 
credette  prudente  cosa  il  Saracini,  tanto  inferiore 
di  forze,  di  misurarsi  col  nemico,  e  sì  tenne  chiuso 

(4)  Filippini  istor.  di  Corsica  lib.  3. 

(5)  Folielt.  bÌ5t.  genueos.  lib.  5.  Aur.  ann.  geouen.  rer.  ital. 
tome. 


112  LIBRO  TER20 

.nei  porto  di  Falena,  fortificandone  l'iogresao:  3 
dì  a  Dorìa  ne  fiece  il  blocco.  Intanto  le  i5  galere  pisane 
>983  g^  aeparate  tornavano  a  riunirsi .  Scopertele  il  Da- 
ria,  ne  distaccò  3^  delle  sue  per  attaccarle:  tenta- 
rono le  pisane  la  fuga,  e  volendo  evitar  di  essere 
prese ,  spinte  da  un  forte  scirodco  investirono  1» 
apiaggia I  nna  di  esse  andò  a  picco,  tre  fiurono  preda 
dei  Genovesi  con  6oo  prigionieri.  Non  essendo  sta- 
to rAmmiraglio  pisano  accusato  di  codardia  ,  eoo- 
vien  dire  che  Tarmata  cbinsa  nel  porto  non  finse 
in  stato  di  uscire ,  impedita  dal  vento ,  gkicdìè 
avrebbe  potuto  allora  attaccar  con  spperìoriti  di 
numero  k  {lotta  che  la  bloccava.  Il  vento  burrascoso 
fece  io  seguito  allontanar  finalmente  la  genovese 
da  Faleria,  ed  allora  esci  il  Saracini,  tornando  a 
Pisa  col  rossore  di  essere  stato  bloccato,  e  spettato- 
re della  ruina  di  una  parte  della  sua  flotta  (6)  .  Ani- 
mate da  tant'odio  le  due  Repubbliche  si  prepara- 
rono cogli  sfor^  i  più  grandi  heiranno  appresso  ai 
più  sanguinosi  contrasti:  %^  galere  pisaoe  scortava- 
no due  grosse  navi  cariche  di  truppa  per  sedare 
delle  ribellioni  eccitale  in  Sardegna  dai  Genovesi . 
Una  di  queste,  su  cui  era  Bonifazio  Gherardeschi, 
essendosi  separata  si  trovò  in  messo  della  flotta 
genovese  di  2ia  galere ,  che  b'  incamminava  allo 
stesso  luogo  :  rimase  prigioniera  ;  e  siccome  videro 
i  Genovesi  comparir  la  flotta  nemica ,  tolto  il  me- 
glio dalla  nave  prigioniera  vi  posero  il  fuoco ^  e  si 
accinsero  coraggiosamente  alla  pugna.  Fu  questa 
feroce^  e  ostinata,  ma  infine  la  vittoria  si  dichiarò 
pei  Genovesi:  perderono  i  Pisani  i3  galere^  ed  una 

(6)  Foliett.  his.  gen.  Jacob.  Aoria  ann.  gen.  Ice  dt 


CAPITOLO    SESTO         ii3 
wmmn'Ba',  circa  a  seimila  fra  morti,  e  prigionieri:  =^ 
ciò  avvenne  verso  la  Bae  di  aprile  (7).  Queste  re>  f-"^" 
plicate  perdite  fecero  rivolgere  i  Pisani  a  chieder  ii83 
soccorso  ai  Veneziani,  coi  quali  uniti  io  Levante 
avean  rotti  più  volte  i  Genovesi.  Albertino  Moro- 
ùui  veneziano  Potestà  di  Pisa   tentò  questa  lega, 
ma  invano:  vollero  i  Veneziani  restar  neutrali.  La 
vera  politica  però  dovea  far  loro  sostenere  una  po- 
tensaj  minata  la  quale,  i  Genovesi  loi-o  perpetui 
nemici  crescevano  tanto  io  potere:  e  bene  ebbero 
inseguito  motivo  di  accorgersi  dell'errore.  L'ulti- 
ma disgrazia  invece  di  scoraggire  i  Pisani,  gl'in- 
fiamoiò  davvantaggio  alla  vendetta:  fecero  uno  dei 
maggiori  sforzi ,  armando  73  galere,  delle  qoali  fu 
cuoiaodante  il  Conte  Ugolino  già  tnolto  potente  in 
Pisa:  vi  sali  il  6ore  delld  nobiltà,  e  cittadinanza 
pìsat)a,.vi  si  aggiunsero  altri  legni  minori:  ma  in- 
vece di  attaccare  la  flotta  goiovese,  forte  di  sole  3o 
galere,  che  sotto  il  comando  del  Giacaria  si  trova- 
la in  Sardegna,  e  che  facilmente  avrebbero  oppres- 
sa,  perdettero  un  tempo  prezioso  andando  ad  insul- 
tare la  città  di  Genova,  presentandosi  a  quel  porto,  taS4 
tirandovi  dei  colpi  di  balestra,  e  sfidando  ì  Geno- 

(■})  Tedi  Guido  da  Corvara  (rer. 
battaglia  nel  primo  di  iiiaggio  :  i  Stami 
(loc.cit.)e  ^i  «ng.  genovesi,  (rer. 
accordano  «vii  numero  delle  enUTt  di 
DumcTili  meno  autorevoli.  iTCav.  da 

ni,  benché  in  ogni  altro  luogo  ne  sia 

leredalla  parte  dei  Pisani,  e  ^a  dei  G 

taUaglia  fa  veramenle  sopraggiunge: 

gnidato  da  Arrigo  del  Mare,  ma  non 

cipio  l' indicala  sproponioDe  si  sarebbero  cimentati  i  Genovesi, 

nt  sarebbe  gloriosoal  Pisani  con  un  terzo  di  galere  di  più,uouaver 

subilo  guadagnato  una  decisa  superiorilà. 


fi4  LIBRO  TERZO 

^  vesi  n  battagliale  dopo  queste  inutili  bravate  se  ot 
^i  Q^  tornaroDo  a  casa  (8).  Niente  è  più  prezioso  del  tempo 
1384  e  dell'occasioni  nella  guerra.  Aveano  i  Genovesi  ri« 
chiamato  colla  maggior  premura  Tarmata  del  Giaca- 
ria  dalla  Sardegna ^  e  datisi  ad  armare  colla  maggior 
fretta ,  ebbero  presto  in  ordine  una  flotta  di  88  galere 
con  molti  altri  legni  minori ,  e  ne  fu  dato  il  comto. 
do  ad  Oberto  Doria.  Postosi  in  mare,  inteso  esserla 
pisana  armata  verso  la  Meloria ,  si  avansò  a  quella 
parte.  Temendo  il  Doria  che  la  superiorità  del  no- 
mero  dei  loro  legni  non  facesse  recusar  la  battaglia 
ai  Pisani)  e  ritirarsi  nel  loro  porto,  non  si  avainò 
che  eoo  58  galere,  facendo  restare  indietro  la  divi* 
sione  del  Giacaria  colle  trenta  (9).  Accettarono  la 
battaglia  i  Pisani,  e  fu  combattuto  il  di  6.  dì  ago* 
sto  con  tutto  il  furore,  e  Tanimosità  di  due  popoli, 
che  vogliono  scambievolmente  distruggersi  •  L'aja* 
to,  che  sopraggiunse  ai  Genovesi  del  Giacaria  ina* 
spettato  ai  Pisani,  probabilmente  decise  la  sorte  di 
quella  giornata.  La  galera,  su  coi  era  montato  il 

(8)  K  strano  die  ninno  scrittore  genovese  conti  questa  lira* 
▼ata ,  e  si  contentino  di  dire,  che  si  vantarono  di  farla  ^  ma  niuBO 
parla  che  1*  eseguissero .  V.  Gio.  Villani  ti.  7.  e.  gì. 

(9)  Variano  molto  gli  storici  sulle  circostanze  che  sono  di  po- 
co momento,  e  sul  numero  dei  legni  da  una  parte,  e  clair altra, 
facendosi  ascendere  a  piJi  di  100  i  ols^inl,  e  a  1  5o  i  genoyesi ,  ibi 
si  conviene  chela  flotti  genovese  fosso  assai  superiore.  Se  poi  al- 
l'avvicinarsi  dei  nem'ci  si  armassero  nuovi  legni  in  Pisa ,  se  ne  fa- 
cesse la  henedizione  1*  arcivescovo  sairA.rno,  henchè  Io  attestino 
<|uasi  tutti  gli  slnrici  pisani,  ed  il  Villani  tra  i  fiorentini  ,  può  da- 
hitarsffne ,  giacche  pire  manchi  il  tempo  necessario ,  come  ha  ce^• 
rato  di  mostrare  il  Oav.  dal  Borgo  ^loc.  cit.),  e  perciò  smentìsct 
ìiì  calunnia  di  poca  religione  data  dal  Foglifflta  ad  alcuni  Pisani .  1 
quali  vedendo  in  quella  funzione  cadere  per  accidente  il  Cristo  d»* 
stava  in  cima  de!  gran  Stendardo ,  e  che  ciò  era  da  alcuni  prcja 
per  sinistro  augurio  esclamarono:  sia  pur  Cristo  per  i  Genove^» 
#t  pflr  noi  il  vento.  Vedansi  Folletta  lib.  5.  Ciac.  Malas.  e.  a*'' 
Vili. lib.  7.  e.  gì*  Gontin.  Caflf.  Marangone,  Giust*  Bizari, 


CAPITOLO  SESTO  ii5 
Potestà  dt  Pisa  Albertino  Morosini^  si  battè  furiosa-  ^^ 
mente  colla  Capitana  guidata  dall' Ammiraglio  Do-  ^iC. 
ria  ,  con  cui  però  si  era  unita  altra  delle  principali  >^4 
galere  comandata  dall'altro  Ammiraglio  Giacaria. 
Anche  quella  che  portava  il  gran  Stendardo  pisano 
fu  presa  dalla  galera  detta  ii  8.  Matteo^  ove  erano 
molti  della  famiglia  Doria,  e  dalla  galera  di  Finale, 
Fu  lacerato  9  e  abbattuto  il  gran  Stendardo,  e  la 
rotta  fu  completa  •  Ventisette  galere  pisane  furono 
prese,  sette  sommerse;  e  il  resto  fracassato,  e  mal- 
concio, col  benefizio  della  notte  si  saVvò  nel  vicino 
Porto  pisano,  e  con  tre  di  queste  scampò  il  C. Ugo* 
lino.  Quattromila  si  dissero!  morti , moltissimi  pri* 
gionieri;  fra  i  quali  il  figlio  del  G.  Ugolino.  Questi 
K>mmati  cogli  altri  fatti  nelle  anteriori  battaglie 
montavano  a  circa  it  mila,  e  tutti  delle  più  im« 
portanti  persone  (ro).  Tale  avvenimento  si  portò 
•eco  la  ruina  della  potenza  marittima  di  Pisa,  che 
oon  potè  più  sollevarsi  al  rango  delle  sue  rivali. 
Molte  illustri  repubbliche,  come  ci  mostra  l'antica, 
e  la  moderna  istoria ,  sono  risorte  dopo  le  più  gravi 
perdite.  Pisa  non  lo  potè  dopo  questa,  e  varie  cause 
si  combinarono  ad  impedirlo,  la  prima,  e  principa* 
le  fu  la  perdita  dei  più  valorosi ,  ed  assennati  citta- 
dini restati  prigionieri ,  e  che  i  Genovesi  con  crude* 
le,  ma  utile  politica  si  ostinarono  a  non  riporre  in 
libertà  ,  per  guisa  che  trattenuti  in  dura  carcere  per 
circa  i5  anni,  che  tanto  durò  la  guerra,  la  maggior 
parte  vi  fini  miseramente  la  vita  (i  i).  Priva  di  que- 


(io)  AJcani  fanno  il  numero  anai  maffgiore  :  la  prova  del  nu 
grande  è  il  detto  di  questo  tempo  »  cne  »  chi  Yolea  veder  Pi« 
m  dorea  andare  a  Genova. 

(1  i) Flaau  dal  fiordo  dell'Ist  Pis.  àÌBS.  II. 


iiG  LIBRO  TERZO 


75ti  Pifla^  divenne  una  nave  senza  nocchìerO|  e  po(è 
^C,  più  agevolmente  esser  dominata  da  quei  fiizio8Ì,che 
13^4  non  miravano  all'utile  pubblico  ma  al  privato  loro 
interesse.  La  seconda  causa  si  riconosce  nella  guerra 
formidabile  che  le  dichiararono  T  emule  Repubbli- 
che di  Firenze^  e  di  Lucca  con  tutta  la  Lega  Guel- 
fa toscana  unite  ai  Genovesi.  Venuti  gli  Ambascia- 
tori genovesi ,  e  lucchesi ,  in .  Firenze ,  si  fece  od 
trattato  per  T eccidio  totale  di  Pisa.  A  questo  iote^ 
yenne  cogli  altri  Capi  del  Governo  il  celebre  Bru- 
netto Latini^  forse  come  Segretario  della  Repubbii^ 
ca  fiorentina  (i a);  né  tardarono  gli  eflfetti:  Teserd- 
to  dei  Fiorentini  entrò  in  Val  d'Era,  quello  dei 
Lucchesi  occupò  alcuni  castelli ,  fra  i  quali  Ponte  a 
Serchio;  e  nello  stesso  tempo  lo  Spinola  con  posseste 
flotta  attaccò  il  Porto  pisano,  e  guadagnò  la  torre 
della  Lanterna  (i5).  Veduto  il  tristo  aspetto  che 
prendevano  le  cose,  si  prese  a  consultare  in  Pisi 
sulla  comune  salvezza .  In  questo  sconcerto  una 
delle  più  autorevoli  persone  era  il  Conte  Ugolioo, 
a  cui  si  volgeva  la  città  per  consiglio,  e  per  ajoto. 
ia85  È  probabile  che  questo  scaltro  uomo  pensasse  fioo 
da  quel  tempo  alla  signoria  di  Pisa  ;  e  forse  perciò 
propose  di  accomodarsi  coi  Fiorentini,  piuttosto cbe 
coi  Genovesi,  perchè  non  fossero  liberati,  e  rimes- 
si in  Pisa  quei  cittadini,  che  potevano  contrastargli 
il  Principato  •  Il  discorso  però  che  gli  pone  in  boc- 
ca Leonardo  Bruni  è  assai  sensato,  asserendo  che 
Pisa,  potenza  marittima,  dovea  riguardar  come oe^ 
mica  Genova  sua  rivale  in  mare,  piuttosto  cbe  Fi- 
renze, che  dipendeva  pel  suo  commercio  da  Fisi* 

(13)  Aurìa  rer.  ital.  loc.  cit« 

(1 3}  Goìd.  da  Gorv.  Gron.  Pis.  rer.  ital.  tom.  24* 


CAPITOLO   SESTO         117 
NoQ  fu  6ul  princìpio  ascoltato  il  Con  te  ^  e  si  cercò' 


accomodamento  piuttosto  con  Genova  ;  ma  questa  y  ^q 
credendo  venuto  il  punto  della  mina  della  sua  ri-  ^a^s 
yaìe,  ricusò  duramente  (i4)*  Convenne  allora  ab- 
bracciare il  consiglio  del  Conte.  Era  esso  stato  sem- 
pre amico  dei  Fiorentini^  perchè  seguaci  di  parte 
Guelfa  ^  e  la  loro  influenza  lo  avea  rimesso  in  Pisa 
colla  restituzione  delle  sue  terre:   si  riguardava 
perciò  come  la  persona  più  atta  a  trattare  T acco- 
modamento, e  lo  aveano  creato  i  Pisani  Potestà ,  e 
Capitano  del  Popolo.  Non  gli  fu  perciò  difficile  il 
concluder  l'accordo  con  delle  condizioni  assai  gra- 
vose ai  Pisani  •  Furono  obbligati  a  cedere  alla  fio- 
rentina Repubblica  varie  terre  importanti ,  Santa 
Blaria  a  Monte,  Fucecchio,  Santa  Croce,  Montecal- 
Toli,  e  di  esiliare  i  più  zelanti  Ghibellini  di  Pisa, 
la  quale  si  ridusse  a  parte  Guelfa.  La  cessione  di 
tante  castella  fu  riguardata  come  un  tradimento(i5). 
È  assai  verisimile  che  il  Conte,  mirando  a  divenir 
Signore  di  Pisa ,  col  favore ,  e  appoggio  dei  Fioren- 
tini, largheggiasse  nelle  concessioni;  ma  per  altra 
parte  non  si  poteva  ottenere  la  pace  senza  grandi 
sacrifizj:  e  se  la  guerra  continuava,  piombando  so- 
pra di  Pisa  tutta  la  Toscana  per  terra ,  e  per  mare 
i  vittoriosi  Genovesi ,  il  suo  esterminio  totale  era 
sicuro.  Se  poi  è  vero,  come  portò  la  Fama,  che  i 
fiaschi  di  verdea  mandati  a  donare  dal  Conte  ai 
Capi  del  Governo  fiorentino  fosser  pieni  di  fiorini 

(1 4)  Caff.  Ann.  gen.  rer.  ital.  tom.  6. 

(1 5)  Tale  fu  la  fama  sparsa  dai  nemici  del  Conte  Ugolino,  e  . 
sa  quella ,  dice  Dante 

n  Che  se  il  Conte  Ugolino  aveva  voce 

»  Dì  aver  tradita  te  delle  castella , 

n  Kon  dovei  tu  1  figliuoi  porre  a  tal  croce . 


ii8  LIBRO  TERZO 


"Jdi  oro,  ciò  niente  aggiunge  ai  supposti  del  Conte,  i 
drc.^non  è  che  una  prova  di  più  fralle  infinite  della  fona 
* ^^5  imperiosa  di  quel  metallo.  Sono  tanto  incerti,  e 
sovente  ingiusti  gli  umani  giudizj,  che  della  stessa 
colpa  data  al  Conte  furono  accusati  i  Capi  del  fio- 
rentino Governo,  i  quali  avendo  un'occasione  rara, 
e  propizia  di  occupare,  e  distrugger  Pisa  Tavesse- 
ro,  forse  sedotti  dall'oro  di  Ugolino,  negletta  (i6). 
E  veramente  i  loro  alleati  i  Lucchesi,  e  i  Genovesi 
ne  fecero  alti  lamenti:  convenne  acquetare  i  primi 
con  nuove  concessioni;  e  Bientina,  e  Ripafratta,! 
Viareggio  furono  loro  cedute. 

Divenne  il  Conte  Ugolino  colle  cariche  di  Pote- 
stà, e  Capitano  del  Popolo  a  lui  conferite  per  dieci 
anni,  e  col  sostegno  dei  Guelfi  l'arbitro,  e  Signore 
di  Pisa,  ma  il  suo  nipote  Nino  Visconti,  Giudice  di 
Gallura,  benché  dello  stesso  partito,  gli  divecoe 
rivale  nel  governo,  e  potè  tanto  da  costringerlo  a 
mettervelo  a  parte;  ed  ebbe  Pisa  allora  due  Rettori 
con  eguale  autorità.  Ma  la  suprema  potestà  divisa, 
di  rado  ha  tenuto  un  governo  tranquillo:  nacquero 
subito  delle  pericolose  rivalità  tra  i  due  Rettori,  fn 
taSS  sì  fatto  contrasto ,  probabilmente  accorgendosi  il 
nipote  di  essere  eclissato  in  Pisa  dalla  potenza  del- 
l'altro, era  col  di  lui  consenso  andato  a  governare, 
o  signoreggiare  la  Sardegna  (17).  Ma  temendone 
l'insubordinazione  per  vegliarne  l'andamenti,  e  per 
tenerlo  a  freno  ove  facesse  di  mestiero,  il  Goote 

(i6)Giov.  Villani  llb.  7.  Cap.  97.  dice  che  alla  prìmaTerai 
Fiorentini  si  preparavano  a  far  l'assedio  di  Pisa,  e  che  furono  ai- 
tai biasimati  di  questo  accordo;  e  aggiunge:  e  di  certose  i  Fioren- 
tini avessero  seguita  la  promessa,  e  giuramento,  la  cilt^diPisa 
farebbe  stata  presa ,  disfatta  e  recata  a  borgora  come  era  ordinata» 

(17)  Frag.bis.  Pis.  rer.  ital.  tom.  a4. 


CAPITOtO  SESTO»  iig 
tJgolino  mandò  in  Sardegna  il  suo  figlio  Guelfo^  ^=Y 
che  non  solo  occupò  il  goireruo  dei  feudi  della  casa  j-  ^^^ 
propria 9  ma  di  iuUa  la  profincia  Calleritana  (i8).  i^^^ 
Questo  ai^venimeuto  accese  più  vivo  il  fuoco  della 
discordia  tra  i  Visconti,  e  i  Gberardeschi :  le  loro 
querele  posero  in  furiose  agitationi  la  cìltà,  e  il  suo 
contado ,  e  furono  più  volte  insanguinate  le  strade 
di  Pisa,  e  dei  suoi  castelli  dalle  rivali  fazioni.  Il 
Visconti  col  suo  partito  prese  ad  accusare  tJgolino 
di  resistere  alla  pace  coi  Genovesi,  svelando  un 
segreto  pericoloso,  scordandosi,  acciecato  dall' am* 
bisiosa  rabbia,  che  quel  messo  avea  giovato  ad  am« 
bedue.  Mentre  la  fazione  Guelfa  di  Pisa  si  era  cosi 
divisa  in  due  parti,  esisteva  in  questa  città  Tantico 
partito  Ghibellino,  che  avea  dovuto  cedere  air  im- 
periose circostanze,  e  nascondere  nel  silenzio  i  suoi 
sentimenti.  Mirando  lacerarsi  divisi  i  suoi  persecu- 
tori ,  prese  coraggio  •  Era  composto  per  la  maggior 
parte  di  popolari,  e  di  preti  e  frati,  persone  atte  ad 
istillare  negli  animi  della  plebe  i  sentimenti ,  che 
credono  i  più  opportuni.  Si  fece  capo  di  questo  par- 
tito TArcivescovo  Ruggiero  TJbaldini,  il  quale  però 
per  lungo  tempo  dissimulò  i  suoi  sentimenti,  mo- 
strandosi fautore  ora  dell^uno,  ora  delibai tro  rivalcé 
Sarebbe  troppo  lungo,  e  nojoso  lo  scorrer  minuta- 
mente la  serie  delle  calamiti,  in  cui  fu  per  circa 
a  due  anni  avvolta  la  pisana  Repubblica  ;  in  queste 
guerre  civili  soffrirono  i  due  rivali  varie  vicende: 
rinunziarono  al  governo  per  acquetare  le  discordiei 
ma  gustata  una  volta  la  tazza  del  supremo  potere, 
inebria  a  segno  da  non  potersi  cosi  agevolmente 

(  1 8}  Koloni.  laeen.  Ioc«  eit« 


t^o  LIBRO  TERZO 

^abbandonare.  L'avo ,  e  il  nipote,  che  avean  tanto 


^•^^1  combattuto  pel  Principato,  abbandonatolo,  e  aenli- 
ia86to  il  dolore  della  perdita,  divennero  nuova meute 
amici,  e  si  unirono  per  riconquistarlo  colla  fona: 
1287  entrarono  perciò  coirarmi  alla  mano  nel  palazzo  del 
Comune,  e  in  quello  del  Popolo,  cacciando  il  Vica- 
rio Messer  Guidoccino,  e  la  nobiltà  tanto  Guelfa,  che 
Ghibellina  gli  accompagnò  officiosamente,  e  accon- 
senti che  riprendessero  il  supremo  potere.  Lo  scaltro 
Arcivescovo  Ruggiero,  che  non  vedea  ancor  maturo 
il  tempo  della  vendetta ,  non  solo  prestò  il  consenso 
alla  mutazione,  ma  padrone  della  collera,  potè  dis- 
simulare fino  la  morte  del  suo  nipote  ucciso  barba- 
bramente  dalle  mani  dello  stesso  Conte  Ugolino.  Que- 
sto feroce  vecchio  però  volea  esser  solo  a  dominare; 
e  riprese  le  redini  del  governo  coirajuto  del  suo 
nipote,  pensava  a  disdirsene:  l'Arcivescovo  lo  secon- 
dava colla  mira  di  minare  ancor  lui.  Si  era  Ugolino 
a  bello  studio  ritirato  alla  sua  villa  di  Settimo,  per- 
chè intanto  scoppiasse  contro  il  nipote  la  sedizione, 
che  l'Arcivescovo  fomentava.  Si  accorse  il  Visconti 
della  burrasca  che  gli  si  preparava  contro,  e  quando 
vide  che  ai  reiterati  inviti  di  venire  a  sostener  la 
causa  comune,  il  Conte  Ugolino  era  restio,  preve- 
dendo ciocché  gli  si  apparecchiava,  esci  frettolosa- 
mente di  Pisa.  Tornato  allora  il  Conte,  trovò  che 
gli  si  voleva  dar  per  compagno  nel  reggimento 
l'Arcivescovo  Ruggiero.  Ricusando  egli  sdegnosamen- 
te, i  due  partiti  corsero  alle  armi,  guidati  dai  loro 
respettivi  Capi,  il  Conte,  e  l'Arcivescovo.  Si  sparse 
molto  sangue:  fu  vincitore  Ruggiero,  e  il  Conte  ce- 
dendo coi  figli  e  nipoti,  ed  altri  seguaci,  si  ritirò, e 
si  fortificò  nel  Palazzo  del  Popolo:  ma  attac9ato  an- 


CAPITOLO  SESTO  121 
cor  questo  dai  vincitori^  e  posto  il  fuoco  alla  porta 
dovette  reodersi  a  discrezione.  Furono  presi,  e  ca-aic.' 
ricfai  di  catene  il  G.  Ugolino,  i  due  suoi  figli  Uguc*  '^^ 
cione,  e  il  Conte  Gaddo,  insieme  con  due  giovinetti 
nipoti  Anselmuccio  figlio  del  G.  Lotto,  e  Brigata  figlio 
del  Conte  Gaddo.  Tutti  furono  in  appresso  racchiusi 
nella  Torre  detta  poi  della  fame  (19),  dalla  loro 
fatale  catastrofe,  dipinta  dai  sublimi ,  e  negri  colori 
di  Dante.  Il  Conte  era  reo  di  molti  delitti  in  faccia 
ai  Pisani  ;  i  suoi  figli  lo  erano  meno  di  lui ,  ed  assai 
meno  i  giovinetti  nipoti.  Confusi  insieme  nella  stes- 
sa pena  atroce ,  risvegliarono  la  pietà  di  tutti  gli 
scrittori;  ed  è  disgrazia  per  Pisa,  che  uno  dei  più 
sublimi  pezzi  dell'italiana  poesia,  che  niun  colto 
Italiano  ignora,  e  che  moltissimi  forestieri  conosco- 
no, sia  unito  alla  di  lei  satira. 

Un  dotto  Pisano  ha  impiegato  molto  ingegno,  e 
dottrina  per  accrescere  i  delitti ,  e  rendere  odioso 
piò  del  dovere  il  disgraziato  Ugolino,  e  per  iscusare 
i  suoi  concittadini  :  siccome  si  tratta  di  un  punto 
d' istoria  toscana  tanto  celebre,  non  sarà  fuor  di  luogo 
il  farvi  alcune  brevi  riflessioni ,  e  dare  imparziale 
niente  il  giusto  valore  alla  colpa,  ed  alla  pena  •  Il 
primo  delitto  di  cui  quel  dotto  scrittore  fa  reo  il 
Conte,  ha  rapporto  alla  spedizione  anteriore  alla 
battaglia  della  Meloria  comandata  dallo  stesso  Ugo- 
lino. Avendo  trovato  il  porto  di  Genova  vuoto  di 
legni  armati,  dovea,  die' egli ,  sbarcar  le  truppe, 

(19)  Questa  Torre  era  situata  sulla  piazza  detta  ora  dei  Cava- 
lieri ,  i  di  cui  avanzi  formano  un  Pezzo  del  Palazzo  ov'è  T Oriolo: 
esso  e  composto  di  due  antiche  torri  riunite  poi  con  un  arco:  la 
parte  vicina  al  Palazzo  Conventuale  fu  la  celebre  torre  della  fame. 
Vedi  Flam.  dal  Borgo  sull'ist.  Pis.  diss.  1 1. 


122  LIBRO  TER20 

f assaltare,  e  iropadroDirai  di  Genova.  L'accusa  e 


^l^^poco  fondala^  giaccbè  T impresa  sarebbe  stala  assai 
laSS  imprudente,  né  si  poteva  sperare  con  quella  Irup- 
pa,  cbe  si  trovava  sulla  flotta ,  di  cooquistare  una 
città  popolata  come  Genova ,  piena  di  gente  feroce, 
e  animata  dall'odio  nazionale  •  Dopo  la  gran  vitUh 
ria  riportata  dai  Genovesi,  questi  non  crederon  mai 
opportuno  di  tentar  la  conquista  di  Pisa,  benché 
disanimata  tanto,  e  priva  dei  migliori  suoi  cittadi- 
ni. Né  maggior  fondamento  ba  la  seconda  accusa, 
attribuendosi  ad  esso  la  perdita  della  battaglia  della 
Meloria,  perchè  consigliata  da  lui .  Niuuo  degli  scrit- 
tori di  qoalcbe  conto  gli  dà  questa  colpa  :  i  Pìsaaì 
quasi  uniformemente  cbiesero  battaglia  (ic)}  e  il 

(lo)  Tutti  «li  aerittort  i  pluali  t  IbNitltr)  lo  attetupai  k 
llgiio  Flam*  dal  Borgo  bonohk  raoi^usi  di  quel  delitto  «  «ggioiige  i 
^  /;i  eii0  (  falere  )  come  <•  si  andati^  ad  uns  ccrtm  vittcrtM 
0fHin0  montati  fastosi  tutto  U  foro  dMm  Nobiltà  $o  gioveMiit 

Eisana*  Ciò  lodìoe  oonaenao  aenertle*  Il  Marangone  d»  lui  citato 
I  prora  della  tua  opinione  nulla  dice  del  consiglio  di  combattere, 
che  li  luppone  dato  d>l  Conte ,  ami  «ncor  esso  esagera  U  TOgìist 
eheavefano  i  Pisani  di  combattere»  eccole  sue  parole:  Mescer 
Oborto  Moresinù  montò  il  primo  sulle  dette  galee,  e  il  simiU 
fecero  tutti  gli  altri  con  tanta  volontà  di  combattere  che  «' 
parei^  loro  mill'anni  di  essere  alle  mani  »  stando  con  timort 
che  ei  non  Se  ne  tornassero  indietro  ec.  Conviene  ossertar  poi 
che  questo  scrittore  non  è  di  quell'autorevole  antìcbiU  rbe  neriti 
tutta  la  fede.  Egli  scriveva  al  principio  del  secolo  l(TT«edè 
pieno  di  errori:  ne  daremo  un  solo  esempio.  Tf  arrendo  la  bat* 
taglia  dei  Pisani  coi  Genovesi ,  in  cui  fiiron  presi  i  Predali,  e  i  Car- 
dinali» avvenuta  per  testimonianza  dei  pisani,  fiorentini ,  e  geiie- 
▼esi  scrittori  l'anno  1937»  ne  fa  Ammiraglio  il  Conte  Ugolìoe 
Biiz£)tccherino  :  allorquando  poi  ba  narralo  la  morte  atroce  od 
Conte  Ugolino  aggiunge  :  L* fusto  judicio  di  Dio,  che  così  roiem 
per  aver  lui  fatto  morire,  ed  annegare  in  mare  tanti  Prelati  p  » 
fatto  contro  a  Cristo  •  Pare  cbe  abbia  confuso  nn  Conte  Dgolioe 
con  nn  altro:  giaccbè  il  Conte  Ugolino  di  Donoratico  non  ebbe 
parte  nella  battaglia  prima  della  Meloria.  Un  tale  scrittore  non  ba 
in*aode  autorità.  Il  Marangone  ba  copiato  l'errore  di  cronologia  da 
Rie.  Malespini  >  e  il  Tronci  ba  copiato  da  Marangone  nel  dare  il 

titolo  di  Conte  al  Bozxaccberini^  cbe  il  Yillani  cbiama  ^ 

Ugolino  • 


CAPITOLO  SESTO  laS 

Conte  Ugolino  non  potea  fra  tanti  guerrieri  di  ma* 
re,  più  assai  di  lui  sperimentati^  avere  unMnfluen*  ^^q] 
ta  da  farli  determinare  contro  un  partito  prepon-  >^S9 
derante.  Era  Potestà  di  Pisa  il  Morosini,  uomo  di 
mare,  e  perciò  di  maggior  autorità  del  Conte;  e  se 
questo  sulla  fine  della   battaglia  si  ritirò  con  tre 
galere  nel  porto^  una  intempestiva,  ed  inutile  resi* 
stenza  avrebbe  accresciuto  il  numero  dei  prigionieri 
pisani.  Il  terzo  delitto,  di  cui  si  fece  pia  conto  in 
qnel  tempo,  e  di  cui  la  maggior  parte  degli  storici, 
ch'esprimono  la  pubblica  opinione,  lo  accusano,  e 
di  avere  tradito  Pisa,  consegnando  molti  dei  ca* 
stelli  della  pisana  Repubblica  ai  Fiorentini,  ed  ai 
Lucchesi  per  comprarsi  la  pace.  Abbiamo  di  sopra 
veduto  qual  peso  si  debba  dare  a  tale  accusa;  ag« 
giungeremo,  che  col  consiglio  degli  stessi  prigionieri 
di  Genova  fu  data  plenipotenza  al  Conte  Ugolino 
di  concluder  la  pace  (31),  e  bisognata  farla  ad  ogni 
costo. ILu£cliesi,  i  Fiorentini  con  tutta  la  Toscana 
riuniti  per  la  parte  di  terra;  ì  Genovesi  vincitori 
per  la  parte  di  mare,  contro  ì  Pisani  soli,  e  abbat- 
tuti, e  Iruinati  dall'ultima  disgrazia^   rendevano 
l'ultimo  eccidio  di  Pisa  immancabile.  Solo  si  può 
dubitare  che  il  Conte,  per  esser  favorito  dai  Fioren- 
tini nel  dominar  Pisa,  fosse  un  po' generoso  con 
essi,  ma  in  fine  conveniva  ricever  la  leg^e  dai  vinci- 
tori.  Un  delitto  assai  più  probabile  è  che  il  Conte 
impedisse,  per  quanto  poteva,  la  pace  di  Pisa  con 
Genova:  vi  era  il  suo  interesse;  la  pace  era  unita 

(21)  Ann.  Gennen.  C.  CafT.  Pisani  cognoseentes  se  non  posss 
resistere  societati  praedictaefifolentes  suae  civìtatis  evadere  rui" 
nam,  de  Consilio  carceratorum ,  qui  erant  Januae,  data  est  poÉ^ 
itas  et  plenum  domimum  Corniti  Ugolino  eie. 


134  LIBRO  TERZO 


*  col  ritorno  dei  prigionieri  ^  tra  i  quali  si  trovavano 
die.  l^  persone  di  maggior  conto,  che  avrebbero  frenato 
ia88  ì  di  luì  ambiziosi  desiderj .  Di  fatti  fu  più  volte  ac- 
cusato di  questo  delitto;  non  ve  ne  sono  però  delle 
prove  dirette  :  il  partito  contrario  spesso  andò  gri- 
dando per  Pisa  mojano  quelli  che  non  vogUono 
pace  con  Genova.  Non  di  meno  aflferma  uno  scrit- 
tore pisano  assai  antico,  ninno  si  mosse  perchè  ri 
vide  che  si  alzava  quel  grido  più  per  rainare  il 
Conte  che  per  altro  motivo  (aa).  Vennero  poi  di 
Genova  quattro  dei  prigionieri  a  portar  le  coodi- 
zioni  di  pace  che  si  offrivano  loro;  queste  non  soo 
note  y  ma  debbono  esser  state  gravosissime  :  il  Conte 
con  molti  dei  primi  cittadini  l'avrebbe  ricosata, 
ma  sostenuta  per  fargli  onta  dal  partito  contrario^ 
cedette  anch' egli,  e  fu  conclusa  (a3).  È  però  accu- 
sato di  averla  segretamente  impedita,  facendo  dopo 
l'accordo  attaccare  i  legni  mercantili  genovesi  da 
dei  corsari  pisani:  l'accusa  non  è  priva  di  fonda- 
menti: i  corsari  si  armarono  in  Caglieri^  e  in  Qre- 
stano  luoghi  soggetti  al  Conte  Gaddo  figlio  di  Ugo- 
lino che  si  trovava  in  Sardegna  ^  onde  con  la  con- 
cia) Fnignu  hisL  Pis.  rer.  itaL  script,  t.  a4  ;  »»  E  conoscendo 
li  Pisani  che  non  lo  facevano  per  pace  volerei  ma  per  confoDdcre 
lo  Conte  Ugolino»  non  si  levonno  a  romore^^. 

(a3)  Fragm.  bis.  pis.  loc.  cit. ,»  Vennero  a  Pisa  messer  Gai- 
glielmo  di  Ricoveransa  ....  per  far  la  pace  tra  '1  Commano  ^ 
Pisa ,  e  il  Communo  di  Genova  che  aveano  tratto  li  pregioni  coi 
Commiino  di  Genova.  E  perchè  la  pacie  fosse  molto  grave  «  e  ia- 
possibile  perchè  judici  (  cioè  il  Visconti  )  era  da  lato  dei  pre- 
gioni, e  voleala  per  confondere,  e  disfare  lo  Conte  Ugolino  cbe 
non  la  volea  elli,  ne  anco  tutti  quelli  che  savi  erano  a  Pi», 
lo  Conte  Ugolino  per  non  volersi  recare  a  romore,  e  grido  di 
popolo  addosso,  né  incontra  consentire  che  si  recasse  a  consiglio 
magfiriore  in  Duomo ,  quine  si  fermò^  e  prese  cbe  si  (àcesse  per 
quello  trattato  eh'  e' pregioni  avean  fatto  coi  Genovesi  ec  >» 


CAPITOLO  SESTO  laS 

nivenza  del  padre,  e  del  figlio,  e  forse  di  ambedue 
si  fece  r armamento;  e  la  fonia  della  congettura  jio. 
cresce,  giacché  i Genovesi  presi  dai  corsari,  furono  >^^^ 
condotti  in  Orestano  ,  ed  ivi  posti  in  carcere  (a4)> 
lo  che  non  avrebbero  fatto  senza  esser  sicuri  del- 
r  approvazione  del  Governatore.  Di  questa  colpa, 
che  è  molto  probabile,  il  Conte  Ugolino  non  po- 
trebbe scusarsi  :  benché  la  pace  fosse  gravosa  ai 
Pisani  conveniva  farla ,  e  per  ristabilire  nel  seno 
della  tranquillità  la  navigazione ,  e  il  commercio 
ruiuati,  e  per  liberare  da  una  dura  prigione  tanti 
infelici  •  Finalmente  una  sorte  di  tirannia,  che  eser- 
citò su  1  Pisani,  le  crudeltà  contro  di  essi,  le  solle- 
vazioni, i  tumulti  sono  per  lui  un  delitto,  il  quale 
é  dimostrato  dalla  serie  degli  avvenimenti  narrati. 
È  vero  che  il  supremo  potere  da  lui  esercitato  col 
titolo  di  Potestà ,  e  Capitano  del  popolo  non  fu  una 
totale  violenta  usurpazione,  poiché  la  volontà  d^i 
Pisani  vi  concorse:  T influenza  però  delle  sue  ric- 
chezze, e  delle  sue  aderenze  ve  lo  fecero  montare , 
ma  ciò  avveniva  in  ogni  paese,  ove  i  potenti  citta- 
dini con  tutti  i  mezzi  o  della  forza,  o  del  favore^  o 
delle  speranze,  o  del  timore  determinavano  l'in- 
stabile, e  fazioso  popolo.  L'indole  del  Conte  era 
veramente  sanguinaria,  e  feroce,  qualità  comune  ai 
feudali  Signori  di  quel  tempo:  le  risse,  i  tumulti, 
le  battaglie  cittadine  erano  frequentissime  in  tutte 
le  turbolente  Repubbliche  d' Italia  non  nella  sola 
Pisaj  r ambizione  di  Ugolino ,  del  Visconti,  del- 
TArci vescovo  Ruggiero  pose  loro  le  armi  in  mano; 

(a4)  Ann.  Genuens.  CantÌD.  Caffar.  loc  eli.  Anche  in  questi 
Annali  non  sì  assicara  positivamente  che  i  corsari  fossero  armali 
da  chi  non  voleva  la  pace»  ma  si  adoprano  le  parole:  utfertur^ 


laG  LIBRO  TERZO 

!se  se  neir  ultimo  contrasto  rArcìfescovo  soccombe- 
^."^^  va  •  toccava  a  lui  forse  a  morire  nella  Torre  coi  nomi 

Ol  e  '  1    *     .         •         •      ì  ¥ 

ia88  ili  traditore:  giacche  i  vinti  hanno  sempre  torto*  il 
lettore  discreto,  ed  imparziale  dalle  esposte  osser- 
vazioni ha  la  giusta  misura  della  reità  del  Conte 
Ugolino  y  o  può  giudicare  gela  pena  fu  corrispon- 
dente. L'atrocia  della  pena  non  diminuirà  punto, 
anche  adottando  il  racconto  di  un  incerto  autore, il 
quale  asserisce  essere  stata  posta  una  multa  di  lire  ao 
mila  alla  famiglia  imprigionata^  togliendole  il  cibo 
finché  non  l'avesse  pagata  ;  né  vi  sarà  io  credo  pe^ 
tona  sensata  da  credere  che  potendo  pagarla  volesse 
piuttosto  morire  di  morte  si  dolorosa  (^S).  1  più 
autorevoli  scrittori,  o pisani, o  6orentini  raccontano 
uniformi  il  tristo  caso,  com'è  comunemente  noto. 
Più  felicemente  è  venuto  fatto  al  pisano  scrittore 
di  mostrar  che  i  figli  ^  ed  anche  i  nipoti  del  0)Dle 
Ugolino  non  erano  fanciuUetti  innocenti^  circostaih 


(a 5)  Mnr.  rer.  ital.  script,  tom.  1 4*  fragm,  hi,  PIs.  H  ncooolD 
della  multa  è  di  questo  aatore,  dì  cai  non  è  noto  né  il  nome,  d^ 
il  tempo  in  coi  scrìsse.  Se  però  come  pare  tatto  il  codice  rifent»^ 
dal  Muratori  con  una  interruzione  fu  scritto  dall'  istesso  aatorc, 
esso  viveva  dopo  il  1 33^ ,  fino  al  qu^l  anno  arriva ,  e  perciò  meoo 
•ntorevole  di  Gaido  da  Corvara  scrittore  contemporaneo  al  Conte 
Ugolino,  e  abitante  in  Pisa»  cHe  narrando  come  il  Conte  coi  ^ 
fu  posto  in  carcere,  evi  mori  di  fame,  non  parla  della  malta  pe- 
cuniaria ,  Mur.  loc.  cit.  Solo  qualche  cosa  di  analogo  al  raccooto 
dell'anonimo  si  dice  da  Bartolommeo  da  Lucca  rer.  ital.  tom.  ii« 
AmDom.  laSS.  Dominus  Ugolinus  capitar  a  Pisanis, /avente, 
et  eoadjuoànte  Archiepiseope  emm  muìtìs  derids;  cum  dmoim 
JUiis  Gadda t  et  Brigata,  et  uno  nepute  Henrico  ponumturà^ 
carcere:  ibique  post  longant  estorsionem  pecuniarum  fame  ibidem 
pereunt.  Il  negar  poi  fede  a  Gio,  VlUani  perchè  Guelfo,  e  na- 
mico  di  Pisa>  i  un' ingiustizia  :  questo  scrittore  invece  di  dif^ 
dere  il  Conte  Ugolino ,  lo  riguarda  come  un  traditore  sulla  vooe 
comune,  la  qnale  abbiamo  veduto  quanto  poco  fosse  fondatti 
onde  merita  fede  qcundo  parta  della  di  lui  pena.  YilL  lib.  7* 
eap.  laot  127. 


CAPITOLO  SESTO  117 

la  forse  supposta  da  Dante  per  accrescere  il  patetico 
della  sua  narrazione.  Tutta  la  famiglia  dei  Conti  di  ^^^ 
Donoratico  non  peri  in  quella  Torre  :  vi  era  il  Conte  laM 
Lotto  sempre  prigioniero  in  Genova,  e  il  Conte  Gad. 
do  governatore  di  una  provincia  di  Sardegna,  oltre 
altri  nipoti ,  le  vicende  dei  quali  sono  diffusamente 
narrate  dagl'istoriografi  di  Pisa,  e  di  quelTillustre 
e  sventurata  famiglia;  la  ruina  della  quale  invece 
di  recare  a  Pisa  lapace,  risvegliò  contro  di  essa  più 
fiera  la  guerra ,  essendosi  mossi  i  Fiorentini  per  una 
parte  per  vendicare  il  loro  amico,  ed  alleato,  per 
l'altra  i  Lucchesi  coi  quali  si  era  unito  Nino  Viscon- 
ti Giudice  dì  Gallura,  fuggito  da  Pisa.  Questi  occu- 
parono il  castello  di  Asciano,  e  intanto  gli  altri  fo- 
ruscili  devastavano  le  campagne  »  i  castelli,  e  spar- 
gevasi  per  ogni  lato  la  desolazione,  e  il  terrore. 

Delle  tre  principali  repubbliche  di  Toscana,  Fi- 
renze, Pisa,  e  Siena,  si  è  già  veduto  assai  spesso  le 
due  prime  agitate  per  gelosia,  e  preminenza  di  go- 
verno: Siena  non  lo  fu  meno,  né  meno  rapidamente 
alterossi  la  sua  politica  costituzione  .  Siccome  in 
questi  tempi  avvennero  degli  essenziali  cambiamen- 
ti, convien  riunire  in  un  breve  quadro  le  principali 
sue  mutazioni.  Fu  sul  principio  il  governo  della 
Sanese  repubblica  nelle  roani  di  gentiluomini  • 
Avrebbero  potuto  conservarselo  stabilmente,' se  le 
discordie  per  le  fazioni  Guelfa ,  e  Ghibellina ,  0  per 
gelosia  di  dominio  non  gli  avesse  divisi-  Ciascuna 
delle  fazioni  per  rendersi  più  forte  cercò  di  trarre 
al  suo  partito  una  porzione  del  popolo,  e  venute 
più  volte  alle  mani ,  insegnarono  alla  plebe  col- 
i'esperienza  che  essa  aveva  il  potere,  quando  n'avesse 
avuta  la  volontà,  d'impadronirsi  del  governo.  Co- 


iai8  LIBRO  TE^ZO 

^^^  minciò  pacificamente  a  domandarlo:  non  osò  né  Tana 
^  Q,  né  l'altra  parte  di  opporsi ,  e  si  accettò  il  popolo  nel 
ia88  reggimento,  che  sulle  prime  ne  partecipò  della  sola 
terza  parte,  creandosi  invece  di  due,  tre  Consoli, 
uno  dei  quali  fu  tratto  dal  seno  del  popolo .  Il  Con- 
siglio generale  dei  nobili  era  formato  di  cento  pe^ 
sone,  né  vi  poteva  entrare  che  un  individuo  per 
casa:  solo  a  cinque  famiglie  come  numerosissime) 
cioè  Piccolomini^  Tolomei,  Malevolti,  Salimbeoi, 
«  Saracini,  fu  concesso  averne  due.  In  quella  rifo^ 
ma  pertanto,  volendosi  conservare  la  stessa  propor- 
zione, furono  ai  cento  gentiluomini  aggiunti  5o 
popolani  (%6).  Conosciuta  il  popolo  la  sua  forza,  e 
gustato  il  piacere  di  governare,  dopo  qualche  tempo 
ne  volle  una  parte  maggiore ,  e  pronto  a  pretenderla 
colla  forza,  l'ottenne  p^ici  fica  mente.  L'autorità  dei 
Consoli  per  l'introduzione  del  Potestà  (  come  ab- 
itiamo visto  a  suo  luogo  )  era  assai  diminuita;  si  de- 
terminò che  ^4  persone,  fossero  i  Rettori,  scelle 
indifierentemente  dai  nobili,  o  popolari,  le  quali 
ogni. anno  ^i  rinnovassero.  Pare  che  ciò  avvenisse 
circa  l'anno  ia3a:  a  queste  ne  furono  aggiunte  poi 
altre  dodici.  Soffrivano  mal  volentieri  i  gentiloo- 
mini  questa  diminuzione  di  autorità;e  colle  querele, 
e  cogl' insulti  irritavano  di  avvantaggio  i  popolari, 
che  preso  sempre  più  coraggio,  cacciarono  final- 
xnen^te  affatto  la  nobiltà  dal  reggimento  nell'an- 
no 1 280.  Parve  ai  Riforno^atori  troppo  numeroso  il 
Magistrato  dei  36,  si  per  la  difficoltà  di  trovarsi 
d'accordo ,  come  pella  necessaria  segretezza  negli 
affiiri ,  e  fu  ridotto  a   i5,  detti  i  Governatori,  e 

(aO)  Malav,  i$tcn:.  $aiie.  pag.  1.  lih.  |, 


CAPITOLO  SESTO  129 
Difensori  del  Comune,  e  Popolo  di  Siena.  Ancor 
questo  numero  fu  creduto  poi  troppo  esteso,  perciò  ^"q* 
4  anni  apprèsso  fu  ridotto  a  nove;  e  questa  è  l'origine  i^ss 
del  celebre  Magistrato,  o  Monte  di  Nove.  Fu  stabi- 
lito che  per  la  sollecita  spedizione  degli  affari  abi- 
tassero in  uno  stesso  palazzo,  e  che  il  tempo  dei 
loro  reggimento  non  oltrepassasse  due  mesi .  Dal 
Magistrato  dei  Nove,  supremo  Rettore  della  repub- 
blica, (tanto  era  il  timore,  e  gelosìa  dei  potenti) 
non  solo  furono  esclusi  i  nobili ,  ma  i  cittadini,  e 
mercanti  troppo  ricchi,  i  Dottori,  e  i  Notai  .Nacque 
un  siffatto  governo  appunto  in  questi  tempi,  cioè 
uelTanno  1284;  sì  mantenne  lungamente  fra  con- 
tinue agitazioni,  delle  quali  alcune  delle  principali 
saranno  esposte  a  suo  luogo. 

Morì  il  Re  Carlo  di  Napoli,  amico  pericoloso  dei 
Fiorentini.  Avea  provato  la  prospera ,  e  Tavversa 
fortuna:  favorito  da  lei  nelle  battaglie,  vinse  due 
re  potenti  Manfredi ,  e  Corradino,  e  guadagnò  i  re- 
gni di  Napoli ,  e  di  Sicilia ,  mentre  era  ancora  Si- 
gnore della  Provenza,  ed  ebbe  gran  potere  sulla  fio- 
rentina repubblica:  la  fortuna   però  cambiandosi 
sparse  di  amarezza  gli  ultimi  suoi  giorni.  Si  vide 
odiato  atrocemente  dai  sudditi;  perdette  la  Sicilia, 
ove  tutti  i  suoi  furono  trucidati  nella  più  orribil 
Tnaniera;  si  yide  deluso  da  Pietro  di  Aragona,  che 
dopo  avergli  occupata  la  Sicilia,  lo  schernì  ancora, 
facendolo  andare  inutilmente  a  Bordeaux  alla  con- 
certata disfida,  a  cui  quello  avea  finto  di  aderire 
per  guadagnare  un  tempo  importante;  e  a  ciò  si 
ag^giunse  la  prigionìa  del  suo  figlio  maggiore  nella 
I>attaglia  che  quest'imprudente  giovine  accettò  da 
Ruggieri  Loria .  Morì  Carlo  fralle  agitazioni  dei  pre- 

'Joino  11.  9 


i3o  LIBRO  TERZO 

^^ parativi  per  la  sua  vendetta;  grande  esempio  di 
di C.  varietà  di  fortuna,  utile  lesione  ai  Regnanti,  gìa^ 
^^^^  che  gran  parte  delle  disgrafie  dovette  alla  sua  ero- 
deità.  Il  figlio  fu  proclamato  Re  di  Paglia:  ma 
dopo  avere  a  gran  stento  salvata  la  vita  fra  gF  irri- 
tati Siciliani,  era  stato  condotto  prigione  in  Spagna: 
anche  il  rivale  di  Carlo,  il  re  Pietro  di  Aragona  fisi 
di  vivere.  Alfonso  suo  figlio  maggiore  gli  successe 
nel  regno  di  Aragona,  Giacomo  secondogenito  in 
quello  di  Sicilia . 


i3i 


CAPITOLO    VII. 


SOMMARIO 

•  \ 
Repubblica  di  Areuo.  Potenza  dei  suoi  Vescovi,  Cacciata  dei 
Guelfi  dalla  città'.  Guerra  coi  Fiorentini  e  Sanesi .  Battaglia 
di  Campaldino.  Guerra  dei  Fiorentini  contro  i  Pisani,  Presa 
di  Calcinaja,  e  di  Porto  Pisano.  Mutazione  di  governo  in 
Firenze.  Pace  coi  Pisani  • 


u 


n'  altra  repubblica  in  Toscana  avea  cominciato 


a  segnalarsi,  ed  a  spiegare  la  sua  potenza  contro  i  jj  q] 
Fiorentini.  Arezzo  per  quello  che  mostrano  i  dub-  i^ss 
biosì  barlumi  dell'antica  storia ^  rispettabile  fralle 
etrusche  città^  potente  nel  vigore  della  romana  re- 
pubblica y  e  in  specie  nella  seconda  guerra  puni- 
ca (i),  in  volta  poi  nella  comune  disgrazia  quando 
la  gotica, e  longobardica  invasione  sparse  sull'Italia 
la  desolazione,  e  T  ignoranza,  cominciò  a  risorgere 
a  nuova  vita  sotto  il  vincitore  dei  Longobardi  Carlo 
Magno.  Quel  pio,  e  valente  Sovrano,  dominatore 
di  tanta  parte  del  mondo,  e  a  cui  perciò  il  dono  di 
Provincie,  non  che  di  città,  e  di  castella  era  incon- 
siderabile, sì  generoso  all'altare,  distinse  partico- 
larmente la  Chiesa  aretina  quando  onorò  colla  sua 
presenza  la  città  di  Arezzo.  Pare  che  allora  fa- 
cesse dei  grandiosi  doni  a  quel  Vescovo,  fra  i  quali 
probabilmente  la  città  di  Cortona,  che  restò  sog- 
getta lungamente  non  solo  nello  spirituale^  ma  nel 

(0  Tlt  Liv. 


i32  LIBRO   TERZO 

7temporale  governo  al  medesimo  (3).  Divenne  nei 
di  o.  seguenti  secoli  il  Vescovo  aretino  uno  dei  più  pò- 
1288  tenti  Signori  d'Italia,  non  che  di  Toscana,  essendo 
vastissimi  i  suoi  secolari  dominj,  i  quali  si  estende- 
vano dal  Tevere  a  Montalcino,  dall'Alpi  di  Bagno 
al  Trasimeno,  per  guisa  che  comprendevano  la  metà 
del  Casentino,  del  Valdaruo  di  sopra,  del  Chianti, 
una  buona  parte  del  territorio  della  città  di  Siena 
sino  a  due  miglia  della  città  stessa,  Pieuza,  Mon- 
ialcinoy  Cortona,  Montepulciano  con  tutta  la  Val 
di  Chiana,  il  capitanato  di  Arezzo,  il  vicariato 
di  Anghiari,  e  parte  della  moderna  diocesi  di  S. 
Sepolcro  (3)  •  Non  è  già  che  il  Vescovo  avesse  un 
assoluto  impero  sopra  di  Arezzo,  che  pretendeva 
di  governarsi  in  repubblica,  ed  eleggeva  i  Potestà, 
e  gli  altri  Rettori,  ma  la  sua  potenza,  le  sue  rie* 
chezze  davano  al  Vescovo  un'influenza  quasi  so- 
vrana, quand'avea  talenti  politici  abbastanza.  Era 
inoltre  il  Vescovo  Principe  dell'Impero^  e  unendosi 
lo  spirituale  al  temporale  potere,  diveniva  la  per- 
sona più  atta  a  governare  quei  popoli,  e  tenerli 
alla  divozione  imperiale.  Cortona  si  ribellò  dal  suo 
Signore  circa  l'anno  i23o,  e  per  circa  !à6  anni  si 
mantenne  independente :  invano  le  ammonizioni, 
e  i  fulmini  ecclesiastici  vibrati  da  Roma  sui  Gorto- 
nesi  tentarono  di  rimettergli  sotto  l'antico  dominio 
finché  non  salì  a  quella  sede  un  uomo  che  facesse 
succedere  la  forza  alle  imbelli  armi  ecclesiastiche. 
Venùe  a  quella  Chiesa  il  feroce  Guglielmino  liber- 
tini, Prelato  più  atto,  per  testimonianza  di  uno 


(a)  Guazzesì ,  dell'ant  Doni,  del  Vescovo  di  Arezzo. 
(3)  Guazz.  loc.  cit. 


