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Full text of "Subalpino : giornale di scienze, lettere ed arti : Rivista Italiana"

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Non  ita  certandi  cupidns  quam  propler  mnorcui. 

LUCREZ. 


kWiO    11. 

■'««CIMI 


^Vluntc  |)rim0 


TORINO,   1857 

STAMPERIA    GHIRINGIIELLO    E    COMI». 


# 


lìVDICE 


DELLE    MATERIE    CONTENUTE    NEL   PRIMO    VOLUME 


INTRODUZIONE nag.       i 

Dell'  insufficienza  della  psicologia  come  punto  di  par- 
tenza della  Glosofia.      w »       5 

Nuovo  Saggio  sull'origine  delle  idee  di  Antonio  Rosmi- 
ni-Serbati ecc.        M.   Tarditi »  209 

O         •    •    •    \   —  Esposizione   del  Sistema  filosofico  del  suddetto  Au- 
tore.    Art.  I.     N.  Tommaseo «  229 

Id.  Art.  a.  Id.  „   3i3 

Id.  Art.  3.  Id.  »   409 

Etudes  sur  l'economie  politiqiie  par  /.  C.  L.  Simonde 
de  Sismondi.     S.  Battagliohe »   io5 

Etudes  législatives  par  I.    N.        Id >i  248 

Del  Codice  civile  per  gli  Stati  di  S.  M.  il  Re  di  Sar- 
degna.        Id »  5o5 

SCIENZE    SOCIALI      I  Atti  di  governo  e  di  economia  pubblica.  Di  alcuni  prov- 

ED  /         vedimenti  recentemente  pubblicati  in  Piem.  ecc.  Id.  »  3oo 

AMMWISTRATIVE      1  Pri^jo  saggio  di  rivista  critica  su  Torino.      R.     .     .     »  4or 

Saggio  di  statistica  del  R.  Manicomio  di  Torino  del 
Dott.  Coli.  Bonacossa  Medico  assistente  di  detta 
Manicomio.        A.  C.  Maffoni  Mcd.  Coli.       .     .     »   146 

Considerazioni  sulle  teire  incolte  del  Piemonte,  ecc. 
Aw.  T.  Plebano ).     88 


SCIENZE  STORICHE 


SCIENZE     MEDICHE 


LETTERATURA. 
STRANIERA 


LETTERATURA 
ITALIANA 


Documenti  di  storia  italiana  copiati  sugli  originali  su- 
tentici  e  per  lo  più  autografi  ecc.      uontezebolo.   »     60 

La  Letteratura  e  l'  Archeologia  greca  come  il  più  an- 
tico e  più  forte  legame  fra  la  Grecia  e  il  resto  dell' 
Europa.     Trad.  di  T.  G »  428 

Storia  Patria  —  Paleografia.     S.  Battagliqbe.     .  »  34» 

Notizie  sopra  alcune  monete  battute  in  Piemonte  dai 
Conti  di  Provenza  ecc.      G.  di  S.  Quiktino.  «  547 

Plinio  l' antico.     Tui.lio  Dandolo. »  53 1 

Dell'  Omiopatia  in  Vienna.     L.  Valerio »   i36 

Patogenia  dell'  idrope  del  Dott.  M.  Borgialli.  A.  C. 
Maffoki  Med.  Coli »  279 

Brevi  riflessioni  sull'  art.  inserito  nel  Subalpino  ecc. 
intitolato  :  Esposizione  ed  esame  critico  del  sistema 
frenologico  ecc.     Med.  D-R »  4^' 

Risposta  alle  brevi  riflessioni  del  Med.  D-R.  suU'  art. 
inserito  nel  Subalpino  ecc.  intitolato  :  Esposizione  ed 
esame  critico  ecc.     A.  C.  Maffoni  Med.  Coli.    .     »  588 

Biilletin  des  Eaux  d'Aix  en  Savoie »  4^4 

Olla  Podrida.  -  Dialogo  tra  un  Spagnuolo  e  un  Ita- 
liano.   »     19 

II  doppio  giuramento.     Y »  377 

Della  poesia  lirica  e  di  Uhland.     Y »  ^Sg 

Di  alcune  traduzioni  dall'  inglese  e  in  particolare  del 
Pellegrinaggio  del  giovine  Aroldo  ,  recato  in  italiano 
da  Giuseppe  Gazziiio.  »  569 

Scènes  de  la  vie  italienne  par  Méì'j.    S.  Battaglione  »  383 

/  Dell'  amor  patrio  di  Dante »  359 

Orazioni  dei  professori  Boucheron   e  Paravia.      G.      »  285 

Il  buon  fanciullo.  Racconti  di  un  Maestro  elementare 
pubblicati  da  Cesare  Cantù.     S.  Battaglione.  .     »    i85 

Il  Giovanetto ,  il  Galantuomo  ,  il  Carlanibrogio  di  Mon- 
tevecchia  ed  Inni  sacri  di  Cesare  Cantù.      Id.         »  4^8 

Il  libro  dell'  adolescenza  compilato  da  Achille  Mauri  »  igS 

fl   Ulrico  e  Lida.  Novella  di  Tommaso  Grossi.     C.  B.    »  171 

I    Emesto  e  Clara.  Novella.    Carlo  Marengo.    ...»  83 

\  Poesie  inedite  di  Silfio  Pellico  da  Saluzzo.        Id.        »  4^^ 


LETTERATURA 
ITALIANA 


FILOLOGIA 


Versi  di  Agostino  Gagnoli  Reggiano.     C.   Marekco.     «  289 
Sopra  l' Erodiano  tradotto  da  Pietro  Manzi.     C.  D.    »   i54 
Ciriffo  Calvaneo  composto    da  Lucca  de  Pulci  a   peti- 
zione del  Magnifico  Lorenzo  de' Medici.      G.      .     »   178 

Studj  poetici  di  Luigi  Rocca.     G »  4^4 

Le  bellezze  della  natura.  Inni  di  A.  Buonfiglio.     mm.  w  479 

Commedie  di  Carlo  NovelUs »  388 

L' Iride.       montezemolo »     9^ 

Vita  Francisai  Canaveri  Monregalensis   Medicinae   Pro- 
fessor  in  Taurinensi   Athenaeo.   Auctore    Laurentio 

Martinio.     montezemolo »  4^2 

La  Mitologia  descritta    e  dipinta   ossia    storia    metodica 

universale  de'  falsi  Numi  ecc.      P «  297 

Grammatica    francese.  Esercitazioni    per    gli  studiosi    di 

Gioachino  Simondi.     F.  C »  299 

Dizionario  Geografico-Storico   ecc.   del  professore  Gof- 
fredo Casalis.     G »  288 

Dizionario  Biogi-afico  de'  Magistrati  e  Giureconsulti  in- 
signi della  Monarchia  di  Savoia  di  G.  M.  Regis.  S.  B.  »  604 
Piccola  Biografia  di  Donne  illustri  Alessandrine.     P.     »     93 

Alcuni  capitoli  della  prefazione  alla  nuova  edizione   del 
Dizionario  del  Tomjnaseo.      T n     ni 


Ode  di  Melino  o  Melinno  alla  città  di  Roma.    C.  D.  »   198 
Arnoldo ,  Veglia.      Agostino  Cagnoli »  490 


BELLE   ARTI       |    Lettera  X.  Musica  vecchia  e  Musica  nuova.      B.      .     »  891 
J   Giovanni  Migliara.      Y »     96 


NECROLOGIA 


ANNUNZJ 


Lettere  inedite  di  Luigi  Bossi  a  Giuseppe  Grassi.  »  486 

Lettera  di  Pietro  Giordani »  200 

Lettera  inedita  di  Vincenzo  Monti  a  Luigi  Rossi     .     w  497 

Di  un  Istituto  italiano  aperto  in  Parigi »  407 

Di  una  edizione  per  associazione  alle  opere  di  Rosmini  »  3 1 1 


Notizie  diverse pag.  204  5o3 

AhHURZI    di  BlBLlOGRAFU i>     Io3    207 


*^i  §cffon  ^ciKfoCt 


M^  orti  per  le  proprie  intenzioni  ed  inanimiti  dai 
conforti  degli  onesti  (^poiché  anche  le  cose  scientiji-^ 
che  e  letterarie  hanno  la  loro  onestà^  gli  Estensori 
del  SuBALPiiso  intraprendono  il  secondo  anno  della 
loro  carriera.  Eglino  non  diranno  che  in  essa  ab- 
biano sempre  raccolto  fiori  né  frutti  assai  meno  y 
ma  ne  anco  ebbero  ad  incontrar  triboli  ad  ogni 
passo  y  e  le  pia  felici  speranze  sorrisero  sempre 
ai  loro  conati  y  e  li  sostennero  nelV  ardua  via. 
Le  loro  faticJw  comunque  umili  e  poche  y  non  fu- 
rono però  in  tutto  trovate  vane  e  dispregievoli. 
Essi  dunque  non  le  hanno  ora  rifiutate  fastiditi^ 
come  da  taluno  y  non  diremo  se  si  temesse  o  se 
si  desiderasse ,  ma  certo  si  susurrava.  Anzi^  come 
vedete ,  essi  si  apparecchiano  ad  affrontarle  di 
bel  nuovo  coraggiosi  y  e  a  sostenerle  queste  fati- 
che y  quantunque  ne  li  aspettino  forse  m,aggiori 
pericoli  di  biasimi  e  di  censure^  avvegnaché  queste 
spine  si  attacchino  tanto  più  avide  e  tenaci  alle 
cose  y  quanto  più  le  medesime  sembrano  alzarsi  a 


maggiore  solidità  e  chiarezza.  Nulla  di  meno 
quello  stesso  spirito  di  moderazione  ^  d'  imparzia-- 
lità  e  di  concordia  per  cui  si  distinse  per  lo  pas- 
sato il  nostro  Giornale  ,  continuerà  sempre  fedel- 
mente a  scorgere  tutti  i  suoi  passi  futuri.  Nella 
varietà  delle  dottrine  che  in  esso  verranno  trattate  ^ 
ci  vedrete  sempre  ^  o  lettori^  mirare  ad  una  meta 
costante  y  quella  del  miglioramento  positivo  della 
umanità.  Nella  ricerca  del  vero  e  del  giusto ,  del- 
V  utile  e  del  bello  ^  questi  quattro  grandi  elementi 
della  destinazione  umana  e  socievole  y  avremo  sem- 
pre per  guida  la  ragione  suprema  ,  intima  e  rela- 
tiva delle  cose  francheggiata  dall'  esperienza.  Cosi 
evitando  di  declinare  negli  estremi  che  quando  non 
siano  pur  sempre  fallaci  y  sono  però  sempre  peri- 
gliosi y  tutto  ciò  die  crederemo  sanamente  vantag- 
gioso per  la  società  e  per  gV  individui  verrà  da 
noi  incessantemente  scelto  e  professato.  Nelle  cose 
specialmente  letterarie  od  attinenti  alle  belle  arti 
più  che  ad  un  sentimento  verso  ad  un  bello  esteriore 
e  di  pure  forme  ^  noi  guarderemo  alt  intima  bel- 
lezza ^  e  pmcureremo  d'  invaghire  le  menti  di  un' 
estetica  pia  di  morale  che  di  nuda  fantasia.  Nella 
critica  poiy  in  questo  campo  cosi  furiosamente  eser- 
citato e  cosi  intristito  ,  dove  per  lo  piti  trovate  come 
neir  empia  boscaglia  dei  suicidi 

»  Non  fiondi  verdi ,  ma  di  color  fosco  ; 
»   Non  rami  schietti ,  ma  nodosi  e  'nvoìti  -, 
»   Non  dolci  pomi  ,  ma  stecchi  con  tosco  -, 

*  Pakte.  Inf.  Canio.  XUl. 


e  dove  ogni  spiccar  di  foglia^  ed  ogni  romper  di 
fronda  mette  un  guajo  e  sangue ,  qui  in  questa 
foresta  noi  procederemo  cauti  ^  benigni,  dignitosi. 
Perciò  nella  critica  prenderemo  piuttosto  ad  esa- 
minare le  opinioni  nei  loro  lati  meno  avvertiti ,  che 
a  combatterle  e  a  condannarle. 

Con  questi  intendimenti  vorremo  y  o  lettori,  che 
aumentato  in  pria  il  numero  di  coloro  che  si  de- 
stinano   alla    coltura    delV  intelletto  e    del  cuore , 
s"  insinuasse  poi  negli  animi    di    ciascuno    un  a- 
more ,  una  simpatia  ^  un  desiderio  per  ogni   cosa 
die  né'vari  rami  dell'  umana  intelligenza  risulta  di 
buono ^   di  sensato,  di  ragionevole  e  di  onorando. 
Bello  sarebbe  il  poter  far  sottentrare  a  quello  spirito 
di  frivolezza  e  di  scetticismo  che  non  è  ancora  del 
tutto  scacciato   dal   santuario    della    scienza ,    un 
cidto  più  eletto ,  ponderato  e   severo.    Salutare    il 
comporre  a  saviezza  gV  ingegni  di  soverchio  con- 
fidenti ,  placare  le  passioni  innovatrici^  e  volgerne 
V  ardore  a*  fini  più.  stabili   e  sicuri  e  pero  niente 
meno  nobili  e  generosi.  Ottimo  infine  sarebbe  il  po^ 
ter  avvezzare   gli   animi  a  trovare    negli  studj   e 
nelle  lettere  un  invito  ed  una  norma  per  giudicata 
rettamente,    per    onestamente    interpretare,    e   per 
comprendere  e  godere  giudiziosg,mente  i  frutti  delT 
umano  sapere  e  della  civile  prudenza.  Per  ciò ,  o 
lettori,  noi  vorremmo  che  a  costo  di  parervi  ancora 
talvolta  accigliati  e  disameni  voi  raccoglieste  tutte 
queste  impi-essioni  dalle  pagine  nostre ,    e    brame- 
remmo che  in  esse  voi  trovaste  pri/nieramente    un 


4 

alimento  sano  e  sustanzioso  ^  e  poscia  se  V  inge- 
gno  ci  consentisse  somministrarcelo  j  piacevole  an- 
che e  leggero. 

Invogliarvi  allo  studio  delle  cognizioni  utili  e 
gentili^  occuparvi  nelV  amore  e  neW  istruzione  delle 
patrie  cose  ^  accomunarvi  tutte  quelle  intellettuali 
ricchezze  che  i  progressi  vanno  ogni  giorno  con- 
quistando  e  spargendo  in  Italia  e  nelle  altre  parti 
del  mondo  incivilito  y  comunicarvi  col  mezzo  di 
questo  Giornale  più  che  le  specolazioni  paHicolari 
de'  suoi  Estensori  y  quelle  che  già  hanno  provato 
altrove  il  giudizio  dei  dotti  ^  e  V  azione  pratica 
dell'  esperienza  y  ecco  y  o  lettori y  quanto  ci  propo- 
niamo di  fare  per  piacervi  e  per  giovarvi.  Ad  un 
tal  Jine  già  vi  è  noto  cJw  abbiamo  posto  e  che 
poniamo  tuttavia  V  opera  nostra  per  estendere  le 
nostre  corrispondenze  y  il  numero  de  nostri  colla- 
boratori y  e  più  di  tutto  ancora  le  nostre  cogni- 
zioni. Ond^  è  che  vedrete  inserite  nel  Subalpino 
di  questo  nuovo  anno  non  solamente  memorie  ori- 
ginali y  ma  analisi  d  opere  ,  riviste  critiche  y  ed 
alle  notizie  bibliografiche  y  arrogersi  pur  anche 
quelle  di  cose  naturali  e  di  arti  meccaniche.  Tali 
sono  i  nostj'i  disegni  y  i  nostri  tentativi')  le  speranze 
nostre  y  i  nostri  pj^emii.  Leggitori y  se  li  trovate  ge- 
nerosi y  confortateli  col  senno  e  coir  opera  vostra. 


5 

Filosofia  —  Dell'insufficienza   della  Psicologia  come  punto 
di  partenza  della  Filosofia.  Art.  com. 


11  sig.  Adolfo  Garnler  uno  dei  più  distinti  allievi  del  cele- 
bre Cousin  per  rendere  ,  com'egli  dice,  più  agevole  l'intelli- 
genza della  filosoCa  del  suo  maestro  pubblicò  una  compilazione 
fatta  dagli  scolari  delle  lezioni  tenutesi  nell'  anno  1818,  delle 
quali  nei  Fragmens  philosophiques  non  si  aveva  che  il  pro- 
gramma *i.  Abbiamo  letto  con  avidità  queste  spiegazioni  per 
cercarvi  una  risposta  alle  difficoltà  che  l'illustre  Schelling  rom- 
pendo un  silenzio  di  vent'  anni  ha  mosso  contro  la  nuova 
scuola  francese  in  un  opuscolo  assai  noto  5  ma  dobbiam  con- 
fessare di  non  averla  potuto  rinvenire  poiché  per  quanto  ci 
parve  da  questo  lato  le  lezioni  pubblicate  dal  sig.  Garnier 
nulla  aggiungono  a  quanto  si  conteneva  nelle  opere  del  fon- 
datore di  quella  scuola. 

Il  vero  ,  il  bene  ,  ed  il  bello  sono  rivelati  all'  uomo  dalla 
ragione,  insegna  il  sig.  Cousin.  Così  mirava  egli  a  toglier  di 
mezzo  molte  difficoltà  che  si  opponevano. a  varie  scuole  e  sistemi, 
a  quello  per  cagion  d'  esempio  che  riconosceva  come  misura  e 
norma  del  bene  il  senso  morale,  facoltà  essenzialmente  personale 
e  soggettiva.  Per  liberare  da  un  egual  rimprovero  i  dettami 
della  ragione,  Cousin  avverte  che  questa  non  può  dirsi  propria 
dell'  individuo ,  se  non  quando  si  fatti  dettami  entrano  nel  do- 
minio della  riflessione,  operazione  questa  individuale  nella  quale 
Xio  si  trova   come   elemento   indispensabile.  Ma  il  sig.  Cousiu 

*i  V.  Subalp.  maggio  i83G  distr,  a.»  pag.  i45. 


6 

crede  ài  aver  afferrato  la  rivelazione  primitiva  delle  verità  ra- 
zionali in  ciò  eh'  egli  chiama  percezione  pura  (  appérception 
pure  )  base  e  fondamento  secondo  lui  d'ogni  verità  riflessa. 
In  sì  fatta  guisa  ci  sembra  che  la  difficoltà  sia  allontanata 
ma  non  risolta.  Partendo  sempre  dal  punto  di  vista  psicologico 
e  cosi  dalla  natura  umana,  considerando  cioè  la  natura  umana 
isolatamente  e  separatamente  da  quel  tutladi  cui  ella  non  è 
che  un  anello,  non  vi  ha  moda  di  escludere  che  anche  le  ri- 
velazioni primitive ,  le  percezioni  pure  abbiano  un  carattere 
soggettivo,  come  non  v'ha  modo  di  dimostrare  che  la  ragione 
istessa  rivesta  1'  autorità  dell'  assoluto  e  sia  competente  a  sta- 
bilirlo. Questo  è  precisamente  il  rimprovero  che  fa  Schelling 
alla  francese  filosofia  :  Nous  voìld  dono  rèduits  à  la  nature 
humaine.  S'accorga  o  non  s'accorga  l'uomo  della  personalità 
della  sua  ragione  nell'istante  djUa  percezione  pura,  sia  o  non 
sia  manifesta  in  quest'  istante  1'  azione  dell'  io ,  fatto  sta  che 
la  sola  presenza  del  medesimo  basta  a  distruggere  o  quanto 
meno  a  rendere  incerta  la  proposizione  fondamentale  di  Cou- 
sin  che  la  ragione  nel  detto  istante  operi  da  sé  e  come  imper- 
sonale. Se  nel  progredire  si  dimentica  di  raffermare  la  base  del 
criterio  assunto  come  primitivo  ne  sorte  un  sistema  di  filosofia 
manchevole  ;  se  la  legittimità  di  quel  criterio  vien  dimostrata 
solamente  dipoi  è  vizioso  il  metodo. 

Ad  ogni  modo  trovare  nella  semplice  psicologia  1'  elemento 
costitutivo  ovvero  il  criterio  certo  dell'  assoluto,  temiamo,  che 
sia  impresa  disperata,  ed  implicante  quasi  contraddizione  nei 
termini  (a).  Di  ciò  si  avvedeva  la  filosofia  tedesca  quando  ri- 
nunciava al  sistema  di  Fichte  ed  a  quello  stesso  di  Schelling 
che  il  medesimo  autor  suo  più  non  difende.  Ed  è  perciò  che 
non  dal  punto  divista  psicologico,  ma  sibbene  dall'  ontologico 
partono  oggidì  le  più  assennate  e  profonde  ricerche:  nel  che  si 
venne  per  avventura  a  trascorrere  ad  un  altro  estremo  (b).  Frat- 
tanto non  slamo  in  grado  di  accettare  come  una  scoperta  im- 
portante e  valevole  a  contribuire  all'avanzamento  della  scienza 
quella  di  Cousin  che  all'ontologia  stima  di  preporre  la  psico- 
logia. Anche  nelle  cose  metafisiche  ab  Jove  principiuni  (e). 
E  cosi  ha  sempre  proceduto  il  mondo  e  sempre  procede  j  poi- 


7 

che,  come  dice  profondamente  Schelling  nell'opuscolo  summen- 
tovato,  egli  è  vero  quo  le  genre  humain  ne  vit  que  de  foi  (d). 
Entrare  in  maggiori  ragguagli  sul  libro  pubblicato  dal  sig. 
Garnier  non  è  nostro  proposito  almen  per  ora.  Ma  non  ab- 
biamo voluto  tralasciare  questi  pochi  cenni  per  mettere  in  av- 
vertenza la  studiosa  gioventù  italiana  contro  l' apparente  chia- 
rezza e  facilità  di  buona  parte  dei  recenti  libri  francesi.  Non 
ci  farebbe  meraviglia  se  le  nostre  parole  fossero  prese  in  senso 
diverso  dalla  nostra  intenzione.  Anche  Cousin  ha  dovuto  di- 
fendersi dall'  accusa  di  misticismo.  Accusa  triviale  che  non 
sarà  mai  risparmiata  a  chiunque  ,  scostandosi  dai  pretti  dettami 
e  dalle  conseguenze  della  filosofia  di  Gondillac ,  cerchi  più 
salda  base  alle  umane  credenze,  nel  che  sta  la  vera  missione 
della  filosofia;  poiché  le  verità  principali  sono  trovate,  e  guai  al 
genere  umano  ae  non  lo  fossero  state  fin  da  principio. 

W. 


^ 


8 

jYote  ali  Art,  precedente. 


{a)  In  un  articolo  a  parte ,  se  il  tempo  e  l' ingegno  non  manche- 
ranno alla  buona  volontà,  noi  ci  proponiamo  di  ricercare  fino  a 
qual  segno  si  possa  con  ragione  affermare  V  insufficienza  del  metodo 
psicologico  a  farci  uscire  dal  soggettivo  e  dal  fenomenale,  e  quindi 
come  possa  esservi  una  contraddizione  nei  termini  quando  si  dice 
con  una  formola  di  Cousin  che  il  vero  metodo  debbe  ridursi  a  que- 
sto, di  trovare  a  posteriori  una  regola^  un.  principio  che  abbia  un 
valore  a  priori. 

Ove  la  psicologia  si  limiti  ad  osservare  gli  atti  puri  del  soggetto 
intelligente ,  ed  in  questi  o  in  uno  di  questi  vogliasi  porre  il  punto 
di  partenza  della  filosofia,  certo  la  scienza  che  quindi  si  costruisce 
non  avrà  che  un  valore  soggettivo.  Ma  se  1'  osservazione  psicologica 
si  spinge  fin  oltre  gli  atti  dello  spirito,  più  su  vogliam  dire  del  puro 
pensare ,  fino  ali*  oggetto  essenziale  di  qxiesfe'  atto  ;  chi  sa  che  non 
si  arrivi  allora  ad  un  punto  fermo ,  ad  un  incondizionato ,  in  cui  la 
filosofia  trovi  ad  un  tempo  e  il  principio  e  la  vita  e  la  sicura  quiete  ? 
In  queste  note  che  ci  attentiamo  di  aggiungere  all'  articolo  com- 
municàtoci ,  noi  ci  limiteremo  ad  accennare  per  quali  ragioni  ci  paja 
difettoso  in  filosofia  il  metodo  ontologico  generalmente  seguito  dai 
filosofi  alemanni,  e  come  probabilmente  avvenuto  sia  che  da  questi 
si  abbandonasse  quel  metodo  che  a  tanta  perfezione  condusse  pure 
la  filosofia  natmale-,  quel  metodo  vogliam  dire  in  cui  con  giusta 
misura  vengono  adoperate  \ osservazione  e  la  ragione ,  che  compon- 
gono insieme  1'  umana  facoltà  di  conoscere. 

La  separazione  di  queste  due  quasi  leve  dell'  umano  sapere  è 
egualmente  pericolosa:  la  storia  della  filosofia  ce  ne  offre  mille  ar- 
gomenti. «Bornerla  philosophie  à  l'observation,  c'est  qu'on  le  sache 
»  ou  qu'on  l'ignore ,  la  mettre  sur  la  route  du  Scepticisme  :  negliger 
»  l'observation  c'est  la  jeter  dans  les  voies  de  l'hypothèse.  Le  Sce- 
»  pticisme  et  l'hypothèse,  voilà  les  deux  écueils  de  la  philosophie. 
»   La  vraie  méthode  évite  l'uil  et  l'autre  *i,  » 

*i  V.  Cousin  Fiiijj.  jiliil.  2.  ed.  prcT  pag.  VII. 


9 

Noi  non  vogliamo  abusare  dell'  argomento  delle  cause  finali y  ma 
certo  la  coesistenza  in  noi  dell'  osservazione  e  della  ragione  è  un 
fatto  tale  che  basta  se  non  altro-  a  farci  dubitare  della  bontà  di  un 
metodo  in  cui  si  volesse  1'  una  o  1'  altra  di  quelle  facoltà  trascurare. 
Perchè  se  la  ra^one  vale  di  per  se  sola  a  farci  conoscere  ogni  cosa, 
se  da  lei  sola  può  scaturirne  intiera  Xa.  filosofia  della  natura,  e  la 
filosofia  dello  spirito,  a  che  cosa  ci  servirà  più  l'osservazione  che 
pure  fa  parte  della  nostra  natura?  Ad  un  tale  sistema  noi  avremo 
il  diritto  di  dire  con  Jouffroy,  « .  qu'il,  n'interroge  pas  l'intelligence 
«  humaine  tonte  entière,  mais  que  la  mutilant,  il  demande  à  une 
»  de  ses  facultés  une  image  du  monde  que  peut  seul  donner  fidé- 
»  lemenl  le  concours  de  toutes  les  facultés  iixises  en  nous  pour  le 
»  connaitre  *i.  » 

(b)  La  nuova  filosofia  tedesca  pone  1*  ontologia  come  punto  di 
partenza  della  filosofia.  «  Aspirant  à  reproduire  dans  ses  conceptions 
»  l'ordre  méme  des  choses,  débute  par  Tètre  des  étres  pour  de- 
»  scendre  ensuite  par  tous  les  degrés  de  l'existence  jusqu'à  l'homme 
»  et  aux  diverses  facultés  dont  il  est  pourvu;  elle  aiTÌve  à  la  psy- 
»  chologie  par  l'ontologie  ,  par  la  métaphysique  et  la  physique  réu- 
»  nies  *2.  »  Quindi  la  filosofia  trascendente  partendo  dall'assoluto  es- 
sere,  costruisce  e  in  certo  qual  modo  crea  il  mondo  reale  e  il 
mondo  ideale.  Filosofare  sulla  natura,  dice  Schelling,  è  la  medesima 
cosa  che  creare  la  natura.  Ed  è  perciò  che  un  illustre  nostro  com- 
paesano reputa,  non  senza  qualche  ragione,  questi  moderni  tentativi 
non  troppo  dissimili  da  quelli  degli  antichi  per  le  loro  cosmogonie 
e  teogonie  *3. 

In  questo  loro  modo  di  filosofare  i  seguaci  della  nuova  scuola 
tedesca  suppongono  due  cose ,  la  cognizione  cioè  dell'  esistenza  dell' 
assoluto,  e  la  cognizione  della  sua  essenza.  Ma  d'onde  di  grazia 
questa  doppia  cognizione  dell'esistenza  e  dell'essenza  dell'assoluto? 
Certo  non  altrimenti,  che  o  dalla  ragione  o  dalla  fede,  presa  que- 
sta se  non  nel  senso  della  ragione  pratica  di  Kant  e  Fichte,  certo 
nel  senso  di  Jacobi  o  in  quello  qualunque  in  cui  la  prende  Schelling 
quando  dice  che  le  genre  humain  ne  vit  cjue  de  foi.  Ora  se  la  ra- 
gione è  quella  che  pone  l'assoluto,  questo  non  avrà  più  valore  di 
quel  che  ne  abbia  la  ragione  stessa,  o  Se  questa  guida  è  essenzial- 

*i  V.  Jouffroy  Cours  de  droit  naturel.  t.  i.  pag.    2t5. 

*-2  Cousin  Fragni,  phil.  preface  de  la  2.  ed.  pag.  X. 

*3  V.  Subalpino  dislr.  2.  aprile  Iclt.  del  C.  Cesure  Balbo  pag.  6;. 


10 

»  mente  fallace  (  o  soggettiva  )  nulla  ci  varrà  il  partine  da  lei  pet 
n  condurci  all'assoluto:  tuttociò  che  noi  diremo  non  avrà  nessun 
»  valore j  non  sapremo  mai  nulla  di  fermo:  poiché  ciò  che  diciamo 
»  anche  del  primo  degli  esseri,  è  solo  vera  e  valente  cognizione  in 
»  quanto  la  ragione  che  ci  fa  conoscere  quell'  essere  è  autorevole  e 
»  ferma  *  i .  »  L'  assoluto  posto  dalla  ragione  sarà  sempre  un  asso- 
luto fenomenale  finché  non  si  dimostri  che  «  la  ragione  stessa  ri- 
»  vesta  1'  autorità  dell'  assoluto ,  e  sia  competente  a  stabilirlo  »  come 
osserva  l'autore  dell'  articolo.  Ed  è  appunto  per  questa  creduta  in- 
competenza della  ragione  a  stabilire  1'  assoluto,  che  vuoisi  questo 
fare  oggetto  pvu-amente  di  fede. 

Ma  se  egli  è  per  un  atto  di  fede  che  si  pone  1'  assoluto  (e  notisi 
bene  per  un  atto  di  fede  disgiunto  al  tutto  dalla  ragione)  noi  non 
vediamo  più  che  cosa  si  guadagni  a  porre  l' ontologia  come  punto 
di  partenza  della  filosofia  anziché  la  psicologia  presa  appunto  in 
quella  condizione  in  cui  si  tiene  per  insufficiente  a  stabiUre  il  cri- 
terio certo  dell'assoluto:  perché  finalmente  nell' uno  come  nell'altro 
metodo  il  fondamento  delle  umane  credenze  é  in  sostanza  un  atto 
di  fede ,  in  cui  la  ragione  pura  non  entra  né  a  produrlo ,  né  a  dargli 
salda  base.  La  differenza  tra  questi  due  metodi  si  riduce  dunque 
ad  essere  1'  uno  più  o  meno  commodo  dell'  altro ,  più  o  meno  ele- 
gante come  metodo  d'esposizione;  la  questione  adunque  del  metodo 
e  quindi  del  vero  punto  di  partenza  della  filosofia  non  è  più  che 
una  questione  d'  arte  come  dice  Cousin  *2. 

E  notisi  che  non  abbiamo  sin  qui  parlato  che  dell'esistenza  dell* 
assoluto;  ma  la  nuova  filosofia  germanica  richiede  di  più,  che  se  ne 
conosca  pure  l'essenza.  Senza  di  questo  ,  anche  supponendone  già 
stabilita  l' esistenza ,  l' assoluto  sarebbe  sempre  un'  incognita  da  cui 
nulla  non  potrebbesi  trarre.  Perché  alti-o  è  conoscere  1'  esistenza  di 
im  oggetto ,  altro  è  conoscere  1'  oggetto  stesso.  Ma  l' assoluto,  l' in-» 
finito  non  si  può  comprendere  dalla  mente  umana ,  la  quale  non  ha 
idee  positive  che  delle  cose  sensibili  e  di  se  stessa.  Quale  sarà  adun- 
que r  assoluto  della  nuova  filosofia?  Egli  non  fu  né  potea  essere 
che  una  composizione  del  mondo  e  dell'  uomo  ;  un  assoluto  ripieno 
e  quasi  imbottato,  come  dice  Rosmini,  di  tutte  le  altre  cose  che 
si  conoscono  pienamente,  quali  sono  appunto   la  natura  e  1'  uomoj 

*i  V  Bosmini  Nuovo  S;iggio  siili'  oiig.  delle  idee.  Sez.  VII.  cap.  II.  art  5. 
Roin»  i83o. 

^A  V.   Cousin  ibid    piig.  XII. 


11 

un  assoluto  in  cui  &i  identifica  l'oggetto  e  il  soggetto,  1'  io  e  il  non 
io ,  il  reale  e  1*  ideale.  Se  con  ragione  il  sig.  Cousin  chianii  un'  ipo- 
tesi questo  punto  di  partenza  della  filosofia  lasciamo  giudicarne  ai 
nostri  lettori. 

Certo  da  un  tale  assoluto  nelle  mani  di  un  Sclielling,  e  special- 
mente di  un  Hegel ,  l'un  des  csprits  le»  plus^/vastes^  Ics  plus  subtilsy 
les  plus  dialecticicns  quifurent  jamais  *  i ,  doveva  con  una  spontaneità 
maravigliosa  uscirne  la  doppia  filosofìa  della  natura  e  dello  spirito^ 
ridotta  in  un  sistema  brillante  e  compatto,  nel  quale  vengono  come 
di  per  se  stesse,  e  quasi  per  un  giuoco  di  logica  a  collocarsi  le 
leggi  della  natura  e  dell'  umanità ,  del  mondo  reale  e  del  mondo 
ideale,  che  con  tanta  fatica  furono  trovate  col  metodo  dell' osser- 
vazione e  dell'  induzione.  Ma  guai  se  queste  leggi  non  erano  cono- 
sciute prima  àeMa.  filosofia  della  natura!  E  per  usare  le  (eloquenti 
parole  del  sig.  Cousin:  «  Où  en  serions-nous ,  je  vous  prie,  «i  l'au-» 
»  teur  lui-méme  n'avait  plus  ou  moins  pratiqué  cettc  humhle  mé- 
»  thode  qu'il  dissimule  ou  qu'il  dcdaigne  aprés  l'avoir  suivie  ;  si 
»  en  l'écoutant  ou  en  le  lisant  on  ne  vérifiait  tacitement  ses  asser- 
*  tìons  sur  Ics  connaissances  mémes  qu'on  a  acquises  par  une  autrc 
»  voie  ;  et  si  fmalement  on  n'arrivait  pas  à  une  autre  partie  du  sistème 
»  savoir  la  psychologie  ,  dont  la  lumière  se  refl<;cliit^  sur  toutes  les 
»  autres  parties  et  dont  la  vérité  devient  pour  nous  la  mesure  de 
»  la  vérité  du  sistème  entier  '2.  » 

Tuttavia  e'  non  si  può  negare  che  V  enciclopedia^dclle  scienze  fi- 
losofiche^ dove  la  fdosoBa  dell'  assoluto  da  principio  solo  parzial- 
mente sviluppata  fu  da  Hegel  ridotta  in  un  sistema  compiuto  ed 
universale,  non  sia  uno  de' più  grandi  monumenti  della  fdosofìa  del 
nostro  secolo.  Certamente  nessun  altro  sistema  pare  a  noi  che  si 
presenti  cosi  luminosamente  fornito  come  questo  dei  due  grandi 
caratteri  dell'  unità  e  della  totalità^  che  distinguono  la  vera  filosfi- 
fia,  caratteri  a  cui  tende  ed  anela  il  secolo  nostro  nella  scienza, 
nell'arte,  nello  stato,  in  tutto.  E  come  tale  non  si  può  negare  che 
la  nuova  scuola  tedesca  non  abbia  costrutto  con  un'  arte  stupeiula 
quello  a  cui  mirava  Bacone  quando  scriveva  dell'unione  delle  scien- 
ze, —  «01  meditiamo  di  fondare  nelV  intelletto  umano  un  sacro 
tempio  il  r/uale  rappresenti  ed  esprima  il  mondo  *3:  —  e  non  abbia 

*i  V.  Barohoii  de  Penhoiin  Hist.  do  la  phil.  allcm.  t.  2.  p.  a\i. 
*a  V.  Cousin  ibid.  pag.  XII. 
•3  N.  Org.  I.  ,ao. 


12 

tentato  una  rappresentazione  di  quel  maraviglioso  spettacolo  a  cui 
erano  rivolti  i  voti  di  Seneca  *r.  Utinam  quemadmodum  universi 
mundi  facies  in  conspectum  venit^  ita  philosophia  tota  posset  occur- 
rere  simillimum  mundo  spectaculum!  profecto  enim  omnes  mortales 
in  admirationem  sui  raperei,  relictis  his  quae  nunc  maglia  ,  ma- 
gnorum  ignorantia,  credimus. 

Che  se  pel  metodo  tenuto  dai  seguaci  della  nuova  scuola  tedesca 
la  loro  filosofìa  una  ed  universale  non  è  per  avventura  più  che  una 
Semplice  ipotesi,  in  cui  manifesto  si  vede  uno  sforzo  non  di  con- 
formare la  propria  filosofia  alla  natura  delle  cose,  ma  di  confor- 
mare le  cose  alla  propria  filosofìa  ;  egli  non  si  può  tuttavia  negar 
loro  la  lode  di  avere  pienamente  veduto  di  quale  filosofìa  abbisogni 
lo  spirito  umano  e  di  avere  mostrato  a  quale  scopo  debbano  mi- 
rare coloro  clie  seguendo  un  altro  metodo  aspirano  ad  un  sistema 
compiuto  di  filosofia. 

Certamente  noi  crediamo  ,  che  non  possa  darsi  vera  filosofia,  che 
non  sia  filosofia  dell'  assoluto  ,  per  cui  solamente  si  può  intendere 
come  non  lo  spirito  imponga  le  sue  leggi  alla  natura  ,  né  questa  a 
quello ,  ma  1'  uno  e  1'  altra  le  ricevano  dall'  assoluto ,  che  si  mani- 
festa per  cosi  dire  nella  natura  e  nell'  umanità,  e  per  cui  solo  esiste 
quella  mirabile  armonia  che  si  trova  tra  il  mondo  fisico  e  il  mondo 
morale,  armonia  che  forma  tutta  la  bellezza  della  creazione.  Ma 
appunto  per  questo  la  filosofia  deve  soimnamente  guardarsi  dal 
porre  l'assoluto  quasi  come  un'ipotesi,  come  lo  spazio  nella  geo- 
metria. Una  tale  filosofia  non  sarebbe  mai  che  una  specie  di  ma- 
tematica delle  qualità  degli  esseri  e  delle  forme  dell'  intelligenza, 
come  la  matematica  propriamente  detta  non  è  che  la  filosofia  delle 
quantità  e  delle  forme  dello  spazio.  «  Dans  l'une  et  l'autre  ,  dice 
»  Ancillon,  on  crée  et  l'on  construit  les  étrps  sur  lesquels  on  opere 
>ì  et  l'on   déduit   ensuite  d'eux  tout  ce  qu'on  a  bien  voulu  prendre 

»  la  peine  d'y  mettre Une   philosophie   qui  suivrait  la 

»  méme  marche  pourrait  prouver  dans  son  intérèt  une  grande  force 
»  d'intelligence,  mais  elle  ne  contiendrait  rien  de  positif,  et  ne 
»  garantirait  pas  une  seule  existeiice.  Ce  serait  une  véritable  toile 
»  d'araignée  artistement  faite,  mais  faiblc  et  sans  consistance,  tirée 
»  de  la  substance  méme  de  l'animai  qui  l'habite  *2. 


*i   Epist.  LXXXIX. 

"u  V.  Ancillon  Ess.  sur  la  .scicncc  et  la  foi  phiIoso[)[iiqiK-  pag.  G  ;,  l'aiis  i&3o. 


15 

(e)  A  questo  proposito  pare  a  noi  che  non  dovrebbesi  mai  per- 
dere di  vista  la  distinzione  che  si  fa  dei  due  ordini  delle  cognizioni 
e  degli  oggetti  delle  cognizioni.  Nella  nostra  mente  gli  oggetti  non 
sono  se  non  è  la  cognizione  loro  ;  noi  non  possiamo  nulla  affermare 
né  negare  degli  oggetti  se  non  quanto  e  per  quanto  essi  sono  a  noi 
conosciuti.  L' ordine  dunque  delle  cognizioni  precede  l' ordine  degli 
oggetti.  E  l'A.  stesso  dell'  articolo  implicitamente  riconosce  questa 
cosa  ,  quando  facendo  consistere  la  vera  missione  della  filosofia, 
nel  cercare  una  salda  base  alle  umane  credenze ,  egli  pone  come 
primo  nella  filosofia  il  problema  logico  ,  il  problema  cioè  del  crite- 
rio del  vero ,  il  quale  appartiene  intieramente  al  mondo  ideale ,  poi- 
ché solo  nelle  idee  risiede  la  cognizione  e  quindi  in  esse  sole  può 
trovarsi  quel  primo  vero  che  dee  essere  il  criterio  delle  verità  par- 
ticolari ,  che  tali  appunto  sono ,  perchè  di  quello  partecipano. 

»  Convien  dunque  muovere  la  filosofia  dal  problema  della  vali- 
»  dita  delle  cognizioni  prima  di  ragionare  su  qualunque  oggetto  , 
»  fosse  anco  lo  stesso  assoluto.  —  Vero  è  che  e  noi  e  i  ragiona- 
»  menti  nostri  dipendono  essi  stessi  dall'  assoluto  ;  ma  questa  di- 
»  pendenza  non  è  nell'ordine  delle  cognizioni  umane;  ma  nell' or- 
»  dine  degU  esseri  reali  :  cioè  ,  vero  è  bensi  che  acciocché  noi  sia- 
»  mo  ,  e  acciocché  possiamo  ragionare  dee  essere  1'  assoluto ,  ma 
»  non  è  mica  vero  per  questo  che  noi  possiamo  conoscere  ciò,  né 
»  conoscere  1'  assoluto  ,  senza  far  uso  della  facoltà  di  conoscere  di 
»  cui  siamo  dotati ,  della  ragione  *  l . 

Certo  che  volendo  distribuire  in  ordine  gli  oggetti  sussistenti 
delle  cognizioni ,  il  primo  di  tutti  gli  altri  è  1'  assoluto  -,  tutti  gli  al- 

*f  V.  Rosmini  N.  Saggio  V.  IV,  pag.  5i2.  E  questa  medesima  distinzione  dei 
due  ordini  mentovati  delie  cognizioni  che  sono  nella  mente  e  degli  oggi:tti  loro, 
1'  egregio  filosofo  italiano  1'  adopera  pure  con  ottimo  successo ,  per  quanto  a 
noi  pare  ,  a  dimostrare  contro  U  sig.  Cousin  non  essere  necessario  die  nella 
prima  percezione  si  percepisca  la  causa  assoluta  ed  infìnita.  — •  (  Ibid.  p^ig.  55 1  ). 

E  la  teorìa  stessa  della  creazione  necessaria  ,  di  cui  a  ragione  si  adombra  la 
Teologia  ,  non  sarebb'  ella  per  avventura  fondata  pure  sopra  una  simile  inver- 
sione dei  due  ordini  delle  cognizioni  e  degli  oggelti  ,  della  possibiUià  e  della 
sussistenza  ,  dell'  ideale  e  del  reale  ?  Infatti  ncll'  ordine  ideale  o  dtlle  cogni- 
zioni l' idea  di  causa  è  inseparabile  da  quella  d'elTetto,  sicché  la  prinui  non  può 
stare  senza  la  seconda.  Trasportisi  questo  vero  dall'  ordine  delle  possibilità  o 
delle  idee  all'ordine  delle  sussistenze,  edavrassi  la  creazione  necessaria.  Ma 
chi  attentamente  riflette  non  può  fallir  di  vedere  che  nei  due  ordini  accennati 
le  relazioni  Ira  la  causa  e  1'  efl'ello  sono  non  Solo  diverse  ma  conlraiie  V.  Ros- 
junii  Principii  della  scienza  morale,  pag.  \~.  Milano  i83i.  Tip.  Po-lÌJUi. 


14 

tri  dipendono  da  lui  e  non  sono,  né  sono  possibili  se  non  per  lui  ; 
ma  la  cosa  è  ben  diversa  se  si  tratta  di  distribuire  sistematicamente 
le  cognizioni  e  di  cercare  quale  sia  quel  primo  noto,  quella  prima 
idea  che  è  luce  alla  mente  nell'acquisto  di  tutte  le  altre,  e  fonda- 
mento della  loro  verità  e  certezza.  Neil'  ordine  ontologico  adunque 
o  delle  cose  sussistenti  con  ragione  si  dice  ab  Jove  principium  ,  o 
come  profondamente  s' esprime  s.  Paolo  ex  invisibilibus  visibilia  fatta 
sunt;  ma  nelV  ordine  logico  o  delle  cognizioni  un  altro  punto  di  par-, 
lenza  crediamo  doversi  stabilire  diverso  dall'  assoluto ,  se  non  vogliasi 
porre  per  primo  ciò  cbe  veramente  è  l'ultimo  nell'umano  pensiero  ; 
e  come  dice  ancora  s.  Paolo  nell'ordine  delle  cognizioni  invisibilia  Dei 
per  ea  qiuie  facta  sunt  visibilia  conspiciuntur. 

E  notisi  che  noi  qui  prendiamo  come  sinonimi  il  punto  di  par- 
tenza della  filosofìa  e  la  base  della  filosofìa  ,  due  cose  le  quali  non 
possono  insieme  confondersi  ed  identificarsi  se  non  supponendo  già 
formata  la  filosofia  come  scienza.  Poiché  in  tale  ipotesi  1'  ordine  della 
filosofìa  non  può  essere  altro  dall'  ordine  assoluto  delle  verità  infra 
loro  ,  e  dee  quindi  la  filosofia  cominciare  a  stabilire  per  primo  quel 
punto  luminoso,  dal  quale  derivasi  il  chiarore  della  certezza  e  della 
verità  a  tutte  le  altre  cognizioni ,  e  con  cui  queste  vengono  accer- 
tate e  giustificate.  Ma  il  punto  di  partenza  della  filosofia  come  scienza 
formata  non  può  essere  lo  stesso  che  il  punto  di  partenza  di  chi  si 
applica  a  filosofare ,  a  cercare  cioè  1'  ordine  assoluto  delle  verità ,  e 
quindi  il  primo  vero  da  cui  tutti  gli  altri  dipendono.  Se  la  filosofia 
si  prende  in  questo  senso  di  una  ricerca  che  1'  uomo  fa  dell'  ordine 
assoluto  delle  verità  conosciute,  il  suo  punto  di  partenza  non  può 
essere  altro  che  «  V  osservazione  riflessa  sopra  di  se  medesimo  -, 
»  questa  sola  gli  può  fare  scorgere  ben  chiaro  e  avvertire  quel  punto 
)•  luminoso  onde  ha  principio  e  movimento  tutto  il  sistema  delle 
»   cognizioni  *i. 

{d)  E  sia  pur  vero  «  que  le  genre  humain  ne  vit  que  de  foi. 
»  Mais  les  masses,  potrebbe  dire  Cousin,  n'ont  pas  le  secret  de  leurs 
»  croyances.  La  vérité  n'est  pas  la  science  ;  la  vérité  est  pour  tous  , 
»  la  science  pour  peux  :  tonte  vérité  est  dans  le  genre  humain ,  mais 

»  le  genre  humain  n'est  pas  philosophe La  science  philoso- 

»  phique  est  le  conipte  sevère  que  la  reflexion  se  rend  à  elle  méme 
»  d'idées  qu'cUe  n'pas  faites Savoir  sans  s'en  rendre  compie, 

*i  V»  nosMiini  N.  Saggio  voi.  IV,  pag.  5()4  «=  ««g. ,  e  Cousin  Frag.  phil.  2.  ed. 
l'ag.  35i. 


15 

•  savoir  en  s'en  rendant  compie ,  c'est  là  toute  la  diCférence  pos- 
»   sible  de  l'honime  à  l'homme ,  du  peuple  au  pliilosophe  *  i .  » 

Del  resto  rimarrebbe  sempre  a  sapersi  se  quel  primo  atto  di  fede 
air  assoluto  sia  legittimo  o  no ,  sia  fondato  in  ragione ,  o  semplice- 
mente un  atto  di  fede  cieca  comunque  irresistibile.  Perchè  in  que- 
sto secondo  caso  lo  scetticismo  sarebbe^  inevitabile  ed  invincibile  , 
siccome  osserva  il  Joufl'roy.  «  Nous  a-oyons  le  scepticisme  à  jamais 
»  invincible,  parceque  nous  regardons  le  scepticisme  comme  le 
>»  dernier  mot  de  la  raison  sur  elle  méme  *2.  »  Ed  è  perciò  che 
nella  prefazione  ultimamente  pubblicata  alle  opere  di  Reid  *3 ,  egli 
osserva  che  la  sentenza  di  Royer  CoUard  ^«'o/i  ne  fait  pas  au  sce- 
pticisme sa  part  et  <juhine  fois  introduit  dans  V entendement  il  l'en- 
vahit  tout  entier,  non  è  propriamente  vera  se  non  nel  punto  di 
vista  della  verità  umana-,  ma  che  egli  crede  più  vero  di  dire,  com- 
prendendo in  un  medesimo  punto  di  vista  la  verità  umana  e  la 
verità  assoluta,  che  non  si  può  altrimenti  finirne  collo  scetticismo  se 
non  con  fare  a  lui  pure  la  sua  parte  legittima  nella  mente  umana. 
Di  che  egli  trae  argomento  di  lodare  Kant  perchè  abbia  fatto  una 
tal  parte  allo  scetticismo  dimostrando  impossibile  quel  problema 
supremo  della  ragione  ,  e  di  accusare  gli  Scozzesi  di  pctizion  di 
principio  quando  dichiarano  assurdo  un  tale  problema,  e  di  mara- 
vigliarsi finalmente  delle  ingegnose  ma  impotenti  teorie  con  cui 
Fichte,  Schelling,  Hegel,  Cousin  sonosi  adoperati  per  salvare  la 
cognizione  umana  dall'  incontestabile  decreto  della  filosofia    critica. 

Ma  a  malgrado  che  il  sig.  Jouffroy  si  studi  di  renderci  tranquilli 
sui  pericoli  d'un  tale  scetticismo  trascendentale,  noi  non  sapremmo 
tuttavia  così  facilmente  sottoscrivere  a  quella  sua  singolare  transa- 
zione col  medesimo. 

E  primieramente  noi  non  vediamo  in  qual  maniera,  posLo  che  la 
ragione  dell'uomo  non  sia  capace  che  di  una  verità  puramente 
umana,  possa  tuttavia  questa  ragione  proporsi  il  proble::ia  se  la 
verità  umana  sia  la  verità  assoluta;  come  non  abbiamo  inixl  saputo 
intendere  in  qual  modo  Kant  ci  parli  di  noumeni  quiiudo  egli 
stesso  insegna  che  la  mente  umana  non  vede  altro  che  fenomeni. 
«  La  distinzione  che  fa  Kant  fra  noumeni  e  fenomeni  diuiostrache 
»  la  nostra  intelligenza  non  è  limitata  a' soli  fenomeni,  ne  alle  sole 


*i  V.  Cousin  Fragm.  pliil.  prof,  à  lu    i.  cj. 

*.i  V.  ftlcldii-os  pilli,  dii  Sci-pticisui.  jia-,  u^o. 

'j  V.  Ocuvicd  coiiiplclcs  de  RciJ  de.  vul.  I.  prcf.  pag,  CXCV. 


16 

»  forme  Kantiane,  ma  che  abbraccia  tutto  il  possibile.  Chi  fosse 
»  veramente  hmitato  a'  soli  fenomeni ,  non  saprebbe  che  oltre  ai 
»  fenomeni  possano  essere  de' noumeni  *i.  »  E  cosi  pure  la  distin- 
zione che  fa  Jouffroy  d'una  verità  umana  e  di  ima  verità  assolutay 
dimostra  che  la  nostra  intelligenza  non  è  limitata  alla  sola  verità 
umana.  Chi  fosse  veramente  a  questa  sola  vei-ità  limitato  non  sa- 
prebbe che  oltre  ad  essa  possa  pure  esisterne  un'  altra.  Quindi  se 
gli  scozzesi  dall'  un  canto  avevano  il  torto  di  vietare  aUo  spirito 
umano  di  proporsi  il  problema  sul  valore  della  verità  da  lui  cono- 
sciuta, nessuna  ragione  di  proporselo  non  possono  dall'altro  canto 
avere  coloro  ,  i  quali  vogliono  1'  umana  intelligenza  limitata  ad  una 
verità  puramente  relativa.  In  questo  loro  sistema  si  che  ci  pare 
assurdo  un  tale  problema,  perchè  assurdo  al  tutto  ci  pare  che  la 
mente  dell'  uomo  possa  concepire  un  sospetto,  un  dubbio  su  di  una 
cosa  di  cui  ella  non  ha  idea  di  sorta.  Ma  questo  problema  lo  spi- 
rito umano  se  lo  propone  veramente  ogni  qual  volta  si  applica  a  fi- 
losofare. «  Et  ce  n'est  point-là  une  supposition  :  mais  un  fait 
»  que  l'observation  constate  immédiatement  en  nous,  et  que  les  débats 
»  de  la  philosophie  sur  les  fondements  de  la  certitude  ne  font  que 
»  traduire  sur  la  scène  de  1'  histoire  *2.  »  Dunque  se  dall'un  canto 
il  fatto  dell'esistenza  d'un  tale  problema  nella  filosofia  sta  contro 
l'arbitrario  divieto  degli  scozzesi,  le  condizioni  del  problema  mede- 
simo provano  dall'  alti'o  canto  l'intrinseco  difetto  di, qualsiasi  siste- 
ma di  filosofia,  in  cui  vogliasi  partire  da  un  atto  di  fede  cieca  e 
irresistibile,  risultante  da  leggi  indeclinabili  deli' intelligenza ,  di  che 
nasce  poi  la  necessità  di  hmitare  1'  intelligenza  stessa  ad  una  verità 
puramente  relativa  ,  e  di  fare  quindi  in  essa  la  sua  parte  allo  scet- 
ticismo. 

In  secondo  luogo  se  ci  facciamo  ad  investigare  quale  abbia  po- 
tuto essere  la  ragione  che  rese  il  sig.  Jouffroy  cosi  facile  ad  ac- 
conciarsi coUo  scetticismo  fino  a  fargli  la  sua  parte  legittima  nella 
filosofia,  pare  a  noi  che  questa  ragione  sia  nel  fondo  quella  mede- 
sima ,  che  in  Germania  indusse  ì  filosofi  venuti  dopo  Kant  ad  ab- 
bandonare il  metodo  psicologico ,  e  a  muovere  la  filosofia  dall'  on- 
tologia come  da  suo  vero  punto  di  partenza.  Lo  scetticismo  tra- 
scendentale (  cosi  pare  a  noi  che  abbiano  dovuto  ragionare  )  è  una 
conseguenza  necessaria  della  psicologia  di  Kant ,  e^quindi  puredella 

*i  V.  Rosmini  Nuovo  Sagp;!o  voi.  VI.  p.  46(5.  Rom. 
*-2  V.  Jouffruy.  [.lef.  a  lUid.  pag.  CLXXXVIll. 


17 

scuola  scozzese,  da  cui  la  prima  essenzialmente  non  differisce;  ma 
questa  psicologia ,  comunque  possa  pure  essere  ulteriormente  perfezio- 
nata ,  è  vera ,  massimamente  là  dove  insegna  che  la  parte  formale  od 
a  priori  delle  nostre  cognizioni  risulta  da  leggi  costitutive  o  forme 
originali  del  soggetto  conoscente:  forza  è  adunque  di  venire  all'una 
o  all'altra  di  queste  due  conclusioni ,  o  di  fare  la  sua  parte  allo 
scetticismo  volendo  partire  dalla  psicologia  sia  critica  sia  scozzese,  o 
di  non  partire  dalla  psicologia  bensi  dall'  ontologia  volendo  evitare 
lo  scetticismo.  Nel  quale  ragionamento  chiunque  facilmente  vede  su 
quale  supposizione  sia  fondata  la  doppia  conseguenza  a  cui  conduce. 
Ella  nasce  evidentemente  dall'  adottare  come  cosa  provata ,  che 
non  ammette  replica,  la  natura  soggettiva  delle  nozioni  a  priori 
principio  e  fondamento  dell'  umana  cognizione.<J  ''J*«f*  mn?o  i?sno8  9 

Ma  è  egli  poi  vero  che  sia  soggettiva  la  parte  ji  prtOri  ' AeVi^e  litì- 
stre  cognizioni?  è  ella  già  stata  abbastanza  esaminata  questa  parte 
a  priori?  non  potrebbe  ella  essere  assai  ridotta?  e  ridotta  all'  ul- 
tima sua  semplicità,  s'è  egli  già  abbastanza  studiato  quali  caratteri 
abbia  e  quindi  quale  valore?  Prima  di  transigere  collo  scetticismo  y 
prima  di  condannare  in  massa  il  metodo  psicologico  converrebbe 
esaminare  se  non  si  possa  fare  una  psicologia  più  perfetta  di  quella 
di  Kant,  e  se  oltre  i  seguaci  del  criticismo  in  Allemagna  ed  in 
Francia  non  ci  siano  altri  scrittori  di  filosofia,  i  quali  abbiano  per 
avventura  dato  una  soluzione  più  compiuta  del  problema  ideologico 
mediante  l' osservazione  psicologica ,  in  cui  siansi  incontrati  in  un 
primo  vero  assoluto,  principio  e  fondamento  di  tutta  la  scienza 
umana. 

Né  diversamente  pare  a  noi  che  dovessero  ragionare  nel  secolo 
scorso  Reid  e  Kant ,  quando  presero  a  combattere  lo  scetticismo  di 
Hume  rifacendo  più  compiutamente  la  psicologia  di  Loke  ,  della 
quale  il  primo  era  una  conseguenza  necessaria.  Ora  lo  scetticismo 
trascendentale  non  è  meno  strettamente  connesso  colla  psicologia  di 
Reid  e  di  Kant,  che  noi  fosse  quello  di  Hume  colla  psicologia  di 
Loke.  Egli  è  adunque  naturale  di  cercare  prima  di  tutto  in  qualche 
difetto  delle  dottrine  psicologiche  del  criticismo  l'origine  e  il  fonda- 
mento del  moderno  scetticismo.  Reid  avrebbe  conchiuso  cosi  ,  e 
Kant  stesso  se  non  fosse  egli  1'  autore  del  criticismo.  Ma  i  moderni 
hanno  tenuto  un  altro  discorso.  Spaventati  dallo  scetticismo  trascen- 
dentale tanto  più  forte  di  quello  di  Hume,  quanto  il  criticismo  è 
più  forte  del  sensismo,  invece  di  dubitare  della  verità  della  filosofia 
critica    da  cui    quello  s' ingenera ,   o  s'  acconciarono    a  fare  la  sua 

3 


18 

parte  allo  scetticismo,  o  proclamarono  l' ìnsufTicienza  della  psicologia 
per  risolvere  il  problema  logico,  e  dissero  che  non  ella  ma  1'. on- 
tologia doveva  essere  il  punto  di  partenza  della  filosofia. 

Due  soli  tra  i  moderni,  per  quanto  noi  sappiamo,  Cousin  e  Ros- 
mini hanno  veduto  dove  giacesse  il  difetto  intrinseco  della  filosofia 
moderna,  e  di  quale  riforma  abbisognasse.  Investigare  mediante 
un'  osservazione  più  compiuta  le  condizioni  od  elementi  a  priori 
della  cognizione  umana,  ridurre  alla  massima  semplicità  questa 
parte  a  priori  della  cognizione,  e  rivendicarne  contro  il  criticismo 
il  valore  obbiettivo  ed  assoluto-,  ecco  quello  che  i  due  mentovati 
filosofi  si  sono  proposto  di  fare  ed  hanno  fatto ,  ciascheduno  alla  sua 
maniera ,  ma  1'  uno  e  1'  altro  restando  fedele  al  metodo  psicologico 
e  senza  uscire  dall'  osservazione  ma  spingendola  troppo  più  profon- 
damente di  quel  che  avessero  fatto  gli  scozzesi  e  Kant  stesso.  Che 
se  dopo  1'  ultimo  opuscolo  di  Schelling  citato  nell'  articolo  che  an- 
notiamo, e  dopo  gli  scritti  di  Rosmini  non  può  per  avventura  più 
dirsi  della  soluzione  data  da  Cousin  del  problema  in  questione,  ciò 
che  egli  stesso  ne  dice  que  le  tems  et  la  discussion  ne  font  point 
encore  ébranlée  *r,  questo  almeno  pare  a  noi  che  possa  pure  con 
verità  affermarsi  della  soluzione  proposta  da  Rosmini. 

Ma  noi  non  vogliamo  in  questo  luogo  nulla  pronunciare  sid  me- 
rito delle  soluzioni  di  questi  due  sommi  filosofi.  Nostro  intento  era 
solamente  di  far  vedere  come  essi  abbiano  in  filosofia  tentato  quell' 
unica  riforma  che  il  rigoroso  metodo  prescriveva  ,  riforma  analoga 
a  quella  che  nel  secolo  scorso  facevano  Reid  e  Kant,  suggerite  l'una 
e  l'altra  da  uno  scetticismo  diverso  d'indole,  ma  egualmente  in- 
vincibile, finché  non  venissero  riformale  quelle  dottrine  psicologiche 
su  cui  fondavasi.  Quindi  a  noi  pare  che  1'  autore  dello  scetticismo 
ti'ascendentale  se  vivesse,  non  potrebbe  a  Cousin  e  Rosmini  scrivere 
diversamente  da  quel  che  a  Reid  scriveva  David  Hume:  «  Je  dirai 
»  seulement  que  si  vous  avez  pu  répandre  la  lumière  sur  ces  objets 
»  importants  mais  obscurs ,  loin  d'en  étre  mortifié  je  serai  asse;; 
»  vain  poiu"  réclamer  une  part  du  mérite,  et  je  penserai  que  c'est 
»  du  moins  parceque  mes  erreurs  n'ont  pas  trop  d'incohérence 
»  entre  elles,  que  vous  avez  été  cojiduit  à  faire  un  plus  sevère 
»  examen  et  à  reconnaitre  la  futilitc  des  principes  sur  lesquels  je 
»  m'appuyais  *2.  >»  P. 

*i  V.  Cousin  Frag.  phil.  prcf.  i.  ed.  ^ 

*2  V.  Vie  de  Reid  par  Dugaid  Ste^vart  nel  primo  volum  delle  opere  di  Reid 
traduUc  da  Jouffroy  pag.   17. 


19 
LETTERATURA  STRANIERA 


OLLA     PODRIDA 


'ir 

3b 


^ICit    Citenóoie    dev  Suvaimno 


Pregiatissimo  Signore , 


Non  sono  molti  anni  che  peregrinando  io  in  certe  re- 
gioni settentrionali  in  cerca  del  bello  pittorico ,  mi  abbat- 
tei per  mia  fortuna  in  un  Galiziano  da  Santiago  di  Ceai- 
postella  il  quale,  lasciata  per  la  ragione  che  potete  im- 
maginarvi la  patria ,  per  dar  tempo  al  tempo  s' era  anch' 
esso  ridotto  a  fare  il  pellegrino  assai  più  lungamente  che 
non  avrebbe  voluto.  Egli  era  una  buona  pasta  d'uomo, 
dottissimo  in  tutto  ciò  che  riguarda  la  letteratura  e  la 
storia  del  suo  paese,  e  più  che  mediocremente  istruito 
nelle  cose  politiche  e  letterarie  del  rimanente  d'Europa. 
L' aver  stampato  qualche  opuscolo  nella  sua  gioventù  gli 
aveva  acquistata  una  bella  fama  in  tutta  quanta  la  Galizia 
e  nelle  vicine  province,  per  cui  poteva  infilzare  dietro  il 
suo  nome  una  lunga  serie  di  titoli  accademici ,  perchè  in 
Ispagna,  come  in  Italia,  un  uomo  che  abbia  scritto  una  dis- 
sertazioncella  sopra  un  punto  d'  antichità ,  od  una  canzone 
in  lode  di  una  bella  o  di  un  potente,  diviene  issofatto  let- 
terato ed  è  accolto  a  braccia  aperte  da  tutti  gli  accade- 
mici immobili  ed  assiderati  come  un  confratello. 


20 

Il  mio  Don  José  E  — j  M — ,  che  così  si  chiamava 
il  buon  Galiziano  ,  benché  fosse  vicino  al  decimo  lustro 
e  paresse  principalmente  inclinato  agli  studi  gravi  della 
storia  e  dell'  economia  politica,  aveva  ciò  noii  di  meno 
una  di  quelle  anime  veramente  spagnuole ,  in  cui  la  gra- 
vità ed  il  sussiego  nascondono  appena  un'  imaginazione  ar- 
dente e  poetica  nel  più  alto  grado,  a  svegliare  la  quale 
basta  sovente  im  cenno ,  come  un  leggerissimo  tocco  è 
sufBciente  a  far  iscoppiare  la  scintilla  elettrica.  Trovato  sin 
dalle  prime  nostre  parole  che  1'  amicizia  di  parecchie  per- 
sone ci  era  comune,  fummo  in  breve  liberi  da  ogni  no- 
iosa etichetta  e  prestamente  d'accordo  di  visitare  insieme 
alcuni  laghi  rinomati  e  certe  famose  montagnette  che,  da 
volere  a  non  volere,  bisogna  in  quelle  parti  aver  vedute  e 
trovar  belle  e  romantiche  per  non  ribellarsi  al  dominio 
prepotente  della  moda.  —  Noi  passammo  insieme  parecchi 
giorni ,  ora  viaggiando ,  ora  fermandoci  dove  ci  accadeva 
di  trovare  delizioso  soggiorno  e  comodo  ricetto ,  e  in  sulle 
prime  ragionammo  per  lo  più  di  cose  politiche  dando , 
come  si  suol  fare ,  libero  corso  alle  nostre  utopie  e  mettendo 
a  soqquadro  tutte  le  cinque  parti  del  mondo.  Provveduto 
a  questo  primo  e  più  urgente  bisogno,  convenne  cercar 
materia  a  nuovi  ragionamenti ,  ed  io  cui  da  giovine  era 
accaduto  di  aver  per  le  mani  di  molti  libri  spagnuoli  e 
soprattutto 'l'inimitabile  D.  Chisciotte,  pensai  di  trar  pro- 
fitto della  favorevole  congiuntura  che  mi  si  presentava  per 
ingolfare  1*  amico  nel  mare  magnian  della  letteratura  Ca- 
stigliana,  persuaso  che  ne  ricaverei  eguale  istruzione  e  di- 
letto ,  e  che  lo  troverei  difensore  ostinato  delle  glorie  let- 
terarie della  sua  nazione ,  come  lo  aveva  trovato  magnifi- 
catore  di  ogni  altra  cosa  che  spettasse  al  già  vastissimo 
impero  delle  Spagne  e  delle  Indie.  —  Mi  valsi  pertanto 
del  primo  nome  d'autore  che  gli  avvenne  di  citare  per 
dimostrar  qualche   dubbio  intorno  al  merito  trascendente 


21 

che  gli  era  da  lui  attribuito,  e  la  sorte  volle  che  la  mia 
vittima  fosse  il  mellifluo  Melendez  Valdes  che  D.  José 
aveva  altre  volte  conosciuto,  anzi  della  cui  amicìzia  di- 
ceva essere  stato  ,  negli  ultimi  anni  della  vita  di  lui ,  par- 
ticolarmente onorato.  La  scintilla  scoppio  siccome  io  aveva 
preveduto,  A  un  tratto  vidi  accendersi  d' insolito  fuoco  lo 
sguardo  del  Galiziano ,  la  sua  voce  riprese  un  novello  vi- 
gore ed  io  sorridendo  mi  preparai  ad  andar  via  stuzzi- 
cando e  pungendo  il  suo  amor  proprio  nazionale ,  intento 
a  fissare  le  sue  parole  nella  mente  per  trascriverle  poi  la 
sera  nel  zibaldone  delle  mie  note.  —  Ed  io  trascrìssi  non 
solamente  le  sue  ma  le  mie  che  furono  troppe,  e  questa, 
signor  Estensore,  è  una  copia  fedele  del  dialogo  che  se- 
gui fra  lo  Spagnuolo  e  l' Italiano.  Se  lo  crederete  degno 
di  occupare  un  posto  nel  vostro  Giornale  fatelo  pure  di 
pubblica  r-agione,  che  così  m'ajuterete  a  sdebitarmi  di  un 
voto  letterario,  cui  mi  convenne  far  promessa  di  adem- 
pire, per  aver  osato  dubitare  che  Melendez  fosse  il  primo 
poeta  del  mondo.  - —  Come  io  facessi  questo  voto  lo  tro- 
verete spiegato  sul  finire  del  dialogo  e  vedrete  che ,  se  vi 
mando  una  traduzione ,  pur  troppo  misera ,  di  una  poesia 
castiglìana ,  la  colpa  non  è  tutta  mia.  Intanto  abbiate  pa- 
zienza e  lasciate  che  D.  José  esageri  dal  suo  canto ,  e 
eh*  io  faccia  il  prosontuoso  dal  mio  :  e  voglia  il  cielo  che  i 
lettori  vostri  provino  ,  scorrendo  la  copia  del  nostro  dia- 
logo ,  una  particella  di  quei  diletto  eh'  io  provai  grandis- 
simo prendendo  parte  all'  originale. 


22 

DIALOGO 

tta  uno  Opaanuofo  e  uu  Utafiauo 

^Oyyra  alcune  parti  della  poesia  castigliana. 


S.  Possibile  che  vi  arrischiate  a  pronunziare  un'  eresia 
letteraria  qual  è  quella  che  vi  è  sfuggita  ?  —  Come  !  Il 
divino  Juan  Melendez  Valdes,  della  cui  amicizia  mi/  van- 
terò sempre  fin  eh'  io  viva ,  sarebbe  secondo  voi  un  inge- 
gno mediocre ,  un  poeta  da  tenersi  in  conto  di  dozzinale  ? 
/.  Mi  guardi  il  cielo  dal  voler  temerariamente  gmdicare 
di  una  materia ,  in  cui  so  di  essere  incompetente ,  e  soprat- 
tutto dall' offender  voi  offendendo  la  memoria  di  quel  vostro 
venerato  amico  ;  ma  permettete  che  per  mia  istruzione  io 
vi  dica  liberamente  quello  che  penso,  e  vi  sarò  grato  se 
vorrete  raddrizzare  le  mie  idee  a  mano  a  mano  che  mi 
vedrete  uscire  del  seminato. 

S.  Io  mi  sono  già  accorto  dai  discorsi  che  abbiamo  in- 
sieme tenuti  che  non  siete  affatto  digiuno  delle  cose  no- 
stre ,  e  vi  ho  trovato  in  altri  soggetti  assai  più  ragionevole 
che  generalmente  non  sono  gli  stranieri  verso  la  mia  na-i 
zione.  Epperò  dite  pm^e  quel  che  vi  piace  che  io  non  vi 
accagionerò  dei  giudizi  torti  che  porterete  sulla  letteratura 
spagnuola,  ma  gli  attribuirò  a  quel  pregiudizio  che  regna 
in  quasi  tutte  le  menti  di  porre  la  propria  letteratura  al 
di  sopra  di  ogni  altra  ,  conculcando  quelle  degli  altri  po- 
poli, quasi  indegne  di  stare  in  paragone  con  la  nostra. 

/.  Per  poco  che  riflettiate  su  questo  difetto  generale, 
vedrete  che  la  cosa  non  può  essere  altramente.  Ciasche- 
duno apprezza  ciò  che  maggiormente   conosce   e   ciò  che 


-     25 

è  avvezzo  ad  ammirare  sin  dair  infanzia.  Per  istruito  che 
uno  sia  nelle  letteratm'e  straniere ,  non  avverrà  mai ,  tranne 
forse  alcuni  casi  rarissimi ,  eh'  egli  le  abbia  familiari  quanto 
la  sua:  e  per  versato  che  imo  sia  nelle  lingue  esotiche 
non  giungerà  mai  a  sentirne  tutte  le  bellezze ,  tutta  la  forza 
e  tutta  r  armonia.  Quindi  udrete  ciascuna  nazione  esaltare 
la  propria  lingua  sopra  tutte  le  altre,  e  darle  lode  di  ricca, 
di  pieghevole  ,  d'  armoniosa  e  di  espressiva ,  perchè  è  na- 
turai cosa  che  non  iscopriamo  eguali  qualità  in  un  idioma 
Straniero  ,  che  per  fare  che  si  faccia  non  apprenderemo 
mai  se  non  imperfettamente.  Dite  il  vero,  signor  José, 
non  v'  è  egli  mai  accaduto  di  scoprire  nel  vostro  dialetto  ' 
Gallego  espressioni  piene  di  brio ,  di  concisione  e  di  bel- 
lezza imitativa,  cui  credereste  appena  trovarsi  le  uguali 
nella  lingua  castigliana? 

S.  Voi  r  avete  indovinato.  Egli  mi  è  più  volte  accaduto 
di  osservare  in  bocca  de' nostri  artigiani  e  dei  contadini 
della  Galizia  certi  modi  di  esprimersi  al  tutto  originali  e 
di  una  tale  bellezza  che  invano  vi  avrei  cercato  un  vero 
equivalente  nella  lingua  colta  della  nazione  :  e  questo  pro- 
viene senza  dubbio ,  come  voi  intendete  di  dire ,  dall'  es- 
sermi piiì  familiare  la  lingua  che  ho  imparata  dalla  balia, 
che  non  quella  che  ho  appresa  alle  scuole  e  nei  libri.  Ma 
appunto  per  questo ,  come  potrete  voi  sentire  ciò  che  sente 
uno  Spagnuolo  alla  lettura'  delle  soavissime  poesie  di  Me- 
lendez  F'aldes ,  il  cui  merito  principalissimo  consiste  nell' 
inarrivabile  dolcezza  della  lingua  e  del  metro,  e  in  una 
magìa  di  stile  che  rapisce ,  che  incanta ,  e  per  cui  gli  fu 
giustamente  dato  il  titolo  di  divino  ? 

L  A  me  pare  che  questo  divino  voi-  Spagnuoli  lo  date 
con  troppa  frequenza  e  quasi  direi  con  leggerezza,  facili 
come  siete  a  lasciarvi  sedurre  dalla  pompa  delle  parole  e 
da  ciò  che  è  più  atto  a  cattivar  l'orecchio  che  la  mente 
ed  il  cuore. 


24 

iS.  Andate  là  voi  Italiani  che  non  avete  mai  fatto  abuso 
di  cotesto  epiteto.  Gli  è  un  bel  coraggio  il  vostro  di  fare 
a  noi  quest'accusa,  quando  non  avete  vergognato  di  con- 
taminare per  sempre  questa  parola  applicandola  a  quel  vo- 
stro infamissimo  scrittore  V  Aretino. 

I.  Ci  sta  bene  il  rimprovero;  ma  questo   fu  un   errore 
dei  padri  nostri,  nel  quale  vi  assicuro    che    noi    moderni 
non  siamo   troppo   inclinati   a    cadere ,   poiché   raramente 
ndi-ete  persone  di  senno  dare  fra  noi  questo  titolo  ad  altri 
che  dM^  Alighieri  ed  2^^  Ariosto  y  i   quali    confesserete   che 
lo  meritano  ben  altramente  che  1'  anacreontico  Melendez. 
Vi  concederò  senza  difficoltà  tutto  ciò  che  dite  della  soa- 
vità della  lingua  e  della  magìa  dello  stile  che  in  lui  s' in- 
contrano in  grado  eminente,  mai>astano  foi'se  queste  qua- 
lità perchè  s*  abbia  dritto  ad  un  titolo  che  non  si  dovrebbe 
dare  se  non  a  quei  primissimi  scrittori  che   non  eccedono 
i  due  o  i  tre  in  tutto  il  corso    di    una    letteratura  ?  —  Io 
non  mi  posso  trattenere  dal  ridere  quando  penso  che  que- 
sto vostro  amico,  pel  grande  amore  che    portava    ai  vez- 
zeggiativi ,  ha  potuto  trasformare  in  un  tenero  Jovino  quel 
sapientissimo  Jovellanos  letterato ,  filosofo  e  uomo  di  stato 
ed  uno  dei  migliori  ingegni  che  la  Spagna  abbia  nel  pas- 
sato secolo  prodotti.  —  Ma  in   che  cosa    è    poi   Melendez 
superiore  a  Manuel  de  Villegas  se  non  nel  numero  delle 
anacreontiche  e  nell'  aver  più  di  lui  ripetuti  gli  sdolcinati 
pensieri  che  riempiono  tutti  gli  erotici  ?  Noi  siamo  sempre 
da  capo  col  pajarillo  e  con  la  palomita ,  col  tomillo  e  con 
r  arullo  j  quasi  che  questi  fossero  ancora  tempi  da  diver- 
tirsi cogli  augelletti  e  con  le  tortorelle  e  da  sospirare  per 
le  Fillidi  e  per  le  Clori. 

S.  Poter  di  Giove  che  me  la  fareste  dir  grossa?  Si  ha 
dunque  a  rinunziare  alla  poesia  tenera  ed  amorosa  perchè 
celati  uomini  si  sono  messo  in  capo  di  voler  fare  i  pesa- 
mondi,  e  disprezzano  tutto   ciò   che  non   è    statistica   ed 


25 

economia  politica?  Non  ci  sarà  dunque  più  lecito  di  ri- 
crearci r  animo  leggendo  una  poesia  leggera  piena  di  gra- 
zia e  di  eleganza ,  o  qualche  facezia  condita  di  sale  attico 
e  vestita  di  uno  stile  armonioso ,  ma  saremo  condannati 
a  passare  i  giorni  su  libri  aridissimi,  colle  ciglia  sempre 
corrugate ,  quasi  fossimo  altrettanti  matematici  o  uomini 
di  stato  ? 

/.  Voi  siete  il  primo  Spagnuolo  che  io  abbia  udito  de- 
clamare contro  la  gravità.  —  Io  non  voglio  già  dire  che  si 
debbano  bandir  affatto  simili  composizioni  da  una  lettera- 
tura ,  ma  vorrei  che  non  si  desse  loro  maggior  importanza 
di  quella  che  si  meritano:  perchè,  se  comincerete  a  dar 
del  divino  ad  un  autore  di  canzonette,  correrete  rischio 
di  fare  che  tutti  i  giovinotti  all'  uscir  delle  scuole  si  vol- 
gano col  colascione  in  mano  a  cantare  le  loro  Filli  vere  o 
imaginarie,  e  ne  nasca  un  andazzo  anacreontico  da  'sner- 
vare un  pajo  di  generazioni.  Vi  sovvenga  di  ciò  che  è  ac- 
caduto in  Italia  quando  i  nostri  verseggiatori  (che  non  li 
voglio  chiamare  poeti)  si  misero  tutti  a  cantare  le  belle 
mani,  le  auree  chiome,  e  le  nere  ciglia  delle  donne  dei 
loro  pensieri ,  o  a  farsi  pastori  e  non  parlar  d'  altro  che 
di  agnellini,  di  tenere  erbette  e  della  crudeltà  delle  loro 
pastorelle  candide  come  la  giuncata  e  dure  come  uno  sco- 
glio. Il  mal  esempio  penetrò  in  breve  nella  vostra  Spagna, 
se  pure  di  là  non  venne ,  e  per  quasi  due  secoli  non  si  udì 
altro  nelle  due  penisole  che  un  continuo  suono  di  sospiri 
e  di  pianto,  e  un  perpetuo  rimare  di  Cupido  con  infido 
di  bene  con  pene  ed  altre  somiglianti  ridicolaggini  da  far 
morire  di  noja.  Quanto,  ip'm  di  cotesti  vostri  cari  erotici, 
a  me  piacciono  le  antiche  ballate  o  romanze  che  si  can- 
tarono attorno  alla  culla  della  vostra  letteratm-a!  In  esse, 
in  vece  di  ridicoli  lamenti  di  pastori  innamorati  e  di  ge- 
miti di  tortorelle ,  sono  rammentati  fatti  storici  degni  di 
ricordanza  ed    inculcate    massime    di    onore    cavalleresco. 


26 

mentre  nella  rozza  loro  semplicità  non  di  rado  incontrate 
pensieri  sublimi  che  valgono  un  mondo  di  frascherie  amo- 
rose. 

S.  Non  dirò  che  abbiate  tutto  il  torto  nel  dar  la  pre- 
ferenza alle  nostre  antiche  romanze  sulle  anacreontiche. 
Ma  si  vogliono  giustamente  apprezzare  e  le  une  e  le  altre  : 
sebbene,  adirvi  lamia  schietta  opinione,  anch'io  inchino 
grandemente  a  favore  delle  prime,  per  le  quali  la  nazione 
spagnuola  si  può  vantare  di  cosa  quasi  sconosciuta  nelle 
letterature  degli  altri  popoli.  Quanta  semplicità  in  fatto,  e 
quanta  nobiltà  ad  un  tempo  non  si  trova  in  moltissime  di 
quelle  romanze  che  narrano  le  eroiche  gesta  del  Cìd,  e  le 
accanite  guerre  contro  i  Maomettani  che  avevano  usurpata 
tanta  parte  del  nostro  paese  !  Né  mancano  quelle  che  con- 
tengono patetiche  storie  d' amore  e  sono  piene  di  una  soave 
imalinconia  che  in  tanta  diversità  di  tempi  e  di  costumi 
ancora  tocca  profondamente  il  cuore.  Oh  !  quella  domina- 
zione degli  Àrabi,  o  Mori  che  si  voglian  chiamare,  nella 
nostra  penisola,  se  da  una  parte  è  stata  cagione  di  mali 
grandissimi ,  per  1'  altra  ha  fomentata  una  civiltà  che  non 
si  sarebbe  altramente  potuta  sperare ,  ed  ha  infuso  un  non  so 
che  di  cavalleresco  e  di  poetico  nel  carattere  spagnuolo,  no- 
bilitandolo al  pari  di  quello  di  qualunque  nazione  d'Europa. 

/.  Voi  mi  parlate  da  uomo  spregiudicato  e  m' incorrag- 
giate  a  dirvi  che  1'  epoca  della  dominazione  araba  nel  mez- 
zogiorno della  Spagna  è  sempre  stata  per  me  la  parte  piiì 
bella  e  più  poetica  della  vostra  storia,  e  che  sin  dalla 
prima  mia  gioventù  mi  sono  sentito  gagliardamente  spinto 
ad  intraprendere  un  pellegrinaggio ,  non  già  alla  Mecca  , 
ma  verso  Cordova  e  Granata,  le  moresche  reliquie  delle 
quali  son  certo  mi  farebbero  palpitare  il  cuore  quasi  al 
pari  di  quelle  di  Roma,  e  di  Atene.  Quella  è  per  me  la 
terra  della  poesia ,  quello  è  il  luogo  felice  in  cui  la  mia 
imaginazione  ha  collocato  il  suo  paradiso  terrestre. 


27 

S.  Amico ,  voi  destate  in  me  le  dolci  reminiscenze  di 
un'  età  che  da  lunga  pezza  è  passata ,  e  rivolgete  il  mio 
pensiero  a  luoghi  e  a  scene  che  mi  stanno  ancora  profon- 
damente impressi  nell'  animo.  Quando  in  sul  bollore  degli 
anni  io  visitai  quelle  due  città  che  appena  serbano  un'om- 
bra della  loro  antica  grandezza ,  e  vidi  in  Cordova  la  selva 
di  colonne  del  maggiore  suo  tempio ,  e  quegl'  infiniti  leg- 
gerissimi archi  che  pajono  più  1'  opera  di  Silfi  che  di  uo- 
mini: quando  in  Granata  mi  aggirai  per  le  splendide  sale 
deW^lhambra,  i  cui  stucchi  risplendenti  d'oro  e  d'azzurro 
sembrano  aver  ricevuto  jeri  1'  ultimo  tocco  dell'  artefice , 
e  compresi  che  smisurate  ricchezze  si  sono  dovute  profon- 
dere ne'  moltiplici  acquidotti  che  distribuivano  1'  acqua  in 
zampilli  per  tutte  le  case  ,  io  dissi  meco  medesimo  :  quanto 
ha  dovuto  esser  potente  ,  colta  e  gentile  la  nazione  che 
ha  pensato  ad  opere  così  maravigliose  !  quel  tempio ,  quel- 
l' Alhambra  bastano  a  riconciliarci  cogli  usurpatori  della 
nostria  patria ,  e  a  far  perdonare  gli  amori  del  Re  Rodrigo 
con  la  Cava  prima  cagione  di  quella  irruzione  straniera. — 
Là  neW Alhambra ,  in  quella  sala  stessa  Je'  leoni  che  fii 
bagnata  da  tanto  sangue  degli  Abenzerragiy  io  ripeteva  le 
romanze  che  parlano  degli  amori  di  Zajda,  di  Fatima  e 
di  Galiana ,  declamava  quella  che  incomincia  Paseabase 
et  Rey  Moro ,  e  1'  altra  sull'  assedio  di  Alhama  che  fece 
spargere  tante  lagrime  ai  Mori  negli  ultimi  anni  del  loro 
impero  neM' Andalusia y  e,  il  dirò  con  mia  vergogna,  non 
avrei  potuto  consentire  che  il  soggiorno  de' Maomettani 
fosse  cancellato  dalla  storia  della  mia  patria. 

/.  Perchè  vergognare  di  un  sentimento  che  avete  co- 
mune con  moltissime  persone,  e  perchè  invece  non  glo- 
riarvi di  ciò  che  ha  più  di  tutto  contribuito  a  rendere 
illustre  la  vostra  nazione?  Senza  i  lumi  che  vi  vennero 
dall'oriente  i  vostri  Re  Goti  non  v'  avrebbero  procurata  se 
non  una  tarda  civiltà,  e  se  questa  vi  doveva  giugnere  dal 


28 

lato  de'  Pirenei  vi  si  sarebbe  presentata  vestita  alla  fran- 
cese con  gravissimo  danno  della  fìsonomia  originale  che  il 
carattere  vostro  e  la  vostra  letteratura  conservano  ancora 
a  malgrado  di  tutto  ciò  che  si  è  fatto  per  alterarli. 

S.  Voi  ridereste  se  vi  rammentassi  che  presso  di  noi  si 
apprezza  grandemente  1*  antico  e  piu-o  sangue  cristiano ,  e 
non  si  sogliono  riguardare  i  Mori  sott*  altro  aspetto  che 
sotto  quello  d' infedeli. 

1.  Caro  D.  Jose ,  non  istiamo  ad  entrare  in  discussioni 
religiose,  perchè  la  materia  è  troppo  ardua  e  delicata ^  e 
potrebbe  tm-bare  assai  più  che  non  il  disputare  sulla  let- 
teratura la  buona  armonia  che  in  questi  giorni  è  fra  noi 
regnata.  Parlando  accademicamente  e ,  come  si  suol  dire  , 
dal  tetto  in  giù,  se  si  riguarda  alla  barbarie  che  regnava 
in  tutta  la  Spagna ,  quando  l*  insulto  fatto  dal  Re  Rodrigo 
all'  anore  del  Conte  Giuliano  chiamò  gli  Arabi  nel  vostro 
paese ,  chi  è  che  non  debba  rallegrarsi  delle  conseguenze 
che  la  battaglia  del  Guadalete  ha  prodotte  ?  E  poniamo 
anche  che  la  ragione  ci  dovesse  far  odiare  quella  na- 
zione come  usurpatrice ,  i  Goti  o  J^isigoti ,  e  i  Vandali 
vostri  progenitori  non  erano  essi  usurpatori  del  territorio 
Iberico  quanto  i  Maomettani?  Vada  dunque  l'un  per  l'al- 
tro e  invece  di  badare  al  loro  dritto  d' invadere  la  Spa- 
gna, badiamo  agli  effetti  che  l'invasione  ha  partoriti.  Senza 
r  irruzione  moresca  non  si  sarebbe  mai  svegliato  fra  voi 
quello  spirito  di  cavalleria  che  vi  durò  per  tanti  secoli  ^ 
e,  quel  eh' è  peggio  pel  soggetto  del  nostro  discorso,  la 
letteratura  vostra  e  la  vostra  lingua  non  avrebbero  quell' 
impronta  orientale  che  a  dispetto  di  tanti  rivolgimenti 
non  si  è  potuta  cancellare  e  vi  distingue  ancora  dalle  al- 
tre nazioni  che  vi  circondano. 

S.  Voi  dite  il  vero ,  il  punto  d'  onore  frutto  dello  spi- 
rito cavalleresco ,  e  i  semi  arabi  che  segretamente  vennero 
fra  noi  germogliando ,.  hanno  dato  un  carattere  alla  nostra 


29 

letteratura  che  cerchereste  invano  nell*  italiana  p  nella  fran- 
cese ,  e  peggio  ancora  in  quelle  delle  lingue  del  setten- 
trione. Peccato  eh*  essa  non  abbia  progredito  secondo  i 
suoi  primordii ,  perchè  l' imitazione  della  vostra  nel  sedi- 
cesimo secolo  ,  e  della  francese  nel  decimottavo ,  le  hanno 
dato  il  tracollo ,  e  tolta  tutta  la  sua  antica  dignità.  Noi 
avevamo  un  modo  di  verseggiare  tutto  nostro ,  un  modo 
di  rimare  diverso  da  quello  delle  altre  nazioni  europee , 
le  regole  d*  Aristotile  non  erano  venute  ad  inceppare  U 
nostro  teatro  che  spaziava  libero  per  tutti  i  campi  dell* 
imaginazione,  e  bastò  che  Boscan,  infettato  dal  gusto  ita- 
liano e  dall'  amicizia  del  vostro  Navagero  ,  si  unisse  a 
Garcilaso  de  la  Vega  per  introdurre  fra  noi  una  riforma 
che  doveva  privarci  di  una  gran  parte  della  nostra  ori- 
ginalità. 

/.  Se  Boscan  non  intraprendava  di  riformare  la  poesia 
spagnuola  un  altro  l'avrebbe  in  sua  vece  riformata,  perchè 
le  cose  erano  giunte  al  punto ,  a  cagione  principalmente 
delle  guerre  di  Carlo  V.  pel  ducato  di  Milano  e  pel  re- 
gno di  Napoli ,  che  di  necessità  o  la  letteratura  spagnuola 
doveva  accostarsi  all'italiana  o  l'italiana  alla  spagnuola.  Ora 
delle  due  toccava  alla  vostra  a  riformarsi ,  la  quale  non 
aveva  avuto  né  un  Dante ,  ne  un  Petrarca  che  ne  stabi- 
lissero fermamente  le  basi.  Il  male  che  vi  fu  fatto  da  Boscan 
e  da  Garcilaso ,  dai  quali  fu  pure  ingentilito  il  vostro  verso 
che  suonava  rozzamente  nelle  redondillas  e  nelle  coplas 
de  arte  major,  fu  quello  di  fomentare  nel  vostro  suolo 
quella  gramigna  dei  sonetti  e  delle  egloghe  di  cui  non  so 
se  vi  sia  maggior  peste  nelle  lettere.  Del  rimanente  la  ri- 
forma non  produsse  grand'  effetto  sulla  vostra  poesia  dram- 
matica, per  la  ragione  che  l'Italia  non  avendo  derrata  dì 
questa  sorta  da  esportare  ,  ed  essendo  servile  e  mìsera 
imitatrice  dei  Greci  e  dei  Latini  non  vi  poteva  incorag- 
giare a  copiare  le  sue  copie. 


30 

S.  Buon  per  noi  che  l' Italia  non  avesse  nulla  nel  suo 
teatro  che  fosse  degno  d' imitazione ,  perchè  altrimente  non 
avremmo  veduto  sorgere  quei  grandi  ingegni  di  Lope  de 
f^ega  Carpio  e  di  Calderon  de  la  Barca ,  i  quali  bastano 
da  se  soli  a  rendere  gloriosa  una  letteratura.  —  Che  dite 
voi  di  questi  due  colossi?  E  avete  voi  in  Italia  un  pajo 
di  campioni  da  oppor  loro  nelle  produzioni  teatrali  ? 

/.  Se  vi  ho  da  dire  schiettamente  ciò  che  io  penso , 
noi  siamo  meno  felici  di  alcune  altre  nazioni  nelle  cose 
nostre  di  teatro.  La  commedia  è  rimasta  in  Italia  o  tri- 
vialmente spiritosa  o  nobilmente  fredda:  e  la  tragedia  è 
troppo  calcata  sul  greco  modello  perchè  si  possa  chiamare 
veramente  italiana.  Ma  non  e'  innoltriamo  in  questa  di- 
gressione che  ci  condmTebbe  troppo  lontano  e  finché  si 
può  procuriamo  di  non  uscire  dalla  Spagna.  Guai  se  qual- 
che mio  concittadino  penetrasse  il  mio  segreto  sentimento 
sulle  nostre  drammatiche  produzioni  !  sarebbe  cosa  da  farmi 
sbattezzare ,  perchè  certi  pregiudizi  sono  forse  radicati 
nella  mia  patria  più  fortemente  ancora  che  nella  vostra. — 
Torniamo  pertanto  a  Lope  de  Vega  e  a  Calderon ,  e  sof- 
frite che  vi  dica  liberamente  che  se  essi  sono  ingegni  stra- 
ordinari ,  e  certamente  sono  tali ,  il  loro  genio  è  cosi 
disordinato  da  consistere  almeno  per  la  metà  nella  strava- 
gaiua.  —  Una  nazione  che  ha  potuto  ammirare  i  loro  Jutos 
sacranientales  non  dà  un'  idea  favorevole  né  della  sua  re- 
ligione ,  né  del  suo  discernimento.  Una  nazione  che  potè 
dilettarsi  alla  rappresentazione  di  migliaia  di  commedie  de 
Capa  j  espada ,  quasi  tutte  fondate  sul  punto  d'  onore  e 
piene  zeppe  di  duelli  di  fi^atelli  e  di  padri  contro  amanti 
o  seduttoi'i ,  per  vendicare  1'  onore  di  figlie  o  di  sorelle , 
mostra  che  non  patisce  la  noja  della  monotonia ,  e  che 
può  ingojare  qualunque  pasticcio  ,  purché  abbia  esterna- 
mente qualche  pouo  di  condimento  che  l'  ajuti  a  scorrer 
giù  per  l'esofago. 


31 

S.  Ma  vói  siete  oltremodo  severo  nei  vostri  giudizi ,  e 
non  la  perdonate  nemmeno  ai  sommi.  - —  Dunque  cotesti 
grandi  ingegni ,  poiché  fate  loro  la  grazia  di  chiamarli  con 
questo  nome  ,  a  parer  vostro  non  avrebbero  altra  qualità 
fuorché  quella  di  una  fantasia  disordinata  ?  E  non  tenete 
voi  in  nissun  conto  la  prodigiosa  loro  facoltà  di  scrivere  e 
di  scrivere  elegantemente? 

/.  So  che  Lope  ebbe  il  dono  funesto  di  poter  scrivere 
quasi  con  la  rapidità  con  cui  si  pensa ,  e  so  che  più  di 
cento  de'  suoi  drammi ,  per  quanto  egli  stesso  ci  narra,  in 
meno  di  ventiquattr' ore  :  .; 

«  Pasaron  de  las  musas  al  teati'o.  » 

Calderon  fu  anch'  esso  dotato  di  una  straordinaria  rapidità 
nel  comporre ,  e  di  comporre  in  uno  stile  a'  suoi  tempi 
riputato  elegantissimo ,  ma ,  sia  con  vostra  pace ,  e  l' uno 
e  l'altro  avi-ebbero  meglio  provveduto  alla  loro  fama  se 
non  si  fossero  tanto  affrettati.  Quel  Lope  che  aveva  tal- 
mente apamaliati ,  o  per  dir  meglio  ingannati ,  i  suoi  con- 
temporanei, da  fare  che  il  suo  nome  divenisse  sinonimo 
di  cosa  perfetta:  quel  Calderon  che  col  suo  stile  culto 
tanto  propagò  ed  accrebbe  quel  parlar  per  concetti  e 
quegli  arzigogoli  inti'odotti  da  Gongora ,  che  cosa  hanno 
lasciato  che  porti  veramente  il  marchio  del  buon  gusto , 
e  si  accosti  a  quella  perfezione  di  cui  si  trovano  fi  equenti 
esempi  nelle  altre  letterature  e  talora  anche  nella  vostra 
fuori  del  genere  drammatico? 

iS*.  Se  foste  Spagnuolo  cotesta  perfezione  di  cui  parlate 
la  trovereste  in  parte  nelle  opere  stesse  di  Lope  e  di  Cal- 
deron, sebbene  io  non  possa  negare  che  questi  facesse  un 
abuso  condannevole  di  concetti  e  dell'ingegno  prodigioso 
che  la  natura  gli  aveva  concesso.  —  Ma  cotesto  malaugu- 
rato cultismo  che  gli  rimproverate  ci  è  pur  venuto  d'Ita- 


52 

Ila  f  come  la  prima  riforma  della  nostra  poesia  !  Quel  Ma- 
rini che  mise  in  voga  presso  di  voi  lo  stile  che  chiamate 
del  seicento,  è  pm^e  stato  cagione  che  la  corruzione  dal 
regno  di  Napoli  passasse  in  Ispagna,  e  vi  gettasse  quelle 
radici  che  pur  troppo  vi  pose  per  più  di  un  secolo. 

/.  Potrei  rispondervi  che  Marini  originario  spagnuolo  e 
allevato  fra  Spagnuoli  fu  corrotto  da  voi  prima  di  accre- 
scere la  vostra  corruzione  ;  ma  confesserò ,  eh'  egli  ebbe  la 
sua  parte  nella  propagazione  del  cattivo  gusto  in  Ispagna. 
Presso  di  noi  la  nostra  buona  sorte  ha  voluto  che  gì'  imi- 
tatori del  Marini  fossero  poeti  di  poco  o  nessun  valore, 
invece  che  uomini  veramente  grandi  portarono  fra  voi  l'as- 
surdità all'  eccesso ,  e  fecero  che  il  pubblico  giudizio  vi 
fosse  compiutamente  travolto, 

S.  Or  bene  concediamo ,  poiché  il  volete ,  che  tanto 
ZiOpe  quanto  Calderon  abbiano  traviato  per  troppa  imma- 
ginazione e  per  fretta  eccessiva  nel  comporre ,  non  potrete 
tuttavia  ricusar  loro  il  merito  innegabile  dell'invenzione  e 
quello  di  un  dialogare  così  spiritoso  e  vivace  da  incantare 
gli  spettatori. 

/.  L*  invenzione  certamente  non  è  loro  mancata ,  e  buon 
per  loro  se  ne  avessero  avuta  meno  con  maggior  criterio. 
Ma  un*  invenzione  mostruosa  non  frenata  da  quel  tatto  let- 
terario che  fa  distinguere  l' oro  dall'  orpello ,  è  una  qualità 
piuttosto  da  lamentarsi  che  da  invidiare.  Quanto  è  alla  spi- 
ritosa vivacità  del  dialogo  io  concederò  tutto  quello  che 
volete,  purché  sopportiate  ch'io  dica  essere  questo  merito 
pur  troppo  oscurato  dai  difetti ,  non  della  lingua  che  al 
dir  di  tutti  è  quasi  sempre  bellissima,  ma  dello  stile  che 
raramente  è  naturale  e  più  di  tutto  dai  pensieri  che  par- 
ticolarmente in  Calderon  sono ,  per  quel  mal  vezzo  del 
cultismo ,  lambiccati  e  contorti  e  per  lo  più  rilucenti  di 
un  falso  splendore. 

S.  Donde  viene  adunque  che  i  Tedeschi  fanno  tanto  caso 


55 

di  questi  nostri  drammatici  e  che  i  Francesi  si  sono  arric- 
chiti delle  spoglie  del  nostro  teatro,  se  questo  è  secondo 
voi  così  mostruoso  e  ridicolo? 

/.  Adagio  con  quel  mostruoso  e  ridicolo  ,  poiché  io  non 
ispingo  la  cosa  cosi  oltre  come  voi  semiorate  immaginare. 
Ho  lette  delle  vostre  commedie  de  Capa  y  espada ,  fra 
le  quali  poche  di  Lope  ,  un  maggior  numero  di  Calderon 
ed  alcune  di  Agostino  Moreto  ricavandone  grandissimo  di- 
letto ;  e  dicendo  questo  io  sono  più  generoso  del  nostro 
Baretti,  il  quale,  intendentissimo  com'ei^a  della  vostra  let- 
teratura ,  non  vi  trovò  mai  più  di  due  commedie  che  gli  pia- 
cessero ,  e  queste  sono  El  famiUar  sin  demonio  di  Gaspar 
de  Avila ,  e  No  hai  bien  sin  ageno  dano  di  Antonio  Sigler 
de  Huerta.  —  Delle  commedie  eroiche  ossiano  tragedie 
dei  vostri  antichi  non  parlo ,  perchè  appena  ve  n'  ha  al- 
cuna che  sia  degna  di  essere  rammentata,  tanto  esse  sono 
piene  di  stranezze  ripugnanti  alla  ragione  e  al  buon  senso. 
E  se  i  Tedeschi  tengono  in  gran  conto  parecchi  dei  vo- 
stri drammi ,  egli  è  perchè  anch'  essi  sogliono  dare  un  li- 
bero corso  all'  immaginazione  e  sono  tanto  amanti  delle 
nuove  creazioni  che  perdonano  facilmicnte  ogni  trascorso, 
purché  resti  appagato  quell'  ardente  desiderio  che  hanno 
di  trasportarsi  con  la  mente  fuori  delle  regioni  del  possi- 
bile. Né  vi  faccia  stupore  che  i  Francesi  si  siano  valuti 
delle  creazioni  vostre  per  adattarle  al  loro  teatro  ,  perchè 
vi  si  vuol  render  giustizia  col  dire  che  v'  ha  presso  di  voi 
una  miniera  quasi  inesauribile  di  eccellente  metallo  che 
voi  non  avete  saputo  separare  dalla  terra  e  dalle  rocce , 
e  che  la  delicata  mano  dei  Francesi  ha  convertito  in  gio- 
ielli. Né  questo  è  il  solo  caso  in  cui  le  cose  vostre  pas- 
sando in  Francia  siano  divenute  migliori,  mercè  del  buon 
gusto  di  chi  le  ha  sapute  pulire  e  fare  coli'  opera  sua 
adorne  e  gentili.  Ricordatevi  dello  stupendo  Gii  Blas  de 
Santillane  che  Le  Sa  gè  vi  ha  rubalo,  abbellendolo  in  modo 

3 


34 

da  farsi  perdonare  il  furto  e  da  ricavarne  grandissima  lode 
come  d' opera  originale. 

S.  Ciò  che  mi  dite  dei  Tedeschi  mi  dimostra  che  prima 
di  entrare  in  questa  discussione  avrei  dovuto  interrogarvi 
se  siate  classico  o  romantico,  sebbene  sia  da  presumersi 
e  dall'essere  voi  stato  allevato  in  Italia  e  da  certe  opinioni 
teste  manifestate,  che  dovete  appartenere  ai  partigiani  del 
classicismo. 

/.  V  ingannate  a  partito ,  signore ,  se  credete  che  le 
opinioni  o  i  pregiudizi!  delle  scuole  mi  dirigano  nelle  mie 
affezioni  letterarie.  In  questo  mi  lascio  guidare  dal  senti- 
mento del  bello  che  è  in  noi  innato  e  dall'  educazione  e 
dallo  studio  accresciuto  :  e  se  ho  da  dirla ,  giudico  assai 
più  secondo  il  cuore  che  non  secondo  la  mente.  —  Se  do- 
vessi prendere  un  nome  per  indicare  l'opinione  che  seguo 
mi  chiamerei  eclettico,  cioè  non  solamente  classico  e  ro- 
mantico ad  un  tempo ,  ma  amico  d' ogni  genere  di  lette- 
ratura ,  qualunque  sia  la  sua  appellazione ,  purché  ci  trovi 
quel  bello  che  rapisce ,  che  accende ,  che  commuove  e  che 
non  è  privilegio  di  un  popolo  o  di  un  paese ,  ma  si  trova 
sparso  per  tutta  la  natura.  Nello  stesso  modo  che  ammiro 
un  bel  quadro  di  scuola  italiana ,  rimango  estatico  dinanzi 
una  Madonna  del  vostro  Murillo ,  e  a  quella  guisa  che  mi 
compiaccio  nel  vedere  una  perfetta  imitazione  della  na- 
tura in  una  pittura  fiamminga ,  fo  le  mie  delizie  di  una 
marina  o  di  un  paesello  inglese.  Da  buon'  ora  ho  rotte  le 
pastoie  delle  arti  poetiche  che  ci  vorrebbero  condannare 
ad  ima  perpetua  e  sterile  imitazione  dei  classici  greci  e 
latini.  La  vera  arte  poetica  è  la  natura  studiata  e  discussa 
con  quella  ragione  che  fa  dell'  uomo  il  primo  degli  esseri 
creati.  Quindi  io  sono  sincero  ammiratore  di  quegli  stessi 
Tedeschi  che  sono  i  più  zelanti  difensori  del  vostro  teatro  ; 
venero  Goethe  e  Schiller ,  e  soprattutto  il  primo  dei  dram- 
maturgi  moderni  l'impareggiabile,  ma  pur  troppo  strano, 


35 

Shakspeare,  perchè  essi  mi  parlano  soventi  al  cuore  con 
una  poesia  piena  di  passione  e  di  afletto ,  invece  che  i 
vostri  tendono  sempre  ad  abbagliare  la  mente. 

iS".  Se  così  è  vi  godrà  1'  animo  nel  vedere  gli  sforzi  che 
si  vanno  facendo  in  Francia  ed  in  Italia  per  accostarsi  ai 
romantici  o  almeno  per  uscire  dai  limiti  nei  quali  le  let- 
terature di  quei  paesi  furono  per  1'  addietro  ristrette, 

/.  Dite  pure  che  ne  godo  assaissimo ,  perchè  veggo  che 
non  e'  è  modo  d' infondere  una  novella  vita  in  quelle  let- 
terature salvo  col  cercare  ispirazioni  al  di  fuori.  Piuttosto 
che  udir  ripetere  per  sempre  ciò  che  si  è  detto  e  ridetto 
per  tanti  secoli  e  non  veder  altro  che  imitatori  d' imitatori , 
amo  che  si  vada  a  rischio  di  errare  seguendo  un'  altra  via , 
la  quale  può  darsi  che  conduca  anche  noi  a  bella  e  glo- 
riosa meta,  come  vi  ha  condotte  altre  nazioni.  Né  mi  sgo- 
menta il  vedere  che  i  primi  passi  siano  incerti  e  che  in 
sul  bel  principio  del  cammino  molti  vadano  già  errando 
fuori  di  strada ,  perchè  penso  non  potersi  giungere  alla  vi- 
rilità senza  passare  per  l' infanzia  e  per  la  fanciullezza. 
Questo  poi  più  di  tutto  mi  rassicura  che  la  letteratura  clas- 
sica ,  con  tanta  copia  di  libri  che  sono  nelle  mani  di  tutti , 
non  può  più  andar  perduta ,  e  che  la  sua  influenza  si  farà 
sempre  sentire  sia  col  temperare  gli  eccessi  cui  1*  amore 
della  novità  potrebbe  portare  i  più  fervidi  ingegni ,  sia  col 
richiamarli  alle  antiche  discipline,  quando  l'esperienza  mo- 
strasse essere  le  nuove  o  dannose  o  non  adattate  ai  nostri 
costumi. 

S.  Strana  cosa  che,  mentre  le  altre  nazioni  vanno  tentando 
di  rompere  le  catene  del  classicismo  ,  noi  Spagnuoli  da 
più  di  mezzo  secolo  facciamo  di  tutto  per  rinunziare  alla 
libertà  del  nostro  antico  teatro  e  metterci  nei  ceppi  delie 
regole  classiche. 

/.  Questo  vi  provi  che  coloro  i  quali  fondarono  il  vostro 
teatro  fecero  bensì  gran  cose  che  vi  riempirono  di  mara- 


36 

viglia,  ma  non  gettarono  le  loro  fondamenta  sul  sodo. 
Quindi  voi  andate  ora  in  cerca  del  vero  che  non  avete 
ancora  trovato  e  pensate  di  poterlo  incontrare  nel  classi- 
cismo ,  mentre  altri  non  paghi  di  questo  lo  cercano  fra  i 
romantici,  vale  a  dire  nelle  scuole  tedesca  ed  inglese,  le 
quali  più  particolarmente ,  a  me  pare  ,  si  hanno  in  mira 
parlando  di  romanticismo ,  ad  esclusione  dell'  antica  spa- 
gnuola  che  forma  un  genere  a  parte  cui  io  darei  volon- 
tieri  il  nome  di  romantico-orientale.  Oltre  a  ciò  badate 
che  il  desiderio  di  varietà  è  naturale  all'uomo  e  che  i  po- 
poli come  gì'  individui  non  possono  sempre  stare  nella 
medesima  giacitura  e  non  tentare  di  schermirsi  dalla  stan- 
chezza col  dar  volta  ,  benché  spesso  accada  che  voltandosi 
si  trovino  in  una  postura  più  spiacevole  di  prima.  —  Do- 
poché il  trono  delle  Spagne  passò  in  mano  ad  una  dina- 
stia francese ,  gli  antichi  costumi  spagnuoli  si  andarono  a 
grado  a  grado  adulterando  e  con  essi  si  venne  pure  per- 
dendo 1'  affezione  all'antica  letteratura.  —  D.  Ignazio  de 
Luzan  stemperando  poi  la  poetica  di  Boileau  in  quel  suo 
grosso ,  ma  in  gran  parte  savio  ,  volume  ,  sparse  i  semi 
che  dovevano  sul  finire  del  secolo  decimottavo  produrre 
il  loro  frutto.  Egli ,  e  la  moda  di  Francia  che  prevalse 
in  questo  come  in  altre  cose ,  diedero  1'  ultimo  crollo  al 
teatro  sino  allor  prediletto. 

S.  Egli  è  pur  troppo  così.  Sono  più  di  cincpiant'anni  che 
si  scrivono  tragedie  e  commedie  regolain  ,  ma  non  è  an- 
cora sorto  fra  noi  un  ingegno  tale  che  possa  colla  clas- 
sica regolarità  far  dimenticare  ciò  che  voi  chiamate  le 
stravaganze  dei  nostri  antichi.  Né  Leandro  Fernandez 
Moratin ,  né  il  Messicano  Gorostiza  ,  né  Martinez  de  la 
Rosa  ,  benché  degnissimi  di  lode  ,  non  hanno  ancora  pro- 
vato che  il  metodo  classico  convenga  alla  Spagna.  Chi  sa 
cjuando  verrà  a  decidersi  questa  importantissima  questione? 

/.  Egli  pare   che  voi  andrete  ancora  tentone  per  qiial- 


57 

che  tempo  finche  non  nasca  chi  sappia  fare  un  beli'  inne- 
sto dell'  un  genere  suU'  altro  e  soddisfaccia  ad  un  tempo 
alla  presente  civiltà  e  al  desiderio  che  vi  lasciano  le  me- 
morie del  passato.  Quella  medesima  incertezza  che  regna 
fra  voi ,  regna  pur  anche  presso  varie  altre  nazioni.  Ve- 
dete la  Germania  ,  stata  1'  ultima  a  scendere  nell'  aringo 
letterario ,  alternare  il  classico  ed  il  romantico  ,  e  la  vec- 
chia Inghilterra  ,  pur  sempre  devota  ammiratrice  del  suo 
Shakspeare ,  prendere  alcuna  volta  a  modello  Sofocle  ed 
Euripide,  quasi  si  mostrasse  sazia  delle  sue  immense  ric- 
chezze. 

S.  Noi  ci  siamo  ingolfati  in  una  quistione  troppo  se- 
ria ed  io ,  con  vostra  licenza ,  vorrei  che  tornassimo  al 
nostro  soggetto ,  premendomi  di  dimostrarvi  che  la  lette- 
ratura Gastigliana  ha  pure  in  sé  molto  di  buono ,  e  può 
reggere  al  confronto  delle  sue  sorelle.  Non  parlerò  più 
del  nostro  dramma  antico ,  giacché  veggo  che  il  vostro 
pregiudizio  su  questo  punto  é  invincibile  ;  ma  prima  che 
passiamo  ad  altra  materia  ditemi  almeno  se  ,  mentre  non 
vi  piace  l'intrinseco  ,  non  trovate  alcuna  cosa  di  lodevole 
nel  metro  di  cui  si  faceva  e  si  fa  ancor  uso  nelle  nostre 
commedie.  A  me  pare  che  il  verso  sia  adattato  e  che 
quelle  rime  assonanti ,  particolari  alla  nostra  lingua,  siano 
grandemente  pregevoli  come  quelle  che  aggiungono  venu- 
stà senza  offendere  l'orecchio  e  distogliere  l'attenzione.  Ma 
non  oso  più  asserir  nulla ,  tanto  voi  mi  parete  intento  a 
troncare  le  ali  del  nostro  orgoglio. 

/.  Voi  lo  dite  ridendo,  epperò  mi  confortate  a  prose- 
guire senza  timore.  —  Qui  sono  pienamente  della  vostra 
opinione  e  credo  con  voi  che  il  vostro  verso  di  redon- 
dilla,  benché  di  sole  otto  sillabe,  é  forse  più  atto  d'ogni 
altro  al  dialogare  per  cpiella  giacitura  d' accenti ,  spesso 
diversa  da  quella  dell'ottonario  italiano ,  che  lo  rende  nò 
troppo   armonioso   né  troppo  monotono  ;  e  le  vostre  rime 


38 

assonanti  mi  sono  pur  care  per  la  segreta  annonia  che 
diirondono  nella  verseggiatura  ,  là  dove  la  rima  consonante, 
per  la  troppa  sua  evidenza  diverrebbe  insopportabile. 

S.  Ho  udito  dire  da  molti  stranieri  che  la  semplice 
assonanza  diviene  appena  sensibile  al  loro  orecchio,  cosa 
che  mi  fa  stupore  perchè  non  v'  ha  Spagnuolo  fi-equenta- 
tore  di  teatro  che  non  segua  esattamente  quel  suono  si- 
mile che  si  va  i-ipetendo  per  intere  scene  ad  ogni  verso 
pari  e  non  si  accorga  immediatamente  quando  il  poeta  , 
avendo  per  così  dire  esausto  un  assonante,  viene  a  met- 
ter mano  ad  un  altro. 

/.  Il  mio  orecchio  non  è  certamente  esercitato  quanto 
quello  di  uno  Spagnuolo  ,  ma  vi  so  dire  che  quel  poco 
d'abitudine  che  ho  alla  rima  assonante  fa  ch'essa  mi  di- 
venga molesta  nei  versi  sciolti  italiani,  dove  mi  avviene 
spesso  d'incontrarla  e  dove  mi  pare  che  faccia  difetto  , 
perchè  la  perfezione  di  un  tal  verso  esige ,  secondo  me ,  che 
gli  accenti  principali  cadano  più  che  si  può  sopra  vocali 
di  diversa  natura.  Molti,  e  forse  la  maggior  parte  dei  no- 
stri verseggiatori,  non  badano  a  questa  rima  segreta  o 
mezza  rima ,  perchè  si  richiede  un  esercizio  particolare  a 
scoprirla.  Quindi  accade  che  spesso  lasciano  trascorrere 
due  o  ti'e  e  sino  a  quattro  versi  l'uno  dopo  l'altro  finienti 
con  la  stessa  assonanza  e  fanno  che  il  lettore  si  rimanga 
mal  soddisfatto ,  per  un  non  so  che  d'ignoto  che  lo  feri- 
sce e  che  pure  non  sa  chiaramente  distinguere.  Io  quando 
veggo  parecchi  versi  di  seguito  o  in  poca  lontananza  gli 
uni  dagli  altri  terminare,  a  cagion  d'esempio,  con  le  parole 
seno  ,  cielo ,  Jìero ,  =  sorte  ,  fronte  ,  sole ,  =  mano  , 
canto  ,  caro  e  simili ,  dico  subito  ,  costui  non  ha  mai 
letto  una  romanza  o  una  scena  di  commedia  spagnuola, 
oppure  si  fida  dell'inesperienza  del  suo  lettore. 

S.  Benché  la  rima  assonante  sia  quella  che  regna  prin- 
cipalmente nei   nostri  drammi ,    gli  autori  nostri  per  in- 


39 

trodurvi  maggior  varietà  non  tralasciarono  d' innestarvi 
anche  la  consonante,  seguendo  l'esempio  di  Cervantes  che 
nella  sua  Numancia  e  nelle  altre  sue  composizioni  teatrali 
fece  uso  di  ottave  con  endecassillabi ,  e  di  versi  di  re- 
dondilla  rimati  a  quartine.  Che  pensate  voi  di  quest'uso 
che  non  solamente  prevalse  presso  Lope  e  Calderon  e  i 
loro  contemporanei ,  ma  s'incontra  eziandio  in  parecchi 
scrittori  del  secolo  decimottavo  che  tentarono  invano  dì 
far  risorgere  l'antica  commedia  ? 

/.  Dico  che  per  me  è  insopportabile  e  che  Lope  e  i 
suoi  seguaci  valendosi  dell'assonante  di  cui  non  s'era  ser- 
vito Cervantes,  non  s'accorsero  bene  della  superiorità  di 
questa  rima  sull'altra  quando  poterono  aver  ricorso  a  re- 
dondillas  rimate  a  consonanza ,  le  quali  martellano  l' orec- 
chio assai  più  che  non  le  rime  perpetuamente  accoppiate  del 
teatro  fi^ancese.  E  dico  di  più  che  quell'introdurre  ottave 
di  endecassillabi ,  e  non  solamente  ottave  ma  terze  rime , 
e  sonetti,  e  il  verseggiare  delle  canzoni  Petrarchesche  nel 
dialogo ,  fu  una  mera  vanità  degli  autori  vostri ,  i  quali  vol- 
lero con  grave  pregiudizio  del  dramma  mostrarsi  esperti 
in  ogni  genere  di  versificazione  e  maestri  nel  vincere  o- 
gni  difficoltà.  La  difficoltà  vinta  nel  verseggiare  ha  certa- 
mente il  suo  pregio ,  ma  nel  dramma  l'arte  che  si  adopera 
nel  meccanismo  del  verso  vuol  essere  compiutamente  ce- 
lata, acciò  non  si  distolga  l'attenzione  dal  soggetto  per 
chiamarla  sulla  semplice  forma.  —  Certo  non  era  neces- 
sario a  Lope  di  abbandonarsi  al  capriccio  di  far  questa 
mal  intesa  mescolanza  [di  metri  e  di  rime  poiché ,  se 
furono  innumerevoli  i  suoi  drammi ,  senza  numero  fm'ono 
pure  i  suoi  sonetti  e  i  suoi  capitoli  e  troppi  i  suoi  poemi 
epici,  nei  quali  potè  dare  sfogo  al  prurito  di  rimare  alla 
italiana. 

S.  Vedo  che  non  fate  maggiore  stima  delle  altre  poesie 
di  Lope  di  quella  che  facciate  de'  suoi  drammi ,  e  in  parte 


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non  \i  do  il  torto  ,  sebbene  abbiamo  di  lui  parecchi  so- 
netti di  squisita  perfezione  speciahnente  nello  stile  gio- 
coso che  voi  chiamate  bernesco. 

I.  Concorro  volontieri  nella  vostra  opinione  quanto  ai 
sonetti ,  alcuni  dei  quali  sono  veramente  pieni  di  origina- 
lità e  di  grazia,  qual  è  quello  sulla  sua  logora  sottana 
che  fu  tradotto  da  Scarron  e  da  lui  dato  in  luce  come 
cosa  propria.  Ma,  in  nome  della  santa  poesia,  non  mi  par- 
late de'  suoi  cinque  o  sei  poemi  eroici  ninno  dei  quali  io 
credo  sia  ancor  letto  dai  vostri  compatriotti  o  ricevesse  l' 
onore  di  una  seconda  edizione.  Sicché  gli  esemplari  o  ne 
sono  sepolti  nelle  pubbliche  biblioteche  o  sono  fra  le  mani 
dei  privati  raccoglitori  d'anticaglie.  —  Quell'uomo  che  fu 
da'  suoi  contemporanei  chiamato  prodigio  della  natura  , 
inorgoglito  dal  dominio  che  aveva  acquistato  sulla  mente 
del  pubblico  si  credette  capace  d'intraprendere  qualunque 
pili  difficile  composizione,  e  volle  particolarmente  lottare 
coir  Ariosto  e  col  Tasso  componendo  una  continuazione 
del  Furioso  col  titolo  di  Hermosura  de  Angelica  ed  una 
Gerusalemme  conquistata,  poemi  in  ottava  rima  e  di  venti 
canti  cadmio.  Qui  si  vide  di  che  tempra  fosse  quel  suo 
ingegno  tanto  predicato.  I  poemi  del  Tasso  e  dell'Ariosto 
vivranno  finché  vivrà  1'  amore  delle  lettere ,  e  quelli  di 
Lope,  quasi  ignorati  nella  stessa  sua  patria  furono  sepolti 
sin  dal  loro  nascere  e  sono  ora  nido  e  alimento  delle  tar- 
me in  mezzo  alla  polvere  delle  biblioteche.  Vi  sono  pre- 
stigi coi  quali  si  può,  vivendo,  abbagliare  una  nazione,  ma 
la  posterità  non  può  essere  ingannata.  Per  ottener  fama 
presso  di  lei  non  ci  vuole  la  sola  faciUtà  di  chi  improv- 
visa, ma  lo  studio  e  la  lima  di  chi  lentamente  compone. 

S.  Non  vi  darò  colpa  che  non  abbiate  veduta  la  rac- 
colta delle  opere  in  prosa  ed  in  verso  di  Lope  de  Vega 
in  2  1  voi.  in  4.  stampata  a  Madrid  verso  il  1780,  perchè 
certe  opere   spagnuole  raramente  passano  i  Pirenei  od  il 


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mare  ;  con  tuttociò  voi  vi  siete  apposto  al  vero  dicendo 
che  i  poemi  eroici  di  Lope  trovano  fra  noi  pochi  lettori. 
Veramente  né  i  due  poemi  da  voi  nominati,  né  i  quattro 
altri  dello  stesso  autore  sono  i  titoli  pei  quali  gli  Spagnuoli 
chieggono  un  posto  onorevole  nella  poesia  epica.  E  la- 
sciando stare  il  Monserrate  del  Virues  e  il  Bernardo  os- 
sia la  vittoria  di  Roncesvalles  del  Balbuena  che  sono 
certamente  degni  di  grand' onore  ,  chi  è  che  possa  ricu- 
sare a  D.  Alonzo  de  Ercilla  la  corona  epica  per  la  sua 
Araucana  ? 

I.  Fate  bene  a  lasciar  da  parte  il  Monserrate ,  benché 
sia  lodato  da  Cervantes  nella  rivista  che  il  curato  e  il 
barbiere  fanno  della  biblioteca  di  D.  Chisciotte ,  perché  se 
v'  ha  qualche  pregio  di  stile  egli  è  in  tutto  il  resto  al  di 
sotto  della  dignità  di  un  poema  eroico.  La  vita  di  un  romito 
e  la  fondazione  di  un  convento  possono  essere  materia  di 
un  bel  libro  ascetico,  ma  non  hanno  nulla  di  quel  grande 
e  di  quel  poetico  che  si  richiede  per  un'  epopea.  Del 
Bernardo  non  dirò ,  perchè  non  mi  é  mai  capitato  fra  le 
mani,  ma  so  che  tutti  lo  tengono  in  minor  conto  Ae\- 
Y  Araucana ,  e  voi  medesimo  ad  essa  lo  posponete.  Fer- 
miamoci pertanto  a  parlare  di  questa.  —  Che  il  signor 
D.  Alonzo  de  Ercilla  y  Zuhiga  sia  poeta  epico  a  nes- 
suno verrà  in  capo  di  negarlo.  Ma  eh'  egli  sia  buon  poeta 
e  possa  stare  in  compagnia  dei  grandi  delle  altre  nazioni , 
quand'  anche  non  fosse  nota  1'  opinione  di  tutti  coloro  che 
hanno  scritto  sulla  vostra  poesia ,  ve  lo  negherei  io  che 
per  mia  noja  mortale  1'  ho  voluto  leggere  tutto  quanto 
dalla  prima  sino  all'  ultima  ottava. 

iS".  Potrei  domandarvi  col  comico  francese  qii'alliez-vous 
/aire  dans  cette  galère  ?  Quando  avete  cominciato  a   sba- 
digliare perchè  non  avete    gettato  via   il  libro    e  dato   un 
addio  a  D.  Alonzo? 

/.  Io  era  nella  mia  gioventù  così  pieno   di    entusiasmo 


42 

per  la  letteratura  spagnuola ,  a  cagion  di  quel  caro  D. 
Chisciotte  di  cui  faceva  la  mìa  delizia  ^  che  udendo  dire 
da  tutti  essere  1'  Araucana  il  migliore  dei  vostri  poemi 
epici,  deliberai  di  volerla  leggere  con  grandissima  atten- 
zione ,  così  per  vedere  qual  fede  meritassero  coloro  che 
la  biasimano  ,  come  per  avere  un  punto  ben  determinato 
che  mi  regolasse  nel  giudicare  del  gusto  spagnuolo.  Io 
diceva  a  me  stesso,  forse  coloro  che  hanno  condannata 
\  Araucana  non  ebbero  pazienza  di  leggere  un  poema  così 
lungo  e,  stanchi  dell'esposizione  che  per  lo  più  suol  riu- 
scire tediosa,  sono  passati  sopra  molte  delle  sue  bellezze; 
o  fors'  anche  erano  mal  disposti  contro  il  soggetto  per 
queU'  orrore  che  ispirano  le  imprese  spagnuole  nell'America. 
Armiamoci  di  sofferenza ,  e  leggiamo  coli'  intenzione  di 
rendere  la  dovuta  giustizia  al  poeta  ed  alla  sua  nazione. 

S.  Non  istate  a  proseguire,  perchè  già  avete  dichiarato 
che  il  frutto  di  cotesta  lettura  non  fii  altro  che  una  noja 
mortale. 

/.  E  potete  voi  in  coscienza  maravigliarvi  che  io  non 
sia  divenuto  caldo  ammiratore  di  Ercilla  ?  —  Narrazione 
stemperata  di  avvenimenti  comuni ,  più  degna  di  una  gaz- 
zetta che  di  un  poema  ;  —  digressioni  lunghissime  intorno 
alla  storia  spagnuola ,  nelle  quali  si  trova  appena  un'  om- 
bra di  poesia  ;  —  descrizioni  geografiche  aridissime ,  piene 
di  nomi  di  popoli ,  di  montagne  e  di  fiumi ,  luogo  comune 
di  cui  si  servirono  quasi  tutti  i  vostri  poeti ,  e  persmo  il 
Camois  che  pure  non  aveva  bisogno  di  ricorrere  a  questa 
riempitura  di  stucco  ;  —  e ,  per  non  dire  di  tutto  parti - 
tamente ,  racconto  freddissimo  delle  avventure  di  Didone 
che  vi  sta  veramente  a  locanda,  e  vi  par  tirato  cogli  ar- 
gani ,  —  sono  cose  che  stancherebbero  la  pazienza  di  un 
Giobbe. 

S.  Certamente  il  buon  Alonzo ,  che  racconta  egli  stesso 
le  avventure  di  Didone  a*  suoi  guerrieri ,    avrebbe   potuto 


45 

scegliere  qualche  altra  storia  più  adattata  a  ricreare  le  ve- 
glie di  un  esercito  accampato  nelle  solitudini  d'  Arauco. 
Ma  la  sua  narrazione  ha  almeno  questo  merito  che  non 
le  si  può  dare  il  nome  di  crambe  repetita,  poiché  si  sco- 
sta interamente  da  quella  di  Virgilio ,  e  vendica  1*  onore 
della  fondatrice  di  Cartagine. 

/.  Voi  lo  dite  per  celia.  Bel  merito  in  verità!  sappiate 
che  in  fatto  di  poesia  una  Didone  sedotta  ed  innamorata 
come  ce  la  dipìnge  Virgilio,  vale  assai  più  che  cento  Didoni 
virtuose  e  ifredde  come  quella  del  vostro  Ercilla. 

S.  Ma  il  pregio  dell'  Araucana  noi^  dipende  tanto  dalle 
cose  narrate  quanto  dal  modo  di  narrarle ,  e  qui  ricadiamo 
nel  dubbio  che  ho  mosso,  parlando  di  Melendez  Valdes, 
se  uno  straniero  sia  atto  a  giudicare  di  quel  certo  fascino 
che  nasce  dalla  eleganza  della  lingua  e  dalla  maestria  dello 
stile ,  per  sentire  le  quali ,  come  pure  per  comprender 
bene  le  allusioni  storiche ,  conviene  essere  nato  in  Ispagna , 
pensare  alla  spagnuola ,  ed  essere  nutrito  di  quelle  memo- 
rie per  cui  spesso  avviene  che  un  tasto  il  quale  non  rende 
suono  all'  orecchio  dello  straniero ,  vibra  fortemente  ed 
eccita  dolcissime  reminiscenze  nel  cuore  dello  Spagnuolo. — 
Qual  è  l'Italiano  che  vorrebbe  leggere  l'Ariosto  tradotto, 
sicm-o  come  sarebbe  di  non  più  trovarvi  ciò  che  più  di 
tutto  r  incanta  nell'  originale  ? 

/.  Voi  mi  stringete  tra  l'  uscio  ed  il  muro,  e  fate  che 
non  osi  rispondere  per  timore  di  passare  per  presuntuoso.  — 
Senza  contrastare  assolutamente  all'  Araucana  il  merito  che 
le  attribuite ,  questo  credo  di  poter  asserire  che  l' Ariosto 
spesse  volte  tradotto  in  francese ,  in  inglese ,  in  tedesco , 
e  in  molti  altri  idiomi  è  da  per  tutto  letto  con  molta  avi- 
dità dagli  stranieri ,  mentre  il  poema  di  D.  Alonzo  ,  il 
quale  non  so  se  abbia  mai  avuto  l' onore  d' essere  tradotto , 
venendo  voltato  in  altra  lingua  non  conserverebbe  alcuna 
qualità  che  potesse  menomamente  allettare. 


44 

S.  E  non  alletterebbe  il  racconto  d'  un'  impresa  eroica 
qual  è  la  conquista  òì Arauco  ^  la  descrizione  di  un  paese 
nuovo ,  dei  costumi  di  quei  selvaggi  e  del  loro  valore  ? 

/.  Sì  certo  potrebbe  allettare  se  1'  autore ,  guerreggiando 
e  scrivendo  nell'  estremità  dell'  America  meridionale ,  non 
avesse  avuta  costantemente  la  Spagna  d'innanzi  agli  occhi 
e  se  invece  di  abbracciar  troppe  cose  da  storico,  ci  avesse 
fatto  da  vero  poeta  un  bel  quadro  della  contrada  che  pur 
troppo  devastava,  e  del  popolo  che  era  intento  a  distrug- 
gere. Ma  che  dico  un  bel  quadro  ?  Esso  sarebbe  riuscito 
un  quadro  d' orrore  ^anche  in  migliori  mani  che  non  sono 
quelle  dell'  agghiacciato  D.  Alonzo.  Il  soggetto  per  divenir 
grande,  commovente  e  poetico  voleva  esser  trattato  da  un 
amico  degli  Araucani,  e  Caupolican  doveva  essere  il  pro- 
tagonista del  poema.  Quell'  eroe  selvaggio  maltrattato  com' 
è  in  tutte  le  maniei*e  dal  poeta  guerriero  è  pure  il  vero 
protagonista  dell' Araucana ,  e  il  solo  personaggio  del  poema 
che  ispiri  alcun  interesse  per  la  sua  grandezza  d'animo  in 
vita  e  per  la  costanza  eroica  nell'orrendo  supplizio  cui  fu 
barbaramente  condannato.  Egli  accade  qui  ciò  che  ha  luogo 
nella  stessa  Iliade  e  nell'  Eneide.  Omero  e  J^irgilio  han 
pur  bello  innalzare  Achille  e  il  pio  Enea  al  di  sopra  de- 
gli altri  personaggi  de'  loro  poemi ,  il  lettore  si  sente  sem- 
pre più  inclinato  per  Ettore  e  per  Turno ,  perchè  quando 
r  amor  proprio  nazionale  non  entra  di  mezzo  ,  gli  assaliti 
ci  riescono  più  cari  che  gli  assalitori ,  essendo  un  istinto 
naturale  dell'uomo  spregiudicato  di  odiare  gli  oppressori , 
e  di  prender  le  parti  degli  oppressi.  —  E  quali  oppressori 
più  odiosi  dei  vostri  compatriotti  nelle  Americhe  ? 

S.  Tiriamo  un  velo  sopra  una  storia  che  mi  fa  racca- 
pricciare e ,  poiché  avete  toccato  del  Camoés  rimprove- 
randogli pure  d'  aver  fatto  uso  di  un  luogo  comune  qual 
è  la  descrizione  geografica  dell'  Europa  che  è  tuttavia  imi- 
tata dai  poeti  dell'  anticliità ,  e  stimata  bellissima  dai  Por- 


4§ 

toghesi ,  fate  che  io  sappia  se  a  malgrado  delle  molte  sue 
stravaganze  gli  date  la  preferenza  sul  nostro  epico. 

/.  Siate  sincero  e  voi  stesso    confesserete    che    tutta   la 
parte  colta  della    vostra   nazione    riconosce    la   superiorità 
dell'  epico  portoghese  sul  vostro.  Che  diversità  nell'  impor- 
tanza del  soggetto ,  nella  condotta  del  poema ,  negli  orna- 
menti poetici  e  direi  anche  nell'  eleganza  del  dire  e    nell' 
armonia  del  verso,  se  mi  potessi  arrischiare  a  palesare  la 
m.ia  qualunque  siasi  opinione  su  questo  delicatissimo  punto. 
Certamente  non  posso  tollerare  V  intervento  tutto    classico 
di  Venere  e  di  Bacco  nella    spedizione    di    Gama  :   certa- 
mente mi  muove  a  riso    il   vedere    questo    Dio    travestito 
da  sacerdote  cristiano  celebrare  il  sagrificio  della  Messa  in 
un'  isola  lungo  le  coste  dell'  Africa ,  per    ingannar    me^io 
gli  esploratori    de'  Portoghesi    e    far   loro    credere    che    si 
trovano  in  paese  amico  :  nello  stesso  modo  che  mi  vengono 
a  nausea  gli  amori  del  gigante  Adamastor  colla  sua  ninfa, 
e  parecchie  altre  assurdità  qua  e  là  sparse  nel  poema  ;  ma 
a  chi  non  piacerebbe  l'abboccamento  di  Venere  con  Giove, 
r  episodio  d' Ignez  de  Castigo ,    la  partenza   di    Gama    da 
Lisbona ,  1'  apparizione  del  gigante  al  capo  delle  tempeste , 
il  torneo  dei  dodici  cavalieri  lusitani  in  Inghilterra  e  final- 
mente l'isola  degli  amori ,  per  non  dire  di  tante  altre  parti 
piene  di  amor  patrio ,  di  poesia   e   di  grazia    che   rivelano 
nell'autore  un  sommo  poeta,  benché  sgraziatamente  si  sia 
lasciato  strascinare  dal  cattivo  gusto  dell'  età  sua ,    e  si  sia 
anch'  esso  qualche  volta  dilettato  come  il  Tasso    di  ricer- 
catezze e  di  concetti!  — Basti  il  dire,  a  lode  del  Camoés, 
che  il  gran  Torquato  ne   paventava  il  confronto. 

S.  A  udirvi  parlare  dell'  armonia  de'  versi  del  Camoés 
si  potrebbe  credere  che  preferiate  la  lingua  portoghese  alla 
spagnuola  siccome  più  dolce  o  forse ,  secondo  voi ,  più 
pieghevole, 

/.  Queste  due  Ungue  sono,  a  parer  mio,  come  due  so- 


46 

relle  nate  ad  un  parto ,  le  quali  hanno  in  generale  le  me- 
desime fattezze,  ma  che  ben  considerate  mostrano,  non 
ostante  la  loro  somiglianza ,  certi  tratti  particolari  che  val- 
gono non  solamente  a  distinguerle ,  ma  quasi  a  dar  loro  un 
diverso  carattere.  L' una  sorella  è  tutta  dignità ,  ha  un 
parlare  chiaro  e  sonoro  e  un  andamento  costantemente 
grave  ,  e  questa  è  la  spagnuola  ;  1'  altra  anch'  essa  maestosa 
d' aspetto  è  tuttavia  più  vivace  e  più  disinvolta  ne'  suoi 
muovimenti.  Ciascuna ,  come  spesso  accade  tra  sorelle ,  ha 
un  suo  vizietto  peculiare  di  pronunzia,  se  pure  si  può 
chiamar  vizio  ciò  che  fa  essenzialmente  parte  della  loro 
natura ,  e  questo  non  1'  hanno  già  ereditato  dalla  madre 
latina,  ma  l' hanno  contratto  a  volere  nella  loro  infanzia 
imitare  i  modi  dell'  araba  matrigna.  La  spagnuola  guasta 
la  sua  bella  e  sonora  voce  con  ciò  che  noi  chiamiamo  la 
gorga ,  e  la  portoghese  scema  la  grazia  della  sua  con  certi 
suoni  nasali  simili  alla  nunnazione  arabicay  che  a  chi  non 
ci  è  avvezzo  riescono  di  non  picciolo  tormento.  E  questi 
difetti  0  peculiarità ,  se  così  vi  piace ,  saranno  cagione  che 
ne  r  una ,  ne  1'  altra  non  potranno  mai  agguagliare  l' ita- 
liana nel  canto. 

S.  Su  questo  proposito  vi  posso  accertare  che  il  vostro 
gran  compositore  Rossini  non  ha  quella  cattiva  idea  che 
avete  voi  della  nostra  lingua  per  ciò  che  riguarda  la  sua 
capacità  di  essere  posta  in  musica.  —  Non  è  molto  che  un 
giovane ,  mio  amico  ed  eccellente  poeta  ;,  chiamato  D.  Angel 
de  Saavedra  scrisse  per  lui  una  cantata,  alla  quale  quel 
celebrato  maestro  adattò  le  sue  bellissime  note  con  quella 
facilità,  con  cui  ne  avrebbe  vestita  una  cantata  del  Meta- 
stasio.  Sentite  le  parole  dell'  arietta  con  cui  termina  la 
composizione ,  e  dite  se  il  loro  suono  non  si  assomiglia 
pienamente  a  quello  della  vostra  lingua  : 


47 

Despieito  sùbito 
Y  me  hallo  pròfugo 
Del  suelo  Hispànico 
Donde  naci  : 

Donde  mi  Angelica 
De  amargas  làgrimas 
Su  rostro  pàlido 
Bana  por  mi. 

Y  en  vez  del  bàlsamo 
Del  aura  plàcida 
Del  cielo  Bético 
Que  tanto  amé, 

Las  nieblas  hòrridas 
Del  frio  Tàmesis 
Ci>n  pecho  misero 
Respirare. 

/.  Voi  sapete  che  Rossini  mette  in  musica  lo  stesso 
francese  che  è  pure  quella  lingua  anti-musicale  che  tutti 
sanno  essere.  Non  crediate  tuttavia  con  questi  Tersi ,  gentili 
in  vero  ed  armoniosi  che  m'  avete  recitati ,  di  vincere  in 
dolcezza  la  lingua  portoghese,  poiché  troverete  nelle  poesie 
del  Brasiliano  Manuel  Da  Costa  certe  canzonette  prive  in 
gran  parte  di  suoni  nasali  che,  cantate  all'  italiana,  ap- 
pena si  distinguerebbero  dalle  nostre  ariette.  Udite  queste 
due  strofette  di  cui  per  accidente  mi  ricordo,  e  proferite 
voi  medesimo  la  sentenza: 

Nao  te  engane ,  o  bella  Nize , 
0  cristal  da  fonte  amena: 
Que  essa  fonte  he  muy  serena, 
He  muy  brando  esse  cristal. 

Se  assim  conio  vez  teu  rosto 
Viras  ,  Nize  ,  os  seus  eifeitos  , 
Pode  ser  que  em  nossos  peitos 
O  tormento  fosse  igual. 


48 

iS.  Pare  veramente  che  abbiate  fatto  giuramento  di 
sempre  condannare  la  povera  lingua  spagnuola.  —  Ditemi 
orsù,  uomo  incontentabile,  se  in  tutto  il  vasto  campo 
delle  nostra  letteratura  non  e'  è  cosa  alcuna  che  abbia 
incontrato  grazia  agli  occhi  vostri  ,  nulla  che  vi  possa 
piacere,  nulla  che  ci  distingua  dalle  altre  nazioni. 

/.  Voi  m'  obbligate  ad  uscire  dal  territorio  della  poe- 
sia, e  ad  entrare  mal  mio  grado  nel  regno  della  prosa. — 
Sì  che  avete  cose  belle,  cose  uniche  nella  vostra  lingna, 
e  basterebbe  nominare  l'incomparabile  i?.  Quixote /intorno 
al  quale  è  inutile  l'aggiungere  una  sola  parola.  Ma  io  non 
mi  contenterò  di  accennare  questa  vostra  grandissima  glo- 
ria, e  per  mostrarvi  che  son  giusto,  dirò  che  niun'altra  na- 
zione, a  creder  mio,  vi  vince  nel  genere  picaresco ,  e 
neir  ironico-faceto,  nei  quali  potete  vantarvi  della  vita 
di  Lazarillo  de  Tormes  del  Mendoza ,  della  vida  y 
hechos  del  picara  Guzman  de  Alfarache  di  Matheo 
Aleman  ,  di  quella  del  gran  Tacano  di  Quevedo  e  di 
altre  cose  su  questo  fare ,  come  sarebbe  la  novella  di 
Riìiconete  y  Cortadillo  di  Cervantes ,  e  in  un  genere 
anch'  esso  originale  della  vida  de  frai  Gerundio  de 
Campazas  del  padre  de  V  Isla.  E  poiché  ho  nominato 
Quevedo  non  tacerò  che  le  sue  'visioni  sono  piene  di 
sali  e  di  facezie  e  affatto  degne  di  quell'  uomo  che  fu 
straordinario  in  tutto  ciò  che  ha  intrapreso.  —  Ma  qui 
lasciate  che  io  chiegga  a  voi  Spagnuolo ,  per  qual  ra- 
gione con  tanta  gravità  quanta  si  vede  negl'  individui 
della  vostra  nazione,  sia  accaduto  che  gl'ingegni  faceti 
siano  stati  così  frequenti  fra  voi ,  e  che  le  facezie  loro 
riescano  così  leggiadre  e  così  spiritose  come  le  vediamo 
essere,  benché  per  lo  più  siano  espresse  in  modo  che 
fa  sospettare  una  serietà  imperturbabile  in  colui  che 
le  scrive. 

S.  Voi    mi    costringei.e    a   dir  cosa  che  vorrei   pur   ta- 


49 

cere.  Ma  poiché  mi  siete  ora  andato  un  tal  poco  a  versi, 
vi  dirò  che  la  gravità  della  nostra  nazione  e  il  suo  lin- 
guaggio pomposo  hanno  un  lato  assai  ridicolo  che  non 
poteva  sfuggire  ai  hegl'  ingegni.  —  Del  grazioso  effetto 
delle  loro  facezie  troverete  voi  medesimo  la  ragione  se 
rifletterete  che  colui  il  quale  è  d'ingegno  faceto  ed  ha 
un  aspetto  serio  è  più  sicuro  di  far  ridere  di  un  altro 
che  è  il  primo  egli  stesso  ad  accompagnar  col  riso  le 
sue  arguzie. 

/.  Or  bene  poiché  l' ora  del  pranzo  s'avvicina ,  mio 
buon  D.  José ,  vi  voglio  dare  un  cordiale  ammettendo 
senza  difficoltà  che  nella  poesia  lirica  non  avete  nulla 
ad  invidiare  alle  altre  letterature  moderne.  Due  sommi 
poeti  che  distinguo  per  amore  di  brevità  tra  la  folla 
dei  lirici  che  vissero  nel  sedicesimo  secolo ,  il  divino 
Fernando  de  Herrera  e  Fr.  Luis  de  Leon  bastano  da 
se  soli  ad  assicurarvi  un  posto  eminente  in  questo  ge- 
nere di  poesia.  La  canzone  del  primo  sulla  battaglia  di 
Lepanto  non  è  inferiore  ad  alcuna  del  Chiabrera  o  del 
Filicaja,  e  Fr.  LuiSj  poeta  ispirato  da  sentimenti  reli- 
giosi ha  più  d' ogni  altro  il  pregio  di  una  somma  cor- 
rezione di  stile.  Povero  Leon  !  L'aver  tradotta  la  cantica 
di  Salomone  gli  costò  caro.  Cinque  anni  passati  nelle 
carceri  dell'inquisizione  espiarono  l' imprudenza  di  aver 
voluto  rendere  in  volgare  ciò  che  è  egualmente  perico- 
loso di  spiegare  nel  senso  mistico  come  nel  naturale. 

S.  Grandissimo  ingegno  [Elegantissimo  scrittore  !  Quella 
profezia  del  Tago  sugli  amori  del  re  Rodrigo  sarebbe 
da  se  sola  sufficiente  a  farlo  immortale. 

/.  Sì  se  non  fosse  un'  imitazione  della  profezia  di 
Nereo  a  Paride  che  è  una  delle  più  belle  odi  di  Orazio. 

S.  Voi  mi  volete  pungere  sino  all'ultimo.  Manco  male 
tuttavia  che  riconoscete  gli  Spagnuoli  buoni  a  qualche 
cosa.   Avreste  per   altro   potuto  onorare   di  un  cenno  i 

4 


50 

due  fratelli  Argensola  che  noi  riputiamo  dei  primi  fra 
i  nostri  classici  del  secolo  di  Herrera  e  di  Leon,  ma 
da  voi  convien  prendere  quello  che  si  può  e  non  guar- 
darci tanto  per  lo  sottile.  Scommetterei  adesso  che  es- 
sendovi limitato  a  parlare  degli  antichi ,  voi  tenete  i 
moderni  per  indegni  di  stare  in  compagnia  di  quelli  , 
e  che  in  tutto  il  secolo  decimottavo  (  poiché  non  si 
vuol  parlare  del  precedente  ,  infettato  come  fu  dal  cui' 
tismo)  non  trovate  un  solo  lirico  degno  di  essere  salu- 
tato poeta. 

/.  Se  dovessi  scegliere  fra  i  pochi  lirici  del  secolo  pas- 
sato che  io  conosco ,  lasciando  il  divino  Melendez  dì 
cui  abbiamo  già  parlato  ,  io  nominerei  di  preferenza 
D.  Nicolas  Fernandez  de  Moratin ,  padre  del  vostro 
miglior  autore  di  commedie  di  questi  tempi ,  che  fra 
gli  Arcadi  di  Roma  godè  già  del  sonoro  nome  di  Flu- 
misbo  Thermodonziaco ,  e  sopra  di  lui  metterei  il  por- 
toghese Francisco  Manuel,  morto  non  ha  guari  in  Pa- 
rigi e  di  cui  ho  veduto  il  sepolcro  nel  famoso  cimitero 
detto  del  Pére  la  Chaise ,  se  non  fosse  che  io  temo  di 
essere  accusato  di  uscire  espressamente  del  soggetto  della 
vostra  letteratura  per  darvi  a  divedere  che  i  vostri  vi- 
cini vi  hanno  ancora  una  volta  superati.  Ma  a  questo 
Lusitano,  per  grande  ch'egli  sia,  non  posso  perdonare  di 
essersi  ostinato  a  scrivere  odi  senza  rima ,  ad  imitazione 
dei  metri  latini  e  greci ,  spogliando  cosi  la  poesia  lirica 
moderna  di  un  aiuto  che  io  credo  essenzialissimo  € 
senza  il  quale  essa  perde  il  suo  maggiore  ornamento. 

S.  Leggete  la  traduzione  che  il  Moratin  ha  fatta  del- 
l'ode d'Orazio , /«ie^er  mtae  scelerisque  purus ,  la  quale 
se  non  m'inganno  incomincia  —  El  de  la  vida  _,  Fu- 
sco, religiosa;  —  leggete  l'ode  saffica  —  Dulce  cecino 
de  la  verde  selva  —  che  Manuel  de  f^illegas  scrìsse 
un  secolo  e  mezzo  prima  di  lui,  e  vedrete  che  il  metro 


51 

salfìco  almeno  può  nella  nostra  lingua  e  fors'  anche 
nella  portoghese  far  senza  la  rima ,  principalmente  sic- 
come io  credo  a  cagione  delle  molte  terminazioni  alla 
latina  variate  da  desinenze  in  consonanti ,  le  quali  fanno 
che  le  parole  delle  due  germane  siano  nell'aspetto  e  nel 
suono  somiglianti  a  quelle  della  madre. 

/.  Io  non  credo  che  questo  esperimento  fosse  per  riu- 
scire a  hene  in  Italiano,  benché  noi  siamo  più  ricchi 
di  voi  in  parole  latine  ed  abbiamo  il  vantaggio  di  poter 
troncare  un'infinità  di  vocaboli  dando  così  maggior  len- 
tezza o  rapidità  al  verso  secondo  che  si  richiede,  lad- 
dove voi   andate  quasi  privi  di  questa  bellissima  facoltà. 

S.  Non  so  se  questa  mutilazione  che  fate  subire  a 
molte  delle  vostre  parole  sia  poi  di  quel  gran  vantag- 
gio che  sembrate  credere,  ma  so  che  noi  abbiamo  nella 
nostra  lingua  una  grandissima  varietà  di  vocaboli  sdruc- 
cioli ,  piani  e  tronchi  ,  i  quali  ben  maneggiati  dal  poeta 
bastano  a  qualunque  genere  di  composizione  e  tanto 
alio  scrivere  lento  e  grave,  quanto  al  vivace  e  concitato. 
—  Che  noi  non  temiamo  il  confronto  con  la  lingua  ita- 
liana ,  vi  sia  una  prova  la  bellissima  traduzione  dell' 
Aminta  fatta  dal  nostro  Jauregui  che  vi  lascia  incerto 
se  dobbiate  dare  la  preferenza  al  Tasso  o  al  suo  tra- 
duttore. 

/.  Perchè  il  merito  del  Jauregui  fosse  compiuto  egli 
non  avrebbe  dovuto  tralasciare  certe  parti  del  suo  au- 
tore qual  è  quella  in  cui  sotto  1'  allegoria  delle  ciance 
si  fa  allusione  alla  Corte  di  Ferrara,  dando  così  a  so- 
spettare che  la  difficoltà  del  soggetto  l'abbia  sgomentato. 

S.  Lasciando  addietro  quella  puerile  cicalata  sopra  le 
ciance  che  in  forma  di  bambine  vanno  trescando , 
egli  ha  forse  pensato  all'onore  del  Tasso.  Epperò  invece 
di  biasimarlo  fareste  bene  a  dargliene  lode.  —  Ma  tor- 
nando al  nostro  argomento  ,  senza  nulla  togliere  al  me- 


52 

rito  di  Francisco  Manuel ,  che  ho  conosciuto  più 
che  ottogenario  e  che  compiango  per  la  sventura  che 
ebbe  comune  col  mio  Melendez  di  morire  esule  dalla 
patria^  io  vi  posso  insegnare  il  nome  di  un  buon  poeta 
mio  favorito  il  quale  ha  lasciato  cose  di  cui  si  potrebbe 
vantare  lo  stesso  Luis  de  Leon. 

I.  Fate  che  io  il  conosca  e  vi  prometto  di  onorarlo 
quanto  meriterà  il  suo  ingegno.  Chi  è  questo  poeta  che 
forse  col  suo  volo  non  ha  potuto  superare  i  Pirenei,  e 
quali  sono  le  sue  produzioni? 

S.  Egli  fu  un  modestissimo  religioso  chiamato  Fr. 
Diego  Gonzales  che  morendo  nel  1794  ordinò  ad  un 
amico  di  ardere  tutte  le  sue  poesie,  le  quali  per  buona 
fortuna  furono  salvate  dal  minacciato  incendio.  Fra  le 
altre  cose  compì  la  stupenda  traduzione  del  libro  di 
Giobbe  cominciata  da  Luis  de  Leon,  e  il  fece  in  modo 
tale  che  le  terzine  dei  due  traduttori  sembrano  uscite 
della  medesima  penna.  Per  saggio  del  fare  di  questo  va- 
lente poeta  vi  voglio  far  conoscere  la  sua  invettiva  in- 
titolata El  murciélago  alevoso  (il. vipistrello  traditore), 
che  è  un  pezzo  altrettanto  grazioso  quanto  originale. 

/.  Bravo  il  mio  D.  José  :  io  mi  fo  tutto  orecchi  e  sono 
pronto  a  rinunziare  al  pranzo  che  ci  aspetta  per  sen- 
tire questo  capo  d'opera  :  animo  incominciate. 

S.  Mi  piace  questa  vostra  impazienza,  ma  per  questa 
volta  contentatevi  di  desinare  con  qualche  cosa  di  più 
solido.  Il  fatto  è  che  la  poesia  è  lunghetta  e  non  1'  ho 
a  memoria.  Ma  non  passeranno  quindici  giorni  che , 
terminato  questo  mio  viaggetto  e  restituitomi  al  mio 
quartier  generale ,  ve  la  farò  tenere  ad  una  condizione 
che  prometterete  sin  d'ora  di  religiosamente  osservare. 
/-Parlate,  che  io  prometterei  volentieri  mari  e  monti, 

0  come    voi    solete    dire  Roma  y  Toma  ,   perchè    sono 
più  ghiotto  di  buona  poesia  che  la  gatta  del  lardo  o  che 

1  orso  del  miele. 


55 

S.  La  condizione  è  questa,  che  in  punizione  del  di- 
sprezzo che  avete  oggi  ^nostrale  per  tanti  degni  scrit- 
tori della  mia  nazione  ,  dobbiate  tradurre  questa  invet- 
tiva nella  vostra  lingua  e  per  quanto  starà  in  voi,  ren- 
derla nota  ad  onore  e  gloria  della  buon'anima  del  Gon- 
zales,  cui  piaccia  a  Domeneddio  di  concedere  la  pace 
dei  giusti. 

/.  Oimè  !  io  posso  ben  promettere ,  ma  chi  sa  come 
andrà  poi  la  bisogna?  Tuttavia  accada  quel  che  sa  ac- 
cadere, se 

La  mano  di  colei  che  tutto  solve 

non  mi  manderà  innanzi  tempo  a  raggiugnere  il  buon 
Gonzales,  io  vi  giuro  di    adempiere  il  vostro  desiderio. 

S.  Qua  dunque  la  mano  e  andiamo  a  tavola  che  sia- 
mo aspettati.  —  Io  sono  sicuro  che  per  continuare  a 
farmi  dispetto ,  fra  i  vini  che  secondo  l'uso  di  questo 
paese  ei  stanno  per  porre  innanzi ,  voi  avrete  il  corag- 
gio di  preferire  quello  di  Porto  allo  Xeres,  non  per  al- 
tro se  non  perchè  quello  è  portoghese,  e  questo  ha  la 
sventura  di  essere  raccolto  sul  suolo  di  Spagna. 

/.  Vedrete  che  saprò  render  giustizia  all'uno  ed  all' 
altro,  e  ammirerete  la  mia  imparzialità  verso  le  due  na- 
zioni. Andiamo  pure ,  che  tutti  e  due  questi  nettari 
vengono  opportunamente  per  innaffiarmi  l'ugola  che  sento 
dal  troppo  parlare  inaridita. 


Posto  fine  alla  guerra  letteraria  ci  volgemmo  d'accordo 
coU'appetito  di  due  eroi  ad  assalire  un  enorme  rostbeej', 
attorno  al  quale  scavammo  in  poco  tempo  una  discreta 
linea  di   circonvallazione,    praticandovi    pure   qua    e  là 


54 

qualche  profonda  breccia  dove  trovammo  che  la  mate- 
ria era  più  arrendevole.  Non  s'era  mai  veduta  fra  noi 
tanta  concordia.  D.  José  m'invitava  a  bere  il  Porto  ed 
io  gli  rendeva  la  pariglia  collo  Xeres,  non  risparmiando 
gl'inchini  di  testa  ad  uso  del  paese  e  protraendo  sino  a 
notte  avanzata  quel  dolcissimo  simposio.  —  Era  l'ultima 
sera  che  io  passava  col  mio  buon  Galiziano.  L'indomani 
ci  separammo  a  buonissima  ora,  egli  volto  a  mezzogiorno 
ed  io  a  levante  e  forse  per  non  più  incontrarci  su  questa 
terra.  Intanto  i  quindici  giorni  non  erano  ancora  pas- 
sati che  io  riceveva  il  vantato  Murciélago ,  il  quale  mi 
sembrò  veramente  riunire  la  grazia  alla  novità  dell'idea 
ed  essere  parto  di  un  ingegno  poetico  fuori  del  comune. 
L'elegante  semplicità  del  componimento  mi  convinse 
tosto  che  non  arriverei  mai  a  trasfondere  le  pregevoli 
sue  qualità  in  una  traduzione  e  soprattutto  mi  spaventò 
quel  crescendo  della  XV  strofa  :  ma  non  c'era  modo  di 
ritirare  la  data  parola  e  bene  o  male  conveniva  sciogliere 
il  voto.  —  Eccovi  adunque,  signor  Estensore  pregiatis- 
simo, l'invettiva  del  Gonzales  travestita  in  italiano.  Se 
mai  per  caso  ella  piacesse  ancora  nei  nuovi  suoi  panni 
che  ho  procurato  di  tagliarle  scrupolosamente  secondo 
la  misura  spagnuola ,  pensate  ch'essa  è  cento  volte  piii 
bella  nella  nativa  sua  veste,  di  cui  non  mi  fu  possibile 
d'imitare  i  peregrini  ornamenti  e  i  vivaci  e  splendidi 
colori.  State  sano  e  Dio  vi  benedica  con  tutti  coloro  che 
diranno  del  bene  del  mio  Gonzales  e  non  si  faranno 
beffe 

Del  vostro  devotissimo 


Ai   iS  d'aprile  del  1837. 


55 

IL   VIPISTRELLO    TRADITORE 


X 


vetttvoj 


Stava  la  bella  Irene 

Soletta  a  notte  un  tenero  viglietto 

Vergando  con  affetto 

E  con  parole  di  dolcezza  piene-, 

E  perchè  ogni  timor  volea  dal  seno 

Sgombrar  del  suo  Fileno , 

Con  insolita  forza  gli  espriraea 

Il  casto  amore  che  nel  cor  le  ardea. 


Stando  sovra  pensiere, 

Entrò  (  sorte  crudele  !  )  un  Vipistrello 

Da  non  so  qual  sportello. 

La  peima  Irene  allor  lasciò  cadere, 

Tremò  ,  gemè  ,  giidò ,  gente  v'  accorse , 

Ma  trepida  ed  in  forse  , 

Nel  volerle  celar ,  d' inchiostro  tutte 

Le  già  vergate  note ,  oimè  !  fé'  brutte. 


Fileno  dolente 

Dell'  occorso  a'  suoi  danni  amaro  caso , 

E  di  giust'  ira  invaso 

Contro  del  Vipistrel ,  mostro  insolente  , 

Che  sconcio  della  Bella  avea  lo  scritto 

Con  orrendo  delitto  , 

Di  rabbia  e  di  furor  fremer  s'  udiva 

£  si  '1  funesto  uccello  maledirà. 


56 

Mostro  ,  tra  bruto  e  augello, 

Ch'  hai  di  bruto  e  di  augel  tutto  il  peggiore! 

Delle  tenèbre  orrore  , 

Notturna  vision  ,  spettro  novello 

All'  alma  luce  eternamente  avverso  , 

Ognor  nelle  ombre  immerso  , 

Infausto  nunzio  della  fredda  notte  , 

Com'  osi  uscir  dalle  natie  tue  grotte  ? 


Tua  brutta  forma  in  coro 

Maledica  la  turba  dei  pennuti  , 

Che  i  dolci  lor  tributi 

Mandan  col  canto  all'alba  dai  crin  d'oro. 

E  poi  che  privo  m*  hai  di  mia  ventura  , 

Disnor  della   natura  ! 

Piombi  sovra  di  te  tutto  iJ  malanno 

Che  ad  un  esser  si  vii  puote  far  danno. 


Vengan  piogge  dirotte 

Dall'  alto  delle  nubi  rovinando  , 

Allora  infuriando 

Che  nel  bujo  uscirai  d'  amica  notte. 

O  r  inviso  splendor  di  lampi  ardenti 

T'  accechi  e  ti  spaventi , 

Oppur  bufera  tal  soffi  dai  poli 

Che  alla  tua  faine  ogni  zanzara  iavoli. 


Visto  dietro  gli  arazzi 

Dove  di  giorno  te  ne  fai  dimora  , 

La  fante,  in  tua  malora  , 

Ti  creda  un  ragnatele  e  via  ti  spazzi. 

E  d'  un  colpo  di  scopa  a  t(>rra  spinto  , 

Mirando  un  indistinto 

Coso  agitarsi  come  s'  abbia  vita 

Getti  la  scopa  e  fugga  inormlita. 


5f 

E  soprarrivi  intanto 

Il  vivace  e  scherzevole  micino , 

E  al  veder  tal  vicino 

In  pria  s'  arretri  e  tengasi  in  un  canto  ; 

Rabbuffi  il  pel  d'  orrore  e  soffiar  &'  oda , 

Levi  r  enfiata  coda 

E  arcata  inverso  il  ciel  alzi  la  schiena 

Mentre  la  terra  i  pie  toccano  appena. 


Ma  poscia  rinfrancato 

E  in  sé  tornando  dal  timor  concetto 

Radendo  il  suol  col  petto  , 

Snodi  dall'  un  la  coda  all'  altro  lato  , 

Standosi  quatto  ad  osservarti  attento  , 

Ed  ogni  movimento 

Che  in  te  discopra  il  guardo  suo  sagace 

Lo  provochi  all'  assalto  e  renda  audace. 


Alfìn  su  te  si  getti , 

Fatto  ardito ,  e  t'  assalga  cogli  uncini , 

Per  terra  ti  strascini 

E  tutto  a  farti  strazio  si  diletti. 

E  se  neir  ale  avvien  t'  abbia  piantati 

Quegli  artigli  affilati , 

A  scuoterti  da  sé  ,  più  d'  una  volta 

Ti  slanci  in  suo  terror  sino  aiU  volta. 


Accorra  al  tuo  stridire  , 

Convocando  i  suoi  pari  ,  il  rio  fanciullo 

Che  con  fero  trastullo 

Suol  contro  gli  animali  incrudelire. 

Però  che  il  cielo  ,  d'  animo  spietato 

Quanti  siamo  ha  dotato  , 

Infin  che  gli  anni  o  la  paterna  cura 

Reudonci  umani  e  vincou  la  natura. 


58 

Grido  di  gioja  spinga 

La  torma  puerile  entrando  avaccio 

E  di  tenace  laccio 

A  te ,  senza  pietade  ,  il  collo  stringa  : 

Al  tuo  guaire ,  il  romoroso  sciame 

Maledetto  !  ti  chiame  , 

E  credendoti  spirto  dell'  inferno 

Ti  carichi  di  sputi  e  d'  ogni  scherno. 


Quindi  per  le  telucce , 

Ch'  han  guisa  d'alie  ,  sul  porton  t' inchiodi , 

E  seguendo  i  suoi  modi 

T'  accosti  al  glifo  accese  candelucce  ; 

Fra  sé  godendo  con  un  cor  feroce 

Del  brucior  che  ti  cuoce  , 

E  mentre  striUi ,  ti  dimeni  e  lagni, 

Con  risa  e  con  fischiate  t'  accompagni. 


E  armate  ambe  le  mani 

Di  pungoli,  coltelli  e  sassolini, 

Di  chiovi  e  temperini , 

Di  schegge  e  di  stromenti  aguzzi  e  strani; 

Tutti  già  stanchi  omai  di  tanta  festa, 

Mettano  l'arme  in  resta , 

E  con  ferocia  pellegrina  e  rara 

Quella  vii  alma  aliìn  tolganti  a  gara. 


Ti  battano  ,  t' incidano  , 

Ti  premano  ,  ti  pestin ,  ti  martellino , 

Ti  pungan  ,  ti  scarpellino  , 

T'  infizzino  ,  ti  scarnin  ,  ti  dividano  , 

Ti  lacerin,  ti  squarcino,  ti  mozzino, 

Ti  fendano  ,  ti  sgozzino  , 

Ti  scortichin ,  ti  scannino ,  ti  frangano , 

Né  pelle  o  polpa  od  ossa  ti  rimangano. 


m 

E  le  credenze  folli 

Delle  vecchie  stimando  al  tutto  vere, 

Strani  effetti  a  vedere 

Facciano  stoppe  nel  tuo  sangue  molli  , 

Per  incenderle  poi  di  mezzanotte , 

Credendo  da  marmotte 

Che  nell'aria  vedran  serpi  e  biscioni 

Ed  altre  paventose  visioni. 


Poi  faccianti  il  mortoro , 

Pe'  trivi  la  vii  salma  strascinando  , 
In  due  file  alternando 
Una  nenia  nasale  a  doppio  coro  ; 
Altri ,  seguendo  ,  de'  piagnoni  imiti 
Le  rauche  voci  e  i  riti  , 
Mentre  la  pompa  funeral  s'  avvia 
Verso  la  fogna  più  fetente  e  ria. 


Infra  quella  lordura 

Si  scavi  una  capace  ed  alta  pozza , 

E  sia  la  buca  sozza 

La  dovuta  a'  tuoi  merti  sepoltura. 

Colà  per  eternarne  la  memoria 

S'  incida  la  tua  storia 

Su  bronzo  adamantino  o  in  duri  marmi 

Qual  è  compendiata  in  questi  carmi. 

EPITAFIO 

Qui  giace  il  Vipistrello  traditore 

Che  al  sol  fé'  per  orror  torcere  il  passo. 

Vittima  poi  di  pueril  furore 

Pagò  le  pene  e  fu  di  vita  casso. 

Non  ti  partir  bennato  viatore 

Senza  sclamar  sul  maladetto  sasso  : 

»  Tal  sia  la  sorte  di  qualunque  audace 

»  D' Irene  bella  osa  turbar  la  pace. 


60 
Scienze  Storiche 


Documenti  di  Storia  italiana  copiati  sugli  originali  auten- 
tici e  per  lo  pia  autografi  esistenti  in  Parigi  da  Giuseppe 
Molini  già  Bibliotecario f  con  note.  —  Firenze,  tipogr, 
aW  insegna  di  Dante, 


Torino,  presso  Poniba  e  Comp. 


La  storia  ha  due  caratteri  diversi  i  quali  assume  se- 
condo l'età  e  le  condizioni  dei  popoli.  Presso  le  società 
giovani  ancora  e  vicine  alla  propria  origine  la  sua  na- 
tura è  puramente  estetica  e  la  storia  confondasi  colla 
poesia.  Essa  non  mira  che  a  procurare  quel  piacere,  che 
nasce  nell'  uomo  alla  rappresentazione  di  un  dramma  , 
di  cui  egli  stesso  è  l' eroe ,  e  se  altro  ottiene  non  è  det- 
tando ammaestramenti  severi,  ma  volgendosi  al  cuore 
ed  air  immaginazione.  Quindi  l'amor  di  patria  e  di  re» 
ligione,  r  entusiasmo  per  quanto  è  bello  e  grande,  che 
inspira  il  narratore  veste  agli  occhi  suoi  di  tale  incanto 
le  coscj  che  mentre  riesce  sfolgoreggiante  di  verità  l'e- 
spressione dei  sentimenti  e  dello  stato  morale  d'  un  pe- 
riodo, i  fatti  materiali  veduti  attraverso  quel  prisma  tro- 
vansi  talmente  alterati  da  venirne  poscia  in  concetto  di 
favolosi  o  simbolici. 

Col  progredire  delle  società  le  facoltà  intellettuali  dell' 
uomo  vieppiù  sviluppandosi  ei  s'avvede  che  tra  i  fatti 


61 

narrati  dalla  storia  havvì  un'  intima  connessione ,  egli 
sospetta  che  l' idea  di  causa  e  d'  effetto  possa  applicarsi 
alla  legge  che  ne  determina  la  successione,  che  il  pas- 
sato possa  offerire  giovevoli  consigli  pel  presente  e  per 
r  avvenire.  Allora  ei  chiede  alla  storia  non  più  semplice 
diletto,  ma  utili  insegnamenti,  ed  allora  la  natura  della 
storia  non  è  più  estetica ,  ma  filosofica.  Non  è  più  uffi- 
zio suo  il  percuotere  l'immaginazione,  il  far  vibrare 
le  fibre  del  cuore;  essa  assume  il  carattere  pratico  di 
maestra  della  vita:  essa  pone  i  fatti  in  prima  linea,  li 
spoglia  d'ogni  apparente  prestigio,  li  esamina,  li  libra, 
ed  investigandone  le  cause  e  gli  effetti,  fa  sì  che  dalla 
loro  esposizione  possano  dedursi  quelle  norme  pruden- 
ziali atte  a  dirigere  gli  uomini  e  le  società  nella  loro 
carriera. 

Tale  si  è  l'indole  della  storia  presso  i  popoli  adulti, 
e  r  Italia  dopo  il  risorgimento  ne  diede  alle  altre  na- 
zioni il  modello  nella  scuola  storica  del  secolo  XVI , 
della  quale  stanno  come  a  principi  e  luminari  Machia- 
vello e  Guicciardini.  Ma  havvi  per  avventura  alcun  che 
d' incompleto  nel  modo  di  esporre  le  istorie ,  e  di  pe- 
netrare nella  ragion  delle  cose  quale  ci  fu  lasciato  dai 
grandi  maestri  di  quel  secolo ,  e  quale  fu  adoprato  fino 
al  principio  del  presente ,  sul  quale  argomento  noi  ose- 
remo manifestare  la  nostra  opinione. 

A  chi  si  faccia  a  meditare  sulle  storie  principalmente 
di  Guicciardini  e  Machiavello  apparirà  quale  intenso  stu- 
dio essi  abbiano  posto  nell' investigare  le  cause  dei  fatti 
che  narrano,  e  nel  trarre  in  luce  quei  segreti  motori, 
che  per  l'interessata  malizia  degli  uomini,  o  per  decorso 
di  tempo  rimasero  sotto  il  velo  del  mistero.  A  colui  pa- 
rimente verrà  notato  come  ogni  loro  perscrutazione  volga 
sugli  interessi  e  le  passioni  che  possono  aver  mosso  co- 
loro,  che  concorsero  al  compimento   degli  avvenimenti 


62 

narrati.  Profondi  conoscitori  dell'animo  umano  nessuna 
delle  molle  che  danno  impulso  alle  nostre  azioni  sfuggì 
alla  loro  osservazione,  e  sotto  questo  riguardo  essi  at- 
tinsero forse  il  colmo  della  possibilità.  Ma  se  con  sommo 
acume  furono  da  essi  librate  le  cause  personali  che  in- 
dussero gli  attori  del  loro  dramma  a  togliere  un'impre- 
sa, se  razione  degli  uomini  sulle  cose  vien  da  essi  mi- 
rabilmente definita  ;  noi  possiam  dire  senza  esitanza , 
che  gli  effetti  che  quelle  vicissitudini  producevano  nelle 
intime  viscere  della  società  non  vengono  di  pari  luce 
irradiati,  e  che  l'azione  delle  cose  sugli  uomini  fu  so- 
vente da  quelli  o  poco,  o  men  che  poco  considerata. 

Quindi  la  storia  dei  popoli  fu  improntata  di  un  pro- 
tagonismo quale  veramente  non  vien  consentito  dalla 
natura  delle  umane  vicende,  e  dietro  quelle  lotte  di  in- 
dividui con  sì  grande  maestrìa  dipinte,  il  fondo  del  qua- 
dro ossia  la  massa  sociale,  le  sue  condizioni ,  il  suo  stato 
morale  rimangono  troppo  spesso  all'  oscuro.  Tanta  po- 
tenza d^ azione,  tanta  facoltà  di  muovere,  rivolgere  e 
mutare,  raccolta  nella  volontà  e  nel  senno  deir  uomo 
individuo,  tolse  loro  di  conoscere  e  scrutare  un'altra 
genesi  di  cause,  le  quali  o  latenti  negli  avvenimenti 
anteriori,  o  diffuse  nella  generalità  delle  cose,  o  conge- 
nite a  quei  fatti  morali  ,  che  si  producono  talora  nelle 
masse  di  una  gente,  sono  talmente  efficaci  da  indurre 
nella  successione  degli  eventi  una  ineluttabile  quasi  ne- 
cessità. E  forse  per  quel  modo  loro  di  prospettare  la 
storia  parve  a  taluni,  che  quei  due  grandi,  invece  di 
farsi  insegnatorì  di  civile  sapienza,  s'atteggiassero  secondo 
le  proprie  inclinazioni,  l'uno  ad  iniquo  consigliere  di 
tiranni,  l'altro  ad  astuto  maestro  di  sovvertimenti.  Il  qual 
divisamento  era  per  certo  egualmente  lontano  dalla  mente 
d'  entrambi. 

Era  pregio   dell'età    nostra    il    trarre  in  luce  tutti  gli 


65 

elementi  che  concorrono  alla  generazione  dei  fatti  la 
cui  catena  costituisce  la  storia,  e  sottoponendoli  a  se- 
vero esame,  dando  a  ciascun  di  essi  il  proprio  valore, 
preparare  la  soluzione  dell'alto  problema  :  per  qual  modo 
possa  l'umana  sapienza  dare  alle  sociali  vicende  il  mi- 
gliore avviamento.  Però  conveniva  sospendere  la  fede 
alle  storie  antiche;  risalire  i  tempi  andati:  risuscitare 
quei  volghi  lasciati  sdegnosamente  nell'  oblio:  vedere 
qual  vita  morale,  quali  materiali  condizioni  a  loro  ve- 
nissero dai  rivolgimenti  registrati  negli  annali,  e  dalle 
instituzioni  che  li  ressero  :  quali  tendenze,  quali  bisogni 
determinassero  i  moti,  ed  i  mutamenti  successivi;  e  di- 
mostrare finalmente  come  in  ogni  fatto  importante  si 
abbiano  sempre  a  ravvisare  ed  il  frutto  del  passato ^  ed 
il  germe  dell'avvenire. 

La  scuola  storica  del  secolo  XIX.  intesa  a  quella  meta 
e  dai  tesori  di  cui  in  breve  periodo  essa  ha  arricchito 
la  scienza,  giova  sperare,  che  non  sarà  indarno  pro- 
mettitrice  di  alte  e  feconde  dottrine.  Come  saggio  com- 
piuto di  tal  maniera  di  storie  noi  citeremo  soltanto  la 
storia  delV incivilimento  di  Francesco  Guizòt,  pel  quale  fu 
ventura  l'avere  ne'  suoi  libri  storici  innalzato  a  se  stesso 
un  monumento,  che  sfiderà  i  secoli,  pria  d'avventurarsi 
in  più  tempestose  regioni ,  e  far  sua  cura  la  potenza  di 
un  giorno. 

Ma  con  qual  face  rischiarare  le  dense  tenebre  del 
passato  ?  Come  spirare  nelle  spente  generazioni  un  sofiìo 
di  vita,  per  cui  risorgendo  esse  agli  occhi  nostri  nella  ve- 
rità del  loro  aspetto,  noi  possiamo  accomunarci  alle  loro 
sorti:  studiare  l'intima  essenza  della  loro  condizione:  ve- 
dere quali  impressioni  ricevessero  dal  mondo  esterno  : 
come  nel  loro  seno  si  elaborassero  quei  semi ,  che  ger- 
mogliando prima  in  poche  menti  sono  al  grado  d'idea, 
accolti  e  meditati  dal   pensiero  prendon  nome  di  prin- 


64 

cipìO;  diffusi  costituiscono  una  tendenza,  quindi  un  bi- 
sogno j  sinché  erumpendo  nella  realtà  determinano  un 
fatto ,  e  mutan  la  faccia  delle  cose?  Perciò  fare  è  duopo 
tornare  alla  contemplazione  di  quei  fatti  e  studiarli 
non  nelle  descrizioni ,  che  ne  fecero  gli  storici ,  ma  nei 
vestigi  che  ne  rimangono  j  tener  conto  di  ogni  docu- 
mento non  solo  importante ,  ma  anche  di  quelli ,  che 
sono  in  apparenza  di  minor  rilievo  j  passare  in  rassegna 
tutti  gli  avvanzi  delle  età  scorse,  e  cercando  coll'aiuto 
di  un'  oculata  critica  negli  utensili ,  nelle  suppellettili , 
nelle  armi  il  modo  del  vivere  materiale,  nelle  carte  e 
transazioni  private  le  relazioni  da  uomo  a  uomo  ,  nelle 
leggi  e  nelle  costituzioni  i  rapporti  fra  i  reggitori ,  ed  i 
governati ,  nei  monumenti  delle  arti ,  nei  libri ,  e  negli 
scritti  di  scienze  e  di  lettere  le  condizioni  dell'intelligenza, 
assegnare  a  ciascuno  di  questi  speciali  elementi  il  loro 
grado  d'influenza  sull'universo  andamento  delle  cose, 
e  riedificare  la  storia  non  solo  dappresso  l'ordine  cro- 
nologico della  successione  dei  fatti,  ma  ancora  dapresso 
a  un  ordine  razionale  e  completo  di  procedenza  fra  le  '^\ 
cause  e  gli  eflfetti. 

In  quel  difficile  aringo  accennano  ora  di  lanciarsi 
animosi  gli  ingegni  italiani,  e  non  poche  pregievoli  o- 
pere  di  recente  uscite  in  luce  mostrano  di  quali  pro- 
fonde meditazioni  si  faccia  soggetto  la  storia  *i.  Intanto 
noi  esultiamo  nel  profondo  del  core  in  vedere  con  quanto 
ardore,  con  quanta  alacrità  vadano  gli  studiosi  rivan- 
gando il  passato ,  e  come  traendo  essi  dai  polverosi  ar- 
chivi, e  dalle  biblioteche  ove  giacevano  inutili  e  se- 
polti tanti  preziosi  documenti  della  storia  nostra ,  li  fac- 

•i  Troviamo  una  diligente  rassegna  dei  libri  storici  ultimamente  pubblicati 
in  Italia  in  un  arlicolo  dell'  Indicatore  intitolato  della  nostra  letteratura  net 
i836  dettato  dall'  egregio  Ambrosoli.  Noi  faremo  di  mano  in  mano  conoscere 
ai  nostri  lettori  le  principali  ira  le  opere  ivi  accennate. 


m 

ciano  di  pubblica  ragione  colle  stampe ,  e  prepiirino 
così  i  fondamenti  su  cui  dovrà  innalzarsi  il  nuovo  edi- 
fizio  storico. 

Nelle  cronache,  nelle  memorie  ,  nelle  iscrizioni,  nelle 
relazioni  uiTiziali,  nelle  leggi,  nelle  corrispondenze  pri- 
vate, ed  in  tutte  quelle  scritture  autentiche  che  serbano 
fedele  ed  intatta  l'impronta  dell'epoca  loro,  stan  lipo- 
ste  le  fonti  della  sapienza  isterica;  perocché  soltanto  in 
faccia  a  quelli  incontrastabili  testimoni  delle  età  che  fu- 
rono, potrà  lo  scrittore  sottrarsi  all'influenza  delle  im- 
pressioni ,  e  dei  pregiudizi  dei  dì  correnti ,  e  raccogliendo 
come  in  riflesso  lo  stato  morale  ed  intellettuale  di  un 
popolo,  ritrarlo  genuino  nelle  sue  carte  accanto  all'al- 
ternare degli  eventi. 

Allora  potrà  indagarsi  qual  reciproca  azione  esercitino 
fra  loro  le  idee  ed  i  costumi  ;  per  qual  nesso  ogni 
mutazione  nella  sfera  delle  pratiche  vicende  si  rannodi 
ad  un  movimento  del  mondo  intellettuale  ;  quale  soli- 
darietà possa  imporsi  alle  instituzioni  ,  alle  leggi,  ed 
alle  circostanze  esterne  fra  le  quali  le  società  progredi- 
scono verso  quella  perfettibilità  che  è  il  loro  scopo  pro- 
videnziale  ,  la  loro  vocazione.  Allora  la  storia  sarà  la 
voce  dell'umanità  che  rivela  se  stessa  e  additando  il 
loro  destino  agli  uomini,  edalle  genti,  insegnerà  a  pro- 
cedere con  amore   e  con  fede  verso  la  maturità  dei  tempi. 

Fra  i  benemeriti  cui  la  pubblica  riconoscenza  è  debito 
tributo  per  le  faticose  indagini  fatte  a  profitto  degli  stu- 
diosi di  storia,  va  distintamente  onorato  il  chiarissimo 
sig.  Molini ,  il  quale  pubblicava  non  ha  guari  due  vo- 
lumi di  documenti  di  storia  italiana  copiati  sugli  ori- 
ginali autentici  e  per  lo  più  autografi  esistenti  nelle 
varie  biblioteche  di  Parigi.  Questi  egli  ne  oflferisce  cor- 
redati di  note  illustrative  scritte  da  un  Gino  Capponi 
uomo   dotto   e   profondo    nelhé    storie,    ed   il    cui  nome 

5 


66 

suona  superbamente  lusinghiero  ad  ogni  orecchio  italiano 
rammentando  come  in  tempi  antichi  valessero  le  fiere 
parole  di  un  generoso  nostro  concittadino  a  fiaccar  la 
burhanza  di  un  re  straniero  *i. 

Per  dare  ai  nostri  leggitori  un'idea  dell'importanza  di 
questi  documenti  converrebbe  forse  il  presentarne  T  elen- 
co; ma  siccome  lunga  e  fastidiosa  potrebbe  riuscire  la  let- 
tura d'un  nudo  indice,  abbiamo  prescelto  di  qui  traspor- 
tare tre  lettere  autentiche  che  hanno  tratto  alle  cose 
nostre  di  Piemonte;  due  di  esse  sono  dei  sindaci  e  citta- 
dini di  Torino  a  Francesco  I.  ;  la  terza  è  la  risposta  di 
quel  re  alle  precedenti.  Da  queste  sarà  agevole  il  giudicare 
quanta  luce  possa  diffondere  sulla  storia  italiana  la  rac- 
colta di  documenti  che  ora  annunziamo  e  raccoman- 
diamo   al  pubblico. 

•i  Carlo  vili. 

MASSIMO    MOKTEZEMOLO. 


67 

N.*»  GCCCXXX. 

I  Sindaci  e  Cittadini  di  Torino  a  FiaHcesco  I.  de' 25  kiglio  iSì-j 
(  voi.  N.''  8587  a  e.  i48  ). 

È  in  originale 

SIRE 

Vostre  bon  plaisir  sera  scavoir  comment  a  la  venue  de  oos  embas- 
sadeurs  de  court  vostre  cite  de  Thurin  tres  (ìdele  et  tres  aifection- 
nee  pensoit  havoyr  mis  fin  a  ses  malheurs ,  estant  par  vostre  beni- 
gne graice  reduyte  ,  et  unye  a  vostre  sacre  couronne,  et  les  dicts 
embassadeurs  ont  fait  unge  telle  rellacion  du  bon  vouloyr  de  vostre 
maieste  que  diete  vostre  cite  seroyt  soulaigee  et  tenue  souhs  vostre 
protection  comme  se  feust  Lyon  ou  Paris  ,  et  que  au  plus  tard  il 
seroyt  a  la  venue  de  Monseig.  Huniieres, 

Mais  ,  Sire  ,  a  present  diete  cite  se  trouve  en  grant  doleur,  et 
soucy.  Car  ancores  que  par  le  dict  Monseig.  de  Humieres  ayt  este 
faite  toute  diligence  de  soulager  la  diete  ville,  et  Monseig.  de  Bou- 
tieres  nostre  gouverneur,  et  Monseig.  le  president  journelleinent  ne 
cessent  de  leur  coste  y  pouvoyr  le  mieulx  que  peuvent ,  neantmoins 
la  malice  de  aulcuns  souldats  est  si  grande  ,  et  l'amour  quils  por- 
tent  a  Vostre  Maieste  est  si  petite ,  que  estant  le  dict  Monseig. 
d'Huniieres  dedans  Thurin ,  par  deux  ou  trois  fois  ils  ont  co- 
mance  mectre  les  vivres  de  la  place  a  sacq  ,  et  ont  menasse  de 
saqucgier  Monseig.  de  Boutieres  et  le  reste  de  la  ville.  Et  soubdain 
que  leur  payement  fault ,  ils  menassent  de  mectre  Thurin  a  sacq , 
et  battent  les  citoyens  et  presnent  leurs  vivres  par  force  et  pour  ce 
les  marchants  et  autres  citoyens  veulent  deshabiter. 

Oultre  ce  a  Thurin  y  est  bien  peu  de  feure,  bien  peu  de  boys  et 
de  foings  ,  peu  de  bestes  pour  charier  le  tout.  Car  par  la  grosse 
afflueuce  de  gents  qui  venoyent  dedans  Thurin  les  dicts  foings  qui 
estoyent  dedans  la  ville  se  sont  si  fort  consumer  que  au  present  la 
povre  cite  se  retienne  en  petit  estat  touchant  au  couste  {coté)  dcs 
citoyens.  Et  davantaige  an  despartir  du  camp  les  commissaires  ont 
amene  quasi  tous  les  beufs  de  Thurin  au  camp  tant  pour  conduyre 
l'artilleric ,  que  pour  la  monition  des  vivres ,  et  ont  tant  faict  qu'il 
semble  proprement  que  vos  dict  officiers  niectent  euls  mesmes  le 
siege  a  Thurin ,  et  lout  contre  le  voubyr  du  dict  Mons.  d'Humieres. 


68 

Avecques  ce  que  les  ennemys  ne  laissent  pour  cliose  du  monde 
qua  tous  les  jours  ne  coment  jusques  a  pres  de  la  ville  et  gardent 
que  les  vivres  ny  peuvent  estre  portez  a  demy.  Et  pour  faulte  dung 
bon  prevost  qui  tiegnet  les  champs ,  beaucoup  de  ceulx  qui  sont  a 
vostre  service  destroussent  les  vivandiers  eulxmemes. 

Sire  ,  les  ballouuars  de  Thurin  sont  seulement  bastiz.  Venant  1' 
yver ,  estant  a  la  sort  qulls  sont ,  sans  alcune  faulte  ,  ils  ruyneront 
a  grand  domaige  de  vostre  majeste ,  et  dangier  de  la  ville. 

Sire  ,  pour  demonstrer  en  partie  de  nostre  bon  vouloyr  que  ha- 
vons  destre  preserves  en  vostre  protection  et  grace ,  ancores  que  pan- 
sons ,  que  Vostre  Maieste  en  sera  mieulx  certifieé  par  ses  officiers 
que  par  nous  ;  neantmoins  de  nostre  couste  havons  pansé  d'adver- 
tir  Vostre  Maieste  du  tout  poui-  faiie  nostre  debvoyr.  Au  quel  mieulx 
ajnons  mourir  que  y  fallir. 

Le  bon  plaisir  de  Vostre  Serenis.  Maieste  sera  nous  tenir  en  sa 
benigne  grace.  Et  prierons  incessement  Dieu  que  luy  doint  tres  bonne 
et  longue  vie ,  et  victoire  contre  ses  ennemys.  Escripte  a  Thurin  le 
XXV  jovir  de  juillet. 

yos  tres  humbles,  et  tres  obeyssants  subgects  ,  et  serviteurs.  Les 
Sindifjues  et  citoyens  de  Thurin. 

(  Direzione  )  Au  Roy. 


N.°  CCCCXXI. 


Altra  come  sopra  de'  28  (  Ivi  a  e.   i55  ). 
E  in  originale 

SIRE 

Nous  avons  escript  par  les  aultres  du  vingtcinquiesme  de  ce  moys 
les  inconvenientz  que  dobitions  en  ceste  Gite  par  faulte  d'aulcuns 
maulvais  soldats.  La  nuyct  passe  quasi  que  nostre  prophetie  sest  ac- 
complie.  Toutesfois  les  ennemys  qui  desia  avoyent  gaigne  ung  ba- 
stillion  par  speciale  grace  de  Dieu  et  vertu  de  Monseigneur  le  Gou- 
verneur  onte  este  repoussoz  a  leur  grant  dommage ,  comme  plus  a 
plain  somes  certains  vous  escripra  le  dici  MpnseJg.  k   Gouvcnieur. 


Et  affili  que  tei  inconvenìent  ou  plus  grant  ne  advienne  une  aul- 
ire fojs,  voussupplionstres  humblement  dy  fere  pourvoir  de  bonne 
heure   sur  le  tout  et  mesmement  sur  la  police  de   gens  de  guerre 
aftin  que  les  citoyens  prennent  cueur  de  demeurer  en  la  ville  et  aussi 
a  la  reparation  des  forteresses  tant  de  la  dite  ville  comme  du  chanp 
Touchant  les  afferes  des  citoyens  Vos.  Mag.  ne  doubte  point,  car  nous 
avons  dehbere  de  vivre  et  mourir  a  la  subgection  et  service  dicelie 
pour  la  quelle  prierons  tousiours  le  benoist  Createur  qui  par  sa  grace 
vous  domt  en  sante  et  prosperite  tresbonne  vie  et  longue  et  victoire 
de  ses  ennemys.  De  Thurin  ce  xxviij  jour  de  juUet  iSSy. 
Vos  treshumbles  ,  et   tres  obeyssants  subgects  ,  et  sermenrs. 


Les  Sindyc  et  citoyens  de  Thurin. 
(  Direzione  )  Aa  Roy. 


N.°  CCCCXXII. 

Risposta  di  Francesco  I.  alle  due  lettere  precedenti  da 

8  agosto  i537  {^ol.  iV.°  856o  a  e.  nQ).  

E  copia  di  carattere  sincrono. 

De  par  le  Roy 

Treschers  et  bien  amez,  Nous  avons  dernierenient  receu  deux  let- 
res  que  nous  aves  escriptes  des  xxv»  et  xxviij"  du  moys  passe  ,  par 
lesquelles  avons  veu  entre  aultres  choses  les  plaintes  et  doleLces 
que  nous  faictes  touchant  les  maulx  ,  peines  et  travaulx  que  vous 
avez  par  cy  devant  soufferts  ,  et  soustenus.  En  toutes  les  choses 
plus  a  plam  touchees  et  declarees  par  vos  dites  letties  au  moyen 
du  mauvays  ordre,  gouvernement  et  facon  de  vivre  des  souldats 
qu.    ont  este    et    sont    encores  en   nostre   ville    de   Thurin,   ce   qui 

.ble  de  plus.  Car  entendez  que   lune  des  choses  de  ce  monde  que 

rXerT  "n"*'  "'*  '^"^  ^"'^  ^^^^^  ^^^"'  «*  favorablement 
traictez  et  soullagez  soubs  nous  connne  nos  bons  ,  vrays  et  lo- 
yauls  subgects  que  vous  tenons  et  reputons.  A  cette  cause  nous  en- 
voyons  preseutement    vos  dites  let.res  au   Seig.  de    Hunùers   nost.. 


70 

lieutettayi  general  par  de  la  ,  au  quel  nous  escripvons  en  veoir  et 
i>ien  memement  entendi-c  le  contenu  pour  sur  le  tout  promptement 
Bourvoir  ,  remedier  et  donner  lordre  qu'il  verrà  estre  requis  et  ne- 
cessaire ainsi  que  sommes  tout  as^ures  quel  fera ,  vous  advisant 
que  nous  avons  dernierement  entendu  par  le  Seig.  de  Boutieres  la 
benne  et  grande  demonstractlon  que  vous  avez  faicte  pour  nostre 
scurite  et  la  conservation  de  nostre  dite  ville  de  Thurin  ,  a  la  sur- 
.prinse  que  les  ennemys  se  y  sont  puis  nagueres  efforces  de  faire  , 
qui  nous  a  este,  et  est  de  plus  en  plus  donner  a  cognoistre  la  sin- 
guliere  aiiection  que  vous  portez  tant  a  nous  quant  au  bien  et  pro- 
sperite  de  nos  afFaires  qui  sont  clioses  que  nous  ne  mectrons  jamays 
en  oubly  mays  le  recongnoistrons  avecques  le  temps  envers  vous  quant 
Toccasion  se  y  adonnera  ,  en  sorte  que  vous  aurez  juste  cause  de 
vous  en  contenter.  Et  a  tant  tres  chers  et  bien  ames  nous  prions 
le  Createur  qu'il  vous  ayt  en  sa  saincte ,  et  digne  garde.  Escript 
a le  viij  jour  d'Aoust  mil  v.*  xxxvij. 

Francoys. 

Breton 

A  nos  treschers  et  bien  amez  les   Sindicq  et  Citoyens  de  nostre 

bonne  ville  et  Gite  de  Thurin. 


{ Nota  ai  tre  documenti  che  precedono  J.  Il  Piemonte  eradi- 
venuto  Provincia  Francese  ,  e  intorno  a  Torino  già  da  un 
anno  si  combatteva  5  il  Vasto  per  notturna  sorpresa  aveva  den- 
tro Casale  fatto  prigioniero  il  sig.  di  Burie;  a  lui  successe  il 
Butieres ,  e  per  la  discordia  tra  capitani  Italiani  era  venuto  di 
Francia  sino  dagli  8  Giugno  l'Huraieres  a  governare  la  guerra. 
E  il  Duca  di  Vittemberga  aveva  condotto  grossa  mano  di  Ale- 
manni ,  i  quali  da  principio  tolsero  le  paghe  agli  Italiani ,  poi 
nemmen  essi  pagati  levarono  tal  rumore  che  tutto  il  campo 
ne  fu  sconvolto.  E  mentre  cosi  la  guerra  infelicemente  proce- 
deva ,  Torino  pativa  con  le  miserie  della  fame  quella  della 
militare  contumacia.  Le  due  lettere  de'  Sindaci  della  Città 
espongono  le  lagnanze,  quella  del  re  compiange  a  danni  della 
nostra  buona  Città  di  Torino ,  e  rinvia  i  IVIagistrati  aX  Luogo- 
teueate  Generale,  che  non  vi  aveva  rimedio. 


71 
FILOLOGI! 


Alcuni  capitoli  della   Prefazione  alla  nuova  edizione 
del  Dizionario  de^Sinonimi  d^l  Tomaseo. 


Capit.  I. 
Come  della  ricchezza  delle  lingue  s' abusi. 

Fra  le  molle  tribolazioni  che  ingombrano  la  via  degli 
autori,  non  è  la  minima  vedere  i  propri  intendimenti 
o  non  compresi  o  interpretati  a  rovescio  j  sentire  da  unV 
interrogazione  simile  alla  famosa  del  Cardinale,  uscire  una 
lode  più  amara  delle  più  acri  censure.  Io  scrivente,  per 
esempio,  sentii  più  d'una  volta,  a  proposito  di  quest' 
opera,  rammentarmi,  come  cosa  non  dissimile ^  il  di- 
zionario del  Rabbi.  Dimostrare  a  costoro  come  e  perchè 
il  dizionario  del  padre  Rabbi  sia  misfatto  più  grave  che 
'1  rimario  del  Ruscelli;  e  come  il  mio  intendesse  appunto 
allo  scopo  contrario,  sarebbe  stato  buttar  le  parole;  onde 
meglio  parevami  rispondere  con  mansuetudine:  «questa 
è  cosa  un  pò  differente.  » 

Né  quella  buona  gente  diceva  sproposito  tanto  strano 
quanto  sembrava  all'orgoglio  mio.  Fatto  è  che  il  Dizio- 
nario del  Rabbi  è  come  1'  ultima  e  più  madornale  con- 
seguenza di  quello  che  gran  parte  de'  nostri  scrittori  da 
gran  tempo  e  pensano  e  fanno.  Ai  quali  la  varietà  de' 
suoni  par  cosa  più  desiderabile  che  la  proprietà  e  l'evi- 
denza del  direj  e  ad  occhi  chiusi  scambiano  l'una  voce 


72 
con  l'altra  afllne  ,  pare  [serchè  raen  volgare,  a  quel 
ch'essi  dicono,  e  perchè '1  numero  lo  domanda  (come 
chi  dicesse  in  grazia  della  rima),  o  per  non  ripetere  la 
medesima  parola,  eh' è  vizio  dagli  umanisti  con  severità 
biasimato. 

Né  questa  è  già  malattia  che  s'  attacchi  a  tale  o  a  tal 
uomo  letterato  ,  a  tale  o  a  tal  parte  della  educazione 
letteraria  ;  è  contagio  della  specie  tutta  quanta.  Vedete 
nelle  edizioni  a  uso  del  Delfino  di  Francia ,  vedete  con- 
sumalo un  sacrilegio  appetto  a  cui  le  bestemmie  de'  ro- 
ijaantici  sono  giaculatorie;  vedete  tradotti  i  poeti  latini 
in  rea  prosa,  l'oro  delle  parole  proprie  scambiato  col 
piombo  di  altre  sinonime;  come  chi  insegnasse ,  tirando 
nel  bersaglio ,  a  non  imbroccare  nel  segno.  Cosa  ,  per 
verità,  non  difficile. 

TI  qual  sacrilegio  è  dei  commentatori  mestiere,  tra- 
.stullo  e  gloria:  e  per  commetterlo  i  più  di  loro  si  cre- 
dono messi  al  mondo.  Io  non  parlo  del  Biagioli  ne  dei 
pari  suoi;  morti  o  viventi  in  odore  di  pedanteria  o  nella 
patria  o  presso  1'  estere  nazioni  :  ma  nessuno  vorrà  dir 
pedante  Enrico  Stefano  j  e  ne  anco  quel  Volpi,  del  quale 
i  tipi  corainìani  s'onorano.  Or  bene:  volete  voi  sapere 
come  lo  Stefano  interpreti  quell'  ovidiano  bellissimo  : 

Grande  dolori 

Ingenium  est  : 
Ecco  :  Majus  doloris  quam  gaiidii  est  ingenium  *  i . 

È  il  Tibulliano 

Et  dominam  tenero  continuissc  sinu-,  *2. 

Sapete  voi  come  il  Volpi  lo  illustra?  Mammoso, 

*r  Thcs.  L.  4,  Gr. 
*i  L.  I.  el.  I, 


n 

Di  tutti  poi  ;  o  quasi  tutti  i  dizionariì ,  è  fallo  grave 
accumulare  vocaboli  di  senso  vanissimo  per  dichiarare 
i  significati  d'  un  solo.  E  non  era  necessità  che  il  Monti 
ed  altri  questo  peccato  rimproverassero  alla  Crusca  ,  sic- 
come a  sola  colpevole  ;  se  lo  Stefano  non  n'  è  franco , 
né  quella  sana  mente  del  buon  Forcellini.  Il  primo  de' 
quali  àpeXrs^ta  vi  spiega  con  stoliditas  yStultitiajamentia 
vesania  ;  il  secondo  animadversio  con  attentio  j  con- 
sideratio  j  notatio',  poi  animadversorj  qui  animadvertit 
et  attente  observat  ;  poi  animadversus  j  animadversio  , 
castigatio  ;  i>oì  animadversus  _,  consideratus  ,  perspectus, 
cognitus:  poi  animadverto  j  animum  adverto  j  attente 
considero  ,  cognosco  ,  la  qual  varietà  di  spiegazioni  porta 
con  se  quattro  mali  :  superfluità ,  improprietà ,  confu- 
sione ,  contraddizione.  O  le  voci  dichiaranti  quella  di 
cui  si  tratta  hanno  (  che  non  può  essere  )  tutte  il  me- 
desimo senso ,  e  moltiplicarle  non  giova  ;  o  hanno  senso 
diverso  ,  e  fate  di  ciascuno  di  quelli  un  distinto  para- 
grafo. Questo  che  par  lieve  difetto,  e  che  ai  provetti 
non  nuoce,  guasta  però  le  menti  inesperte,  avvezza  a 
queir  uso  promiscuo  ,  anzi  abuso  di  voci  da  cui  tanti 
stili  verbosi,  ampollosi,  falsi,  e  donde  colla  fine  lo  spos- 
samento e  la  corruzion  della  lingua.  Di  qui  venne  a  noi 
(sebbene  non  paia)  la  smania  di  quello  stile  aulico  e 
cortigiano  che,  non  appropriando  la  dizione  al  soggetto, 
ma  da'  comuni  usi  de'  vocaboli ,  come  da  volgar  cosa 
aborrendo,  non  può  nella  sua  cortigiania  non  essere  tanto 
affettato  e  impotente  quant'è  superbo.  Di  qui  l'opinione 
che  belle  possan  essere  le  parole  e  pieno  lo  stile  nella 
difformità  de' concetti  e  nella  vacuità  del  pensiero. 


74 

CiPiT.  n. 

Falsa   ricchezza. 

Le  idee  a  poco  a  poco  si  vengono  in  altre  particolari 
suddividendo  ,  e  ciascuna  suddivisione  ampliando.  Là 
dove  r  occhio  nudo  non  vede  che  una  via  lattea ,  1'  ar- 
mato di  lente  discerne  schiera  innumerata  di  stelle: 
là  dove  rocchio  inesercitato  non  iscorge  che  un  punto, 
r  esercitato  conosce  molliplicità,  varietà,  discontinuità, 
opposizione.  Que'  gradi ,  già  inosservati ,  d'  una  idea  for- 
mano col  tempo  scienze  e  mondi  e  vocabolarii  novelli. 

Or  quando  ciascuno  anello  della  lunga  catena  d'  enti 
e  di  relazioni  corporee ,  intellettuali ,  morali  ha  un 
nome  suo  proprio,  incomunicabile,  e  noto,  la  lingua 
è  ricca.  Ma  che  m' importa  eh'  io  possa  esprimere  un' 
idea  in  dicci  modi  se  dieci  altre  idee  mi  mancano  d'un 
nome  lor  proprio ,  e  m'  è  forza  significarle  con  uno  di 
que'  dieci  modi  che  servivano  a  denotare  quell'  una  ? 
Quando  la  cultura  degl'  ingegni  sia  in  parte  accattata 
di  fuori,  parte  ristretta  in  poca  gente  divisa  tra  sé  e 
dal  resto  della  nazione,  allora  s' ha  questa  falza  ricchezza 
di  cui  parliamo. 

Ad  esprimere  le  più  tra  le  comuni  idee  della  vita  , 
noi  Italiani  abbiamo  dovizia  di  frasi  gaie ,  modeste  ,  pos- 
senti. Anco  la  lingua  delle  arti  adulte  già  innanzi  il  se- 
colo decimottavo  è  in  buona  parte  determinata  in  Tos- 
cana ,  siccome  presso  quel  popolo  che ,  dopo  la  civiltà 
rinnovata,  fu  primo  a  fiorire  nell'opere  della  mano. 
Dell'  arti  e  delle  scienze  modernamente  salite  a  grandi 
incrementi  non  possiam  dire  altrettanto. 

Ma  Tun  de'modi  di  bene  determinare  il  linguaggio  nuovo 
gli  è  non  viziare  con  nuovi  abusi  1'  antico  ;  proporre  a 
sé  questa  norma ,  eh'  è  ancor  più  morale    e   civile    che 


7€r 

filologica  :  u  fintanto  che  due  idee  si  potranno  esprimere 
con  due  promiscui  vocaboli  entrambe,  s'avrà  sempre 
un  linguaggio  pieno  d' equivoci ,  di  discordie ,  d'errori.  » 
Presentatemi  due  idee  con  due  nomi  promiscui ,  io  mi 
crederò  d' averne  tre  delie  idee  :  le  significate  da'  due 
nomi,  e  la  terza,  della  promiscuità  d'esse  idee  da  nomi 
promiscui  significate.  La  terza  idea  per  lo  meno  sarà 
erronea  ;  1'  errore  si  moltiplicherà  per  il  numero  e  degli 
usi  e  degli  uomini  che  quelle  voci  useranno.  E  la  lin- 
gua col  tempo  si  renderà  inetta  a  trattare  quelle  materie 
dove  un  equivoco  costa  troppo.  E  barbarie,  vera  barba- 
rie si  nasconderà  sotto  l'abito  d'  una  mendicata  eleganza. 

«  Certamente  la  copia  delle  voci  è  ricchezza,  ma  la 
»  copia  non  consìste  nel  numero,  ricchezza  inerte  d'a- 
»  vari.  S'altro  non  hanno  le  voci  di  differente  che  il 
n  suono  e  non  la  maggiore  o  minore  latitudine  o  deter- 
»  minazione  del  concetto ,  le  sono  ingombro  della  me- 
»  moria,  non  agevolezza  all'arte  del  dire  *i.  » 

Quando,  per  esempio,  il  benemerito  Gamba  consiglia 
d' inserire  nel  dizionario  arrugare  j  intende ,  io  spero,  di 
aggregarlo  al  numero  delle  voci  morte  o  mezzo  morte  *2, 
perchè  non  veggo  uso  alcuno  di  quel  verbo  dove  non 
cadano  i  più  comuni  corrugare ^  increspare y  raggrinzare y 
raggrinzire  j  aggrinzare  j  avvizzire,  appassire ,  ammez- 
zire. Poi  se  volete  leccume  (direbbe  il  Cesare)  d'eleganze, 
troverete  accresparCj  che  in  Toscana  non  è  morto  an- 
cora, e  crespare  che  non  ha  esempi  ma  è  padre  legit- 
timo del  tuo  crespamento ,  o  Francesco  da  Buti  cemen- 
tatore; e  avvizzare  j  se  non  vi  dispiace,  o  se  meglio  vi 
garba,  appassare y  son  pronti  ai  vostri  servigi. 

Il  Girard  paragona  le    voci    superflue    a    piatti    vuoti 

*i  Girard.  Préf. 

*2  Serie  de'  testi  di  liiigua. 


76 
senza  vivande  sopra  :  ma  i  piatti    vuoti   son   buoni   per* 
mutare ,  giovano  a  pulizia  ;  dove  le  voci  superflue  fanno* 
confusione:  e  confusione  è  sudicia  cosa  *i.  ' 

Capit.  iir. 

Che  la  natura  non  ha  le  ripetizioni  in  orrore. 

«  Si  dirà  che  la  copia  delle  voci  risparmia  le  nojose 
»  ripetizioni:  ma  la  noia  diviene  dalla  ripetizione  del- 
»  l'idea  ben  più  che  del  suono.  Se  la  medesima  voce, 
»  ritornando,  dispiace,  dispiace  non  per  l'uguale  im- 
»  pressione  che  ne  riceve  l'orecchio,  ma  per  quella  che 
n  n'  ha  la  mente.  I  pronomi  che  pur  si  vengono  ripe- 
»  tendo  a  ogni  tratto,  non  annojano  perchè  necessarii  : 
»  si  ripetono  gli  articoli  e  le  preposizioni  spessissimo , 
»  perchè  destinate  a  indicare  una  relazione  della  cosa  , 
»  non  hanno  valore  determinato  di  per  sé,  sì  che  quella 
»  indicazione ,  ad  ogni  nuovo  oggetto  a  cui  s'  applichi , 
»  si  rifa  nuova  *2.  » 

Il  numero,  sia  poetico  sìa  oratorio,  dev'essere  dall' 
idea  dominato,  non  già  dominare.  E  cotesta  scolaresca 
sollecitudine  di  non  ripetere,  dove  occorra,  la  medesima 
voce,  è  condannata  dall'esempio  de' grandi  scrittori. 
Ma  i  grandi  scrittori  non  erano  retori  ,  e  appartenevano 
al  numero  di  quella  sguajata  gente  che: 

Dice  le  cose  sue  semplicemente  *3, 

che  non  cerca,  ma  trova  uno  stile    di    colore   sano,    di 
forma  snella,  d'abito  conveniente  al  soggetto j  gente  che 

*i  La  surabondance  qui  n'apporte  ni  plus  de  nettate,  ni  plus  de 
gràce,  ni  plus  d'energie,  est  une  négligence  qu'on  doit  éviter,  Dumarsais. 
*2  Girard. 
'•3  Berni. 


non  intendeva  punto  gli  artifizìi  profondi  di  quegli  scri- 
vicchiatori  chiarissimi  eh'  oggigiorno  hanno  fama  di  fio- 
riti e  fecondi. 

Non  è  necessario  cercar  tropp'  addentro  per  rinvenire 
con  che  pensata  (  se  così  posso  dire  )  e  maestrevole  non 
curanza,  gli  scrittori  grandi  adoprassero  le  medesime 
voci  più  volte  in  breve  periodo  di  discorso,  dovunque 
ciò  credessero  acconcio.  Giova  recare  esempi  di  poeti , 
siccome  di  quelli  a  cui  più  larghe  licenze  vengono  con- 
cedute ,  sebbene  i  poeti  più  grandi  ne  usassero  meno  di 
quel  che  i  prosatorelli  moderni  facciano. 

Apriamo  la  commedia  di  Dante  ;  ed  eccoti  nel  primo 
canto  via  ripetuto  ben  quattro  volte  *i.  Oh  gran  padre 
Alighieri ,  non  sapevate  voi  dunque  che  la  nostra  lingua 
bellissima  aveva  pure  e  strada  e  sentiero  e  tante  altre 
voci  significanti  a  un  bel  circa  il  medesimo ,  che  pote- 
vano fiorire  il  vostro  stile  di  molto  variata  eleganza? 

E  paura  ,  questa  brutta  parola  che  tanti  coraggiosi 
d'  oggidì  non  fanno  sentire ,  ma  sentono  e  intendono 
tanto  bene,  paura  nel  primo  della  commedia  cinque 
volte  ritorna  *2.  Come?  Non  aveva  egli  in  pronto  l'ine- 
sperto poeta  terrore  3  timore  j  spavento  ^  tenia  ^  temenza ^ 
dotta  j  dottanza  e  altri  assai  ?  Ma  al  poeta  inesperto  paura 
piacque,  e  in  dicianove  versi  lo  disse  tre  volte,  e  cinque 
in  cinquantadue,  e  due  (cosa  orribile!)  in  cinque.  E 
questo  medesimo  cosa  non  lo  ripete  egli  in  sei  versi  due 
volte  *3  ?  E  tra  ritrovare  e  trovare  ci  corre    egli   mag- 


*  I  V.  3 ,  Che  la  diritta  via  ....  V.  i  a ,  Che  la  verace  via  .... 
V.  ag ,  Ripresi  via  ...  .  V.  4^,  Passar  per  la  sua  via. 

*2  V.  6 ,  Rinnova  la  paura.  —  V.  i5,  Di  paura  compunto.  -^ 
V.  19,  Fu  la  paura  ....  queta  —  V.  44 >  Paura  non  mi  desse  — 
V.  53 ,  La  paura  eh'  uscìa  .... 

*3  V.  4  3  Cosa  dura  —  V.  9 ,  Altre  cose. 


7S 

giore  intervallo  che  di  cinque  versi?  *!.  Nulla  dico  di 
'Volgersi ,  che  tre  volte  *2  ,  nulla  di  vista  che  due  ri- 
corre *3  ;  nulla  di  perdere ,  ripetuto  con  semplicità  sco- 
laresca in  tre  versi  *4'  Ma  come  tacere  di  quella  bestia 
che  dovrebbe  proprio  far  tremare  i  polsi  agli  amatori 
della  elegante  varietà  del  nostro  idioma  *5  ?  Come  di 
quel  luogo,  triviale  parola,  la  cui  ripetizione  è  sì  tri- 
viale? *G.  E  dal  luogo  venendo  al  tempo,  come  non 
s'  accorgere  che  il  primo  canto  della  città  senza  tempo 
infelice,  di  questi  tempi  n'ha  quattro  *'y? 

E  il  Petrarca ,  scrittore  più  sollecito  de'  minuti  orna- 
menti j  e  più  schivo  de'  minuti  difetti ,  il  Petrarca  ri- 
strinse in  vie  minor  numero  di  parole  il  suo  linguag- 
gio poetico,  ne  dalle  ripetizioni  aborrì.  Prendiamo  la 
Ballatetta  *8  da  Gian  Giacomo  *9  citata  (  eh'  è  non 
piccolo  onore):  e  troveremo  in  quattordici  versi  due 
volte  vedere  *io,  desiare  due  volte  *ii  non  loulan  da 
desio,  be'  due  volte  *i2;  poi  morta  e  morte  *i3  .  amore 
e  amoroso  *i4j  quasi   accosto,  due  volte  velo  e  velati  lì 

*i  V.  1,  Mi  ritrovai  .  .  .  V.  8  ,  Ben  eh'  i'  vi  trovai. 

*2  Si  volge  all'  acqua  —  Si  volse  indietio  —  Più  volte  vólto. 

*3  La  vista  che  m'  apparve  —  Uscia  di  sua  vista. 

*4  Perdei  la  speranza  —  perder  lo  face. 

*5  Bestia  senza  pace  —  Vedi  la  bestia  —  Che  questa  bestia. 

*6  Basso  loco  —  luogo  selvaggio  —  luogo  eterno. 

'*7  Tempo  era  —  Ora  del  tempo  —  Giunge  il  tempo  —  Al  teujpo 
degli  Dei.  Non  parlo  di  fare  ripetuto  otto  volte.  M'  han  fatto  cer- 
car .  .  —  m'  han  fatto  onore. 

*8  P.«  I.  Ball.  I. 

*9  N.  Hél.  P.  I. 

*io  Non  vi  vid' io  —  Vidivi. 

*  1 1  11  gran  desio  —  Desiando  morta  —  Ch'  i'  più  desiava. 

*  X  2  Be'  pensier  —  Be'  vostri  occhi  .  .  , 

■*i3  Hanno  la  .  .  .  mente  morta  —  per  mia  morte. 
'*i4  Ma  poi  ch'amor  —  L'amoroso  sguardo. 


70 

presso  *i.  E  chi  potrebbe  numerare  le  ripetizioni  inele- 
ganti di  cui  pecca  il  Petrarca,  e  che  i  nostri  innume- 
rabili maestri  avrebbero  con  avveduta  severità  tolte  via? 

L'Ariosto?  Peggio.  Qui  non  cade  dover  notare  della 
ripetizione  delle  rime,  altra  Cariddi  che  i  nostri  noc- 
chieri insegnano  ad  evitare  *2.  Ma  quanto  a  ripetere 
modi  e  voci,  oh  il  povero  scrittore  ch'era  Messer  Lo- 
dovico! *3.  Sarebbe  troppo  crudele  oltraggio  alla  fama 
sua  e  troppa  offesa  al  fine  sgusto  dei  nostri  retori  mol- 
tiplicare gli  esempi. 

E  il  più  doloroso  si  è  che  i  grandi  scrittori  in  questa, 
come  in  altre  cose ,  tengono  il  modo  del  popolo  igno- 
rante, o  per  meglio  dire,  della  vilìssima  plebe;  la  qual 
non  teme  di  ripetere  tante  volte  il  medesimo  vocabolo 
quante  le  fa  di  bisogno  per  significare  la  medesima  idea. 
Perchè  '1  popolo  non  conosce  sinonimi  :  e  le  voci  di  senso 
affine  hanno  nel  quotidiano  commercio  del  parlare  una 
differenza  di  valore  ben  ferma.  Il  qual  difetto  popolare 
richiama  alla  mente  un'altro  errore  grossissimo;  che 
norma  della  scritta  è  la  lingua  parlata,  vale  a  dire 
che  gli  uomini  scrivono  e  parlano  per  fare  intendere  il 

*  I  Lassare  il  velo ,  —  Capelli  velati ,  —  Mi  governa  il  velo. 
*a  Nelle  prime  trenta  ottave  abbiamo  ripetute  le  rime  ato  ,  agna  , 
aldo  y  ata  ,  ei,  ia  ,  iva  ^  oi  ,  oso,  olse  ,  one,  orse,  olto:  era  tre 
volte  ,  ano  quattro.  E  vuol  dire ,  una  ripetizione  a  ogni  coppia  d'ot- 
tave. Se  i  pedanti  recano  autorità  per  ristringere  i  confini  dell'  arte , 
e  a  noi  sia  lecito  all'  autorità  ricorrere  per  allargarli. 
"Z  St.  3.  E  darvi  sol  può  1'  umil  servo  vostro 

Né  ,  che  poco  vi  dia  da  imputar  sono 
Che  quanto  io  posso  dar  tutto  vi  dono. 

St,   i3.  E  per  la  selva  a  tutta  briglia  il  caccia 
Di  su,  di  giù  per  l'alta  selva  fiera. 

Ivi.  La  più  sicura  e  miglior  via  procaccia. 

Lascia  cura  al  destrier  che  la  via  faccid. 


80 

lor  pensiero  ;  o  per  dirla  altrimenti ,  che  scambiare  i 
segni  degli  oggetti  è  scambiare  gli  oggetti  stessi.  Dal  qual 
errore  seguirebbe  che  1'  uomo  del  volgo  ha  idee,  nel  suo 
cerchio,  più  chiare,  che  non  abbiano  molti  letterati 
chiarissimi ,  onore  della  penisola  :  assurdità  manifeste. 

Capit.  IV. 
De^  Sinonimi. 

«  Sono  sinonimi  in  ogni  lingua  ,  ma  non  sono  mai 
»  cosi  fifa  t  ti ,  che  possano  sempre  l'uno  per  l'altro  ado- 
»  perarsi:  potrò  io  dir,  per  esempio:  è  giusto  che  il 
»  ricco  soccorra  il  povero  j  e  dir  potrò  ugualmente,  che 
»  questo  è  il  suo  dovere:  ma  non  potrò  dir  già  :  io  fa 
»  'l  mio  giusto  3  invece  di:  io  fo  H  mio  dovere   *\.  » 

«  Se  fossero  sinonimi  veri  in  una  lingua  ce  ne  sarebbe 
»  due:  perchè  trovato  il  segno  denotante  un' idea ,  non 
»  se  ne  cerca  altro  più.  E  1'  uso  di  tutti  gì'  idiomi  ,  per 
»  licenzioso  che  paia  e  vagante  a  caso ,  mai  non  si 
»  parte  da  questa  norma;  né  mai  dà  luogo  a  parole 
»  che  dicano  in  tutto  e  per  l'appunto  il  medesimo  d'altre 
»  parole  senza  proscrivere  la  vecchia ,  o  senza  assegnare 
))   a  quella  alcuna  varietà,  non  foss' altro  di  grado  *3.  » 

Quintiliano  l'aveva  notato  già:  «  Sunt  alia  verba  hujus 
»)  nalurae  ut  idem  pluribus  vocibus  declarent  ;  ut  nihil 
»  significationis,  quo  potius  utaris,  intersit.  Ut  ensis  et 
»  gladius.  Quarum  nobis  ubertatem  et  divitias  dabit 
))  lectio,  ut  bis  non  solum  quo  modo  occurrerint,  sed 
»  etiam  quo  modo  oportet,  utamur.  Non  semper  enim 
»  haec  Inter  se  idem  faciunt    nec,    sicut    de    intellectu 


*i   Zannoni,   Antologia   di  Firenze   i83o,  Dicembre. 
*3  Dumarsais. 


81 
»  animi  recte  dixerim  vld^o ,  ita  de  usu    oculorum    in- 
»  telligo.  Nec  ut  mucro  gladium   sic  miicronem  gladcus 
»   ostendit  *i.  » 

Non  è  dunque  a  credere  che  le  voci  sinonime  ab- 
biano in  sul  primo  denotato  per  l'appunto  la  medesima 
cosa  *2-j  poi  (sentita  la  necessità  del  parlare  chiaro) 
essersene  venute  determinando  le  differenze.  Non  mai 
così  forte  come  ne'primordii  della  civiltà  gli  uomini  sen- 
tono il  bisogno  di  parlare  chiaro  j  e  meglio  che  la  chia- 
rezza, si  coglie  da' parlanti  altamente  persuasi  e  verace- 
mente commossi ,  la  prima  condizione  d'  ogni  bellezza 
vera  del  dire,  l'evidenza.  Così  (per  trarre  esempio  da 
cosa,  apparentemente  più  notabile,  ma  non  più  impor- 
tante dell'umano  linguaggio)  le  civili  costituzioni  in  sul 
principio ,  perchè  non  materialmente  determinate  e 
scritte  su  un  foglio  di  carta ,  si  credono  essere  state 
ondeggianti  airarbitrio  delle  passioni  e  del  caso:  e  pure 
non  è  legge  più  forte  del  tacito,  universale,  e  quasi 
ispirato  consenso. 

Il  Laveaux  *3,  considerando  che  sinonimi  veri  la  lingua 
non  ha,  intitolò  l'opera  sua  dizionario  sinonimico:  ma 
e'  non  fece  altro  che  coniare  una  voce  non  bella  senza 
togliere  1'  improprietà.  Meno  male  attenersi  all'  antico  , 
giacché  non  si  corre ,  in  usandolo,  risico  alcuno  d'errore. 
Ognuno  sa  che  sinonimo  è  voce  così  inadeguata  come 
sono  metafisica  j  fisica  j,  matematica  ;  ma  ognuno  intende 
qhiarissimo  che  significhi.  Io  non  ho  voglia  per  ora  di 
beccarmi  il  cervello  a  trovare  un  titolo  non  meno  breve 
più  proprio,  che  piaccia  agli  altri,  e  piaccia  anco  a  me. 

*i  ìnst.  X. 
*o.  Boinviiliers. 
*3  Parigi   1826. 


82 

RIVISTA    CRITICA 


ERNESTO    E    CLARA 

Novella. 

Torino,  G.  I.  Rcviglio  e  Figlio  libraj.   i8j6. 


Ricordami  d' aver  letto  nella  Bibbia  *  i  di  non  so  qual  profeta , 
cui  il  Signore  in  visione  diede  a  mangiare  un  libro ,  il  quale 
sembrato  dolce  al  palato  del  suo  mangiatore ,  poiché  1'  ebbe 
tutto  in  corpo ,  gli  rodeva  amaramente  le  viscere.  A  siffatto  libro 
mistico ,  parmi  si  possano  assomigliare  que'  libri  tutti ,  che 
piacevoli  e  lusinghieri  alla  prima  lettura  per  certa  lor  venustà 
di  stile ,  e  speciosa  mostra  di  brio  e  di  spirito ,  letti  un'  altra 
volta  recano  nausea  per  lo  gran  vuoto  eh'  entro  vi  si  scorge. 
Sonvene  altri  per  lo  contrario ,  che  di  nessuno  adescamento  o 
lenocinlo  apparentemente  forniti ,  disgustano  in  sul  primo  squa- 
dernarli, e  distolgono  dall' andar  avanti  il  lettore,  il  quale 
ove  sia  tanto  ostinato  o  benevolo  da  continuar  la  lettura  non 
solo,  ma  da  ripigliarla  un'altra  volta  da  capo,  trovasene  poscia 
contento  per  molte  bellezze  non  prima  avvertite ,  che  in  ap- 
presso gli  si  manifestano.  A.  questa  seconda  specie  di  libri 
calza  a  meraviglia  l' imagin  di  Dante  *2,  che  è  il  rovescio  ap- 
punto della  citata  imagine  biblica: 

Che  se  la  voce  tua  snri  molesta 
Nel  primo  gusto,  vital  nulrimcnto 
Lascerà  poi  quando  sarà  digesta. 

*i   Apocal.  cap.   10,  vcrs.   io. 
'ii  i'arad.  canto   17. 


8S 

Tale,  a  mio  giudizio,  si  è  un  libro  anonimo  , di  recente  u- 
scito  alla  luce.  E  per  tema  che  la  parola  anonimo  rechi  spa- 
vento a  taluno  che  si  ricordi,  come  le  streghe  di  Shakespeare 
affaccendate  intorno  alla  caldaja  delle  loro  diavolerie,  a  Macbetto 
che  le  interroga  che  cosa  sliensi  facendo,  gridano  per  tutta 
risposta  ,  un^  opera  anonima  5  e  faccia  quindi  concetto  dell'  an- 
nunziata operetta  come  di  perfida  e  maligna  scrittura  5  a  costui 
m'  affretterò  di  dire ,  che  essendo  questa  una  satira  in  genere 
contro  certe  mende  del  viver  sociale  ,  non  innocente  soltanto , 
ma  è  cosa  utile  e  buona,  e  che  1'  Autore  a  me  e  ad  altri  no- 
tissimo, ben  lunge  dal  farsi  dell'  anonimo  frontispizio  una  trincea 
per  quindi  scoccare  da  luogo  sicuro  i  suoi  dardi,  non  intende 
giovarsene  altrimenti  che  come  di  velo  alla  sua  rara  modestia. 

Neil'  Ernesto  e  Clara  (  che  tale  è  il  titolo  della  novella  di 
cui  ragioniamo  )  descrivo  usi  le  avventure  di  un  gentilomuzzo 
scapestratello  ,  al  quale  una  benigna  indole  ed  un  mediocre 
ingegno  da  una  pedantesca  coltura,  e  da  una  superficiale  edu- 
cazione snervati,  ad  altro  non  servono  che  a  viemeglio  sentir 
la  vergogna  de'  propri!  trascorsi ,  e  a  logorarsi ,  per  risorger 
dall' abbiezione ,  in  tardi  ed  inutili  conati.  Affogato  ne' debiti 
e  tolta  una  ricca  moglie,  quasi  cambiale  per  soddisfarli,  questa 
nel  primo  amplesso  gli  scatta  via  indispettita  ,  ed  egli  novello 
Enea,  quando  credevasi  d'abbracciare  la  diletta  Creusa,  strin- 
gesi  più  volte  al  petto  le  braccia  digiune  *i.  Fallitagli  colla  sposa 
la  dote,  assalito  d'ogni  parte  dai  creditori,  fugge  il  minacciatogli 
carcere,  s'inselva  pauroso,  s'appiatta  nella  solitudine,  e  dato 
un  primo  passo  in  fallo ,  precipita  quasi  d'  abisso  in  abisso ,  ia 
cento  disgrazie  1'  una  maggiore  dell'  altra ,  e  1'  una  più  che  l'al- 
tra ridicola:  poiché,  se  uomo  sdrucciola,  e  cade  sguajatamente, 
per  quanto  gli  dolga  il  fianco  o  gli  sanguini  il  capo,  non  gli 
verrà  fatto  di  vietare  agli  astanti  le  risa.  Miserabilissima  poi  di 
tutte  le  disgrazie  ,  non  ommessa  la  fame  ,  la  prigione  per  sup- 
posti delitti,  e  lo  scriver  lettere  d'amore  a  nome  e  per  conto 
altrui,  si  è  questa  a  parer  mio,  d'essersi  lasciato  entrare  in 
capo  il  ticchio  della  letteratura,  e  d'aver  scritto,  ìmàta  Minerva 

*i  Virg.  eneid.  lib.  2. 


84 

non  un  sonetto  in  vita  ,  ma  un  intero  romanzo,  La  sposa  re- 
frattaria intanto ,  di  buona  pasta  aneli'  essa  ,  e  di  vivace  inge- 
gno, ma  del  pari  dalla  frivola  educazione  corrotta  (degnissima 
coppia ,  nata ,  malgrado  gli  eventi  contrarii ,  a  realizzare  il  si- 
stema dell'  armonie  prestabilite!);  la  sposa  refrattaria  dopo  una 
notte  mal  dormita  prende  a  fastidio  le  piume  indebitamente 
verginali  ,•  cerca  dello  sposo  ,  ed  intesane  la  vergognosa  fuga  , 
invece  di  lacerarsi  le  cliiome  ,  ne  paga  i  debiti  5  spia  il  luogo 
del  suo  ricovero;  e  frattanto  nella  sua  vedovanza  senza  corrotto, 
assediata  da  molti  proci  qual  più  qnal  meno  amabili  e  destri, 
fra' quali  (era  ben  giusto)  tiene  non  ultimo  luogo  un  cugino, 
armeggiando  scaltritamente  con  tutti,  dopo  molte  e  varie  bat- 
taglie, non  senza  riportarne  qualche  leggiera  ferita,  sgomina 
iiiiuhueute  e  mette  in  fuga  quella  falange  di  cicisbei.  Rappat- 
tumatasi con  Ernesto,  sul  punto  di  compiere  l'interrotto  sacri- 
fizio alle  deità  conjugali,  questi,  cui  la  manìa  del  romanzo 
fieramente  incalza  ,  quasiché  Apollo  cacciatoglisi  in  corpo  , 
come  già  in  quelli  delle  grinze  sibille ,  lo  rendesse  astemio  d'o- 
gni prosaica  voluttà,  fugge  alla  sua  volta  la  sposa,  e  frappone 
per  motivi  sublimi  una  nuova  dilazione  all'  adempimento  de' 
suoi  volgari  doveri.  E  quando  egli  stende  finalmente  a  Clara 
le  braccia  desiose,  la  prigione  (qui  si  muta  registro,  e  la  nar- 
razione con  grata  sorpresa  del  lettore  assume  il  tuono  patetico) 
la  prigione  da  lei  duramente  lo  scevra.  Uscito    del    carcere,    e 

Pei-  varios  casus  ,  per  tot  discrimina  rerum 

divenuto  marito  effettivo,  dopo  le  prime  caldezze,  il  romanzo, 
quasi  spetro  di  un'amorosa  più  anziana  venuto  dall'altro  mondo 
a  far  valere  sul  fedifrago  amante  i  suoi  diritti  ipotecarii  ,  il 
romanzo  si  pianta  terribile  fra  Clara  ed  Ernesto,  e  portandosi 
quest'  ultimo  con  sé  nell'eteree  regioni  dell'ideale,  lascia  la  po- 
vera moglie  novellamente  digiuna  della  sospirata  realtà.  Ter- 
minato il  malaugurato  romanzo ,  e  sottoposto  al  giudizio  di 
Clara  ,  con  che  cuore  avrebbe  questa  tessuto  1'  elogio  del  suo 
abbonito  rivale?  A  quel  figlio  spirituale  d'Ernesto  fece  la  de- 
relilta  quel  viso  ,  che  qualunque  delle    mogli    nostrali    farebbe 


85 

ad  un  figlio  che  fosse  prole  del  solo  manto.  Il  biasimare  che 
fa  la  moglie  d'  uno  scrittore  le  opere  del  chiarissimo  sposo  , 
dovrebbe  (dico  io  scrittore)  dovrebbe  essere  fragl' impedimenti 
dirimenti  del  matrimonio.  Ma  se  non  fu  questa  bastante  cagione 
al  divorzio  di  vincolo  ,  fu  più  che  bastante  al  divorzio  di 
cuore.  Cercò  Ernesto  fra  non  domestiche  pareti  la  lode,  e  tro- 
volla  presso  una  vecchia  dama  mecenatessa  dei  letterati  di 
primo  pelo ,  che  invitatolo  a  leggerle  il  suo  romanzo ,  del  quale 
o  bello  o  brutto,  già  molto  si  bucinava  per  la  città,  con  mi- 
rabil  arte  ignota  al  protettore  d'  Orazio,  cangiogli  in  un  banco 
di  Faraone  1'  appena  cominciata  lettura. 

Così  il  povero  letterato  novizio,  là  dove  si  lusingava  di  co- 
gliere allori ,  e  ricever  applausi  ,  trovossi  invece  espilato  fin 
dell'ultimo  soldo,  'e  gluocando  infine  sulla  parola,  più  che 
mai  stato  fosse  oberato.  Quest'  ultimo  smacco,  simile  a  un  ta- 
glio maestrevolmente  fatto  da  mano  cerusica  ad  una  viziosa 
enfiagione,  guarisce  radicalmente  Ejrnesto  della  sua  vanità  let- 
teraria. Clara,  cui  la  manificentissima  fantasia  dell'  autore  diede 
un  fondo  inesauribile  di  ricchezze,  salda  exahrupto  questi,  che 
saran  gli  ultimi  debiti  del  resipiscente  marito:  ed  Ernesto, 
come  un  debitore  romano  rimasto  in  virtù  delle  dodici  tavole 
schiavo  della  sua  bella  creditrice,  tenterà  di  soddisfarle  alla 
meglio  con  affetto  costante,  con  giudaica  usura  di  maritali  ca- 
rezze ,  e  coir  aeternum  vale  al  romanzo. 

Ecco  in  Iscorcio  l'orditura  della  novella ,  nel  compendiare  la 
quale  se  per  avventura  fui  inesatto,  sappiasi  che  questo  è  pri- 
vilegio di  noi  giornalisti.  Dopo  aver  dato  una  prima  e  rapida 
scorsa  al  libro,  nella  mia  immatura  saviezza  io  sentenziava. così: 
pecca,  e  non  venialmente,  questo  componimento  in  due  cose: 
i.a  11  tuono  quasi  costantemente  satirico,  o  sermonatorio,  e  il 
silenzio  totale  di  forti  passioni  in  un  tempo ,  in  cui  piacciono 
(ripeto  le  parole  d'  un  bello  spirito)  i  romanzi  all'  acqua  forte; 
in  un  tempo,  in  cui  la  sensitività  dei  lettori  da  tante  scritture 
concitatrici  e  patrie  e  straniere  logorata,  ha  fatto  tal  callo,  che 
ad  eccitarla  altro  ci  si  vuole  che  un  leggero  solletico  :  grallìa- 
ture  ed  uncinature  fan  d'  uopo.  2. a  La  poca  importanza  de' per- 
sonaggi messi  in  azione.  Ernesto,   Don  Chisciotte  del  moderno 


S6 

bon  ton,  mezzo  fra '1  sentimentale  e '1  melenso,  non  mai   abba- 
stanza risibile  né  miserando,  sembra  uno  di  que' tanti    attori, 
i  quali ,  sia  ebe  abbian  in  volto  la  mascbera  comica  ,  sia  cbe 
abbian  la   tragica,    appajon    sempre    mediocri.    E    il  complesso 
de'  personaggi  e  delle  cose  descritte  parmi  un  accordo  di  mezze 
tinte  scelte  a  bella  posta  per  imitar  il  colore  dell'  alta  conver- 
sazione ,    dove    la   convenzionale   eleganza ,    e  il  contegno    sono 
sussidi!  della   mediocrità.    Clara    fra    civetta    ed   austera    si  fa- 
rebbe sovente  compiangere ,  se  non  si  facesse  talvolta  compatire. 
Ippolito  ,  r  amante  ed  amabil  cugino,  è   mosso   da   affetti    così 
temperanti,  clie    11  lettore    né  pel   suo  rischio   si   affanna,   né 
per  la   sua  vittoria    Y  ammira.    E  cbi   vorrà  palpitar   per    esso 
quand'  egli  acqueta  così  agevolmente   i   suoi   palpili  ?  Pirro  fi- 
nalmente, il  seduttore  per  eccellenza,  vero  diplomatico  del  mal 
costume,  siccome  agisce    dietro   freddi  calcoli,  né   mai  si  vede 
dà  calde  passioni  agitato,  così  nessuna  può  ispirarne  al  lettore. 
Ma  a  chiunque  dopo  una  prima  lettura  volesse  imitarmi    in 
questo  giudizio  prepostero ,    io    coli'  orgoglio   di    chi    ha    fatto 
qualcosa  di  più  eh'  altri  non  fece,  e  da  fedel  giornalista  seduto 
a    magistrale    scranna ,   vorrei  a  quel   cotale   inappellabilmente 
risponder  così  :  o  pigro  esaminatore  e  corrivo  giudice ,  rileggi , 
come  fec'  lo  le  ducento  sessanta   pagine   della    novella   in  que- 
stione ,    e  se  non  sei   più    cattivo    conoscltor    di   novelle ,  che 
Ernesto    fosse  del  suo    romanzo,    dovrai   confessar   meco,   che 
quanto  già   parveti   un    ammasso  di  cose   leggieri  e    frivole,  è 
una  fedele  imagine  del  bel  mondo  presente  j  sicché  fedele  non 
sarebbe  1'  imagine  ,   se  men  frivola   fosse    dell'  originale.   Molti 
particolari,  dei  quali  prima  non  ti  rendesti  conto,  or  più  non 
ti  passeranno  davanti  inosservati ,  e  svelerannotl  il  molto  acume 
d'ingegno,  il  buon  criterio,   lo  spirito  penetrante,   e   l'espe- 
rienza dello  scrittore.  Quel  sentenziare  che  prima  ti  spiacque, 
e  giudicasti  che ,  proprio  del  sermone  e  della  satira ,  nella  no- 
vella stesse   a  disagio,    ora  in  grazia  della  nobiltà  e    verità  dì 
molte    sentenze   (e  parecchie  ve    n'  ha   a   meraviglia   argute    e 
calzanti),  non  contento  di  perdonarglielo  nel  dovrai  anzi,  ove 
giusto  esser  voglia,  commendare.  In  una  folla  di  coserelle  alle 
quali  applicasti  il  generico  ngxne  di  nonnulla,  o  chicchi  bichiac- 


87 

chi,  come  «lice  la  Crusca  ,  vedrai  colta  la  natura  sul  fatto  : 
quei  tanti  pensieri  che  grillano  nella  testa  vuota  d'  Ernesto , 
non  più  stravaganti ,  od  insulsi ,  ma  li  dirai  naturali  ;  riderai 
meco  delle  balordaggini  di  Cosimo  5  e  il  cupo  e  tenebroso  ca- 
rattere di  Pirro  desterà  in  te  quell'  ammirazione ,  con  cui  si 
ammirano  i  birbanti  sublimi.  Quindi  renderai  grazie  all'autore, 
che  svelando  le  più  tenui  ed  intricate  fila  della  diabolica  trama  , 
colla  quale  gli  uomini  tendono  insidie  alla  donnesca  virtù,  in- 
segna alle  donne  come  schermirsi  e  non  cader  nella  ragna. 
Pagandogli  adunque  non  iscarso  tributo  di  lodi  pel  molto  bello 
che  scopristi  nel  suo  lavoro,  gli  dirai  meco:  signor  anonimo! 
Il  patetico  episodio  della  prigione,  e  la  miseranda  catastrofe 
di  Olderico  e  Matilde  (novella  nella  novella),  che  escono  dai 
termini  delP  ironia  ,  e  sembrano  staccati  da  componimenti  di 
un  altro  genere ,  svelando  in  voi  la  facoltà  di  dipingere  con 
proprii  colori  i  lagrimevoli  casi ,  e  di  muovere  dolcemente  gli 
affetti,  a  questo  genere  d'  or  in  avanti  vogliate  appigliarvi ,  e 
mirare  a  spremer  dagli  occhi  de'  lettori  e  delle  leggitrici  le 
lagrime ,  piuttosto  che  atteggiarne  le  labbra  ad  un  beffardo 
sorriso.  Infatto  di  stile  la  lode  di  stringato  e  sugoso,  che  me- 
ritamente affezionate  ,  ceda  pur  talvolta  il  luogo  a  quella  di 
facile  e  chiaro  :  né  vi  basti  d'  aver  quasi  in  nube  accennato  , 
ma  studiatevi  di  tutto  esprimere  ,  e  stampar  nelle  altrui  meuti 
il  vostro  pensiero.  Moderate  il  vezzo  degli  epiteti  antonomastici 
(se  sbaglio  nell'  appellazione  un  qualche  pedante  m'usi  la  ca- 
rità di  correggermi),  come  la  trafuggitrice ^  V insonne^  V adorata 
ecc.  5  e  non  contento  perultimo  di  fiorire  di  bellezze  recondite 
gli  scritti  vostri,  da  quelle  più  appariscenti  e  scolpite  sperate 
il  pronto  assenso  dei  lettori ,  e  la  cara  ai  novellieri  popolarità. 
Le  opere  vostre  (e  noi  ne  conosciamo  dell'  altre)  simili  a  certi 
burberi  di  egregio  cuore ,  di  severe  e  poco  allettatrici  apparenze 
vestono  cose  sostanzievolmente  buone  e  pregevoli.  E  invero 
che  delle  due  è  assai  miglior  cosa  l'imitare  nell'opere  dell'in- 
gegno quel  baculo,  che  un  fiero  Romano  recò  in  dono  al  tem- 
pio di  Delfo  ,  oro  al  didentro  ,  e  rozzo  legno  al  di  fuori,  che 
non  certa  specie  di  vasellame  di  vii  metallo,  coperto  di  una  sottilis- 
sima lamina  d'argento,  la  quale  logorata    dall'uso   svela    l' im- 


88 

potente  vanità  del  padrone.  Ma  il  mistico  bastone,  simbolo 
d'una  ignota  virtù,  ove  il  fiero  Romano  non  l' avesse  altrimenti 
fatta  conoscere,  sarebbesl  per  sempre  rimasto  appeso,  negletto 
dono,  alle  deltlclie  pareti.  Così  se  un  libro  vuoto  di  pensieri , 
e  sol  bello  di  forme  ^  condannato  a  non  esser  letto  eh©  una 
sol  volta,  un  libro  d'inamabili  forme,  per  quanto  di  pensieri 
sia  ricco ,  corre  un  riscbio  peggiore  :  quello  di  rimanere  im- 
nieritamenle  sconosciuto, 

Carlo  Marenco. 


Considerazione  sulle  terre  incolte  del  Piemonte  ecc. 
dei  signor    Conte    A.    Piola. 


(  Torino  ,  un  voi.  in -8  ). 


Il  signor  Conte  A.  Piola  ,  già   noto    nella    repubblica    lette- 
raria per  altri  pregievoli  lavori,  fece  testé  di  pubblica  ragione 
una  sua  opera    intitolata  =  Considerazione    sulle    terre    incolte 
del  Piemonte  j  con  indicazione   de^  mezzi  j    e  de^  melodi   di  dis- 
sodamento applicabili  anche    alle  altre    terre    incoke    d"  Italia 
neliinteresse  del   pauperismo,  nr  Basta   questo    titolo    a     dimo- 
strare r  importanza  dello  scritto  ,  e  ad  encomiare  V  umanità  e 
iìlantropia    dell'autore,  il  profondo  suo    sentire,    la    giudiziosa 
scelta  d'nn  mezzo  per  ottenere  un  fine.  Per  me  confesso  inge- 
nuamente ,  che  sendomi  per  caso  capitato  tra  le  mani ,    restai 
rapito  dal  più  soave  piacere  nella  lettura  d'  un  libro  ,    in    cui 
s'  ammira  soprattutto  uno  stile  piano,  conciso,  e   bastantemente 
purgato ,  una  conveniente    sobrietà    de'  principj    della    politica 
economia  ,    ed  una  ben  giusta  loro    applicazione    al    propostosi 
scopo  ,    che  se  largheggiò  alquanto  in  erudizione  sì  patria  ,  che 
straniera  ,  ascriver  devesi  all'indole  della  materia  trattala ,  che 
imperiosamente    esigeva   d'  essere  ad  ogni  modo     lumeggiata    e 
sorretta  da  non  poche  verità  così  di  fatto  ,  come  di  raziocinio. 
Voi  dunque  incontrate   in  un  volume  in  8.'  dì  pag.  288   tante 


89 

cose,  tante  idee,  tanti  riflessi  in  si  perfetta  armonia  ,  clie  uno 
scrittore  meno  abile  ,  o  meno  esercitato  vi  avrebbe  almanco 
nel  leggerli  condannato  ad  un  doppio  tempo  ,  e  ben  sta  qui  il 
detto  ,  che  a  pochi  è  comune  il  privilegio  di  poter  tutto  es- 
porre iu  sì  ristretti  confini. 

L' A.  considerò  da  un  lato  ,  che  grande  è  la  turba  de' men- 
dicanti, e  d'  altri  miseri  in  Piemonte,  dall'  altro  che  non  meno 
sperticata  è  la  quantità  de'  sodi ,  e  tosto  gli  cadde  in  pensiero  di 
maturare  1'  idea  di  farvi  scomparire  i  primi  col  dissodamento 
de'  secondi.  Esso  non  si  contentò  di  fantasticare  in  proposito, 
come  avviene  talvolta  anche  tra  uomini  dottissimi  ,  ma  volle 
ocularmente  visitare  una  gran  parte  di  tali  Lande,  analizzarne  le 
sostanze ,  e  le  forze  applicate  della  natura  ,  confrontarle  coi 
terreni  attigui  ,  qui  verdeggianti  di  liete  erbe,  là  biondeggianti 
di  spiche  ,  altrove  popolati  di  vegeti  e  robuste  piante  ,  e  farne 
infino  agricoli  esperimenti.  Venne  quindi  proponendo  al  R. 
Governo ,  già  da  lunga  pezza  disposto  a  benignamente  acco- 
gliere utili  ed  orrevoli  innovazioni  ,  il  dissodamento  di  tante 
superficie  da  secoli  incolte,  la  formazione  d'una  società  d'azio- 
nisti per  agevolarne  1'  eseguimento  ,  la  fondazione  di  stabili- 
menti agricoli  sulle  più  estese  brughiere ,  beraggie  ,  o  f^aude 
per  ricoverarvi  la  poveraglia  valida  sotto,  ben  intesa  ammini- 
strazione ,  e  sotto  la  vigilanza  della  benemerita  classe  de'  sol- 
dati veterani ,  cui  nel  modo  stesso  ,  e  negli  stessi  stabilimenti 
vuole  ,  che  lor  si  provveda.  Dimostrò  maestrevolmente  quanto 
il  suo  progetto  sarebbe  per  fruttare  all'  agricoltura ,  al  perfe- 
zionamento de'  relativi  metodi  ,  alle  arti  ,  al  commercio  ,  alla 
morale  civile  e  religiosa  ,  alla  pubblica  salute  ,  ed  in  ispeciale 
guisa  alle  Regie  Finanze  ;  quanto  opportuno  altresì  ,  onde  lo 
stato  nostro  non  resti  addietro  nel  progressivo  andamento  ris- 
petto alla  popolazione,  ed  alla  ricchezza,  vale  a  dire  alla  potenza 
ed  alla  prosperità.  E  se  finquì  fu  mai  sempre  uu  puro  desiderio 
de'  filantropi  ,  una  bella  utopia,  e  nulla  più  1'  idea  d'estirpare 
la  mendicità  ,  non  è  cosi  del  pensiero  del  Conte  Piola.  I  mezzi 
da  lui  proposti  sono  d'  esito  sicuro  ,  né  molto  difficili  5  im- 
mancabile è  pure  il  bando  de' poverelli  attuali,  non  che  de' 
nascenti  per  cent'  anni  e  cento.  Risalendo  egli  alle  cagioni  della 


90 

antica  sterilità  di  tante  terre  incolte,  viene  con  giudiziosi  ri- 
flessi accennando  la  mancanza  un  tempo  sì  di  braccia  suffi- 
cienti,  che  di  mezzi  di  coltivare,  quindi  l'abitudine  di  vederle 
deserte  ,  la  supposta  incapacità  di  produrre ,  la  loro  comunanza, 
la  facoltà  di  libero  pascolo  ,  il  morso  infine  troppo  frequente , 
e  fatale  del  bestiame  pascolante.  Dimostra  inoltre  sia  con  buon 
corrèdo  di  ragioni,  che  quelle  superficie  sono  suscettive  della 
coltivazione  de'  cereali ,  della  vite,  o  di  altre  utili  piante  in- 
digene ,  od  esotiche  ,  sia ,  e  molto  più  qui  per  confessione  delle 
stesse  comunità  ,  là  coli'  esame  de'  vegetali  spontanei  popolanti 
tali  sodi,  altrove  dalle  piante  amanti  ubertoso  terreno,  come 
il  pioppo  e  la  quercia,  dappertutto  col  già  praticato  dissoda- 
mento de'  simili  terreni  di  privata  spettanza.  Lo  statista  poi 
fra  le  varie  preziose  notizie  ricava,  che  la  superficie  dello  stato 
di  terra  ferma  rileva  in  totale  a  giornate   .     .     .      18,129,891 

cioè  montuosa  a  giornate 10,907,114 

Piana  giornate 2,222,777 

da  cui  deducendosi  quelle    dell'acqua,  delle  città 
e  de' borghi ,  e  delle  strade,    di  giornate    .     .     .  5 1,6 12 

rimane  la  piana  coltivabile  di  giornate  .  .  .  .  2,171,165 
Che  nelle  sole  sette  provincie ,  Torinese,  Vercellese,  del 
Mondovl ,  Saluzzese,  Novarese,  Biellese  e  di  Pinerolo  le  terre 
incolte  rilevano  all'ignota  somma  di  giornate  128,600,  popo- 
late da  679,609  abitanti  ,  cosi  che  tale  superficie  sta  al  num. 
di  questi  come  i  a  4  60971000  ,  ed  il  num.  de'  comuni  sta 
a  quella  come   i  a  4^'   giornate. 