CAPITOLO  SETTIMO  i33 
scrittore contemporàDeo (4)^3  maneggiare  la  spada, 
che  il  pastorale.  Mal  soffreodo  perciò  la  ribellione  ^P"^ 
di  Cortona^  nel  r!i58  messe  insieme  numerose  trup-  i^ss 
pe  9  ed  ajutato  dal  Comune  di  Arezzo^  e  da  Astoldo 
dei  Rossi  suo  Potestà ^  marciò  sopra  Cortona^  e  o 
colla  forza  aperta  y  o  per  una  notturna  sorpresa  pe- 
netratovijvi  portò  la  desolazione  disfacendo  le  mu- 
ra^  e  le  fortezze.  Fuggirono  i  migliori  cittadini  a 
Castiglione  del  Lago;  ma  per  timida  politica  non 
essendo  da  quella  popolazione  ricevuti,  furono  co- 
stretti a  viver  lungamente  sotto  le  tende  (5).  Vi- 
dero di  mal  occhio  i  Fiorentini  siffatta  conquista , 
e  forse  avrebbero  tentato  qualche  impresa  contro 
il  Vescovo  di  Arezzo,  che  vedevano  partitante  Ghi- 
bellino, ma  il  timore  di  questa  fazione  ognor  cre- 
scente per  r influenza  del  re  Manfredi,  il  timore 
dei  Sanesi,  e  poi  la  rotta  di  Monteaperti,  gl'impe* 
dirono  di  soccorrere  gli  esuli,  che  finalmente  nel- 
Tanoo  ia6i  ritornarono  in  Cortona,  riconoscendo 
pacificamente  il  dominio  del  Vescovo  di  Arezzo (6). 
Nel  lungo  suo  governo  di  quella  Chiesa  Gugliel- 
mino  si  mantenne  del  Ghibellino  partito;  e  benché 
talora  secondo  le  tortuose  strade,  che  sono  obbligati 
a  prendere  i  Capi  dei  governi  per  interesse  si  mo- 
strasse Guelfo,  quando  potè  obbedire  al  suo  genio 
promosse  gì'  interessi  dei  Ghibellini.  Cosi  nel  tempo 
in  cui  Firenze,  Siena,  e  la  più  gran  parte  della 
Toscana  seguivano  la  parte  Guelfa,  fece  ribellare 
nel  1  a86  un  forte  castello  ai  Sanesi  detto  il  Poggio 


(4)  Dino  CompaffDi:  //  V'escavo  che  sapea  meglio  gli  uf» 
Bei  della  guerra  che  della  Chiesa  *  ec,  Cron.  rer.  ital.  Scr.  tom. 

(5)  Giov.  Vili.  lib.  6.  e  6.  Guazz.  loc.  cit. 

(6)  Goazx.  bc  ciu 


f34  LIBRO  TERZO 

"  di  Santa  Cecilia,  e  cercò  di  sostenerlo  con  tal  vìge- 
dic/  ^^9  ^^^  1^  '^'^^^  ^^^  Fiorentini ,  e  Sanesì  riunite  per 
ia88  espugnarlo  non  vi  consumarono  meno  di  mesi  cin- 
que, dopoi  quali  i  ribelli,  disperando  del  perdono, 
tentarono  di  notte  la  fuga ,  ma  molti  di  essi  presi 
ebbero  la  morte,  ed  il  castello  fu  disfatto  (7).  Que- 
sto inutile  tentativo  eccitò  gran  rumore  per  la  To- 
scana dominata  da  parte  Guelfa,  onde  è  da  crede- 
re, che  il  Vescovo  fosse  biasimato  anche  dal  Gover- 
no aretino,  che  seguendo  la  sorte  delle  altre  città, 
si  governava  popolarmente  dai  GueIG ,  sotto  un  Ret- 
tore chianoato  il  Priore  del  Popolo ,  che  teneva  basa 
la  potenza  dei  Grandi .  Quindi  dovette  nascere  la 
mutazione  del  Governo  di  Arezzo  neir  anno  ap- 
pi*esso  1 287 ,  in  cui  il  Vescovo  preso  il  tempo  della 
morte  del  Pontefice  Onorio,  e  di  quella  del  Re 
Carlo,  unitosi  coi  Ghibellini  di  città,  e  coi  potenti 
Signori  di  contado,  cacciò  di  Arezzo  i  Guelfi,  re- 
cando nelle  sue  mani  il  supremo  potere  di  quella 
repubblica.  Queste  mutazioni  non  si  facevano  sena 
sangue,  e  al  disgraziato  Priore,  forse  in  ricoropeosa 
della  sua  giustizia ,  e  imparzialità,  furono  cavati  gli 
occhi  (8).  Commossi  i  Fiorentini  da  questo  colpo, 
che  mostrava  loro  la  fazione  nemica  crescente  di 
forza  ogni  giorno,  crederono  non  dover  più  dissi- 
mulare col  Vescovo,  e  colla  Comunità  di  Areiso,e 
si  determinarono  alla  guerra.  Vi  si  accinsero  gK 
Aretini  con  un  coraggio  che  si  accostava  all' im- 
prudenza (9);  giacché  non  solo  aveano  a  combattere 

(7)  Gìo.  Vili.  Ilb.  7.  e.  109. 
.  (S)  Gio.  Vili.  loc.  ciL 
(o)  E'  per  questo  che  Dante  gli  ha  chiamati  bAtloli  dot 
cagnolini . 

Ringhiosi  più  che  non  chiede  lor  possa. 


CAPITOLO  SETTIMO      f35 

i  Fiorentini,  ma  i  Sanesi,  e  furono  anche  i  primi  a  — ^; 
cominciare  le  ostilità  :  acorrendo  au  ì  contorni  di  j"o| 
Montevarchi ,  e  secondo  il  ruinoso  modo  di  gaerreg-  it^sa 
giare  di  questi  tempi ,  ardendo ,  e  desolando  le 
campagne:  passarono  ìndi  sul  Sanese,e  cacciarono 
i  Guelfi  di  Chiusi  riducendolo  a  fazione  Ghibellina. 
Non  potendo  i  Fiorentina  più  sopportare  tanti  in- 
suiti  9  si  armarono  chiamando  da  tutte  le  città  della 
Confederazione  guelfa  le  truppe  che  per  convenzio- 
ne della  Taglia  erano  in  obbligo  di  armare.  Cogli 
ajuti  perciò  di  Siena ^  di  Lucca,  di  Pistoja ,  di  Pra- 
to, di  Volterra ,  e  dell'  altre  città  ,  e  Signori  confe- 
derati posero  insieme  un  esercito  il  maggiore  dopo 
quello  della  disgraziata  battaglia  di  Monteaperti, 
e  si  mossero  verso  Arezzo,  posero  il  campo  a  La- 
terine,  castello  assai  forte,  e  in  otto  di  T ottennero 
per  tradimento  del  Capitano  Lupo.  Non  avendo  gli 
Aretini  forze  per  misurarsi,  stettero  chiusi  nelle 
loro  mura:  vi  giunsero  le  truppe  collegate,  e  non 
trovando  contrasto,  devastarono  le  campagne,  e  per 
insulto  la  vigìlia  di  S.  Gio.  Battista  fecero  correre 
il  loro  palio  innanzi  ad  una  delle  porte ,  come  se 
fossero  tranquillamente  in  Firenze.  Non  osarono 
peraltro  attaccar  la  città,  e  dopo  devastazioni,  ed 
incendi  si  ritirarono  verso  Firenze.  I  Sanesi  stac- 
catisi dai  Fiorentini  presero  la  strada  di  Val  di 
Chiana*  Intesa  dagli  Aretini  la  divisione  dell' eser^ 
cito ,  furono  sollecitamente  dietro  ai  Sanesi  con  non 
più  di  Soa  cavalieri  e  scx>o  pedoni ,  e  aspettatili  al 
passo  della  Pieve  al  Toppo,  li  attaccarono^mprov- 
visamente,  li  ruppero,  e  fecero  moltissimi  prigio- 
nieri delle  principali  famiglie  di  Siena,  restando 
morto  anche,  il  loro  Condottiero  Rinuccio  Farne- 


.J. 


i36  LIBRO    TERZO 

"'^  se  (io).  Crebbe  la  potenza ,  e  T animo  agli  Aretini 
dfo!  Jop<>  eh®  ^^^^  9  ^^^'^  morire  Uj^olino ,  e  lornata 
ia88 Ghibellina,  si  era  collegata  con  essi»  Si  fecero  va- 
rie scorrerìe  dagli  Aretini ,  e  dai  Fiorentini  nelle 
rispettive  terre  con  reciproci  danni  r  stettero  a  fron- 
laSg  te  presso  a  Laterine  i  due  eserciti  inutilmente;  es- 
sendovi Arno  di  mezzo  «  donde  essendo  sloggiati  i 
primi,  gli  Aretini  mandarono  rapidamente  una 
truppa  spedita ,  che  per  la  via  di  Bibbiena,  e  di 
Casentino  corse  in  Val  di  Sìeve  con  siOatto  terro- 
re dei  Fiorentini,  che  richiamarono  sollecitamente 
l'esercito  (i  i).  Continuò  questa  guerra  per  qualche 
tempo,  ruinandosi  scambievolmente  le  campagne. 
Intanto  passò  di  Firenze  Carlo  II  Re  di  Napoli, 
uscito  di  prigione,  che  dopo  essere  stato  molto 
onorato  dai  Fiorentini,  come  figlio  del  grande  loro 
alleato,  seguitò  il  suo  viaggio  verso  Napoli.  Venne 
in  pensiero  agli  Aretini  di  tentare  un  colpo  ardito, 
d'imprigionare  il  re  Carlo  considerato  da  essi  come 
nemico^  e  che  viaggiava  con  piccola  scorta  ;  onde  si 
mossero  chetamente  con  una  truppa  risoluta, e  spe- 
dita. Avutone  però  sentore  i  Fiorentini,  colla  mag- 
gior fretta  adunato  un  sufficiente  corpo  di  truppa 
raggiunsero  il  Re  Carlo,  e  lo  scortarono  salvo  al  di 
là  dei  confini  sanesi.  Gli  odj  eccitati  da  reciproche 
offese  erano  cresciuti  a  segno  tra  queste  due  città 
rivati  da  dover  aver  luogo  qualche  sanguinoso  av* 
venimento.  Adunarono  i  Fiorentini  numerosissime 
truppe,  giacché  oltre  gli  ajuli  delle  confederale 
città,  ebbero  dei  soccorsi  di  Bolo3[na,edi  Roma- 

(io)  GJo.  Vili.  Ilb.  7.  cap.  119.  Malav.  5st.  dì  Siena  par.  a. 
lib.  3,  Cron.  Saneus.  rei*,  ital.  lom.  1 5.  Dino  Comp.  lib.  1. 

(11)  Gio.  Vili,  istor.  lib.  7.  e  a  3.  Leonar.  bruni  bist.  fior 
lib.  3. 


CAPITOIO  SETTIMO  i37 
goa.  Guidava  l*eserciu  Amerigo  di  Narbona,  Ge- 
nerale dato  loro  dal  Ri  Carlo:  Tesercito  degli  Are-  ^j  (^ 
tini  minore  almeno  di  un  terzo  aveva  alla  testa  il  ^^^9 
valoroso  Vescovo  Gujlielmìno ,  vi  si  erano  riunite 
le  genti  dei  loro  amia  Conte  Guido  Novello  allora 
Potestà  di  Arezzo,  Buon  Conte  di  Moutefeltro,  e 
Guglielmìno  dei  Pazeì.  I  Fiorentini  fecero  mostra 
di  venir  verso  Arezzo  per  Val  d'Arno,  avendo  pian- 
tate le  loro  insegne  a  Ripoli  il  dì  i3  maggio:  ma 
improvvisamente  il  di  ft  di  giugni»,  essendo  traspor- 
tate alla  riva  destra  dell'Arno  ^  si  avviò  l'esercito 
verso  il  Casentino  per  attaccare  le  castella  del  Con- 
te: il  Vescovo  Aretino  perdifenlerc  Bibbiena  mosse 
le  genti  per  la  stessa  parte:  /incontrarono  i  due 
eserciti  presso  Poppi  a  Certonondo,  e  gli  Aretini 
bencbè  inferiori  di  numero  idd  recusarono  la  bat- 
taglia, la  quale  si  appiccò  ne^ piano  detto  Campai- 
dino  agli  1 1  di -giugno.  Furato  nel  principio  rotti  i 
Fiorentini,  e  quantunque  ol  numero  supplissero 
alla  straordinaria  ferocia  da  combattenti  nemici , 
vi  si  era  sparso  il  terrore  6  la  confusione  in  guisa 
che  andavano  piegando,  e  sarebbero  stati  intiera- 
mente vinti  senza  il  cora^;io,  e  la  risolutezza  di 
Corso  Donati.  Eragli  stata  affidato  un  corpo  di  ri- 
serva di  cavalieri,  e  pedon  specialmente  di  Lucca, 
e  di  Pistoja  ov'era  Potest;  ma  conoscendosi  il  di 
lui  naturale  feroce,  e  inpaziente  gli  era  stato  dal 
Generale  sotto  pena  della.esta  vietato  di  entrare  in 
battaglia  senza  un  ordin  espresso.  Nell'ardore,  e 
confusione  della  battagli;,  pare  che  il  Generale  si 
fosse  dimenticato  di  quei^o  corpo  (id).  Stette  saldo 

(13)  Nella  famosa  Lattarla  di  Pavia  il  Yice*Re  Lanoia  si 


i38  LIBRO  TERZO 

!  per  qaalche  tempo  il  Donati,  rafirenato  dagli  ordi- 
diC.  dì  rigorosi:  ma  vedendo  chela  rotta  dei  Fiorentini 
1^9  andava  crescendo,  e  che  non  riceveva  ordini ,  v<^e 
piuttosto  correre  il  rischio  della  condanna ,  che 
mancare  alla  patria  •  Invitati  dunque  con  ardile 
voci  la  sua  schiera  y  piombò  sii  i  nemici,  che  l'ar- 
dore, e  la  speranssa  della  proisima  vittoria  aveano 
fatti  soverchiamente  distendete  fuori  di  ordine: 
questa  truppa  non  solo  ristabilì  la  pugna ,  ma  di- 
sordinò gli  Aretini.  Aveano  ancor  essi  un  corpo  di 
riserva  guidato  dal  G>nte  Guido  Novello,  a  cui  or- 
dinarono di  entrare  in  battaglia  ;  ma  quest'  uomo, 
che  nella  battaglia  presso  Colle,  ed  altrove  a vet 
dato  segni  di  poco  vJore ,  non  ismenti  neppur  qui 
il  suo  carattere;  oncb  o  che  egli  credesse  le  cose 
perdute,  o  volesse  ri^armiar  le  sue  genti,  si  stac- 
cò dagli  Aretini  ritiraidosi  alle  sue  castella.  Scon- 
certati da  questa  defeione,  gli  Aretini  furono  in- 
tieramente posti  in  rotta  :  il  feroce  Vescovo  Gngliel- 
mino  dopo  aver  &tto  lufBcio  di  ottimo  generale,  e 
di  soldato  non  volle  sopravvivere  alla  sna  disfatta , 
e  mori  valorosamente  ombattendo  (i3).  L'oso,  os- 
sia Tabuso  di  quel  tempt,  che  tollerava  negli  eccle- 
siastici il  maneggio  delhrmi ,  può  servire  di  qual- 
che scusa  al  Vescovo  (i'^)  .  Non  può  negarsi  ch'ei 

scordò  dì  fare  entrare  in  battagli  un  considerabile  corpo  di  trop- 
pe, y.  Robertson  Istor.  di  Carlo  \ 

(iS)  Benché  valoroso,  il  V^covo  avea  un  gran  difetto  per 
un  Generale,  cioè  la  vista  cortatGli  scudi  dei  feditori  fiorente 
aveano  il  Campo  bianco  .*  egli-dintndò:  quelle  che  mura  sonot  fa- 
gli risposto  I  palvesi  dei  nemici .  |ino  Comp.  Cron. 

(i4)  L'abuso  era  tale  che  fafendosi  dal  Papa  gueira  control 
figli  di  Federigo  li  recusando  di  pendere  le  armi  l'Arcivescovo  dì 
Magonza,  con  la  scusa  che  non  lonveniva  ad  un  Sacerdote*  & 
privato  della  Chiesa  dal  Papa .  Re  Magun.  lib.  5. 


_      r 


CAPITOLO  SETTIMO      iSg 
non  possedease  talenti  politici^  e  militari:  Tetà  non  ^^^^ 
avea  abbattuto  né  il  vigore ,  ne  il   suo  guerriero  ^^^ 
coraggio  (i5).  Arezzo  non  fu  mai  più  grande  quau-  1289 
to  sotto  di  luì;  egli  Tavea  inalzato  a  un  grado  di 
potenza  da  metter  terrore  alle  Repubbliche  di  Fi- 
renze, e  di  Siena.  Ebbero  la  stessa  sorte  del  Ve- 
scovo molti  dei  principali  dello  stesso  esercito  come 
Guglielmo  dei  Pazzi ,  eoo  due  suoi  nipoti ,  Boncon- 
to  di  Montefeltro  ec.  (16)  Furono  uccisi  varj  altri 
uomini  di  conto,  e  circa  a  duemila  soldati,  oltre  i 
prigionieri.  Dalla  parte  dei  'Fiorentini  non  se  ne 
accerta  il  nunoero.  Si  trovò  in  questa  battaglia ,  la 
più  sanguinosa  in  Toscana  dopo  quella  di  Monte- 
aperti,  coi  Fiorentini  il  Poeta  Dante,  che  nei  suoi 
▼ersi  piò  di  una  volta  fa  menzione  delle  persone 

(1 5)  Governò  la  chiesa  di  Arezzo  per  4o  anni:  deve  supporst 
che  fosse  eletto  Vescovo  di  etk  poco  mioore  di  3o ,  onde  quando 
combattè  in  Campaldino  doveva  essere  ahneno  circa  il  settantesi- 
mo anno. 

(16)  U  di  cui  corpo  non  si  potè  trovare.  Dante  che  finge  di 
trovar  la  sua  Ombra  nel  Purgatorio  (Canto  5) così  gli  parla 

qua!  forza ,  o  qual  ventura 

Ti  traviò  si  fuor  di  Campaldino  » 

Che  non  si  seppe  mai  tua  sepoltura  f 
Oh ,  rispos'  egli ,  appiè  del  Casentino 

Traversa  un'  acqua ,  che  ha  nome  l' Archiano 

Che  sovra  l'Ermo  nasce  in  Appennino» 
L^,  've  '1  vocabol  suo  diventa  vano^ 

Arriva'  io  /  forato  nella  gola , 

Fuggendo  a  piede  »  e  sanguinando  '1  piano. 
Quivi  perdei  la  vista  »  e  la  parola  .  •  •  • 

Beo  sai  come  nell'  aer  si  raccoglie 

Quell'umido  vapor,  che  in  acqua  riede, 

Tosto  che  giunge  dove  '1  freddo  il  coglie  •  •  • . 
lio  corpo  mio  gelato  in  su  la  foce 

Trovò  l'Archi an  ruhesto  ;  e  quel  schiuse 

Nell'Amo,  e  sciolse  al  mio  petto  fa  croce  » 
Cb*  i'  fé'  di  me,  ouando  '1  dolor  mi  vinse  ; 

Yoltommi  per  le  ripe,  e  per  lo  fondo. 

Poi  di  sua  preda  mi  coperse  e  cinse  • 


i4o  LIBRO  TERZO 

^che  vi  combatterono  (17).  L'esercito  vincitore  non 
di  e.  volendo  lasciar  dietro  luoghi  forti  in  mano  dei  ne» 
13^9 mici,  indugiò  otto  giorni  ad  arrivare  ad  Arezzo, 
indugio  che  probabilmente  gli  privò  del T acquisto 
di  quella  città.  Ella  era  non  solo  scoraggila  da  si 
gran  rotta ,  ma  quasi  aperta^  mancandovi  un  pezzo 
delle  mura.  Ritirativisi  gli  avanzi  della  battaglia, 
e  conoscendo  che  l'universale  salvezza  dipendeva 
dal  difender  quel  recinto,  chiuso  frettolosamente 
con  sbarre,  e  travi  il  pezzo  mancante  delle  mura, 
intrepidi  alle  ingiurie  (18)  come  agli  assalti ,  fecero 
la  più  ostinata  difesa.  In  vano  appiccando  il  fuoco 
i  Fiorentini  alla  parte  di  legno  delle  mura,  tenta- 
rono entrarvi:  fu  l'apertura  difesa  con  straordina- 
rio valore:  anzi  fatta  una  sortita  gli  assediati  arsero 
le  principali  macchine  da  guerra  dei  nemici,  che 
furono  costretti  a  ritirarsi  (iq).  La  città  di  Firenze, 
che  era  stata  in  somma  apprensione  (20),  non  si 
rallegrò  mai  tanto  di  alcun'altra  vittoria.  Rientrò 
in  Firenze  l'esercito  in  trionfo:  fra  gli  altri  trofei 
si  portarono  pubblicamente  lo  scudo,  e  l'elmo  di 
Gugtielmino,  e  furono  sospesi  al  creduto  tempio 
di  Marte,  ossia  a  San  Giovanni  (^i),  ove  restarono 
fino  ai  tempi  del  Granduca  Cosimo  III  che  fece 

(1 7)  Vili.  llb.  7.  cap.  1 3o.  Dino  Corop.  Cron.  Leonardo  Brani 
hìst.  fìor.  lib.  4*  Cron.  Sancs.  rer.  ital.  tom.  i5. 

(18)  Volendo  i  Fiorentini  insultare  il  morto  Condottiero  degli 
A  retini  y  collo  macchine  use  a  quei  tempi  scagliarono  dentro  la 
città  un  asino  con  la  mitra  in  testa  • 

(19)  VilL  Leon.  Bruni  lib.  4* 

(20)  La  favola  dei  Priori  che  dormivano,  risvegliati  da  ona 
voce  incognita,  che  annunziava  loro  la  vittoria  assai  prima  che  ne 
giungesse  l'avviso,  mosU*a  abbastanza  la  sollecitudine  in  cui  era 
la  città. 

(ai)  Bruni  bis.  lib.  3.  Guazzesi  dell'antico  dominio  del  Vesco- 
vo di  Arezzo  ce. 


CAPITOLO  SETTIMO  i4i 
toglier  dalla  vista  del  pubblico  un  monumento  pe-  =^^ 
renne  deir  abuso  fatto  delibarmi  dagli  ecclesiastici,  ^^q 
Gli  andò  incontro  festeggiando  la  maggior  parte  1289 
del  popolo^  e  in  solenne  processione  gii  ecclesiasti- 
ci. Benché  si  difendessero  gli  Aretini  nel  recinto 
delle  lor  mura^  questa  perdita  recò  un  gran  colpo 
alla  loro  potenza^  e  fu  per  essi  ciocché  ai  Pisani  la 
rotta  della  Meloria.  Tentarono  più  volte  i  Fioren- 1^90 
tini,  e  col  tradimento,  e  colla  forza  di  occupare 
Arezzo,  ma  sempre  invano.  Aveano  segrete  intel- 
hgenze ,  per  le  quali  doveano  esser  loro  aperte  le 
porte.  Si  mossero  improvvisamente,  ed  erano  giun- 
ti a  Civìtella,  quando  uno  dei  congiurati  essendo 
caduto  da  uno  sporto  moribondo  palesò  il  trattato 
al  confessore,  che  lo  rivelò  a  messer  Tarlato,  e  co- 
si andò  a  vuoto  (22).  Solo  il  Conte  Guido  Novello 
pagò  la  pena  della  sua  defezione,  giacché  l'esercito 
fiorentino  portatosi  nelle  sue  terre.  Poppi,  Castel 
Sant'Angelo,  Chiazzolo,  Cietica,  e  Montauto  di 
Valdarno,  le  occupò,  e  diede  loro  il  sacco.  Si  pro- 
seguì la  guerra  con  reciproci  danni  specialmente 
degli  Aretini ,  restando  miseramente  desolate  le  lo- 
ro campagne.  Abbattuta  la  potenza  di  Arezzo,  si 
volsero  i  Fiorentini  contro  i  Pisani,  alleati  di  quel- 
la Repubblica*  Erano  i  Fiorentini  uniti  coi  Lucche- 
si ,  e  Genovesi  •  Benché  i  Pisani  non  avessero  forze 
da  misurarsi  con  tanti  nemici,  andarono  schermen- 
dosi con  bastante  successo  pel  senno  del  loro  Con- 
dottiero il  Conte  Guido  da  Montefeltro.  L'istoria  ìagi 
non  presenta  che  piccoli  fatti  di  campagne  minate, 
e  castella  prese,  e  perdute.  Fra  questi  avvenimen- 

(aa)  VilL  lib.  7.  e.  137.  Bruni  lib.  4- 


i4ii  LIBRO  TERZO 

.  ti  ^  per  qualche  singolar  circostanza  y  si  distingue  la 
die.  presa  di  Calcina ja .  Era  essa  occupata  dai  fuorusciti 
>39i  pisani,  e  specialmente  dalla  famiglia  Upezzingbi. 
Il  Conte  Guido  avea  delie  corrispondenze  segrete 
con  alcuni  del  castello.  Accostatasi  di  notte  una 
truppa  y  passato  chetamente  il  fosso  che  lo  circon- 
dava^ dette  la  scalata:  i  8140Ì  autori  dentro  del  ca- 
stello,  corsero  a  serrare  di  fuori  la  maggior  parte 
degli  usci  delle  case,  perchè  i  terrazzani  000  potes- 
sero uscire.  Gualtieri  Upezzinghi  correndo  alla  di* 
fesa,  fu  traBtto  da  una  lancia^  il  castello  fu  preso, 
e  gli  Upezzinghi  condotti  prigionieri  in  Pisa  eoo 
molti  altri  Guelfi,  parte  dei  quali  chiusi  nella  Tor- 
re della  fame.  Una  negligenza  di  Gualtieri  cagionò 
questa  perdita^  e  la  sua  morte.  Nella  sera  che  la 
precedette  gli  fu  recata  una  lettera,  dove  si  avvi- 
sava della  trama.  Giocava  egli  a  tavola  reale,  osi 
scacchi,  se  la  pose  in  tasca  senza  aprirla^  e  poi  la 
dimenticò:  fu  trovata  ancor  sigillata  nelle  tasche 
del  morto,  e  il  carattere  servì  a  scoprire  il  tradito- 
1392  re,  che  era  uno  degli  Anziani  di  Pisa,  che  fu  deca- 
pitato (^3).  Mentre  i  Fiorentini  per  una  parte^  i 
Lucchesi  uniti  ai  Genovesi  dall'altra  attaccarono  il 
territorio  pisano,  una  squadra  ligure^  condotta  da 
Arrigo  dei  Mari,  assali  Porto  pisano,  ne  ruinò  le 
torri,  e  con  barche  piene  di  sassi  tentò  colmarne  il 
porto.  L'odio  fra  queste  due  nazioni  rivali  giunse  a 
segno,  che  una  delle  torri  essendo  prossima  a  cade- 
re, perchè  tagliata  alla  base^  e  solo  appuntellata. 


(a 3)  La  lettera  era  senza  sottoscrizione  9  ma  siccome  a  aucsti 
.soli  era  noto  il  trattato ,  il  Conte  Guido  tenendo  segreta  la  leUe- 
ra,  trovò  un  pretesto  per  fare  scrivere  tatti  gli  Anziani,  e  cosi  di- 
scoperse il  reo .  Marang.  Cron.  di  Pisa .  Tronci  Ann.  Pìs. 


CAPITOLO  SETTIMO  i43 
avvisati  di  ciò  e  intimati  di  arrendersi  i  difensori  . 
che  vi  erano  racchiusi ,  vollero  piuttosto  morire  sotto  di  e 
le  mine  che  venir  vivi  in  mano  dei  nemici  (a4)*  '^^^ 
Vinti  gli  Aretini^  e  i  Pisani  ^  rallentato  perciò  in 
Firenze  il  timor  dei  nemici  esterni^  risorsero  le  in- 
terne turbolenze.  Non  erano  stati  bastanti  i  prov- 
vedimenti presi  dal  popolo  nelle  passate  rivoluzioni  ^^^^ 
a  raffrenare  le  prepotenze  dei  Grandi:  le  guerre  che 
si  facevano  specialmente  col  consiglio ^  e  colla  mano 
loro^  li  rendevano  arditi ^  e  la  vittoria  orgogliosi,  e 
superiori  alle  leggi  •  Cosi  era  avvenuto  a  quest'  epo- 
ca. Insultavano  con  aperta  insolenza  ^  e  soverchia- 
vano non  solo  la  bassa  plebe  ^  ma  anche  gli  onesti 
cittadini^  turbandoli  nelle  loro  possessioni^  e  usan- 
do Tarmi,  e  il  bastone  (aS).  Tacevano  in  faccia 
loro  le  leggi:  non  si  trovava  giudice  criminale,  o 
civile  che  osasse  chiamarli  in  giudizio,  né  chi  fa- 
cesse testimonianza  contro  di  essi.  Giano  della  BeK 
la ,  di  condizione  popolare^  insultato  villanamente 
da  Berto  Frescobaldi ,  uno  dei  Grandi,  tenne  pro- 
posito con  molti  dei  primi  cittadini  popolari  come 
ai  potesse  por  loro  qualche  freno  ;  e  convennero  che 
il  tempo  più  acconcio  era  il  presente,  in  cui  i  Grandi 
per  private  inimicizie  erano  disuniti.  Fu  per  questa 
causa  eseguita  molto  fìicilmente  la  mutazione:  la 
potenza  del  popolo  era  tale  che  non  osarono  i  Gran- 
di di  opporvisi  •  Si  determinò  che  i  Priori  fossero 
eletti  fra  gli  artefici,  che  realmente  esercitassero 
un'arte,  e  non  bastasse  aver  fatto  descrivere  il  no- 
me alla  matricola ,  onde  così  furono  privati  i  Grandi 

(a4)  Ann.  genoenA,  rer.  iuL  Ioni.  6.  Marang.  Cron.  Pis.  Tron- 
ci  Add.  Pis. 

(a5)  Dino  Gorap.  Cren,  lib.  i.  Gio.  Vili,  loc  cit  Amm.  lìb. 


i44  LIBRO  TERZO 

.'di  questa  carica;  ma  Tiinportanza  della  riforma  h 
d;  Q^  la  creazione  di  un  Gonfaloniere  che  da  i^  cittadi- 
1393  ni^  due  per  Sesto ,  i  Priori  a  pluralità  di  voti  doYeano 
eleggere.  Il  tempo  di  questo  Magistrato  si  stabili  di 
due  raesi^  in  modo  però  che  nell'anno  andasse  tal 
carica  a  cadere  vicendevolmente  in  ogni  Sesto ,  e  di 
ninna  famiglia  potesse  esservi  alcuno  dei  Priori, e 
il  Gonfaloniere  ad  un  tempo  istesso  (36)  :  quaado 
il  bisogno  lo  richiedesse  fosse  pronto  il  Gonfalo- 
niere facendo  suonar  la  campana,  e  traendo  fuori 
il  vessillo,  o  gonfalone^  formato  di  bianco  con  gran 
croce  rossa;  e  adunati  mille  uomini  di  fanteria , che 
furono  poi  cresciuti  fino  a  4  mila,  facesse  eseguirla 
giustizia.  Ecco  come  appoco  appoco,  e  quasi  dian 
pezzo  dopo  r  altro  andò  formandosi  il  fiorentino 
governo,  secondo  che  era  la  Repubblica  ammaestra- 
ta dairesperienza:  ecco  finalmente  in  piedi  la  cele- 
bre Magistratura  dei  Priori  col  Gonfaloniere  alla  te- 
sta. Se  qui  si  fosse  arrestata  la  riforma  sarebbe  sta- 
ta giusta;  ma  siccome  difficilmente  finora  si  pote- 
vano provare  i  delitti  dei  Grandi,  fu  perciò  ordi- 
nato che  la  pubblica  voce  e   fama  attestata  da  due 
soli  testimonj  bastasse  a  provarlo,  e  che  un  consor- 
te fosse  tenuto  per  V  altro  ;  nello  stesso  tempo  si 
stabilirono  due  tamburi  uno  al  palazzo  del  Potesti, 
l'altro  a  quello  del  Capitano  del  Popolo,  ove  fosse 
a  chicchessia  lecito  di  attaccar  delle  ac  cuse  contro 
ì  Grandi.  L^ ingiustizia  di  questa  legge  si  mostra 
da  se  stessa  a  chi  ha  fiordi  senno.  Il  Codice  crimi- 
nale è  il  termometro  di  una  buona,  o  rea  legisla- 
zione; esso,  quando  è  bene  ordinato,  e  imparziai- 

('j6)  Gìo.  Vili.  Machiav.  ist.  fior.  1.  1.  Bruni  his.  fior.  L  {. 


CAPITOLO  SETTIMO  i45 
mente  eseguito^  è  il  Palladio  della  vera  libertà  reale, 
personale,  e  politica;  e  tal  non  era  in  Firenze,  per-d^c! 
ciò  avean  luogo  i  faziosi  tumulti  cosi  sovente  per  1^9^ 
rinforzarsi  sempre  piiì  contro  i  Grandi.  Fu  accele- 
rata dal  nuovo  Governo  la  pace  coi  Pisani.  Poche 
furono  le  condizioni:  restituzione  scambievole  dei 
prigionieri  ;  franchigia  di  gabelle  in  Pisa  pei  Fioren* 
tini,  e  loro  collegati;  disfatte  le  fortificazioni  di 
Pontedera,  ed  il  Conte  Guido  obbligato  a  partir  di 
Pisa  colla  qual  condizione  ì  Fiorentini  rendevano 
un  tacito  omaggio  al  valore  di  queir  uomo,  che  te- 
mevano: vi  si  aggiunse  che  per  alcuni  anni  non 
potessero  i  Pisani  elegger  Potestà,  o  Rettore  se  non 
nelle  terre  dei  Fiorentini  o  loro  collegati;  finalmen- 
te che  si  rendessero  i  beni  al  Giudice  di  Gallura,  e 
agli  altri  Guelfi ,  ai  quali  fosse  permesso  il  ritorno 
nella  patria  (27).  CoU'ultima  mutazione  nel  fioren- 
tino governo  sì  era  esacerbato  un  corpo  potente, 
qual  era  quello  dei  Grandi,  e  fatta  ad  esso  una  fe- 
rita nella  parte  più  sensibile  giacché  non  occupati, 
come  il  resto  della  città,  nel  commercio,  la  loro 
passione  non  poteva  essere  che  la  voglia  di  coman- 
dare, ed  era  slato  ad  essi  tolto  il  mezzo  di  soddi- 
sfarla, specialmente  per  opra  di  Giano  della  Bella. 
Quest'uomo  retto  nelle  sue  intenzioni,  franco,  e 
leale,  fu  attaccato  con  sorde  macchinazioni,  e  colle 
cabale  le  più  vili,  ì  racconti  delle  quali  fatti  dal 
suo  amico  Compagni  risvegliano  lo  sdegno  «Oltre 
Todio  dei  Grandi  avea  incorsa  anche  la  gelosia ,  e 
invidia  del  suo  ordine,  per  Tautorità,  e  considera- 
zione acquistata  nell'ultima  riforma:  la  sola  che 

(a7)Gio«  Vili*  lib.  8.  cap.  3.  Troocì»  Manng* 
^vuto  U,  IO 


i46  LIBROTERZO 

^gli  fosae  attaccata  era  la  bassa  plebe,  che  avea  pia 


^"^^  sentito  il  benefizio  della  protezione  delle  leggi;  ma 
1^94  questa  sorte  di  gente  pe'suoi  bisogni,  e  per  man- 
canza di  educazione  è  la  più  mutabile.  Avvenne 
che  in  una  rissa  tra  i  seguaci  di  Corso  Donati,  e  di 
Messer  Simone  da  Galastrone  fu  commesso  un  omi- 
cidio, e  furono  molti  feriti:  si  attribuì  generalmeD- 
te  l'uccisione  a  Corso,  o  ai  suoi  sgherri»  Fattone  il 
processo  fu  da  uno  dei  Ministri  falsificato  Tattestato 
dei  testimoni^  onde  il  Potestà  ingannato  assolvè 
Messer  Corso  •  Non  lo  soffri  il  popolo ,  attruppossi 
perciò,  e  correndo  alla  casa  di  Giano  della  Bella 
autore  della  riforma  ^  lo  stimolava  a  farla  eseguire. 
Giano  lo  rimandò  al  Gonfaloniere,  che  avea  la  for- 
xa  esecutiva  :  il  popolo  nel  suo  furore  irragionevole 
saccheggiò  il  palazzo  del  Potestà,  e  tra  questi  tu- 
multi Corso  ebbe  agio  di  salvarsi,  ascondendosi. 
lagS  Ma  gl'inimici  di  Giano,  che  lo  aspettavano  ad  ogni 
passo,  presero  questa  occasione  accusandolo  del  tu- 
multo, quasi  che  avesse  animato  il  popolo  alla  se^ 
dizione  in  vece  di  consigliarlo  a  deporre  Tarmi:  gli 
fece  una  formale  accusa:  i  due  partiti  dei  Grandi, 
^  dei  ricchi  popolani,  benché  nemici,  erano  riuni- 
ti nell'odio  contro  di  lui,  e  si  preparavano  a  soste- 
ner l'accusa  coH'armi.  Benché  colla  protezione  del 
minuto  popolo  potesse  difendersi,  non  volle  Giano 
ricorrere  a  questo  pericoloso  rimedio,  amò  meglio 
andare  in  volontario  bando;  e  il  popolo  di  coi  en 
stato  il  difensore  lo  vide  partire  con  dolore ,  ma  non 
si  mosse  (28).  La  pena  confermata,  e  aggravata  dai 
suoi  nemici,  e  fino  dal  Pontefice  approvata,  delle 

(a8)  Diao  Comp.  Croiu  lib.  1 .  Gio.  Vili*  llb.  S.  cap.  8. 


CAPITOLO  SETTIMO      i4^ 
animo  alla  nobiltà  di  riprender  Tantico  stato.  Gre-  ^^ 
sce^a  loro  la  speranza  nel  cedere  una  divisione  fra  ai  e. 
i  ricebi  popolani,  in  mano  dei  quali  era  il  governo,  ^^9^ 
e  che  per  la  disgrazia  di  Giano  aveano  inimica  an- 
che la  minuta  plebe.  Mandarono  pertanto  una  pa- 
cifica supplica  ai  Priori,  che  volessero  annullare  i 
provvedimenti  fatti  contro  di  loro;  ma  per  darle 
maggior  peso  si  erano  uniti,  ed  aveano  date  le  armi 
a  molti  dei  loro  aderenti  cittadini ,  e  masnadieri  • 
Arroossi  allora  il  popolo  infuriato,  e  già  si  trovava- 
no a  fronte  i  due  partiti  pronti  ad  appiccar  la  zuffa  ; 
quando  alcuni  più  saggi  cittadini  s'interposero  per 
acquietargli,  né  i  Grandi  poterono  ottenere,  se  non 
che  invece  di  due ,  tre  esser  dovessero  i  testimoni 
nelle  accuse  contro  di  loro;  lieve  rimedio  che  fu  poi 
anche  annullato  (^q). 

(a9)Gio  Vili,  llb.8.  eia.  Ammir.  lìb.  4*  Macbìav.  ist.  lìb.  3. 
Potrebbe  porsi  in  dubbio  questo  tumulto  per  non  parlarsene  da 
Dino  Compagni,  cbe  viveva ,  ed  era  fra  gli  attori  :  ma  la  sua  Cro- 
nica» per  quanto  veridica,  ed  anche  minuta  «  tralascia  talora  dei 
latti. 


i48  LIBRO  TERZO 


CAPITOLO    FUI. 


SOMMARIO 

Grandiose  fabbriche  inalzate  in  Firenze .  Terzo  giro  delle  su 
mura  •  Maggioranza  dei  Fiorentini  sugli  tUtri  popoli  étlU- 
Ha  nel  commercio  e  nelle  lettere.  Fazioni  dei  Bianchi  e  dei 
Neri  in  Pistoia  •  Crudeltà  che  ne  seguono ,  Pistoia  si  dà  in 
mano  ai  Fiorentini»  Funeste  conseguenze  che  ne  derivano, 
I  Ghibellini  si  uniscono  ai  Bianchi^  i  Guelfi  ai  Neri.  £s* 
irata  di  Carlo  di  F'alois  in  Firenze  •  Gli  è  data  facoltà  ài 
riformare  il  Governo .  Esilio  dei  Bianchi .  Nuove  divisim, 
Roberto  Duca  di  Calabria  è  chiamato  dai  Guelfi  in  Firm' 
%e.  Morte  di  Corso  Donali.  Turbolenze  in  altre  Repubbli- 
che della  Toscana.  Discesa  delV  Imperatore  Arrigo  FU  in 
Italia.  Giunge  in  Pisa .  Si  reca  a  Roma,  indi  si  move  c<0tn 
Firenze.  Dopo   due  mesi  è  costretto  a  levarne  il  campò. 
Muore  indi  a  Buonconvento  .  Origine  di   Uguccione  ddU 
Faggiola.  Suo  valore.  S*  impadronisce  di  Lucca.  Rompe  le 
truppe  fiorentine  alla  battaglia  di  Montecatini .  Prinàpj  H 
Castruccio,  E"  fatto  arrestare  dal  figlio  di  Uguccione.  Nen 
osando  di  ucciderlo  »  lo  tien  prigione .  Liberato  dal  popolo  t 
Castruccio  è  dichiarato  Signore  di  Lucca . 


7  JLje  sediziose  agitazioni  cosi  frequenti  della  6oren- 
diC.  tina  Repubblica  erano  effetto  della  soverchia  prò* 
^^9^  sperila,  e  ricchezza  ,  e  somiglianti  alle  malattie  di 
un  corpo  troppo  vigoroso  y  e  pletorico  •  Un  popolo 
avvilito  dalla  miseria,  o  abbattuto  sotto  un  goyeroo 
di  ferro,  benché  possa  per  disperazione  8olle?arsi) 
ciò  non  avviene  che  raramente,  e  solo  quando  vi  è 
spinto  quasi  a  forza  dall'esorbitanti  gravezze, o  in- 
giustizie; mentre  la  potenza  ,  e  la  ricchezza  cbe 
rendono  l'orgoglio  loro  compagno  più  irritabile^ 
trovano  nei  motivi  i  più  piccoli  il  malconteato^  e 


CAPITOLO  OTTAVO       149 

perciò  sono  pronte  ai  sediziosi  movimenti  .  Tali 
appunto  sono  le  cause  dei  Borentini  tumulti  indi-  ^-"^^ 
caie  dagli  storici  contemporanei  (e).  E  che  vera- 129$ 
mente  questa  repubblica  ad  onta  delle  civili  tem-> 
peste  fosse  in  un  florido  stato  di  ricchezze,  di 
potenza y  e  di  prosperità  crescente,  oltre  le  prove 
che  si  mostreranno  neir esporre  l'istoria  del  loro 
commercio,  potrà  dedursidai  pochi  fatti  che  accen- 
neremo. Una  repubblica  mercantile  ^  e  però  econo- 
ma ,  non  si  volge  a  spese  grandi,  e  di  ornamento , 
se  non  soprabbondino  nel  suo  seno  le  ricchezze. 
Nel  tratto  di  pochi  anni  molte  fabbriche  dispen* 
diose  furono  erette;  e  la  generosità  si  unì  colla  pietà 
religiosa  ad  abbellire  Firenze  •  Poco  innanzi ,  nel- 
r  anno  ia88,  un  cittadino  fiorentino  più  noto  per 
la  sua  figlia  Beatrice  divinizzata  da  Dante,  che  per 
la  pia,  ed  utile  opera  a  cui  die  principio,  Folco 
Portinari,  avea  fondato  lo  Spedale  di  S.^  Maria  Nuo- 
va ,  uno  dei  piiì  utili  stabilimenti  della  Toscana,  ed 
il  primo  di  questo  genere.  Cinque  anni  dopo,  l'arte 
di  Galimala  prese  ad  ornare  il  tempio  di  S.  Gio- 
vanni di  marmi  bianchi ,  e  neri  ;  nello  scorso  anno 
nel  mese  di  maggio  »  il  di  di  S.*  Croce  sMncominciò 
la  Chiesa  di  questo  nome,  con  la  grandiosità  con 
cui  si  ammira;  e  nel  settembre  nel  luogo  ovverà  la 
Chiesa  diS.*  Reparata, si  die  principio  con  tutta  la 
magnificenza  alla  maestosa  Cattedrale  di  S.*  Maria 
del  Fiore,  formandosi  i  fondi  per  proseguirne  la 
fabbrica.  Né  i  soli  pii  edificj,  ai  quali  i  mercanti 
di  buona  voglia  consacravano  una  parte  dei  loro 
guadagni,  furono  T oggetto  dei  Fiorentini:  per  as- 

(i)  Dino  Cron.  Gìo.  YilL  itt  io  più  ioogbi. 


i5o  LIBRO  TERZO 

.  sicurare  sempre  più  la  repubblica  dagli  alteotali 
di  e.  di  alcuni  Signori  feudali,  e  specialmente  i  Pazzi, e 
^^9^  gli  Ubaldini,  che  dominavano  nel  Valdaruo  di  ao- 
pra, fabbricarono  due  castelli,  gli  popolaroao,  e 
diedero  agli  abitatori  dei  privilegi .  Furono  questi 
San  Giovanni  sulla  riva  sinistra  deirArno,  e  Ca- 
stelfranco sulla  destra.  La  Signoria  cresciuta  tanto 
in  potenza,  e  in  ricchezza  credette  meritare  un  più 
onorevole  albergo  che  quello  delle  private  case  dei 
Cerchi  ove  sì  adunava:  si  prese  a  fabbricare  perciò 
il  magnifico  Palazzo  dei  Priori, che  oggidì  appellasi 
Palazzo  Fecchio^  colla  direzione  di  uno  dei  restau- 
ia98ratori  delK architettura,  Arnolfo  di  Lapo.  L'odio 
pubblico  si  mescolò  nel  diseguo,  e  si  amò  meglio 
che  questo  fosse  irregolare,  né  si  ascoltarono  le  aag- 
gie  dimostrauze  dell'Architetto,  perchè  non  veoisse 
a  posare  sopra  terreno  Ghibellino  quasi  infame,  e 
maladetto:  e  le  case  degli  liberti,  e  degli  altri  della 
stessa  fazione  già  demolite,  dettero  adito  alla  spa- 
ziosa piazza.  Finalmente  con  tutta  la  pompi  eccle- 
siastica ,  e  secolare  si  cominciò  il  terzo  giro  delle 
mura^  assistendo  a  benedir  la  prima  pietra  i  tre 
Vescovi,  di  Firenze,  di  Fiesole,  di  Pistoia,  con 
molti  altri  prelati,  la  Signoria,  tutti  gli  altri  ordini 
della  città,  ed  innumerabile  popolo.  Le  private 
persone  ancor  esse  aveano  cominciato  a  coronare  le 
vicine  colline  di  numerose,  e  dilettevoli  ville  (a). 

(a)  Vedi  Dante 

Non  era  vinto  ancora  Montemaìo 

Dal  vostro   Ucctllatoio  ec. 
L'Uccellatoìo  è  un  silo  sull*  antica  strada  bolognese ,  onde  si  iu 
un  grazioso  prospetto  dei  contorni  di  Firenze,  come  da  Moo- 
ternario  di  quelli  di  Roma ,  prospetto ,  che  ai  tempi  Hi  Dinte 
era  superato  da  quello  di  Firenze .  Dante  scriveva  appunto  ìi 


CAPITOLO  OTTAVO  iSi 
I  Fioreatinì  soprastavano  agli  altri  popoli  non' 
aolo  nel  commercio^  ma  nelle  lettere,  e  nei  polìtici ^°^' 
affari.  Basti  per  quelle  nominar  Brunetto  Latini^  1399 
Guido  Cavalcanti ,  e  soprattutti  Dante  non  solo  nella 
poesia,  ma  in  tutte  le  scienze  tanto  superiore  al  suo 
secolo.  I  talenti  politici  dei  Fiorentini  sono  provati 
da  un  singolare  avvenimento,  che  ebbe  luogo  ap- 
punto in  quest'anno,  in  cui  si  istituì  da  Bonifa- 
zio Vili  il  solenne  Giùbbiieo.  Egli  apri  i  tesori 
spirituali  non  solo  ai  Romani,  ma  a  tutti  i  fedeli, 
che  andassero  a  visitare  i  sepolcri  dei  SS.  Apostoli 
Pietro  e  Paolo.  La  novità  della  divozione  trasse  a 
Roma  un'innumerabil  quantità  di  pellegrini,  ed  un 
testimone  oculare  asserisce,  che  di  soli  forestieri 
erano  in  Roma  ogni  di  noo  mila  persone  (3)  ;  cioc- 
ché non  lasciò  di  recare  a  Roma  un  sommo  proGt- 
to.  I  Sovrani  inviarono  degli  Ambasciatori  a  com. 
plimentare  il  Papa,  e  a  partecipar  per  loro  delle 
grazie  spirituali;  fra  questi  si  trovarono  insieme 
alla  presenza  del  Papa  dodici  Fiorentini  Ambascia-  iSoo 
tori  di  dodici  diversi  Sovrani,  ciocché  fece  dire  al 
Pontefice  maravigliato, essere i Fiorentini  nelle  uma- 
ne cose  il  quinto  elemento:  fatto  veramente  singo- 
lare, ed  esposto  in  un  gran  quadro  della  Casa  Slruz- 


questo  tempo  ,  o  almeno  in  questo  tempo  contemplava  sì  bel 
prospetto ,  onde  fu  poi  privo  per  tutto  il  resto  di  sua  vita ,  es- 
sendone fra  due  anni  partito  esule. 

(3)  Gio.  Vili.  lib.  8.  e.  36.  1 000  libbre  di  argento  il  giorno 
erano  offerte.  Ptol.  Lucensis.  Rer.  Ital.  tom.  1.  Si  aggiunge  la 
testimonianza  di  Guglielmo  Ventura  da  Asti  :  de  Roma  in  Vi- 
gilia Nalivitatis  Christi ,  vidi   turham  magnani ,  quam  nemo 

dinumerare  poterai Papa  innumerabilem  pecuniam  ah 

iisdem  recepii ,  quia  die  ac  nocie  duo  clerici  stahant  ad  aliare 
S,  Petri  tenentes  in  eorum  manibus  rastellos  rastellantes  pe» 
cuniam  injiniiam,  Cbron.  Rer.  ItaL  Script,  tom.  i.  Mur.  diss.  68. 


i5s  LIBRO  TERZO 

'zi,  ove  si  rappresenta  l'intera  Ambasceria  (4)*  Si 
ai  G.  ^^^^^  mostra  faceva  in  pochi  anni  di  pace  la  Goreo- 
i3oo  tina  repubblica;  ma  appunto  per  soverchio  vigore 
era  prossima  a  nuove*  malattie.  La  potenza  delle 
varie  famiglie,  o  grandi,  o  popolane,  la  voglia  di 
soverchiarsi  scambievolmente  in  ogni  occasione  si 
manifestava,  mostrando  che  il  vulcano  non  era 
lungi  da  fare  un'eruzione,  quando  una  nuova  fatai 
divisione  fu  portata  da  una  città  vicina,  cioè  da  Pi* 
stoja.  Le  micidiali  fazioni  onde  è  piena  T istoria  di 
questi  tempi,  fanno  il  disonore  d'Italia,  giacché  in 
esse  di  rado  si  spiegava  quella  generosità,  e  quel 
valore  per  cui  si  stimano,  e  si  ammirano  fra  loro  i 
nemici  stessi .  Si  combatteva  di  rado  a  forza  aperta, 
ma  per  lo  più  coli' insidie,  col  tradimento;  né  cer* 
cava  il  nemico  di  vendicarsi  contro  il  vero  sno  ne- 
mico; gli  bastavano  per  sfogo  della  sanguinaria  rab- 
bia il  padre,  i  figli,  i  parenti  dell' offensore  ^  ed 
erano  trucidati  barbaramente  senz'  altro  delitto, 
che  la  parentela .  Una  breve  storia  della  micidiale 
divisione  di  Pistoja  farà  prendere  idea  del  genio 
crudele  delle  fazioni* 

Era  in  questa  città  una  ricca,  e  potentissima  &- 
miglia,  discesa  da  un  Ser  Cancelliere,  da  cui  perciò 
avea  preso  il  nome  dei  Cancellieri.  Da  due  mogli 
avea  egli  avuta  numerosissima  figliolanza,  che  in 
due  rami  divisero  la  famiglia,  la  quale  andò  sem- 
pre accrescendosi;  né  avendo  altre  famiglie  che  po- 
tessero contrastar  loro  il  primato,  divennero   i  doe 

(4)  V.  Serie  di  ritratti  di  uomÌDÌ  illustri  Toscani,  t.  i.ove 
è  nel  priacipio  riportatata  la  stampa  del  quadro.  In  odo  dei  4 
gran  quadri  del  salone  di  palazzo  vecchio  ?i  è  la  stessa  rappre- 
sentanza di  pennello  del  Ligozzi. 