Che  lo  stato  attuale  di  sì  fatti  sodi  priva  la  nazione  d'  una 
egregia  somma  di  sussistenze  bastevoli  al  vitto  di  circa  un 
milione  d'  uomini. 

Che  la  sola  importazione  del  fromento  estero  eccede  ogni 
anno  quintali  681,691  ,  che  produrrebbero  giornate  60,000  di 
terra  ben  coltivata. 

Che  stazionaria  è  l'agricoltura  in  Piemonte  perchè  perseve- 
rante negli  antichi  metodi ,  quandoché  governata  con  altri  più 
pregievoli  ci  offre  in  Inghilterra  un  prodotto  come  9,  in  Francia 
come  6,  ed  in  Italia  come  4  soltanto. 


91 

Che  sebbene  il  Piemonte  non  sia  ricco  a  fronte  de'  vicini, 
e  rispetto  a  quanto  potrebbe  esserlo  ,  onde  la  necessità  d'  ac- 
crescere fra  noi  la  massa  delle  sussistenze  si  fa  specialmente 
sentire  dopo  la  riunione  del  Ducato  di  Genova ,  non  è  tutta- 
via men  vero  ,  che  la  prontezza  de'  sudditi  a  chiudere  in  po- 
chi mesi  quasi  per  intiero  col  proprio  numerario  1'  uno  ,  e 
l'altro  prestito  del  i83i  e  i834,  l'esame  delle  esportazioni, 
ed  importazioni  delle  varie  merci,  1'  altezza  del  valore  delle 
terre  ,  e  delle  carte  del  debito  pubblico  provano  palpabilmente 
che  questa  vostra  bella  contrada  non  scarseggia  punto  di  capi- 
tali necessarj  ad  attivare  il  suo  progetto  ,  ed  altri  molti  dì 
eguale  pubblico  interesse. 

Che  i  territori  »  *"  quali  vi  sono  que'  sodi ,  non  provvedendo 
lavoro  a  tutti  gli  abitanti  ,  sono  questi  in  generale  dalla  fame 
costretti  a  vagare  in  terra  straniera  ,  non  senza  incalcolabile 
pregiudìzio  della  comune  patria  ,  tutto  che  essi  non  come  oziosi y 
dice  11  celebre  Beccaria  ,  ma  con  mirabile ,  o  quasi  unica  in- 
dustria corrano  ad  esercitare  V  attività  del  loro  ingegno  e  del 
loro  commercio  nel  restante  dell  Europa. 

Che  infine  dall'  esposta  operosa  agricoltura  degli  stati  circo- 
stanti ,  e  dalla  conseguente  massa  delle  produzioni  ,  bello  è  il 
conchiudere  ,  che  non  seguendone  il  nostro  1'  esempio  ,  ver- 
ranno esse  ad  inondare  i  nostri  mercati  ,  e  ad  impoverire  i 
proprietarj  per  lo  scemamento  del  prezzo  delle  indigene  pro- 
duzioni. Ducimi ,  che  la  brevità  d'  un  articolo  non  consentaneo 
ad  una  più  estesa  analisi  di  questa  preziosa  opera,  la  quale 
sebbene  né  nuova  nelle  sue  viste ,  né  in  altri  regni  trasandata 
in  pratica,  si  presenta  tuttavia  vestita  di  sì  fatta  originalità 
nel  suo  complesso  da  avvanzare,  se  mal  non  m' appongo ,  ogni 
altra  del  suo  genere  ,  da  far  sommo  onore  a  chi  la  dettò  ,  né 
poter  a  meno  di  essere  coronata  di  felice  successo  5  che  se  ta- 
luno vi  trovasse  per  avventura  da  tale ,  o  tal  verso  alcun  che 
da  ribadire  ,  sarebbe  questo  in  fede  mia  una  di  quelle  pecche 
simili  alle  macchie 

Del  bel  Pianeta  ,   che   distingue  1'  ore , 
le    quali    nulla    scemano  punto  al  suo  massimo  splendore. 

Aw.  Teresio  Plebano. 


92 

r    ■-,},,  Piccola  Biografia  di  donne  illustri  Alessandrine. 

(Alessandria  i837,  presso  L.  Guidetti  t  voi.  in  12.) 


Evidente  prova  d'un  continuo  progredire  nella  civiltà  sono, 
fra  molte  altre  ,  le  opere  consecrate  a  rammentare  le  gesta  di 
quelle  illustri  donne,  che  malgrado  gli  intoppi  fi-apposti  dai 
pregiudizii  edai  tempi,  lasciarono  onorevole  fama  di  sé,  e  tanto 
più  benemerita  impresa  ell'è  cotesta  ,  che  pur  di  molte  che 
eminente  virtù  reseco  chiare  ne  andò  smarrito  persino  il  nome  ; 
biasimevole  trascuranza  ,  per  non  dir  peggio,  di  cui  verremo, 
ed  a  ragione  accagionati  dai  posteri.  Molti  secoli  scorsero  prima 
che  le  donne  potessero  occupare  nella  civile  società  quel  grado 
cui  le  chiamava  natura  ,  e  che  loro  aveano  assegnato  le  divine 
insti tuzioui  del  cristianesimo. 

Le  costumanze  de'popoli  settentrionali,  usi  alle  cose  guerresche 
e  sprezzatori  o  tiranni  di  quanti  non  li  pareggiavano  per  fisica 
forza,  restarono  per  ben  molti  secoli  impresse  nell'animo  dei 
loro  discendenti  ,  e  la  condizion  delle  donne  nel  medio  evo  e 
ne'  tempi  posteriori  ,  la  barbarie  delle  molte  leggi  promulgate 
a  loro  riguardo  ne  sono  prova  manifesta.  E  tanto  profonda 
radice  nell'  universale  misero  queste  idee  ,  che  allorquando  a 
più  miti  costumi  ci  menavano  gli  studi  e  la  filosofia  ,  cessò 
l'oppressione,  ma  non  si  pensò  a  farle  degne  del  novello  stato 
cui  erano  chiamate  coU'educazione  civile  e  morale. 

Questa  difficile  e  gloriosa  impresa  fu  riserbata  al  nostro  secolo, 
e  bello  è  il  vedere  come  e  letterati  e  filosofi  tendano  coi  loro 
scritti  a  compierla.  Né  ultimi  sono  coloro  i  quali  tentano 
infiammare  que'  fervidi  cuori  coli'  esposizione  delle  virtù  dì 
quelle  donne  che  seppero  rompere  il  denso  velo  che  circondava 
in  tempi  più  tristi  la  loro  esistenza. 

Lode  perciò  allo  scopo  che  prefiggeasi  il  leggiadro  scrittore 
dell'opuscoletto  da  noi  annunziato.  Ma  questo  libro  otterrà  egli 
il  propostosi  scopo  ?  Ecco  di  che  cosa  noi  dubitiamo. 


i 


95 

L'amore  del  municipio  che  ci  vide  bambini  troppo  spesso 
fa  gabbo  al  nostro  giudizio  ,  e  ciò  che  per  troppa  frivolità  nói 
terremo  indegno  della  pubblica  luce  ne'  confinanti  paesi  ci  alletta 
e  muove  il  nòstro  amor  proprio,  se  avvenuto  in  quelle  muriì 
ove  respirammo  le  prime  aure  vitali.  '  ' ' 

Quindi  queir  inutile  farragine  di  libri  che  ingombrano  le 
biblioteche  ,  e  che  spesso  fecero  sprecare  Un  tempo  prezioso 
ai  loro  autori  con  danno  delle  buone  lettere  e  delle  scienze." 

Non  è  già  che  fra  questi  si  voglia  annoverare  la  piccola  biografia 
delle  illustri  Alessandrine  5  ma  pure  hanno  essi  i  nomi  in  questa 
rammentati  tutti  un  diritto  alla  riconoscenza  de' posteri? 

Noi  ne  dubitiamo  altamente.  Sia  lode  alla  castità  di  quelle 
vergini,  al  buon  uso  fatto  delle  loro  ricchezze  da  quelle  matrone, 
sia  lode  all'ingegno  di  quelle  donzelle  che  trovarono  in  celebrati 
uomini  ammiratori  alle  loro  virtù,  ma  ove  un  nome  che  rifulga 
di  quella  pura  e  splendente  gloria  che  cinge  le  tempia  di  tante 
e  tante  illustri  italiane? 

L'esagerazione  nelle  cose  utili  e  buone  è  peccato  degno  di 
scusa  ,  ma  è  sempre  peccato  il  menar  vanto  della  più  piccola 
cosa,  è  il  più  delle  volte  indizio  di  povertà  che  non  di  ricchezza , 
e  l'ostentare  ricchezza  quando  non  è  realmente  è  inutile  per 
non  dire  biasimevole  cosa. 

Queste  osservazioni  sembreranno  forse  acerbe  allo  scrittore 
di  quest'operetta  ,  al  quale  tributiamo  i  più  sinceri  encomii 
pel  purgato  e  facile  suo  stile,  ma  s'egli,  spogliato  il  patrio  affetto, 
vorrà  fare  un  solo  confronto  ,  non  gli  sarà  forse  disagevole  il 
convincersi  della  verità  de'  nostri  pensieri.  P. 


L    IRIDE 


Giornale  di  Letteratura,  Belle  Arti,  Scienze ,  Agricoltura.^ 
Commercio  e  di  utili  cognizioni.   Novara,   iSSj. 


Udiste  voi  mai,  o  lettori  umanissimi,  sulle  labbra  degli  eterni 
lodatori  de'  tempi  andati  suonar  quell'  antica  e  patetica  querela 


94 

per  cui  lamentando  la  miseria  e  dappoccaggine  degli  ingegni 
presenti  esaltano  i  di  che  furono  e  rimpiangono  svaniti  con 
essi  la  vigorìa  delle  menti,  il  calore  delle  anime,  l'amore  al 
buono  ,  al  bello,  al  grande  ?  Per  me,  io  credo,  che  la  miglior 
risposta  allo  stucchevole  piato  sia  1'  invitarli  ad  un  severo  raf- 
frontamento  dell'epoca  presente  co' tempi  da  loro  magnificati, 
e  se  quindi  non  cessano  dall'  importuno  guaio.,  potremo  scla- 
mare con  Marziale  : 

Tantum  cura  polest  et  ars  doloris  *i  ! 

E  poiché  a  proposito  di  un  nuovo  giornale  queste  idee  mi 
si  affacciavano  alla  mente ,  mi  sia  lecito  il  chiedere  se  quel 
bisogno  di  accomunare  il  pensiero,  di  effondere  le  proprie  idee, 
di  conoscere,  e  meditare  le  altrui,  se  quel  bisogno,  dico,  che  dà 
vita  e  favore  alla  letteratura  periodica  non  rivela  negli  animi 
un  forte  amore  al  sapere,  nelle  menti  una  operosità,  una  so- 
lerzia ,  che  sono  certo  pegno  di  futuri  progressi  alle  scienze , 
alle  lettere  ,  alla  civiltà  ? 

In  Piemonte  non  sono  molti  anni  desideravasi  in  vano  un 
giornale  ,  che  per  speciale  istituto  rendesse  conto  delle  opere 
dell'  ingegno ,  ed  esponendo  le  altrui  meditazioni ,  agitando  le 
questioni  del  giorno  si  facesse  specchio  delle  correnti  condi- 
zioni delle  scienze  e  delle  lettere.  Ora  entrate  in  un  gabinetto 
letterario ,  squadernate  i  fogli  che  ingombrano  le  tavole  dei 
Caffè  y  e  non  che  accusare  quella  mancanza,  ammirerete  co- 
me non  solo  l'universa  letteratura,  ma  le  singole  discipline 
abbiano  in  qualche  opera  periodica  un  veicolo  che  diffonde 
nel  popolo  gli  oracoli  della  dottrina  ,  e  come  il  giornalismo 
COSI  giovane  ancora  si  sforzi  di  ritrarre  in  quadro  fedele  il 
presente  stato  delle  cognizioni  ,  ora  notando  quanto  viene 
intrapreso  e  compiuto  dai  cultori  delle  scienze  ,  ora  segnando 
quanto  rimane  ad  intraprendere  e  a  farsi.  E  sì  che  d'  aurei 
fasti  non  è  tutta  tessuta  la  storia  dei  giornali,  e  che  talora  la 
repubblica  letteraria  ebbe  per  cagion  loro  a  lamentare  lo  scan- 
dalo ed  il  subbuglio  ;   ma    se  vogliasi   avvertire  alla  situazione 

*i  VII,  39,  8. 


95 

in  che  era  questa  caduta  prima  che  si  schiudesse  1'  arena  gior- 
nalistica ,  non  parrà  strano  che  in  sulle  prime  fra  il  conten- 
dere di  tante  private  ambizioncelle  che  alla  scranna  dittato- 
riale o  al  principato  aspiravano ,  venissero  talvolta  gli  scrittori 
periodici  tratti  al  parteggiare ,  ed  a  combattere  fra  loro  ;  come 
non  fa  meraviglia  e  non  fu  sventura ,  che  a  raddensare  quindi 
la  passeggiera  tempesta  un  giornale,  a  sé  vendicando  1'  ufficio 
di  tribuno  ,  spingesse  contro  le  ambite  usurpazioni  una  voce 
franca  ed  audace,  e  che  pensando  con  Cicerone,  che  obest  ple- 
rumque  iis  j  qui  discere  vohint  auctoritas  eorum  qui  docent  *i, 
rammentasse,  che  non  in  vano  1'  antica  sapienza  costituì  a  re- 
pubblica coloro  che  intendono  allo  studio  delle  lettere,  e  gri- 
dasse con  Seneca  :  Non  sumus  sub  regc  ;  se  sibi  quisque  vindi- 
cet  *2. 

Ora  finalmente  quei  tempi  procellosi  dileguarono  ,  e  giova 
sperare  che  alle  patite  discordie  succederà  solo  una  laudevol 
gara  fraterna  per  cui  ciascuno  si  studierà  di  meglio  giovare  al 
progresso  dei  lumi  e  della  civiltà.  Perciò  noi  salutiamo  con 
lieti  augurii  1'  apparizione  di  un  nuovo  giornale  ,  che  dal  suo 
titolo  si  annunzia  messaggiero  di  pace  ;  e  nel  veder  fra  coloro 
che  vi  danno  opera  taluno  che  mostravasi  nei  passati  conflitti 
sì  fiero  ed  animoso  lottatore  s'  accresce  la  nostra  speranza  che 
sia  omai  discesa  nelP  anima  di  tutti  la  persuasione  ,  che  ad 
attingere  per  mezzo  delle  lettere  un  nobile  e  giovevole  scopo 
è  più  che  tutto  necessario  fra  quanti  vi  consacrano  1'  ingegno 
un  vincolo  ed  un  patto  di  concordia  e  d'  amore.  Ned  altrimenti 
possiamo  augurare  di  un  foglio  al  quale  promette  alcuni  de' 
suoi  pensieri  un  Cesare  Cantù,  a  tutti  caro  ed  ammirato  quanto 
per  la  prestanza  dell'  ingegno,  tanto  per  la  dolcezza  e  nobiltà 
del  core.  In  questi  voti  ed  in  questa  fiducia  noi  pertanto  pre- 
ghiamo all'Iride  festivo  accoglimento  e  lungo  splendore.  Spetta 
al  pubblico  a  coronare  la  nostra  preghiera  con  un  efficace  — 
Così  sìa. 


*i  De  nat.  Dcor.  i.  5. 
*2  Epist.  33. 

I  .MOKTBi!EMOI.O. 


96 
MJÈCROLOOIA 

a 

-Uj/«J.'.'  1-1     ■  '.  ;     •:     .        ..■■■'il-  ^;_,{j 

ili  il  a*4y  ,  jB7i  tiOii  a  iti  .ja 

•IO.)    vi-J,;';^,!'.  •'; 


Tutti  i  giornali  di  Milano ,  di  Torino ,  ed  altri  d' Italia  hanno 
annunciata  e  pianta  l'amara  e  prematura  morte  di  Giovanni  Mi- 
gliara,  accompagnando  il  triste  annuncio  con  accurate  notizie  bio- 
grafiche. Poiché  sarebbe  inutile  il  ripeterle,  noi  non  diremo  dun- 
que in  qual  giorno  nascesse,  ed  in  quale  morisse  l'esimio  pittore, 
che  seguiva  nella  tomba  il  capo  della  scuola  medica  italiana 
r  illustre  Rasori,  ma  desiderosi  di  testimoniare  noi  pure  il  cor- 
doglio ,  che  ci  giunse  al  cuore  udendo  tronca  nell'  intiera  sua 
vigoria  quella  mente  robusta  e  creatrice,  ci  teniamo  per  for- 
tunati di  potere  stampare  nelle  pagine  del  Subalpino  le  inedite*! 
eloquenti  parole,  che  l'egregio  signor  Ignazio  Fumagalli,  facendo 
le  veci  di  segretario  della  accademia  di  belle  arti  di  Brera , 
pronunciava  sulla  recente  sua  tomba  nel  campo  santo  di  Milano 
il  dì  2  1  aprile  iSSy.  E  qui  ci  sia  permes'So  di  lamentare,  che 
non  sia  perancO  introdotta  presso  di  noi  l'usanza  di  accompa- 
gnare al  tùmulo,  e  di  dire  parole  di  dolore  e  di  pace  sulle  spo- 
glie delle  persone ,  che  ci  furono  care.  Questa  pia  costumanza 
è  oramai  generale  in  tutta  l'Italia,  e  presso  i  popoli  stranieri, 
e  quanto  affettuosa  sia  ed  eccitante  al  bene  non  v'ha  chi  noi 


*i  11  presente  articolo  era  già  consegnato  alle  stampe  quando  vedemmo  sulU 
Gazzetta  privilegiala  eli  Milano  riprodotta  qiusl'  orai^ionc  ,  clic  a  Boi  fu  man- 
dala inanoscvittu  da  uu  nostro  cor^ispoudcnlc. 


I 


97 

vegga.  Il  dolóic  allratclla  le  'perspne,  cli«  a  questo  pietoso  uf- 
ficio si  conducono  ,  e  chi  può  dire  quante  inimicizie  vi  ven- 
gono spente,  quante  discordie  attutate?  L'allievo  che  accom- 
pagna alla  tomba  il  suo  maestro  negli  onori  che  gli  vengono 
resi,  nel  dolore  che  cagiona  la  sua  morte,  non  trova  egli  forse 
un  possente  stimolo  a  battere  con  pie  fermo  e  coraggioso  lo 
stesso  onorevole  sentiero  *i  ? 

Non  è  ancor  passato  un  anno  dacché  1'  esimio  ai'tista  con 
quella  cortesia,  da  cui  veniva  accresciuto  pregio  alle  molte  sue 
virtù,  e'  introduceva  nei  tanti  santuari  delle  arti  belle,  che 
Milano  mostra  con  nobile  orgoglio  agli  stranieri,  come  per  se- 
gnare falsa  la  stolta  parola  venuta  d'  oltramonte,  essere  cioè  la 
pittura  e  la  scultura  morte  in  Italia;  e  noi  con  commozione  ci  ri- 
cordiamo con  quale  e  quanto  affetto  un  Hayez,  un  Molteni,  uu 
Massimo  d'Azeglio  accoglievano  Gio.  Migliara:  ma  chi  avesse  ve- 
duto con  quanta  riverenza  e  conlidente  amore  a  lui  sì  vol- 
gevano i  giovani  allievi  degli  artisti  sovra  nominati  avrebbe 
detto  certamente  e  con  ragione:  «ecco  l'uomo  che  sa  accop- 
piare la  grandezza  dell'  ingegno  colle  più  soavi  doti  del  cuore.  » 

Il  genio  pittorico  di  Migliara  era  eminentemente  popolare. 
Diffatti  quando  ignoto  ancora,  nato  da  poveri,  ma  onesti  arti- 
giani, povero  esso  pure  e  costretto  da  una  prepotente  malattia 
a  lasciare  la  pittura  teatrale,  da  cui  traeva  non  poco  guadagno, 
presentò  all'esposizione  di  Brera  alcune  sue  tavolette  *2:  queste 


*i  E  slata  aperta  in  Milano  ima  sottoscrizione  por  erìgergli  un  condegno  mo- 
numento ,  ed  il  8Ìg.  Capriolo  d'  Alessandria  produrrà  quanto  prima  con  i  suoi 
torchi  litografici  il  ritratto  di  lui ,  disegnato  da  un  dipinto  di  Francesco  Mcnsi 
concittadino  del  Migliara. 

*2  La  Biblioteca  Italiana  nel  suo  quaderno  di  gennaio  scorso  aflfci-ma  ,  che 
il  Migliara  si  rivolse  al  genere  che  coltivò  tanto  felicemente  ,  avendo  veduto 
i  dipinti  di  certo  Predelle  bravo  artista,  il  quale  dopo  avfre  dimorato  qualche 
tempo  in  Milano  passò  in  Inghilterra.  Tale  asserzione  non  priva  il  nostro  con- 
cittadino di  essere  fondatore  in  Italia  di  una  nuova  scuola,  ed  uà  attento  pa- 
ragone tra  i  dipinti  del  Freddie  e  del  Migliara  farà  di  leggieri  conoscere  ,  che 
senza  digradare  al  merito  del  primo,  è  forza  concedere  che  il  secondo  lo  ha 
Jasci.ito  di  molli  p.ts.si  indietro.  Altronde  il  Migliara  non  è  1*  unico  tsempio  di 
uu  pittore  che  abbia  variata  la  sua  maniera  couteuiplando  le  opere  di  altro  va- 
li ute  artefice. 


'« 


98 

sarebbero  forse  rimaste  nou  osservate,  se  la  folla  di  minuto 
popolo,  che  preso  da  quei  suoi  splendidi  effetti  di  luce  le  ac- 
cerchiava ,  non  avessevi  volta  1'  attenzione  dei  conoscitori ,  che 
ratificarono  quindi  ampiamente  quel  tacito  giudizio.  E  chi  vide 
più  tardi  le  esposizioni  di  Brera,  può  attestare  che  la  folla  non 
fu  mai  infedele  a  Migliara ,  presso  ai  lavori  del  quale  era  solita 
a  trattenersi  mostrando  cogli  atti,  colle  esclamazioni,  collo 
scambio  delle  parole  un'ammirazione  tanto  più  da  pregiarsi, 
quanto  più  spontanea.  Fece  perciò  a  parer  nostro  ottima  cosa 
Defendeute  Sacchi  dettando  italiana  l' iscrizione ,  che  fu  posta 
sulle  porte  della  chiesa  di  san  Babila ,  ove  ebbero  luogo  le 
esequie  di  Migliara  j  poiché  così  facendo  non  i  soli  dotti,  ma 
tutti  coloro  che  ammirarono  i  dipinti  dell'illustre  estinto,  po- 
terono mandare  un  compianto  alla  sua  memoria  *i. 

L'esempio  del  Migliara  è  forse  una  novella  prova  dell'  utile 
grandissimo ,  che  alle  belle  arti  deriva  dalle  pubbliche  esposi- 
zioni 5  poiché  chi  può  tener  fermo  che  Migliara  infermiccio , 
oscuro,  destituto  di  mezzi  dì  fortuna,  non  sarebbe  caduto  sotto 
il  peso  di  tante  calamità,  ove  le  esposizioni  di  Brera  non  aves- 
sero concesso  al  talento  modesto  e  tacitamente  attivo  di  far 
mostra  del  grande  suo  valore  ?  E  noi  facciamo  eco  ai  voti  di 
un  altro  giornale  piemontese  *2,  in  cui  leggonsi  spesso  sotto 
la  sigla  O  peregrine  notizie  artistiche,  affinchè  in  questa  pro- 
vincia italiana  ,  in  cui  in  pochi  anni  molto  venne  operato  in 
favore  delle  arti  belle,  questo  si  aggiunga  di  rendere  più  fre- 
quenti, anzi  annue  le  esposizioni  di  belle  arti,  per  cui  mezzo 
viene  nel  popolo  educalo  il  sentimento  del  bello,  e  torna  agli 
artisti  un  forte  incoraggiamento. 

Non  taceremo  eziandio  il  desiderio,  che  le  esposizioni  di  belle 
arti  sieno  separate  da  quelle  dell'industria  e  delle  manifatture, 
poiché  nulla,  o  quasi  nulla,  hanno  esse  di  comune,  e  quando 

"j  Altra  isciizione  italiana  ,  che  noi  con  quella  di  Defendente  Sacelli  fac- 
cìauiD  succedere  ali'  orazione  del  eh.  sig  Fumagalli  ,  fu  dettata  in  occasione 
che  il  sig.  Po!!)peo  Calvi,  uno  dei  più  distinti  allievi  del  Migliava,  fece  ce- 
lebrare a  proprie  spese  un  funerale  all'  egregio  maestro  nella  chicia  di  S,  Giu- 
seppe. 

"a  Vedi  i)  Mcssagt'crc  Torinese  n.   i5. 


99 

sono  riunite  non  fanno  altra  cosa  se  non  se  danneggiarsi  re- 
ciprocamente ;  né  impedisca  1'  adempimento  di  questi  desiderii 
il  timore,  che  manchino  gli  artisti  all'impresa:  poiché  nel  paese, 
in  cui  ha  posta  sua  stanza  un  Palagi,  in  cui  vivono  giovani 
artisti  come  Ajres  di  Savigliano ,  Biscara  ,  Francesco  Gonin , 
Pietro  Righini ,  Reviglìo ,  Bruneri ,  Bogliani ,  Lauro ,  Ferrari , 
Galeazzi ,  architetti  come  Bonsignore  ,  Mosca,  Melano ,  Anto- 
nelli,  e  dilettanti  di  pittura,  come  sono  Cesare  di  Benevello , 
Roberto  di  Azeglio,  in  un  paese,  che  ha  data  nascita  ai  viventi 
Massimo  di  Azeglio,  Storelli,  un  sospetto  simile  peccherebbe 
di  soverchia  e  biasimevole  peritanza. 

Y. 


ORAZIOJXC   DI    IGINAZIO   FUMAGALLI 


Amici,  colleghi,  estimatori  del  pittore  Giovanni  Migliara! 
Nel  consegnare  col  pianto  questa  inanimata  spoglia  alla  creta 
d'onde  fu  tratta,  abbiamo  sotto  gli  occhi  il  vivente  quadro 
della  nostra  caducità  ed  insieme  del  compenso  di  si  fatta  me- 
schina condizione ,  cui  può  l'uomo  aspirare  colle  proprie  azio- 
ni! Irreparabile  e  straniera  ai  nostri  mezzi  è  la  prima,  il  se- 
condo dipende  tutto  da  noi.  Questo  stesso  pietoso  officio  che 
or  per  noi  si  compie  ce  ne  addita  1'  origine  e  lo  scopo.  Due 
giorni  or  sono  chi  non  avrebbe  invidiata  1'  esistenza  del  Cav. 
Giovanni  Migliara?  £i  passeggiava  tra  noi,  segno  alla  stima  ed 
alla  ammirazione  generale  sìa  per  portenti  che  operar  soleva 
col  suo  pennello,  sì  per  esempio  di  condotta  ai  padri  di  fa- 
mìglia, ai  cittadini,  agi'  ingegni  distinti.  La  sua  modestia,  i 
suoi  modi  famigliari,  il  suo  cuore  lo  rendevano  caro  a  tutti 
quanti  la  sorte  avevano  di  avvicinarlo.  Varcati  da  poco  i  dieci 
lustri,  il    di  lui  aspetto   avrebbe  fatto  metter   pegno   a  chiuu- 


100 

que  per  una  beh  protratta  longevità.  Ma  oli  quanto  sono  in- 
certi i  nostri  giudicii!  All'apparire  di  vespero  del  giorno  die- 
ciotto- egli  non  era  più:  la  morte  con  un  colpo,  simile  a  fol- 
gore che  in  un  baleno  solca  il  midollo  di  annosa  quercia  e 
la  incenerisce^  acerbamente  il  tolse  alla  numerosa  di  lui  fa- 
miglia di  cui  era  l'idolo  ed  il  sostegno,  alle  arti  belle  di  cui 
era  l'onore,  agli  amici,  ai  congiunti,  agli  estimatori  di  cui 
formava  la  delizia.  Ah  sì  ...  .  troppo  presto,  o  spirito  gen- 
tile, che  ora  ti  riposi  in  quella  luce  tanto  da  te  vagheggiata 
e  sì  bene  ritratta ,  troppo  presto  1'  oggetto  divenisti  del  nostro 
cordoglio,  siccome  lo  eri  del  nostro  vanto  di  possederti  .... 
Se  il  pregar  pace  a  questo  tuo  frale  fosse  si  possente  di  far 
più  beato  e  splendido  1'  attuale  tuo  soggiorno,  ben  certo  tu 
saresti  di  ottenerlo  col  vale  che  or  diamo  a  queste  tue  ossa  !  . .  , . 
Ma  le  tue  virtù  ci  sono  mallevadrici  che  1'  hai   ben  donde. 

Non  a  caso  la  Suprema  Provvidenza  fa  mostra  quaggiù  di 
anime  privilegiate  e  gentili,  le  quali  attestano  il  beiiefico  suo 
patrocinio  della  razza  umana.  A  qualunque  ramo  di  studio  , 
d'industria  o  di  arte  volgono  questi  esseri  l'ingegno  e  l'opera, 
sembrano  spinti  da  un  celeste  impulso  e  destinati  a  riscuotere 
non  pure  il  plauso  in  terra,  ma  a  bearsi  poscia  nella  gran  luce 
del  Creatore.  Ciascuna  loro  produzione  porta  lo  stigma  di 
uno  sentire  squisito,  tende  al  progresso,  alla  diffusione  dei 
lumi,  obbliga  alla  meraviglia,  suscita  l'amore  della  imitazione, 
e  da  ciò  ne  scaturisce  un  miglioramento  nella  società.  Al  loro 
spegnersi  si  fa  sentire  lo  stimolo  della  generale  gratitudine  , 
quindi  il  bisogno  di  raccomandare  con  venerazione,  con  mo- 
numenti i  loro  nomi  alla  posterità  j  quindi  1'  origine  di  un 
giusto  compenso  alla  transitoria  loro  esistenza. 

Al  numero  di  questi   eletti    certamente    apparteneva  il  Cav. 

Migliara E  chi  porrà  in  dubbio  che  gli  si  competa   il  vive i* 

oltre  il  sepolcro?  ed  un  diritto  al  lungo    nostro  dolore?  

Sebbene  le  prime  aure  vitali  egli  respirasse  sotto  un  altro  cielo 
d'Italia,  l'Insubria  però  gli  fu  benigna  culla  per  le  arti;  qui 
venn'cgli  nelle  prospettiche  dottrine  educato,  qui  crebbe  alla 
gloria  che  or  lo  circonda.  Se  una  malferma  salute  non  con- 
sentì che  l'illusione  egli  producesse  con  le  notturne  scene  sotto 


101 

la  scorta  deli'  ultimo  della  celebre  famiglia  d^i  Galliaci,  un 
genio  salvatore  lo  assise  al  cavaletto  ed  ivi  il  suo  proprio  seppe 
trarre  dalla  sventura  il  più  luminoso  vantaggio.  E  chi  non  sa 
che  la  luce  vera  e  la  artificiale  divennero  il  suo  studio  favo- 
rito? che  giunto  a  signoreggiarle,  le  adoperò  in  modo  da  de- 
stare r  incanto ,  da  eccitare  per  ogni  lontana  contrada  in  cui 
pervennero  i  suoi  dipinti,  1'  ansia  di  possederli? 

Né  qui  sta  ancor  tutto.  Le  splendide 'sue  orme  non  attras- 
sero una  sterile  ammirazione,  che  già  da  parecchi  anni  non 
pochi  generosi  giovani  si  posero  a  seguirle  ,  egli  fu  loro  cor- 
tese de' suoi  tesori,  non  mancò  il  successo,  e  di  liete  speranze 
or  già  ne  gode  la  patria. 

Ben  a  ragione  quindi  gli  Italiani,  e  specialmente  gli  Insubri 
devono  essergli  grati,  e  lo  saranno  per  aver  promossa  con  ogni 
studio  la  coltura  di  un'arte  delle  più  leggiadre  e  seducenti,  e 
per  r  amore  con  che  procurò  di  sostenere  una  parte  dell'avita 
loro  gloria.  In  quanto  a  noi,  cui  (  oltre  a  tutto  ciò  )  ci  fu  dato 
di  conoscere  d'  appresso  il  candore  dell'  animo  suo  e  gli  altri 
suoi  particolari ,  mentre  da  intenso  duolo  compresi ,  lamentiamo 
r  immatura  sua  separazione,  un  voto  innalziamo  che  altro 
della  schiera  de' seguaci  dipintori  sorga  a  pareggiarlo,  siccome 
meta  già  per  se  stessa  abbastanza  ardua  e  da  tentarsi  dai  più 
valorosi. 

Amici,  colleghi,  estimatori  di  Giovanni  Migliara !  queste  ge- 
lide spoglie  in  cui  stanziò  una  vita  sì  preziosa,  ora  ritornano 
in  seno  aHa  gran  Madre  di  tutti.  Innaffiate  di  lagrime  la  gleba 
•he  ora  sta  per  coprirle  e  tu^  se  di  là  su  dove  tace  ogni  cura 
miri  gli  affetti  nostri,  esulta,  anima  benedetta  !  giacché  sino  a 
tanto  che  i  nostri  cuori  daranno  un  battito  perenne  riroarravvi 
la  ricordanza  delle  belle  opere  tue,  delle  cittadine  virtù,  delle 
dolci  ed  amabili  qualità  onde  fosti  adorno. 


102 

A  ^ 

GIOVANNI   MIGLIARA 

SPLENDORE   DELLA  PITTURA   PROSPETTICA   ITALIANA 

OTTIMO    PADRE    DI    FAMIGLIA 

CARO   A   TUTTI    l   BUONI 

SOAVE   PIO    &ELIGIOSO 

LA   SERA    DEL    l8    APRILE     iSSy 

NELl'  ETÀ    DI    ANNI    5 1 

RAPITO    IMPROVVISAMENTE 

all'  AFFETTO    DELLA    MOGLIE    E    DEI    FIGLI 

RIFULGA    ETERNA 

LA   LUCE    DEL   SIGNORE 

Dejendenle  Sacchi. 


GIOVANNI   MIGLIARA 

PITTORE 

DI   FAMA  EUROPEA 

PIO    AFFABILE    SINCERO 

IMPROVVISAMENTE    RAPITO 

AGLI    AMICI 

DI    CUI    FORMAVA   LA    DELIZIA 

PREGATE    LA   PACE   DEI    GIUSTI 


ANNUiNZJ    DI    BIBLIOGRAFIA 


LIBRI   ITALIANI 


Lisni   FRAJXGESI 


Intorno  ad  alcune  Varianti  nel  te- 
sto della  divina  commedia  di 
Dante ,  di  confronto  colla  le- 
zione di  Nidobeato  -,  lettera  dell' 
abate  Fortunato  Federici ,  vi- 
ce-bibliotecario della  Università 
di  Padova,  —  Milano  ,  coi  tipi 
di  Paolo  Andrea  Molina,  i83G, 
in-S.**  di  pag.  Sa. 

L'  Architettura  antica  descritta  e 
dimostrata  coi  monumenti.  Dell' 
architetto  Cav.  Luigi  Canina. 
Roma,  tipogr.  Canina,  i836. 
Fase.  XII  in-foglio  ,  con  io  ta- 
vole in  rame   ...    .11.   12.  87 

Corsa  pel  Bacino  del  Rodano  e 
per  la  Liguria  d' occidente  — 
Vicenza,  in-8.  di  pag.  l'j^con 
6  tavole. 

Museo  della  R.  Accademia  di  Man- 
tova ,  descritto  ed  illustrato  dal 
dott.  Gio.  Labus.  —  Mantova 
presso  gli  Editori  D.  Ario  ,  e 
fratelli  Negretti ,  voi.  Ili ,  fase. 
96    IO    in-8    di   pag.   20. 

Ogni  fase,  di  4  tav.  all'acqua- 
tinta      11.   I    74 

Manuale  pratico  per  la  cura  degli 
apparentemente  morti,  premes- 
sevi alcune  idee  generali  di  po- 
lizia medica  per  tutela  della 
vita  negli  asfitici.  Opera  di  Pie- 
tro Manni.  —  Napoli,  dalla  ti- 
pogr. del  R.  Ministero  di  stato 
degli  allari  interni  nel  R,  Al- 
bergo de' povcii ,    id35  ,   in-8. 


NouvEAU  Guide  pralique  et  indu- 
strie! par  A.  J.  Chevallet ,  in-8 , 
i835,  le  Mans  ,  cbez  l'auteur, 
à  Troyes ,  rue  de  la  Monnaje  , 

N.   12 11,  4  « 

Rapport  verbale  sur  l'Hortus  Dy- 
ckensis  fait  à  la  société  d'hor- 
ticulture  de  Paris  par  M.  Poi" 
teau,  — Paris,  !836,  madame 
Huzard.  —  L'Hortus  Dyckensis, 
ou  Jardin  botanique  du  Chateau 
de  Dick,    residence    de  M.    le 
Prince   de   Salm-Dick ,   est  un 
bel  ouvrage  in-8 ,  orné  de  plan- 
ches  public  à  Dusseldorf  M.  P.; 
en  rendant  compte  de  ce  travail 
paie  au  Prince  de  Salm  comme 
botaniste  savant  et  zelé  un  juste 
tribut  d'éloges:  ce  Jardin  a  été 
fonde  en  1 800 ,  dans  lequel  les 
plantes  au  nombre  de  plus  de 
trois  mille  espèces  ,  suivies  de 
leurs  varietés  sont   rangées  par 
ordre  alphabétique.  —  On  aime 
à  voir  un  Prince  riclie  et  éclai- 
ré  consacrer   sa   fortune  et  ses 
loisirs  à   la  science   dont  il  est 
épris ,  tandis  que  sa  digne  com- 
pagne   la   Princesse    Constance 
de  Salm,    cultive   à   la   fois  la 
haute  littérature   et  la  poesie  , 
et   ne     met    jamais    sa    piume 
pure  et  elegante ,    que  au  Ser- 
vice   de  la    raison  de    la  saine 
philosophic  j    et    de    la  vérité. 
M.  A,  I. 


IM 


J'Attbf^ifiil* 
■nr  liwA  Mtkmm.  — 

VimM.  UtnmM  t€  CaM  

Stovif»  asvafe  4fIsi  Ck»  iref- 
tiyi  <wi»  ai  arMlvi  pmtmjtr 
Mf-vfìtimm  Bfgmtoa.  — Iwwtfj, 

«1  afere  gj^anBc  L'  «speta  tmà 

Xfm  am  l^^fBt  «r  WaujLMi  UL 
Tife»  £  fijgfiirlwg  lrrzr> ,  e  ^iu^ 
tia  Jiel  <«4  teaif»  prr  ^  TW' 
mar. — Lmi4at.^Ltmffmsm  i^i^, 

^  b!W^  ««•  am  ilefoniflar  ^ 
«mitani  ni  Mi  4«^  dbiltMii  I& 
ZMb.  —   L«wlray  CbactM, 

D.  limi  w«L  fmft,  m-è,  -ii 

T«  LiR  «j»  Tmc»  «£  Mh»  IO- 
tniB.  Jfcj  fV,  CarfiaiUr,  Im^tt^ 

Tnwmjnn  Sckviiw  «f  dw;  b«r  W, 


"1=32432^^ 


Bcck, 

fBÌe.  Csnw  <6  gray  ifi.i  eatrer- 
«aie,  «fi.  Ck.  eU  Raiimer ,  a.* 
ChIb.  «Hi  «ci  cavbt.  —  L«|i<»*a  , 

DKCnónnK  de  JfjtteUtm.  S«r^ 
ria  dtA  ÈUét»  Ero  ot  co  ttft\ 

£  «tona  «Ba  «cads  smmaìtn". 
di  Ictaa  ,  taak.  f*  —  Jcnaa  , 
pvK«f«r  Ì€»mj,  tS36w 
Ccacaaanx  «aa  FoffnrfriML,  i/iati» 
dei  Fovta^iii»  «^ìSm^  &A<^, 
tona.  >,  —  Usmmbemtf,  j/rtt»o 

6z«;a«c7)V  Ec*ri«A'«  Sót  de»  EmÌiì: 
d«r  AsIidNrte»  Jabriieiidati 
SftMKi  d' Eavefa  dopo  il  tettit, 
%T  ik  F,  lU  Rmumtr,  Xom,  6. 
Ljfiaia  ,  fccM0  Iraduww,  ^3^, 

di  ùfketnó»  dd  m^sm  i»,  /^. 
JÌIRM&  ,  retteae  e  priyCcMone  <Ij 

iTiifeiaij  air  aairMWt.i  ife  ifer- 
]mm»  ,  aacdÌM»  cammkatU  OH  te 

d»  fnm»ÌA',  3  «feri— r  rirìsfa  e 


«TiJTFfixi  ciiiAja«'inci.u»  t  «:/9)rr. 


Kcm«inA  Fiiit.1'1  icji 


•XBR    i\,'! 


^MLft.  IL  llli  IMWIIIW   ■OW.nMMiyi» 

f^arr  E.  <iìi.  IL.  ."iiniuiiuu    ui  ìtiHuunui. 


3- 


%«<»   ttamizi)   Taqii^   rjtnì^fHiiBii  .   ^<it   .lu-o .  ...   sui 

(fii  «ara  <«ì  D^tfiii'O"'""'^'^  {M'^  t&iiMiiì  31  uunaeoajntt'  ih;  Ittmlii^ 
«4  a  (Sfamai»  «  ^we^ORtra?  ii  mmsmì  a»HÌk>  t^ 
fCfdfaMMM»  «  Ib  mmàkassam.  ffWk»  ptwsno» 
ad  «sanawHwae  ll!nua»nlia)  'iia^lte  gofiiilMuian»  «  (ditffai  ititf> 
■«■  puniti»  ^flii   amuJhsr  nviwra»  ii  sac  r/«» 

tìL.  Eì{iflB  è  ai  (OH»  aftì»  «osft  nirK<7il^  (iii  ^«(pUi).^-   ...ui,tmé 

«nun  jHn»  «  «««a»  Itewwr*  ^  <^  ■;♦■•;•  ^-  "<—■ 

«  (Mia  iMiliiiui''ii  9  «JW  <(ftejQt"  bi»iks»im»ai^  ^huiumi»  aUtt:  Hi  wn^»^ 


106 

credette  poter  attribuire  lutti  questi  disastri  a  quel  siste- 
ma^ che  corre  dietro  ad  ogni  illimitato  aumento  di  pro- 
duzione ,  ed  a  tutti  quei  trovati,  che  recentemente  le 
scienze  e  le  arti  hanno  introdotto  per  ottenere  un  au- 
mento sì  fatto.  Volendo  il  Sismondi  venire  a  queste  con- 
clusioni raccomanda  con  reiterata  premura  la  distinzione 
tra  quella  parte  di  scienza,  ch'egli  usando  una  voce  già 
adoperata  da  Aristotile,  chiama  crematistlca;  e  la  vera 
scienza  dell'economia  politica  *i-  Secondo  il  Sismondi 
l'unico  oggetto  della  crematistlca  si  è  quello  di  aumen- 
tare senza  limite  la  ricchezza  ,  laddove  la  economia  po- 
litica come  regola  della  città  e  della  famiglia  deve  re- 
golare r  uso  della  ricchezza  stessa  ,  e  provocarne  una 
proporzionata  distribuzione  a  prò  di  tutti  i  cittadini. 
Sotto  questo  più  vasto  e  più  nobile  aspetto  ecco  come 
il  Sismondi  definisca  l'economia  politica. 

«  La  vera  economia  politica,  egli  dice,  è  quella  scienza, 
))  che  insegna  a  dirigere  il  lavoro  dell'uomo  in  si  fatta 
»  maniera  che  tutti  possano  partecipare  ai  godimenti  eh' 
»  esso  deve  procacciare;  che  tutti  sieno  nodriti  ,  allog- 
»  giati ,  vestiti  in  modo  da  poter  profittare  dei  benefizi 
»  che  Dio  preparò  per  l'uomo  ,  che  tutti  abbiano  agio 
»  sufficiente  per  conservare  la  salute  dell'anima  insieme 
»  a  quella  del  corpo  ;  che  tutti  siano  chiamati  ad  aver 
»  parte  pur  anche  al  festino  dell'intelligenza ,  e  che  ciò 
»  nulla  ostante  alcuni  più  favoriti  dalla  fortuna  trovino 
»  nella  ricchezza  la  comodità,  l'indipendenza    e    l'emu- 

*i  Platone  chiamava  philochremazia  la  cupidità  di  avere,  e  nel 
sogno  della  sua  repubblica  ideava  la  comunione  de'  beni  per  isfug- 
gire  alle  contese  ed  alle  invidie  che  per  la  philochremazia  s'intro- 
ducevano  nella  società.  Ma  queste  contese  e  queste  invidie  sareb- 
bero divenute  assai  più  violente  e  pericolose  ,  ove  nella  società  non 
vi  fosse  stata  e  sempre  non  si  fosse  mantenuta  la  partizione  dei 
beni  e  il  diritto  di  proprietà. 


\ 


107 

»  lazione  ,  che  sono  necessarie  per  poter  sviluppare  le 
»  pili  alte  facoltà  dell'anima ,  e  dello  spirito  ;  che  qual- 
»  cheduno  possa  avanzarsi  verso  le  arti,  le  scienze  e  le 
»  virtià,  che  fanno  la  gloria  della  società  umana;  che 
»  questi  uomini  privilegiati ,  questi  uomini  che  saranno 
»  pochi  per  lo  maggior  bene  di  tutti  siano  però  abbastanza 
»  numerosi,  affinchè  il  loro  esempio  sia  da  per  tutto 
»  profittevole;  che  essi  siano  come  il  lievito,  che  fa 
»  fermentar  le  masse,  o  come  una  luce  che  le  rischiara 
»  tutte  quante;  che  il  loro  soggiorno  nelle  capitali  , 
»  nelle  ville,  nelle  campagne,  il  grado  della  loro  opulenza, 
»  la  proporzione  col  resto  della  popolazione  siano  equì- 
»  librati  in  guisa  ,  che  dalla  loro  ricchezza  risulti  il  più 
»  gran  bene  possibile  della  società  ;  che  infine  sia  sempre 
»  per  il  loro  reciproco  vantaggio  ,  e  secondo  i  fini  della 
»  provvidenza,  che  il  povero  si  riscontra  quaggiù  col 
))   dovizioso.   » 

I  nostri  lettori  si  saranno  a  quest'ora  già  avveduti  , 
che  una  tale  definizione  della  economia  politica  si  ri- 
solve nell'apologia  dei  ricchi,  e  della  loro  missione  nella 
società.  Noi  non  ci  faremo  mallevadori  che  questa  de- 
finizione piaccia  a  tutlii  più  severi  cultori  delle  scienze 
sociali,  e  specialmente  ai  Sansimonisti.  Comunque  però 
essa  si  potrebbe  accettare  a  patto  che  ogni  altra  con- 
seguenza delle  massime  dello  stesso  Sismondi  venisse 
adottata.  Imperocché,  se  come  egli  afferma,  il  lavoro  è 
l'alimentatore  dell'uomo,  il  fonte  di  tutti  i  godimenti 
materiali  della  vita,  e  se  dal  lavoro  nasce  la  ricchezza, 
i  ricchi  perciò  per  essere  e  divenir  giustamente  tali  do- 
vrebbero essere  i  primi  a  lavorare,  e  la  ricchezza  do- 
vrebbe essere  il  prezzo  del  lavoro  e  della  capacità  ,  e  non 
della  sorte.  Pare  che  l'autore  senta  lo  scontro  di  questa 
conseguenza,  allorché  cerca  di  evitarne  il  rigore  dicendo 
che  le  prerogative  dei  ricchi,  ed  i  vantaggi  che  la  società 


108 

ricava  dai  medesimi ,  oltre  a  quelli  che  dipendono  sol- 
tanto da  una  materiale  consumazione  maggiore  di  quella 
che  si  fa  dagli  altri  membri  della  società,  consistono 
poi  soprattutto  nell'impiego  del  loro  ozio  allo  sviluppo 
di  tutte  le  facoltà  intellettuali,  e  nell'impiego  del  loro 
superfluo  in  sollievo  delle  miserie  sociali. 

In  questo  modo  il  Sisraondì  vuole  conciliare  ì  suoi 
lettori  coi  ricchi  e  colle  disuguaglianze  sociali  di  ogni 
maniera;  e  ciò,  nel  mentre  stesso  che  deplora  lo  stato 
di  tanti  miserabili,  e  mentre  persino  disapprova  i  re- 
centi accorgimenti  dell'umana  industria  per  accrescere  la 
ricchezza ,  e  che  servirono  e  servir  possono  di  mezzo 
9  molti  per  acquistarla. 

Da  questi  pochi  cenni  già  noteranno  alcuni  a  quali 
incoerenze  si  avventurino  quelle  opinioni  del  Sismondi, 
che  egli  in  oggi  pubblicò  col  titolo  di  Studi  sull'Eco- 
nomia politica  in  un  primo  volume,  e  che  già  in  diverse 
epoche  ed  in  varii  scritti  aveva  inseriti  in  alcuni  gior- 
nali ,  e  dove  come  nelle  altre  maggiori  sue  opere  egli 
prese  parte  in  tutte  le  discussioni  che  le  scien/^e  sociali 
vengono  ai  nostri  tempi  presentando, 

Tutte  queste  discussioni  sono  intimamente  collegale 
fra  di  loro  ,  poiché  gli  nomini  riuniti  in  società  vollero 
conoscere  gli  elementi,  e  le  condizioni  di  questa  società; 
e  come  nella  pohtica  cercarono  i  loro  diritti,  nella 
fdosofia  morale  i  loro  doveri,  nella  storia  la  loro  espe- 
rienza; così  nell'economia  politica  cioè  nella  produzione 
della  ricchezza  cercarono  i  loro  godimenti. 

Ma  in  tutte  queste  importantissime  discipline  il  Sis- 
mondi dopo  aver  gettati  alcuni  generali  principii  ,  in 
presenza  poi  di  tutte  le  loro  conseguenze  si  sgomenta, 
e  vorrebbe  indietreggiare.  Egli  perciò  si  mostra  ancora 
come  uno  di  quegli  scrittori  ,  che  avanzatisi  cogli  anni 
in   qualche  carriera  scieatilica    o    Icttcìariii ,  e  disgustaU 


109 

J)ol  forse  (la  qualche  raen  fortunata  conseguenza  ,  o  ve- 
duta nelle  vicende  pubbliche,  o  provata  pur  anche  sol- 
tanto nelle  vicende  proprie  e  private,  s'ingegnano  di  porre 
ad  esse  un  fréno,  e  di  moderare  con  condizioni  quelle 
stesse  dottrine,  che  prima  avevano  proclamate  libere, 
assolute  ed  illimitate;  non  senza  però  portare  ancora  in 
questa  specie  di  loro  pentimento  la  stessa  buona  fede 
che  avevano  prima.  Così  appunto  già  avvenne  al  Sis- 
mondi  nelle  sue  dottrine  politiche. 

Dopo  essersi  fatto  Io  storico  moderno  della  libertà,  il 
Sismondi  nel  suo  trattato  sopra  Le  Costituzioni  dei  po- 
poli liberi  declinando  dalle  primiere  idee  di  eguaglianza, 
sebbene  noti  possa  invero  mai  riconoscere  la  sovranità 
nella  forza  materiale  e  numerica,  admette  però  la  so- 
vranità dell'  intelligenza ,  della  ragione  e  della  volontà 
costante  ed  illuminata,  e  mentre  insegna  saviamente  che 
le  rivoluzioni  non  sono  più  fatte  per  migliorare  la  con- 
dizione del  genere  umano,  cerca  invece  di  concentrarne 
r  attenzione  e  le  passioni  sopra  quel  graduato  anda- 
mento di  esso  per  cui  è  sperabile  che  si  giunga  ad  ot- 
tenere maggiori  cognizioni,  maggior  libertà,  più  di  virtin 
e  più  di  ben  essere  universale. 

Commendevole  e  saggio  sarebbe  questo  divisamento  del 
Sismondi  qualora  egli  avesse  realmente  applicato  all'eco- 
nomia politica  questo  solo  spirito  di  prudente  modera- 
zione con  cui  è  dettato.  Ma  rispetto  all'economia  politica 
egli  lo  trasgredisce.  Senza  osar  distrurre  quei  principi! 
che  egli  stesso  ed  altri  insigni  scrittori  posero  quali  fon- 
damenta della  scienza  economica  ei  vorrebbe  troncare  a 
mezzo  i  risultamenti  della  loro  applicazione ^  ed  invece 
di  attribuire  ed  investigare  le  cagioni  degl'inconvenienti 
ed  abusi  che  da  essi  sembrano  talora  provenire,  nelle 
incoerenze  e  negli  ostacoli  degli  altri  ordini  coesi- 
stf^nti  delle   cose    sociali  ,     pretenderebbe    isolare  i  prin- 


110 

cipii  Jitll' applicazione  pratica,  o  mantenere  sospeso  in 
uno  stalo  incerto  ed  ondulatorio  l'edifizìo  sociale. 

Con  questo  sistema  per  guida  il  Sismondi  nella  sua 
introduzione  principia  per  dichiararsi  nemico  delle  mac- 
chine. Scorgendo  che  il  pauperismo  è  divenuto  l'oggetto 
dell'attenzione  e  delle  declamazioni  de'  pubblicisti,  ecco  , 
egli  tosto  conchiude,  ecco  il  funesto  effetto  delle  mac- 
chine ,  giacché  dovunque  esse  si  sono  introdotte  il  nu- 
mero de' poveri  si  è  aumentato. 

Ma  questa  sorta  di  argomentazione  non  è  delle  più 
giuste,  nò  di  quelle,  che  meglio  facciano  onore  all'inge- 
gno di  un  tanto  scrittore.  Imperocché  prima  di  incol- 
pare le  macchine  dell'aumento  delia  mendicità  conver- 
rebbe accertare  due  fatti. 

Primieramente  converrebbe  sapere  se  veramente  i  po- 
veri siano  cresciuti  in  proporzione  della  popolazione,  o 
se  forse  questo  supposto  aumento  de^  poveri  non  pro- 
venga piuttosto  dacché  a  tempi  nostri  la  scienza  stati- 
stica va  facendo  le  più  minute  ricerche  sopra  questo 
oggetto  ,  quando  altra  volta  era  pressoché  compiutamente 
trascurato. 

In  secondo  luo^o  converrebbe  dimostrare  che  sia  effel- 
tiva mente  l'introduzione  delle  macchine  quella  che  abbia 
prodotto  l'aumento  dei  poveri,  ove  però  quest'aumento 
si  venga  a  conoscere  reale  e  positivo. 

Ora  dunque  se  si  guarda  la  quistione  dal  primo  lato 
nessuno  meglio  del  Sismondi  sa  ,  e  può  insegnarci  come 
negli  andati  secoli  l'uomo,  il  servo  della  gleba,  il  ple- 
beo j  il  proletario  ,  il  popolo  insomma  taglieggia  bile  , 
come  si  diceva,  ed  effettivamente  in  ogni  maniera  ta- 
glieggiato ,  fosse  non  curato  e  così  poco  contasse  a  far 
parte  dello  Stato,  che  certamente  niuno  pensava  ad  oc- 
cuparsi di  lui,  ed  a  conoscerne  la  condizione,  e  tanto 
meno  il  numero  dei  poveri  che  quasi  intieramente  il 
componevano. 


Ili 

L'autore  delle  Repubbliche  Italiane,  e  della  Storia  dei 
Francesi  conosce  troppo  bene  quale  fosse  la  sorte  del 
popolo  ne' tempi  lontani  dai  nostri,  per  supporre  che 
alcuno  si  potesse  pigliar  pensiero  di  verificarne  i  biso- 
gni e  notare  il  numero  dei  bisognosi.  Le  sue  storie  ci 
palesano  invece  che  dove  la  popolazione  era  maggiore , 
ivi  pur  anche  maggiore  era  la  loro  moltitudine  ,  e  che 
se  era  scarso  ,  ciò  proveniva  da  che  il  paese  era  inabi- 
tato, e  deserto.  Quanto  povero  fosse  il  popolo,  e  qual 
conto  se  ne  facesse,  ed  in  qual  termine  eisi  fosse  sotto 
la  dominazione  Longobarda ,  e  quindi  parecchi  secoli 
dopo  sotto  quella  Spagnuola ,  ben  ce  lo  narra  il  Man- 
zoni; e  non  pertanto  a  quei  tempi  non  c'erano  forse 
altre  macchine,  che  le  macchine  di  guerra,  e  quella 
del  patibolo  che  potessero  far  aumentare  il  pauperismo. 

Si  comincia  dunque  per  ignorare  in  gran  parte  quale 
si  fosse  la  condizione  e  l'estensione  delle  povere  classi , 
e  quei  riscontri  che  pur  se  ne  hanno  a  tutt'altre  cagioni 
ne  fanno  attribuire  l'esistenza  che  non  all'attività  ed  alla 
libertà  del  commercio ,  e  dell'industria.  Quei  riscontri 
anzi  ci  dicono  che  le  miserie  che  allora  affliggevano  i 
popoli  erano  ben  piii  terribili  che  quelle  ,  che  sentono- 
i  nostri  odierni  proletarii,  ed  operaj.  La  miseria  di  quésti 
è  tale  relativamente  alle  odierne  classi  facoltose,  ma  sa- 
rebbe forse  soltanto  una  mediocrità  in  paragone  di  quella^ 
che  soffriva  il  povero  nei  mezzi  tempi,  II  povero  in  oggi 
si  chiama  povero  perchè  non  ha  alloggio,  nò  copia  di 
abiti,  di  mobili j  di  vivande,  perchè  in  somma  non  ha 
il  superfluo;  ma  il  povero  dell'  altre  volte  era  povero 
perchè  non  aveva  pane,  ne  vestito,  ne  tetto;  perchè 
mancando  di  tutto  il  necessario,  non  aveva  forse  altro 
<;he  un  padrone  che  lo  maltrattasse.  Si  può  quindi  ra- 
gionevolmente credere  che  non  vi  sia  poi  alla  lìn  fine 
realmente  questo  preteso  aumento  de'  poveri   nella  pre- 


112 

sente  età  rispetto  alle  età  passate;  o  per  lo  nreno  ella 
è  questa    una  cosa  molto  dubbiosa. 

Osservando  poi  la  questione  sotto  il  secondo  aspetto, 
e  dato  anche ,  che  effettivamente  in  oggi  sia  aumen^ 
lato  il  numero  de' poveri ,  si  crede  poter  affermare  che 
un  tale  aumento  non  è  punto  imputabile  all'  introdu- 
zione  delle   macchine. 

L'imprevidenza  difatli  ed  il  disordine,  effetti  questi 
assai  frequenti  e  comuni  di  una  educazione  viziata  e 
di  una  trascurata  istruzione,  sono  il  più  soventi  meglio 
che  ogni  altra  cosa  le  cagioni  delia  rovina  e  dell'infeli- 
cità della  classe  degli  artigiani ,  e  dei  lavoranti  giorna- 
lieri. L'intensità  di  queste  cagioni  potè  egli  è  vero  forse 
crescere  dopo  l'introduzione  delle  macchine  perchè  pa- 
recchie sorta  di  godimenti  essendo  divenuti  più  facili 
a  procacciarsi  da  un  maggior  numero  di  persone,  le 
tcintazioni  perciò  hanno  anch'esse  dovuto  moltiplicarsi  e 
le  privazioni  divenir  quindi  più  dolorose;  ma  nel  tempo 
medesimo  le  macelline  stesse  moltiplicarono  pur  anche 
ì  mezzi  per  soddisfarle  sia  col  dare  una  maggior  quantità 
di  prodotti  industriali,  sia  colla  conseguente  loro  modi- 
cità di  prezzo,  sia  coU'avere  aumentato  il  lavoro  stesso, 
e  la  consumazione  di  varii  altri  prodotti,  e  colla  for- 
mazione delle  macchine  stesse  ,  e  col  continuato  loro  at- 
tivamento. 

In  questa  difesa  delle  macchine  abbiamo  anche  com- 
pagno Giuseppe  Droz,  scrittore  che  più  di  tutti  e  me- 
glio anche  del  Mill  fa  sentire  le  relazioni  che  hanno 
colla  morale  le  questioni  di  pubblica  economia  ,  e  che 
sempre,  quando  il  può,  si  studia  di  riporne  la  soluzione 
liei  sentimenti  più  naturali  dell'  uomo.  Questo  scrittore 
dunque  che  ci  sembra  confidare  assai  più  del  Sismondi 
nella  perfettibilità  umana  e  sociale,  riconosce  che  l'iu- 
veuzionc    delle    macchine    moltipllca    le    mercanzie,    ne 


113 

fa  abbassare  il  prezzo,  ed  aumenta  il  lavoro.  Inoltre  l'im- 
piego delle  macchine  conserva  le  forze,  e  la  vita^  ri- 
sparmiando ad  un  certo  numero  di  opera]  molti  lavori 
mal  sani  e  pericolosi.  —  Contribuisce  poi  anche  al  mi- 
glioramento de'  costumi,  poiché  i  lavori  molto  faticosi 
eccitano  a  far  abuso  de' liquori  spiritosi,  e  non  v'ha 
dubbio  che  il  diminuire  l'intensità  delle  fatiche  egli  è 
un  mezzo  di  togliere  una  causa,  od  anche  soltanto  un 
pretesto  allo  stravizzo  *i.  Prima  di  Droz  anche  il  Mal- 
thus aveva  spiegato  lo  stesso  parere  in  favore  delle  mac- 
chine. Ecco  le  sue  parole:  malgrado  il  risparmio  della 
mano  d'opera  cagionato  dall'  introduzione  delle  mac- 
chine,  pure  questo  genere  d'  industria  invece  d'impie- 
gare un  minor  numero  di  braccia  ,  ne  richiede  anzi  un 
maggior  numero  che  per  lo  passato  *2. 

D'altra  parte  poi  mentre  si  dibatteva  l'oziosa  quistione 
sopra  l'utilità  ed  il  pericolo  di  queste  macchine,  che 
già  una  volta  introdottesi  più  non  potevano  scomparire 
dal  dominio  degli  uomini,  nessuno  pensò  poi  mai  a 
preparare  la  classe  degli  artigiani  a  quella  nuova  car- 
riera, che  per  essa  veniva  ad  aprirsi.  Infatti  1' attiva- 
menlo  delle  macchine  dispensando  l'uomo  dalle  fatiche 
uianuali  gli  lasciava  poi  tutti  quei  sussidii  che  possono 
derivare  dal  canto  dell'  intelligenza  ,  e  lo  obbligavano 
così  a  coltivare  le  sue  più  nobili  facoltà.  Ed  è  veramente 
questo  genere  di  coltura,  che  contenuta  in  certi  limiti 
ed  opportunamente  diretta  secondo  le  varie  tendenze, 
ed  i  bisogni  degli  individui,  e  della  società,  e  delle  sue 
circostanze  attuali,  o  possibili,  debb' essere  il  patrimo- 
nio, ed  il  conforto  di  tutti,  e  non  solamente  una  specie 
di  monopolio    per   le  classi    privilegiate  *3. 

*  I   Droz  Priiicipes  de  la  scìeuce  des  richesses  lib.  3  ,  cap.  5. 
1  Priuc.  d'économ.  politiq.  toni.  3,  pag.   io3. 
3  Son  noli  gli  sforzi  che  presso  alcune  nazioni  si  vanno  facendo 


114 

Imperocché  ei  ci  pare  un  errore  quello  di  credere 
che  i  ricchi  soltanto  debbano  avere  la  privativa  del  sa- 
pere,  e  dello  squisito  sentire  nelle  belle  arti,  essendo 
forse   più  soventi    avvenuto   che    i  ricchi  impieghino    il 


per  educare  le  classi  lavoratrici  col  mezzo  di  una  istruzione  più  con- 
facente allo  stato  attuale  della  civiltà  e  dell'industria.  Noi  citeremo 
fra  le  altre  la  recente  opera  del  signor  Emilio  Berès  pubblicata  in 
Parigi  lo  scorso  anno  sui  mezzi  di  migliorare  le  classi  lavoratrici, 
tanto  sotto  il  rapporto  del  loro  ben  essere  materiale,  clie  sotto  quello 
del  loro  perfezionamento  morale.  —  Dal  primo  lato  ei  riconosce 
che  l' attuale  e  pur  troppo  incontestabile  infelicità  di  queste  classi 
non  deve  attribuirsi  né  all'  introduzione  delle  macchine  ,  né  all' 
aumento  della  popolazione  ,  né  al  lusso  ed  all'  ambizione  die  lo 
stato  della  civiltà  presente  diffuse  presso  ogni  qualità  di  persone. 
Il  signor  Bèrés  ritrova  invece  che  questo  mal  essere  degli  artieri 
proviene  da  tutto  ciò  che  vien  ogni  giorno  succedendo  nei  partico- 
lari e  minuti  detagli  della  vita  ordinaria  dell' operajo.  Quivi  ei  palesa 
di  molti  abusi  sanitari! ,  e  suggerisce  molti  provvedimenti  d' igiene.  — 
Riguardo  poi  al  miglioramento  morale  egli  propone  un'  istruzione 
semplice  e  popolare  ,  la  compilazione  e  la  diffusione  di  libri  ad  essa 
opportuni ,  r  apei-tura  di  pubbliche  biblioteche ,  ed  intanto  egli  stesso 
già  comincia  ad  offrire  una  specie  di  catechismo  intitolato  :  —  Trat- 
tenimenti di  un  maestro  di  scuola  sopra  i  vizj  e  le  virtù  delle  classi 
manufattrici,  —  Propone  anche  per  lo  stesso  fine  le  sale  d'  asilo  , 
e  le  scuole  d'industria  e  di  morale  popolare.  Finalmente  desidera  che 
vengano  stabihte  delle  feste  pubbliche  ,  perchè  ,  per  ripetere  la  sua 
frase  ,  il  cielo  aperto  delle  piazze  è  un'  atmosfera  più  favorevole  per 
i  buoni  pensieri  e  per  i  buoni  costumi  che  non  è  quella  delle  ta- 
verne e  dei  ridotti.  Noi  Italiani  già  possiamo  vantare  un  esempio 
di  queste  feste  pubbliche  di  cui  parla  il  signor  Bére»  nella  scuola 
festiva  istituita  per  gli  artegiani  in  Figline  nella  Toscana  dal  celebre 
Lambruschini ,  e  della  di  cui  amministrazione  già  egli  fu  in  grado 
di  darne  un  conto  incoraggiante  nell'anno  i833.  {Pedi  Annali  di 
Statis.  ,  fascio,  di  febb.   i834  )• 

Noi  poi  non  vogliamo  terminare  questa  nota  senza  ancora  citare 
l'esempio  della  società  esistente  in  Francia  per  l'educazione  gratuita 
e   positiva   degli   artieri ,    la   quale   ha  per  iscopo   non  solo  di,  som- 


115 

loro  ozio  in  tutt'  altro,  che  a  coltivare  le  scienze  e  le 
arti.  E  per  l'opposto  poi  si  è  più  d'una  volta  osservato 
che  ben  più  spesso  la  povertà,  ed  il  bisogno  furono  gli 
stimoli  potenti  che  mossero  l'uomo  a  conoscere  i  prin- 
cipii  del  vero  ,  dell'  utile  e  del  bello ,  ed  a  riprodurre 
nelle  opere  d'ingegno  o  d' immaginazione  ^  e  nelle  arti 
le  loro  sublimi    ispirazioni. 

—  «  L'uomo  affatto  ozioso  è  un  peccato  ambulante,  » 
dice  PufFendorfF.    Contuttociò  tutti   i  ricchi  non   furono 
sempre  oziosi,  ma  anzi  colle  loro  ricchezze  e  coi  loro  am- 
biziosi progetti  favorirono  soventi  i  dotti  e  gli  artisti  ;  se 
non  che  molte  volte  ancora  ne  attraversarono,  o  ne  svia- 
rono coi   loro  capricciosi  giudizi  i  disegni ,   ed  i  più  su- 
blimi concepimenti.  Molte  volte  ancora  per  un  ingegno 
che  favorivano,  ma  che    talora   neppure   stimavano,  la-, 
sciavano  inerte ,  bisognosa  ed  oppressa  una    moltitudine 
che  disprezzavano.  Cosi  pare  a  noi  che  il  Sismondi  mentre 
biasima   il  soverchio    aumento    della  ricchezza    che   può 
diffondersi  a  benefizio  di  molti,  passi  ad  encomiare  con 
troppo  calore  i  ricchi  :  come  pur  anche  ci  pare  ,  che  egli 
si  lascii  troppo  facilmente  rapire  in  estasi  alla  vista  dei 
palagi  delle  città  d' Italia  ,  innalzati   per  la  più  gran  parte 
da  negozianti   e  da   fabbricanti    in  un'epoca   in    cui    non 
«sisteva  ancora    alcuna   di    quelle   portentose    macchine, 
ch'egli    condanna,    e    che   ora    sono  soltanto   più  abitati 
da  modesti  industriali,  i  quali  neppur  hanno  quanto  ba- 
sta per  provvederli  delle  suppellettili  convenienti  e  per 
restaurarli.  Ma  questo  non  può  essere  un  argomento  suf- 


ntinistrare  ad  essi  i  mezzi  di  perfezionare  la  loro  industria  ,  ma  si 
pure  d' illuminare  e  rassodare  dal  lato  morale  la  loro  condotta. 
(  Vedi  il  discorso  del  sig.  Broiissais  alla  società  frenologica  di  Parigi 
sul  metodo  d'  insegnamento  adottato  dal  Colonnello  Rancourt  per 
l'  educazione  suddetta  ). 


ciente   contro   l'odierno  uso   delle    macchine,    e  còntfó 
l'indefinito  incremento  della  produzione. 

Infatti  Taspetto  silenzioso  e  decaduto  di  quelle  magni- 
fiche moli  istesse,  ci  attestano  quali  dovettero  essere  le 
conseguenze  di  uno  slato  di  società  in  cui  le  rlcche:2ze 
erano  il  retaggio  di  pochi ,  e  dove  tutte  le  forze  vitali 
della  nazione  stavano  ridotte  nella  fortunale  nell'arbitrio 
di  alcuni  cittadini.  Ecco  che  ne  avvenne.  D&ll'industria 
inceppata  fra  gli  antichi  metodi  proibitivi^  e  fatto  og- 
getto di  monopolio  ,  non  s'indugiò  molto  a  passare  anche 
nel  resto  al  sistema  di  esclusività  ,  e  di  privilegio  ;  di 
maniera  che  quando  poscia  arrivò  il  giorno  del  peri- 
colo e  della  decadenza  più  non  si  rinvennero  da  un 
canto  che  ricchi  egoisti ,  e  dall'altro  che  poveri  avviliti. 
,Nè  un  siffatto  argomento  tratto  dalla  magnificenza  degli 
edifizii ,  dallo  splendore  delle  belle  arti,  e  dell'opulenza 
di  alcune  antiche  famiglie  d'Italia  è  nuovo  nell'opera  del 
Sismondi.  Esso  già  era  stato  fatto  fino  dal  i-jOG  dal 
conte  Carli  nella  sua  grand' opera  sulle  monete.  Ma  se 
siffatto  confronto  poteva  essere  di  gran  peso  rispetto  ai 
tempi  in  cui  il  Carli  scriveva,  ei  non  potrebbe  più  cer^ 
lamente  essere  di  alcun  valore  in  oggi  che  da  sessant'anni 
vi  è  sorto  tanto  movimento  d'industria  ,  di  bisogni  ,  di 
commercio  e  di  lusso.  Certamente  più  non  si  trovereb- 
bero al  dì  d'oggi  semplici  cittadini  che  potessero  fare 
imprestiti  alle  proprie  città  di  duecento,  e  di  trecento 
mila  zecchini  per  volta  come  i  Panciatici  in  Firenze, 
nò  mantenere  quattro,  o  sei  mila  uomini  in  arme  come 
gli  Strozzi  in  Toscana,  i  Torre,  i  Visconti  e  gli  Sforza 
in  Lombardia,  e  come  i  Pepoli,  gli  Albizi,  i  Gonzaga,  ed 
i  Malaspina  in  altre  parti  d'Italia.  Ma  per  contro  in 
luogo  di  questi  pochi  signori  che  se  ne  stavano  ne' loro 
palagj  assiepati  di  oziosi  famigli  o  di  feroci  scherani, 
e  che  se  non   divenivano  oppressori  non  tardavano  pero 


117 

a  divenire  stromenti  della  tirannide  ,  quante  migliaia  di 
famiglie  per  l'acquistata  maggior  quantità  della  produ- 
zione, e  per  la  miglior  distribuzione  data  ai  prodotti 
non  vivono  esse  meglio  vestite,  meglio  alloggiate,  meglio 
nutrite,  meglio  e  più  costantemente  istrutte  di  quanto 
]o  fossero  nei  secoli  addietro  ?  E  le  terre  che  una  volta 
non  servivano  che  di  luogo  di  ricreazione,  od  al  prov- 
visionare d'un  ricco,  e  che  poi  giacevano  in  gran  parte 
incolte,  coperte  di  foreste j  e  disabitate,  non  si  veggono 
ora  popolate  da  laboriosi  e  pacifici  cittadini  viventi  in 
una  modesta  ed  agiata  indipendenza?  E  se  una  volta 
soltanto  i  patrizii  più  opulenti,  i  prelati,  i  principi, 
ed  i  conventi  possedevano—le-  maravigliose  pitture  di 
Raffaello j  del  Tiziano,  del  Domenichino  e  del  Reni, 
non  è  egli  consolante  vedere  in  oggi  come  non  v'abbia 
più  quasi  umile  casolare  che  non  possegga  la  sua  lito- 
grafìa? 

Rimproverare  dunque  le  macchine  come  causa  del 
pauperismo  non  sembra  cosa  da  saggio ,  mentre  è  co- 
stante che  la  loro  introduzione  giovò  all'  uomo  per 
migliorare  la  pi^opria  esistenza.  E  tanto  varrebbe  rimpro- 
verare l'odierno  incivilimento  ;  perchè  neppur  esso  può 
andare  scompagnato  da  qualche  temporario  inconveniente 
cui  nessuna  conquista  dell'umana  intelligenza  restò  mai 
affatto  immune, 

Non  bisogna  per  altro  credere  che  il  Sismondi  scagli 
questi  rimproveri  così  alla  ventura  e  senza  fondamento. 
Ei  li  conforta  sovente  di  buone  ragioni  e  di  osservazioni 
ingegnosissime.  Fra  le  altre  egli  attribuisce  all'invenzione 
delle  macchine  ,  ed  all'infinità  di  merci  che  producono 
Ja  cessazione  dei  lavori  domestici  riguardo  alle  donne. 
E  non  si  va  affatto  fuori  del  vero  credendo  che  nell'ese- 
guimento di  questi  lavori  sta  per  buona  parte  riposta  la 
veciprocilà  degli  affetti  domestici ,  poiché  quando  aduna 


118 

donna,  dice  il  Sismondi ,  non  si  lascia  più  altro  ufficio 
in  casa  che  quello  di  far  ragazzi,  tutti  i  vincoli  della 
convivenza,  tutti  i  sentimenti  di  famiglia  si  sciolgono, 
o  si  rallentano^  e  per  essa  si  fa  più  piana,  e  più  lusin- 
ghiera la   via  dell'immoralità. 

Ma  ciò  neppure  è  vero  a  tutto  rigore;  poiché  le  mac- 
chine hanno  un  beli'  aumentare  i  prodotti  manufatti , 
ma  non  mancheranno  però  mai  alle  donne  di  molte 
utili ,  virtuose  e  gentili  occupazioni. 

Da  che  gli  economisti  per  la  più  gran  parte,  come 
pensa  il  Sismondi,  si  applicarono  soltanto  a  far  crescere 
la  ricchezza  materiale,  e  non  pensarono  che  non  può  esi- 
stervi vera  ricchezza  se  non  viene  distribuita  a  tutti, 
nacquero  alcuni  sistemi  che  essendo  unicamente  diretti 
ad  aumentare  all'infinito  la  produzione,  portano  se- 
condo il  Sismondi  più  danno  che  vantaggio  all'umanità. 

Tali  sono  a  suo  avviso  le  grandi  innovazioni ,  che  da 
un  mezzo  secolo  cangiarono  faccia  al  mondo  industriale, 
vale  a  dire  la  concentrazione  dei  grandi  capitali,  lo 
stabilimento  delle  grandi  manifatture,  e  l'introduzione 
delle  macchine.  Quindi  tu  non  vedresti  il  Sismondi  sor- 
ridere per  piacere ,  e  per  sorpresa  veggendo  uscire  da 
una  fabbrica  bello  e  formato  il  panno  con  quella  stessa 
materia  che  ventiquattro  ore  prima  era  ancor  lana  so- 
pra il  dorso  della  pecora  vivente ,  ne  lo  vedresti  sod- 
disfatto veggendo  come  un  uomo  solo  possa  in  un  solo 
giorno  dare  tanto  di  abiti ,  di  stromenti  di  ferro  ,  o  di 
stoviglie  da  poterne  caricare  un  battello.  Il  Sismondi  a 
questi  prodigj  dell'industria  risponderebbe  austeramente 
che  un  tempo  tutti  i  consumatori  di  questi  oggetti  stessi 
non  ne  andavano  però  sprovveduti  ^  ma  li  compravano 
da  cento  piccoli  fabbricanti  che  vivevano  nell'indipen- 
denza ,  e  che  ora  sono  scomparsi  per  lasciare  il  posto 
ad  un  solo   milionario. 


119 

Ma  queste  conseguenze,  come  è  facile  a  scorgere,  sono 
spinte  tropp' oltre,  spinte  sino  all'esagerazione.  Questi 
non  sempre  sono  gli  effetti  che  risultano  dall'  attiva- 
mento  delle  macchine,  e  dalle  grandi  manifatture,  e  gli 
economisti  recenti  di  maggior  conto  quando  cercano  i 
mezzi  per  aumentare  la  ricchezza,  non  perdono  però  di 
vista  quegli  altri,  che  sono  destinati  a  farla  circolare  a 
beneficio   di  tutti. 

Quindi  egli  è  nell'ipotesi  che  gli  economisti  abbiano 
nei  loro  sistemi  disgiunti  quei  due  oggetti  delle  scienze 
economiche,  che  in  sostanza  se  non  sono  identici  sono 
però  e  devono  essere  sempre  uniti ,  che  il  Sismondi  fondò 
la  sua  introduzione  sulla  preaccennata  distinzione  della 
crematistica,  ossia  dell'  arte  di  aumentare  le  ricchezze  , 
e  l'economia  politica  ,  ossia  la  scienza  che  insegna  co- 
me tutti  ne  possano  godere. 

I  migliori  economisti  non  hanno  però  per  certo  tra- 
lasciato di  fare  quella  distinzione ,  ove  era  stata  neces- 
saria e  tanto  meno  si  sono  unicamente  appigliati  a  col- 
tivare una  sola  parte  della  scienza  trascurando  quell'al- 
tra ,  che  le  sta  inseparabilmente  congiunta  e  quasi  sempre 
confusa.  Veggiamo  anzi,  per  tacere  di  altri,  che  il  nostro 
Gioia  ,  uno  di  quegli  economisti  che  abbiano  più  cer- 
cato r  aumento  della  produzione  ed  il  favore  dell'indu- 
stria, esamina  pur  anche  l'economia  politica  dal  lato 
della  distribuzione  della  ricchezza ,  vi  consacra  una  parte 
della  sua  grand'  opera  ,  ed  investiga  persino  quale  debba 
essere  l'influenza  governativa  nelle  tre  grandi  divisioni 
di  questa  scienza,  cioè  sulla  produzione,  sulla  distribu- 
zione e   sul  consumo. 

Siccome  non  conveniamo  intieramente  sulla  neces- 
sità di  quella  distinzione  tra  la  crematistica  e  1'  econo- 
mia politica,  né  sulla  verità  dell'ipotesi  che  la  maggior 
parte  degli  economisti  abbiano  appoggiati  i  loro   sistemi 


120 

unicamente  sul  principio  creraalistico  j  così  noi  non  pos- 
siamo parimenti  ammettere  tutte  le  conseguenze  che  il 
Sismondi  considerando  isolatamente  quelle  due  parti  di 
una  scienza  sola  ne  desume. 

Malgrado  però  questi  lievi  dispareri  noi  non  possiamo 
poi  a  meno  che  concordare  col  Sismondi  quando  dice  , 
che  la  vera  ricchezza  non  consiste  soltanto  nella  astratta 
nozione  dc-i  valore,  del  prezzo,  e  nell'abbondanza  dei 
prodotti  necessarii  ,  utili  ,  voluttuarii  ed  eleganti ,  che 
materialmente  la  compongono,  ma  bensì  che  essa  sta 
riposta  nel  concorso,  ed  influenza  della  ricchezza  istessa 
sulla  felicità,  e  sulla  dignità  morale  dell'uomo. 

Piace  perciò  anche  a  noi  il  considerare  e  lo  stimare 
la  ricchezza  sotto  questo  più  nobile  e  vero  suo  rapporto 
e  ben  vorremo  anche  noi  trovare  quella  giusta  norma 
che  la  società  dovrebbe  tenere  per  provvedere  e  per 
tutelare  costantemente  i  suoi  interessi  materiali,  e  la 
sua  sussistenza. 

Ma  non  è  poi  certo  ne  nella  soppressione  delle  mac- 
chine, ne  nella  distruzione  delle  grandi  manifatture  che 
si  può  trovare  questa  norma,  poiché  a  malgrado  di  qual- 
che momentaneo  disagio,  e  collisione  d'interessi  sarà 
però  sempre  inconcussso  che  il  voler  porre  un  freno 
alla  forza  inventiva  dell'uomo,  ed  ai  progressi  dell'in- 
dustria, sarebbe  lo  stesso  come  voler  impor  leggi  alla 
forza  generale  dell'  attrazione  che  regola  1'  economia  fi- 
sica del  creato.  L'economia  sociale  come  quella  dell'u- 
niverso continua  il  suo  corso  frammezzo  alle  due  forze 
centripeta  e  centrifuga  della  produzione,  e  della  consu- 
mazione. 

Queste  istesse  teorie  contrarie  all'  illimitato  aumento 
della  produzione  insegnate  nella  dissertazione  che  serve 
d'introduzione  al  libro  del  Sismondi  ,  si  veggono  poscia 
sempre  piìi  sviluppale  in   tutto  il    corso    dclT  opera,  ed 


121 

adattate  ai  fatti  antichi  e  recenti,  onde  dimostrarle  ezian- 
dio vere  nelle  loro  applicazioni.  Così  quando  il  Sisniondi 
considera  la  bilancia  della  consumazione  colla  produ- 
zione dopo  un  quadro  interessante  in  cui  fa  il  paralello 
fra  lo  stato  dell'industria  e  del  commercio  or  sono  ses- 
sant'anni  e  fra  quello  attuale,  immagina  un  lepido  apo- 
logo per  rappresentare  gl'inconvenienti  di  una  eccessiva 
produzione. 

—  Gandalin  ,  ci  narra  scherzando,  aveva  appreso  da 
un  negromante,  che  dicendo  alcune  magiche  parole  ad 
un  manico  di  scopa,  questo  diventava  un  j)ortatore  di 
quanta  acqua  ei  si  desiderasse;  Gandalin  proferisce  quelle 
certe  parole,  ed  il  manico  portò  tant'acqua  da  innondare 
tutto  il  suo  appartamento.  Volle  che  cessasse,  ma  luomo- 
macchina  non  intendeva  ragione,  e  continuava  spietata- 
mente a  portar  acqua,  sintanto  che  Gandalin  istizzito 
mise  a  pezzi  il  manico  portatore.  Allora  invece  di  uno 
insorsero  a  suo  servigio  altrettanti  portatori  d'  acqua  , 
quanti  erano  i  tronchi  del  manico  spezzato ,  e  quanti 
uomini-macchine  abbatteva,  altrettanti  risorgevano  per 
fare  a  suo  marcio  dispetto  1'  indiscreto  trasporto.  Tutto 
il  fiume  sarebbe  passato  nelle  stanze  del  povero  Gan- 
dalin se  il  maliardo  non  fosse  venuto  in  suo  soccorso  , 
e  non  avesse  rotto  l'incantesimo.   — 

Così  (  ecco  la  morale  che  da  questo  scherzo  deriva  il 
Sismondi),  l'acqua  non  v'ha  dubbio  che  sia  un' ottima 
cosa,  una  cosa  non  men  necessaria  alla  vita  che  il  ca- 
pitale, che  il  lavoro,  eppure  si  può  aver  di  troppo  an- 
che delle  migliori  cose.  I  filosofi  hanno  pronunciato  al- 
cune parole  magiche,  i  governi,  i  popoli,  i  capitalisti 
le  hanno  ascoltate  e  ripetute  ,  e  lutti  gli  uomini  sono 
diventati  industriali,  e  le  produzioni  si  sono  ammontic- 
chiale, e  non  si  volle  mai  ancora  badare  da  senno  se 
non  ve  n'  avesse  anche  di   troppo. 

S 


122 

Anzi  pare  che  neppure  in  oggi  si  prenda  molto  pen- 
siero di  farvi  attenzione,  soggiunge  ilSismondi,  giacché 
tutti  gli  economisti  sulle  traccie  di  Adam  Smith,  di  Ric- 
cardo, di  Say,  di  Mac-Culloch,  e  di  Senior  pensano, 
che  per  conseguire  la  prosperità  delle  nazioni  basta  au- 
mentare continuamente  la  produzione  della  ricchezza. 

Egli  è  in  seguito  alle  idee  sin  qui  riferite  che  il  Sis- 
mondi  dissente  da  quest'opinione,  tuttoché  insegnata 
da  tutti  questi  classici  economisti.  Egli  poi  ne  dissente 
perchè  sbigottito  dal  timore  che  non  vi  sia  poi  una  con- 
sumazione bastante  per  esaurire  la  produzione,  attribui- 
sce a  questa  sproporzione  ch'egli  suppone  durevolmente 
possibile  il  pauperismo,  la  miseria  'ed  i  tumulti  degli 
operaj  privi  di  lavoro  e  di  mercede.  Il  Sismondi  per  giu- 
stificare questi  suoi  timori  ricorre  agli  antichi  onde  di- 
mostrare che  essi  avevano  cercato  di  impedire  l'eccesso 
della  produzione  sulla  consumazione.  Secondo  i  loro  si- 
stemi gli  Egiziani  doviziosi  di  produzioni  del  suolo  im- 
piegavano r  operajo  a  costrurre  dei  monumenti  ,  e  non 
a  fabbricare  delle  mercanzie;  i  Sibariti  consumavano  nel 
lusso  e  nella  voluttà  gli  eccessi  della  produzione  ;  e  gli 
Ateniesi  occupavano  il  cittadino  nelle  cose  della  patria 
per  distoglierlo  dal  lavoro  soverchiamente  produttivo,  non 
aspirando  che  a  formare  uomini  superiori  per  doti  di 
animo  e  per  alacrità  di  persona  senza  punto  darsi  pen- 
siero a  produr  delle  ricchezze.  Ma  chi  vorrebbe  prendere 
a  modello  questi  antichi  sistemi  ?  Chi  vorrebbe  ottenere 
una  proporzione  tra  la  produzione  e  la  consumazione 
a  costo  de'  mezzi  usati  da  questi  antichi  popoli  per 
mantenerle  a  livello?  Chi  vorrebbe  conseguirla  ,  e  ras- 
segnarsi allo  stato  in  cui  vivevano  in  quei  secoli  le 
masse  della  popolazione?  Vi  esisteva  é  vero  una  mate- 
riale proporzione  tra  la  produzione  e  la  consumazione  , 
ma  un  istesso  equilibrio  eravi  poi  forse  nelle  varie  con- 


125 

dizioni  degli  uomini  ?  E  la  maggior  parte  di  essi  parte- 
cipava forse  a  quella  ricchezza  e  felicità  che  erano  in- 
vece riservate  a  poclìissimi ,  e  che  il  Sismondl  vuole 
che  a  tutti  vengano  proporzionatamente  distribuite?  Egli 
è  appunto  nel  fare  il  confronto  di  tempi  e  di  nazioni 
tanto  diverse  che  occorre  opportunissima  la  distinzione 
di  Romagnosi  tra  il  lusso  barbarico  che  anticamente  re- 
gnava ,  ed  il  lusso  civile  che  in  oggi  fiorisce. 

Non  soflFermandosi  a  queste  considerazioni  il  Sismondi 
tutto  rapito  nel  proprio  sistema  ritrae  in  Malthus  di 
che  appoggiarlo,  avendo  anche  questo  illustre  scrittore 
traveduta  la  necessità  di  mantenere  una  proporzione  Ira 
le  produzioni  e  le  consumazioni,  e  giudicato  che  queste 
non    erano   una   conseguenza    necessaria   della   prima. 

Ma  poi  il  Sismondi  abbandona  pur  anco  il  Malthus 
allorché  questi  dal  rivelato  disordine  ne  trae  la  strana 
induzione  che  per  attivare  la  consumazione  era  dovere 
dei  ricchi  di  moltiplicare  i  loro  piaceri  ed  i  loro  godi- 
menti ;  cosicché  le  loro  dissipazioni  e  le  profusioni  dei 
governi  dovessero  desiderarsi  come  altrettanti  atti  di  be- 
neficenza  inverso  coloro  che  devono  lavorare  per  vivere. 

Mentre  però  il  Sismondi  prende  a  confutare  le  dot- 
trine della  libera  produzione,  e  specialmente  gli  argo- 
menti addotti  dal  Riccardo  per  sostenerle,  egli  è  nulla- 
meno  costretto  di  confessare  che  non  saprebbe  trovare 
un  altro  sistema  a  sostituire  a  quello  che  tende  a  favo- 
rire l'aumento  indefinito  della  produzione,  anzi  mentre 
indica  alcune  riforme  nella  legislazione  per  cui  i  mali 
che  oggidì  provengono  a  suo  credere  dallo  squilibrio 
delle  produzioni  colle  consumazioni,  dichiara  ch'egli 
non  ha  in  verun  modo  il  pensiero  d'  incagliare  i  pro- 
gressi della  produzione  o  di  ritardar  l'applicazione  delle 
scienze  e  nemmeno  l'invenzione  delle  macchine. 

Questa  protesta  dell' autore  indica  abbastanza  che  bi- 


124 

sogna  cercare  altrove  i  rimedii  al  pauperismo,  ed  alla 
disuguaglianza  nel  riparto  delle  ricchezze  ,  che  non  nel- 
r  abolizione  dei  sistemi  della  libera  universale  concor- 
renza commerciale,  delle  associazioni  con  grandi  capitali, 
delle  grandi  manifatture,  e  delle  macchine.  Imperciocché 
ad  onta  di  tutte  le  speciose  difficoltà  ed  anche  delle  diffi- 
coltà positive,  e  momentanee  che  si  possono  fare,  e  che 
forse  esistono  contro  le  dottrine  dei  citati  economisti  in- 
glesi e  francesi,  sarà  pur  sempre  vero  ,  che  la  produzione 
creando  infiniti  mezzi  di  cambj ,  crea  pur  anche  altret- 
tante cause  di  consumazione,  e  qualunque  possa  essere  la 
quantità  dei  prodotti  che  può  aver  ottenuto  l' industria 
umana,  non  avverrà  mai  ch'essa  ne  superi  lo  smercio  e 
rimanga  lungamente  stagnante  e  dannosa.  I  bisogni,  ed 
i  desiderii  deir  uomo  sono  incommensurabili ,  ed  essi 
convertiranno  sempre  tutte  le  ricchezze ,  dopo  soddis- 
fatto al  necessario,  in  altrettanti  godimenti.  Quindi  non 
ci  sembra  troppo  esalto  il  dire  che  non  vi  possa  esistere 
vera  prosperità,  se  non  quando  la  ricerca  precede  la 
produzione,  perchè  l'esistenza,  la  vista  e  l'apparecchio 
della  produzione  invitano  già  per  se  stesse  e  solleticano 
la  ricerca  ;  e  la  consumazione  non  può  essere  per  lunga 
pezza  stazionaria,  ne  poi  si  potrebbe  immaginare  un 
modo ,  ed  un  termine  con  cui  si  potesse  ragionevol- 
mente avvertire  la  classe  produttrice  dei  varj  gradi  e 
delle  varie  vicende  della  consumazione.  Un  tale  sistema 
poi  quando  pur  fosse  possibile  non  avrebbe  forse  per  ef- 
fetto che  mantener  sopita  l'attività  umana,  oppure  ri- 
volgerla come  presso  gli  antichi  ad  opere  servili,  ad  opere 
inutili  per  il  ben  essere  della  maggior  parte  della  na- 
zione. 

Tiene  pur  anche  per  questa  opinione  il  già  lodato 
Droz  ,  il  quale  sebbene  admetta  che  alcune  volte  può 
esservi  eccesso  od    inopportunità    di    fabbricazione    o  di 


125 

spedizione  di  una  qual  data  merce,  nega  poi  che  iti  ge- 
nerale vi  possa  essere  eccessivo  aumento  di  produzione. 
Tanto  anzi  se  ne  mostra  fautore  che  non  può  trattenersi 
dair  esclamare  :  «  limitare  la  produzione]  qual  è  quell' 
»  amministratore  sagace  e  dabbene  che  non  frema  a 
»)  queste  parole,  che  non  significano  altro  se  non  che 
»  diminuire  il  lavoro  e  rincarare  la  consumazione  * i  ? 
Queste  considerazioni  dovrebbero  bastare  per  sconsi- 
gliare chicchessia  dal  disertare  la  scuola  inglese  di  Smith 
e  di  Ricardo,  e  la  francese  di  Ganilh  e  di  Say,  che 
insegnano  ogni  produzione  ingenerare  una  consumazione, 
per  seguir  quella  del  Sismondi.  Infatti  se  com'egli  dice 
la  consumazione  non  può  provenire  che  dalla  popola- 
zione congiunta  alla  ricchezza,  sembra  naturale  che  non 
si  possa  supporre  un  aumento  di  produzione  senza  sup- 
porre nello  stesso  tempo  un  aumento  di  popolazione  , 
mentre  le  cose  non  si  producono  spontaneamente  da  se 
stesse,  ma  bensì  per  il  lavoro  dell'uomo,  che  secondo 
i  principii  dello  stesso  Sismondi  è  il  padre  d' ogni  ric- 
chezza. E  già  lo  diceva  il  nostro  Galiani,  allorché  nel  suo 
libro  della  moneta  scriveva  «  non  esservi  cosa  dopo  gli 
»  elementi  piiì  necessaria  all'  uomo  che  l'uomo  ,  e  che 
»  dalla  varia  quantità  degli  uomini  dipende  il  prezzo 
»  di  tutto.  Quello  dunque  che  deve  essere  il  solo  og- 
»  getto  della  virtuosa  avidità  degli  uomini,  perchè  vera 
»  ricchezza  è  1'  uomo.  L' uomo  solo  dovunque  abbondi 
»  fa  prosperare  uno  stato.  )>  Dove  dunque  v'ha  popola- 
zione e  produzione  ivi  v'ha  necessariamente  la  ricchezza, 
perchè  per  la  forza  ingenita  delle  cose,  queste  tre  con- 
dizioni di  popolazione ,  di  produzione  e  di  consuma- 
zione non  stanno  separate  l'una  dall'altra,  ma  sono  l'una 
sull'altra  vicendevolmente,  ed   irremissibilmente    opera- 

*i   Loc.  cit.  lib.  2,  cap.  5. 


126 

trici  e  come  eausa  ed  effetto.  Lo  dice  lo  stesso  Sismondi 
con  queste  precise  parole  :  population ,  production,  con- 
sommation  ,  accumulation ,  prosperile j  misere  j  tout  se 
He  ali  revenu  j  tout  s'explique  par  le  revenu. 

Crediamo  pertanto  cosa  assurda,  ed  impossibile  che 
in  uno  stato  progressivo  della  società  vi  possa  essere  pro- 
duzione senza  consumazione,  o  con  una  consumazione 
sproporzionatamente  minore.  Ciò  potrà  forse  succedere 
in  un  isolato  e  passeggero  frangente,  od  in  qualche  crisi 
commerciale  o  politica  ,  ma  poscia  le  cose  per  la  pro- 
pria loro  natura  e  condizione,  e  quando  nel  resto  gli  or- 
dini pubblici  siano  buoni,  non  indugiano  poi  molto  ad 
equilibrarsi.  Così  abbiamo  veduto  nel  tempo  del  blocus 
continentale  esservi  in  Francia  difetto  di  produzione, 
ma  ben  tosto  sollevarsi  con  tutta  la  sua  energia  V  indu- 
stria nazionale,  sorgere  e  perfezionarsi  le  manifatture; 
ed  all'opposto  in  Inghilterra  dove  trovavasi  sovrabbon- 
danza di  produzione,  e  difetto  di  consumazione,  aprirsi 
nuovi  canali  allo  spaccio  degli  oggetti  prodotti,  ed  esten- 
dersi il  suo  commercio  nelle  Indie ,  ed  in  paesi  quasi 
insino    allora  sconosciuti  *i. 

'''i  Una  tal  discussione  può  forse  nelle  circostanze  presenti  essere 
particolarmente  interessante  ed  opportuna  sul  proposito  delle  sete.  — 
E  noto  r  attuale  decadimento  nel  valore  delle  sete ,  e  la  grande  quan- 
tità di  esse  rimaste  invendute  ed  inoperose.  Ora  s'ingannerebbe  chi 
attribuisse  siffatto  accidente  od  alla  migliorata  coltivazione  dei  gelsi 
od  all'  aumento  strabocchevole  dei  prodotti  serici  o  ad  un  supposto 
difetto  di  consumazione*  Piuttosto  vuoisi  attribuire  a  cagioni  più 
remote  e  meno  osservate  ,  come  pur  anco  ai  vincoli  commerciali 
tuttora  esistenti  in  fatto  di  sete.  Confidando  forse  ancora  di  troppo 
sopra  gli  effetti  di  questi  regolamenti  proibitivi  i  filanti  non  guarda- 
rono a  pagare  i  bozzoli  ad  un  prezzo  elevato.  Se  invece  già  fosse 
stata  in  vigore  un'  assoluta  libertà  nella  vendita  ed  uscita  delle  sete 
greggie ,  i  filanti  allora  non  dovendo  più  tanto  pensare  a  conservare , 
od  a  provvedere  le  sete  per  assicurarsi  il  lavoro  nei  filatoj,  avrebbero 


127 

È  d'uopo  aver  presenti  queste  osservazioni  allorché  il 
Sismondi  passa  a  trattare  1'  argomento  della  rendita  so- 
ciale y  e  Io  esamina  sotto  l'influenza  delle  stesse  preven- 
zioni e  degli  stessi  timori.  Prima  di  definire  cosa  intenda 
col  nome  di  rendita  sociale,  egli  risale  all'origine  delle 
società,. e  dice  che  nell'infanzia  delle  medesime  la  pro- 
duzione era  ristretta  al  puro  bisogno  della  sussistenza  , 
o  tutto  al  più  al  cambio  delle  cose  necessarie  alla  vita- 
Ma  ora  per  poter  vivere,  eì  soggiunge,  bisogna  che  il 
produttore  possa  vendere,  né  vi  può  esser  rendita  senza 

forse  subito  esitata  la  maggior  parte  di  esse ,  mentre  le  ricerche 
erano  maggiori ,  ed  il  prezzo  delle  sete  presentava  ancora  un  bene- 
ficio. Inoltre  non  si  lamenterebbe  mai  alcun  ingombro  di  sete  ove 
in  proporzione  del  loro  aumento  nella  primitiva  produzione  si  fossero 
pure  aumentate  le  fabbriche  ed  i  setificj  del  paese.  Alla  crisi  attuale 
pertanto  ed  al  rinnovamento  di  essa  in  avvenire  possono  servire  di 
rimedio  ed  una  compiuta  libertà  di  commercio  ,  ed  un  aumento  di 
stabilimenti  destinati  a  lavorare  la  seta.  D' altronde  qualora  continui 
a  crescere  la  produzione  delle  sete ,  allora  resta  inevitabile  la  dimi- 
nuzione nel  prezzo  de'  bozzoli ,  e  perciò  la  consumazione  non  tarde- 
rebbe a  parificarsi  colla  produzione  sia  col  rendersi  più  diffuso  e 
comune  anche  a  favore  delle  classi  meno  agiate  1'  uso  delle  stoft'e 
di  seta ,  sia  coli'  impiego  di  una  maggior  quantità  di  materia  nella 
fabbricazione  delle  medesime  ecc.  ecc.  Questi  rimedii  o  succedenti 
per  la  naturale  tendenza  degli  eventi ,  o  per  l'attrito  degli  universali 
interessi ,  o  per  un  savio  spirito  intraprendente  dei  capitalisti  sareb- 
bero forse  più  efficaci,  e  più  radicalmente  proficui  per  riparare  alla 
crisi  attuale,  od  almeno  per  impedirne  il  ritorno  che  non  sia  l' im- 
maginata apertura  di  Monti  ossiano  depositi  di  seta  fattisi  da  società 
private,  o  dai  Governi.  Infatti  sebbene  ciò  potesse  al  momento. re- 
care qualche  giovamento  alle  classi  agricole  o  commercianti,  pure  in 
progresso ,  e  dato  massime  che  la  crisi  continuasse  oltre  un  anno  ,  e 
l'inazione  delle  fabbriche  estere  non  cessasse ,  allora  certamente  quel 
ritrovato ,  anche  per  la  stessa  facilità  di  procurarsi  il  numerario ,  ben 
lungi  dall'  aver  fatto  un  durevole  vantaggio  all'  agricoltura  ed  al 
commercio ,  non  sarebbe  stato  che  un  effimero  palliativo  capace  a 
condurre  i  commercianti  a  maggiori  discapiti ,  ed  a  più  corta  rovina. 


128 

the  vi  sia  smercio.  II  prodotto  di  questo  smercio  forma 
il  reddito  tanto  dell'individuo  come  della  società.  Quindi 
la  rendita  sociale  è  il  complesso^  la  riunione,  la  somma 
delle  vendite  di  ciascuno,  e  quanto  maggiore  è  la  ren- 
dita di  ciascun  individuo,  di  ciascuna  famiglia  j  altret- 
tanto maggiore  è  la  rendita  dello  stato.  E  siccowie  ogni 
individuo  e  ogni  famiglia  regola  la  spesa  e  lo  stabili- 
mento, e  l'aumento  di  essa  sopra  il  proprio  reddito, 
così  la  società  deve  regolare  sopra  il  prodotto  universale 
le  sue  uscite,  la  sua  popolazione,  il  suo  grado  di  pro- 
sperità. 

Posto  il  principio  che  la  rendita  e  lo  smercio  non 
dipende  dalla  volontà  del  produttore  o  del  possessore 
delle  merci ,  ma  bensì  dal  bisogno  del  consumatore  , 
il  Sismondi  trae  la  conseguenza  (secondo  noi  ,  troppo 
generale  ed  assoluta)  che  quando  il  consumatore  è  giunto 
al  segno  di  non  aver  più  bisogno  di  comperare,  la  ven- 
dita cessa,  e  la  produzione  rimane  inutile,  e  non  fa 
più  che  ingombrare  i  fondachi  ed  i  luoghi  dove  suole 
esporsi  in  vendita,  e  divenir  quindi  anche  cagione  della 
rovina  stessa  del  produttore.  Partendo  da  questi  prin- 
cipii  il  Sismondi  asserisce  che  la  rendita  tanto  per  l'in- 
dividuo, come  per  la  società  non  cresce  in  proporzione 
della  produzione,  e  quindi  proclama  di  nuovo  la  neces- 
sità di  agguagliare  la  produzione  al  bisogno  del  con- 
sumatore ,  e  di  proporzionarla  in   ragione   delle  domande. 

Questo  sbilancio,  continua  sempre  il  Sismondi,  si  ri- 
scontra tra  la  produzione  e  la  consumazione,  tra  la 
quantità  dei  prodotti  e  la  scarsità  delle  vendite  e  del 
reddito  ,  tanto  in  fatto  delle  produzioni  del  suolo,  come 
in   quelle   delle   arti    e  delle  manifatture. 

Rispetto  alle  manifatture  egli  vede  bensì  che  l'indu- 
stria dopo  essersi  affaticata  ad  accrescere  la  quantità  dei 
prodotti,    si     rivolge    a    perfezionarne   le    qualità,    e    da 


129 

ciò  riconosce  una  nuova  sorgente  di  lavoro  e  di  rendita; 
ma  anche  per  questa  parte  egli  giudica  necessarii ,  ed 
inevitabili  i  confini ,  e  nello  stesso  modo  che  la  quan- 
tità è  deslinata  per  soddisfare  i  bisogni ,  e  deve  rego- 
larsi sul  numero  dei  consumatori,  così  la  qualità  ossia  le 
modificazioni  venendo  a  soddisfare  le  esigenze  dell'agia- 
tezza, devono  pur  anche  proporzionarsi  sulla  scala  degli 
agj  che  i    cittadini  posseggono. 

Riguardo  poi  all'agricoltura  affermando  che  in  Europa 
la  popolazione  non  cresce  pi«ù  che  di  una  centesima  parte 
per  anno ,  vorrebbe  pur  anche  che  la  produzione  non 
eccedesse  questa  proporzione.  Con  questo  non  è  già  che 
il  Sismondi  paventi  come  paventava  il  Malthus  un  au- 
mento così  fatto  di  popolazione,  che  col  tempo  si  giunga 
a  tal  croce  da  non  aver  più  i  mezzi  necessarii  per  la 
sua  sussistenza,  ed  il  genere  umano  abbia  a  terminare 
per  morir  di  fame  ;  egli  anzi  dimostra  che  ciò  è  impos- 
sibile a  succedere,  e  gli  tocca  qui  di  confessare  che  la 
popolazione  si  misura  naturalmente  sopra  i  suoi  mezzi  di 
sussistenza. 

Ma  con  tutto  ciò,  è  il  Sismondi  che  conchiude,  se- 
condo gli  impulsi  dati  in  oggi  dall'economia  politica  né 
r  agricoltore,  né  il  manufattore  si  arrestano  alla  surrife- 
rita misura  della  popolazione,  e  poiché  vi  può  essere 
nello  stesso  tempo  eccessività  di  prodotti  e  deficienza  di 
reddito,  dice  che  in  questo  caso  può  bensì  risultare  un 
beneficio  particolare  e  privalo  dell'  agricoltore  e  dell'ar- 
tefice, ma  però  afferma  che  da  questo  sbilancio  ne  na- 
sce un  generale  conflitto  d'interessi  contrarii,  per  cui 
ogni  produttore  cerca  di  soppiantarsi  l'un  l'altro,  e  viene 
intanto  a  diminuirsi  in  massa  ,  ed  a  scemare  in  gene- 
rale per  la   società  la  somma  della    rendita. 

Sin  qui  il  Sismondi.  Sebbene  tutti  questi  ragionamenti 
contengano  fuor  di  dubbio  qualche  parte,  ed  anche  molta 


130 

parte  di  vero ,  tuttavia  le  conclusioni  che  poscia  se  ne 
vogliono  dedurre  non  ci  sembrano  tutte  egualmente  giu- 
ste e  sensate',  ed  anzi  talune  ci  pajono  sentire  assai 
del  paradosso. 

La  prima  di  queste  conclusioni  si  è  che  può  esservi 
anche  eccesso  delle  migliori  cose,  e  così  il  lavoro,  il 
capitale,  la  produzione  per  quanto  ottime  cose  siano 
per  se  stesse  possono  nuUameno  essere  eccessive,  e  quando 
son  tali  nuocere  alla  società. 

La  seconda  conclusione  si  è  che  non  è  vero  che  la 
lotta  degli  interessi  individuali  basti  a  promuovere  i  beni 
di  tutti  j  e  così  non  essere  né  giusto,  ne  utile  il  sistema 
della  libera  concorrenza ,  ma  dovere  invece  l' attività 
umana  soggiacere  alla  vigilanza  ed  ai  regolamenti  re- 
pressivi dell'  autorità  per  poter  ottenere  una  proporzio- 
nata formazione  e  distribuzione  delle  ricchezze  e  della 
rendita  sociale. 

Ognun  vede  quanto  siffatte  conclusioni  si  scostino  dalle 
dottrine  dei  più  classici  economisti.  Forse  il  Sismondi 
vi  giunse  e  le  adottò  perchè  prese  a  considerare  isola- 
tamente dapprima  i  bisogni ,  e  le  condizioni  dell'  indi- 
viduo, poscia  quelle  della  famiglia,  ed  in  seguito  ne 
applicò  tutti  i  fatti  e  le  conseguenze  all'intiera  società. 
Ma  se  questo  metodo  di  raziocinare  può  condurre  allo 
scoprimento  di  qualche  verità  astratta ,  esso  poi  può 
soventi  trarre  in  inganno  quando  si  viene  ad  esaminare 
lo  stato  concreto  e  generale  delle  grandi  masse  sociali. 
Sotto  questo  ben  diverso  punto  di  vista  molte  cose  che 
pajono  vere  applicate  ali"  individuo  od  a  qualche  isolata 
società,  cessano  di  essere  tali  se  vogliono  applicarsi 
alle  grandi  nazioni,  considerate  nel  loro  complesso,  nel 
movimento  e  nello  sviluppo ,  nella  generale  reciprocità 
di  tutte  le  tendenze,  di  tutti  gl'interessi  che  attualmente 
le  danno  vita  e  le  fanno  progredire.    D'altronde  la  prò- 


131 

dazione  massime  in  fatto  d'agricoltura  la  necessariamente 
aumentare  la  popolazione  y  e  così  la  consumazione  :  e 
la  modificazione  stessa  ed  il  perfezionamento  indefinito 
che  r  industria  e  le  arti  danno  a  vicenda  ai  prodotti 
primitivi  sono  ancor  essi  altrettanti  mezzi  di  consuma- 
zione. 

In  ultima  analisi  poi  per  quanto  i  prodotti  agricoli, 
ed  anche  quelli  industriali  siansi  aumentati  non  si  è 
però  mai  veduto ,  né  certamente  si  vedrà  mai  che  ab- 
bia dovuto  marcire ,  e  corrompersi  senza  alcun  profitto 
una  quantità  di  granaglie,  ne  incendiarsi,  o  gettarsi  in 
fondo  dell'acqua  i  colli  di  mercanzie.  Anzi  si  è  sempre 
veduto,  a  misura  che  i  prodotti  crescono,  crescere  pur 
anche  la  popolazione ,  migliorarsi  il  suo  nutrimento , 
ed  aumentarsi  le  dolcezze  dell'esistenza.  Così  egualmente 
si  è  veduto  che  a  misura  che  i  prodotti  industriali  si 
moltiplicano ,  scemando  essi  di  prezzo  ed  anche  di  du- 
rata, crescono  perciò  nella  stessa  proporzione  i  mezzi, 
la  facilità,  il  desiderio  ed  il  bisogno  della  provvista. 

È  noto,  per  cagion  d' esempio ,  che  quando  s'inven- 
tarono i  telai  da  calze  ne  crebbe  il  consumo  nella  pro- 
porzione che  pur  col  loro  mezzo  n'era  cresciuta  la  pro- 
duzione. D'altronde  l^interesse  individuale  impedirà  sem- 
pre questo  temuto  sbilancio  :  allorché  per  la  troppa  pro- 
duzione i  prezzi  saranno  inviliti  a  segno  che  non  riesca 
più  proficua  la  fabbricazione  de'  prodotti  industriali ,  egli 
è  palese  che  la  produzione  rallenterà  da  se  stessa  e  ces- 
serà anche  del  tutto,  per  rianimarsi  soltanto  quando 
nuove  ricerche  aprano  la  via  ad  un  nuovo  smercio. 

Permettendoci  queste  osservazioni,  sulle  opinioni  di 
un  autore  così  rispettabile  come  il  Sismondi,  noi  siamo 
però  ben  lontani  dal  negare  che  nella  graduata  e  ge- 
nerale distribuzione  della  ricchezza  e  della  rendita  so- 
ciale non  consista  il  vero  oggetto  dell'economia  politica. 


132 

cioè  il  ben  essere  di  tutti  i  membri  della  società:  ma 
noi  soltanto  pensiamo  che  dessa  si  possa  ragionevol- 
mente e  per  la  naturale  necessità  delle  cose  e  delle  buone 
direzioni  civili  ottenersi  permettendo  non  solo,  ma  an- 
che favoreggiando  1'  aumento  della  produzione,  e  la- 
sciando libero  il  concorso  di  tutte  le  facoltà  industriali 
del  cittadino  per  ottenerlo. 

Ad  uno  stesso  modo  noi  concordiamo  col  Sismondi, 
che  dove  non  vi  è  questa  divisione  e  questa  distribu- 
zione del  reddito  sociale,  vale  a  dire  della  prosperità  e 
della  ricchezza  nazionale  fra  tutte  le  classi  dei  cittadini, 
e  quando  chi  lavora  non  può  avere  la  sua  parte  di 
quel  ben  essere  ,  che  lavorando  ha  voluto  procurarsi , 
ed  a  cui  ha  dritto,  allora  procedono  tutti  quei  disagj 
e  quei  patimenti  che  egli  trova  nelle  moderne  società. 
Per  ripararli,  crediamo  ancor  noi,  neppure  allora  sono 
più  sufficienti  i  loro  stessi  piiì  recenti  e  preziosi  trovati. 
Almeno  il  Sismondi  vorrebbe  persuadercene  colle  seguenti 
parole  :  «  Egli  è  inutile  lo  aprire  al  popolo  delle  casse 
»  di  risparmio  se  prima  non  si  assicura  che  ha  una  ren- 
»  dita  su  cui  potrà  risparmiare:  egli  è  inutile  occuparsi 
»  della  sua  educazione,  della  sua  istruzione,  se  prima 
»  non  lo  si  assicura  che  il  tempo  che  deve  impiegare 
))  per  procurarsi  il  reddito  necessario  gli  lascierà  alcun 
»  poco  di  riposo  per  poter  pensare  ed  alcun  poco  di  vi- 
»  gore  per  meditare,  egli  è  inutile  spingerlo  alla  scoperta 
»  di  un  nuovo  genere  di  produzione  se  prima  non  è 
»  certo  che  questa  gli  frutterà  un  premio  corrispondente 
»  ai  suoi  sforzi  per  ottenerla,  egli  è  inutile  dischiudergli 
»  il  commercio  all'  estero  se  non  può  essere  certo  che 
»  vendendo  ai  forestieri  egli  aumenterà  il  suo  profitto, 
»  se  comprando  dai  forestieri  il  risparmio  che  egli  farà 
»  di  una  parte  della  sua  rendita  non  distruggerà  poi 
»  nel  proprio  suo  paese    qualche   altra  rendita  più  im- 


»  portante.  »  Ma  anche  in  queste  declamazioni  ci  duole 
osservare  quell'uggia  sistematica  che  trascina  il  Sismondi 
neir  esagerato,  dappoiché,  se  fossero  state  sempre  prima 
necessarie  tutte  queste  certezze,  lo  spirito  umano  avrebbe 
dormito   un   sonno  eterno. 

Noi  dunque  ove  dovessimo  conchiudere  il  nostro  giù. 
dizio  su  quest'opera  del  Sismondi,  diremmo  che  in  gene- 
rale si  può  convenire  perfettamente  sui  risultati  che  il 
Sismondi  desidera  per  la  maggior  felicità  degl'  individui 
e  delle  nazioni,  ma  che  poi  non  si  può  egualmente 
convenire  in  tutti  i  mezzi  che  egli  propone  per  otte- 
nere quei    risultati. 

Laonde  teniamo  per  fermo  che  1'  aumento  della  pro- 
duzione,  e  la  libertà  dell'industria  non  sono  le  cagioni 
degli  accennati  dissesti  sociali.  Se  infatti,  come  afferma 
lo  stesso  Sismondi,  la  popolazione  si  ragguaglia,  e  si 
compensa  da  se  eoi  mezzi  di  sussistenza  in  guisa  che 
non  può  mai  tanto  crescere  la  popolazione  che  più  non 
vi  siano  viveri  sufficienti  per  nutrirla,  cosi  la  produ- 
zione sia  dei  frutti  della  terra,  che  dell'opera  dell'uomo 
si  porrà  sempre  da  se  stessa  in  equilibrio  colle  ricerche 
e   coi   bisogni   dei   consumatori. 

Abbiasi  dunque  per  vero ,  che  la  rendita  sociale  sia 
l'ultimo  prodotto,  il  beneficio  derivante  da  tutto  il  la- 
voro ,  da  tutti  gli  sforzi ,  da  tutte  le  risorse  dell'  indi- 
viduo e  della  società,  e  che  si  distribuisce  o  deve  di- 
stribuirsi a  vantaggio  proporzionato  di  tutti  ,*  ma  non 
si  creda  con  ciò  che  questo  si  possa  soltanto  ottenere 
con  limitare  e  vincolare  .gli  slanci  ed  i  progressi  dell' 
industria,  poiché  invece  noi  il  crediamo  risultare  gra- 
datamente dall'incremento  della  popolazione  e  della  pro- 
duzione. Imperocché  le  molte  ricchezze  possono  essere 
soltanto  perniciose  quando  si  aumentano  in  mani  di 
pochi  ,  e   questi  pochi  o  le  ritengano    avaramente  ino- 


134 

perose,  o  se  le  impiegano,  le  sprecano  psr  Gorrompere 
«è  od  altrui  ;  e  si  è  allora  che  Bacone  ha  ragione  di 
dire,  parlando  però  all'individuo,  e  non  ad  un'intiera 
nazione  ,  che  le  ricchezze  sono  come  le  armi  ed  il  ba- 
gaglio del  soldato:  non  deve  averne  di  più  di  quel  che 
serve;  se  non  serve  impaccia.  Ma  quando  all'incontro  per 
li  buoni  ordini  della  società,  e  perchè  la  civiltà  è  tanto 
avanzata  ,  che  tutti  lavorando  secondo  i  propri  mezzi 
e  la  propria  condizione  possono  partecipare  alle  ric- 
chezze, e  quegli  stessi  che  le  hanno  acquistate  sono  co- 
stretti di  porle  di  bel  nuovo  in  circolazione  se  pur  vo- 
gliono goderne,  allora  l'aumento  delle  ricchezze  non 
sarà  mai  nocevole ,  ma  bensì  fruttuoso. 

Per  le  quali  cose  se  non  possiamo  in  tutto  sotto- 
scrivere alle  conclusioni  del  Sismondi,  e  così  se  nep- 
pure il  possiamo  quando  crede  che  per  rendere  parte- 
cipi tutti  i  membri  della  società  della  rendita  sociale, 
o  per  dir  meglio  per  far  sì  che  la  prosperità  nazionale 
si  diffonda  sopra  di  tutti,  dovrebbe  la  podestà  legisla- 
trice contenere  in  qualche  limite  la  libertà  e  l'operosità 
dell'  industria  umana  ;  così  però  non  possiamo  non  far 
plauso  ai  voti  ed  alle  intenzioni  di  questo  illustre  au- 
tore allorché  richiama  particolarmente  l'attenzione  e  la 
generosa  protezione  dell'autorità  sovrana  sopra  la  classe 
povera  e  lavoratrice,  e  prima  d'ogni  altra  sopra  quella 
più    numerosa  che  vive   addetta   all'  agricoltura. 

In  conclusione  perciò  (terminando  questo  nostro  primo 
articolo  sull'opera  del  Sismondi  ),  noi  sebbene  siimo  ve- 
nuti sinora  dubitando  sulla  verità  e  sull'  esattezza  di  al- 
cune fra  le  sue  opinioni ,  pure  dobbiamo  tanto  per  atto 
di  giustizia  ,  come  per  sentimento  d' interna  nostra  sod- 
disfazione confessare  che  queste  pur  anco  sue  meno  con- 
sentite e  meno  approvabili  opinioni,  gli  sono  però  sem- 
pre dettate   da    un    senso  profondo    di   filantropia    e  di 


135 

umanità  per  le  classi  povere  e  sofferenti  della  società. 
In  ciò,  e  questo  onora  altamente  il  suo  cuore  ^  il  Sis- 
mondi  non  sì  smentisce  mai.  Se  la  maggior  parte  degli 
economisti  sembra  talvolta  dimenticarsene;  quanto  a  lui, 
lo  stato  infelice  della  classe  lavoratrice  gli  sta  continua- 
mente dinanzi  agli  occhi,  e  tutti  i  suoi  studj ,  le  sue 
ricerche,  i  suoi  insegnamenti  hanno  per  iscopo  costante 
di  migliorarne  la  sorte  e  di  alleviarne  i  patimenti.  Ma 
colpito  forse  da  una  fatale  coincidenza  di  questo  stato, 
che  commosse  l' anima  sua  generosa  e  sensitiva ,  colle 
dottrine  che  gli  odierni  economisti  professano,  credette 
che  la  cagione  se  ne  dovesse  ripetere  da  queste  stesse 
dottrine  ed  intraprese  le  sue  ricerche  ed  i  suoi  studj 
economici  sotto  l' influenza  di  questa  prevenzione.  Ei  si 
fu  questa  prevenzione  apparentemente  che  lo  condusse 
talvolta  ad  emettere  principii  e  conseguenze  rnen  vere 
ed  esagerate,  ed  a  scambiare  l'indefinito  e  spontaneo 
aumento  della  produzione,  affidato  alla  libera  industria 
umana  ed  a  quella  ragionevolezza  e  provvidenzial  mi- 
sura con  cui  si  governano  sempre  tutti  i  progressi  della 
società,  con  una  cieca  ed  illimitata  produzione,  con  una 
produzione  sempre  necessariamente  crescente,  soffocante 
e  fatale. 

/ivi'.  Severino  Battaglione. 


136 
SCIENZE    MEDICHE 


DELL    OMIOPATIA     IM    VIEWWA.    LETTERA. 


Fratello  carissimo 


Quando  sono  partito  per  Vienna  tu  mi  hai  chiesti  , 
ed  io  ti  ho  promessi  i  maggiori  ragguagli  possibili  sullo 
stato  della  medicina  in  questi  paesi,  ma  non  riceven- 
done tu  alcuno  da  me  nelle  lettere,  che  ti  ho  finora 
dirette,  hai  potuto  credere  che  io  avessi  dimenticata  la 
mia  promessa  5  niente  affatto,  fratello  mio,  io  ho  visti 
alcuni  di  questi  professori,  ho  visitati  ospedali,  ho  letti 
giornali  di  medicina,  mi  sono  procuralo  note  da  un 
giovane  medico,  mio  amico,  ed  ho  ritardato  di  parte- 
ciparti quanto  era  giunto  a  sapere,  perchè  voleva  es- 
sere in  caso  di  parlartene  colla  maggior  cognizione  dì 
causa  possibile  per  un  povero  profano  in  questa  scienza 
come  io  mi  sono.  Eccoti  ora  il  primo  frutto  di  questo 
ritardo,  a  cui  forse  farò  succedere  altre  lettere,  che  po- 
trai chiamare  mediche  ,  se  questo  titolo  non  è  troppo 
orgoglioso^  e  se  tu  non  ti  stancherai  di  leggere,  ed  io 
di   scrivere ,  come   è  probabile. 