CAPITOLO  OTTAVO  i53 
rami  per  gelosia  di  potere  rivali  fra  loro  stessi ,' 
ed  UDO  fu  appellato  dei  Cancellieri  Bianchi  ^  e  l'al-jì  q^ 
trodei  Neri,  Più  di  loo  erano  gl'individui  di  que-  »3oo 
ste  due  famiglie,  fra  i  quali  si  distinguevano  diciotto 
Cavalieri  a  sprone  di  oro.  Bolliva  questa  gara  sen- 
za aperte  ostilità;  ma  quando  le  materie  combusti- 
bili sono  preparate,  ogni  scintilla  basta  a  levare  un 
grande  incendio.  Alcuni  giovani  di  parte  Bianca, e 
Nera^  in  una  cella  di  vino  avendo  soverchiamente 
bevuto  si  querelarono^  ed  uno  dei  piò  ragguardevoli 
di  parte  Nera  detto  Dorè  di  Messer  Guglielmo,  fu 
battuto  da  un  tal  Carlino  di  Messer  Gualfredi  dei 
primi  di  parte  Bianca .  Non  osò  resistere  Dorè  veg- 
gendosi  il  meno  forte,  essendo  Tallro  accompagnato 
dai  fratelli:  ma  nella  sera  appostatosi  per  vendi* 
carsi ^  vedendo  passare  Vanni  fratello  di  Carlino, 
lo  chiamò  a  se.  Quello  ignaro  dell'accaduto  senza 
alcun  sospetto  si  accostò  a  Dorè,  che  gli  menò 
improvvisamente  un  colpo  di  spada  sulla  testa: 
Vanni  volendo  per  moto  naturale  pararlo,  ebbe  la 
mano  recisa  per  modo  che  non  gli  restò  appiccato 
che  il  dito  grosso,  e  tagliata  a  un  tempo  la  faccia. 
Quest'eccesso  risvegliò  il  risentimento  dei  suoi,  che^ 
si  preparavano  alla  vendetta ,  quando  il  padre  di 
Dorè,  e  i  suoi  fratelli,  vedendo  le  fatali  conseguenze 
della  di  lui  azione^  crederono  placare  la  parte  offesa 
coir  umiltà,  ponendo  l'offensore  nelle  loro  mani; 
onde  mandarono  Dorè  a  casa  di  Gualfredi,  sperando 
che  le  scuse  che  egli  chiederebbe^  e  questo  atto  di 
umiliazione  risveglierebbe  la  generosità,  e  calme- 
rebbe la  rabbia  dell'offesa  famiglia.  Ma  invece  di 
placarsi  misero  essi  le  mani  addosso  al  giovine  ,  e 
condottolo  in  una  stalla  sopra  una  mangiatoja,  gli 


i54  LIBRO  TERZO 

Trecìsero  quella  mano  con  cui  avea  ferito  Vanni  ^ 
di  egli  tagliarono  il  viso,  e  cosi  mal  concio  lo  riman- 
^^^^darono  a  casa  (5).  Questi  atroci  misfatti  risv^lia-^ 
rono  allearmi  ed  al  sangue  ambedue  le  parti ,  fra 
le  quali  il  resto  della  città,  e  del  contado  restò  di- 
viso. Quasi  ogni  giorno  si  veniva  alle  mani  dai  cit- 
tadini, e  molle  crudeli  uccisioni  avvennero  in  quel- 
la infelice  città,  alcuna  delle  quali  raccoateremo. 
Era  in  tempo  di  una  di  queste  cittadine  battaglie 
stata  scagliata  una  pietra  dalla  casa  dei  Pecoroni 
sulla  testa  di  un  cavalier  pistojese  che  combatteva, 
chiamato  Messer  Detto ,  che  dal  colpo  restò  alquan- 
to sbalordito:  il  suo  nipote  Messer  Simone^  senza 
aver  contezza  della  mano ,  che  avesse  scagliato  il 
sasso,  osservando  una  persona  di  quella  casa  chia- 
mata Pero,  che  andava  al  Palagio  del  Potestà,  corse 
con  molta  brigata  di  sgherri  al  Palagio,  e  davanti 

(5)  Essendo  questo  fatto  contato  con  qualche  diversità  da 
varj  storici  »  ho  creduto  dover  seguire  la  Cronica  intitolata: 
Istoria  Pistoiese  y  giacché  pare  che  Io  storico  vivesse ,  e  si  tro- 
vasse presente  a  molti  degli  avvenimenti  che  racconta  con  mi- 
nuto dettaglio ,  e  con  candore  .  Ferreto  Vicentino  (  Rer.  IlaL 
tom. 9. },  che  nel  tempo  dell'avvenimento  dovea  esser  fanciullo, 
aggiunge  che  da  due  fratelli ,  uno  di  capello  nero  ,  e  1*  altro 
biondo  presero  le  famìglie  i  nomi  di  Neri ,  e  Bianchi  ;  altri  dice 
da  due  mogli  di  Scr  Cancelliere  che  una  chiamavasi  Bianca, l'altra 
Nera .  Tuttociò  è  di  poco  conto  -y  quello  però  che  sembra  certo 
contro  l'asserzione  del  Villani,  e  di  tutti  gli  Storici  fioren- 
tini ,  è  che  non  ebbero  principio  in  quest*  anno  le  fazioni  dei 
Bianchi,  e  dei  Neri;  ma  da  qualche  anno  erano  cominciate. 
Lo  attestano  le  Istorie  Pistoiesi ,  che  nel  principio  del  racconto 
le  suppongono  esistenti,  e  Tolomeo  Lucchese,  il  quale  ali* anno 
1 295  dice  :  item  in  getstis  Lucent ium  inveni  kic  incepisse  fer- 
ventem  discordiam  CaÀceUariorum  de  P istorio ,  ut  nominare^' 
tur  Albi,  et  Nigri y  quod  nomen  fermentavit  Fiorentine ,  et 
Lucae ,  et  ex  quo  nomine  utrohique  exorta  sunt  multa  mxda, 
et  adhuc  perseverante  Ptol.  Lucen.  Ann.  Rer.  Ital.  t.  1.  Pare 
però  che  il  vulcano  già  acceso  facesse  in  quest^anno  una  nuo- 
va terribile  eruzione.  Ciampi,  Notìzie  inedite  della  Sacrestia 
Pistojese  dei  belli  arredi  ec.  pag.  56. 


CAPITOLO   OTTATO      i55 

at  Potestà  9  ed  alla  di  lui  famiglia  uccise  il  supposto 
reo,  e  se  ne  parti  impune .  Quest^  insulto  all'Ammi-  ^-  q, 
nistratore  della  giustizia  non  fu  solo:  la  sua  fami-  i3oo 
glia  istessa  un'altra  volta  per  aver  voluto  difendere 
alcuno  assalito  nel  Palazzo,  fu  insultata,  ferita,  e 
qualcuno  ucciso;  onde  sembrandogli  di  esser  troppo 
vituperato,  gettò  il  bastone  delia  Signoria  per  ter- 
ra, e  partissi.  Inorridisce  l'umano  lettore  a  percor- 
rere anche  di  votogli  enormi  attentati  riferiti  dallo 
storico,  eseguiti  per  lo  più  coir  insidia,  col  tradi- 
mento .  Si  pone  il  colmo  all'  orrore  pensando  ,  che 
anco  quando  V  insultata  maestà  delle  leggi  poteva 
esercitar  la  sua  forza,  i  rei  non  erano  condannati 
che  in  denari ,  o  ad  un  confine ,  pena  che  di  rado 
era  osservata  (6).  Tra  queste  due  furiose  sette  vi 
erano  alcuni  pochi  moderatici  quali  perciò  si  chia- 
mavano i  posati  y  che  vedendo  andare  in  mina  la 
città,  e  il  contado,  in  quei  lucidi  intervalli,  nei 
quali  un  lampo  di  ragione  si  mostrava  ,  persuasero 
alla  maggior  parte  di  dare  il  governo  della  città 
ai  Fiorentini  per  ordinarlo.  Erano  questi  bramosi 
di  spegnere  le  nascenti  discordie ,  onde  presa  col 
consenso  dei  Pistojesi  la  signorìa  della  città  ,  ne 
avevano  fatti  escire  varj  dei  più  colpevoli,  e  conli- 
uatigli  a  Firenze.  Ma  essi  vi  portarono  fatalmente 
il  veleno  della  discordia,  il  quale  trovando  i  corpi 
abbastanza  disposti  a  riceverlo  si  sviluppò  col  mag- 
gior vigore.  Siccome  vi  erano  i  semi  delle  dissen- 
sioni fra  due  potenti  famiglie  Cerchi,  e  Donati  (j), 


(d)  Istor.  Pislol.  Rer.  Itnl.  tom.   ii. 

(7)  Chi  brama  vedere  dettaglia taniente  i  perniciosi  effetti 
prodotti  in  Firenze  da  queste  divisioni,  0  lo  sconvolgimento,  la 
poca  sicurezza  dei  cittadini ,  l*  irregolarità  dei  giudizj  ec.  legga  la 


i56  LIBRO  TERZO 

^baslò  che  la  parte  Nera  fosse  sostenuta  dai  Donati, 
di  e  P^i'chè  i  Cerchi  si  unissero  alla  Bianca;  e  come 
'^^^ avviene  nel  corpo  umano,  che  una  malattia  nuova 
esacerba  ancora  le  vecchie  mal  guarite,  si  risveglia* 
rono  le  parti  Guelfa,  e  Ghibellina,  a  questa  unen- 
dosi la  Bianca,  alla  Guelfa  la  Nera.  Non  tardarono 
quindi  ad  aver  luogo  varie  sanguinose  risse  per  la 
città.  Invano  tentò  di  acquietare  le  fazioni  il  Pon- 
teGce,  prima  col  chiamare  a  Roma  Vieri  dei  Cerchi 
possente  cittadino,  che  con  durezza  inaspettata  dal 
PonteGce  niegò  di  pacificarsi  con  Corso,  indi  col 
mandar  a  Firenze  Legato  il  Cardinal  di  Acqua -sparta 
che  non  trovò  ostacoli  a  far  le  paci,  che  egli  dise- 
gnava ,  ma  credendo  necessario  che  gli  fosse  rilasciato 
l'arbitrio  di  riformar  la  città,  la  fazione  Bianca  co- 
me Ghibellina ,  che  aveva  la  principal  parte  nel 
i3oi  governo,  temendo  perderla  non  volle  acconsentire; 
anzi  essendo  trapelata  la  propensione  del  Cardinale 
contro  i  Cerchi,  gli  fu^  mentre  stava  a  una  finestra 
del  Vescovado,  tirato  un  quadrello  che  vi  restò 
fisso  (8).  Si  parti  finalmente  il  Cardinale  adirato, 
ponendo  la  città  sotto  l'interdetto.  La  parte  Bianca 
per  le  ricchezze,  e  parentele  della  famiglia  dei  Cer* 
chi  era  divenuta  la  piò  potente;  e  la  sua  influenza 
si  estese  anche  sulla  disgraziata  Pistoja ,  ove  i  Ret- 

Cronica  di  Dino  Compagni ,  che  viveva  in  quel  tempo  ,  che  ocoi* 
pò  le  prime  cariche»  e  che  avrebbe  potuto  dire 

•  • . .  quaeque  ipse  miserrima  vidi. 

Et  quorum  pars  magna  Jui . 

(8)  Essendosi  assai  sdegnato,  i  Fiorentini  per  placarlo  gli  pre* 

sentarono  i3oo  fiorini  nuovi,  ed  io  (dice  il  Compagni  )^He]ì  portai 

in  una  coppa  di  arienlo  ;  e  dissi:  a  Monsignore  non  gli  sdegnate» 

perchè  siano  pochi,  perchè  senza  i  consigli  palesi  non  si  paò dare 

Eiù  moneta  »  Rispose  gli  avea  cari»  e  molto  li  guardò,  e  non  li  v«l« 
{.  Dino  Comp.  Gron.  lib.  i. 


/ 


CAPITOLO  OTTAVO  1S7 
tori  mandati,  invece  di  riunire  i  cittadini ,  si  posero 
a  perseguitare  colla  forza  aperta  i  Neri,  ed  attac-  di  C. 
candoli  per  le  strade,  per  le  case,  nei  loro  fortilizj,  >^oi 
e  col  ferro,  e  col  fuoco,  gli  costrinsero  alfine  a  fug- 
girsi, e  cercar  ricovero  altrove.  Anche  in  Firenze 
prevalsero  ì  Bianchi  a  segno,  che  molli  dei  primi 
cittadini  dovettero  partirsi,  e  fra  questi  Corso  Do« 
nati.  L'influenza  delia  più  potente  città  di  Toscana 
operava  sul  resto,  e  il  partito  Bianco  amalgamato 
col  Ghibellino  andava  a  divenirvi  dominante.  Ma 
Corso  Donati  andato  a  trovare  il  Pontefice,  ed  il 
Cardinal  di  Acqua-sparta,  mostrò  loro  il  pericolo 
di  lasciar  tanto  crescere  per  tutta  la  Toscana  la  fa* 
zione  Bianca,  o  Ghibellina,  nemica  antica  dei  Pon- 
tefici. Sedeva  nel  soglio  Pontificio  Bonifazio  VII! 
avido  di  soprastare  ai  Re,  alle  repubbliche,  ai  po- 
poli, e  pronto  ad  abbracciare  i  partiti  che  potessero 
accrescere  la  sua  secolare  potenza  (9) .  Egli  gustò 
le  ragioni  di  Corso,  ed  avendo,  per  toglier  la  Sici- 
lia al  Re  Federigo,  chiamato  in  Italia  Carlo  di  Va- 
lois,  concertò  seco  celatamente  la  ruina  di  parte 
Bianca.  Andati  a  Roma  gli  Ambasciatori  di  questa  , 
gli  persuase  a  rimettere  in  lui  le  differenze;  ed  essi 
facilmente  si  affidarono  al  Padre  dei  fedeli.  Fece 
egli  da  ambe  le  parti  dichiarar  Carlo  pacificatore  di 
Firenze,  ma  in  sostanza  egli  ebbe  commissione  di 
render  la  parte  Nera  dominante.  I  principali  di  par- 
te Bianca  erano  dolati  di  molta  buona  fede,  virtù 
pregevole  fra  i  privati,  ma  non  sempre  lodata  negli 
aflari  politici,  giacché  sovente  è  sacrificata  airarti- 
iiziu,  il  quale  quando  succede  nei  suoi  fini  è  sempre 

(9}  Vedi  Dante  inf.  can.  19.  e  il  carattere  che  ne  fa  più  Yolte. 


i58  LIBRO  TERZO 

"  approvato^  e  quella  schernita  (io).  Si  appressò  Carlo 
dl^c!^  Firenze  accompagnato  da  una  scorta  di  Soo,  o  al 
i3oipiù  800  cavalieri,  ai  quali  si  aggiunse  un  gran  Do- 
merò di  fuoruscili,  e  amatori  di  novità.  Si  deliberò 
se  si  dovesse  lasciare  entrare:  non  era  difficile  ai 
Bianchi,  e  dai  numerosi  compagni  che  gli  si  erano 
uniti,  tutti  loro  nemici,  e  dalla  premura,  che  mo- 
strava della  sua  venuta  la  fazione  contraria  «  il  pre* 
vedere  che  Carlo  venia  per  abbatterli  :  il  Governo 
poteva  con  un  atto  vigoroso  impedirlo,  giacché  se 
avesse  negato  riceverlo  e  si  fosse  armato  fortificando 
Poggibonzi ,  quando  Carlo  era  a  Siena,  non  si  sareb- 
be arrischiato  a  venire  avanti,  non  avendo  forze  da 
contrastare  ai  Fiorentini.  Niente  è  più  pericoloso 
della  debolezza  nei  tempi  di  fazione:  non  si  ebbe 
il  coraggio  di  resistergli,  d'inimicarsi  la  Casa  di 
Francia ,  ed  inasprire  d'avvantaggio  il  Pontefice.  Fu 
dunque  ricevuto,  e  gli  fu  data  la-  facoltà  di  rifor- 
mare il  governo  (ii)*  Comparve  nello  stesso  tem- 

(10)  Lo  stesso  Dino  Comp.  attore  in  questa  scena  come  nno 
dei  Signori,  sì  scorge  dalla  sua  Cronica,  che  era  fatto  più  per  es- 
ser Missionario  che  uomo  di  Stato  :  e  veramente  oltre  le  tante 
omelie  fatte  ai  cittadini ,  il  principio  del  secondo  libro  è  un  pezzo 
di  sacra  declamazione  ce  Levatein  ,  o  malvagi  cittadini^  pieni  di 
scnndalit  e  pigliate  il  ferro,  e  il  fuoco  nelle  vostre  mani,  e  disten' 
dete  le  vostre  milizie  ec,  » 

(1 1)  11  Villani  seguitato  da  tutti  dice,  che  Carlo  entrò  in  Fi- 
renze il  di  di  Ognissanti;  il  Compagni  anch'esso  presente,  il  di  4« 
novembre:  aggiunge  una  curiosa  circostanza,  e  che  fu  solo  prega- 
to (  essendo  sulla  fine  di  ottobre  )  di  non  entrare  in  Firenze  il  di  di 
Ognissanti  «  perchè  il  popolo  minuto  in  tal  dì  fa  festa  coi  vòU 
nuovi ,  e  assai  scandali  sarebbero  potuti  incorrere  »  Dino  Comp. 
Cron.  lib.  a.  Un'altra  circostanza  è  che  interrogati  non  solo  i  Con- 
sigli ^  ma  tutte  le  Arti  se  Carlo  si  dovesse  ricevere,  tatti  furono, 
pel  sì  ic  eccetto  i  fornai,  che  disseno  che  né  ricevuto  ,  né  onorato 
fosse  perchè  venia  per  distruggere  la  città  ».  Vedi  lo  stes.  loc  cit 

Sulla  data  deirin^rpsso  importa  assai  poco  il  giorno,  ma  solo  il  sa- 
vio lettore  può  dedurne  quanto  facile  sia  1*  alterarsi  le  drcostaue 


CAPITOLO  OTTAVO  iSg 
pò,  ed  entrò  in  città,  sforzando  le  porte,  Corso 
Donati  con  molti  seguaci  ed  assai  altri  se  ne  accreb-  ^"^^ 
bero  del  popolo  incostante:  fece  violentemente  aprir  i3oi 
le  porte  di  tutte  le  prigioni,  andato  al  palagio  licen- 
ziò il  Gonfaloniere,  e  i  Priori:  assali  coi  suoi  parti* 
giani  i  Bianchi,  molti  ne  uccise,  e  saccheggiò  le 
loro  case,  e  botteghe;  stando  spettatori ,  anzi  fauto- 
ri i  Francesi  di  siffatte  crudeltà  che  durarono  sei 
giorni  •  Allora  la  parte  Nera  vittoriosa  s'impadronì 
del  governo,  e  mandò  molti  in  esilio.  Il  PonteGce, 
che  Yolea  solo  la  mutazione  del  governo,  ma  non 
avea  consigliato  queste  violenze,  biasimando  e  Carlo 
di  Valois,  e  Corso  Donati,  mandò  di  nuovo  a  Fi- 
renze il  Cardinale  di  Acqua-sparta,  che  poco  ascol- 
tato, prese  la  solita  vendetta  ecclesiastica  di  porre 
la  città  sotto  rinterdetto.  Si  rispettavano  cosi  poco 
fra  loro  anche  i  parenti,  che  il  figlio  di  Corso  Do- 
nati stando  a  cavallo  il  di  di  Natale  a  udir  la  pre- 
dica nella  piazza  di  Santa  Croce,  e  vedendo  passare 
Niccola  dei  Cerchi  suo  zio,  gli  corse  dietro  fuor  di 
Firenze,  lo  raggiunse  al  Ponte  di  Africo,  ove  appic- 
catasi la  zuffa  fra  di  essi  ed  i  loro  partigiani ,  furono 
il  zio,  ed  il  nipote  uccisi.  Intanto  tutto  era  disordi- 
ne, e  scompiglio.  Carlo,  che  favoriva,  ed  avea  ri- 
messa in  istato  la  parte  Nera,  volea  apparentemente 
comparire  neutrale,  onde  col  pretesto  di  congiure,  ^ 
e  di  delitti  esso  ed  i  suoi  perseguitavano  ì  disgraziati 
Bianchi.  Talora  erano  arrestati,  e  sequestrati  nella 

dagli  storici  i  più  verìdici  »  come  erano  il  Villani,  e  il  Compagni 
ambedue  presenti  alla  venuta  di  Carlo,  e  che  non  avevano  nessun 
interesse  di  porla  in  un  giorno  piuttosto  che  in  un  altro  :  se  impor- 
tasse lo  stabilir  quella  data,  potrebbe  anteporsi  l'autorità  del  Com- 
pagni ,  che  era  fra  i  Signori  del  Governo  ,  si  per  la  curiosa  circo- 
stanza dei  vini,  si  perchè  pare  <3he  egli  scrivesse  giorno  per  giorno. 


i6o  LIBRO  TERZO 


"loro  abitazione  alcuni  dei  più  ricchi  cittadini,  m 
^2(>'qualiy  se  volevano  esser  posti  in  libertà  ^  si  iacea 
»3oi  pagare  una  grossa  ammenda:  si  ardevano  le  case  di 
altri  che  si  erano  salvati:  si  faceano  nella  notte  eoa 
i3oa  tutto  il  rigore  visite  domiciliari ,  traforandosi  per 
ansietà  di  ricerca  coi  ferri  fino  i  sacconi.  Fiualmen* 
te  nel  di  a  aprile,  quei  che  restavano  ancora  di  parte 
Bianca  furono  esiliati^  e  fra  questi  si  trovano  doe 
celebri  nomi  cioè  quello  di  Dante  allora  Ambascia- 
tore al  Papa,  e  T altro  di  Petracco  di  Parenzo,  pa- 
dre del  celebre  Petrarca,  che  si  ritirarono  in  Arez- 
zo, ove  nacque  da  Petracco  queir  illustre  poeta. 
Pare  che  T innocente  mediocrità  di  talento  del  Com- 
pagni lo  facesse  obliare  in  questo  naufragio  della 
parte  Bianca.  Dopo  cosi  crudel  medicina,  si  parti 
Carlo,  credendo  avere  abbastanza  ordinate  le  cose* 
Pareva  che  cacciata  la  maggior  parte  dei  Bianchi , 
dovessero  cessare  le  atroci  esecuzioni ,  e  le  stragi ,  ma 
coi  più  vani  pretesti  si  proseguivano;  una  lettera  di 
Gherardino  Diodati  refugiato  a  Pisa  ai  suoi  consor- 
ti, nella  quale  dava  loro  speranza  del  ritorno  degli 
esuli,  bastò  per  fare  arrestare  e  decapitare  due  suoi 
nipoti  insieme  con  altri;  né  la  madre,  che  scapi- 
gliata si  gettò  per  la  pubblica  strada  ai  piedi  del 
Potestà,  potè  ottenere  che  ingannevoli  parole  (f  a). 
Messer  Donato  Alberti  preso  coli' armi  alla  mano, 
condotto  vilmente  sopra  un  asino  a  Firenze,  fu  fatto 
porre  alla  corda,  e  trarre  in  alto,  e  lasciatolo  ivi 
appeso,  si  aprirono  tutte  le  finestre,  e  le  porte  del 
Palazzo  perchè  il  popolo  godesse  del  fiero  spettaco* 
lo,  e  finalmente  quasi  per  pietà  ottenne  il  Potestà 

(is)  Dino  Coinp.  Gron.  lib.  »• 


CAPITOLO   OTTAVO       161 

di  fargli  tagliare  la  testa,  e  terminar  colla  morte  lu^^^~~' 
strazio,  e  gf  insulti  (i3).  Né  qui  si  acceuaa  che  uua  ^^q^ 
piccolissima  parte  di  tanti  eccessi.  Questa  fu  la  pa-  >^^'^ 
ce  messa  io  Firenze  da  Carlo  di  Vaiois,  chiamatovi 
da  Bonifazio  Vili  come  paciere.  Era  quel  Principe 
discendente  del  Santo  Re  Luigi,  che  appunto  po- 
chi anni  avanti  lo  stesso  Papa  avea  canonizzato,  e 
che  il  devoto  storico  deir atroce  rivoluzione  va  pia- 
mente, e  inutilmente  invocando  (i4)«  ^li  espulsi 
Bianchi  o  Ghihellini  andarono  refugiandosi  per  le 
città ^  ove  più  dominava  il  luro  partito,  e  dove  po- 
tevano almeno  esser  tollerati;  e  Pistoja,  Arezzo, 
Bologna,  Pisa^  e  molle  altre  città,  e  castella  furono 
il  loro  ricovero.  La  più  parte  dei  Signori  di  conta- 
do erano  Ghihellini,  si  unirono  perciò  facilmente, 
gli  esuli  con  essi,  e  con  gli  ujuti  delie  città  nomi- 
nate cominciò  una  disastrosa  guerra  di  fatti  picco- 
li, ma  micidiali,  di  arsioni,  devastazioni,  e  ruhe- 
rie.  La  sola  Siena  si  teneva  saviamente  neutrale, 
ma  in  tempo  di  fazioni  la    saviezza  diventa  uua 
colpa ^  e  gli  arrahhiati  faziosi  dei  due  partiti  chiama- 
vano meretrice  la  Lupa  Ci5).  Erano  intanto  pa- 
droni deJ  governo  di  Firenze  i  Neri,  ossia  i  Guelfi, 
e  somma  influenza  aveano  acquistata  i  Grandi  ri- 
spettati, e  temuti;  henchè  non  avessero  potuto  rom- 
per la  legge  che  gli  escludeva  dal  governo.  Fra  i  i3o3 
principali  erano  i  Buoudelnionti,  i  Pazzi,  gli  Spi- 
ni^ ma  specialmente  Corso  Donati,  il  quale  avendo 
avuta  la  prima  parte  nella  rivoluzione,  avrebbe  vo- 


(i3}  Dino  Comp.  loc.  cit. 

(i4)  <<  O  buono  Re  Luigi  che  tanto  temeste  Dio  !  ov'è  la  fede 
della  real  Casa  di  Fiaocia?  j>  ec.  Dino  Goinp.  loc*  cit. 
(1 5)  Dino  Couip.  loc  cìt* 


i62  LIBRO  TERZO 

.  luto  averla  anche  nel  governo.  Inquieto  sempre^  e 
di  G.  app^ten^^  di  cose  nuove,  circondato  sempre  da  ao- 
i3o3|iiÌQÌ  facinorosi  nutriti  alla  sua  tavola^  rassomiglia- 
va più  a  un  Signore  di  castella ,  che  a  un  cittadino 
repubblicano.  Scontento  dei  Rettori,  e  del  Gover- 
no, cercava  ogni  mezzo  di  eccitar  dei  tumulti,  e 
i3o4  mirava  forse  a  più  alto  segno.  Affettando  integrità, 
e  desiderio  che  il  pubblico  non  fosse  frodato,  pre- 
tese che  si  rendesse  conto  di  una  grossa  somma  di 
denaro  impiegata  nella  compra  di  grani  in  tempo 
di  una  carestia,  che  avea  afflitto  Firenze.  Resisteva 
il  Gonfaloniere  con  molti  grandi  cittadini ,  o  perchè 
vi  fosse  stata  della  frode,  che  sarebbe  rilevata, o 
perchè  paresse  loro  la  dimanda  un  affronto,  o  pic- 
cati che  quest'uomo  torbido  dovesse  ogni  momenta 
eccitare  dei  motivi  da  tenere  inquieta  la  città .  Eb- 
be Corso  l'accortezza  di  tirare  nel  suo  partito  il 
Vescovo  di  Firenze  Tosinghi,  uomo  eloquente,  de- 
stro, e  che  conciliava  a  quella  parte  maggior  rispet- 
to. Si  divise  nuovamente  il  paese  in  due  partiti: si 
armarono,  si  fortificarono  nelle  case,  nelle  strade, 
e  il  pubblico  Palazzo,  e  il  Vescovado  stesso  presen- 
tavano r  immagine  di  due  fortezze.  I  nuovi  Priori 
e  Gonfaloniere  inabili  a  richiamare  la  calma,  invi- 
tarono i  Lucchesi  come  loro  amici  ad  esser  pacifi- 
catori: accettarono  Tinvito,  e  una  Deputazione  loro 
venne  a  Firenze  con  molti  armati;  ebbero  il  go?er- 
no  nelle  mani,  e  per  alcuni  giorni  furono  Sigoofi 
di  Firenze.  Fecero  posar  le  armi,  stabilirono  im 
oblio  generale  delle  ingiurie,  e  lasciarono  la  dtti 
in  una  momentanea  calma.  Per  renderla  più  dure- 
vole il  Pontefice  Benedetto  XI  con  migliori  inten* 
zioni  di  Bonifazio ,  istigato  segretamente  dai  Bian- 


CAPITOLO    OTTAVO        i63 

chi,  che  pure  io  ud  piccolo  numero  mascherati  esi-  ^^= 
«levano  ancora  in  Firenze,  vi  mandò  il  Cardinale  ^."!^' 
da  Prato.  Egli  era  di  famiglia  Bianca-Ghibellina,  i3o4 
onde  o  prese  a  favorirla  per  genio  di  partito,  o  ve- 
ramente vide  che  il  vantaggio  della  città  sarebbe 
stato  il  rimettere  i  fuorusciti,  vide  che  una  gran 
parte  del  popolo  vi  si  sarebbe  indotta,  giacché  la- 
sciando da  parte  i  nomi  di  Bianchi,  e  Neri ,  o  Ghi- 
bellini, o  Guelfi  si  era  accorta  negli  ultimi  faziosi 
tentativi  di  Corso,  che  dal  partito  dei  Neri  si  volea- 
no  opprimere  i  popolani ,  e  forse  cacciargli  dal  go- 
verno. Vedendo  il  Cardinale  favorito  da  non  pochi 
il  suo  disegno,  e  colla  sua  unzione,  e  affettuosa  elo- 
quenza avendolo  a  molti  persuaso,  ne  cominciò  il 
'  trattato,  e  già  alcuni  sindaci  dei  Bianchi  erano  ve- 
nuti a  parlar  seco  in  Firenze*  Avvisatosi  il  contra- 
rio partito  deir imminente  mina,  pensò  di  rime- 
^  diarvi  con  un  inganno.    Contraffatti  i  sigilli  del 
:  Cardinale,  furono  a  suo  nome  scritte  delle  lettere, 
'  colle  quali  s'invitavano  i  Capi  di  fazione  Bianca  a 
venire  sollecitamente  con  quanta  gente  armata  pò- 
c' tessero  a  Firenze.  Si  finse  che  le  lettere  fossero  in- 
tercettate; e  lette  nel  pubblico,  si  eccitò  rabbia,  e 
;^ dispetto  contro  il  Cardinale,  che  per  evitare  i  pri-» 
^mi  movimenti  di  un  tumulto  fu  consigliato  di  an- 
>dare  a  Prato  sua  patria,  ove  non  fu  più  felice  nel 
rlar  rientrare  i  Bianchi,  onde  pieno  di  sdegno  con- 
ttro  i  Fiorentini  alfine  partissi  (iC).  Restò  nella  ci- 
^vile  discordia  la  città,  e  si  tornò  alle  armi,  fra  le 
^uali  i  capi  della  parte  Nera  volendo  ruinare  spe- 
\ 

l  (16)  L'istoria  della  falsiBcazìone  dei  sigilli  è  raccontata  da 
^pio.  Villani,  benché  il  Compagni  non  lo  accenni:  ambedue  quei>ti 
^istorici  erano  in  Firenze  • 


,64  LIBRO  TERZO 

'  cialmente  i  Cavalcanti ,  i  più  potenti  della  parte 
Ì."c"'  Bianca  che  fossero  in  Firenze,  lanciarono  un  fuoco 
.3o4*di  artiCzio  sulle  case,  e  botteghe  loro  situate  presso 
Mercato  nuovo,  le  quali  ardendo,  comunicando  U 
fuoco  ai  vicini,  il  danno  fu  immenso  (17);  giacché 
quella  parte  della  città  era  la  più  ricca  pei  mercan- 
tili  fondaci,  l  disgraziati  padroni,  e  la  fona  pub- 
blica istessa   furono  impotenti  ad  estinguerlo,  e 
spettatori  del  comune  danno.  Il  tumulto  della  cit- 
tà gli  urli  degl'infelici,  i  ladri  che  si  arrischiavano 
a  rubare  impunemente ,  facevano  uno  dei  più  tristi 
«petlacoli .  Terminato  Y  incendio,  molti  ricchissimi 
cittadini  si  trovarono  nella  più  gran   nniseria.  In- 
tanto il  favor  del  Cardinal  da  Prato  alla  parte  Bianca 
accresciuto  dalla  pertinace  contrarietà  dell'  opposto 
partito,  lo  portò  a  tentare  di  rimettere  coli' artifi- 
zio, o  colla  forza  la  parte  Bianca  in  Firenze.  Dopo 
aver  col  racconto  esagerato  degli  avvenimenti  esacer- 
bata la  romana  Corte  contro  i  Neri ,  indusse  il  Pi- 
pa, che  si  trovava  a  Perugia,  a  chiamare  a  se  i  loro 
Capi  i  più  vale.nti,  ed  accorti  per  trattar  con  essi 
della  tranquillità  di  Firenze  ( 1 8).  Obbedirono  essi , 

/in)  Pare  cbe  si  servissero  di  una  sorte  di  fnoco  greco  Vef 
cao.  I.  del  lib.  3.  giacché  era  lanciato  «  Di  mercato ^ea*io  n 
SMttò  fuoco  in  Calimala  ce  Dino  Compagni  Cron.  lib.  3.  Giow 
ni  Vili.  lib.  8.  ec  71.  asserisce  che  il  fuoco  si  distese  tanto,* 
fra  Baiasi ,  e  torri  arse ,  furono  piji  di  1 7  00  ,  e  che  il  midollo ,  »  h 
mrtc  pil  importante  della  cìui  restò  distrutta.  Che  si  «mosche- 
ro  allora  delle  misture  di  simil  fuoco  h  mostrato  anche  da  wwKj^ 
velia  di  Francesco  Sacchetti.  Aggiunge  il  Compagni  che  il  h»» 
fu  lavorato  in  Ognissanti,  che  ser  Neri  AbaU  Priore  di  Swi  Pw. 
ScherajfBio,  che  fu  uno  dei  primi  attori  in  questa  scelerat««a,  I» 
portò  in  una  pentola ,  e  che  era  di  tal  sorte,  che  quando  cadeva  ■ 
terra  Issciava  un  colore  azzurro .  _  

08)  Cosi  il  Villani  :  il  Compagni  dice  che  si  mossero  spcrt»- 
neamente  per  scusarsi  presso  il  Papa  dell*  avvenuto  incendio;  ■• 
il  primo  pare  sempre  meglio  informato  delle  molla  occoKe  «W 
Governo . 


CAPITOLO  OTTAVO  i65 
irai  quali  era  Corso  Donati;  e  il  Cardinale  fece  sa- 
pere ai  fuorusciti  segretamente  esser  tempo  di  rien-  ai°c! 
trare  colla  forza  nella  patria^  mentre  la  parte  av-  >3o4 
irersa  era  priva  dei  più  valorosi  difensori.  Non  tra- 
scurarono i  fuorusciti  l'opportuna  occasione  ;  e  se 
fossero  stati  guidati  dal  valore,  e  dal  senno  ^  il  col- 
po era  fatto.  Riuniti  da  tutte  le  parti  si  avanzarono 
verso  Firenze  in  numero  di  1600  cavalli,  e  9  mila 
pedoni,  ed  erano  giunti  alla  Lastra  sopra  Montugbi, 
prima  che  in  Firenze  se  ne  avesse  sentore  :  onde  se 
profittando  dello  spavento,  e  confusione  eccitati  dal- 
la sorpresa ,  senza  perder  tempo  avessero  assalita  la 
città,  la  vittoria  era  sicura  •  Ma  mentre  si  tratten- 
gono una  notte  ad  aspettare  altri  ajuti;  mentre  pe- 
netrati nella  città  che  avea  dato  ordine  alla  difesa , 
si  accampano  in  luogo  ov'erano  privi  di  acqua,  in- 
vece di  occupare  una  sponda  deirArno  ;  mentre 
combattono  con  poca  energia ,  e  al  primo  incontro 
si  ritirano;  mentre  i  Bolognesi  invece  di  avanzarsi 
in  loro  soccorso,  si  ritirano  sbigottiti  alla  nuova  dei 
primo  svantaggio;  il  colpo  andò  a  vuoto.  A  tutto 
ciò  si  unisca  il  poco  concerto  neir  azione  di  tanti 
corpi  che  da  tante  parti  doveauo  venire,  e  che  non 
attaccando  Firenze  nel  giorno  stabilito,  i  loro  cor- 
rispondenti segreti  nella  città  aon  si  mossero,  gli 
assalitori  furono  respinti,  e  lasciarono  alcune  vitti- 
me infelici  al  furore  della  parte  irritata ,  e  vittorio- 
^  (>9)*  Questa  allora  portò  le  armi  contro  alcune 
castella  partitanti  dei  nemici,  frai  quali  distingue- 
i^mo  il  castello  di  Stinche  dei  Cavalcanti  posto  in 
Val  di  Greve,  perchè  dopo  breve  difesa  gli  abitanti 

(tg)  Gio.  Yill.  Hb.  8.  e.  72*  Dino  Comp.  Cron.  lib.  3.  Ambe- 
due questi  scrittori  eran  preseuti  al  fatto  •  Àoimir.  ìbU  lib.  4. 


i66  LIBRO  TERZO 

-arresi  condotti  a  Firenze,  e  chiosi  nelle  naoTcar 


dfc!  ^^^'  fabbricate  presso  San  Simone  sul  terreno  degli 
1 3o5  Ubertì  y  diedero  ad  esse  il  nome  di  Stinche  (30).  La 
parte  Nera,  ad  onta  della  vittoria,  scorgeva  eoa  di- 
spiacere, che  in  Toscana  era  la  Bianca  assai  poten- 
te^ giacché  Pistoja,  Pisa,  Arezzo,  e  Bologna  la &• 
vorivano:  volendo  muover  loro  guerra  ceree  un  Ca- 
pitano di  nome,  e  di  autorità,  ed  invitò  Roberto 
Duca  di  Calabria  figlio  del  Re  Carlo*  Venne  questo 
Principe,  a  cui  fu  dato  il  comando  delle  genti  fio> 
rentine  riunite  alle  luccliesi.  Si  fece  con  massioo 
vigore  l'assedio  di  Pistoja:  si  difesero  i  cittadini  eoo 
coraggio  da  sgomentare  i  nemici  •  Il  Fontefice.Gle- 
mente  V  che  come  Padre  di  .pace  ^  voleva  spcngcre 
questa  guerra  nata  dall'odio  delle  parti,  mandò doe 
Cardinali,  che  prima  colle  preghiere^  e  poi  colle  mi- 
naccie  tentarono  di  riconciliare  gli  animi,  ma  iou- 
tilmente:  si  partirono  scomunicando  quei  che  non 
i3o6  obbedivano.  Il  solo  Duca  di  Calabria,  che  aveva  dei 
motivi  di  non  disgustare  il  Papa,  si  parti  lascian- 
.  dovi  però  tutte  le  sue  genti .  Si  difesero  bravamente 
i  Pistojesi  dal  mese  di  aprile  fino  a' dieci  di  geDuajo, 
e  non  si  arresero  che  dopo  aver  soflGerto  i  disagi  i 
più  orribili  della  fame  (^i);  anche  allora  non  capi- 
tolarono che  ad  ottimi  patti:  che  la  Terra  restereb- 
be Hbera,  e  le  fabbriche  e  le  fortificazioni  illese, 
patti  che  i  Fiorentini  offersero  loro,  sapendo  che 
veniva  Napoleone  Orsini  Cardinal  Legato,  chea- 
vrebbe  dichiarato  che  la  città  era  della  Chiesa:  i 

(ao)Gio.  Vili.  lib.  8.  e.  7  5. 

(21)  Dino  Comp.  Cron.  lib.  3.  Gio.  Vili.  lib.  8.  e.  8a.  Dice  3 
primo  cbe  quando  si  arresero  non  aveano  Tettovagìia  cbe perai 
giorno,  e  che  aveano  alcuni  giorni  innanzi  mandate  ^ao^iIebo^ 
che  inutili,  donne  »  Teccbi»  e  fanciulli. 


CAPITOLO  OTTAVO  167 
patti  però  non  furono  osservati.  Il  Papa  vedendo' 
inutili  contro  di  Firenze  Tarmi  sue  spirituali,  voi-  ^"^| 
le  tentar  Je  temporali  mandando  a  far  loro  la  guerra  i3o6 
il  Legato,  ma  queste  riesciroao  egualmente  vane: 
terminò  il  Legato  con  poco  onore  la  sua  guerra  tem- 
porale, ricorrendo  di  nuovo  alle  armi  spirituali ,  e 
scomunicando  Firenze.  Pareva  che  la  città  non  po- 
tesse restar  tranquilla,  e  pochi  anni  passarono  sen- 
za civili  discordie:  bisogna  concludere  clie  la  costi-  14^7 
tuzione  politica  era  difettosa  ^  ed  anco  senza  V  uni- 
versale epidemia  dei  Guelfi,  e  Ghibellini,  e  dei 
Bianchi,  e  Neri  sarebbe  stata  divisa,  come  prima 
di  questi  nomi  lo  era  stata  dagli  Uberti.  I  potenti 
volevano  il  governo  in  mano  ad  esclusione  del  po- 
polo; e  questo  sarebbe  loro  venuto  fatto  agevolmen- 
te, giacché  il  popolo  intento  alle  arti  meccaniche, 
0  alla  mercatura,  ha  poco  ozio  per  applicarsi  al- 
le arti  del  governo,  e  per  lo  più  si  lascia  tranquil- 
lamente regolare  quando  non  è  oppresso.  Ma  Pa- 
vidità di  occupare  le  cariche  divideva  gli  animi 
dei  primi  cittadini,  e  cominciavano  fra  loro  le  fa- 
zioni, nelle  quali  si  traevau  dietro  V  innocente  po- 
polo: inoltre  credevano,  o  volevano  che  la  libertà  i3o8 
loro  consistesse  nel  soprastare  alle  leggi,  e  uniti  in 
fazione  turbavano  a  segno  T esecuzione  delle  leggi, 
che  i  Capitani ,  e  i  Potestà  di  Firenze  non  aveuno 
coraggio,  o  forza  da  tenerli  in  freno  (^2).  Niente 


(a a)  Pochi  aoiii  avanti  il  Poteste  avea  faUo  arrestare  per  ma- 
lefizìo  Talano  dei  Gaviciulli.  Tornaaclo  il  Potestà  dalla  Gasa  dei 
Priori  fu  assalito  dai  parenti  e  consorti  di  Talano  ,  ne  fu  inala- 
Dieote  ferito,  e  restò  liberato  il  reo;  onde  sdegnato  il  Potestà  ab- 
bandonò la  caricale  tornò  al  suo  paese.  Gio.  Vili.  lib.  8.  e.  78. 
Vedi  Dino  Gomp.  che  sulla  fine  della  sua  Gronica  dice:  In  questa 
Città  .  •  .  •  g/i  uomini  vi  si  uccidono ,  il  male  per  legge  non  si 


ifi8  LIBRO    TERZO 

^  più  di  tali  violenze  esacerba  il  popolo,  ed  è  capace 
di  C.  ^'' •''allevarlo  .  Fra  ì   prepotenti  cittadini  si  dìstin- 
i3o8gt]eva  sempre  Corso  Donati^  né  l'eguaglianza  repub- 
blicana poteva  sodisfare  un  cuore  tanto  ambizioso. 
Fu  creduto  che  egli  aspirasse  alla  tirannide:  i  nuo- 
vi vincoli  di  parentela  con  Uguccione  della  Faggiola, 
e  la  sogreta  alleanza  con  esso  lo  facevano  sospettare: 
si  aggiungeva  la  sua  maniera  di  vivere,  colla  quale 
tendeva  a  guadagnarsi  l'animo  dei  più  arditile  fa- 
cinorosi ,  essendo  la  sua  casa ,  e  la  sua  tavola  aperte 
a  costoro,  e  uscendo  sem()re  fuori  a  cavallo  circon- 
dato da  una  masnada  di  simil  gente.  Fu   accasato; 
ma  temendosi  la  sua  arditezza,  e  le  forze  che  avreb- 
be potuto  radunare  se  gli  si  fosse  dato  il  tempo  de- 
bito  e  legale  per  rispondere  all'accuse,  il  Governo  a 
lui  contrario,  passando  su  tutte  le  fornìe,un'ora  dopo 
non  essendo  comparso,  lo  condannò  come  ribelle: 
e  senza  perder  tempo  marciò  contro  di  lui  la  fora 
pubblica.  Si  difese  egli  coi  suoi  per  le  strade,  e  per 
le  case  col  più  ostinato  valore,  ad  onta  della  gotta  di 
cui  era   malato,  e  pose  in  gran  perìcolo  la  città- 
Ajutato  però  il  Magistrato  non  solo  dal  popolo,  ma 
dalle  straniere  truppe  clie  vi  si  trovavano,  assalitolo 
da  tutte  le  parti  nelle  strade  delle  sue  case,  final* 
mente  lo  ruppe.  Si  ritirò  egli  fuori  di  porta  alla 
Croce  cercando  di  salvarsi,  ma  giunto  dai  suoi  ne- 
mici, fu  ucciso  verso  S.  Salvi,  e  in  quella  chiesa 
sepolto»  Così  morì  un  uomo  che  fu  e  il  sostegno,  e 
il  terrore  della  sua  patria  ;  pieno  di  valore,  e  di 
eloquenza  non  poteva  meno  rolla  lingua  che  colla 
spada,  e  Taria  nobile  e  maestosa  ornava  queste  qua- 

punisce ,  ma  come  il  malfattore  ha  degli  amici ,  e  può 
spendere,  è  liberato  dal  maleJiciQ . 


CAPITOLO  OTTAVO  169 
lilà.  Tutte  le  piccole  repubbliche  della  Toscana 
erano  agitate  dagli  stessi  moti,  e  o  Guelfi  0  Ghibel-  ^^q 
lini,  o  Bianchi  o  Neri,  o  Nobili  o  Popolani  non  pò-  »3o8 
tevano  viver  tranquilli.  In  S.  Miniato  iMangiadori, 
e  1  Malpigli,  chiamate  le  loro  forze  combatterono, 
e  vinsero  il  popolo,  e  gli  tolsero  il  governo.  In  Prato  *^®9 
i  Bianchi  cacciarono  i  Neri,  ma  ne  furono  espulsi 
il  giorno  appresso:  i  Volterrani,  ei  S.  Geminianesi 
si  ruìnarono  scambievolmente  le  campagne,  e  fu- 
rono poi  acquetati  dai  Fiorentini.  Arezzo  era  stato 
per  qualche  tempo  governato  dai  Tarlati,  che  si- 
gnori feudali,  e  perciò  Ghibellini  o  Bianchi,  ne 
a veano  cacciata  la  parte  Guelfa  o  Nera,  ed  erano 
stati  perciò  nemici  dei  Fiorentini.  Neil' anno  scorso 
cacciati  i  Tarlati ,  si  era  pacificata  coi  Fiorentini  ac- 
comunando le  cariche  con  tutti  i  cittadini,  senza 
privilegio  di  nome;  e  la  parte  dominante  si  fece  ap- 
pellare parte  Verde:  ma  poco  durò  quel  raggio  di 
senno  ;  nel  presente  anno  vi  rientrarono  i  Tarlati , 
ne  cacciarano  la  parte  Guelfa,  e  si  ricominciò  da  essi 
la  guerra  coi  Fiorentini,  i  quali  devastarono  le  cam- 
pagne aretine.  Nell'anno  seguente  ebbe  luogo  tra  di  i3io 
essi  un  afiare  assai  più  vivo;  a  veano  gli  Aretini  at- 
taccato Città  di  Castello,  che  chiese  ajuto  ai  Fio- 
rentini; vi  marciarono  essi  sollecitamente  con  un 
corpo  di  seimila  uomini,  ai  quali  erano  unite  le 
bande  catalane  condotte  dal  Maliscalco  del  Re  Ru- 
berto di  Napoli  poco  innanzi.  Trapassando  il  terri- 
torio aretino,  queste  truppe  si  distesero  impruden- 
temente sotto  Cortona  in  un  diflicile  passo,  ove  era- 
no aspettate  dagli  Aretini  guidati  da  Uguccione  della 
Faggiola,  Capitano,  che  doveva  un  dì  essere  si  fa- 
tale alla  fiorentina  Repubblica:  ma  i  suoi  soldati,  e 


170  LIBRO  TERZO 

.  gli  Aretini  stessi  non  mostrarono  il  solito  valore.  I 

dì  G.  Fiorentini^  che  doveano  esser  per  la  maggior  parte 

1 3 10  trucidati^  o  presi ,  respinsero  i  nemici  con  molta 

strage^  e  fra  gli  altri  vi  fu  morto  Vanni  Tarlati ^  uno 

dei  primi  del  Governo  aretino» 

Intanto  la  fama  portava  che  il  nuovo  Imperatore 
Arrigo  VII  si  preparava  a  scendere  in  Italia .  Era 
gran  tempo  da  che  un  somigliante  astro,  apporta- 
tore sempre  di  novità^  e  rivoluzioni,  non  era  com- 
parso  nel  cielo  d'Italia;  e  intanto  la  sua  politica 
costituzione  era  assai  alterata.  Non  esìsteva  più 
quella  Lega  Lombarda, che  aveva  saputo  abbattere 
la  potenza  di  uno  dei  più  formidabili  Imperatori ^ 
e  costringerlo  a  riconoscere  la  sua  indipendenza. 
Questa  Lega^  così  vantaggiosa  all'Italia^  ed  atta  a 
raflfrenare  le  forestiere  invasioni, si  era  rotta  in  pezzi 
alle  scosse  delle  azioni;  e  l'Italia,  e  specialmente 
la  Lombardia  in  questo  momento,  invece  di  quelle 
vigorose,  ed  energiche  Repubbliche  che  aveano  re- 
sistito alla  Casa  di  Svevia  per  la  loro  unione,  non 
prestava  che  un  sanguinoso  teatro  di  guerra  civile. 
Guido  della  Torre  dominava  duramente  in  Milano 
d'onde  avea  cacciato  Maffeo  Visconte,  Simone  dì 
Colubiano  in  Vercelli,  e  Novara ,  Alberto  Scolto  in 
Piacenza,  il  Conte  Filippone  in  Pavia,  i  Passerini 
in  Mantova ,  in  Parma  i  Signori  di  Correggio ,  ia 
Como  Martino  Lavetario,  Alboino  della  Scala  in  Ve- 
rona, in  Rovigo  Ricciardo  di  Camino,  in  Brescia 
Maffea  dei  Maggi.  Cremona  con  turbolento  alterna- 
tivo governo  ora  dai  nobili  era  dominata,  ora  dalia 
plebe;  Iipdi,  e  Crema  da  Antonio  da  Fixaratico; 
Modena^  «  Reggio  dai  Ghiberti.  Bologna  era  libera; 
Fi^rrara  strappata  dai  Veneziani  agli  £stensi ,  recu- 


CAPITOLO  OTTAVO  171 
perata  dal  Legato  del  Papa,  tenevasi  in  Vicarialo  "^ 
dal  Re  Roberto.  Tutti  questi  Signori,  che  vacilla-  j"c! 
vano  nel  loro  piccolo  Stato,  dovean  temere  una  tal  >3io 
venuta,  e  sarebbe  st^to  comune  interesse  unirsi  e 
impedire  risdutamente  il  passaggio;  ma  si  odiava- 
no anche  più  tra  loro,  di  quello  che  temessero  l'Im- 
peratore. In  Toscana  non  vi  era  che  Pisa,  ed  Àrezxo 
che  ne  bramassero  la  venuta.  Pisa  sempre  addetta 
alla  fazione  imperiale,  sperava  ingrandirsi  sulle  rui- 
iie  dei  Fiorentini,  che  aveano  superbamente  trattati 
gli  Ambasciatori  di  Cesare  :  perciò  per  agevolargli 
la  strada  gli  fece  pagare  4^  mila  fiorini  di  oro,  ed 
altri  ne  promesse  al  suo  arrivo.  Siena  si  tenne  uni- 
ta con  Firenze,  che  decise  di  non  permetter  l'in- 
gresso nella  sua  città  all'Imperatore  ,  né  riconosce- 
re in  lui  alcuna  superiorità,  anzi  non  avean  mancato 
di  mandare  Ambasciatori  ai  Sigg.  di  Lombardia  con- 
sigliandogli ad  opporsi  al-  suo  passaggio,  e  specialmen- 
te a  Giulio  della  Torre  Signore  di  Milano,  che  ebbe 
tanto  motivo  poi  di  pentirsi  di  non  aver  seguitato  il 
loro  consiglio  (aS).  Aveq  Firenze  ricchezze,  e  corag- 
gio, e  non  le  mancavano  esempi  di  aver  contrastato 
intrepidamente  con  altri  Cesari.  É  vero  che  l'Impe- 
ratore non  voleva  ascoltare  i  nomi  di  Guelfi,  o  di 
Ohibellini ,  e  dicea  di  venire  per  mettere  concordia 
in  Italia  ;  ma  i  prudenti  Fiorentini  aveano  nix  esem- 
pio fresco  davanti  agli  occhi  nella  venuta  di  Carlo 
di  Valois  entrato  in  Firenze  col  bel  titolo  di  pacie- 
re, e  che  vi  avea  recati  tanti  sconcerti.  Un'altra  i3ii 
revoluzione  avea  alterato  il  sistema  d'Italia.  Il  Pa- 
pa era  un  polente  rivale  dell'Imperatore,  ed  atto 

(2  3}  Istor.  Pistoiesi  • 


17»  LIBRO  TERZO 


78  frenare  con  la  sua  presenza,  e  prontezza  le  di  lai 
di  e.  ^^^'^P^^^^'^^ •  I^  Papato  non  esisteva  più  in  Roma, 
>3ii  ma  in  Avignone.  Filippo  il  Bello,  Re  di  Francia, 
che  avea  sentita  la  formidabil  potenza  di  BonìGizio, 
alla  morte  del  suo  successore  Benedetto  tramò  l'ele- 
zione di  un  suo  suddito,  il  Vescovo  di  Bordeaux,  e 
potè  non  solo  farlo  eleggere,  ma  trasportare  la  Sede 
pontificia  vicino  alla  sua  capitale,  per  aver  su  di 
esso  la  maggiore  influenza  (24)*  Avrebbero  perciò 
fatto  gran  senno  gK Italiani  a  imitare  i  Fiorentini, 
e  chiuder  le  porte  d'Italia  al  nuovo  Imperatore.  Il 
saggio  Re  di  Napoli  Ruberto  non  solo  si  preparo  a 
difendere  il  regno,  ma  inviò  anche  a  Roma  il  suo 
fratello  con  della  truppa  per  animare  i  Romani  a 
contrastargli  l'ingresso.   Si  era  egli  strettamente 
legato  coi  Fiorentini,  e  nel  passar  di  Firenze  indi 
per  Siena,  tornando  da  Avignone,  avea  esortati  i 
cittadini  alla  concordia  per  esser  più  forti  contro 
il  forestiero  nemico.  E  già  quell'Imperatore  comin- 
ciava a  dar  dei  segni  non  equivoci  dell'obbedienza 
che  esigeva,  e  dell'impero  che  pretendeva  esercitar 
sulla  Toscana  come  sul  resto  dell'Italia .  I  suoi  Am- 
basciatori venuti  a  Firenze  intimarono,  che  l'eserci- 
to fiorentino  si  partisse  dal  contado  di  Arezzo  y  che 
era  sotto  la  protezione  dell'Impero,  e  che  la  repub- 
blica gli  mandasse  Ambasciatori  a  fargli  omaggio. 
Alla  domanda  imperiosa  Retto  firunelleschi ,  uoido 
altiero  e  feroce,  e  insuperbito  per  la  caduta  di  Corso 
Donati,  di  cui  fu  autore,  essendogli  stata  commessa 
la  risposta  replicò  con  orgoglio,  e  indecente  inso- 
lenza :  onde  i  Signori  disapprovatala  pregarono  gli 

(a4)  Marat.  Ann.  d' Ital. 


CAPITOLO   OTTAVO       173 

Ambasciatori  di  tornare  per  altra  risposta^  la  quale 
fu  gentile^  ma  ferma,  e  negativa:  dopo  la  quale  si  ^^q 
diedero  tutti  i  provvedimenti  per  la  necessaria  di-  iSn 
fesa y  essendo  già  Arrigo  giunto  a  Turino.  AgFin^ 
Titi  che  con  tutto  Tardore  gli  facevano  i  Ghibellini 
si  aggiunse  un'epistola  di  Dante.  È  scritta  con  una 
certa  fierezza ,  che  era  il  carattere  di  quell'uomo, 
la  quale  conservava  anche  parlando  ad  un  Impera* 
tore  ;  vi  sono  dell'  espressioni  che  sentono  il  rim- 
provero sulla  sua  lunga  tardanza  a  Milano,  lo  in- 
cita contro  Firenze,  indicandogli  che  la  vera  testa 
dì  queir  idra  di  ribellioni ,  che  pullulavano  una 
dopo  l'altra  in  Lombardia,  era  Firenze:  né  s'in- 
gannava .  Se  lo  scritto  sembrerà  poco  pio  verso  la 
patria,  dee  almeno  saperglisi  grado  che  la  gene- 
rosità lo  trattenesse  dal  portar  le  armi  contro  di 
essa  quando  l'imperatore  ne  faceva  l'assedio.  Que- 
sta lettera  però  resa  nota  fu  a  lui  fatale:  l'odio  dei 
cittadini,  che  il  tempo  cominciava  a  calmare,  si  esa- 
sperò, e  nel  i3i5  fu  di  nuovo  confermato  il  suo 
esilio;  ed  ei  perdette  ogni  speranza  di  rientrare 
nella  patria.  Intanto,  quasi  che  ancor  dopo  la  morte 
Corso  Donati  dovesse  agitare  la  città,  quei  del  suo 
partito  ne  cercarono  vendetta,  ed  uccisero  Betto 
Brunelleschi  che  avea  armato  il  popolo  contro  Corso; 
e  trovandosi  forti  abbastanza  andarono  al  monaste-* 
To  dì  S.  Salvi,  ove  senza  onore  era  stato  sepolto  il 
suo  cadavere,  lo  dissotterrarono,  e  gli  celebrarono 
magnifiche  esequie,  facendo  armati  la  guardia  per- 
chè il  divin  servizio  non  fosse  turbato.  Quell'  omi- 
cidio, e  r  altro  avvenuto  in  seguito  di  Pazzino  dei 
Pazzi  per  opera  dei  Cavalcanti,  avrebbero  proba- 
bilmente ricacciata  la  città  negli  antichi  civili  di* 


174  LIBRO  TERZO 


Tsordini^  senza  il  timore  di  Arrigo  »  che  espugnata 
(li C. Brescia  si  preparava  a  venire  in  Toscana:  ma  forse 
>3>>  non  la  credendo  agevole  impresale  volendo  tentare 
le  vie  piacevoli,^ mandò  nuovi  Ambasciatori  ^  ai 
quali  fu  vietato  Tingresso  in  città.  Combattevano  i 
Fiorentini  colTarmi,  in  cui  erano  più  potenti, 
coi  denari:  con  questi  aveano  sostenuto  Brescia , 
con  questi, dopo  che  Arrigo  ne  fu  partito,  la  fecero 
ribellare^  e  collo  stesso  mezzo  guadagnarono  Messer 
iSiaGhiberto  Signor  di  Parma,  che  alzò  contro  di  lui 
lo  stendardo  di  ribellione  in  Lombardia .  Si  cita- 
rono allora  i  Fiorentini  a  mandare  a  Genova  dodici 
persone  a  scusarsi;  e,  ricusando  essi,  furono  posti 
al  bando  dell'Impero.  Dopo  i  tanti  insulti  alla  regia 
Maestà,  conveniva  prepararsi  alla  più  valorosa  difesa. 
Era  grande  la  fama  di  Arrigo  .Tutta  la  Lombardia 
o  vinta  dal  timore,  o  dalle  armi  gli  avea  ceduto.  I 
Pisani  erano  impazienti  di  averlo  fra  le  mura^  e  i 
loro  Ambasciatori  ne  sollecitavano  in  Genova  la 
partenza.  Benché  Pisa,  dopo  la  fatai  rotta  della  Me- 
loria,  non  fosse  più  risalita  all'antica  potenza,  era 
sempre  commerciante,  e  ricca:  quella  guerra  tan- 
to a  lei  funesta  non  era  terminata  che  nel  i3oo 
in  cui  avea  stipulato  coi  Genovesi  una  pace  as- 
sai gravosa ,  col  riscatto  dei  prigionieri ,  i  quali 
però  in  i5  anni  di  carcere  erano  per  la  maggior 
parte  periti.  Una  mortale  epidemia,  in  cui  lasciò 
la  vita  l'imperatrice  stessa,  e  il  mal  umore  dei  Ge- 
novesi ,  lo  fecero  finalmente  imbarcarsi  per  Pisa: 
giunse  a  Porto-pisano  nel  di  6  marzo,  e  fu  ricevuto 
nella  città  con  allegrezza,  e  pompa  straordinaria, 
ove  si  radunarono  tutti  i  fuorusciti,  e  i  malcontenti 
di  Toscana,  o  stranieri,  molti  altri  o  tratti  dalla 


CAPITOLO   OTTAVO       175 

speranza ,  o  dalla  curiosità,  o  dal  desiderio  di  fargli  ^=^ 
la  corte,  come  il  Vescovo  di  Arezzo,  Uguccione  ,^j  q 
della  Faggiola,  Federigo  di  Montefeltro.  Gli  offri-  ^^i^ 
rono  i  Pisani  colle  chiavi  la  signoria  della  loro  Re- 
pubblica. Questa  era  una  formalità;  ma  tali  non 
erano  le  somme  anche  esorbitanti  ch'ei  trasse  dalla 
repubblica,  somme,  che  se  dee  prestarsi  fede  ad 
un  istorico  contemporaneo  (^5),  fecero  mormorare 
assai  il  popolo.  Nei  primi  di  aprile  nell'orto  dei 
Gambacorti,  ii»ve  solca  spesso  tener  dei  consigli  coi 
suoi  primi  Signori ,  dichiarò  solennemente  nemici 
dell'Impero  varj  Principi  lombardi  che  si  erano 
ribellati,  e  i  Fiorentini,  e  i  Lucchesi.  Le  sue  genti 
nel  tempo  di  questo  soggiorno  fecero  alcune  piccole 
scorrerie  sul  contado  fiorentino ,  e  lucchese  :  non 
si  fece  però  impresa  di  conto,  perchè  anelava  Arri- 
go di  esser  coronato,  in  Roma ,  dove  si  portò  sollecita^* 
mente  per  la  via  di  Maremma;  e  ad  onta  del  par- 
tito formato  dalle  genti  mandatevi  dai  Fiorentini, 
unite  a  quelle  del  re  Roberto  ed  agli  Orsini ,  colle 
quali  ogni  dì  si  veniva  alle  mani, se  gli  fu  impedita 
la  via  di  San  Pietro,  prese  la  corona  in  S.  Giovanni 
Laterano(26).  Partito  di  Roma,  si  avviò  verso  To- 
scana per  la  parte  di  Perugia.  Ricevuto  allegra- 
mente in  Cortona,  e  in  Arezzo,  qui  si  trattenne 
due  giorni ,  e  vi  ricevette  gli  Ambasciatori  di  San 
Sepolcro  venuti  a  implorar  perdono.  Si  mosse  verso 
Firenze.  Montevarchi  colle  sue  deboli  fortificazioni 
lo  arrestò  solo  tre  giorni  •  San  Giovanni  si  era  cir« 

(9  5)  Ferreto  Yicent.  hisU  llb.  5.  rer.  itaL  tom.  9.  Ist  Pist. 
Haraog.  Cron.  Pis. 

(a6)  Albert.  Muas.  Gio.  Vili.  libr.  9.  e.  1^2,  Ferr.  Yicent. 
loc  ciU 


176  LIBRO  TERZO 

T    .  conciato  di  una  fossa  piena  di  acqua  ^  ma  appena 
die.  vide  dar  lo  scolo  alle  acque,  si  arrese»  Non  trovò 
^^^^  r  esercito  imperiale  resistenza  di  qualche  conto  fino 
air  Incisa,  ove  un  grosso  corpo  di  Fiorentini  si  era 
accampato  a  guardare  il  passo  in  sito  assai  forte. 
Non  credendo  opportuno  l'Imperatore  il  perder  tem- 
po'ivi,  e  vedendo  difficile  di  forzargli  col  vantaggio 
che  aveano  del  luogo,  fece  salire  le  sue  truppe  per 
altra  via  montuosa  mostratagli  dai   fuorusciti,  e 
prendere  Montelfi.  Una  schiera  di  Fiorentini  ve- 
dendo avanzarsi  i  nemici  per  occupar  quel  passo, 
tentò  velocemente  di  prevenirli;  ma  percossa  da 
una  banda  di  Tedeschi  scesa  dal  monte,  fu    rotta 
e  costretta  a  ritirarsi  frettolosamente  all' Incisa:  i 
nemici  pertanto  occuparono  Montelfi.  G>n  questa 
operazione,  all'esercito  fiorentino  restava  tagliata 
ogni  comunicazione  con  Firenze,  e  privo  di  vetto- 
vaglie, si  sarebbe  trovato  a  mal  partito,  se  V  eser- 
cito imperiale  conoscendo  il  vantaggio  del  posto  vi 
si  fosse  mantenuto.  Ma  di  là  si  mosse,  e  giungendo 
alle  porte  di  Firenze  prima  dell'armata  fiorentina, 
pose  in  gran  sconcerto,  e  terrore  la  città,  che  fu 
meglio  rassicurata  quando  per  altra  strada  giunsero 
la  notte  le  sue  genti,  e  molto   più  quando  arrivati 
gli  ajuti  di  Lucca,  di  Siena,  e  di  molte  città  di 
Toscana,  e  di  Romagna,  che  il  comune  timore  riu- 
nì va,  si  fece  in  Firenze  una  massa  assai  numerosa  di 
truppe  non  minore  di  4  ^^^  cavalli ,  e  ^4  ™^'^ 
fanti.  Questo  esercito,  in  quei  tempi  grandissimo, 
tenne  si  poco  conto  degl' Imperiali,  che  le  porte 
restarono  sempre  aperte,  fuori   di  quella  che  corri- 
,3i3spondeva  al  campo  nemico .  È  vero  cheTesercito 
imperiale  era  assai  minore  del  fiorentino;  ma  la 


CAPITOLO  OTTAVO  177 
sua  cavalleria  agguerrita,  e  valorosa  recava  spavento 
agi'  imbelli  Italiani  (^7),  né  si  ardivano  i  Fioren*  ^^q^ 
tini  misurarsi  a  campo  aperto.  Sapevano  bene  però  i^i^ 
cbe  il  tempo  combatteva  per  loro,  e  che  presto 
mancberebbero  air  Imperatore  denari,  e  vettova- 
glia. Per  la  parte  degrimperiali  la  guerra  si  ridus» 
se  a  devastare  il  paese,  non  avendo  gente  da  far 
r  assedio  della  città  nelle  forme;  per  la  paKte  dei 
Fiorentini  non  si  fece  che  star  sulle  difese,  e  solo 
sotto  le  mura  alcuni  dei  giovani  più  ardenti  esci- 
rono  talora  a  scaramucciare:  piccole  battagliole, 
che  servivano  di  spettacolo  ai  cittadini  ed  alle  donne 
istesse  affacciate  alle  mura.  Fecero  i  Fiorentini  la 
guerra  con  molto  senno  dalla  torre  della  chiesa  di 
S.  Miniato ,  dalla  rocca  di  Fiesole,  dalla  villa  dei 
Benincasa  a  Bipoli,  luoghi  da  loro  assai  fortificati. 
Andavano  speculando  i  movimenti  dei  Tedeschi,  e 
quando  ne  vedevano  qualche  piccola  partita  allon- 
tanata dal  campo,  le  correvano  sopra  con  superiori 
forze  ed  erano  per  lo  più  vincitori.  Parimente  fu- 
rono intercettati  più  volte  i  viveri  :  5o  some  di  essi 
che  venivano  di  Arezzo  restarono  prese,  e  dei  200 
soldati,  che  le  scortavano,  70  uccisi,  e  60  prigio- 
nieri. Bernardino  da  Polenta  Capitano  dei  Fioren- 
tini occupò  il  castello  di  Leccio,  indi  la  torre  che 
stava  sul  ponte  delF  Incisa ,  e  poi  Ganghereto.  A 
Castel  fiorentino  dai  Sanesi  uniti  ai  Fiorentini  era 
stato  intercettato  un  grosso  convoglio  di  viveri:  le 
foci,  e  i  monti  del  Mugello  erano  presi,  onde  non 
restava  al  campo  imperiale  libera  altra  via,  che 

(2n)  Istor.  Pìstol.  »>Lo  Imperatore  avea  daòm ila  cavalieri, 
in  fra  i  quali  c'avea  800 >  che  avebbero  combattuto  eoo  tuUi 
quelli  di  drento.  „ 

Tonto  11,  la 


178  LIBRO  TERZO 

'.quella  del  Casentino  (a8).  Mancavano  perciò  le 
di^G.  vettovaglie  agl'Imperiali:  Arrigo  ai  ammalò  a  San 
>^^^  Salvi ^ov' era  attendato,  di  una  terzana  doppia ^ ori- 
ginata probabilmente  dalF insalubre  aria  romana, 
in  cui  avea  passata  l'estate.  Conosciuta  la  difficoltà 
dell'impresa 9  dopo  due  mesi,  levò  finalmente  il 
campo  la  notte  dell'ultimo  di  ottobre.  Ebbe  la 
gloria  Firenze  di  aver  cacciato  un  Imperatore  eoo 
un  valoroso  esercito,  di  cui  da  tre  anni  ai  parlava 
con  terrore  da  tutta  l'Italia .  Si  ritirò  Arrigo  a  San 
Casciano,  ove  si  trattenne  circa  due  mesi,  facendo 
dar  l'assalto  ai  vicini  castelli  (29)  •  Alcuni  di  que- 
sti furono  arsi,  altri  risparmiati .  Giunto  a  Poggi- 
bonzi  ordinò  che  il  castello,  già  disfatto  da  Cario 
di  Valois,  fosse  rifabbricato  sul  poggio,  ciò  che  fo 
presto  eseguito,  e  prese  il  nome  di  Castello,  o  Pog- 
gio Imperiale.  Prosegì  l'Imperatore  il  viaggio  a 
,  Pisa,  ove  dopo  aver  dimorato  brevemente,  prese 
la  via  di  Roma,  molestato  sempre  dai  confederati 
dei  Fiorentini:  finalmente  esacerbata  la  malattia 
cominciata  a  S.  Salvi,  si  morì  a  Buoncon vento ,  ed 
il  suo  corpo  portato  a  Pisa  fii  ivi  sepolto  (3o). 

(a8)  Alber.  Moss.  hist  Augn.  Iib.  9.  rer.  il.  tona.  1  o. 

(39)  Fra  i  Castelli  risparmiati  vi  fu  Lacardo,  forse  pel 
suo  buon  cacio .  Vedi .  Iter»  Hai,  Henrici  KIL  Nicolai  episcopi 
Botrontinensis»  Lo  scrittore  era  compagno  di  viaggio  adTIia- 
peratore»  e  dice  »>  Miaua  castra  combussit,  alia  retinuit  sicat 
Lucardum  uhi  Jiunt  boni  casei  ,,^ 

(3o}  Fa  creduto  che  fosse  fatto  avvelenare  dai  Fiorentiai 
neir  ostia  con  cui  si  comunicò  per  mezzo  dei  frati  Domenicani . 
Questa  voce  crebbe  in  modo,  cbe  portato  a  Pisa  il  cadavere,  al- 
cuni frati  di  quell'Ordine  furono  uccisi  dal  popolo:  pia  di  traaila 
Pisani  si  vestirono  a  bruno»  e  andarono  incontro  al  cadavere. 
(  Cron.  Bolognese  Mura.  rer.  ital.  scrip.)  Per  smentire  siffatta  ca- 
lunnia non  si  ha  che  da  leggere  l' istoria  di  Ferreto  Tìcentioo 
che  descrive  a  lungo  la  malattia  dell'Imperatore  con  tutti  1  seoi 
progressi  >  e  la  poca  cura  eh'  ei  ne  prendeva ,  e  sì  vedrà  che  questt 


CAPITOLO  OTTAVO  179 
In  tutto  il  tempo  di  questa  guerra  Siena  si  tenne 
ferma  nella  lega  coi  Fiorentini^  e  allorquando  si^^^! 
accostarono  i  nemici  alle  sue  muralo  passarono  sul  i^*^ 
suo  territorio^  non  solo  si  difese,  ma  gii  attaccò 
felicemente  più  volte,  e  recò  all' esercito  imperiale 
non  pochi  danni,  specialmente  incettando  le  vetto- 
vaglie, che  dai  Pisani  erangli  inviate  (3i).  Anche 
il  resto  della  Lega  Toscana,  fuori  che  Pisa ,  ed 
Arezzo,  stette  salda,  e  mostrò  quel  che  possa  Tuoio- 
ae,e  la  concordia  contro  i  forestieri  invasori.  La 
letizia,  il  dolore,  il  giubilo,  la  costernazione, e  varj 
movimenti  eccitò  la  morte  dell'Imperatore  in  Ita- 
lia, secondo  i  varj  partiti^  ed  interessi.  Si  rallegrò 
Firenze  col  resto  della  Lega  Toscana ,  perchè  quan- 
tunque lo  avessero  gloriosamente  respinto,  finché 
restava  in  Italia,  era  un  centro  di  riunione  a  tutti  i 
malcontenti  fuorosciti,  e  a  quelli  che  mascherati  si 
celavano  fra  le  loro  mura .  Una  delle  città  più  co- 
sternate da  quella  morte  fu  Pisa ,  che  vedea  la  Lega 
Toscana  probabilmente  rivolgersi  a  suo  danno.  11 
re  di  Sicilia  Federigo,  che  si  era  con  loro,  coi  Ge- 


^  cagionò  la  morte;  noìidiineno  basta  che  uoa  caluonia  sia 
pronanziata  una  Yolla»  perchè  sia  ripetuta  da  cento  penne.  Per 
questa  spedizione  si  vedano  Gio.  Vili.  lib.  9.  Istor.  pistol.  Ferr. 
Vicen.  his.  e  r itinerario  dell'Imperatore  scritto  dal  Vescovo  di 
Batrintò»  tuUi  scrittori  contemporanei.  Ohi  avesse  voglia  in  un 
evento  tragico  di  mescolarvi  del  comico  non  ha  che  da  confronta- 
re le  lunghe  >  e  stucchevoli  riflessioni  alla  Cronica  Sanese  fatte  dal 
Benvoslienti  (rer.  ital.  t.  i5.  sulla  morte  dell' Vnperatore  con  un 
passo  della  Gron.  Pis.  del  Marangone.  Questo  pretende  che  morisse 
per  troppa  castità,  e  continenza ,  il  Benvoglienti  di  un  male  che 
suol  per  lo  pih  nascere  da  incontinènza ,  facendo  una  faba  censura 
al  Vocabolario  della  crusca  :  ma  è  egli  d' uopo  cercare  o  veleno^  o 
altre  cause  per  ispiegare  la  morte  dì  un  malato  di  febbre  maligna, 
accompagnata  da  un  carbonchio?  Tedi»  oltre  i  citati»  Albertino 
Mass.  rer.  itaL  tom.  1  o. 

(3i)  Malevul.  istor.  di  Siena  par.  2.  lib.  4* 


i8o  LIBRO  TERZO 

-  novesi,  e  coli'  Imperatore  legato  contro  il  re  RoIkt- 


^°^*to,  e  che  con  potente  flotta  unita  a  quella  dei  Ge- 
1 3i 3  novesi y  si  trovava  in  mare  pronto  alKimpresa^a 
cui  per  terra  s'incaminava  il  defunto  Imperatore, 
fu  dolorosamente  sorpreso  udendo  in  mare  la  trìsU 
nuova,  e  venne  a  Pisa  ad  accertarsene^  e  a  mesco- 
lare le  sue  querele  con  quelle  dei  Pisani.  Gli  otkr- 
sero  essi  la  signoria  della  repubblica^  come  i  Fìoreo- 
tìni  avean  fatto  al  re  Roberto;  ma  né  Federigo,  né 
Amedeo  Conte  di  Savoja,  né  Amerigo  di  Fiandra 
vollero  accettarla .  Vedendo  la  tempesta  cbe  andari 
preparandosi,  presero  al  loro  soldo  molta  truppa 
dell'Imperatore^  e  ne  fecero  Capitano  il  più  valente 
di  quel  tempo,  Uguccione  della  Faggiola.  Di  que- 
st'uomo, uno  dei  più  illustri  guerrieri  del  soo  se* 
colo,  che  ha  fatta  vacillare  la  fiorentina  potenza, 
e  piangere  i  Reali  di  Napoli,  non  è  chiaramente 
manifesta  Torigine.  La  famiglia  della  Faggiola  non 
era  nota  prima  di  Uguccione,  e  a  lui  deve  tutto  il  soo 
splendore.  Nel  distretto  di  Arezzo,  in  quei  tempi 
estesissimo  nell'Appennino,  che  sovrasta  a  S.  Se- 
polcro, esisteva  in  mezzo  a  scoscese  rupi^  ed  ai 
faggi,  dai  quali  trasse  probabilmente  il  nome,  la 
Fajola  ;  e  i  ruderi  ruinosi  cbe  vi  si  veggono  anche 
al  presente,  possono  esser  resti  delle  case  di  Ugno- 
cione  (3a)*  Nato  ivi  di  oscura  origine,  ma  ricco 
benestante,  e  coli'  anima  guerriera  fece  il  ano  ti- 
rocinio militare  insieme  con  Maglinardo  da  So* 
sinana,  ed  altri  Ghibellini  contro  i  Bolognesi, 
poi  con  Azzo  Marchese  di  Este,  indi  cogli  Areti- 
ni, dei  quali  fu  Potestà,  e  Capitano:  ed  essendo 

(3  a)  Guazzesl  dell'  antico  domìnio  del  vescovo  dì 
par.  a.  j.  6.  Nota. 


CAPITOLO  OTTAVO  i8i 
assai  accetto  air  Imperatore  »  fu  maudato  da  lui  ; 
vicario  a  Genova.  Di  là  ritornato^  fu  eletto  dai  ^- ^| 
Pisani  loro  condottiere,  pericoloso  però  alla  libertà  i3i3 
pisana,  come  lo  era  stato  ai  sospettosi  Aretini.  Coa- 
£ermava  la  sua  celebrità  guerriera  uo  feroce  aspet- 
to,  che  fa  la  più  grande  impressione  sui  sensi,  e 
suir  espettazione  del  volgo.  Smisurato  di  statura, 
robustissimo  di  membra,  faceva  uso  di  armi  più 
grandi,  e  più  pesanti  delle  comuni,  e  si  contavano 
di  lui  varie  meravigliose  prodezze,  fra  le  quali  che, 
abbandonato  in  una  battaglia  da  tutti  i  suoi,  in 
mezzo  ai  nemici  ferito,  e  malamente  pesto,  si  era 
pur  ritirato  in  salvo,  riportando  fitte  nell'ampio 
scudo  4  partigiane,  e  |3  verrettoni  scagliatigli  ad. 
dosso  dai  nemici.  Non  valeva  meno  nel  consiglio  , 
che  nelle  armi,  né  era  scrupoloso  sulla  scelta  dei 
mezzi  che  lo  conducessero  alla  grandezza.  La  sua 
sola  venuta  rincuorò  i  Pisani.  Parca  che  alla  morte 
dell'Imperatore  )a  fazione  Ghibellina  in  Italia,  e 
apeoialmente  in  Toscana  dovesse^ssere  spenta,  giacr 
cbè  avea  contro  di  se  il  re  Roberto,  il  più  potente 
Sovrano  d'Italia,  Signore,  oltre  il  regno  di  Napo- 
li, di  Provenza,  di  Roma,  e  che  dominava  per 
mezzo  dei  suoi  Vicarj  in  Firenze,  e  in  Lucca;  le 
quali  repubbliche  tenevano  unita  nell'istesso  par- 
tito la  maggior  parte  della  Toscana.  Ma  tanto  può 
tin  uomo  solo  talvolta,  che  Uguccione  fece  pender 
la  bilancia  contro  questa  Lega .  Non  perdette  tem- 
po, e  spinse  le  bande  tedesche  unite  ai  Pisani  con- 
tro ì  Lucchesi.  Erano  essi  rinforzati  dai  Fiorentini, 
Sanesi ,  dalle  genti  dei  Malcspini,  e  dei  Fieschi: 
furono  nondimeno  rotti  da  Uguccione,  che  una 
volta  perseguitatili  fino  nei  borghi  di  Lucca,  ove 


i8a  LIBRO   TERZO 

.  fu  posto  il  fuoco;  portate  via  delle  statue,  ed  alzati 
di  (^  dei  trofei  schernevoli  ai  Lucchesi  (33) »  dopo  averne 
>3i4ii]  più  luoghi  devastate  le  campagne,  gli  costrinae 
a  restituire  a  Pisa  molte  castella  usurpatele  fino  dai 
tempi  del  Conte  Ugolino.  Ma,  quello  che  fu  di 
maggior  momento,  impose  loro,  se  volean  la  pace, 
di  rimettere  nella  città  i  Ghibellini,  fra  i  quali 
avendo  un  gran  partito,  si  apriva  la  strada  a  insi- 
gnorirsi di  Lucca .  Era  divisa  questa  città  tra  i 
Bernarduccì,  e  gli  Qbizi:  dominavano  però  gli  Obi- 
zi,  e  invano  il  Vicario  del  re  Roberto,  Gherardo  da 
S.  Lupidio,  si  afifaticava  a  tener  fra  loro  4a  pace. 

Seppe  profittarne  lo  scaltro  Uguccione,  il  quale 
tenendo  occulto  trattato  con  i  malcontenti  rientra- 
ti, e  fra  questi  con  Gastruccio  Àntelmitielli ,  che 
tanto  poi  si  rese  celebre ,  marciando  a  Lucca  colla 
scelta  dei  suoi  nel  dì  14  giugno  ,  ed  essendogli 
aperta  dai  fautori  una  porta,  vi  entrò,  ed  ajntato 
da  questi  s'insignorì  della  città  ,  onde  fuggirono  ^ 
principali  della  contraria  fazione,  e  il  regio  Vica- 
rio. Fu  Lucca  messa  a  sacco,  specialmente  il  pa- 
lazzo del  Vicario,  né  si  rispettò  davvantaggio  il  te- 
soro pontificio  tratto  da  Roma ,  e  dai  suoi  contorni 
dal  Cardinal  di  S.*  Fiora  per  ordine  pontificio,  e  de- 
positato in  S.  Frediano,  che  giungeva  a  un  milione 
di  fiorini  dì  oro.  Fu  preda  ancor  esso  degli  avidi 
soldati,  che  non  risparmiarono  neppure  gT  insulti 
alle  vergini,  e  alle  più  nobili  matrone  (34)*  I  Ghi- 
bellini, o  Bianchi,  specialmente  i  Pistojesi  si  distin- 
sero per  la  rabbia  persecutrice  dei  loro  nemici,  do- 

(33)  Alber.  Mass.  lib.  3.  rer.  ital.  tom.  10.  Trooci  Ann.  Pis. 
(34)Gio.  Vili.  lib.  9.  e.  59.  Istor.  pistoles.  Alberti.  Muss.  Rer. 
Ital.  toni*  X. 


CAPITOLO  OTTAVO       i85 
pò  i  quali  eccessi  che  durarono  8  di^  tornarouo  i 
Piaanì  in  trionfo,  avendo  Uguccione  lasciato  suo  die. 
figlio  Francesco  Signore  della  città  con  buona  guar-  i3i4 
dia.  Restò  costernata  Firenze  alle  nuove  di  tanto 
disastro,  e  si  prepararono  con  vigore  ad  una  guerra 
pericolosa,  che  vedeano  imminente.  Già  fino  qual- 
che tempo  innanzi  la  morte  dell'Imperatore ,  quan- 
do fecero  stretta  lega  col  re  Roberto»  gli  aveano 
per  alcuni  anni  concesso  il  governo  della  città  con 
patto  che  non  ne  fosse  alterato  il  sistema, e  vi  avea 
esso  inviato  un  Vicario  con  poca  truppa.  Ora  che  il 
pericolo  si  accresceva  »  vi  mandò  con  3oo  scelti  ca- 
valieri il  sup  fi'atello  minore  Pirro  Conte  di  Gravi- 
na,  giovine  di  grazioso  aspetto,  e  di  belle  maniere» 
che  si  guadagnò  T  affetto  dei  Fiorentini  ;  e  rimessa 
nel  suo  arbitrio  la  creazione  dei  Priori»  e  degli  altri 
Magistrati,  procurò  in  questa  elezione  di  soddisfare 
ì  voti  del  pubblico.  Importava  il  diminuire  più  che 
si  poteva  il  numero  dei  nemici,  onde  cercò  di  ac- 
comodarsi cogli  Aretini ,  che  uniti  ad  Uguccione 
sarebbero  stati  pericolosi  :  si  fece  con  essi  la  pace ,  e 
a  condizioni  eguali  (35).  Non  posava  però  Uguccio- 
ne; egli  facea  delle  continue  scorrerie  ora  sul  Vol- 
terrano» ora  sul  Pistojese  fino  a  Garmignano» spaven- 
tando i  Fiorentini  :  prese  Seravalle»  e  tentò Ja  sorpresa 
di  Pistoja  :  la  trama  era  ben  concertata  :  guadagnò  al- 
cuni villani»  che  facean  la  guardia  sulle  mura»  i  quali 
secondo  T ordine  preso»  in  una  oscura  notte  del  di  1 1 
di  dicembre  lasciarono  scalare  le  mura  a  5o  nemi- 
ci» che  aperta»  o  rotta  la  porta»  entrarono  coi  loro 
compagni  circa  80  cavalieri»  e  3oo  fanti.  Elssendo 

(35)yilL  lib.  9.  cap.  63.  Amai,  istor.  fior.  lib.  5. 


i84  LIBRO  TERZO 

="^  riconosciuti  però,  tutta  Pistoja  fu  in  moto  auonan- 
<HC.  ^^  le  campane  a  martello,  e  si  cominciò  a  com- 
i3i4 battere.  Se  Uguccìone  giungeva  in  questo  tempo, 
il  colpo  era  fatto:  armato  il  popolo,  conosciutone  il 
piccolo  numero,  li  assali  coraggiosamente:  dopo  lun- 
go contrasto  vedendo  spuntare  il  giorno  ,  e  non  com* 
parire  gli  ajuti,  furono  costretti  a  ritirarsi  dalla  cit- 
tà. N'erano  appunto  esciti,  quando  apparve  troppo 
tardi  Uguccione:  ma  gli  convenne  ritirarsi  (36).  I 
Fiorentini,  che  miravano  farsi  sempre  più  periodo- 
sa  la  guerra ,  mandarono  a  cercare  nuovi  soccorsi  al 
Re  Roberto.  Chiese  di  andarvi  l'altro  suo  fratello 
Filippo  Principe  di  Taranto  col  figlio  Carlo:  il  sag- 
gio Roberto  che  ne  conosceva  la  leggerezza  mal  to. 
lentieri  vi  acconsenti  :  vennero  con  esso  5oo  scelti 
cavalieri.  Dopo  la  caduta  di  Lucca  aveano  i  Fioren- 
tini assai  ben  fortificato  Monte  Catini  come  un'im- 
portante barriera  •  Uguccione  volle  attaccarlo  ,  e 
prevedendo  ,  che  i  Fiorentini  gli  sarebbero  stati 
contro,  col  più  grande  sforzo  raccolse  quante  genti 
^3, 5  potè  di  Pisani,'  di  Lucchesi,  delle  truppe  del  Ve- 
scovo di  Arezzo,  dei  Conti  di  Santa  Fiora,  e  dei 
molti  Ghibellini,  e  fuorusciti.  Subito  si  fece  anche 
daiiF'iorentini  un  numeroso  esercito  coirajuto  del- 
le città  collegate,  Bologna,  Perugia,  Gubbio,  Sie- 
na, Pistoja,  Prato,  Volterra;  e  colle  truppe  napole- 
tane giungeva  a  tre  mila  cavalieri  ,  e  moltissinu 
fanteria,  che  si  fa  da  alcuni  ascendere  a  3o  mih 
uomini;  ma  la  forza  in  quei  tempi  consisteva  nella 
cavalleria.  Il  principe  vi  marciò  alla  testa  per  libe- 
rare Montecatini,  cbe  Uguccione  assediava.  Erano 

(36)  Istor.  Pistol. 


CAPITOLO  OTTAVO  i85 
assai  minori  le  genti  di  Ugoccione^  raa  superiori 
di  valore,  e  di  Capitano.  Si  trovarono  a  fronte  i^-^^| 
due  eserciti.  Stettero  qualche  tempo  fermi,  divisi  iSi5 
dalla  Nievole,  fiumicello  che  scorre  per  una  valle, 
ia  quale  separa  le  alture  di  Montecatini ,  e  MonsuU 
mano.  Filippo,  Comandante  dei  Fiorentini,  era 
malato  di  febbre.  Facevano  essi  delle  scorrerie  pres- 
so il  campo  pisano  per  incitare  alla  pugna,  e  ve- 
dendolo immobile ,  crésceva  la  loro  audacia ,  cre- 
dendolo intimorito;  e  lo  scaltro  Uguccione  appunto 
cercava  di  accrescere  T  inconsiderata  confidenza  del 
nemico.  Finalmente,  credendo  gli  fosse  intercetta 
la  via  delle  vettovaglie,  prese  il  partito  di  ritirarsi, 
ovvero  lo  finse,  ma  in  buon  ordine,  e  pronto  a 
battersi  se  Toccasione  si  ofifriva  (S^).  Lo  seguitò  co- 
me se  già  fosse  rotto,  allegro ,  e  in  poco  buon  ordi- 
ne r esercito  fiorentino;  quando  ad  un  tratto,  arre- 
statosi ,  Uguccione  di  assalito  diventò  assalitore,  fe- 
ce attaccar  h  debole  vanguardia,  composta  di  Sa- 
nesi,  e  Colligiani  da  i5o  dei  migliori  soldati  gui- 
dati dal  suo  figliò,  e  da  Giacotto  Malespini  fuoru- 
scito fiorentino.  La  ruppero  presto,  e  corsero  impru- 
dentemente sulla  schiera  di  Pieno  ov'era  il  nerbo 
dell'esercito:  benché  in  tanto  pericolo  ninno  voltò 
le  spalle,  e  furono  perciò  quasi  tutti  tagliati  a  pezr- 
zi .  Uguccione  allora  con  800  cavalieri  tedeschi,  che 
erano  il  fiore  della  sua  truppa,  assali  con  tal  vigore 
i  nemici  poco  ordinati,  che  agevolmente  gli  vinse. 
Il  maggior  contrasto  si  fece  intorno  al  Conte  di 
Gravina,  ov' erano  le  truppe  migliori,  ma  anch'es- 
se furono  poste  in  fuga  •  La  battaglia  fu  sanguino- 

(37)  Istor.  Pìstd.  Rer.  ItaL  toni.  11. 


i86  LIBRO  TERZO 


f  8Ì88tma,  e  i  Fiorentini  ebbero  una  delle  rotte  pia 
di  G.  memorabili  •  Vi  restò  morto  un  figlio  di  Ugoccìo- 
i3i5  ne^  alla  qnal  nnova  Tintrepido  guerriero  non  mu- 
tò aspetto:  ma  T ardore  della  vendetta,  e  l'odio 
contro  i  Fiorentini  lo  incitò  a  proclamare  che  noa 
si  ^cessero  prigioni ,  e  non  si  risparmiasae  la  vita 
ad  alcuno;  onde  fu  grandissima  la  strage.  Circa  a 
due  mila  se  ne  contano  morti  dei  vinti  dal  Villani, 
ma  il  numero  dovette  esser  maggiore  come  si  de- 
duce da  altri  scrittori,  molti  affogati  nella  Nievele, 
pochi  i  prigionieri  •  Una  lugubre  celebrità  ebbe  la 
sconfitta  di  Montecatini  dalla  morte  di  Piero  fratello 
del  Re  sommerso  probabilmente  in  un  padale,il 
di  cui  cadavere  non  potè  ritrovarsi,  di  Carlo  figlio 
del  Principe  di  Taranto  suo  nipote ,  e  di  molti  dei 
principali  Fiorentini,  e  delle  città  collegate  (58). 
Siccome  di  queste  si  trovavano  a  combattere  per- 
sone delle  principali  famiglie^  si  videro  per  qualche 
tempo  Napoli,  Firenze,  Bologna,  Siena,  Perugia 
quasi  intieramente  vestite  a  lutto.  Fra  i  più  distin* 
ti  si  contarono  1 14  delle  prime  famiglie  di  Firen^ 
se,  Carlo  Conte  di  Battifolle,  Carroccio,  e  Brusco 
di  Aragona  guerrieri  dei  più  apprezzati:  dall' altra 
parte,  oltre  il  figlio  di  Uguccione ,  vi  restò  il  suo 
compagno  Malespini,  che  portava  V  imperiale  inse- 
gna, e  che  mai  non  lasciò  uè  pur  ferito  a  morie. 
Vi  rimase  ferito  Castruccio  Antelminelli  che  mili- 
ta va  sotto  Uguccione  •  Gli  avanzi  della  rotta  armata 
si  dispersero  verso  Pistoja,  Fuceochio,  Cerbaja,  e 
molti  restarono  annegati  nei  pantani  della  Coscia- 
na  •  La  preda  dei  vincitori  fu  immensa  ;  la  moUec- 

(38)  Gio.  Vili.  lib.  9.  e  70.  Istor.  PistoL  Albert.  Mosb.  UK  d 
Tronci  Ann.  Pis.  Gron.  Saaese  di  andrea  Dei  • 


CAPITOLO  OTTAVO  187 
sa,  e  il  lasso  fiorentino  avea  portato  tra  le  armi  i* 
tappeti^  i  letti  serici,  e  fregiati  di  oro  con  la  più^"^^ 
nobile  supellettile  da  rassomigliar  piò  ai  Sibariti,  i3i5 
che  agli  Spartani  (Sg).  Molte  bandiere  furono  pre« 
se,  fralle  quali  due  stendardi  regi.  Avvenne  questa 
battaglia  il  di  29  di  agosto  •  11  corpo  del  Principe 
Carlo  fu  di  decente  funerale  onorato ,  e  quello  del 
tiglio  di  Uguccione  sepolto  in  uno  dei  cassoni  del 
Campo  Santo  di  Pisa  col  suo  nome  notato.  Si  trovò 
in  questa  battaglia  coi  suoi  Pisani  il  Conte  Ranie- 
ri (40)  da  Donoratico:  conservava  sempre  fresco 
Todio  ereditario  contro  i  Reali  di  Napoli,  T autore 
dei  quali  Carlo  I  avea  fatto  decapitare  insieme  con 
Corradiuo  il  suo  avo  Gherardo  ;  onde ,  essendosi  i3i6 
trovato  fra  i  morti  il  cadavere  del  Principe  Carlo , 
si  narra  che  Ranieri  calpestandolo  con  barbara  com- 
piacenza, invocando  T  ombra  del  suo  avo  a  gustare 
il  feroce  piacere  della  vendetta,  ed  esecrando  quel- 
la di  Carlo ,  si  facesse  crear  cavaliere  sul  cadavere 
stesso  (4i)*  Montecatini,  e  Monsulmano  si  arresero 
subito  al  vincitore,  e  molte  castella  seguirono  la 
stessa  sorte  •  Abbattuto  da  queste  perdite ,  se  ne 
tornò  a  Napoli  il  Principe  di  Taranto,  e  il  Re  Ro- 
berto vi  mandò  nuovo  Vicario  il  Conte  di  Monte- 
scaggioso  e  di  Andria ,  detto  ancora  il  Conte  No- 
vello. Le  pubbliche  disgrazie  però  che  sogliono  o  a 
dritto,  o  a  torto  produrre  il  malcontento  contro  i 

(39)  Fcrr.  Vicent.  bist  lib.  7. 

(40)  Alber.  Muss.  Io  cbiama  Neri  figlio  di  Fazio . 

(40  Molti  Scrittori  narrano  il  fatto  fra  quelli  Alber.  Mass.  de 
gest.  ital.  lib.  4*  Ber.  Ital.  tom.  io.  più  precisamente  riporta  le  pa- 
role di  Ranieri:  et  tallite ,  inquit.  Avi  Gerardi manes :  este  hujus 
muneris  mei  largitionefelices:  Tuque  Canis  Senex  Carole»  Cor* 
radini  vere  Romanorum  regis,  atque  Avi  meicarnifeXf  accipito 
d  ignam  tua  feritate  propaginem . 


i88  LIBRO  TERZO 

-.  regolatori  del  governo,  aveano  eccitato  un  partito 
di  0.  in  Firenze  contro  i  Reali  di  J^apoli ,  del  quale  era 
i3i6£apo  Simone  della  Tosa,  mentre  Pino  della  stessa 
famiglia  dirigeva  il  contrario ,  sostenendo  cbe  non 
si  dovea  rompere  un'  amicizia  da  tanti  anni  mante- 
nuta con  quella  casa  reale.  Il  contrasto  si  terminò 
col  limitare  assai  le  facoltà  del  Vicario  regio.  Si 
sarebbero  forse  anche  risvegliati  dei  pericolosi  tu- 
multi y  senza  il  timore  di  Uguccione.  Ma  la  fortuna 
cominciava  a  stancarsi  del  suo  favore  verso  di  lui. 
Trova  vasi  in  Lucca  un  uomo  straordinario,  supe- 
riore di  talenti  ad  Uguccione,  senza  la  sua  crudeltà. 
Castruccio  Anlelminelli  Castracani ,  uomo  dei  più 
grandi  cbe  abbia  prodotto  l'Italia,  prima  di  giun- 
gere all'altezza,  e  celebrità,  a  cui  lo  portarono  i 
suoi  talenti,  passo  per  varie  avventure.  Esule  di 
Lucca  col  padre  per  esser  nemici  della  fazione  do- 
Qiinante,  perdette  in  Ancona  i  genitori:  passò  in 
Inghilterra  sotto  gli  auspicj  del  suo  parente  Àlde- 
rigi,  ricchissimo  lucchese  mercante,  probabilmen* 
te  iniziato  anch'esso  alla  mercatura.  Il  suo  spirito 
elevato  però  lo  fece  penetrare  alla  corte  del  Re 
Eduardo,  a  cui  fu  sommamente  accetto.  Giuocaa- 
do  c(»l  Re  alla  palla,  e  cogli  altri  cortigiani,  uno 
di  questi  per  disputa  di  giuoco  gli  tirò  una  guan- 
ciata in  presenza  dei  Re  (43)*  Non  soffri  Taffronlp 

(4^)  Tigrini  »  Vita  Gas.  Reram  ItaL  5.  tom.  1 1 .  Aldo  Maonx. 
Azioni  di  Gasiruccio.  Quanto  è  impareggiabile  il  Machiavello  nello 
stile  istorico»  e  nelle  profonde  riflessioni  onde  T arricchisce,  ahret» 
tanto  è^negligente  nei  fatti  :  questa  negligenza  però  giunge  al  ma^ 
gior  grado  nella  vita  di  Castruccio  di  cui  na  piìi  tessuto  un  romaa* 
zo  che  un'istoria:  l'ordine  dei  fatti  è  confuso,  le  circostanze  erra- 
te,  la  nascita,  e  incertezza  della  condizione  di  Castruccio  non  ap- 
poggiata ad  alcuna  testimonianza .  Questa  tela  di  falsiti  è  coronata 
coU' asserzione  che  non  ebbe  moglie,  né  figli,  quando  n'ebbe  tao- 


CAPITOLO  OTTATO  189 
il  generoso  Castruccio,  e  tratto  fuori  un  pugnale  ''^ 
r  occise  neir  istante  •  Pel  sollecito  ajuto  dei  suoi  ^\^c^ 
amici  y  e  forse  per  connivenza  del  Re,  fatto  subito  i3i6 
ìcnbarcare^  passò  in  Fiandra  ove  ardea  la  guerra 
tra  gr Inglesi^  e  i  Francesi,  prese  il  partito  di  que- 
sti sotto  Musciatto  Francesi  Fiorentino,  che  vi  mi- 
litava con  400  cavalli,  e  i5oa  fanti  italiani,  e  vi 
si  distinse  per  molte  prove  di  valore.  Quando  Uguc- 
Clone  costrinse  i  Lucchesi  a  rimettere  gli  esuli,  tor- 
nò  Castruccio  alla  patria,  e  pel  suo  valore,  e  con- 
dotta ne  furono  cacciati  gli  Obizi,  e  fatto  Signore 
Uguccione .  Nella,  battaglia  di  Montecatini  si  di- 
stinse altamente  (43),  e  fu  uno  dei  piò  attivi,  e  va- 
Wosi  seguaci  di  Uguccione.  Ma  benché  questo  tanto 
gli  dovesse,  il  valore,  e  il  talento  di  Castruccio,  che 
si  guadagnava  T affetto  universale,  cominciò  a  dar 
si  gran  gelosia  al  sospettoso  Uguccione,  che  delibe- 
rò disfarsene.  Trova  vasi  a  Pisa  mentre  il  suo  figlio 
governava  Lucca  :  questi ,  ricevuti  gli  ordini  dal 
padre,  invitò  a  cena  Castruccio ,  e  lo  fece  arrestare. 
Ma  come  il  favore  dei  Lucchesi  a  quest'uomo  era 
grande,  quanto  Todio  verso  Uguccione,  non  osò  il 
figlio  di  tentare  un  colpo  si  pericoloso  senza  la  pre- 
senza del  padre,  che  chiamò  con  la  più  gran  pre- 
mura a  Lucca  per  eseguirlo.  Era  Pisa  egualmente 


ti  ec.  tatto  ciò  apparirà  chiaramente  a  chi  confronterà  gli  scrìtto- 
ri  contemporanei,  e  in  specie  il  Villani  con  Machiavello  che  scrì- 
veva un  secolo  e  mezzo  dopo. 

(43)11  Machiavello  nella  Vita  di  Castruccio  attribuisce  intie- 
ramente a  lui  la  vittoria  di  Montecatini  «  asserendo  che  Uguccione 
non  vi  si  trovò»  impedito  da  una  malattia.  U  Tigrìni  nella  vita 
di  Castruccio  dice  lo  stesso  :  ma  contrasta  con  questa  asserzione 
Tautorìtk  di  Giov.  Yillani  scrittore  contemporaneo  al  fatto.  Che 
Castruccio  avesse  gran  parte  nella  vittorìa  non  può  dubitarsene» 
essendovi  restato  ferito  m  una  gamba»  e  non  avendo  voluto  medi- 
carsi finché  Fazione  non  fosse  terminata. 


I90  LIBRO  TERZO 


7che  Lncca  stanca  della  tirannia  di  Ugnccione  ^  clie 
di  G.^PP^'^^^  ^^^  ^^^^  decapitare  Banduccio  Buoncon- 
i3i6ti^  e  il  figlio,  perchè  gli  davan  ombra,  sotto  vanì 
pretesti  di  tradimento  (44)*  Irritali  da  questa  fre- 
sca crudeltà  i  Pisani,  appena  partito  Uguccione, 
levarono  rumore,  uccisero  i  suoi  partitanti,  e  die- 
dero il  governo  al  Conte  Gaddo  della  Gherardesca. 
Questa  nuova  giunse  a  Lucca  in  tempo  che  i  Luc- 
chesi tumultuavano  chiedendo  la  libertà  di  Ca- 
struccio.  Non  osando  resistere  Ugnccione ,  fu  tratto 
di  prigione,  e  presentato  al  pubblico  Castruccio, 
carico  di  catene.  À  tal  vista  infuriossi  viepiù  il  po- 
polo: si  vide  costretto  Ugnccione  a  fuggire,  e  tolte 
le  catene  a  Castruccio,  fu  con  rara  felicità  lo  stesso 
giorno,  destinato  per  la  sua  morte ,  dichiarato  Si- 
gnore di  Lucca  (4&)  • 

f44)^^*  1^1>-  9*  e*  74*  Tignili  vita  Gas. 
(45)  Vedi  Gìo.yiU.  lib.  9.  cap.  76.  Tigr.  viU  Gas.  Aldo  Ma- 
Duzio.  ìsL  PbtoL 


«9« 
CAPITOLO   IX. 

SOMMARIO 

jivventure  di  Uguccione  della  Faggiola .  Dispute  tra  Siena  e 
Massa .  Imprese  di  Castruccio,  S'impadronisce  di  Pistoia. 
Bompe  i  Fiorentini  e  si  avtf teina  Jino  sotto  le  mura  di  Firenze. 
Pompa  trionfale  di  Castruccio,  Congiura  contro  di  lui  sco- 
perta .  Sue  nuove  imprese  contro  i  Fiorentini .  Duca  di  Atene 
in  Firenie .  "Nuova  congiura  contro  Castruccio  ugualmente 
scoperta .  Discesa  in  Italia  di  Lodovico  il  Bavaro.  Castruccio 
è  creato  da  lui  Duca  di  Lucca,  e  'fi  altre  città  di  Toscana. 
Lo  accompagna  a  Roma  ,  ove  lo  fa  coronare  Imperatore  •  È 
eletto  da  lui  suo  Vicario ,  e  Senatore  di  Roma  •  //  Bavaro  de- 
pone il  Papa  Giovanni  XXII, ,  e  fa  eleggere  Niccolò  K.  Ca^ 
strucclo  perde  Pistoia.  Ritoma  da  Roma;  cinge  di  assedio 
Pistoia,  e  di  nuovo  se  ne  impadronisce.  Muore  alT  età  di  47 
anni. 

XJa  disgrazia  di  UguccioDé  rallegrò  ì  Fiorentini , 


Anni 


non  prevedendo  quanto  più  terribile  nemico  esser  ^q^ 
doveva  a  loro  Castruccio.  Ad  essi  mandò  il  Re  di  i3i6 
Ifapoli  nuovo  Vicario  il  Conte  Guido  da  Battifolle. 
Ija  paura,  che  TAttivo  Uguccione  avesse  dei  fau- 
tori in  città,  determinò  quei  che  governavano,  for^ 
se  per  togliersi  T  odiosità  delle  crudeli  esecuzioni , 
a  far  venire  in  Firenze  Landò  di  Agubbio  Bargel- 
lo,  e  di  dargli  un  supremo  potere  sulle  vite  dei 
cittadini.  Questo  crudele  inquisitore  agiva  per  im- 
pulso di  queij  che  governavano;  ma  siccome  poteva 
anco  farlo  di  propria  volontà,  avea  sparso  il  terrore 
per  Firenze  •  Sulla  semplice  delazione ,  e  senza  re- 
golar forma  di  processo,  faceva  uccidere  i  cittadini 
a  suo  talento  ;  né  il  Vicario  del  Re  di  Napoli  osava 
colla  forza  di  opporsegli  avendo  il  Re  giurato  di 


191  LIBRO  TERZO 

Tnon  alterare  il  governo.  Udo  dei  gran  difetti  dì 
diC. <]°^^^>  e  di  molte  Repubbliche  di  quei  tempi,  è 
i^> 7  il  non  avere  stabilito  un  savio,  e  regolar  metodo 
nei  giudizi  criminali  che  assicurasse  la  vita,  e  la 
libertà  dei  cittadini,  e  armato  di  sufficiente  forsà  per 
r  esecuzione.  Fu  con  fatica,  e  solo  per  interposizione 
del  Re  di  Napoli  deposto  questo  sicario,  il  cui  go- 
verno avvili  la  maestà  della  fiorentina  repubbUca, 
avendo  però  lasciata  lunga  memoria  di  se  colla  mo- 
neta falsa  sparsa  nella  città,  che  avea  avuto  ardire 
di  battere  (i).  Si  fece  pace  dai  Pisani,  e  Lucchesi 
colle  città  Guelfe  toscane,  mentre  Uguccione  che 
si  era  refugiato  in  Verona  presso  Cane  della  Scala , 
aiutato  di  genti  da  Cane,  e  da  Spinetta  Malaspinai 
tentò,  ma  invano  di  rientrare  in  Pisa.  L'inutile 
tentativo  costò  la  vita  ad  alcuni  cittadini  pisani  dei 
Lanfranchi,  che  fu  creduto  aver  con  lui  corrispon- 
denza, e  a  Spinetta  la  perdita  delle  sue  terre,  che 
furono  occupate  da  Gastruccio.  Anch'  esso  andò  a 
ricovrarsi  nello  stesso  asilo,  generoso  asilo  del  va- 
lore, e  dei  talenti  sventurati.  Allora  probabilmente 
fece  Uguccione  amicizia  con  Dante.  Gl'illustri  guer- 
rieri hanno  quasi  sempre  onorato  le  lettere  :  al  ca- 
rattere fiero  di  Uguccione  era  £itto  per  piacere  quel- 
lo dei  fiorentino  Poeta,  e  le  sventure  legano  insieme 
i  disgraziati.  Militò  Uguccione  sotto  gli  stendardi 
del  Signore  della  Scala,  specialmente  nella  guem 
fatta  ai  Padovani,  e  assai  avanzato  in  età  mori  po- 
chi mesi  innanzi  a  Dante .  Non  è  già  che  i  Signori 
della  Scala  fossero  nemici  dei  Pisani,  solo  gV indusse 
ad  aiutare  Uguccione  la  pietà  ch'eccita  un  uomo 

(i)  VilL  lib.  9.  cap.  74. 77. 


CAPITOLO    NONO  193 

grande  fralle  sventure.  Erano  essi  Ghibellini  come 
gli  altri  Lombardi,  nemici  dei  Guelfi,  e  perciò  dei  ^iq. 
Fiorentini .  »  3 1 7 

Mentre  regnaTa  la  pace  in  Toscana,  un  movi- 
mento passeggiero  minacciò  la  tranquillità ,  e  il 
governo  della  sanese  Repubblica  .  Era  nata  una  di- 
sputa tra  di  essa  e  la  Repubblica  di  Massa  sul  pos- 
sesso del  castello  di  Girfalco  occupato  dair  ultima. 
Dopo  inutili  rimostranze  vi  mandarono  i  Sanesi 
molta  gente  armata,  che  cominciavano  la  devasta- 
zione delle  campagne,  quando  ravveduti  i  Massesi 
oederoDo  il  castello  disputato,  e  furono  ricondotti 
a  Siena  gli  armati:  questi  però,  che  aveano  sperato 
di  saccheggiar  Massa ,  tornando  scontenti ,  e  tro«- 
vandosi  coir  armi  in  mano,  mossero  tumulto  gri- 
dando, moia  il  Capitano.  Venne  fatto  ai  principali 
di  sedare  il  tumulto;  i  malcontenti  però  del  gover- 
no tentarono  profittarne.  Erano  da  quello,  come  si 
è  notato  a  suo  luc^o,  esclusi  i  nobili,  i  dottori,  i 
notari,  e  solo  vi  si  ammettevano  mercanti  di  me- 
diocre condizione,  che  si  riducevano  a  pochi.  I 
dottori ,  e  i  notari  presero  quest'occasione ,  in  cui 
credevano  i  Nove  dei  Governo  intimoriti,  per  fare 
istanza  di  esservi  ammessi  :  ne  furono  sdegnosa- 
mente, e  con  minaccie  rigettati:  allora  unitisi^cogli 
altri  malcontenti  stabiliron  di  uccidere  i  Nove  e 
crear  Capitano  Messer  Sozzo  Tolomei ,  e  Potestà 
Messer  Antonio  di  Messer  Ricovero,  e  così  andava- 
no distribuendo  le  cariche;  e  già  la  sera  del  di  a6  ot- 
tobre levatisi ,  corsero  verso  il  Palazzo  per  uccidere 
il  Magistrato,  gridando  di  voler  parte  al  governo. 
Fortunatamente  erano  stati  assoldati  3oo  fanti ,  e 
iuolti  cavalli  per  mandarsi  in  soccorso  del  Re  Ro- 

Tomo  11.  i3 


194  LIBRO   TERZO 

Uberto,  e  per  lo  stesso  motivo  vi  si  trovavano  loo 

A  QUI  • 

di  c.^  A  vai  ieri,  e  800  pedoni  dei  Fiorentini  guidati  dai 
i3>7  Rucellai.  Con  questa  truppa  il  Governo  ai  oppose 
ai  sollevati^  i  quali  dopo  due  ore  di  contraato  furo- 
no rotti  y  prestando  la  notte  un'opportuna  oscurità 
per  fuggire ,  o  per  nascondersi  (a) .  Prendevano 
qualciie  respiro  intanto  i  Fiorentini  confermati 
sempre  più  nella  fazione  Guelfa  che  dominava  in 
Toscana . 