Comincio  dal  descriverti  quanto  concerne  1'  oraio- 
patia  in  questa  città;  i.°  perchè  tu  mi  hai  chiesto  par- 
ticolari  informazioni   su    questo    oggetto;  —   2,"    perchè 


137 

questa  era  la  questione  vitale  della  medicina  germanica; 
—  3."  perchè  dalla  propagazione  di  questo,  che  non  so 
se  si  debba  chiamare  contagio  medico  nella  città  di 
Vienna,  potrai  arguire  dell'incremento  acquistato  nel  re- 
sto della  Germania  poiché  procedette  quasi  ovunque 
nello  stesso  modoj  quando  questa  questione  sarà  esaurita, 
ti  darò  qualche  cenno  siiìV  idropati  a  ed  altri  sistemi  me- 
dici seguiti  ncir  Alemagna ,  sui  modi  clinici  messi  in 
pratica  negli  ospedali,  sulla  letteratura  medica:  ed  anche 
qualche  cenno  sulle  scienze  sue  sorelle ,  ma  tu  dovrai 
essere  indulgente  con  me,  se  qualche  volta  troverai  stor- 
piati i  tuoi  nomi  di  scienza  ,  e  tenermi  solo  conto  della 
buona   volontà. 

Hahnemann  come  collaboratore  al  giornale  di  Huf- 
feland  *i  si  era  mostrato  valente  indagatore  della  na- 
tura ,  ed  era  come  tale,  favorevolmente  conosciuto  quando 
rese  pubbliche  nel  trattato  sul  caftè  *2  le  sue  viste  so- 
pra la  doppia  azione  dei  medicamenti  (  azione  antece- 
dente ,  e  susseguente),  trattato,  che  fece  alta  impres- 
sione nelle  Germanie  ,  e  dovrebbe  valere  d'introduzione 
al  suo  Organon  *3 ,  che  venne  nel  1810  a  sorprendere 
questi  paesi  col  suo  strano  contenuto,  e  coll'arrogante 
dizione.  Naturalmente  una  dottrina  cosi  straordinaria 
dettata  in  tuono  non  meno  straordinario  non  poteva 
trovare  i  suoi  primi  proseliti  nel  pubblico  medico  ;  essa 
si  rifuggi©  dunque  come  fa  ogni  cosa  oscura,  che  non 
regge  al  tribunale  di  un  giudice  superiore,  presso  le 
classi  indotte,  i  cui  applausi  Hahnemann  ottenne  di  leg- 
gieri,  mediante  l'apparente  semplicità  del  suo  metodo, 
ed  alcuni  felici  successi  ;  ma  più  tardi  i  vantaggi  pecu- 
niari ,  che  egli  riportò  malgrado  i  gridi  degli  Alliopatici, 
indussero  alcuni  giovani  medici  a  giurare  per  la  barba 
del  nuovo  Paracelso,  ed  a  servire  ai  capricci  del  pub- 
blico. Sino  all'anno    1810   l'omiopatia  era  rim;isla    però 


138 
nella  ristretta  sfera  del  suo  fondatore  ,  ma  in  sul  finir 
di  queir  anno  il  Dottore  Marienzeller,  medico  dello 
stato  maggiore  dell'armata,  si  presentò  a  Vienna ,  come 
proselite  della  nuova  dottrina  ,  ed  ebbe  un  successo 
così  favorevole  che  egli  vide  ben  tosto  la  maggior  parte 
della  nobiltà  più  cospicua  obbediente  al  suo  scettro 
omiopatico ,  ed  indusse  e  medici  e  pubblico  all'  imita- 
zione. Cinque  anni  piiì  tardi  un  altro  omiopatico  il 
Dottore  Lichtenfels ,  ebbe  voga  così  grande  presso  la 
classe  media  del  popolo  Viennese ,  che  dai  tempi  di 
Pietro  Frank  in  qua  nessuno  in  questa  città  sa  ricor- 
darsi un  simile  concorso  presso  un  medico.  Questo 
romoroso  successo,  forse  anche  il  considerevole  onora- 
rio che  gli  omiopatici  domandavano,  e  ricevevano  (  cioè 
un  ducato  per  caduna  visita  ,  locchè  corrisponde  a  do- 
dici lire  nuove  di  Piemonte  )  destarono  gli  Alliopatici 
dalla  loro  apatia,  ed  il  giovane  medico,  da  cui  ebbi  la 
maggior  parte  di  queste  notizie  mi  disse  ricordarsi  egli 
benissimo  del  tempo,  in  cui  quasi  tutti  i  medici  ricor- 
revano all'omiopatia  nei  casi  i  più  disperati ,  quasi  ad 
ultimo  tentativo ,  ed  aver  egli  stesso  assistito  ad  un 
consulto  dei  medici  i  più  distinti  di  Vienna,  in  cui  ten- 
tarono in  una  ostruzione  mesenterica  ostinata  l'omio- 
patia  ,   però   senza  il  menomo  vantaggio. 

Ben  tosto  si  convinsero  gli  Alliopatici  dell'esagerazione 
delle  guarigioni  miracolose,  che  si  attribuivano  gli  Hah- 
nemannisti  ,  e  nacque  quindi  una  divisione  più  distinta 
fra  i  due  partiti ,  divisione  che  non  tardò  guari  a  vol- 
gersi in  odio  aperto,  mediante  la  crescente  influenza 
di  Hahnemann  ,  poiché,  come  ben  sai,  si  disprezzano 
i  deboli,  e  l'odio  è  il  privilegio  dei  potenti  j  e  tale  era 
divenuto  il  partito  omiopatico,  al  cui  dilatamento  in 
Austria  pare  aver  contribuito  altamente  il  sacerdozio, 
che  qui  come  altrove  spinto  dal  desiderio  di  beneficare 


139 

r  umanità  ,  cai  lo  ehiania  l'esercizio  del  suo  ministe- 
ro ,  e  dalla  mancanza  di  medici  alle  campagne  ,  e'  si 
intrude  così  volentieri  nello  studio  della  medicina  , 
che  tanto  vale  a  conciliargli  necessaria  influenza  presso 
le  classi  meno  agiate  della  popolazione.  Al  sacerdozio 
già  travagliato  da  tante  occupazioni  non  poteva  non 
riescire  bene  accetto  un  metodo  cosi  facile  ,  mediante 
cui  senza  veruna  cognizione  preliminare  si  può  diven- 
tare medico  perfetto  in  pochi  giorni ,  ed  io  mi  ricordo, 
che  nel  nostro  Piemonte  il  così  detto  sistema  di  Leroy 
aveva  il  massimo  numero  di  aderenti  presso  questo  ve- 
nerabile ceto  di  persone.  Insomma  i'omiopatia  ebbe  tanto 
favore  a  Vienna,  che  il  succitato  D.  Marienzeller  ebbe  , 
non  senza  lunga  resistenza  ^  dal  magistrato  medico  su- 
premo la  facoltà  di  trattare  omiopaticamente  una  parte 
dell'ospedale  militare  sotto  la  vigilanza  del  celebre  Bi- 
schoff  (professore  deiraccademia  Giuseppina,  ed  autore 
della  nota  Pìretologia  *4  )  unitamente  ad  altri  medici 
distinti;  i  risultati  di  questo  tentativo  pubblico  furono 
quali  erano  aspettati  dalla  maggior  parte  dei  medici  , 
cioè  la  mortalità  fu  eccedente,  e  tra  gli  ammalati  risa- 
nati la  maggior  parte  lo  furono  in  grazia  della  dieta  ri- 
gorosa, a  cui  erano  astretti,  la  minor  parte  in  virtù  dei 
medicamenti. 

L'  omiopatia  ritrasse  da  questa  pubblica  lotta  ben 
altro  che  gloria  ,  e  rimase  quindi  per  alcuni  anni,  sic- 
come ogni  moda  che  perdette  il  solletico  della  novità, 
indifferente  al  pubblico.  In  generale  ad  onta  dell'  appa- 
rente affollamento  alla  loro  porta  gli  omiopatici  di  quel 
tempo  non  potevano  vantarsi  di  una  clientela  perma- 
nente, poiché  non  si  ricorreva  all'opera  loro,  se  non  che 
nei  casi  cronici  della  specie  più  disperata,  in  cui  l'arte 
umana  non  poteva  più  nulla.  Ed  un  avvenimento  stiano 
venne    allora   a   renderli   sospetti    ben    a    ragione ,    e  fu 


140 

motivo  che  venne  loro  interdetto  per  breve  tempo  l'e- 
sercizio. Il  D.  Lichtenfels  seppe  indurre  una  giovanetta 
a  lasciarsi  magnetizzare,  e  questa  bene  istrutta  come 
doveva  fare  la  sua  parte  consigliò  nel  suo  finto  sogno 
magnetico  il  cardinale  Rodolfo  fratello  del  defunto  Im^ 
peratore,  a  servirsi  di  mezzi  oraiopatici  contro  quel 
genere  di  epilepsia ,  conosciuta  volgarmente  in  Piemonte 
sotto  il  nome  di  male  di  S.  Gioanni ,  da  cui  egli  era 
travagliato;  l'inganno  venne  scoperto  dagli  astanti,  e 
rese  per  qualche  tempo  vacillanti  i  fautori  dell' omio- 
patia.  A  Vienna  ogni  avvenimento  serio ,  o  piacevole 
viene  ben  tosto  logorato  da  un  numero  infinito  di  aned- 
doti,  finche  stanchi  delle  proprie  ciarle  questi  buoni 
Viennesi ,  onde  rendere  così  più  facile  la  difficile  loro 
digestione  si  rivolgono  ad  altro  oggetto  ,  a  cui  fanno 
sentire  lo  stesso  flagello.  Nella  cronaca  scandalosa  di 
quei  tempi,  che  è  oltremodo  ricca  di  satire  e  di  aned- 
doti sull'omiopatia,  ti  citerò  solo  il  seguente  a  modo  di 
esempio.  Un  cav.  Ungarese  stanziato  a  Pesth  (città,  come 
tu  sai,  posta  al  confluente  del  Danubio  ,  che  bagna  prima 
le  mura  di  Vienna  )  e  che  per  afiari  non  poteva  allon- 
tanarsene ,  scrisse  per  medico  consulto  ad  un  Dott.  omio- 
patico  a  Vienna  j  ed  accennatigli  tutti  i  sintomi  della 
malattia  da  cui  dicevasì  travagliato  ,  ne  lo  richiese  di 
versare  nel  Danubio  i  medicamenti  corrispondenti  in  dose 
alliopalica,  promettendo  di  bere  il  domane  un  bicchiere 
di  acqua  attinta  nel  Danubio  a  Pesth,  con  che  egli  ver- 
rebbe ad  essere  medicato  omiopaticamente  :  aneddoto 
non  privo  dì  sale,  e  che  può  andar  compagno  al  nar- 
rato dal  Dott.  Andrai  nell'accademia  medica  di  Parigi, 
esservi  cioè  a  Berlino  due  medici  omiopatici  ,  di  cui 
uno  birbante  ,  e  due  ignoranti. 

Queste   erano    le     condizioni    dell'  omiopatia    allorché 
alcuni    medici    di  gran  fama,    come  HulFeland,    il   con- 


141 

sìgliere  Rau,  Doti.  Kopp,  sottoposero  la  nuova  dottrina 
ad  un  esame  critico-pratico,  e  questo  ultimo  chiaro  cli- 
nico trasmise  al  pubblico  nelle  sue  cose  memorabili  pra- 
tiche *5  il  frutto  di  dieci  anni  di  indagini ,  opera  che 
levò  alto  grido  presso  il  pubblico  medico  dell'Alemagna, 
e  che  meriterebbe  di  essere  tradotta;  egli  spoglio  affatto 
di  pregiudizi  costituisce  l'esperienza  a  giudice  della  gran 
questione  ,  e  senza  diffamare  1'  omiopatia  col  nome  di 
ciarlataneria  (  nome  che  le  venne  dato  esclusivamente 
fin  qui  dai  medici),  mostra  nuUadimeno  i  moltissimi 
casi  pratici,  in  cui  essa  ben  lungi  dal  giovare  fu  di  danno 
all'ammalato.  Riguardando  dunque  gli  sforzi  degli  oraio- 
pati  come  funesti ,  perchè  con  una  precipitata  profes- 
sione di  fede  si  privano  del  frutto  dell'esperienza  di  ben 
mille  anni  ,  egli  vuole  ammettere  1'  omiopatia  soltanto 
in  alcuni  casi  come  metodo  (  e  prova  con  una  quanti- 
tà di  esempi  essere  chiaramente  insufficiente  in  tutte  le 
malattie.  Huffeland  (il  quale  è  neirAlemagna  conside- 
rato nella  medicina  quello  che  era  Goethe  nella  lette- 
ratura ,  cioè  quale  oracolo  )  avendo  dichiarato  nel  suo 
giornale  il  giudizio  di  Kopp  consentaneo  alle  sue  viste, 
si  trovò  ben  tosto  forzato  dalle  grida  di  trionfo  degli 
Hahnemannisti  a  spiegare  meglio  questa  sua  opinione , 
locchè  fece  in  un  opuscolo  intitolalo  Omeopatia  *6. 
Mentrechè  da  un  lato  smentisce  altamente  l'asserzione, 
che  egli  abbia  riconosciuta  l'omiopatia  per  sistema  me- 
dico, e  mostra  nella  più  chiara  luce  quanto  sia  funesta 
e  riprovevole  questa  rabbia  d'innovazione,  egli  giudica 
la  nuova  dottrina  applicabile  come  metodo  in  alcuni 
casi,  in  cui  l'alliopatia  fu  finora  impotente,  come  per 
esempio  nei  Casi  isterici  (a),  e  nelle  malattie  dei  nervi 

(a)  Malattie  che  dipendono  per  lo  più  da  una  eccessiva  sensibilità  nervosa  , 
e  che  più  sovente  non  esigono  ,  che  rimedi  morali  ,  uniti  ad  una  dieta  conVe- 
nicutt; .  evitando  accuratamente  ogni  eccesso ,  e  i  soverchi  stimoli  principalmente 


142 

croniche  ;  finalmente  egli  invita  i  due  partili  ad  accor- 
darsi e  dimostra  la  proficua  influenza  dell'  ©miopatia 
sulla  farmacologia  {b)  opinione  che  altamente  mi  mosse 
fin  da  quando  l'udii  emettere  in  casa  nostra  dal  chia- 
rissimo Professore  Griffa.  Egli  vuole  in  una  parola  che 
si  usi  in  alcuni  casi  Yomiopatia  ,  ma  ammette  in  nessun 
caso  gli  omiopatici. 

Questi,  e  vari  altri  scritti  prò  e  contro  la  questione 
(fra  questi  ultimi  merita  particolar  menzione  Y  antior- 
ganon  del  Dott.  Heinroth  *']  .,  scritto  popolare  per  ser- 
vire di  contravveleno  all' Organon  che  gli  Hahnemannisti 
distribuiscono  gratis  in  tutte  le  case  in  cui  loro  viene 
dato  di  porre  il  piede  )  profittarono  moltissimo  all'in- 
cremento dell'  omiopatia  presso  il  pubblico  Viennese , 
che  non  considerò  piij  come  ciarlatani  i  proseliti  di  una 
dottrina,  a  cui  uomini  come  Huffeland  e  Kopp  accor- 
davano la  loro  approvazione ,  sebben  ristretta  e  par- 
ziale (e). 

Fino  dall'anno  1828  diverse  persone  di  alto  stato, 
come  il  Principe  Lichtenstein ,  il  Duca  di  Lucca,  la 
principessa  di  Metternich  ,  e  molti  altri  scelsero  fra  gli 
omiopatici  i  loro  medici  di  casa.  In  tempi  più  recenti 
fu  loro  interdetto  di  dispensare  essi  stessi  i  medicamenti 
in  conseguenza  di  parecchie  cure  infelici,  che  fecero  gran 
rumore,  e  sarebbe  loro  eziandio  stata  interdetta  la   pra- 

quali  sono  il  caffè  ,  Tino  ,  ecc.  di  modo  che  in  questo  caso  non  alla  minima 
dose  di  rimedio  ,  ma  al  metodo  di  vivere  seguitato  attribuir  debbesi  la  guari- 
gione. 

(6)  11  solo  vantaggio  che  sia  venuto  di  cosi  assurdo  e  strano  listema  in  quanto 
riguarda  la  farmacologia  si  deduce  dall'avere  sempre  più  richiamata  l'attenzione 
dei  medici  sulla  necessità  di  limitarsi  a  più  tenui  dosi  nelle  prescrizioni  di  certi 
rimedi ,  i  quali  pef  la  loro  azione  essenzialmente  virosa  ,  e  deleteria  possono 
arrecare  gravi  danni  all'  inferma  umanità. 

(e)  Cosi  accadde  presso  di  noi  del  metodo  Le  Roy  ,  a  cui  le  critiche  non 
servirono  che  a  dare  celebrità  ed  importanza  ,  e  ,  quando  »i  dispreizò  ,  cadde 
nell'  obbliu. 


145 

tica  se  il  potente  Metternich  non  si  fosse  adoperato  a 
loro  prò.  Da  quel  tempo  esiste  a  Vienna  una  farmacìa 
omiopatica ,  la  quale  lia  però  pochissimi  avventori  , 
poiché  ad  onta  del  divieto  summentovato  ,  i  medici 
continuano  a  dispensare  essi  stessi  i  medicamenti.  Pre- 
sentemente si  contano  in  Vienna  3o  medici  omiopati, 
ma  si  può  dire  che  un  solo  segue  rigorosamente  le  mas: 
sime  di  Hahnemann,  poiché  gli  altri  ricorrono  spesso 
ai  pediluvii,  senapismi,  vescicatori,  e  persino  in  caso 
di  flogosi  violente  ai  salassi ,  cose  tutte  a  cui  Hahne- 
mann grida  la  croce  addosso. 

In  questi  ultimi  tempi  è  sorta  una  nuova  setta  chia 
mata  isopatia^  che  ha  scelta  la  massima  aequalia  aequa- 
libus  per  norma  del  suo  procedere  terapeutico.  Hahne- 
mann dal  suo  trono  fulmina  questi  eretici  con  tutta  la 
rabbia  di  un  sistematico  :  ecco  una  frase  tolta  verbalmente 
dall'  ultimo  de' suoi  scritti:  a  morie ,  a  morte  V ingrato  che 
cerca  di  sommergere  colf  aequalia  aequalibus  il  similia 
similibuSja  cui  deve  vita _,  facoltà  j  gloria  1  !  I  A  Vienna 
non  si  conta  che  un  solo  addetto  all'isopalia.  Gli  omio- 
pati conosciuti  sono  Marienzellerj  Lichtenfels,  Schmidtj 
Necrer,  Wrecht^  Locwjj  Emm.  Weith^  G.  U.  Weith_,  oltre 
a  ciò  anche  gli  Alliopatici  per  la  maggior  parte  non  si  ri- 
fìutano  di  trattare  omiopaticamente  i  loro  ammalati  quan- 
do questi  lo  desiderano.  Ne  è  da  tacersi  come  ogni  città 
delle  Provincie  dell'impero  Austriaco  ,  Boemia,  Moravia, 
Galizia,  Tirolo ,  Carinzia  ,  Stiria ,  Ungheria,  conti  uno 
o  più  medici  omiopatici. 

L'incremento  dell'  omiopatia  esercita  qui  un  influsso 
dannoso  sullo  studio  della  medicina,  che  da  molti  non 
viene  coltivata  col  debito  zelo,  perchè  lusingati  ed  at- 
tratti dalla  superficiale  semplicità  che  presenta  questa 
nuova  dottrina.  Il  Prof.  Hildebrand,  come  pure  Bischoft', 
Raimann ,  e  molti  altri  distìnti  clinici  si  oppongono  con 


144 

vivo  cnlore  a  questa  Innovazione  pericolosa  ,  e  non  po- 
chi dovranno  alle  loro  profonde  viste  emesse  con  viva 
facondia  l'essere  stati  immuni  da  questa  epidemia,  che 
affligge  le  mediche  scienze  nella  Germania,  e  minaccia 
pure  di  invadere  la   Francia    e  l'Italia. 

Weit  (e  queste  cose  ti  noto  perchè  tu  non  immagini 
le  cose    maggiori   di  quel  che  sono)  è  uno  de' piiì  pro- 
fondi e  bizzarri    ingegni    della  mistica    Alemagna.    Nato 
ebreo    abbracciò   già  adulto  il  cattolicisrao  col  massimo 
zeloj   studiò  medicina  che  esercitò  col  piiì  soddisfacente 
successo,  e  gratuitamente;  nominato  quindi  a  direttore 
e    professore    dello    Stabilimento  Veterinario,  scrisse  \\n 
trattato  di  questa  scienza *8,  ma  ben  tosto  lasciata  la  cat- 
tedra entrò  nel  convento  de'Ligoriani  j  da  cui,  ottenuti 
gli  ordini  ,  fra  non  molto  si  separò  ,  non  potendo  con- 
vivervi. Chiamato  allora  a  predicatore  di  Santo  Stefano 
vi    attrae    colla   sua    eloquenza    il    massimo  concorso ,   e 
questo    compie  unitamente  air  esercizio    della   medicina. 
Schietto  di  modi,   cattolico   ardente,  ma   tollerante,  va- 
lente scrittore  di  teologia,  di  filosofia  mistica  e  di  storia, 
gran  poeta, grande  oratore,  esso  è  uno  insomma  di  quei 
fenomeni,  che  trovi  soltanto  in  questo  paese,  in  cui  la 
fede  alla  scienza  j  ed  alla   religione  è  tuttora  vivissima. 

Costui,  che  viene  annoverato  fra  gli  omiopatici,  per- 
chè dispensa  esso  stesso  i  medicamenti ,  dice  a  chi  Io 
vuole  udire  che  egli  non  è  omiopatico ,  e  che  le  dosi 
di  rimedi,  che  egli  amministra  non  sono  diverse  da 
quelle  prescritte  dall'Alliopatia.  Egli  si  separa  in  ciò  solo 
dagli  Alliopatici  in  quanto  che  opina  avere  i  rimedi  tutti 
una  doppia  azione  ,  cioè  produrre  prima  una  certa  rea- 
zione nell'organismo  vitale  ;  ed  in  fatto  nella  diarrea,  per 
esempio  ,  amministra  il  rabarbaro,  non  già  come  alviim 
ducens,  ma  come  alvuni  òbstipans,  perchè  questa  ultima 
è  la  reazione  prodotta  dalla  prima  azione  del  rabarbaro. 


145 

Infine  egli  crede  che  la  maggior  parte  degli  oniiopati 
amministrano  ;  come  egli  stesso  fa  ,  dosi  ben  lungi  dalle 
infinitesimali  prescritte  da  Hahnemann,  ma  che  non 
tutti  hanno  là  buona  fede  di  concederlo. 

Addio  mio  dilettissimo  fratello 


L.    V. 


Vienna,  io  aprile   i836. 


*t  Journal  der  Practischen  Heilkurist  von  Huffeland  und  Osann. 
Berlin  bei  Reimer. 

*a  Der  Kqffìee  von  Samuel  Hahnemann,  i833.  Leipzig  Heinecker. 

*3  Organon  der  Heilkunst  von  Sam.  Hahnemann.  Dresden    i833. 

*4  Grundsaetze  zur  Erkentnnìss  und  Behandlung  der  Fieber 
und  Entzundungen  von  Professor  Bischoff,  2  auflage  i83o,  Vien  bei 
Strauss. 

*5  Denkwurdigkeiten  der  medicin  von  D.  Kopp  ,  bei  Hermann 
in  Frankfurt  i833  ,  tomi  3. 

*6  Homoeopathie  brochure  von  Huffeland ,  Berlin  i833. 

*7  Antiorganon  von  D.  Heinroth  Leipzig  ,  iSaS. 

*8  Handbuch  der  Veterinaire  Kunde  von  Job.  Eman.  Veith  3.* 
auflage   i83i  Wien. 


146 
SCIENZE  AMMINISTRATIVE  E  STATISTICA 


Saggio  di  Sta-osticì  del  R.  Manicomio  di  Torino  dal  i  o  gennaio 
i83i  alòi  dicembre  i836,  del  dottore  collegiata  Bonacossa» 
medico  assistente  di  detto  Manicomio  ecc. 


Torino,  Stamperia  Favale. 

„  — ■ 9 


CoU*  epigrafe 

«  Da  vcniam  scriptit  quorum  non  gloria  nobis 
»  Causa ,  sed  utilitas  officiumque  fuit.  » 


Gli  scritti  che  hanno  per  iscopo  il  vero  hene  dell'  umanità 
e  che  servir  possono  a  migliorare  la  condizione  della  specie 
umana ,  non  saranno  mai  abbastanza  lodati.  A  questo  genere 
appartiene  il  lavoro  del  medico  coUegiato  Bonacossa ,  medico 
in  secondo  nel  Regio  Manicomio  di  Torino,  il  quale  ora  an- 
nunziamo. Ma  acciocché  la  nostra  lode  non  paja  dettata  da 
parzialità  ,  e  volendo  porre  il  lettore  in  istato  di  giudicarne 
da  se  stesso ,  passeremo  a  disamina  questo  scritto  seguitando 
1'  autore  passo  a  passo. 

Premessa  una  breve  prefazione  in  cui  annoveransi  i  motivi 
che  hanno  dato  la  spinta  all'  operetta  citata ,  narra  brevemente 
Bonacossa  la  storia  di  questo  Manicomio ,  ne  descrive  l' ediGzio 
e  lo  difende  vittoriosamente ,  a  quanto  ne  pare,  contro  le  cri- 
tiche di  Brierre  Boismont,  e  di  Esquirol,  Esso  difende  pure 
il  metodo  di  cura  ivi  seguitato  pei  maniaci  chiamato  da  alcuni 
inumano ,  espone  in  seguito  il  modo  con  cui  viene  amministrato 


147 

e  governato  lo  spedale ,  il  metodo  seguitato  per  1'  ammessione 
ed  il  rilasciamento  dei  pazzi ,  il  regime  dietetico  delle  varie 
categorie  di  pensione  che  sono  cinque ,  cioè  di  2^5  ,  di  •  35o , 
di  4^0  »  <i*  6oo ,  e  di  8oo  francbi  all'  anno  ,  esseudovene 
poche  che  giungano  al  mille ,  e  pochissime  che  superino  que- 
sta somma. 

L'  autore  esprime  quindi  un  suo  voto  ,  e  si  è  che  si  prati- 
casse riguardo  a  tutti  i  pensionari ,  quanto  sì  pratica  riguardo 
ai  militari  dai  sottotenenti  in  su ,  pei  quali  mediante  un  au- 
mento di  pensione  che  fa  il  governo  lo  spedale  provvede  ogni 
cosa. 

«  Cosi ,  prosegue  1'  autore ,  si  andrebbe  al  riparo  dell'  in- 
»  conveniente  di  vedere  alcuno  dei  medesimi  o  non  decente- 
»  mente  vestito  per  negligenza  dei  parenti  ,  o  di  doverlo  prov- 
»   vedere  di  abiti  a  spese  dell'  opera.  » 

Esso  enumera  quindi  i  varj  impiegati  dello  stabilimento  , 
ed  i  loro  uffici  diversi. 

Passando  alla  classificazione  delle  pazzie,  1'  autore  le  divìde 
in  manie  ,  demenze ,  e  monomanie ,  non  ponendo  fra  le  pazzie 
la  semplice  idiozia.  Egli  divide  la  mania  in  mania  con  agita- 
zione e  mania  con  furore  ;  la  demenza  in  parziale  ed  estesa  ; 
la  monomania  in  superstiziosa,  in  demonomania,  monomania 
orgogliosa  ,  teomania  ,  lipemania  e  mania  erotica. 

Discorrendo  del  metodo  di  cura    seguitato   nel    Manicomio , 
dice  1'  autore ,  che  esso  consiste  per  la  cura  fisica    nei    depri- 
menti ,  sedanti ,  e  revulsivi ,   nei  bagni  e  per  molti    nell'  ina- 
zione :  per  la   cura    morale    nell'  isolamento  ,    in    alcuni    nell' 
occupazione  e  qualche  volta  nelle  distrazioni.    La  causa    pros- 
sima della  pazzia  è  da  lui  appoggiata  al  sistema  di    Gali  sulla 
pluralità  degli  organi  ,  e  consiste  secondo  lui  nell'  esagerazione 
delle  funzioni  di  questi  organi ,  la  quale  ha  luogo   ora    in    un 
senso  positivo  o  naturale  ,  ora  in  un  senso  negativo  o  dì  per- 
vertimento ;  cosicché  la  mania  superstiziosa  e  la  demonomania, 
come  pure   la  manìa  orgogliosa    e   la  teomania   non   sarebbero 
che  gradi  diversi  della  medesima  affezione.  Questa  aberrazione 
poi  è  accompagnata  ora  da   aumento  ,    ora   da  diminuzione  di 
eccitameulo  delle  forze  vitali. 


148 

Grande  è  il  partito  che  esso  trae  per  le  sue  division»  della 
teoria  galliana  ,  su  cui  esso  si  fonda  ,  abbeuchè  questa  stessa 
teoria  non  sia  altro  a  nostro  credere  che  una  ipotesi  ingegnosa. 
D'altronde  quand'  anche  si  ammettessero  questi  principi  ,  non 
ne  risulterebbe  alcuna  mutazione  nel  metodo  di  cura  da  se- 
guitarsi. Poiché  se  si  tratta  della  cura  fìsica ,  questa  non  può 
essere  diretta  ad  un  organo  solo  ,  e  debbe  essere  anche  fon- 
data sullo  stato  universale  dell'  infermo ,  avuto  solamente  l'i- 
guardo  allo  stato  di  abbattimento  o  di  sovraeccitamento  del 
cervello  ,  come  dice  1'  autore  medesimo.  Se  poi  si  tratta  della 
cura  morale  i  mezzi  suggeriti  da  lui  sono  anche  quelli  che 
vengono  generalmente  prescritti  dagli  autori  più  riputati  ,  e 
consistono:  i,'  nell'allontanamento  dell'ammalato  dagli  oggetti 
sotto  la  di  cui  influenza ,  od  in  mezzo  ai  quali  si  sviluppò  la 
pazzia.  2.°  Nello  eccitare  in  lui  diverse  sensazioni  ed  idee ,  e 
nuove  affezioni. 

Espone  in  seguito  1'  autore  ì  corollari  da  esso  tratti  dalle 
autossie  cadaveriche  istituite  ;  ma  questi  non  sono  tali  a  parer 
nostro  da  poter  risolvere  le  difficoltà  che  si  affacciano  a  chi 
vuole  adottare  il  sistema  di  Gali. 

Ben  più  importanti  ed  utili  alla  scienza  sono  le  tavole  di 
cui  r  autore  ha  corredata  la  sua  opera  ,  e  noi  non  possiamo 
abbastanza  lodare  la  di  lui  pazienza  ed  accuratezza  nel  fare 
un  lavoro ,  che  ,  ove  sia  pure  eseguito  da  tutti  gli  altri  me- 
dici dei  manicomii ,  o  dalla  maggior  parte  di  essi ,  potrà  con- 
tribuire grandemente  al  progresso  di  questo  ramo  della  me- 
dica scienza. 

La  prima  tavola  contiene  il  numero  dei  pazzi  sì  maschi,  che 
femmine  entrati  ^  usciti  e  morti  nei  sei  anni  dal  gennajo  i83i 
a  tutto  dicembre   i836. 

Risulta  da  questa  tavola:  i."  che  il  numero  degli  entrati  è 
di  io66,  tra  i  quali  sonovi  65o  uomini  e  4^6  donne,  cosicché 
il  numero  delle  donne  sta  a  quello  degli  uomini  come  64  a  loo; 

2."  Che  il  numero  degli  usciti  sta  a  quello  degli  entrati 
come  4^  1/2  circa  a  100,  ed  il  numero  dei  morti  è  un  poco 
meno  di  'òi  p.  100,  essendo  di  28  e  poco  meno  di  i/3  p.  100 
negli  uomini,  e  di  33    1/2  p.    100  nelle  donne  : 


149 

3.**  Che  r  asilo  ìu  cui  vi  entrò  un  maggior  numero  di  uo- 
mini fu  il  iSia  ;  anno  in  cui  1'  estate  fu  più  caldo  che  in 
tutti  gli  altri  anni  e  diffatti  su  i2i  uomo  entrato  in  quell' 
anno  35  entrarono  nei  mesi  di  luglio  ed  agosto  :  1'  anno  in  cui 
vi  entrò  un  maggior  numero  di  donne  fu  il    i835  : 

4.°  Che  i  mesi  in  cui  entrarono  più  infermi  sono  quelli  di 
giugno  ,  luglio  ed  agosto. 

Sono  pure  nella  medesima  tavola  registrati  gli  usciti  e  morti 
su  quelli  che  entrarono  negli  anni  precedenti  al  i83i,  essendo 
solamente  distinti  dagli  altri  mediante  un  asterisco. 

La  seconda  tavola  rappresenta  i  pazzi  secondo  le  provincie  , 
in  questa  havvi  ad  osservare,  che  in  tutte  le  provincie  il  nu- 
mero degli  uomini  pazzi  supera  quello  delle  donne  più  o  meno, 
eccettuata  la  provincia  d'  Asti  in  cui  vediamo  registrato  il  con- 
trario. Dovrassi  forse  questo  ripetere  dall'  essere  molti  uomini 
ricoverati  nello  spedale  di  Alessandria  ?  Gioverebbe  sciogliere 
questa  questione. 

La  terza  tavola  racchiude  gli  uomini  e  le  donne  pazze  se- 
guendo le  età  ,  e  da  questa  ricaviamo  che  il  numero  dei  pazzi 
va  crescendo  dai  20  anni  in  su  e  massimamente  dai  35  ai  ^o 
anni,  quindi  comincia  a  diminuire;  diminuendo  però  più  rapi- 
damente di  quanto  sia  cresciuto  nei  maschi  che  nelle  femmine. 

La  quarta  tavola  racchiude  ì  pazzi  secondo  il  loro  stato  di 
celibato  o  di  matrimonio. 

E  notato  in  questa  dall'  autore  che  il  numero  degli  ammo- 
gliati è  poco  diverso  da  quello  dei  celibi,  colla  differenza  però 
che  negli  uomini  havvi  quasi  il  doppio  di  celibi,  di  quello  che 
vi  siano  di  ammogliati ,  mentre  il  contrario  si  osserva  nelle 
donne.  Essendo  piccolissimo  il  numero  dei  vedovi  ,  1'  autore 
registrò  fra  i  celibi  i  rimasti  vedovi  da  lungo  tempo ,  e  fra 
gli  ammogliati  ,  quelli  che  lo  sono  soltanto  da  poco  tempo. 

La  quinta  tavola  è  fatta  secondo    1'  ordine  delle    professioni. 

Osserviamo  in  questa  essere  negli  uomini  il  numero  mag- 
giore fra  i  contadini  i  quali  ascendono  ai  233  :  *ad  essi  succe- 
dono i  militari  (69)  ,  poscia  i  sacerdoti  (20),  i  calzolai  (id.) 
ecc.  Notiamo  che  vi  sono  registrali  dieci  chirurghi  e  nissuti 
medico. 


150 

Nelle  (lonae  il  numero  maggiore  è  quello  delle  contadine 
(195),  quindi  trovansi  le  serve  (58),  e  le  occupate  in  lavori 
domestici  (44)  ecc. 

La  sesta  tavola  racchiude  i  pazzi  secondo  il  genere  di  pazzia 
e  secondo  le  varie  provincie. 

Ricaviamo  da  questa  essere  negli  uomini  in  maggior  numero: 
i."  Le  manie,  2.°  le  demenze,  3.°  le  lipemanie  ,  /^.°  le  manie 
orgogliose,  e  teomanie,  5.°  le  supertiziose  e  demonomanie,  6." 
le  idiozie,  7.°  i  deliri  acuti,  6."  ed  ultimo  le  manie  erotiche. 

Nelle  donne  invece  troviamo:  i.°  le  lipemanie ,  2.°  le  manie, 
3°  le  demenze,  ^."  le  manie  superstiziose  e  demonomanie  (52 
su  ^16,  mentre  negli  uomini  sono  soltanto  48  su  65o),  5.' le 
manie  erotiche  (4i  sul  totale,  mentre  negli  uomini  solamente 
32),  6°  le  monomanie  orgogliose  (  18  sul  totale  mentre  sono 
y6  negli  uomini),   y."  le  idiozie,  8."  i  deliri  acuti. 

La  settima  tavola  racchiude  i  pazzi  secondo  le  età  ed  il  ge- 
nere di  pazzia. 

Notiamo  in  questa  essere  più  frequenti  le  lipemanie  sia  negli 
uomini  che  nelle  donne  dai  35  ai  ^o  anni  ;  le  manie  supersti- 
ziose e  le  demonomanie  negli  uomini  dai  25  ai  3o  anni ,  nelle 
donne  dai  35  ai  ^o  ,-  le  manie  erotiche  nelle  donne  dai  3o  ai 
35  anni. 

Trovasi  nella  tavola  ottava  il  numero  degli  usciti  e  dei  morti 
secondo  le  età. 

Da  essa  ricaviamo  che  1'  età  che  presenta  maggior  numero 
di  usciti  negli  uomini  è  quella  dai  35  ai  4^  anni;  nelle  donne 
dai  4o  ai  4^*  Cosicché  negli  uomini  il  numero  maggiore  di 
usciti  corrisponde  all'  età  in  cui  havvi  un  numero  maggiore  di 
entrati,  ma  non  nelle  donne;  essendo  per  esse  come  per  gli 
uomini  il  numero  maggiore  di  entrate  dai  35  ai  4o  anni.  L'età 
che  presenta  un  maggiore  numero  di  morti  è  negli  uomini  dai 
3o  ai  35  anni;  nelle  donne  dai  A5  ai   5o. 

Segue  nella  tavola  nona  una  specie  di  catalogo  delle  cause 
secondo  le  diverse  specie  di  pazzie. 

Nella  tavola  decima  sono  divise  le  cause  ìrA  fìsiche  e  morali 
e  vengono  paragonate  col  genere  di  pazzia. 

Vediamo  da  questa  essere  eause  principali  negli  uomini   tri» 


151 

le  fisiche,  1."  la  predisposizione  ereditaria,  a.°  abuso  del  vino 
e  dei  liquori  spiritosi ,  3°  epilessia  ,  4-"  encefalitide  sofferta  , 
5.°  abuso  del  mercurio.  Fra  le  morali  ;  i.°  patemi  d'  animo 
per  miseria  ed  infortunio  ,  2."  dispiaceri  domestici  ,  3.°  amore 
deluso  ,  contrariato  od  eccessivo ,  4'°  gelosia ,  5."  amor  proprio 
offeso. 

Sono  cause  principali  fra  le  donne ,  tra  le  fisiche  ,  i .°  di- 
sposizione ereditaria ,  2.°  amenorrea  e  dismenorrea  ,  3.°  pella- 
gra. Tra  le  morali ,  i ."  patemi  d'  animo  per  miseria ,  2°  amore 
contrariato  e  deluso  ,  3."  gelosia,  4-°  spavento.  Le  cause  fisiche 
sia  nelle  donne  come  negli  uomini  stanno  come  yo ,  le  morali 
come  3o  a   100. 

La  tavola  undecima  espone  le  cause  secondo  le  provincie 
diverse.  L'autore,  dopo  aver  posto  in  fine  170  cause  ignote 
negli  uomini  e  iSq  nelle  donne,  esprime  il  suo  dispiacere  per 
questa  mancanza ,  dicendo  che  è  più  difficile  di  guarire  un 
male  di  cui  si  ignora  la    causa. 

E  a  dire  il  vero  ,  siccome  ciò  avviene  per  lo  più  per  colpa 
dei  parenti  dell'infermo  ,  i  quali  non  ne  istruiscono  il  medico 
per  secondi  fini ,  dobbiamo  raccomandar  loro  caldamente  di 
superare  questi  pregiudizi ,  e  di  fare  conoscere  a  chi  è  incari- 
cato di  stendere  il  certificato  tutte  le  più  minute  circostanze 
se  sta  loro  a  cuore  la  guarigione  dei  congiunti  che  al  Manico- 
mio si  traducono. 

La  tavola  duodecima  contiene  le  osservazioni  meteorologiche 
per  i  sei  anni. 

Dalla  tavola  i3  alla  26  abbiamo  il  numero  degli  entrati  , 
guariti ,  migliorati ,  morti ,  recidivi  e  restanti  per  ciascun  anno, 
da  questa  risulterebbe  essere  il  numero  dei  recidivi  nei  sei  anni 
negli  uomini  di  3i,  da  cui  si  debbono  però  eccettuare  8  affetti 
da  delirio  acuto  e  non  riconosciuti  pazzi,  e  nelle  donne  di  16, 
eccettuandone  due  deliri  acuti. 

La  tavola  26  ci  presenta  uno  specchio  proporzionale  dei  gua- 
riti secondo  il  diverso  genere  di  pazzia. 

La  26  ci  dà  la  proporzione  degli  entrati  ,  usciti  e  morti  per 
ciascun  mese  dell'  anno. 

La  27  ci  fa  conoscere  il  tempo  durante  il  quale    gì'  infermi 


152 

di  varie  pazzìe  rimasero  nello  spedale  ,  sia  che  essi  sieno  gua- 
riti o  morti.  La  media  è  di  265  giorni. 

La  28  contiene  le  malattie  per  cui  succombettero  i  diversi 
pazzi,  colle  proporzioni  delle  morti  secondo  il  genere  di  malattia. 

Da  questa  vediamo  che  la  malattia  la  quale  offre  proporzio- 
natamente una  maggiore  mortalità  è  la  meningite. 

Seguono  poscia  alcune  considerazioni  degne  di  riguardo  j  fra 
le  quali  le  principali  sono  : 

Che  la  classe  di  persone  meno  agiata  e  data  a  professioni 
per  le  quali  rendesi  poco  necessario  1'  esercizio  delle  facoltà 
intellettuali  è  quella  in  cui  si  trova  il  maggior  numero  di 
pazzi.  Laonde,  soggiunge  Y  autore,  dovrebbesi  conchiudere  es- 
sere r  incivilimento  in  ragione  inversa  del  numero  dei  pazzi. 
Osserveremo  però  che  essendo  la  classe  più  rozza  anche  la  più 
numerosa  di  tutte  ,  il  numero  dei  pazzi  debbe  anche  essere 
a  quella  proporzionato. 

La  seconda  considerazione  fatta  dall'  autore  si  è  che  la  pro- 
porzione dei  paralitici  sui  pazzi  è  minore  a  Torino  di  quello 
che  lo  sia  nella  maggior  parte  degli  ospedali  di  Europa ,  e 
pare  che  questo  numero  vada  crescendo  verso  i  paesi  setten- 
trionali e  decrescendo  nei  meridionali. 

Osservasi  in  terzo  luogo  dal  medesimo  che  sui  mille  e  ses- 
sautasei  individui  ricoverati  nei  sei  anni,  cento  e  ventisei  erano 
già  stati  prima  del  i83i  affetti  da  pazzia;  cioè  80  uomini  e 
46  donne ,  e  questi  per  la  maggior  parte  appartenevano  ai  ma- 
niaci e  lipemaniaci.  Finalmente  si  nota  che  la  più  parte  delle 
lipemanie  ed  altre  pazzie  con  tendenza  al  suicidio  sono  ordi- 
nariamente suscitate  da  malattie  del  tessuto  cutaneo  e  del  tubo 
gastroenterico. 

Nella  tavola  29  si  istituisce  un  paragone  fra  gli  usciti  ed  i 
morti  dei  varj  manicomii. 

L'  autore  deduce  da  questa  alcuni  corollari  fra  i  quali  accen- 
niamo soltanto  i  due  seguenti  come  quelli  che  meritano  la  no- 
stra particolare  attenzione  : 

1°  Negli  ospedali  meno  numerosi,  ed  in  quelli  in  cui  non 
si  ricevono  che  pensionari,  e  dove  perciò  il  regime  dietetico  è 
migliore,  il  numero  dei  morti  è  minore,  e  quello  degli  ustili 
maggiore. 


155 

a.°  Il  Manicomio  di  Torino,  quantunque  sia  stato  per  alcuni 
riguardi  sinora  sotto  circostanze  meno  favorevoli  di  quelle  de^^li 
altri,  non  è  tuttavia  lontano  da  essi  per  il  numero  delle  guari- 
gioni e  delle  morti. 

Finalmente  le  tavole  3o,  3i  e  3a  ci  danno  il  ragguaglio 
dell'  entrata  e  delle  spese  dello  spedale  ,  non  che  dei  doni  a 
lui  fatti. 

Rimandiamo  a  queste  i  nostri  lettori  che  bramassero  dì  sa- 
pere quanto  si  spende  al  giorno  nello  spedale  ,  e  quanto  costi 
il  mantenimento  di  ciascun  individuo. 

Non  possiamo  però  fare  a  meno  di  riferire  ad  onore  dello 
spirito  filantropico  piemontese,  che  i  doni  fatti  a  questo  utile 
stabilimento  compresi  86,812  franchi  di  ricavo  di  una  lotteria 
di  doni  gratuiti ,  ascesero  nel  corso  di  soli  sei  anni  a  876,000 
franchi. 

Conchiuderemo  rallegrandoci  col  Dott.  Bonacossa,  ed  accer- 
tandolo per  parte  nostra  che  i  tre  fini  propostisi  nel  suo  la- 
voro, e  accennati  nella  conclusione  vennero  compiutamente  da 
lui  con  questo  scritto  raggiunti  ,  e  facendo  voti  perchè  venga 
dagli  altri  impiegati  dì  pubblici  spedali  imitato  il  di  luì  beli' 
esempio. 

A.  C.  MiFFONr  Med.  Coli. 


IO 


154 

RIVISTA    CRITICA 


t 
SOS'llA    i/eRODIANO    tradotto    da    PIETRO    3IA1NZI 

Milano,    d;ill:i  Ti|iogra(ì;i   rie' fratelli  Sonzogno ,    iSaj. 
-s^«5Ss- 


Pietro  Manzi  nel  1821  pubblicò  in  Roma  con  le  stampe 
del  De  Romanis  una  sua  versione  italiana  d'  Erodiano  ,  e  la 
volle  dedicata  al  Conte  Giulio  Perticari ,  come  a  letterato  sulle 
cui  labbra  si  stava  seduta  una  qualche  Iddia  persuasibile  ,  e 
die  per  soprappiù  aveva  oscurata  la  fama  de"  vituperatori  di 
que'  due  sonimi  Dante  e  Tucidide  *i.  Il  Perticari,  ricambiandolo 
dell'  onoi'evole  testimonianza  a  sé  renduta  con  lettera  data 
da  Padova  nel  novembre  dello  stesso  anno,  e  premessa  all'e- 
dizione milanese  del  iSaB  ,  giudicò,  o  dirò  meglio,  chiamò 
tal  lavoro  del  IManzi  bellissimo  volgarizzamento ^  opera  vera- 
mente classica  ,  libro  insomma  che  il  Monti  non  si  saziava 
ancor  dal  lesgcre  e  dal  celebrare  *2.  Ma  queste  lodi  sperticate, 
che  dimostrano  1'  indegno  abuso  ,  che  si  fa  talvolta  della  fama 
e  dell'  ingegno  ,  anche  da  letterati  di  conto  ,  nel  voler  o  sen- 
tenziar di  ciò  che  mal  conoscono  ,  o  dar  vanto  a  cose  di  nes- 
sun pregio  ;  queste  lodi  non  erano  ancor  fatte  pubbliche,  quando 
un  collaboratore  della  Biblioteca  italiana  (  Tomo  XXVI.  1822) 
si  credette  in  dovere  di  far  conoscere  al  Manzi  il  suo  giudizio 
intorno  al  volgarizzamento  d'  Erodiano  ;  e  lo  fece  con  modi 
urbani,  e,  a  mio  credere,  con  buon  corredo  di  dottrina.  Or 
qual  uso  crediam  noi  che  facesse  il  Manzi  delle  sensate  osser- 
vazioni propostegli  ?  Nessuno  ,  e  non  è  maraviglia.  Egli  nella 
prefiizione  ci  aveva  promesso    «    d'  aver    fuggito  a  tutto  potere 

'  I    TNrlla   IfllciM  dedicatoria, 
*'!   INclIa  risposta. 


155 

»  r  errore  di  molti  altri  "^i  ,  ingegnandosi  di  dare  alla  versione 
»  il  corso  e  la  dolcezza  dell'  italiana  favella  :  «  egli  ci  aveva 
insegnato  ,  die  «  per  dare  alla  dizione  tutta  la  vivacità  delle 
»  forme  e  per  incalorire  ed  animare  gli  argomenti  è  mestieri 
»  possedere  non  solo  la  perfettissima  cognizione  delle  due  lingue 
»  (  che  modestia  !  ),  ma  essere  ancor  versali  entro  le  scuole 
))  de'  retori  *2  »  (  quest'  ultimo  vanto  non  glielo  neghiamo  )  : 
quindi  tranquillo  nel  suo  errore  ,  tanto  più  dopo  gli  encomi i 
riscossi  dal  Perticari ,  nell'anno  seguente  1828  fece  ristampare 
a  Milano  dai  fratelli  Sonzogno  il  suo  volgarizzamento,  ed  un 
sol  passo  vi  trovo  emendato ,  leggendovi  mezzogiorno  in  vece 
d'  oriente  (II.  11  ).  Perchè  poi  nessuno  più  osasse  dubitare 
del  merito  classico,  classicissimo  de'  suoi  «  Libri  Vili,  dal  Greco 
in  Italiano  recati  »  loro  fece  porre  innanzi  quelle  lettere  pa- 
tenti di  classicità ,  le  quali  aveva  ricevute  da  Padova. 

Pensando  a  quest'  imperturbabilità  o  piuttosto  ostinazione 
del  Manzi  ,  non  so  come  interpretarla  in  modo  che  non  torni 
per  lui  disonorevole.  Poiché  io  dico  ,  se  1'  errare  merita  per- 
dono, se  il  primo  saggio  che  si  pubblica  d'un  lavoro,  seb- 
bene imperfetto ,  è  da  commendarsi  e  da  criticarsi  con  ri- 
serbo, acciò  che  si  possa  veder  un  giorno  condotto  a  maggior 
perfezione  :  che  opinione  dovremo  avere  di  chi  ammonito  ur- 
banamente d'  esser  caduto  in  gravissimi  errori  di  lingua  ,  di 
stile  ,  d'  intelligenza  5  come  se  tutto  fosse  un  nulla  ,  come  se 
fosse  egli  infallibile  ,  ti  ristampa  in  sul  viso  lo  stesso  saggio  , 
pieno  di  quelle  innumerevoli  imperfezioni?  Se  vogliamo  affer- 
mar il  vero,  il  Manzi  mostrò  pel  suo  scritto  una  predilezione 
tale  ,  che  è  imperdonabile  ;  il  Perticari  lodò  senza  coscienza  ; 
e  r  autore  dell'  art.  della  Biblioteca  italiana  era  persona  troppo 
gentile  ,  e  per  poco  gli  darei  carico  della  sua  urbanità.  Egli 
all'  apparir  della  seconda  edizione  ,  avrebbe  dovuto  smascherar 
appieno  1'  impostura  del  Manzi ,  che  si  faceva  beile  de'  suoi 
lettori  ,  ripetendo  d'  aver  tradotto  quel  libro  dal  greco:  avrebbe 


*i'  Nella  prefazione  pag.   17.  Le  vecchie  traduzioni  d'  Erodiauo  non    essendo 
che  due  ,   per  quunlu  io  sappia  ,  non  capisco  chi  possano  essere  i  molli  altri. 
*-i  Pag.   16. 


156 

flovuto  Tautor  dell'  articolo  non  più  dirci  a  mezza  Locca  ,  ni;? 
apertamente,  che  il  volgarizzatore  nou  aveva  capilo  uè  anche 
il  latino  del  Poliziano  ,  come  apparisce  a  chiare  note  da  tanti 
passi  che  storpia  e  scempia  bruttamente  :  dir  insomma,  che  il 
riprodurre  quell'aborto  di  traduzione,  in  cui  a  pianta  pedis 
Hsque  ad  verticem  non  est  sanitas,  era  un  insultare  a  tutti  gli 
italiani  che  sappiano  ,  non  dirò  già  di  greco  ,  ma  pur  un  poco 
di  latino. 

A  che  valse  che  dal  dotto  critico  gli  fosse  fatto  toccar  direi 
quasi  con  mano  ,  che  la  versione  del  Poliziano ,  sebbene  am- 
mirata per  elegante  latinità,  già  sin  dai  tempi  d'Enrico  Stefano 
era  tenuta  dai  filologi  per  tutt'  altro  che  fedele  ed  esatta  *i? 
A  che  valse  che  gli  fosse  suggerita  1'  edizione  dell'  Irmisch,  a 
cui  va  unita  la  novella  traduzione  latina  del  Bergler,  che  dal 
greco  meno  si  scosta  ,  acciocché  il  Manzi  ,  se  non  capiva  ba- 
stantemente r  originale  ,  di  quella  si  valesse  per  rivedere  il  suo 
lavoro  ?  Egli  di  nuovo  promette  nel  frontispizio  d'aver  tradotto 
dal  greco  ,  ma  nella  prefazione  confessa  poi  «  d'  aver  pigliato 
)>  norma  dagli  antichi  (chi  son  questi  antichi?),  e  da  quella 
»  d'  Erodiano  stesso,  che  il  celebre  Poliziano  volse  in  latino 
))  con  modi  elegantissimi  ,  e  tutti  proprii  di  quella  lingua  *2.  » 
Il  qual  prender  norma  nella  lingua  del  Manzi  significa  ,  che 
ei  seguita  per  si  fatto  modo  il  latino  del  Poliziano  (  quando  lo 
capisce),  che  indarno  altri  lo  accuserebbe  d'aver  dato  qual- 
che occhiata  al  testo  greco.  Cosi  si  traduce  dal  Greco.  Ma 
pazienza  se  almeno  ,  quel  che  nou  volle  o  non  seppe  fare  nell' 
Erodiano  ,  lo  avesse  poi  praticato  quando  negli  anni  seguenti 
osò  tentare  il  Tucidide.  Allora  diremmo,  il  Manzi  se  non  ha 
corretto,  la  pensava  così  :  «  quod  scripsij  scripsì  ,  ma  in  av- 
»  venire,  mettendo  mano  a  qualche  novella  traduzione,  mi 
»  prevarrò    degli    avvertimenti    ricevuti.  »   Mantenendo  quindi 

*x  Questo  afierma  pure  lo  Sclioell  nel  L.  V,  45-  della  Storia  della  Letteratura 
greca  ,  questo  Raoul-Rochette  nel  suo  articolo  d'  Erodiano  nella  Biografia  uni- 
versale. «  La  vcrsion  latine  de  Politien  ,  regardée  à  just*  titre  comnie  l'un  dcs 
))  rhcfs-d'oeuvic  de  la  Ijtinilc  moderne  ,  mais  non  conime  un  modclc  d'exacti- 
»   Inde  et  de   (idélité.  » 

*2  Pag    17. 


157 

lii  promessa  chi  non  gli  avrebbe  data  venia  dei  trascorsi  gio- 
vanili ?  Ma  al  leggere  e  al  vedere  in  che  guisa  ei  malmenò 
poscia  le  storie  della  guerra  del  Peloponneso  ,  non  ho  potuto 
contenermi  (  ancorché  sia  tardi  )  dal  non  dir  ora  due  parole 
dell' Erodiano,  per  venir  altra  volta  al  figliuolo' d' Oloro. 

Quindici  grossi  sbagli  d'  interpretazione  ha  già  notato  lo 
scrittore  dell'  articolo  5  intorno  alla  lingua  poi  non  so  quanti, 
e  d'ogni  specie  ,  ma  in  tanta  abbondanza  ,  tenendo  dietro  alle 
sue  pedate  ,  si  può  ancora  più  che  spigolare  ,  mietere  a  mezza 
raccolta.  Se  parrà  eli'  io  rammenti  alcun  che  già  detto  ,  non  è 
per  pararmi  dell'altrui.  Se  il  Blanzi  ha  ripetuta  1'  edizione  , 
perchè  non  potrei  io  far  lo  stesso  delle  osservazioni  ?  Sarò  tut- 
tavia parco  ,  ed  avendo  posto  mente  che  parecchi  errori  ricor- 
rono di  continuo,  per  non  rendermi  tedioso  nell'  annoverarli 
più  e  più  volte  ,  farò  d'  accennarli  in  complesso. 

Nomi  geografici.  Poco  mancò  che  il  Manzi  non  mutasse  gli 
stessi^nomi  dell'  Italia  e  di  Roma  ;  tanta  è  la  smania  di  sosti- 
tuire alle  antiche  le  moderne  appellazioni ,  quantunque  vi  ri- 
pugni la  storia.  Traduce  costantemente  la  Francia ,  l' lìighilterra, 
r  Ungheria  ,  i  confini  degli  stati  romani  (  romani  terminos  ini- 
perii  ),  la  romanesca  marmaglia  (  romana  plebs  ),  il  contado 
di  Gizico  :  quindi  i  Francesi ^  gVIjiglesi,  i  Tedeschi,  gli  Un- 
gheri,  i  Tartari,  i  3Iori  con  loro  estrema  meraviglia  si  trovano 
gli  uni  negli  eserciti,  gli  altri  in  guerra  coi  romani  imperatori; 
quindi  anche  Antonino  Garacalla  si  veste  alla  tedesca  con  saio 
varieggialo  afa  il  tedesco  (IV.).  È  poi  uno  sproposito  insof- 
fribile ,  che  le  parole  «  Quippe  (  Bizanzio  )  in  angustissimo 
»  Propontidos  constituta  freto  (  II.  e  V.  )  vectigalia  piscatum- 
»  que  a  mari  accipit  »  vengano  tradotte  «  per  giacer  ella  in 
»  su  lo  stretto  di  Gallipoli.,  fornita  è  dal  mare  di  dazj  e  di 
»   pescagione  *i.  » 

Nonn  militari.  Né  bastò  al  Manzi  di  destare  su  le  nostre 
labbra  un  riso  inestinguibile  a  spese  de'  Tedeschi  e  de'  Mori  5 
che  anche  dai  nomi  della   romana  milizia  lùtrovò  modo  di  ral- 


*i   A  maggior  commodo  della  stampa  non  si  farà   uso   dei    greco  ,    tanto    pili 
che  il  Manzi  uou  se  n'è  valuto  iieppur  egli. 


158 

legrarci.  Udiamolo.  I  reggimenti  delle  guardie  mettouo  a  morte 
Pertinace.  Severo  comanda  ai  reggimenti  Illirici  (  coi  loro  co- 
lonnelli )  di  accelerar  la  marcia  per  unirsi  a  lui.  Egli  fornisce 
le  galere  della  flotta  ,  e  forzando  la  marcia  contro  Negro,  questi 
prega  d'aiuto  il  re  de'  Parti,  che  non  avea  truppe  di  linea  5 
ma  quello  degli  Atreni  gli  manda  alcuni  battaglioni  d'  arcieri. 
Emiliano  generalissimo  di  Negro  marcia  pure  co'  suoi  coscritti 
(  copias  adduxit  ,  quas  ipse  contraxerat  ).  Negro  è  vinto  ,  e  i 
suoi  soldati  si  ritirano  alle  collegate  trincee  del  monte  Tauro 
(HI.).  Ma  dove  lascio  le  razioni  distribuite  da  Severo  all'eser- 
cito (II.)?  la  truppa  che  si  sdegna  con  Antonino  (V.),  i  tur- 
cassi e  gli  ammitti  de' Medi  (VI.),  il  colonnello  generale  della 
guardia  (VI. ),  i  balestrieri  e  balestratori  di  Massimino  *i,  e 
la  buona  mancia  che  diede  all'esercito  (VII.  )?  Non  ha  voluto 
il  Manzi  nemmen  ritogliere  ai  soldati  romani  le  ridicole  ba- 
ionette ,  di  che  li  aveva  armati  nella  prima  edizione  ,  né  a 
Massimino  quelle  artiglierie ,  con  cui  lo  fece  muovere  contro 
i  barbari  *2,  e  Artabano  si  lagnò  indarno  d'essere  stato  preso 
pel  gran  Signore.  Insomma  sotto  la  penna  del  nostro  tradut; 
tore  ogni  cosa  muta  natura  ed  aspetto.  Materno  traveste  i  suoi 
dell'  uniforme  della  guardia  per  uccider  Commodo  5  un  Oleandro 
di  Frigia,  della  nazione  dei  venduti  all'incanto,  fonda  in  Roma 
una  sontuosa  uni\>ersità  (  I.);  Antonino  vuole  che  i  suoi  ufjiziali 
prendano  i  nomi  *de' gene/'a/t  d'Alessandro  magno  (IV.)  5  il  la- 
ticlavo  diviene  un  robone  a  bolle  d'  oro  (III.)  5  i  commedianti 
giullari  (^  V.),  gli  anteambulones  de'  latini,  lacchè  (III.  ),  i  cor- 
rieri postiglioni  con  dispacci  (^lY.),  un  letto  su  cui  sedea  Gor- 
diano, un  sofà  (  VII). 

Anche  nelle  cose  spettanti  alla  religione  vuole  il  Manzi,  che 
i  romani  sieu  come  cristiani  :  in   tempio   castrorum    due   volte 


*i  Anche  nel  Hhro  I.  i5.  Maurusioruni  in  iaculando  praestàntissimi ,  diven- 
gono «  lancionieri  di  NuraiJia  »  poiché  Poliz.  aveva  Iradptto  Numidae  ;  n^a  al- 
meno aggiunse  ,  iaculal.ores  ,  non  lancionieri  :  tanto  è  vero  che  i»on  prende 
norma  da  altro  testo  ,  e  spesso  non  Io  capisce. 

*i  Non  credo  che  1'  esempio  dell'  Ariosto  possa  bastare  a  difesa  delle  arti- 
glierie romane  :  i  tempi  d'  Alcina  son  ben  diversi  da  quelli  di  Massimino.  V. 
il  Grassi, 


159 

è  tradotto  nella  cappella  (  V.  );  Albino  par  che  abbia  Dio  stesso 
ìa  disdegno;  Dio  etc.  (HI.);  Antonino  Eliogabalo  rapisce  una 
vestale  nel  sacro  monistcro  delle  vergini  (V.);  e  il  diascolo  rivela 
a  Materniano  chi  tendeva  insidie  ad  Antonino  Caracalla  (IV.). 

Dopo  aver  notati  tutti  questi  vocaboli ,  tutte  queste  denomi- 
nazioni ,  che  son  tanti  anacronismi ,  io  dubitai  talvolta  ,  se  il 
Manzi  traducesse  da  senno  ,  o  lo  facesse  per  iscberzo  ,  propo- 
nendosi di  darci  vestito  alla  berniesca  uno  storico  di  somma 
gravità.  Ma  le  lodi  che  nella  sua  prefazione  tributa  ad  Ero- 
diano  ,  e  il  tuono  imperativo  con  cui  detta  precetti  intorno  al 
traslatare  ,  non  concedendomi  d'  ammettere  la  mia  seconda 
supposizione  ,  son  costretto  a  dire  ,  eh'  egli  dimostra  una  tale 
mancanza  di  buon  senso  letterario,  che  mi  par  anzi  unica,  che 
rara.  Che  diranno  di  noi  già  vilipesi  italiani  ,  che  diranno  gli 
stranieri  al  leggere,  che  un  tal  guazzabuglio  di  traduzione  è  stato 
ammirato  da  un  Monti ,  encomiato  da  un  Perticari  ?  O  almeno 
la  lingua  e  lo  stile  adoperatovi  li  rendesse  scusabili  dalle  lodi 
prodigalizzate.  Ma  anche  da  questo  lato  lodarono  senza  co- 
scienza. Ommetteremo  certe  imperfezioni  di  grammatica,  come 
«  i  beni  i  più  veri  e  j  più  solidi,  doversi  per  doverci  (I. )  ,  soc- 
comhito  (\\\.)  ed  altri  5  saranno  errori  di  stampa  *i;  porrò 
da  banda  parecchie  frasi  o  voci  che  paiono  ornai  troppo  viete  » 
alliate^  la  sacca ^  andette  (I.)j  penar  uno  di  morte,  fu  panilo , 
spergiurar  gli  Dei  (  III.  ) ,  ammanire  una  musica  (  IV.  ) ,  uscir 
la  città j  sW  orecchia  del  senato  (V.),  si  stea,  patria,  eredi- 
taggio  ,  in  ischeltro  (Yl.) ,  scandoli  (Ylll.)  ;  ma  chi  gli  potrà 
perdonare  le  parole  oscene  e  basse ,  che  deturpano  la  gravità 
della  narrazione   *2,    o    i  tanti  neologismi,    o    i  vocaboli  stra- 


di I  cavalli  calcando  £  suoi  piedi  iii  su  quelle  punte  (IV.).  Severo  ,  siccoiue 
quello  ,  che  sortilo  era  vincitore  (IH.).  Credeano  aver  caduto  di  bocca  ad  uà 
tigre  eliciuto  (V).  Gli  Unglieri  ,  che  gli  parea  aver  combattuto  da  poltioui 
(Vili.).   t>'  istigò  loro.  He  li  aggiudicava  a  se  stesso  (VII.). 

*2  E  anche  singolare  1'  abuso  che  fa  de'  versi  dell'  Alighieri  ,  di  che  ha  già 
fatto  cenno  l'autore  dell'  articolo  ,  ma  sol  di  passaggio.  • —  Si  che  a  bene  spe- 
rare di  potervi  riescire  gli  sarebbe  cagione.  —  Gli  stando  iìtta  nella  mente  l.i 
cara  buona  immagine  paterna  (li).  —  1  Greci  furono  inforcati  dai  Romani.  — 
Occupar  la  sella  di  lui  che  era  vuota.  —  Per  1'  eifetto  de'  suoi  malvagi  pen- 
sieri.  —    Autiocliia  ,  piena  lutla  di  sospiri  ,  pianti,   ed  alti  guai.  —  Por  sì   bcstiul 


160 

volti  dal  proprio  significato,  o  le  metafore  ampollose,  che  di 
frequente  si  incontrano  ?  Accenneremo  tutte  queste  cose  ad 
un  tratto,  scegliendo  soprattutto  quelle  frasi,  o  que'  luoghi  , 
che  mentre  ce  lo  fanno  conoscere  per  uno  scrittore  di  mal 
gusto  ,  per  un  novatore  poco  felice  ,  anche  disvelano  che  lo 
storico  non  è  stato  menomamente  inteso.  Ma  chi  reggerebbe 
a  sì  lunghe  litanie  di  capricciose  locuzioni ,  di  voci  barbare  e 
strane  ?  Ci  sia  lecito  di  accozzarle  insieme  ,  e  vedremo  che 
eleganza  di  modi  ne  verrà  a  nascere. 

Ckymmodo. 

Prima  che  Marc'  Aurelio  venisse  a  morte  parte  dei  Tedeschi 
ammutinano  per  terrore  (  dilapsi  effugerant  )  5  ma  temeva  V  im- 
peratore che  durante  la  pupitezza  del  figliuolo ,  forzassero  di 
scuotere  il  giogo.  Finche  non  menò  moglie,  Commodo  non 
ispazientia  di  veder  la  sorella  Lucilla  assisa  sul  trono  impe- 
riale 5  quando  poi  ^altezza  di  Crispina  imperatrice  si  volse  in 
ischerno  di  Lucilla  ,  questa  congiurò  contro  il  fratello  ,  e  la 
trama  fu  scoperta  da  un  cve.àn\.o falsario  (vaniloquus  ).  Materno, 
che  col  partir  giustamente  il  bottino  ingolosiva,  fu  secondo  a 
insidiar  Commodo  ,  e  malgrado  le  lettere  fulminatrici  ,  scritte 
per  arrestarlo  ,  il  ))rigante  ingrandiva  se  stesso  alle  maggiori 
arditezze,  e  s' invigorìa  d'astuzia.  Quel  Cleandro,  che  sopraf- 
fatto da'  subiti  guadagnili  fondò  la  sontuosa  università ,  essendo 
valletto  di  camera  dell'  imperatore,  lo  rende  più  odioso  al  po- 
polo. Commodo  fatti  venir  animali  non  appariti  mai  alla  vista 
de  trapassati ,  dà  uno  spettacolo,  al  quale  piovono  tutti  i  con- 
finanti. Finalmente  Marzia  la  concubina ,  che  1'  avea  pregato 
inutilmente  a  non  patir  che  1'  imperio  divenisse  bordello,  gli 
dà  il  veleno  ,  e  langueggiante  di  veleno  lo  fa  strozzar  da  Nar- 
ciso (  L.  L  ). 

seguo  mostrato  aveva  avere  cuore  e  braccia  a  tal  mestiere  disciolte  (  subdolam 
igitur  oius  ingeniuin  factis  declaratutn  est  I  !  )  —  Si  sta  come  porco  in  brago 
(lutto  questo  nel  solo  libro  III.).  —  Di  verno  pel  freddo  cielo  ,  fan  sì  grosio  velo 
al  corso  loro  (VI.).  —  Alla  Gne  di  sue  parole  (  Mas,-.imiuo  )  le  mani  alzò  e 
sijiiadrolle  ecc.  (VU-)- 


161 

Pertinace. 

Teme  Pertinace  d'  esser  adombrato  di  lusinghe ,  ma  Eletto 
lo  assicura  di  dir  cose  non  ismentihìli.  La  virtù  di  Pertinace 
fa  che  le  guardie  se  ne  vituperano  (ignominiam  existimantes  ) , 
e  però  spengono  con  la  morte  in  sul  più  bel  del  cammino  le 
lodevolissime  idee  sue. 

Settimio  Severo. 

I  soldati  ,  senza  sbrancarne  ,  metton  1'  imperio  all'  incanto. 
Giuliano  che  aveva  tesori  rigurgitanti  d'  oro  e  d'  argento  ,  in- 
dotto dalla  ciurma  degli  scrocconi  ,  dice  all'  imperio  ,  e  1'  ot- 
tiene ',  ma  Severo  ,  il  quale  avea  sognato  ,  che  il  cavallo  lo 
passeggiasse  (^  prcsagimenti ,  cui  sogliam  prestar  fede,  quando 
sortito  hanno  di  riescire  )  è  anche  eletto  imperatore  in  Un- 
gheria. Giuliano  in  letargo  non  sa  che  farsi  5  le  guardie  che 
ingolosiscono  sempre  più  d'  avarizia  ,  ne  sono  interrorite  (IL). 
Severo  esorta  i  suoi  soldati  per  la  virtù  che  li  distingue  ,  e 
per  cai  sortiti son  vincitori*!  ,  a  mover  contro  Albino.  Vittorioso 
notizia  il  popolo.  Di  ritorno  a  Roma,  Plauziano  (il  quale  è 
fama  che  s'  aggraduisse  a  Severo  per  istupro),  gli  congiura 
centra  (  impresa  azzardosissima  )  ;  e  venendo  a  gola  aperta  per 
ingoiarsi  il  palazzo  ,  è  messo  a  fll  di  spada  (  HL). 

Antonino  e  Geta. 

Fattosi  il  sacrifizio  (lien  inteso  ,  prò  imperatorum  aduentw, 
ma  il  Poliz.  avendolo  ommesso,  il  Manzi  che  non  guarda  mai  il 
greco,  usa  la  stessa  reticenza)  Antonino  e  Geta  prendon  l'impe- 
rio ,  e  infellonendo  l'un  contro  l'altro  di  veleni  j  la  cosa  andette 
a  segno  che  Antonino  fesse  il  cuore  a  Geta  in  grembo  alla 
madre  !I  Scindendo  quindi  la  verità  ne  sortì  con  vanto.  Parte 
pel   Danubio  ,    dove   accattivitasi   e    accatti\^atasi    la    soldatesca 

*i  11  verbo  sortire  vi  s' incontra  almeno  dodici  volte  ,  sempre  in  senso 
«rroneo. 


162 

coir  ammazzar  ogni  genia  di  fiere  ,,col  far  pagnotte  egli  stesso 
e  mangiarsele,  passa  a  Pergamo,  e  vi  si  pasce  di  Chimere 
(  somniis  captandis  se  explevit  !  )  *i.  Vuol  farsi  sposatore  della 
figliuola  del  Gran  Signore,  e  più  non  capia  in  sé  la  gran  vo? 
glia  d'  impalmarla  (IV.)  ,  .,.• 

Macrino  ed  Eliogabalo. 

Morto  Antonino  si  forbisce  lo  stato  con  1'  esilio  delle  spie. 
Puttaneggiando  Macrino  con  ornamenti  di  fibbie  (  incedens  fi- 
bulis  ornatus  !!  )  Mesa,  che  avea  monti  di  denaro,  aiutata  da 
una  risma  di  l' fuggiti  fa  acclamar  impera tor  Bassiano.  Il  gene- 
ralissimo Giuliano  r  assedia  in  Antiochia  ;  col  leuar  di  peso 
cofani  di  moneta  e  ostentarli,  è  liberata.  Antonino  (Eliogabalo) 
dichiara  Cesare  il  cugino  Alessandro,  e  il  Senato  sottoscrive 
il  risibile  decreto.  Mammea  provvede  che  Alessandro  non  im- 
bruttisca la  dignità  del  principato  ;  ma  Antonino  fa  cacciar  via 
tutti  i  letterati ,  che  empivano  ad  Alessandro  la  fantasia  di 
bizzoccherie  e  di  soldatesca  goffaggine  (  emendantes  et  virorum 
officia  docentes!!  Dove  avea  la  testa  il  Manzi?)  Tutto  cade 
nel  fansp  del  più.  vile  e  pazzo  disordine  (V.). 

Ma  anch'  io  sono  sazio  di  ravvolgermi  in  questo  fango  ,  e 
lascerò  che  i  barbari  si  promettan  yìXXoxìa,  non  petloreggiando 
il  nemico,  ma  scorazzando  -^  che  gli  Ungheri  dican  peste  ài 
Alessandro  (VI.);  lascio,  che  la  fortuna  sbalzi  sul  trono  quel 
bestione  di  Massimino  ,  né  volendo  a  canto  chi  per  nobiltà  gli 
abbia  a  proporre  ,  come  da  un'  altezza  non  attendibile  ,  s'  in- 
golfi ne'  progetti  tirannici.  Infierisca  pur  il  carattere  (  come  è 
narrato  nel  libro  discorso  ,  il  VII.  )  5  ammazzi  l'amico  che  lo 
a\>ea  tratto  po'  capelli  all'  imperio  ,  assedii  Aquileia  ,  la  fui' 
mini  con  saette  impecciate  di  pece,  attingano  gli  assediati  acqua 
imbrodolata  di  sangue  e  di  marcia  ;  a  me  basterà  1'  aver  no- 
tato parte  di  quello  che  ne'  libri  otto  dal  greco  in  italiano  recati, 
mi  parve  più  lingua  di  forastierame  ,  che  non  d' un  italiano. 

*i  Dove  ha  mai  presa  questa  variante  ?  Ex  uno  disce  omnes.  —  Vcggansi 
i  Commentatori,  e  Dione  Cassio  LXXVll ,   i5. 


165 

Or  rimane  ,  che  dopo  le  frasi  spezzate  ,  si  prenda  a  disa- 
mina qualche  intero  periodo  ,  o  qualche  brano,  acciocché  ap- 
parisca ,  quanto  lunga  e  dura  fatica  avrebbe  a  sostenere  chi 
tutte  notar  volesse  le  imperfezioni,  di  cui  abbonda  questo  vol- 
garizzamento. Incominciamo  dal  proemio ,  che  tradotto  fedel- 
mente,  dice  così  : 

La  più  parte  di  quelli  che  danno  opera  a  comporre  istorie, 
e  si  studiano  di  rinfrescar  la  memoria  di  antichi  fatti  ,  aspi- 
rando a  immortai  gloria  di  dottrina ,  per  non  esser  involti  nella 
gran  turba  che  visse  nel  silenzio  5  nelle  loro  narrazioni  poco 
si  curano  della  verità,  ma  si  travagliano  soprattutto  della  frase 
e  dell'  armonia  ,  confidando  ,  che  anche  col  narrare  alcun  che 
di  favoloso,  pur  coglieranno  il  dolce  frutto  d'  esser  uditi,  né 
verrà  impugnata  l'esattezza  delle  ricerche.  Or  udiamo  il  Manzi. 
«  La  massima  parte  di  coloro  che  si  sono  posti  a  scrivere 
»  per  tramandar  a'  posteri  la  memoria  delle  antiche  storie,  nel 
»  far  pompa  di  recondite  dottrine ,  a  fin  di  rendere  il  nome 
»  loro  immortale  ,  sogliono  adoperare  una  maggior  diligenza 
»  negli  abbellimenti  della  narrazione  ,  che  nella  scrupolosa  ri- 
»  cerca  della  verità  :  dandosi  a  credere ,  che  il  favoleggiare  su 
»  quei  remotissimi  fatti  non  sia  in  alcun  modo  riprovabile ,  ne 
»  possa  impedire  che  quella  incantatrice  soavità  corrisponda  con 
»  usura  a'  loro  sforzi  d'  ingegno.  »  (  Che  fedeltà  !  e  non  siamo 
che  al  primo  periodo  ).  Quindi  prosegue  Erodiano. 

V  hanno  poi  di  tali  ,  che  per  inimicizia  o  per  odio  di  li- 
ranni,  per  adulare  od  onorar  re,  città  e  privati,  elevarono  cou 
l'eloquenza  piccole  azioni  e  basse  a  maggior  fama  del  :vcir0i 
Ma  il  Manzi.  ,    .     ,.,,, 

«  Alcuni  altri,  mossi  da'  privati  rancori  o  da  odio  della  "ti- 
»  rannide  ,  ovvero  profondendo  lodi  strabocchevoli  a'  principi 
»  delle  città j  ed  agli  stessi  suoi  cittadini,  ingigantiscono  oltre 
»  ogni  credere  cogli  artifizii  dell'eloquenza  tali  cose ,  che  da  per 
»  loro  sono  umili  e  basse.  »  Qui  si  vede  (  e  siamo  al  secondo 
periodo  )  che  non  ha  inteso,  non  dirò  il  testo  ,  ma  né  anche 
il  Poliziano  che  dice  k  aut  in  laudes  principum  ,  civitatum<y 
pnvatoruraque   hominum  immodice  assentationibus  effusi.  » 

Andiani  oltre.    Marco    Aurelio   già   presso    a   morte   fa    agli 


164 

amici  una   commoventissima   allocuzione ,    la   quale   così    inco- 
mincia (1,4)- 

Che  voi  siate  addolorati  nel  vedermi  a  tale  condotto  ,  non 
mi  è  punto  maraviglia  ;  poiché  il  mortale  da  natura  è  mosso 
a  compassione  delle  sventure  de'  mortali ,  e  le  calamità  che 
gli  cadono  sott'  occhio  a  maggior  commiserazione  1'  invitano. 
Io  poi  credo  di  potermi  da  voi  aspettare  alquanto  di  più  5  im- 
perocché dalla  mia  affezione  verso  di  voi  spero  meritamente 
una.  vicendevole  benevolenza.  Ov  è  giunto  il  tempo  opportuno, 
a  me  di  conoscere,  che  non  indarno  per  tanti  anni  mi  diedi 
di  voi  pensiero  ,  e  v'  onorai,  e  a  voi  di  sapermene  grado  ,  di- 
mostrandovi non  immemori  di  quanto  conseguiste,  ecc. 

Il  Manzi.  «  Umana  cosa  è  aver  compassione  degli  afflitti , 
•a  ed  a  coloro  è  massimamente  richiesto,  che  se  gli  veggono 
sotf  occhi.  »  (  Chi  dice  questo?  Boccaccio  sì ,  ma  non  Erodiano. 
La  smania  di  copiar  una  riga  al  Certaldese  1'  ha  messo  fuor 
di  strada.  So  che  un  traduttoi'e  non  dee  camminar  con  le  pa- 
stoie ,  ma  né  anche  stravolgere  il  senso  ).  «  Onde  io  non  mi 
))  maraviglio  ,  se  voi  nel  vedermi  in  questo  stato  ,  mi  vi  mo- 
))  striate  pieni  di  cordoglio  e  di  rammarico.  Né  questi  segni 
V  d'affezione  esser  possono  mentiti  (  Marc'  Aurelio  non  ha  detto 
»  nulla  di  tale  ),  poiché  riguardando  a  quel  che  io  ho  sentito 
»  sempre  di  voi ,  (  il  greco  dice  ben  più  che  sentire  )  non 
»  mi  può  venire  in  animo  dubbio  alcuno  della  vostra  benevo- 
»  lenza  vèrso  di  me.  Ma  ora  ne  viene  quel  tempo,  nel  quale 
»  io  sperimenterò  se  bene  o  male  ho  spesi  tanti  onori  e  tante 
»  beneficenze  ,  e  voi  farete  palese  non  esserne  dagli  animi  vo-t 
»   stri  fuggita  la  memoria.  » 

Commodo  (  I.  5  )  dopo  la  morte  del  padre  si  presenta  all' 
esercito ,  e  così  lo  aringa  : 

Sono  interamente  persuaso  ,  che  voi  prendiate  parte  al  mio 
dolore  per  la  calamità  sopravvenuta  ,  e  ne  proviate  non  minor 
cordoglio  del  mio.  Imperocché  sopravvivendo  il  padre,  io  non 
mi  riputava  d'  esser  nulla  da  più  di  voi.  E  di  vero ,  amava  egli 
noi  tutti ,  siccome  un  solo.  Quindi  vieppiù  godeva  chiaman- 
domi commilitone  che  non  figliuolo  ,  stimando  esser  questa 
appellazione  di  natura  ,  e  quella  comunanza  di  valore.  E  spesse 


165 

volte  portando  me  fanciullo    tra    le   braccia  ,    alla  vostra   fede 

mi  raccomandava Or  la  fortuna  mi  ha    fatto    dopo    luì 

imperator  vostro  ,  non  intruso  come  quelli  che  precedettero  , 
alteri  del  conseguito  imperio  ,  ma  io  solo  nacqui  per  voi  nella 
reggia  5  né  ehbi  a  vagire  in  culla  privata  ,  ma  col  venir  dal 
seno  materno  mi  accolse  la  porpora  imperiale,  e  il  sole  vldemi 
nato  ad  un  tempo  ed  imperante.  Queste  cose  adunque  nell'a- 
nimo ravvolgendo,  meritamente  mi  amerete  come  principe  nou 
datovi  ,  ma  nato  per  voi.    ecc. 

Il  Manzi.  «  Non  mi  può  cadere  nell'  animo  dubbio  alcuno 
»  che  io  non  divida  seco  voi  il  dolore  della  presente  calamità 
))  (  manca  una  mezza  tinta  ).  Imperocché,  vivente  il  mio  geni- 
»  tore  ,  non  mi  sono  io  giammai  riputato  da  più  di  chicchessia 
»  di  voi.  Ed  egli  tutti  di  uguale  amore  ci  amava,  e  si  sentia  più 
))  intenerire  nel  chiamarmi  commilitone  che  figlio  ,  per  essere 
»  d'opinione  che  questo  è  nome  che  dà  la  natura,  e  quello  prò- 
»  cede  da  cominunicazione  (Poliz.  l'ha  tratto  in  errore  )  di  virtù. 
»  E  ben  rammenterete  che  mi  tenendo  spesse  volte  bambino 
))  in  sulle  ginocchia  _,  passatami  alle  vostre  braccia ,  come  se 
»   alla    vostra    fedeltà    mi    volesse    fidare    (  anche    qui    e'  è  di 

»    troppo,  per  non  aver    letto    che    Poliziano  ) Ora    la 

»  fortuna  mi  ha  fatto  dopo  lui  vostro  principe  e  principe  non 
»  come  i  primi  adottivo  e  borioso  d'essersi  acquistato  l'imperio, 
»  ma  principe  nato  eò.  allevato  in  casa  regnatrice ,  e  da  stalla 
ì)  fortuna  guidato,  che,  appena  venni  alla  luce,  mi  trovai 
»  ammantato  di  porpora  imperiale,  e  ad  un  tratto  apparvi 
•»  alla  vista  del  sole  e  uomo  e  principe.  Le  quali  cose  debbono 
»  muovere  gli  animi  vostri  ad  una  maggior  venerazione  di  me , 
»    che  non  fui  eletto ,  ma  nato  sono  vostro  imperatore.  » 

Prendiamo  pure  la  parlata  di  Massimino  all'esercito.  (VII.  3). 

So  benissimo  che  son  per  dir  cose  a  voi  incredibili  e 
strane  5  ma  ,  come  penso  ,  anzi  che  di  maraviglia ,  degne  di 
riso  e  di  scherno.  Non  impugnarono  le  armi  contra  voi  e  '1 
vostro  valore  i  Germani  ,  che  tante  fiate  vincemmo  ;  non  i 
Sauromati  ,  che  supplicano  tuttodì  per  la  pace  :  gli  stessi  Per- 
siani ,  che  già  scorreano  la  Mesopotamia  ,  ora  si  posano  con- 
lenti dello  stato  loro ,    e  raffrenati  dalla  vostra    gloria    e    virtù 


Ira  l'armi  ^  da  loro  sperimentata  nelle  mie  imprese  ,  quando 
capitanava  gli  eserciti  alle  rive  :  ma  i  Cartaginesi  (  non  è  egli 
ridicolo  a  dirsi?)  i  Cartaginesi  impazzano,  ed  avendo  per- 
suaso o  costretto  un  povero  vecchio  già  per  l'età  fuor  di  senno  , 
si  trastullano  con  un  re  da  spettacolo. 

Il  Manzi.  «Io  debbo  comunicarvi  cose  incredibili  e  nuove,  tali 
»  però ,  a  mio  credere  ,  che  non  debbono  farvi  maravigliare  ,' 
»  ma  ridere  :  hanno  contro  voi  impugnate  le  armi,  non  i 
»  Tedeschi  tante  volte  battuti,  non  i  Tartari,  i  quali  a  man 
■a  piegate  ci  chieggon  la  pace  ,  e  neppure  ì  Persiani  che  dopo 
»  aver  scorsa  la  Mesopotamia  si  sono  racchiusi  entro  il  loro 
»  paese  assaliti  dalla  paura  del  vostro  valore  ,  e  dalle  prove 
M  che  facemmo  noi  stessi  quando  comandavamo  l'esercito  che 
»  difendea  quelle  ripe  :  ma,  cosa  da  scoppiar  dalle  risa,  i  Car- 
»  taginesi  ,  i  quali,  essendosi  impazziti,  e  beffandosi  del  potere 
»  supremo  ,  elevarono  aW  imperio ,  non  so  se  suo  malgrado 
»  ovvero  consensiente  un  povero  vecchio  cadente  e  rimbam- 
»   bito.  )»   E  così  ,  è  peggio  ,  guasta  tutta  quest'  orazione. 

Erodiano  (  IV.  8.  )  parlando  delle  stravaganze  d'  Antonino 
Caraccalla  ,  ci  dice  : 

Vedemmo  anche  dipinte  certe  ridicole  immagini ,  d'  un  sol 
corpo,  le  quali  sotto  la  rotondità  d'  una  testa  sola,  avean  due 
facce  semitagliate  ,  1'  una  d'  Alessandro  ,  e  l'altra  d'  Antonino. 

Il  Manzi.  «Vedemmo  similmente  certi  ritratti  (  che  ritratti  ? 
»  se  lo  sogna  il  traduttore  )  ridicolosamente  dipinti  a  due  visi 
»  ritraenti  da  un  sol  corpo ,  V  uno  di  Alessandro ,  e  l'altro  di 
»  Antonino.  »  Il  Poliziano  avéa  già  tradotto  poco  fedelmente , 
e  il  Manzi  finisce  di  stravolgere  il  senso. 

Leggiamo  per  uìiìmaV apoteosi  o  consecrazione  degli  imperatori 
romani  (  IV  ,  2  ). 

E  costume  de'  romani  il  deificare  quegli  imperatori  ,  che 
venendo  a  morte,  lasciano  figliuoli  a  successori  *i  5  e  tale 
ceremonia  chiamasi  apoteosi.  3.  A  questa  solennità  e  sacro  rito 
scorgesi  per  tutta  Roma  frammisto  un  certo  lutto.  Imperocché 
il   corpo   del    trapassato  si    seppellisce    con    sontuoso  funerale  , 

*t  Alcuni  codici  :  lasciano  successori  o  ftt^Uuuli. 


167 

secondo  la  consuetudine  degli  uomini,-  ma  formata  quindi  un' 
immagine  di  cera,  in  tutto  simile  al  defunto,  viene  esposta  nel 
vestibolo  della  reggia ,  sopra  un  gran  letto  d'  avorio ,  levato  in 
alto  ,  sottoponendovi  strati  intessuti  d'  oro.  4-  Giacesi  quella 
pallida  immagine  a  guisa  d'infermo  ;  e  dai  due  lati  del  letto 
la  più  parte  del  giorno  stanno  seduti,  a  sinistra  tutti  i  senatori 
in  gramaglia  ,  e  a  destra  le  matrone  tutte  ,  che  per  la  di- 
gnità de'  padri  o  de'  mariti  partecipano  a'  più  alti  onori.  6.  j\è 
si  vede  alcuna  di  esse  far  pompa  d'oro  o  adoma  di  monili  , 
ma  ravvolte  in  semplici  vesti  bianche  offron  l'aspetto  di  persone 
addolorate. 

i  II  Manzi,  «  E  consuetudine  de'  romani  di  consagrare  quegli 
»  imperadori  che  lascian  figliuoli  o  altri  successori,  e  dopo  tal 
»  consagrazione  scriverli  al  calendario  degli  Iddii.  3.  In  questa 
»  cit^costanza  si  usa  celebrare  un  misto  di  lutto  e  di  festa  ^ 
))  perchè  il  cadavere  del  defunto  si  sotterra  secondo  il  rito 
»  sontuosamente  ,  e  nel  tempo  stesso  s'impasta  un  ritratto  di 
»  cera  al  verisimile  ,  e  si  situa  sopra  un  grande  ed  alto  letto 
»  d'  avorio  ,  tutto  coperto  di  broccato  d'  oro.  4-  Questo  sì 
w  grandemente  imita  C  originale ,  che  dipinto  di  pallore,  par 
)>  proprio  infermo  che  giace.  Intorno  a'  lati  del  letto  stanno 
)»  gran  parte  del  giorno,  alla  sinistra  i  senatori  tutti  in  gramaglie, 
»  a  destra  matrone  venerevoU  per  la  dignità  de'  genitori  o 
»  mariti,  6.  Le  quali  non  abbigliano  le  persone  loro  adornamenti 
»  d'oro  o  monili ,  ma  vi  si  conducono  vestite  di  vesti  bianche 
»   e  sopraffine  per  mostrar  più  cordoglio, 

"j.  Per  sette  giorni  durano  questi  riti  :  e  in  ciascuno  entrando 
i  medici  ,  s'appressano  al  letto  ,  e  visitato  l'infermo  ,  sempre 
riferiscono  che  va  peggiorando.  8.  Quando  poi  sia  deciso  che 
è  morto  ,  i  più  nobili  dell'  ordine  equestre  ,  ed  eletti  giovani 
del  senato  togliendone  il  letto  ,  lo  trasportano  per  la  via  Sacra 
e  lo  espongono  nel  vecchio  Foro ,  dove  i  magistrati  romani 
rinunziano  con  giuramento  le  cariche.  9.  Sono  quivi  da  ambi 
i  lati  certi  gradini  a  somiglianza  di  scala  :  dall'una  parte  fanno 
un  coro  gli  equestri  e  patrizii  giovani  ,  e  di  rincontro  un  altro 
le  matrone  per  dignità  cospicue,  io.  Amendue  poi  cantano  inni 
e  pcani  in  onor  del  trapassato  ,  modulandoli  sopra  un  tono 
grave  e  lamentevole. 


168 

y.  «  Usan  far  questo  per  sette  giorni  contiaui  ,  in  ciascun 
»  de'  quali  si  fanno  i  medici  presso  al  letto  ,  e  ,  come  se 
»  consultassero  dell'infermo  ,  asseriscono  sempre  più  peggiorare. 
»  8.  Quando  poi  è  loro  parso  esser  morto  ,  allora  la  più  scelta 
»  e  nobilissima  gioventù  dell'  ordin  cavalleresco  e  senatorio  si 
»  pone  il  letto  sulle  spalle  ,  e  per  la  via  sacra  lo  porta  al 
»  vecchio  Foro  ,  dove  usano  i  romani  deporre  il  magistrato. 
»  9.  Quivi  sono  certi  gradini  a  similitudine  di  scale ,  neW  un 
»  de'  quali  si  stan  fanciulli  nobilissimi  ,  ne//'  altro  fanciulle  di 
»  egual  nobiltà  ,  che  con  tuono  flebile  ed  affettuoso  cantano 
»   le  lamentazioni  del  morto. 

II.  Togliendo  quindi  il  letto  ,  portanlo  fuori  della  città  nel 
campo  che  chiamano  di  Marte.  12.  Ivi  nella  parte  più  spaziosa 
del  campo ,  s'innalza  un  palco  quadrangolare  ed  equilatero  a 
forma  di  un  edifizio.  i3.  Internamente  è  pieno  tutto  quanto 
di  sarmenti  ,  e  adorno  al  di  fuori  di  drappi  tessuti  in  oro,  di 
statue  d'avorio  ,  e  di  svariate  pitture,  i^.  Su  questo  ne  sorge 
un  secondo,  simile  di  figura  e  di  ornato,  ma  più  piccolo,  con 
porticelle  e  piccole  imposte  aperte.  Quindi  un  terzo ,  ed  un 
quarto  ,  sempre  minore  del  sottoposto  ,  va  a  finire  nell'ultimo 
di  tutti  più  angusto.  i5.  Si  potrebbe  paragonare  la  figura  di 
questo  catafalco  a  quelle  specole  che  sovrastando  ai  porti,  durante 
la  notte  con  l'acceso  fuoco  dirizzano  le  navi  a  sicure  stazioni,  e 
chiamansi  volgarmente  Fanali  *i.  16.  Innalzato  pertanto  il  letto 
al  secondo  palco,  ivi  lo  posano,  e  vi  apportano  e  gittan  sopra 
in  copia  aromi  e  tiraiami  ,  quanti  la  terra  produce  ,  ed  altri 
frutti  ed  erbe  e  succhi,  che  mandino  grata  fragranza,  ly.  Impe- 
rocché non  vi  ha  popolo,  non  città ,  né  persona  di  conto ,  o  co- 
stituita in  dignità  ,  la  quale  di  buon  grado  non  mandi  questi 
ultimi  doni  per  onorar  1'  imperatore.  18.  Poiché  si  è  fatto  un 
gran  cumulo  d'aromati  ,  e  che  tutto  ne  è  pieno  il  luogo,  suc- 

*i  II  Cav.  Luigi  Bossi  ,  traduttore  di  Dione  Cassio  e  dell'epitome  di  Sifilino, 
nel  chiosare  la  narrazione  dell'apoteosi  di  Pertinace  (  L.  LXXIV  ,  5  )  ,  non  ci 
sembra  aver  ben  compreso  questo  passo.  «  Eradiano  ,  dice  egli ,  parlando  del 
rogo  di  Severo  munito,  secondo  esso,  di  quadruplice  tavolato  (anzi  dovea  scrivere 
di  cinque  «ofo/a<j  o  palchi),  lo  paragonò  col  faro  di  Alessandria  (^r\k  d'Alessan- 
dria né  di  Miseuo  ,  ma  con  qualunque  faro  ). 


169 

cede  intorno  a  quel  catafalco  una  corsa  equestre.  19.  Tutto  l'or- 
dine de'  cavalieri  cavalca  e  ricavalca  attorno  in  bell'ordinanza, 
con  corso  e  misura  pirricchia.  Vanno  pur  in  giro  de'  cocchi  in 
simile  ordinanza,  con  sopravi  persone  vestite  di  porpora  ,  e 
rappresentanti  in  maschera  que'  Romani  che  furono  insigni  ca- 
pitani o  imperatori. 

«  II.  Fatte  queste  ceremonie ,  prendono  nuovamente  il  letto 
»  e  lo  portano  fuori  della  città  in  campo  marzo ,  ove  ,  per 
»  quanto  è  largo  (  l'errore  è  troppo  madornale  ,  e  meriterebbe 
»  le  spalmate  ),  si  eleva  un  palco  di  forma  quadrata,  composto 
»  tutto  di  grosse  travi  a  modo  di  tabernacolo.  iS.  E  questo 
»  si  riempie  di  esca  aridissima  ,  e  di  fuori  si  adorna  di  ricchi 
»  strati  conlesti  d'oro  ,  di  figure  di  avorio,  e  di  pitture  varie 
))  e  bellissime.  1^.  Nel  dritto  mezzo  del  tabernacolo  se  ne  distingue 
»  un  altro  alquanto  più  piccolo,  e  a  ingressi  aperti,  ma  non 
»  dissimile  né  di  forma,  né  d'ornamenti.  ^  eguale  indicazione 
»  un  terzo,  e  similmente  un  quarto,  di  mano  in  mano  digradantisi  : 
M  e  cosi  gli  altri  tutti  sino  a  che  all'estremo  si  perviene  che 
»  di  tutti  è  il  più  piccolo.  i5.  Si  può  assomigliare  questo  edifizio 
»  a  quei  che  torreggiano  ne'  porti  ,  e  dan  lume  di  notte  ai 
•>ì  naviganti  per  guidarli  ad  ancorarsi  in  sicuro,  e  che  volgarmente 
»  son  chiamati  fanali.  i6.  Elevato  dunque  il  letto  nel  secondo 
»  tabernacolo,  vi  gittan  dentro  e  vi  ammontano  aromali,  profumi, 
M  unguenti  e  frutta  ed  erbe  le  più  che  si  hanno  odorosissime, 
ì)  l'j.  Imperocché  e  le  nazioni,  e  le  città  e  chiunque  di  qualche 
»  dignità  sia  insignito,  garcggian  tutti  ad  onorare  le  esequie 
•>ì  del  principe.  18.  Quando  si  è  ammucchiato  un  grosso  mucchio 
»  di  spezierie,  né  parte  alcuna  n'è  senza,  allora  cavalca  intorno 
•»  a\Yeài{\z\o  iìin anzi  e  indietro  l'ordine  de' cavalieri,  torneando 
»  con  certa  legge  e  con  moto  detto  pirricchio.  5i  fanno  pur 
»  rotear  de'cocchi  <^a'coccAie/t  abbigliali  di  porpora,  e  mascherati 
»  di  masclicre  rappresentanti  i  passati  illustri  generali  e  im- 
»   pera  lo  ri.  » 

^^o.  Terminate  queste  corse,  il  successore  all'imperio  togliendo 
in  mano  una  fiaccola,  l'appressa  al  catafalco.  Allora  gli  altri 
vi  appiccano  da  tutte  parli  il  fuoco,  che  per  la  stipata  quan- 
tità  di  sarmenti   e  di  tiiuiami  ,   consuma  facilmente  ogui  cosa. 

II 


170 

2iì.  E  dairultimo  e  più  piccolo  palco,  quasi  da  uno  spaldo,  par- 
tesi  un'aquila  levandosi  in  un  col  fuoco  per  l'aere,  e  credesi 
dai  romani  che  rechi  dalla  terra  in  cielo  1'  anima  dello  impe- 
ratore, che  da  quindi  innanzi  è   venerato  con  gli  altri  Iddii. 

«  20.  Finiti  questi  spettacoli  ,  il  principe  ereditario  prende 
»  una  fiaccola  e  dà  fuoco  al  tabernacolo.  Tutti  allora  si  affrettano 
»  ad  avvivar  la  fiamma  ,  la  quale  in  un  attimo  quella  secca 
})  e  resinosa  stipa  comprende  e  consuma,  22.  Quindi  messo 
»  fuoco  all'ultimo  e  più  piccolo  tabernacolo,  si  fa  dal  più  alto 
»  punto  di  lui  volare  un'  aquila  ,  che  si  crede  rechi  in  cielo 
))  l'anima  del  principe.  E  d'allora  in  poi  il  defunto  imperadore 
•»  si  venera  al  par  degli  altri  Dii.  » 

E  qui  porrò  fine  ,  più  non  rimanendomi  che  da  dedurre  un 
corollario.  Se  nel  travestire  Erodiano  dimostrò  il  Manzi  di  pos- 
sedere SI  fattamente  la  perfettissima  cognizione  non  solo  delle 
due  lingue,  ma  anche  d'  una  terza  che  è  la  latina  5  che  sarà 
mai  del  suo  Tucidide  ?  Si  haec  in  viridi,  in  arido  quid  fiet? 
Sarà  questo,  come  dissi ,  argomento  d'un  secondo  articolo.  In- 
tanto premettiamo  che  il  Ch."  sig.  Ambrosoli ,  quando  ne  fece 
parola  nel  voi.  LIX.  della  Bibl.  Ital.  si  mostrò  nel  suo  giudizio 
troppo  indulgente.  Bisognava  fin  d'  allora  far  sentire  agli  stra- 
nieri ,  che  r  Italia  disdegnava  quella  parodia  del  più  grave 
degli  storici.  Sì  questo  voleva  esser  fatto  ,  acciocché  i  Didot  e 
gli  Osiander  ,  gli  Arnold  e  i  Poppo  con  gli  altri  celebri  com- 
mentatori non  abbiano  a  smascellar  dalle  risa  a  spese  di  noi  ita- 
liani. Sia  quindi  lode  al  dotto  e  modesto  Fiorentino  Pasquale 
Boni  ,  il  quale  con  la  novella  sua  versione  di  Tucidide  ci  ha 
liberati  in  gran  parte  da  quest'  onta.  Quel  che,  a  mio  parere  , 
rimane  tuttavia  a  desiderarsi  in  quel  lodevole  suo  lavoro,  l'ot- 
terremo e  da  lui  in  una  seconda  edizione,  e  dalla  traduzione 
dello  stesso  storico  ,  che  il  eh."  Cav.  Peyron  ha  come  condotta 
a  fine,  con  quella  penetrazione  d'  ingegno,  con  quella  filologia 
e  dottrina,  che  gli  eruditi  d'Europa  ammirano  nelle  letterarie 
sue  produzioni. 

C.    D. 


171 

ULRICO     E     LIDA 

Novella  di  Tommaso  Grossi. 


{Torino,  presso  ScUiAppati,   iSSy.  Un  Tol.  in-ia  ). 


Noi  altri  avversari  aperti  de'  sonetti  e  delle  canzoni  Petrar- 
chesche o  Guidesche  ,  e  ancora  de'  versiscioltai  Frugoniani  , 
Pindemoatani  o  Cesarottiani  ,  e  degli  anacreontici  Savioleschi, 
e  insomma  di  tutti  i  verseggianti  per  imitazioni  oramai  esau- 
rite ;  noi  altri,  dico,  siamo  sovente  accusati  di  muovere  guerra 
alla  poesia  ,  e  cosi  di  rinegare  quasi  contro  natura  una  delle 
più  belle  glorie  della  patria  nostra  ,  una  delle  facoltà  più  pro- 
prie dell'ingegno  italiano.  Né  è  meraviglia  se  si  faccia  cosi  ; 
che  di  tali  gratuite  accuse  ,  di  tali  esagerazioni  ,  di  tali  rispo- 
ste a  ciò  che  non  s'  è  detto,  nutrousi  le  dispute  tutte,  le  let- 
terarie come  r  altre.  E  che  farci  ?  Replicare  alle  risposte , 
per  poi  rispondere  alle  repliche  senza  fine,  senza  niun  frutto? 
Mai  no;  che  chi  è  buono  a  far  qualcosa  al  mondo,  ben  altro 
ha  da  fare  che  dispute  ;  ma  se  ci  si  porga  mai  un'  occasione 
di  ammirare  da  noi  ,  e  quindi  di  pubblicamente  lodare  qual- 
che poesia  diversa  da  quelle  biasimate  ,  parrai  che  a  noi  stia 
più  che  a  niun  altri  di  segnalarla  ,  per  mostrare  col  fatto  che 
non  siaujo  poi  que'  barbari,  quegli  animi  anti-poelici,  o  peggio 
anli-italiani,  che  si  vorrebbe  far  credere  da  taluni,  perchè  non 
lodiamo  alla  rinfusa  tutto  ciò  che  si  fa  o  si  scrive  in  Italia. 

Una  di  queste  liete  occasioni  di  lodare,  ci  è  data  ora  dalla 
presente  novella  in  ottava  rima  di  Tommaso  Grossi.  Il  Grossi 


172 

è  inventore  o  introduttore  fra  noi  di  tal  genere  di  novello 
poetiche  ed  affettuose.  Le  novelle  veramente  sono  molto  antiche 
non  solo  in  Italia,  ma  nella  letteratura  generale  de'  popoli 
europei;  che  come  i  racconti  d'ogni  sorta  sogliono  trastullar 
r  infanzia  di  ogni  uomo ,  e  come  i  rapsodi  trastullarono  già 
quella  dell'antica  società  ,  così  i  novellatori  trattenner  la  nostra 
nel  medio  evo.  E  trovatasi  in  Italia  al  i3oo  la  società  più 
avanzata,  la  lingua  più  formata  che  altrove,  sorse  naturalmente 
un  novellatore  italiano  superiore  agli  altri  ,  e  di  lingua  cosi 
colta  che  egli  diventò  poi  uno  de'  padri  di  questa.  Così  la 
novella  rimasta  altrove  un  genere  secondario  di  letteratura  , 
diventò  presso  di  noi  un  genere  classico;  classico,  dico,  secondo 
l'origine  e  la  sola  buona  significazione  della  parola ,  la  quale 
comprende  tuttociò  che  in  ogni  paese  si  studia  nelle  classi 
delle  scuole.  Quasi  tutti  i  nostri  novellatori  sono  autori  di 
lingua;  dati  a  modello  per  excerpta  nelle  scuole  ;  e  letti  poi 
anche  troppo  avidamente  dagli  usciti  di  esse.  Imperciocché  pur 
troppo  essi  portano  seco  e  mantengono  un  difetto  capitale  dello 
stato  rozzo  della  società  in  che  nacquero;  e  non  solo  la  sguaiatezza 
delle  parole  ,  ma  la  volgarità  de'  fatti  e  quell'aspetto  prosaico , 
triviale  e  materiale  della  vita  umana  ,  il  quale  s'io  non  m'in- 
ganno è  uno  de'  maggiori  errori ,  una  delle  maggiori  disgrazie 
in  che  possa  cadere  mal  una  nazione  ,  e  in  che  pur  troppo 
cadde  sovente  la  nostra.  Gran  danno ,  gran  peccalo  che  abbia 
potuto  più,  che  si  sia  più  sparso  questo  modo  di  vedere  e  sen- 
tire ,  che  non  quello  tanto  diverso  ,  tanto  poetico  ed  appas- 
sionato, e  s' anco  si  voglia,  esagerato  degli  altri  due  nostri 
Dante  e  Petrarca.  Diciamolo  pure:  noi  altri  meridionali  siamo 
troppo  sovente  esageratori  ;  ed  ora  ci  lasciamo  rapire  dalla 
nostra  natura  affettuosa,  appassionata  e  poetica  ;  ora  cadendo 
stanchi  da  quella  ci  abbandoniamo  quasi  per  disperazione  a 
quell'altra  natura  nostra  ,  a  quella  vita  pigra  ,  oziosa  o  viziosa  e 
inditierente  ,  che  ci  è  ritratta  dalle  nostre  novelle. 

So  che  il  Boccaccio  sommo  scrittore  ,  e  dopo  lui  alcuni  suoi 
imitatori  toccarono  talvolta  da  maestri  alcuni  affetti.  Due  delle 
più  patetiche  composizioni  che  siano  al  mondo ,  V  Otello , 
e  Romeo  e  Giulietta,  sono  tratte   da'  nostri  novellieri.    Ma  in 


173 

queste  il  maggior  merito  d'  aftetti  è  del  poeta  straniero 5  qua- 
lunque sia  quello  del  Boccaccio  nella  Griselda  ed  in  alcune 
altre  novelle,  egli  è  lontano  ad  ogni  modo  dai  due  clie  die- 
dero vita  immortale  alle  loro  Laura  e  Beatrice  ,  da  colui  prin- 
cipalmente che  la  diede  in  pochi  versi  a  Francesca  ,  alla  Pia, 
ad  Ugolino. 

Questo  sentire  prosaico  de'  nostri  novellatori  fa  quello  pro- 
babilmente che  li  trattenne  sempre  dallo  scrivere  in  versi ,  al- 
tronde cosi  facili  appresso  a  noi.  E  quando  il  Casti  ,  primo 
ch'io  sappia  fra  noi ,  scrisse  novelle  in  versi  ,  elle  rimasero 
pur  prosaiche  nel  modo  di  sentire.  Ma  nota  bene  che  io  le 
dico  prosaiche ,  non  perchè  facete  ,  ma  perchè  elle  non  mi 
paiono  poeticamente  facete.  Imperciocché  certo  pure  vi  può 
essere  e  v'  è  poesìa  nella  facezia;  e  ce  n'è  non  solo  quando  la 
facezia  corregge  ,  ma  quando  ella  pur  desta  ridendo  gli  affetti 
teneri  o  impetuosi ,  gli  affetti  poetici  dell'anima.  Chi  non  co- 
nosce le  lagrime  di  tenerezza  talora  scoppianti  da  una  facezia  ? 
E  infelice  colui  che  non  ha  sentito  poesia,  una  poesia  troppo 
diversa^ da  quella  del  Casti  ,  nelle  facezie  del  divino  Ariosto, 
di  Cervantes,  di  La  Fontaine,  di  Molière,  e  di  Shakespeare. 
La  poesia  di  tutti  questi  consiste  principalmente  in  un.  certo 
candore,  e  poi  negli  affetti  che  tralucono  anche  in  mezzo  alle 
loro  facezie.  E  la  perfezione  è  forse  poi  quando  (  come  in 
D.  Quisciotte  ,  e  nel  Misantropo  )  1'  autore  trova  modo  d' in- 
teressare per  lo  stesso  protagonista  ,  per  1'  oggetto  contro  cui 
rivolge  le  sue  celie.  Allora  spoglie  queste  di  ogni  amarezza 
lasciano  1'  animo  aperto  ad  ogni  affetto  migliore,  [e  lo  rivol- 
gono non  contro  i  vizi  grossolani ,  che  saltano  agli  occhi  di 
chicchessia,  ma  contro  i  difetti,  le  esagerazioni  della  stessa 
virtù ,  che  pur  si  vogliono  correggere.  Ma  sono  rare  queste 
opere,  e  rari  quegli  autori  privilegiati  di  quel  senso  squisito 
della  buona  celia,  che  sta  egualmente  lontano  dai  due  estremi 
della  grossezza  e  della  ricercatezza;  ed  io  dico  il  vero  po- 
nendo in  ciò  al  par  di  qualunque  straniero  due  italiani ,  Ario- 
sto e  Manzoni,  non  veggo  pur  troppo  ad  essi  molti  imitatori. 
E  qui  tuttavia  sarebbero  desiderabili. 

Il  Grossi  ne'  suoi  scritti    milanesi  ,    ai    quali    ebbe  per  com- 


174 

pagno  il  Porta,  è  scrittore  faceto  in  quel  genere  poetico,  che 
dico  io  ,  e  che  non  sarà  forse  approvato  da  tutti.  Ma  ad  ogni 
modo  lasciamo  ciò  ;  cbè  in  questa  come  nelle  altre  sue  novelle 
italiane  il  Grossi  è  sì  narrator  piano,  semplice,  e  per  così  dir 
popolare,  ma  non  faceto,  ed  anzi  dolcemente  mesto.  Ed  a  que- 
sta sua  seconda  maniera  egli  venne  a  poco  a  poco  dalla  pri- 
ma. Tutti  coloro  la  cui  memoria  letteraria  risale  a  20  anni 
addietro  si  ricordano  certo  di  quella  carissima  Fuggitiva  dettata 
prima  iu  dialetto  milanese  ,  e  poi  da  esso  tradotta  in  italiano 
molto  opportunamente  ,  quantunque  forse  si  desideri  in  questa 
come  in  ogni  traduzione  la  mirabile  spontaneità  dell'originale. 
Le  lodi  ricevute  per  tal  saggio  ,  o  più  probabilmente  quella 
compiacenza  nell'opera  propria  ,  che  m'immagino  non  manciù 
mai  all'autore  d'una  opera  bella,  fecero  al  Grossi  scrivere  poi 
Vlldegonda  ,  ed  ora  dopo  altre  prove  in  altri  generi  ,  il  fanno 
tornare  a  quello  cbe  gli  procacciò  la  sua  gloria  giovanile,  e  ci 
danno  l'Ulrico  e  Lida.  Dopo  la  Fuggitiva  ,  ma  non  so  se  prima 
o  dopo  rildegonda  ,  avemmo  quell'altra  pure  così  cara  novella 
della  Pia  di  Sestini ,  che  fece  a  tutti  increscer  tanto  della 
morte  immatura  di  lui.  Né  d'allora  in  poi  fu  fatta  ,  ch'io  sap- 
pia ,  altra  prova  in  questo  genere;  che  le  cantiche  di  Silvio 
Pellico  come  han  titolo,  così  hanno  stile  e  modo  e  per  lo  più 
metri  diversi.  Tal  genere  rimane  dunque  finora  quasi  esclu- 
sivamente del   Grossi. 

E  tanto  più  gli  dobbiamo  esser  grati  perciò  di  tornarvi. 
Il  genere  è  certo  eminentemente  italiano;  italiauissimo  essendo 
il  novellare  e  il  poetare  ,  e  massime  in  ottava  rima  metro 
tutto  nostro  ,  il  più  adatto  che  sia  alla  narrazione  poetica  ,  e 
metro  difficile  ai  non  poeti ,  ma  facile  per  quanto  odo  a  dire  a 
coloro  che  sortirono  una  vera  vena  di  stile  poetico.  Del  re- 
sto ,  diciamolo  pure,  né  l'Ulrico,  né  la  Ildegonda  nemmeno, 
non  arrivano  alla  Fuggitiva.  Questa  è  una  di  quelle  ispirazioni 
che  vengono  di  rado  o  una  volta  sola  anche  agli  ingegni  più 
pellegrini  ,  che  sorgono  da  una  di  quelle  impressioni  giova- 
nili,  le  quali  non  tornano  mai  più,  e  che  ritraggono  una  di 
quelle  situazioni  semplici  le  quali  sono  rarissime  per  se  stesse. 
li   Lebbroso  del   Maistre,  la  Teresa  Viomyn    (  o  Vyomin)  di 


175 

Campbell,  l'Ourika  della  Duchessa  di  Duras,  l'Eugénie  Grande 
del  Balzac  non  ebber  soi-elle  pareggiabili  ad  esse.  Ma  che  per- 
ciò? Tutti  questi  dopo  la  prima  novella  fatta  forse  senza  saper 
di  farla  così  bella  ,  ne  rifecero  pur  dell'  altre  ancor  belle  ,  e 
fecero  benissimo.  Che  qui  più  che  in  niun'  altra  cosa  si  può 
dire,  essere  il  meglio  nemico  del  bene  ;  finché  si  fa  bene  si 
dee  pur  continuare  senza  comparazione  al  meglio  che  s'è  fatto; 
e  quelli  solo  debbono  tacere  ,  che  si  sentono  ridotti  a  non 
poter  più  far  bene  di  ninna  maniera.  Né  questo  è  certamente 
il  caso  del  Grossi  ,  il  quale  ci  dà  ora  l'Ulrico,  novella  piena 
d'affetti  buoni,  naturali,  tanto  lontani  dall' affettazione  senti- 
mentale del  secolo  scorso,  quanto  dal  furore  spiritato  di  molti 
viventi,  e  novella  scritta  in  quello  stile  poetico,  facile  e  piano 
di  che  l'Ariosto  diede  già  un  sì  bello  esempio  fra  noi,  e  che 
il  Lamartlne  ed  alcuni  altri  cercano  di  far  prevalere  presso  i 
nostri  vicini. 

Del  resto  confortando  quanto  sta  in  noi  l'Autore  da  noi 
ammirato  ,  a  continuar  in  questo  genere  nuovo  quasi  tutto  suo 
di  novelle  poetiche,  noi  ardiremo  aggiugnere  un'altra  preghiera. 
Certo  ei  non  dee  sperare  dì  rifare  una  Fuggitila.  Non  è  possi- 
bile, né  utile  imitare  intieramente,  nemmen  se  stesso.  Ma  in  sé, 
come  in  altrui  sono  pur  cose  imitabili ,  ed  una  di  queste  per 
il  Grossi  sarebbe ,  s' io  non  m' inganno ,  il  liaccostarsi  a'  tempi 
nostri.  Egli  é  d'  una  scuola,  o  se  si  voglia  d'  un  crocchio  di 
scrittori  pregevolissimi  come  per  altre  parti  ,  cosi  anche  per  una 
cognizione  profonda  ,  e  quasi  passata  in  sangue  ,  della  storia. 
Fanno  romanzi  e  novelle  ,  nelle  quali  è  più  storia  forse  ,  che 
non  in  molte  composizioni  dateci  per  istorie  pure.  Né  io  vorrei 
certo  scostare  i  oostrì  scriltoi-i  d'  opere  d'  immaginazione  dall' 
illustrare  la  storia  nostra,  il  nostro  fecondissimo  medio  evo; 
ed  anzi  lo  raccomanderei  molto  agii  autori  drammatici ,  a  cui 
giova  mettere  in  certa  lontananza  i  loro  personaggi  ,  riavvici- 
natici  di  soverchio  sulla  scena.  La  tragedia  vuol  dignità  ,  e 
si  sa  che  questa  s'  accresce  colla  lontananza.  Ma  nelle  narra- 
zioni non  è  tal  pericolo.  E  noi  abbiamo  avuto  oramai  tanto 
medio  evo  nelle  novelle  e  ne'  romanzi ,  che  il  gusto  univer- 
sale se  ne   scosta   per  fastidio.  11  Manzoni    riapprossimandosi  a    ' 


176 

noi  (li  due  o  tre  secoli  ,  piacque  tanto  piùj  Walter  Scott  (a 
tanto  grande  nel  Waverley  come  nel  medio  evo  5  Balzac  suc- 
cessore di  lui  in  popolarità ,  non  si  scostò  mai  dalla  nostra 
età  ;  cosi  pur  fa  quell'  infelice  e  mirabile  ingegno  di  Giorgio 
Sand;  e  Tommaso  Grossi  narrando  un  episodio  de'  tempi  no- 
stri ci  diede  un  giojello  inarrivabile  forse  ,  ma  pur  utilmente 
imitabile  in  ciò. 

Non  faremo  poi  a'  lettori  il  cattivo  ufficio  di  spiegar  loro  in 
noiosa  prosa  il  contesto  della  novella  eh'  essi  possono  leggere 
in  graziosissinii  versi.  Ma  a  dar  loro  un  saggio  di  questi  che 
li  invogli  a  leggere  il  rimanente  ,  ecco  come  1'  autore  vien  nar- 
rando il  principio  degli  amori  di  due  giovani,  l'uno  nemico 
in  casa  dell'  amata  ,  e  questa  naturalmente  e  tanto  più  in  sé 
riserbata. 


Tanto  eh'  a  inculta  giovenil  vergogna 
Quel  riservo  apponendo ,  la  riprese 
La  genitrice,  dandole   rampogna 
Di  salvatica  troppo  e  di  forese  : 
Che  a  ben  nata  fanciulla  non  bisogna 
Atto  usar ,  le  dicea ,  tanto  scortese  ; 
£  quasi  ad  amansarla  e  farla  pia  , 
L'ospite  commendando  le  venia. 


Ed  ella  a  poco  a  poco  quella  ombrosa 
Verginal  peritanza  temperando , 
Con  una  voluttà  timida ,  ascosa 
Al  materno  obbedia  dolce  comando. 
Non  parca  veramente  umana  cosa , 
La  verecondia  si  l'  ornava  ,  quando 
Seduta  con  la  madre  ,  il  viso  basso 
Levava  al  suon  d'  un  conosciuto  passo. 


177 

Di  sì  ingenua  beltà ,  di  quel  pudore 
Il  giovane  gentil  tosto  s' accese , 
Ma  nemico  in  sua  casa  ,  il  novo  amore 
Non  s'  attenta  però  farle  palese  -, 
Che  irai  ?  per  gli  occhi  in  pochi  giorni  il  core 
Arcanamente  1'  un  dell'  altro  intese  : 
Mesto  della  sua  cura  ognun  si  piace 
E  in  quel  novo  desio  struggesi  e  tace. 


Oh  come  ratte  ai  due  segreti  amanti 
Di  quel  verno  trascorser  le  giornate  ! 
Che  -eteree  gioje  ,  che  soavi  pianti  ! 
Con  che  dolcezza  occulte  ire  placate  ! 
E  quante  sol  pel  guardo  e  pei  sembianti 
Care  cose  fra  lor  significate! 
E  com'  eran  le  conscie  anime  pronte 
Al  lene  imperio  dell'  amata  fronte  ! 

C.    B. 


178 

CiRiFFO  Calvaneo  COMPOSTO  oA  LucA  de'  Putcì  a  petizione  del 
magnifico  Lorenzo  de'  Medici,  restituito  alla  sua  antica  le- 
zione con  osservazioni  hibliograjico-letterarie  di  S.  L.  G.  E. 
Àudia  socio  di  varie  accademie. 