La  Lombardia  era  per  la  maggior  parte  Ghibel- 
lina, ma  divisa  in  piccoli  Signori,  e  Repubhlichet^ 
te,  male  atte  a  stare  unite  in  una  Lega  ,  onde  noo 
potevano  gran  fatto  resistere  alla  fiorentina^  poten" 
te  di  armi,  e  di  ricchezze,  sostenuta  dal  Papa^  e 
dal  Re  di  Napoli  •  Ma  vi  era  un  uomo  capace  eoi 
suoi  talenti  guerrieri  di  bilanciare  questi  svantag- 
gi^ cioè  Castruccio.  I  Fiorentini  essendo  tranquilli 
in  Toscana ,  aveano  con  poca  avvedutezza  invialo 
un  corpo  di  truppe  della  Taglia  Toscana  in  Lom- 
bardia, istigati  dal  Papa^  e  dal  Re  Roberto  ad  aiu- 
tar colà  il  {vacillante  loro  partito.  Matteo  Visconti 
capo  dei  Ghibellini  di  Lombardia  con  armi^  e  da- 
nari  eccitò  Castruccio  contro  diloro.Pococi  voleva 
i3i9a  muover  quest'uomo  (3):  vedendo  da  se  stesso, 
che  anche  nella  sua  quiete  i  Fiorentini  non  tarde- 
rebbero molto  ad  attaccar  Lucca  ,  e  Pisa  di  partito 
a  loro  nemiche;  forse  ancora  credendo  che  Tinsta- 
bile  volontà  dei  cittadini,  che  lo  aveva  inalzato  al 
Principato  di  Lucca,  non  potevano  confermarsi  che 
con  azioni  grandi  atte  ad  imprimere  riverenza^  e 

(a)  Cron.  Sane.  Eer,  Ital.  tom.  1 5.  Mulev.  istor.  Sanes.  p«  1. 
lib*  5.  Aniinir.ist.lib.  5. 

(3)  Gio.  VilL  lib.  9.  e.  io5. 


CAPITOLO   NONO  igS 

terrore;  o  finalmente  sentendosi  i  militari  talenti  , 
fosse  impaziente  di  mostrargli  contro  i  nemici  della  dì  e. 
sua  patria,  era  assai  disposto  air  ostilità.  Aiutato '^*9 
perciò  di  armi,  e  di  denari  dai  popoli  di  Lombar- 
dia, e  in  specie  dai  Visconti,  messe  insieme  una 
truppa  di  agguerriti  soldati  più  Formidabile  pel  va* 
lore,  che  pel  numero,  ed  entrò  nelle  terre  dei  Fio- 
rentini  ponendole  a  sacco:  indi  pose    V  assedio  a 
Santa  Maria  a  Monte,  e  presto  se  ne  impadronì.  A 
questo  attacco  inaspettato  i  Fiorentini  sprovvisti , 
sulla  fiducia  della  pace,  non  poterono  opporsi.  On. 
de  se  ne  tornò  Gastruccio  carico  di  preda  tranquil- 
lamente a  Lucca.  Questo  principio  di  ostilità  in 
Toscana  fu  una  conseguenza  della  guerra  di  Lom- 
bardia: n'era  il  fomite  maggiore  la  citlà  di  Geno- 
va, dopo  che  cacciati  i  Ghibellini  avea  data  la  si- 
gnoria al  Re  Roberto:  contro  di  essa  perciò  era  i33o 
diretto  lo  sforzo  maggiore  dei  Ghibellini  lombardi^ 
che  la  travagliavano  per  terra,  mentre  lo  era  per 
mare  dalla   flotta  siciliana .  Gastruccio  vi    marciò 
anch'esso  con  buona  truppa  di  Lucchesi,  e  Pisani 
per  aver  parte  alla  gloria  delia  presa  che  si  credeva 
sicura.  Profittando  della  sua  lontananza  fecero  i  Fio- 
rentini una  scorreria  sul  Lucchese:  Gastruccio  al- 
lora con  la  pili  grande  speditezza  ricondusse  indie- 
tro le  sue  truppe,  e  giunse  ì  ^nemici  verso  Fucecchio. 
Consumarono    i  due  eserciti  molto   tempo  inutil- 
mente  divisi  dalla  Gusciana,  e  senza  alcun   fatto 
si  ritirarono.  Non  fu  gloriosa  ai  Fiorentini  l'impre- 
sa ^  ma  utile  ai  loro  confederati  Genovesi.  Genova, 
che  colla  giunta  di  questo  nemico  sarebbe  caduta, 
non  solo  si  sostenne,  ma  gli  costrinse  a  ritirarsi. 
Nel  seguente  anno,  temendo  sempre  i  Fiorentini 


tg6  LIBRO  TERZO 


"l'attivo  Gastruccio^  fecero  lega  col  Marchese  Spi- 
^(^. netta  Malaspina  ^  dandogli  aiuti,  perchè,  inquie- 
>3a stando  Gastruccio,  non  gli  permettesse  di  ymiire 
sulle  terre  loro .  Ma  Gastrnccio  radunate  le  sue 
genti,  poco  temendo  le  offese  del  Marchese,  andò 
incontro  ai  Fiorentini ,  che  si  erano  accampati  sul 
Lucchese.  O  che  il  genio  di  Gastruccio  imprimesse 
terrore  in  questi ,  o  che  non  lo  avessero  creduto 
fornito  di  tante  genti,  entrò  un  timor  panico  fra 
loro  a  segno,  che  profittando  della  notte  si  ritira- 
rono precipitosamente,  e  lasciarono  Gastruccio  pa- 
drone della  campagna,  il  quale  diede  il  guasto  o?e 
più  gli  piacque. 

Erano  già  parecchi  anni  dacché  Firenze  si  tro- 
vava piuttosto  sotto  la  protezione,  che  sotto  il  do- 
minio del  Re  di  Napoli.  Pare  che  ciò  si  facesse 
quando  o  i  pericoli  esterni,  o  le  dissenzioni  interne 
minacciavano  la  Repubblica,  benché  essa  non  fosse 
libera  dagli  esterni  timori,  essendo  armato  uno  dei 
suoi  più  potenti  nemici.  Gastruccio  tuttavia ,  e  il  par- 
tito che  si  era  eccitato  da  Simone  della  Tosa  negli  an- 
ni scorsi,  e  il  desiderio  di  novità,  fece  tornar  i  Fio- 
rentini nella  solita  forma  dell'  antico  governo,  ed 
essendo  spirato  il  tempo  della  Signoria  data  al  Re 
Roberto,  non  fu  rinnovata  (4)*  Poco  innanzi  però 
non  essendo  il  pubblico  contento  dei  soliti  gover- 
natori, come  avviene  quando  non  vanno  prospere 
le  cose,  avea  aggiunto  airoflizio  dei  Priori,  dodici 
Buonominij  due  per  Sesto,  da  stare  in  officio  sei 
mesi.  Era  la  loro  apparente  incombenza  di  Goosi- 
glieri  dei  Priori;  ma  questi  nulla  potevano  concla- 

(4)  Giot  Vili.  lib.  9.  cap.  1 86. 


CAPITOLO  NONO  197 

dere  senza  la  loro  autorità  (5).  Intanto  Castruccio 
padrone  della  campagna  scorreva  impunemente  idi  e. 
castelli  e  le  città  suddite ,  o  alleate  dei  Fiorentini.  ^^^* 
Pistoja  posta  quasi  ad  egual  distanza  da  Firenze,  e  ^3^3 
Locca ,  e  il  di  cui  possesso  era  perciò  utile  tanto 
air  una  che  all'altra,  si  reggeva  coirinfluenza  dei 
Fiorentini  ;  ma  Castruccio  tanto  travagliò  il  conta- 
do colle  armi,  e  la  città  cogF intrighi,  che  dovette 
per  minor  male  divenir  tributaria  di  lui,  conten- 
tandosi egli  per  ora  di  siffatto  titolo,  e  attendendo 
migliore  occasione  a  farsene  Signore .  I  Fiorentini 
mal  concordi,  in  vece  di  por  cura  a  resistere  a 
quest'attivo  nemico,  animati  sempre  dalla  fazio- 
ne ,  mandavano  dei  soccorsi  contro  i  figli  di  Mat« 
teo  Visconti,  che  con  varia  fortuna  sostenevano 
il  loro  partito  in  Lombardia .  Castruccio  però  faceva 
continui  progressi,  giacché  non  trattenuto  né  dai 
presidj,  né  dagli  aiuti  dei  Fiorentini,  né  dai  rigori 
deir  inverno  s' insignori  di  una  gran  parte  della 
montagna  di  Pistoja:  si  volse  indi  sulle  campagne 
di  Fucecchio,  S.&  Croce,  Castelfranco,  e  passato 
Arno  sopra  Montopoli,  recò  loro  infiniti  danni  :  ed 
una  Repubblica  si  potente  di  oro,  e  di  genti  non 
osò  mandargli  incontro  alcun  esercito.  Ciò  diede 
tant' animo  al  loro  nemico,  che  ardi  avvicinarsi  a 
Prato  con  non  più  di  600  cavalli,  e  4^>oo  fanti, 
minacciando  di  occuparlo  .  A  quest'  ultimo  insulto 
risvegliati  dalla  vergogna  i  Fiorentini ,  fecero  a 
gara  ad  armarsi  :  diedero  il  perdono  ai  banditi  per 
fazioni ,  che  si  fossero  condotti  sotto  le  bandiere 
della   Repubblica,  dei  quali  in  breve  non  meno 

(5)  Gio.  YUl.  e.  137. 


98  LIBROTERZO 


7  di  4^>oo  vi  si  riunirono.  Mossero  perciò  verso  Prato 
die.  un  esercito  di  i5oo  cavalli,  e  ao  mila  fanti.  Sa- 
i3a3|.ebbe  stato  il  contrasto  troppo  disuguale:  stette 
nondimeno  Castruccio  per  qualche  tempo  intrepi- 
do a  fronte  di  si  grand' esercito:  ma  quando  si  ac* 
corse  che  si  preparavano  i  Fiorentini  ad  attaccarlo, 
si  ritirò  cheta  mente  nella  notte  a  Seravalle.  Parea 
che  una  truppa  tanto  numerosa  dovesse  seguitarlo, 
e  por  Tassedio  anche  a  Lucca;  ma  essendo  discordi 
fra  loro  i  nobili ,  e  il  popolo,  restarono  in  questa  in- 
certezza qualche  giorno,  e  poi  quasi  disordinata- 
mente si  ritirarono  a  Firenze.  I  fuorusciti,  che 
secondo  i  patti  dovevano  esser  rimessi ,  li  aveano 
preceduti;  ma  venendo  innanzi  colle  bandiere  spie- 
gate ,  e  in  sì  gran  copia ,  il  popolo  cominciò  a  guar- 
darli  come  nemici,  e  non  volle  riceverli:  foronco- 
stretti  a  ritirarsi,  ma  unita  la  nuova  ingiuria  alle 
vecchie,  meditarono  i  mezzi  di  rientrarvi  a  forza. 
Sapendo  il  malcontento  della  nobiltà  esclusa  dal  go- 
verno^ ebbero  segreto  trattato  con  essa.  Amerigo  Do- 
nati ,  non  degenere  dal  padre  Corso,  guidava  questa 
trama:  nella  notte  di  San  Lorenzo  doveano  i  fuoru- 
sciti accostarsi  a  Firenze,  esservi  introdotti^  correr 
la  città  armati  coi  loro  amici,  e  mutare  il  governo. 
La  trama  fu  scoperta  nel  giorno  avanti  all'esecu- 
zione: si  armò  il  popolo,  e  corse  su  per  le  mura 
con  moltissimi  lumi,  i  quali  veduti  dai  fuorusciti, 
si  accorsero  che  il  trattato  era  svelato,  e  si  ritira- 
rono. Il  Governo  prudentemente  abbracciò,  nel 
perseguitare  i  complici ,  le  vie  della  clemenza  (ti). 
intanto  Castruccio,  che  aspirava  al  dominio  di  tut- 

(6)  Gio.  Yill.llb.  9.  cap.  31 4*  e  319. 


CAPITOLO   NONO  J99 

ta  la  Toscana,  volle  insignorirsi  di  Pisa:  tenne  pra-  =^ 
tica  con  un  Lan franchi  di  uccidere  Conte  Mieri  ^-^^^ 
della  Gberardesca ,  che  n'era  Signore ,  ossia  ne  di*  i^^iS 
rigeva  il  governo  :  scoperta  però  la  trama,  non  eb- 
be altro  effetto  che  la  morte  del  Lanf ranchi,  e  il 
bando  dato  a  Castruccio  di  nemico  di  Pisa ,  ponen- 
dosi la  sua  testa  a  prezzo  (7),  ciocché  rallegrò  molto 
Firenze ,  che  vide  staccarsi  una  città  potente  dal 
suo  nemico  più  grande .  Non  sbigottito  però  Castruc- 
cio tentò  un  colpo,  il  quale,  se  gli  fosse  felicemen* 
te  successo,  avrebbe  assai  sconcertati  i  Fiorentini. 
Era  Fucecchio  terra  di  molta  importanza,  assai 
popolata ,  e  difesa  da  buona  guarnigione .  Avuta 
speranza  di  esservi  introdotto ,  vi  si  accostò  di  not- 
te con  soli  i5o  cavalli,  e  5oo  fanti.  Vi  fu  realmen- 
te ammesso;  ma  la  guarnigione,  e  i  terrazzani  aven- 
do prese  le  armi ,  si  cominciò  a  combattere  :  sareb- 
bero restati  i  terrazzani  soccombenti ,  se  spuntato 
il  giorno  non  avessero  dati  dei  segni  chiedendo  aiu- 
to alle  guarnigioni  dei  vicini  luoghi ,  S.  Miniato , 
Castelfranco,  e  Santa  Croce.  Corsero  queste  trup- 
pe, e  giunsero  che  ancor  si  combatteva;  durò  tut- 
tavia Castruccio  lungamente  a  battersi  con  gran 
valore;  ma  vedendo  impossibile  il  resistere  al  nu- 
meroso aiuto  sopraggiunto,  che  lo  assaliva  alle  spaU 
le,  e  ai  terrazzani  che  dalle  strade,  e  dalle  finestre 
con  ogni  sorta  di  armi  lo  combattevano,  dopo  aver 
date  tutte  le  prove  del  più  saggio  e  coraggioso  capi- 
tano, ferito  nel  viso,  si  ritirò  facendosi  strada  a 
traverso  i  nemici .  Si  narra  che  essendo  sempre  de- 
gli ultimi  a  ritirarsi  nelle  battaglie,  trovandosi  pe- 

(7)  Vii.  lib.  9.  c«  a3o. 


aoo  LIBRO   TERZO 

"rò  inviluppalo  dai  nemici  che  perseguitavano  i  stioì 


jf^' fuori  del  castello,  accorgendosi  di  non  esser  cono- 

1^33  sciuto  si  6nse  uno  dei  persecutori ,  fra  i  quali  essen- 
do giunto  ai  suoi  che  cercavano  con  dolore  il  loro 
Duce,  riconosciutolo  volsero  faccia,  e  inseguirono 
i  nemici  Gno  alle  porte  (8).  Facea  quest'uomo  ai 
Fiorentini  la  guerra,  colie  armi  e  colle  segrete  pra- 
tiche, colle  quali  tentò  d'insignorirsi  di  Prato,  di 

^3a4Pisa,  e  fin  della  stessa  Firenze.  Furono  scoperti 
però  i  suoi  trattati  che  avea  specialmente  con  Tom- 
maso Frescobaldi ,  il  quale  tentò  di  corrompere  le 
milizie  francesi  per  mezzo  di  un  frate  loro  con- 

i3a5fessore  (9).  Fuggi  il  Frescobaldi,  e  fu  dichiarato 
traditore  della  patria,  e  il  frate  condannato  a  per- 
petua prigione.  Pistoja  vagheggiata  da  Castruccio, 
e  dai  Fiorentini  avea  subito  varie  vicende.  Un  ec- 
clesiastico pistoiese,  Orman  no  Tedici,  Abate  di  Pac- 
ciana,  dotato  di  quella  ambizione  sì  mal  conforme 
al  suo  stato,  e  di  scarso  talento,  immaginò  profittar 
delle  circostanze  per  farsi  Signore  di  Pistoja  •  Gua- 
dagnato con  le  sue  ricchezze  il  minuto  popolo,  e  i 
contadini',  mostrandosi  zelante  per  la  pace,  corsela 
città  sostenuto  dai  suoi  partitanti,  prese  il  Palagio, 
i  luoghi  forti ,  e  restò  Signor  di  Pistoja ,  ne  cacciò 
gli  amici  dei  Fiorentini,  e  fece  tregua  con  Castruc- 
cio .  Non  avea  però  TAbate  i  talenti  per  sostener  quel 
posto,  il  quale  era  piuttosto  esercitato  dal  suo  nipote 
Filippo  più  attivo j  e  di  più  mente.  Peraltro,  o  che 
questo  si  trovasse  sovente  inceppato  dall'  inezie  ,  e 
dai  capricci  del  zio  neiramministrazione,  o  amasse 
esser  libero  Signore,  cospirò  contro  di  lui  col  coo- 

(8)  Vili.  lib.  9.  Gap.  a33.  Tigrimì  vita  Caslr. 

(9)  Vili.  lib.  9.  e.  293. 


CAPITOLO    NONO  201 

861130,  ed  aiuto  di  Gastrnccio,  e  lo  cacciò  dallo  Sta-  ^^ 
to»  Ne  restò  Signore  per  circa  due  anni,  raa  presto  j "e. 
8Ì  accorse  che  trovandosi  in  una  città  divisa  dai  par-  i3ft5 
titi  colla  neniicizia  del  zio,  tra  i  Fiorentini,  e  Ca- 
struccio  che  se  ne  contendevano  il  dominio,  non 
l'avrebbe  esso  potuta  conservare.  Bramando  di  dar 
la  città  a  Castruccio,  convenia  ingannare  i  Fioren* 
tini,  che  aveano  in  Pistoja  dei  cittadini  attenti,  dei 
partitanti ,  e  delle  soldatesche;  per  addormentarli 
il  Tedici,  mentre  si  maneggiava  segretamente  con 
(  Castruccio,  intavolò  con  quelli  un  trattato  di  dar 
r   loro  Pistoja:  vi  restarono  colti,  e  quando  imraagi^ 
•    navano  di  occupar  la  terra,  udirono  inaspettatamen* 
;    te  esservi  entrato,  e  averne  preso  il  dominio  Ca- 
i   struccio.  Erano  i  Capi  del  governo  fiorentino  insie- 
;    me  con  Urlimbracca  condottiere  tedesco,  ad   un 
I    Banchetto  in  San  Piero  Scheraggio,  quando  ricevet- 
,.   tero  le  nuove  del  primo  tumulto  di  Pistoja  .  Esciti 
^  frettolosamente  da  tavola,  montati  a  cavallo  corsero 
,    ad  un  tardo  soccorso,  giacché  trovarono  per  la  stra** 
da  parte  delle  loro  milizie, e  i  cittadini, e  partitan- 
ti ,  che  si  erano  colla  fuga  salvati .  Seimila  fiorini 
:  di  oro,  spesi  da  Castruccio  a  tempo,  guadagnarono 
i  mezzani:  la  più  gran  parte  n'ebbe  il  Cremona, 
che  ingannò  i  Fiorentini;  e  il  Padre  Gregorio,  che 
menò  segretamente  la  trama  tra  Filippo,  e  Castruc- 
cio, fu  in  ricompensa  creato  in  Lucca  Abate  di  San 
Frediano;  Filippo  Tedici  divenne  Capitano  di  Ca- 
struccio, ne  sposò  la  figlia  non  senza  sospetto  di  es- 
sersi disfatto  dell'altra  moglie  col  veleno  (io).  L'o- 
dio della  città  di  Firenze  contro  Castruccio,  e  il  ti- 

ilo)  Istor.  PìstoL 


M2  LIBRO  TERZO 


Z  more  erano  cresciuti  a  segno,  che  unanime  deter- 
di  C.  minò  guerra  la  più  vigorosa  ed  alta  a  liberarsi  affatto 
i3a5da  si  gran  nemico:  ed  essendo  giunto  in  Firenze 
Raimondo  di  Gardona ,  che  avea  fama  di  eccellen- 
te guerriero,  fu  creato  dai  Fiorentini  Capitano  gene- 
rale di  questa  guerra  •  Diede  subito  ottime  spe- 
ranze di  felice  successo,  giacché  espugnò  in  brevis- 
simo tempo  il  castello  di  Àrtimino,  che  appartene- 
va ai  Pistojesi.  Fecero  dunque  i  più  gran  preparati?i: 
comprendeva  V  esercito  i5  mila  pedoni  di  genie 
scelta  nella  città  di  Firenze,  o  nel  contado,  che 
l'odio  contro  Castr uccio,  e  T attaccamento  alloro 
beni,  e  alle  loro  famiglie  rendevano  più  animosi, e 
fedeli  ;  aSoo  erano  i  cavalieri  gran  parte  pren  a 
soldo  da  diverse  nazioni  (i  i).  Accrebbero  in  seguito 
quest'esercite  le  città  collegate.  Il  Papa  unito  con 
essi  non  mandò  altro  aiuto  che  quello  delle  censore 
fulminate  contro  Castruccio  •  Cominciò  la  guem 
felicemente  pei  Fiorentini  •  Incamminatosi  l' eser- 
cito verso  Pistoja,  Castruccio  che  non  avea  forxe 
da  tenersi  a  campo  aperto,  vi  si  chiuse  difenden- 
dola •  U  Capitano  dei  Fiorentini  depredando  ilpae> 
se,  e  con  molti  insulti  facendo  correre  fino  il  palio 
sotto  le  mura ,  tentò  di  tirarlo  a  battaglia  :  quando 
si  accorse  che  tutto  era  vano ,  fece  un  ùAso  attacco 
al  castello  di  Tizzana ,  e  improvvisamente  si  avao 
zò  verso  la  Gusciana ,  ed  occupò  un  importante  pa- 
sto cioè  Cappiano  atto  a  danneggiare  le  campagne 
lucchesi,  il  pericolo  di  Lucca  trasse  di  Pistoja  Ga* 

(11)  Dice  il  VilU  L  9.  cap.  3oi .  L'  oste  mai  per  Io  cornane  à 
Firenze  per  se  proprio  non  la  fece  maggiore  senza  aiato  dì  adu- 
sta   ed  ebbero  i  Fiorentini  in  loro  oste  bene  800  e  più  tra- 
bacche ,  e  padiglioni ,  e  tende  di  panno  lino ,  e  non  era  dì  y  d»? 
uon  costasse  r  oste  ai  Fiorentini  tremib,epib  fiorini  di  oro. 


CAPITOLO    NONO  ao3 

straccio,  che  portatosi  in  Valdinievole,  usando  di 
tutta  la  maestria  nell'arte  della  guerra,  con    un  ^l(>^ 
fosso  che  fece  prestamente  fortificare ,  e  difendere ,  >3a5 
cercò  di  assicurare  alla  meglio  le  campagne  luc^ 
chesi.  Era  Altopascio  nelle  mani  dei  Lucchesi ,  ca- 
stello molto  forte,  ben  guardato,  e  stimato  assai 
importante  per  la  distanza  di  sole  otto  miglia  da 
Lucca:  fu  assediato  con  tutto  il  vigore  dai  Fioren- 
tini. Cercò  invano  Gastrnccio  con  varie   diversioni 
fino  sul  territorio  di  Firenze  di  allontanar  di    là 
l'esercito:  dovette  finalmente  il  castello  rendersi. 
Questo  considerabil  vantaggio  gli  animò  a   segno 
da  creder  di  poter  conquistar  Lucca,  e  ruinare  af- 
fatto Castruccio  :  mosso  pertanto  da  Altopascio   si 
inoltrò  colle  sue  genti  il  Capitano  dei  Fiorentini  in 
sul  pantano  di  Sesto.  Ma  Castruccio,  benché  infe* 
riore  di  genti, più  abile  nel  campeggiare,  fece  pren- 
dere i  posti  uecessarj  che  per  negligenza,  o  igno- 
ranza avea  lasciato  di  occupare  Raimondo,  e  fortificò 
i  poggi  di  Vivinaia ,  Montechiaro,  Ceragli,  e  Por- 
cari, dimodoché  era  chiusa  la  strada  air  esercito 
fiorentino  per  andare  a  Lucca  ;  e  finalmente  lo  co- 
strinse a  levare  di  là  il  campo.  Nel  volersi  ritirare 
in  luogo  più  vantaggioso,  si  attaccò  tra  due  partite 
di  soldati  una  scaramuccia  assai  viva,  che    durò 
molte  ore.  Crebbero  da  una  parte,  e  dall'altra  i 
rinforzi,  e  più  volte  or  questi,  or  quelli  furono  re- 
spinti, ma  alla  fine  cessero  il  campo  i  Fiorentini , 
dei  quali    restarono  prigionieri    alcuni   dei   primi 
Condottieri,  fra  i  quali  il  Tedesco  Urlimbracca , 
Francesco  Brunelleschi  ,  e   Giovanni  della  Tosa  • 
V'intervenne  col  suo  solito  vigore,  e  intrepidez- 
za 'Castruccio  ,    che  vi   resiò   ferito ,    e   alla   sua 


io4  LIBRO  TERZO 

7  presenza  si  dovè  probabilmente  la  vitUnia.  Qne- 
diC^^  fatto  quanto  animò  i  Lucchesi,  tanto  sco- 
i3a5  raggi  i  Fiorentini  j  che  assai  superiori  di  nome- 
rò, erano  obbligati  in  ogn'  incontro  a  ritirarsi. 
Ifon  essendo  però  le  genti  di  Gastruccio  abbastana 
per  misurarsi  coir  esercito  nemico,  avea  egli  spt- 
dito  colla  maggior  fretta  per  aver  degli  aiuU  dai 
Visconti  ;  ma  mentre  che  questi  tardavano  a  ve- 
nire, temea  che  i  Fiorentini,  sui  quali  si  tenea  co- 
me in  pugno  la  vittoria,  impauriti  si  ritirassero; 
onde  fece  trattener  Raimondo,  e  pascer  di  speran- 
ze con  finti  trattati  di  dedizione  di  castella  •  Giunse 
finalmente  a  Lucca  Azzo  Visconti  con  non  pio 
di  800  cavalieri  tedeschi ,  uniti  a  aoo  di  Passerino 
Signore  di  Mantova,  e  Modena.  I  Fiorentini  ai  era- 
no ritirati  ad  Altopascio  •  Il  Visconti  più  avido  di 
oro,  che  di  gloria,  non  pareva  volersi  avanzare,  se 
non  gli  erano  pagati  i  denari  promessigli  •  Vi  acoofie 
prontamente  Gastruccio,  e  lo  contentò  di  denari,  e 
di  promesse.  Non  trascurando  alcun  mezzo ^  e  sa- 
pendo  quanto  un  giovine  è  sensibile  alle  premure 
del  bel  sesso,  lo  fece  circondare  dalle  preghiere  ddle 
più  belle  donne  di  Lucca:  infiammollo  alla  pogm 
col  mostrargli,  che  si  combattevano  i  comuni  ne- 
mici, che  quel  Raimondo  che  comandava  ai  Fio- 
rentini era  stato  vinto  più  volte  da  suo  padre^  esao 
zio(ia),  e  non  ha  molto  fuggito  dalla  prigione, che 
il  nome  dei  Visconti  era  ad  esso  fatale^  e  che  gli 
restava  ad  esser  vinto  da  lui.  Ritornò  Gastruccio 


(1^)  Nel  1 3 19  >  era  stato  rotto  da  Galeazzo  Visconte  figlio  di 
Maffeo; nel  i3aa  da  Marco  Visconti  presso  Basignara:  neu  asaa 
seguente  fu  fatto  prigione  in  Modezia  ossia  Monza  da  Galeas» 
Visconte  •  Lstor.  di  Parma ,  Rer.  itaL  tom.  la. 


CAPITOLO  NONO  aoS 

all'esercito;  e  nel  tempo  che  si  aspettava  il  rinforzo  . 
di  Azzo,  cominciò  un  falso  attacco  per  trattenere  i  di  e. 
Fiorentini ,  fatto  con  tal  arte  cheparea  volesse  sebi-  »325 
vare  la  battaglia.  Erano  sempre  i  Fiorentini  assai 
superiori  di  numero  ai  Lucchesi^  ad  onta  dell'aiuto 
del  Visconti  (  1 3)  •  Giunto  finalmente  Azzo  si  attaccò 
da  ambi  i  lati  con  ardore  la  pugna  •  Avevano  i  Fio- 
rentini secondo  il  costume  loro  fatte  tre  schiere:  la 
prima ^  composta  de'feditori  fiorentini^  e  francesi^ 
che  non  comprendeva  più  di  i&o  a  cavallo,  non  solo 
sostenne  l'impeto  della  prima  schiera  nemica,  ma 
trapassò  per  mezzo  di  essa:  questa  però  non  era 
che  una  lieve  scorreria,  il  nerbo  dei  nemici  trova- 
vasi  dopo  i  feditori .  Azzo  coi  suoi  presto  ruppe  la. 
schiera  seconda  guidata  da  Bornio,  Maliscalco  di 
Raimondo ,  che  dopo  pochi  colpi  si  mise  vergogno- 
samente in  fuga;  cosi  la  cavalleria  dell'esercito  fio- 
rentino fu  presto  rotta.  La  fanteria  si  battè  con 
maggior  coraggio,  ma  ebbe  la  stessa  sorte*  Castr uc- 
cio, quando  previde  T esito  della  battaglia,  fece  da 
una  truppa  occupare  il  ponte  a  Cappiano  per  to- 
gliere la  più  tacile  ritirata  al  nemico.  Fu  grande  la 
strage,  e  la  ruina,  non  si  accerta  il  numero  dei 
morti,  ma  di  essi,  e  dei  prigionieri  fu  grandis- 
simo. Fra  questi  si  contò  il  Capitano  Raimondo  di 
Cardona  con  suo  figlio,  e  molti  altri  illustri  fore-, 
stieri,  e  cittadini  di  Firenze:  fu  preso  il  Carroccio, 
la  campana,  tutti  i  carriaggi,  tende,  e  bandiere,  e 
può  questa  rotta,  che  avvenne  ai  a3  di  settembre, 
annoverarsi  tra  le  memorabili  sconfitte  della  fio- 

(i  3)  l^ell'Ist.  PIslol.  si  dice  che  Caslruccio  fu  gettato  da  ca- 
vallo da  Urlimbracca  condottiero  tedesco,  il  quale  poco  appresso 
fu  preso  5  ma  pare  ciò  avvenisse  nella  scaramuccia  descritta . 


2o6  LIBRO  TERZO 

r  reo  lina  Repubblica,  come  si  scorge  dalle  cons^nen* 
die.  ze  che  si  trasse  dietro  (i4)«  C^struccio  seosa  Iro- 
i3!i5  var  più  resistenza,  lasciando  assediato  Altopascio^ 
marciò  fino  a  Signa,  castello  molto  forte,  che  oc- 
cupò senza  resistenza  ;  si  avanzò  indi  sul  contado 
fiorentino  ponendo  a  sacco  la  campagna,  e  depre- 
dando, e  ardendo  le  ville,  che  sempre  numerooe 
sono  state  intomo  a  Firenze,  e  minando  le  campa- 
gne (r5).  Giunto  a  Peretola  fece  il  di  4  ottobre  per 
scherno  deTiorentini  correr  verso  Peretola  de'palj 
dalle  mosse  medesime  donde  cominciavano  i  plj 
di  Firenze  ;  e  i  Fioretitini  impauriti  si  tenoero  sem- 
pre serrati  tra  le  mbra  ad  onta  de'  tanti  armati 
che  avevano  in  città  ^  e  furono  in  continuo  travaglio 
noUe  e  giorno  •  Ne  qui  si  arrestò  il  furore  dei  vin- 
citori, ma  si  stese  per  la  maggior  parte  del  contado 
fiorentino.  Pochi  giorni  dopo  si  arrese  Altopasdo 
con   tutta    la   guarnigione   prigioniera    di   guerra, 
cb^era  di  5oo  soldati,  indi  Carmignauo ,  il  castello 
di  Artimino,  e  in  seguito  la  maggior  parte  delle  terre 
dei  Fiorentini  gli  aprirono  le  porte.Se  in  questo  tem- 
po il  Vescovo  Guido  di  Arezzo  alle^  di  Castrai* 
ciò,  e  potente  in  armi,  fosse  venuto  colle  sue  forze 

(i  4)  Gio.  Yill.  Kb.  9.  cap.  3o5.  Istor.  PìstoL  Amm.  Tegri.  Tha 
diCastr. 

(iS)  F'ill»  Uh,  9;  ca/i.  3 1 6.  Castruccio  pose  il  campo  a  S.  Moro 
ardendo ,  e  rubando  campi ,  e  borghi ,  e  Quaraccbi ,  e  tntte  le  ?ile 
d' intorno ,  e  la  sua  gente  scorrendo,  fino  alle  ttara  dì  Fireme»  ti 
dimorò  per  tre  di,  facendo  guastare  per  fuoco  e  ruberia  dal  fiome 
Arno  innno  alle  inoutagne ,  e  iofìno  a  pie  di  Carreggi  in  sa  Rime- 
di, ch'era  il  pih  bel  paese  di  Villate^  il  meglio  accasato,  e  «ggìar* 
dinato,  e  più  nobilmente  per  diletto  dei  cittadini  che  altrettanta 
terra  che  fosse  al  mondo .  A  dì  4  di  ottobre  fece  a  dispetto  dei 
Fiorentini  correre  tre  pai)  dalle  nostre  mosse  intino  a  Peretola 
r  uno  a  cavalli ,  V  altro  a  fanti  a  piede,  T  altro  a  fé  mine  meretrìci; 
e  non  fu  uomo  ardito  di  uscire  ai  Firenze . 


CAPITOLO  NONO  107 

sopra  Firenze,  come  ne  fu  dallo  stesso  vivamente 
sollecitato,  si  trovavano  i  Fiorentini  a  mal  partito;  ^-"^^ 
ma  il   Vescovo  o  per  non  irritar  davvantaggio  il  i3'j5 
Papa,  che  però  lo  avea  già  interdetto,  o  mosso  dalie 
preghiere  della  madre  eh'  era  fiorentina  della  casa 
Frescobaldi:  o  facendogli  ombra  la  crescente  gran- 
dezza di  Castruccio,  noir  si  mosse,  e  così  salvosst 
Firenze,  i  di  cui  cittadini  credendosi  mal  sicuri  si 
posero  con  ogni  diligenza  a  fortificar  le  mura  .  Per 
maggior  insulto  alla  repubblica  fiorentina  fece  Ga- 
struccio  batter  monete  a  Signa  coir  impronta  del- 
l'Imperatore Ottoneicbe  furono  chiamate  Castane- 
cini.   Dopo  tanti  danni^  e  tanti  insulti  fatti  al  ne- 
mico tornò  Castruccio  a  Lucca,  e  vi  entrò  il  10  di 
novembre  in  pompa  trionfale.  Volle  imitare  ì  riti 
degli  antichi  Romani;  la  mattina  di  S.  Martino, 
giorno  racro  a'  Lucchesi,  si  mosse  la  lunga  proces- 
sione  da  Altopascio.  Lo  precedevano  i  prigionieri 
coi  trofei  presi  al  nemico,  il  Carroccio  colle  fioren- 
tine insegne,  gli  stendardi  della  repubblica,  quelli 
del  Re  Roberto  rovesciati,  0  strascinati  per  terra, 
i  Fiorentini  cattivi  passavano  col  capo,  é  piedi  nu- 
di^ e  legati ,  quei  d'altre  nazioni  erano  disarmati, 
e  sciolti.  Fra  i  prigionieri  di  conto,  quei  che  più 
ferivano  gli  occhi  erano  Urlimbracca  tedesco.  Con- 
dottiero di  molto  nome ,  ragguardevole  per  la  sua 
(a aia  ,  alta  statura ,  ed  aria  feroce  .    Pietro  Narsi 
francese  ,  e  Raimondo  di  Cardona  spagnuolo  col 
figlio  accompagnati  da  una  squadra  di  Bavari,  e 
cavalieri  spagnuoli  prigionieri .  Il  Generale  fioren- 
tino marciava  vestito  di  nero  con  faccia  dimessa. 
LI  suo  figlio  vestito  di  tela  di  argento  sopra  un  pic- 
:olo  cavallo.  1  soldati  di  Castruccio  coronati  duellerà, 


ao8  LIBRO  TERZO 

^    :  risplendenti  di  oro .  e  di  argento.  Era  tratta  mn- 

Anni        "^  ,  .  11.  1         . 

die.  n^^  la  vana  preda,  e  le  spoglie  prese  al  nemico. 

i325  Appariva  finalmente  Castruccio  in  un  cocchio  apo^ 
to  air  usanza  romana  ^  tirato  da  quattro  cavalli 
bianchi,  vestito  di  porpora  di  oro  fregiata,  e  coro- 
nato di  alloro.  Stava  fra  due  statue, la  Giiistitia,e 
la  Pace ,  e  colla  Copia  sotto  i  piedi .  La  ciui  en 
tutta  ornata  di  tappeti ,  e  le  strade  sparse  di  frondi. 
Gli  archi  trionfali  erano  frequenti ,  come  altresì 
varj  altri  spettacoli  per  render  la  pompa  più  bella. 
Qua  si  vedeva  un  magnifico  castello,  che  nel  pas- 
sar del  Trionfo  era  combattuto  da  giovinetti  vestiti 
di  bianco,  e  difeso  da  altri  vestiti  d'aazurro: lino 
torneamento,  altrove  una  caccia,  e  si  salutavano i 
vincitori  in  molti  luoghi  dalla  musica.  Il  concorso 
dei  spettatori  delle  vicine  campagne  fu  immen- 
so, avendo  Castruccio  proclamato  salvocondotto  ia 
quei  giorni  anche  ai  nemici  che  volessero  godere 
dello  spettacolo.  Fu  incontrato  alla  porta  dalCI^ 
ro,  dalla  Nobiltà,  e  dal  resto  del  popolo,  vestiti  io 
gala,  fra  i  continuati  applausi.  Firenze  intanto, 

i3a5  com'era  usata  nei  rovesci ,  diffidando  quasi  di  se 
stessa,  ricorse  al  Re  di  Napoli,  diede  la  signoria 
al  Duca  di  Calabria  con  alcune  condizioni,  la  princi- 
pale delle  quali  èra  di  non  alterare  il  governo (ifi) 
Corse  in  questo  tempo  Castruccio  un  grave  peri- 
colo. Si  trovavano  fralle  sue  truppe  alcune  com- 
pagnie francesi:  era  nella  battaglia  d 'A Itopascio re- 
stato prigioniero  Pietro  Narsi  cavaliere  della  Cootea 
di  Bari  in  Lorena.  Nel  tempo  della  sua  prìgiooia 
probabilmente  cominciò  un  segreto  trattato  coi  ca- 

(16)  Istoria  manoscritta  lacchese , 


CAPITOLO    NONO  aog 

pi,  o  ufBzìali  delle  truppe  francesi  (al  servizio  di 
Castruccio;  trattato,  che  quando  fu  poi  riscattato,  ed  ^\q^ 
eletto  Capitano  dai  Fiorentni,  coi  denari  loro  potè  i^^^ 
più  vigorosamente  proseguire .  11  disegno  mirava 
alla  vita  di  Castruccio,  a  cui  pareva  attaccata  la 
fortuna  di  Lucca.  Ma  era  difBcile  che  un  simil  ma- 
neggio potesse  fuggire  alla  vigilanza  di  queir  uo- 
mo avveduto:  lo  scoperse,  fece  arrestare  nove  com- 
plici^ e  quantunque  in  quei  tempi  di  licenziosa  di- 
sciplina militare  non  si  ardisse  por  le  mani  nel 
sangue  delle  truppe  forestiere ,  gli  fece  davanti  a 
tutto  r esercito  coraggiosamente  decapitare  (17). 
Nel  tempo  che  si  aspettavano  gli  aiuti  di  Napoli 
seguitò  Castruccio  ad  infestare  le  terre  dei  Fioren- 
tini, scorrendo  nei  paesi  restati  fin' allora  intatti . 
Vedendo  che  all'arrivo  del  Duca  di  Calabria  non 
avrebbe  potuto  mantenersi  in  Signa,  ne  disfece  le 
fortificazioni,  e  ruinò  il  ponte.  Indi  cercando  ogni 
mezzo  di  nuocere  al  nemico,  aveva  immaginato 
d'impedire  il  corso  di  Arno,  alzando  un  muraglio- 
ne  alla  Gonfolina,  e  facendo  una  tura,  onde  regur- 
gitando  Tacqua  restasse  allagata  Firenze.  Ma  tanto 
poco  si  conosceva  Tarte  di  livellare  in  quel  tempo, 
che  gli  idraulici  da  lui  consultati  gli  mostrarono 
r  impossibilità  dell'esecuzione  (18),  dicendogli  che 
il  pendio  di  Arno  fino  alla  Gonfolina,  che  non  è 
maggiore  di  braccia  3i ,  giungeva  a  i5o,  onde  evitò 
la  città  questo  nuovo  pericolo.  Frattanto  il  Generale 
dei  Fiorentini ,  non  sbigottito  che  la  trama  ordita 
contro  Castruccio  fosse  riuscita  vana,  tentò  nuova- 
mente l'animo  di  alcuni  capitani  borgognoni  per  ot- 

(i7)Gio.Vlll.lib.9.c.  333. 
(i8)Gio.  Vili,  lib.9.  e.  335. 

7  unto  il.  14 


910  LIBRO  TERZO 

=  tenereCarmignano.  Questi  «paventati  daireMCiitiooe 


^°^^  fatta  da  Castruccio  gli  scopersero  segretamente  il  trat- 
i3a6  tato,  e  dato  ordine  a  ciò  che  avesse  a  farsì^  venendo 
Piero  con  quella  vana  speranza  con  non  più  di  aoo 
cavalli,  e  5oo  &nti,  gente  però  tutta  scelta^  si  trovò 
inviluppato  negli  aguati  tesigli  da  Castruccio;  e  do- 
po aver  valorosamente  combattuto,  con  molta  del- 
la sua  gente  restò  prigioniero.  Castruccio  fra  le 
molte  accuse  disse^  che  Piero  avea  mancato  alla 
parola  datagli  quando  fu  liberato ,  di  non  militar 
contro  dì  lui,  onde  gli  fece  tagliar  la  testa  snlla 
piazza  di  Pistoja  (19).  Giunse  intanto  in  Firenze 
prima  il  Vicario  del  Duca  di  Calabria^  cioè  Goal- 
tieri  Duca  di  Atene ,  indi  il  Legato  del  Papa.  O  che 
Castruccio  temesse  le  forze  di  questa  Lega  ^  o  come 
è  più  verisimile,  essendo  egli  malato^  né  potendo 
porsi  alla  testa  delle  truppe,  volesse  acquistar  tem- 
po, scrisse  al  Legato  una  lettera  piena  di  modera- 
zione ^  in  cui  si  mostrava  pronto  a  far  la  pace  coi 
Fiorentini  •  Questo  leggiero  principio  di  trattato 
svanì  ben  presto,  o  perchè  Castruccio  non  fosse  di 
buona  fede,  o  perchè  vi  si  opponessero  i  Fiorentini^ 
che  aspettavano  il  Duca  di  Calabria,  dalle  di  coi 
forze ,  e  potere  aveano  soverchiamente  gonfiatele 
speranze.  Giunse  finalmente  il  Duca  con  moltissi- 
mi dei  principali  Signori  napoletani,  ricevuti  splen- 
didamente in  Siena,  ove  trattennesi  soverchiamen* 
te ^  e  ne  chiese  la  signoria,  come  di  Firenze  •  I  Sa- 
nesi  gelosi  della  loro  libertà  tumultuarono^  furono 
asserragliate  le  strade,  ed  erano  prossimi  ad  attac- 
car le  truppe  del  Duca.  Adunato  però  il  Consiglio  ^ 

(19)  Vili.  lib.  9.  cap.  346.  Istor.  Pislol. 


CAPITOLO  NONO  aii 

fu  per  decenza ,  ed  onore  del  Duca  concluso  che  per' 
cinque  anni  gli  fosse  data  la  signoria,  ma  che  il^^e! 
òuo  potere  si  riducesse  a  eleggere  Potestà  di  Siena  1 326 
uno  dei  tre  che  gli  fossero  proposti  dal  popolo,  il 
quale  non  Potestà,  ma  Vicario  del  Duca  si  appel- 
lasse, giurando  di  osservar  le  leggi ,  e  gli  statuti  di 
Siena  (^o).  Passò  indi  a  Firenze:  ma  mentre  egli 
perde  un  tempo  prezioso  in  Siena ,  e  in  Firenze 
nelle  vane  cerimonie,  e  pompose  accoglienze  dei 
Fiorentini,  mancò  il  momento  favorevole  (21)  di 
opprimere  Gastruccìo ,  il  quale  ristabilito  in  salute 
non  ascoltò  più  parola  di  accordo.  Si  fecero  grandi 
provvedimenti  in  armi,  e  in  denari.  Domandò  il 
Duca  accrescimento  di  autorità,  e  l'ottenne  dentro 
però  a  certi  limiti.  I  Grandi  della  città  dolendosi 
sempre,  che  il  governo  fosse  tra  le  mani  del  popo- 
lo^ si  unirono  insieme  per  dare  al  Duca  l'assoluta 
signoria  di  Firenze,  parendo  loro  di  guadagnare  in 
siffatta  mutazione.  Non  osò  il  Duca  però  d'impe- 
gnarsi in  si  difficile  passo ,  conoscendo  troppo  nel 
popolo  l'amore  della  libertà:  s'incominciò  la  guer- 
ra contro  Gastruccio  coU'armi  ecclesiastiche:  egli  e 
il  suo  alleato  Vescovo  di  Arezzo  furono  pubblica- 
mente scomunicati  dal  Legato  sulla  piazza  di  San- 
ta Croce,  con  tutte  le  solenni  formalità  (22);  ma 
Gastruccio  non  temeva  che  le  armi  temporali.  Ben- 
ché tanto  inferiore  di  forze  al  Duca,  e  ai  Fiorenti- 
ni ,  benché  assalito  da  Malaspina ,  cogli  ajuti  del 
Legato,  e  del  Signor  della  Scala  da  una  parte,  e 


(ao)  Cronica  Sanese .  Rer.  Ital.  tom.  1 5.  MalevoL  1 56.  Sane, 
pag.  a.  lib.  5. 

(21)  Vili.  lib.  10.  cap.  i. 
(aa)yiil.  lib.  10.  cap.  3. 


aia  LIBRO  TERZO 


^.  dei  Napoletani  sbarcati  a  Genova  dall'altra^  e  ben- 
di e.  <^bè  inoltre  gli  si  fossero  ribellati  due  castelli  sulla 
i3a6  montagna  di  Pistoja,  verso  la  qual  città  considera- 
bili forze  dei  Fiorentini  si  erano  avanzate,  riparò 
da  ogni  parte:  impedi  ai  Napoletani  T ingresso  in 
Lunigiana,  e  al  Malaspina,  e  ai  Fiorentini  di  scor- 
rere i  castelli  ribellati,  ai  quali  aveva  posto  as* 
sedio;  anzi  con  marcie  spedite,  e  maestre  tagliò  la 
ritirata  ad  un  gran  corpo  di  questi  guidati  dal  Con- 
te di  Squillace,  da  Amerigo  Donati,  e  da  Giannozao 
Cavalcanti  in  modo  che ,  in  pericolo  di  rimaner 
prigionieri,  furono  costretti  a  tornare  a  Firenze  pel 
contado  bolognese  (a3).  Tentarono  il  Duca ,  e  i  Fio- 
rentini di  vincer  coU'arte,  e  coi  segreti  maneggi 
quell'uomo,  che  non  potevano  coir  armi.  Era  in 
Lucca  la  famiglia Quartigiani  numerosissima:  Guer- 
ruccio,  uno  dei  principali,  guadagnato  dal  Duca,  e 
dall'oro  dei  Fiorentini,  indusse  tutta  la  famiglia 
potente  di  amici,  e  dependenti,  a  una  congiura^  di 
cui  questo  era  l'ordine.  Dovea  il  Duca  colle  truppe 
portarsi  verso  Pistoja:  questo  movimento  avrebbe 
tratto  colà  Castruccio.  Allora  ad  un  segno  concer- 
tato le  genti, che  avevano  i  Fiorentini  a  Fucecchio, 
e  in  Val  di  Arno,  avrebbero  rapidamente  cavalcato 
a  Lucca,  ove  sarebbe  stata  aperta  loro  una  porta 
dai  Quartigiani,  i  quali  nello  stesso  tempo  correndo 
per  la  città ,  sollevandola  contro  Castruccio ,  a  vria- 
no  alzate  le  bandiere  del  Papa  e  del  Duca.  Ai  Quar- 
tigiani era  unita  nella  cospirazione  la  famiglia  Avo- 
i327  gadri  non  meno  numerosa.  Niente  è  più  nocivo  al- 
le congiure  della  tardanza  ;  gli  animi  dei  congiura- 

(23)  VilL  lib.  IO.  cap.  6. 


CAPITOLO  NONO  iiS 

ti  8on  sempre  in  una  pericolosa  sospensione.  Aven- 
do troppo  tardato  il  Duca  a  muoversi^  uno  della  di  e. 
famiglia  impaurito  rivelò  a  Gastruccio  l'ordine  della  ^^^7 
cospirazione.  Furono  subito  arrestati  i  Quartigiani, 
trovate  le  insegne  nemiche  preparate  ^  e  fatta  una 
sanguinosa  esecuzione  dei  principali  complici  della 
famiglia  Quartigiani .  Messer  Guerruccio  con  tre 
8Q0Ì  figli  furono  impiccati,  agli  altri  con  crudele 
operazione  fu  tolto  il  modo  di  propagar  la  famiglia. 
Degli  Avogadri  da  prima  condotti  per  Lucca  sul- 
l'asino, cavalcando  a  ritroso,  furono  poi  impiccati, 
e  bandito  il  resto  (24)  dei  complici. 

Durava  V  Italia  ad  esser  divisa  nelle  due  fazioni 
Guelfa,  e  Ghibellina.  Si  riguardava  la  prima  come 
superiore,  giacché  seco  si  trovavano  il  Papa,  che 
oltre  la  temporale  era  padrone  dell'arme  spiritua- 
le, in  quei  tempi  potentissima;  Roberto  Re  di  Na- 
poli, Signore  della  Provenza,  e  dai  di  cui  cenni 
dipendeva  Genova;  la  Repubblica  fiorentina  ricchis- 
sima, e  capace  di  sostenere  il  peso  di  lunghe  guer- 
re, oltre  molte  altre  più  piccole  città,  e  Signori  alla 
medesima  Lega  aderenti.  In  Toscana  il  potere  sa- 
rebbe stato  assai  preponderante  dalla  parte  Guelfa 
se  un  uomo  solo,  cioè  Gastruccio  col  valore,  e  col- 
ringegno  non  avesse  non  solo  arrestato,  ma  fatto 
traboccare  la  bilancia  dall'  altro  lato.  In  Lombar- 
dia preponderava  il  partito  Ghibellino;  ma  i  mem- 
bri di  esso  eran  troppi  per  isperarne  V  unione.  Ve- 
dendo essi  crescere  la  potenza  della  fazione  contra- 
ria per  r influenza  del  Legato  del  Papa,  Cardinale 
del  Poggetto ,  che  impadronitosi  di  Bologna ,  di 

(ti4)  Gio.  Vili.  lib.  10.  cap.  25.  Tegr.  Vita  Gastruc. 


ai4  LIBRO   TERZO 

Parma ,  del  Modenese  minacciava  i  Gbibellioi  di 
^°U*  Lombardia,  pensarono  di  opporre  la  secolare  po- 
,3a7  tenza  all' ecclesiastica,  ch^  erano  state  sempre  riva* 
li .  Vacava  da  gran  tempo,  cioè  fin  dalla  morte  di 
Arrigo  Settimo,  il  trono  imperiale.  Ne  offersero  la 
Corona  a  Lodovico  Duca  di  Baviera ,  invitandolo  a 
riceverla  in  Italia ,  in  Milano ,  e  in  Roma.  Si  mos- 
se il  Duca ,  e  in  Trento  fu  incontrato  dai  principali 
Signori  di  I^ombardia  come  i  Visconti  di  Milano, 
Cane  della  Scala  Signore  di  Verona.,  Passerino  Bo« 
nacossi  di  Mantova  ,  uno  dèi  Marchesi  di  Este  Si- 
gnori di  Ferrara ,  Guido  Tarlati  Vescovo  di  Arezzo, 
deposto  dal  Papa.  Castruccio,  non  credendo  oppor- 
tuno il  muoversi,  vi  mandò  Ambasciatori  come  fe- 
cero i  Pisani,  i  fuorusciti  di  Genova,  e  Federigo  di 
Sicilia.  Da  Trento  passò  il  Bavaro  a  Milano  ove  dal 
Vescovo  di  Arezzo,  da  quello  di  Brescia,  e  di 
Trento  fu  coronato  colla  solita  corona  di  ferro  (^S). 
Il  governo  di' Milano  tolto  ai  Visconti,  il  loro  arre- 
sto, r  estorsioni  enormi  di  danaro  fatte  ai  Milanesi 
mostrano  il  di  lui  carattere  avido,  crudele,  ed  in- 
giusto, che  confermò  anche  in  altre  parti  d'Italia . 
Il  Duca  di  Calabria  intanto,  riescitog li  vano  il  col- 
po d'insignorirsi  di  Lucca,  volle  per  non  perdere 
affatto  il  credito,  tentar  qualche  nuova  impresa. 
Adunato  perciò  T  esercito,  ne  diede  il  comando  ,  e 
l'istruzioni  al  Conte  Beltramo,  il  quale  arrestatosi 
a  Signa  finse  di  minacciar  Carmignano,  ma  si  vol- 
se, quando  men  se  l'aspettava  Castruccio,  sopra  a 
Santa  Maria  a  Monte.  Non  avea  Castruccio  assai 
genti  da  misurarsi  in  campagna  con  questo  esarci- 

(a 5)  Vili.  lib.  10.  cap.  17. 19. 