Firenze.  Tipografia  ArcivescoTile  ,  i854' 


Questo  poema  di  Luca  Pulci  uno  di  que'  tanti  cavalleresclii, 
di  cui  soprabbondò  la  letteratura  italiana  nel  XV  e  nel  XVI 
secolo  era  diventato  a  di  nostri  oltremodo  raro  ,  stantecbè 
dopo  il  1672  nel  qual  anno  fu  egli  stampato  dai  Giunti  in 
Firenze  ,  nessun'  altra  edizione  ne  venne  più  fatta  ;  forse  per- 
chè non  pareva  metter  conto  1'  impresa.  Onde  il  CirifFo  non 
aveva,  si  può  dire,  quasi  più  vita,  che  nelle  pagine  del  Tira- 
boschi,  del  Quadrio,  del  Corniani  e  d'alcuni  altri  storiografi  o 
critici,  i  quali  ne  parlarono  più  o  meno  gli  uni  per  non  man- 
care al  dovere  di  storico,  gli  altri,  credo,  per  aver  materia  d'e- 
sercitare l'arte  loro.  Ma  a  rialzare  dall'obblio  ,  in  cui  a  poco 
a  poco  cadeva,  senza  che  quasi  vi  si  ponesse  mente,  il  CirifFo 
s'adoperò  la  carità  d'un  dotto  bibliografo  il  sig  Audin  5  il  quale 
cercando  per  ogni  parte  e  raffrontando  insieme  con  maravigliosa 
pazienza  e  solerzia  bibliografica  molti  esemplari  di  diverse  edi- 
zioni ,  ridusse  questo  poema  alla  sua  antica  lezione,  v'aggiunse 
in  fine  29  stanze,  delle  quali  volevasi  a  gran  torto  defrau- 
dare il  povero  Pulci,  e  fece  di  questo  poema  una  nuova  edi- 
zione dopo  oltre  a  due  secoli  e  mezzo  di  silenzio  tipografico. 
Tanto  è  vero  ,  che  i  bibliografi  cui  la  moltitudine  dei  libri 
rende    di   dì    in    dì    più    necessari  ,   e  quasi  indispensabili   alla 


179 

nominanza  di  molti  autori,  si  potrebbero  in  alcuna  parte  asso- 
migliare o  alla  fama  di  Virgilio 

.     .     .     .     Cui  quot  sunt  torpore  plumae , 
Tot  vigiles  oculi  subter,  mirabile  dictu , 
Tot  linguae  etc. 

o  ai  cigni  dell'Ariosto  , 

Che  vengon  lieti  riportando  in  bocca 
Sicm'ameute  il  nome  che  lor  tocca. 

o  a  qualcbe  altro  essere  fantastico  schiuso  nella  mente  de'poeti. 
Sebbene  il  GirifFo  si  componga  in  sostanza  di  quei  medesimi 
elementi,  che  sono  propri  di  quella  specie  di  poemi,  cui  esso 
appartiene  ,  e  vi  si  rappresentino  a  un  dipresso  le  stesse  guerre, 
gli  stessi  eroi,  i  medesimi  casi,  le  medesime  stranezze  ,  onde 
empierono  le  lor  carte  i  poeti  cavallereschi;  tuttavia  la  storia 
di  Ciriffoj  e  del  Povero  Avveduto  suo  compagno,  la  quale 
forma  la  parte  principale  di  questo  poema,  ha  qualche  cosa  di 
men  ovvio,  di  strano  e  dì  commovente  ad  un  tempo.  —  CirifFo 
ed  il  Povero  nacquero  di  due  amanti  tradite ,  le  quali  dolenti 
e  fuggitive  lungi  dalla  patria  il  caso  condusse  per  diverse  vie  a 
certo  solitario  luogo,  dove  un  vecchio  pastore  le  raccolse  sotto 
il  povero  suo  tetto.  Quivi  Massima  e  Paliprenda  (tali  sono  i 
nomi  delle  due  belle  sconsolate)  quella  uscita  di  nobil  fami- 
glia romana,  e  già  madre  dì  Girìffo ,  questa  discesa  del  sangue 
regale  d'Epiro  ed  incìnta  del  Povero,  si  narrano  a  vicenda  la 
compassionevole  storia  de'  loro  amori  ,  confondono  insieme  le 
loro  lagrime: 

E  come  avvien  tra  le  persone  meste 
Mitigò  l'una  dell'altra  l'affanno. 

La   solitudine  ,   il  dolore  ,  la   comunanza    de'  casi  legò  subita- 
mente in  dolce  amicizia  le  due  afllìtte  nate  ad  amare. 

Ma  Paliprenda  come  piacque  a  Dio 
Ne'  nove  mesi  partorì  il  figliuolo  ; 
E  perchè  egli  era  povero  venuto 
Gli  pose  nome  il  Povero  avveduto. 


180 

Quivi  lor  vita  solitaria  e  strana 

Tennon  più  mesi  queste  lueschinelle  : 


A  Paliprenda  alfin  certo  mal  prese 
Tanto  che  questa  vita  abbandonoe 
E  come  savia ,  poi  che  il  vero  intese 
A  Massima  il  fìgliuol  raccomandoe. 
Che  col  suo  latte  a  nutricarlo  attese  , 
E  come  proprio  fìgliuol  l'allevoe. 
E  come  tortoletta  ogni  or  si  lagna 
Poiché  perduta  aveva  la  sua  compagna. 

Crescevano  intanto  belli  e  forti  e  graziosi  i  due  garzoni  ed 

Eran  l'opere  lor conforme 

Ne'  gesti ,  e  ne*  costumi ,  e  ne'  sembianti 
SI  che  ei  parean  quasi  gittati  in  forme. 

Tornando  essi  un  di  dalla  caccia,  e  postisi  a  riposar  sull'erba, 
Massima 

Determinò  dovergli  ammaestrare 

De'  padri ,  e  come  gli  avean  generati. 

E  narrò  loro  come  Guidone  guerriero  famoso  della  casa  di  Ner- 
bona  ingannasse  con  mentite  promesse  Paliprenda  donna  reale  , 
poi  la  lasciasse  gravida  e  sola,  e  come  Antaadro  figliuolo  del- 
l'impera  tor  di  Costantinopoli  ingenerasse  di  lei  CirifTo,  e  tol- 
tala di  Roma,  e  per  molti  mari  aggiratala  l'abbandonasse  al- 
fine sopra  r  inospitale  isola  delle  Strofade.  Le  parole  di  Mas- 
sima accesero  tale  ira  negli  animi  de'  garzoni,  che  giurarono 
ad  ogni  modo  di  far  vendetta  sopra  i  padri  loro.  Indi  a  poco 
tempo  Cirifib  composto  alla  misera  madre  dal  dolor  consunta 
il  sepolcro  allato  a  quel  di  Paliprenda  s'avviò  verso  la  Grecia 
solo  ed  in  abito  di  peregrino,  e  pervenuto  a  Costantinopoli 
recò  ad   effetto   il  suo   proposto    uccidendo  in   una    caccia  An- 


181 

tandro  ,    che    s'era    dagli    altri    sbandato.  Condottosi  quindi  in 
Roma   fé'  confessione  del  suo  peccato  ,  e 

Costretto  fu  di  far  promissione 
D'andar  peregrinando  umile  e  pio 
A  vicitare  il  sepolcro  di  Dio. 
Cosi  passò  in  Gerusalem  e  quivi 

Satisfe'  al  voto  ,  e  in  sul  monte  Carmello 
Romito  fessi: 

Il  Povero,  com'era  suo  destino,  sopraggiunto  mentre  dormiva 
da  una  mano  di  corsari  che  pose  in  terra  là  dove  egli  era  per 
far  preda  s'acconciò  con  loro,  e  levato  sopra  una  loro  nave  fu 
condotto  ad  Ascalona ,  intorno  a  cui  si  travagliava  da  più  anni 
in  guerra  contro  Tibaldo  re  d'Arabia  ,  che  v'era  dentro  chiuso 
colle  sue  genti ,  l'esercito  cristiano  di  Luigi  re  di  Francia  figlio 
di  Carlo  il  semplice ,  accompagnato  in  quella  spedizione  dai 
più  famosi  guerrieri  franchi ,  e  tra  gli  altri  da  Guidone.  Colà 
il  Povero  messosi  sotto  le  bandiere  di  Tibaldo  fé'  prove  mi- 
rabili di  valore  cavalleresco  ,•  tantoché  per  opra  sua  S.  Pietro 
dovette  sudare 

A  metter  drente  gente  senza  annovero. 

Si  scontrò  con  Guidone  saldo  in  suo  proposto  di  dargli 
morte,  sebbene  talfiata  inorridisse  pensando  l'atto  disumano  ; 
ma  non  gli  venne  fatto  di  ucciderlo  j  e  dopo  molti  casi  avver- 
tito una  notte  da  una  voce  misteriosa  di  lasciar  quella  terra 
infedele,  d'ire  a  trovar  CirifFo  sul  Carmelo,  e  farsi  da  lui  bat- 
tezzare si  dirizza  senza  più  a  quel  cammino;  ed  in  quella  fu 
fatta  la  pace  tra  Luigi  e  Tibaldo. 

Qui  finisce  il  poema  del  Pulci,  il  cui  tema  è  ricavato,  se- 
condochè  pare,  da  un  antico  romanzo  in  prosa,  che  s'intitola 
Vita  del  Povero  ecc.  Il  CirifFo  venne  poscia  continuato  dal 
GiambuUari,  ma  non  condotto  a  termine,  o  per  meglio  dire 
non  portato  tant'oltre ,  quanto  si  stende  colla  sua  narrazione 
il  romanzo  sopramentovato.  La  storia  dei  due  garzoni  è  quella 
che   domina   tutto   quanto   il   poema  j   a  lei  si  legano  tutti  gli 


18-2 

altri  avvenimenti,  ond'egU  s'intreccia;  i  quali,  a  dir  vero,  non 
sono  né  nuovi,  né  gran  fatto  interessanti.  Cavalieri  ,  battaglie, 
armi  ed  amori  tutto  v' è  usitato:  il  poeta  si  venne  aggirando 
circa  vilem  patulumque  orbem;  né  fu  da  tanto  da  rinnovellare 
in  certo  modo ,  e  far  sua  propria  la  pubblica  materia  coll'arte 
consigliata  da  Orazio. 

Il  Corniani  toccando  del  Ciriffo  e  di  due  altri  poemi  dello 
stesso  Luca  Pulci  la  Giostra  dì  Lorenzo  de  Medici  e  il  Dria- 
deo,  giudica  non  altro  avervi  in  essi  da  apprendere  fuorcbè  un 
ampia  farraggine  di  riboboli  del  favellar  fiorentino.  E  veramente 
v'abbondano  questi  cosi  pretti ,  e  squisiti  da  far  venire  l'acquo- 
lina in  bocca  a  cbi  fosse  gbiotto  di  siffatto  leccume  fiorentinesco. 
Ecco  un'  ottava  che  par  proprio  uscita  di  bel  mezzo  a  Mer- 
cato Vecchio  ;  parla  del  traditore  Falcone  che  ordisce  a  Tibaldo 
un  inganno  : 

Or  qui  Falcone  si  doleva  e  miagola 

E  mostra  per  lanterna  men  che  lucciola; 

E  scuopre  i  bossoletti  e  la  mandragola, 

E  spaccia  per  un  dattero  una  succiola, 

Pensa  tu  ,  la  corbezzola  per  fragola  ; 

Camulfa  '1  barbio  ,  e  non  fa   neve  o  sdrucciola  , 

E  mette  or  drento,  or  fuor  la  filistroccola 

0  vermenella  ,  o  bagatella  ,  o  coccola. 

Ci  duole  ,  che  l'opera  e  la  fatica  del  dotto  bibliografo  edi- 
tore ,  il  quale  non  mancò  per  nulla  alla  parte  sua,  siasi  con- 
sumata intorno  a  cosi  fatto  lavoro  con  tanta  poca  utilità  della 
letteratura  italiana  ,  a  cui  bastano  per  questo  verso  se  non  son 
forse  già  troppe  le  lautezze  del  Malmantlle  ,  e  di  tanti  altri 
novellieri  e  poeti.  Non  mancano  certo  scritture  antiche  di  va- 
lenti italiani  o  dimenticate  o  poco  conosciute  ,  e  degnissime 
tuttavia  d'essere  riposte  in  luce.  Rivolgendo  a  queste  il  suo 
acume  e  la  sua  dottrina  bibliografica  ,  oltreché  il  farebbe  con 
più  suo  diletto ,  potrebbe  l' erudito  bibliografo  molto  meglio 
meritare  delle  lettere  italiane  ,  il  cui  amore  mostra  che  gli 
sìa  grandemente  a  cuore. 

Il  poema  del  Pulci,  per  dirne  pur  qui  alcuna  cosa,  non  ha 


185 

per  teatro  principale  della  sua  azione  una  sola  provincia  della 
Francia,  o  dell'Inghilterra,  come  quegli  altri  poemi  di  caval- 
leria che  presero  a  celebrare  le  gesta  di  Carlomagno  e  de'  suoi 
paladini  contro  gli  Arabi ,  e  le  avventure  onde  ebbero  sì  gran 
fama  i  Pirenei,  ovvero  a  ravvivare  le  tradizioni  del  Re  Arturo 
diffuse  da  lungo  tempo  nella  Cornovaglia ,  precipue  sorgenti  le 
une  ,  e  le  altre  di  poesia  cavalleresca.  Egli  appartiene  a  quella 
terza  spezie  di  poemi  cavallereschi,  i  quali  trasferirono  la  loro 
azione  in  altre  e  più  lontane  terre,  tolsero  a  materia  del  loro 
canto  nuovi  eroi  di  diverse  schiatte ,  e  raccolsero  in  un  fascio 
tradizioni  di  ogni  spezie  romane ,  greche ,  trojane.  Mancando 
al  Pulci  potenza  avvivatrice  d' ingegno  bastante  colla  sua  effi- 
cacia a  dar  calore ,  movimento ,  e  vita  ad  un  tema  già  per 
lunga  età  svanito,  il  suo  poema  doveva  di  necessità  riuscire  una 
morta  poesia.  Per  condurre  il  suo  lavoro  egli  derivò  dalla  ca- 
valleria concetti,  imagini  e  colori,  ma  non  seppe  far  rivivere 
nel  suo  poema  la  freschezza,  il  candore  ,  la  gioventù  della  poe- 
sia cavalleresca ,  non  seppe  raccenderne  le  reminiscenze ,  rav- 
vivarne le  tradizioni ,  rinfrescarne  i  colori. 

La  poesia  cavalleresca,  gentile  innesto  come  la  cavalleria  stessa 
d'  arabo  ,  e  di  settentrionale ,  originata  dal  cuore ,  dalla  reli- 
gione,  e  dalle  costumanze  de' tempi,  suonò  assai  diversamente 
dall'antica,  fu  principio  d'un  nuovo  poetare,  e  cantò  princi- 
palmente r  amore  ,  e  i  grandi  fatti  di  lancia, 

Le  donne ,  i  cavalier ,  l' arme  ,  gli  amori , 

come  scrive  1'  Ariosto.  Quella  poesia  fu  allora  piena  di  gio- 
ventù, e  di  vita;  i  suoi  racconti  risvegliavano  le  più  care  me- 
morie, alimentavano  i  più  gentili  affetti;  le  tradizioni  che  ella 
prendeva  ad  abbellire  eccitavano  al  sommo  grado  1'  interesse 
popolare  ,  ella  teneva  quasi  luogo  di  storia  ,  anzi  quanto  più 
la  vera  storia  veniva  mancando  ,  tanto  più  s'  accresceva  il  de- 
siderio ,  e  il  diletto  dei  canti  romanzeschi.  Nella  Spagna  so- 
prattutto ,  dove  sorse  dapprima  lo  spirito  cavalleresco  per  la 
vicinanza  de' Goti,  e  degli  Arabi,  dominò  lungamente  la  poe- 
sia romanzesca,  delizia  di  quelle  accese  fantasie,  e  le  romanze 
di  Abenamar ,  del  Re  Giovanni ,  e  delle  guerre  civili  di  Gra- 


184 

nata  suonavano  care,  e  gradite  sul  labbro  delle  vergini  inna- 
morate. Quel  gusto  nacque  è  vero  in  gran  parte  dall'  ignoranza , 
e  dalla  superstizione,  siccome  ne  son  prova  le  tante  stranezze , 
ìuverosiiuigliauze  ,  ed  assurdità ,  che  occorrono  in  que'  poemi  ; 
ma  finch'egli  signoreggiò  que'  racconti ,  que'  canti ,  quelle  tra- 
dizioni furono  V  alimento  del  pensiero ,  e  la  delizia  della  ca.- 
valleria.  Era  la  poesia  de'  tempi. 

Ma  allorché  dopo  il  periodo  delle  visioni ,  e  de'  viaggi  ima- 
ginarj  la  poesia  italiana  che  parca  già  tutt'  altramente  avviata, 
si  rivolse  nel  XV  e  XVI  secolo  ai  temi  cavallereschi ,  risuscitò 
vecchie  leggende  per  trarne  materia  di  poetare,  e  diventò  quasi 
tutta  romanzesca;  molti  tra  coloro  che  v'  esercitarono  il  loro 
ingegno  produssero  sovente  cose  mostruose  contraffatte.  Conser- 
varono nei  loro  nuovi  poemi  tutte  le  stranezze  degli  antichi  ro- 
manzi; ma  non  seppero  mantenere  la  grazia,  il  candore,  la 
freschezza  d' imaginazione ,  che  formava  il  pregio  loro  princi- 
pale. Riprodussero  le  forme  ,  ma  non  lo  spirito ,  l' essenza  ,  il 
nativo  linguaggio  di  quell'antica  poesia;  doti,  per  cui  tanto  si 
celebra  e  si  ammira  l' incomparabile  romanzo  del  Cervantes. 
Onde  la  loro  poesia  non  è  quasi  altro  che  un  artificio  ,  un 
giuoco,  senza  ispirazione,  senza  scopo;  quale  appunto  pare  a  noi 
doversi  giudicare  la  poesia  del  Ciriifo.  Almeno  ì  poeti  delle  vi- 
sioni ,  che  precedettero  i  cavallereschi ,  dominati  dal  Guelfismo 
o  dal  Ghibellinismo  avevano  uno  scopo  ed  un  sentimento  che 
li  guidava;  né  la  loro  poesia  era  un  puro  scherzo  d' imagina- 
zione lussureggiante  che  si  tenta  invano  di  nobilitare  colla  pre- 
tesa allegoria.  Il  nostro  giudizio  non  cade  qui ,  seppure  è  bi- 
sogno avvertirlo,  su  tutti  i  nostri  poemi  cavallereschi,  alcuni 
de'  quali  voglionsi  meritamente  sceruere  dalla  volgare  schiera. 


G. 


185 

IL    BUON    FANCIULLO 

Racconti  d'  un  Maestro  elementare,  pubblicati  da  Cesare  Canlù. 
(  Milano  1837). 


Considerazioni  generali  sulla  letteratura  pedagogica  e  didascalica. 


Non  è  certamente  ingannevole  quella  comune  credenza,  che 
chi  ama  i  fanciulli  dà  seguo  di  avere  un'  anima  buona  e  gen- 
tile. Senza  citare  Esopo  che  giuocava  alle  noci  coi  ragazzi ,  noi 
possiamo  aver  tutti  conosciuto  uomini  gravissimi  e  di  alto  af- 
fare dimenticare  le  cure  solenni  del  proprio  stato  e  rasserenare 
la  fronte  corrugata  per  bamboleggiare  e  trastullar  co'  fanciulli. 
Se  uno  sventurato  avesse  colto  questi' momenti  per  richiederlo 
di  ajuto ,  certamente  1'  avrebbe  ottenuto.  E  più  d'  una  bella 
scorgendo  taluno  incurvarsi  per  accarezzare  e  festeggiar  pargo- 
letti senti  sorgere  nel  cuor  suo  una  simpatia  per  quest'  uomo 
sensibile ,  e  chi  1'  avesse  osservata  in  tal  istante  avrebbe  sor- 
preso in  sulle  sue  labbra  un  sorriso  di  compiacenza  e  di  grati- 
tudine per  chi  forte  e  soggetto  al  turbine  delle  passioni  ren- 
deva quella  specie  di  culto  all'  innocenza  ed  alla  debolezza. 

Molti  di  questi  sorrisi  avrà  sicuramente  già  ottenuto  quella 
beli'  anima  di  Cesare  Gantù  cogli  eccellenti  suoi  scritti  sull'e- 
ducazione morale  e  letteraria  de'  fanciulli  ;  ma  premii  certa- 
mente di  gran  lunga  maggiori  ed  assai  meno  fuggevoli  lo  at- 
tendono e  gli  sono    dovuti. 

A  lui  difatti  non  bastò  aver  fama  di  dotto  e  di  scienziafj , 
ma  discendendo  dalle  rupioni  più    ambiziose    della    filosofia    e 

12 


186 

della  storia,  non  vergognò  di  abbassarsi  sino  ai  fanciulli  e  in- 
tertenendosi  con  essi  raccontar  lox'o  amorevolmente  alcune  no- 
vellette morali  :  persuaso  clie  il  primo  ufficio  della  filosofia  e 
come  il  compimento  di  essa  si  è  lo  adoperarsi  nel  pratico  mi- 
glioramento de'  proprii  simili. 

In  un  libriccino  pertanto  modesto  e  grazioso ,  egli  per  bocca 
di  un  maestro  elementare  ci  regala  trentasette  racconti,  parec- 
chi dei  quali  egli  ritrae  dalla  biografia  di  alcuni  illustri  italiani 
come  sono  il  Tasso  ,  il  Genovesi  ,  1'  Alfieri  ,  il  Passeroni  ed  il 
Canova.  Per  tal  guisa  1'  ottimo  Gantù  intende  ad  invogliare  di 
buon'ora  i  fanciulli  allo  studio  delle  cose  e  degli  uomini  d'Italia, 
e  lì  guida  per  così  dire  sino  dai  più  teneri  anni  a  far  cono- 
scenza con  alcuni  di  quei  personaggi  che  più  1'  hanno  illustrata. 

Leggendo  poi  questo  libro  non  solo  i  maestri  di  scuola,  ma 
chiunque  impara  a  conoscere  e  ad  apprezzare  la  nobiltà  e  Tim- 
portanza  di  questa  professione  dello  insegnare  ai  fanciulli ,  e 
così  si  viene  a  cancellare  del  tutto  quel  sentimento  di  dileg- 
gio che  essa  ingiustamente  ispirava  una  volta. 

Le  intenzioni  frattanto  dell'  autore ,  e  l' indole  di  altri  più 
importanti  suoi  scritti ,  ancor  più  che  questo  suo  opuscoletto, 
ci  danno  ora  occasione  di  face  in  generale  qualche  parola  sui 
libri  che  in  gran  copia  si  pubblicano  oggidì  per  lo  insegna- 
mento e  per  1'  educazione  de'  fanciulli. 

Non  sono  ancora  cinque  anni  che  un  zelante  italiano  pro- 
rompeva in  questa  fervente  esclamazione;  Letterati  italiani!  Se 
vi  cale  della  più  cara  ,  della  più  soave  porzione  del  popolo^  di 
quella  a  cui  sono  appoggiate  le  speranze  di  un  avventuroso  av- 
venire ,  datevi  pensiero  della  istruzione  de'  fanciulletti.  Lodo  i 
vostri  libri  pieni  di  sublimi  idee  e  di  elevate  dottrine  ^  mi  com- 
piaccio delle  vostre  scoperte ,  leggo  con  soddisfazione  le  eleganti 
vostre  scritture ,  ma  più  di  voi  mi  loderei ,  se  umiliandovi  un 
poco,  non  isdegnaste  trattar  co' fanciulli.  Non  vedete  voi  gli 
stranieri  quanta  cura  di  ciò  si  danno  ?  Non  sentite  voi  rossore 
nel  vedere  o  mal  pasciuta  o  pasciuta  dagli  stranieri  la  prima 
età  de  Jaiiciulletti  ilaliani  *i  ? 

*  :   V.  Aiitolo^^ia  di  Firenze,  fascic.  di  giui,Mio    i832  ,  pag.   i84- 


187 

Il  possente  invito  non  cadde  infruttuoso.  D'allora  in  poi  una 
folla  di  opere  sì  italiane  che  straniere,  sì  originali  che  tradotte 
comparve  destinata  all'implorato  ufFicio  di  istruire  la  gioventù, 
e  quasi  inondò  la  letteratura.  Tanto  è  vero  che  in  uno  stato 
di  progressivo  incivilimento  quando  un  bisogno  si  fa  sentire  , 
a  quello  di  subito  si  volgono  i  più  svegliati  ingegni  per  sod- 
disfarlo ,  ed  il  fervore  non  cessa  sinché  veramente  si  sia  sod- 
disfatto. 

Noi  lascieremo  ad  altri  la  briga  di  dare  il  numeroso  catalogo 
di  tutti  quei  libri  che  sotto  d'  ogni  forma,  con  ogni  sorta  di 
titolo  vengono  giorno  per  giorno  composti  e  pubblicati  per  coad- 
juvare  alla  miglior  istruzione  de'  giovanetti.  Noi  ricorderemo 
soltanto  che  in  Italia  due  opere  periodiche  di  sommo  pregio 
sonosi  a  ciò  specialmente  consecrate  *i.  E  non  possiamo  neppure 
tacere  che  le  massime  che  vengono  da  questi  benemeriti  inse- 
gnate ,  si  trovano  poi  già  in  gran  parte  raccomandate  alla  pra- 
tica nelle  sale  d'asilo,  e  negli  asili  infantili,  che  da  qualche 
tempo  in  Italia,  e  specialmente  in  Toscana  cominciano  a  sta- 
bilirsi ed  a  prosperare  *2. 


*i  La  Guida  dell'  Educatore  che  si  stampa  dal  chiar.  Lumbruschìui  in  Fi- 
renze ,  e  r  I/istitutore  Elementare  che  si  stampa  in  Venezia  per  cura  dell'  egre- 
gio sig.  Codemo.  A  questi  sebbene  con  minor  fama  potrebbe  aggiungersi  Vomico 
della  gioifentù ,  altro  giornale  che  si  pubblica  in  Modena.  —  Manca  però  ancora 
all'  Italia  un  Dizionario  di  educazione  e  d'  insegnamento.  In  Francia  ne  ha  te- 
sté pubblicato  uno  sotto  questo  titolo  il  sig.  T.  V.  Modard  ,  e  sarebbe  deside- 
rabile che  1'  esempio  fosse  anche  seguito  da  noi. 

*2  Non  è  sempre  vero  che  in  Francia  si  denigri  o  si  dispregi  la  nazione  ita- 
liana ed  i  suoi  costumi.  Leggiamo  nel  n."  76  di  marzo  1887  del  Mémorial  En- 
ciclopédie/uè ecc.  ,  a  proposito  dei  varii  scritti  che  si  pubblicano  in  Italia  sulle 
sale  d'asilo  le  seguenti  onorevoli  parole.  —  «  Questi  scritti  fanno  altamente  ap- 
»  prezzare  tutta  1'  importanza  delle  sale  d'  asilo  e  1'  utilità  della  cooperazione 
»  delle  pie  gentildonne  alla  buona  educazione  dei  fanciulli  del  popolo.  Ciò  che 
»  soprattutto  è  degno  di  osservazione  in  Italia ,  si  è  ancor  meno  1'  effettività 
»  dei  miglioramenti  insensibilmente  iiitrodottivisi ,  che  la  moltiplicilà  dei  luoghi 
»  in  cui  si  effettuano  questi  miglioramenti  senza  romore ,  senza  appurati.  In  Italia 
»  il  movimento  della  civiltà  ha  altrettanti  centri  quante  sono  le  sue  città,  e  l'at- 
»  tività  intellettuale  si  manifesta  dappertutto  j  in  tutte  si  va  creando  ,  in  tutte 
»  SI  fanno  degli  esperimenti.  Di  qui  ne  segue  che  tutte  le  varie  sorta  di  pro- 
»  gressi  che  a  prima  giunta  sembrano  meno  naturali  che  in  Francia,  pure  vi  sono 
')  se  non  più  rapidi  ,  almeno  più  reali,  —  tgli  è  conéolanle  il  mirare  come    in 


188 

Se  a  procacciare  questi  beuefizj  contribuì  sommamente  e  fra 
i  primi  il  lodato  Lambruschini  e  coli'  opere  e  co'  scritti  suoi  ; 
non.  vi  restò  però  molto  lontano  il  nostro  Cantù  5  e  quando 
noi  accennammo  cbe  fra  questi  due  ottimi  italiani  vi  esisteva 
un  patto  comune  di  dare  all'  Italia  una  letteratura  popolare  di 
cui  ancora  difettava,  noi  non  andavamo  errati  *i. 

Una  gran  parte  poi  dei  libri  che  si  pubblicano  con  questo 
filantropico  intendimento  contengono  per  lo  appunto  storielle 
per  i  fanciulli  simili  a  quelle  ora  pubblicate  dal  Cantù  ;  ma 
queste  ultime  si  possono  distinguere  non  solamente  per  1'  in- 
genuità dello  stile,  e  per  la  soavità  de'  modi  ,  ma  assai  più  per 
la  sceltezza  de'  pensieri ,  e  per  i  precetti  di  sana  morale  che  coli' 
allettamento  di  quei  racconti ,  i  giovanetti  suggono  spontanei  e 
cari.  Ogni  cosa  vi  si  trova  appropriata  alle  forze  delle  loro 
menti ,  e  sembra  che  1'  autore  ,  fattosi  fanciullo  ancor  esso  , 
adoperi  il  linguaggio  de'  fanciulli  per  farsi  più  caramente  com- 
prendere dai  medesimi  ,  e  fare  più  sicura  impressione  sui  loro 
cuori.  Così  a  vece  di  precetti  astratti  e  metafisici ,  troverai 
negli  scritti  del  Cantù  lezioni  di  morale  pratica  ,  a  vece  di  af- 
fetti esagerati  e  proprii  soltanto  degli  adulti  ,  troverai  affetti 
appropriati  alla  fanciullezza,  senza  alcuna  traccia  persino,  ve- 
dete prodigio!  di  amoreggiamenti:  questo  serbatojo  perpetuo  a 
cui  vengono  ad  attingere  pressoché  tutte  le  novelle  ,  e  quelle 
pur  anche  che  si  vogliono  unicamente  destinare  alla  prima  gio- 


ii questa  terra  classica  dove  )a  carità  è  così  antica  come  la  storia  ,  essa  non 
»  cessi  di  portar  frutti  generosi.  —  Si  scorge  con  amore  come  i  saggi  ministri 
»  della  religione ,  quali  sono  l'Abb.  Lambruschini  di  Toscana ,  e  l'Abb.  Aporti 
»  di  Piemonte  ,  cbe  hanno  di  già  meritata  la  stima  e  la  gratitudine  di  tutta 
»  1'  Italia ,  lavorino  con^^anto  zelo  e  con  tanto  successo  a  questa  grand'  opera 
»  della  rigenerazione  che  racchiude  i  germi  fecondi  d'una  civilizzazione  nuova , 
«  progressiva  ,  beneBca ,  senza  rivoluzioni  ,  senza  scosse  violenti ,  ma  conseguita 
»  col  saggio  e  felice  concorso  dei  governi  e  di  tutte  le  classi  dei  cittadini.  »  — 
L'  importante  argomeuto  delle  Sale  d'Asilo  ha  pur  anco  riscosso  1'  attenzione 
dell'  esimio  D.  Cerise  cbe  ne  ha  recentemente  pubblicato  un  suo  trattato.  — 
Non  si  tralascia  per  ultimo  di  osservare  che  1'  istituzione  degli  asili  infantili 
fa  presentemente  i  più  rapidi  ed  efEcaci  progressi  nel  Regno  Lombardo-Veneto. 
(  V.  gli  Annali  di  statistica  fase,  d'  aprile   i83n  ,  pag    !^[^  ). 

*j  V.  Subalpiao  distrib.  di  marzo  1837  ,  pag,  /joS 


189 

ventù.  In  questi  racconti  in  una  parola  tu  vedi  conservata  tutta 
quella  candidezza  e  leggiadria  verginale  ,  che  t'  incanta  nelle 
novelle  di  Francesco  Soave ,  ed  a  cui  le  medesime  potrebbero 
servire  di  ben  degna  introduzione. 

—  Ma  questo  diluvio  di  libri  ad  uso  della  gioventù  che  voi 
tanto  levate  a  cielo  ,  e  questa  smania  d'  istruire  sì  lautamente 
i  fanciuUetti  di  qualunque  condizione  essi  siano  ,  non  riempi- 
ranno poi  esse  il  mondo  di  saccenti  e  di  vanitosi  ,  a  vece  di 
dare  alla  società  buoni  agricoltori ,  pazienti  artefici ,  utili  e 
quieti  cittadini  ?  — 

Era  uno  scrupoloso  attempatello  che  in  udire  com'io  applau- 
dissi al  presente  movimento  d'istruire  e  di  educare  la  gioventù, 
mi  andava  susurrando  1'  altr'  jeri  all'  orecchio  queste  siffatte 
parole. 

—  Ma  io  gli  risposi  —  Fate   pur    bene    a   manifestar  sotto 
voce  questi  vostri  terrori  5  altrimenti  se    alcuno    li    udisse  ,    vi 
bandirebbe  la  croce  addosso  ,   e  vi  terrebbe  niente  manco  che 
per  un  settatore  del  Califfo  Omar.  Vi  so  dir  io  che  i  libri  che 
oggidì  trattano  di  educazione  son  fatti   appunto  per  diffondere 
una  più  uguale  istruzione  nelle    varie    classi    sociali ,    ciascuna 
secondo  i  varii  suoi  bisogni  e  la  vocazione  sua ,  per  modo  che 
anche  le  meno  favorite  dalla  fortuna  possano  godere  delle  sod- 
disfazioni morali  della  vita.  Questi  novelli  libri  di    educazione 
di  cui  vi  ragiono ,  sono  fatti  per  assuefare  per  tempo  gli  uomini 
ad  esser  paghi  del  proprio  stato  ,  a  fornir  loro  i  mezzi  più  effi- 
caci per  renderselo  il  più  che  si  possa  felice  :  questi  libri  insomma 
mirano  appunto  a  porgere  a    ciascheduno  quelle  cognizioni  che 
sono  più  atte  perchè  ognuno  possa  con  dottrina  sufficiente  e  con 
probità    costante  esercitare    quell'  ufficio,    quella    professione, 
quell'arte  a  cui  si  troverà  destinato,  e  così  a  fare  cittadini  one- 
sti ed  occupati.  Di  tutti  questi  libri  poi  il  cui   numero  tanto  vi 
sgomenta ,  se  per  avventura  ora  può  esservene  qualcuno  di  su- 
perfluo,   non  ve  n'ha  però  mai    alcuno  che  sia  nocivo.  A  meno 
dunque  che  vogliate  dichiararvi  fautore  dell'oscurantismo,  e  de- 
siderare il  ritorno  di  quei  tempi  in  cui  tranne  i  ragazzi  delle 
famiglie  distinte,  quasi  poi  tutti  gli  altri  crescevano  senza  nep- 
p,ur  saper    leggere   uè  scrivere ,  e  senza  tanto  manco  aver  im- 


190 

parato  qualche  principio  elementare  di  quell'  arte  meccanica  a 
cui  si  trovavano  per  tutta  la  loro  vita  destinati,  certo  dovrete 
convenire  della  superiorità  del  metodo  attuale  di  istruire  e  di 
educare  la  gioventù.  E  badate  ancora  che  neppure  i  ragazzi 
delle  famiglie  agiate  ricevevano  in  sostanza  una  migliore  edu- 
cazione ,  poiché  essi  venivano  quasi  sino  alla  adolescenza  ab- 
bandonati alla  custodia  di  persone  mercenarie,  piene  d'  igno- 
ranza e  spesso  di  vizj  che  non  facevano  altro  che  impinzare  i 
loro  poveri  cervelli  di  favole  e  di  superstiziosi  racconti.  La  vita 
dì  queste  creature  che  dovevano  formare  la  speranza  della  pa- 
tria e  contribuire  all'incremento  della  civiltà,  era  condannata 
quasi  asiaticamente  al  gineceo,  era  una  vita  separata  dal  resto 
della  società,  una  vita  compressa  e  artifiziata  a  segno  che  per 
essi  era  quasi  una  solennità  1'  essere    ammessi  al  consorzio  de' 

loro  genitori Sarebbe  dunque  mai  questa  la  educazione  che 

voi  preferiste  tuttora  a  quella  che  regna  presentemente,  e  che 
i  più  nobili  ingegni  si  studiano  di  dirigere  e  di  rendere  ognor 
meglio  salutare  ed  eletta  ? 

—  Tolga  il  cielo  —  proruppe  allora  non  senza  qualche  im- 
pazienza il  mio  interlocutore  —  tolga  il  cielo  ch'io  pronunci  di 
simili  bestemmie  e  faccia  voti  così  vandalici.  Quand'  io  non 
credo  che  sia  perfetto  l'odierno  sistema  di  educazione  benché 
accenni  ad  un  illimitato  raffinamento  ,  son  però  ben  lontano 
dal  posporlo  a  quello  di  tutta  rigidezza  e  d'ignoranza  con  cui 
altre  volte  si  allevavano  i  fanciulli.  Ben  so  che  allora  agli 
uomini  che  volevano  uscire  della  schiera  volgare  ,  toccava  non 
di  rado  di  riformare  da  se  stessi  la  ricevuta  educazione.  Ma 
coututtociò  io  non  penso  che  il  sistema  d'  oggidì  sia  affatto 
esente  da  inconvenienti.  Capisco  benissimo  che  1'  essei-e  ora  i 
fanciulli  trattali  nella  società  come  persone  adulte  ,  ed  il  con- 
vivere di  essi  nella  famiglia  colla  più  abbandonata  dimesti- 
chezza ,  può  renderli  più  vivaci  ,  più  disinvolti  ,  ed  agevolare 
anche  lo  sviluppo  delle  loro  facoltà  intellettuali  ,  ma  però  que- 
sto metodo  non  li  rende  poi  forse  piuttosto  indocili  ed  irrive- 
renti, che  mansueti  e  rispettosi?  Aggiungete  che  i  ragazzi  baz- 
zicando liberamente  colle  persone  di  età  più  matura,  né  queste 
conservando  sempre  quel   riserbo   e  quella  prudenza  che  pure 


191 

dovrebbero,  la  malìzia  perciò  e  la  dissimulazione  penetra  so- 
venti e  mette  sin  dai  primi  anni  radice  in  quei  teneri  petti. 
—  Soprattutto  poi  con  questo  vostro  voler  mostrare  tante  cose 
ai  ragazzi  voi  correte  gran  rischio  d'imbattervi  in  giovani  che 
sentenzian  su  tutto  ,  e  che  si  danno  l'aria  di  enciclopedie  am- 
bulanti. E  se  vorrete  esser  sincero  ,  voi  stesso  ne  avrete  sentito 
più  d'  uno  cinguettar  con  franchezza  imperterrita  di  fdosofia  , 
di  politica,  di  governo  e  di  repubblica,  di  tutto.  Vedetelo,  uno 
di  cotesti  cervellini  seduto  gravemente  a  scranna  pronunciare 
sul  merito  di  qualunque  scrittore  e  letterato  ,  giudicare  tutte 
le  riputasioni ,  fastidire  e  guardare  con  piglio  sprezzante  molte 
di  quelle  cose  che  i  più  assennati  rispettano.  Egli  per  far  pompa 
di  bello  ed  arguto  spirito  ad  ogni  proferta  parola  suppone  un 
doppio  senso,  ad  ogni  discorso  un'allusione  maligna.  Egli  non 
potrà  persuadersi  che  si  possa  parlar  con  semplicità,  con  be- 
nevolenza ,  con  schiettezza ,  e  buona  fede.  A  sentire  costui  , 
ad  accostarlo  ,  voi  lo  credereste  senza  dubbio  un  uomo  matu- 
ro ,  un  uomo  versato  in  ogni  genere  di  discipline.  Ebbene  v'in- 
gannate. Egli  non  è  che  un  giovinotto  di  diciasette  o  dieciot- 
t'anni,  che  appena  ha  compiuto  il  suo  primo  anno  di  leggi  , 
e  che  già  forse  abusando  di  una  condizione  agiata  ed  indipen- 
dente, sulla  alternata  lettura  di  filosofi,  di  poeti  e  di  romanzi 
ch'ei  va  facendo  lungo  i  viali  di  qualche  romita  campagna,  in- 
alza il  suo  trono  scientifico,  e  di  qui  scaglia  anatemi  e  sarcas- 
mi ,  distribuisce  fama  ed  allori.  Credendosi  ad  un  tratto  filo- 
sofo, statista  ed  innamorato  (  poiché  l'amore  è  un  ingrediente 
inevitabile  per  un  bello  spirito),  egli  impara  la  religione  dai 
filosofi  ,  la  filosofia  dai  poeti  ,  la  politica  sulle  tragedie  di  Al- 
fieri, la  morale  sulle  commedie  e  sui  l'omanzi ,  e  la  pratica  del 
mondo  e  della  società  frequentando  la  casa  di  una  qualche  sua 
cugina. 

—  Adagio  ,  adagio  un  poco ,  signor  mio ,  con  queste  vostic 
esagerazioni  —  ripresi  io  allora  —  voi  invece  di  fare  ritratti  , 
gittate  giù  delle  caricature ,  e  quello  che  mi  avete  dipinto  è  il 
D,  Chisciotte  dell'odierna  gioventù  studiosa.  Bisogna  in  ogni  cosa 
esser  giusti  e  stare  nei  confini  del  vero.  Non  vi  so  negare  che 
queir  insegnare  di  tante   cose    ai    giovanetti  può  indurre   nelle 


192 

loro  mentì  una  confusione  J'idee  mozzicate  ;  e  forse  una  istru- 
zione troppo  estesa  e  svai'iata  ha  potuto  traviare  il  loro  spirito 
e  volgere  in   male  quella  precocità  che  ora  è  si  frequente  dando 
ìoi'O  soverchia  confidenza  e  vanità  de'  proprii    talenti  ,  e  forse 
ancora    quella    troppa   famigliarità   e   libertà    dello  educare    ha 
potuto  spingerli  ad  una  soverchia  impazienza  di  studio  e  di  con- 
tegno. Ma  poi  l'educazione  e  l' istruzione  che  ora  si  cerca  pro- 
pagare coi  migliori  libri  sì  italiani    che  stranieri  ,   è  tutt'  altra 
cosa.  —  Essa   mira  anzi  ad  evitare  o  correggere  tutti  questi  di- 
fetti ^  essa  cerca  istruire  con  metodo,  essa  tende  a  regolar  l'istru- 
zione secondo  l'età  ,  le  inclinazioni  ,  il    temperamento  ,  la  ca- 
pacità dei  ragazzi  e  le  varie  condizioni  a  cui  possono  più.  facil- 
mente esser  chiamati.  Volete  poi  voi  sapere  il  perchè,  secondo 
eh'  io   penso,   quella    sperticata    e    indigesta   istruzione  portava 
seco    quei  mali  frutti    che  voi  avete  sì  microscopicamente    os- 
servati? Egli  è  perchè  si  trascurava  forse  ancor  allora    un  po' 
troppo   la  educazione    del    cuore,  la  vera  educazione    religiosa. 
Allora  in  fatto    si  pensava  piuttosto  alla    coltura    dello    spirito 
che  a  quella  del  cuore.  Bastava  che   la  mente  dei    giovani  ap- 
prendesse  i    priacipii    di    qualche    scienza  ,    bastava    che    con- 
traesse una  sfioritura  superficiale  dello   scibile  più    alla  moda  , 
bastava  che  la  loro  bocca,  sapesse    pronunciare   qualche  motto 
arguto,  per  credere  bella  e  compiuta   la  loro  educazione.  Noa 
è    quindi   da  meravigliarsi  ,  che  ne  uscissero  poi   fuori  giovani 
saputelli  ,    di  sé  e  del  loro    ingegno  strabocchevolmente  confi- 
denti ,   dispregiatori  di  tutti   coloro  che  credessero  saper  meno 
di  loro ,    e    persuasi   di  saper   almeno   altrettanto   come    quelli 
che    loro  potevano  veramente  stare  a  maestri.  Ma   in   oggi  coi 
metodi  insegnati  dai   migliori  scrittori  ,    e    nei    migliori   libri  , 
la  prima  educazione   si  è  quella  del  cuore,  e  cosi  quei  vizi  si 
verranno  ogni  volta  più  dileguando.  Infatti  prima  d'ingombrare 
l'intelletto  de' fanciulli   di    principii   astratti,  si  procura  adesso 
di  stampare  ne'  loro    animi    i   sentimenti    di   buona    morale    e 
della  religione.   Ben    lungi  dal  dar  loro    ad  intendere  che  so- 
pra quanto    v'  ha  nella  società  umana  di  autorevole  e  di  ono- 
rando debba  passarvi    sopra  quasi    un   cilindro  livellatore  ,  nel 
tempo  medesimo  che  loro  s'  insegua  l'eguaglianza  di  tutti  da- 


195 

vanti  alla   giustizia  come  davanti  a   Dio ,   si  fa  loro  profoncla- 
mente  sentire   il  bisogno  ed  il  vantaggio  di  rispettare  tuttociò 
che  per  virtù  di  ragione  e  di   legge  sovrasta  e  deve  sovrastare 
negli  umani  consorzj.  —  La    verità   razionale    di  queste   mas- 
sime   venendo    ai    fanciulli    dimostrata    cogli    argomenti    tratti 
dalla    utilità  della  loro  esistenza  ,  e  colla  rappresentazione  dei 
mali   reali  che  la  loro  assenza  produrrebbe,   riesce  quindi  più 
facile  lo  abituare   il  fanciullo  a  riconoscere  nel  suo  simile  un 
fratello,  ed  a  sviluppare  poscia  in  lui  il  sentimento  di  benevo- 
lenza e  disporlo   ad  applicarne  in  effetto  i  suoi  impulsi  a  tutte 
quelle  persone  ed  a  tutte  quelle  cose  che  vi  hanno  diritto ,  e 
che  ne  son  degne.  Traendosi  in  tal  guisa  partito  dai  menomi  ac- 
cidenti della  lor  vita ,  e  dai  rapporti  degli  oggetti  circostanti  a 
misura  che  cominciano   ad  interessarli  colle  interne  loro  ten- 
denze, si  viene  a  scolpire  nei  loro  cuori  in  un  modo  sensibile  e 
pratico  quella  morale  che  più  non  li  abbandona  negli  anni  ma- 
turi, e  che  ne  forma  poi  il  sostegno  e  1'  ornamento.  Cosi  senza 
fare  del  fanciullo  un  essere  quasi  straniero  alla  famiglia  ed  alla 
società,  e  senza   neppure  iniziarlo    con  licenziosa   e  prematura 
eguaglianza  di   studj ,  di  abitudini  e  di  maniere  a  tutte  le  più 
intime  relazioni    della   convivenza   domestica    e  civile ,    si  può 
e  si  giugno  ad  ammetterlo  ad  una  graduata  e  vantaggiosa  par- 
tecipazione del  vivere  sociale  e  della  libertà.  Tutte  queste  sol- 
lecitudini ,    tutte   queste  impressioni   sui  cuori   dei  fanciulli  la 
religione   le   fortifica  e  le  suggella.   E    la  religione   non  manca 
giammai  di  ciò  operare  quando  viene  insinuata  piuttosto  come 
un  sentimento  che  come  una  necessità  ,  ed  i  giovani  l'appren- 
dono   altrettanto    come  un  benefizio  quanto  come  un  dovere  , 
e  la    ricevono  non   meno   per   autorità   che  per  convincimento. 
Una  religione  che  riconosce  anche  nel  fatuo  e  nella  feminetta 
del  volgo  r  istinto  divino  della  sapienza  e  1'  ispirazione  di  un' 
anima    immortale  ,   impedisce   certamente    che  nell'  animo  dei 
giovanetti  ponga  radice  l'orgoglio  ,  ma  v'impronta  all'  incontro 
infallibilmente  un  sentimento  di  stima  e  di  fratellevole  benevo- 
lenza   verso   il  suo  simile  ,  e  non  può  che  istillare  in  essi  un 
po'  di  quell'utile  convinzione  :  unum  scio  me  nihil  scire.  Ecco 
dunque  come  la  religione  più  sentita  che  imposta,  e  la  prima 


194 

coltura  clie  si  comiacia  dal  cuore  possano  far  secura  l'istruzione 
dello  spirito  da  tutti  i  suoi  perìcoli  ,  e  da  tutti  quei  travia- 
menti in  cui  ha  potuto  cadere  ed  in  cui  cadde  tal  volta.  — 

Malgrado  qualche  sbadiglio  che  di  quando  in  quando  il  mio 
interlocutore  non  poteva  nascondermi  affatto  mentre  io  gli  stava 
sgomitolando  questa  lunga  digressione,  pure  tenendo  essa  assai 
della  transazione  ,  pervenni  con  essa  a  trarlo  al  mio  parti- 
to, sebben  sulle  prime  ei  vi  si  mostrasse  renitente  anzi  che  no, 
come  i  lettori  han  potuto  vedere.  —  Frattanto  avendolo  poscia 
ancor  persuaso  a  rilegger  meco  questi  racconti  di  Cesiare  Gantù, 
come  pure  alcuni  altri  scritti  recenti  in  fatto  di  educazione  tanto 
dello  stesso  Cantù  che  di  altri  autori  ,  restammo  ancor  meglio 
tutti  e  due  convinti  che  quando  all'istruzione  della  mente  si 
accoppia  Teducazione  del  cuore,  si  evitano  del  pari  tutti  gl'in- 
convenienti dei  due  opposti  sistemi,  cioè  di  una  eccessiva  o  di 
una  troppo  limitata  istruzione ,  di  una  soverchia  famigliarità  , 
'e  di  un  troppo  rigore.  Col  metodo  pertanto  dilettevole  ,  affet- 
^tuoso  ,  sensibile  adoperato  dal  Gantù  ,  dal  Lambruschini ,  e 
da  altri  sommi,  con  quel  metodo  che  fa  alla  coltura  dell' in- 
telletto precedere  od  andare  congiunta  la  coltura  del  cuore  e 
degli  affetti  si  allevano  i  giovanetti  al  retto  sapere  ed  alla 
virtù  ;  ed  è  veramente  con  una  tal  sorta  di  letterarie  fatiche 
che  si  possono  preparare  all'  Italia  generazioni  più  colte  e  più 
•virtuose. 

S.     B. 


195 

IL  LIBRO  dell'adolescenza  COMPILATO  DA  ACHILLE  BIAURI 

(  Seconda  edizione.  Milano  1837  ). 


Non  ci  soffermeremo  lungamente  nell' annunziare  questa  se- 
conda edizione  di  un'  opera  utilissima,  alla  quale  al  suo  primo 
apparir  alla  luce  nel  i835,  fecero  plauso  tutti  i  buoni,  e  di 
cui  parlarono  quasi  tutti  i  giornali  d'Italia.  Il  libro  dell'ado- 
lescenza è  un'  accuratissima  Antologia  letteraria  italiana  e  stra- 
niera ad  uso  della  gioventù,  è  una  svariata  galleria,  un  prezio- 
sissimo mosaico  delle  bellezze  letterarie  d' ogni  tempo  e  d'  ogni 
nazione  distribuite  ,  a  differenza  delle  altre  Antologie  ,  in  un 
ordine  di  materie  che  ne  deve  rendere  la  lettura  più  profitte- 
vole. Dio  e  la  Religione,  i  vari  fenomeni  àoìiM  Universo  e  degli 
esseri  che  il  compongono  ,  l' Uomo  considerato  sotto  diversi 
aspetti  ,  Id  Storia  religiosa  e  profana ,  antica ,  del  medio  evo 
e  moderna  ,  tali  sono  i  sublimi  ed  interessantissimi  argomenti 
trattati  in  questa  raccolta.  Ottima  è  la  scelta  degli  autori  ita- 
liani 5  solo  ci  spiacque  di  non  scorgere  nell'eletta  schiera  il  grande 
tragico ,  il  quale  ben  pare  degno 

«  Dell'  allòr  che  dal  volgo  I'  uom  divide.  » 

Quanto  alle  opere  di  altre  lingue  il  compilatore  si  è  valso 
delle  migliori  e  più  eleganti  traduzioni ,  ed  ove  tali  non  esi- 
stevano la  fece  egli  stesso  da  traduttore,  di  modo  che,  a  no- 
stro avviso ,  quest'  opera  nulla  lascia  a  desiderare.  Siane  dun- 
que lode  all'illustre  Achille  Mauri,  ed  a  lui  tributino  sincera 
riconoscenza  i  giovani  italiani  per  l'ottimo  divisamento  e  l'esito 
felice  :  e  se  r  utilità  è  il  principale  elemento  del  mèrito ,  la 
gloria  di  diligente  compilatore ,  quale  si  è  il  Mauri ,  ben  può 
stare  a  fronte  della  gloria  di  tanti  autori. 


196 

Quest'  Antologia  greca ,  latina ,  italiana  ,  francese  ,  tedesca  , 
inglese  ,  spagnuola  è  circoscritta,  siccome  ogni  altra  opera  di 
simil  genere  ,  alla  letteratura  :  non  farebbe  egli  cosa  utile  quello 
scienziato,  il  quale  pubblicasse  un'  Antologia  scientiCca  ?  Ben 
so  che  una  tale  compilazione  non  potrebbe  essere  che  la  rac- 
colta degli  elementi  delle  varie  scienze ,  le  quali  già  hannosi 
i  loro  peculiari  libri  elementari  ;  pure  un  fiordilegio  di  quanto 
ì  migliori  autori  dettarono  sulle  scienze,  sicché  ne  venisse  con 
tutta  chiarezza  presentato  in  non  molte  pagine  il  loro  stato 
attuale  ,  non  riuscirebbe  per  avventura  un'  opera  priva  di  uti- 
lità alla  studiosa  gioventù.  Forse  ancora  nel!'  opera  stessa  del 
Mauri  si  sarebbe  potuto  allargare  alquanto  il  campo  delle  scienze 
tanto  fisiche ,  quanto  morali  5  così ,  a  cagion  d'  esempio ,  in 
certi  trattati  d'economia  politica  o  di  legislazione  sono  di  molti 
squarci ,  i  quali  non  che  deturpare ,  avrebbero  abbellita  la  sua 
raccolta  e  sarebbero  tornati  utili  alla  maggiore  diffusione  di 
quelle  scienze.  Sicuramente  e'  avrebbesi  dovuto  limitare  a  pre- 
sentare a'  suoi  giovani  leggitori  idee  chiare  ed  opinioni,  della  cui 
verità  gli  attuali  progressi  delle  scienze  più  non  lasciano  dubi- 
tare. Le  quali  cose  noi  diciamo  per  manifestare  un  nostro  pen- 
samento anziché  a  cagione  di  critica,  imperciocché  non  ci  sfugge 
che  grandissima  essendo  la  quantità  dei  testi,  i  quali  per  i  loro 
pregi  particolari  avrebbero  diritto  di  far  parte  della  raccolta  , 
una  certa  severità  deve  presiedere  alla  scelta ,  e  sarebbe  in- 
giustizia incolpare  il  compilatore  di  una  esclusione  necessaria  , 
e  senza  la  quale  sarebbe  di  troppo  cresciuta  la  mole  del  libro. 
Piacerai  poi  che  il  Mauri  abbia  avuto  cura  di  avvertire  quando 
r  immaginazione  dei  poeti  li  induce  a  sostituire  la  finzione  alla 
realtà  delle  cose  ,  siccome  fece  riguardo  allo  squarcio  poetico 
sulla  tromba  marina  estratta  da  Lucano  :  così  recando  il  testo 
di  Fenelon  sulla  terra  ,  sull'  acqua  ,  sull'  aria  e  sul  fuoco  egli 
avrebbe  dovuto  avvertire  quanto  sia  erronea  1'  antica  opinione 
dei  quattro  elementi  a  vece  di  farne  il  titolo  del  testo  suddetto. 
Spetta  ai  letterati  il  farsi  banditori  delle  verità   scientifiche. 

Limitandoci  ora  a  parlare  di  questa  seconda  edizione  diremo 
che  il  Compilatore  ,  valendosi  di  alcune  osservazioni  critiche 
fatte  sulla  prima  edizione  ,  pretermise  certi  squarci ,  la  cui  lei* 


197 

tura  poteva ,  anche  solo  da  lungi  ,  macchiare  l' illibata  inno- 
cenza della  gioventù.  In  tale  argomento  non  è  mai  troppa  la 
circospezione  :  chi  presiede  all'  educazione  della  gioventù  ,  od 
in  qualunque  guisa  ne  fa  scopo  alle  sue  meditazioni ,  debb' es- 
sere in  tale  faccenda  non  solo  religioso ,  ma  a  così  dire  super- 
stizioso ,  sia  per  la  prepotenza  della  passione  ,  sia  perchè  il 
miglior  mezzo  di  combatterla  è  il  tacerne,  cioè  l'allontanamento 
da  tutto  che  possa  suscitarla.  Ne  piace  poi  di  proclamare  la 
sincerità  e  la  modestia ,  colle  quali  il  Mauri  riconosce  in  parte 
la  giustizia  della  critica  suddetta  ;  non  già  che  egli  avesse  in- 
serito passi  apertamente  disonesti ,  ma  confessa  che  non  era 
forse  stato  abbastanza  riguardoso.  —  Quando  vediamo  un  Lam- 
bruschini  cambiare  il  titolo  di  redattore  con  quello  di  compi- 
latore, e  confessare  con  tutta  ingenuità  il  suo  errore  di  lingua 
(  materia  sulla  quale  suolsi  il  più  rabbiosamente  combattere 
da  tanti  scrittori  ) ,  quando  un  Mauri  confessa  ed  ammenda 
con  una  seconda  edizione  l' involontario  suo  peccato  ancorché 
veniale ,  quando  altri  chiarissimi  Italiani  danno  prova  di  un 
animo  giusto  e  disappassionato  si  da  considerarsi  come  estranei 
nelle  quistioni  letterarie  circa  le  opere  loro  ,  ci  gode  1'  animo 
pensando  che  tali  preclari  esempi  non  rimarranno  sterili ,  ma 
si  verranno  da  tutti  gì'  italiani  scrittori  imitati ,  se  non  per 
intimo  convincimento  ,  almeno  per  ambizione  di  seguitare  le 
traccie  de'  sommi ,  il  che  se  ancora  non  sarà  virtù ,  sarà  al- 
meno cosa  grandemente  a  virtù  conducevole  ;  e  così  fian  sce- 
mate quelle  polemiche  letterarie  ,  le  quali ,  se  possono  aprire 
il  varco  alla  verità  quando  sono  contenute  nei  limiti  della  mo- 
derazione e  soprattutto  della  sincerità,  riescono  stucchevoli,  e 
grandemente  deturpano  le  lettere  quando  ad  esse  presiede  lo 
spirito  di  parte,  quando  principalmente  gli  scrittori,  il  vecchio 
ed  il  nuovo  Galateo  mettendo  in  non  cale  ,  non  arrossiscono 
di  lanciarsi  le  più  grossolane  ingiurie. 


198 

me 

DI    aiELIIVO    O  MELINIVO   ALLA    CITTA'  DI   ROMA 

Traduzione  dal  Greco. 


Salve ,  Roma  ,  di  Marte  invitta  prole  , 
Bellicosa  reina  aurimitrata , 
Ch'eterna  stanza  in  la  terrena  mole  , 

Tuo  Olimpo ,  hai  collocata. 

A  te  sola  concesse  il  Fato  eterno 

Il  regio  onor  di  non  caduco  impero , 
Perchè,  ricca  in  poter,  sieda  al  governo 
Dell'imiverso  intero. 

Del  bianco  mare  e  della  terra  il  seno 
Sotto  il  tuo  giogo  ,  di  ritorte  è  stretto  ; 
E  vien  gagliardamente  dal  tuo  freno 
Ogni  mortai  corretto. 

Quei  che  tutto  travolge  ,  il  Tempo  antico , 
E  l'orbe  in  mille  guise  ne  trasmuta , 
L'aura  d'impero  che  t'arride ,  amico 
Solo  per  te  non  muta. 

Che  tu  sola  fra  tutte  ,  o  gloi'iosa  , 
Alle  battaglie  educhi  i  figli  tuoi , 
Qual  Cerere  dì  biade  ,  avventurosa 
D'innumerandi  eroi. 

Quest'ode  ^  per  quanto  io  sappia,  è  già  stata  tradotta  dal 
Lamberti,  con  quell'eleganza,  che  era  da  lui  *i  5  ma  poiché 
egli  ,  seguitando   il  parere  meno  probabile  d'alcuni  interpreti , 

*i   Poesie  di  greci  scrittori,  recate    in  versi  italiani.  Brescia,    )ier  N.  Bettolìi 
1808. 


199 

la  riputò  d'Erlnna  Lesbia  ,  e  la  tolse  in  sènso  allegorico  come 
un  inno  alla  Fortezza  ^  io  ho  fatto  di  traslatarla  secondo  1'  opi- 
nione di  parecchi  altri,  i  quali  dimostrano,  essere  stata  scritta 
da  Melino,  a  gloria  della  metropoli  del  romano  imperio.  In- 
torno a  Melino  tace  la  storia  antica;  ma  lo  Stobeo  ci  con- 
servò Tode  ,  e  il  patriarca  Fozio  il  nome  della  poetessa.  Quindi 
le  discussioni ,  singolari  anzi  che  no ,  sopra  l'autrice  e  l' argo- 
mento di  questa  lodata  poesia.  GVii  bramasse  più  ampio  schia- 
rimento ,  oltre  il  Fabricio  *i  e  lo  Schoell  *2  ,  vegga  le  giu- 
diziose osservazioni  ,  di  cui  la  corredò  il  chiarissimo  Fed. 
Teof.  Welcker ,  Professore  di  lettere  greche  e  latine  a  Got- 
tinga *3.  «L'entusiasmo  per  Roma,  scrive  lo  Schoell  nel  luogo 
citato  ,  di  cui  è  piena  quest'ode,  rende  probabile  che  sia  stata 

composta quando    i    Romani ,    vincitori    di    Filippo   di 

Macedonia,  annunziarono  ai  Greci  un'effimera  libertà.  Questo 
è  uno  de' più  bei  tempi  dell'istoria  romana,  ed  era  tale  che 
poteva  benissimo  inspirare  la  poetessa  Melino,  la  quale  noi 
collochiamo»  in  quest'epoca.  »  Ingegnosa  ci  pare  questa  conget- 
tura dello  Schoell ,  e  certo  in  quel  torno  alle  lodi  di  Tito 
Flaminino  e  de'  Romani  venne  dettato  da  Alceo  il  Messenio 
r  epigramma ,  che  faremo  dì  qui  voltare  alla  meglio  *4. 

Con  le  Persiche  schiere  al  greco  suolo 
Venne  Serse  a  recarlo  in  rio  servaggio; 
Tito  d'Italia  vi  guidò  lo  stuolo  , 
E  lo  scampò  d'ogni  servile  oltraggio. 


*i  l.ib.  II,  i5, 

*2    Lib.    Ili  ,    IO. 

*3  Nei  Meletemata  e  discipl.    antiquitatis ,  opera   Frid.  Creuzeri ,   part.  II.  , 
p.   i8.  Lipsia ,  1817. 

"4  11  X.VI  fra  quelli  che  di  lui  ci  rimangono.  Brunck  T.  I. 

C.    D. 


200 
TARlfiTA 


LETTERA   BI   PIETRO   GIOROANI 


Ci  è  capitato  alle  mani  uno  scritto  antico  dell'  illustre  Pietro 
Giordani ,  il  cui  principio  ci  par  meritevole  di  qualche  con- 
siderazione degli  eruditi ,  per  i  quali  vogliamo  pubblicarlo;  e 
perciò  lo  tronchiamo  dove  la  parte  filologica  finisce. 

Bologna  ,  i,"  novembre  i8iS. 

Tu  chiamerai  confidenza  quello  che  altri  direbbe  temerità 
mia  di  mandare  a  te  ingegnoso  e  dotto  ,  ma  pur  indulgente 
ed  amico,  una  mia  congettura  circa  un  luogo  di  scrittore  la- 
tino, degno  certamente  di  considerazione,  e  per  l'oscurità  dispe- 
rato da'  commentatori.  Sarei  temerario  ed  arrogante  se  doman- 
dassi attenzione  al  pubblico:  è  conforme  alla  nostra  amicizia 
dire  a  te  liberamente  tutto  quello  che  mi  viene  all'animo,  e 
domandare  soccorso  al  tuo  giudizio  e  alla  dottrina.  Il  luogo 
che  io  ho  preso  ad  interpretare  è  di  Arnobio,  nel  principio  del 
secondo  libro  5  dov'  egli  risponde  alle  genti ,  che  alla  congre- 
gazione cristiana  venuta  da  circa  trecento  anni  nel  mondo  rim- 
proveravano una  estrema  ignoranza:  e  per  quanto  a  me  appa- 
risce dalle  parole  dell'  autore  (  e  credo  certo  apparirà  anche  a 
te  )  era  specialmente  notata  l' ignoranza  della  grammatica  e  di 
tutta  l'arte  del  dire,  della  logica,  e  delle  leggi  civili.  Le  sue 
parole  son  queste  : 

»  Quia  per  casus  et  tempora  declinare  verba  scitis  et  no- 
t)  mina;  quia  voces  barbaras  solecismosque  vitare-,  quia  nu- 
))  merosum  et  instructum  compositumque  sermonem  aut  ipsis 
»  vos  nostis  efferre,  aut  incomptus  cum  fuerit  scire;  quia  Fer- 
ii nìcetn  Lucilianum  et  Marsyam  Pomponii  obsignatum  memoria 
»  continetis  j  quia  quae  sint  in  litibus  coustitutiones,  <(uot  cau- 


201 

ì»  sarum  genera ,  qiiot  dictionum,  quid  sit  i^enus  ,  quid  species  ; 
»  oppositum  a  contrario  quibus  rationibus  distinguatur  :  idcirco 
»  vos  arbitraraini  scire  quid  sit  falsum  ,  quid  veruni ,  quid  tierì 
»  possit  aut  non  possit,  quae  imorum  ,  summorumque  natura 
»   sit  ?  » 

Arnobio  espone  l'accusa  con  urbane  parole  :  ma  nel  medesimo 
libro  2.°  poi  si  vede  che  le  genti  parlavano  assai  duramente  ,• 
poiché  risponde  il  difensore:  —  quid  est  quod  vobis  tamquaiii 
bruti  ac  stolidi  judicemur  ?  —  Ed  Asclepiade,  che  parla  nel 
romano  martire  dì  Prudenzio  ,  chiama  i  cristiani  —  turbam 
imperitarn  et  illiteratam  frequentiam.  —  Minuzio  Felice  rife- 
risce i  medesimi  rimproveri  fatti  colla  medesima  veemenza  ai 
cristiani.  —  Indignandum  omnibus  indolescendumque  est,  au- 
dere  quosdam  (  et  hoc  studioruin  rudes ,  literarum  profanos  , 
expertes  artium  sordidarum  )  certum  aliquid  de  summa  rerum 
ac  majestate  decernere ,  etc.  —  Dove  il  suo  commentatore  Ni- 
colao  Rigault  soggiunge  che  li  chiamavano  —  vulgum  infimum 
et  foecem  valgi.  —  E  Desiderio  Herault  nel  proemio  de'  suoi 
commenti  al  secondo  libro  d'Arnobio  (  2  voi.  in-4.°  Leida  i65i) 
dice  —  stolidos  et  nimis  credulos  esse  christianos  \  ìndoctos 
praeterea  et  obtusos  ;  quare  mirum  non  esse  si  stolidae  doctri- 
nae  credulitatem  suam  facile  accoraodarent. 

Sia  dunque  fuor  di  quistione  che  nelle  soprascritte  parole 
Arnobio  risponde  al  rimprovero  che  si  faceva  a'  cristiani  di 
ignorare  sin  quello  che  tutti  gli  altri  sapevano:  la  quale  igno- 
ranza (  come  si  ve^  nelle  parole  slesse ,  e  molto  meglio  in 
tutto  quello  che  segue  )  è  confessata  da  lui  :  ma  oppone  che  se 
i  cristiani  ignorano  le  arti  elementari  e  le  più  comuni  discipline 
del  viver  civile,  se  non  sanno  quelle  cose  che  nessuno  ignora, 
sanno  altre  cose  migliori  e  più  importanti.  Il  difensore  de'  cri- 
stiani per  significare  con  esempio  particolare  l'ignoranza  loro, 
dice  ,  che  non  hanno  impresso  nella  memoria  il  Mursia  di  Pom- 
ponio ,  né  VArco  di  Lucilio.  Qui  si  vorrebbe  sapere  che  è  que- 
sto Marsia  ,  che  è  quest'Arco  Luciliano  ?  Il  buon  Herault  (  con 
sincerità  di  l'arissimo  esempio  ti'a'  commentatori  )  confessa  non 
aver  niente  da  dire  —  Fornicein  Litcilianum  et  Marsyam  Poni- 
ponìi  :  de  bis  argumeuiis  quod  dicam  ,  ccrlum  et  liquidum  ha- 

*  r  2 


^02 

beo  nihil.  Ceteram  de  ìgnorautia  christianìs  obiecta  dicemus 
ad  Minutium  Felicem. 

Qui  mi  sono  io  invogliato  di  glltarmi  alle  congetture.  Sarà 
assurdo  il  pensare  che  il  Fornice  Luciliano  e  il  Mursia  di  Pom- 
ponio erano  due  libri  elementari  ?  Uno  di  regole  forensi  com- 
posto dal  giureconsulto  Sesto  Pomponio,  e  intitolato  il  Mursia j 
l'altro  dì  regole  grammaticali,  da  non  so  chi  scritto,  col  tì- 
tolo dì  Arco  di  Lucilio.  Devono  essere  due  libri ,  e  non  troppo 
grossi  ,  perciò  di  semplici  elementi  ;  se  deono  potersi  dalla  mol- 
titudine tenere  impressi  nella  memoria.  La  materia  loro  è  abba- 
stanza indicata  dal  testo  di  Arnobio  :  «  costituzioni  di  liti ,  ge- 
»  neri  di  cause  •,  generi  di  parlari ,  differenza  tra  1  genere  e  la 
»  specie ,  tra  1'  opposto  e  il  contrario  ,•  regole  per  evitare  le 
»  parole  barbare  e  i  solecismi ,  per  piegare  nomi  e  verbi  se- 
»  condo  i  casi  e  tempi  ,  per  distinguere  un  parlare  composto 
»   e  pulito  da  un  disordinato  e  sordido.  » 

Il  legista  Pomponio  fiorì  sotto  Alessandro  Severo  ;  altri  vo- 
gliono sotto  Adriano  5  in  qualunque  modo  assai  tempo  innanzi 
ad  Arnobio.  Al  suo  libro  di  regole  forensi  avea  posto  titolo  il 
Marsia ,  che  è  come  dire  il  Foro ,  secondo  la  consuetudine  del 
parlar  comune  5  della  quale  si  trova  antico  testimonio  anche 
in  Q.  Orazio  : 


Non  sollicitus  mihi  quod  eras. 

Surgendum  sit  mane ,  obeundus  Marsya. 

E  la  ragione  è  notissima  anche  ai  med^cremente  eruditi  : 
perchè  nel  Foro  di  Roma ,  in  faccia  ai  Rostri ,  era  una  statua 
di  Marsia  5  e  appresso  a  quella  il  tribunale  delle  civili.  Intorno 
alla  statua  si  radunavano  ì  piatitori  aspettando  le  udienze  :  alla 
statua  imponevano  corone  gli  avvocati  che  vincevano  :  percioc- 
ché Marsia  era  come  il  santo  patrono  della  eloquenza:  essendo 
usanza  che  i  dicitori  temperassero  e  sostenessero  la  voce  me- 
diante il  flauto  ,  per  lo  quale  trucidato  Marsia  dura  famoso. 

Il  Fornice  Luciliano  dovett'essere  un  arco  Murato  da  un  Lu- 
cilio. Fornice  ed  Arco  sono  la  medesima  cosa:  e  ciò  appari- 
sce dal  vedere  che  l'arco  Fabiano  nominato  da  P.  Vitlore,  è 
detto  Fornice  Fabiano  da  Cicerone ,    da  Ascanio  ,   da  Seneca  j 


205 

perocché  1'  antica  e  migliore  latinità  chiamava  Fornici  quelli 
che  poi  si  dissero  Archi.  Si  dicevano  Fornici ,  o  volte  dalla  fi- 
gura ,  che  era  semicircolare ,  innanzi  che  si  usasse  farli  qua- 
drati. Prendevano  il  nome  dagli  autori  :  il  Fabiano  da  Fabio 
censore  e  vincitore  degli  Allobrogi,  che  lo  aveva  alzato  sulla 
via  sacra,  vicino  alla  curia,  nell'ottava  regione.  Vittore  parla 
d'  un  Fornice  di  Sestinio  nel  Foro  Boario  ,  e  di  un  altro  del 
medesimo  Sestinio  nel  circo  Massimo  nell'  undecima  regione. 
Doveva  dunque  dirsi  Fornice  Luciliano  l'arco  fabbricato  da  un 
Lucilio.  Imagino  che  ivi  intorno  fossero  scuole  di  grammatici: 
e  niente  ripugna  a  questa  supposizione.  Che  poi  si  venisse  a 
dire  l'arco  di  Lucilio  invece  delle  scuole  grammaticali ,  noa 
parrà  strano  a  chi  ha  inteso  Marsia  invece  del  Foro;  a  chi  si 
ricorda  Giano  invece  del  luogo  de'  Banchieri  (Hoc  Janus  sum- 
raus  ab  imo  Personat)  :  Giunone  in  cambio  della  zecca -.^  Apollo 
per  la  ragion  civile  (  Ipse  dies  pulcro  distinguitur  ordine  rerum  ; 

Sportula  5  deinde  Forum,  iurisque  peritus  Apollo),  e  tanti 
altri  esempi  simili.  Né  più  è  lontano  dal  verisimile  che  si  chia- 
masse scuola  di  grammatica  o  dal  luogo  dove  la  scuola  si  te- 
neva ,  un  libro  di  quest'  arte  5  e  si  appellasse  Foro  un  trattato 
di  pratica  forense.  Noi  sopportiamo  titoli  più  fantastici  ;  una 
Minerva  ,  cioè  una  grammatica  latina  del  Sanzio  ;  una  porta 
della  grammatica-^  una  Reggia  del  Parnasso;  un  arsenale  della 
santa  Inquisizione-^  ed  altri  innumerabili  di  simil  forma. 

Usciamo  delle  grammatiche  e  delle  congetture  5  entriamo  nelle 
storie  ;  esaminiamo  gli  accusati  e  gli  accusatori.  Si  vede 

Non  sappiamo  a  chi  fosse  diretto  questo  scritto  ;  né  ci  occorre  cercarlo. 
Ma  chi  ce  ne  diede  copia  ci  mostrò  anche  \a  copia  di  una  lettera  del  Marchese 
Massimiliano  Angelelli  (  1'  insigne  traduttore  di  Sofocle  )  al  Giordani  ,  che  gli 
aveva  mostrata  questa  scrittura  ,  come  ad  amico ,  per  avere  il  suo  giudizio. 
E  quell'eminente  grecista  gli  risponde  (  il  di  10  nov.  i8i3  )  parergli  ingegnosa 
la  congettura  ;  ma  non  persuadersi  che  il  Marsia  e  il  Fornice  debbano  esser 
libri.  Muove  ancora  dubbi  circa  alcuni  argomenti  dal  Giordani  usati  nella  lunga 
discussione  istorica  ,  la  quale  non  si  pubblica. 

Molti  anni  dipoi  l'eruditissimo  Orelli  di  Zurigo  ,  stampando  il  suo  Arnobio 
(  raro  a  trovarsi  in  Italia  )  ,  ha  sospettato  veramente  che  il  Marsia  ,  e  il  Fòrnice 
fossero  libri  ;  ma  di  satire  ,  commedie  ,  poesie  oscene.  I  dotti ,  considerando 
attentamente  la  tessitura  del  discorso  di  Arnobio  ,  giudicheranno. 

Nola  dell'Editore. 


204 
Notìzie    Diverse 


Geologia.  —  Tracce  d'  una  grandissima  corrente 
del  mondo  primitivo. 

Il  signor  Sefstroin  pubUicò  non  ha  guari  un'opera  impor- 
tante sulle  tracce  tV  una  grandissima  corrente  del  mondo  an- 
tico. Questo  dotto  studiò  il  fenomeno  geologico  che  si  rannoda 
alla  formazione  degli  usar  degli  svedesi,  lunghe  serie  d'eleva- 
zioni formate  da  masse  di  rocce  ritondate  che  sembrano  pro- 
prie alla  Svezia  ed  alla  Finlandia.  Egli  osservò  che  quasi  dap- 
pertutto dove  si  sgombra  la  superficie  delle  montagne  primi- 
tive ,  togliendo  e  lavando  con  acqua  l' arena  e  Io  strato  di 
terra  che  le  ricopre  ,  si  riscontrano  tracce  di  corrosione ,  ed 
un  gran  numero  di  solchi  profondi  e  di  scanalature  rette  dis- 
correnti parallelamente  dal  Nord  al  Sud.  Munito  di  stromenti 
esattissimi  egli  determinò  la  direzione  di  questi  solchi  sulle 
diverjse  parti  della  stessa  montagna  ,  quindi  su  diverse  mon- 
tagne della  stessa  località ,  e  gli  risultò  che  questi  solchi ,  in 
tutti  i  luoghi  in  cui  si  riscontrano  ,  sono  paralleli,  ed  appa- 
iono come  prodotti  dalla  confricazione  di  rocce  che  urtassero 
obliquamente  la  superfìcie  della  montagna.  Per  tal  modo  si 
dee  credere  che  una  corrente  generale ,  che  strascinava  con  sé 
una  gran  quantità  di  sassi,  ghiaja,  e  sabbia  ,  abbia  anticamente 
coperto  ,  scorrendo  dal  Nord  al  Sud-Ouest,  tutta  la  Scandina- 
via. Questa  corrente  dovette  avere  una  grandissima  jvelocità , 
e  logorare  tutte  le  facce  settentrionali  de'  corpi  che  incontrava 
in  guisa  che  non  vi  lasciò  né  margini  acuti ,  né  canti  vivi. 
Gettando  i  sassi  che  traeva  seco  sui  fianchi  delle  montagne  e 
sulle  loro  facce  orientali  ed  occidentali  scavò  i  solchi  che  vi 
si  veggono  in  oggi. 

Le  deviazioni  che  si  ravvisano  nella  direzione  de'  solchi  sui 
fianchi  delle  montagne  sono  esattamente  tali ,   quali  dovettero 


205 

accadere,  allorché  per  la  resistenza  che  queste  opponevano,  la 
direzione  della  corrente  dovette  piegarsi  all'  Est  ed  all'  Guest. 
Paragonando  la  direzione  dei  solchi  in  diversi  paesi  si  riscon- 
tra eziandio  che  quanto  più  i  fianchi  delle  montagne  trova- 
ronsì  estesi  e  prolungati  ,  altrettanto  maggiore  fu  la  deviazione 
della  corrente ,  ma  che  però  la  superficie  di  questa  conservò 
sempre  la  stessa  direzione.  Questa  corrente  polverizzò  in  tutti 
ì  luoghi  ,  e  trasportò  a  lontane  distanze  una  quantità  enorme 
di  rocce  libere  delle  formazioni  antiche  e  posteriori.  Si  sa  per 
esempio  che  nelle  formazioni  di  transizione  della  Westgotia  , 
enormi  rocce  furono  per  tal  modo  schiantate,  come  l'attestano 
ancora  i  massi  di  trapp  che  coprono  le  formazioni  che  resi- 
stettero alla  corrente ,  e  su  di  cui  il  signor  Sefstrom  trovò  i 
solchi  fattivi  dai  sassi  che  le  urlarono.  Questa  massa  di  sassi 
cosi  trasportati  dalla  corrente  sembra  aver  avuto  un'  altezza 
di  i5oo  piedi  :  non  si  trovano  tracce  di  solchi  sulle  monta- 
gne che  sorgono  ad  una  maggior  elevazione.  L'  epoca  in  cui 
questa  corrente  esisteva,  sembra  secondo  il  metodo  cronologico 
de'  geologi  ,  concordare  con  quella  in  cui  il  diluvio  copriva  la 
terra  ,  o  più  probabilmente  essere  di  alquanto  posteriore.  In 
ogni  caso  essa  è  più  antica  dei  massi  erratici  (  blocs  errati- 
ques  )  che  esistono  in  sì  gran  quantità  alla  superficie  della 
terra  5  imperocché  quando  s' incontrano  di  questi  massi  cogli 
asar ,  essi  trovansi  sempre  superposti  a  questi  ultimi ,  e  gia- 
centi sulla  lor  cresta  o  cima. 

(  Annali  di  Poggendorf.) 


Oceanica  —  Juan  Fernandez.  Cotonizzazione  di  guest"  Isola. 

Quest'isola  celebre  per  la  residenza  in  essa  di  Alessandro 
Selkerck,  le  cui  avventure  diedero  a  De  Foé  il  soggetto  del 
suo  Robinson  Crusoe,  è  divenuta  come  le  isole  vicine  proprietà 
di  un  cittadino  americano ,  che  la  prese  ad  affitto  dal  governo 
del  Chili  per  lunga  serie  d'anni.  Ella  servi  dapprima  al  deposito 


206 

per  i  condannati  all'  esiglio  ,  ma  le  spese  che  richiecleYa  questo 
stabilimento  ,  e  l' ognor  crescente  numero  dei  prigionieri  deter- 
minarono il  governo  del  Chili  ad  abbandonarla.  Colui  che  ne 
divenne  possessore  ha  intenzione  di  emigrare  colà,  e  di  con- 
durvi  secciai  loo,  o  aoo  famiglie  dalle  isole  Sandwick,  all'og- 
getto di  coltivarla ,  e  di  allevarvi  del  bestiame ,  egli  solo  esclu- 
sivamente esercirà  il  controllo  sul  governo  dell'  isola.  Le  sue 
disposizioni  saranno  estesissime,  ed  ha  intenzione  di  porre  nella 
principal  foce  dei  segnali  ove  trovansi  scogli ,  banchi ,  o  simili 
cose  danneggianti  i  vascelli  a  vantaggio  de'  marinai  ,  che  tro- 
veranno ne'  suoi  magazzeni  ogni  genere  di  provvigione.  Egli  ne 
sconterà  le  tratte  alle  tasse  ordinarie  :  egli  loro  somministrerà 
senza  verun  pagamento  dei  battelli  rimorchiatoi  per  entrarvi  , 
ed  uscirvi.  La  foce  del  Cumberland  è  sicura,  e  gli  avvantaggi 
che  presenta  ai  balenieri  sono  preziosissimi ,  non  saravvi  alcun 
diritto  di  porto ,  e  sarà  provvisto  alle  difficoltà  che  potrebbero 
insorgere  per  le  diserzioni  dell'  equipaggio ,  cosa  di  non  poca 
importanza ,  se  si  ha  riguardo  alla  molesta  influenza  che  ebbero 
queste  difficoltà  sui  successi  delle  spedizioni.  L' isola  da  quanto 
viene  asserito  nelle  parti  montagnose  abbonda  di  Sandal ,  e  di 
altri  legni  preziosi  ,  le  sue  rive  sono  il  ritiro  dei  leoni  di  mare, 
e  l'interno  è  incomparabile  sia  per  la  bellezza  delle  situazioni, 
che  per  la  purezza  della  temperatura  atmosferica. 

Dopo  la  perseveranza  ben  conosciuta,  dice  il  sig.  Francesco 
Lavalée  vice-console  di  Francia  ,  di  colui  che  si  è  posto  al  pos- 
sesso di  questo  prezioso  territorio  ,  questo  progetto  non  può  a 
meno  di  riuscire,  e  di  produrre  immense  conseguenze  per  i 
proprietari ,  e  capitani  impiegati  nelle  pesche  al  mare  del  Sud. 

(  Annal.  marit.  j  et  colon.  ). 


207 
AKNUNZJ    DI    BIBLIOGRAFIA 


LIBRI  ITALIANI 


LIBAI  FRANCESI 


Deila  Coltivaziohb  delia  Sabba- 
bietola.  Istruzione  di  Matteo 
Bonafous  direttore  dell'orto  R. 
Agrario.  (  Torino ,  tip.  Cliirio 
e  Mina). 

Questa  pregievole  scrittura 
singolare  per  la  sua  chiarezza 
e  precisione ,  è  consacrata  a 
proporre  e  descrivere  i  metodi 
più  sicuri  e  pratici  per  otte- 
nere in  Piemonte  la  coltura 
della  Barbabietola,  e  da  que- 
sta la  fabbricazione  dello  zuc- 
chero indigeno ,  che  la  Francia 
già  ricava  in  una  quantità  ec- 
cedente la  metà  dell'  uso  ne- 
cessario ai  suoi  abitanti.  -—  Il 
risultato  di  questa  nuova  colti- 
vazione sarebbe  quello  di  dare 
33  rubbi  di  zucchero  per  ogni 
giornata  di  buon  terreno  ben 
coltivata  ,  valutando  soltanto 
questa  rendita  al  4  P^i"  cento. 
—  Non  è  a  dire  che  questo  ge- 
nere di  produzione  affatto  nuovo 
per  il  Piemonte  ove  fosse  atti- 
vata con  successo,  darebbe  senza 
dubbio  una  nuova  direzione  ed 
un  nuovo  impulso  all'  agri- 
coltura ed  al  commercio  negli 
Stati  di  S.  M.  —  È  noto  che 
nella  provincia  d'  Ivrea  fertile 
per  territorio  e  feconda  d'  in- 
gegni intraprendenti  e  vivaci  , 
già  si  è  formata  una  società  per 
azioni ,  avente  per  oggetto  la 
fabbricazione  dello  zucchero  di 


Agriculture  simplifiée,  cu  mojens 
d'établir  des  prairies  perennes 
dans  toutes  les  locaUtés.  Con- 
sidération  sur  l'état  de  l'agri- 
culture  en  France  par  Hugan 
ainé.  Brochure  in-8,  chez  M.' 
Huzard.  —  Paris,  prix  11.  i   aS 

Les  trois  Mondes  ou  la  fin  des 
disputes  philosophiques  sur  le 
beau ,  le  laid ,  le  bien ,  le  mal , 
le  vrai ,  le  faux  par  M.  H. 
Idolfe ,  in-8.  —  Paris ,  De- 
lannig 11.  5  » 

Manuel  de  l'amateur  d'autographes 

par  P.  Jules  Fontaine ,  in-8  de 

24  feuilles.  —  Paris  chez  Morta 

11.  7  5o 

Proposition  de  nouveaux  rails  pour 
les  chemins  àeievT^ar M.Dausse 
in-8,  une  feuille.  —  Paris,  chez 
Carilian  Gaury. 

Abrégé  de  l'histoire  de  la  mede- 
cine  considérée  comme  science 
et  comme  art  dans  le  progrès 
et  son  exercice  depuis  son  ori- 
gine jusqu'au  XIX  siècle,  par 
L.  F.  Gasté ,  médecin  ovdinaire 
d'armée  et  de  l'hópital  inilitaire 
de  Calais,  membre  de  l'acadé- 
mie  royale  de  médecine ,  in-8. 
—  Paris,  Baillière  .  .    11.  7   » 

Traité  des  fièvres,  ou  initations 
cérébro-spinales  intermittentes 
d'après  des  observations  re- 
cuillies  eii  France  ,  en  Corse  , 
et  en  AlVique  par  F.  G.  Maillot, 
iu-8  ,  i83tì.  — Paris,  Baillieic. 


208 


LIBRI    ITALIANI 


LIBRI    FRANCESI 


barbabietole  ;  il  cui  principal 
direttore  si  è  il  sig,  Dott.  Lo- 
renzo Gatta.  Questa  società  ano- 
nima fu  approvata  da  S.  M.  con 
Patenti  del  6  maggio  1887  col 
titolo  di  Società'  Teutloponica 
Camavesana.  —  Questa  impresa 
già  in  tal  modo  favoreggiata  dal 
Sovrano  merita  poi  di  venir 
promossa  con  tutta  l' assistenza 
e  r  incoraggiamento  del  pub- 
blico ed  il  Piemonte  aspetta  con 
tutta  ansietà  di  conoscerne  i  ri- 
sultati. 

8.    B. 

Democrazia  smascherata  ossia  Pa- 
ralello  tra  lo  slato  democratico 
e  lo  stato  monarchico ,  orazione 
sacro-politica  del  P.  Prospero 
Toìiso  dell'ordine  de'  Predica- 
tori ,  recitata  nella  Cattedrale 
di  Alessandria  nel  giorno  del 
solenne  Te  Deum  dopo  la  resa 
della  Cittadella  seguita  il  21 
luglio  1799,  seconda  edizione 
milanese.  —  Milano ,  Tipografia 
Pogliani ,  1 836 ,  m- 1 1  di  pag.  54. 

FtoRA  CoMENSE  disposta  secondo  il 
sistema  di  Linneo  dal  professore 
Giuseppe  Comolli  I.  R.  diret- 
tore del  Liceo  medico  provin- 
ciale di  Como  ecc.  —  In  Como 
coi  tipi  di  Pietro  Ostinelli ,  1 836, 
voi.    Ili    in-i6    di  pag.    272. 


EsQuissES  BiOGRAPHiQUEs  de  i'ancìen 
pays  de  Liegi ,  dello  stesso ,  ibid. 

Les  Derniebs  Grignoux  ou  le  Ré- 
glement  de  1684,  dello  stesso, 
ibid. 

Encvclopédie  de  gens  du  monde. 
Répertoire  universel  de  toutes 
les  connaissances  nécessaires  , 
utiles  ,  agréables  dans  la  vie 
sociale  etc. ,  etc. ,  par  une  So- 
ciété  de  savans ,  de  Utterateurs 
et  d'artistes  francais  et  étran- 
gers.  —  12  tomes  grand  in-8, 
chacun  en  deux  voi.  de  plus 
de  4oo  pages  à  deux  coloimp^. 
Prix  5  fr.  le  voi. 

Histoire  x)e  l'Établissement  et  db 
LA  Direction  de  l'Eglise  par 
les  Apóties ,  trad.  de  l'AUemand 
de  Néander  par  F.  Fontanés  , 
2  voi.  in-8.  —  9  fr. 

Hygiène  Morale  ,  ou  application 
de  la  physiologie  à  la  morale 
et  à  l'éducation  ,  par  Casimir 
Broussais.  — Paris,  1837,  in- 
8,  6  fr. 

Scénes  de  la  vie  italieune  par  Mery. 

—  Paris,   1887,    2    voi.  in-8, 
i5  fr. 

Une  Famille  par  M.  Gidzot;  ou- 
vrage  à  l'usage  de  la  jeunesse, 
continue    par    Amable     Tasta. 

—  Paris,   1837,    2  voi.    in- 12 
fig.  8  fr. 


STAMPEniA    GHIRINGHEI.LO    E    COÌVIP. 
con  pcnuissionc. 


209 
FILOSOFIA 


NUOVO    SAGGIO    StLL  OlllGINE    DELLE     IDEE 

di  Antonio  Rosmini-Serbati  Sacerdote  Rovei'etaiio. 

(Rom<i,  Salviucci  ,  i83o  *ol.  iv.  Milano,  Pogliani,   i836-37.  voi.   ut.) 


£  n€ce!>s>ario  che  tulli  i  buoni  ,  i  quali  possono  e  sanno  ,  diano 
mano  pronta  e  concorde  a  ricostruiie  la  scienza  stessa;  jier 
ricostruire  quindi  la  morale  ,  per  ricostruire  finalmente  la 
società  scomposta  e  scommessa. 

RosMiKJ ,  Prefazione  al  Nuovo  Saggio. 


Intorno  a  questo  stupendo  lavoro  di  filosofia  usciranno 
in  questo  Giornale  parecchi  articoli  del  sig.  Tommaseo , 
alcuni  già  pubblicali  nell'Antologia  di  Firenze  (  i832  ), 
altri  tuttora  inediti ,  coi  quali  viensi  a  formare  in  breve 
una  perfetta  ed  elegante  esposizione  della  dottrina  di  quel 
filosofo  profondissimo,  che  oggi  alla  scuola  italiana  dà  vita 
nuova  ed  ordinamento  pieno  e  grandioso.  Un'  esposizione 
compiuta  del  sistema  filosofico  dell'  Ab.  Rosmini ,  la  quale 
possa  darne  una  giusta  idea  a  quei  moltissimi  che  non  hanno 
agio  di  studiarla  nella  voluminosa  opera  in  cui  l'Autore 
lo  espone  ,  manca  tuttavia  all'  Italia  ,  non  bastando  ad  un 
tale  bisogno  i  pochi  cenni ,  che   i   più  accreditati    giornali 

i3 


210 
ed  il  Ricoglitoie  in  ispecie  ne  hanno  dato.  E  ad  un  gior- 
nale del  Piemonte  s' apparteneva  certamente  di  far  cono- 
scere distesamente  questo  sistema ,  il  quale  prima  che  nelle 
altre  Università  d' Italia  fu  nella  nostra  di  Torino  pubbli- 
camente professato ,  e  introdotto  quindi  nell'  insegnamento 
della  filosofia  nelle  minori  scuole  alla  medesima  soggette  '"i. 
E  questa  circostanza  basterebbe  certamente  di  per  se  sola 
a  dimostrare  1'  opportunità  degli  articoli  che  pubblichiamo; 
ma  oltre  d  vantaggio  che  ne  può  tornare  alla  gioventù  stu- 
diosa del  nostro  paese  ,  per  altri  rispetti  più  generali  parve 
a  noi  di  fare  cosa  utilissima  nel  pubblicare  per  intiero  gli 
studj  del  Tommaseo  sul  Nuovo  Saggio. 

Or  fa  appena  tre  anni  che  1'  egregio  sig.  Michele  Par- 
ma inseriva  nel  Ricoglitore  un  articolo  degno  di  lui  in- 
torno a  quest'opera  del  Rosmini  per  iscontare,  com'egli 
dice ,  in  parte  V  indifferenza  della  mia  patria  'verso  di 
lui',  pare  infatti,  che  essa  lo  ignori  a  che  noi  curi  sa- 
pendolo '"2.  Se  da  quello  che  avviene  intorno  a  noi  vuoisi 
giudicare  del  resto  d' Italia  ,  quest'  indifierenza  s'  è  final- 
mente dileguata ,  per  dar  luogo  se  non  all'  entusiasmo  , 
certo  almeno  ad  un  sentimento  che  è  ben  divergo  dall' in- 
differenza. I  seguaci  stessi  di  quella  filosofia  ,  che  il  Ros- 
mini con  quel  suo  fino  e  robusto  ragionare  ha  vittoriosa- 
mente combattuto  ,  non  hanno  potuto  a  meno  di  sentire 
tutta  la  superiorità  del  suo  sistema  sopra  gli  altri,  e  men- 
tre in  vece  di  scendere  con  lui  ad  una  polemica  seria  , 
conscienziosa  ,  e  diretta  dal  puro  amore  della  verità ,  essi 
cercarono  di  abbatterlo  con  quelle  armi  che  solo  1'  amor 
di  sistema  può  dare  ,  riuscirono  appunto  all'  intento  con- 
trario ,  di  far  nascere  negli  animi  il  desiderio  di  conoscere 


■*!   V.  Elementa  Ethices  I.  A.  Sciolla  etc.  iu  usuiu  1\.  scholarum. 
Taurini   i834  ,  Fodratti. 

*2  JlicogUtorc,  gi^S'^*^  ^834?  psg.  542. 


21 1 

la  fìlosofìa  di  un  uomo ,  contro  cui  tanto  strepito  facevano 
i  suoi  avversari ,  e  di  cui  nel  tempo  stesso  altri  parla- 
vano con  tanta  lode  ed  ammirazione ,  e  tra  questi  prin- 
cipalmente un  Michele  Parma ,  un  Cesare  Cantù  noti  all' 
Italia  per  tanti  pregevoli  lavori.  Compariva  intanto  in  un 
programma  d' associazione  l' elenco  delle  opere  edite  ed 
inedite  del  Rosmini ,  che  il  tipografo  Pogliani  si  propo- 
neva di  stampai'e  ;  il  numero  e  la  varietà  delle  medesime 
costringevano  quelli  stessi  che  pur  non  lo  conoscevano  ad 
ammirare  la  fecondità  della  mente  del  nostro  grande  con- 
temporaneo ,  che  giovane  ancora  aveva  saputo  creare  un 
sistema  di  filosofia  ,  di  cui  potrebbesi  a  ragione  dire  ciò 
che  del  sistema  di  Leibnitz  diceva  Fontenelle ,  quii  fut 
quelque  chose  dHmprévu  et  inespéré  sur  une  matière  oà 
la  philosophie  semblait  avoir  fait  ses  derniers  ejjfòrts  ;  e 
non  contento  a  crearlo  l' aveva  pur  saputo  sviluppare  in 
tante  parti  dell'  umano  sapere  ,  nella  morale  ,  nell'  educa- 
zione ,  neir  estetica ,  nella  scienza  del  diritto  ,  nella  reli- 
gione. Ed  in  questa  superior  parte  d' Italia  in  ispecie  le 
singolari  relazioni  contrattevi  dal  Rosmini,  non  vuoisi  dire 
quanto  potentemente  abbiano  dovuto  scuotere  gli  animi , 
e  quante  attenzioni  fissai^e ,  e  quanta  curiosità  eccitare  di 
conoscere  pur  qualche  cosa  de'  suoi  principii  in  filosofia. 
Chi  per  poco  riflette  alla  facilità  con  cui  gli  uomini  so- 
gliono giudicare  e  delle  cose  che  sanno  ,  e  di  quelle  che 
non  sanno,  può  di  leggeri  concepire  stranezza  di  giudizi, 
di  discorsi ,  di  domande ,  che  hanno  dovuto  e  debbono 
farsi  intorno  a  quest'  uomo  maraviglioso  ed  intorno  al  suo 
sistema  filosofico.  E  se  noi  dobbiamo  far  giudizio  da  quel 
poco  che  ne  abbiamo  udito  a  dii^e  ,  ci  è  forza  confessare 
che  ben  pochi  sono  quelli  che  conoscano  che  cosa  sia  Ros- 
mini ,  che  cosa  il  suo  sistema  ;  il  che  vuol  dire  ben  pochi 
essere  quelli ,  che  abbiano  letto  le  opere  di  questo  insi- 
gne  filosofo  ,    dalle   quali  non   solo  il  sistema  di  lui ,  ma 


212 

r  animo  egregio  apparisce.  Or  poiché  molti  più  sono  quelli 
che  di  conoscere  l' uno  e  l' altro  abbisognano ,  di  quelli  che 
abbiano  o  il  tempo  o  il  modo  di  studiarli  ne'  voluminosi 
scritti  da  lui  pubblicati ,  noi  ci  proponiamo  di  provvedere 
in  qualche  modo  a  questo  bisogno.  '' 

1  E  intorno  all'illustre  Autore  delKuovo  Saggio,  poiché» 
a  parlarne  di  proposito  le  nostre  parole  potrebbero  forse 
non  incontrare  presso  tutti  la  dovuta  fede  ,  ci  limiterenao 
a  dire  ai  nostri  lettori,  essere  egli  stato  con  verità  defi- 
nito dal  sig.  Parma ,  quando  nell'  articolo  sopra  citato  lo 
chiamava  un  sommo  ingegno  ,  un  animo  candido  e  vir- 
tuoso ,  un  cuore  angelico  tutto  penetrato  di  carità ,  e  noi 
soggiungeremo ,  un  uomo  che  si  fa  amici  devoti  tutti  quelli 
che  lo  avvicinano.  Dirne  maggiormente  noi  non  dobbiamo 
per  non  dispiacere  allo  stesso  Rosmini ,  il  quale  in  tanti 
luoghi  delle  sue  opere  ci  dice  ,  che  il  vero  filosofo  non 
deve  tanto  occuparsi  degli  autori,  quanto  piuttosto  delle 
loro  dottrine,  e  che  nella  filosofia  non  la  causa  di  alcuna 
persona  si  tratta ,  ma  sì  solamente   la  causa  della  verità.  -; 

Venendo  dunque  al  sistema  filosofico  del  Rosmini,  noi' 
non  sapremmo  se  egli  potrebbe  venir  meglio  e  più  com- 
piutamente esposto ,  che  non  sia  negli  articoli  seguenti. 
Sulla  chiarezza  ed  eleganza  dell'  esposizione  ne  è  malleva- 
dore ai  nostri  lettori  il  nome  di  Tommaseo,  di  cui  essa 
è  tanto  lodevole  lavoro  ;  sulla  fedeltà  della  medesima  ab- 
biamo l'assenso  stesso  dell'  Autore  del  Nuovo  Saggio.  Ma 
perchè  non  lutti  saranno  con  noi  d'  accordo  suU'  utilità  di 
diffondere  la  cognizione  di  un  sistema  filosofico  ,  il  quale 
secondo  che  a  molti  pare ,  non  può  interessare  se  non 
quei  soli  che  si  occupano  propriamente  di  studj  metafisici; 
pare  a  noi  di  dovere  per  poco  fermarci  a  ragionare  alquanto 
distesamente  su  questo  proposito. 

E  che  la  cognizione  di  questo  sistema  non  debba  inte- 
ressare quelli  solamente  ,  che  si  occupano  di  filosofia  teo- 


213 

^tica,  ma  quelli  pm'e  che  gli  stutlj  dei  primi  tengono 
in  conto  di  oziose  speculazioni,  e  sono  tutti  rivolti  a'  studi, 
com'  essi  dicono,  più  positivi  e  di  un'utilità  pratica,  noi 
crediamo  che  possa  solamente  dubitarne  colui ,  il  quale 
non  abbia  mai  meditato  agli  stretti  legami  per  cui  le  scienze 
si  attengono  le  une  alle  altre ,  e  come  i  principii  più  teo- 
retici ,  e  che  in  apparenza  sembrano  lontanissimi  dalle  più 
vicine  e  pratiche  necessità  degli  uomini,  siano  fecondi  di 
conseguenze,  e  penetrino  ,  anche  non  osservati,  nella  vita 
reale  ;  sicché  a  grandissima  ragione  possa  con  Royer-Collard 
affermarsi,  essere  un  fatto  che  la  morale  privata  e  pub- 
blica ,  r  ordine  della  società  ,  e  la  felicità  degli  individui 
sono  impegnate  nella  questione  della  vera  e  della  falsa  fi- 
losofia intorno  alla  realtà  della  cognizione  umana.  La  sto- 
ria della  filosofia  tante  prove  ci  offre  di  questo  fatto  , 
che  a  negarlo  bisogna  proprio  o  non  averla  mai  letta ,  o 
non  aver  mai  saputo  seguire  il  filo  delle  conseguenze  di 
un  sistema  nelle  sue  varie  applicazioni  alla  morale,  alla 
religione,  alla  politica. 

Questi  studiosi  di  verità  positive ,  questi  amatori  zelanti 
dell'  umanità  ,  i  quali  hanno  in  disprezzo  tutto  ciò  che  non 
è  materialmente  utile ,  tutto  ciò  che  non  toglie  immediata- 
mente qualche  necessità,  tutto  ciò  che  non  è  un  progetto 
di  miglioramento  sociale ,  hanno  essi  mai  studiato  dove  giac- 
cia la  radice  dei  mali  presenti  della  società  ?  hanno  essi 
mai  meditato  a  qual  epoca  di  distruzione  noi  succediamo, 
e  per  opera  di  quali  dottrine  siasi  quella  distruzione  effet- 
tuata, e  come  trattandosi  di  ricomporre  e  riordinare  la  so- 
cietà, le  dottrine  che  furono  potenti  alla  distruzione,  siano 
impotenti  alla  riedificazione?  —  O  dirassi  forse  che  l'epoca 
della  distruzione  non  è  per  anco  passata  ;  che  molti  elementi 
della  vecchia  società  esistono  tuttavia,  o  vanno  ripigliando 
r  esistenza  ?  —  Non  lo  credete.  Questi  elementi  non  hanno 
che  un'  esistenza  di  fatto  ,  e  quindi  un'  esistenza  precaria  ; 


214 

essi  propriamente  parlando  non  esistono  più  ,  perchè  non 
hanno  più  alcuna  esistenza  nelle  credenze  e  nelle  simpa- 
tie degli  uomini  della  nostra  età.  Del  resto  per  rimediare 
al  male  che  può  esservi  in  un  ordine  di  cose,  è  egli  ne- 
cessario di  distruggere  anche  il  bene,  col  farsi  eco  degli 
errori  che  un  secolo  fa  sconvolsero  la  società  ?  E  i  mali 
che  affliggono  la  società  in  certi  paesi ,  non  gravitano  pure 
su  di  essa  là  dove  1'  opera  della  distruzione  fii  sì  com- 
piuta ,  sì  estesa?  O  non  è  anzi  appunto  perchè  troppo  si  è 
distrutto  ,  che  la  società  è  di  presente  da  tanta  miseria 
travagliata  ? 

Sì,  perchè  troppo  si  è  distrutto;  e  intendiamoci  bene, 
che  non  è  tanto  dell'  ordine  materiale   quanto    dell'  ordine 
morale  ,  che  noi  vogliamo  qui  parlare  :  quando  confonden- 
dosi r  idea  colla  sensazione  ,  l' intelletto  col  senso  ;  la  legge 
che  obbliga  coli'  inclinazione  che  alletta  ;  il  dovere  coli'  in- 
teresse  ;  Dio  colla  natura  5    il  diritto  sociale  con  un  libero 
patto    degli    uomini  ;    la    società  dell'  operoso  ed  universal 
amore  con  quella  dell'  individualismo  ;  il  principio  dell'  evo- 
luzione con  CUI  compier  si  deve  la  gran  legge  umanitaria 
del  progresso ,  colla  dottrina  della  rivoluzione  sempre  mai 
feconda  di  disordini  e  di   mali;    il   progresso  della  civiltà 
coir  obl)lio  del  passato  ;   la    sapienza  tradizionale  de'  secoli 
preceduti  col  pregiudizio  e  coli'  ignoranza;  —  quando  con 
tutte  queste  confusioni  e  sovvertimenti  si  diffuse  negli  uo- 
mini uno   scetticismo  profondo ,   soffocatore   d'  ogni  fede , 
d'  ogai  credenza  ,  autore  quindi  d' un'  anarchia  morale  ,  la 
quale  se  non  prorompe  nella  vita  esterna ,  non  è  mestieri 
il  dire  per  quali  cagioni  avvenga, 

Chiaminsi  religiose  od  irreligiose  le  epoche  opposte,  in 
cui  gli  uomini  hanno  o  non  hanno  delle  forti  credenze , 
delle  convinzioni  ferme  ;  chiaminsi  con  qual  altro  nome  si 
voglia  ;  il  fatto  si  è  che  nella  storia  dell'  umanità  noi  ci 
incontriamo  veramente  in  epoche  di  fede  come  di  scetticis- 


215 

mo ,  in  epoche  di  forza  e  di  vera  vita  sociale ,  come  in 
epoche  di  spossamento  e  di  demoralizzazione  ;  ed  un  fatto  è 
pure  che  la  nosti^a  è  una  di  quelle  epoche  di  scetticismo  *i; 
perchè ,  come  negare  che  penetrando  nelle  coscienze  non 
si  trovi  nella  maggior  parte  degli  uomini  un'assenza  totale 

**.  Intorno  alla  verità  di  questo  fatto  ci  rincresce  di  non  avere 
con  noi  d'accordo  l'Autore  dell'articolo  sulla  confutazione  dello  scet- 
ticismo proposta  dal  Rosmini ,  inserito  nella  distribuzione  di  marzo 
della  Biblioteca  Italiana.  —  Anche  noi  abbiamo  un  tempo  creduto 
che  i  filosofi  buttassero  il  fiato  a  combattere  contro  lo  scetticismo  , 
e  che  la  filosofia  deviasse  dalla  sua  vera  missione  adoperandosi  con 
tanto  sforzo  a  svellere  dalle  radici  un  sistema  diametralmente  op- 
posto alla  confidenza  propria  di  quell'età  ,  in  cui  l'uomo  dorme  so- 
pra un  letto  di  spine  e  vi  sogna  Jìori  e  giardini  ,  e  sotto  una  pioggia 
di  rose  tien  ragionamento  della  sua  gioia  cogli  Angeli.  Ma  quel 
sogno  beato  della  gioventii  dura  pur  troppo  poco  ;  e  con  lui  quante 
illusioni  non  si  dileguano  !  Noi  avremmo  allora  con  trasporto  di  gioia 
dato  la  mano  a  chi  avesse  paragonato  i  confutatori  dello  scetticismo 
aglt  Alchimisti  che  cercavano  l'oro  ove  non  era  ;  o  all'  Eroe  della 
Mancia  ,  che  nei  mulini  a  vento  ravvisava  altrettanti  guerrieri.  Ma 
in  oggi  meno  lontano  dal  vero  riputiamo  chi  paragonasse  agli  Al- 
chimisti che  l'oro  vedevano  in  tutte  le  cose  ,  coloro  che  vedono  in 
ogni  animo  principj  fermi  ,  convinzioni  decise  ,  fede  operosa  ,  e  che 
se  non  danno  al  vivo  il  carattere  battagliere  dell'Eroe  della  Mancia, 
esprimono  però  un  errore  mentale  simile  al  suo  ;  perchè  siccome 
egli  credevasi  di  vedere  da  ogni  banda  armati  guerrieri  che  impe- 
divano nel  mondo  quella  giustizia  eh'  egli  avrebbevi  voluto  far  re- 
gnar sola  colla  sua  bella  del  Toboso  ;  cosi  questi  credono  in  senso 
inverso  di  vedere  d'  ogni  intorno  dei  guerrieri  ossiano  uomini  , 
forti  di  fede  e  di  convinzioni  ,  combattitori  volonterosi  pel  trionfo 
della  verità  e  della  giustizia. 

Né  vale  il  dire  che  si  può  essere  scettico  nelle  cose  di  pura  spe- 
ctdazione ,  e  non  esserlo  nelle  cose  pratiche  ,  in  quelle  cioè  che  mag- 
giormente importano.  Noi  sappiamo  benissimo  che  Kant  non  è  il 
solo ,  il  quale  ,  negata  alla  ragione  pura  ogni  autorità  oggettiva,  sia 
caduto  nella  sublime  inconseguenza  di  dare  alla  ragione  pratica  l'au- 
torità negata  alla   prima.    Certo  Pirrone  non  fu   piironista  in  tutto, 


216 

di  credenze  su  tutte  le  questioni  che  inteiessano  l'  uma- 
nità? Sia  egli  di  diritto  o  sia  iW  fatto  lo  scetticismo  attuale, 
questo  non  monta  ;  quando  si  sa  che  il  primo  ingenera  di 
sé  tardi  o  tosto  il  secondo,  e  scendendo,  come  dice  Jouf- 
froy,  dalla  sommità  alla  base  della  società ,  si  diffonde  nelle 
masse ,  in  seno  a  cui  scavando  e  distruggendo  tutte  le  cre- 
denze ,  tutto  quel  sistema  di  verità  a  cui  esse  avevano  fede, 
che  erano    la   regola  della   loro   condotta  in  tutto ,  finisce 


né  Epicuro  epicureo,  né  Hume  fu  sempre  scettico  ,  né  altri  altro. 
Ma  resta  pure  a  vedei'si  se  i  seguitatori  dei  loro  principii  vorranno 
poi  anche  seguitarli  nelle  loro  inconseguenze;  o  se  Epicuro  sia  il 
solo  che  abbia  avuto  in  Aristippo  un  espositore  franco  de'  suoi 
principii ,  non  contenuto  da  nessun  riguardo ,  da  nessun  pudore. 

Del  resto  ,  per  non  eccedere  i  limiti  d'  una  nota  ,  e'  potrebbesi 
ancora  concedere  che  le  persone  individuali  non  possono  stare  nello 
scetticismo  preso  a  rigor  d'  espressione.  Ma  nessuno  certo  crediamo 
vorrà  negarci  cl>e  ,  in  mezzo  al  più  ardito  dogmatismo  individuale , 
non  possa  sussistere  e  non  sussista  nella  persona  ,  per  cosi  dire,  na- 
zionale uno  scetticismo  sociale  ,  risultante  dalla  lotta  degli  uomini 
divisi  di  credenze  ,  di  principii  ,  d'interessi  -,  lotta  per  cui  si  rende 
impossibile  quell'amichevole  cospirazione  di  poteri  ,  quell'amore  re- 
ciproco vmiversale  ,  che  nasce  dall'intendersi  scambievolmente,  e  che 
è  necessario  alla  produzione  del  bene  generale  ,  il  quale  viene  anzi 
impedito  e  reso  impossibile  quando  manca  quella  morale  forza  so- 
ciale ,  che  non  può  risultare  che  dall'  unità  di  mente  e  di  cuore 
nella  società. 

Ed  è  appunto  per  promuovere  ed  accelerare  questa  concordia  della 
filosofia  coir  umanità ,  e  della  filosofia  con  se  stessa  ,  quest'  intelli- 
genza de'  filosofi  tra  di  loro  ,  e  dei  filosofi  col  popolo  ,  sicché  «  il 
dotto  e  la  moltitudine  non  abbiano  più  che  un  solo  linguaggio  ,  e 
intendendosi  si  amino  ,  rimossa  ogni  invidia  ed  ogni  dispregio  -,  » 
che  r  illustre  Autore  del  Nuovo  Saggio  con  tanta  forza  insiste  sulle 
questioni  dell'  origine  e  certezza  del  sapere  umano  ,  nel  suo  esame 
del  Rinnovamento  della  filosofia  in  Italia  *. 

*  Pag.  4. 


217 

per  produrre  il  vuoto  assoluto  *  i .  «  Conviene  adunque  oggi- 
»  mai  non  trattenersi  nella  superficie  ,  ne  con  de'  rimedj 
»  palliativi  coprire  a  noi  medesimi  l'  enormità  delle  nostre 
»  piaghe  ;  ma  in  quella  vece  è  necessario  che  tutti  i  buo- 
»  ni,  i  quali  possono  e  sanno,  diano  mano  pronta  e  con- 
»  corde  a  ricostruire  la  scienza  stessa ,  per  ricostruire  quindi 
»  la  morale ,  per  ricostruire  finalmente  la  società  scom- 
»  posta  e  scommessa  ;  e  che  nel  ricostruu'e  la  scienza  , 
»  incomincino  1'  opera  da'  veri  più  elementari ,  da  quali 
»  tutti  gli  altri  dipendono  ins'^me  co'  beni  figliuoli  tutti 
»   della  verità  *2.  » 

Così  r  illustre  A.  del  Nuc  /o  Saggio  dopo  aver  accen- 
nato quale  sia  la  radice  profonda  dei  profondi  mali  che 
travagliano  la  società  ,  dimostra  nel  tempo  stesso  quale  sia 
il  vero  ,  l'  unico  modo  da  tenersi  per  isvellere  la  prima , 
e  cessare  dalla  società  i  secondi.  Ne  lascia  senza  risposta 
coloro  che  pur  non  sanno  o  non  vogliono  vedere  il  nesso 
intimo  che  è  tra  gli  attuali  e  pressanti  bisogni  dell'uma- 
nità e  le  questioni  astrattissime  dell'  origine  e  realtà  dell' 
umano  sapere  ;  che  pretendono  di  poter  mettere  da  parte 
tutte  quelle  questioni  imbarazzanti ,  come  essi  dicono ,  le 
quali  non  sono  a  parer  loro ,  che  cagioni  d' interminabili 
liti ,  e  che  ninna  vera  edificazione  apportano  ;  che  presu- 
mono di  tirare  ima  linea  di  separazione  fra  verità  e  ve- 
rità ,  e  dichiarar  quelle  utili  ,  queste  superflue  ;  quasi  la 
verità  ,  tutta  quanta  ella  è  ,  non  sia  un  bisogno  essenziale 
della  nostra  natura  ;  o  le  forze  de'  singoli  uomini  possano 
giugnere  a  contendere  e  vietare  all'  umanità  ne  pure  la  più 
piccola  parte  della  verità  :  perocché  l' umanità  non  si  la- 
scierà  nnpor  mai  questo  limite  arbitrario  ed  ingiusto ,  e 
l' inquisizione  del  vero  sarà  sempre  all'  uman  genere  tanto 

*i  Jouffroy  ,  Cours  de  droit  natiirel ,  lec.  io  du  scepticisme  actuel. 
*2  Rosmini,  Nuovo  Saggio.  Prefazione  p.  XVI. 


218 

llbeia  quanto  1'  aria  e  la  luce,  tanto  aperta  quanto  aperta 
r  ha  fatta  per  esso  Iddio  *i. 

E  questi  medesimi  che  presumono  dar  leggi  all' intelli- 
genza umana  ,  e  fissarle  un  limite  e  dirle  «  tu  non  pas- 
serai oltre  questo  »  noi  vorremmo  che  nella  citata  prefa- 
zione si  fermassero  a  meditare  sopra  quel  luogo,  ove  l'A. 
accennando  ai  due  bisogni  essenziali ,  che  1'  uomo  ha  in 
se  medesimo  da  soddisfare,  l'uno  appartenente  alla  vastità 
del  suo  cuore ,  l' altro,  per  così  dire ,  alla  profondità ,  di- 
mostra come  1'  uomo  «  non  sarà  a  pieno  mai  soddisfatto, 
fino  a  che  non  abbia  ridotto  e  sottomesso  T  immensa  va- 
rietà e  universalità  delle  cose  a  un  principio  solo  ,  nella 
cui  immutabilità  egli  trovi  un  riposo  e  una  quiete  men- 
tale,  dove  più  altro  non  gli  resti  a  cercare  e  desiderare....  » 
nel  quale  il  tutto  si  semplifichi  e  si  risolva,  e  da  cui  egli 
possa  vedere  tranquillamente  altresì  quale  sia  il  posto  che 
occupa  egli  m^edesimo  nel  tutto,  e  come  egli  debba  guar- 
dare quel  posto  per  non  violare  un  ordine  che  tanto  ha 
cercato ,  e  sottomettersi  al  principio  che  unizza  tutte  le 
cose,  acciocché  egli  entri  nella  grande  unità  e  non  la  tm'bi, 
in  quella  unità  che  ha  conosciuto  per  1'  estremo  voto  di 
sua  natura  e  per  il  termine  dei  suoi  supremi  bisogni.  E 
dunque  da  quell'  unità  che  abbraccia  il  tutto  ,  che  viene 
un  solido  fondamento  alla  morale  ,  e  fino  a  tanto  che  le 
scienze  si  insegneranno  l' una  dall'  altra  spartita ,  e  quasi 
frammenti  sconnessi  di  tempio  scrollato  e  da  barbare  in- 
vasioni diruto,  non  sarà  mai  possibile  che  il  sapere  umano 
vada  di  un  passo  pari  colla  m^orale  virtù  ,  e  che  gli  uo- 
mini coir  aumento  de'  lumi  si  ammigliorino  ;  e  se  non  si 
ammigliorano ,  come  si  può  riordinare  la  società  senza  i  co- 
stumi *2  ? 


*i  Pag,  LVIIl. 
"■2.  Pag.  XX. 


219 

Ne  ci  si  dica  essere  forse  per  noi  esagerati  1  pericoli 
dell'  odierno  scetticismo.  Certo  nessuno  giunge  a  dubitar 
seriamente  della  propria  esistenza  né  di  quella  dell'  uni- 
verso; la  voce  della  natura  dissipa  ad  ogni  istante  questi 
sogni  ;  ma  un  non  s' avvezza  a  mettere  in  questione  i  fatti 
più  evidenti ,  senza  persuadersi  che  niente  vi  sia ,  che  non 
possa  e  non  debba  esser  messo  in  questione.  Non  si  può 
fare  allo  scetticismo  la  sua  parte;  una  volta  introdotto  nella 
mente ,  egli  l'  occupa  per  intiero.  Quando  tutte  le  esistenze 
sono  in  problema  ,  qual  autorità  rimane  ancora  ai  rapporti 
che  le  uniscono  ?  Ed  è  pure  da  questi  rapporti ,  che  si 
derivano  tutte  le  leggi  delle  società,  tutti  i  diritti  e  tutti 
i  doveri  che  costituiscono  la  morale  pubblica  e  privata  *i. 

Lo  studio  comparativo  della  storia  civile  delle  nazioni  e 
della  storia  della  filosofia  dimostra  ad  evidenza,  che  un'ar- 
monia mirabile  esiste  tra  le  varie  fasi ,  per  cosi  dire  , 
percorse  dall'idea  filosofica  ed  il  mezzo  sociale  in  cui  ella 
si  sviluppa.  E  quest'  armonia  non  può  essere  un  mistero, 
se  si  rifletta  come  la  filosofia  d' un'  epoca  e  di  un  paese , 
ora  non  sia  che  l'  espressione  scientifica  e  quasi  1'  ultimo 
risultamento  dei  costumi  e  delle  opinioni  dominanti  nella 
società  ;  ora  per  contrario  sia  la  causa  il  principio  da  cui 
parte  un  nuovo  movimento  sociale.  La  prima,  che  potrebbe 
quasi  dirsi  \mdi  filosofia  di  circostanza ,  è  certamente,  quanto 
al  successo  ed  alla  popolarità  ,  in  assai  migliore  condizione 
della  seconda.  Ma  la  sua  missione  consiste  pm^amente  a 
sviluppare  le  consegueuze  buone  o  tristi  di  quel  sistema 
di  credenze,  cui  essa  riduce  in  formole  scientifiche,  con- 
seguenze a  cui  senza  di  essa  sarebbe  pur  giunta  la  società, 
impiegandovi ,  a  dir  vero ,  un  tempo  molto  maggiore ,  e 
quando  nessun'  altra  azione  estranea  si  fosse  levata  a  fer- 
mare o  dirigere  altrimenti  la  tendenza  del  suo  movimento. 

*i   Royer-Collard.  OEuvies  complètes  de  Reid  etc,  T.  IV.  p.  334. 


220 

Una  tale  filosofia  efficacissima  può  adunque  essere  nelle 
epoche  di  disti"uzione  ad  accelerare  il  morimento  della 
società.  Ma  una  volta  compiuta  quest'  opera  ella  non  ha 
più  alcuna  efficacia  a  riordinare  e  ricomporre  ,  o  termina 
nello  scetticismo  eh'  è  caratteristico  della  società  cui  1'  o- 
pera  della  distruzione  gettò  in  una  specie  d'  anarchia  in- 
tellettuale. 

Ma  in  mezzo  a  quest'  anarchia  sussistono  pur  intieri  i 
bisogni  essenziali  della  natura  umana ,  i  quali  risorgono 
negli  individui  come  nelle  società,  e  risorgono  tanto  più 
forti _,  tanto  più  esigenti,  quanto  meno  essi  trovano  mate- 
ria da  soddisfarsi  nelle  immense  rovine  che  restano  dopo 
la  distruzione.  Viene  allora  la  volta  d'  un'  altra  filosofia  , 
che  potrebbesi  dire  assoluta,  la  quale  studiando  questi  bi- 
sogni dell'  uomo  ,  e  in  mezzo  alle  rovine  in  cui  sorge  , 
rintracciando  ciò  che  nella  natura  umana  hawi  d'  eterno, 
d'immutabile,  e  che  nessun'opera  di  distruzione ,  per  quanto 
forte  ella  sia  e  generale,  non  può  mai  abbattere  ne  schian- 
tare: perocché  egli  emana  da  quella  Parola  che  è  più  forte 
d'  ogni  potenza  ;  alla  luce  stupenda  di  questo  elemento  di- 
vino riconduce  gli  animi  disviati ,  e  su  questo  come  su 
pietra  angolare  edifica  un  sistema  di  verità ,  che  riconcilia 
gli  animi,  li  rinvigorisce  a  nuova  fede,  e  li  dispone  ad  un 
nuovo  ordine  di  cose  ,  tanto  più  eccellente  del  passato, 
scevro  com'  egli  è  de'  suoi  errori  e  diletti  rimasti  sepolti 
sotto  le  sue  rovine. 

Né  la  vanità  dei  tentativi ,  che  in  quest'  epoche  di  tran- 
sizione si  fanno  dai  più  distinti  ingegni  per  ricostruire  un 
sistema  che  ai  pressanti  bisogni  dell'  umanità  sia ,  come  a 
dire,  proporzionato  ,  deve  punto  far  maraviglia,  ripensando 
alle  cagioni  della  medesima ,  cagioni  che  a'  tempi  nostri 
ci  sembra  di  poter  ravvisare  ;  o  nel  difetto  di  unità  e  di  to- 
talità che  è  comune  alla  maggior  parte  de'  sistemi  escogi- 
tati ,  i  quali  non  che  rispondere  a  tutte  le  esigenze  della 


natura  umana ,  non  rispondono  forse  nemmeno  alle  prin-^' 
cipali  di  esse  ;  o  nell'impotenza  più  sopra  toccata  delle 
dottrine  che  hanno  distrutto  ,  a  ricostrurre  un  nuovo  si- 
stema soddisfacente  ;  od  all'  impossibilità  di  elevarsi  ai  due 
mentovati  caratteri  dell' wmtò ,  e  della  totalità  che  travaglia 
ogni  manièra  di  eclectismo ,  o  sia  egli  di  giusta-posizione  j 
vero  mosaico  di  filosofie  spezzate  ,  o  sia  di  organizzazione 
o  fusione  in  uno  di  tutti  i  veri  elementi,  che  alcuni  pre- 
siunono  di  saper  raccogliere  fra  le  macerie  dell'  ordine  di- 
strutto,  e  comporne  un  sistema,  che  sia  così  vero  nel  suo 
insieme,  come  si  pretende  che  siano  vere  le  singole  parti 
raccolte  ;  o  finalmente  all'  arbitrario  carattere  delle  dottrine 
àe^  trascendenti,  i  quali  dissociandosi  per  la  via  d'un  im- 
menso deserto  dall'  umana  convivenza,  costruiscono  per  via 
di  pure  astrazioni  un  sistema,  maraviglioso  certamente  nella 
sua  struttura ,  ma  puramente  ideale ,  e  per  quanti  sforzi 
si  faccia  ,  impotente  a  nulla  stabilire  di  reale  ;  un  sistema 
del  resto  in  cui  convien  prima  credere  che  vedere  ^  che 
è  precisamente  il  contrario  di  ciò  che  vuole  questa  nostra 
umana  natura. 