CAPITOLO  NONO  *i5 

to:  quel  piccolo  luogo  però,  assai  fortificato^  difeso ^^^^^; 
da  scarsa  guarnigione^  e  da  ir  ostinazione  dei  ter-  ^^q^ 
razzani  fedelissimi  a  Castruccio ,  avendo  ricusato  ^^^7 
di  rendersi  ,   resistè  con    maraviglioso  ardire  per 
molto  tempp  a  tante  genti ,  sostenne  varj  replicati 
assalti  y  e  finalmente  non  si  rese  che  a  buoni  pat* 
ti  (s6).  Castruccio  postato  a  Vivinaia,  non  volle , 
tanto  inferiore  di  truppa,  azzardare  per  un  castello 
la  somma  delle  cose,  avendo  la   sicura  speranza 
della  superiorità  colla  prossima  venuta  del  Bavaro. 
Era  già  questo  arrivato  a  Pontremoli;  andò  ivi  a 
trovarlo  Castruccio, e  onorandolo,  e  colmandolo  di 
doni ,  lo  dispose  a  secondare  i  suoi  disegni .  Giunto 
tra  Lucca  e  Pisa,  ricusarono  i  Pisani  di  riceverlo, 
benché  promettessero  pagargli  60  mila  fiorini  d'oro. 
£ssi  amici  sempre  del  partito  imperiale,  non  gli 
niegavauo  l'ingresso  che  per  la  compagnia  di  Ca- 
struccio, di  cui  temevano  troppo  i  Regolatori  del 
governo.  Non  acconsenti  il  Bavaro  consigliato  da 
Castruccio:  gli  Ambasciatori  pisani  nel  loro  ritorno 
furono  arrestati,  e  prima  che  potessero  i  Pisani  sa* 
per  Tesito  del  trattato,  si  trovarono  circondati  dal- 
le truppe  del  Bavaro  da  una  parte,  e  da  quelle  di 
Castruccio  dall'altra.  Quello  si  portò  nel  borgo  di 
San  Marco  sulla  strada  di  Firenze,  questo  sulla 
strada  di  Lucca  ;  e  furono  fatti  due  ponti  sull'Arno 
uno  sopra  Taltro  sotto  la  città,  per  £icile  comuni* 
cazione  dei  due  campi.  Fu  occupato  nello  stesso 
tempo  Porto  pisano,  e  la  maggior  parte  dei  castelli 
di  questa  Repubblica.  Il  Vescovo  di  Arezzo,  ch'era 
stato  il  mediatore  del  trattato ,  che  avea  nutrite 

(36)  Vili.  lib.  IO.  cap.  19. 


2i6  LIBRO  TERZO 

^^  speranze  altra  volta  di  farsi  Signore  di  Pisa^  e  che 
di  e.  vedeva  con  questa  operazione  cader  quella  città  io 
>^^7  mano  del  Bavaro^  e  probabilmente  di  Castracelo, 
di  cui  era  segreto  rivale,  reclamò  altamente  la  fede 
pubblica,  il  diritto  delle  genti  violato  negli  Ambi- 
sciatori.  Fra  lui  e  Castruccio  ebbe  luogo  un'iQd^ 
cento  altercazione  alla  presenza  del  Bavaro  (27),  il 
quale  parendo  che  favorisse  più  Castruccio,  si  parti 
il  Vescovo  assai  sdegnato;  e  quando  poi  seppe  che 
Pisa  aveva  aperto  loro  le  porte,  non  sdegnando  ri- 
cever dentro  neppur  Castruccio,  accuorato  sene 
mori.  Prima  però  di  riceverlo,  sostennero  i  Pisani 
un  assedio  più  di  un  mese,  e  furono  di  denari  spe- 
cialmente  ajutati  dai  Fiorentini.  Avrebbero  anche 
potuto  mantenersi  più  lungamente,  e  forse  tanto 
da  stancare  il  Bavaro,  che  anelava  di  portarsi  a  Ro- 
ma ,  se  quei  che  reggevano  Pisa  fossero  stati  di  ac* 
cordo  :  ma  lo  scaltro  Castruccio  ebbe  i  mezzi  di  s^ 
minarvi  la  discordia  .  Le  voci  del  giovine  Conte 
Fazio,  e  di  Band  uccio  Buonconti  guadagnati  da  Ca- 
struccio che  prometteva  la  pace,  furono  ascoltate 
dal  popolo,  che  sempre  soffre  negli  assedj.  È  vero 
che  fu  convenuto  che  Castruccio  non  entrerebbe  io 
Pisa,  ma  era  facile  vedere,  che  quest' articolo  non 
sarebbe,  come  non  fu,  osservato.  Ebbero  motivo  di 
pentirsi  del T accordo  i  Pisani,  giacché  oltre  i  ses- 
santa mila  fiorini  che  di  buon  grado  avean  conv^ 
nuto  di  pagare,  furono  aggravati  di  un'altra  pia 

(q^)  Istor.  PistoL  Vili.  llb.  10.  cap.  34*  35.  36.  Rlraprorertt* 
dolo  il  Vescovo  d' iogratitndiue  ìq  faccia  al  Bavaro ,  rispose  m  te- 
desco ,  che  le  bestie  operavano  a  forza  di  sproni,  e  di  frusta;  e 
soggiuogeodo  il  Vescovo  che  si  spiegasse  meglio ,  replicò  Castnic- 
ciò ,  che  non  era  il  maestro  dei  ragazzi.  Il  Bavaro  cominciò  forte 
a  ridere ,  e  il  Vescovo  si  parli  adirato.  Tegr,  viL  Cos. 


CAPITOLO  NONO  217 

pesante  contribuzione  di  100  mila.  Già  fino  da  due 
aooi  era  stata  Pisa  (dopo  una  battaglia  di  mare  dì  e. 
perdata)  obbligata  a  ceder  la  Sardegna  al  Re  di  ^^^7 
Aragona^  onde  queste  gravezze^  dopo  tanta  dimi- 
nuzione delle  rendite^  e  commercio^  dettero  alla 
sua  potenza  un  nuovo  tracollo.  L'occupazione  di 
quella  città  sbigottì  molto  i  Fiorentini  ;  i  quali  te- 
mevano che  la  tempesta  andasse  a  scaricarsi  sopra 
di  loro .  Per  quanto  però  fosse  istigato  il  Bavaro  da 
Gastruccio^  per  quanto  grande  fosse  l'ascendente    . 
che  avea  sul  suo  spirito ,  l'ambizione  di  esser  coro- 
nato in  Roma  lo  fece  affreltarsi  colà.  Prima  di  par- 
tire^ andò  a  Lucca,  onoralo  con  gran  magnificenza 
da  Gastruccio,  che  fu  da  lui  creato  Duca  di  Lucca  ^ 
di  Piste ja,  di  Volterra^  di  Prato,  di  San  Gemigna- 
no,  di  G^lle,  e  gli  furono  donate  molte  castella ,  che 
appartenevano  alla  pisana  Repubblica  (^28).  Era  il 
Bavaro  incantato  della  prudenza,  dell'accortezza  , 
e  del  valore  di  quest'uomo,  onde  volle  seco  con- 
durlo a   Roma,  per  valersi  appunto  dei  suoi  consi- 
gli:  e  benché  non  di  buon  grado  si  scostasse  Ca- 
struccio  dalle  sue  terre  per  timore  di  tradimenti, 
vi  si  lasciò  tuttavia  indurre.  Si  credeva  che  il  Ba- 
varo dopo  la  coronazione  sarebbe  entrato  ostilmen- 
te nel  regno  di  Napoli  ;  vi  si  aggiungeva  il  timore 
di  Federigo  Re  di  Sicilia,  con  cui  era  collegato  il 
Savaro,  e  lo  epavento  si  aumentava  dalla  presenza 
di  Gastruccio ,  onde  il  Duca  di  Calabria  stimò  op- 
portuno di  ritornare  a  suo  padre  per  vegliar  seco 
alla  difesa  del  regno ,  lasciando  a  Firenze  suo  Vica-  i3a8 
rio  Filippo  da  Sanguineto  (39).  Quasi  nello  stesso 

(a8)  Tcgr.  Vita  Castruc. 
(<29)yii[.  iib.  iO.  e.  5o. 


ai8  LIBRO  TERZO 

'.  tempo,  ma  per  diverse  strade  si  partirono  il  Duca 


d  °o!  ^i  Calabria  per  Napoli  ^  Gastruccio  per  Roma ,  OTe 
i3aS  nella  lontananza  del  Papa  regnavano  le  stesse  di- 
zioni che  nel  resto  d'Italia.  Si  era  arrestato  a  Vìle^ 
bo  il  Bavaro^  mentre  si  deliberava  in  Roma  se  si 
doveva  ricevere.  Non  vi  stette  ozioso,  perchè  essen- 
dogli noto  che  il  Signore  di  Viterbo ,  che  lo  avea 
graziosamente  accolto^  possedeva  gran  riccbene,e 
che  Tavea  nascose,  lo  fece  prendere,  e  coi  tormeo* 
ti  palesarle  :  e  spogliato  degli  averi ,  e  della  signo- 
ria, fu  condotto  poi  prigione  a  Roma  sotto  falsi  pre- 
testi .  Questi  fatti  possono  servire  a  consolare  i  lei- 
tori  delle  ingiustizie  dei  loro  tempi ,  osservando  cbe 
nulla  è  nuovo.  Giunse  a  Viterbo  Gastruccio,  e  coi 
suoi  maneggi ,  colla  sua  sagacità ,  ed  eloquenza  di- 
s])ose  i  Romani  a  ricevere  il  nuovo  Imperatore  (3o). 
Alla  venuta  del  Duca  di  Baviera,  la  parte  che  &vo* 
riva  il  Re  Roberto  fu  cacciata  dai  Golonnesi,  e  da- 
gli altri  Ghibellini.  Fu  il  Duca  coronato  Imperato- 
re anche  in  Roma,  dovendo  la  buona  aca^lienn; 
e  il  pacifico  ingresso  in  gran  parte  all'Eroe  lacch^ 
se,  che  fu  da  lui  creato  suo  Vicario  e  Senatore  di 
Roma.  In  faccia  del  popolo  romano^  Gastruccio ec- 
clissava  la  grandezza  imperiale  :  preceduto  dalla  El- 
ma delle  sue  gesta ,  lo  splendore  della  soa  corte 
eguagliava,  e  forse  sorpassava  il  lusso  di  quella  del- 
l'Imperatore j  nelle  vesti,  e  nelle  divise,  nei  motti, 
sotto  il  velo  della  rassegnazione  al  cielo ,  si  acor^ 
vano  le  sue  ambiziose  speranze  (3i).  Aveva  il  P'p 

(3o)  Istor.  PìstoL  Se  non  fosse  stato  lo  grande  senno  di  C^ 
straccio  »  il  Bavaro  non  vi  sarebbe  stato  ricevuto» 

(3 1  )  Si  fece  vedere  vestito  di  roba  di  scìamìto  cremisi  w» 
di  coi  parte  anteriore  erano  queste  parole:  egli  e  quel  che  Dìo  vt»" 


CAPITOLO    NONO  S19 

eliminate  le  censure  contro  il  Bavaro^  e  i  suoi  se-'  . 
;uaci.  Volle  questi  vendicarsi,  e  deporre  il  Papa  •  die 
iTarie  circostanze  fecero  applaudir  dai  Romani  que-  *^^^ 
tratto.  Essi,  prima  dell' ingresso  in  Italia  del  Ba- 
^aroy  scontenti  della  lontananza  del  Papa,  lo  avea- 
ìo  con  solenne  ambasciata  invitato  alla  sua  vera 
lede,  ma  inutilmente:  allora  fu  che  invitarono  il 
Savaro.  Si  aggiunse  una  disputa  teologica  ad  ec- 
:itare  contro  Giovanni  XXII  un  potente  partito. 
[  frati  minori  con  più  candore,  che  senno,  avean 
>reso  a  predicare  una  dottrina  assai  pericolosa  al- 
' interesse  dei  chierici,  cioè  la  povertà  Evangeli- 
;a  ;  sostenendo  che  Gesù  Cristo ,  e  gli  Apostoli 
lon  aveano  posseduto  cosa  alcuna  •  Si  opposero  a 
[uesta  dottrina  col  favore  di  tutta  la  Corte  ponti- 
icia  i  Domenicani  asserendo  che  Gesù  Cristo,  e  i 
)iscepoli  aveano  il  possesso,  perchè  avean  Tuso  dei 
»eni  della  terra.  Aggiungevano  che  Giuda  Scariot- 
e  era  il  camarlingo  ,  e  dispensiere  dei  beni  che 
K)S8edevano,  e  con  sottigliezze  scolastiche,  e  oscu- 
e  distinzioni  sull'uso,  e  possesso  facevano  una  guer- 
a  di  parole.  Il  lusso,  e  la  ricchezza  della  Corte  di 
Lvignone,  a  cui  questa  dottrina  era  un  alto  rimpro- 
ero,  l'anatematizzarono  come  una  grande  eresia; 
un  Papa  conosciuto  per  essere  stato  dei  più  avidi 
lei  beni  terreni  prese  bella  vendetta  di  quei  reli- 
;iosi ,  condannandoli  al  pratico  esercizio  della  loro 
[ottrina  cioè  ad  essere  incapaci  di  possedere  (Ss). 

^  :  e  nella  posteriore  :  sarà  quel  che  Dio  vorrà  :  Gio.  Vili.  lib.  io. 
ip.  60,  Macb.  Vita  di  Castr.  Manuzio. 

(3 a)  Si  è  seguito  scrupolosamente  in  questo  racconto  Albert. 
088.  Rer.  Ital.  tom.  X.  Ludov.  Bav.  Gìo.  Vili.  1. 9.  €•  i56.  Balajt. 
ita  Pap,  U  Platina  aggiunge  cbe  alcuni  difensori  di  quella  asser- 
one  furon  bruciati .  Vita  Joann.  XXIL 


aao  LIBRO  TERZO 


-.  Essi  allora  si  dettero  a  screditare  il  Capo  delli 
dì  G.  Chiesa  y  e  prestarono  la  loro  voce  al  Ba^aro,  che 
i3a8  osò  dichiararlo  non  legittimo  Papa ,  e  ne  fece  eleg- 
gere un  altro  cioè  Pietro  di  Gorvara  col  nome  di 
Niccolò  y.  deir Ordine  dei  Minori,  che  fin  allora 
avea  avuto  fama  di  santità ,  ma  tratto  dall'ambizio- 
ne si  lasciò  indurre  al  pericoloso  onore.  Fra  le  al- 
tre leggi  allora  stabilite  dell'Antipapa,  e  Antimpe* 
ratore  vi  fu  quella  (  per  lusingare  il  popolo  roma- 
no )  che  il  Papa  non  potesse  star  più  di  tre  mesi 
lontano  da  Roma,  altrimenti  decadesse  dal  sublime 
posto.  Il  nuovo  Papa  colle  solite  pompose  cerimo- 
nie dette  la  corona  imperiale  al  Bavaro,  e  creò  Car- 
dinali. 

Intanto  una  trama  ordita  in  Firenze  con  dn 
fuorusciti  pistojesi  fece  perdere  a  Gastr uccio  Pistoja: 
questi  concertarono  il  diseguo  con  Filippo  da  Sao- 
guineto,  il  quale  fece  segretamente  in  Prato  prepa- 
rare gli  attrezzi  necessari  per  passare  i  fossi,  e  per 
scalare  le  mura.  Partitosi  di  Firenze  sul  imbrunir 
della  sera  alla  fine  di  gennajo  eoo  scelta  troppaalta 
all'impresa  giunsero  di  notte  improvvisi  a  Pistoja, 
aiutati  dai  loro  fautori;  nella  parte  meno  abitata 
scalarono  le  mura^  e  in  altre  parti  le  ruppero.  Bi- 
Avegliati  i  soldati  di  Castruccio  attaccarono  i  ne- 
mici con  tanto  impeto,  che  giunsero  a  cacciarli 
fuori  delle  mura  ;  ma  ricondotti  all'  assalto  da  Fi- 
lippo, doverono  le  truppe  di  Castruccio  cedere  final- 
mente al  numero:  molti  restarono  prigioni  fra  ' 
quali  un  nipote  di  Castruccio,  figlio  di  Filippo  Te- 
dici, e  un  nipote  di  questo,  ambedue  garzoncelli, 
che  furono  in  trionfo  condotti  a  Firenze:  e  Pistoji 


CAPITOLO   NONO         aai 
fu  miseramente  depredata  (33) .  Alla  nuova  di  que*' 
sta  disgrazia  parti  rapidamente  da  Roma  Castruc-  ^|"^^ 
ciò,  e  lasciando  indietro  5oo  cavalieri ,  e  mille  ba-  i^^^ 
lestrieri,  la  marcia  dei  quali  era  lenta ,  con  soli 
13  uomini  a  cavallo  giunse  presto  nei  suoi  stati,  e 
colla  presenza  atterri  quei  che  macchinavano  nuove 
cose,  e  confermò  i  vacillanti  •  La  prima  operazione 
fu  di  occupare  stabilmente  il  governo  dì  Pisa  pri- 
vando di  ogni  autorità  i  ministri  imperiali.  Colo- 
rava quest^atto  una  vernice  di  scusa:  l'Imperatore 
conducendolo  a  Roma  avea  causato  la  perdita  di  Pi- 
8toja .  L'acquisto  di  Pisa  più  che  abbastanza  V  in- 
dennizzava della  perdita  di  quella  città  (34)^  che 
gli  stava  però  sempre  a  cuore  .Messo  però  air  ordi- 
ne uno  scelto  corpo  di  truppe  marciò  su  di  essa  y  e 
la  cinse  di  assedio.  Era  assai  ben  fornita  di  guarni- 
gione, trovandosi  in  essa  3oo  cavalieri  fiorentini ,  e 
1000  pedoni,  oltre  i  Pistojesi  partitantì  del  fioren* 
tino  governo,  e  pronti  a  difendersi  ;  male  però  prov- 
vista di  vettovaglia  per  avarizia.  Pretendevano  i 
Fiorentini  che  V  approvvisionarla  toccasse  al  Duca 
di  Calabria , ossia  al  suo  Vicario  Filippo,  ed  esso  ai 
Fiorentini:  in  questo  contrasto  sì  trovò  assediata. 
Furono  allora  fatti  i  soliti  provvedimenti ,  e  colle 
truppe  dei  collegati  mosse  Filippo  un  esercito  assai 
superiore  a  quello  di  Castruccio  verso  Pistoja ,  e 
mandò  subito  secondo  V  uso  dei  tempi  a  sfidarlo  a 
battaglia  •  Questi  inferiore  di  truppe  finse  accettar- 
la, temporeggiando  per  fortificare  il  suo  campo,  lo 
che  eseguì  con  tal  maestria,  che  in  tutti  i  tentativi 
fu  Filippo  respinto  con  perdita.  I  Pistojesi  si  dife- 

(33)  Istor.  Pistol.  Vili.  lìb.  io.  e  19. 

(34)  Vili.  lib.  1  o.  cap.  83.  Istor.  PbtoL 


%a%  LIBRO  TERZO 

sero  bravamente  (acendo  spesso  delle  sortite ,  e  po- 
4°^'  nendo  fuoco  alle  cnaccfaine  di  Castruccìo,  ma  egli 
i338  sapeva  che  la  fame  combatteva  per  lai.  L'odio  però 
contro  i  ribelli  pistojesi  lo  trasportò  a  delle  crudel- 
tà  Era  la  Pieve  a  Montecuccoli  guarnita  di  troppe 
pistojesi,  situata  due  miglia  presso  al  campo  di  Ci- 
strucclo,  e  da  quella  si  faceano  spesso  delle  sortile: 
stretta  però  dalla  fame,  fu  obbligata  a  capitolare. 
Non  volle  Castruccio  ricever  gli  assediati  a  patto 
alcuno  convenevole:  si  arresero  dunque  a  discrixio- 
ne.  I  Pistojesi  furono  appiccati  alle  mu^a,ì^or^ 
stieri  malamente  manomessi  ;  ciocché  tirò  aoa  ven- 
detta crudele  contro  i  prigioni,  che  erano  io  Pisto- 
ja^  che  furono  tagliati  a  pezzi,  o  appiccati  (35): 
tanto  è  necessario  osservare  ciò  che  chiamaosi  leg^ 
della  guerra,  cioè  alcuni  scambievoli  riguardile 
quella  generosità  che  conviene  ai  guerrieri ,  cioè  che 
cessata  l'azione  debba  ogni  ostilità  cessare,  e  i  pri- 
gionieri riguardarsi  come  fratelli.  Tentò  Filippo 
colle  diversioni  sul  Lucchese,  e  sul  Pisano  mooiere 
di  là  Castruccio.  Tutto  fu  inutile.  Pisloja  final- 
mente dovè  capitolare,  benché  a  buoni  patti,  e  aprir 
le  porte  a  un  piccolo  esercito  quasi  in  faccia  ad  al- 
tro tanto  superiore,  che  non  Tavea  potuta  aoccor- 
rere. Durò  Tassedio  quasi  tre  mesi  dai  i3  di  ma^ 
gio  ai  3  di  agosto.  Era  Castruccio  divenuto  sempre 
più  grande,  e  più  potente;  e  quantunque  l'occupi- 
zione  di   Pisa  avesse  un  po' alienato  TaniiDo  del- 
l'Imperatore, si  potè  a  prevedere ,  per  TasceDdenle 
che  aveva  sopra  di  lui,  che  non  gli  sarebbe  stato 
difficile  riguadagnarlo  .  In  qualunque  evento  p^ 

(35)  Istor.  PistoL 


CAPITOLO  NONO  «3 
esser  pronto  a  salvarsi^e  noo  ricever  la  legge  dal  Ba- 
varoy  avea  Castruccio  qualche  segreto  filo  di  acco-  ^^q 
modamento  coi  Fiorentini  (36),  i  quali  erano  assai  i3aS 
scoraggiti.  Si  accostava  Tlmperatore  alla  Toscana  da 
una  parte,  dall'altra  stava  Castruccio  ancor  più 
formidabile.  I  Fiorentini  sbigottiti  non  fidandosi 
ai  trattati  di  Castruccio^  aveano  preso  a  fortificar  le 
mura  prevedendo  un  assedio:  né  si  può  negare  che 
grande  non  fosse  il  loro  pericolo,  quando  la  morte 
inaspettata  di  Castruccio  gli  liberò  dal  timore. 
U  assedio  di  Pistoja  fu  probabilmente  la  causa  della 
sua  morte,  e  di  quella  di  molti  soldati,  e  ufSziali: 
sulla  fine  di  luglio  egli  stava  la  maggior  parte  del 
giorno  al  Sole  a  incoraggire  quei  che  lavoravano,  o 
le  difese  del  suo  campo ,  o  le  offese  al  nemico;  né 
sdegnava  di  por  mano  al  lavoro  come  Y  ultimo  dei 
soldati.  Si  ammalò  di  una  febbre, per  cui  in  pochi 
giorni  nel  di  3.  di  settembre  morì  nell'età  di  an- 
ni 47*  Prevedendo  la  morte,  con  la  più  gran  pre- 
senza di  spirito  consigliò  ai  suoi  figli  di  tenerla  ce* 
lata  più  che  potessero,  e  intanto  prendere  le  dispo- 
sizioni che  indicava  loro  (Sy).  Fu  grande,  e  ben 
Tatto  nella  persona,  di  bel  viso,  pallido,  di  biondi 
capelli  ch^  portava  irti,  e  ritti:  ebbe  tanto  senno 
n  quei  tempi  di  credulità  da  disprezzare  lastrolo- 
;ia;  all'eloquenza  naturale  non  mancava  la  grazia, 
;he  la  dignità  del  sembiante  rendeva  più  maestosa  : 
;ol  solo  nome  di  fratelli,e  di  figli  spesso  sedò  i  soldati 
umultuanti,  e  come  si  comanda  meglio  coll'esem* 
MO,  era  il  primo  a  ferire  nelle  battaglie,  e  l'ultimo 
ritirarsi .  A  lui  si  deve  in  parte  il  ristabilimento 

(36)  Gìov.  Vili.  lib.  10.  cap.  87. 

(3^)  Vili.  1. 10.  cap.  87.  Tegr.  ViU  CasU*.  Islor.  Pistol. 


324  LIBRO  TERZO 

"  della  milizia  italiana  :  le  milizie  disciplinate ,  e  pia 
^i  Q  in  credito  erano  le  forestiere:  le  italiane  andavano 
i^^S  disordinatamente  a  combattere:  Gastruccio  le  adde- 
strò, e  le  fece  muovere  all' assalto  ordinatanaente. 
In  tempo  di  pace  fece  esercitare  la  gioventù  nei 
militari  movimenti,  dar  dei  finti  assalti  ai  castelli, 
e  tuttociò  che  sì  pratica  in  vera  guerra ,  distribuendo 
dei  premj  ai  più  destri.  In  battaglia  poi  si  trovava 
presente  nei  luoghi  più  pericolosi ,  animando,  lodan- 
do, e  sgridando  a  tempo  i  soldati.  Bencbè  il  primo 
guerriero  del  suo  secolo,  è  dubbio  se  fosse  maggiore 
nell'armi,  o  nel  consiglio:  bencbè  nutrito^  e  vis- 
suto in  mezzo  alle  rivoluzioni,  non  sparse  quasi 
mai  il  sangue^  se  non  quando  la  necessità  ve  lo  co- 
strinse. Fu  un  di  quegli  uomini  grandi,  che  quan- 
tunque ignaro  delle  lettere,  ne  conosceva  il  pregio, 
e  faceva  conto  degli  scenziati.  Animatore  dell'arti 
utili, e  delle  manifatture,  premiava  generosamente 
chi  ne  introduceva  delle  nuove  :  restano  ancora  i 
monumenti  dei  numerosi  lavori  di  pubblica  utilità, 
ponti ,  strade,  fortezze,  che  a  lui  si  debbono  (38). 
Fu  certamente  un  uomo  straordinario,  e  se  il  teatro 
delle  sue  azioni  fosse  stato  più  vasto,  e  i  mezzi  più 
grandi^  si  sarebbe  distinto  al  paro  dei  più  celebri 
uomini  dell'antichità .  Nella  piccola  sfera  però  in 


(38)  Tesnr.  Vita  Castmc.  Le  fortezze  di  Sarzanello,  la  torre  dì 
Pontremoli,  la  rocca  di  Nozzano,il  castello  di  Ghivizzano  in  Gar^ 
fagnana  con  molti  altri  fortilìzj  furono  da  lui  eretti:  rese  Locca 
per  quei  tempi  inespugnabile ,  e  vi  fabbricò  il  castello  deQ*A^* 
sta  :  tre  ponti  fabbricò  sulla  Lima  :  quello  sulla  Pescia  ha  un*  iscrt* 
zione  cbe  1*  attesta  :  per  mezzo  di  un  ponte  uni  Castel-Doorodelli 
Garfagnana  colla  villa  di  Castiglione:  né  vi  fu  quasi  fiume»  o  rio 
su  cui  non  fabbricasse  dei  ponti  oltre  le  tante  strade  dispendkifis- 
sime»  e  per  luoghi  diflìcili>  come  dà  Montramito  a  Viareggio  a 
traverso  le  paludi . 


CAPITOLO   NONO  aaS 

cui  fu  obbligato  ad  agire  di  privata  persona^  diven-  . 
ne  uno  dei  più  potenti  Principi  d'Italia,  giacché  dì  G. 
alla  sua  morte  possedeva  Lucca,  Pisa,  Pistoja,  la  ^^^^ 
Lunigiana,  gran  parte  della  riviera  di  levante  di 
Genova,  e innumera bili  castelli:  e  se  avesse  vissuto 
di  più  in  quei  tempi  di  rivoluzione,  e  di  divisione 
deir  Italia  in  tante  piccole  Signorie,  si  pud  conget* 
turare  che  qui  non  si  sarebbe  arrestata  la  sua  gran- 
dezza: tenne  la  signoria  di  Lucca  quindici  anni . 
Rimase  erede  degli  stati,  ma  non  dei  talenti  pa- 
terni, Arrigo  suo  figlio    maggiore:  la  potenza   di 
Lucca  terminò  con  Castruccio,  giacché  poco  tempo 
appresso  si  vide  questa  città  posta  a  prezzo,  com- 
prata da  un  privato  cittadino,  e  riprese  dai  Fioren- 
tini le  città,  e  castella  occupate  già  da  Castruccio. 
Ai  suoi  figli,  alla  venuta  dell'Imperatore,  fu  tolta 
la  Signoria  di  Pisa,  e  poi  quella  di  Lucca. 


Tomo  IL  i5 


3a6  ' 

CAPITOLO    X 

SOMMjìRIO 

Nuovfi  mutazione  di  governo  in  Firenze.  Arrivo  del  Bavara  e 
dell* jintipapa a  Pisa ,  Estorce  molte  somme  dai  suoi  amici. 
Ritoma  in  Germania»  Discesa  in  Italia  di  Giovanni  Redi  BoC' 
mia .  I  FiorentirU  ricusano  di  comprar  Lucca.  Si  armano  con- 
tro di  essa .  Ne  prendono  il  dominio  i  Tedeschi .  Piccole  guer- 
re tra  Pisa,  Massa f  e  Siena  .  Inondarne  in  Firenze  •  yi- 
cende  di  Arezzo .  Lucca  sotto  il  dominio  dei  Signori  dellu  Sca- 
la .  /  Fiorentini  ne  tentano  inutilmente  la  compra .  Guerra 
dei  Fiorentini  contro  Mastino  della  Scala,  Dedizione  di 
zo  ai  Fiorentini .  Pace  con  Mastino  * 


"T  ridiente  poteva  accadere  di  più  fortunato  ai  Fio- 
di  a  reatini  quanto  la  morte  di  Castruccìo;  e  benché 
>  ^^9  restassero  in  piedi  le  formidabili  sue  forze  per  una 
parte^e  per  Taltra  l'imperatore  si  fosse  già  mosso 
contro  la  Toscana,  non  ne  fecero  alcun  conto^  man- 
cando Tanima,  che  dava  moto,  ed  energìa  a  laoli 
corpi  divisi.  Poco  sollecita  la  Repubblica  di  questi 
movimenti,  prese  a  riordinare  lo  Stato:  dette  mo- 
tivo a  questa  riforma  la  morte  del  Duca  di  Calabria 
già  Signore  dei  Fiorentini,  per  cui  ritornava  in  ma- 
no loro  libero  il  governo .  Restando  il  sistema  lo 
stesso,  il  più  difficile  a  farsi,  senza  animosità,  e 
aenza  favore  era  la  così  detta  imborsazione ,  ossia 
la  scelta  delle  persone  atte  alle  cariche,  ì  nomi 
delle  quali  a  suo  tempo  dovevano  trarsi  a  sorte.  Fa 
ciò  fatto  con  molta  prudenza ,  e  saviezza  :  giacché 
ai  Magistrati  attuali,  Priori,  G)nsiglieri,  Gonfalo- 
nieri di  compagnie.  Capitani  di  parte  Guelfe,  Cin- 
que della  mercanzia,  e  Consoli  delle  Arti,  fa  ag- 


CAPITOLO   DECIMO       aaj 
giunto  uu  numero  di  popolani^  cioè  due  per  Sesto 
per  ogni  Magistrato;  e  questi  formavano  il  numero  ^i  q^ 
di  novant'otto  persone  alle  quali  fu  rimesso  Tar-  ^^^9 
bitrio  di  nominare  i  cittadini  maggiori  di  3o  anni 
da  imborsarsi  •  I  nominati  però  dovevano  subire  Io 
squittìnio,  ed  erano  ammessi  ottenendo  voti   649 
purcbè  non  si  trovasse  valevole  obiezione  contro  di 
loro.  Approvato  quest' ordine  in  pieno  parlamento 
nella  Piazza  dei  Priori^  si  annullarono  gli  anticbi 
Consigli^  e  due  soli  ne  furono  stabiliti ,  uno  di  3oo 
persone^  in  cui  non  erano  ammessi  che  popolani, 
del  quale  era  capo  il  Capitano  del  popolo ,  T  altro 
di  aòo  y  a  cui  presiedeva  il  Potestà^  dove  e  Grandi 
e  popolani  potevano  essere  ammessi;  le  delibera- 
zioni prese  dalla  Signoria,  per  aver  forza  di  legge, 
esser  dovevano  approvate  dal  primo ^  indi  dal  se^ 
condo  Consiglio.  11  metodo  era  molto  saggio,  se  lo 
spìrito  dominante  della  fazione  Guelfa,  non  l'avesse 
poi  sconcertato  (j). 

Giunse  il  Bavaro  a  Pisa,  e  poco  appresso  V  An- 
tipapa, che  vi  entrò  solennemente  con  maestosa 
cavalcata  .■  Si  rinnovò  qui  pubblicamente  la  comme^ 
dia  rappresentata  in  Roma  contro  Pupa  Giovanni: 
prima  il  fiavaro  dopo  un  lungo  sermone  di  Miche- 
Jiijo  da  Cesena  frate  minore,  apponendo  al  Piipa 
iTiolti  delitti,  lo  depose:  indi  l'Antipapa  fatto  so- 
lenne parlamento,  confermò  la  sentenza  del  Bava- 
ro^ scomunicando  il  Papa,  il  Re  Roberto,  i  Fio- 
rentini tutti  nemici  del  Bavaro,  e  dei  Pisani.  Le 
persone  pie  però  si  scandalizzarono  di  quest'atto,  e 
CI t^rpetrarono  come  segni  della  divina  collera  una 

(1)  Gio.  Vili.  lib.  IO»  cap.  1  la.  Aram.  lib.  7. 


328  LIBRO  TERZO 

=^  tempesta  di  acqua,  e  gragoaola  in  quel  giorno,  e 
^•"^Ipiù  la  morte  del  Maliscalco  del  Re.  Girando  esso 
i3a9  per  Pisa,  e  chiamando  il  popolo  .a  quel  parlamea- 
to,  era  fortemente  infreddato:  entrato  la  aera  inno 
bagno  di  acque  stillate  avendo  queste  preso  fuoco» 
vi  mori  miseramente  (a).  Lo  sciocco  volgo ,  che 
vuol  sempre  penetrare  i  segreti  del  Cielo ,  non  pen- 
sava che  l'Antipapa,  il  Bavaro,  il  Predicatore  era- 
no più  rei  del  Maliscalco,  e  che  sopra  quelli  sareUe 
caduta  la  vendetta  del  Cielo,  quando  avesse  volato 
mostrarla  •  Non  fece  T  Imperatore  in  questo  suo 
viaggio  d'Italia  alcuna  cosa  di  conto.  Fu  la  sua  ve- 
nuta più  nociva  ai  suoi  amici  ai  quali  estorse  molto 
oro,  che  ai  suoi  nemici,  coi  quali  non  guerreggiò 
che  coi  tradimenti^  sempre  più  vergognosi  quando 
riescono  vani  :  così  tentò  di  occupar  per  tradimento 
J^'irenze ,  e  non  fé'  che  procurar  una  atroce  morte 
a  quei  cittadini  che  si  erano  impegnati  nel  tratta- 
to (3) .  Mancava  sempre  di  denaro,  benché  ponesse 
tutti  a  contribuzione.  Oltre  i  denari  pagati  dai  Pi- 
sani ,  Lucca  fu  tassata  a  a5o  mila  fiorini  di  oro  :  dieci 
mila  ne  pagò  la  vedova  di  Castruccio  perchè  man- 
tenesse i  suoi  figli  nella  signoria  di  Lucca  ^  e  restò 
delusa;  4  'uila  Raimondo  di  Cardona  per  riscatto; 
23  mila  Francesco  Castracani  Antelminelli  per  es- 
ser fatto  Vicario  di  Lucca .  Ad  onta  di  tante  estor- 
sioni, non  potendo  pagare  i  soldati^  lasciava  com* 
mettere  a  questi  tutti  i  disordini:  in  fatti  8oo  ca* 
valieri  tedeschi  per  mancanza  di  paghe  gli  si  ribel- 
larono, e  avendo  tentato  invano  d'impadronirsi  di 
Lucca,  occuparono  il  Ceruglio,  rocca  resa  assai  fiuie 

(•a)  Vili.  lib.  IO.  e.  1 1 5.  1 16.  1 46.  Tron.  Ann.  Pis. 
(3}yili.lib.  10.  e.  11 8. 


CAPITOLO   DECIMO        229 
da Ca&truccio ,  minacciando  di  darla  ai  Fiorentini. 
L' Imperatore  mandò  ad  essi  Marco  Visconti  ^il  qua-  dì  e. 
le  trattò   accordo^  promettendo  loro  sessantamila  >^^^ 
fiorini^  purché  tornassero  in  Lombordia:  ne  con- 
vennero i  soldati  ritenendo  tuttavia  Marco  per  ostag- 
gio* Il  di  lui  nipote  Azzo  che  trovatasi  presso  Tlm- 
peratore,  e  che  da  lui  era  stato  privato  dello  stato 
di  Milano  y   promise  sborsare  120  mila  fiorini  dì 
oro  9  per  pagare  i  soldati 9  purché  V  Imperatore  lo 
rimettesse  nei  suoi  stati.  Fu  accettato  il  partito: 
Azzo  parti  col  Porcaro  (4)>  già  Vicario  imperiale 
in  Lucca ,  e  indisposto  contro  di  lui^  che  condusse 
Azzo  a  Milano:  gli  fu  rimesso  nelle  mani  quello 
stato  dal  vicario,  a  cui  Azzo  pagò  a5  mila  fiorini . 
Iodi  si  fortificò  in  quella  città  non  curando  pagare 
il  resto,  stimando  opportuno  il  vendicarsi  dell'Im- 
peratore y  che  senza  ragione  lo  aveva  già  privato 
dei  suoi  stati,  e  ritenuto  prigione.  Schernito  l'Im- 
peratore, si  parti  di  Pisa  per  la  Lombardia,  onde 
vendicarsi  di  Azzo;  ma  non  era  più  tempo.  I  Signo- 
ri lombardi  si  erano  quasi  tutti  ritirati  dalla  sua 
amicizia^  conoscendo  che  quest'  uomo    non   avea 
fatto  altroché  rubare  i  suoi  amici,  senza  far  danno 
ai  nemici.  Azzo  Visconti  si  difese  colFarmi  ecoUo- 
rOy  e  il  Ba varo  tornò  presto  in  Germania  •  Perché 
non  mancasse  però  mai  alla  misera  Italia  il  flagel- 
lo degli  avidi  stranieri  ,  vi  comparve  indi  a  non 
molto  Giovanni  Re  di  Boemia  figlio  dell'Impera- 
tore Arrigo    VII    che  prese  a  imitare  il  Bavaro. 
I  Tedeschi  del  Ceruglio  delusi  fecero  prima  prigio- 
niero Fautore  del  trattato  Marco  Visconti,  e  indi 

(4)  Pare  secondo  la  spiegazione  del  Villani  cbe  questa  parola 
corrotta  significhi  Burgravio. 


fiSo  LIBRO  TERZO 

"Capitano,  coDoscendone  ì  talenti.  Parlilo  T impera* 
diC.  ^ore,  Marco  occupo  Lucca,  cacciando  il  nuovo  Vi- 
>3a9  cario  imperiale;  e  siccome  la  sua  compagnia  non 
cercava  che  denari,  ne  offerì  la  compra  alla  Re- 
pubblica Boreotina  .  Non  poteva  darsi  occasione 
più  vantaggiosa,  cbe  l'ottenere  per  pocbi  denari  una 
città,  che  era  stata  rivale  di  Firenze, che  per  la  sua 
posizione  teneva  in  soggezione  Pisa ,  e  Pistoja  ,  olire 
molli  altri  vantaggi  •  Si  dibattè  lungamente  in  Con- 
siglio se  si  dovesse  far  questa  compra,  che  sarebbe 
forse  giunta  a  80  mila  fiorini  ;  e  il  solo  spirto  di 
partito  la  fece  disapprovare.  Pino  della  Tosa  e  il 
Vescovo  di  Firenze  erano  gli  autori  del  trattato; 
Simone  della  Tosa  loro  contrario  vi  si  oppose  con 
ragioni  assai  frivole,  ma  che  aiutate  dalla  parsimo- 
nia fiorentina  ,  finalmente  prevalsero  .  Rinnovato 
in  seguito  il  trattato,  vi  furono  dei  ricchi  cittadini, 
che  vedendo  la  manifesta  utilità,  proposero  di  com- 
prarla a  loro  spese  per  essere  a  suo  tempo  rimbor- 
sati dal  Comune  ;  ma  il  partito  contrario  gli  fece 
tacere  colie  minaccie:  grande  esempio  ma  non  in- 
frequente di  sacrificar  la  patria  air  amor  proprio, 
e  picche  particolari  (5)!  I  Pisani  che,  appena  par- 
tilo l'Imperatore,  erano  tornati  in  libertà,  caccian- 
done il  vicario,  vollei*o  acquistar  Lucca,  offerendo 
60  mila  fiorini;  ma  avendo  pagato  troppo  presto  il 
denaro  a  persone  di  poco  delicata  coscienza,  lo  per- 
derono  senza  ottener  la  città  (Q).  Questo  trattato 
risvegliò  la  gelosia  dei  Fiorentini,  che,  ad  onta  dei 


('Jyill.  lib.  1  o.  e.  1 36.  Questo  Scrittore  fu  dì  quel  cìttadbi 
che  privatamente  s'  associarono  a  comprarla;  e  sviluppa  le  piccbe» 
e  i  ridicoli  pret*!Sti  degli  avversar]. 

(6)Vill.lib.  10.C.  i38. 


CAPITOLO  DECIMO       aSi 

partiti ,  6Ì  accorgevano  dell'  errore  a  seguo  di  rouo-^ 
ver  Farmi  contro  i  Pisani.  Dopo  tante  perdite ^  e  aie. 
tante  estorsioni  di  denari  sofferte  non  erano  questi  ^^^9 
in  stato  di  far  nuova  guerra,  onde  chiesero  la  pace 
che  fu  presto  conclusa  col  patto,  che  non  si  mescole- 
rebbero nelle  cose  di  Lucca,  e  con  altre  condizioni^ 
fralle  quali  di  riconciliarsi  col  Pontefice:  questa 
portava  seco  l'abiurare  T  Antipapa.  Dopo  la  par- 
tenza dell'Imperatore,  stava  egli  nascoso  in  un  ca- 
stello del  Conte  Fazio,  il  quale  si  vide  costretto  a 
consegnarlo  ai  Pisani.  Premeva  tanto  a  Giovanni 
.  Papa  di  assicurarsi  di  un  pericoloso  rivale,  che  do- 
nò al  Conte  Fazio  castella,  e  benefizj  ecclesiastici, 
come  ad  altri  cittadini  Pisani  fece  generosi  doni 
ribenedicendo,  ed  onorando  assai  la  pisana  repub- 
blica. L'Antipapa,  abbandonato  da  tutti,  abiurò 
egli  stesso  i  suoi  errori ,  e  condotto  ben  trattato  però 
ad  Avignone,  e  consegnato  al  Papa  fu  tenuto  in 
cortese  prigione,  ove  morì  dopo  tre  anni:  e  cosi 
Pisa  ritornò  all'amicizia  del  Papa  (7).  Lucca  posta 
tante  volte  all'incanto,  finalmente  per  soli  3o  mila 
fiorini  venne  in  potere  di  Gberardino  Spinola  (8). 
Allora  apparve  scopertamente  la  mala  avvedutezza 
dei  Fiorentini,  che  accorgendosi  dell'errore  si  po- 
sero a  far  guerra  a  Gberardino,  per  acquistar  colia 
forza,  e  con  grandissimo  dispendio  quella  città,che 
avrebbero  avuto  a  sì  buon  prezzo.  Presero  in  questa 
guerra  molti  castelli  dei  Lucchesi,  e  posero  final- 
mente il  campo  intorno  a  Lucca  .  Lo  Spinola,  che 
abbagliato  dallo  splendore  dell'imprese  di  Castruc- 
cio  credeva  forse  che  la  di  lui  potenza  nascesse  dal 

(7)0.  Vili.  lib.  1  o.  e  i64-  Marang.  Gronic  di  Pìs. 
(b)  Lo  stesso  1 45. 


aSa  LIBRO  TERZO 


'  possesso  di  quella  città ^  cominciò  ad  accorgersi  di 
^i(^,  essersi  addossato  un  peso  troppo  grave  per  le  sue 
i33o spalle.  Si  trattò  allora  accomodamento  per  cui  i 
Fiorentini  avrebbero  avuto  il  possesso  di  Lucca  con 
eque  condizioni:  ma  per  la  parte  loro,  il  trattato 
si  maneggiò  con  mala  fede:  esso  era  doppio  e  coi 
Lucchesi  e  collo  Spinola ,  ne  fu  questi  avvisato  ,  e 
i33i  il  trattato  si  ruppe  (<^)«  Nacque  intanto  un  disordine 
nel  campodei  Fiorentini  ;  il  loro  Capitano  Gastruc- 
ciò  Gabbrielli  volle  fare  impiccare  un  soldato  bor- 
gognone che,  nell'andare  a  morire,  implorò  il  soc- 
corso dei  compagni:  questi  erano  in  numero  di  6o3. 
Prese  Tarmi^  tolsero  dalle  mani  dell'esecutore  il  loro 
compagno,  saccheggiarono  l'albergo  del  Capitano, 
vi  raessero  il  fuoco,  e  posero  quasi  in  rotta  l'eser- 
cito. Castruccio  avea  fatto  una  più  forte  esecuzione 
senza  che  alcuno  osasse  parlare,  tanto  vale  l'ascen 
dente  di  un  uomo  (ro).  Veduti  i  disordini  della 
città,  e  del  campo,  lo  Spinola  fece  offrire  la  signo- 
ria di  Lucca  a  Giovanni  Re  di  Boemia,  che,  come 
si  è  veduto ,  era  di  fresco  venuto  in  Italia .  Accettò 
esso  r  offerta ,  mandò  per  formalità  Ambasciatori 
ai  Fiorentini, che  desistessero  dall'impresa, e  nello 
stesso  tempo  aiuto  ai  Lucchesi  di  ottocento  cava» 
lieri.  Sapendo  i  Fiorentini  che  questi  s'avvicinava- 
no, e  dietro  loro  le  altre  genti  del  Re  Giovanni, 
credettero  opportuno  il  ritirarsi.  Non  venne  ionaozi 
quel  Re,  ma  tenuti  dei  trattati  col  Legato  del  Papa 
che  per  proprio  interesse  era  nemico  dei  Fiorenti- 


(9)  L' Istor.  Villani  era  stato  uno  ilei  mediatori  coi  Lucchesi, 
e  condanna  i  suoi  concittadini. 

(10)  Gio.  Vili.  lib.  toc.  173. 


CAPITOLO  DECIMO  aSS 
ni  (11)9  s'insospettirono  di  essere  abbandonati  dal 
Papa  loro  antico  alleato,  e  che  Giovanni  avesse  delle  ^i  e. 
taire  ostili  contro  di  loro.  11  sospetto  avea  del  fon-  ^^^* 
damento.  Giovanni  era  figlio  del  loro  gran  nemico 
rimperatare  Arrigo  VII  morto  col  rossore  di  es- 
sersi ritirato  dalla  città  di  Firenze  invendicato; on- 
de il  figlio  poteva  avere  ereditato  l'odio  paterno: 
anche  l'amicizia ,  che  era  stata  con  raro  esempio  tra 
l'Imperatore  e  il  Pontefice,  accresceva  il  timore. 
Intanto  fu  proseguita  la  piccola  guerra  con  Lucca  . 
Vi  giunsero  però  gli  ottocento  Tedeschi  ,  e  ne  pre- 
sero il  dominio:  niun  patto  fu  mantenuto  allo  Spi-  i33a 
noia  9  ed  eìy  che  avea  fatta  quella  compra  più  da 
mercante  che  da  Principe  ,  computando  il  guada- 
3[no  che  vi  potea  fare,  perdette  il  suo  denaro,  ferita 
più  sensibile  ad  un  siffatto  carattere  •  Pistoja  ,  dopo 
a  morte  di  Castruccio ,  agitata  da  varie  fazioni  si 
?ra  poi  accomodata  con  Firenze.  Insorti  nuovi  tor- 
bidi nell'anno  scorso  entrativi  per  mezzo  dei  lor 
^autori  i  Fiorentini,  aveano  obbligato  la  città  a  dar 
oro  il  governo  per  un  anno ,  e  l' arbitrio  di  rifur- 
narla:  la  giustizia  con  cui  esercitarono  questo  go- 
verno fu  la  causa  che  ogni  due  anni  fosse  loro  ri- 
ronfermato.  I  Sanesi  andavano  frattanto  estendendo 
1  contado:  nell'anno  i33i  contrastando  coi  Conti 
li  S.^  Fiora  aveano  loro  tolto  Scansano,  Arcidosso, 
^stel  del  Pisano,  e  costretti  a  prender  la  legge,  e 
icliieder  la  pace*  Il  Re  Giovanni  sostenitore ,  come 

(1 1)  n  Legato  pretese  di  avere  come  benefizio  semplice  la 
leve  dell'  Impruneta  allora  vacante:  ne  erano  patroni  i  fiuondcl* 
lODti  come  fondatori  :  sosteneva  il  Legato ,  che  il  diritto  di  colla- 
ione  era  pontificio  :  il  popolo  fiorentino  prese  le  parti  dei  Buon- 
elmonti:  altro  non  potendo  il  Legato,  pose  Firenze  sotto  l'inter- 
etto.  Vili.  lib.  10.  e.  i8a. 


j^  LIBRO   TERZO 

-tutti  i  Principi  che  venivano  in  Italia,  dei  tìran- 


di  G.  ^^^^^  feudali ,  avea  mandato  in  soccorso  dei  Conti 
i33a  200  cavalli,  che  furono  rotti  da  Guido  Capitan  gè» 
nerale  dei  Sanesi  presso  castello  Accarigi.  La  dtU 
di  Massa  era  occupata  dai  Pisani,  perciò  tra  questi 
e  i  Sanesi  ebbe  luogo  una  piccola  guerra  :  i  ÌIa«^ 
tani,  con  un  finto  trattato  di  dar  la  città  ai  Sanesi, 
trassero  colà  il  loro  esercito.  Si  avvicinavano  i  Pi- 
sani per  prenderli  in  mezzo:  fortunatamente  Guido 
Capitano  dei  Sanesi  si  unì  con  molte  altre  troppe 
che  avea  a  guardia  di  quei  castelli  il  PiccoIomiDÌj 
e  insieme  altaccaron  il  dì  i4  decembre,  e  ruppero 
i  Pisani ,  dei  quali  fu  preso  il  Capitano  con  soo 
soldati.  Ad  onta  però  dì  questa  perdita  i  Pisani  rin- 
forzati di  nuove  truppe,  scorsero  sul  territorio  sa- 
nese,  e  assai  lo  danneggiarono;  non  arrischiandosi 
il  capitano  sanese  di  attaccarli ,  e  niegando  di  aoc- 
corrergli i  Fiorentini,  perchè  non  fossero  confiscite 
le  ricche  merci  che  avevano  a  Pisa.  Fu  poi  per  in* 
sinuazione  del  Papa,  e  mediazione  del  Vescovo  di 
Firenze  fatta  fra  loro  la  pace  (12),  colla  restitoao- 
ne  delle  terre  prese  a  i  Massetaui  dai  Sanesi;  e  i 
Pisani  dovettero  lasciar  Massa  in  libertà,  la  guar- 
dia della  quale  ebbero  i  Fiorentini  •  La  potenu  e 
la  violenza  dei  Signori  Ubaldini  aveano  spesso  ?olte 
sossopra  il  Mugello  :  erano  adesso  amici  e  depea- 
denti  della  fiorentina  Repubblica  •  Per  teneteli  peri 
più  in  freno,  fu  preso  il  partito  di  fabbricare  uitt 
terra  forte  di  là  dal  giogo  deirAppennino  sul  Ga- 
me Santerno.  Fra  i  deputati  a  questo  lavoro  si  trovo 
lo  storico  Giovanni  Villani,  a  cui  si  lasciò  Ttr^^' 

(la)  Cron.  San.  Malev.  i56.  San.  pan.  ia.lìb.  5*Gìo*^ 
lìb.  10.  e.  ai 4* 


CAPITOLO  DECIMO  a35 
trio  di  dare  il  nome  alla  terra,  che  volle  chiamar 
Fioreozuola  (i3)>  quasi  piccola  Fiorenza  •  Crescen-^"^) 
do  i  sospetti  d'accordi  segreti  tra  il  Papa  e  il  Rei332 
Giovanni,  i  Fiorentini,  senza  più  pensare  agli  an- 
tichi od)  contro  i  Ghibellini,  fecero  una  lega  coi 
Signori  lombardi ,  nemici  di  quel  Re  e  del  Pon- 
tefice.  Furono  questi  i  Signori  di  Este,  gli  Scaligeri 
Signori  di  Verona,  i  Visconti  di  Milano,  Rusca 
Capitano  di  Como,  Gonzaga  di  Mantova,  Guido 
Filippino,  e  Feltrino,  e  quei  di  Correggio,  lascian- 
do luogo  al  Re  Roberto  e  ad  altri  d'  entrarvi.  In- 
tanto stringendosi  sempre  più  la  lega  tra  il  Papa  e  i333 
il  Re  Giovanni,  si  venne  alle  mani  tra  il  Bglio  di 
questo  Re ,  e  il  Marchese  di  Este  presso  Modena , 
ove  fu  rotto  il  Marchese;  il  quale,  ritentando  poi 
la  sorte  dell'armi  contro  le  genti  del  Pontefice, 
fu  nuovamente  sconfitto  e  fatto  prigione,  e  Ferrara 
assediata  (i4)-  Sarebbe  questa  città  caduta  nelle 
mani  del  Papa,  molto  più  che  il  Re  Giovanni  si 
preparava  a  venire  da  Parma  in  soccorso  degli  as- 
sedianti,  ma  gli  alleati  cercarono  di  prevenirlo;  vi 
mandarono  una  scelta  truppa  di  ^oo  cavalieri,  che 
riuniti  ad  altri  aiuti  presso  Ferrara,  determinarono 
di  attaccare  i  nemici  benché  molto  ben  trincerati . 
Nel  di  14  aprile  si  combattè  assai  ostinatamente  > 
ma  gli  assediati  furon  vinti  con  gran  strage;  e  sic- 
come erano  chiusi  fra  la  città  e  gli  assalitori,  sic- 
come il  fiume  era  pieno  di  barche  armate  degli  al- 
leati, pochi  scamparono  la  morte,  o  la  prigionia. 
Vi  si  distinsero  due  Capitani  fiorentini,  lo  Scali,  e 
lo  Strozzi,  che  attaccarono  le  genti  di  Linguadoca 


(1 3)  Gio.  Vili.  lib.  IO.  cap.  ao3. 