E  perchè  altri  da  questa  vanità  di  tentativi  potrebbe 
forse  oonchiudere  contro  l'assunto  principale  <ìhe  abbiamo 
preso  a  discorrere  ;  noi  vogliamo  a  questo  luogo  avvertire, 
che  se  dall'  un  canto  i  varj  sistemi  proposti  non  raggiun- 
gono il  fine  a  cui  sono  diretti  ,  non  sono  però  dall'  altro 
canto  così  vani,  così  senza  rapporto  col  bisogni  dell'attuale 
società ,  che  non  esercitino  sopra  di  essa  un'  influenza  più 
o  meno  estesa.  E  quei  medesimi  sistemi  che  sono  in  ap- 
parenza più  lontani  dalla  realtà  delle  cose  umane  ,  sono 
però  efficacissimi  o  motori  o  conservatori  delle  società  in 
cui  si  diffondono.  Prendiamone  ad  esempio  la  filosofia  di 
Fichte  o  quella  di  Schelling  e  di  Hegel. 

Chiunque  ricorda  il  carattere  di  Napoleone,  quel  suo 
pensiero  immutabile,   quell'assoluta  sua  volontà,   che  non 


222 
tollerava  che  uu  altro  pensiero  ,  un'  altra  volontà  dalla  sua 
gli  si  opponesse  ;  e  il  carattere  per  conseguenza  del  re- 
gime imperiale  di  Francia,  che  faceva  la  guerra  a  tutte 
le  nazionalità  ,  e  coli'  imporre  all'Europa  le  sue  leggi  vo- 
leva cancellare  i  vari  caratteri  costitutivi  delle  medesime  ; 
non  può  a  meno  di  vedere  quanta  parte  la  filosofìa  di 
Fichte  ,  l' io  assoluto  di  quest'  ardito  filosofo  ,  elevato  a 
quel  grado  di  potenza  che  tutti  sanno ,  dovesse  avere  in 
quel  sentimento  prepotente  di  nazionale  indipendenza,  che 
spiegò  la  Germania  nella  reazione  terribile  che  fece  nel 
i8i3  contro  l'impero;  reazione  a  cui  non  poteva  certa- 
mente essere  estraneo  l'insegnamento  di  un  uomo,  il  quale 
in  una  lezione  sul  dovere ,  discorrendo  a  parlare  dello  stato 
delle  cose  pubbliche  ,  e  delle  piaghe  tuttora  sanguinanti 
dell'AUemagna ,  dimostrata  la  necessità  che  stringeva  ognuno 
di  prendere  le  armi,  terminava  con  queste  nobili  parole: 
«  Il  corso  sarà  dunque  sospeso  fino  alla  fine  della  guerra  j 
noi  lo  ripiglieremo  nella  nostra  patria  fatta  libera ,  o  sa- 
rem morti  per  riconquistare  la  sua  libertà.  »  E  scendeva 
dalla  cattedra ,  e  si  metteva  nelle  file  d'  un  battaglione  de- 
stinato ad  ingrossare  l'  esercito  *i.  Certo  con  assai  più  di 
ragione  avrebbe  Napoleone  potuto  dire  di  Fichte,  ciò  che 
della  Staèl  diceva  per  giustificare  l'  odio  suo  verso  di  lei , 
e  l' esigilo  a  cui  la  dannava:  Elle  travaillait  les  esprits 
d'une  facon  qui  ne  me  convenait  pas. 

Intorno  ad  Hegel,  riflette  opportunamente  il  sig.  Bai-one 
di  Penhoèn,  il  re  di  Prussia  avrebbe  potuto  dire  il  con- 
trario. Diffatti ,  soggiunge  lo  stesso  A. ,  l' insegnamento  di 
Fichte  aveva  infuso  in  tutti  i  cuori  un  fanatismo  per  la 
libertà,  un'insofferenza  di  ogni  giogo,  che  furono  favore- 
voli all'  autorità  nella  sua  lotta  con  lo  straniero.  Termi- 
nata la  lotta ,  questo  medesimo  ardore   di  tutti    gli  animi 

*i   Barchovi  de  Penhòen,  Hist.  de  la  phil.  allem.  Conclusion. 


225 

non  sarebbe  forse  stato  senza  qualche  pericolo  ;  ma  ap- 
parve allora  la  filosofia  di  Hegel,  la  cui  influenza  doveva 
opei"are  in  senso  inverso.  E  talmente  inverso  doveva  es- 
sere ,  che  un  celebre  scrittore  d'AUemagna ,  il  sig.  Heine 
ebbe  a  dire ,  che  «  se  la  filosofia  di  Schelling  e  di  Hegel 
)>  fosse  stata  più  diffusa  in  Francia,  la  rivoluzione  di  lu- 
»  glio  non  avrebbe  avuto  luogo.  »  La  verità  della  quale 
sentenza  non  sarebb'  ella  per  avventura  abbastanza  confer- 
mata dal  modo ,  con  cui  si  considera  quell'avvenimento  da 
coloro,  che  certamente  non  sono  estranei  alle  dottrine  He- 
geliane ,  e  pei  quali  «  trois  jours  n'ont  pas  changé  la  na- 
»   ture  des  choses  et  l'état  de  la  société  fi'ancaise  *i  ?   » 

Né  noi  con  questo  intendiamo  già  di  pronunziare  alcun 
giudizio  sulla  natiu-a  dei  grandi  fatti  sociali  a  cui  accen- 
niamo ,  né  sul  merito  intrinseco  delle  dottrine  che  a  quei 
fatti  hanno  rapporto.  Solo  vogliamo  ai  nostri  lettori  mo- 
strare ,  come  la  filosofia  teoretica  sia  mal  giudicata  da  co- 
loro ,  che  la  tengono  per  così  aliena  dalla  vita  sociale , 
che  lo  studio  di  quella  per  poco  non  reputano  doversi  dalla 
società  degli  operosi  uomini  sbandire,  come  Platone  voleva 
dalla  sua  repubblica  discacciati  i  poeti  :  solo  vogliamo  m^o- 
strare  con  quanta  ragione  nell'attuale  condizione  della  so- 
cietà in  cui  viviamo  si  debba  con  Rosmini,  anzi  con  tutto 
il  secolo  nostro,  proclamare  la  necessità  che  tutti  i  buoni, 
i  quali  sinceramente  amano  l'umanità,  l<  diano  mano  pronta 
e  concorde  a  ricostruire  la  scienza  stessa,  per  ricostruire 
quindi  la  morale ,  per  ricostruire  finalmente  la  società  scom- 
posta e  scommessa.  » 

E  Rosmini  non  è  già  uno  di  quei  tanti ,  che  stannosi 
contenti  pur  al  gridare  quello  che  s'abbia  da  fare  ;  egli 
solo  ha  già  fatto  e  fa  tanto ,  quanto  non  potrebbero  in- 
sieme le  forze  unite  di  molli.  E  con  qunl  potenza  di  mente 

*ì    Cousin,  Frag.  pliil,,  prof,  à  la  ■?..  ud.,  p.  LVIII. 


224 

e  di  volontà  siasi  egli  adoperato  nel  ricostruire  la  scienza, 
abbastanza  lo  mostra  quel  suo  stupendo  Saggio  sull'origine 
delle  idee  che  diede  a  noi  occasione  di  entrare  in  questo 
discorso.  E  siccome  sui  principi!  in  quest'  opera  stabiliti 
ha  egli  pur  già  dato  mano  vigorosamente  a  ricostruire  la 
morale  i  così  sui  medesimi  principii  punto  non  esitiamo  a 
credere  che  egli  sia  per  dar  opera  efficace  alla  ricostru- 
zione della  società  nell'  opera  sua ,  che  intorno  al  diritto 
vedrà  qviando  che  sia  la  luce.  Perchè  tra  gli  altiù  meriti 
di  quest'  insigne  scrittore  ,  questo  certamente  nessuno  potrà 
contestargli ,  d'un'  esattezza  e  precisione  logica ,  d'una  coe- 
renza ne'  suoi  ragionamenti ,  d'una  franchezza  nelle  appli- 
cazioni de'  suoi  principii  e  nell'espressione  del  suo  pensiero, 
di  tutto  il  suo  pensiero,  che  è  piuttosto  unica  che  rara. 
Ed  è  appunto  per  questo  suo  merito  altrettanto  vero , 
quanto  è  pregevole  ,  e  per  la  fecondità  accennata  della  sua 
dottrina  del  Nuovo  Saggio  (  di  cui  non  è  a  dire  se  1'  Au- 
tore sappia  trarre  partito  ) ,  che  noi ,  quand'anco  fossimo  a 
questa  sua  dottrina  poco  inclinati ,  anzi  tanto  più  quanto 
più  avversi  a  quella  ,  vorr-emmo  la  cognizione  della  me- 
desima raccomandare.  Perchè  senza  di  ciò,  come  potreb- 
bero equamente  giudicarsi ,  e  venir  adottate  o  combattute 
le  applicazioni  della  medesima?  Quando  non  si  conoscono 
i  principii,  si  butta  il  fiato  a  disputare  delle  conseguenze. 
E  questo  nostro  invito  allo  studio  della  filosofia  teoi-e- 
lica,  e  di  quella  in  specie  del  Nuovo  Saggio,  noi  vorremmo 
principahuente  fatto  a  quella  classe  di  studiosi  che  si  oc- 
cupano ex  professo  della  religione.  La  necessità  di  ricon- 
durre gli  animi  a  questa  confortatrice  unica  della  vita  è 
così  patente ,  così  universalmente  sentita  da  rendere  su- 
perfluo ogni  discorso  in  proposito.  Certo  noi  non  crediamo  3| 
che  il  Cristianesimo  si  trovi  in  così  grande  pericolo,  co- 
me altri  va  predicando  ;  e  di  questa  nostra  credenza  il 
motivo   è  appunto  la  tendenza  del  nostro  secolo  verso  gU 


225 

studi  della  filosofia ,  e  la  tendenza  decisamente  religiosa 
dell'odierna  fiilosofia.  Ne  altrimenti  esser  potrebbe ,  quando , 
siccome  profondamente  osserva  lo  stesso  Hegel,  u  gli  og- 
getti della  filosofìa  sono  pure  quelli  stessi  della  religione  , 
amendue  hanno  per  oggetto  la  verità  o  Dio  che  solo  è 
la  verità]  amendue  trattano  della  natura  degli  spiriti  umani, 
dei  loro  rapporti  vicendevoli,  e  dei  loro  rapporti  con 
Dio,  che  è  la  verità  *i.  Di  che  segue  essere  veramente 
la  filosofia  la  propedeutica  alla  vera  religione  ,  e  pei  no- 
stri tempi  la  sola  che  valga  a  preparare  e  ricondurre  gli 
animi  ad  essa.  «  Gouciossiachè  l'  uomo  sari\  più  preparato 
»  all'  adorazione  e  alla  fede ,  più  eh'  egli  si  sarà  allonta- 
))  nato  dall'  errore  ed  occupato  a  conoscere  e  ad  amare 
»  anche  quell'abbozzo,  per  così  dire,  di  naturai  Gristiane- 
))  simo  che  è  nell'  uomo  la  naturale  verità ,  un  ci^epu- 
))   scolo,  sai^ei  per  chiamarlo,  del  Verbo  Divino  *2.   » 

E  questo  abbozzo  di  natm^al  Cristianesimo ,  cpiesto  cre- 
puscolo del  Verbo  Divino ,  è  appunto  quel  lume  della  ra- 
gione,  che  Rosmini  nel  suo  Nuovo  Saggio  prende  ad  esa- 
minare e  a  definire  che  cosa  egli  sia  ,  che  cosa  sia  quell' 
idea  o  forma  che  dà  all'uomo  l'attitudine  di  conoscere,  e 
-per  dirlo  con  Dante , 

Che  lume  fia  tra  '1  vero  e  l'intelletlo.  (  Purg.  6.J 

A  coloro  che  amano  sinceramente  la  religione  ,  non  può 
non  essere  cara  una  filosofia  nella  quale  s' insegna  ,  come 
l'uomo  non  possa  conoscere  senza  accostarsi  alla  Divinità, 
senza  usare  un  lume  a  cui  non  può  egli  veramente  riflet- 
tere senza  così  a  un  tratto  dare  un'occhiata,  per  così  dire. 


*i  Reviie  Gennanique  ,  mars  i836,  p.  7,52. 
■*2  Rosiauù,  Nuovo  Saggio,  piefaz.  pag.  XXV. 

li 


226 

all'immenso  tesoro  dell'eterna  sapienza  di  Dio.  E  per  me- 
glio convincere  gli  studiosi  di  cose  sacre  di  quanto  abbia 
giovato  alla  religione  il  Rosmini  con  quel  suo  profondo 
Studio  su  ciò  che  costituisce  ragionevole  \  uomo ,  e  come 
strettamente  insieme  s'attengano  la  religione  e  la  ragione 
umana,  intesa  come  l'intende  Rosmini,  ci  piace  di  qui  ri- 
ferire im  brano ,  che  ci  venne  incontrato  in  un  giornale 
fi^-ancese ,  dove  a  noi  parve  di  vedere  qualche  cosa  di  più, 
che  un  semplice  vestigio  della  dottrina  Rosminiana. 

«  Supprimer  la  religion  c'est  supprimèr  la  raison.  La 
»  religion  c'est  le  commerce  intérieur  que  nous  avons  avec 
»  Dieu  par  notre  raison.  Or  qu'est-ce  que  la  raison?  Sans 
»  doute,  ce  qui  connait.  Mais  dans  tonte  connaissance  il 
))  y  a  quelque  chose  d'immviable  et  d'eternel.  ((  Nulle 
«  conception,  par  exemple ,  sans  l'idee  de  Tètre,  »  idée 
»  nécessairement  immuable  et  éternelle.  Cependant  la  raison 
»  humaine  qui  a  commencé  et  qui  change,  puisqu'elle  ap- 
))  prend  et  oublie ,  est  incapable  de  renfermer  complète- 
»  ment  par  elle  méme  une  telle  idée,  et  ne  peut  la  trouver 
»  tout-à-fait  que  dans  la  raison  divine,  à  la  quelle  par 
))  consèquent  elle  a  besoin  d'étre  intimement  unie  pour 
»  pouvoir  connaìtre.  Mais  la  religion  consistant  précisément 
)>  dans  cette  union ,  il  s'ensuit ,  qu'elle  est  la  coudition  de 
»  la  vie  de  la  raison ,  et  que  ruiner  Fune  c'est  luiner 
))  l'autre.  » 

E  qui  poniam  fine  a  queste  nostre  considerazioni  ,  non 
però  senza  esserci  prima  congratulati  coll'Italla  d'aver  ge- 
nerato e  possedere  un  uomo  della  tempra  del  Rosmini,  e 
senza  aver  prima  manifestato  anche  il  sentimento  di  nobile 
fierezza,  che  proA^amo  d'essere  noi  pure  nati  in  Italia,  e 
d'esservi  nati  in  un  tempo  in  cui  possiamo  essere  testimo- 
nii ,  e  per  quanto  valgano  le  nostre  deboli  forze ,  a  parte 
anche  del  forte  movimento  e  della  nuova  vita ,  che  per 
opera  del  Rosmini  fu  e  sarà  sempre  piìi  eccitata  nella  fi- 


227 

losofia d'Italia;  clell'Ilalia,  cui  gli  stranieri  con  tanta  ingiu- 
stizia danno  la  taccia  d' inetta  agli  studi  filosofici  ;  dell' 
Italia  che  non  potrà  oggi  mai  essere  più  esclusa  dal  no- 
vero delle  grandi  nazioni  filosofiche  d'Europa;  dell'Italia 
finalmente  che  all'Europa  presente  e  futura  mostrerà  con 
quanta  leggerezza  un  filosofo  d'altronde  profondissimo  la 
giudicasse  ,  quando  nelle  sue  eloquenti  improvvisazioni  di- 
ceva ,  a  che  r  Italia  è  in  generale  e  nella  filosofia  spe- 
cialmente ce  que  la  fait  la  France  *  i 

■*!   Cousin,  Cours  d'hist.  de  la  phil.   !3.  lec.,    17  jiùUet   1&28. 


Michele  T'   Aiti. 


228 

ESPOSIZIONE 

(D«(  «SiJtcHia  Ìfi(oóofico   «>cf  TfGuovo  Sa^^xo  tee. 
Fatta  da  N,  Tommaseo 

Art.  1. 

Importanza  della  questione. 

Tra  le  più  belle  e  meno  CTitabili  questioni  filosofiche 
è  questa  dell'origine  delle  idee,  sì  perchè  conduce  il  ra- 
gionamento ai  primi  cardini  della  scienza,  e  aiuta  a  scom- 
porre le  nozioni  troppo  complicate ,  a  sviluppar  le  confuse  ; 
sì  perchè  lo  studio  della  genesi  delle  cose  porta  necessa- 
riamente con  sé,  che  se  ne  mediti  e  la  natura  e  l'ordine; 
si  perchè  la  detta  questione  non  si  potrà  sciogUere  piena- 
mente senz'osservare  in  ogni  età,  in  ogni  stato  della  vita 
le  operazioni  dello  spirito  umano ,  e  quindi  l' osservazione 
collocare  per  base  di  tutta  la  scienza.  E  possiamo  affer- 
mare che  in  tutte  quante  sono  le  discussioni  filosofiche 
questa  dell'origine  delle  idee  più  o  meno  direttamente  en- 
tra anch'essa  a  far  nodo  e  ad  accrescere  le  difficoltà,  co- 
sicché se  questa  non  si  tenti  di  sciogliere,  le  altre  ancora 
rimangono  poco  meno  che  inestricabili  ed  oggetto  di  di- 
sputazione  continua.  Così  nelle  cose  politiche  abbiam  ve- 
duto che,  per  definire  alla  meglio  la  lite  dei  diritti  e  dei 
doveri,  un  invincibile  istinto  sospinse  molti  scrittori  dello 
scorso  secolo  a  risalire  alla  prima  origine  de'  governi  e 
delle  società  :  né  la  questione  prossima  e  urgente  si  ri- 
schiarò ,  se  non  quando  si  vide  un  po'  chiai^o  in  quell'  al- 
tra apparentemente  lontanissima ,  quando  cioè  la  teoria 
del  contratto  sociale  incominciò  a  parer  favolosa.  Simil- 
mente ognuno  s'accorge  che  la  perpetua  disputa  tra  spiri- 


229 

tualisti  e  sensisti,  dalla  risoluzione  del  quesito  sull'origine 
delle  idee  verrebbe  a  ricevere  una  diffinizione  soddisfacente, 
quando  fosse  dimostrata  l'impossibilità  che  certe  idee  ven- 
gano propriamente  da'  sensi ,  e  fosse  fatta  distinzione  pre- 
cisa tra  occasione  ed  origine.  Indagando  altresì  ciò  che  vi 
abbia  nella  ragione  umana  di  preesistente  all'uso  della  stessa- 
ragione,  si  viene  a  dedurne  i  limiti  dell'umana  intelligenza 
e  la  dipendenza  di  lei  dagli  enti  fuori  di  sé  ,  siano  supe- 
riori o  inferiori  alla  sua  natura;  e  per  conseguenza  i  do- 
veri che  la  stringono  a  se  stessa  e  ad  altrui.  Conosciuti 
da  ultimo  i  processi  della  mente  nell'  acquisto  delle  idee 
e  nella  loro  concatenazione  ed  ordinamento ,  si  viene  ad 
agevolare  e  a  perfezionare  quasi  di  lancio  la  scienza  dif- 
ficilissima dell'educazione ,  la  quale  dovrebb'essere  un  aiuto 
alla  natura  perchè  si  s\nluppi ,  ed  è  sovente  un  inciampo 
alle  operazioni  di  lei ,  appunto  perchè  se  ne  ignorano  i 
procedimienti  e  le  norme. 

Del  nuovo  saggio  che  tratta  un  si  grande  argomento,  io 
darò  come  posso  un'  idea  ,  attento  sempre  a  recar  fedelmente 
le  dottrine  dell'  A. ,  e  spesso  con  le  sue  stesse  parole  ;  a 
commentarle  talvolta,  ma  sempre  in  modo  che  i  suoi  prin- 
cipii  riescano ,  per  più  chiarezza  e  sicmtà  del  lettore ,  net- 
tamente distinti  da'  miei  commenti.  E  in  questo  breve  la- 
voro ,  consacrato  non  all'  amicizia  che  mi  lega  dolcissima 
al  virtuoso  Autore,  ma  alla  divina  causa  del  vero  ,  io  mi 
asterrò  da  ogni  lode ,  persuaso  che  la  lode  più  desidera- 
bile debba  dall'  esposizione  di  tali  idee  risultare  spontanea. 

Assunto  delV  Opera. 

Qui  mi  si  presenta  un'osservazione  sul  titolo  stesso  del 
libro  ;  e  credo  non  inutile  esporla.  Chi  si  proponesse  di 
trattare  propriamente  dell'  origine  delle  idee ,  assumerebbe 
forse  un  troppo  gwivoso  incarico  ,  almen  per  ora ,  e  cer- 


250 

tamente    troppo  più  grave  che  l'Autore  del  Nuovo  Saggio 
non  abbia   inteso   di  assumersi.  Egli  non  altro  si  propone 
(  e  lo  vedrem   poi  )  se  non  di  rispondere  alla  domanda  : 
«  quali   elementi   son  necessarii  perchè  1'  anima  giunga  a 
formarsi  le  idee  che  possiede?  »  Per  rispondere  a  questa 
domanda  era  necessario  entrare   in  molte  importanti  par- 
ticolarità sul    principio   generatore   di  tutte  le  idee,  sulla 
formazione  e    sulla   natura  di  certe  idee  madri  ;  ma  non 
indagare  di  tutte  l' origine ,  né    tesserne  la  storia  cronolo- 
gica ,  e  descrivere  le  leggi  secondo  le  quali  avviene  la  ge- 
nesi   loro.    In    mi    primo  saggio ,  cotesto  sarebbe  riuscito 
assolutamente  impossibile  ,  giacche  mancano  ancora  le  os- 
servazioni   e    le    esperienze  necessarie;  osservazioni  ed  e- 
sperienze    che   un    uomo    solo  non  può  certamente  racco- 
gliere ,  ordinare  ,  ridurre  in  sistema.   Il  titolo  dunque  del 
Nuovo  Saggio    è  un   po'  piiì  ampio  che  1'  A.  non   avrebbe 
desiderato  ,  ma  egli  credette  ,  io  penso  ,  conveniente  atte- 
nersi ,  anco  nella  posizione  della  questione ,  all'uso  comune 
de'  filosofi ,  contento  di  poi  limitarla  nel  corso  dell'  opera. 

Stato  della  questione. 

Non  basta ,  dice  l'  Autore  ,  che  le  difficoltà  sien  poste 
in  qualunque  modo  dinanzi  all'attenzione  dell'uomo  ,  per- 
chè siano  sciolte:  bisogna  che  sien  poste  bene  '"i.  E  non 
sono  poste  bene  se  non  sono  conosciute  intimamente,  ne 
sTono  intimamente  conosciute  se  non  ricevono  un  principio 
di  soluzione  almeno  *2.  Or  la  questione  sull'  origine  delle 
idee ,  fu  mal  posta  finora  :  quasi  da  lutti  toccata ,  ma  così 
per  isbieco  ;  nessuno  1'  affrontò  direttamente ,  né  questa 
dall'altre  questioni  distinse. 

L' A.  la   pane  così.  —  Noi  abbiam  delle  idee  :  come  si 
producon  esse?^  Come  si  trovano  in  noi?  *3  -^  La  diffi- 
di N.  Saggio  T,  I.  pag.  i.  a.    —    *2  P.  319.    —    *3  P.  21.; 


^31 

colta  del  rispondere  a  tale  domanda ,  ben  la  vede  chi  pensi 
alle  cose  seguenti. 

L'  uomo  ha  delle  idee  generali  :  come  le  acquista  ?  In 
due  modi  (  dice ,  o  potrebbe  dire  il  filosofo  )  per  via  dell' 
astrazione,  e  per  via  del  giudizio.  Ma  l'astrazione  che  cos'è? 
L'atto  di  distinguere  in  un  oggetto  dai  caratteri  propri  suoi 
quelli  ch'esso  ha  comuni  con  altri  oggetti ,  di  lasciare  da 
parte  i  propri ,  e  por  niente  a'  comuni.  Questi  caratteri 
comuni  sono  le  idee  generali.  Ma  il  generale  non  è  nel 
particolare  se  non  in  quanto  la  mente  ve  lo  riconosce;  e 
per  distinguere  l'uno  dall'altro  convien  già  sentire  a  qual- 
che modo  che  cosa  sia  generale.  L'astrazione  dunque  non 
crea  le  idee  generali ,  che  astraendo  cioè  dividendo  nulla 
si  crea  '"  i  ;  non  fa  che  osservarle,  adoprarle.  Io  vi  domando 
come  il  generale  abbia  origine ,  e  voi  mi  rispondete  :  nella 
separazione  del  generale  dal  particolare ,  dal  proprio.  Co- 
testo è  un  supporre  quello  ch'è  in  questione  *2. 

Donde ,  ripetiamo ,  donde  vengono  dunque  le  idee  gene- 
rali ?  —  Dal  giudizio  si  risponde.  —  E  per  giudizio  che  cosa 
intendono  gli  uomini  ?  —  L' atto  con  cui  la  mente  accoppia 
un  predicato  a  un  soggetto.  —  Ora  per  accoppiarli ,  con- 
viene averli  mentalmente  distinti ,  convien  possedere  del  pre- 
dicato un'  idea  generale.  Per  dire  che  una  mano  è  bianca 
convien  già  sapere  che  sia  bianchezza.  Il  giudizio  dunque 
non  forma  tutte  le  idee  generali,  ma  ne  suppone  taluna  *3. 

Ecco  la  difficoltà:  qui  bisogna  o  spiegare  donde  venga 
nell'uomo  quella  qualunque  idea  generale  che  deve  pree- 
sistere necessariamente  al  giudizio,  o  provare  che  il  giu- 
dizio può  farsi  senza  idee  generali.  Il  secondo  è  un  as- 
surdo :  tutta  la  questione  riducesi  al  primo  ;  e  tutti  i  filo- 
sofi rincontrarono  per  vie  diverse  e  in  modi  diversi  la 
difficoltà  che  indichiamo. 

*i  T.  11.  p.  75.    —    »2  P.  90    —    *3  T.  I.  p.  25. 


232 

Locke  trova  nella  lingua  e  nello  spirito  umano  l'idea  di 
sostanza  ;  vede  di  non  la  poter  derivare  ne  dalla  sensa- 
zione, ne  dalla  riflessione  ;  e  piuttosto  che  ammettere  qual- 
ch'altra  origine  di  lei ,  e  cosi  modilicare  il  proprio  sistema, 
che  fa  egli?  la  nega.  Dice  che  c'è  questa  idea,  ma  che 
non  è  punto  un'idea.  Lo  spediente  è  assai  comodo  ,  e  sa- 
rebbe anche  sufficientemente  filosofico ,  se  non  lasciasse 
intatta  la  difficoltà  che  si  tratta  di  sciogliere.  L'idea  di  so- 
stanza inchiude  in  sé  l' idea  di  esistenza  ,  cioè  d'accidenti 
che  non  possono  stare  da  sé  ,  e  d' un  ente  che  in  sé  li 
raccolga  ,  e  nel  quale  essi  sieno.  Io  non  posso  percepire 
alcun  ente  senza  dire  a  me  medesimo  ch'esso  esiste,  senza 
attribuirgli  l'universale  proprietà  d'esistenza  ;  e  non  posso 
sentir  oh'  esso  esiste ,  senz'  avere  appunto  1'  idea  d'  esi- 
stenza *i.  Non  solamente  dunque  le  idee  generali  suppon- 
gono di  necessità  quest'idea,  ma  le  idee  stesse  degli  enti  in- 
dividuali la  suppongono:  appena  io  sento  l'esistenza  d'un 
d'essi ,  io  gli  ho  già  applicato  l' idea  generale  dell'  essere. 

Se  dunque  l'idea  di  sostanza  inchiude  in  sé  la  essenzia- 
lissima  idea  d'esistenza ,  non  può  non  essere  anch'essa  ve- 
ramente un'idea.  '  ' 

Il  Condillac  rincontra  la  medesima  questione  ,  laddove 
afferma  che  le  idee  non  si  possono  avere  senza  un  giudi- 
zio ;  ed  infatti  non  hawi  idea  Ahma  cosa  sinché  Io  spirito 
non  pronunzi  internamente  :  la  tal  cosa  è  *2.  Dall'  altra 
parte  per  formare  un  giudizio  si  vogliono  delle  idee  *3. 
Ora  se  le  idee  non  sono  possibili  senza  un  giudizio  ,  né 
un  giudizio  é  possibile  senza  idee  ,  (piesto  circolo  vizioso 
come  si  rompe  ? 

Il  Reid  vedendo  la  difficoltà,  tentò  di  trovare  un  giu- 
dizio anteriore  alle  idee  *4 ,  un  giudizio  primitivo,  instin- 
tivo ,    quasi  meccanico  ,    col    quale  lo  spirito  afferma  esi- 

»i  P.  4i.    —    *2  P.  52.    —    *3  P.  89.    —    *4  P.  i3r. 


253 

slenti  gli  oggetti  esterni.  Ma  questo  giudìzio  ,  per  primi- 
tivo che  sia  ,  è  un'affermazione  dell'esistenza  dell'oggetto, 
quindi  suppone  formata  l' idea  d'  esistenza.  Come  poss'  io 
giudicare  eh'  esista  cosa  di  cui  non  ho  alcuna  idea  *£  ?  A 
questa  terribile  interrogazione  non  risponde  ne  il  sistema 
di  Reid,  ne  quello  d'altri  filosofi  insigni.  Reid  ammette  un 
giudizio  misterioso  ,  anzi  assurdo ,  un  giudizio  fatto  senza 
idee  generali  :  e  lo  ammette  senza  provarne  la  necessità , 
la  possibilità  *2. 

Insomma  Locke  dice  da  un  lato  :  «  le  idee  debbon  essere 
prima  de'  giudizi ,  perch'  è  assurdo  supporre  un  confronto 
tra  due  cose  prima  eh'  esistan  le  cose  da  confrontarsi.  » 
E  fin  qui  dice  il  vero.  Reid  dall'altro  soggiunge:  u  i  giu- 
dizi precedono  le  idee,  perch' è  impossibile  formarsi  l'idea 
d' una  cosa  prima  di  pensare ,  vale  a  dire  di  giudicar  eh' 
essa  esiste.  »  E  cotesto  pure  ha  la  sua  verità  ''"3.  Ma  le 
sono  due  verità  affatto  opposte  :  vedremo  più  sotto  come 
r  A.  n.  riesca  a  conciliarle  e  a  spiegarle  con  la  propria 
dottrina. 

Locke  e  Condillac  e  Reid  rincontrarono  la  difficoltà  che 
trattiamo  ,  l'uno  nel  cercare  che  sia  idea  di  sostanza,  l'al- 
tro nel  parlar  delle  idee  generali,  il  terzo  nel  notare  l'er- 
rore di  Locke  che  dalle  idee  acquisite  comincia  lo  sviluppo 
dello  spirito  umano. 

Stewart  la  incontra  laddove  s'  accinge  a  spiegare  come 
r  uomo  si  formi  le  idee  generali  imponendo  i  nomi  alle 
cose.  Egli  vuole  cioè  che  le  idee  generali  sien  meri  nomi, 
e  non  pensa  che  un'  idea  è  sempre  un'idea  ;  che  i  nomi 
esprimenti  idee  generali ,  non  significando  individui ,  se  non 
significassero  idee  generali,  non  avrebbero  senso  ,  non  si 
potrebbero  pronunziare  da  uomini  ragionevoli  ;  che  le  idee 
di   specie   e    di   genere  ,  necessarie  per  imporre  un  nome 

*i  P.  i53.    —    "i  P.  i63.    —    ♦S  P.  I70. 


254 

generale  ,  non  si  possono  avere  senza  l'idea  d'una  qualità 
comune ,  né  l' idea  d' una  qualità  comune  a  più  oggetti  si 
può  mai  formare  senza  un  giudizio.  Ora  un  giudizio,  ripe- 
tiamolo,  suppone  già  l'idea  d'una  qualità  comune  :  dunque 
com'  è  che  idee  generali  non  v'  abbia  senza  giudizio ,  né 
giudizio  senza  idee  generali  *i  ?  Per  uscire  di  un  tal  an- 
dirivieni ,  sarebb'  egli  forse  necessario  ammettere  qualche 
idea  generale  ,  a  noi  nota  naturalmente ,  e  che  preceda 
il  giudizio  *2  ? 

Y'ebbe  dei  filosofi  che  ammisero  appunto  questo  prin- 
cìpio ,  non  propriamente  per  ispiegare  l'origine  delle  idee , 
ma  per  altre  ragioni.  E  primo  di  tutti  Platone  ,  il  quale 
intravvede  la  questione  che  ci  occupa  laddove  domanda , 
come  l'uomo  possa  cercar  di  conoscere  quello  ch'egli  ignora 
se  esista  j  e  se  lo  ignora  affatto ,  come  può  faine  ricerca  ? 
Per  cercare  infatti  una  cosa,  bisogna  a  qualche  modo  co- 
noscerne una  parte ,  una  qualità ,  un  che  qualunque.  E 
questa  difficoltà  ,  che  non  è  tutt'una  con  quella  di  cui  ra- 
gioniamo ,  vi  si  accosta  nondimeno  moltissimo  *3.  Platone 
s'accorse  che  tutta  la  difficoltà  dello  spiegare  l'origine  delle 
idee  riducevasi  allo  spiegar  l'esistenza  in  noi  d'una  potenza 
capace  a  produrle  *4  :  ma  le  idee  innate  poi  ch'egli  am- 
mette non  sono  a  scioglierla  necessarie. 

Aristotele ,  per  contraddire  a  Platone ,  nega  ogn'  idea 
innata  ;  e  non  potendo  spiegare  come  si  formi  in  noi  la 
percezione  delle  verità  prime  ,  indimostrabili ,  quelle  a  cui 
la  mente  deve  invincibilmente  un  assenso  ,  ammette  una 
potenza  capace  d'immediatamente  percepirle  ,  una  potenza 
molto  simile  alla  riflessione  di  Locke  '"5.  Ma  qui  torna  la 
medesima  difficoltà  :  come  mai  formare  le  idee  generali 
astraendole  dai  particolari ,  se  esse  nei  particolari  non  sono  ? 
Se  anzi  per  percepire  i  particolari ,  convien  giudicarli  esi- 

*i  P.  235. —  *2P.  325.  —  *3T.II.p.6.  —  *4P-  i4.  —  *5P.4'2. 


235 

stenti;  e  se  questo  giudizio  suppone  già  beli'  e  formata  la 
geneialissima  idea  d'esistenza  *i  ? 

Così  quando  l'Hume  si  sbraccia  a  combattere  l'idea  di 
causa,  non  s'avvede  di  far  fatica  perduta.  O  s'abbia  o  no 
un'  idea  esatta  della  causalità  (  e  si  dica  il  medesimo  di 
tutte  le  idee  generali  )  ,  o  v'abbia  o  no  qualche  cosa  che 
le  corrisponda  nella  realità  ,  riman  sempre  a  spiegare  di 
quest'  idea  ,  qualunque  ella  siasi ,  1'  origine.  I  sensi  non  la 
danno  ;  1'  Hmne  lo  confessa ,  ed  è  appunto  perciò  che  vor- 
rebbe negarla.  Dunque  o  bisogna  modificare  il  principio 
Lockiano  che  tutte  le  idee  vengono  dai  sensi  y  o  affermare 
che  il  principio  di  causalità  non  solo  non  è  vero ,  ma  non 
è  neppur  tenuto  per  vero  da  nessun  uomo  ,  né  pur  pen- 
sato da  mente  umana ,  che  nessuno  mai  lo  immaginò , 
nessuno  ne  parlò  m.ai  al  mondo    *2. 

Kant ,  fra  i  molti  errori  del  suo  criticismo  dommatico, 
colse  una  verità  importante  ,  laddove  affermò  che  pensare 
è  giudicare  ;  e  che  intendimento  è  la  facoltà  di  giudicare , 
non  altro  *3.  Egli  poi  considerò  la  questione  che  ci  occupa 
sott'altra  forma  ;  e  per  iscioglierla  conchìuse  che  que'  giudizi 
suppongono  un  predicato  a  priori,  un'idea  preesistente  e 
al  giudizio  e  all'  esperienza  dei  sensi,  naturai  dote  della 
umana  ragione  *4-  Kant ,  per  isciogliere  il  nodo ,  pone  per 
vero  troppo  più  che  a  scioglierlo  non  bisogna.  E  il  modo 
di  porre  e  il  modo  di  sciogliere  la  questione  è  inesatto  ; 
ma  ìa  questione  è  sentita  ;  e  ciò  basta  per  noi  *5. 

Per  definirla,  altri,  dice  l'A.  n.,  concedono  troppo,  al- 
tri troppo  poco.  Platone ,  e  Aristotele  in  parte ,  e  Leibni- 
zio  e  Kant  son  de'  primi  ;  de'  secondi  Locke  ,  Condillac , 
Reid  e  Stew^art  *6.  Nessuno  poi  determina  il  punto  vero 
della  controversia  ,  liberandolo  dalle   questioni  accessorie  : 

"i  P.  72.    —    *2  P.  233.     —  *3  275     —     *4  P.  a85. 
*5  P.  3oQ,     —     *6  T.  I.  p.  3. 


236 

«  Convien  rammentare  che  noi  abbiamo  bisogno  di  un' 
«  idea  generale  fino  dal  primo  giudizio  che  noi  facciamo 
I»  colla  nostra  mente ,  perchè  senza  una  tale  idea  non  si 
»  dà  alcun  giudizio.  Il  nodo  dunque  della  questione  sta 
»  tutto  nel  primo  passo  che  fa  la  mente  nel  suo  primo 
»  e  più  semplice  giudizio,  I  filosofi  all'incontro  che  hanno 
»  essi  fatto  ?  Sui  pigimi  passi  della  ragione  sono  passati 
»  con  tutta  facilità  ,  non  supponendo  che  in  essi  dovesse 
»  cercarsi  il  nodo  ;  e  sono  corsi  agli  ultimi  passi  e  ragio- 
»  namenti  che  fa  la  mente  quando  stabilisce  de'  principi! 
»  scientifici.  Essi  si  sono  sbracciati  a  spiegare  la  foi'ma- 
))  zione  di  questi  principii  scientifici  ;  e  ci  sono ,  a  dir 
»  vero ,  riusciti  ;  giacché  tutto  ciò  ch'era  difficile ,  cioè  il 
»  primo  passo  del  ragionamento ,  1'  hanno  supposto  e  non 
»  ispiegato  *i.  » 

Osservazioni. 

E  dall' averlo  supposto ,  non  ispiegato ,  provengono  i  tanti 
equivoci  e  dispareri.  Le  difficoltà  che  si  evitano  sono  le 
più  teri-ibili ,  diventano  (mi  si  perdoni  la  comparazione  ) 
diventano  nella  scienza  quello  che  nella  società  sono  i  de- 
litti  impuniti.  Ma  l'incontrare  che  tutti  fecero ,  camminando 
per  diverse  strade ,  questa  medesima  difficoltà  sotto  forme 
varie  ;  e  le  verità  e  gli  errori  a  cui  furono  condotti  o  per 
volerne  r-ender  ragione  o  per  volerla  dissimulare ,  dimo- 
strano l'importanza  vitale  della  questione  ,  la  sua  varietà  , 
la  vastità ,  la  bellezza  ;  e  come  in  essa  si  racchiuda  un 
non  so  che  di  elementare  insieme  e  di  profondo  ,  che  co- 
manda la  meditazione  e  la  provoca. 

Le  idee  generali  ;  ecco  il  nodo.  Negarle  non  si  può  ; 
dar   loro  un'  origine    indipendente  dal  giudizio  è  del  pari 

*i  T.  IL  p.  no. 


237 

impossibile.  E  si  noti  che  1'  astrazione  medesima  suppone 
già  formata  una  serie  lunghissima  di  giudizi:  talché  la  di- 
stinzione fatta  dall' A.  più  sopra  ,  là  dove  pone  per  origine 
delle  idee  generali  o  l' astrazioìie  o  il  giudizio ,  non  ha 
per  fine  ,  cred'io  ,  che  di  accomodarsi  al  linguaggio  di  certi 
filosofi  per  meglio  convincerli. 

Abbiamo  dunque  veduto  che  il  problema  è  rimasto  fi- 
nora insolubile  ,  che  le  meditazioni  di  tanti  uomini  insigni 
ne  fanno  viemeglio  sentire  la  difficoltà  e  l'importanza.  Ora 
vediamo  come  l'A.  lo  sciolga  :  come  trovi  un'idea  generale 
la  quale  non  ha  punto  bisogno  d'un  giudizio  per  esistere 
e  per  formare  il  primo  giudizio  della  mente. 

DeWidea  generale  d'esistenza. 

Egli  è  un  fatto  che  l'uomo  può  pensare  e  pensa  all' 
esistenza ,  all'essere  in  universale,  pensa  cioè  alla  comune 
qualità  dì  tutte  le  cose,  l'essere  :  fatto  innegabile.  Quando 
io  dico  :  «  La  ragione  è  propria  dell'uomo  ,  il  sentire  è 
»  comune  colle  bestie,  il  vegetare  colle  piante,  ma  l'es- 
»  sere  è  comune  a  tutte  le  cose  »  io  considero  l'essere 
delle  cose  indipendentemente  dal  resto.  Se  l'uomo  non 
potesse  considerar  l'essere  in  universale,  questo  discorso 
sarebbe  impossibile.  —  Sopra  un  fatto  così  semplice 
fonda  FA.  tutta  la  teoria  delle  idee  *i. 

Pensare  all'essere  in  universale,  non  si  può  senza  aver 
l'idea  dell'essere  in  universale:  e  senza  questa  idea  l'uo- 
mo non  può  pensare  a  nulla  ,  perchè  da  tutte  le  qualità 
e  le  proprietà  d'un  oggetto  si  può  bene  astrarre,  ma 
non  da  quella  dell'essere  ch'è  la  più  generale  di  tutte  ; 
tolta  la  quale  non  resta  che  il  nulla.  Astraendo  tutte  le 

*«  T.  IH.  p.  6. 


238 

altre  qualità,  e  alla  sola  esistenza  pensando,  si  penserà 
un  essere  affatto  indeterminato ,  un'  incognita  ,  ma  sem- 
pre sì  penserà  un  qualche  cosa  ,  si  penserà  un  essere 
che  avrà  o  potrà  avere  le  qualità  necessarie  per  esistere, 
sebbene  incognite  a  voi  o  da  voi  tralasciate.  Questa  è 
un'  idea  generalissima  ,  indefinita ,  ma  pure  un'  idea.  Tolta 
questa,  è  tolto  il  pensare  *i. 

E  quando  diciamo  idea  y  non  intendiamo  §^/Mfi?iz/o.  Io 
posso  avere  l'idea  d'una  cosa  che  non  esiste,  e  però 
pensarla  senza  giudicar  ch'essa  esista,  come  d'un  cavallo 
imaginario  ,  di  qualunque  cosa  possibile.  Negli  enti  de- 
terminati che  ci  vengono  presentati  da'  sensi,  là  sì  che 
l'idea  è  inseparabile  dal  giudizio  :  ma  l' idea  dell'  essere 
in  universale  ognun  vede  che  non  è  l' idea  di  tale  o  tal 
ente  determinato,  è  una  mera  possibilità.  Quand' io  a- 
straggo  e  prescindo  dal  giudizio  della  sussistenza  di  un 
ente,  mi  resta  ancora  qualcosa;  mi  resta  il  pensiero  della 
possibilità  di  quell'ente.  Quand' io  dico  dunque."  idea 
dell'essere  universale  intendo  dell'ergere  possibile.  Tale 
idea  non  esige  nessuno  assenso  o  dissenso ,  perchè  non 
afferma  e  non  nega  ;  solo  è  istrumento  alla  facoltà  di 
affermare  e  negare  *2. 

Quest'idea,  siccom'è  la  più  generale,  è  altresì  la  piìi 
semplice ,  e  non  ha  bisogno  di  alcun'  altra  per  essere 
concepita.  Noi  non  ci  possiamo  dunque  formar  di  lei  al» 
cuna  imagine  sensibile ,  che  allora  la  non  sarebbe  più 
semplice  ,  sarebbe  determinata ,  e  individualizzata  :  ma 
se  noi  volessimo  negare  tutte  le  idee  generali  che  non 
portan  seco  forme  sensibili,  si  negherebbe  la  miglior 
parte  dell'  umano  sapere.  E  a  questo  non  possono  con- 
traddire gli  slessi  sensisti  ,  giacche  quand' anco  non  fos- 
sero enti  spirituali ,  non  lascerebbero  però  d'  esistere  le 

*I     P.     II.       -^       *2    P,    226. 


239 

idee  degli  enti  spirituali  :  tali  idee  si  possono  tacciare 
d'inesatte,  di  false;  non  mai  negarle. 

Pensando  l'ente  in  universale,  io  penso  la  cosa  in  sé, 
non  in  relazione  coll'esser  mio  ne  con  altri.  O  falsa  o 
vera  sia  tale  credenza,  ell'è  un  fatto  *i.  Ora  da  questo 
principio  deduco  che  l'idea  dell'essere  non  viene  da' sensi, 
perchè  tuttociò  che  le  sensazioni  ci  fanno  provare,  non 
è  che  la  relazione  delle  cose  con  noi ,  la  potenza  che 
esse  hanno  a  modificarci:  e  son  due  cose  manifestamente 
distinte  V esser  sentito  e  1'  esistere  in  sé.  Il  provar  sem- 
pre unita  l'idea  alla  sensazione,  ci  fa  confondere  l' una 
cosa  con  l'altra  :  ma  ,  ben  pensando ,  si  trova  che  nell' 
idea  è  considerata  la  cosa  in  un  senso  non  contrario j 
ma  contrapposto  a  quello  in  cui  la  sensazione  ce  l'ofifre. 

Che  l'idea  dell'essere  non  venga  da' sensi,  lo  si  prova 
innoltre  dall'esser  questa  l'idea  di  cosa  possibile,  mentre 
la  sensazione  non  ci  dà  che  cose  sussistenti  *2.  Il  pos- 
sibile è  interamente  indeterminato,  il  sussistente  è  in- 
dividuale, concreto.  Quand'io  penso  a  una  statua,  con- 
vien  ch'io  la  pensi  di  tale  o  tale  determinata  grandezza, 
forma,  colore;  quand'io  penso  l'essere,  fo  più  che  a- 
strarre  dalla  statua,  la  grandezza,  la  forma,  il  colore, 
tutte  le  sue  qualità.  Astraendo  da  un  oggetto  individuo 
le  sue  qualità  ,  ma  sempre  pensandolo  in  quanto  io  lo 
sento  ,  non  posso  mai  concepire  l'essere  in  generale. 

La  sensazione  mi  dà,  ripetiamolo,  oggetti  individui: 
l'idea  dell'essere  possibile  è  universale  ,  perchè  riguarda 
quel  ch'hanno  di  comune  gli  enti  tutti,  l'esistere.  Ella  ha 
innoltre  in  sé  il  carattere  della  necessità,,  essendo  neces- 
sario che  una  cosa  possa  essere  perchè  sia.  Ciò  che  non 
può  esistere,  certo  non  è:  e  perchè  si  possa  pensar  qual- 
che cosa  ,  è  necessario   il  pensiero  dell'  ente.    Ora  nella 

*i    P.    22.      _      *2    P.    33. 


240 

sensazione  nulla  è  necessario  ,  perchè  tutte  le  sensazioni 
sono  accidentali  modificazioni  dell'ente  che  pensa,  come 
non    necessarii  sono    pure  gli  oggetti  che  le  producono. 

Ricapitoliamo.  L'idea  universale  dell'essere,  sebbene 
semplicissima,  ha  in  se  due  elementi  ;  un  qualche  cosUj 
un  essere  indeterminato  affatto  j  e  la  possibilità  di 
quest^  essere  indeterminato ,  cioè  il  poter  esso  determi- 
narsi venendo  a  sussistere.  Due  elementi,  uniti  insieme 
in  modo  affatto  indisgiungibile ,  e  dimostranti  che  la 
detta  idea  non  può  venire  dal  senso. 

Ma  può  ella  venire  dal  sentimento  della  nostra  pro- 
pria esistenza?  Nemmeno  *j.  L' /o  è  un  sentimento; 
quindi  particolare  di  natura  sua  :  l'idea  dell' /o  è  un'idea 
particolare;  né  l'universahssima  delle  idee  può  venire  da 
quella.  Con  l'idea  dell' /o,  i' penso  d'esistere,  mi  classi- 
fico tra  gli  enti;  non  penso  l'essere  in  comune,  ma  ap- 
plico l'idea  dell'essere  in  comune  a  me  stesso. 

Si  badi  innoltre  che  il  sentimento  dell'/o  è  innato  sì, 
non  però  l'idea  dell' /o  ,  la  quale  è  acquisita  e,  di  ne- 
cessità, posteriore  all'idea  dell'ente  *2  :  distinzione  im- 
portantissima a  farsi.  11  sentimento  della  propria  esistenza 
non  è  la  cognizione  intellettiva  della  propria  esistenza, 
non  è  che  materia  di  delta  cognizione,  allorché  vi  si 
applica  l'idea  dell'essere.  Egli  è  tutto  1'  Io  che  sente  in- 
separabilmente se  medesimo:  egli  è  V  Io  come  intellet- 
to, eh'  ha  in  sé  l'idea  d'esistenza.  L'/o  sentito  è  soggetto, 
r  Io  giudicato  è  oggetto  a  se  stesso  *3.  Se  noi  non  co- 
noscessimo noi  stessi  che  per  sentimento,  non  potremmo 
ragionare  sull'anima  nostra ,  e  considerarla  come  un  ente, 
un  soggetto  del  nostro  pensiero.  E  perché  da  questo 
sentimento  nasca  un^  idea  ,  è  necessaria  un'  altra  idea  , 
quella  di  cui  disputiamo. 

*i  P.  48.    —    *2  P.  54.    —    *3  T.  11.  p.  5i. 


241 

Ma  quest'idea  dell'essere  poirebb'ella  forse  venir  pro- 
dotta dalla  riflessione  Lockiana  ,  cioè  dall'attenzione  fis- 
sata sulle  esterne  sensazioni,  o  sull'interno  sentimento  , 
senza  però  nulla  aggiungere  a  questo  o  a  quelle?  —  No: 
la  cosa  è  ben  chiara.  Se  l'idea  dell'essere  non  può  venir 
dalle  sensazioni,  se  non  può  dall'interno  sentimento; 
e  se  la  riflessione ,  quale  Locke  la  presenta  ,  nulla  ag- 
giunge né  ai  sensi  ne  all'  lOj  certo  è  che  quesl'  idea  non 
potrà  mai  dalla  riflessione  prodursi.  Innoltre,  una  rifles' 
sione  siffatta  è  impossibile;  giacche,  per  acquistare,  ri- 
flettendo, delle  cognizioni  convien  confrontare  le  sen- 
sazioni tra  loro  e  giudicarle;  ne  giudicarle  si  può  senza 
una  regola  del  giudizio,  senza  un'idea  generale  ch'è  ap- 
punto Tidea  dell'essere  *i. 

Altri  potrebbe  supporre  che  l'idea  dell'  ente  sorgesse 
improvvisa  nello  spìrito  all'atto  primo  della  percezione: 
e  così  pensa  Reid  a  un  dipresso.  Ma  perchè  alla  sen- 
sazione succeda  la  percezione  ,  che  si  richied'egli  ?  Un 
giudizio  che  affermi  esistente  l'oggetto  motore  della  sen- 
sazione :  e  questo  giudizio  che  cosa  suppone  ?  L'abbiani 
detto  più  volte:  l'idea  dell'  e.ssere.  La  quale  idea  deve 
necessariamente  precedere  la  percezione  che  non  si  può 
formare  senz^essa. 

Trasportiamoci  al  primo  primo  de'  giudizi  che  l'uomo 
può  fare  bambino.  Qualunque  sia  esso ,  comunque  si 
faccia,  non  può  consistere  che  nel  pensare  all'esistenza 
di  tale  o  tal  altro  oggetto.  E  che  cos'è  pensar  l'esistenza 
d'  un  oggetto  ?  non  già  ricevere  l'idea  d'  esistenza  ,  ma 
farne  uso,  applicarla  *2.  E  il  farne  uso  suppone  l'idea 
già  formata,  perchè  non  s'usa,  ne  s'applica  cosa  che  non 
esiste.  Fra  il  dire  a  se  stesso  :  questo  è  un  ente ,  e  il 
non  dirlo,  non  si  può  pensare  alcun  passo  intermedio  *3. 

*i  T.  III.  p.  62.    —     *i  V,  78.     —     *3  T.  I.  p.  5e. 

i5 


242 

Cotesto  supporre  la  subitanea  creazione  d'  un'  idea  sì 
importante  è  supporre  gratuitamente  uno  strano  prodi- 
gio *\.  O  si  pretende  che  Dio  la  crei  nella  mente  ,  co- 
me volevano  gli  Arabi  ^  e  l' ipotesi  d'  una  creazione  sì 
inutile  non  merita  d'  essere  confutata.  O  si  vuole  con 
Kant  ch'ell'esca  dalla  naturai  fecondità  dello  spirito  ;  e 
anch'  allora  (  lasciando  la  stranezza  del  sistema  )  rimare 
rebbe  sempre,  che  se  lo  spirito  produce  l'idea  dell'es- 
sere ,  n'aveva  in  sé  il  germe,  che  all'occasione  si  venne 
svolgendo. 

Più  :  se  r  idea  dell'  essere  è  cosa  diversa  affatto  dalla 
sensazione,  come  può  ella  sorgere  in  noi  all'  occasione 
di  questa  ?  Convien  ricadere  nel  sistema  dell'  armonia 
prestabilita  o  in  quel  delle  cause  occasionali,  sistemi 
che  ricorrendo  ad  un  agente  fuori  della  natura  umana 
ripugnano   alla   Kanziana  filosofia. 

Da  ultimo  la  mente  umana  non  può  produrre  da  sé 
l'idea  dell'essere,  perchè  la  mente  è  individuo,  1'  idea 
universale  ;  r  una  contingente  ,  l'altra  necessaria  ;  quella 
esistente,  l'altra  riguarda  il  possibile;  quella  soggetto, 
r  altra  oggetto  ,  vale  a  dire  che  la  mente  umana  vede 
r  idea  dell'  essere  ,  ma  non  la  produce.  L'  essenza  sua  è 
così  indipendente  dalla  mente  che  la  contempla,  come 
una  stella  del  firmamento  dall'  occhio  che  la  mira.  E 
analizzando  in  astratto  ^operazione  intellettuale  del  ge- 
neralizzare,  si  trova  ch'essa  non  è  mica  un'operazione 
la  qual  produca  qualche  cosa  j  ma  una  semplice  visione 
di  quello  ch'è  già.  L'intendere  non  è  che  un  vedere  in- 
teriore :  il  vedere  non  è  produrre  *2. 

Se  dunque  1'  idea  dell'  essere  è  necessaria  alla  forma- 
zione di  tutte  le  idee^  e  nulla  si  può  pensare  senz'essa  j 
se  non  si  trae  dalle  sensazioni ,  non  dall'  interno  senti- 
ci T.  III.  p.  82.    —     *3  T.  II.  p.  io5. 


245 

mento,  non  dalla  viflessione,  non  è  creala  da  Dio  a 
bella  posta ,  non  sorge  improvvisa  da  incognita  virtù 
della  mente  ,  ell'è  dunque  innata.  L'argomentazione  non 
ammette  risposta.  Quest'  idea  esìste:  egli  è  un  fatto.  O 
comincia  ad  esistere  insieme  con  noi,  vale  a  dire  eh'  è 
innata  ,  o  no.  Se  fu  prodotta  di  poi ,  non  può  venire  die 
da  noi  stessi  o  da  cosa  di  fuori  :  qui  non  e'  è  mezzo. 
Non  da  noij  dunque  da  cosa  di  fuori;  vale  a  dire,  o 
da  oggetto  sensibile,  l'azione  de' corpi;  oda  oggetto  che 
non  cade  sotto  i  sensi ,  1'  azione  di  Dio.  Anche  questo 
dilemma  non  ammette  uscita.  Se  dunque  s'esclude  l'a- 
zione e  de'  corpi  e  di  Dio  ,  che  rimane  ?  Che  la  dev'es- 
sere innata. 

Non  inorridiscano  i  filosofi  a  questo  epiteto.  Quando 
la  voce  idea  si  serbi  a  significare  una  percezione  gene- 
rale determinata  in  qualunque  maniera ,  sì  può  conce- 
der benissimo  che  nessuna  idea  innata  si  trovi  nella  mente 
dell'uomo,  perchè  questo  Ae^ essere  è  germe  affatto  in- 
determinato. Chiamiamolo  geriìie  j  lume  ,  facoltà  j  o 
come  r  A.  lo  chiama  più  spesso ,  forma  :  invece  di  in- 
nato chiamiamolo  concreato  j  connato  j  essenziale  ;  non 
giova  disputar  di  parole. 

Che  se  l'uomo  all'idea  dell'essere  non  fa,  se  non  tardi, 
avvertenza,  egli  è  che  le  cose  di  fuori  assorbono  in  sulle 
prime  tutta  l'attenzione  di  lui  ;  sì  che  ad  altre  ancor  più 
sensibili  operazioni  dello  spirito  egli  non  dà  punto  retta: 
or  si  pensi  a  questo  germe ,  che  per  essere  considerato, 
richiede  la  più  semplice  e  però  la  più  difficile  delle  a- 
strazioni.  Altro  è  veder  un'idea:  altro  è  accorgersi  di 
vederla  *i.  Ma  di  ciò  poi. 

*i  T.  UL  p.  90. 


244 

Ossev\>azionL 


Alcuni  filosofi  che  pensano  con  certe  parole ,  e  per- 
dute quelle,  par  che  smarriscano  la  facoltà  di  pensare, 
grideranno  contro  questa  teoria  ,  pur  perchè  v'  entrano 
quelle  sei  lettere  :  innato.  Io  non  risponderò ,  che  quando 
diciam  tutto  giorno  1'  amor  del  bene  essere  innato  all' 
uomo,  nessun  uomo  ragionevole  ne  ride  o  ne  freme j  e 
pure  dall'amor  del  bene  è  indivisibile  l'idea  indefinita 
dell'essere.  Dirò  solamente:  neghino  il  fatto,  se  possono, 
di  quest"  idea  eh'  esiste  nell'  uomo,  o  ne  spieghino  in 
altro  modo  V  origine.  Far  la  guerra  a  una  parola  è  im- 
presa, se  così  piace,  coraggiosa  e  filosofica  ;  ma  per  vin- 
cerla veramente  questa  parola,  bisogna  distruggere  i  fatti 
ch'essa  ha  la  temerità  d'indicare. 

S'osservi  del  resto  che  dovendo  pure  ammettere  qual- 
che cosa  d'innato,  questo  dell'idea  universale  dell'essere 
è  il  meno  che  ammetter  si  possa,  è  l'elemento  più  sem- 
plice che  dia  la  ragione  umana  :  ed  è  però  la  più  fi- 
losofica delle  dottrine.  Quel  che  ripugna  nel  sistema  delle 
idee  innate,  è  primieramente  la  moltiplicità  loro;  poi 
quel  supporle  belle  e  determinate  e  quasi  individuali  ; 
che  è  troppo  e  insieme  troppo  poco:  troppo  per  il  nu- 
mero; troppo  poco  per  la  natura  di  tali  idee,  le  quali  , 
così  determinate ,  non  hanno  quella  fecondità  che  alla 
sola  idea  universalissima  è  propria. 

Dell'esistenza  poi  di  tale  idea  se  ne  può  persuadere 
non  solo  il  filosofo  abituato  alle  difficoltà  della  medita- 
zione, ma  qualunque  siasi  uomo  diretto  senso,  quando 
pensi  ch'ell'entra  come  parte  essenziale  di  tutte  le  idee. 
Al  par  che  tutte  le  cose  essenziali ,  la  vi  è  nascosta , 
coperta  da  elementi  più  estrinseci,  ma  questo  appunto 
prova    la    su'  intima   necessità.    Così    vediamo    la  radice 


245 

nascosta  nella  lerra  ,  il  seme  nel  frutto  ,  la  vita  nel  corpo 
animale.  Ma  io  la  posso  separar  col  pensiero  quest'idea 
dalle  altre  tutte  ,  e  tutti  possono  separamela  purché  vo- 
gliano. Ella  non  potrebb'  essere  più  facile  a  cogliersi  e 
più  ovvia  ,  senz'  essere  men  generale ,  senza  perdere  la 
natura  sua.  Non  è  ovvia  ed  evidente  in  sulle  prime  e 
per  sé;  ma  é  la  ragione  e  il  criterio  d'ogni  evidenza, 
perchè  senz^  essa  nessuna  idea  di  nessun  ente  sarebbe 
percettibile. 

E  si  noti  la  concatenazione  di  questi  principii.  L'idea 
dell'  essere  non  esisterebbe  se  non  fosse  affatto  inde- 
terminata ,  perché  qualunque  determinazione  verrebbe 
a  particolareggiarla,  a  mutarla  in  un'altra  idea.  L'idea 
deir  essere  non  può  dunque  conservarsi  affatto  indeter- 
minata, senza  riguardare  il  possibile,  giacché  la  sussi- 
stenza reale  é  una  determinazione  dell'essere.  E  appunto 
perchè  riguarda  il  possibile ,  essa  idea  è  adeguata  alla 
vastità  della  mente  umana  ,  e  costituisce  la  natura  ra- 
gionevole ;  perché  non  havvi  oggetto  che  le  si  pre- 
senti ,  cui  essa  non  possa  in  qualche  parte  comprendere. 
Limitata  l' umana  ragione  agli  enti  sussistenti ,  non  sa- 
rebbe più  dessa.  La  generalità  delle  idee  suppone  l'idea 
del  possibile;  e  l'idea  del  possibile,  generalizzata,  è 
l'idea  generale  dell'essere.  Questo  è  il  sistema  più  consen- 
taneo a'  principii  dell'  indefinita  umana  perfettibilità  : 
giacché j  qualunque  soggetto  alla  mente  si  presenti,  coli' 
idea  dell'essere  questa  se  ne  impadronisce ,  e  lo  ricono- 
sce informato  di  quel  suggello.  EU'è  un'indeterminazione 
sublime  che  tiene  dell'infinito  ;  che  rende  l'uomo  capace 
dell'entusiasmo  e  del  desiderio  ,  due  fiumi  reali  che  scen- 
dono   dalle    altezze   interminate    del    possibile. 

Tuttociò  eh'  è  grande  ,  abbraccia  e  par  che  ravvicini 
gli  estremi  ;  però  pare  contraddittorio  ad  occhio  men 
veggente.  L'idea  dell'essere,  per  poter  determinare  tutte 


246 

le  altre  idee  j  deve  appunto  essere  affatto  indetcrminata: 
e  d'altra  parte  perchè  sia  l'idea  dell'essere  possibile,  deve 
inchiudere  in  se  stessa  un  principio  di  necessità,  i.° per- 
chè non  si  potrebbe  concepire  1'  essere  possibile  senza 
enti  sussistenti ,  2.°  perchè  un'  idea  così  irrecusabile  co- 
me questa  dell'  essere ,  con  la  energia  sua  stessa  incute 
il  sentimento  della  necessità ,  S."  perchè ,  come  dice  V 
A.,  ciò  che  può  essere  deve  poter  essere;  altrimenti  sa- 
rebbe impossibile:  e  d'altra  parte  ciò  che  dev'essere, 
deve  aver  lutti  affatto  i  gradi  di  possibilità.  Questa  con- 
traddizione apparente  tra  il  possibile  ed  il  necessario  è 
un'armonia  veramente  essenziale  all'idea,  e  rende  evi- 
dente il  passaggio  che  fa  la  mente  con  sì  mirabile  faci- 
lità dall'essere  possibile  a  Colui  che  è  ed  è  necessario,  a 
Dio. 

L'  Autore  ha  notati  nella  grandissima  semplicità  di 
quest'  idea  du'  elementi  :  un  essere  indeterminato  ,  e  la 
possibilità  di  quest'essere.  Ognun  vede  però  come  quelli 
siano  elementi  che  l'astrazione  stessa  non  può  separare. 
Io  potrei  bene  imaginare  la  possibilità  d'un  ente  deter- 
minato ,  non  mai  un  essere  indeterminato  che  sia  non 
possibile  ma  sussistente.  Nel  primo  caso  io  mi  formerei 
r  idea  particolare  di  un  cert'  ente  possibile ,  di  che  qui 
non  si  tratta  :  ma  nel  secondo ,  s^  io  voglio  pensare  ad 
un  oggetto  semplicemente  in  quanto  ha  l'essere  ,  convien 
ch'io  prescinda  da  ogni  determinazione,  e  quindi  dalla 
stessa  sua  real  sussistenza. 

Quand'io  penso  un  oggetto  in  quanto  ha  1'  essere ,  io 
debbo  pensarlo  non  in  quanto  esso  ha  relazione  con  me, 
ma  in  se  stesso ,  debbo  pensarlo  cioè  non  soggettiva- 
mente ma  oggettivamente  :  e  se  le  inevitabili  associazioni 
delle  idee  vengono  a  mescolarsi  in  questo  mio  pensiero, 
puro  e  semplice,  dell'essere  ,  ciò  non  fa  ch'io  non  possa 
in    un    momento    della   mia    riflessione    prescindere  da 


2^7 

quelle ,  e  considerar  1'  essere  in  se.  Questo  momento  è 
brevissimo  ,  ma  c'è:  e  si  può  farne  e  rinnovarne  1'  e- 
sperienza  a  piacere.  Così  si  trova  che  l' idea  più  ogget- 
tiva di  tutte ,  quella  che  più  nettamente  prescinde  da 
ciò  che  riguarda  all'  Io  senziente ,  al  soggetto  ,  è  l' idea 
dell'  essere  ;  senza  la  quale  anzi  non  vi  sarebbe  oggetti- 
vità, perchè  le  cose  non  si  potrebbero  considerare  in 
quanto  sono  ,  ma  in  quanto  noi  le  sentiamo,  in  quanto 
paiono  modificazioni  dello  spirito  nostro. 

E ,  considerata  appunto  l'oggettività  della  detta  idea , 
la  sua  universalità,  la  fecondità  inesauribile,  e  la  vita- 
lità che  diffonde  nel  mondo  vastissimo  delle  idee ,  alle 
quali  tutte  fa  corrispondere  1'  esistenza ,  e ,  per  dir  così, 
ve  la  infonde  ;  si  può  bene  affermare  che  quest'  idea  è 
più  sublime  dell'uomo  ;  ch'è  nata  con  esso,  perchè  è  la 
sua  dignità ,  l'anima  dell'anima  sua  ;  e  che  il  farla  sor- 
gere o  da'  sensi  o  da  altra  cagione  posteriore  all'esistenza 
di  lui,  se  non  fosse  un  assurdo ,  sarebbe  un  mistero  cento 
volte  più  inesplicabile  dell'ammetterla  a  lui  concreata. 

Tommaseo. 


Sarà  continuato. 


248 


ETUDES    LEGISLATITES    PAR    I.    N. 


(  Un  voi.  in-8.  Paris,  i83G). 


Avvengono  per  fortuna  non  di  rado  certi  novelli  inse- 
gnamenti che  ognor  più  persuadono  della  necessità  di  stare 
in  guardia  contro  quelle  teorie  che  sotto  l'apparenza  di 
novità  e  di  una  profonda  e  non  mai  tentata  investiga- 
zione ,  e  sotto  colore  di  più  lontani  e  più  generali  pensa- 
menti, si  predicano  per  miglioratrici  delle  attuali  istitu- 
zioni umane ,  e  della  presente  condizione  della  civiltà. 

Da  queste  belle  promesse  molti  soventi  si  lasciano  ab- 
bacinale ;  onde  poi  nascono  sogni  di  riforme ,  utopie  d'ogni 
sorta,  e  qualche  volta  persino  tentativi  perniciosi.  Questi 
tali  non  pensano  e  non  gridano  altro  che  progresso ,  pro- 
gresso. Ma  e'  non  s'  avveggono  che  il  suono  per  essi  ma- 
gico di  questa  parola  stordisce  molte  volte  il  loro  intelletto; 
imperocché  non  sanno  por  mente  che  la  verità  per  se 
stessa  non  progredisce ,  ne  indietreggia  mai ,  ma  che  in- 
vece Sta  sempre  salda    ed  immobile    nell'  adamantino  suo 


249 

seggio  ;  per  modo  che  chi  s'  avvia  ai  due  opposti  estremi 
per  rintracciarla  ,  si  scosta  egualmente  da  essa.  Le  vie  sol- 
tanto ed  i  metodi  per  raggiungerla  sono  diverse  ;  quali  più 
brevi  e  facili ,  quali  più  tortuose  e  difficili ,  alcune  più 
sicure  e  giuste ,  altre  più  fortunevoli  e  dubbiose.  Chi  si 
aggira  intorno  al  suo  disco  non  sempre  raggiante  senza 
mai  discoprirlo ,  chi  ne  scambia  una  qualche  striscia  di  luce 
per  l' intiero  suo  splendore ,  chi  ne  lambisce  i  contorni 
senza  internarsi ,  senza  vederne  tutta  intiera  la  sua  orbita. 
Nella  ricerca  adunque  e  nella  scelta ,  nel  trovare  e  nello 
sgombrare  le  vie  migliori  e  più  giuste  che  conducono  alla 
verità  ,  consiste  il  progresso  ;  non  già  nel  collocarla  in  una 
nuova  foggia  di  ragionamento ,  in  un  gruppo  singolare  d' 
idee  astratte. 

Queste  cose  che  forse  non  piaceranno  a  quegli  ingegni 
che  sono  per  impazienza  troppo  corrivi  a  vedere  il  me- 
glio in  tutto  ciò  che  si  presenta  coli'  aspetto  di  nuovo , 
ci  tornavano  alla  mente  nel  leggere  gli  Studj  Legislativi  del 
sig.  I.  N.,  e  nel  confrontare  le  dottrine  che  per  entro  vi 
sono  insegnate  colle  imponenti  espressioni  del  suo  esordio. 
Eccole  : 

»  Lo  scopo  provvidenziale  che  domina  il  pensiero  umano , 
»  egli  scrive ,  sfugge  alla  sagacità  dell'  uomo.  I  secoli  nel 
»  loro  cammino  lento  e  maestoso  raccolgono  il  picciol  nu- 
))  mero  delle  idee  che  lor  deggiono  sopravvivere ,  le  fanno 
»  matiu'are  in  silenzio  nella  coscienza  di  parecchie  gene- 
))  razioni,  e  le  rivelano  poi  tutte  formate  alla  società  che 
»  le  accetta,  riconoscendole  come  loro  parti  in  sino  al- 
»  lora  sconosciuti.  Risalii-e  a  questa  genesi ,  a  questa  pro- 
»  gressione  misteriosa  delle  istituzioni  umane,  alle  loro 
»  origini  contestate  o  confuse,  cogliere  ed  improntare  il 
«  carattere  proprio  ai  principj  ed  ai  fatti  che  servirono 
»  come  di  fasce  alla  lor  culla  ,  e  discernere  il  pensiero 
))  morale  da   quello  della  semplice  tradizione ,  la  ragione 


250 

»  dal  pregiudizio ,  le  inclinazioni  dell'  umanità  dalle  ten- 
n  denze  egoistiche  ;  tale  è  lo  scopo  che  si  propongono 
»   questi  Studj.  » 

Scopo  certamente  immenso ,  e  tale  da  meritare  l'eterna 
riconoscenza  di  tutte  le  venture  generazioni. 

Ma  chi  lusingato  dalla  pompa  di  queste  frasi  promettenti 
tanta  ampiezza  di  vedute  e  di  risultati ,  pensasse  di  trovare 
in  questi  Studj  lo  scopo  sublime  che  annunziano ,  reste- 
rebbe fortemente  illuso. 

Almeno  così  ne  parve  di  poter  pensare  allorché  entram- 
mo nella  disamina  delle  proposizioni  che  questo  libro  con- 
tiene ;  ed  i  lettori  potranno  giudicarne  per  se  stessi ,  consi- 
derando tre  sole  di  quelle  proposizioni  a  cui  limitiamo  il 
presente  articolo. 

La  prima  proposizione  si  è  quella  in  cui  si  condanna 
il  diritto  di  far  grazia  esercitato  dal  Sovrano. 

L' autore  dice  che  quando  il  monarca  esercita  questo 
diritto ,  si  spoglia  dell'  attributo  essenziale  della  giustizia, 
quello  cioè  di  far  eseguire  la  legge.  Secondo  lui  il  diritto 
del  perdono  non  ha  altra  miglior  base  tranne  quella  della 
imperfezione  delle  leggi  e  dei  cattivi  ordini  giudiziarii , 
sorgenti  di  molte  ingiustizie  e  dì  inique  condanne.  Quindi 
il  perdono  non  può  mai  a  parer  suo  ravvisarsi  che  come 
im  rimedio  contro  il  vizio  della  legislazione ,  la  quale  ove 
fosse  perfetta  non  potrebbe  più  dare  ad  alcuno  il  diritto 
di  derogarvi. 

Tali  in  sostanza  sono  i  ragionamenti  del  sig.  I.  N.  Ma  essi 
potrebbero  soltanto  esser  veri  tuttavolta  che  fosse  dato  all'u- 
mana natura  di  governarsi  in  società  con  leggi  che  avessero  in 
ogni  tempo  ed  in  ogni  luogo  tutti  i  caratteri  di  una  esatta 
giustizia,  e  di  una  utilità  costante,  con  leggi  in  una  pa- 
rola che  rinchiudessero  una  perfezione  matematica.  Ma  sic- 
come ciò  sarà  sempre ,  se  non  una  chimera ,  almeno  un 
problema  di  tutti  i  secoli ,    così  resterà  sempre    uno  fra   i 


251 

migliori  attributi  della  sovranità  quello  ^i  far  grazia.  Ciò 
tanfo  è  vero  che  questo  diritto  forma  tuttora  la  più  bella 
gemma  della  corona  monarchica,  anche  colà  dove  le  leggi 
dello  Stato  ne  hanno  in  altre  parti  limitato  il  potere.  Ella 
è  del  resto  una  elementare  dottrina  quella  che  la  giustizia 
è  pur  anche  essenzialmente  distributiva,  e  che  molte  cir- 
costanze individuali ,  di  social  posizione ,  d' interesse  non 
ordinario  non  possono  sempre  venir  contemplate  dalla  legf^e , 
né  apprezzarsi  dai  magistrati.  Resta  quindi  prerogativa  del 
Capo  dello  Stato  il  conoscere  di  queste  straordinarie  ec- 
cezioni ,  e  di  provvedervi  con  una  mism^a  superiore  di  giu- 
stizia. 

Egli  è  impossibile  trovare  una  legislazione  così  perfetta 
che  comprenda  tutti  i  casi,  anzi  tutti  i  menomi  accidenti 
di  questi  casi  istessi ,  i  quali  benché  impercettibili  agli  oc- 
chi della  legge,  pure  cangiano  notevolmente  le  varie  con- 
dizioni della  imputabilità.  Perciò  il  perdono  che  la  legge 
stessa  applicasse  espressamente  al  delitto,  sarebbe  una  delle 
più  assurde  incoerenze;  non  verrebbe  già  ad  essere  l'ese- 
cuzione della  legge,  ma  sarebbe  bensì  un  aperto  ricono- 
scere la  primitiva  sua  ingmstizia  ed  inefficacia.  Siccome 
adunque  nella  legislazione  non  si  può  tener  conto  di  tutte 
le  gradazioni  delle  circostanze  che  determinano  il  de- 
litto ,  così  conviene  admettere  che  se  il  perdono  non  è 
del  dominio  della  legge  scritta ,  lo  è  però  in  quello  della 
morale  giustizia.  Così  nel  diritto  di  far  grazia  ha  luogo  ui\ 
principio  di  una  più  eminente  ,  più  universale  giustizia, 
di  una  giustizia  per  così  dire  provvidenziale  che  forma 
anch'essa  uno  di  quei  tanti  indefmibiU,  ma  pur  necessari 
legami  che  affezionano  l'uomo  vivente  in  società  coli' or- 
dine e  col  governo  della  medesima.  Perciò  veggiamo  le  mol- 
titudini senza  aver  mai  in  pensiero  di  accusar  per  troppo 
crudele  od  ingiusta  la  legge ,  accoglier  anzi  con  trasporto 
di  gioia  ogni  grazia ,  ed  ogni  indulto.  Non  è  quindi  il  per- 


252 

dono  una  violazione  della  legge ,  ma  egli  è  bensì  l'  applica- 
zione di  una  legge  di  un  ordine  superiore  ;  egli  è  un  j)ro- 
fittare  del  silenzio  della  legge  civile ,  per  far  parlare  la 
legge  più  eminente  della  ragion  sociale  ;  quella  legge  che 
non  è  di  questo  o  di  quel  secolo ,  di  questo  o  di  quel  po- 
polo ,  ma  che  abbraccia  l' universale  economia  di  tutte  le 
umane  società. 

Per  le  quali  cose  vuol  esser  perduta  quella  opinione  per 
cui  si  crede  che  quando  il  perdono  viene  compartito  ,  esso 
venga  concesso  per  riguardi  parziali  e  per  abuso  di  potere , 
mentre  all'  opposto  si  osserva  eh'  ei  viene  generalmente 
concesso  allorché  si  verificano  circostanze  straordinarie  o 
cùxostanze  particolari  attenuanti  il  delitto  a  cui  la  legge 
non  ha  potuto  abbastanza  deferire  ;  allorché  prevalgono 
esigenze  di  una  maggiore  utilità,  ed  il  bisogno  di  conser- 
vare tra  il  Sovrano  ed  i  sudditi,  tra  i  cittadini  e  lo  Stato 
il  convincimento  di  una  indeffettibile  protezione ,  di  un 
vicendevole  amore.  Perciò  non  potrà  mai  dirsi  con  verità 
e  con  giustizia  che  la  clemenza  sia  nient' altro  che  un  si- 
nonimo òx  favore. 

Del  rimanente  tolto  il  diritto  àx  far  grazia  verrebbe  ne- 
cessariamente lasciato  alla  legge  ed  ai  Magistrati  un  mag- 
giore ai^bitrio ,  e  non  sarebbe  vano  il  temere ,  che  per 
amore  di  equità  e  sul  riflesso  che  la  sovranità  più  non  po- 
trebbe esercire  quel  diritto ,  si  cadesse  poi  nel  gravissimo 
inconveniente  che  i  Magistrati  credessero  di  trovarlo  troppo 
soventi  compreso  nella  legge ,  e  fossero  quindi  tentati  di 
arrogare  a  se  stessi  quel  diritto  di  cui  si  sarebbe  privato 
il  capo  della  nazione. 

Sia  dunque  il  sistema  penale  più  perfetto  che   compor- 
tar lo  possa  la  condizione  umana  ;  ma  nel  tempo  stesso  si 
lasci   al  capo    dello  Stato  questa    bella  prerogativa    ò\  far  , 
grazia,  la  quale  di  sua  natura,  e  per  la  propria  sicurezza 
come  per  la  sicurezza  della  società  ,  non  verrà  certamente 


253 

mai  usata  salvo  che  nei  casi  di  una  giusta ,  prudente  ed 
utile  clemenza. 

La  seconda  proposizione  che  non  possiamo  lodare  negli 
Studj  del  sig.  I.  N.  si  è  quella  per  cui  egli  crede  tuttavia 
ed  in  qualunque  tempo  indispensabile  per  alcuni  casi  la 
pena  di  morte. 

))  I  delitti,  egli  dice j  per  cui  questa  pena  non  si  può 
))  abolire  sono  i  delitti  di  sangue  e  di  alto  tradimento  , 
))  quelli  cioè  de'  quali  la  società  non  può  impedire  la  con- 
))  tinuazione  o  la  recidiva.  I  delitti  sanguinari  ed  i  delitti 
»  politici  sono  i  soli  contro  cui  la  società  ha  il  diritto  di 

»   stare  continuamente  armata A  Roma  ove  la  pena 

»  della  morte  era  riservata  per  gli  schiavi ,  Manlio  che 
»  aveva  liberato  la  patria  dal  giogo  de'  Galli ,  fu  precipi- 
))   tato  dalla  rocca  Tarpea,  perchè  la  sua  ambizione  intor- 

))   bidava  lo  Stato La  Russia  dove  Elisabetta   e  Cat- 

»  terina  II  avevano  abolita  la  pena  di  morte  non  fu  salva 
»  dalle  cospirazioni  di  Pugatschev^  che  colla  decapitazione 
»  del  capo  de'  faziosi.  —  Non  si  può  andar  all'  incontro 
»  de'  mali  incalcolabili  delle  guerre  civili  e  delle  scosse  po- 
»  litiche  fuorché  individualizzando  la  morte.  Questa  è  una 
»  necessità  indispensabile.  Se  non  si  fa  perire  un  indivi - 
«  duo  per  sentenza  capitale ,  mille  ne  periranno  per  gene- 
»  rali  conflitti.  La  legalità  risparmia  il  sangue,  n 

Chi  avrebbe  mai  potuto  credere  che  in  Francia  e  nel 
secolo  XIX  si  stampassero  queste  massime  che  farebbero 
fremere  Beccaria ,  il  Conte  di  Sellon  e  lo  stesso  Carmi- 
gnani?  Ma  dopo  avere  il  sig.  I.  N.  voluto  disarmare  il  So- 
vrano del  diritto  di  far  grazia ,  ben  conveniva  aspettarsi 
oh'  egli  volesse  cercare  di  conservare  al  carnefice  ogni  sua 
prerogativa ,  e  fare  l' apologia  della  pena  di  morte.  Se  non 
che  veniamo  confortati  dal  credere  che  non  vi  sia  gentile 
lettore  il  quale  non  trovi  nella  propria  coscienza  la  con- 
futazione di  simili  dottrine  ,  evidentemente  contrarie  a  tutti 


254 

i  principi!  di  politica  e  di  filantropia,  che  i  più  grandi 
scrittori  ed  i  governi  pii!k  illuminati  hanno  accolti  nella  con- 
vinzione propria  e  trasfusi  e  protetti  nella  credenza  dei 
popoli.  La  pena  di  morte  è  forse  ancora  per  qualche  tempo 
e  per  qualche  nazione  una  triste  necessità  ;  una  di  quelle 
necessità  così  inevitabili  che  si  cangiano  in  giustizie.  Ma 
nel  cedere  a  questa  necessità  la  società  si  deve  vestire  a 
lutto  j  e  desiderando  con  tutto  fervore  quando  che  sia 
r  abolizione  della  pena  capitale ,  a  questi  voti  congiungere 
poi  i  provvedimenti  onde  i  costumi  de'  popoli  siano  recati 
a  tal  grado  di  benignità  da  poter  sbandire  per  sempre  una 
necessità  sì  terribile.  Il  tenere  invece  la  pena  di  mor-te  e 
il  professarla  per  una  sanzione  indispensabile  e  perpetua 
della  legislazione  penale  ,  per  im  freno  irremovibile  e  fa- 
tale dell'  umanità ,  ella  è  tal  dottrina  che  ben  lungi  dal  ci- 
mentare nello  stato  l' ordine  e  l'  obbedienza ,  vi  alimente- 
rebbe anzi  l'inquietudine  ed  il  disgusto.  Gli  esempj  perciò 
che  il  sig.  I.  N.  volle  trarre  dalla  storia  di  nazioni  ancora 
mezzo  barbare  e  feroci,  costituite  sopra  fondamenti  affatto 
diversi  da  quelli  delle  odierne  società,  non  possono  sicu- 
ramente servire  di  alcuna  norma  a  queste  ultime,  per  le 
quali  è  provato  che  le  leggi  ordinate  con  una  generosa  ed 
eguale  gmstizia,  dirette  ed  amministrate  con  uno  spirito 
di  paterna  sollecitudine ,  temperate  nel  razionale  equilibrio 
di  una  giustizia  tutelatrice  e  di  una  sapiente  indulgenza  , 
sono  le  ancore  più  forti  e  sicure  di  uno  Stato  qualunque , 
senza  ricorrere  agli  ultimi  espedienti  della  forza ,  alla  ven- 
detta ed  all'  eccidio. 

Egli  è  poi  un  errore  quello  del  sig.  I.  N. ,  quando  as- 
serisce che  la  società  non  può  altrimenti  che  colla  morte 
impedire  la  continuazione  o  la  recidiva  dei  delitti  di  san- 
gue e  di  alto  tradimento  \  mentre  l'  esperienza  e'  insegna 
che  con  altri  provvedimenti  assai  più  umani  si  possono 
prevenire  e  castigare  questi  debiti.  Numerosi  esempj  delle 


25ff 

storie  recenti  molto  più  autorevoli  di  quelli  antichi  citati 
dall'  Autore ,  potrebbero  rispondere  vittoriosamente  che 
non  £ii  mai  vero  che  il  perdonare  la  morte  pei  delitti  po- 
litici ,  sia  stato  cagione  di  rovina  per  gli  Stati.  Parimenti 
nessuno  prudente  uomo  di  Stato  ha  mai  pensato  ohe  lo 
spirito  di  rivolta  non  possa  spegnersi  fuorché  colla  morte, 
poiché,  salve  pochissime  eccezioni ,  si  sono  veduti  a  mente 
più  tranquilla,  sedato  l'impeto  delle  passioni,  ed  ammae- 
strati dall'esperienza,  i  faziosi  ritornare  utili  e  pacifici  cit- 
tadini, a  (noni 

La  terza  proposizione  finalmente  che  noi  vogliamo  an- 
cora disapprovare  negli  Studj  del  sig.  I.  N. ,  si  é  quella 
per  cui  egli  vorrebbe  che  i  figli  illegittimi  succedessero 
egualmente  come  i  legittimi.  Egli  vorrebbe  che  la  legitti- 
mità della  nascita  fosse  una  parola  scancellata  dai  codici, 
e  che  più  non  fossero  vietate  le  ricerche  sulla  paternità. 

Per  far  adottare  una  legislazione  così  singolare  e  che  il 
sig.  I.  N.  si  sforza  far  credere  più  logica  e  più  liberale , 
quando  non  farebbe  che  mettere  sottosopra  tutte  le  mas- 
sime sinquì  ricevute  della  pubblica  morale ,  ecco  con  quali 
argomenti  egli  ragiona  : 

»  Dal  diritto  di  proprietà  ne  nasce  necessariamente  il 
»  diritto  di  successione.  Qualunque  facoltà  di  disporre  della 
))  proprietà  fiiori  delle  basi  natui-ali,  sulle  quali  essa  é 
»  fondata ,  dovrebbe  essere  interdetta.  Il  diritto  della  pro- 
»  prietà  acquistata  una  volta  riconosciuto ,  quello  della  suc- 
»  cessione  resta  un  diritto  naturale,  senza  distinzione  di 
»  persona  tra  i  membri  che  compongono  la  famiglia.  Se 
«  i  privilegi  della  nascita  sottoposti  ad  alcune  regole  ri- 
»  guardo  ai  figli  di  diversi  letti ,  nuUa  hanno  che  ripugni 
»  alla  ragione ,  come  alla  giustizia ,  quelli  che  ingiungono 
»  la  diseredazione  ai  figli  nati  fuori  del  matrimonio,  non 
»  sono  eglino  una  ontosa  riparazione  del  fallo  de'  loro  pa- 
»   dri?  Con    qual  diritto    si  vuol  egli  far  loro  scontare  la 


256 

))  pena    di   questo    nuovo   peccato   ori^nale  ? Se   la 

»  legge  imprimesse  al  seduttore  ,  qualunque  fosse  il  suo 
»  rango  sociale ,  una  nota  d' infamia  sarebbe  ella  più  ri- 
»  dicola  del  pregiudizio  che  disonora  la  debolezza  di  una 
»  povera  donna ,  e  che  esercita  i  più  stupidi  rigori  contro 
»  il  fanciullo  delle  sue  lagrime?  » 

Per  quanto  queste  commoventi  declamazioni  sembrino  a 
primo  aspetto  indirizzarsi  alla  pietà  ed  alla  umanità,  pure 
a  riflettervi  pacatamente ,  le  loro  conseguenze  non  potreb- 
bero mai  credersi  abbastanza  convenienti  od  applicabili  alla 
legislazione. 

In  primo  luogo  s'  egli  è  vero  che  dal  diritto  di  pro- 
prietà nasce  quello  della  successione ,  non  ne  segue  però 
che  questo  sia  il  solo  ed  unico  diritto  che  da  quella  si  parta. 
Che  anzi  il  primo ,  il  più  vero ,  il  più  caratteristico  diritto 
della  proprietà  si  è  quello  della  più  assoluta,  libera  ed  il- 
limitata disponibilità  di  essa.  Una  legge  dunque  che  inter- 
dicesse di  disporre  fuori  delle  basi  della  successione,  di- 
strurrebbe  affatto  nella  sua  essenza  il  diritto  di  proprietà, 
sarebbe  contraria  ad  ogni  idea  sulla  libertà  degli  umani 
commercii ,  ed  ordinerebbe  in  sostanza  un  fidecommisso 
generale  e  perpetuo. 

In  secondo  luogo  un  altro  carattere  o  per  dir  meglio 
un'  altra  conseguenza  inerente  al  dii'itto  di  proprietà  si  è 
quella  che  abbiano  a  parteciparne  tutti  coloro  che  hanno 
cooperato,  o  che  possono  ragionevolmente  cooperare  ad 
acquistarla,  od  anche  solamente  a  conservarla.  Ora  rispetto 
soltanto  ai  figli  legittimi  che  convivono  coi  loro  parenti  si 
verifica  questa  attuale  o  possibile  cooperazione ,  poiché  ri- 
guardo ai  figli  illegittimi  che  vivono  fuori  della  famiglia  , 
e  che  senza  intervertire  1'  ordine  sociale  non  vi  possono 
mai  vivere  in  concorso  de'  figli  legittimi,  come  potrebbero 
mai  essi  cooperare  all'acquisto  od  alla  conservazione  della 
sostanza  famigliare?  I  figli  non  legittimi  dunque  in  quanto 


257 

ai  dirilti  reali  della  proprietà  possono  giudicarsi  come 
estranei ,  quando  invece  i  legittimi  ne  sono  come  i  compro- 
prietarii ,  e  ciò  è  così  vero  che  i  romani  giureconsulti  li 
considerarono  condomini  delle  sostanze  paterne. 

Inoltrandosi  quindi  nella  discussione  si  trova  eziandio 
che  appunto  perchè  la  legge  stabilì  de'  privilegj  fra  gli 
stessi  figli  di  diversi  letti ,  essa  può  egualmente  e  con  mag- 
gior ragione  stabilirne  jfra  i  legittimi  ed  i  naturali.  La  dis- 
eredazione poi  non  è  una  conseguenza  necessaria,  assoluta, 
indeclinaliile  della  qualità  di  figliuoli  illegittimi  :  i  padri  non 
sono  impediti  dal  provvedere  alla  prole  illegittima  ;  ed  a 
favore  di  essa  può  anzi  esercitarsi  lo  stesso  libero  diritto 
della  proprietà,  che  il  nostro  scrittore  vorrebbe  eliminare. 

Oltre  acciò  se  la  dottrina  del  sig.  I.  N,  venisse  adottata, 
la  legislazione  vedrebbesi  in  aperta  opposizione  colla  mo- 
rale. Infatti  come  accertare  la  figliazione  della  prole  nata 
fuori  del  matrimonio?  E  per  ciò  ottenere  quanti  scandali, 
quanti  disordini ,  quanti  scompigli  nelle  famiglie  ?  Ove  poi 
la  legge  notasse  d' infamia  il  seduttore ,  le  ricerche ,  le 
prove  che  per  chiarire  il  colpevole  sarebbero  indispensa- 
bili ,  non  schiuderebbero  elleno  V  adito  alle  più  immorali 
conseguenze  ?  In  qual  modo  si  potrebbe  discernere  il  com- 
plice dalla  vittima  ?  Ben  è  certo  che  leggi  ed  indagini  di 
di  tal  fatta  non  potrebbero  eseguirsi  senza  sollevare  il  velo 
a  tante  turpitudini  o  a  tante  sventure  di  cui  è  miglior 
consiglio  lasciare  ignota  ogni  traccia. 

L'  opinione  del  resto  che  disonora  la  donna  sedotta  se 
forse  non  è  sempre  giusta  e  ponderata,  pure  giova  come 
antidoto  contro  la  seduzione  stessa  ed  il  mal  costume  ;  e 
se  alla  venere  libera  ed  alla  prole  illegittima  le  leggi  accor- 
dassero gli  stessi  diritti  civili  e  l'opinione  le  stesse  sociali 
onoranze  ,  qual  rispetto  più  vi  sarebbe  per  la  fede  conju- 
gale,  qual  ragione  che  determinasse  a  contrarre  legittimi 
matrimonii  ?  Finalmente  la  stessa  misera  sorte  a  mi  vanno 

i6 


258 
esposti  i  figli  illegiltimi ,   i  rigori  con  cui  la  legge  li  ri- 
mira e  l'opinione  li  tratta  ,  non  sono  essi  altrettanti  ripie- 
ghi per  trattenere  dal  libertinaggio  coloro  che  fossero  per 
dissolutezza    inclinati   ad  aumentarne   il  numero  ? 

Non  aggiungiamo  parole  per  provare  viemaggiormente 
che  la  riforma  legislativa  che  su  questo  proposito  vorrebbe 
suggeru'e  il  sig.  I.  N.  non  farebbe  che  compromettere  la 
santità  de'matrimonii,  la  certezza  e  V  educazione  della  prole, 
il  riposo  insomma  delle  famiglie. 

Basteranno  frattanto  queste  sole  citazioni  e  li  pochi  ri- 
flessi coti  cui  abbiamo  voluto  accompagnarle  per  compren- 
dere ciò  che  sin  da  princìpio  abbiamo  accennato ,  cioè ,  che 
le  conclusioni  degli  Studj  del  sig.  I.  N.  non  corrispondono 
gran  fatto  alle  magnifiche  parole  del  suo  esordio. 

Non  sarà  dunque  a  questi  Studj  che  noi  consiglleremo 
i  giovani  legisti  di  venir  a  studiare  i  principii  che  reg- 
gono e  che  ancora  perfezionar  possono  1'  attuale  incivili- 
mento e  tantomeno  le  basi  di  quelle  riforme  di  cui  alcune 
parti  della  legislazione  potessero  per  avventura  abbisognare. 

Severino  Battaglione. 


259 


DELLA    POESIA    LIRICA    E    DI    UULAJXB 

Gcdihte  von  Ludwig  Uliland.    r.  Band  g."  auflage 
Stuttgai   uiid  TubiDgen   beim  Cotta. 


Vi  fu  chi  asserì  avere  la  poesia  compiuti  i  suoi  de- 
stini ,  ed  incolpando  da  un  lato  le  oscure  elucubrazioni 
metafisiche,  da  un  altro  due  scienze,  che  giovani  ancora 
già  stanno  giganti  e  tanta  parte  occupano  degli  studi 
presenti,  la  pubblica  economia  cioè  e  la  statistica ,  mo- 
vendo lagnanze  ai  rivolgimenti  politici  che  in  alcune  na- 
zioni vicine  staccarono  ingegni  potenti  dal  tavolino  mo- 
desto del  letterato  per  lanciarli  o  alla  tribuna,  ove  si 
discutono  i  destini  delle  genti ,  o  nei  sentieri  tenebrosi 
della  diplomazia,  querula  chiamò  l'epoca  presente  tutta 
prosaica,  tutta  positiva;  altri,  e  questi  sono  i  più,  di 
questo  prosaismo  ,  di  questa  supposta  morte  della  poesia 
danno  lode  grandissima  all'  età  che  viviamo.  Ma  noi 
crediamo  che  sia  le  lodi ,  sia  il  biasimo  non  siano  me- 
ritati. Certamente  non  sono  più  i  giorni,  in  cui  si  cin- 
gevano le  tempia  di  alloro  ad  un  Tibaldeo,  in  cui  Cle- 
mente Marot  dirigeva  a  posta  sua  le  leggi  del  buon  gu- 
sto nella  corte  di  Francia;  in  cui  un  Marini  era  ricer- 


260 

calo  dai  privati  e  dai  prìncipi ,  e  parteggiando  per  lui 
città  intere ,  si  dividevano  in  fazioni  nemiche  ;  in  cui 
un  sonetto  di  Monsignore  Della  Casa  metteva  in  moto 
le  mille  accademie  poetiche  dell'  Italia.  Ma  se  mostre- 
remo la  poesia  lirica  chiamata  a  pigliar  parte  rilevan- 
tissima nella  vita  di  due  grandi  nazioni  differenti  di 
lingua,  di  costumi,  di  leggi  e  di  clima,  vogliam  dire 
la  Francia  e  la  Germania;  se  la  vedremo  nell'Italia.,, 
abbandonate  le  fiabe  di  una  trita  mitologia ,  e  le  non 
men  trite  gesta  dei  Greci  e  dei  Romani ,  moversi  in- 
certa ancora  e  vacillante  ma  non  priva  di  coraggio  e 
di  speranza  pel  novello  sentiero  in  cui  prima  l'avviò  un 
Manzoni ,  ed  in  cui  le  sono  scorta  un  Giacomo  Leo- 
pardi, un  Carrer,  un  Berchet,  un  Tommaso  Grossi,  con 
Colleoni,  Mezzanotte,  Gabriele  Rossetti,  Cesare  Cantù , 
Samuele  Biava  _,  noi  crederemo  avere  vinta  la  causa. 
Quello  che  fu  detto  della  poesia  in  generale  può  dirsi 
a  buon  diritto  della  poesia  pastorale  ed  epica,  e  noi 
deploriamo  che  poeti  valenti  sconoscendo  essere  1" epo- 
pea chiamata  a  cantare  gesta  di  popoli  primitivi  a  po- 
poli primitivi,  e  che  traendo  il  maggior  suo  incanto  dal 
meraviglioso,  non  può  fissare  l'attenzione  di  un  secolo, 
che  alle  meraviglie  non  crede ,  spendano  in  sforzi  im- 
potenti un  ingegno,  che  impiegato  altrimenti  potrebbe 
fruttare  loro  ed  alla  patria  onore  grandissimo,  e  basti  no- 
minare fra  i  molti  Pirker,  Perceval  Grandisson,  Alletz, 
Botta,  Ricci,  Bellini,  Arici,  Teresa  Bandettini.  Forse 
quello  che  dicemmo  dell'epopea  non  vorrà  negarcelo  al- 
cuno, ma  chiamando  vicina  a  morire  la  poesia  dram- 
matica ,  vediamo  che  troppo  numero  di  oppositori  ver- 
rebbe a  gridarci  la  croce  contro  ,  cosicché  esitanti  e  pe- 
ritosi esterniamo  questo  nostro  dubbio.  Eppure  se  guar- 
dia^no  1'  Alemagna  ,  la  Francia  ,  l' Inghilterra  ,  la  Spa- 
gna ,  l' Italia  ,  noi  vediamo  ovunque  uomini  di  ingégno 


261 

sommo  dopo  avere  ottenuto  allori  incontrastati  nella 
poesia  lirica  ,  nel  romanzo ,  porre  le  mani  alla  grand' 
opera  del  dramma  moderno ,  annunciato  tanto  e  sem- 
pre atteso  invano,  cogliervi  appena  un  freddo  successo 
e  ritrarre  quindi  pressoché  tutti  la  penna  da  un'  im- 
presa ardua  cotanto.  A  conferma  di  ciò  citeremo  i  vi- 
cini esempi  di  Manzoni  fra  gli  italiani,  di  Uliland,  di 
Immermann  fra  i  tedeschi,  di  Bjron  j  di  Bulwer,  di 
Scott  fra  gl'inglesi,  di  Martinez  la  Rosa,  D.  Telesforo 
de  Truebafra  gli  spagnuoli ,  di  Della  Vigne,  Chateau- 
Lriand  *i  ,  Lamartine  *2 ,  De  Vigny,  Vittore  Ugo  fra 
i  francesi.  E  qui  di  Vittore  Ugo  vogliam  dire  due  pa- 
role abbenchè  la  nostra  opinione  sia  per  esserci  con- 
trastata da  molti  ed  in  ispecie  da  uno  de"  collabora-^ 
tori  del  Subalpino ,  la  cui  opinione  in  fatto  di  cose 
drammatiche  ha  pure  un  gran  peso  agli  occhi  nostri. 
Vittore  Ugo  ha  volto  in  questi  ultimi  anni  tutta  la  forza 
del  suo  genio  al  teatro ,  e  noi  crediamo  con  danno 
gravissimo  delle  lettere  francesi  ;  imperciocché  quai 
miracoli  di  poesia  non  eravamo  noi  in  dritto  di  at- 
tendere dal  poeta  lirico  sempre  casto,  sempre  morale, 
che  nell'età  di  i5  anni  dettava  odi,  per  cui  Chateau- 
briand ebbe  a  chiamarlo  un  fanciullo  sublime,  dallo 
splendido  scrittore  delle  Orientali ,  dal  soave  cantore 
delle  foglie  d' autunnol  Chi  legge  V Angelo  tiranno  di 
Padova,  V  He  mani ,  la  Maria  Tudor ,  ]a  Lucrezia  Bor- 
gia, ed  anche  la  Marion  Delorme  e  le  Roi  s'amuse , 
che  noi  teniamo  in  conto  de' suoi  capo-lavori  teatrali, 
troverà  certamente  in  essi  slanci  di  vivace  fantasia,  scene 
di  effetto  sorprendente,  ma  vi  cercherà  invano  quella 
vita  nascosta,  che  farà  eterne  le  creazioni  di  Sakespeare, 
in  cui  si  vede  un  mirabile  compendio  del  medio  evo, 
invano  cercherà  quelle  vedute  profonde  in  cui  Schiller 
preconizza  un'  epoca  futura  ;   invano    quel  nazionalismo 


262 

potente  che  fa  delle  produzioni  drammatiche  di  Alfieri 
un  quadro  meraviglioso,  nel  cui  insieme  i  posteri  tro- 
veranno scolle  a  rilievo  per  cosi  dire  le  passioni ,  i  vizi 
e  le  virtù  che  furono  molte  dell'  ultimo  periodo  del  se- 
colo 18.*  in  Italia.  Ma  qui  ci  soffermiamo  perchè  veg- 
giamo  avere  tocca  una  materia  che  ci  menerebbe  in  di- 
squisizioni lontane  troppo  dal  nostro  proposito  e  forse, 
e  senza  forse,  superiori  alle  nostre  forze. 

Abbiamo  detto  che  la  poesia  lirica  si  è  addentrata 
così  nei  costumi  della  Francia  e  della  Germania ,  che 
nei  poeti  lirici  di  quelle  nazioni  noi  possiamo  leggere 
la  storia  delle  loro  opinioni ,  vedere  la  pittura  della  loro 
vita  pubblica  e  privata.  Per  ciò  cfie  riguarda  la  Francia 
senza  volere  segnare  quanta  parte  abbiano  avuta  nelle 
sue  vittorie  i  canti  militari  di  Delisle  de  Salles  e  di  Giu- 
seppe Maria  Chenier,  senza  ricordare  il  detto  di  quell' 
uomo  di  stato ,  che  chiamò  uno  scrittore  di  canzoni 
l'autore  vero  della  rivoluzione  di  luglio,  noi  rimanderemo 
i  nostri  lettori  allo  spiritoso  discorso  che  Scribe  pronun- 
ciava all'  accademia  di  Parigi  quando  vi  venne  ammesso 
è  ora  scorso  un  anno.  Ma  se  ciò  che  disse  Scribe  della 
Francia  è  vero,  questa  verità  è  mille  volte  più  palese 
neir  Alemagna  ove  una  popolazione  astretta  dal  clima 
e  dalle  costumanze  dei  padri  mena  neir  intimità  delle 
mura  casalinghe  la  sua  vita ,  e  ponendo  in  cima  di  ogni 
pensiero  le  affezioni  di  famiglia,  commette  alla  poesia 
ed  alla  musica  di  manifestare  quelle  profonde  commo- 
zioni che  nella  sua  naturale  timidezza  non  permette  al 
linguaggio  comune  di  palesare,  e  di  cui  senza  quelle 
nobili  arti  sorelle  tu  la  crederesti  incapace.  Neil' Alema- 
gna ogni  fase  della  natura,  ogni  più  lieve  evenimento 
della  vita  domestica  è  guardata  dal  suo  lato  poetico, 
quindi  avviene  che  senza  ricercare  le  gesta  di  eroi  che 
non  vissero   o   vissero   in  paesi  lontani ,   0    di   Dei  im- 


265 

maginatì ,  ognuno  cui  sìa  concessa  la  favella  poetica 
trova  in  quelli  i  temi  delle  sue  canzoni,  e  queste  per- 
chè dovute  ad  ispirazione  popolare  e  nazionale,  perchè 
scritte  nella  lingua  parlala  con  piccole  modificazioni  da 
tutte  le  classi  della  società,  trovano  un  eco  nel  cuore 
di  tutti ,  dal  ricco  barone  del  Palatinato  al  povero  mi- 
natore della  Stiria  ,  dalla  dama  di  Vienna  alla  donnic- 
ciuola  di  Amborgo. 

Senza  volere  ricordare  i  tempi,  in  cui  associazioni  di 
calzolai,  sarti,  falegnami  si  raccoglievano  dopo  termi- 
nati i  loro  lavori  in  una  cameretta,  e  colla  sola  ispira- 
zione di  un  croccinolo  di  birra  discendevano  a  tenzoni 
poetiche ,  e  formavano  altrettante  accademie  ;  noi  Ve- 
diamo negli  scrittori  della  Germania  di  questi  ultimi 
tempi  compendiate  per  dir  così ,  e  rappresentate  le  fasi 
delle  opinioni  che  ebbero  dominio  presso  quel  popolo 
mal  conosciuto:  in  Biirger,  in  Blumauer,  in  Wieland  il 
scetticismo  ed  il  sensualismo  del  secolo  i8.°  che  dalla 
Francia  fece  irruzione  nell'Europa  intiera;  in  Schiller, 
in  Klopstock,  in  Schubart,  in  Seume  quello  slancio  ge- 
neroso prodotto  dalla  rivoluzione  del  1789  prima  che 
fosse  macchiata  di  sangue  ;  in  Voss  il  puritanismo  se- 
vero che  le  tenne  dietro;  in  Holtj  il  desiderio  della 
vita  campestre  e  quel  disprezzo  verso  i  rivolgimenti  po- 
litici sorto  dallo  spettacolo  delle  sanguinose  catastrofi , 
che  s" avvicendarono  negli  ultimi  anni  del  secolo  iS.*"  e 
nei  primi  del  secolo  19."  Non  parliamo  di  Goethe  per- 
chè Goethe,  genio  raoltiforme  e  scettico,  volse  tutto  il 
suo  ingegno  a  cercare  la  perfezione  nell'arte,  e  guardò 
con  sorriso  ironico  e  beffardo  le  emozioni,  da  cui  egli 
era  troppo  egoista  per  lasciarsi  trascinare. 

Quando  la  Francia  ebbe  scacciate  dal  suo  territorio 
le  falangi  straniere  e  da  conquistata  fattasi  conquistatrice 
inondò    i  paesi    al  dì   là   del   Reno,    quei    popoli   rima- 


264 

sero  per  qualche  tempo  muti  e  freddi  spettatori ,  ma 
quando  videro  irrisi  i  loro  domestici  costumi,  violato 
il  santuario  della  loro  vita  privata  si  levarono  in  piedi, 
e  seguendo  le  voci  e  1'  esempio  dei  loro  poeti ,  che 
colla  spada  e  col  canto  precedevano  le  coorti  degli  ar- 
mati, scacciarono  alia  loro  volta  l'invasore,  e  furono 
visti  in  tempi  dissimili  tanto ,  rinnovati  gli  esempli  dei 
Tirtei,  dei  Simonidi ,  dei  Bardi  della  Caledonia.  Molti 
sono  quei  poeti  che  1'  oppression  francese  fece  correre 
nelle  prime  file.  Tederò  Kòrner  morì  sul  campo  di  bat- 
taglia,  Federico  Rùckert,  Maurizio  Ascndt,  SeckendorfF, 
ma  prima  di  tutti  Uhland,  meritano  di  essere  partico- 
larmente nominati.  Né  Uhland  vuoisi  solo  raccomandare 
come  poeta  soldato,  ma  dalla  cessazione  delle  guerre 
napoleoniche  in  poi  egli  è  rimasto  il  rappresentante  fe- 
dele del  genio  germanico  ;  le  sue  canzoni  sono  nella 
bocca  di  tutti ,  del  pastore ,  del  cittadino ,  della  villa- 
nella ,  del  soldato ,  e  chi  viaggia  la  parte  meridionale 
dell'  Alemagna  vede  spesso  nelle  capanne  e  nelle  case 
dei  grandi  il  suo  ritratto ,  con  qualche  motto,  che  mo- 
stra quanto  sia  l'amore,  che  quei  popoli  nutrono  verso 
il  loro  poeta  nazionale. 

Luigi  Uhland  nato  a  Tubinga  il  26  aprile  del  1787, 
dopo  aver  viaggiata  la  Francia  e  l' Alemagna  esercitò 
onorevolmente  in  Stoccarda  la  professione  d'Avvocato, 
avvicendando  con  graziosi  epigrammi,  con  tenere,  molli 
canzoni  d'  amore  i  suoi  doveri  legali.  Nei  componimenti 
che  spettano  a  quest'epoca  Fidea  sempre  casta  del  poeta 
pare  appena  pensata,  così  soavemente  lieve  e  traspa- 
rente è  il  velo  dalla  parola  che  la  copre.  Uditelo: 

La  madre  ed  il  Jlglio. 
La  madre.  Mio  figlio    innalza  il  tuo    sguardo  al   cielo ,  là  fra   i 
beati  sta  un  tuo  fratellino,  che  vi  vemie  coadotto  dagli  angeli  per- 
chè non  mi  afflisse  mai. 


265 

Il  figlio.  Aflìnchè  nissun  angelo  possa  mai  staccarmi  dall'amo- 
revole tuo  seno,  mostrami,  o  mamma,  come  debbo  fare  per  af- 
fliggerti. 

Risoluzione. 

Essa  suole  venire  in  questa  valle  silenziosa ,  io  vuo'  oggi  arrì- 
scliiarmi  con  animo  ardito.  Perchè  dovrò  tremare  dinanzi  una  fan- 
ciulla, che  non  fece  mai  male  a  nissuno. 

Tutti  la  salutano  cosi  volentieri ,  io  le  passo  vicino  e  non  oso  ;  e 
non  innalzo  mai  il  mio  sguardo  alla  più  bella  delle  stelle. 

I  fiori  che  s'  inchinano  ver  lei,  gli  uccelh  colle  loro  allegre  can- 
tilene osan  ben  mostrarle  il  loro  amore:  perchè  questo  costa  a  me 
solo  tanta  pena  ? 

Io  mi  sono  spesso  lagnato  amaramente  le  intere  lunghe  notti  col 
cielo,  e  non  ho  mai  avventurato  innanzi  a  lei  questa  sola  parola: 
io  ti  amo  ! 

Io  vuo'  pormi  sotto  questi  alberi  ov'  essa  ogni  giorno  suole  ve- 
nire a  diporto  ,  ed  allora  vuo'  dirle  come  fo  ne'  miei  sogni  :  siccome 
essa  è  la  mia  dolce  vita. 

Voglio Oh  !  guai  ! che  terrore  ;  essa  s' avvicina  e 

mi  vedrà  !  io  corro  a  nascondermi  dietro  il  cespugho  ,  di  là  la  veggo 
passare. 

Meraviglia. 

Essa  era  pochi  giorni  sono  una  fanciullina,  ed  ora  non  la  è  più, 
proprio  no  !  tantosto  il  fiore  è  schiuso ,  tantosto  si  chiude  di  nuovo 
a  metà.  A  chi  chiederò  io  la  spiegazione  di  questo  prodigio  I  son  io 
forse  condotto  in  errore  da  una  soave  illusione  ? 

Essa  parla  coi  pensieri  di  una  fanciulletta ,  ed  il  moversi  de'  suoi 
occhi  è  pio  -,  però  un  senso  interno  mi  dice  cose  maggiori ,  e  veggo 
un'  oscurità  senza  fine.  Già  queste  sono  meraviglie  del  dolce  amore. 
L'amore  ne  fa  molte  meraviglie. 

Uhland  giovine  ancora  guarda  la  poesia  siccome  una 
sorella,  che  l'accompagna  ne' primi  passi  della  vita,  e 
gli  tempra  quella  misteriosa  melanconia^  che  non  è  il 
men  dolce  pregio  dell'  età  giovanile. 


266 

//  Cantore. 

Il  garzone  canta  ancora  all'eco  i  suoi  pensieri.  Il  Silfo  preso  dal 
gioco  giovenile  sta  sospeso  ad  udirlo.  Le  sue  canzoni  splendono  at- 
torno di  lui  siccome  corona  di  fiori  ;  esse  lo  accorapagaano  attraverso 
il  silenzioso  boschetto. 

Egli  viene  alle  feste  del  popolo ,  egli  canta  nelle  sale  dei  re ,  tutti 
i  commensali  lo  guardano  attoniti ,  e  la  sua  canzone  rallegra  il  con- 
vito ;  le  bellissime  fra  le  donne  lo  coronano  con  lucenti  fiorellini  ; 
egli  china  ver  terra  T  occhio  bagnato  di  lagrime  e  le  sue  guancia 
avvampano. 

Ma  quando  giunse  l'ora  dell^ oppressione  del  suo  pae- 
se, quando  le  falangi  francesi  innondarono  i  campi  della 
Germania ,  la  missione  della  poesia  si  eleva.  Uhland  ira- 
pugna  la  spada  e  non  getta  la  lira ,  ma  chiede  da 
quella  suoni  più  robusti  e  marziali:  uditelo  in  una  can- 
zone ,  che  vuoisi  ascrivere  a  quell'  epoca  : 

Canzone  del  Cantore  tedesco. 

Io  ho  cantato  nei  giorni  passati  canzoni  di  vario  genere,  di  an- 
tiche e  pie  leggende  ,  d' amore ,  della  primavera ,  del  vino.  Ora  la 
sorgente  dei  canti  si  è  disseccata  ,  e  tutte  queste  cose  mi  pajono 
frivole  inezie,  poiché  rimbombò  lo  scudo  di  guerra,  e  n'  usci  la 
chiamata  —  per  la  patria! 

Si  narra  dei  Ratti  che  si  cingessero  di  una  catena  di  bronzo  , 
finché  fossero  sciolti  dal  voto  di  portarla  colla  morte  data  ad  un 
nemico.  Io  incateno  lo  spirito  e  chiudo  la  bocca  del  canto  finché 
avrò  servito  alla  patria  come  fratello  d'  armi. 

E  benché  non  sia  nato  ad  essere  un  eroe  ,  e  mi  sia  toccata  in 
sorte  la  beve  canzone  d'  amore-,  tuttavia  vorrei  lottando  ottenere  in 
questa  santa  guerra  una  sola  cosa  :  Il  nobile  diritto  di  cantare  la 
vittoria  del  popolo  tedesco. 

E  questo  nobile  diritto  l'ottenne,  e  nissuno  cantò  con 
parole  più  generose ,  così  scevre  di  collera  e  di  odio 
verso  i  vinti  la  vittoria  dei  popoli  tedeschi  ;  ma  quando 
Uhland  vide    avere    la    vittoria    fallite  le   speranze    che 


267 

n'  erano  sorte ,  ei  volge  severo  le  sue  parole  ai  suoi  di- 
letti Wurtemberghesi ,  ed  i  suoi  componimenti  raccolti 
sotto  il  titolo  di  poesie  patrie  sono  forse  con  alcune 
odi  di  Klopstock  e  di  Schiller  quanto  possegga  la  poesia 
lirica  tedesca  di  più  sublime  e  robusto. 

Ecco  le  parole  che  ei  volge  alla  sua  patria: 

TFurtemberg, 

-  Ma  cosa  ti  può  mancare ,  mia  dolce  patria  ?  Anche  nelle  terre  lon- 
tane si  dice ,  tu  il  sai  bene  ,  che  la  benedizione  di  Dio  sta  sovra 
di  te.     ' 

Si  dice  essere  tu  un  giardino  ,  un  vero  paradiso  -,  cosa  puoi  aspet- 
tare di  più  quando  vieni  chiamata  la  terra  felice  ? 

Ogni  uomo  d'  onore  parla  una  parola  che  passò  come  eredità  di 
padre  in  figlio  ;  che  quand'  anche  si  volesse  a  bella  posta  corrom- 
per te  non  sarebbe  possibile  il  farlo. 

Ed  i  tuoi  campi  di  biada  non  somigliano  essi  nel  loro  ondeggiare 
alle  onde  fluttuanti  del  mare  ?  non  viene  da  mille  colline  il  mosto 
a  rallegrare  le  tue  città  ? 

E  tutti  i  tuoi  fiumi  e  laghi  non  abbondano  essi  dÀ  pesci  ?  non 
sono  le  tue  selve  ricchissime  di  selvaggina? 

Le  tue  vaste  pianure  non  nutrono  esse  numerosi  greggi  di  lanuti? 
non  hai  tu  mandre  di  cavalli  e  di  pingui  majali  ? 

Non  s'  ode  forse  lodare  anche  in  remotissimi  paesi  la  legna  che 
nasce  nella  foresta  nera  ?  non  hai  tu  sale  e  ferro  e  perfino  una 
porzioncella  d'  oro  nelle  tue  miniere  ? 

Non  sono  esse  le  tue  donne  amichevoli,  casalinghe,  pie  e  fedeli? 
i  tuoi  vigneti  non  fioriscono  e  fruttificano  forse  ogni  anno  con  per- 
petuo avvicendarsi  ? 

Non  sono  forse  i  tuoi  uomini  laboriosi,  onesti  e  sinceri  ?  cono- 
scitori delle  opere  di  pace  ,  valorosi  nelle  combattute  battaglie  ? 

0  terra  delle  messi  e  del  vino  ,  o  popolo  benedetto  da  Dio  ,  che 
cosa  ti  manca?  —  Tutto  ,  ed  una  cosa  sola.  —  L'antico  buon  diritto. 

Questa  poesia  porta  la  data  del  1816,  ed  in  quel 
torno  di  tempo  (dal  1816  al  1819)  dettò  Uhland  i  suoi 
capo-lavori  lirici,  fu  chiamato  a  professore  nell' univer- 


268 

sita  di  Stoccarda,  stampò  le  sue  due  tragedie  Ernesto 
duca  di  Svevia,  e  Lodovico  il  Bavaro,  che,  come  abbiam 
detto,  ottennero  un  successo  di  stima ,  e  scrisse  quella 
serie  di  ballate,  in  cui  i  costumi  e  le  credenze  del  me- 
dio evo  sono  dipinte  con  un  fare  ingenuo  ed  un'  inar- 
rivabile verità. 

Facciamci  addentro  nella  vita  privata  de'  tedeschi  e 
noi  troveremo  l'amore  e  la  religione;  un  amore  mistico, 
una  religione  contemplativa  confondersi  a  vicenda  e  mi- 
schiarsi a  tutte  le  impressioni,  a  tutti  gli  evenimenti 
domestici.  Grazie  a  quel  misticismo  1'  amore  ha  conser- 
vato un  potere  grandissimo  su  quei  popoli ,  la  sua  es- 
senza si  è  purificata;  quindi  nasce  quella  melanconia, 
queir  abbandono  che  è  un  distintivo  della  nazione  ale- 
manna. Nissuno  seppe  meglio  di  Uhland  dipingere  la 
santità  dell'  amore ,  e  le  due  ballate  che  seguono  pro- 
veranno la  verità  della  nostra  asserzione.  Qui  non  è 
l' amore  dei  sensi  che  dalla  Grecia  passò  a  Roma  an- 
tica,  all'Italia,  alla  Spagna;  qui  non  sono  le  nere  o 
bionde  chiome,  non  gli  occhi  cerulei,  non  la  bella 
bocca  ,  non  i  tersi  denti  :  ma  1'  amore  è  collocato  alto 
così  che  non  ammette  compenso;  è  per  dire  così  un 
culto  interno ,  una  religione  del  cuore. 

Romanza  del  fedele  Gualtiero. 

D  fedele  Gualtiero  cavalcava  presso  la  cappella  di  nostra  Donna, 
sulla  cui  soglia  stava  glnocchione  immersa  in  profondo  pentimento 
una  fanciulla,  «  Fermati ,  fermati ,  mio  fido  Gualtiero ,  non  riconosci 
»   tu  il  suono  della  voce  che  udivi  già  cosi  volontieri  ?  » 

»  Chi  vedo  io  qua?  la  fallace  fanciulla,  clie,  ahi  pur  troppo,  io 
»  chiamava  una  volta  Ja  mia  !  dove  hai  tu  lasciati  i  tuoi  abiti  di 
»  seta  ?  dove  sono  i  ciondoli  e  le  gemme  ?»  —  «  0  me  misera  !  dac- 
»  che  divenni  infedele  il  mio  paradiso  è  perduto  ,  ed  io  il  troverò 
»  soltanto  presso  di  te.  » 


269 

Egli  fé'  salire  sul  cavallo  la  beUa  donna,  mosso  da  una  tenera 
compassione.  Essa  si  avviticchiò  fermamente  attorno  il  corpo  di  lui 
colle  molli  bianche  manine.  «  O  mio  fido  Gualtiero,  il  mio  cuore 
»  amorevole  batte  presso  una  fredda  parete  di  acciajo  ,  ed  i  battiti 
»  del  tuo  non  rispondono  ai  miei  battiti.  » 

Eglino  entrarono  cavalcando  nel  castello  di  Gualtiero  -,  il  castello 
era  deserto  e  silenzioso.  Essa  disciolse  l' elmo  al  cavaliere ,  il  pieno 
della  bellezza  era  svanito.  —  «  Le  tue  pallide  guancie ,  i  tuoi  occhi 
B  oscurati  sono  il  tuo  ornamento  ,  mio  fido  amore.  Tu  non  mi  hai 
»   mai  piaciuto  tanto.  » 

La  pia  fanciulla  scioglie  1'  armatura  al  signore ,  cui  ella  era  stata 
cagione  di  tanta  mestizia.  «  Cosa  vedo  ,  ah  me  misero  !  chi  discese 
»  nella  tomba  di  coloro  che  tu  hai  amati  ?»  —  «  Io  vesto  il  duolo 
»  per  la  perdita  dell'  amatissima  mia ,  che  uè  sulla  terra  ,  né  al  di 
»   là  della  tomba  troverò   più  mai.  » 

Essa  cade  ai  suoi  piedi  colle  braccia  alte  e  sporgenti.  «  Qui  stommi 
»  povera  peccatrice  ,  abbi  compassione  di  me  ,  ed  irmalzami  a  nuova 
»  gioia ,  lasciami  posata  al  tuo  petto  fedele  guarire  da  tutte  le  mie 
»   pene.  » 

»  Alzati ,  alzati ,  povera  fanciulla ,  io  non  posso  farlo  ;  le  mie 
»  braccia  sono  chiuse  per  sempre  ,  il  mio  petto  è  senza  vita.  Sii 
»  sempre  immersa  nella  mestizia  come  io  lo  sono  ;  V  amore  è  per- 
»  duto ,   1'  amore  è  perduto  e  non  torna  mai  più.  » 

La  Mietitrice. 

»  Buon  giorno ,  Maria  !  così  di  buon'  ora  già  stante  e  desta  ?  te 
»  la  più  fida  delle  fanti  non  rende  pigra  1'  amore.  Sì,  se"  tu  mi 
»  mieti  d'  oggi  in  tre  giorni  questo  campo  non  ti  niegherò  più  lun- 
»  gamente  il  mio  unico  figlio.  » 

Oh  come  1'  amorevole  cuore  di  Maria  palpita  alle  parole  del  fa- 
coltoso affittajuolo  !  Una  nuova  gagliarda  vita  trascorre  nelle  sue 
membra ,  vedi  come  essa  mena  attorno  la  falce ,  come  mette  giuso 
i  manipoli. 

Il  mezzodì  infuoca ,  i  mietitori  illanguiditi  corrono  alla  sorgente 
per  ristorarsi  e  cercare  ombre  per  sonnacchiare.  Negli  arsi  campi 
lavorano  ancora  le  api  ronzanti ,  Maria  non  riposa ,  ma  lavora  a 
gara  con  esse. 


270 

Il  sole  tramonta  e  s'  odono  i  tocchi  della  campana  serale ,  ben 
gridano  i  vicini  «  Maria  quest'  è  abbastanza  per  oggi,  »  ben  si  al- 
lontanano da  essa  i  mietitori ,  il  pastore  e  la  greggia ,  Maria  affila 
la  falce  per  incominciare  dì  nuovo. 

Già  cade  la  rugiada ,  già  splendono  la  luna  e  le  stelle ,  i  campi 
spirano  fragranza  ,  da  lungi  s'ode  il  canto  dell'  usignuolo-,  Maria  non 
chiede  riposo  ,  non  si  sofferma  ad  udirne  le  note  armoniose  y  essa 
fa  mai  sempre  fischiare  la  falce  vibrata  con  forza. 

E  così  nutrendosi  di  amore ,  confortandosi  di  una  beata  speranza 
continuò  dalla  sera  al  mattino ,  dal  mattino  alla  sera.  Il  sole  si  leva 
per  la  terza  volta,  ecco. tutto  è  finito.  Vedi  là  stare  Maria  disciolta 
in  lagrime  di  voluttà. 

«  Buon  giorno ,  Maria ,  ma  f  osa  vedo  !  oh  mano  dilìgente ,  il 
1»  campo  è  mietuto  !  oh  penserò  ben  io  a  ricompensarti  ricca- 
»  mente.  »  —  «  Col  solo  sposalizio.  »  — ■  a  Tu  hai  tolto  sul  seiio 
•  il  mìo  scherzo ,  si  vede  bene  che  i  cuori  innamorati  sono  pazzi 
■  e  credenzoni.  » 

Egli  parla  e  fa  il  suo  cammino ,  ma  alla  povera  Maria  s' irrigi- 
disce il  cuore  ,  le  si  rompono  sotto  le  tremanti  ginocchia  ,  e  la  mie- 
titrice fu  trovata  là  nel  campo  mietuto  senza  parola  e  priva  affatto 
di  sentimento  e  di  memoria. 

E  cosi  vive  ancora  anni  muta  a  gmsa  dì  persona  morta ,  ed  mi 
vasuccio  di  miele  è  l'unico  suo  cibo.  Oh  tenetele  pronta  una  tomba 
sul  più  florido  dei  campi ,  mietitrice  cosi  amorevole  come  questa 
non  fu  vista  mai. 


Qualche  volta  Illiland  si  sdegna  contro  i  critici ,  con- 
tro i  pedanti,  peste  di  tutti  i  tempi  e  di  tutti  i  paesi, 
talvolta  tenta  la  poesìa  giocosa  ;  ma  il  suo  sdegno  è 
dolce ,  la  sua  facezia  ha  un  non  so  che  di  mesto ,  e 
diresti  che  egli  ride  a  fior  di  labbia.  I  due  saggi  che 
citiamo  qui  sotto  stanno,  a  giudizio  dei  dotti  tedeschi, 
fra  le  più  belle  poesie  di  Uhland,  ma  noi  temiamo  che 
non  siano  per  parere  tali  ai  nostri  lettori ,  perchè  nella 
traduzione  quel  piglio  ingenuo  e  semplice,  che  ne  sono 
ì  pregi  migliori,  venne  pur  troppo  perduto. 


271 

La  canzone  di  prìmai>era  del  critico. 

Quest*  è  primavera  ...  lo  concedo.  Me  ne  rallegro  ...  ne  debbo 
convenire  ;  poiché  si  può  andai-e  a  diporto  senza  tema  dei  raffred- 
dori. 

Le  cicogne  e  le  rondini  arrivano non  troppo  presto ,  non 

troppo  presto  ,  non  troppo  presto  !  fiorite  pure,  miei  arboscelli,  fio- 
rite .  . ,  . .  alla  buon'  ora  ,  alla  buon'  ora. 

E  vero  io  sento  un  tantin  di  piacere  ,  poiché  1'  allodola  canta  di- 
scretamente ;  i  gorgheggi  di  Filomela  ponno  essere  peggiori ,  e  il 
sole  non  splende  troppo  male. 

Nessuno  si  maravigli  di  vedermi  ne'  campi  verdeggianti  !  io  non 
disdegno  di  uscire  colla  primavera  di  Kleist  in  saccoccia  *3. 

J[  un  poeta  morto  di  fame. 

Egli  era  destino  che  tu  dovessi  vivere  pien  di  crucci ,  e  ti  sei  con- 
sumato appunto  come  deve  fare  un  poeta. 

Questo  annunciava  la  Pieride  alla  tua  culla.  Essa  consecrava  la  tua 
bocca  alle  canzoni ,  ma  a  nient'  altro. 

La  tua  madre  moriva  mentr'  eri  ancor  fanciullo ,  e  la  sua  per- 
dita presagiva  che  nissun  fiore  terrestre  fiorirebbe  pejr  te  su  que- 
sta terra. 

Il  mondo  coi  suoi  tesori ,  con  tutto  il  suo  superfluo  doveva  sol- 
tanto solleticare  il  tuo  occhio  ,  altri  doveva  goderne. 

La  tua  vita  fu  una  primavera ,  i  tuoi  sogni  furono  fiori  ,  ma  un 
altro  preme  i  grappoli ,  un  altro  stacca  i  fiori  degli  alberi. 

Oh  quante  volte  hai  vuotato  il  crucciolo  dell'  acqua  ,  mentre  i 
festini  altrui  si  rallegravano  colle  tue  canzoni. 

Tu  eri  già  fatto  sottile ,  e  poco  meno  che  spirito ,  ora  sei  ritor- 
nato a  casa ,  laddove  l' ambrosia  è  il  solo  cibo. 

Sia  portato  alla  tomba  ciò  che  somiglia  un  cadavere  !  tu  non  hai 
premuta  la  terra la  terra  ti  sia  leggiera  ! 

Quanto  altamente  i  poeti  tedeschi  sentano  la  nobiltà 
dell'origine  della  poesia,  e  l'altezza  della  missione  che 
è  venuta  a  compiere  sulla  terra,  lo  proveranno  i  due 
componimenti  che  seguono.  \J arte  lìbera   e   V  impreca- 


272 
zione  del  cantore  finiranno  la  serie  delle  citazioni,  con 
cui  abbiamo  cercato  di  far  conoscere  il  massimo  fra  i 
poeti  viventi  della  Germania  ;  ne  vogliamo  tacere  che 
r  imprecazione  del  cantore  è  riguardata  dai  critici  a- 
lemanni  siccome  capo-lavoro  di  dizione  e  robustezza  poe- 
tica, e  che  V  arte  libera  compie  un  magnifico  quadro, 
in  cui  Schiller  cercò  di  mostrare  1'  origine  della  lette- 
ratura alemanna  j  e  noi  riputiamo  che  d' ora  in  poi 
questi  due  lavori  non  potranno  piìi  scompagnarsi. 

L'arte  libera. 

Quegli  a  cui  nella  selva  dei  poeti  germanici  venne  dato  il  canto  , 
canti  !  quest'  è  gioia ,  quest'  è  vita  quando  ogni  ramo  ripete  una 
canzone. 

L'  arte  delle  canzoni  non  è  retaggio  di  pochi  nomi  orgogliosi ,  il 
seme  ne  è  sparso  per  tutte  le  terre  dell' Alemagna. 

Consegna  alle  libere  note  quello  che  gonfia  il  tuo  cuore.  Il  tuo 
amore  lieve  susurri  e  scorra  cupamente  tuonando  la  tua  collei-a. 

Se  non  vuoi  destinare  tutta  la  vita  al  canto  ,  canta  almeno  nell' 
impeto  della  gioventù.  Gli  usignuoli  sposano  all'aura  le  loro  melo- 
die nella  sola  stagione  dei  fiori. 

Se  non  puoi  consegnare  ai  libri  quello  che  ti  donano  le  ore  gitta 
al  vento  un  foglio  volante  ,  1'  animosa  gioventù  saprà  ben  coglierlo  ! 

Alchimisti,  necromanti,  Imigi  da  noi  le  vostre  arti  segrete.  Noi  non 
siamo  legati  da  formole.  La  nostr'  arte  si  chiama  poesia. 

Noi  veneriamo  santamente  gli  spiriti ,  ma  i  nomi  sono  vapore  per 
noi.  Noi  onoriamo  i  grandi  maestri ,  ma  1'  arte  è  libera  per  noi. 

Il  Dio  che  sta  morto  e  cupo  dentro  le  fredde  pareti  di  marmo 
chiamate  templi  non  è  il  Dio  della  Germania.  Egli  .vive  e  susurra 
dalle  foreste  di  quercie. 

L'imprecazione  del  cantore. 

Era  nei  tempi  antichi  un  castello  erto  e  sublime ,  egli  splendeva 
lungo  nei  campi  sino  alle  onde  azzmre  del  mare  ;  attorno  in  fiorente 
corona  l'accerchiavano  olezzanti  giardini,  in  cui  zampillavano  fresche 
sorgenti  dai  bei  colori  dell'  iride. 


275 

Colà  stava  un  le  orgoglioso  ,  ricco  ili  tene  e  di  vittorie  ,  e  se- 
deva pallido  e  cupo  sul  suo  trono  :  perchè  quel  eh'  egli  pensa  è 
spavento  ,  quel  eh'  egli  guarda  è  rabbia  ,  quel  eh'  egli  parla  è  fla- 
gello ,  quel  eh'  egli  scrive  è  sangue. 

Una  volta  trasse  a  questo  castello  una  nobile  coppia  di  cantori  , 
uno  in  auree  treccie ,  1'  altro  co'  capelli  biancheggianti.  Il  vecchio 
iniuiito  d'  arpa  cavalcava  un  adorno  destriero  ,  ed  il  fiorente  com- 
pagno camminava  volenteroso  al  suo  fianco. 

Il  vecchio  disse  al  giovane  :  «  or  sii  pronto  ,  mio  figlio  ,  ricorda 
»  le  nostre  più  gravi  canzoni ,  canta  nel  tuono  il  più  ripieno  ,  ra- 
»  duna  assieme  tutte  le  forze  ,  la  gioia  ed  anche  il  dolore ,  oggi 
»   ci  tocca  commovere  il  ferreo  cuore  del  re. 

Già  i  due  cantori  stanno  nella  sala  sublime  per  cento  colonne  , 
ed  il  re  e  la  sua  moglie  siedono  sul  trono.  Il  re  tremendamente  ma- 
gnifico ,  simile  a  sanguinosa  aurora  boreale  ,  la  regina  dolce  e  mite 
quasi  guardasse  là  entro  un  tenue  raggio  di  luna. 

Allora  il  canuto  toccò  le  corde  ,  le  toccò  in  tuono  cosi  mirabil- 
mente ripieno  ,  che  il  suono  ricco  viesempre  più  ricco  percoteva 
l'orecchio-,  allora  la  voce  del  giovinetto  proruppe  fuori  celestemente 
serena  ,  accompagnata  dal  canto  del  vecchio  simile  a  cupo  coro 
di  spettri. 

Essi  cantano  della  primavera  e  dell'  amore  ,  del  benedetto  secolo 
d'oro,  della  libertà,  della  dignità  dell'uomo,  della  fedeltà,  della 
santità.  Essi  cantano  di  tutto  ciò  che  move  a  soave  palpito  il  petto 
dell'  uomo ,  essi  cantano  di  tutte  le  cQse  subUmi ,  che  elevano  il 
cuore  dell'  uomo. 

La  ciurma  dei  corteggiani  disposti  in  cerchio  dimentica  i  suoi  ghi- 
gni ,  i  feroci  sicari  del  re  s'  inchinano  quasi  a  cosa  divina.  La  re- 
gina palpitante  per  mestizia  e  per  gioia  stacca  la  rosa  dal  suo  petto 
e  la  gitta  abbasso  ai  cantori. 

Voi  avete  sedotto  il  mio  popolo  ,  volete  ora  sedurre  la  mia  mo- 
glie ,  urla  il  re  infuriando  e  trema  per  tutto  il  corpo.  Egli  caccia 
fuori  la  spada  ,  che  fulminando  attraversa  il  petto  del  giovinetto  , 
da  cui  invece  delle  auree  canzoni  esce  ora  un  rivo  di  sangue. 

Ed  allorché  siccome  dispersa  da  una  bufferà  la  torma  degli  udi- 
tori si  dissipò  ,  il  giovanetto  spirò  nelle  braccia  del  suo  juaestro. 
Egli  lo  ravvolge  nel  mantello ,  lo  colloca  sul  cavallo ,  ve  lo  lejji 
sopra  diritto,  ed  abbandona  con  esso  il  castello. 

Ma  giunto  avanti  alla  sublime  porta,  il  canuto  cantore   si    so.Oei- 


274 

mava  ,  afferrava  la  sua  arpa  ,  la  migliore  fra  tutte  le  arpe,  la  rom- 
peva ad  una  marmorea  coloniina ,  e  gridava  alto  cosi  che  ne  rim- 
bombavano il  castello  ed  il  giardino. 

»  Guai  a  voi  ,  orgogliosi  colonnati  !  attraverso  i  vostri  vuoti  spazj 
»  non  s'  oda  mai  più  un  dolce  suono  né  di  corda ,  né  di  canto  -, 
»  ma  soltanto  sospiri  e  gemiti  e  timidi  passi  di  schiavi  ,  finché  lo 
»   spirito  della  vendetta  vi  riduca  in  rovine  ed  in  fango, 

»  Guai  a  voi,  giardini  olezzanti  nella  soave  luce  di  maggio!  io 
»  vi  mostro  questo  volto  reso  difforme  dalla  morte ,  onde  ne  re- 
»  stiate  distrutti ,  affinchè  ogni  vostra  sorgente  si  dissecchi ,  onde 
»   nei  giorni  futuri  giacciate  deserti  e  petraje. 

»  Guai  a  te  ,  infame  assassino  !  te  maledizione  dei  bardi  I  tutti  i 
r>  tuoi  sforzi  dietro  le  sanguinose  corone  della  gloria  sieno  vani,  il 
n  tuo  nome  sia  dimenticato  ,  immerso  in  sempiteina  notte  ,  sia  qual 
»   ultimo  gemito  dileguato  nel  vuoto  aere.  » 

U  cielo  accolse  1'  imprecazione  del  vegliardo.  I  muri  giacciono  a 
ten-a,  i  colonnati  son  distrutti ,  una  sola  subUme  colonna  indica  an- 
cora la  passata  magnificenza  ,  ma  anche  questa  già  fessa  può  crollare 
dentro  la  notte. 

Ed  attorno  invece  degli  olezzanti  giardini  tu  vedi  una  deserta  bru- 
gliera  ,  nissun  albero  vi  spande  le  sue  ombre  ,  nissuna  sorgente  corre 
attraverso  la  sabbia  -,  nissuna  canzone  rammenta  il  nome  del  re.  4^n- 
nientamento  e  dimenticanza ,  quest'  è  l' imprecazione  del  cantore. 

Gli  scritti  di  Uhland  sono  pochi  ed  oltre  alle  sue  due 
tragedie,  essi  stanno  tutti  raccolti  in  un  volume  dì  55o 
pagine.  L'edizione  che  ci  sta  sotto  gli  occhi  è  la  nona,  e 
porta  la  data  del  i835;  ma  sappiamo  che  il  celebre  li- 
braio B.  Cotta  ha  ora  posta  in  vendita  l'undecima.  E  que- 
sto può  anche  essere  misura  della  grande  popolarità  del 
poeta  alemanno,  se  si  pon  mente  che  il  B.  Cotta,  sic- 
come ci  venne  assicurato,  delle  edizioni  dei  classici  te- 
deschi non  stampa  mai  meno  di  5ooo  esemplari,  e  se 
a  quel  numero  già  fortissimo  si  aggiungono  le  molte  ri- 
stampe, che  ne  vennero  senza  suo  consenso  fatte  nel 
nord  della  Germania.  Poiché  quella  maledizione  ha  l'A- 
Icmagna    comune    con    noi    italiani  ,    che    essendo  divisa 


275 

in  varie  parti  ,  la  pirateria  libraria  vi  esercita  impune- 
mente le  infami  sue  rapine. 

Da  qualche  tempp  la  musa  di  Uhland  tace,  ma  per 
quanto  i  suoi  ammiratori  ne  siano  dolenti  ,  non  ne  mo- 
vono lagnanza,  e  non  gliene  sanno  mal  grado,  poiché 
scelto  a  deputato  degli  Elettori  di  Stoccarda  alla  Dieta 
degli  Stati  Wurtemberghesi,  egli  impiega  il  grande  suo 
ingegno  e  1'  alta  sua  influenza  di  uomo  probo  e  sincero 
amatore  del  bene  a  prò  della  cara  sua  patria.  E  noi  ri- 
cordiamo con  piacere  e  riputiamo  a  nostra  grande  ven- 
tura di  avere  udito  la  voce  grave  e  dolce  del  poeta  na- 
zionale dell' Alemagna  cadere  dalla  tribuna,  e  di  essere 
stati  spettatori  con  quanta  riverenza  fosse  ascoltata  in 
una  Dieta  di  cui  erano  membri  un  Wolfango  Menzcl  *4  , 
un  Schwab  *5,  i  fratelli  Pfitzer  *6  e  Schott,  che  lo  guar- 
dano come  loro  capo,  e  votano  d'ordinario  secolui.  Né 
i  soli  suoi  prediletti  studi  potè  Uhland  sagrificare  ai  do- 
veri del  legislatore,  poiché  costretto  a  scegliere  tra  l'of- 
ficio gratuito  di  Deputato  e  quello  di  professore,  quan- 
tunque la  sua  fortuna  non  ecceda  quella  mediocrità,  che 
Orazio  chiamò  aurea  ^  senza  però  appagarsene ,  mostrò 
che  non  solo  sa  cantare  la  virtiì,  predicarla  dalla  tri- 
buna, ma  darne  eziandio  un  nobilissimo  esempio  *'j. 

Un  giovine  scrittore  alemanno  morto  anzi  tempo  alle 
lettere  ed  alla  patria,  che  in  lui  avevano  riposte  gran- 
dissime speranze  di  gloria,  l'autore  di  Enrico  di  Ofter- 
dingen,  Novalis  lasciò  scritto:  «  formare  la  poesia  lirica 
»  un  coro  nel  dramma  della  vita  e  del  mondo.  »  E  ap- 
punto l'alto  officio  che  i  Greci  avevano  assegnato  al 
coro  nella  tragedia,  l'officio  cioè  di  moderatore  dei  co- 
stumi, di  pacificatore  delle  discordie,  occupò  ed  occupa 
nella  letteratura  alemanna  Uhland  e  la  schiera  eletta 
che  segue  le  sue  pedate;  fra  i  suoi  seguaci  ed  imilatori 
voglionsi   nominare    il    poeta    clic    si    nasconda    sotto   il 


276 

nome  di  Anastasius  Griin,  le  cui  passeggiale  viennesi 
ed  il  volume  di  poesie  col  bizzarro  titolo  di  macerie 
menarono  tanto  rumore;  che  viaggiò  di  fresco  l'Italia  non 
per  deriderla,  ma  per  ammirarla  ed  amarla;  il  barone 
di  Zedlitz  le  cui  ghirlande  sepolcrali  vennero  recente- 
mente tradotte  in  versi  italiani;  lo  scrittore  ungarese 
che  si  cela  sotto  il  pseudonimo  di  Nicola  Lenau,  che 
oltre  ad  un  volume  di  bellissime  poesie  liriche  stampò 
non  ha  guari  una  continuazione  al  Faust  di  Goethe , 
ed  il  giovine  Miiller  ,  garzone  libraio  di  Cotta ,  che 
stampò  sul  principiare  del  iSSiy  un  volume  di  poesie, 
delle  quali  Uhland  ebbe  a  dire  «  le  poesie  di  questo  gio- 
vine (  Miiller  conta  soli  26  anni  )  si  lascieranno  indie- 
tro d' assai  le  mie  ;  »  e  Chamisso  e  Ebert  ed  i  fratelli 
Pfitzer  e  Stieglitz,  e  molti  altri,  di  cui  terremo  forse 
un  giorno  discorso  ai  nostri  lettori  se  essi  cel  consen- 
tiranno. 

Malgrado  due  canzoni  e  pochi  sonetti  di  Petrarca , 
qualche  lavoro  poetico  da  scegliersi  qua  e  là  nei  volumi- 
nosi scritti  di  Alamanni ,  Filicaja ,  Testi ,  alcune  odi  e 
sonetti  di  Fantoni  e  Foscolo,  che  sono  gli  anelli  che 
uniscono  la  letteratura  del  secolo  i8.°  a  quella  del  se- 
colo 19°,  tu  trovi  nei  poeti  italiani  splendidi  versi, 
tutti  i  doni  della  fantasia  e  dell'ingegno,  che  il  cielo 
sembrò  prodigare  a  larga  mano  su  questa  terra  predi- 
letta ,  tuttavia  se  Dante  ed  Alfieri  non  fossero ,  si  po- 
trebbe dire  con  ragione  che  l' Italia  non  possiede  una 
poesia  nazionale.  Sul  principiare  del  secolo  in  cui  vi- 
viamo, nella  capitale  dell'  Insubria  nacque  un  fanciullo; 
che  Foscolo  disse  chiamato  a  grandi  cose,  e  grandi  cose 
scrisse  promettitrici  di  altre  maggiori.  Ma  da  lungo 
tempo  il  cantore  del  Carmagnola,  di  Ermengarda,  della 
Pentecoste  tace,  e  F  Italia  che  l'ama  e  sa  di  esserne 
amata  aspetta  desiosa  la  voce  del  suo  poeta.  Oh   sappia 


277 

Manzoni,  che  a  coloro,  cui  natura  concesse  la  sacra  fiam- 
ma della  poesia,  è  affidata  l'augusta  missione  di  lenire  i 
dolori  presenti ,  di  tener  desta  la  speranza  che  sta  per 
morire,  di  mostmre  i  fiori  ai  tapini,  che  nel  duro  sen- 
tiero della  vita  non  hanno  o  non  vedono  che  i  triboli 
e  le  spine;  e  sappia  che  questa  missione  è  dovere  com- 
pirla. 

Y. 


I^OTE 


*i   Vedi  Mosè  tragedia  di  Chateaubriand. 

*2  Molti  squarci  del  SauUe ,  tragedia  di  Lamartine ,  furono  pubbli- 
cati ora  in  questo  ,  ora  in  quello  dei  giornali  francesi ,  e  nell'  esi- 
tanza che  mostra  1'  illustre  autore  delle  Meditazioni  nel  pubblicarla 
per  intiero ,  noi  vediamo  una  novella  prova  in  favore  dell'  opinione 
che  accenniamo. 

*3  La  primavera  di  Rleist  è  un  poema  classico  nella  letteratura 
alemanna. 

*4  Wolfango  Menzel  la  cui  guerra  letteraria  contro  Gutskow  Mund 
Laube ,  Heine  menò  di  fresco  tanto  rumore  ,  è  il  famigerato  redat- 
tore del  foglio  critico  annesso  al  Morgenblatt  edito  da  Cotta  a  Tu- 
binga.  Scrisse  una  storia  dei  tedeschi ,  una  storia  della  poesia  te- 
desca e  della  letteratura  tedesca ,  che  ebbero  versioni  in  italiano  ed 
in  francesce. 

*5  Gustavo  Schwab  è  professore  nell'  università  di  Stoccarda  e 
gode  fama  grandissima  nell'  Alemagna  per  le  sue  ballate  originali  , 
e  per  una  versione  in  versi  tedeschi  delle  precipue  fra  le  opere  poe- 
tiche di  Lamartine  e  Barthelemy.  Noi  stamperemo  in  uno  dei  pros- 
simi numeri  del  Subalpino  una  belhssinia  poesia  inedita  di  questo 
chiaro  professore  volta  in  italiano ,  che  voUe  mandarci  per  esservi 
inserta  ;  volendo  con  ciò  provarci  che  i  deboli  nostri  sforzi  trovano 
un  eco  nella  dotta  Germania. 


^7S 

*6  I  fratelli  Pfitzer  sono  amendue  poeti  lirici  valentissimi  ;  oltre- 
acciò  Gustavo  scrisse  una  vita  di  Martino  Lutero,  che  vuoisi  siala 
migliore  che  possegga  la  Germania ,  ed  il  fratello  secondogenito  pub- 
blicò le  lettere  di  due  tedeschi  che  ebbero  un  successo  grandissimo 
e  molte  edizioni. 

*7  Non  possiamo  trattenerci  dallo  stampare  uno  squarcio  di  una 
ietterà  di  un  dolcissimo  nostro  amico  scritta  da  Stoccarda  in  data 
del  5  aprile  1837.  E  ciò  facciamo  tanto  più  di  buon  animo,  perchè 
pensiamo  che  i  nostri  lettori  vedranno  come  concordi  e  buoni  sono 
nella  loro  vita  privata  questi  letterati  tedeschi.  Oh  fossero  cosi  i 
letterati  italiani  ! 

o  Jerì  a  sera  fui  invitato  a  cena 

dal  professore  Schwab  :  accettai  con  piacere  e  qual  fu  la  mia  gioja 
quando  vi  trovai  riuniti  i  due  fratelli  Pfitzer  e  Wolfango  Menzel  ed 
il  massimo  de'  chimici  della  Germania  Judin  professore  ad  Eidelberga. 
Io  era  a  tavola  tra  la  signora  Uhland  e  suo  marito.  Come  saprai 
Uhland  eletto  Deputato  alla  Dieta  dovette  scegliere  tra  la  carica  di 
professore  e  deputato  ,  e  ciò  contro  le  leggi  del  regno  ,  che  accor- 
dano riposo  ad  un  professore  eletto  Deputato.  Uhland  rinunciò ,  alla 
cattedra ,  e  vive  tranquillo  i  suoi  giorni  in  Tubinga.  Io  doman- 
dava alla  signora  se  il  soggiorno  di  Tubinga  le  piaceva  tanto  quanto 
di  quello  Stoccarda  :  «  si  perchè  piace  al  mio  Uhland.  »  Ed  il  sig. 
Uhland  disse  subito  «poverina,  la  sua  madre,  tutti  i  suoi  parenti 
sono  qui    in  Stoccarda  ,  e  mi  spiace    di  tenernela  lontana  ,   ma  »    . 

Wolfango  Menzel  è  persona  grave  e  seria ,  i  due  fratelli  Pfitzer  sono 
dolci  come  colombe.  Il  primo  ,  Gustavo ,  parla  italiano  ,  e  la  moglie 
sua  giovinetta  di  venti  anni  è  la  persona  la  più  gentile  e  bella  che 
tu  possa  vedere.  Ella  parla  benissimo  francese  ed  anche  1'  italiano  : 
sta  ora  leggendo  il  Carmagnola  ,  e  le  fé'  male  udire  che  Manzoni 
non  scrive  più Chiesi  alla  signora  Pfitzer  se  deside- 
rava di  vedere  l' Italia  :  «  se  lo  desidero  ,  è  questo  il  pensiere  dei 
miei  giorni ,  il  sogno  delle  mie  notti.  » 


279 

RIVISTA    CRITICA 


PATOGENIA  DELL  IDBOPE  I>EL  DOTT.  MICHELE  BORGIALLI 

Ivrea,  coi  tipi  degli  eredi  Franco ,  1837. 


Ogni  scrittore  nel  por  mano  ad  un'opera  qualunque,  debbe 
avere  per  iscopo  di  piacere  o  di  giovare  altrui.  Ma  se  quest'ul- 
timo scopo  si  esige  in  qualunque  specie  di  sci'ittura  scientifica, 
quanto  maggiormente  dovrassi  pretendere  in  quelle  che  riguar- 
dano la  medicina.  Un  tale  oggetto  si  era  certamente  prefisso 
il  Dott.  Borgialli  ,  quando  mandava  alle  stampe  il  suo  scritto 
sulla  patogenia  dell'  idrope,  e  noi  facciamo  plauso  alla  di  lui 
buona  intenzione,  e  lodiamo  per  questa  parte  la  di  lui  fatica. 
Se  poi  egli  abbia  a  no  raggiunto  il  fine  che  nella  sua  prefa- 
zione si  propone  ,  cioè  di  spargere  luce  su  questo  ramo  di  pa- 
tologia 5  se  egli  abbia  potuto  dimostrare  il  suo  assunto  ,  lo  la- 
scieremo  decidere  dal  lettore  a  cui  sottoporremo  soltanto  i  mo- 
tivi che  ci  impediscono  di  essere  interamente  persuasi  della 
verità    delle  sue  opinioni. 

Quest'opuscolo  distinto  in  vari  capitoli,  propriamente  si  po- 
trebbe in  due  parti  dividere.  Nella  prima  l'autore,  dopo  di 
avere  definita  l' idrope ,  espone  il  suo  pensamento  sulla  causa 
prossima  di  essa.  Neil'  altra  confuta  o  tenta  di  confutare  le  opi- 
nioni alla  sua  contrarie. 

Egli  definisce  l' idrope  ,  V  esistenza  di  un  umore  morboso , 
diverso  dal  pus  ,  dal  naturale  esalato ,  e  sempre  sieroso  nel 
tessuto  cellulare  ,  od  in  qualche  cavità. 


280 

Osserveremo  iu  primo  luogo  circa  questa  definizione,  che, 
ammessa  la  ideatila  dell'acqua  idropica  collo  siero,  non  si 
potrebbe  questa  chiamare  un  umore  morboso  ,  e  sarebbe  bensì 
morbosa  la  collezione,  ma  non  mai  1'  umore  ,  essendo  lo  siero 
un  umore  naturale.  In  secondo  luogo  se  1'  umore  idropico  ì' 
sempre  sieroso,  come  può  egli  differire  costantemente  dall'u- 
more naturale  esalato  ?  Noi  tutti  sappiamo  esistervi  una  specie 
di  membrane,  dalle  quali  trasuda  continuamente  un  umore 
sieroso  che  le  irrora.  Ora  chi  disse  al  Dott.  Boi-gialli  che  questo 
siero  naturale  differisca  dall'  acqua  idropica  ?  Egli  però  spiega 
inferiormente  la  sua  proposizione,  dicendo  che  l'acqua  idropica 
«^  della  natura  dello  siero  del  sangue,  ed  il  siero  naturalmente 
esalato  non  lo  è.  A  ciò  però  risponderemo  che  in  primo  luogo 
r  umor  naturale  esalato  dalle  membrane  sierose  è  costante- 
mente analogo  allo  siero  del  sangue ,  e  diffatti  dall'analisi  dell' 
umore  dell'  amnios  fatta  da  Vaucquelin  e  da  Buniva  ,  parago- 
nata coir  analisi  dello  siero  del  sangue  fatta  da  Marcet  e  da 
altri  vediamo  i  seguenti  risultati: 

Siero  del  sangue.  Umore  dell'  amnios. 

Acqua,  albumina,  idroclorato  Acqua,  albumina,  idroclorato 

di  soda    e  di    potassa  ,    sotto-  di  soda ,  fosfato  di  calce  ,  car- 

larbonato  di  soda,  solliito  di  bonato  di  calce, 

potassa  ,    fosfato  di  calce ,  di 
ferro  e  di  magnesia   *i. 

Dal  che  si  vede  essere  nei  due  umori  i  principi  componenti 
quasi  identici.  In  secondo  luogo  osserveremo  che  bene  spesso 
1'  acqua  idropica  non  è  simile  allo  siero  del  sangue,  giacché 
in  essa  manca  affatto  l'albumina,  principio  costituente  dello 
siero  del  sangue  ^  come  lo  ebbe  a  dimostrare  più  volte  Mor- 
gagni ,  e  diffatti  esposta  al  fuoco  svapora  interamente  senza 
coagularsi.  Finalmente  la  quantità  dell'albumina  contenuta  nell' 

*i  Notisi  che  il  solfato  di  potassa  ,  il  solfato  di  ferro  e  di  magnesia  viene  in 
quantità  minima  trovato. 


281 

acqua  idropiea  varia  costantemente  secondo  la  natura  e  la  sede 
della  collezione  idropica.  Che  se  alcuni  autori  trovarono  que- 
sto umore  analogo  allo  siero  del  sangue  ,  ciò  prova  soltanto  la 
cosa  essere  stata  così  in  quelli  che  essi  esaminarono,  ma  non 
distrugge  le  altrui  contrarie  osservazioni. 

Esposte  quindi  in  modo  istorico  le  principali  opinioni  sulla 
causa  prossima  dell'  idrope ,  nel  che  non  possiamo  che  lodare 
la  di  lui  pazienza,  passa  l'autore  in  un  altro  capo  a  dare  la 
propria  opinione  che  è  la  seguente  : 

»  Tutte  le  raccolte  sierose  non  possono  altrimenti  essere  che 
»  il  prodotto  di  un  trasudamento  di  siero  trapelato  per  ì  pori 
»  inorganici  delle  vene  indotto  da  una  causa  impediente,  o  ri- 
»    tardante  il  corso  del  sangue,  u 

La  sentenza ,  siccome  ognun  vede ,  è  perentoria.  Dopo  di 
questo  credevamo  che  egli  ci  dimostrasse  questi  pori  inorga- 
nici ,  e  ci  adducesse  prove  dimostrative  di  questa  trasudazione. 

Ma  egli  invece  arreca  una  serie  di  esperimenti  e  di  osserva- 
zioni ,  dalle  quali  risulta  che  la  compressione,  l'otturamento, 
la  legatura ,  il  ristringimento  delle  vene  ritardando  ed  impe- 
diendo  il  ritorno  del  sangue  ,  dava  luogo  all'  idrope. 

Ciò  era  già  stato  da  diversi  altri  osservato  prima  di  lui.  Ed 
ammettendo  che  la  cosa  sia  costantemente  così ,  non  ne  se- 
guirà certamente  che  1'  idrope  debba  avere  luogo  per  i  pori 
inorganici  delle  vene.  Quelli  stessi  che  ciò  sostennero ,  affer- 
marono fosse  lo  spandimento  per  aumento  di  esalazione  da  essi 
attribuita  ai  pori  inorganici  delle  arterie  capillari  *i.  Una  tale 
opinione  però  combattuta  venne  daHaller,  Fordyce ,  Hewson , 
Cruickshank  ,  Bichat ,  e  Boerrhave  ,  e  pare  non  si  possa  soste- 
nere: I.  pel  caso  delle  idropi  saccate  che  rimangono  cosi  per  anni 
interi  senza  progredire:  2.  perchè  nulla  prova  questo  trasuda- 
mento durante  la  vita  :  3.  perchè  questi  pori  inorganici  ninno 
li  vide.  Né  più  è  probabile   che   questo  trasudamento    succeda 

*i  Ma  queati  autori  negando  con  Dumas  e  molti  recenti  i  vasi  esalanti,  at- 
tribuivano ogni  esalazione  a  questi  pori  ;  mentre  secondo  il  Borgialli  ,  questo 
trasudamento  dell'  idrope  sarebbe  luti'  altro  affare  che  un'esalazione  aumentata. 
Onde  egli  viene  ad  ammettere  vasi  propri  destinati  all'  esalazione  ,  lasciando  ai 
pori  inorganici  venosi  il  trasudamento  morboso. 


282 

per  i  pori  venosi ,  perchè  se  questi  pori  esìstessero  e  permet- 
tessero così  facilmente  1'  uscita  dello  siero  ,  1'  idrope  sarebbe 
consecutiva  a  tutte  le  varici  venose  j  ed  allora  il  sangue  rima- 
nente sarebbe  poverissimo  di  siero,  mentre  il  fatto  ci  dimostra 
che  ne  è  sopracarico.  Non  possiamo  pertanto  noi  concepire 
che  il  ritardo  di  circolazione  venosa  induca  un  ritardo  in  tutta 
la  circolazione  ,  quindi  turgore  nei  capillari ,  e  maggiore  atti- 
vità negli  esalanti  ,  che  da  alcuni  si  considerano  come  un'ap- 
pendice di  questi?  Benché  nissuno  abbia  veduto  questi  vasi  esa- 
lanti ,  è  più  naturale  di  ammetterli  che  di  non  ammettere  i 
pori  inorganici. 

Non  si  potrebbe  anche  meglio  spiegare  l' idrope  che  accom- 
pagna questo  ritardo  di  circolazione  per  difetto  di  assorbimento 
nelle  estremità  venose?  Assorbimento  ammesso  ora  dalla  più 
parte  dei  fisiologi  ,  e  di  cui  si  servono  appunto  i  moderni  pa- 
tologi per  ispiegare  questa  specie  d' idrope  ?  Assorbimento  di 
cui  r  autore  non  fece  neppure  parola  ,  mentre  una  tale  opi- 
nione era  almeno  degna  di  una  confutazione  se  egli  credeva 
di  poter  avere  forza  bastante  per  ciò  fare  ? 

All'  opposto  egli  dà  per  dimostrata  la  comunicazione  tra  i 
linfatici  e  le  estremità  venose  annunziata  dal  Lippi ,  a  mal- 
grado che  a  questa  opinione  ostino  le  sperienze  contrarie  di 
Panizza  e  di  Antomarchi  che  smentiscono  questo  preteso  fatto  , 
dicendo  che  se  i  liquidi  passarono  dai  linfatici  nelle  estremità 
venosiB,  ciò  accadde  per  effetto  di  rottura  e  non  già  naturalmente. 

Ma  r  autore  stesso  non  può  a  sé  dissimulare  che  vari  fatti 
tendono  a  provare  potervi  essere  ritardo  di  circolazione  venosa, 
senzaché  ne  succeda  idrope  ,  egli  però  dice  che  in  questi  casi 
la  circolazione  si  effettuava  per  mezzo  dei  vasi  laterali.  Ma  per- 
chè questa  circolazione  sarassi  potuta  effettuare  una  volta  e  non 
tin'  altra  e  non  sempre  ,  come  crede  Bichat  ,  e  come  necessa- 
riamente debbe  accadere  ,  perché  ove  la  circolazione  venga  af- 
fatto in  qualche  parte  impedita,  non" già  l'idrope,  ma  la  morte 
sarebbe  conseguenza  inevitabile  ?  L'  autore  non  lo  dà  questo 
perchè  ,  ma  si  contenta  di  dire  che  non  dobbiamo  credere  a 
Bichat;  quantunque  nella  sperienza  di  Lower,  da  lui  arrecata, 
la  morte  abbia  in  poche  ore  succeduto  all'impedita  circolazioni;. 


283 

Passando  poi  agli  argomenti  coi  (Juali  tenta  combattere  le 
altrui  opinioni  sull'  idrope ,  e  prima  di  tutte  quella  che  la  fa 
dipendere  da  un  disequilibrio  tra  1'  assorbimento  e  1'  esalazio- 
ne,  egli  fonda  tutti  i- suoi  argoriiebti  sull'opinione  che  ai  soli 
linfatici  competa  l'assorbimento,  perciò  nulli  sono  questi  argo- 
menti finché  esso  non  dimostri  non  darsi  assorbimento  venoso. 
Egli  è  poi  assai  singolare -il  modo  con  cui  esso  spiega  il  prohto 
riprodncimento  nelle  acque  neir  ascite  dopo  sofferta  la  para- 
centesi  ,  «  che  ci  suggerisce  ,  dice  egli ,  il  repentino  accumu- 
»  lamento  delle  acque  dopo  la  paracentesi ,  se  non  una  atti- 
V  ti  vita  sorprendente  dei  linfatici  ,  che  colle  loro  boCcuccie 
»  esterne  assorbono  dall'  atmosfera  1'  acqua,  che  trasportano 
))  quindi  nella  corrente  sanguigna  ?  »  Quantunque  non  si  possa 
negare  1'  assorbimento  cutaneo  ,  ad  ottenere  un  così  pronto  ri- 
producimento  delle  acque  converrebbe  che  fosse  V  atmosfera 
un  mare  di  vapori;  e  l'autore  ha  dimenticato  interamente  che 
gli  ascitici  di  cui  parla  hanno  una  sete  inestinguibile  e  bevono 
eccessivamente  ? 

Siccome  nissuno  di  tutti  gli  altri  suoi  argomenti  tende  a 
provare  questo  venoso  trasudamento  ed  essi  ci  prenderebbero 
troppo  tempo  ,  ci  contenteremo  di  accennarne  alcuno.  Egli  dice 
che  l'analogia  tra  lo  siero  dei  vescicanti  e  quello  degli  idropici, 
da  Geromini  e  da  varj  altri  osservata,  non  può  sussistere:  i: 
perchè  non  havvi  analogia  di  umore ,  quantunque  spessissimo  non 
analogia  ma  identità  si  osservi,  perchè  lo  siero  dei  vescicanti 
ora  è  limpido,  trasparente,  inodoro,  ora  più  denso  e  quasi  ge- 
latinoso come  l' acqua  idropica  ,  dietro  le  osservazioni  gene- 
rali. 2.  Perchè  nei  vescicanti  l'effusione  è  secondaria  di  una  le- 
sione di  aderenza  e  di  continuità.  Non  sappiamo  noi  adunque 
che  il  vescicante  opera  sulla  cute  per  semplice  irritazione  ,  au- 
mentando cosi  r  esalazione,  che  continuamente  si  effettua  alla 
superficie  della  cute  ?  Non  vediamo  forse  succedere  la  mede- 
sima cosa  dall' azione  dell' acqua  bollente,  dell'ammoniaca,  o 
di  altro  irritante  esterno  ?  La  separazione  della  cute  dalla  cuti- 
cola non  è  forse  effetto  dell'accumulamento  dell'umore  esalato  , 
siccome  è  facile  ad  ognuno  di  vedere?  Non  sappiamo  noi  che  la 
cuticola  non  offre  né  vasi,  né   nervi,  e  secondo  l'opinione  gè- 


284 

nerale  u(m  è  che  l'effetto  di  una  naturale  secrezione?  Come 
dunque  ammettere  coU'autore  che  la  formazione  di  queste  v'e- 
scìche  è  precedif.ta  da  un  ammortimento  di  tessuto  ,  da  una 
lesione  di  aderenza  e  di  continuità  e  formato  da  quel  liquido 
che  possono  versare  i  vasi  offesil  Non  si  troverehh.er.il*  tal  Cfii^p 
sangue  misto  collo  siero  nelle  vesciche  prodotte?,   ;,)....:>   ;  .. 

Di  questo  genere  sono  la  più  parte  degli  argomenti  addotti 
dall'  autore.  Egli  finisce  però  per  concedere  che  la  distruzione 
di  ghiandole  o  di  qualche  insigne  tronco  linfatico ,  la  debo- 
lezza ,  r  infiammazione  ,  la  pletora ,  lo  spasmo  ,  i  vizi  organici 
e  la  nefrite  possono  hensi  a  loro  posta  produrre  l' idrope  ,  ma 
solamente  in  quanto  che  ritardano  la  circolazione  venosa  e 
danno  luogo  a  questo  suo  creduto  trasudamento,  che  egli  non 
cerca  menomamente  di  provare. 

Ma  quand'  anche  volessimo  pure  ammettere  per  vera  questi^ 
sua  proposizione  nuda  finora  affatto  di  prove ,  qual  ', vantaggio 
ne  risultjerebbe  per  la  medicina  pratica  ?  Come  potrassi  giun- 
gere a  togliere  questa  lentezza  di  circolazione  ,  se  nop  allentar 
niamo  le  cause  che  la  producono  ?  Come  impedirassi  questo 
morhoso  trasudamento,  se  non  col  ristabilire  l'attività  della  cir- 
colazione, togliendo  le  cause  che  la  rallentano?  E  qualora 
insuperabili  sieno  codeste  cause,  che  altro  ci  resta  a  fare  so 
non  se  a  combatterne  gli  effetti  promuovendo  il  riassorbimento 
di  questo  fluido,  o  procurandone  nieccanicamente  l'espulsione, 
come  finora  da  tutti  si  è  fatto  ?  Una  prova  di  questo  ci  som- 
ministra l'autore  medesimo  nella  storia  di  una  ascite  da  lui 
trattata  ed  in  fondo  dell'opuscolo  riferita,  in  cui,  dopoché  egli 
ehbe  inutilmente  impiegati  successivamente  la  digitale,  i  diure- 
tici salini,  la  squilla,  i  drastici,  ogni  sorta  di  rimedi  stimolanti 
e  controstimolanti  y  narcotici  ed  irritanti  j  misti  e  separati ,  l'am- 
malata non  guarì  ,  finché  dopo  la  ^5.  operazione  di  paracen- 
tesi,  la  natura  indispettita,  per  modo  di  dire,  riprese  il  pro- 
prio impero  e  ristabilì  la  menstruazione ,  il  di  cui  interrora- 
pimento  aveva  dato  origine  alla  malattia. 

Tralasciamo  poi  di  fare  alcuna  osservazione  sullo  stile  dell' 
autore  ,  perché  una  tal  briga  la  lasciamo  ai  gramatici  ,  lo  av- 
vertiamo però  che  questo  debbe    essere  almeno  chiaro   e   non 


285 

porre  il  lettore  nel  caso  di  doversi  lambiccare  il  cerviino   per 
poter  intendere  il  significato  dello  scritto. 

Finiamo  poi  confortandolo  a  prosegwire  animosamente  nella 
carriera  cominciata,  poiché  non  a  tutti  riesce  interamente  un 
primo  tentativo  e  speriamo  che  non  vorrà  prendere  a  male  le 
fattegli  osservazioni  ,  poiché  fu  nostro  scopo  nel  farle  di  atte- 
nerci fedelmente  alla  epigrafe  del  Giornale: 

MoQ  ita  certandi  cMpidus  sed  propter  amorem 
veritatis. 

A.  a  Maffoni  M.  C. 

■*■•"  -         "  '     >  ■  ■      .1   ■         «  .  I   J   t  I  J   -   !■■     ■  ■  '■      I  .     L  -    I   I 


Caroli  Boucheròni  Oràtio  habita  in  R.  Taurinensi  Athenueo 
ni.  non.  novembr.  an.  MDCCCXXXVI. 

(Taurini,  edentìbus  Chirìo  et  Mina  in  vico  Padano). 

Orazione  pel  giorno  onomastico  di  S.  M.  il  Re  Carlo  Alberto 
recitata  nella  grand"  aula  della  Regia  Università  di  Torino 
il  giorno  IV.  di  noi^embre  MDCCCXXXVI  dal  Cav.  Pier -Ales- 
sandro Paravia  professore  di  eloquenza  italiana. 

(  Torino  ,   tipografia   Chirio  e  Mina  ). 


Le  due  lodate  orazioni  dei  chiarissimi  Professori  venivano  a 
luce  quasi  ad  un  parto  sei  mesi  circa  addietro.  Stupirà  forse 
alcuno  de' nostri  più  severi  lettori,  come  dopo  sì  lungo  inter- 
vallo ,  grande  mortalis  aevi  spatium;  essendo  già  alle  due  an- 
nunziate scritture  venuto  meno  il  pregio  della  novità,  orna- 
mento principale  di  molti  scritti  e  precipua  attrattiva  a  non 
pochi  leggitori  ,  noi  assumiamo  poi  qui  il  tardo  uJIIzio  di  ra- 
gionarne, come  di  cosa  venuta  novellamente  nel  dominio  della 


286 

lelteratura,  e  della  critica  giornalistica.  Se  le  due  orazioni,  di 
-cui  qui  si  favella,  non  fossero  altro  che  un  puro  sfoggjo  di 
lusso  accademico,  se  altro  meritp  jiop  ;avessqrQ  tranne  quello 
d'aver  continuata  una  consuetudine  antica  ,  e  d'essere  apparse 
con  non  volgar  splendidezza  alla  luce,  sei  mesi  di  tempo  tras- 
corsivi sopra  ne  avrebbero  forse  ornai  spenta  al  tutto  la  breve 
nominanza,  e  disutile  ufficio  imprenderebbe  la  penna  del  lo- 
datore, che  s'affaticasse  a  volerle  suscitar  dall' obblio.  Allora 
potremmo  noi  venir  qui  meritamente  rimproverati  di  servo 
encomio,  volendo  dar  nome  e  lode  a  cose  già  per  la  loro  nul- 
Iczza  dimenticate.  Ma  la  nobiltà,  e  l'eccellenza  di  queste  due 
orazioni  e  fors'anche  il  nostro  costume  alieno  per  natura  da 
ogni  lusinga  adulatrice  rimoveranno  da  noi  cotale  taccia  5  ed 
i  nostri  lettori  ci  sapran  forse  grado  d'aver  richiamata  la  loro 
attenzione  sopra  due  pregiate  scritture,  sebbene  non  più  af- 
fatto recenti;  perocché  l'età  comunque  lontana  non  nocque 
mai  alle  cose  belle  e  generose. 

Dimostrare  i  grandi  beni ,  che  all'umana  società  derivarono 
dall'  assidua  efficacia  delle  letterarie  ,  e  scientifiche  discipline , 
vendicarle  da  alcune  antiche  ,  ed  oltraggiose  accuse  cui  talvolta 
la  malignità,  più  spesso  l'ignoranza  mosse  loro  contro  ,  tale  è 
il  tema ,  che  prese  a  trattare  tutto  conveniente  all'occorrenza, 
tale  lo  scopo  ,  che  si  propose  nella  sua  orazione  l'illustre  Prof. 
Cav.  Carlo  Boucheron.  Quod  si  ,  con  queste  parole  chiude  l'o- 
ratore il  suo  splendido  esordio ,  quod  si  ex  historia  barhariae 
et  humanitatis  conficiam  quid  literae  sìnt ,  ut  obiurgantium  ca- 
lumnias  diluam ,  imposito  mihi  muneri  satisfecisse  arhitrahor. 
Pervetus  argumentum  est  ,  quod  tamen  diverse  prò  varia  tem- 
porum  ratione  postulai  tractari. 

L'antichità  del  soggetto  fu  vinta  dalla  novità  del  trattarlo  , 
e  il  vecchio  tema  in  certo  modo  ringiovanito  con  pensieri  ac- 
comodati all'età,  forti,  e  sentiti.  Gli  antichi  e  recenti  conati 
dell'umano  intelletto,  i  suoi  stupendi  conquisti,  il  continuo  av- 
vicinarsi insomma  della  gran  curva  intellettuale  al  suo  assintoto 
furono  mirabilmente  toccati    nella  prima  parte   dèlia  orazione. 

Nella  seconda  vennero  arditamente  combattuti  i  caluuuialori 
delle  lettere,  proprio  augelli  nollurni  incontro  al  soie  ,  cui  pesa 


287 

la  diva  luce  ,  che  ogni  cosa  ricrea  e  solo  è  cara  la  tenebra  ,  e 
lo  squallor  della  notte.  Ed  a  coloro  ,  che  dalla  scienza  temono 
danno  alla  religione  si  rivolge  chiedendo  utrum  melius  de  reli- 
gione sentiat,  qui  maximam  ipsius  corn^enientiam  esse  putat  cum 
ratione,  an  qui  repugnantiam.  Quid  sibi  vult  monstruosum.  hoc 
foedus  religionis  cum,  ihscientia?  an  si pii  sumus  repuerascimus ? 
E  rappresentata  quindi  con  grande  efficacia  d'eloquenza  l'ima- 
gine  d'alcuni  secoli  più  fecondi  di  turbamenti,  e  mostratene 
le  veraci  cagioni,  conchiude  interrrogando  coloro,  che  alle  let- 
tere danno  carico  degli  umani  rivolgimenti:  quando  sempiterna 
quaedam  et  arcana  vis  nihil  quietum  esse  patitur ,  id  velini  a 
nostris  ohiurgatoribus  rescire,  cur  tot  vicissitudinum  culpam  in 
Literas  transferant  ? 

Quest'orazione  ,  la  quale  noi  riputiamo  una  delle  migliori  tra 
le  molte  scritte  fin  qui  dal  chiarissimo  Prof.  Boucheron,  è  det- 
tata colla  nobile  franchezza  di  chi  sente  dentro  da  sé  profon- 
damente la  forza  del  conceputo  vero.  Noi  non'  ci  stenderemo 
qui  a  notarne  la  grave,  e  severa  eloquenza,  la  squisitezza  del 
dire.  Chi  non  sa ,  che  l'illustre  Cav.  Boucheron  ha  come  tras- 
fuso in  se  stesso  le  grazie ,  la  venustà ,  lo  splendore  dei  grandi 
maestri  del  Lazio,  svolti  da  lui  con  mano  notturna  e  diurna  ? 

Al  tema  trattato  con  tanta  dignità  dall'egregio  sig.  Professore 
Boucheron  si  lega  in  qualche  modo  quello  condotto  con  va- 
ghissima eleganza  di  forme,  splendor  di  locuzioni,  altezza,  e  se- 
verità di  concetti  dall'  esimio  suo  collega  Cav.  Pier-Alessandro 
Paravia.  Alle  lodi  delle  lettere  ei  fé'  succedere  quelle  del  Prin- 
cipe che  con  tanto  favore  le  protegge  e  promuove.  Il  suo  en- 
comio non  fu  intemperante  ,  ma  giusto  ;  con  avveduto  consi- 
glio ei  fece  sì  ,  che  la  lode  del  Principe  emergesse  piuttosto 
dai  fatti  ,  che  dalle  sue  parole.  Egli  lodò  il  Re  Carlo  Alberto 
non  tanto  di  quelle  splendide  qualità  ,  che  accrescono  orna- 
mento ai  regni  ,  quanto  di  quelle  più  importanti  ,  che  s'ado- 
perano a  migliorarne  la  sorte.  E  si  distese  perciò  con  parti- 
colar  compiacenza  a  favellare  del  novello  codice,  a  cui  è  ora 
rivolta  l'espettazione  di  tutto  il  regno  ,  e  che,  diceva  l'oratore, 
«  ove  degnamente  risponda  all'  intendimento  del  Re ,  che  lo 
volle,  al  bisogno  della  nazion  che  lo  aspetta,  e  alla  coscienza 


288 

eli  que'  ,  cVie  il   discutono  non   è  dubbio  che  segnerà  per  lutti 
noi   un'  epoca  di  civile  restaurazioue.  » 

Jj'  Orazione  del  sig.  Cav.  Paravia  procede  dal  principio  al 
fine  dilicata  ,  adorna,  briosa,  disinvolta.  Diremmo,  che  imiti 
essa  le  forme  gentili  d'  un'  aggraziata  fanciulla  ,  mentre  quella 
del  sig.  Cav.  Boucheron  rappresenta  le  nobili  forme  d'una  di- 
gnitosa matrona. 

G. 


DIZIONARIO    GEOGRAFICO -STORICO    ECC. 

del  prof.  Goffredo  Casalis. 


.  I;  un    lirp  . 

È  stato   pubblicato    in  questi  ultimi    giorpi    il   fascicolo   12, 

primo  del  quarto  volume  del  Dizionario  Geografico-Storico- 
Statistico  -  Commerciale  degli  Stati  di  S.  M.  il  Re  di  Sarde- 
gna ,  composto  dal  benemerito  sig.  Prof.  Goffredo  Casalis.  Le 
cose,  che  vi  si  comprendono  sono  scritte  con  quel  maturo 
senno ,  con  quella  dottrina  ,  con  quella  coscienziata  probità  , 
che  tanto  resero  accetta  finora  a  tutti  i  buoni  la  pubblicazione 
di  quest'opera.  Si  contengono  in  questo  fascicolo  gli  articoli  di 
21  Comuni  dei  R.  Stati  di  Terraferma  5  otto  de' quali  sono 
Capo-luoghi  di  Mandamento.  Vi  si  trovano  inoltre  sei  capi  ri- 
guardanti sei  luoghi  non  eretti  in  comune  ,  ma  notabili  per  le 
storiche  notizie,  che  ad  essi  appartengono.  V  ha  la  descrizione 
del  monte  Cassino,  ed  alcuni  cenni  sopra  96  terrlccluole  po- 
chissimo conosciute  ,  e  rimarchevoli  nondimeno  per  istoriche 
reminiscenze.  Di  ciascuna  di  queste  l'Autore  ha  dato  raggua- 
gli, che  possono  riuscir  graditi  agli  amatori  delle  cose  patrie. 
Gli  articoli  di  maggiore  importanza  cosi  per  la  parte  coro- 
grafica,  come  per  quella  ,  che  concerne  la  storia  sono  Caselle, 
Castagneto,  Castagnole  d'Asti,  Casteldelfino ,  Castell' Alfieri  , 
Castellamonte ,  Castellar  di  Sai  uzzo  ,  Castelletto  del  Cervo,  Ca- 
stelletto d'Orba,  Castelmagno,  Castelnuovo  di  Nizza,  e  sopra 
tutti  Castellazzo  d'Alessandria,  e  Gasleggio. 

G. 


289 

VEDISI    DI    AGOSTIIXO    CAGIVOLI    AEGGI^ilHO 

Pjalo,    i836. 


Havvi  una  poesìa ,  che  mi  prende  vagheiza  di  cliiamarla  Ro- 
mitica.  Essa  appartiene  a  que'  poeti  ,  che  lontani  dallo  espri- 
mere ,  come  la  più  parte  fanno,  le  idee,  i  bisogni  e  le  ten- 
denze del  secolo ,  par  che  punto  non  ritraggono  da'  proprii 
tempi  ,  e  neutrali  fra  tutte  le  passioni  contemporanee  ,  si  con- 
centrano in  se  stessi  per  farsi  di  quando  in  quando  interpreti 
al  pubblico  di  ciò  che  s'agita  nei  penetrali  della  lor  anima.  Li 
vorremo  noi  biasimare  come  orgogliosi  ,  che  non  veggono  al 
mondo  fuori  del  loro  m« ,  cosa  degna  di  contemplazione  :  o 
come  certi  egoisti,  che  in  tempi  calamitosi  rifuggono  nella  so- 
litudine ,  e  fanno  del  vantato  fastidio  del  mondo  pretesto  alla 
lor  codardia,  che  abborre  dal  comportare  il  fascio  de'  comuni 
dolori  ?  Né  r  uno  ,  né  1'  altro.  Non  tutte  1'  anime  che  sentono 
son  fatte  per  riflettere  come  prisma  i  colori  delia  propria  età. 
Ve  n'  ha  di  sì  tenere  e  delicate  ,  che  lo  strepito  delle  pub- 
bliche cose  le  introna  si,  di' esser  vorrebber  sorde  j  le  confri- 
cazioni sociali  le  logorano;  il  vortice  degli  eventi  non  che  ineb- 
briarle  d'  entusiasmo  ,  le  colpisce  di  stordimento.  Sono  ritrose 
e  solinghe  come  il  giglio  della  convalle  :  e  dispregerem  noi  que- 
sto fiore  ,  perchè  la  polvere  delle  vie  noi  contamina  ,  né  il 
vento  de'  vasti  piani  l'agita  o  lo  sfronda  giammai? 

Poeta  di  tal  fatta  è ,  per  quanto  sembra  da'  suoi  primi  saggi , 
il  sìg.  Agostino  Gagnoli.  Le  cose  del  mondo  par  che  noi  toc- 
chiu  per  nulla:  dico  del  mondo  sociale,  poiché  in  licambio  egli 

i8 


290 

si  mostra  insaziabilmente  avido  d'  ispirarsi  al  tranquillo  spet- 
tacolo della  bella  natura ,  e  all'  aure  di  un  purissimo  amore. 

Lasciando  altrui  il  sentenziare  se  un  amor  scevro  d' ogni 
carnai  desiderio ,  un  amore  platonico  ,  o  per  adoperare  più  mo- 
derna frase,  un  amore  d' artista  (  quello  cioè  che  i  bravi  artisti 
sentono  pei  capi  d' opera  dell'  arti  belle  )  abbia  mai  albergato 
in  petto  umanOj  certo  si  è  che  un  amor  di  tal  sorta  dai  tro- 
vatori in  qua  fece  pur  sempre  parte  del  linguaggio  poetico  :  e 
oggidì  pure  que'  poeti  francesi  stessi ,  che  pajono  aver  per  mis- 
sione di  strappar  l'amore  dalle  braccia  della  Venere  celeste,  e 
nudo  d'  ogni  velo  tornarlo  in  grembo  ad  una  Venere  terrestre 
e  profana ,  que'  poeti  medesimi  non  sepper  talvolta  resistere 
air  incanto  di  pingere  un  amore  tutto  spirituale  e  verecondo. 
Esempio  ne  sia  il  Didier  di  Vittor  Ugo.  Peraltro  non  è  un 
amore  siffatto  ,  che  per  quanto  sia  puro  ,  è  pur  sempre  im- 
prontato del  comun  marchio  della  moderna  poesia  5  non  è  il 
delirante  ed  entusiastico  amore  del  romanzo  o  del  dramma  che 
il  Gagnoli  va  esprimendo  qua  e  là  ne'  suoi  versi  :  bensì  un 
amor  placido  e  malinconico,  che  esala  mollemente  in  mesti  lai 
e  in  dolci  sospiri  ;  1'  amor  della  vita  Nuova  e  del  Canzoniere. 

Delle  rime  di  questo  giovine  autore  pubblicossi  in  Prato  una 
raccolta  ,  nella  quale  scorgemmo  pur  anche  i  Versi  alla  Luna , 
che  in  una  delle  distribuzioni  dello  scorso  anno  abbiamo  noi  , 
e  non  immeritamente ,  lodati.  Sia  di  queste,  che  dell'altre  poe- 
sie in  detta  raccolta  comprese  ,  siccome  abbastanza  conosciute, 
non  ne  citeremo  nessuna  :  ma  invece  faremo  che  questa  breve 
scrittura  sia  seguita  da  due  canzoni  del  Gagnoli  stesso  ,  perchè 
inedita  1'  una  (  crediamo  ) ,  1'  altra  pubblicata  di  recente ,  non 
fanno  parte  dell'  edizione  di  Prato  5  e  perchè ,  tranne  forse  po- 
chissimi nei,  ci  parvero  e  per  mirabile  grazia  e  soavità  di  di- 
zione ,  e  per  gentilezza  di  pensieri  assai  commendevoli. 

La  fragranza  tutta  classica  ,  che  spira  dalle  poesie  del  gio- 
vin  Reggiano  ,  senz'ombra  di  contaminazione  straniera,  le  farà, 
non  ne  dubitiamo ,  per  eia  solo  accettevoli  a  molti,  Per  verità 
hann'  esse  generalmente  una  gran  bellezza  di  forme  :  che  se  il 
pensiero  ,  che  le  anima,  tenue,  sfumato  ed  uniforme  qual  è, 
agli  occhi  de' più  fsa'  moderni,  usi  ad  esser  colpiti,  dirò  così,  do. 


291 

sceniche  tinte,  sfuggisse  in  modo  da.  farle  parer  quasi  vuote,  tolga 
il  cielo  che  tali  le  etimiam'  noi ,  che  amiamo  di  preferenza  le 
bellezze  modeste  e  velate  -,  noi  che  sappiamo  quanto  il  ben  in- 
tendere e  gastare  Petrarca  sia  grande  indizio  d'  anima  bella  e 
gentile.  Sokanto  ci  sia  lecito  muovere  il  dubbio  ,  se  da  Petrarca 
ini  qua  il  modo  di  sentire  o  almeno  di  esprimere  non  sia  tanto 
cangiato,  che  chi  s' arrischii  d' imitare  quell'antica,  conaun- 
que  bella  maniera,  non  trapianti  gli  alberi  d'un  secolo  nel  ter- 
reno d'un  altro,  dove  più  non  potranno  produrre  que'  saporiti 
frutti,  che  già  produssero  nel  terreno  natio?      .•  ,    Ìj'-^ 

Delle  poesie,  di  cui  ragiouiamo ,  parlò  non  è  gran  tèmpo 
con  molto  onore  un.  gioraial«i'.  ìe  di  ciò  noi  gli  sappiamo  buon 
grado  ,  amanti  quali  siamo  del  vero  ,  e  conscii  far  santo  uf- 
ficio coloro  ,  che  incoraggiano  anzi  che  deprimere  gì'  ingegni 
nascenti.' Vero  è  che  il  genio  ,i<sevvero  genio  è,  trioni  idi  ;^>tbi 
gli  ostacoli:  vero  è  altresì  che  l'esperto  cultore  troncar  suole 
di  giovine  pianta  quegl'  inutili  germogli,  che  pullirlan  ;su  pel 
fusto  ,  acciò  quel  suco  che  a  nutrire  viziosi  virgulti  n'  andrebbe 
disperso  per  via ,  tenda  diritto  al  vertice,  e  sovra  un  robusto 
tronco  schiuda  un  ampio  c-esto  di  rigogliosi  rami.  Per  altro  il 
conoscere  i  buoni  dai  cattivi  germogli  ,  e  il  troncar  questi  senza 
aprire  nell'albero  una  profonda  ferita  ,  che  imbozzacchire  lo  fac- 
cia ,  hoc   opus  y  hic  labor  est. 

Ma  non  meno  che  dall'ingiuria  è  dovere  di  chi  giudicata d 
giovani  ingegni  il  temperarsi  dall'  adulazione.  Dico  i  giovani  : 
non  che  io  creda  beli'  opera  il  vituperare  o  1'  incensare  i  ma- 
turi :  ma  perchè  questi  almeno  si  presumon  avere  e  dall'  età 
e  dall'  esperienza  bastante  virtù  per  resistere  ai  contrasti  e  alle 
seduzioni.  Ma  chi  prende  a  giudicare  un  autore  esordiente,  as- 
sume in  sé  la  risponsabilità  d'  un  educatore.  Quindi  ,  siccome 
a  qualunque  altezza  sia  per  giungere  questo  od  altro  qualsivo- 
glia scrittore  ,  non  ci  vedranno  mai  dall'  invidia  mossi  tentar 
di  sfrondargli  il  suo  alloro  ,  acciò  non  aduggi  il  nosti'o  umile 
arbusto  ;  cosi  l'amore  di  una  novella  nominanza  non  ne  pone 
ora  sulla  penna  lodi  cosi  assolute  ed  inebbrianti  ,  che  lo  affa- 
scinino ed  addormentino  al  suono  delle  lusinghe.  Perciò  con- 
Senlendo    col    giornalista    prelodato    in    tutte   1'  altre  parli    del 


292 

suo  giudizio  ,  non  vorremmo  che  a  scusare  il  Gagnoli  del  di- 
fetto di  robusti  pensieri ,  avesse  detto  che  il  secol  nostro  pieno 
<^i  perturbazioni  sociali  e  d' intemperanti  passioni ,  ha  bisogno 
non  di  forti  accenti  risvegliatori  ,  che  già  è  svegliato  fin  troppo  : 
ma  all'  opposto  di  voci  soavi  ed  assopitrici. 

Perocché ,  rispondiam  noi ,  la  voce  stessa  d' Orfeo  possente 
«  lenire  i  rabidi  leoni ,  e  addormentar  Cerbero  sul  limitare 
d'  Averno  ,  nel  frastuono  delle  odierne  contèse  suonerebbe  in- 
ascoltata :  e  il  secol  nostro  ha  bisogno  anzi  d'  una  voce ,  che 
gridi  più  forte  di  lui  ,  che  delle  molte  sue  ambizioni  e  pas- 
sioni conciti  soltanto  le  generose  e  le  indirizzi  a  buon  fine  :  che 
quell'energia,  che  frutto  già  di  grandi  rivolgimenti  e  di  guerre^ 
dalle  azioni  "è  nel  successivo  ozio  passata  ai  pensieri  j  e  che 
ora  per  mancanza  di  un  degno  e  universalmente  consentito 
scopo  si  logora  qua  e  là  in  vani  e  non  sempre  onorevoli  co- 
nati ,  questa  energia  che  è  pure  il  vanto  del  nostro  secolo ,  la 
rivolga  verso  di  una  comune ,  santa  ed  arrivabile  meta ,  il  per- 
fezionamento degli  individui  e  dei  popoli  per  mezzo  di  tutte 
le  private  e  le  sociali  virtù.  Certo  il  Petrarca ,  quando  rivolse 
uno  sguardo  alla  terra  natia ,  e  la  vide  lacerata  dappertutto  da 
guerre  intestine ,  e  da  barbariche  genti  calpestata  e  derisa  , 
certo  non  tentò  addormentarla  con  note  soavi ,  acciò  perdesse  il 
sentimento  de'  proprii  dolori  ;  ma  deposta  la  cetra  amorosa  , 
iutuonò  queir  eroico  suo  canto  : 


Italia  Olia,  benché  i!  partar  sia  indaiOQ. 


Carlo  Marenco. 


293 

3n  irrotte  "Si  ^utvia  ©«vati  -  3^*fctm 


CAIVZONE 


Di  lieve  orma  fuggente 

Segnò  la  terra ,  e  stanca  ,  in  un  desio 

Dalla  diletta  gente 

E  dal  sole  prendea  1'  ultimo  addio  : 

E  in  quella  parte  dove  il  tempo  è  morto  , 

E  che  ad  eterni  rai  s'  imprimavera  , 

Per  lo  sentier  pili  corto, 

Come  r  aura  del  ciel  corse  leggiera. 


Dolce  bacioUa  in  viso 

L'Angiol  che  sempre  la  vegliò  terrena: 

E  nuova  al  Paradiso 

In  quella  fronte  aprì  stella  serena  ; 

Poi  mise  la  celeste  creatura 

Entro  gli  arcani  delle  belle  cose 

Divise  da  natura 

Pel  velo  azzuiTO  che  le  tiene  ascose. 


L'  eletta  pellegrina 

Venne  alle  valli  che  non  san  di  verno, 

E  infloran  la  divina 

Aura  soave  d'  un  odore  etemo  : 

Ivi  nudrito  dalla  dia  presenza 

Sta  il  fiore  di  letizia  e  di  pietate , 

E  r  altro  d'innocenza 

Alle  verdini  imbianca  alme  beate. 


294 

Intorno  si  (liftbnde 

Ineffabil  di  celie  melodia  , 

Cui  da  lungi  risponde 

Quella  che  dai  sommessi  astri  si  cria  : 

Là  ,  chiamate  a  volar  per  tanta  altezza^ , 

Van  le  angeliche  penne  e  di  colori  , 

Di  profumi  e  dolcezza 

Ampi  dietro  di  sé  lascian  tesori. 


Vaga  di  meraviglia 

Senti  crescere  il  voi ,  si  che  le  piume  , 

Come  il  desio  consiglia , 

Levò  sin  presso  al  padiglion  del  Nume. 

Qui  riverente  col  fidato  duce 

Agli  altissimi  templi  si  raccolse, 

Ch'hanno  addobbo  di  luce  , 

E  in  quanto  il  dico  in  quel  splendor  s'avvolse. 


Ma  come  si  distende 

Il  vel  dell'  ombre  sul  terren  cammino  , 

In  silenzio  discende 

Alle  vedove  soglie  il  Cherubino: 

E  allor  che  si  togliea  dalle  immortali 

Case  ,  calando  ai  tenebrosi  campi  , 

Spogliò  il  fulgor  dell'  ali 

Per  non  solcar  il  queto  aere  di  lampi. 


Due  care  pargolette 

Vide  nel  sonno  riposar-  gli  affanni. 

Ei  fi-a  quelle  si  stette  , 

E  al  lor  padre  mirando  aperse  i  vanni 

SI ,  che  al  raggiar  di  tremule  scintille 

Lume  al  ciglio  del  misero  s'  apprese 

Che  ,  schiuse  le  pupille  , 

Tutta  la  santa  vision  comprese. 


295 


CAIVTO 


Chiuso  da  solitudine  romita 

Quando  1'  azzurro  vel  notte  distende  , 

E  più  mesta   la  vita 

D'  innamorate  fantasie  s'  accende  , 

Era  mia  dolce  cura 

Movere  allo  spirar  di  primavera 

Per  la  bella  armonia  della  natura  , 

E  all'  inno  della  sera, 

Che  r  orbe  riverente  innalza  a  Dio , 

Per  me  un  suono  s'  aggiunse  —  Il  pianto  mio  ! 


Mi  parlava  talor  soavemente 

Il  remoto  cader  d'una  fontana, 

Quasi  cetra   dolente 

Che  per  le  taciturne  aure  allontana'. 

Ad  un  sospir  m'  apriva 

Zeffiro  il  seno  in  quella  che  ramingo 

Suir  arpa  melanconica  moriva. 

Diceami:  augel  solingo  , 

Gemi  al  mio  canto  :  il  sasso  che  lo  frange 

L'  estrema  nota  anch'  ei  mormora  e  piange. 


Or  chi  tiemmi  da*  miei  campi  diviso  , 
Chi  mi  toglie  all'  aperto  e  verecondo 
Delle  stelle  sorriso  , 
Alla  notturna  melodia  del  mondo  ?. 
Qual  non  udito   in  prima 
Spirto  di  music'  aura  onnipossente 
Mi  ricerca  gli  affetti  e  li  sublima  , 
Sì  che  l'  agije  mente 
Come  non  stretta  da  terren  costume 
Sente  crescere  al  voi  libere  piume  ? 


296 

il  vero?  0  forse  iUuMon  gioconda 

Che  da  commosso  imaginar  s'informa,- 

E  dalia  bassa  sponda 

Per  vergini  sentier  m'  alza  a  grand'  orma  ? 

O  a  ragionarmi  ancora 

Il  fantastico  mio  Genio  discende, 

Il  Genio  che  le  vane  ombre  colora , 

E  mentre  a  me  s'  apprende  , 

E  de' gaudii  più  puri  all'  onda  bee, 

Mi  spinge  al  fonte  dell'  eterne  idee  ? 


Non  è  fraude  de'  sensi ,  o  del  pensiero 
Larve  ,  che  vario  dagli  affetti  han  manto. 
Sei  tu  ,  Angiolo  vero  , 
Arbitra  d'  armonia  donna  del  canto. 
Son  questi  i  peregrini 
Accenti  che  tu  vibri  entro  dell'  alma , 
E  che  tempri  nei  numeri  divini , 
Onde  r  inerte  salma 
Più  non  grava  lo  spirto  ,  e  non  è  velo 
Che  tutto  quanto  ne  contenda  il  cielo! 


Oh  !  come  di  pietà  ,  di  sdegno  e  amore 
Colori  il  volto  ,  e  atteggi  le  pupille 
Stancate  nel  dolore 
Quando  furtive  in  lo»  premi  le  stille! 
Come  in  sogno  deliro 
Per  la  dolcezza  de'  più  cari  istanti 
Quasi  t'  esce  la  vita  in  un  sospiro  ! 
A  tanta  opra  d'  incanti 

Tutta  in  te,  qual  chi  è  fuor  d'ogni  altra  cosa, 
La  nostra  inebbriata  alma  si  posa^ 


Ahi  !  r  ora  del  diletto  è  fuggitiva , 
E  van  le  gioie  nel  dolor  perdute  ! 
T'  invidia  estrania  riva , 
E  le  mie  notti  si  faranno  mute. 


297 

Volgerò  allora  il  piede"* 

Un'altra  volta  ,  ma  più  mesto  e  lento 

Alla  campestre  mia  vedova  sede  : 

E  là  sempre  nel  vento 

Udir  parrammi ,  come  parte  il  sole  , 

L' ondeggiar  dell'  armoniche  parole. 


0  mio  carme  ,  se  altrui  movi  a  disdegno , 
Perchè  non  vesti  di  miglior  vaghezza  , 
E  non  arrivi  di  sue  lodi  al  segno, 
Di'  :  che  a  si  grande  altezza 
Le  nostre  fantasie  volar  non  sanno , 
E  eh'  ella  troppo  mi  gravò  d'  affanno. 

Di  Agostino  Gagnoli. 


LA      MITOLOGIA 

Descritta  e  dipinta  ossia  storia  metodica  universale  dei  Jais i 
Numi  appresso  i  popoli  antichi  e  moderni j  con  cento  tavole  in 
rame  j  opera  del  sig.  Odolant  Desnos ,  traduzione  dal  francese 
con  correzioni  aggiunte  e  postille. 


(  Torino  1837 ,  presso  Reviglio  ,  in  8.  ) 


Nei  tempi  che  corrono ,  lo  studio  della  mitologia  è  da  molti 
guardato  con  occhio  di  sprezzo ,  e  forse ,  più  di  quanto  vor- 
rebbe ragione ,  negletto  ;  colpa  i  dettami  della  moderna  scuola 
romantica  troppo  largamente  interpretati,  da  coloro  che  alla 
ragione  non  sottomettono  il  libero  e  fervido  immaginare. 


298 

Chi  potrà  infatto  mettere  ia  torse  l'utilità  e  1'  importanza 
della  mitologia,  la  quale  forma  parte  sì  essenziale  dell'  antica 
storia,  e  che  tante  preziose  memorie  ci  conservò  sulla  storia 
fisica  del  nostro  globo,  che  senza  quelle  allegoriche  favole  sa- 
rebbero state  perdute,  e  che  gli  stupendi  progressi  delle  scienze 
geologiche  vennero  così  luminosamente  a  confermare? 

Oltre  a  ciò  essa  formò  per  moltissimi  secoli  la  religione 
delle  due  prime  nazioni  del  mondo  la  Greca  e  la  Romana;  e 
qual  sia  l'influenza  della  religione  sulle  future  sorti  d'un  po- 
polo, quindi  la  necessità  di  un  accurato  studio  perchè  vuole 
ragionevolmente  giudicar  delle  cose  ,  all'  evidenza  lo  dimostra 
quella  venerazione  che  si  conservò  al  culto  de'  miti  per  tanti 
secoli  ancora  da  che  era  stata  quella  religione  bandita  dall'u- 
niverso incivilito. 

Le  lettere  e  le  belle  arti  attinsero  a  quei  purissimi  fonti  di 
grazie  e  di  venustà  le  loro  inspirazioni  ;  le  scienze  se  ne  gio- 
varono, e  molte  di  esse  tornano  ridicole  od  inintelligibili  nelle 
loro  denominazioni  a  chi  sia  affatto  digiuno  di  questi  studii. 

Ecco  il  perchè  non  esitiamo  ad  encomiare  come  utile  ed 
importante  la  nuova  pubblicazione  che  annunziamo,-  e  tanto 
più  ove  si  voglia  considerare  che  nella  folla  che  e'  ingombra 
di  libri  sulla  mitologia,  difficile  assai  per  non  dir  impossibile 
era  il  trovare  un'opera  su  questa  materia ,  la  quale  o  non  fosse 
troppo  erudita ,  o  non  troppo  elementare ,  non  tenendo  conto 
de'  dizlonarii  ne'  quali  la  mente  non  può  mai  abbracciare  il 
sistema  compiuto  delle  mitologie,  e  nemmeno  la  maggior  parte 
delle  relazioni  che  hanno  i  miti  fra  loro. 

Questa  difficile  impresa  compì  lodevolmente  il  sig.  Odolant 
Desnos,  alla  mitologia  greca  e  romana  ,  quelle  aggiungendo 
de'  così  detti  popoli  barbari,  in  modo  da  presentarne  in  que- 
sto volume  un  compiuto  sistema:  né  dubitiamo  ch'essa  sia  per 
tornare  gradita  agli  italiani,  massime  che  fra  le  mani  dell'il- 
lustre scrittore  cui  è  affidata  spariranno  quelle  poche  mende 
di  che  poteasi  accagionare  1'  originale  francese  ,  come  già  ne 
dimostrano  i  pochi  fogli  venuti  in  luce. 

P. 


299 

GKAMMATICA    FRANCESE. 
ESERCITAZIONI    PER    GLI    STUDIOSI 

Odi  Cfoac^tHO   oimoudt 

Torino,  presso  Pie,  1837. 


Vi  hanno  certi  studi  nei  quali  gli  ostacoli  supex'ali ,  e  l'in- 
gegno impiegato  a  riuscirvi  non  fruttano  quell'onore  ,  e  quella 
gloria  ,  che  da  altri  studi  forse  meno  scabrosi ,  e  diiFicili  si 
può  conseguire.  Deriva  ciò  dagli  .storti  giudizi ,  che  spesso  si 
formano  sull'importanza  delle  cose  ,  e  sulla  necessità  di  posse- 
dere forte  e  nobile  intelletto  non  solamente  quando  trattasi  di 
materie  ove  la  fantasia  domina  massimamente,  ma  anche  allor- 
ché deve  porsi  alla  prova  tutta  la  sagacità  della  fredda  ragione. 
Così  al  sentir  certuni  allorché  trattasi  della  compilazione  d'una 
grammatica  o  d'un  vocabolario  non  può  esservi ,  che  un  uomo 
di  mediocre  ingegno  il  quale  possa  decidersi  di  spendervi  in- 
torno le  sue  cure  e  le  sue  veglie  :  giacché  a  dir  loro  vocabo- 
larista e  grammatico  è  quasi  sinonimo  di  pedante.  —  Ma  quanto 
però  questi  tali  s'ingannano  !  Per  ben  riuscire  in  questi  generi 
di  studi  è  necessario  non  solamente  un  vasto  fondo  di  cogni- 
zioni, ma  pur  anche  una  squisita  filosofia,  un  tatto  finissimo  che 
a  pochi  è  dato ,  e  da  molti  si  desidera.  ■ —  Sono  questi  tutti 
i  pregi ,  che  si  possedono  dal  signor  Si  mondi  autore  della 
grammatica  ,  e  delle  esercitazioni  che  annunziamo. 

Attendendo  egli  da  molti  anni  all'insegnamento  della  lingua 
francese  con  eccellente  metodo  e  rara  perizia  dell'arte  ,  e  ricca 
la  mente  di  peregrine  cognizioni  potè  egli  condurre  a  fine  una 
grammatica  francese  ad  uso  degli  italiani  tale  da  riuscire  a 
nessun'  altra  seconda. 

Egli  colse  l'occasione  in  cui  facevasi  la  nuovissima  edizione 
del  Dizionario  dell'Accademia  Francese  ,  il  quale  (  sono  queste 


500 

parole  dell'Autore  )  «  con  sapiente  rispetto  ai  rÌYolgìmenti  dei 
»  tempi  ,  e  delle  cose  allarga  i  confini  della  lingua  senza  tra- 
»  visarne  le  forme  schiette  e  spontanee ,  e  ne  migliora  l'orto- 
»  grafia  con  mirabile  magistero.  »  —  Si  volse  perciò  sulle  traccio 
di  quel  dizionario  ogniqualvolta  sentenziò  l'accademia,  nei  casi 
in  cui  ella  si  tacque,  giovossi  dell'autorità,  e  dell'esempio  del 
sommi  scrittori.  —  Divise  la  sua  opera  in  quattro  parti  :  nella 
prima  diede  i  principj  generali  della  pronunzia,  nella  seconda 
trattò  delle  parti  del  discorso,  e  delle  varie  loro  forme;  nella 
terza  dell'ortografia,  e  nella  quarta  della  sintassi.  —  Quanto 
poi  agli  esercizi  d'  ortografia  e  agli  esercizi  fraseologici  intro- 
dusse degli  errori  a  bella  posta  onde  farne  correttore  lo  stu- 
diante  e  così  meglio  scolpirgli  le  regole  nella  memoria. 

Oltre  l'indicata  grammatica  sono  ora  uscite  (  prima  dispen- 
sa )  le  esercitazioni  per  gli  studiosi  a  parte  compilate  :  pale- 
sano anch'  esse  il  retto  giudizio  dell'autore  :  tributiamo  perciò 
ad  esso  larghi  e  sinceri   plausi. 

F.    C. 


ATTI  DI  GOVERNO  E  DI  ECONOMIA  PUBBLICA 

Di  alcuni  prowt^edimenti  recentemente  pubblicati  in  Piemonte,'^ 
per  favorire  il  commerciò  >  l  agricoltura  e  l' industria. 


Come  presso  quasi  tutte  le  altre  nazioni ,  cosi  pur  anche  in 
Piemonte  l'agricoltura  ,  il  commercio  e  l'industria  presentavano 
in  quest'  anno  gravi  sintomi  di  vicina  costernazione.  La  scarsità 
dei  ricolti  nello  scorso  anno  ,  e  la  poca  apparenza  che  da 
principio  le  passate  contrarietà  dell'atmosfera  lasciavano  di  un 
anno  migliore,   facevano   quasi   giorno    per  giorno   incarire    le 


501 

derrate  di  prima  necessità.  Dall'altra  parte  l'impensato,  lo  stra- 
ordinario e  pur  troppo  tuttor  persistente  iuvilimento  delle  sete 
lavorate  per  cui  una  gran  quantità  delle  medesime  rimane  tut- 
tavia invenduta  e  giacente,  toglieva  dalla  circolazione  e  dal  com- 
mercio quelle  forti  somme  che  negli  anni  più  prosperi  si  sogliono 
impiegare  nella  compra  de' bozzoli,  e  distribuirsi  quindi  più 
o  meno  immediatamente  in  beneficio  dell'  agricoltura  e  dell' 
industria.  Per  la  mancanza  o  quanto  meno  per  la  diminuzione 
di  questi  mezzi  pecuniarii,  la  consumazione  pur  anche  delle 
altre  merci  di  minor  conto ,  e  massime  quella  degli  oggetti 
di  lusso ,  restava  languida  anch'essa  e  sospesa.  Scorgevasi  quiii- 
di  un  dissesto  visibilissimo  anche  nei  rami  inferiori  dell'  in- 
dustria e  del  traffico.  Per  ciò  molte  case  di  commercio  sta- 
vano in  forse  se  dovessero ,  o  se  pure  potessero  continuare  o 
rinunciare  alle  consuete  loro  operazioni;  e  molti  edifizj ,  molte 
manufatture  avrebbero  dovuto  rimanersi  inoperose.  I  fallimenti 
poi  che  presso  le  nazioni  più  commercianti  e  le  più  floride 
si  vanno  succedendo  con  una  rapidità  spaventevole  ,  crescevano 
l'ansietà  e  lo  sgomento  universale. 

La  crisi  commerciale  era  anche  imminente  per  il  Piemonte, 
e  l'orizzonte  commerciale  quivi  pur  anco  stava  per  farsi  tor- 
bido e  minaccioso.  Le  fortune  e  le  speculazioni  private  in  un 
paese  dove  le  proprietà  immobili  sono  così  ripartite ,  e  dove 
non  vi  esistono  grandi  associazioni  di  capitali  ,  non  bastavano 
per  allontanare  il  pericolo.  Una  tale  insufficienza  facevasi  poi 
ancor  meglio  sentire  per  quella  continua  distrazione  di  capi- 
tali nelle  opere  di  costruzione  e  di  abbellimento  che  corre  tut- 
tavia incessante  ,  tanto  nella  capitale  come  nelle  provincie.  E 
sebbene  tali  opere  alimentino  altri  generi  d' industria  e  tendano 
a  rendere  più  comoda,  più  salubre  ed  anche  col  tempo  men 
dispendiosa  1'  abitazione  nelle  città  e  nella  capitale  ,  pure  egli 
non  è  men  vei'o  che  intanto  esse  producono  una  reale  sot- 
trazione di  numerario  alle  altre  speculazioni  del  commercio  e 
dell'agricoltura. 

In  questi  gravi  frangenti  non  era  dunque  altrove  che  presso 
il  Governo ,  e  presso  il  tesoro  pubblico  che  si  poteva  trovare 
un  adeguato  riparo.  E  il  Governo  appunto  fu  quegli  che  senti 


302 

ad  un  tempo  e  tutta  l'  intensità  del  pericolo  ,  e  tutta  la  vo- 
lontà e  la  forza  per  allontanarlo.  E  siccome  già  per  lo  stesso 
scopo  di  favorire  l'industria  ed  il  commercio  aveva  coi  Jì.  Bre- 
vetti del  28  marzo  e  26  novembre  i835  aperti  altri  prestiti 
d'  indeterminata  destinazione ,  così  col  recente  Editto  del  it> 
maggio  183^  —  aprì  un  prestito  speciale  di  sei  milióni  a  fa- 
vore del  commercio^  da  eseguirsi  sopra  depositi  di  setCj  me- 
diante il  solo  interesse  del  4  ^er  cento  all'anno,  colle  condi- 
zioni e  cautele  prescritte  colle  successive  Lettere  Patenti  del 
20  maggio,  e  coli'  Istruzione  approvata  col  R.  Brevetto  del  23 
sifccessivo. 

Egli  è  noto  che  questo  istesso  partito  già  era  stato  proposto 
presso  altre  nazioni,  ma  o  perchè  le  circostanze  del  loro  erario 
fossero  men  prospere,  o  perchè  quivi  si  avessero  meno  confi- 
denti o  men  generose  disposizioni,  o  per  qualsiasi  altro  special 
motivo  ,  certo  è  che  quel  partito  non  fu  adottato.  Era  perciò 
riservato  al  Piemonte  di  offrire  questo  coraggioso  e  nobile  esem- 
pio. E  i  Piemontesi  reggendolo  in  loro  prò  esercitato  ,  sentono 
quindi  più  forti  crescere  i  vincoli  di  riconoscenza  e  di  amore 
che  li  stringono  all'  autorità  che  li  protegge. 

Nella  concessione  di  un  prestito  cosi  opportuno  tutti  ravvisa- 
rono un  pronto  ed  efficace  sostegno  offerto  alla  prosperità  nazio- 
nale che  si  trovava  nelle  parti  sue  più  vitali  minacciato.  Trovossi 
inoltre  con  questo  prestito  assicurato  eziandio  un  altro  benefìzio 
di  ben  più  alta  influenza.  Difatti  per  questo  Editto  ,  mentre 
si  venne  da  un  lato  mostrando  quanta  provvidenza  nello  am- 
ministrare lo  Stato  e  quanta  fiducia  il  Governo  riponga  ne'  pro- 
prj  sudditi  5  i  sudditi  poi  stessi  vengono  dall'  altro  a  compren- 
dere quanto  possano  in  tempi  difficili  e  calamitosi  riposar  sopra 
la  protezione  e  la  generosità  del  Governo.  Laonde  un  simile  prov- 
vedimento si  scorge  proprio  fatto  per  far  epoca  nell'  ammini- 
strazione delle  cose  pubbliche  di  uno  Stato,  venendo  con  esso 
nelle  medesime  stabilito  un  precedente  importantissimo  ,•  quello 
cioè  che  il  Governo  è  disposto  ad  intervenire  coi  proprii  sus- 
sidii  ogni  qualvolta  l'agricoltura  ,  il  commercio,  e  1'  industria 
e  le  classi  de'  cittadini ,  che  ad  alcuna  di  queste  sorgenti  di 
pubblica  ricchezza  sono  addette,  si  trovano  in  angustie  slrapr- 


305 

dìnarie,  come  quella  die  attualmente  si  soffre.  Ed  ecco  come 
il  principio  delT  intervento  governativo  nell'economia  interna, 
e  quasi  privata  dei  cittadini  ,  temperato  dal  sentimento  di  una 
illuminata  e  liberale  tutela,  giunga  a  penetrare  con  positivo 
vantaggio  in  tutte  le  meno  appariscenti  ramificazioni  sociali,  e 
possa  ravvivarne  il  movimento  ,  e  venga  in  una  parola  a  soc- 
correre le  miserie    più   intime  e  più    private  del  popolo. 

I  benefizj  dunque  che  dalla  discorsa  provvisione  dimanano  , 
non  potrebbero  essere  più  evidenti ,  più  positivi.  Quei  sei  mi- 
lioni, che  si  offrono  in  prestito  al  solo  interesse  del  4  per  cento, 
passando  per  le  mani  de'  banchieri  e  de'  negozianti  ,  vengono 
poi  in  sostanza  a  diffondersi  fra  le  classi  più  bisognose  e  la- 
voratrici, e  prima  di  tutte  sopra  quella  degli  agricoltori.  Cosi 
si  giunge  a  placare  i  bisogni  più  urgenti  e  più  palpitanti  della 
nazione  ,  poiché  sarebbe  veramente  stato  un  nuovo  disastro  per 
per  la  classe  agricola ,  se  per  la  viltà  del  prezzo  dei  bozzoli , 
questo  primo  soccorso  dell'annata  rurale  le  fosse  venuto  difK- 
cile  ,  incerto  e  scarso.  Laddove  i  commercianti  col  favore  del 
prestito  accordato  dalle  R.  Finanze  possono  tra  i  limiti  però 
sempre  della  prudenza  sostenere  il  valore  di  questo  primo  pro- 
dotto in  vantaggio  di  coloro  che  ne  sono  i  primi  produttori  j  e 
quanto  poi  all'interesse  proprio  dei  commercianti  stessi,  eglino 
restano  in  facoltà  di  conservare  i  loro  fondi  in  sete  senza  an- 
dare costretti  a  farne  distratto  con  gravissima  perdita,  ed  a  quel 
prezzo  che  loro  avesse  piaciuto  ai  fabbricanti  esteri  d'  imporre. 
Sotto  di  questo  aspetto  ei  si  verifica  eziandio  un  altro  vantaggio 
più  immediato  ,  e  si  è  quello  di  poter  continuare  a  fare  egual- 
mente le  stesse  commerciali  operazioni ,  mediante  la  sola  corri- 
spondenza del  4  per  cento,  quando  invece  senza  quel  prestito 
avrebbero  dovuto  farle  colle  piazze  estere  coli'  aggiunta  del  di- 
ritto di  provvisione  non  minore  del  a  per  cento;  beneficio  a  cui 
le  Regie  Finanze  sicuramente  neppur  pensarono  di  aspirare. 

Siccome  per  altro  si  può  abusare  di  tutto  ,  ed  anche  delle 
migliori  cose,  e  delle  più  salutari  istituzioni,  così  non  manca- 
rono di  quelli  che  nell'aprimento  di  questo  prestilo  temettero 
che  venisse  aperta  ai  negozianti  una  via  troppo  facile  per  con- 
seguire vistose  somme  ad  un  modico  interesse,  e  quindi  il  pe- 


304 

vicolo  che  i  metlesiml  si  potessero  avventurare  alla  spensierata 
in   temerarie  speculazioni. 

Ma  oltreché  la  prudenza  e  lo  spirito  di  calcolo  che  bea  dif- 
ficilmente suole  abbandonare  la  classe  mercantile,  e  l'esperienza 
delle  passate  vicende  commerciali ,  basterebbero  senza  dubbio 
per  se  stesse  a  porre  un  utile  freno  alle  intemperanti  opera- 
zioni ,  le  Finanze  poi  stesse  nel  distribuire  il  prestito  adotte- 
ranno certamente  quei  temperamenti  più  acconci  per  non  lasciar 
concentrare  in  troppo  poche  case  di  commercio  somme  troppo 
forti ,  e  del  resto  poi  l'obbligo  inseparabile  di  guarentirle  col 
deposilo  di  sete  ad  un  terzo  meno  del  loro  valore  corrente  , 
porgerà  un  naturai  limite  ed  una  giudiziosa  misura  a  quelle 
passività  che  ciascuna  casa  di  commercio  volesse  in  tal  modo 
contrattare. 

Oltre  poi  a  questi  vi  fu  ancora  chi  sospettò  due  altri  incon- 
venienti nella  provvisione  di  cui  ragioniamo.  - —  Si  è  detto  in 
primo  luogo  che  i  vantaggi  di  questo  sussidio  si  sarebbero  esclu- 
sivamente assorbiti  dal  comuìcrcio  depositario  delle  sete.  Ma 
chi  non  vede  che  quei  vantaggi  non  si  arrestano  nella  sola  classe 
commerciante  ,  ma  rifluiscono  bensì  di  necessità  sopra  le  prime 
classi  produttrici  ,  gli  agricoltori  e  gli  operaj  ?  Del  resto  poi 
noi  siamo  di  quelli  che  guardiamo  senza  invidia  e  senza  ti- 
more crescere  la  fortuna  dei  commercianti,  perchè  stimiamo 
che  dove  questi  prosperano ,  anche  le  altre  classi  della  popo- 
lazione non  possono  pur  anche  far  di  meno  che  prosperare.  — 
In  secondo  luogo  si  temeva  che  quel  prestito  di  sei  milioni 
potesse  cagionare  un  accumulamento  di  materie  prime ,  che 
infine  dell'  anno  fosse  poi  difllcile  a  smerciare.  —  Ma  petchè 
questo  timore  fosse  ragionevole  converrebbe  supporre  che  l'odier- 
na crisi  commerciale  fosse  per  un  più  lungo  tempo  durevole  , 
di  quello  che  necessariamente  lo  possa  essere.  Le  roauufatture 
ripiglieranno  la  rallentata  fabbricazione  ,  poiché  non  vorranno 
consumare  i  proprj  capitali  per  sostenersi.  La  consumazione 
della  seta,  così  vastamente  diffusa  ed  in  tante  guise  impiegata 
e  riprodotta,  divenne  quasi  un  bisogno,  e  non  v'  ha  pericolo 
che  retroceda.  —  Finalmente  lo  stesso  inevitabile  ribasso  delle 
materie  prime  farà  rianimare  e  la  fabbricazione  e  la  jconsuma- 
zionc. 


305 

ConsUerale  tutte  queste  cose  ognun  vetle  come  questo  prov- 
vedimento, ove  giunga  a  superare  alcune  difficoltà  nell'esecuzione, 
che  necessariamente  dovette  essere  attorniata  da  molte  forma- 
lità, possa  conseguin;  il  benefico  Suo  scopo,  tanto  per  l'inte- 
resse generale  dello  Stato,  come  per  quello  dei  privati.  Le  classi 
agricole ,  le  classi  commercianti  e  raanufattrici  ricevono  soc- 
corso da  esso  ,  poiché  per  le  medesime  resta  assicurata  la  ren- 
dita ed  il  lavoro;  ed  in  generale  poi  si  salva  l'iutiera  nazione 
dal  flagello  dei  fallimenti.  Così  se  ih  Piemonte  due  o  tre  soli 
ne  avvennero  ,  ed  ancora  tra  i  filandieri  dell'  ultimo  ordine, 
ognuno  si  pensi  qual  rovina  sare]>be  successa  ,  qualora  la  prov- 
vida mano  '  del  Governo  non  vi  avesse  per  tempo  posto  un 
argine  salvatore? 

—  Prima  di  questo  editto  già  erano  emanati  i  Sovrani  prov- 
vedimenti del  i3  settembre  i834  =  7  aprile  i835  =  9  aprile 
1 836  z=r  coi  quali  si  permise  la   libera   uscita    della    legna    da 

fuoco  j  dei  legnami  di  costruzione j  e  delle  sete  greggie. —  Prov- 
vedimenti siiTalti  manifestamente  pur  anche  diretti  a  favorire 
r  agricoltura  e  1'  industria  nazionale  presentano  la  stessa  im- 
pronta di  sapienza  civile  ed  economica  che  consigliò  recente- 
mente l'accennato  prestito  de' sei  milioni.  Particolarmente  vi 
è  analogo  quello  concernente  la  libera  estrazione  delle  sete,  e 
sebbene  questa  sia  per  ora  soltanto  ancor  limitata  per  alcune 
Provincie  ,  tuttavia  bastò  ampiamente  a  dimostrare  col  fatto 
che  la  libertà  in  questo  ramo  di  agricoltura  e  di  commercio 
che  si  può  dir  classico  in  Piemonte  ,  è  ben  lontana  dal  pro- 
durre quelle  calamità  che  i  più  tenaci  ed  interessati  fautori 
del  sistema  proibitivo,  come  i  più  meticolosi  speculatori  pre- 
annunziavano al  principio  della  libera  concorrenza ,  e  del  li- 
bero commercio. 

—  Regio  Brevetto  del  i."  aprile  iS3y,  col  quale  S.  M.  no- 
mina una  Commissione  incaricata  di  esaminare  le  proposizioni 
fatte  al  Governo  pcUo  stabilimento  di  una  strada  a  ruotaje  di 
ferro  tra  Genova  e  le  Provincie  del  Piemonte.  — 

Fruito  dello  stesso  impulso  verso  i  progressi  sociali  e  di  quel 
desiderio  di  agguagliare  le  altre  qasioni  nella  applicazione  delle 

*i8 


306 

più  sane  teorie  dell' economia  politica  all'esercizio  pratico,  si 
è  questo  provvedimento  clie  ha  per  oggetto  l' introduzione  di 
un'  opera  pubblica  e  dei  dipendenti  generi  d' industria  affatto 
insoliti  per  il  Piemonte.  Il  progetto  per  la  formazione  delle  strade 
ferrate  affidato  alla  disamina  di  una  special  commissione  com- 
posta di  persone  dotate  della  più  illuminata  pratica  in  tal 
sorta  di  opere  pubbliche,  non  venne  già  cecamente  accolto,  ma 
fu  bensì  ricevuto  con  tutta  quella  prudente  antiveggenza  che 
si  deve  avere  nell' ordinare  lavori  pubblici  j  massime  quando 
essi  sono  di  prima  introduzione  ,  e  tali  da  cangiare  la  preesi- 
stente condizione  delle  cose  che  vi  hanno  un'immediata  relazione. 

Neil'  occasione  per  altro  che  sta  per  aprirsi  una  strada  in 
ferro  tra  Venezia  e  Milano  ,  1'  amministrazione  pubblica  del 
Piemonte  non  dovea  restarsi  spettatrice  indifferente.  Il  com- 
mercio difatti  tra  il  Piemonte  e  Genova ,  e  tra  gli  Stati  Sardi 
e  la  Lombardia  ed  i  cantoni  della  Svizzera  veniva  per  questo 
accidente  esposto  agli  effetti  di  una  nuova  e  straordinaria  con- 
correnza. Per  neutralizzare  le  cattive  conseguenze  che  potrebbe 
risentirne  il  Piemonte  ,  non  v'è  forse  miglior  partito  che  quello 
di  aprire  una  simile  strada  tra  il  suo  territorio  ed  i  confini 
del  territorio  Lombardo,  la  quale  dirigendosi  da  Genova  verso 
gli  Appennini ,  si  partirebbe  ,  (  come  avvisa  il  progetto  )  valicati 
quei  monti  in  due  rami ,  1'  uno  de'  quali  s'  inoltrerebbe  nell' 
interno  del  Piemonte  ,  mentre  l'altro  accennerebbe  alle  fron- 
tiere settentrionali  del  regno. 

Né  contro  i  voti  ed  i  computi  dì  una  vera  e  sagace  conve- 
nienza potrà  mai  prevalere  l'osservazione  di  coloro  che  oppon- 
gono non  poter  crescere  la  consumazione  ed  il  bisogno  delle 
merci  o  indigene  o  provenienti  dall' estero  in  proporzione  della 
maggior  accumulazione  prodotta  dalla  maggior  facilità  di  tras- 
porto, per  modo  che  secondo  il  dir  di  costoro,  le  strade  a 
ruotaje  di  ferro  in  Piemonte  o  dovrebbero  rimanersi  poco 
esercitate ,  od  agevolerebbero  un  trasporto  superiore  allo  smer- 
cio e  quindi  in  sostanza  superfluo.  Il  vantaggio  ancora  incerto 
poi  che  le  strade  di  ferro  procaccerebbero  non  francherebbe 
a  detta  di  moìti  l'enorme  spesa  della  loro  costruzione,  la  quale 
poi  anzi  verrebbe  sottraendo  alle  già  conosciute  e  più  avviate 
speculazioni  capitali  immensi. 


307 

Ma  queste  difficoltà  ,  se  mal  non  s'  apponiamo  ,  si  dileguano 
in  presenza  delli  seguenti  riflessi: 

i."  Collo  stabilimento  di  una  o  più  strade  in  ferro  si  dimi- 
nuisce per  il  consumatore  il  prezzo  della  merce  importata  ,  e 
così  si  aumentano  in  proporzione  i  mezzi  di  una  più  abbon- 
dante consumazione  e  di  maggiori  godimenti. 

2.°  Si  accresce  all'  estero  1'  esportazione  e  lo  smercio  delle 
nostre  derrate  territoriali,  come  sono  i  vini,  il  riso,  le  sete, 
il  canape  ecc.  ecc.  :  oggetti  che  attualmente  per  1'  eccessivo 
prezzo  dei  trasporti  hanno  un  esito  assai  limitato.  Inoltre  le 
miniere  di  ferro  di  cui  abbonda  il  Piemonte,  ed  i  rami  d'in- 
dustria che  da  esse  dipendono,  piglierebbero  sicuramente  an- 
cora una  nuova  attività  ,  e  prometterebbero  un  prodotto  mag- 
giore. 

3.°  Mentre  si  facilita  ogni  genere  di  utile  comunicazione  tra 
provincia  e  provincia  ,  e  tra  nazione  e  nazione  ,  s'  impedisce 
che  r  una  preponderi  sull'  altra  nelle  operazioni  commerciali  , 
e  quindi  che  uno  stato  acquisti  maggior  influenza  e  ricchezza 
a  discapito  dell'  altro.  Ella  è  la  conservazione  di  questo  equi- 
librio politico  ed  economico  che  merita  più  di  tutto  ancora 
una  maggior  attenzione  in  questa  sorta  di  progetti  amministra- 
tivi ,  se  si  vuole  che  la  prosperità  e  l' indipendenza  nazionale 
non  venga  mai  compromessa. 

A  fronte  di  cosi  manifesti  vantaggi  se  per  avventura  l'erario 
potesse  in  sulle  prime  sofl"rir  qualche  perdita  dal  lato  dei  dazj 
di  transito ,  di  sosta  e  simili  (  al  che  per  altro  si  sarebbero 
già  trovati  gli  opportuni  compensi  ed  i  disimpegni  colle  cau- 
tele proposte  dalle  varie  amministrazioni  con  cui  questa  im- 
presa può  essere  in  contatto  ),  1'  autorità  però  non  dovrebbe  a 
questi  temporanei  scapiti  mai  tanto  badare  da  desistere  dal 
concepito  divisamente ,  poiché  questi  scapiti  inseparabili  da 
qualunque  primo  stabilimento  sarebbero  in  progresso  del  tempo 
largamente  ricomprati  colla  maggior  esportazione  sia  delle  merci 
nazionali,  che  di  quelle  introdotte  dall'  estero  per  venire  al- 
trove trasportate,  e  così  cogli  accresciuti  proventi  delle  do- 
gane ai  confini. 


308 

■ —  Manifesti  Camerali  del  2 5  aprile  zr:  16  e  22  maggio  iSSjr.  — 
Figlia  di  quella  stessa  vigilante  sollecitudine  con  cui  si  vede 
venire  il  Governo  in  ajuto  della  popolazione  anche  con  un 
momentaneo  disagio  dell'  erario ,  si  è  la  reiterata  diminuzione 
dei  diritti  d'  entrata  ed  importazione  dei  cereali  in  Piemonte 
che  venne  ordinata  con  queste  ancor  più  recenti  provvidenze. 
Dir  non  è  mestieri  come  questa  diminuzione  abbia  realmente 
contribuito  a  mantenere  ad  un  prezzo  discreto  le  derrate  di 
prima  necessità  5  e  ad  impedire  che  un  esorbitante  aumento 
venisse  ancora  ad  esacerbare  le  miserie  delle  classi  più  nume- 
rose e  più  indigenti.  Se  negli  anni  di  abbondanza  il  favorire 
r  esportazione  dei  prodotti  agricoli  ed  il  restringere  1'  impor- 
tazione dei  cereali  dall'  estero  era  di  un  sicuro  vantaggio  per 
r  agricoltura  nazionale,  11  togliere  ora  temporariamente  questi 
vincoli  negli  anni  di  scarsità  e  di  penuria  non  può  certamente 
a  meno  che  tornare  a  profitto  della  intiera  popolazione.  —  E 
questa  è  una  prova  novella  che  non  è  sempre  giusta  la  paura 
di  quegli  Economisti  che  credono  ostinatamente  sempre  dan- 
nosa od  almeno  disutile  1'  ingerenza  governativa  nelle  vicissi- 
tudini dell'industria  e  dell'annona. 

—  Regio  Editto  24  dicembre  i836  :=:  Istruzione  relativa 
approvata  da  S.  31.  coti  Brevetto  del  4  aprile  1887.  — 
Un  nuovo  sistema  economico  ed  una  più  uniforme  e  più  ef- 
ficace direzione  data  alle  opere  pie,  che  assicura  a  ciascuna  ia 
particolare  ed  allo  Stato  in  generale  una  più  esatta  e  regolare  os- 
servanza del  loro  proprio  instituto,  formano  l'oggetto  di  questi 
provvedimenti.  —  L'  istruzione  facile  e  distinta  che  vi  è  an- 
nessa ,  le  varie  circolari  relative  diramate  dalla  Regia  Segreteria 
dell'  Interno  sono  destinate  a  spiegare  ,  a  regolare  ed  a  conse- 
guire più  sicuramente  1'  esecuzione  degli  ordini  e  delle  inten- 
zioni sovrane.  Non  v'  ha  dubbio  che  colle  disposizioni  che  vi 
si  contengono  restino  come  per  anticipazione  risolte  tutte  quelle 
difficoltà  e  quei  conflitti  che  a  prima  giunta  1'  esecuzione  di 
un  nuovo  sistema  suole  sempre  presentare.  Egli  è  sopra  queste 
norme  rischiai-ate  da  tutti  i  vantaggi  e  da  tutti  gì'  inconve- 
nienti già  provati  dai  Comitati  di  beneficenza  stabiliti  dal  governo 


509 

francese ,  e  modellate  adesso  sulle  basi  attuali  della  monarclija 
e  del  culto,  clie  non  tarderanno  a  ricostituirsi  le  numerose 
opere  pie  che  onorano  e  beneficano  il  Piemonte  ,  e  che  se  erano 
da  lungo  tempo  scadute  dal  primiero  splendore  ed  istituto , 
non  erano  però  tali  da  guardarsi  con  quella  disistima  eoa  cui 
parve  ad  alcuni  ed  ultimamente  al  sig.  Conte  Petitti  di  do- 
verle osservare  ,  magnificando,  non  senza  qualche  infedeltà 
alla  professata  carità  di  patria,  gli  stabilimenti  di  beneficenza 
stranieri  sopra  quelli  del  Piemonte.  Del  resto  le  conseguenze  di 
questi  regolamenti  corrisponderanno  senza  dubbio  alle  inten- 
zioni da  cui  furono  e  sono  tuttodì  animati  ,•  e  ciò  che  frattanto 
si  otterrà  sicuramente ,  si  è  il  riscatto  delle  opere  pie  da  una 
amministrazione  arbitraria,  esclusiva,  non  soggetta  a  verun  sin- 
dacato, nel  tempo  stesso  che  si  avrà  l'esatta  cognizione  dei  loro 
proventi,  e  la  giusta  distribuzione  dei  medesimi.  Sappiamo  che 
su  queste  traccie  e  a  norma  dei  recenti  regolamenti  verranno 
riordinate  con  viste  di  un'alta  e  sapiente  filantropia  nuovi  sta- 
bilimenti di  beneficenza,  e  ricoveri  per  la  mendicità,  i  quali 
nulla  avranno  da  invidiare  alle  istituzioni  di  tal  genere  esi- 
stenti in  altri  paesi.  Sarà  nostro  pensiero  di  fare  a  suo  tempo 
conoscere  al  pubblico  il  merito  degli  uni  e  degli  altri  col 
mezzo  di  questo  Giornale. 

—  B.  Patenti  del  27  giugno  iS3y.  —  Al  sullodato  generale 
riordinamento  delle  Opere  pie  appartiene  da  un  lato ,  e  dall' 
altro  già  accenna  ad  un  nuovo  sistema  giudiziario  di  univer- 
sale uniformità  questa  recentissima  provvidenza  ,  colla  quale  si 
ridusse  all'  ordinaria  giurisdizione  de'  Magistrati  civili  la  cogni- 
zione delle  cause  del  R.  Manicomio  di  Torino ,  che  prima  in 
forza  di  antichi  ordinamenti  era  riservata  al  Vicario  e  Sopra- 
intendente  generale  di  politica  e  polizia  di  questa  Capitale. 
Questi  antichi  ordinamenti,  e  quella  eccezional  giurisdizione 
cozzavano  ora  troppo  di  fronte  coi  sentimenti  dell'  epoca  pre- 
sente ,  ed  erano  poi  assolutamente  incompatibili  col  nuovo  Re- 
golamento approvato  da  S.  M.  colle  Lettere  Patenti  del  20  mag- 
gio 1837  P^^  ^1  suddetto  Manicomio.  —  Ma  essi  mostravano 
ancora  l' indole  di  quei  tempi  in  cui  un  Ospizio  pei  mentecatti 


310 

veniva  considerato  come  una  semplice  dipendenza  della  polizia 
e  come  una  casa  di  repressione,  nella  quale  chi  aveva  la  dis- 
grazia di  entrare  una  volta  era  riputato  come  un  pazzo  incu- 
rabile, incapace  irrevocabilmente  ed  indegno  fors'  anche  di  ri- 
tornare nella  società  ,  riguardavasi  come  un  furioso  che  si  doveva 
contenere  colla  forza  ;  e  ciò  tutto  senza  sospettare  né  manco 
che  quel  povero  infelice  potesse  ancor  essere  suscettibile  di  una 
cura  intellettuale  e  morale ,  senza  che  si  sospettasse  nemmeno 
eh'  egli  potesse  ancora  ricuperare  il  senno  smarrito ,  affievolito 
o  soltanto  traviato.  E  le  proprietà  e  gli  interessi  materiali  di 
un  tale  Ricovero  venivano  trattati  ad  uno  stesso  modo  come 
gl'individui  che  vi  stavano  rinchiusi,  e  governati  cogli  stessi 
principii. 

Accolgano  frattanto  i  nostri  lettori  questo  breve  ragguaglio 
sopra  alcuni  di  quei  provvedimenti  che  in  questi  ultimi  anni 
si  pubblicarono  in  Piemonte  onde  preservarlo  dai  mali  in  cui  o 
le  critiche  circostanze  presenti,  o  le  antiche  corrutele  potevano 
precipitarlo.  Egli  è  con  essi  che  si  venne  ad  un  tratto  rime- 
diando come  ai  bisogni  dell'istante,  così  a  quelli  inveterati 
abusi  che  i'  ignoranza  o  1'  incuria  dei  tempi  e  degli  uomini 
avevano  lasciato  serpeggiare  per  entro  alle  meglio  divisate  isti- 
tuzioni. 

Tocca  ora  al  buon  senso  delle  popolazioni  di  riconoscere  in 
questi  provvedimenti  quello  spirito  di  vera  filantropia  locale 
che  gli  ha  ispirati ,  e  per  cui  si  perviene  a  soddisfare  a  una 
gran  parte  dei  più  riposti  ma  non  però  dei  meno  importanti 
bisogni  dello  stato ,  e  vengono  chiamati  a  vita  novella  tutti 
gli  elementi  suoi  più  poderosi,  e  si  rigenerano  insomma  tutte 
le   varie  parti  della  pubblica  amministrazione. 

L'  influenza  benefica  di  questi  esempi  non  può  tardare  a 
manifestarsi  ,  e  quello  stesso  Consiglio  di  sovrana  provvidenza 
che  già  in  molte  cose  fece  trionfare  le  migliori  dottrine  eco- 
nomiche sopra  le  più  grette  passioni  e  sopra  quei  bassi  timori 
che  se  molte  volte  possono  essere  pel  desiderio  del  bene  sentiti  , 
possono  però  anche  talora  per  solo  amor  di  parte  venire  si- 
mulati e  magnificati,  saprà  eziandio  coronare  un  movimento  si 


.    511 

generoso  colla   promulgazione   di   una  legislazione  uniforme    e 
compiuta. 

Avviate  le  sorti  piemontesi  per  questa  carriera  di  migliora- 
menti sociali ,  la  storia  della  civiltà  europea  non  tralascierà  di 
notare  questi  passi  che  in  essa  fa  ogni  giorno  il  Piemonte;  e 
dirà  ai  contemporanei  non  men  che  ai  posteri  come  il  suo  Go- 
verno comprendendo  del  pari  le  tendenze  del  secolo,  ed  i  bi- 
sogni ed  i  voti  della  sua  popolazione  abbia  saputo  secondare 
le  une  e  provvedere  agli  altri  in  modo  che  la  legge  universale 
della  perfettibilità  umana  fosse  sempre  ascoltata  e  protetta. 

Severino  Battaglione, 


annunzio 

Opere  edite  ed  inedite  di  Antonio  Rosmini  -  Serbati  ,  cioè:  Il 
Nuovo  Saggio  suW origine  delle  idee j  e  L'Esame  del  Rinno- 
vamento DELLA  Filosofia  in  Italia,  proposto  da  C.  T.  Mamiani 
DELLA  Rovere. 

(Continuazione  della  ristampa  fatta  presto  Pogliani  in  Milano,  i836). 


Di  qual  momento  siano  le  questioni  trattate  nelle  opere  di 
cui  annunziamo  questa  nuova  pubblicazione,  si  può  argomentare 
dal  rimbombo  che  fecero  quando  per  la  prima  volta  uscirono 
in  luce  per  dividere  in  due  campi  avversi  i  cultori  delle  filo- 
sofiche discipline.  L'ammirazione ,  sì  viva  dall'una  parte ,  portò 
gli  uni  ad  inchinare  dinanzi  al  loro  autore  se  stessi  e  la  fi- 
losofia italiana  ,  mentre    dall'  altra   un'  acre    opposizione    diede 


312 

alle  controversie  agitate  un  aspetto  di  accanita  guerra  anzi 
nocevole  alla  scienza  che  altro. 

Nel  chiamare  l'attenzione  dei  nostri  lettori  sull'accurata  edi- 
zione che  si  sta  facendo  delle  opere  filosofiche  di  Rosmini ,  noi 
vorremmo  provocare  uno  studio  ed  un  esame  altramente  pa- 
cato e  severo  delle  dottrine  ivi  accolte  :  perocché  esse  volgono 
su  capi  che  possono  guardiarsi  come  cardini  dell'  umano  sapere 
e  della  società. 

Il  far  vessillo  d'un  nome,  o  T  in  tuonarlo  come  grido  di 
guerra  ,  il  mescere  all'  amore  della  verità  e  all'  odio  per  1'  er- 
rore le  simpatie  ed  i  rancori  dell'  uomo  di  parte,  tolgono  alla 
mente  quella  serenità  e  quella  limpidezza  per  cui  solo  è  suscet- 
tiva di  raccogliere  e  di  riflettere  i  raggi  del  vero. 

Però  in  argomento  di  tanta  rilevanza  il  Subalpino  accogliendo 
sempre  quelli  scritti  che  mirano  a  dilucidare  le  importanti 
questioni ,  quale  pur  siasi  1'  opinione  individuale  di  chi  gli 
presta  1'  opera  sua ,  ristarà  dall'  ascriversi  fra  i  propugnatori  o 
gli  avversari  delle  dottrine  contenute  nelle  opere  in  discorso  , 
finché  dal  complemento  del  sistema,  e  dalle  provocate  dispu- 
tazioni  possa  emergere  quel  maturo  giudizio  su  cui  riposa  ogni 
conscienziosa  convinzione. 

//  Subalpino. 


STAMPERIA   GHIRINGHELLO    E    tOMP. 
con  permissione. 


313 
FILOSOFIA 


(Bùìfo&izxom 

DEL    SISTEMA    FILOSOFICO    DEL    NUOVO    SAGGIO    ECC. 

Fatta   da  N.  Tommaseo 
Art.    2.°   (/^.  distvib.  precedente) 


Confronti. 

Ora  paragoniamo  il  principio  dell'Autore  co'  principii 
de'  filosofi  che  lo  precedettero  ,  e  indichiamone  le  dif- 
ferenze. 

La  prim.t  è  nel  metodo.  Locke  e  Condillac  incomin- 
ciano dall'analizzare  le  facoltà  dell'  intelletto ,  e  poco  si 
curano  di  analizzare  le  umane  cognizioni.  All'  incontro 
r  analisi  delle  cognizioni  deve  precedere  l' analisi  delle 
facoltà,  perchè  queste  non  si  conoscono  se  non  da' loro 
eflfetti ,  che  sono  appunto  le  cognizioni  e  le  idee  *i. 

Gli  altri  filosofi  innoltre  per  ispiegare  1'  origine  delle 
idee,   ammettono    troppo    più    o    troppo  meno  che  non 

*i  T.  I.  p.  8.  T.  II.  p.  191.  T.  IV.  p.  5t2. 

^9 


314 

bisogni:  ma  tutti,  qual  più  qual  meno,  s'accostano  all'idea 
dell'  A. ,  tutti  in  certa  guisa  concorrono  a  confermarla. 

Locke. 

Locke,  il  quale  facendo  uscire  tutte  le  idee  dalla  sen- 
sazione e  dalla  riflessione,  quasi  come  sgorgano  da  due 
ampi  fori  1'  acque  d'un  fonte  *  i  ,  e  vedendo  che  l' idea 
di  sostanza  non  può  ne  dall'una  né  dall'altra  venire,  la 
nega  *2',  Locke,  io  dicevo,  dopo  averla  negata,  ne  am- 
mette una  qualche  oscura  nozione  *3 ,  e  concede  ch'essa 
è  frequente  argomento  de'  ragionamenti  umani.  Neces- 
saria infatti  è  l'idea  di  sostanza  ,  cioè  d'un  soggetto  che 
unisce  in  sé  le  sensibili  qualità  *4. 

L'  osservazione  di  Locke  sull'impossibilità  di  dedurre 
da' corpi  l'idea  di  sostanza,  era  buonissima:  ma  rimase 
per  molto  tempo  infeconda.  D'Alembert,  meditando  più 
addentro  sul  principio  «  che  le  sensazioni  ci  danno  im- 
mediatamente l'idee  de'  corpi  al  di  fuori  di  noi  ;  »  prin- 
cipio ammesso  da  Locke  senza  prove  ^  com'ovvio,  trovò 
difEcilissimo  a  spiegare  come  mai,  le  sensazioni  essendo 
modificazioni  dell'esser  nostro,  non  essendo  che  in  noi, 
l'uomo  possa  uscir  di  se,  e  farsi  l'idea  di  qualche  cosa 
al  di  fuori ,  egli  che  non  ha  altro  fonte  d'  idee  che  le 
sensazioni,  tutte,  ripeto,  interiori.  Questa  ed  altre  dif- 
ficoltà mosse  dal  D'Alembert  sono,  sott'altra  forma,  le 
medesime  che  incontrò  Locke  a  spiegare  l'idea  di  sostanza, 
conducono  a  cercare  un  principio  di  cognizione,  me- 
diante il  quale  1'  uomo  apprenda  a  considerare  le  cose 
fuori  di  se,  in  quanto  esistono,  non  in  quanto  gli  danno 
tale  sensazione  o  tal  altra, 

*i  T.  I.  p.  26.    -.    *2  P.  35.    —    *3  T.  III.  p.  398. 
*4  T.  1.  p.  57. 


315 

Il  sistema  di  Locke  noii  è  dunque  contrario  alla  veri- 
tà ;  n'  ha  il  germe  in  sé  :  basta  svolgerlo.  Posta  con  Locke 
e  non  negata  ,  la  potenza  ch'è  nell'intelletto  di  produrre 
le  cognizioni  ,  conveniva  cercare  se  possa  esistere  una 
potenza  pensante  che  non  abbia  punto  bisogno  di  alcnna 
nozione  primitiva  5  se  insomma  si  possa  concepire  un 
pensiero  il  qual  sia  cosa  diversa  dalla  veduta  o  dall'ap- 
plicazione d' un' idea  generale  *i.  Non  convien  negare 
all'uomo  la  facoltà  di  passare  dalle  sensazioni  alle  idee» 
astratte;  anzi  giova  partirsi  di  qui  per  vedere  se  in  tale 
operazione   l'uomo  abbia  bisogno  di  punto  d'innato  *2. 