(i4)  Vili*  lib.  10.  e.  ao6.  ai 6.  Stor.  PistoL 


«36  LIBRO  TERZO 

"7  :  comandate  dal  Conte  di  Arrangnac:  vi  restò  esso  prì- 
dicgìonecon  molti  Baroni  francesi  ((5).  Dopo  questa 
i333jpQd3  j^^]jj,^  la  parte  Pontificia  in  Italia,  avendo 

poco  appoggio  nel  Re  Giovanni,  che  debole  di  sol- 
dati, e  di  moneta  9  pareva  che  sarebbe  presto  parti- 
to. Volendo  egli  trar  qualche  vantaggio  da  Lucca, 
non  trovando  miglior  partito  la  dette  in  pegno  per 
35  mila  fiorini  di  oro  ai  Rossi  di  Parma ,  e  poco 
dopo  parti  d' Italia  •  Fu  in  questo  tempo  nel  novem- 
bre in  Firenze  una  delle  più  forti  inondazioni^  di 
cui  si  abbia  memoria:  si  ruppero  tre  dei  quattro 
ponti,  e  fu  malcoudotto,  quello  di  Rubaconle  che 
restò  in  piedi  :  in  due  iscrizioni  una  latina  e  T altra 
italiana  situale  sul  Ponte  vecchio  a  Levante  e  a  Po- 
nente si  conserva  la  niemoria  di  questa  disgrazia. 
G)l]a  ruina  del  Ponte  vecchio  cadde  e  fu  traporta- 
ta dal  fiume  la  supposta  statua  di  Marte:  già  mi- 
nata e  rosa  dall'età,  mutilata  dal  mezzo  in  sa  ap- 
pena riteneva  T  effigie  di  ciò  ch'era  stata  (r6).  Al 
Palazzo  Vecchio^  che  trovasi  nella  parte  più  alta 
di  Firenze,  copri  Facqua  il  primo  gradino  della 
gran  scala;  e  coperta  pure  rimase  la  metà  delle  co- 
lonne di  porfido  di  S.  Giovanni.  Il  flagello  fu  co> 
mune  a  tutta  la  Toscana,  il  di  cui  suolo ,  per  le 
piogge  notte  e  giorno  continuate ,  restò  inondato 
dai  fiumi,  il  letto  dei  quali  era  piccolo  airìroprov- 
vìso  accrescimento  dell'acque  •  I  danni  in  Firenze 
furono  grandissimi,  ma  anche  in  Pisa  e  Valdarno: 

(i5)  Vili.  lib.  10.  e  aiS.Istor.  Pistol.  Amm.  Istor.  Fior.  Im 
queste  per  isbaglio  si  dà  per  morto  nella  battaglia  il  CoDte  di  à 
gaac»  indi  si  ritrova  vivo,  e  pieno  di  tanto  orgoglio  chenìegava 
cambiato  con  uno  dei  Marcbesi  di  Este,  protestando  non  Toler 
ser  scambiato  con  un  uomo  minore  di  lui . 

(i6}  Boccac  lez.  sol  Canto  i3.  dell' Inf.  di  Dante . 


CAPITOLO  DECIMO  2Z7 
Empoli  fu  mezzo  distrutto  come  molte  altre  terre  . 
Anche  il  Tevere  fece  grandi  ruine  in  Roma  (i7)'dJ°c! 
Gli  a£fari  pontìficj  andavano  sempre  peggiorando  1^34 
in  Italia.  I  Collegati^  dopo  la  liberazione  di  Fer- 
rara ^  assediavano  Argenta  ,  mentre  il  Legato  si  era 
colle  reliquie  del  suo  esercito^  ridotto  in.  Bologna . 
Riuscendo  vano  ogni  trattato  di  pace,  presa  Argenta^ 
corsero  fino  a  Bologna^  ove  il  Legato  non  credendo 
che  ì  suoi  soldati  francesi  sarebbero  stati  per  vin- 
cere i  nemici  y  esortava  le  Compagnie  bolognesi  ad 
unirsi  coi  suoi.  Ma  questi ,  stanchi  del  duro  gover- 
no e  delle  crudeltà  dei  forestieri,  si  sollevarono, 
gli  tagliarono  a  pezzi ,  e  il  Legato  con  pochi  si 
ricovrò  nel  castello,  ove  fu  dai  Bolognesi  assedia^ 
to.  Sarebbe  facilmente  caduto  nelle  loro  mani,  se 
1  Fiorentini,  benché  suoi  nemici,  mossi  da  ri- 
verenza verso  la  Santa  Sede,  non  avessero  mandato 
delle  genti,  le  quali  Io  trassero  con  difBcoltà  dalle 
mani  dei  Bolognesi  (18),  e  Io  condussero  a  Firen- 
ze, donde  si  partì  presto  per  Avignone  colla  mor- 
tificazione (19)  di  dover  la  salute  ai  suoi  nemici  ^ 
Giunto  colà,  contando  le  sue  avventure  al  Pontefi* 
ce  Giovanni  XXII,  non  lasciò  di  lodare  pubblica- 
mente la  generosità  dei  Fiorentini,  quantunque  in 
segreto  li  dipingesse  coi  più  odiosi  colori,  attribuen-* 
do  loro  tutte  le  disgrazie  accadute  alle  sue  armi  •  Il 
Papa  adirato  ne  avrebbe  cercata  vendetta,  se  non 
fosse  stato  prevenuto  dalla  morte,  che  presto  av- 

^1^)  YilL  lib.  II.  cap.  1. 

(18)  Fra  coloro  che  l'accompagnarono  vi  fu  nn  uomo  dei  pia 
seienziati  di  quei  tempi,  Giovanni  di  Andrea,  oriundo  del  Mugel- 
lo ,  Professore  in  Bologna ,  e  di  cui  la  scienza  canonica  per  molti 
secoli  non  vantò  il  maggiore . 

(19}  ViU^lib.  ii.c.6. 


s3d  LIBRO  TERZO 

*  venne;  dopo  la  quale  fa  facile  a  Firensela  pace  col 


^"(^l nuovo  Papa,  tornando  all'antico  sistema.  LasdA 
i334Papa  Giovanni  immensi  tesori  la  di  cai  somma  se 
non  è  esagerata  j  non  è  stata  mai  posseduta  da  alcun 
Sovrano  (ao). 

Erano  in  questo  tempo  i  Fiorentini  quasi  in  pa- 
ce,  se  si  tolga  la  parte  cbe  aveano  cogli  alleati  di 
Lombardia  in  quelle  guerre  col  piccolo  contingen* 
te,  cbe  per  patti  di  Lega  vi  tenevano,  e  le  deboli 
ed  interrotte  ostilità  contro  i  Lucchesi.  Arezzo  frat- 
tanto^ cbe  avea  sofferto  varie  vicende,  e  che  giusta 
la  sorte  di  quasi  tutte  le  Repubblicbette  d'Italia, 
sotto  il  nome  e  la  forma  di  governo  libero ,  si  tro- 
vavano signoreggiate  da  qualcbe  famiglia  potente  , 
iS35lo  era  adesso  dai  Tarlati.  Il  Vescovo  Guglielmo 
Tarlati,  già  confederato  dei  Lucchesi,  e  di  Gastroc- 
ciò  nel  tempo  della  depressione  dei  Fiorentini , 
aveva  dato  alla  sua  famiglia,  e  perciò  ad  Arezso  Dna 
potenza  da  fare  invidia  a  Firenze.  Divenuto  poi  il 
Vescovo  nimico  di  Gastruccio,  come  abbiamo  visto 
di  sopra,  dopo  la  sua  morte  Piero  di  lui  fratello 
n'avea  ereditata  la  potenza  e  i  talenti ,  onde  l'areti- 
na Repubblica  si  era  impadronita  dì  città  di  Ga- 

(ao)  Racconta  il  Yillani  che  la  somma  in  contante  giunse  a 
18  milìom  di  fiorini  di  oro,  e  7  più  in  gioielli.  Aggiunge  <r  e  noi  me 
possiamo  fare  piena  fede  ^  e  testimonianza  vera ,  che  il  /tostn 
fratello  carnale  uomo  degno  di  fede  che  allora  era  in  corte  ma-' 
cante  di  Papa ,  che  dai  tesorieri  e  da  altri  deputati  a  coniare ,  tf 
pesare  il  detto  tesoro  gli  fu  detto,  e  in  somma  recato  per  fame 
relaxione  al  Collegio  dei  Cardinali  per  mettere  in  inventario  »  Si 
narrano  indi  le  arti  per  ratinarlo .  Il  buon  Villani  vi  fa  le  sae  giu- 
ste riflessioni.  Per  concepir  bene  quella  somma  couTÌen  ridurk 
al  valore  dei  nostri  tempi,  cioè»  abbracciando  la  riduzione  della 
moneta  antica  di  Robertson,  a  1  a5  milioni  di  zecchini  •  Ciascuna 
persona  sensata  concepirà  facilmente  una  grande  esagerazione.  ET 
vero  che  tutti  gli  scrittori  si  accordano  sull'inunensa  quantità  dei 
tesori  da  esso  lasciati. 


CAPITOLO  DECIMO       289 

stello^  del  Borgo,  di  Cagli ^  di  Massa  Trebara  con 
tutte  le  castella  appartenenti  a  queste  città.  I  Perù-  j°^^ 
gini  loro  emoli  tenendo  occulte  pratiche  s'impadro-  i335 
Direno  del  Borgo:  fatti  arditi  da  questo  successo, 
congiunte  le  forze  con  quelle  di  Guglielmo  Signore 
di  Cortona ,  fecero  delle  scorrerie  nel  contado  di 
Arezzo^  credendo  che  gli  Aretini  atterriti  dalla  per* 
dita  del  Borgo  non  oserebbero  escir  fuori:  ma  Piero 
Tarlati,  celebre  sotto  il  nome  di  Pier  Saccone,  fat- 
tosi loro  incontro,  gli  assali  e  gli  ruppe  perseguitane 
doli  fino  a  Cortona;  ove  sbigottiti  si  chiusero,  scor- 
rendo frattanto  gli  Aretini  arditamente  le  perugine 
campagne,  e  devastandole  fino  alla  città  stessa.  Ad 
onta  però  di  questa  vittoria,  i  Perugini  tolsero  loro 
per  tradimento  città  di  Castello  (ai),  non  senza  un 
segreto  piacere  dei  Fiorentini,  ai  quali  benché  in 
pace  e  in  amistà  cogli  Aretini,  dava  ombra  la  loro 
potenza  di  nuovo  crescente,  e  che  dopo  tali  percosse, 
e  dopo  la  perdita  fatta  dai  Tarlati  di  molte  castella 
in  Val  di  Ambra,  cominciò  di  nuovo  a  declinare. 
^  degno  di  memoria  un  nuovo  regolamento  di  poli- 
ta preso  in  questi  tempi  in  Firenze  per  mostrare 
[uanto  sia  pericoloso  il  lasciare  in  mano  dei  Magi- 
trati,  specialmente  criminali,  un  arbitrario  e  di- 
crezionario  potere,  di  cui  è  troppo  facile  T abusare ^ 
lacchè  non  dovrebbero  essere  che  puri  esecutori 
ella  legge.  Erano  stati  fino  dall'anno  scorso  mol- 
iplicati  gli  esecutori  della  giustizia,  e  creati  sette 
lapìtani  dì  guardia,  detti  Bargellioi,  ciascuno  dei 
uali  comandava  a  a5  fanti  armati,  sotto  colore  di 
1  vigilare  alla  sicurezza  della  Repubblica  contro  i 

(al)  Vili.  11.  cap.  37. 


24o  LIBRO  TERZO 

^  fuorusciti^  e  i  loro  corrìspoDdenti ;  ma  in  realtà  per 
di  e.  assicurare  le  redini  del  governo  nelle  mani  di  quelli 
isss^i^e  le  tenefano,  per  istigazione  segreta  dei  quali 
gii  esecutori  operavano.  In  quest'anno^  per  dar 
maggior  forza  e  più  concordia  a  questa  sistema ,  e 
farlo  dependere  da  una  sola  volontà ,  fu  creato  un 
Capitano  di  guardia  o  Conservatore,  che  comanda- 
va a  5o  cavalieri  e  loo  fanti^  che  aveva  il  diritto 
di  arrestare  chi  più  gli  era  in  grado,  esiliare  ,  e  far 
le  più  sanguinose  esecuzioni  senza  ordine  di  siaUUi, 
e  senza  render  conto  che  a  quelli  coi  quali  se  l'in- 
tendeva •  Il  primo  in  questo  ufficio  fu  Messer  Jaco- 
po Gabbrielli  di  Gubbio,  che  dopo  un  anno  di  aspro 
e  crudele  governo ,  se  ne  tornò  alla  patria  aasai  ar- 
riochito.  Il  suo  successore  incorse  anche  più  lo  ade- 
gno del  popolo,  che  attroppatosi ,  e  correndo  coi 
«assi  su  gli  esecutori,  costrinse  il  Governo,  dopo 
due  anni  in  circa  ch'era  durata  quella  carica,  ad 
abolirla  (ss). 

Dopo  tanti  contrasti  per  ottener  Lacca ,  i  Fioren- 
tini furooo  altamente  sorpresi,  e  intimoriti  quando 
la  videro  cader  nelle  mani  della  casa  più  potente  di 
Lombardia,  dei  Signori  della  Scala.  Questa  &mi- 
glia  sì  illustre  per  valore,  per  magnificensa,  per 
l'amore  alle  lettere,  e  alle  scienze  nasconde  nel- 
l'oscurità, come  la  più  gran  parte  dell'altre,  la  sua 
origine,  giacché  pare  che  gli  officiosi  genealogisti 
arrestandosi  sempre  a  un  uomo  illustre,  che  ne  £)r- 
mi  la  sorgente,  non  ardiscano  fare  un  passo  al  di 
là  ove  incomincia  a  intorbidarsi.  Il  nostro  Villani 
più  semplice ,  e  meno  lusinghiero,  ne  (a  gli  ante- 
la  a)  Glo.  YìU.  lib.  1 1.  cap.  i6.  t  39» 


CAPITOLO   DECIMO       241 
BBti  fabbricatori  di  scale,  onde  dal  mestiere  pren-  .     . 
dessero  il  nome  (aS),  mentre  altri  gli  fa  Signori  ^iO. 
feudali  in  Borgogna^  d'onde  venissero  in  Italia  (24);  *^^^ 
e  i  versi  di  Ferreio   Vicentino  magnificano  sempre 
di  più  il  Cane  e  la  Scala ,  nomi  tanto  poco  illustra- 
ti dagli  eruditi  (sS).  Quelli  che  stabilirono  in  Ve- 
rona la  potenza  furono  Mastino,  che  dopo  esseme 
stato  Potestà  nel  ia6o,  fu  eletto  Capitano  perpe- 
tuo. Ucciso  jdai  congiurati  y  gli  successe  con  mag- 
gior fortuna  il  fratello  Alberto^  che  con  ai  anno 
di  Signoria  vi  stabili  saldamente  la  Casa,  ed  estese 
il  dominio.  Dei  suoi  discendenti  Can-Francesco  portò 
la  famiglia  al  più  alto  punto  di  potenza  e  di  gloria 
col  senno  e  colla  spada  ^  valoroso  della  persona  e 
quasi  sempre  vincitore,  ottenne  dal  pubblico  meri- 
tamente il  nome  di  Grande,  che  la  magnificenza  e 
generosità  usata  ai  letterati^  e  a  tutti  grillustri  in- 
felici, gli  confermarono.  A  lui  successero  i  nipoti  1 330 
Alberto,  e  Mastino,  con  diseguali  talenti:  il  primo 
d'indole  pacifica  e  dato  alle  lettere,  il  secondo  avido 
di  Stati  e  di  guerra,  sotto  di  cui  l'illustre  Casa  co- 
minciò a  declinare.  Mentre  però  e  la  fama  del  zio^ 

• 

(a3)  Vili.  lib.  1 1.  cap.  94. 

(a4)  Con.  Ist.  di  Ter.  lib.  8. 

(a5)  I  nomi  di  Cane^  di  Mastino  continuati  nella  famiglia, 

some  anche  della  Scala  «  suppongono  qualche  particolare  fatto  non 

ben  noto  •  Ferr.  Vincent  poi  dopo  aver  detto  nic  (cioè  in  Verona) 
Caecis  orla  latebris 
Nobilitas 

là  r  etimologia  del  nome  di  Cane 

Mater  in  amplexu  cari  diffusa  mariti 
Jlfembrafovebat  ùvans ,  blandaque  in  imagine  somni 
yisa  sibi  est  peperisse  canem,  qui  fortìbus  armis 
Terrebatque  suis  totum  latra tibus  orbem . 
Illum  etiam  medios  vibrantem  tela  per  hostes 
Cernebat,  summaeque  gradus  atloUere  Scalae  ec* 

«rr.  Vincenl.  Carmen,  de  Scalig.  orig.  lib.  a.  Rer.  itaL  tom.  9. 

Yoièé*>  il.  lO 


a4a  LIBRO   TERZO 

=■6  i  vasti  suoi  Stati  erano  ancora  in  piedi,  i  Fioren- 
2j°2'  tini  videro  con  terrore  che  ei  fece  T  acquisto  di  Lue- 
i336ca;  poiché^  posto  cosi  il  piede  in  Toscana^  poteva 
assai  danneggiare  la  fiorentina  Repubblica,  molto 
più  per  mezzo  della  fazione  nemica  a  quella  che 
governava  Firenze .  Ne  ignoravano  i  Fiorentini  che 
cercava  anche  d'insignorirsi  di  Pisa.  Era  già  con- 
venuto nella  Lega  coi  Signori  lombardi  che  i  Bossi 
dovessero  vendere  Lucca  ai  Fiorentini ,  onde  ne  fé» 
cero  questi  alte  lagnanze •  Mastino  allegò  varj  pre- 
testi^ e  disse  finalmente  di  esser  pronto  alla  riveu- 
dita^  ma  che  computando  i  denari  da  pagarsi  ai 
Rossi,  che  la  tenevano  come  Vicarj  del  Re  di  Boe- 
mia (26),  e  al  Re  stesso,  non  avrebber  potuta  ot- 
tener Lucca  i  Fiorentini  con  meno  di  36o  mila 
fiorini  di  oro,  non  pensando  mai  che  volessero  pa- 
gare una  somma  sì  grande.  Ma  ne  pareva  ora  ai 
importante  T acquisto,  spaventava  tanto  la  vicinan- 
za di  Mastino,  ed  erao  sì  grandi  le  ricchezze  dei 
Fiorentini ,  che  fu  determinato  di  comprare  per 
somma  sì  esorbitante  una  città  che  si  era  rifiatata 
per  80  mila  fiorini  dalla  compagnia  del  Ceruglio, 
e  per  minore  ancora  da  Gherardino  Spinola  •  Ma- 
stino, che  aspirava  al  regno  di  Lombardia,  di  To- 
scana, e  forse  di  tutta  l'Italia,  e  che  vedea  torsi 
cosi  la  chiave  della  Toscana,  non  bisognoso  di  de- 
nari (37),  quando  gli  Ambasciatori  fiorentini  offer- 
sero di  pagare  la  somma  richiesta,  cercò  delle  cas- 

(a6)  Vili.  lib.  11.  cap.  44*  ^  4^«  Istor.  PìstoL 
(37)  Si  diceva  che  dopo  il  re  di  Francia  non  vi  era  altri  si  po- 
tenti che  Mastino y  Signore  di  dieci  grandi  città,  di  mollissiiiù  ca- 
stelli ,  e  di  eutrata  di  700  mila  fiorini  di  oro.  £ra  fama  che  avesse 
fatto  fabbricare  una  corona  di  oro  per  coronarsi  ra  diLomlMidiaf 
e  di  Toscana  • 


CAPITOLO   DECIMO       «43 

se  di  dilazione  si  frìvole,  che  al  fine  gli  ambascia-  ^==' 
tori  sdegnati  si  partirono  dalla  sua  Corte,  ed  egli  ^^^ 
incominciò  la  guerra  contro  la  Repubblica,  facen-  iS36 
dosi  subito  dalle  sue  truppe  delle  scorrericf  da  Luc« 
ca  in  Valdinievole .  Veduto  i  Fiorentini  il  pericolo 
di  questa  guerra,  e  la  difficoltà  di  contrastare  alla 
potenza  di  Mastino,  se  avesse  potuto  attaccarli  con 
tutte  le  forze ,  procurarono  una  diversione  ;  e  sapendo 
che  i  Veneziani  erano  per  molte  cause  suoi  nemici, 
fecero  seco  loro  alleanza,  in  cui  si  obbligavano  di 
tenere  assoldati  due  mila  cavalli  e  altrettanti  fanti 
in  Lombardia,  perchè  i  Veneziani  ne  potessero  far 
uso  contro  Mastino  (28).  Esso  per  infestar  di  più  i 
Fiorentini  si  collegò  cogli  Aretini ,  e  mandò  loro  800 
cavalieri,  che  per  Forlì  vi  dovevano  giungere;  ma 
fu  loro  vietato  il  passo  dalle  genti  dei  Fiorentini 
unite  a  quelle  dei  Bolognesi^  e  dei  Manfredi  Signo- 
ri di  Faenza  •  Si  strinse  di  più  la  lega  tra  i  Fioren- 
Mni,  i  Bolognesi,  e  i  Perugini,  ai  quali  si  aggiunse 
il  fie  di  Napoli,  Venne  intanto  a  Fi repze  Piero 
de' Rossi  già  Signore  di  Parma,  di  Lucca,  e  di  Pon- 
tremoli,  che  cacciato  dai  suoi  stati,  essendo  Pontre- 
moli  assediato  dalle  genti  di  Mastino,  chiedeva  ai 
Fiorentini  soccorso.  Introdotto  alla  presenza  del 
Magistrato,  parlò  con  tal  Veemenza  contro  Mastino^ 
mostrando  non  cercar  che  l'occasione  di  agire  ostil- 
mente contro  di  lui,  che  non  fu  creduto  potersi 
scegliere  miglior  Capitano  per  la  guerra  che  si  avea 
da  fare  in  Toscana .  Fornito  di  genti  dai  Fiorentini^ 
per  costringere  le  truppe  di  Mastino  a  levar  Tasse* 
dio  di  Pontremoli ,  pensò  di  avviarsi  verso  Lucca  , 

(aS)  YiU.  lib.  1 1.  e.  48.  e  49.  Istor.  PistoL 


244  LIBRO   TERZO 

'.  donde  ùsci  il  Maliscalco  di  Mastino;  ma  inferiore 
di  G.  di  Fiorentini  non  voleva  azzardar  la  battaglia  .  Ve 
i336  lo  costrinse  però  il  Rossi  presso  al  Ceruglio,  lo  rup- 
pe^ e  lo  fece  prigioniero  con  tredici  ufiziali  (39 .  Non 
potea  Piero  cominciar  la  sua  impresa  eoa  n^aggior 
successo:  ma  i  Signori  Lombardi  collegati  coi  Fio- 
rentini^ che  ne  conoscevano  il  valore^  lo  desidera- 
rono per  Capitano  del  loro  esercito^  insieme  col 
fratello  Marsilio:  egli  andò  volentieri  a  spiegarci 
suoi  talenti  in  una  piiì  ampia  sfera ,  e  più  viciuo  al 
suo  capitale  nemico,  e  lasciò  per  Capitano  dei  Fio- 
rentini Taltro  fratello  Orlando  superiore  in  ferocia, 
inferiore  nei  talenti  ai  fratelli.  Piero,  benché  eoo 
minori  forze  di  Mastino ,  ebbe  senopre  la  superiori- 
tà in  campagna^  e  lo  costrinse  a  starsi  racchiuso 
nella  città,  o  trincerato  in  luoghi  forti ^  mentre  an- 
dava devastando  le  campagne  di  Padova^  di  Mestre, 
e  di  Treviso:  finalmente  lo  ferì  nella  parte  più  sen- 
sibile espugnando  i  forti  ch'erano  in  difesa  delle 
saline  di  Padova,  e  impossessandosi  delle  saline, 
causa  principale  delle  differenze ,   e  perciò  della 
guerra  tra  Mastino  e  i  Veneziani  (3o).  Volgendo 
V  animo  a  cose  maggiori  tentò  più  volte  di  occupar 
1337  la  città  di  Padova;  e  gli  veniva  fatto^  se  mentre 
con  piccola  scorta  nella  notte  era  andato  a  sorpren- 
dere il  Borgo  di  San  Marco,  le  genti  y  a  cui  ordina- 
to avea  di  seguirlo  e  di  essere  alla  punta  del  giorno 
allo  stesso  Borgo  ^  non  avessero  sbagliata  la  strada 
nelle  tenebre.  Dopo  essersi  incertamente  aggirate, 
tornarono  al  campo,  e  Piero  ebbe  buona  sorte  di 
ritirarsi  illeso.  Mastino  privo  di  generosità ,  e  pieno 


i 


39)  Vili.  lib.  1 1.  cap«  56.  Istor.  PistoL  loc  cit. 
3o;  Vili.  lib.  1 1.  cap.  61  •  Ifttor.  PistoL  loc.  ciu 


CAPITOLO  PECIMO  ^5 
dì  bassezza,  accorgendosi  qual  sorte  di  nemico  avea 
in  Piero,  tentò  disfarsene,  corrompendo  alcuni  u6-  di  e 
ziali  tedeschi,  acciò  T uccidessero.  Si  scoprì  la  tra-  *^^7 
ma,  e  gli  ufiziali  per  isfuggir  la  pena,  col  seguito 
di  più  di  mille  cavalieri  si  partirono  dall'esercito, 
ponendo  fuoco  agli  accampamenti.  L'orgoglio  e  la 
soverchia  potenza  di  Mastino  avea  risvegliata  la  ge- 
losia degli  altri  Signori  Icfmbardi:  le  prime  sue  di- 
sgrazie ne  fecero  riunire  una  gran  parte  coi  Vene- 
ziani e  Fiorentini  per  abbatterlo  più  sicuramen- 
te (3f).  Andando  poco  prosperamente  per  lui  la 
guerra,  gli  Aretini  suoi  alleati,  non  potendo  aver 
soccorso,  si  trovavano  a  mal  partito,  premuti  da 
una  parte  dai  Fiorentini,  dai  Perugini  dall'altra. 
Si  risolverono  pertanto  di  sottoporsi  per  anni  dieci 
al  governo  dei  Fiorentini,  limitandone  però  assai 
l'autorità,  e  furono  ricevuti.  Pare  che  stanchi  da 
tante  agitazioni,  e  interne ,  e  esterne  sperassero  con  * 
questa  dedizione  qualche  tranquillità  sotto  la  pro- 
tezione dei  Fiorentini.  Questa  speranza  condusse 
fuori  di  Arezzo  per  due  miglia  una  folla  di  popolo, 
coi  rami  di  olivo,  incontro  ai  dodici  Cittadini  man- 
dati di  Firenze  ad  ordinarne  lo  stato,  ai  quali  si 
fecero  sommi  onori.  Contribuirono  assai  a  questa 
impresa  i  Tarlati ,  che  avendone  avuto  da  gran 
tempo  il  governo,  lo  vedeano  ora  vacillante.  Pietro 
Saccone  però  trasse  tutto  quel  profitto  che  potè^ 
essendogli  pagati  a5  mila  fiorini  di  oro  per  Arezzo, 
e  ]4  niila  pel  Viscontato  di  Val  di  Ambra,  acqui- 
stato già  dal  suo  fratello  Vescovo  (S^).  Si  confermò 

•  . 

(3i)  Gìo.  YIlLlib.  11.  e.  6i. 

(3a)  Venne  Pier  Saccone  in  Firenze  (Vedi  Villani  lib.  ii. 
eap.  69.)  con  una  comitiva  di  pia  di  loo  persone  a  cavallo*  In  sei 


«46  LIBRO   TERZO 

■frattanto  la  lega  dei  Fiorentini  coi  Veneziani,  e  con 
^°c!  ^^^^^  g^i  3'^"  Signori  lombardi  (33),  per  la  distra* 
1337  zione  degli  Scaligeri.  Mosso  Mastino  verso  Mantova 
si  era  portato  a  Bovolento  per  impedire  a  Piero  dei 
Rossi  l'unione  col  fratello  Marsilio,  e  ì  trasporti 
delle  vettovaglie.  Ma  Piero ,  sapendo  che  il  campo 
di  Mastino  non  poteva  avere  altr'acqua  da  bere,  cbe 
quella  del  canale  tra  Bovolento,  e  Cbioggia,  vi  fece 
gittar  dentro  tante  sozzure,  e  lo  resesi  fetido  ed 
immondo,  che  fu  costretto  Mastino  a  levare  il  cam- 
po. Era  Padova  guarnita  da  Alberto  della  Scala: 
vi  si  trovavano  dentro  quei  di  Carrara,  Signori  uaa 
volta  di  Padova,  maltrattati  assai  ora  da  Alberto: 
tenne  Piero  pratica  con  questi,  e  accostatosi  col- 
r  esercito  a  quella  città  ,  vi  fu  introdotto  ,  fece  pri- 
gione Alberto,  e  fu  data  la  signoria  alla  famiglia 
Carrara  (34)-  Piero  animato  sempre  più  alla  distru- 
zione del  suo  nemico,  senza  arrestarsi  un  momento 
dopo  la  presa  di  Padova,  andò  ad  attaccare  il  ca- 
stello di  Monselice,  trovandosi  nel  più  forte  della 
zuffa,  e  combattendo  nell'antiporto,  quasi  guada, 
guata  la  piazza  fu  ferito  da  una  lancia  nel  fianco 
fra  la  commettitura  della  corazza.  Ad  onta  di  que- 
sto colpo  volle  passare  il  fosso,  trattasi  la  lancia 
dal  fianco;  ma  incrudelito  il  dolore  della  ferita,  e 
versando  in  gran  copia  il  sangue,  si  fece  porre  in 
lina  barca,  e  condurre  a  Padova  ove  presto  se  ne 
morì.  11  dolore  affettuoso  dei  soldati  anche  merce» 


di,  che  TÌ  dimorò ,  diede  splendidi  coayiti  ai  Fiorentini»  e  Tnltio» 
giorno  in  Santa  Croce  ne  fece  uno  dei  più  magnifici ,  nel  qu^Ie  mk 
ai  mille  cittadini  dei  più  onorevoli  erano  alla  priaia  mensa. 

(33)  Erano  questi  Azxo  Visconti  Signore  di  MUano»  Ofoiat 
marchese  di  Este»  Luigi  Gonxaga  Signoro  di  MantOTa. 

(34)  Cortus.  hist.  tom.  XII.  rer.  lUL  Gio.  Yill.  lib.  1 1 .  cap.  64* 


CAPITOLO  DECIMO  247 
narj,  la  costernazione  della  parte  di  cui  era  Capita- 
no, la  letizia  del  nemico ,  ne  fecero  il  vero  elogio  .  ^j-  q^ 
Gli  furono  celebrate  poraposamente  l'esequie  in  ^^^^ 
Padova ,  in  Venezia^  in  Firenze;  uè  guari  andò  che 
il  suo  fratello  Marsilio^  per  febbre  contratta  dalle 
continue  fatiche  della  guerra,  e  pel  dolore  del  fra- 
tello, ebbe  la  stessa  sorte  (35).  L'ardire,  e  la  bra- 
vura che  avevano  impresso  nelle  truppe, ^durò  qual- 
che tempo,  giacché  la  Lega  s' impadronì  di  Mestre^ 
Orci,  Canneta,  e  d^Ha  stessa  città  di  Brescia.  Dapo^i338 
varj  altri  danni  fatti  al  nemico  si  era  l'esercito  ac- 
campato presso  a  Verona  città  principale  di  Masti- 
no: e  perchè  era  troppo  ben  difesa  da  sperar  di  oc- 
cuparla, fattovi  correr  dei  palj  per  ischerno,  secon- 
do Tuso  di  quei  tempi,  si  portarono  gli  alleati  sopra 
Vicenza,  Mastino  veggen.dosi  ridotto  a  mal  partito, 
perdute  tre  delle  sue  principali  città,  minacciato  in 
Verona,  le  sue  genti  sempre  battute,  tentò  tutti  i 
mezzi  per  accordarsi  coi  suoi  più  potenti  nemici, 
cioè  coi  Veneziani;  i  quali  vedendo  che  finora  non 
avevan  tratto  alcun  importante  profitto  da  una  guer- 
ra dispendiosa,  essendo  Padova  venuta  in  mano  dei 
Signori  Carrara,  Brescia  dei  Visconti,  offerte  loro 
da  Mastino  condizioni  vantaggiose,  le  accettarono: 
furon  esse  la  cessione  di  Trevigi,  Castelfranco  (56) 
e  Bassano.  Vi  si  accordarono  anche  gli  altri  alleati 
di  Lombardia,  molti  dei  quali  avean  guadagnato 


(35)  Vili.  lib.  11.  cap.  64.  65.  e  Istor.  Pistol.  dicono:  Piero 
era  savissimo  di  guerra ,  prò'  e  cortese  oltre  a  osni  altro  che  a 
quel  tempo  si  trovasse,  e  il  pia  avventuroso  cavaliero  in  fatto  di 
arme* 

(36)  Così  il  Villani»  ma  neir istor.  del  Corlus.  (Rer.  Ital. 
tom.  1  a.  )  sì  dice  che  i  Veneziani  ebbero  Trevigi  ^  e  Ubertino  da 
Carrara  BaasaiKr» ,  e  Castelfranco  • 


«48  LIBRO  TERZO 

\  delle  città,  e  delle  terre ^  e  tutti  erano  stanchi  del 
die.  dispendio  che  recava  la  guerra.  I  soli  Fìorentiai  fu- 
i339ronoi  malcontenti.  Erano  entrati  in  una  dispea* 
diosa  guerra  per  guadagnar  Lucca,  e  non  avevano 
ottenuto  che  pochi  castelli,  ch'erano  quasi  un'  ap- 
pendice di  quella  città  •  Più  di  600  mila  fiorini 
erano  stati  spesi  •  Avea  contratti  il  Comune  molti 
debiti  coi  particolari,  e  impegnate  le  rendite  di  va- 
rie gabelle  per  alcuni  anni.  Benché  pertanto  e  lo 
sdegno  contro  la  mala  fede  dei  Veneziani ,  e  il  ti- 
more di  Mastino ,  che  possedendo  Lucca  sarebbe 
stato  sempre  pericoloso,  gli  distogliessero  dalla  pa- 
ce.vi  furono  obbligati  dalle  circostanze,  perchè  non 
cadesse  su  di  loro  tutto  il  peso  della  guerra  (Sj). 

(S7)  Vili.  lib.  1 1  •  eap.  7^  6i.  89. 


»  ' 


.* 


^49 


CAPITOLO   XL 


SOMMARIO 

Pestilenta  in  Firenze  •  Ambasciata  dei  Romani  •  Congiura  contro 
il  Governo  scoperta .  Guerra  con  Pisa ,  Fiorentini  in  Lucca ,  I 
Fiorentini  son  retti  dai  Pisani,  che  pongono  r assedio  a  Luc^ 
ca»  di  cui  s*  impadroniscono .  Duca  di  Atene  Conservatore  di 
Firenze i  e  Generale  dei  Fiorentini,  Gli  è  ceduta  la  Signoria 
per  un  unno  ;  indi  dichiarato  assoluto  Signore  di  Firenze  a 
vita  •  Estorsioni  e  rigorose  esecuzioni  sotto  il  suo  governo, 
F'izj  del  Duca  e  dei  suoi  cortigiani .  Indignazione  generale  • 
ingiuste  crudeltà.  Tre  cospirazioni  si  formano  a  un  ter^o 
€ontro  di  lui.  Tutti  gli  Ordini  dei  citìadini  si  sollevano  contro 
il  Duca  ,e  lo  cacciano  di  Firenze,  dojto  averne  egli  rinunziata 
la  Signoria, 

LJ  na  repubblica  la  di  cui  forza  sta  nel  commer- 
cio-com*  era  la  Fiorentina,  non  dovrebbe  prender^.""* 
parte  in  gtierre  dove  non  è  quello  interessato.  Le  1339 
conquiste  ch'ella  può  fare  son  sempre  assai  più  di- 
spendiose delle  rendite^  risvegliano  la  gelosia  dei 
Tjcini  y  e  impegnano  in  nuove  guerre  coi  confinan- 
ti. AI  fine  di  una  guerra  fatta  per  l'acquisto  di 
Lacca  si  trovò  la  repubblica  ^  senza  averla  potuta 
ottenere,  assai  indebitata;  ed  ebbe  la  sorgente  delle  ~ 
sue  ricchezze,  cioè  il  commercio,  una  terribile  scos- 
sa nel  fallimento  delle  compagnie  dei  Peruzzi,  e 
din  Bardi  •  Aveano  queste  dato  in  prestito  a  Eduar- 
do   III  re  d'  Inghilterra  un'  immensa  somma  di 
denaro. Era  questo  Re  intrigato  nella  guerra  con  la 
Francia»  Ma    quantunque   per  lo  più  vincitore^ 
quantunque  avesse   invaso  più  volte   le  provincia 


aSo  LIBRO  TERZO 


-.  francesi,  tuttavìa  il  lusso,  e  la  magnificenza  della 
di  C.  ^^^  Corte ,  le  spese  della  guerra  incalcolabili,  e  gra- 
^3^9  vose  anche  ai  vincitori,  lo  posero  neir  impotenza 
di  soddisfare  ai  sijoi  creditori, e  convenne  loro  fal- 
lire per  un  milione,  e  365  mila  fiorini  di  oro(i). 
Se  si  dia  alla  moneta  il  valore  che  avea  io  quel 
tempo,  si  vedrà  che  questo  denaro  sarebbe  equi  va- 
lente  a  circa  sette  milioni  di  zecchini  dei  nostri 
tempi.  Perduta  una  tal  somma  dalla  città  di  Fi- 
renze si  può  facilmente  concepire  il  danno  delsoo 
commercio.  Si  crederebbe  interamente  perduta:  ma 
questi  dapni  temporaij  facilmente  si  riparano,  quao- 
da  non  sono  esauste  o  divertite  altrove  le  foati  pri- 
marie della  ricchezza,  le  quali  restando  inFireoie 
sempre  illese,  ben  presto  riempirono  la  momenta- 
nea deficienza.  Ma  non  potea  in  più  mal  punto 
ciò  avvenire,  mentre  il  pubblico  che  trae  le  sue 
rendite  da  privati  si  era  tanto  indebitato.  Si  ag- 
giunse a  questi  mali  la  carestia  dei  vi  veri,  e  ciò  che 
suole  ben  spesso  accompagnarla,  una  febbre  pesti- 
lenziale per  cui,  se  non  esagerano  gli  antichi  acrìt- 
tori,  non  meno  di  i5  mila  persone  mancarono  ia 
quest'anno  dentro  le  mura  di  Firenze.  Per  conso- 
lare con  una  lieve  aura  di  ambizione  le  calamità 
dei  Fiorentini  vi  giunse  una  onorevolissima  Amba- 
sciata da  Roma .  Questa  città  nella  lontanansa  del 
Pontefice  era  stata  agitata  da  politiche  convulsiooi, 
originate  dalla  discordia  dei  Grandi.  Siccome  era 
fama  che  i  Fiorentini  avessero  in  gran  parte  sopite 
le  loro,  col  togliere  ai  Grandi  ogni  parte  nel  go- 
verno, vennero  i  romani  Ambasciatori  pe^info^ 

(  i)  Gìo.  Vili.  lib.  11.  cap.  87. 


CAPITOLO  UNDECIMO    aSi 

marsi  della  fiorentina  Gostitozione  ^  *e  dei  mezzi 
d'impedire  ai  Grandi  il  turbare  la  pubblica  quie-^ic. 
le  (a).  Ma  mentre  i  Romani  venivano  ad  appren-  »34o 
dere  la  maniera  dì  viver  tranquilli  dai  Fiorentini, 
stavano  per  ricominciare  in  Firenze  le  domestiche 
ostilità.  Erano  Andrea  Bardi,  e  Bardo  Frescobaldi, 
stati  molto  aggravati  da  Jacopo  Gabbrielli  di  Gub- 
bio, creato  n.uovamente  Capitano  della  guardia,  ed 
esecutore  degli  ordini  dispotisci  di  quei  pochi ,  che 
voleanoil  governo  esclusivo  nelle  loro  mani»  da  cui 
e  i  Grandi,  e  la  plebe  n'erano  affatto  allontanati,  e 
molti  ancora  del  loro  ordine.  A  quei  due  inaspriti 
delle  recenti  offese,  si  unirono  molti  altri  dei  Gran* 
di,  privati  del  governo  per  legge,  e  dei  popolani  che 
per  prepotenza  n'eran  tenuti  lontani,  e  si  tramò 
una  congiura  per  mutare  il  governo.  I  loro  amici 
forestieri.  Pazzi,  Tarlati,  Guidi,  libertini,  ec.  do- 
veano  venire  in  Firenze,  e  il  di  a  di  novembre 
si  dovea  sollevar  la  città,  e  mutare  il  reggimento. 
Fu  scoperta  la  congiura  il  giorno  avanti  a  quello  del- 
Tesecuzione  da  Andrea  dei  Bardi,  che  o  per  timo- 
re, o  per  rimorso  rivelò  il  trattato  a  Jacopo  Al- 
berti uno  dei  capi  del  governo.  Questi  adunati,  non 
vi  essendo  tempo  da  perdere,  fecero  suonar  la  pubr 
blica  campana  a  martello ,  e  il  popolo  corse  armato 
per  tutta  la  città  contro  i  traditori ,  ai  quali  non 
erano  ancor  giunti  soccorsi ,  onde  quelli  che  si  tro- 
vavano dalla  parte  dritta  delTArno  non  si  mossero: 
dall'  altra  parte  poi  corse  alle  armi,  e  tentarono  di 
difendersi  nella  via  detta  dei  Bardi .  Circondati  da 
ogni  parte  dal  popolo  armato,  stavano  per  venire 

(a)  Till.  lib.  u.c.  1 1 5. 


202  LIBRO  TERZO 


"alle  mani,  quando  il  potestà  Matteo  da  Ponte  bre- 
diC.  sciano^  uomo  venerabile,  s'interpose^ e  ponendo  in 
1340  vÌ5ta  ai  Bardi^  e  Frescobaldi  il  pericolo  imminente 
di  esser  trucidati  colle  loro  famiglie^  gli  persuase  a 
posar  l'armi  :  ottenne  lo  stesso  dal  popolo^  promet- 
tendogli che  i  congiurati  partirebbero  di  Firenze, 
fuori  della  qual  città  gli  accompagnò  egli  stesso 
nella  notte  (3). 
i34i      Parea  che  la  fortuna  scherzasse  coi  Fiorentini , 
offerendo  9  e  togliendo  loro  a  un  tempo  replicata- 
mente  la  città  di  Lucca,  turbandogli  sempre  o  ne 
cercassero  T acquisto  coll'armi,  o  coi  denari.  Ma- 
stino della  Scala  dopo  la  /perdita  di  Parma,  toltagli 
da  Azzo  da  Correggio,  vedendo  non  poter  più  so- 
stener Lucca,  l'offerse  ai  Fiorentini  al  prezzo  di 
aSo  mila  fiorini  di  oro:  acconsentirono  i  Fioren- 
tini, ma  prima  che  venisse  loro  in  mano^  dovettero 
•    contrastare  coi  Pisani.  Pareva  a  questi  di  non  poter 
più  sostener  la  loro  libertà,  se  Lucca  restava  ^deì 
Fiorentini  (4)*  Sarebbe  loro  piaciuto;  non  potendo 
vincer  coi  denari  ì  Fiorentini ,  che  Lucca  restasse 
in  libertà:  fecero  va rj  consigli  nei  quali  fa  alla  fine 
determinato  che  si  prendessero  Tarmi  colle  quali 
se  ne  contrastasse  ai  Fiorentini  il  possesso  ;  e  dopo 
qualche  inutile  trattato  con  Mastino,  vi  posero  l'as- 
sedio. Aveano  adunate  molte  soldatesche  e  dai  Ghi- 
bellini toscani,  e  dai  Signori  di  Lombardia ,  spe- 
cialmente da  Luchino  Visconti,  di  cui  comprarono 
l'amicizia  col  tradimento.  Uno  dei  primi  cittadini 


(3)  YIIL  lib.  1 1 .  e.  «  1 7. 1 18.  Istor.  Pìstol. 

(4)  SI  diceva  che  Mastino»  coacludendo  il  trattalo  coiDepatali 
fiorentini  avea  detto  loro  :  Io  vi  vendo  Lucca ,  e  Pisa  vi  domo. 
Biarang.  croniche  di  Pisa  • 


CAPITOLO  UNDECIMO  a53 
milanesi^  Francesco  da  Postierla ^  avea  sposato  la 
bella,  e  virtuosa  Margherita  Visconti^  stretta  pa*!]"^! 
rente  di  Luchino^  e  di  cui  questi  invaghito  era  ^^4<> 
stato  da  lei  rigettato.  Reso  noto  al  marito  il  suo  mal 
animo,  T  indusse  a  tramare  una  congiura  ,la  quale 
scoperta,  fuggi  Francesco  in  Avignone,  donde  coi 
più  insidiosi  artifizj  fu  da  Luchino  tirato  a  Pisa.  Ad 
onta  di  un  salvocondotto  ,  con  cui  lo  aveano  i  Ret^ 
tori  di  Pisa  assicurato ,  fu  ivi  preso  e  consegnato  a 
Luchino,  che  per  colmo  di  barbara  brutalità  lo 
fece  decapitare  insieme  colla  saggia,  e  sventurata 
consorte  (5).  Per  quella  perfidia  ebbero  i  Pisani 
potenti  aiuti  da  Luchino ,  e  poterono  sostenersi  in 
faccia  ai  Fiorentini.  Il  Vicario  di  Mastino  trattava 
nello  stesso  tempo  anche  coi  Pisani,  ponendo  Lucca 
air  incanto.  Dopo  varie  altercazioni  sul  pagamento 
dei  denari ,  fu  finalmente  introdotta  in  Lucca  la 
gente  dei  Fiorentini,  restando  perj5  in  mano  dei 
Pisani  due  luoghi  forti  appartenenti  al  contado  luc- 
chese, il  Ceruglio,e  Monte-Chiaro,  per  cui  furono 
scemati  70  mila  fiorini  di  oro.  Non  si  partivano 
però  i  Pisani,  e  restando  immobili  nella  pianura  di 
Lucca,  avrebbero  fatto  gran  senno  i  Fiorentini  a 
starsene  sulle  difese,  o  occupando  dei  posti  impor- 
tanti, impedire  il  trasporto  delle  vettovaglie  all'ar- 
mata pisana ,  o  travagliando  il  contado  loro  con 
delle  scorrerie:  ma  si  recarono  a  vergogna  il  la* 
sciarli  tranquilli,  giacché  uniti  alle  genti  di  Masti- 
no erano  superiori ,  onde  accostatisi  ai  nemici  pre- 
sentarono loro  la  battaglia  presso  alla  Ghiaia  •  Non 
la  ricusarono  i  Pisani:  si  combattè  con  varia  fortu- 

(5)  Corio,  Stor.  di  Mìl. 


a54  LIBRO  TERZO 


^  tuna.  Inclinò  sul  principio  la  vittoria  ai  Fiorentini, 
diC.^  fu  fatto  prigioniero  Giovanni  Visconti  figlia  di 
>34i  Luchino;  ma  disordinatisi  neir inseguire  il  nemico, 
furono  da  una  sclìiera,  restata  a  guardia  del  campo, 
rotti  e  posti  in  fuga .  Ebbero  gran  parte  in  questa 
vittoria  i  balestrieri ,  fra  ì  quali  ve  n'  erano  molti 
dei  Genovesi  assai  stimati  in  questa  sorte  di  arme. 
La  cavalleria  dei  Fiorentini  tanto  più  numerosa  di 
quella  dei  Pisani  fu  in  gran  parte  disabilitata  dal- 
l'azione per  questa  sorte  di  armi.  La  perdita  dei 
Fiorentini  tra  morti ,  e  prigionieri  non  fu  minore 
di  due  mila  uomini  (6).  Da  questo  vantaggio  cre- 
sciuto l'animo  ai    Pisani,  strinsero   nuovamente 
Lucca  di  assedio.  Fu  singoiar  cosa  il  vedere  in  que» 
i34a  sto  momenCo  comparire  gli  Ambasciatori  del  vec- 
chio re  Roberto  chiedendo  ai  Fiorentini  il  possesso 
di  Lucca  come  cosa  propria,  giacché  dicevano,  fino 
dal  i3i3  Lucca  si  era  posta  in  sue  mani,  quando 
gli  fu  tolta  da  Uguccione  della  Faggiola .  Non  fece 
però  minor  meraviglia  il  pronto  consenso  dei  Fioren- 
tini ^  i  quali  perdevano  una  città  tanto  desiderata, e 
comprata  con  tant^oro,  e  tanto  sangue.  Gli  stessi 
Ambasciatori,  avuto  il  possesso,  andarono  a  Pisa, 
e  intimarono  a  quella  Repubblica  di  levar  l'assedio 
di  una  città  appartenente  al  re  di  Napoli:  ma  i  Pi- 
sani, non  cedendo  cosi  facilmente,  proposero  di 
mandare  Ambasciatori  al  re.  Si  può  congetturare 
che  il  Re  antico  amico  dei  Fiorentini  agisse  di  con- 
certo con  essi,  per  far  ritirare  i  Pisani,  come  que- 
sti realmente  sospettarono.  Era  stato  fatto  Gene- 
rale dei   Fiorentini  il  Ma  la  testa.  Si  mosse  per  far 

(6)  Giov.  Vili.  lib.  II.  e.  i33.  i34.  Istor.  PistoL  Mamig. 
CroQ.  di  Pisa. 


CAPITOLO  UNDECIMO  ^55 
levar  V  assedio  'di  Lucca  :  fu  però  scaltramente 
tenuto  a  bada  dal  Capitano  dei  Pisani,  il  quale ^-^q) 
non  avendo  gente  bastante  per  misurarsi  coi  Fio-  i36a 
rentini,  e  sapendo  quanto  mancava  Lucca  di  vi- 
veri, volea  combatter  colla  dilazione.  Giunse  al 
fiorentino  esercito  il  Duca  di  Atene  con  loo,  ca- 
valli francesi;  vi  giunsero  anche  altri  rinforzi; 
ebbero  luogo  varie  operazioni  sul  fiume  Sercbio 
ove  i  Pisani  benché  inferiori  valorosamente  si  di- 
fesero: il  Malatesta,  superiore  di  forze,  non  potè 
mai  sloggiarli,  o  forzarli  alla  battaglia;  e  dopo  molti 
tentativi  per  soccorrer  Lucca  fu  obbligato  a  ritirarsi. 
Abbandonati  cosi  i  Lucchesi,  doverono  venir  a  pat- 
ti coi  Pisani:  questi  furono  assai  moderati,  poiché 
(data  facoltà  ai  Fiorentini  che  vi  erano  di  ritirarsi) 
si  contentarono  di  tenere  per  quindici  anni  nel  ca- 
stello di  Lucca,  detto  dell'Agosta,  e  di  Ponte-tet- 
to, e  della  Torre  di  Montuolo,  un  loro  presidio,  che 
fosse  pagato  però  dai  Lucchesi;  in  tutto  il  resto  fos- 
sero liberi  (7).  Dopo  tante  spése,  e  tanto  sangue, 
Lucca  sì  bramata^  tenuta  un  momento,  fu  nuova- 
mente perduta. 

I  poco  felici  avvenimenti,  come  avvenir  suole, 
avevano  eccitato  l'odio  contro  i  regolatori  della  Re- 
pubblica fiorentina.  Questi  per  coprirsi,  e  per  vol- 
gere altrove  i  pensieri,  e  la  rabbia  dei  nemici,  fe- 
cero scegliere  per  conservatore,  e  protettore  della 
Città^  e  suoi  stati  Gualtieri  (8)  Buca  di  Atene ^  e 

(7)  Vedi  Vili.  lib.  10,  cap*  lag,  i3o.  iBi.  i3a.  ed  i  segaenti, 
e  ristor.  Pistol. 

(8)  Egli  era  titolar  Baca  di  Atene,  educato  in  Grecia ,  figlio 
di  un  altro  Gualtieri  vero,  Duca  di  Atene,  ucciso  combattendo 
contro  una  compagnia  di  Catalani ,  formata  in  Grecia  come  lo 
compagnie  di  Italia  erano  formate.  Questo  tiranno  di  Firenze^  do- 


256  LIBRO  TERZO 

?  Conte  di  Brienne,  originario  francese  ^  DUtrìto  m 
^°q' Grecia,  e  in  Puglia.  Fino  dal  tempo  che  avea  in 
i34a  Firenze  sostenute  le  veci  del  Duca  di  Calabria,  ai 
era  acquistato  gran  riputazione  di  saviezza^  e  di 
giustizia:  onde  finito  il  tempo  della  condotta  del 
Mala  testa,  fu  eletto  Generale,  e  Conservatore  colla 
più  estesa  facoltà  di  esercitar  la  giustiziale  dentro, 
e  fuori  di  Firenze.  Aveva  il  Duca  moltissima  ambi- 
zione, e  sufficiente  talento  per  profittare  delle  cir- 
costanze della  città*  Era  essa  divisa  in  tre  Ordini 
di  persone ,  Grandi^  Popc^ani  ricchi,  e  Plebei:  tro- 
vavasi  il  governo  intieramente  in  mano  dei  secon- 
di;  gli  altri  due  Ordini  perciò  doveano  essere  scon- 
tenti ;  aggiunte  agli  antichi  torti  le  disgrazie  acca- 
dute alla  Repubblica,  per  poco  saggia  ammioistra* 
zione  di  chi  governava  ,  le  lagnanze  furono  piò 
frequenti,  e  più  ardite:  i  più  arditi,  e  con  più  ra- 
gione, erano  i  Grandi.  Non  contento  il  popolo  dì 
aver  loro  tolta  ogni  parte  del  governo,  non  am- 
ministrava ad  essi  la  giustizia:  si  facevano  agiro 
nel  più  severo  modo  contro  loro  le  leggi,  le  quali 
tacevano  i)  più  delle  volte  per  l'Ordine  che  gover- 
1343  nava:  anche  in  questo  però  non  mancavano  perso- 
ne, cui  era  odioso  il  Governo,  giacché  le  cariche  più 
importanti  si  riducevano  in  mano  di  pochi.  Tutti 
i  malcontenti  si  unirono  col  Duca  sollecitandolo 
vivamente  a  farsi  Signore  assoluto  della  città^  e  pro- 
misero di  sostenerlo,  anteponendo  cosi  la  servitù 
.  della  patria  ad  un  libero  ma  aristocratico  governo, 
in  cui  non  avean  parte .  Manteneva  il  Duca  ed  au- 
mentava questa  buona  disposizione,  e  con  alcuni 

pò  varie  vicende  in  Puglia  >  e  in  Francìa^perdè  la  tìU  neilt  cd*- 
bre  battaglia  di  Potiers. 


CAPITOLO   UNDECIMO    aS; 
colpi  di  vigore  che  avevano  Taria  della  più  esatta 
giustìzia ,  si  trasse  gli  applausi  dei  malcontenti,  e^"^! 
incusse  terrore  nei  popolani ,  avendo  chiamato  in  i34^ 
giudizio,  e  fatto  provare  il  rigor  delle  leggi  appunto 
ad  alcuni,  che  per  esser  nel  numero  di  quelli ,  fra 
i  quali  le  principali  cariche  si  dividevano,  erano 
impuniti,  e  perciò  odiosi  agli  altri  •  Giovanni  dei 
Medici  fra  i  più  potenti  era  stato  Capitano  di  Lucca. 
Arrestato^  per  forza  di  tormenti,  confessò  che  per 
denari  aveva  lasciato   fuggir  Tarlato  dal  campo, 
benché  la  fama  portasse  che  non  era  reo  che  di 
mala  custodia,  e  gli  fu  mozzo  il  capo.  Ebbe  la  me- 
desima sorte  Guglielmo  A  Ito  viti  accusato  di  barata 
teria.  Rosso  dei  Ricci,  e  Naldo  Rucellai  furono  ar- 
restati ancor  essi ,  il  primo  dei  quali  si  era  appro- 
priato le  paghe  dei  soldati,  T  altro  avea  ricevuto 
denari  dai  Pisani  per  secondare  i  loro  interessi.  Non 
volle  il  Duca  punir  questi  di  morte,  perchè  il  trop- 
po sangue  non  rivoltasse  il  pubblico  :  furono  però 
condannati  in  denaro,  indi  il  Ricci  a  perpetua  car- 
cere^ il  Ruceliai  al  confine  di  Perugia  (9).  Questi 
gastigbi  in  4  delle  principali  famiglie,  use  ad  essere 
inipunite,  e  odiose  alla  plebe  ed  ai  Grandi,  conci- 
liarono gran  favore  al  Duca^*  il  quale  credendo  ornai 


(9)  Vili.  lib.  la.  cap.  1.  a.  Istor.  Plstol.  Questi  pochi  delitti  pu- 
niti per  un  colpo  dì  vigore  del  Governo  ci  possono  fare  congettura* 
re  q.i^.')nti  altri  andavano  impuniti,  e  quanta  era  la  corruzione  del 
Governo,  e  perchè  in  una  Repubblica  coramercJante  fosse  tanta 
avidità)  dei  pubblici  impieghi .  Con  gran  verità  scrive  un  certo  au- 
tore di  quei  tempi,  dell'  imprese  andate  male  dei  Fiorentmi: 
questo  si  crede  sia  stato  piuttosto  perchè  lo  popolo,  che  V  ha 
retta  ,  ha  più  atteso  al  guadagno  che  al  bene  della  Repubblica  , 
e  -ve  desi  che  gran  parte  dei  mercatanti  fiorentini  per  attendere 
al  Comune  hanno  lasciatili  fondachi ,  e  le  mercanzie,  Istor. 
PistoL 

J^utrio  IL  17 


v~^ 


358  LIBRO   TERZO 

"  maturo  il  disegno  di  farsi  Signore  assolato^  e  sa* 
die.  pendo  di  averne  la  forza  ,  volle  nondimeno  doman- 
«343 dar  la  Signoria  al  Gonfaloniere,  e  Priori.  Nega- 
rono questi  con  modeste,  ma  ferme  rimostranze; 
conoscendo  però  il  favore  grande  del  pubblico  verso 
di  lui,  per  non  eccitare  un  pericoloso  tumulto , 
dovendosi  la  mattina  appresso  adunare  il  popolo, 
fu  deliberato  dal  Magistrato  che  gli  si  dasse  per  un 
anno  la  Signoria  con  quelle  limitazioni  con  coi 
l'avevano  goduta  il  Re  Roberto,  e  il  Duca  di  Cala- 
bria* La  sera  innanzi  andò  il  Magistrato  con  altri 
rispettabili  cittadini  al  Duca,  che  per  conciliarsi 
maggiore  stima  di  pietà  e  di  moderazione,  abitava 
nel  convento  di  Santa  Croce;  e  dopo  molti  dibatti- 
menti fìnse  di  accordarsi.  Ne  furono  da  nota]  di 
una  parte,  e  dell'altra  firmate  le  condizioni ,  e  ap- 
provate dal  Duca  con  suo  giuramento  (io).  Venne 
nella  matiin?i  del  dì  8  settembre  il  Duca  al  palaz- 
zo dei  Priori  accompagnato  dalla  maggior  parte 
della  nobiltà  ,da  innumerabil  plebe  armata ,  e  dalle 
proprie  truppe.  Il  Gonfaloniere  espose  la  delibera- 
zione fatta  la  sera:  quando  si  sentì  che  la  Signorìa 
di  Firenze  era  data  al  Duca  per  un  anno,  molte 
voci  deirinfimo  popolo  gridarono  a  vita.  Aperte  le 
porte  del  Palazzo,  vi  fu  dalla  nobiltà  condottole 
istallato  assoluto  Signore,  cacciandone  ì  Priori,  e 
Gonfaloniere,  i  quali  restarono  col  solo  nome  tra- 
sportati altrove»  rappresentare  una  scenica  farsa. 
Si  fecero  fuochi  di  gioia .  Le  armi  del  Duca  si  videro 
appese  ad  ogni  canto:  al  suono  di  tutte  le  canapane 
furono  sulla  torre  inalberate  le  sue  bandiere:  e  ii 

(ló)  Gio.  yiil.  lib.  1  a.  cap.  3. 


CAPITOLO   UNDECIMO    a5g 
Vescovo  Acciaioli  pronunziò  uu'omilia,  in  cui  fece 
Suonare  altamente  le  lodi  delle  sjippos te  virtù  del  j"^* 
Duca.  Tutte  le  città  della  Repubblica  ancora  si  det- 1343 
tero  al  medesimo (i  i):  diventò  egli  pertanto  Signore 
di  Firenze  non  colla  limitata  autorità^  colla  quale 
i  Reali  di  Napoli  più  di  una  volta  Tavean  tenuta, 
ma  con  assoluto  potere  »  parte  concessogli ,  parte 
usurpato.  Diritto  di  vita  sulle  persone^ collazioni  di 
impieghi^  imposizioni  di  tasse,  o  gabelle,  tutto  fu 
nel  suo  arbitrio:  tanto  può  un  momentaneo  accie- 
camento  prodotto   dalla  furia  dei  partiti  !  Quelli 
che  potevano  più  guadagnare  nella  mutazione  era- 
no i  cosi  detti  Grandi,  che  esclusi  dalle  cariche  ,  e 
obbligati  ad  obbedire  al    governo    dei   mercanti , 
avevano  ora  tutto  il  fondamento  di  sperare  che  il 
V  Duca,  a  cui  il  loro  rango  gli  avvicinava  più  degli 
altri,  concederebbe  ad  essi  e  favore,  e  non  piccola 
parte  nel  governo.  Uno  dei  primi  atti  del  Duca  fu 
la   pace,  e  poi  la  lega  coi  Pisani,  credendola  utile 
a  confermare  il  suo  dominio;  ciocché  dispiacque 
assai  ai  Fiorentini.  Egli  è  più  facile  l'acquistare 
gli  stati  che  il  mantenerli.  Pochi  possono  essere  i 
favoriti  nella  mutazione,  e  questi  anno  innumera- 
bili scontenti  tra  quelli,  che  speravano,  o  si  cre- 
de vau  dovuto  lo  stesso  premio.  L'animo  ancora, 
che  nell'esecuzione  deir  impresa  è  stato  assidua- 
mente vigilante,  ed  attivo,  ottenuto  il  fine,  suole  il 
più   delle  volte  rilassarsi,  quando  la  vigilanza  do« 
vrebbe  accrescersi  (^12)  .  Credette  il  Duca  di  poter 

(11)  Gio.  Vili.  lib.  1 3.  cap.  3,  e  4- 

(la)  £di  notarsi  la  lettera  scrìtta  al  Duca  dal  re  Hoberto 
per  le  inerita  che  gli  dice,  ei  consigli  che  gli  dà:  ^on  senno ^ 
non  virtù,  non  lunga  arnislà>  non  servigi  a  meritare,  uou  ven- 
dicatogli di  loro  onte ,  ti  ha  fatto  Signore  dei  Fiorentini,  ma  l<i 


a6o  LIBRO  TERZO 

^  conservare  colla  forza  quello  che  si  era  acquistalo 
diC.  ^^^'^  benevolenza,  onde  assoldò  molte  truppe  fore- 
i333  5tiere  pagate  coi  denari  della  Repubblica,  mezzo 
insufficiente  contro  una  popolosa  città,  che  sia  mal 
disposta.  Presto  trascurò  l'amicizia  dei  Grandi,  e 
si  pose  a  coltivare  la  plebe,  stendendo  il  suo  favore 
sopra  la  più  bassa  gente,  per  avere  in  essa  uà  for- 
te appoggio.  I  suoi  cortigiani,  e  ministri,  quasi  tut- 
ti forestieri,  divennero  presto  per  l'insolenza  ed  e- 
storsioni  intollerabili  al  pubblico.  Erano  suoi  prin- 
cipali confidenti  Cerrettieri  Visdomini,  consigliere 
dei  pubblici  affari,  e  dei  privati  amori,  Guglielmo 
di  Assisi  Capitano  del  popolo,  (ora  col  nome  di 
Conservatore  suo  esecutore,  e  carnefice),  e  Arrigo 
Fei  abilissimo  nell'arte  di  spremer  denari  dal  pub- 
blico. Il  suo  Consiglio  di  Stato  però  aveva  uu'arii 
di  dignità  essendo  composto  di  Prelati ,  cioè  dei  Ve- 
scovi di  Lecce,  e  di  Assisi ,  di  Arezzo,  di  Pistoja  , 
di  Volterra,  non  avendovi  luogo  altri  secolari  che 
Tarlato  Tarlati,  e  Ottaviano  Belfort:  ma  da  que- 
sto rispettabile  consesso  non  escivano  che  leggi  gra- 
vose al  pubblico,  ed  esecuzioni  sanguinarie .   Sof- 

loro  grande  discordia  ,  e  il  loro  grave  stato  »  di  che  se*  loro  pia 
tenuto ,  considerando  Tamore  che  ti  hanno  mostrato  credendoÀ 
riposare  nelle  tue  braccia .  11  modo ,  che  hai  a  tenere  ^oleudoti 
bene  governare  si  è  questo .  Che  ti  ritengUi  col  popolo  ,  che  prima 
reggeva^  e  reggiti  per  loro  consiglio  ,  non  loro  per  lo  tuo;  fortlGca 
giustizia  e  i  loro  ordini ,  e  come  per  loro  si  goveruava  per  sette , 
fa  che  per  te  si  governino  per  dieci,  eh' è  numero  comune ,  che 
lega  in  se  tutti  i  singolari  numeri;  ciò  vuol  dire  noUi  reggere  per 
se,  nò  divisi,  ma  a  comune.  Abbiamo  inteso,  che  traesti  aneli  i 
Bettori  della  casa  della  loro  abitazione,  cioè  dei  Priori  del  Palazzo 
del  Popolo  fatto  per  loro  acconteutamenlo  dal  Popolo:  rimettilt\i, 
e  abita  nel  palagio  ove  sia  il  Podestà  ove  abitava  il  Duca  di  Cala- 
vria ,  quando  ei  fue  Signore  in  Firenze:  E  se  questo  non  farai, 
non  ci  pare ,  che  tua  salute  si  possa  stendere  innanzi  per  ispasio 
di  molto  tempo.  (  Gio,  VilL  Uh.  i a.  cap.  4*) 


CAPITOLO   UNDECIMO   i6i 
frivano  lo  stesso  trattamento  le  città  suddite  della  ^ 
Repubblica:  i  suoi  Potestà  non  avevano  altra  cura  die. 
che  di  spremer  dell'oro  dai  cittadini  per  empir  le  *^43 
casse  del  Duca  «  È  molto  probabile  che  siffatte  per- 
sone cogli  stessi  mezzi  cercassero  di  arricchirsi  an- 
ch'esse; ma  il  Duca,  quando  erano  impinguate^ col 
metodo  dei  Sovrani  di  Oriente^  li  spogliava  dei  mal 
guadagnati  tesori  ;  e  questa  era  Tunica  sodisfazione 
che  dava  all'angariato  pubblico  (i  3).  Principali  per- 
sone furono  fatte  morire  per  lievi  cause,  altre  mul- 
tate gravosamente  in  denari  (i4)-  ^  questo  si  ag- 
giunse r  insolenza  ,  la  sregolatezza  dei  Duca ,  e  dei 
suoi  dipendenti  verso  le  donne  le  più  oneste,  fra  le 
quali  si  sforzavano  d'introdurre  gli  usi,  e  le  ma- 
niere libere  delle  Corti  francese,  e  napoletana,  e  so- 
stituirle alle  modeste  e  decenti  dei  Fiorentini  repub- 
blicani. Né  solo  le  comuni  dissolutezze  deturpavano 
i  suoi  cortigiani ,  ma  vizj  ancora  dai  quali  aborre 
la  natura  (i5).  Si  sparse  un  malcontento  in  tutti  gli 
ordini  di  persone;  nei  Grandi,  oltre  gli  addotti  mo- 
tivi, per  non  essere  ammessi  al  governo,  come  spe- 
ravano; nel  popolo  per  averlo  perduto;  in  tutti  gli 
Ordini  per  le  cresciute  imposizioni;  sicché  non  era- 
no scorsi  tre  mesi  che  il  governo  del  Duca  era  de- 
testato con  più  violenza  che  non  fosse  poco  innanzi 
bramato.  Non  fu  difficile  al   Duca  il  conoscere  la 
nitilazione,  e  l'odio  crescente  del  pubblico:  la  sua 
maniera  di  operare  in   queste  circostanze   fu   poco 
giudiziosa  .  Era  assai  naturale  T immaginare  che  in 
un  nuovo  principato  si  potesse  ordire  contro  di  lui 


(iBJIstor.  Pislol. 

Ci  4)  ^io.  Vill.lib.  12.  e.  8. 

(  I  r>)  Istor.  l*Ì5lol. 


a6a  LIBRO  TERZO 

7  qualche  congiura  ;  credè  di  potersi  guadagnare  V  af^ 
di  C.  fezione  pubblica  con  un'aria  di  confidenza,  e  di  si- 
i343eurezza  straordinaria,  che  giunse  non  solo  a  di- 
sprezzare, ma  a  punire  come  calunniatori  coloro  che 
gli  davano  salutevoli  avvisi.  Matteo  di  Marozzo,  a- 
vendolo  avvertito,  che  la  famiglia  dei  Medici  tra- 
mava di  ammazzarlo,  fu  con  inutile  e  mal  avveduta 
barbarie  attanagliato,  e  impiccato:  questo  terribile 
esempio  non  spaventò  altri  ;  tanta  è  la  speranza  e  il 
coraggio  dei  delatori .  Lamberto  degli  Abati  sue* 
cesse  a  Matteo  nella  delazione,  e  nella  pena  :  aven- 
dogli scoperto  che  alcuni  nobili  fiorentini  tramava- 
no la  sua  morte,  e  che  ne  tenevano  pratica  con  Gio- 
vanni del  Riccio  Capitano  di  Mastino,  ebbe  il  pre- 
mio degno  del  mestiero  di  delatore.  Questa  crudele 
severità,  senza  riguadagnarli  Tanimo  dei  Fiorenti- 
ni ,  era  atta  ad  invitare  i  malcontenti  a  congiurare 
arditamente.  Pareva  però  che  con  inaudita  leggerez- 
za il  Duca  curasse  più  le  parole,  che  Fazioni  ;  giac- 
ché, essendogli  riportato  che  Rettone  di  Gino  già  be- 
neficato da  lui  avea  sparlato  del  suo  governo ,  gli  fece 
svellere  la  lingua ,  conficcarla  sopra  una  lancia,  e 
accanto  ad  essa  strascinare  il  disgraziato  Rettone  so- 
pra un  carro  per  la  città,  confinandolo  indi  in  Roma- 
gna, ove  dalle  conseguenze  della  ferita  si  morì  (i6). 
JNon  può  esprimersi  quanto  in  una  città  loquace  ,  e 
volonteirosa  di  esaminare,  e  giudicare  gli  affiiri  pub- 
blici, siffatto  gastigo  sbigottisse  ed  inasprisse  ad  un 
tempo  i  cittadini,  vedendo  perduta  anche  la  liberti 
della  parola.  Essendo  animati  contro  il  Duca  in  si&tr 
ta  guisa  tutti  gli  ordini  dello  stato ,  tre  cospirazioni 

(16)  Gio.yiU.lib.  ia.c8. 


/ 


CAPITOLO   UNDECIMO   a63 

si  formaroDo  contro  di  lui  nello  stesso  tempo,  senza 
che  Tuna  fosse  informata  dell'altra.  Capo  della  pri-  dia 
ma  era  lo  stesso  Vescovo  di  Firenze  Acciaioli:  avea  ^^43 
egli  caricato  il  Duca  di  strabocchevoli  lodi  nella  pri- 
ma istallazione,  e  n'avea  gran  rossore.  Non  si  co- 
municando i  congiurati  delle  tre  cospirazioni ,  erano 
varj  i  progetti  per  disfarsi  del  Duca,  niuno  dei  quali 
potè  essere  eseguito,  perchè  cresciutigli  i  sospetti  si 
era  messo  in  guardia  con  molta  vigilanza ,  benché  i 
congiurati  restassero  per  molto  tempo  a  lui  occulti  • 
Francesco  Brunelleschi  uno  degli  aderenti  del  Duca 
ebbe  sentore  della  congiura  dei  Medici  da  un  Sanese 
che  v'interveniva*  Questi  però  non  seppe  nominar-  \ 
gli  altri  che  Paolo  del  Marzecca  cittadino  florentino, 
e  Simone  da  Monterappoli .  Arrestati  questi,  e  tor- 
mentati, svelarono  i  congiurati,  dei  quali  era  capo 
Antonio  degli  Adimari,  uomo  di  gran  riputazione,  e 
per  le  sue  qualità ,  e  per  la  grandezza  della  fami- 
glia. Citato,  comparve,  fu  ritenuto;  ma  il  Du- 
ca non  osò  farlo  morire .  Spaventato  dal  numero 
grande,  e  dall'autorità  dei  congiurati, non  paren- 
dogli aver  forze  da  agir  contro  di  loro,  mandò  per 
dei  soccorsi  in  varie  parti  della  Toscana,  ed  al  Si- 
gnore di  Bologna  •  Giunta  una  parte  di  questi ,  fece 
chiamare  3oo  dei  principali  cittadini ,  una  gran 
parte  dei  quali  era  dei  congiurati,  sotto  pretesto  di 
volersi  consigliar  con  loro  come  solca  talor  usare:  era 
sua  intenzione  di  arrestargli,  e  parte  farne  morire, 
parte  tenerne  prigioni,  e  spaventare  con  questa  ese- 
cuzione il  resto  della  città,  scorrerla  cogli  armati  e 
stabilire  vie  più  il  dominio.  Si  sparse  la  nuova  della 
chiamata;  e  trovandosi  tanti  compresi  nella  lista, 
che  appariva  chiaramente  una  lista  di  proscritti,  il 


a64  LIBRO  TERZO 

*  numero  dette  animo  a  ciascuno:  in  breve  tempo  le 


d^G.  ^^^  cospirazioni  si  riunirono  in  una ,  e  determinaro- 
1343  no,  in  vece  di  andare  ad  offrire  il  loro  capo  al  tiran- 
no^ di  animosamente  assalirlo.  Venuta  la  mattina 
di  S.  Anna  destinata  all'  impresa  ^  furono  a  bella 
posta  accese  delle  risse  fra  la  plebe ,  e  venendosi 
alle  mani,  comparve  ad  un  tratto  il  popolo  armato: 
si  sbarrarono  le  strade  ;  la  nobiltà ,  e  il  popolo  obliate 
le  antiche  gare,  si  abbracciarono,  e  corsero  uniti  a 
sostenere  la  causa  comune .  I  soldati  forestieri  del 
Duca,  alle  nuove  della  sollevazione^  si  mossero  in 
suo  aiuto:  molti  non  poterono  giungere  al  Palazzo^ 
e  furono  uccisi,  o  fatti  prigioni;  alcuni  vi  arriva- 
rono, e  si  unirono  alla  guardia,  ch'era  solita  star- 
^  vi.  Vennero  alcuni  pochi  dei  nobili,  che  gli  erano 
restati  fedeli ,  e  una  parte  deir  infima  plebe ^  che 
egli  avea  cercato  di  cattivarsi: ma  questi,  vedendo 
che  la  più  grati  parte  della  città  era  sollevata  con- 
tro il  Duca,  lo  abbandonarono.  1  Priori,  che  male 
accortamente  per  sicurezza  vi  si  erano  ritirati  al 
cominciar  del  tumulto,  vi  furono  come  ostaggi  ri- 
tenuti dal  Duca.  1  soldati  parte  a  pie, parte  a  caval- 
lo, ch'erano  sulla  piazza  in  di  lui  difesa,  furono 
ben  presto  vinti  dall'infuriato  popolo;  e  scesi  da 
cavallo  si  ritirarono  per  salvezza  dentro  al  Palazzo. 
Chiuse  dal  popolo  tutte  le  strade  che  conducevano 
ad  esso ,  non  restava  al  Duca  alcuna  speranza  di 
soccorso,  né  altra  difesa  che  le  mura  .Queste  erano 
assai  forti,  e  provviste  abbastanza  di  genti;  manca- 
vano però  i  viveri.  Vi  stette  assedialo  fino  al  di  5 
di  agosto .  Intanto  radunato  il  popolo  in  Santa  Re- 
parata dette  potestà  al  Vescovo  unito  a  14  cittadini 
di  riformare  i!  governo.  Tutti  gli  agènti  dei  Duca 


CAPrtÒLO  UN  DECIMO  a65 

cbé  Tennero  iti  mancy  del  popolo  furoiio  drudelmeute 
strazia  ti  9  e  fatti  in  peezi.  Tal  sorte  ebbero  un  no^  ^^ 
tiaio  del  Conservatore,  Simone  di  .Norcia,.  Arrigo  i343 
Pei,  che* fa  scoperto  nell'atto  che  Cbggiva  .travestito 
da  frate ^  ed  un  altro  Napoletano*  Il  popolai  non  si 
contentò  della  semplice  morte,  ma  gli  straniò  pub*, 
blicamente   nella    maniera  più   attoce»  Trovatasi 
intatìto  il  Duca  colle  sue  genti  stretta >  dalla  «fiime 
iiÌ'Pà1iiÀb/i6  Védéhdòsi  ridotta  a  mal  {lartito,  cerca 
iicdombda'mento .   Erano    venuti  gli  Ambuscìatorì 
èìii^esi   con  opportuno  aiuto  ai   Fiorentini.  Questi» 
insienie  col  Vescovo,  e  col  Conte  Simone  trattaro* 
no*  òol  pòpolo,  il  quale  però  ricusò  ostinatamente 
ógni  accordo  se  non  gli  erano  prìmi^: dati  nelle  ma^ 
ni  Guglielmo  di  Assisi  Conservatoiie'col  figlio,  « 
(ìerrettieki  Visdómini.  Ricusò  il  Duca;  ma  i  soldati 
fìraneesi,  che  erano  colà  racchiusi  protestarono  non. 
Toler  morire  di  fame ,  o  di  ferro  per  tre  persone  che 
non  avrebbero  neppur  salvate,  e  nella  stesala  aera 
Scoiarono  fuori  della  porta  il  figlio  del  Conserya> 
tore.  Era' un  giovinetto  di  beir  aspetto y  dì  anni  i8 
non  compiti  >  è  non  avea  altro  delitto  ohe  di  esser 
figlio  di  un  uomo  odioso.  Questo  bastò  al  popolaccio 
per  farne  scempio:  fu  trafitto  da  mil'le^colpi ,  strac- 
ciato in  brani,  e  lacerato  fino  coi  denti.  Lo  stesso 
strazio  fu  fatto  del  padre,  ch'era  stato  spettatore 
della  carnificina  del  figlio.  Chiesto  cpn  alte  grida, 
e  cacciato  ancor  esso  dai  Palagio,    fu    tagliato  in 
pezzi,  portato  in  trionfo  per  la  citià,  e  con  avidità 
ferina  ne  fu  gustato  il  sangue^  e  la  carne.  JÈl  strano 
il  vedere  come  il  popolo  riunito  possa  commettere 
delle  atroci  azioni,  di  cui  ciascuna  persona  presa 
solitariamente  non  sarebbe  forse  capace  ;  pare  che 

Tomo  11,  '  %\s 


K-.:: 


aOe  '  LIBRO  TERZO 
vsì  moitiplicfaifia  le  passioni  in  proporzione  che  il 
di"?,| numero  della  folla  cresce, e  credendo  di  fere  una 
1S43 giustizia- nasca  emulazione  di  ferocia^  e  ciascuno 
gareggt  in  superare  f;li  altri  in  crudeltà .  Questa 
brutale  occupazione  fu  la  salute  del  Visdomini^  che 
obliato  in  quel  momento  potè  fuggire  nella  notte  « 
Dopo  tante  crudeltà  con^iuciò  il  popolo  ad  ascoltare 
trattati  di  accordo  •  Dette  il  Duca  plenipotenza  di 
farlo  per  mezze»  del  Vescovo  di  X^ecce  ai  14  £le(ttiy 
e  al  Vescovo  Acciaioli  :  per  questo  trattato  il  dì  3 
di  agosto  renunziò  soleonemenjte  in  faccia  dei 
sanesi  Ambasciatori^  e  del  Conte  Simone  alla  si- 
gnoria di  Firenze^  e  delle  altre  citt^, della  Repub- 
blica ,  e  per  segno  d^lla  rinunzia  depose  d'  avanti 
ai  testimoni  il  bastone.  Parti  il  di  6  di  agosto  ac- 
compagnato dal  Cjònte  che  ai  QOnfioigriptimò  di 
confermare.la  rennnzia  •  Bitusò  sulle  prime  ^  ma 
minacciato  di  esser  ricondotto  a  Firenze,  s'indusse 
a  ratificarla»  Lasciò  atroce^  e- infame  memoria  di 
se ^  né  si  lode  del  suo  governo  e b^  la  cura  cb'ei  si 
dkede  di  riunire  glianinou  di  molli  cittadini  per 
inveterato^  ed  ereditario  ^  alieoati  (17)* 

(a;) Tedi  VUL|ib.  a»,  ^p. S.  i5.  tS.  Iftor. 


l^iìXE  DEL  Tono  Szcoif  bo 


« 


467 

LIBRO  TEfi.ZO 


A    „  .  ,  .  I  ,  t  •  '         »  I  r   ,    I 


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ti'  •  * ,,  1      f    '      1  »  • 


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ITI 
6 


;  SOMMABìIO     . 

Capitolo  I.  Slato  della  Toscana  dopo  la  morte  d^Ila 

-P         Contessa  Matilde    .     .    ,v,^,:,    7     •  ,  r,    f^?^  4 

8v    Pis^.  3ua  angine      ,  ;  ,,    -   ;^   .   .•    /.     ;,    •  jW 

ia    Sua  ricchezza   ,     ...  .,    ..^    ;  ...  ;  .  ;  ,• .,  ;  ,.•     .-  5 

1  ;    Sua  potenza.    .,    •.;,•;.,  v.  6'.rff.i.;»  ''  -  1:-  *    -'■ 

ot     Suci'imprjBse.    .     .     •.    '.    *.  ;'     '>   :^   /     '     t 

i'/.    Pam  A\^  M  ^el;  C^9^i|ir^  ^^^^^}f>  4i  L?*nJ^  t 

;,;         di  Sardina.     .1    •     •     •  ,  «.j  •    .•..,•.  \   •  7 

oK    I  Pisapl  ?ono  incestiti  dal  Papa  del  d^minÌQ 

i,      .    delk  §?i??l6gna.  . ,  . .     ..  ,.•     .•    /.    •,;.i     t  »^i 

: ,      AtUcc^no.  Paler^?.  i  r  .  v.,'  .  /  d' ,   "     '  j   •     /  ^® 

;/:     Craciate..    .....    •,;.  .'/   ,•;     •     •.    i  »^i 

;        Riflessioni  su  di  esse  ^ ,  .j   ,.  j  .j    ..     ».    ;,    ^  j  *^* 

Pane  che  vi  prendono  i^;^^i«^i}i ..     -,    .     •    ,»    /^  *<> 

i  7      Pretesti  di  Daibertq  Ar^iyesfcfly 0  di  Pisa       ..,  .^  ivi 

Dà  r  inve?titpra  di  C^s^J«pipie.3  Gofir^  ^  i  x 

CàprrpLO.  II,  Origine  4i.Ejr^pje    1  j,   -     %    r    „•    >  xa 

.  1    Estensipn^  delle. sue  mu^^   .^;  1 . .    .    ...>(.. ,    ..   *  i5 

;    Aumento  di  Popol^}oji^i    b   Ji  •     r  c'm:-.:/.  »6 

A  "  tìSftondo  e  terzo  recinto  delle  mur^    ,.    ^     ..  .^  ivi 

-.    Notizia  cc;rte. di  Fiy^M^)aVa,Cppj|ei^U,fe^^^^  ^7 

.    .     Paivdetjte  ritrovate  in  Amalfi .    •-   •.    •ni.t:    •  ^^^ 

:    .    I  Pisani  ^aji»P<ptti  d^.R^g?WÌ„nrr    ^:  ^    r,t  ,<  *9 

.  DueW;0.  ]\fcr^h^.A,T/ìfe<pq9b  ,f.    •    -i.-l  ^^ 

iJ.    Oii#il|0*|di,8iei||ft  i.,:.    .t.)  liV.:^  >   .-^  V    '.-1  ^^^ 

Estende  i;ijii^*iOO|^iii»  ^  .•,;•.'-)    ►m  ;•    m:  .4  ^' 

Sua  goverrt>i.;^..sUfl  pQt^M43,.  ♦..  a")    »     '    *i  '^* 

.  ,      Spedizione  i/<^jPÌ#at4:  i*,*>4  n*     j-fi-'^    n-  ^  ** 


(1 


i-o  I  N  t)  1  e  E 

Farinata  capo  dei  Ghibellini 7  5 

Massa  di  tessi  in  Slewa •     .  ivi 

Celebre  battaglia  di  Monteaperli ,  e  roum  dd 

Guelfi .     •     .     .75e7t5 

Capitolo  V.  Decadenza  dei  Guelfi   ......  78 

Cacciarti  da  rarie  cìtt^  di  Toscana ,  «ono  aocolti 

in  Lucca ìv» 

I  loro  beni  sono  confiscati 79 

Concilio  dei  Ghibellini  in  Empoli      .     .     .     .  ìtì 
Farinata ,  si  oppone  al  progetto  di  minar  Fi- 
renze   i\i 

Stabilimento  della  Taglia       .    ' 80 

Guerra  con  Lucca  e  con  gli  eiuli  Guelfi       .      .  ivi 

Paóe  con  Lucca;  abbandono  e  miseria  dei  Guelfi.  8 1 
Venuta  di  Carlo  di  Angiò  in  Italia    •     .     .  82  e  83 

Battaglia  di  Benevento;  morte  de!  Re  Manfredi  .  ivi 

Carattere  di  questo  Re 84 

Buina  dei  Ghibellini  in  Toscana  .....  ìtì 
Cavalieri    Gaudenti    tentano   di    pacificar  Fi- 
renze       ivi  e  85 

Riformano  lo  Stato     , ivi 

Distinzione  del  popolo  in  Ani ivi 

Nuove  dissensioni  e  tumulti      ......  ivi 

Finta  pacificazione  dei  Guelfi  e  Ghibrflmi  .     .  87 

I  GhibeHinr  abbandonano  Flréfrze      ....  ivi 

I  Fiorentini  ofirOno  il  governo  dfeHa  ^oro  città 

al  Re  Carlo,  che  vi  manda  un  VièaHò      .     .  ìtì 

Si  confiscano  i  beni  dei  Ghibiellmi      ....  88 

I  Guelfi  matóano  contro  1  Sannsi  ■    ....  89 

II  Conte  Ugolino  della  '  Glièrai41esca  caccia  i 
Guelfi  di  Sardegna,  e  vi  stafcfHsce  il  dòriiiùio 
pisnno.  •....'.....',.      ,  go 

Mossa  del  giovine  Cbrrà'drno  di  Svévìa     '.'.'.  gì 

Sùei^rime  tniprese!/^.'  .    ;'•     •     r/.     ...  ga 
Le  città  GhibèlHne^f^nò  a  gara  a  somministrai^ 

glidanaro  ed  ajuti  .     .     :    \'  \     .     f    .     .  Iti 


INDICE  57» 

Pisa  si  distingue  fra  le  altre 9* 


IVI 


Ingresso  di  Corradino  in  Pisa 

Imprese  dei  Pisani  in  di  lui  favore*     ,     .     .     .     gS 

Corradino  marcia  verso  Roma ivi 

Il  Papa  scomunica  CorradinQ  e  i  Pisani  ...     ivi 

Battaglia  di  TagliacoMO 94 

Disfatta  e  fuga  di  Corradino 'vi 

È  arrestato  e  àaXJO  in  mano  di  Carlo   ....     iv» 

Stia  morte  per  mano  del  carnefice 'vi 

Crudeltà  del  Re  Carlo  dopo  la  vittoria  .  •  •  9^ 
I  Sanesi  sono  attaccati  dal  Vicario  di  Carlo  .     .     g6 

Pace  coi  Sanesi *^' 

PoggiBonzi  disfatto 97 

Pace  coi  Pisani  • '^^ 

I  Pisani  si  riconciliano  col  Papa 9® 

Personaggi  ragguardevoli  in  Firenze  .  .  .  .  »vi 
n  Papa  pacifica  1  Guelfi  e  i  Ghibellini  ...  99 
Dopo  quattro  giorni ,  i  Ghibellini  sono  costretti 

a  fuggire .....••     'v> 

Guerra  civile  in  Pisa -,   100 

II  Re  Carlo  la  fomenta 1^^ 

I  Fiorentini  vi  prendono  parte 'V' 

Pisa  è  obbligata  ariceverla  legge  dai  vincitori,  ivi  e  loa 

Morte  di  Papa  Gregorio  in  Arezzo ivi 

Fazioni  fra  i  Donati  e  gli  Adimari  in  Firenze  .  io3 
Nuova  concordia  tra  i  Guelfi  e  i  Ghibellini,  ivi  e  io4 

•    Affari  di  Sicilia ivi 

Vespro  Siciliano ,     .   io5 

Cambiamento  di  Governo  in  Firenze .     .     •     .     ivi 
Capitolo  VI.  Potenza,  e  ricchezza  di  Pisa.     .     •     .107 

Eanensione  dei  suoi  domin) »Vi  e  108 

Suoi  stabilimenti  oltre  mare. ivi 

Rivalità  dannosa  con  Firenze    ......   109 

Sinoncello  Giudice  di  Oinarca,  cagione  dèlia 
guerra  dei  Pisani  coi  Genov«ii  .     .     .     .     .110 

Sue  imprese,  e  sue  avventure   i     .....     ivi 


2 


7 


t  INDICE 


Gombattìmeiiti  di  poco  coato ♦  i  «  « 

Perdite  successive  dei  Pisani     .     ,     •     ♦     •     •  '^^ 
Chiedono  inutilmente  soccorso  ai  VenpMani.     .  1 1 3 
Fanno  gli  ultimi  sforzi  e  affidano  il  comando  del- 
le flotte  al  Conte  Ugolina  della  Gherardesca.  ivi 

Battaglia  della  Melorìa "4 

Rotta  memorabile  dei  Pisani,  e  loro  total  deca- 
denza .  •  .  .  :  •  .  •  .  »  .  .  .  .  •  1 1 5 
Varie  eause  che  si  opposero  al  loro  risorgimento,  ivi 
Trattato  in  Firenze  per  T eccidio  di  Pisa.  .  ,116 
Lega  delle  città  Guelfe  contro  di  essa.  ...  ivi 
n  Conte  Ugolino  è  creato  Potestà  e  Capitano  del 

popolo  in  Pisa "7 

Conclude  la  pace  coi  Fiorentini» ivi 

Cede  loro  molte  castella  ........  ivi 

Fazione  in  Pisa  dei  Gherardeschi  e  dei  Viscon- 

.    ti •    •     ..  118  e  119 

L'Arcivescovo  Ruggiero  Ubaldini  anima  il  parti- 
to Ghibellino ivi 

Sua  dissimiJazione.     ....•••..  ivi 

Rottura  aperta  con  Ugolino 120 

L'Arcivescovo  è  vincitore,  e  Ugolino  è  obbligato 

a  rendersi  a  discrezione lai 

Orribile  supplizio  di  Ugolino  coi  figli  e  nipoti  .  ivi 

Riflessioni  sui  delitti  attribuitigli   .     ....  ivi 

Vicende  del  governo  di  Siena i  a^ 

Morte  del  Re  Carlo  di  Napoli 1 29 

CàPiTOLo  VII.  Vicende  della  Repubblica  di  Arezzo  .  i3i 

Potenza  dei  suoi  Vescovi . i3a 

Vastità  dei  loro  domin) ivi 

'        Carattere,  del  Vescovo  Ubertini  .     .     .     .   ivi  e  1 33 

Caccia  i  Guelfi  di  Arezzo,  e  ne  assume  il  domi- 

:     '    •     nio ,    ......     ,     .     ,  '  ./ u     •     .     ,     .     .  i34 

I  Fiorentini  si  armano  contro  Areakzo.     .     .    ^  ivi 
Gli  Aretini  si  (muovono,  et  invadono  il  terrìtorìo 

■  di  Montevarchi  ,     ...tv..     .     ^     ,     .  i35 


INDICE  173 

AI  Fiorentini  si  unisòoiào  gli  aiuti  4^^  città 

Guelfe,  e  marciano  contro  Arezzo  ,    •    •    .  i35 
Gli  Aretini  si  cbiudoQO  dentro  le,  muia  •    •    •     ivi 
'   .  l  Fiorentini,  dòpo  essersi  appressati  ad  Arezzo  « 

.  si  ritirano,  dividendosi  dai  Sanesi  «  .  .  .  ivi 
Gli  Aretini  battono  i  Sanesi  nella  ritirata  ^  «  ivi 
Passaggio  di  Ciarlo  II.  Re  di  Napoli  •  •  •  •  ^  i36 
Gli  Aretini  tentano  inutilmente  di  sorprenderlo 

.    e  imprigionarlo  *    *    •    • *    i^i 

Celebre  battaglia  di  Campaldino 137 

^  Botta  degli  Aretini .    «    .    «.    •    •    é  .  • .  « .  «  x38 
Morte  del  Vescovo  Guglielmino  libertini.    .    »    ivi 

Dante  si  trova  a  <{nella  battaglia i39 

L'indugio  dei  Fiorentini  salva  la  dttk  di  Arezzo.  i4o 
Intrepidità  degli  Aretini  in  difenderla      «    .    .     ivi 

Decadenza  di  Arezzo ,    «14' 

Guerre  di  Firenze  con  Pisa  .•«••••     ivi 
Presa  di  Calcinaio,  e  di  Porto  pisanp  «    •    .     .14^ 

Turbolenze  inteme  in  Firenze i43 

Giano  della  Bella  ..    ^    ^    ^     . ivi 

Cambiamento  di  governo ivieio4 

Pace  coi  Pisani  ......•..•..♦   i45 

Capitolo  YIII.  La  soverchia  prosperità  causa  dellf 

frequenti  sedizioni  in  Firenze  «     ,     •    ,.     «     .149 
Fondazione  dello  Spedale  di  S.  Maria  Nuova.  ;     ivi 
Ornamenti  al  tempio  di  S.  Giovanni  ;    •    •    .     ivi 
Inalzamento  della  Chiesa  di  S.  Croce,  e  4ella 
Cattedrale  di  &  Maria  del  Fiore.  .    ....     ivi 

Del  Palazzo  Yeccbio  ....•,..     ;     •     ♦   .,   i5o 

•    Terzo  giro  delle  mura.     ••..••«•     ivi 

Preminenza  dei  Fiorentini  nel  commercio,  n€Ì)e 

lettere,  e  negli  affari  politici.    •    •     •.    •  .  .   iSi 

i         AmbasciaU  al  Papa  Bonifazio  VOL     .     . ..  •  .^.     ivi 

Micidiali,  fjsziopi  neU':  istcHrie.  di  cpeati  t^pipi  «     1 5a 

Fazioni  dei  Biancbi  e  dei  Nfsri.in  Pist0)a.ii5a  e  i53 

,     Loro  crudeltà.    .     .     .     ,     *     41*..     4L.     ivi 


!i74  INDICE 

Pistojà  8Ì  dà  in  mano  mi  Pionmtiiu.    .     .     .     .  i55 
Vari  Pìsto)^,  confinati  a  Firense,  tì  recano  il 

seme  della  discordia*  ••.•••..  ìtì 
Si  risvegliano  le  parti  Guelfe  e  Ghibelline  .  •  1 56 
Potenza  della  parte  ftaoca,  o  Ghibellina.     ,     .     iri 

Perseguitata  la  Nera,  oGuetfa 167 

Corso  Donati,  di  parte  Nera,  concerta  con  Bo- 
nifazio Vili  la  ruina  dei  B«uichi    «    .     .     .     iri 
'   '    Carlo  di  Yalois  in  Firenze  «     «     •     •     •     .     .   i58 
Gli  è  data  facoltà  di  rifbmtave  il  goivemo     •     •     iri 
Corso  Donati  entra  a  mano  armata  in  Firense  •   iSg 
Crudeltà  che  duttirono  6  giorni  •  .      •    «     .     •     ìtì 
*     '   Edilio  della  parte  Bianca      .     .     .     •     .     •     .160 
'     '  Partenza  di  Carlo  .     .     •     .     •     .     .     .     •     •     ivi 
Proseguono  l'esecuzioni  eontro  i  Bianchi      .     »     ivi 
Fatti  di  arme  fra  i  Bianchi  esuli  ed  i  Neri    •     .161 
Nuove  divisioni  in  Firenze  per  opera  di  Corso 

Donati « i6a 

I  Lucchesi  sono  chiamati  a  Firenze  per  pacifica- 
re la  città ivi 

"^  '      Benedetto  XI  v'  invia  il  Cardinal  da  Prato    .     .   i63 

'        Inganno  usato  dai  Guelfi ivi 

Lanciafnò  un  fuoco  di  artifizio  sulle  case  e  botte- 

'    •    ghe  dei  Cavalcanti  • i64 

'         Danni  che  tke  resultane ivi 

n  Cardinale  tenta  hrvano  di  rimett»^  i  Bianchi 
*  •  in  Firenze    .*    %     i     .     .  ■  ;     .     .     .    ivi  e  i65 
Roberto  Duca  di  Calabria  è  chiamato  dai  Guelfi-  16S 

-Assedio  di  Pistoia  .     .     .     .     ^    ' ivi 

Firenze  è  interdetu    .........   167 

Morte  df  Còi^so  Donati    ; 168 

Agitazioni  in  tutte  le  Repubbliche  di  Toscana .  169 
Statodell'Itiliarvet^il  i3io   ...     ...    ivi 

-     Annunzio  <d^à  '  disolea  délPIaiperatore  Arrigo 
"VHte  Italia.     ;     ....*.....  170 

Firenze  gli  si  oppone 171 


INDICE  ^yr^. 

Arrigo  giunge  à  Torino  .     .     .   '.     .     .     .     .173 

Lettera  che  gli  scrive  Dairte .     .  '  .     .     .     .     .     ivi 

1  Fforenlini  son  posti  al  bando  dell' Ithpwo .     ;   174 
Arrigo  entra  in  Pisa  .     .     .     .     .     .     .     .     -^    ivi 

S'incammina  verso  Roma    .     •     .     .     .     .     i  178 

È  coronato  in  San  Gio.Laterano  .     .     .     -'    ^     ivi 

Si  muove  contro  Firenze j     i     ivi 

Dopo  due  mesi  è  fed^fctio  a  rìlìrapsi .  .  .^  i  178 
Muore  a  Boncorlvento.  *....'..•.  ivi 
Origine  di  Uguceionfe  ietta  Paggiòla  .  .  .'  i  180 
Suo  valore  e  sue  imprese.     .     .     •     .     ^     .     .181 

S'impadronisce  di  Lucca i8a 

Tenta  di  sorprender  Pimoìa.     .     .     .     .     .     :   i83 

Battaglia  di  Montecatini .     .  '  .     .     .     .     .     .   i84 

Bravura  e  vittoria- di  Ugucciorie     .     .     .  '  ' .     .   i85 
Personaggi  clie  vi  perirono  .     .•     .     '.  '    .     .'.186 
Principj  di  Gastruccio.     .     .*  .     .     .     .    ".     .188 

Gelosia  che  desta  in  Ugilcclone     :     .     .     .    '•   189 
È  fatto  arrestare  dal  di  lui  figlio    .    \     ...     ivi 
Non  osa  ucciderlo,  e  Io  tien  prigione  .     ...     ivi 

Liberato  dal  popolo,  Gastruccio  è  dichiarato  Si- 
gnóre di  Luéca 190 

LIBRO    TERZO 

SOMMARIO 


,  f 


^ 


Càpitoho  IX.  Vemita  dì  Lànd<^  di  Agubbiò  ^h  Fh 

Fenze  •.    •.     .     .    ■.     .     %     v     .  ■  .     .     .     .  191 

Fa  battere  faba  moneta  «...     i     .     .    '.  192 

Paee  dei  Pisani  e  Lueohed  ^oUe  èktk  Oitt^lf^    .  ivi 

llgocciode  tenta <invano  dt'rienir«re4n'Pi^.  -' .  ivi 

Milita  al  servis&io  dei  Signort ideila  Setola.    '.     .  ivi 
'        Dispute  tra  Siena  e  Massa.  "  .    '.    ^     ."   .     .     .193 

MòVJnieiili  civlb  id  Siena.    .     .^'  '.■.••'.     .  ivi 
Matteo  Visconti  eecita  Gastruccio- contro'^f  Fio- 

remitoi.    >     .     .'    .-  .    JV^  V'^^i  "'J^'^'.^-'. '^  .  it)4 


/ 


a7«  INDICE 

Casfniccip  pone  a  sacco  le  loro  terre .     .     -     -195 
Marcia  contro  Genova^  indi  si  ritira  ....     ivi 

liCga  dei  Fiorentini  col  M.  Malaspina.     •     .     -196 
Cessa  in  Firenze  la  Signorìa  del  Re  Roberto    .      ivi 
Pistoia  divien  tributaria  di  Castruccio.    .     •     •    ^97 
Castruccio  si  avvicina  a  Prato  ......     ivi 

I  Fiorentini  si  armano,  ed  ei  si  ritira.     .     ivi  e  198 

'  La  sua  testa  è  posta  a  prezzo  dai  Pisani  •     .     •    199 

Tenta  d'impadronirsi  di  Fuceccbio    ....     ivi 

L'Abate  di  Pacciana  divien  Signore  di  Pistoia  •  aoo 
D  di  lui  nipote  lo  caccia,  e  dà  la  Città  in  mano 

di  Castruccio , aoi 

Guerra  vigorosa  dei  Fiorentini  contro  di  lui    .   %o% 
Si  cbiude  dentro  Pistoia  ....     t     ...     ivi 
I  Fiorentini  assediano  Àltopascio,  e  se  ne  impa- 
droniscono  ao3 

Vittorie  di  Castruccio ivi 

Si  avanza  sino  a  Signa 206 

Fa  correr  dei  pai)  a  Peretola vn 

Riprende  Altopascio  •     •     . rri 

Pompa  trionfale  di  Castracelo ao^ 

Congiura  contro  di  esso  scoperta   .     .      ao8 ,  e  909 
Seguita  a  infestar  le  terre  dei  Fiorentini  ...     ivi 
Giunge  in  Firenze  il  Duca  di  Atene    .     .     .     .aio 
Castruccio  y  e  i|  Vescovo  di  Arezzo  suo  alleato 

tono  scomunicati    .  an 

Nuova  congiura  oontto  Castmocòo,  ugualmente  . 

scoperta  ,     .     ,     , ai* 

I  Ghibellini.  oflGroQo  la  corona  imperiale  a  Lo- 
dovico Dilea  di  Baviera    si4 

Q  Duca  ^  -mo^e  »  ed  è  incontrato  a  Trento  dai 

printfipdi^  Signori  italiani. m 

E  coronato  in  Milano*     ..'•.' >▼* 

Giungea  Pqntrempli»  e  si  abbocca  con  Ca^uvc- 

S'incammioano  con  esso  alla  ^olu  di  Pia»  .    •    ^^ 


i  M 


INDICE  «77 

'  '  '  Vi  èntf ino  dopo  l'assedio  di  un  mese.    .    'v     i  2 1 6 

'  -^  Castruccio  è  creato  dal  Bavaro  DUcia  di  Luc<?a^ 

"'-        e  di  altre  citta  della  Toscana.    .    *.  •    '»  ^'7 

:  -  Parte  con  lui  per  Roma  ...     •     •     •   '^»»  ^  2>8 

'  '  Ingiustizie  e  crudeìtìi  del  Bavaro   *     •     ;     -^    ^     ivi 

'  '  '  Canniccio  lo  fa  èorotiare  Imperatore  m  Romii     ivi 

•   '  Splendidézza  di  Castruccio .     .  '  .     >   .     .  ^'i     ivi 

^  È  creato  Vicario  Imperiale,  e  Senatoi'e  di  >R0ma.     ivi 

'   n  Bavaro  depone  il  Papa  Gio^.  XXIL ,  e^ftt  eleg- 
gere NiccóW  V.     .     .     .     .     .'    i     -5it«9  è  aao 

^'^"^  Càsiruècio  perde  Pistoja       .     .•.■.•»     .     ivi 
'     Ritorna  precipifosatnénte  dàRoina-    .     V     .     .  2-21 

^  "^  S' impadronisce  del  governo  di  Pisa  .  •  :  -  j^.  ivi 
Marcia'  contro  Pistòla!;  e  lai  fcitìge  di  assedio,  ivi  «  233 
Crudekh  di  Caétrucriò  contro  i  rJbefti'  '.  .  '  i  ivi 
Pistoia"  è  costretta  a  capitolare  .  ,  .  .'  •  ivi 
Morte  di  Castrucciò.  .  ..•.'.'-'.  •  aa^^ 
Suo  carattere,  e  sue  qualità  U  .  .1  .  *  -  a84 
''     I  snoi  figK  perdono  la  Signori»  di  Pisa  e.  di 

.'     Lucca       ."  ;••'."•.■■   '.•'  .'•"•{  '•  ."  \  '••''  •"    ^  ^^5 

(Capitolo  X.  RMbrma  deHo  state  di-  Fircwri    .-     .^    .  11&6 

'    "  IlTBaVaro  e  l'Ahtfijapa  giungotié  ^  Pisa:  .     •     [  i^^j 
Estorstottì  del;Bàt^d     .    v    '.     .    i     -     '    *^*8 

»i   "  Ritorna  in  GenrfaYiià       i     .     v    ;     .    j.   «j    .  aag 

'^   •    Discesa  in  Italia  di  Gioi  Re  di  Bdemitf    .  •  .     i     ivi 
Marco  Visconti  occupa  Lucca-,  e  l' offre  in  com- 
pra ai  PitoréMini  ^  .     ,     i     .     i>    J     ;     4    V  a3o 
ITibrentliii  rJcusanty  di'  comprala     >.     •  '  .     }     ivi 
L'Antipapa  abiura,  è  consegnato  a  Giovannr,  e 

^  muore  iri  Avignone'  :  ;  .  :  •*  .  .  .  '.'  a3i 
Lucca  *  comprata  da  GheràrdlttO  Spinoh  .  1  ivi 
L' offre  a  Gio.  «e  di  Boemia  :  .  »  :  ' .  .  .*  aSa 
I  di  lui  soldati  se  ne  impadroniscono;  e  tìon 
•  mantengono  i*  patti  -alfe-  Spinola" ."  '  .<  •.  -  .  233 
Piccole  guerre  tra  Pisa,  Mfissa  «  Siérfà  .  •  V  !  a 34 
Fabbrica  di  Firenzuola ivi  e  a35 


i  .'I 


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07?  INDICE 

l^gik  dei  FioiretiUm  coi  Signori  I,4>inbitr4i   •     »     m 

ÌBimdkt^ne  ìm  Ficeose .     ^     .,,.«•    •  «36 

r   Morte, di  Papa  Qioyaimi      .......  ^3j 

Guerra  di  Arezzo  e  Perugia     ......  %3g 

Capitano  .di  guardia  hi  Ficcwze*    ....     .,    .     •  a4o 

D^fp.'dv^  a«(U..a'è  aboliui  la  ^axùca  .     .     .     .     rri 

Prigione  della  Famiglia  della  $cala     .     .     .     .     rti 

FKOgrejsfsi  della  ana  grande^^a .     .  .     .   »4i 

IfaMìpO'Cpifipra'Liicqa  .  .  ^     .  .     ivi«  ^a 

I  (  Fiorentini,  tentano    inutilmente    dj  ,  acqui- 

.    4arla   ..     .     .     .     .     ,   -.     ^     ..    ..    ivi  e  ^43 

,    .   Guerra  di  Maatinf  cpntro  di  easi  ^     •     •     •     »     iri 
/.     yarie  yic^ndedi  es^    ...    ...     .  .  ., ,,.  ,  ivi  e  a44 

l^er^^  K«^  iiia^ia.cQntrpiM^tipQ    ,.^    .     .     iri 
/  ì     Cooae]:va  4ew|>r6  h  aup^i^rjU^  Qo^Ut^  ìe  di  )uj 
I /.         truppe  .     .     #     ,.    •    -r .  f»  .  «     »   •^.^.    .    '•    l'fi 
'  -^     Mastino  tenta  di  fareuccider^Piei^  da^  ^pi*  ì^i  ^  ^4^ 
Arezzo^  alleata  di  Madino»  #i  d^  per  lo^^nni  ai 
'<  FiomUtitli  .1.  ■■»•..-'  .:  .-.(.-..j  •,  ^    *. ,  •    »    iti 
r'    '*  Pier  dei  {to^si  prenda  P^adova^i  e  muoi^  sftto 
^v■,    .    Mooselio^i.  .-    *    ^     ^   ....    f.,.-'.  •./ •.   •  *4^ 

-  V ..  Pace  deitFi0De«tìni  con  MaalÀO;.  f  ..  ^kj  e  ^4^ 
CoTOLO  XJ.  Fallin^entp  dellaj(il9^pp|ppiffiif,.dei  Pe* 
(  *  iiuzsri  e  dei  Bardi  in  Fir§|i?so,  .  ,  f.  ^.  •.  •  ^4$ 
I/i  Panni .chaaei^ndejépittìl  .^  .  ;.  .  < .  .  .  s5o 
Ciawstiii  »*«  •.>  •  «•  •  ,,.,.,^'«  Iti 
<'' .  An4>atfciata  dei  Romani  ai  Fioiven^nz  •  ...  iri 
vi     Ongiiira  coitflPK» M  tRT^tWi  delUf Bj^p^bbliqp ^ 

1  '  *  (juQrra  coi  Pisani  per  Vnoqp^pllp  ài  huo^   •.    .  s5> 
I  Pisani vj  j^Pl^gim^rafi^jedì^   «     •     .     .   ...,  f    in 
e.     Coinpriino.  ramiciat^.de)  Visconti  ppa  nn  tra* 
dìmi^nlo  '   '•    »•    •    •  1.  »• .  «    <    .    :.    »   Iti 

Ro9ìpono.  i  f^iotentiw  .     .     .,    ^     .     .     .    .  ^M 
•  flntrano  ialiucoata  piQtti  ..',.,,..     .     ^    ^  aSS 


>  * 


INDICE  ^'jQ 

Gualtieri  Duca  di  Atene  è  scelto  per  regolatore, 

e  protettore  di  Firenze 255  e  21 56 

Sua  origine ,  suo  carattere ivi 

Esercita  severa  giustizia ^5^ 

Dimanda  la  Signoria  di  Firenze   .     .     .    255  e  a58 

Gli  è  ceduta  per  un  anno ivi 

È  dichiarato  Signore  a  vita ivi 

Fa  pace  e  lega  coi  Pisani 2  59 

Trascura  l' amicìzia  dei  Grandi 260 

Fa  molte  estprsioni,  e  rigorose  esecuzioni,  ivi  e  261 

Vizj  del  Duca  e  dei  cortigiani ivi 

Indignazione  generale ivi 

Ingiuste  e  inutili  crudeltà  del  Duca    ....  262 
Tre  cospirazioni  si  formano  a  un  tempo  contro 
di  lui       •••     ^     ....••    ivi  e  263 

Una  di  ^^^  è  svelata ivi 

I  congiurati  si  riuniscono     ••••...   264 

Assediano  il  Duca  in  Palazzo ivi 

Crudeltà  del  popolo ivi  e  265 

n  Duca  è  cacciato  di  Firenze,  dopo  averne  ri- 
nunziata  la  Signoria     • 266 


I 


•  * 


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(       •