Già  Locke  istesso,  quando  distingue  la  cognizione  u- 
mana  in  due  specie  ,  a  priori  e  a  posteriori ,  contrad- 
dice alla  propria  idea ,  della  riflessione ,  unica  madre 
delle  cognizioni  umane  *3.  —  E  ad  ammettere  una  qual- 
che cosa  «yor/or/ sarebbero  stati  i  Lockiani  tutti  condotti 
ben  facilmente ,  se  un  loro  avversario ,  invece  di  con- 
traddire ad  essi  di  fronte  ,  avesse  cercato  quali  sieno  le 
qualità  necessarie  alla  potenza  dell'  intelletto  per  trarre 
dalla  sensazione  le  idee. 

Si  sarebbero  allora  facilmente  accordati  nell'  ammet- 
tere  che  una  potenza  nuda  d'ogni  nozione  primitiva  non 
sarebbe  atta  a  prestar  tale  uffizio  :  e  la  differenza  (  ben 
conciliabile)  si  sarebbe  ridotta  a  questo:  =  se  la  detta 
primitiva  nozione,  Jiecessaria  a  far  eh'  essa  potenza  e- 
sista  ed  operi ^  abbia  o  no  a  dirsi  idea  innata.  E  si 
poteva  anche  conchiudere  che  no  ;  giacche  1'  idea  uni- 
versale deir  essere  è  così  diversa  da  quelle  idee  innate 
che  i  filosofi  ammisero  ,  da  potersi  senza  sbaglio  com- 
prendere nel  general  titolo  di  potenza  dello  stesso  in- 
telletto ♦4. 

*i  T.  II.  p.  43.     —     "1  T.  l.  p.  i36.    —     r3  P.  211.  334. 
M  Opusc.  Filosof.  del  med.  A.  T.  11.  p.  498, 


316 

Condillac. 

Il  domandare  con  D'Alembert,  come  noi  possiamo 
dalle  interne  sensazioni  trasportarci  fuor  di  noi  e  for- 
mare le  idee  de^  corpi ,  era  domandare  :  «  come  si  possa 
formar  un  giudizio  prima  d'essere  forniti  d'idee.  »  Per 
avere  infatti  un'idea  di  cosa  fuori  di  noi,  convien  fare, 
voglia  o  non  voglia  ,  i  seguenti  giudizi  =  esiste  qual- 
che cosa  ==  questo  eh'  esiste  è  fuori  di  me ,  distinto 
da  me  =  questo  ch'esiste  è  il  soggetto  che  in  se  unisce 
le  qualità  sensibili  da  me  percepite  *i.  —  Per  formare 
tali  giudizi  io  debbo  già  possedere  delle  idee  generali  ; 
dunque  per  aver  delle  idee  ,  io  debbo  posseder  già  for- 
mate delle  idee  precedenti.  Esiste  dunque  una  nozione 
primitiva. 

Condillac  inculcò  sulla  prima  parte  del  ragionamento, 
vide  la  necessità  de'  giudizi  per  formare  le  idee  ,  ma 
non  osservò  che  il  giudizio  presuppone  un'idea  generale. 
E  invece  di  approfittare  del  piccolo  passo  fatto  dalla  que- 
stione ,  si  pensò  di  sciogliere  il  nodo,  affermando  che 
il  senso  giudica  :  eh'  è  molto  più  che  affermare  che  il 
senso  dell'odorato  percepisce  i  colori.  11  singolare  si  è  elisegli 
distingue  nel  senso  le  due  funzioni,  del  sentire  e  del  giudi- 
care ;  avrebbe  fatto  meno  male  a  confonderle.  Egli  di- 
stingue innoltre  l'attività  dalla  passività  ;  e  poi  pretende 
che  la  sensazione  si  muti  da  se  in  attenzione,  che  la 
passività  si  trasformi  in  attività,  e  il  sì  e  il  no  sien 
tutt'uno  *2.  Egli  distingue  1'  attenzione  della  memoria , 
dall'attenzione  del  senso,  chiamando  l'una  attiva,  l'al- 
tra passiva  ;  poi  vuole  che  la  memoria  sia  una  specie  di 
sensazione;  eh' è  come  volere  che  l'uomo  e  il  ritratto 
dell'uomo   siano    una    cosa.    Confonde  il  giudizio   con  la 

*!   Saggio  T.  I.  p.  6.?.,     —     *2  P.  70. 


317 

semplice  attenzione,  quasiché  per  essere  due  operazioni 
contemporanee  (  e  non  sempre  son  tali  ),  dovessero  ri- 
dursi a  una  sola!  Dà  al  tatto  il  privilegio  di  fare  che 
le  sue  sensazioni  siano  idee ,  e  di  trasformare  le  impres- 
sioni degli  altri  sensi  in  idee  :  e  ciò  per  la  ragione  che 
il  tatto  giudica  gli  oggetti  esterni  *i.  Con  questa  teoria, 
fondata  sopra  una  metafora  j  della  sensazione  trasfor- 
mata *2  ;  con  una  teoria  che  dando  alla  sensazione  il 
giudizio  ,  fa  che  la  sensazione  senta  un'altra  sensazione, 
giacche  non  si  dà  giudizio  senza  confronto  ;  fa  che  il 
senso  d'una  sensazione  sia  quello  stesso  che  ne  sente  con- 
temporaneamente un'  altra  •  fa  che  il  rapporto  sentito 
fra  due  idee ,  rapporto  che  è  il  termine  del  giudizio , 
sia  lo  stesso  giudizio  *3  j  con  una  teoria  tale,  doppia- 
mente singolare  in  un  uomo  ch'è  celebrato  per  preci- 
sione filosofica  e  per  evidenza  ;  le  difficoltà  non  si  sciol- 
gono •  e  riman  sempre  a  decidere  questo  punto:  se  il 
giudizio  è  laecessario  a  formare  le  idee  ,  e  le  idee  a  for- 
mare un  giudizio  ,  qual  è  il  primo  de' due?  Date  al  tatto 
la  facoltà  di  pensare,  datela  allo  spirito  ;  la  difficoltà  ri- 
raan  sempre  la  stessa  *4-  H  ConcUllac  si  pensa  forse  di 
scioglierla  col  trattar  dei  giudizi  prima  che  delle  idee 
generali  :  e  dopo  avere  trattato  in  tre  luoghi  diversi  delle 
idee,  de' giudizi,  e  delle  idee  generali,  conchiude  con 
ammirabile  semplicità:  «  da  ciò  si  vede  quanto  sia  facile 
»  il    formarsi   le   idee  generali.   » 

Quello  che  avrà  forse  condotto  l' ab.  di  Condillac  a 
confondere  il  giudizio  col  senso,  sarà  stato  il  doppio  si- 
gnificato della  parola  impressione  che  s'applica  e  al  corpo 
e  alla  mente  *5  ,  il  doppio  significato  della  parola  im- 
pulso *6  ,  il  doppio  significato    della  parola    sentire  che 

^i  p.  88.    —    «2  P.   128.    —    ^'3   P.  io5.    —     "4  P.  93. 

*')  T.  m.  p.  771.  —  *6  p.  781. 


518 

s'usa  e  per  avere  opinione  ,  e  per  provare  un  affetto  e 
per  giudicare  *i.  Ma  la  filosofia  non  dovrebbe  amare 
gli  equivoci. 

Del  resto  quando  la  parola  sentire  e  altre  simili  s'ap» 
plicano  alle  idee  generali  ;  allora  apparisce  evidente 
l'incongruenza  dell'ammettere  che  il  senso  formi,  senta, 
possegga  le  idee  generali  *2.  Il  senso  ha  sempre  per  ter- 
mine un  oggetto  singolo;  tutto  ciò  dunque  che  noi  tro- 
viamo fornito  di  qualche  universalità ,  è  fuori  affatto  del 
dominio  de'  sensi  *3. 

Ma  considerand'  anco  la  cosa  da  un  altro  lato,  ognun 
vede  che  ,  l'impressione  essendo  esteriore  al  tatto  e  alla 
vista  e  agli  altri  sensi  ,  non  è  da  confondere  con  la 
sensazione  ch'è  interna.  Il  sistema  de'  sensisti  non  è  punto 
più  filosofico  della  fantasìa  di  Epicuro  immaginante  gì' 
idoletti  ch'escono  da"  corpi  e  svolazzano  e  vengono  a  noi; 
o  di  quella  di  Hook  il  quale  dice  le  idee  della  vista 
formale  d'una  materia  simile  alla  pietra  di  Bologna  od 
al  fosforo  j  quelle  dell'  udito  d'  una  materia  simile  alle 
corde  di  violino  ,  e  così  discorrendo.  Tutti  coloro  che 
paragonano  l'impressione  fatta  dagli  oggetti  esterni  su 
noi,  a  quella  che  fa  sulla  cera  il  suggello,  o  ad  una 
contrazione  ,  irritazione j  configurazione,  non  pensarono 
che  tutti  questi  effetti  son  più  o  meno  visibili  o  sensi- 
bili al  tatto;  ma  che  le  idee  nessuno  ancora  le  ha  po- 
tute aocchiare  ne  brancicare.  Tutti  i  materialisti  con- 
fondono grossolanamente  1'  oggetto  della  sensazione  col 
soggetto  di  lei.  Cabanis  parla  del  cervello  come  d'un 
viscere  che  digerisce  il  pensiero.  Noi  veggiamo  dìc'egli 
le  //w;?rew/on/ pervenire  al  cervello  per  mezzo  de' nervi; 
esse  sono  allora  isolate  j  incoerenti  :  questo  viscere  en- 
tra in  azione  j  agisce  sopr^esse^  e  ben  tosto  le  rimanda 

*i  T.  IL  p.  68.    —    *2  P.  79.    ~    *3  T.  III.  p.  73.. 


319 

cangiate  in  idee.  Questo  si  chiama  proprietà  filosofica! 
Questo  si  chiama  evidenza  di  dire  !  Questo  si  chiama 
attenersi  allo  studio  de' fatti! 

Ma  finche  le  esperienze  dello  Spallanzani  sulla  digestione 
non  s'  applichino  con  successo  alle  idee  ,  finché  non  si 
trovino  nel  cervello  le  idee  più  o  meno  digerite  come 
si  trova  la  pasta  de'  cibi  nello  stomaco  de'  polli ,  sino  a 
quel  momento  sarà  lecito  dubitare  dell'  infallibilità  del 
sig.  Cabanis  *i. 

Distinta  l'impressione  dalla  sensazione,  resta  a  distin- 
guere  la  sensazione  dalla  cognizione  :  quella  non  è  che 
materia  di  questa  *2.  Alla  sensazione  manca  l'unità,  l'u- 
niversalità ,  che  sono  i  caratteri  delle  idee  *3  :  manca 
il  suggello  della  necessità  ;  ond'è  ,  che  riducendo  tutto 
alla  sensazione,  sempre  accidentale  e  attuale,  si  cade 
nello  scetticismo  *4  5  perchè  il  necessario  e  il  possibile 
sono  ,  come  s'è  detto  più  sopra ,  congiunti  in  modo  che 
tolta  l'idea  del  possibile  ,  Tidea  del  necessario  anch'essa 
vien  meno.  Quindi  è  che  un  filosofo  con  sublime  ac- 
corgimento attribuisce  l'origine  del  materialismo  alla  con- 
fusione della  potenza  coU'atto  *5. 

Gli  è  un'  illusione  del  resto  il  credere  che  Gondillac 
non  abbia  fatt'altro  che  continuare,  modificandolo,  il 
sistema  di  Locke  *6.  Gondillac  in  ciò  faceva  inganno  a 
se  stesso.  Le  formole  qua  e  là  sono  uguali,  il  criterio  è 
diverso.  Locke,  dice  un  autore  francese,  si  chiude  in  se 
e  lascia  venire  le  imagini  di  fuori  ;  Gondillac  si  colloca 
al  di  fuori  a  fianco  della  sua  statua  ,  e  le  compone  un' 
anima  colle  sensazioni  che  mano  a  mano  le  porge.  L'uno 
riman  sempre  dentro  ;  l'altro  fuori  sempre.  Locke  trova 
i  corpi  nel  fatto  interiore  delle  idee  ;  Gondillac  s'ostina 

*,  p.  ,86.    —    *2  T.  IV.  p.  7.    —    *3  P.  106.    —   *4  P.  i36. 
*5  P.  r58.    —    %  T.  111.  p.  400. 


320 

a  dedurre  i  fenomeni  ^ella  mente  dal  fallo  esterno  della 
sensazione.  Quindi  è  che  la  teoria  della  sensazione  in 
Inghilterra  produsse  l'idealismo  di  Berkeley,  di  Hume  ; 
in  Francia  il  materialismo  di  Cabanis  ,  di  Tracy. 

Ma  qualunque  sieno  le  varietà  del  sistema  di  que'due 
valentuomini  ,   si    può    senza   taccia    di  soverchio  ardire 
sospettarlo  sbagliato.  Convien  distinguere  il  cammino  che 
percorre  la  mente  del  bambino  infante  nell'acquisto  delle 
idee,  dal  cammino  che  nell'analisi  delle  idee  fa  la  scienza. 
Per  misurare   tutti  i  passi   del  primo  ,  converrebbe  tor- 
nare   bambino:   e    chi   vuol   cominciare    la    filosofia    dal 
trattato  delle  sensazioni,  convien  di  necessità  che  s'aiuti 
a   forza  di  fantasia  ,   che   indovini    que'  fatti  ch'egli   non 
può  più   certamente  osservare  in   se  stesso.  Cominciando 
all'incontro    dall'  analisi    delle    idee   quali   le   ha  1'  uomo 
adulto  ,   e    vedendo  non   di  negarle   ma   di  spiegare  se  i 
^ensi  soli  le  abbian   potute   produrre,  allora    veramente 
la  filosofia  s'appoggia    air  osservazione  ,    ed   è,  come  Ba- 
cone   raccomanda,   induttiva  *i.  Quell'esattezza   perciò 
con   la   quale    i    sensisti   vanno   a  poco   a    poco  creando 
le  idee,   e    dal  particolare  conducendo  lo  spirito   al  ge- 
nerale ,  non   è  che   imaginaria  :   giacche  dal   particolare 
al   generale  è  un  salto   immenso  a   cui  non    si  passa  per 
gradi.    Chi   vuol  ragione  di   ciò,  rammenti    quel   che  si 
è    detto  pili  sopra  :  «  che    non    si  può  pensare  un    solo 
particolare  senza    1'  aiuto  d'  un'  idea    generale.  »    Egli    è 
impossibile  lo  sviluppo   delle  cognizioni   senza  un  germe 
intellettivo;  e  chi  toglie  questo  germe,  ^toglie  l'intelletto^ 
ed    è   costretto   a    supporre   cosa   incomprensibile,    cioè 
che  l'intelletto    nasca    nell'uomo  col   nascere  della   sen- 
sazione, che  l'uomo  diventi  non   sia   ragionevole  *2. 

*i  T.  IV.  p.  595. 

*2  Piincipii  di  scienza  morale  del  medesimo  A.  pag.  24- 


321 

Ma  basti  di  Condillac.  Le  leggere  modificazioni  al  Lo- 
kismo  fatte  in  Francia  dopo  Condillac ,  inviluppandolo 
di  medicina  e  di  notoraia  e  di  chimica  (cli'è  ben  peggio 
che  applicare  la  cosmogonia  alla  medicina),  non  danno 
nessuna  nuova  spiegazione  dell'origine  delle  idee  *i. 

R^id  e  Stewart. 

Reid,  il  primo  e  il  più  forte  tra  gli  oppugnatori  di 
Locke ,  per  tutto  negare  al  suo  avversario ,  negò  fin 
l'esistenza  delle  idee:  assunto  non  mollo  conforme  a  quel 
senso  comune  al  quale  egli  pur  vanta  di  sempre  atte- 
nersi  *2. 

Per  isciogliere  il  problema  dell'origine  delle  idee^  Reid 
e  Stewart  ammettono  che  l'uomo  conosca  gli  oggetti  e- 
sterni,  non  perchè  la  sensazione  gliene  presenti  l'imagine, 
ma  per  una  quasi  ispirazione  o  facoltà  di  genere  tutto 
suo  ,  la  quale  all'  occasione  delle  sensazioni  fa  sì  che 
l'uomo  giudichi  esistere  il  corpo.  Questa  ispirazione  in 
prima  è  troppo  misteriosa  ;  e  poi  non  basta  a  spiegare 
il  fenomeno  *3.  Ho  detto:  misteriosa;  perchè  in  questo 
naturale  giudizio  primitivo  eh'  esce  dall'  intrinseca  virtà 
della  mente,  è  il  germe  di  quel  kantismo  che  troppo 
a  ragione  è  antipatico  a  molti  *4- 

Il  sistema  scozzese  infatti  non  vince  punto  quello 
scetticismo  che  pur  tende  a  combattere.  Ammettendo 
che  la  sensazione  nulla  ha  che  fare  con  la  percezione 
dell'esistenza  de""  corpi,  si  viene  a  mostrare  il  fianco  allo 
scettico,  il  qual  può  francamente  opporre:  che  una 
percezione   così   eterogenea   alla    sensazione ,    risica  d'es- 

"i  Saggio  T.  I.  p.   ii3.     —     *c»  P.   12  1.     — .     *3  P.  819. 
*4  T.  II.  p.  38  e  33i. 


322 

sere  infida  e  ingannevole  ;  che  un  giudizio  cieco ,  qual  è 
il  primo  giudizio  voluto  da  Reid,  è  una  necessità  inesplica- 
bile ,  da  cui  non  ci  viene  alcuna  sicurezza  della  verità 
delle  cose  giudicate  ;  che  il  vero  così  si  commuta  col  ne- 
cessario, senza  prova  nessuna  che  il  necessario  sia  vero  *i. 

Non  vince  né  anco  il  sensismo ,  perchè  laddove  Reid 
si  lamenta  che  alcuni  filosofi  facciano  preesistere  il  giu- 
dizio al  senso  ,  e  il  senso  al  giudizio ,  ha  ragione  pienis- 
sima j  ma  laddove  pretende  che  la  frase  :  il  senso  giu- 
dica ,  sia  esatta,  quivi  certamente  s'inganna.  Giacché 
non  avendo  il  senso  idee  generali,  ed  essendo  queste  idee 
necessarie  al  giudizio  ,  ognun  vede  che  il  senso  non  può 
giudicare  *2.  — •  Se  non  che  egli  si  trova  contraddicente 
a  se  stesso  quando  distingue  la  sensazione  dalla  perce- 
zione così  fortemente  che  ne  fa  due  cose  affatto  diverse  *3. 

Del  resto  quel  medesimo  errore  che  trasse  Reid  a  ori- 
ginare la  prima  delle  umane  idee  da  un  giudizio  cieco  e 
inesplicabile j  quell'errore  poteva  essere  un  passo  verso 
la  verità;  giacché  così  si  ammetteva  la  necessità  di  un 
giudizio  primitivo,  semplicissimo;  e  si  confessava  l'im- 
potenza del  senso  a  somministrar  gli  elementi  tutti  di 
tale  giudizio. 

Non  è  nuova  già  cotest'  idea  di  derivare  da  una  cieca 
potenza  i  primi  elementi  della  cognizione  :  anche  Dante 
intese  a  questo  modo  la  sentenza  scolastica  *4  :  e  da 
Reid  a  Galluppi,la  filosofia  moderna  a  questo  princi- 
pio tornò.  Galluppi  chiama  appunto  soggettive  le  idee 
dell'unità,  dell'identità,  ed  altre  tali;  quasiché  dal  sog- 
getto medesimo  traggano  resistenza  *5.  Ma  se  i  primi 
elementi  della  cognizione  non  sono  indipendenti  dal  sog- 
getto ,  e  non  hanno  un  oggetto  a    cui  riferirsi,  la  scienza 

1*  T.  IV.  p.  la.     —    *2  T.  III.  p.  721.    —     *3  P.  741. 
*4  Purg.  XVIII.  Ogni  forma  ecc.    —    *5  T.  II.  p.  243. 


325 

umana  è  scrollata  da'  fondamenti  ;  e  lo  scetticismo,  si- 
stema impossibile  dall'  una  parte ,  dall'altra  è  irrepara- 
bile. A  porre  una  base  ferma  all'  umana  cognizione  e 
certezza  il  nostro  Autore  non  vede  che  quest'  unico 
mezzo  :  stabilire  che  un  oggetto  hanno  i  nostri  pensieri 
universale ,  necessario  ^  indipendente  :  e  quest'  è  V  idea 
concreata   dell'essere  *i. 

Quanto  al  metodo  di  Reid,  il  qual  consiste  nell'  os- 
servazione e  neir  osservanza  de'  principii  del  senso  co- 
mune, non  è  qui  luogo  a  trattarne.  Diremo  soltanto 
che,  come  metodo  ausiliario,  può  tornare  utilissimo; 
come  criterio  unico,  è  talvolta  fallace;  che  le  grandi 
diiììcoltà  di  conoscere  il  senso  comune  ,  l'opinione  de- 
gli uomini  tutti  ,  le  grandi  ambiguità  e  gli  arbitrii  dell' 
interpretarlo ,  la  sua  stessa  naturale  incertezza  e  varietà, 
frutto  dell'umana  degenerazione;  la  sua  insufficienza 
intrìnseca  che  lo  rende  abbisognante  d'un  criterio  più 
certo,  tutte  queste  ragioni  con  altre  non  poche,  con- 
corrono a  render  sovente  arbitraria  l'applicazione  che 
fa  di  questo  principio  la  scuola  scozzese  ìlle  proprie 
dottrine  *2. 


Platone. 

I  filosofi  de'  quali  è  detto  sinora ,  peccarono  alquanto 
nel  poco  ;  quelli  di  cui  ci  resta  a  parlare  ,  nel  troppo  *3. 

La  difficoltà  posta  da  Platone  —  come  mai  l' uomo 
possa  cercar  di  conoscere  quel  che  ignora  —  porta  na- 
turalmente  a   inferire   che    una  qualche  idea  generale , 

"i  T.  III.  p.  825.  —  *3  T.  IV.  p.  160,  i63,  173,  174,  3i5, 
317,  321,  323,  333,  336,  428,  429,  43o,  452,  453,  6o5, 
606;  ed  altrove.     —     *3  T.  II.  p.  4. 


324 

almeno  quella  dell'  essere  ,  deve  aver  l'uomo  per  poter 
pensare  agli  enti  che  le  sensazioni  gli  presentano  sussi- 
stenti. Un  tale  discorso  conduceva  ad.  ammettere  qual- 
che cosa  di  medio  tra  il  perfettamente  conoscere  e 
l'interamente  ignorare;  e  in  questa  cognizione  mista  di 
luce  e  d' oscurità  ,  di  tanta  luce  che  basti  a  far  rico- 
noscere ciò  che  si  cerca  ,  e  di  tanta  oscurità  che  renda 
necessario  il  cercare  la  cosa  per  veramente  conoscerla, 
doveva  consistere  la  soluzione  del  problema.  Giacché  tra 
il  conoscere  chiaramente  e  il  non  conoscere  punto  ,  è 
una   serie  di    gradi    lunghissima:   e    nessuno   lo  nega  *i. 

Platone  scioglie  la  difficoltà  col  supporre  una  cogni- 
zione posseduta  dall'uomo  in  una  vita  precedente,  e  poi 
dimenticata  nascendo  ;  e  comprova  l'ipotesi  coll'esempio 
del  fanciullo,  al  quale  per  via  d'interrogazioni  avvedu- 
tamente dirette  si  possono  far  pronunziare  delle  verità 
geometriche  prima  facili ,  poi  anco  difficili  ,  eh'  egli 
non  aveva  mai  sentite  da  alcuno.  Questo  fatto  dimostra 
che  l'uomo  ha  la  facoltà  di  giudicare  anco  di  cose  che 
mai  per  l'innanzi  non  vide  :  e  fa  conchiudere  a  Platone 
che  tutti  questi  giudizi  eran  già  nella  mente,  ma  oblite- 
rati   *2. 

La  difficoltà  è  posta  qui  troppo  largamente  :  non  è 
necessario  spiegare  tutti  quanti  i  giudizi  che  l'uomo  fa 
di  cose  a  lui  nuove;  basta  spiegare  quel  giudizio  primo 
col  quale  s'  acquista  la  prima  idea  :  o  se  questo  spie- 
gare non  si  può ,  ammettere  un'  idea  madre.  Fatto  il 
primo  giudizio ,  rimane  spiegata  la  possibilità  d'acqui- 
stare innumerabili  altre  idee,  materia  ad  altri  giudizi.  Non 
era  necessario  ammettere  ingeniti  i  tipi  di  tutte  le  ve- 
rità :  bastava  ammettere  un  tipo,  a  cui  raffrontandole 
cose^  poter    conoscere   la    verità  loro;   bastava    trovare 

*!  T.  IV.  p.  4G9.     —    *2  T.  II.  p.  12. 


525 

un  criterio  della  verità  in  genere,  e  non  tanti  crite- 
rii  quante  sono  le  verità:  cosa  falsa  ed  assurda  *i.  Tutte 
le  nostre  idee  sono  composte  di  due  elementi,  l'uno 
invariabile,  necessario,  comune  a  tutte,  l'idea' dell'es- 
sere ;  l'altro  variabile,  singolare,  le  determinazioni  ag- 
giunte all'idea  dell'essere,  che  ne  costituiscono  l'idea 
del  tale  o  tal  ente.  Il  secondo  elemento  ci  viene  dai 
sensi ,  e  non  occorre  ammetterlo  innato  :  non  così  il 
il    primo  *2. 

Platone  confonde  il  sapere  in  atto  col  sapere  in  po- 
tenza ;  vuol  che  la  mente  già  sappia  perdi'  ha  in  se  la 
facoltà  di  sapere.  Quel  giovanetto  che  rispondendo  alle 
interrogazioni  ben  disposte  trova  da  se  una  verità  ^  geo- 
metrica, non  la  sapeva  egli  prima,  ma  aveva  i  princi- 
pii  che  a  saperla  conducono  *o.  Se  Platone  del  resto  , 
invece  di  recare  ad  esempio  una  verità  geometrica  e  di 
deduzione,  avesse  recata  una  verità  metafisica  e  di  prim' 
ordine,  avrebbe  prevenute  le  obbiezioni  d^Aristolele ,  e 
si  sarebbe  molto  più  avvicinato  alla  retta  via;  giacche 
questa  specie  di  verità  più  immediatamente  dipende  dal- 
l'idea d'esistenza ,  l'unica  necessaria  per  tutte  figliarle. 

Aristotele. 

Aristotele  per  ispiegare  l'origine  delle  idee  generali 
suppose  che  l'intelletto  percepisse  gli  universali  per  un 
atto  passivo  simile  a  quello  col  quale  il  senso  percepisce 
gli  oggetti  sensibili.  Ma  vedendo  che  questi  universali 
non  esistono  fuor  della  mente  ,  imaginò  una  potenza  in- 
terna alla  quale  attribuì  la  virtù  di  rendere  universali  i 
particolari  mediante  l'astrazione  *4-  A  sentir  certi  filo- 
ni P.  23.  —  *2  T.  111.  p.  46.  —  *3  T.  II.  p.  34. 
*4    r.  ti.  p.  5o  e  seg. 


326 

sofi,  si  direbbe  che  l'astrarre  sia  come  dividere  per  metà 
una  linea,  un  uomo,  un  pasticcio,  lasciar  da  un  canto 
il  particolare  e  cogliere  l'universale.  Ma  cogliendo  l'uni- 
versale,'nulla  si  stacca  dall'individuo;  non  è  se  non 
l'idea  che  si  coglie  *i.  Parrebbe,  a  sentire  Aristotele,  che 
il  senso  pigli  per  se  il  particolare,  e  l' intelletto  1' uni- 
versale j  come  l'occhio  e  l'orecchio  piglian  per  se  l'uno 
i  raggi  di  luce,  l'altro  ì  suoni  dall' aria  nella  qual  sono 
e  questi  e  quelli  in  certo  modo  confusi.  Ma  l'universale 
non  esiste  nelle  cose  come  la  luce  nell'aria.  Percepire 
il  comune  ne'  particolari ,  è  come  dire  :  percepir  il  co- 
mune in  ciò  che  non  è  punto  comune  *2.  Il  comune 
non  è  che  un  rapporto  fra  più  individui,  osservato  dalla 
mente  dell'uomo  ,  che  li  confronta  :  ora  un  rapporto  di 
due  individui  non  si  trova  in  alcuno  de'  due  individui 
considerato  in  sé;  non  si  trova  che  nella  mia  mente; 
convien  ch'io  lo  vegga  in  una  sola  concezione  della  stessa 
mente  mia. 

Aristotele ,  per  iscioglier  l'imbroglio  ,  stabilisce  un  in- 
telletto agente  ,  mediatore  fra  il  senso  e  l'intelletto  ,  che 
ha  per  uilìzio  trasformare  ì  fantasmi  sensibili  e  singolari 
in  universali.  L'incumbenza,  gliela  dà  proprio  Aristotele: 
tocca  poi  a  questo  intelletto  trovare  il  modo  di  disim- 
pegnarsene, senza  portar  seco  nessuna  idea;  ma  cavan- 
dole tutte  da'  fantasmi  sensibili.  Per  aggiungere  ai  fanta- 
smi sensibili  l'universalità,  bisogna  pure  che  l'intelletto 
agente  in  qualche  parte  la  trovi  *3. 

In  altro  luogo  lo  Stagirita  rappresenta  i  singolari  cam- 
biati in  universali  quando  passano  dal  senso  all'intelletto 
a  guisa  di  liquore  che  prende  la  forma  del  vaso  nel 
quale  è  mesciuto.  Ma  la  differenza  si  è  che  il  liquore 
travasato  riman  sempre  lo  stesso ,  e  che  i  singolari  non 

U  P.  74.    —    "%  P.  63.    —    *3  P.  85. 


3-27 

possono  diventare  universali  senza  cambiare  natura.  — 
Più  :  questa  trasformazione  ridurrebbe  in  tal  caso  la  ve- 
rità soggettiva,  cioè  relativa  alla  mente,  non  oggettiva, 
cioè  atta  ad  entrar  nella  mente  senza  perdere  la  sua 
natura  di  verità;  e  si  cadrebbe  nello  scetticismo  e  nel 
Kantismo  ,  scogli  che  dalla  dottrina  peripatetica  a  prima 
vista  paiono  lontanissimi.  v.t» 

In  alcuni  passi  però  s'avvicina  Aristotele  al  vero ,  co- 
me quando  accenna  alla  sfuggita  uno  universale  quie- 
scente neW  anima',  e  quando  ammette  che  l'intelletto 
agente  traendo  dal  particolare  sensibile  l'universale,  deve 
avere  in  se  un  atto,  sostanziale  alla  propria  natura  , 
senza  il  quale  non  potrebbe  fare  1'  operazione  indicata. 
Sebbene  oscura  ed  equivoca  sia  la  frase,  ognun  vede 
come  Tatto  d'una  facoltà  conoscitiva  non  può  essere  che 
una  cognizione  sostanzialmente  preesistente  nell'intelletto 
all'operazione  dell'universalizzare  *i. 

Quando  poi  Aristotele  si  contenta  di  negare  che  sia 
innata  noli'  uomo  alcuna  idea  determinata  ,  allora  con- 
vien  pienamente  col  nostro  Autore  *2.  Ma  i  più  de'  com- 
mentatori d'Aristotele  s'attennero  alle  sentenze  di  lui  più 
chiare  e  più  frequentemente  ripetute,  e  negarono  affatto 
ogni  cosa  d'innato.  Temistio  fra  gli  altri,  spiega,  dietro 
Aristotele ,  1'  origine  degli  universali  con  una  specie  di 
lenta  induzione  che  dall'accumulamento  di  molte  osser- 
vazioni ed  esperienze ,  trae  finalmente  una  conseguenza 
generale  :  principio  falso  ,  che  scambia  la  difficoltà  ,  non 
la  scioglie.  Vediamolo  con  un  esempio. 

Per  formarsi  l'idea  generale  che  la  china  vince  la  feb- 
bre periodica ,  certamente  è  necessario  del  tempo  e  dell' 
esperienza  a  fine  di  poter  raccogliere  i  molti  casi  par- 
ticolari da' quali  conchiudere  quella  verità:  ma  potre' io 

*i   P.   102.  —  T.  III.  p.  101,     —     *a  T.  II.  p.   ii5,  ii8. 


328 

mai  concliiuderla  se  non  mi  formassi  un'  idea  generale 
di  china  e  di  febbre  periodica ,  cioè  non  del  tale  o  tal 
pezzo  di  china  ,  ma  di  tutte  quante  le  cortecce  possi- 
bili di  quella  pianta  ;  non  della  febbre  di  Paolo  o  d'An* 
toniOj  ma  di  tutte  in  genere  le  febbri  periodiche,  che 
mai  sono  state,  sono,  saranno,  o  possano  o  potranno 
essere  ?  E  queste  due  idee  cosi  generali ,  o  per  meglio 
dire  la  generalità  di  queste  due  idee ,  mi  può  ella  ve- 
nire da' sensi,  da  osservazioni,  anche  innumerabili,  re- 
plicate con  tutta  la  possibile  diligenza  ?  Qual  è  dunque 
la  forza  che  fa  la  mia  mente  ascendere  al  generale? 
Quella  de' sensi,  no  certo. 

La  norma  stessa  dell'analogia  non  può  essere  dal  senso 
fornita.  Abbiamo  noi  percepiti  dodici  oggetti?  Noi  non 
potremmo  colla  mente  estenderci  al  tredicesimo  se  non 
l'abbiam  percepito:  molto  meno  potremmo  estenderci 
a  tutti  gli  enti  esistenti  ;  meno  ancora  ai  possibili  *i. 
Questa  considerazione  distrugge  il  sensismo  dalle  sue  fon- 
damenta. 

Leibniz  io. 

Questo  grand'uomo  si  fa  a  combattere  Locke  pur  con 
animo  d'interpretare  benignamente  le  dottrine  di  lui,  e 
spiegarle  e  perfezionarle  :  concede  a  Locke  ,  che  le  idee 
le  quali  non  vengono  dalla  sensazione  debbono  venire 
dalla  riflessione  ;  ma  afferma  che  la  riflessione  non  è  altro 
se  non  un'  attenzione  data  a  ciò  che  è  già  in  noi  *2. 

Il  male  si  è  che  Leibnizio  prende  la  voce  innato  in 
più  sensi;  e  ora  chiama  idee  innate  quelle  che  l'intel- 
letto deve  acquistare  nel  primo  momento  della  nostra 
esistenza  j  or   chiama   innate    quelle  che  sono   concreate 

*i  P.  207.    —    *3  P.  i38. 


529 

airintelletto  ,  essenziali  a  lui,  senza  le  quali  non  esiste- 
rebbe intelletto.  Ognun  vede  che  la  questione  ne'  due 
casi  mula  aspetto  di  molto:  giacche  nel  secondo  (ed  è  il 
nostro)  si  tratta  di  vedere  se  l'intelletto  sia  o  no  una 
potenza  di  far  uso  di  una  qualche  idea  per  ragionare, 
sì  che  il  negare  questa  idea  sia  il  medesimo  che  negar 
l'intelletto.  Ell'è  una  questione  che  non  versa  solamente 
sul  fatto,  ma  sulla  natura  stessa  dell'intelletto  umano: 
e  da  questo  lato  la  riguarda  il  grand'uomo  laddove  al- 
l'assioma :  niente  è  nelV  intelletto  che  non  sia  stato  nel 
senso  ,  soggiunge  :  niente  j  tranne  lo  stesso  intelletto. 
Ed  infatti  una  facoltà  di  pensare  priva  allatto  d' ogni 
nozione  sarebbe  una  contraddizione  ne'  termini,  una  po- 
tenza che  non  è  punto  potenza.  Il  solo  ammettere  la 
facoltà  di  pensare  innata,  innato  l'intelletto,  h  già  un 
ammettere  qualche  idea  innata ,  mediante  la  quale  la 
intelligenza  possa  esercitare  1'  uffizio  suo  sulle  ricevute 
sensazioni  *i. 

Le  frasi  di  tavola  rasa  j  di  cera  j  àì\  finestre ,  appli- 
cate all'anima,  nulla  provano  :  avverte  Leibnizio.  L'intel- 
ligenza umana  somiglia  forse  a  una  tavola  ,  a  un  pezzo 
di  cera?I  sensisti  che  tanto  si  vantano  di  precisione  fi- 
losofica, dovrebbero  lasciare   una    volta  sifiatte  metafore. 

La  questione  del  resto  sull'elemento  innato  delle  umane 
cognizioni ,  non  è  esattamente  posta  da  Leibnizio  ;  ed 
è  sciolta  ,  come  ognun  sa,  col  sistema  dell'armonia  pre- 
stabilita, dove  s'ammettono  innate  nell'anima  e  le  idee 
non  sensibili  di  tutte  quante  le  cose,  e  certi  istinti  che 
ci  muovono  a  riflettere  sopra  le  idee ,  e  così  farcene 
accorti  ;  sistema  che  non  è    necessario    confutare    *2. 

Il  gran  merito  di  Leibnizio  in  tal  questione  si  fu  di 
avere  fortemente  inculcato  sulle  percezioni   a  cui  l'anima 

*i  1'.  142.    -     ♦a  P.  i53. 


550 

non  riflette:  donde  si  viene  a  conchiudere  che  un'idea 
può  essere  nell'intelletto  senza  che  l'uomo  se  ne  accorga, 
perchè  ancora  non  vi  ha  riflettuto.  Il  negar  questo ,  il 
dire  con  Locke  che  le  idee  innate  non  esistono  ,  perchè 
se  esistessero  ,  noi  lo  sapremmo  ,  è  un  contraddire  alla 
quotidiana  esperienza;  giacché  tutti  noi  ci  risovveniamo, 
a  qualche  occasione,  di  cose  dimenticate;  ci  accorgiamo 
cioè  d'idee  che  erano  in  noi,  ma  non  riflettute,  e  quasi 
non  fossero.  E  non  è  possibile,  soggiunge  Leibnizio, 
che  noi  riflettiamo  sempre  direttamente  su  tutti  i  no- 
stri pensieri  :  se  ciò  fosse  lo  spirito  dovrebbe  far  rifles- 
sione sopra  ciascuna  sua  riflessione,  all'infinito,  senza 
poter  mai  venire  a  capo  di  qualche  nuovo  pensiero. 
Egli  è  pur  forza  che  la  mente  resti  dal  riflettere  so- 
pra tutte  quante  le  sue  riflessioni ,  e  che  infine  ci  sia 
qualche  pensiero  che  si  lasci  passare  senza  pensarvi:  al- 
trimenti si  tornerebbe  sempre  al  medesimo.  Questo  ar- 
gomento prova  non  solo  il  fatto  ma  la  necessità  del  fatto: 
e  il  nostro  Autore  lo  riduce  a  formola  veramente  filo- 
sofica quando  dice  :  «  un  atto  qualunque  dell'intendi- 
»  mento  ci  fa  conoscere  l'oggetto  suo  nel  qual  termina, 
»  ma  non  ci  fa  conoscer  se  stesso  *i.  » 

Altro  è  dunque  ch'esista  nella  mente  un'idea,  altro 
è  il  pensarci  attualmente:  quando  noi  non  vi  pensiamo, 
non  sappiamo  d'averla  ;  e  non  sapendo  d'averla,  non  pos- 
siamo né  anco  parlarne  *2. 

Del  resto  sebbene  Leibnizio  ammetta  a  spiegar  l'ori- 
gine delle  idee  un  po'  meno  d'innato  che  Platone  ,  am- 
mette però  troppo  più  che  a  spiegarla  non  sia  necessario. 
Egli  paragona  l'umana  cognizione  a  un  pezzo  di  marmo 
venato  dallo  scalpello  in  modo  che  levandone  via  il 
superfluo,  e  seguendo  quelle  venature,  possa  escirne  per- 

U  T.  IV.  p.  48o.    —    *2  T.  II.  p.  168. 


331 

fetta  la  statua.  Ma  queste  venature  sono  troppo  :  bastava 
ammettere  un  regolo,  seguendo  il  quale  si  venisse  a 
cavare  dal  marmo  la  statua.  Le  venature  di  Leibnizio 
sono  le  idee  innate  ;  il  regolo  è  l'idea  generale  dell'  es- 
sere *i. 

Kant. 

Kant,  che  molto  approGtta  delle  idee  dì  Leibnizio,  e- 
sagerandolo  ma  senza  citarlo  *2 ,  ammette  senza  esame 
il  principio  Lockiano,  che  tutte  le  cognizioni  vengono 
dall'esperienza  ,  e  suppone  provato  ciò  eh'  è  in  questione 
*3  ;  ma  non  ammette  che  tutte  vengan  da'  sensi ,  e  si 
accinge  a  cercare  le  condizioni  necessarie  acciocché  sia 
possibile  un'esperienza  originatrice  deirumano  sapere  *^. 
Distingue  intanto  la  cognizione  a  priori  dalla  cognizione 
a  posteriori,  distinzione  ammessa  da  Locke  istesso.  L'e- 
sperienza de' sensi  mostra  ciò  che  è,  non  ciò  che  deve 
o  può  essere.  Le  idee  di  necessità  e  di  possibilità  ,  cioè 
d'universalità,  non  vengon  da' sensi:  la  cognizione  acci- 
dentale e  parziale  è  a  posteriori  ,  la  necessaria  e  la  pos- 
sibile è  a  priori. 

Si  noti  però  1'  errore  grave  di  Kant  e  d'  altri  filosofi. 
Essi  dicono  :  «  tutte  le  cognizioni  universali  e  necessarie 
sono  a  priori.  »  Dovevano  dire  :  l'universalità  e  la  ne- 
cessità delle  cognizioni  è  a  priori.  Con  la  prima  sen- 
tenza si  vengono  ad  ammettere  molte  idee  innate  *5  ; 
con  la  seconda,  una  sola,  ch'è  per  essenza  universalis- 
sima  e  fornita  di  quel  carattere  della  necessità  *6.  Con 
la  prima  s'ammettono  certe  attività  dello  spirito,  ma 
nessuna  idea  attualmente  pensata:  con  la  seconda  si  pone 

*i  P.  175.  —  *a  Opusc.  filosof.  II.  5oi. 
*3  N.  Saggio  T.  II.  p.  180.  —  *4  1'.  194. 
*5  P.   ò%\.     —  '6   T.    311.   p.    39. 


332 

che  l'intellelto  essenzialmente  conosca  qualche  cosa,  cioè 
l'essere  in  universale,  ch'è  l'essenziale  oggetto  delTintel- 
ligenza  *i.  Però  l'Autore  del  Nuovo  Saggio  comincia  la 
sua  ricerca  dall'oggetto  essenziale  dell'intelletto,  mentre 
tanti  altri  comincian  la  loro  dall'atto  dello  spirito,  senz' 
accorgersi  che  quest'  atto  deve  dipendere  dall'  azione 
d'un  Oggetto  *2. 

Prima  dì  procedere  oltre  co'  principii  di  Kant,  fer- 
miamoci un  poco  allo  scetticismo  di  Hume,  giacché  l'or- 
dine delle  idee  lo  richiede. 

Hume. 

Trovando  in  Locke  quelle  due  proposizioni  contrarie  : 
tutto  viene  da' sensi,  e:  esiste  una  cognizione  a  priori, 
V  Hume  ne  conobbe  la  contraddizione  ;  e  piuttosto  che 
lasciare  la  prima,  negò  la  seconda:  negò  quindi  la  ne- 
cessità dell'idea  di  causa,  e  dichiarò  essere  errore  del 
senso  comune  Tassioma  :  «  tutti  gli  effetti  devono  avere 
una  causa  *3.  n  Ma  negando  l'idea  di  causa,  non  s^avvide 
che  ,  per  la  ragione  stessa  ,  e'  doveva  logicamente  negare 
tutte  quante  le  idee  necessarie  ed  universali,  tutti  gli 
assiomi ,  giacché  le  idee  necessarie  ed  universali ,  appunto 
come  quella  di  causa  ,  non  ci  vengon  da'  sensi.  Ne  giova 
ad  Hume  distinguere  le  cognizioni  a  priori  che  riguar- 
dano le  teorie,  da  quelle  che  discendono  a' fatti.  Tutte 
le  cognizioni  a  priori  ,  quando  s^applicano  ad  un  caso 
particolare,  discendono  al  fatto;  e  tutte  le  cognizioni 
di  fatto   inchiudono    in    sé  qualche  cognizione   a  priori. 

Ma  per  confutare  la  dottrina  che  taccia  di  falso  l'as- 
sioma :  ogni  effetto  ha  una  causa,  basta  notare  che  la 
connessione   di  luogo  o  di   tempo   tra    quello  che   pare 

U  T,  IV.  p.  459.     —  "%  T.  IV.  p.  463.     —     *3  T.  IL  p.  217. 


555 

effetto  e  quella  che  par  causa,  connessione  data  dall' 
Hume  come  origine  del  pregiudizio  volgare  ,  questa  con- 
nessione ,  ripeto,  osservala  coll'esperienza  de' sensi,  non 
potrebbe  giunger  mai  a  creare  un  principio  necessario 
ed  universale  qual  è  il  principio  di  causa.  Ne  giova  il 
dire  che  questo  principio  pare  universale  e  necessario, 
ma  non  è.  Esso  non  potrebbe  nemmeno  apparir  tale 
agli  uomini,  se  questi  non  avessero  una  cognizione  a  priori 
e  non  venente  da' sensi.  Poniamo  infatti  che  la  propo- 
sizione: og-n/  effetto  deve  avere  una  causa,  non  sia  che 
una  versione  inesatta  di  questa  osservazione  dell'  espe- 
rienza :  certi  avvenimenti  precedono  sovente  certi  altri. 
Perchè  gli  uomini  potessero  trasformare  una  proposizione 
empirica  in  un  assioma  razionale  ,  dovevano  possedere 
—  r  idea  di  possibilità ,  giacche  1'  essere  possibile  non 
cade  sotto  il  senso  —  l'idea  di  causa,  giacche  sotto  i 
sensi  non  cadono  che  gli  effetti  —  l'idea  di  necessità  , 
giacche  i  sensi  mostrano  quello  eh'  è,  non  quel  che 
dev'essere  —  l'idea  d'universalità,  giacche  1' esperienza 
de' sensi  è  limitata  a  un  certo  numero  d"  oggetti  e  di 
atti.  La  difficoltà  dunque  che  si  trova  ad  aramsttere  il 
principio  di  causalità  come  vero,  si  trova  pure  ad  am- 
metterlo come  apparente  :  data  la  sola  esperienza  dei 
sensi,  gli  uomini  non  se  lo  sarebbero  potuti  nemmanco 
imaginare.  A  noi  basta  dunque  che  l' Hume  conceda 
che  quest'idea  c^è  :  sia  vera  o  falsa,  bisogna  spiegarne 
l'origine  *i.    —  Torniamo   a  Kant. 

Hume  negò  le  cognizioni  a  priori  :  Reid  le  ammise, 
e  le  spiegò  con  un  giudizio  istintivo  :  Kant  svolse  la 
teoria  di  Reid,  e  ne  ingrandì  fortemente  l'errore,  vo- 
lendo spiegare  questo  giudizio  cieco  che  lo  Scozzese  am- 
metteva. 

*i   P.  233. 


334 

La  mente,  dice  Knnt,  all' occasione  delle  sensazioni 
percepisce  gli  oggetti  esteriori  ,  ma  questi  non  sono  un 
mero  aggregato  di  sensazioni.  Son  enti  risultanti  dalle 
sensazioni  stesse,  che  son  Ja  materia;  e  da  certe  qualità 
poste  dallo  spirito,  che  Kant  chiama  forme  *i.  Quand' 
io  percepisco  una  pianta ,  non  soffro  solamente  alcune 
modificazioni  ne' miei  organi  corporei,  le  quali,  come 
soggettive,  nulla  pongono  fuori  di  me:  io  ammetto  ìnnol- 
tre  col  mio  intendimento  qualche  cosa  di  oggettivo  al 
di  fuori,  che  ha  un'esistenza  indipendente  da  me;  e  per 
far  questo,  debbo  aggiungere  alla  sensazione  il  concetto 
di  qualche  cosa  che  sia  necessario,  universale.  Fin  qui 
Kant  dice  il  vero;  giacche  per  affermare  che  l'oggetto 
esiste  fuori  di  me  ,  io  debbo  aggiungere  alle  sensazioni 
l'idea  d' esistenza.  Ma  Kant  enumera  ben  quattordici 
forme  ch'entrano  xìgW^l  formazione  d'un  oggetto  corpo- 
reo   da   noi  percepito.  Son  troppe. 

Kant  innoltre  col  definire  i  corpi  un'unione  di  forme 
intellettuali  e  di  sensazioni,  e  le  une  e  le  altre  venenti 
da  noi,  le  prime  dall'attività  dell'intelletto,  le  seconde 
dalla  suscettività  del  senso,  fa  soggettive  tutte  le  co- 
gnizioni, distrugge  ogni  realità  e  fin  la  possibilità  di 
accertarsi  se  nulla  vi  sia  di  reale  fuori  di  noi.  Conseguenza 
di  quel  giudizio  cieco,  ammesso  da  Reid;  giudizio  uscente 
da  ignota  virtù  intrinseca  dell'  intelletto  *2.  E  appunto 
una  cieca  operazione  dell'intelletto  ammette  Kant,  la 
qual  si  crea  da  sé  l'universo  senza  sapere  se  1'  universo 
esista ,  e  si  pasce  delle  proprie  illusioni  :  scetticismo 
profondo  e  terribile. 

L^errore  essenziale  di  Kant  sta  nell'  aver  fatta  delle 
i4ee  nostre  e  degli  oggetti  esterni  una  cosa  sola.  Una  cosa 
sola  ne  aveva  fatto  anche  Reid;  ma   Reid   aveva  detto: 

♦l    P.    247.      -^      *2    P.    25l. 


535 

questa  cosa  sola  sono  gli  oggetti  esterni  ;  le  idee  non 
esistono.  Kant  invece  :  questa  cosa  sola  sono  le  idee  ; 
son   esse  gli  oggetti j  altri  oggetti  esterni  non  c'è. 

I  concetti,  osservò  Kant,  sono  generali:  dunque  non 
possono  esistere  nelle  cose,  ma  sì  nella  mente.  —  Questo 
è  vero  :  ma  non  ne  viene  già  che  i  nostri  concetti  en- 
trino come  un  elemento  nell'oggetto  esterno,  a  crearlo, 
a  costruirlo.  Prendiamo  ad  esempio  un'idea  generale: 
l'esistenza.  Bisogna  distinguere  l'esistenza  in  generale, 
che,  come  idea  ,  è  solamente  nel  nostro  intelletto,  dalla 
particolare  cli'è  nell'oggetto  stesso,  è  realtà,  non  idea. 
Egli  è  ben  vero  che  quando  noi  giudichiamo  che  1'  og- 
getto esiste  ,  applichiamo  il  predicato  generale  d'esistenza 
ad  un  particolare  soggetto  :  ma  con  ciò  noi  non  pon- 
ghiamo  già  nell'oggetto  particolare  l'esistenza  in  generale, 
cosa  assurda  :  non  facciam  che  trovarvi  l' esistenza  sua 
particolare,  e  riconoscerla  col  mezzo  dell'idea  generale, 
che  abbiamo  in  noi ,  classificando  l'oggetto  nel  numero 
degli  enti  ch'esistono.  Se  l'esistenza  che  percepiamo  in 
un  dato  oggetto  fosse  l'idea  d'esistenza  che  abbiamo  in 
noi,  allora  il  percepire  un  oggetto,  sarebbe  lo  stesso 
che  infondervi  un'  esistenza  generale ,  qual  è  nella  mente 
nostra. 

Kant  confuse  il  concetto  con  la  cosa  che  al  concetto 
corrisponde  ,  il  modo  d'intendere  con  la  cosa  intesa  *i  : 
quindi  pose  essere  l'universo  un  prodotto  dell'umano  in- 
tendimento e  della  sensibilità ,  ponendo  quello  come 
forma  ,  questa  come  materia,  quasi  due  ingredienti  suf- 
ficienti a  comporre  tutte  le  cose  del  mondo.  E  ciò  che 
s'è  detto  dell'esistenza,  dicasi  ben  più  a  ragione  delle 
altre  categorie  Kanziane. 

Cosi  quand'  io  aiFermo  :  «  questa  montagna  è  grande  » 

*i  T.  IV.  p.  433. 


336 
non  creo  la  montagna  ,  non  ci  metto  della  grandezza 
ch'è  in  me  *i  ;  non  fo  che  riconoscere  la  grandezza 
che  in  essa,  raiFrontandola  a  un'idea  di  grandezza,  eh' 
io  ho  nella  mente.  L'idea  di  grandezza  non  è  la  grandezza 
medesima  delia  cosa.  Che  se  non  esistesse  una  real  dif- 
ferenza tra  l'idea  e  l'oggetto  corrispondente,  come  po- 
tremmo noi  distinguere  queste  due  cose  ?  E  perchè  fu- 
rono  da   tutti    distinte  ?   Sopra    qual  fondamento  *2  ? 

Altro  errore  di  Kant.  Egli  pone  le  categorie  di  quan- 
tità, qualità,  relazione,  modalità,  come  condizioni  della 
percezione  intellettiva  ,  sicché  non  si  possa  percepire  un 
oggetto  senza  percepir  quelle  ancora.  Ma  io  posso  per- 
cepire un  oggetto  esterno,  semplicemente  col  pensarlo 
esistente,  senza  pronunziare  giudizio  sul  resto.  Posso  dire: 
«  esiste  qualche  cosa  che  modifica  i  miei  sensi,  fornita 
certo  di  tutte  le  condizioni  necessarie  acciocché  possa 
esistere:  »  sospendendo  poi  ogni  giudizio  su  queste  con- 
dizioni ;  le  quali  sono  bensì  necessarie  all'esistenza  delle 
cose  esterne  ,  ma  non  alla  percezione  nostra.  Insomma 
l'unica  idea  necessaria  alla  percezione  è  l'idea  d'esisten- 
za :  si  può  certamente  e  nell'atto  stesso  e  dopo  la  per- 
cezione esaminare  le  proprietà  dell'  oggetto  ;  e  così  si 
perfeziona  il  sapere:  ma  certo,  il  primo  giudizio  della 
mente  portato  sul  di  fuori  di  sé,  deve  affatto  cadere 
sull'essere,  non  sugli  accessorii  di  quello.  —  Ma  Kant 
confondendo  l'oggetto  esterno  con  l'idea  della  mente, 
doveva  di  necessità  porre  nella  mente  le  qualità  che  son 
nell'oggetto. 

L'esistenza  stessa  de' giudizi!  sintetici  a  priori  non  è 
punto  un  fatto,  giacché  lutti  quelli  che  Kant  dice  tali , 
quelli  cioè  eh'  egli  considera  come  non  contenenti  nel 
soggetto    l'idea   del  predicato,  tali   non    sono   e  la  con- 

*i  T.  II.  p.  262.  —  T.  IV.  p.  21 5,    —  *2  T.  IV.  p.  468. 


557 

tengono  veramente  *i.  Nell'idea  de'  numeri  sette  e  cinque 
unitij  s' inchiude  l'idea  del  dodici:  nelTidea  di  linea 
retta  s'inchiude  l'idea  della  più  breve  fra  le  linee,  che 
partono  da  un  medesimo  punto  e  ad  un  altro  punto 
riescono  :  nell'idea  d'  effetto  s'inchiude  l' idea  di  causa  : 
e  l'unica  difficoltà,  in  questo  caso,  sta  nello  spiegare 
l'idea  d'esistenza,  alla  quale  l'idea  di  causa  riducesi,  come 
mostra  l'autore  *2.  E  in  generale  ,  la  difficoltà  del  pro- 
blema filosofico  non  istà  nel  trovare  come  un  predicato 
non  inchiuso  nell'idea  del  soggetto  a  questo  s'unisca, 
sta  nel  trovare  come  la  mente  si  formi  il  concetto  del 
soggetto,  dell'ente  esterno;  come  si  formi  i  concetti  delle 
cose.  Badiamo  bene  a  questo  problema. 

Nel  concetto  d'una  cosa  esiste  un  giudizio  intrinseco, 
col  quale  consideriamo  la  cosa  oggettivamente ,  cioè  in 
se,  non  soggettivamente,  cioè  come  una  modificazione 
dell'essere  nostro.  In  questo  giudizio,  come  in  tutti  i 
giudizi,  dev'esserci  un  predicato  e  un  soggetto.  Qual  è 
il  predicato  ?  L'esistenza.  Giacché  percepire  una  cosa  og- 
gettivamente è  percepirla  in  sé  ,  nell'esistenza  eh'  ell^ha 
o  che  può  avere.  E  quale  è  il  soggetto?  La  cosa  stessa 
ch'ha  operato  sui  nostri  sensi. 

Il  soggetto  in  questo  giudizio  non  è  da  noi  percepito 
intellettualmente,  ch'anzi  il  giudizio  stesso  è  l'atto  della 
percezione  intellettuale:  il  soggetto  è  qui  la  cosa,  in 
quanto  è  percepita  dal  senso  ,  cosa  di  cui  non  abbiamo 
il  concetto,  ma  la  semplice  sensazione.  Questo  è  impor- 
tante a  notarsi;  ed  è  il  secreto  di  tutta  la  filosofia  dello 
spirito  umano:  che  v'ha  de' soggetti  de' nostri  giudizi, 
de'  quali  non  abbiamo  l'idea  ma  la  sensazione  soltanto. 
Son  questi  i  primi  giudizi  che  fa  1'  umano  intelletto  , 
quando  dice  :  esiste  quello  eh'  io  sento.  Ciò  ch'io  senio, 

*i  T.  U.  p.  287.    —    »2  T.  111.  p.  290. 


338 

io  lo  percepisco  intellettualmente,  non  in  quanto  lo  sento, 
ma  in  quanto  v'aggiungo  il  predicato  dell'esistenza.  Ri- 
mossa la  parola  esiste,  eh' è  qui  il  predicato  perchè  si- 
nonimo ad  è  esìstente,  rimossa,  dico,  la  parola  esiste, 
che  cosa  mi  resta?  Ciò  ch^  io  sento,  vale  a  dire,  ciò 
eh'  io  non  ancora  percepisco  come  esistente  al  di  fuori 
di  me. 

Quest'analisi  del  giudizio  nostro  primitivo  è  la  chiave 
che  si  apre  i  segreti  delle  operazioni  dell'umano  intel- 
letto. Il  soggetto  ciò  ch'io  sento,  ci  vien  dato  da'sensi; 
ma  il  predicato ,  l' idea  d'  esistenza ,  non  può  certo  dai 
sensi  venire  *i. 

I  giudizi  primitivi  pertanto  si  formano  mediante  una 
sintesi ,  fra  il  predicato  che  i  sensi  non  danno ,  e  il 
soggetto  ch'è  appunto  la  sensazione ,  o  il  complesso  delle 
sensazioni..  Questi  giudizi  primitivi  sono  dunque  in  certo 
modo  sintetici ,  e  rendono  possibili  gli  altri  giudizi  ana- 
litici ;  con  cui  si  scompongono  i  concetti  delle  cose , 
formati  per  via  della  predetta  sintesi  primitiva,  —  Ma 
Kant  intende  la  voce  sintetico  in  senso  più  materiale  , 
come  se  il  predicato  della  mente  entrasse  a  far  parte 
del  soggetto,  e  a  crearlo.  Egli  dunque  si  dà  a  numerare 
siffatti  predicati  che  non  vengono  né  dall'esperienza  ne 
dal  concetto  del  soggetto  ,  e  tutti  li  vuole  usciti  da  una 
portentosa  fecondità  dello  spirito  *2. 

I  predicati  stabiliti  da  Kant,  e  le  dodici  categorie 
dell'  intelletto  ,  con  le  due  forme  del  senso  interno  ed 
qsterno,  son  cosa  in  gran  parte  arbitraria  e  forzatamente 
simmetrica  *3.  Le  une  poi  rientrano  nelle  altre;  e  l'idea 
d'esistenza  possibile  le  comprende  tutte,  e  tutte  se  le 
assoggetta  ,  come  quella  che  comprende  in  sé  l'altre  di 
esistenza    reale    e   di   necessità,   e  molto  più  quelle  che 

♦i  T.  II.  p.  3o4.    —    *2  P.  331.    —    *3  P.  347. 


539 

sono  men  generali  delle  due  nominate  *i  :  la  sostanza, 
la  quale  considera  un  ente  oggettivo  ;  la  causa,  di  cui  la 
mente  s'accorge  pensando  al  principio  d'una  nuova  esi- 
stenza; l'azione,  che  dal  senso  non  può  passare  all'intel- 
letto, se  non  si  percepisca  come  possibile  a  replicarsi 
un  numero  indefinito  di  volte  ;  la  quantità  e  la  qualità, 
che  non  si  possono  ne  anch'esse  pensare  esistenti  se  non 
si  pensano  insieme  come  possibili:  finalmente  lo  spazio 
ed  il  tempo  j  le  idee  de' quali ,  analizzate,  si  risolvono 
in  due  elementi  i.°  lo  spazio  ed  il  tempo  sperimentato 
co' sensi,  2."  il  pensiero  della  possibilità  d'uno  spazio  e 
d'un  tempo  indefinitamente  ripetuto  e  ampliato. 

Insomma  la  mente  non  ha  innata  in  se  forma  alcuna 
determinata,  ma  una  sola  indeterminata  aflfatto ,  l'idea 
dell'  essere.  Questa  moltiplicità  dì  forme  tutte  primitive 
ripugna  al  pensiero  *2 ,  come  ripugna  all'  universalità 
delle  idee  la  natura  di  quelle  forme  restrittive  tutte  l'una 
dell'altra  *3,  come  ripugna  alla  ragione  quella  cieca  ne- 
cessità che  domina  nel  Kanziano  sistema  *4  j  ^  questa 
necessità  fatale  proviene  dal  negare  ogni  cognizione  og- 
gettiva ,  contro  il  fatto  evidente  il  qual  ci  dice  che  noi 
pensiamo  un  di  fuori  di  noi  *5.  Voler  sostenere  che  la 
ragione  s' inganni ^  è  stoltezza;  giacche  con  qual  norma 
giudichereste  voi  che  la  ragione  s'inganni?  Con  la  ragione 
stessa.  Vale  a  dire  che  voi  stesso  potete  dunque  ingan- 
narvi pensando  che  la  ragione  s'inganni.  Coli'  ammettere 
che  tutto  è  soggettivo ,  si  concede  essere  soggettivo  an- 
che il  ragionamento  che  tende  a  distruggere  la  cogni- 
zione oggettiva:  e  il  Kantismo  così  distrugge,  senza  vo- 
lere, se  stesso;  e  non  può  credersi  vero  senza  dichiarar 
dubbie  e  nulle  tutte  le  proprie  dottrine  *6. 

*i  P.  354.   —  »2  P.  338.  T.  IV.  p.  4.    —  *3  P.  97.   io3.  461 
'4  P.  II.  e  254.  —  *5  P.  70.  —  *6  P.  145.  167. 


340 

Fichte   e   Schelling. 

Fichte  volle  trarre  dall'io  umano  e  la  forma  e  la  ma- 
teria delle  cognizioni  :  1'  io  ,  secondo  lui ,  pone  se  stesso, 
vale  a  dire  si  crea;  e  non  può  porre  se  stesso,  se  non 
ponendo  di  contro  a  se  il  non  io  :  sicché  quell'atto  che 
lo  rende  consapevole  di  se,  lo  rende  ,  al  dire  di  Fichte, 
consapevole  degli  oggetti  esterni.  Il  non  io  esiste  coll'/o, 
dalla  cui  attività  scaturisce.  Dio  stesso  entra  nel  non  io 
ed  è  creato  dall'uomo.  — •  Questa  strana  teoria  non  ispiega 
l'origine  delle  idee ,  ma  confonde  l'atto  del  percepire 
con  quel  di  riflettere  sulla  propria  percezione  *i. 

Nulla  dirò  del  sistema  di  Schelling,  che  tutto  confonde 
in  quel  suo  assoluto,  del  quale  poi  non  offre  un  criterio 
sicuro  ;  e  così,  mentre  tenta  di  distruggere  lo  scetticismo, 
lo  rende  in  certa  guisa  infinito  *2. 

Boutenveck. 

Bouterweck  sorse  a  combattere  l'assoluto  di  Schelling, 
e  quell'idealismo  che  risolve  tutto  l'universo  in  idee.  Ana- 
lizzando ,  dic'egli,  le  idee  troviamo  che  gli  esseri  le  pre- 
cedono ,  e  son  causa  di  quelle.  Questo  in  sostanza  era 
il  fine  anche  di  Fichte  e  di  Schelling;  ma  essi,  appunto 
a  tal  fine,  immedesimarono  l'ente  al  pensiero;  o,  per 
dir  meglio  ,  fecero  tutti  gli  enti  uscir  dal  pensiero. 

Bouterweck  osservò  che  non  si  dà  conoscenza  senza 
un  oggetto,  un  essere;  e  che  l'essere  in  generale  è  in- 
definibile affatto.  L'essere  adunque,  è,  conchius'egli ,  es- 
senziale al  pensiero  ;  e  sebbene  diverso  dal  pensiero,  pure 
da  esso  è  necessariamente  supposto.  Disse  dunque  che 
conveniva  prender  le  mosse  da  un'assoluta  facoltà  di  co- 

*i  P.  432.    —    *2  P.  483. 


541 

noscere,  come  da  un  fatto  fondamentale,  e  che  questa 
consiste  appunto  nella  percezione  dell'assoluta  esistenza. 
«  Ad  ogni  sentimento  e  pensiero  (quest'è  la  formola 
di  Bouterweck)  sottostà  un  essere,  come  fondamento 
vero  ,  e  quindi  assoluto.  » 

Ma  qui  Bouterweck  confonde  l'esistenza  assoluta  con 
l'idea  universale  dell'esistenza.  Se  avesse  detto  che  Tin- 
telligenza  è  unita  con  questa  idea,  e  n'  è  informata^  sa- 
rebbe entrato  nel  sistema  del  nostro  Autore:  ma  pren- 
dendo l'essere  in  luogo  della  sua  nozione,  cadde  nello 
spinozìsmo,  perchè  mescolò  1'  ente  reale  e  attuale  col 
pensiero;  indarno  salvandosi  col  dare  all'individuo  una 
attività  sua  propria,  ch'egli  chiama  virtualità  *i. 

Barellili. 

Bardilli  mosse  anch'egli  la  sua  filosofia  dal  pensiero  : 
ma  per  primo  passo  del  pensiero  stabilì  quello  ch'è  l'ul- 
timo, Fassoluto.  Non  solo  non  è  necessario  l'assoluto  a 
percepire  le  cose,  ch'anzi  esso  medesimo  non  si  può 
percepire  senz'  altri  elementi  di  cognizione  e  senza  un 
criterio  di  verità.  Il  criterio  del  vero  si  è  ch'io  debbo 
conoscere  la  necessità  della  verità  per  esserne  certo  \  e 
questa  necessità  è  già  compresa  nell'idea  dell'esser  pos- 
sibile, senza  bisogno  di  ricorrere  ad  un  assoluto  sussi- 
stente *2.  Altro  è  che  niuna  cosa  possa  sussistere  senza 
ch'esista  un  ente  assoluto ,  altro  è  che  niuna  idea  possa 
formarsi  senza  l'idea  dell'ente  assoluto  *3. 

*i  P.  5i3.    — ■    *2  P.  520.    —    *3  P,  55i. 


Tommaseo. 
Saì'à  continualo , 


342 

PALEOGRAFIA 


(Anni  1689  —  iSgo). 


Il  l'egno  di  Gailo  Emanuele  I.  fu,  come  a  tutti  è  noto, 
celebrato  come  uno  de'  più  gloriosi  regni  e  per  opere  di 
pace ,  e  per  imprese  di  guerra.  Quésto  Piincipe  che  gli 
storici  s'accordano  in  chiamar  Grande,  dopo  aver  vinto 
sopra  le  armi  francesi  il  tanto  contrastato  Marchesato  di 
Saluzzo  ed  averlo  aggiunto  ai  proprii  dominii ,  e  mentre  con- 
quistava sebbene  per  poco  tempo  la  Provenza ,  cingeva  pur 
anche  di  assedio  la  città  di  Ginevra,  Entrambe  queste  im- 
prese gli  sarebbero  forse  riescile  a  meglio,  ove  nel  medesimo 
tempo  non  le  avesse  tvitte  e  due  condotte  ,  e  se  le  vittorie 
dell'intrepido  Lèsdiquières  e  la  vigilanza  di  Sancy  capitano 
del  re  cristianissimo  non  avessero  costretto  il  Duca  a  ri- 
chiamar tostamente  in  Piemonte  le  soldatesche  ch'egli  te- 
neva schierate  sulle  sponde  del  Mediterraneo  e  del  Lemano. 
La  fortuna  si  compiacque  talmente  di  questo  principe  che 
dubitò  persino  un  istante  se  dovesse  farne  un  l'e  di  Francia  ; 
e  se  a  Carlo  Emanuele  mancava  per  esserlo  il  diritto,  e 
gli  mancò  poscia  il  successo  ,  non  gli  fallì  perp  certo  né 


545 

l' animo ,  uè  la  lusinga.  Malgrado  i  frequenti  trattati  di 
pace  stipulati  colla  Francia ,  egli  non  si  mantenne  mai  in 
amicizia  costante  con  essa ,  ma  la  sua  astuta  politica  si 
mostrò  sempre  piuttosto  ligia  alla  Spagna.  Della  quale  pro- 
pensione dopo  la  morte  di  lui ,  ne  pagavano  forse  ancora 
il  fio  ed  il  Piemonte  ,  e  la  Principessa  Cristina  di  Francia 
che  poscia  ne  resse  le  sorti;  rimanendo  e  l'uno  e  l'altra 
lungamente  perseguitati  da  Luigi  XIII  e  dal  Richelieu  suo 
ministro. 

Ma  Carlo  Emanuele  aveva  sposata  Catterina  figlia  di 
Filippo  II ,  e  questo  matrimonio  sembrava  promettere  allo 
suocero  più  sicura  la  sua  dominazione  in  Italia,  ed  al  ge- 
nero V  ampUazione  de'  suoi  proprii  Stati  con  estenderne 
soprattutto  i  confini  verso  le  terre  possedute  dalla  Francia. 
Ben  gli  è  vero  che  il  Duca  di  Savoia  in  seguito  alle  varie 
negoziazioni  tenute  colla  Francia ,  e  principalmente  in  vi- 
gor del  trattato  di  Brusolo  del  2  5  aprile  1610  poteva  dap- 
prima lusingarsi  di  ampliare  coU'aiuto  della  Francia  i  suoi 
Stati  sopra  il  Monferrato  e  la  Lombardia,  ma  questa  lu- 
singa dovette  sempre  cedere  il  passo  a  quell'  altra  meno 
seducente,  ma  forse  preliminare  e  piìi  facile  a  verificarsi, 
di  allargare  cioè  i  suoi  dominii  ed  assicurarsene  il  pos- 
sesso dalla  parte  che  toccavano  il  territorio  francese..  Qual 
fosse  di  tutti  questi  progetti  e  di  tutte  queste  diverse  mire 
quella  che  più  movesse  il  Duca ,  non  è  facile  indovinarlo  ; 
certo  è  però  che  intanto  una  tale  alternativa  di  disegni  e 
d' interessi  faceva  credere  ai  Francesi  ed  agli  Spagnuoli 
di  avere  eguali  diritti  all'  affezione  del  Duca ,  quantunque 
però  sembri  più  probabile  ,  che  (  come  riferisce  Vittorio 
Contarini  ambasciatore  di  Venezia  a  Torino  ),  queste  due 
potenze  egualmente  s'  ingannassero  ;  perché  il  Duca  non 
aspirava  in  sostanza  che  a  scuotere  il  giogo  dell'  una 
e  dell'  altra.  Egli  era  italiano ,  scrive  il  citato  Contarini , 
e  lo  era  per  cuore. 


544 

In  mezzo  al  ravvolgimento  di  così  vasti  disegni  di  dò- 
minio  e  d' indipendenza ,  le  cronache  dei  tempi  ricordano 
con  meraviglia  i  viaggi  che  il  Duca  fece  a  Madrid  ed  a 
Parigi  ,  e  li  narrano  cosi  splendidi  e  tanto  per  fasto  e 
per  profusioni  stupendi,  che  comunemente  si  diceva  che 
per  farli  sembrava  che  il  Duca  avesse  posto  in  gaggio  i 
suoi  Stati.  Certamente  per  le  molte  prodigalità  e  per  i 
grandiosi  monumenti  eretti  sotto  il  suo  regno  ,  e  per  le 
continue  guerre  ,  le  finanze  dello  Stato  eransi  allora  ridotte 
all'estremo,  e  v'abbisognarono  poscia  i  sei  anni  di  regno 
del  suo  successore  Amedeo  I.  amministrati  colla  piiì  grande 
parsimonia  per  riassettarne  il  meglio  che  fosse  possibile  le 
ferite  profonde  che  prima  avevano  ricevute. 

Fra  le  varie  cagioni,  a  cui  gli  storici  attribuiscono  l'esito 
non  sempre  fortunato  di  tanti  disegni ,  v'  ha  chi  anno- 
vera eziandio  quella  della  tenuità  e  della  tardità  dei  sus- 
sidii  che  la  Spagna  aveva  promessi  al  nostro  Duca.  Ma 
per  altro  sembra  che  quelle  sovvenzioni ,  ove  pur  fossero 
state  indispensabili  per  il  successo  delle  sue  imprese,  non 
dovessero  poi  nemmen  essere  tanto  scarse  se  lo  giudichia- 
mo da  una  procura  spedita  dal  Duca  il  20  luglio  iSgo 
al  Consigliere  Giovanni  Giacomo  Battaglione  per  esigere 
in  Genova  da  Don  Fedro  di  Mendoca  conte  di  Binasco, 
ambasciatore  di  S.  M.  Cattolica ,  trentamila  scudi  d' oro 
ogni  mese  durante  cinque  mesi ,  come  vi  si  dice  portati 
da  lettera  scritta  dal  re  al  detto  suo  ambasciatore  data  in 
Madrid  il  28  aprile  dello  stesso  anno. 

Questo  mandato  spedito  per  pubblico  atto  era  stato  pre- 
ceduto da  una  particolar  istruzione  fumata  dallo  stesso 
Duca  il  16  luglio,  dove  fra  le  altre  cose  incarica  il  suo 
Commessario  di  fare  instanza  alli  Serenissimi  Principe 
Daria,  e  conte  di  Binasco  di  adoperarsi  'vivamente  per 
trovare  chi  volesse  pagargli  anticipatamente  tutta  la  re- 
stante somma ,  acciò   che  esso  Duca  se  ne  potesse  pron- 


54^ 
taniente  servire   ed   entrare    all'impresa  colle  forze  e  col 
danaro  che  conviene  '■  i . 

L'impresa  quivi  accennata  era  la  guerra  in  Provenza  e 
nel  contado  di  Ginevra,  ed  affinchè  si  potesse  tosto  e  più 
facilmente   riscuotere  quel  sospiiato  danaro ,  ed  eiìbttuare 


*i  Stetti  lungamente  in  forse  se  dovessi  o  non  fare  di  pubblica 
ragione  queste  carte  autografe  che  trovai  rovistando  in  sui  polverosi 
scaffali  di  un'antica  biblioteca  di  famiglia.  Io  poteva  infatti  temere 
che  il  pubblicarle  potesse  venir  apposto  a  personale  o  gentilizia  va- 
nità. Ma  questo  mio  timore  fu  superato  pensando  che  codesti  docu- 
menti potrebbero  per  avventura  essere  di  qualche  utilità  agli  studi 
delle  patrie  cose  con  far  note  le  formole  e  le  speciali  cautele  con 
cui  alciuii  rami  della  pubblica  economia  in  Piemonte  venivano  an- 
ticamente amministrati  ;  o  quanto  meno  far  conoscere  lo  stile  di- 
plomatico di  quella  età.  Né  poi  si  è  creduto  che  potesse  spiacere 
ad  alcuno  il  vedere  come  sino  da  quei  tempi  i  Reali  di  Savoia  affi- 
dassero cariche  di  molta  importanza  a  semplici  cittadini  che  cre- 
dessero capaci  di  esercitarle  ,  senza  ricercare  unicamente  i  titoli  di 
nobiltà  come  da  certuni  si  è  sospettato  e  forse  ancora  adesso  si  so- 
spetta. Egli  è  d'  altronde  consiglio  dato  da  Manzoni  a  chiunque 
voglia  penetrare  nello  studio  dell'antica  storia  d'Italia  quello  di  cer- 
care nelle  cronache  ,  nelle  leggi  ,  nelle  lettere  ,  nelle  carte  dei  pri- 
vati i  segni  di  vita  della  popolazione  italiana,  (  Discorso  sulla  sto- 
ria Longobardica  in  Italia).  E  pare  che  a  questo  intento  siasi 
appunto  mirato  colla  recente  pubblicazione  degli  antichi  documenti 
che  si  sono  stipulati  in  Piemonte ,  fra  i  quali  non  pochi  se  ne  tro- 
vano che  non  hanno  altra  relazione  fuorché  a  convenzioni  e  ad  in- 
teressi privati. 


»   Istrutioue  alV Auditor  Battaglione  di  (jucllo  havcrà  da  far  in  Ge- 
»  nova  per  servitio  nostro. 

»  l'riina  consignaretc  le  lettere  che    noi  scj'ivianio  alii   SS.nii  l'iincipe  Dori.i 
»  e    conte    (li    Binasco    |-ingr.iliaiido1i    dei   iiiioni  ofììcii   elio  liaiiuo  fatto  per  sci 
»   vitio  nostro  tanto  con  lettere  scritte  alli  SS. ini  Vice   Wi-  di   INapoli  che   Cici- 
»  Ha  ,    quanto   con  li  SS.i'i  Giacomo  et  Lazaio  Spiiiuhi  in   «jiiesta    materia  pc- 


546 

qupile  operazioni  di  cambio  che  ora  fanno  i  Roschild  e 
gli  Owart ,  il  Duca  si  >  contenta  che  si  doni  un  honesto 
utile  a  chi  gli  J acesse  quella  comodità. 

Noi  non  sappiamo  adesso  quale  sia  stato  questo  utile  , 
se  onesto  oppure  esorbitante  ,  ma  sappiamo  soltanto  che 
quelle  negoziazioni  si  effettuarono  ;  [poiché  abbiamo  sott' 
occhio  i  contratti  che  seguirono  in  Genova,  rodati  in  lin- 
gua spagnuola  da  un  certo  Notaro  Tinello ,  e  due  quie- 
tanze passate  dallo  stesso  Duca  al  prefato  suo  procuratore  : 
1' una  data  in  Nizza  il  -y  ottobre  iSgo  per  fiorini  pSo^iGi 
grosso  uno ,  quai  ti  due  moneta  di  Piemonte  ,  e  1'  altra 
data  in  Aix  il  20  novembre  dello  stesso  anno  per  trenta 
mila  scuti  d'oro. 

V  ha  molta  ragione  per  credere  che  tutti  gli  usi  a  cui 
si  erano  destinate  queste  somme  non  dovessero  essere  pa- 


»  cunini'ia  ,    pregandoli   a  voler   continuare   i  detti  buoni   officii  sino  al  compi- 
»  mento. 

»  Farete  intendere  particolarmente  al  detto  S.mo  Conte  di  Binasco  ,  che  ha- 
»  vete  procura  mia  di  scuoter  li  denari  che  sono  maturati ,  et  ordine  di  soddi- 
»  sfare  ai  detti  SS. mi  Giacomo  et  Lazaro  Spinola  li  iS^m  ducati  che  non  si 
1)  pagarono  in  Sicilia  per  haver  quel  Vice  Re  tirala  la  partita  tutta  iutiera  a 
))  pagarsi  costi  in  Genova. 

«  Farete  instanza  alli  SS. mi  e  particolarmente  al  detto  conte  di  Binasco  am- 
»  basciatore  d'  adoperarsi  vivamente  per  trovar  chi  voglia  far  partito  et  acco- 
»  modarsi  di  tutta  la  somma  restante  ,  acciò  che  se  ne  possiamo  servir  pronta- 
»  mente  et  entrar  a  questa  impresa  con  le  forze  et  col  nervo  del  denaro  che 
1)  conviene  ,  et  si  contentiamo  come  pur  abbiamo  scritto  che  si  doni  un  ho- 
»  nesto  utile  a  chi  ci  fiirà  questa  comodità. 

»  Potrebbe  essere  che  il  Principe  Doria  si  fosse  ritirato  a  Loano  ,  però  qiic- 
»  sto  non  importerà ,  poiché  il  S.mo  Ambasciatore  ne  è  lui  il  principal  tial- 
u   tante  che    ne  ha  havuto  l'ordine   da  S.  M.  Cattolica. 

»  Di  quello  andaretc  facendo  ,  ce  ne  darete  avviso  di  iii.ii)o  in  mane,  e  Dio 
J>  S.  E.  S.   vi  conservi. 

»   Fn-sano  il    i(i  di  ltii;lio    ifx)!!. 


(,.     EMA^UtL 


547 
lesi   giacché    il    Duca  vi  dice  di  ritenere   presso  di  sé  al- 
cune  ricevute    riportate    dal  suo  procuratore  non  -volendo 
che   passino    ad   altra  mano,  come  egli  si  esprime  nella 
prima  delle  suddatate  quietanze. 

Fi^attanto  si  può  osservare  come  fosse  curioso  il  modo 
con  cui  allora  esse  venivano  spedite.  Il  Duca  stesso  le  spe- 
diva per  mezzo  di  un  ricorso  firmato  di  sua  mano  alla 
sua  Camera  de'  conti ,  richiedendola  che  le  interinasse. 
Così  sono  fatte  ed  interinate  le  due  sopi^anominate  ducali 
liberazioni ,  e  certamente  la  formola  non  era  delle  più 
complicate. 

Prima  poi  ancora  di  queste  commissioni  un'altra  di  non 
diversa  natura  già  si  era  data  allo  stesso  Auditore  Batta- 
glione dall'  Infante  Catterina  consorte  di  Carlo  Emanuele. 
Noi  ne  facciamo  parola  perchè  giova  a  rettificare  un'as- 
serzione che  troviam  fatta  dal  Guichenon  e  poscia  ripetuta 
dal  Marchese  Costa  di  Beauregard.  Dicono  dunque  questi 
due  annalisti  che  in  Spagna  si  dubitò  che  le  profusioni 
fattevisi  dal  Duca  nell'occasione  del  suo  matrimonio  colla 
figlia  di  Filippo  II  non  eccedessero  di  gran  lunga  la  dote 
ohe  ne  avrelsbe  dovuto  raccogliere ,  ed  alla  quale  per 
quanto  anzi  paresse  ne  il  Duca ,  né  i  suoi  figliuoli  aves- 
sero toccato  più  che  tanto. 

Ora  teniamo  pure  sott' occhio  un  documento  che  ci  con- 
vince del  contrario.  Egli  é  desso  un'altra  procura  che  la 
stessa  Infante  Catterina  sposa  del  Duca  faceva  il  primo  di 
novembre  iSSg  al  prenominato  Consigliere ,  yoer  trattare 
e  conchiudere  con  chi  meglio  gli  paresse  e  facesse  il  pia 
utile  partito  di  toi^si  Vassunto  di  esigere  in  Napoli  e  pa- 
gare in  Genova  V annua  pensione  di  ducati  47866,  tari  3, 
grani  6  assignatile  da  suo  padre  sopra  la  dogana  delle 
pecore  di  Puglia. 

Ben  era  d'  uopo  che  in  questa  contrada  la  pastorizia 
fosse    molto  in   fiore  per    poter   sopportale  un  assegno  sì 


548 

grave  :  e  nessuno  al  d\  d'oggi  si  sarebbe  mai  aspettato,  di 
vedere  come  i  poveri  pastori  della  Puglia  abbiano  forse 
col  prodotto  delle  lor  mandre  contribuito  nelle  guerre  che 
l'avventuroso  Duca  di  Savoia  sosteneva  sulle  alpi,  od  alla 
mugnificenza  de'  suoi  viaggi ,  od  all'innalzamento  di  quei 
monumenti  con  cui  abbelliva  i  suoi  Slati. 

Checche  ne  sia,  pare  però  cosa  certa  che  quel  Prin- 
cipe oltre  alle  rendite  proprie  era  costretto  e  sapeva  sem- 
pre molto  bene  impiegare  i  sovvenimenti  stranieri,  senza 
che  poi  né  quelle  né  questi  siangli  bastati  per  condurre 
a  felice  termine  le  troppe    sue  imprese  ^'i. 

Compiuti  questi  uftizi  e  mentre  il  Duca  era  occupato 
nelle  guerre  lontane ,  egli  aveva  commessa  la  reggenza 
dello  Stato  alla  sua  consorte  Catterina  Infanta  di  Spagna. 
In  questo  frattempo  alle  tante  miserie  pubbliche  e  private 
si  arrogeva  ancora  un  nuovo  verme  che  rodeva  le  sostanze 
dello  Stato  e  ne  scompigliava  il  commercio.  Eva  questo  il 
mal  seme  de'  speculatori  piemontesi ,  milanesi ,  o  di  altra 
nazione  che  si  fossero,  i  quali  sino  dal  i575  estraevano 
dal  Piemonte  le  monete  più  pesanti  e  più  fine  d'oro  ,  e 
trafficandole  colla  stessa  zecca  di  Milano ,  o  cogli  orefici , 
facevano  danno  gi-andissimo  all'erario  ed  ai  privati  negozi. 
Diverse  potevano  essere  le  cause  di  questo  sconcerto.  O 
veramente  si  commetteva  frode  nell'  estrazione  ,   ed  allora 

*i  Questa  incumbenza  lasciata  dalla  Duchessa  veniva  pur  anche 
raccomandata  dal  Duca  suo  consorte,  sebbene  riguardasse  soltanto  i 
particolari  interessi  di  lei.  Di  ciò  ne  assicura  una  lettera  credenziale 
limessa  da  Andrea  Provana  di  Leyni  allo  stesso  Battaglione  (  3o 
gennaio  iSSg  )  per  D.  Carlos  Davalos  comandante  la  cavalleria  per 
S.  M.  Cattolica.  Scrivegli  in  questa  commendatizia  quel  Sully  del 
Piemonte  che  Sua  Altezza  manda  a  quei  regni  di  Napoli  e  Sicilia  il 
ridetto  personaggio ,  e  con  questa  opportunità  gli  dice  di  averlo  pre- 
gato cìm  faccia  n\'erenza  e  basii  la  mano  in  suo  nome  a  quel  si- 
gnore Spagnuolo. 


549 

v*€èà'  per  certo  tlelitto  in  chi  la  praticava  ;  oppure  per  la 
condizione  dei  popoli  il  commercio  interno  povero  e  ste- 
rile si  faceva  tutto  per  mezzo  di  carta  monetata  o  con 
moneta  di  bassa  lega  senza  che  fosse  necessaria  la  circo- 
lazione delle  più  nobili  monete  d'oro  ,  o  finalmente  il  prin- 
cipe stesso  coniava  monete  e  poscia  le  tassava  a  prezzo 
minore  del  loro  intrinseco  valore ,  ed  in  questi  due  ultimi 
casi  la  colpa  non  era  certamente  dei  trafFicatori ,  ma  bensì 
della  miseria  dei  tempi  e  della  imperizia  amministrativa.  Ad 
ogni  modo,  da  qualunque  causa  procedesse,  per  far  cessare 
quell'antico  traffico  la  Principessa  Reggente  non  trovò  altra 
via  che  quella  di  mandare  lo  stesso  Auditore  Battaglione 
in  Milano  onde  presso  quel  Governatore  il  Duca  dì  Terra- 
nova facesse  tutte  le  possibili  pratiche  per  scoprire  le 
frodi,  conoscerne  gli  autori  e  punirli.  Ecco  nella  seguente 
nota  l'istruzione  particolare  con  cui  per  un  tale  oggetto  si 
muniva  il  già  nominato  personaggio  '"i. 


*  I  »  Istrutìone  a  voi  magnifico  Consigliere  nostro ,  Mastro  Auditore. 
»  nostro  nella  Camera  de'  Conti  a  Gio.  Giacomo  Battaglione  di 
»  tjuanto  dovete  far  in  Milano  per  servitio  di  Sua  Altezza  e  nostro. 

»  L'andata  vostra  in  detta  Città  di  Milano  ha  da  haver  1'  effetto  di  chiarire 
»  l'estrattione  delli  bianchi  e  soldi  seguita  da  questi  nostri  Stati  dall'anno  iSjG 
»  inclusive  sino  al  presente  ,  et  quello  principalmente  di  scaoprir  le  persone 
»  che  contro  le  prohibitioni  ,  et  tirati  dalla  cupidità  del  guadagno  ne  hanno 
»  fatto  mercantia,  facendo  scielta  delle  più  grevi  per  venderle  a  peso  con  niag- 
»  gior  utile,  che  a  spenderle  a  numero  nel  che  hanno  interessato  il  publico 
I»  privandolo  delle  buone  et  piìi  gravi  monete  ,  et  lasciandoli  le  leggieri,  sopra 
»  le  quali  poi  si  piglia  occasione  d'accrescer  le  monete  fine  ,  rendendo  li  com- 
»  mertii  difficili  et  pregiudiciali. 

'  '  1)  Per  questo  vi  trasferirete  alla  detta  Città  di  Milano  et  trovarete  il  S.mo 
»'Duca  di  Terranova  al  quale  presentarete  la  lettera  credenziale  : 
*"  »  Indi  gli  esplicarcte  in  nome  nostro  il  desiderio  che  liabbiamo  di  chiarire 
»  da  chi  e  come  delle  cstrattioni  di  monete  siano  seguite  et  perchè  si  ha  qual- 
»  che  notizia  che  la  maggior  parte  sia  stata  portata  e  venduta  in  cotesta  zeccba, 
'-  et  parte  anche  ne  sia  stata  venduta  a  orefici  e  meixanti  da  oro,  da  quali  non 
»  si  potrebbe  cavar  giiistificafione  alcuna  senza  l'autorità  di  esso  S.mo  Duca  , 
»»  sia  pregato  in  nome  nostro  di  commtnidare  a  qualche  principale  ministro  che 


550 

-j  Singolare,  come  si  vede,  è  il  tenore  di  questa  Istru-' 
ZLone  e  più  singolari  ancora  sono  i  mezzi  che  vi  si  veg- 
gono proposti  per  impedire  quel  disordine  dello  estrarre 
le  buone  monete,  che  con  troppa  ragione  si  sarebbe  pur 
voluto  che  circolassero  nello  Stato. 


»  si  faccia  presentare  li  libri  de'  conti  tenuti  si  dal  zecchiere  che  da  orefici  et 
»  mercanti  predetti  per  detto  tempo  ,  et  da  essi  si  cavino  tutti  i  partiti  che 
»  potranno  a  questo  proposito  ,  avvertendo  che  vi  siano  li  nomi  e  cognomi 
)>  delle  persone  da  quali  si  saranno  compre  dette  monete  con  1'  espressione  del 
»  tempo,  delle  specie  delle  monete,  della  quantità  et  del  pretio  et  costo.  Il 
»  quale  sommario  estratto  da  detti  libri  si  riduca  in  forma  e  si  sottoscriva  da 
«   uno  delli  Ufiiciali  regj  :  talché  faccia  fede  in  giudicio. 

»  Se  le  persone  quali  hnveranno  vendute  ilette  monete  saranno  suddite  di  sua 
»  Altezza  siano  chiamate  per  dichiarare  se  le  monete  erano  sue  proprie,  ovvero 
»  havute  per  commissione  da  altri  facendoli  dichiarare  il  nome  et  cognome  et 
M  le  cause  come  li  sono  pervenute  dotte  monete  ,  et  se  farà  bisogno  farli  an- 
»   che  presentare  i  libri  et  le  lettere  missive  per  chiarir  meglio  il  fatto. 

»  Dagli  orefici  et  mercanti  predetti  converrà  intendere  se  hanno  ricevute 
»  dette  monete  in  pagamento  di  mercantia  ovvero  in  cambio  d'altre  specie  di 
»  monete  ,  et  se  le  hanno  accettate  a  numero  ,  ovvero  a  un  tanto  il  marco  e 
)>  peso,  et  se  risponderanno  che  l'hanno  ricevute  a  numero  dichiarino  il  pre- 
j'  tio  ,  come  parimenti  havendole  ricevute  a  peso  dichiarino  a  quanto  il  marco 
»  o  libbra. 

»  Et  per  disponer  più  facilmente  detto  Duca  gli  direte  che  questo  porterà 
>i  beneficio  notabile  per  lo  Stato  di  Milano  in  quanto  che  essendo  per  ragion 
i>  di  queste  fraudi  le  monete  fine  salite  ad  eccessivo  pretio ,  né  puotendosi  con 
»  altra  sorta  di  monete  contrattare  fra  li  doi  Stati  cessano  li  commertii  ,  anzi 
»  ne  segue  tanta  ruina  e  perdita  a  mercanti  che  non  si  contratti  più  la  quarta 
»  parte  di  quello  si  faceva  per  1'  avanti  cercando  ognuno  di  fuggire  1'  eccesso 
»  delle  spese  massime  a  questi  tempi  universalmente  tanto  penuriosi  ,  et  cessando 
»  detti  commertii  oltre  il  danno  che  ricevono  li  mercanti  et  artisti  il  propri» 
»  Principe  sente  la  diminuzioue  delli  suoi  Daciti  et  gabelle  ,  et  insomma  sic- 
«  come  il  danaro  accettato  indifferentemente  ad  ugual  prezzo  in  ogni  loco  , 
»  porta  ogni  comodo  e  benefizio  ,  così  essendo  valutato  differentemente  eoa 
»  fi'aude  si  disauge  ogni  cosa. 

■»  Et  se  bene  che  queste  estrattioni  ,  sciolte  e  vendite  di  monete  non  sieno 
»  ationi  degne  di  severo  castigo  ,  non  si  può  però  negare  che  chi  le  fa  non  sii 
.3)  pernitioso  in  gran  maniera  alla  i-epubblica  :  Anzi  questi  che  fanno  professione 
»  di  far  scielta  di  buone  monete  per  cavarne  particolar  utile  ,  rubano  altrui  et 
»  per  questo  come  criminosi  deono  essere  castigati  per  dar  esempio  ad  altri  di 
»  contenersi  nelli  debiti  termini  ,  e  così  siccome  in  aggiuto  della  giustizia  si 
»  puole  porger  favore  et  aggiuto  l'un  principe  all'altro  ,  cosi  farete  inslanza  ap- 
»  presso    detto    Duca  che  con    l'autorità  sua  vogli  facilitare  la  giustificatione  e 


351 

Invece  che  in  altri  tempi  si  sarebbe  principiato  dal  porre 
un  termine  a  quelle  guerre  che  pur  fossero  state  evitabili 
(  e  di  queste  ve  n'  era  sicuramente  )  invece  che  si  sarebbe 
posto  cura  a  dimmuire  ed  a  scompartire  egualmente  tra  i 
diversi  ordini  de'  cittadini  le  pubbliche  gi-avezze  ,  invece 
che  si  sarebbero  allontanati  i  motivi  alle  emigrazioni ,  fa- 
vorita l'agricoltura,  l'industria,  ed  il  commercio  nazionale; 
nulla  di  tutto  ciò  si  ordinava,  ma  si  pretendeva  all'opposto 
che  il  Governatore  di  Milano  contilo  tutti  i  principj  della 
libertà,  della  confidenza  e  della  moralità  degli  individui  e 
delle  private  transazioni  si  facesse  presentare  dallo  zec- 
chiere, dagli  orefici  e  dai  mercanti  i  loro  libri  e  la  loro 
corrispondenza ,  coli'  obbligare  i  medesimi  a  palesare  da 
chi  avessero  comprato  ed  a  chi  venduto  le  monete  ,  ed 
in  qual  numero  ,  ed  a  qual  prezzo. 

Provvedimenti  siiratti  erano  veramente  degni  di  tempi 
in  cui  la  scienza  dell'  economia  politica  non  era  per  così 
dire  ancor  nata  ,  e  gran  parte  delle  pubbliche  bisogne  si 
governavano    secondo  le   esigenze   del  momento  od   i    ca- 


»  prova  di  questi  nefandi  delitti  ,  ingegnandosi  di  farli  credere  la  soddisfatione 
»  grande  che  in  questa  parte  riceveremo. 

»  Vi  si  danno  altre  lettere  di  credenza  de'  quali  vi  servirete  se  così  giudìca- 
»  rete  essere  di  bisogno  e  non  altrimenti  ;  et  essendo  indirizzato  ad  alcuno 
H  di  quelli  ministri  del  Re  mio  Signore  et  Padre  ,  vi  servirete  del  nome  mio 
»  nel  pregarli  e  fare  tutti  quelli  altri  ofEcii  che  giudicarete  necessarii  et  oppor- 
»  tuni  ;  et  se  nel  progresso  del  negotio  giudicarete  necessaria  qualche  replica 
»  o  altro  oftìcio  per  lettere  vostre  ce  ne  darete  avviso  che  gli  provvederemo. 

»  Molti  accidenti  puolranno  avvenire  in  questo  fatto  i  quali  come  non  si 
»  ponno  antivedere  cosi  non  vi  potemo  dar  legge  certa;  intorno  al  che  vi  go- 
»  vernarete  come  conoscerete  convenire  usando  della  diligenza  et  prudenza  vo- 
li stra  solita  nella  quale  principalmente  confidiamo  ;  et  tutto  si  faccia  con  ogni 
»  secretczza  dalla  parte  vostra  senza  comunicare  con  altra  persona  salvo  con 
»  chi  da  detto  Duca  vi  sarà  nominato  ,  et  ad  ogni  occasione  ci  andarete  awi- 
»  sando  del  successo  ,  et  Dio  vi  guardi. 

*    '    i  Dui.  Turino  il  27  marzo    iSgi. 

..   L'  Iuf.,nt«     DONNA    f.ATAI.INA.    » 


352.     V 

pricci  della  forza.  Allora  le  basi  e  tulli  quelli  accorgimenti 
su  cui  la  vicenda  monetaria  è  fondata  s'ignoravano  tutta- 
via, ed  il  termometro  del  credito  e  del  debito  pubblico,  da 
cui  prende  così  spesso  norma  oggidì  la  fortuna  dello  Stato 
e  quella  de'  privati  ,  non  erano  ancora  scoperti.  La  mo- 
neta era  e  fu  ancora  per  molto  tempo  dopo  creduta  una 
semplice  rappresentazione  del  valore  delle  cose  ,  quando 
invece  è  una  merce  essa  stessa  che  può  crescere  o  diminuire 
di  prezzo  non  solamente  secondo  la  materia  intrinseca  di 
cui  è  composta,  ma  eziandio  secondo  i  tempi  ed  i  luoghi 
ne'  quali  essa  si  deve  spendere  ed  impiegare.  Credevasi 
egualmente  che  per  incoraggiare  il  commercio,  e  procac- 
ciare una  maggior  frequenza  nelle  negoziazioni  e  nei  con- 
tratti privati  bastasse  di  proibire  l'estrazione  delle  monete 
più  nobili  all'estero  ,  quando  un  tale  provvedimento  qualora 
avesse  pur  potuto  sortire  un  qualche  effetto ,  non  avrebbe 
mai  fatto  altro  che  rendere  ammucchiato,  fermo  ed  ozioso 
nelle  zecche  ,  o  nei  forzieri  di  alcuni  pochi  doviziosi  il 
numerario.  Oltre  a  queste  già  ben  fallaci  opinioni  era  pur 
anco  a  que'  tempi  in  vigore  quell'  altra  secondo  cui  il 
valore  delle  monete  era  creduto  immaginario  e  dipendente 
dall'  arbitrio  del  Principe  :  opinione  che  il  Pagnini  attri- 
buisce ai  giureconsulti  romani,  e  che  Pompeo  Neri  pi- 
gliando la  loro  difesa ,  imputa  ai  soli  legisti  del  secolo  de- 
cimo sesto  e  decimo  settimo. 

Per  raddrizzare  così  storte  dottrine  e  per  rimediare  a 
questi  abusi  conveniva  che  la  condizione  materiale  dei  po- 
poli si  venisse  a  poco  a  poco  cangiando  ,  e  che  quindi  le 
teorie  nascendo  dai  bisogni ,  potessero  trovare  nei  fatti  so- 
ciali la  loro  più  o  meno  compiuta  applicazione.  Ma  intanto 
quasi  per  due  secoli  ancora ,  dopo  l'epoca  di  cui  ragio- 
niamo ,  dovevano  aspettarsi  le  opere  del  Carli,  del  MafFei, 
e  dell'  Abate  Galiani  ;  e  sebbene  in  quel  torno  fiorissero 
appunto  in  Piemonte  e  Giovanni  Bottero  colla  famosa  sua 


355 

Eagion  di  stato ,  e  Gaspare  Tesauro  con  un  suo  libro  sulle 
monete  ,  e  Filiberto  Monet  di  Faucigny  colla  sua  allora 
stimata  opera  sui  numeri ,  pesi  e  misure  ;  pure  veggiamo 
tutti  li  sovra  ricordati  disordini  finanzieri  ed  amministra- 
tivi affligger  ancor  nientemeno  queste  contrade. 

Vero  è  per  altro  che  ove  alcuno  volesse  badare  soltanto 
materialmente  ad  alcune  leggi  annonarie  pubblicate  in  quei 
tempi,  ei  potrebbe  pensare  che  la  scienza  dell'economia 
pubblica  non  fosse  poi  allora  cotanto  ignorata.  Troviamo 
difatti  sotto  il  solo  regno  dello  stesso  Carlo  Emanuele  I  pub- 
blicate non  meno  di  i6o  di  queste  leggi  sopra  l'annona. 
Fra  di  esse  una  che  si  merita  particolar  menzione  si  è 
quella  del  24  agosto  i6o4,  colla  quale  si  concesse  Vesito 
generale  dei  grani  fuori  dello  Stato  in  ogni  tempo  ed  in  qua- 
lunque annata  abbondante  o  sterile  con  licenza  non  mai 
rivocabile  in  fede  e  parola  di  Principe  ed  in  forza  di 
contratto.  Non  è  mestieri  soggiungere  che  queste  intenzioni 
del  Principe  furono  ben  tosto  deluse ,  ed  i  suoi  ordini 
violati  o  rivocati  perchè  era  pur  forza  cedere  alla  prepo- 
tenza delle  nuove  cii'costanze  che  succedevano.  Nondimeno 
però  questa  è  una  legge  assai  singolare  per  quei  tempi , 
e  se  fosse  stata  opportuna  ed  analoga  a  tutti  gli  altri  or- 
dinamenti dello  Stato ,  se  fosse  stata  preparata  dalla  condi- 
zione contemporanea  della  civiltà  e  maturata  nel  calcolo  di 
tutti  i  suoi  effetti ,  e  non  dettata  soltanto  da  una  qualche 
emergenza  subitanea  ;  essa  potrebbe  meritarsi  in  oggi  il 
vanto  di  avere  di  due  e  più  secoli  preceduto  le  moderne 
teorie  e  provvisioni  sulla  libera  estrazione  dei  prodotti 
agricoli  e  delle  materie  prime,  come  pure  sulla  libera  con- 
correnza in  fatto  di  annona. 

Ma  se  in  ordine  alla  legislazione  annonaria  egli  è  im- 
possibile di  farsi  una  siffatta  illusione  ;  veggiamo  per  altro 
dalla  riportata  istruzione  che  in  materia  monetaria  sino  da 
quei  tempi  si  conosceva  in  massima  quell'elementare  prin- 


354 

cipio  dell'  eguaglianza  nel  valore  nominale  delle  monete 
presso  tutte  le  nazioni;  ma  ad  onta  di  ciò,  e  più  ancora 
ad  onta  di  tutto  l' incivilimento  moderno  non  troviamo 
neppure  che  questo  principio  sia  in  oggi  ridotto  alla  pra- 
tica fra  i  vari  Stati  in  cui  la  sola  Italia  è  divisa.  Eppure 
a  ciò  si  era  in  certo  qual  modo  provvisto  sino  dall'anno 
1:^54  con  una  specie  di  trattato  di  reciprocità  salvato  dall' 
obblio  da  Pompeo  Neri  e  stipulatosi  in  quell'anno  sul 
corso  delle  monete  tra  le  città  di  Cremona,  Parma,  Bre- 
scia ,   Piacenza  ,  Pavia  ,  Tortona  e  Bergamo. 

Quanto  al  Piemonte  chi  bramasse  più  ampj  schiarimenti 
sopra  di  questa  materia  potrà  forse  trovarli  allorché  il  dotto 
nostro  Cibrario  farà  di  pubblica  ragione  i  discorsi  sinora 
ancor  inediti  sulle  finanze  della  Monarchia  di  Savoia  ;  ma 
fi\ittanto  si  deve  pur  troppo  ancor  confessare  che  più  se- 
coli ancor  dopo  all'epoca  ch'egli  imprese  ad  illustrare,  i 
mezzi  che  si  ponevano  in  opera  per  ovviare  ai  danni  dell' 
erario  e  del  commercio  nazionale  con  mantenere  l'inte- 
grità, delle  monete ,  erano  a  un  di  presso  come  quelli 
delle  Gride,  che  ni  tempo  di  carestia  costringevano  i  for- 
nai con  multe  e  tratti  di  corda  a  vendere  il  pane  a  mo- 
dico prezzo  *i. 

il>  oln-. 

*<.  In  questi  discorsi  promessici  dal  Cibrario  troveremo  fors'anco 
fra  gli  ordini  eoa  cui  si  ordinava  la  riscossione  e  V  ammini- 
strazione delle  entrate  della  corona  nei  primi  secoli  della  Monar- 
chia di  Savoia ,  esposta  la  maniera  colla  quale  si  operava  l'incetta  e 
r  introduzione  dei  sali ,  uno  dei  rami  della  pubblica  entrata ,  e  che 
come  tutti  sanno  fu  molte  volte  in  Piemonte  cagione  di  gravi  con- 
flitti. Ed  i  lettoli  si  ricorderanno  di  quelle  sanguinose  barufle  tra 
Piemontesi  e  Genovesi  ancora  un  secolo  dopo  all'epoca  di  cui  par- 
liamo accadute  a  pretesto  del  sale  ,  e  che  si  vengono  coi  suoi  so- 
liti risoluti  tratti  descritti  dal  Botta  {Storia  d'  Italia  sino  al  1789 
lib.  XXVIII.  ).  Chi  frattanto  fosse  vago  di  sapere  qualche  cosa  svd 
modo    con    cui    il    Governo  si    strigava  di  quelle  diflicili  operazioni 


355 

Quello  adunque  di  che  noi  abbiamo  gran  motivo  a  du- 
bitare si  è  che  quelli  inconvenienti  sulle  monete  in  Piemonte 
abbiano  tuttavia  durato  sintantoché  ebbe  luogo  nel  1758 
sotto  la  presidenza  dello  stesso  Neri  il  concordato  che  prov- 
vide al  giusto  equilibrio  delle  monete  fra  questo  St^tp,^  ^ 
gli  Stati  Austriaci  in  Italia.  (fMffl 

Ma  ciò  nullameno  i  disagi  dell'erario  dovevano  in  Pie- 
monte ancor  dopo  a  quel  concordato  essere  di  molto  ac- 
cresciuti, poiché  il  governo  oberato  di  120  milioni  di  de- 
bito ,  soffrendo  un'  immensa  scarsità  di  numerario  ,  era 
stato  costretto  nel  1784  di  metter  fuori  per  20  milioni  di 
carta   monetata. 

Ei  si  fu  in  queste  strettezze  accadute  dappoi  che  Mau- 
rizio Solerà  piemontese  imaginò  quel  suo  banco  d'  agri- 
coltura con  cui  tentava  di  realizzare  la  seducente  idea  di 
rendere  circolanti  i  valori  immobili.  Ma  un  tale  progetto 
non  fu  adottato,  e  forse  non  sarebbe  stato  giovevole  dì 
porlo  in  pratica,  perchè  una  carta  monetata  che  non  si  è 
moralmente  certi  di  convertire  alla  sua  scadenza  in  oro  od 
in  argento  effettivo  ,  ma  che  può  scontarsi  coli'  incomodo 
rilascio  di  un  immobile ,  non  può  mai  godere  di  un  credito 


del  sale  ,  gli  riferiremmo  una  lettera  del  3  luglio  iSgo  scritta  dai 
cordialissimi  fratelli  Presidenti  et  Auditori  della  Camera  de'  Conti 
di  S.  A.  allo  stesso  Auditor  Battaglione  in  Chei-asco  ,  e  nella  quale 
mentre  si  loda  la  diligenza  da  lui  usata  circa  la  condotta  de'  sali , 
s'invita  a  perseverarvi  onde  si  possa  farne  una  buona  condotta,  sic- 
ché la  gabella  ne  resti  provvista  per  qualche  tempo  ;  e  quanto  poi 
alle  difficoltà  che  potevano  venir  fatte  dalle  Comunità  gli  si  racco- 
manda di  usare  quel  temperamento  e  desterità  che  il  negozio  meri- 
tala ;  cioè  in  commandargli  usar  qualche  rigore  ,  però  nell'eseguire 
tutta  quella  modestia  che  sapesse  per  non  gravarle  pili  che  non  sono 
le  loro  forze  :  rimettendosi  in  tutto  al  suo  prudente  arbitrio.  Po- 
vere quelle  Conmnità  se  l'arbitrio  di  quel  Magistrato  avesse  patito 
momenti  d'imprudenza  o  di  concussione! 


356 

sicuro  e  durevole.  D'altronde  l'oggetto  per  cui  il  proprie- 
tario si  deciderebbe  all'emissione  di  questa  carta  Sopra  i' 
suoi  Stabili  potrebbe  essere  soventi  quello  della  dissipa-' 
zione  piuttosto  e  di  folli  speculazioni  ,  che  non  di  una 
savia  e  lucrosa  intrapresa.  la  ultima  analisi  poi ,  se  per 
buona  ventura  le  sorti  dello  Stato  e  dell'erario  non  si  fos- 
sero cangiate  in  meglio ,  l' esecuzione  di  quel  progetto 
sarebbe  andato  a  riuscire  nell' impacciare  il  Governo  stesso 
colla  devoluzione  di  molti  stabili  senza  che  neppure  ei 
quindi  avesse  potuto  tenere  il  danaro  che  gli  era  neces- 
sario per  provvedere  alle  urgenze  dello  Stato. 

Non  è  già  per  questo  che  l'abbondanza  dei  metalli  mo- 
netati sia  sempre  stata  una  prova  della  ricchezza  delle  na- 
zioni. Essa  ove  le  altre  circostanze  sociali  siano  in  pro- 
gresso ,  può  ben  certamente  servire  di  un  potente  mezzo 
per  ac^celerare  i  progressi  del  lavoi'o  e  dell'industria,  ma 
non  può  però  mai  essere  per  se  sola  una  sufficiente  e  giu- 
sta misura  della  prosperità  de'  popoli.  In  Italia,  per  es., 
come  si  raccoglie  dalle  dimostrazioni  del  conte  Carli ,  l'ef- 
fetto dell'aumento  dei  metalli  preziosi  fu  sempre  così  poco 
sensibile ,  che  avuto  riguardo  alla  diminuzione  del  valore 
dell'  argento ,  ed  al  generale  aumento  nella  quantità  dell' 
oro  e  dell'  argento  occorso  nel  secolo  XVIII ,  e  fatto  an- 
che caso  di  molte  altre  proporzioni  sia  di  popolazione , 
che  di  guerre  e  di  aggravii;  pure  nel  1750,  epoca  in  cui 
il  Carli  scriveva,  i  generi  di  prima  necessità  costavano 
ancor  meno  che  nel  secolo  XV  in  ragione  di  un  i8  all'  in 
circa  per  cento. 

Chi  dunque  avesse  argomentato  che  la  massa  dei  me- 
talli nel  i'j5o  doveva  essere  in  questa  sol  proporzione  au- 
mentata in  Italia,  avrebbe  grandemente  errato.  —  Pari- 
menti prenderebbe  abbaglio  colui  che  nella  poscia  ancor 
sempre  accresciuta  quantità  de'  metalli  volesse  trovare  l'u- 
nica ragione  della  successiva    diminuzione   nel   prezzo   dei 


357 

prodotti  tanto  territoriali  che  dell'  industria.  —  La  ragione 
di  questa  bilancia  tra  la  quantità  dei  metalli  ed  il  prezzo 
delle  cose  ,  sta  riposta  in  più  alte  cagioni ,  e  la  si  trova 
nel  risorgimento  delle  arti  e  dell'  industria ,  ed  in  tutte 
quelle  altre  circostanze  che  determinarono  a  partire  ap- 
punto dalla  metà  del  secolo  XVIII  un  progressivo  mi- 
glioramento sociale. 

Basti  per  ora  questa  digressione  per  rammentare  a  quanti 
mali  economici  ed  amministrativi  fosse  soggetto  il  Piemonte 
neir  epoca  a  cui  si  riferiscono  i  suriportati  documenti  : 
mali  d'  altronde  che  non  solo  il  Piemonte  soffriva ,  ma  che 
ijli  erano  pur  anche  comuni  con  molte  altre  nazioni. 

Se  non  che  questi  mali  neppur  erano  i  soli  che  afflig- 
gessero le  popolazioni.  Parlando  unicamente  dell'  Italia  le 
epidemie ,  le  carestie ,  le  guerre  e  le  depredazioni  dei  bar- 
bareschi sui  litorali  della  Penisola  erano  spaventevoli  e  fre- 
quenti. Nella  sola  città  di  Roma  negli  anni  iSgo  e  iSqi 
la  morìa  vi  rapiva  sessanta  mila  abitanti  *i.  Napoli  e  Mi- 
lano lottavano  per  non  lasciarsi  imporre  l' inquisizione  a 
modo  di  Spagna  ,  e  nel  coraggioso  combattimento  riesci- 
vano  vittoriosi.  Oltre  a  ciò  l'imposta  territoriale  mal  ripar- 
tita e  parziale ,  l'agricoltura  negletta  ,  la  mercatura  avvilita  , 
le  strade  poche  od  impraticabili  ,  il  commercio  massime 
dei  grani  inceppato  e  tormentato  ,  le  monete  in  disordine, 
gli  spiriti  della  maggior  parte  o  superbi  per  violenza  o  vili 
per  abbiezione  avvolti  poi  sempre  in  ogni  maniera  di  su- 
perstizioni, le  leggi,  massime  le  criminali,  barbare,  assur- 
jie  ,  od  impunemente  deluse  o  violate. 

Frammezzo  a  questo  lutto  universale  dell'Italia  nessuno 
potrà  credere  che  bastassero  a  rallegrarla  colle  loro  poesie 
il  Tasso  ,  il  Tassoni ,  il  Marini  ed  il  Chiabrera.  Ma  però 
e  degno  di  essere  osservato  che  appunto  nei  tempi  di  cui 

*i  Cicaielli  Vita  di  Gregorio  XUI. 


358 
favelliamo  questi  illustri  ingegni  si  erano  riparati  e  vive- 
Tano  presso  la  Corte  di  Savoia  ;  novella  prova  che  in  quella 
età  si  godeva  in  Piemonte  di  un  governo  più  forte  e  più 
ciusto ,  e  se  non  fossei-o  state  le  continue  guerre  in  cui  i 
suoi  principi,  colpa  della  geografia,  come  diceva  il  Prin- 
cipe Eugenio,  si  trovavano  così  spesso  travolti,  si  sarebbe 
anche  goduto  di  un  vivere  più  mite. 

Che  se  del  resto  volessimo  giudicare  dall'  indole  degli 
scritti  che  quei  poeti  ci  hanno  lasciati  ,  forse  ci  tocche- 
rebbe di  conchiudei-e  che  in  generale  quando  maggiore  è 
la  prostrazione  politica ,  e  maggiori  le  miserie  della  vita 
reale  degli  individui  ;  le  favole  ,  le  stregherie  e  la  satira  ; 
le  stranezze  insomma  di  tutto  il  mondo  ideale,  si  usur- 
pano ogni  attività  intellettuale  a  scapito  degli  studi  più 
nobili  e  delle  opere  più  utili  e  generose.  Così  queste  crea- 
zioni della  fantasia  che  servono  di  distrazione  e  di  trastullo 
ai  dotti  ingegni  così  bene  come  al  volgo  ignorante  ,  sono 
come  quei  fiori  disutili  che  spuntano  tanto  più  facili  e  ri-^ 
gogliosi,  quanto  è  più  putido  il  limo  che  li  sostenta. 

Ecco  intanto  in  mezzo  a  quali  dolori  e  mali  ordina- 
menti di  governo  civile ,  troppo  male  ricomprati  dai  canti 
de'  poeti,  o  da  qualche  lampo  di  gloria  guerriera,  si  chiu-^ 
deva  in  Italia  ed  in  Piemonte  il  secolo  XVI  e  si  comin-i 
clava  il  secolo  XVII. 

Severino  BalUislione. 


559 

DELL'  AMOR    PATRIO    DI    OAIXTE.'^ 


Quando  le  lettere  formavan ,  come  debbono ,  parte  delle 
istituzioni ,  che  reggevano  i  popoli ,  e  non  si  consideravano 
ancora  come  conforto ,  bensì  com'  utile  ministero ,  fu  detto 
il  poeta  non  essere  un  accozzatore  di  sillabe  metriche,  ma 
un  uomo  libero ,  spirato  dai  Numi  a  mostrare  agli  uomini 
la  verità  sotto  il  velo  dell'  allegoria;  e  gli  antichi  finsero 
le  Muse  castissime  vergini ,  e  abitatrici  dei  monti  perchè 
la  poesia  figlia  del  cielo  ,  si  nutre  di  libertà ,  e  perchè  i 
poeti  imparassero  a  non  prostituire  le  loro  cetre  a  possanza 
terrestre. 

Ne'  bei  secoli  della  Grecia ,  i  poeti  non  immemori  della 
loro  sublime  destinazione ,  consecravano  il  loro  genio  all' 
utile  della  patria;  ed  altri,  come  Teognide,  spargevano 
tra  loro  concittadini  i  dettati  della  saggezza;  altri  come 
Solone ,  racchiudevano  ne'  loro  poemi  le  leggi ,  che  fanno 
dolce  il  viver  sociale  ;  altri ,  come  Pindaro  e  Omero ,  eter- 
navano i  trionfi  patrii;  altri,  come  Esiodo,  consegnavano 
ne'  loro  versi  i  misteri ,  e  le  allegorie  religiose.  —  Così 
santissimo  uffizio  affidava  la  patria  ai  poeti,  l'educazione 
della  gioventù  al  rispetto  delle  leggi  rehgiose  e  civili,  e 
air  amore    della    libertà;  e  finché  l'inno  d'Aiinodio,  e  le 


360 

canzoni  d'Alceo  suonarono  sulle  labbra  dei  giovani  Greci, 
non  paventarono  ne  tirannide  domestica,  né  giogo  straniero. 

Ma ,  come  la  civiltà  degenerata  in  corruttela  ,  i  guasti 
costumi ,  il  lusso ,  e  il  tempo  distruggitore  d'  ogni  buona 
cosa,  ebbero  inchinata  la  mente  degli  uomini  alla  servitù, 
e  la  prepotenza  de'  pochi  giganteggiò  sulla  sommessione 
abbietta  de'  molti ,  la  poesia  tralignò  anch'essa  dalla  sua 
prima  indipendenza ,  si  trafficaron  gì'  ingegni ,  e  fiu'ono 
compri  da  chi  sperava ,  che  il  suonar  delle  cetre  sofFocasser 
il  lamento  dell'umanità  conculcata,  la  poesia  divenne  l'arte 
di  lusingare  la  credulità,  e  la  intemperanza  dei  popoli  ; 
attizzò  all'  ire  e  alle  voluttà  i  tiranni ,  e  si  fé'  maestra 
spesso  di  corruttela  ,  quasi  sempre  d' inezie. 

Hanno  tutte  le  nazioni ,  e  noi  più  eh'  altri  abbiamo  im- 
mensi scrittori,  e  troppi  forse  poeti.  Ma  qvianti  furono 
coloro,  i  quali  non  prostituirono  l'ingegno,  e  la  penna 
alla  tirannide  politica  (perchè  anche  la  repubblica  delle 
lettere  ha  i  suoi  dittatori  )  ?  —  Le  corti ,  le  sette ,  le 
scuole,  le  accademie,  i  sistemi,  e  i  pregiudizi,  che  ogni 
secol  trascina,  corruppero  i  più,  e  pochissimi  furono  quei 
grandi,  che  non  seguitarono  stendardo,  se  non  quello  del 
vero ,  e  del  giusto.  —  De'  primi  la  posterità  fece  severo 
giudicio  ,  ma  dei  secondi  affidò  la  memoria  all'amore  di 
tutti  i  buoni,  e  loro  commendò  di  serbare  intatto  quel 
sacro  deposito  a  conforto  nelle  sciagure,  e  ad  incitamento 
ne'  tempi  naigliori.  Fra  questi  sommi ,  che  stettero  incon- 
taminati in  mezzo  all'  universale  servaggio,  e  non  mirarono 
ne'  loro  scritti,  come  nella  lor  vita ,  che  all'utile  della  pa- 
tria; l' Italia  avida  di  lavar  la  memoria  dell'  antica  ingiu- 
stizia, die  il  primato,  quasi  senza  contrasto,  al  divino 
Alighieri,  e  se  orgoglio  municipale  o  spirito  di  contesa 
mossero  alcuni  a  ribellarsi  contro  l' universale  sentenza , 
fu  leggiero  vapore  in  un  bel  cielo  sereno.  —  Un  uomo 
di  cui  son  calde  ancora  le  ceneri,  e  di  cui  vivi à  bella  la 


561 

memoria  tra  noi,  fìnch'alme  gentili  alligneranno  in  Italia, 
pareva  avere  rivendicato  a  Dante  il  vanto  d'ottimo  citta- 
dino in  tal  guisa,  che  più  non  dovesse  sorgere  alcuno  a 
contrasto.  —  Pure  da  qualche  tempo  diversi  libri,  che 
vennero  a  luce ,  senza  risuscitare  la  disputa,  mossero  al- 
cune querele  contro  l'  amor  patrio  dell'  Alighieri;  e  a 
queste  cjuerele  fece  eco  un  letterato  italiano  ,  il  quale  in 
una  sua  lettera ,  che  inserì  in  uno  degli  ultimi  numeri  della 
Antologia,  accusollo  d'intollerante,  e  ostinata  fierezza,  e 
d' ira  eccessiva  contro  Fiorenza.  —  Perlochè  stimiamo 
bene  d' opporre  alcune  nostre  considerazioni  a  questa  ri- 
nascente opinione;  che  se  non  ci  verrà  fatto  di  dir  cose 
nuove ,  ci  conforteremo  pur  col  pensiero ,  che  le  voci  di 
un  italiano ,  quali  esse  siano  ,  non  andranno  del  tutto  per- 
dute presso  la  presente  generazione ,  ove  ragionino  di  cose, 
che  toccai!  dappresso  l'onor  nazionale. 

A  voler  giudicar  dirittamente  delle  ragioni  d'un'  opera, 
dei  motivi,  che  la  dettarono,  dei  sentimenti  sotto  la  in- 
spirazione de'  quali  fu  scritta,  e  quindi  della  sua  interpre- 
tazione ,  parmi  affacciarsi  un'unica  via,  troppo  spesso  ne- 
gletta ;  lo  studio  de'  tempi ,  in  cui  fu  composta  e  quello 
della  vita  dello  scrittore. 

Uno  sempre  è  1'  amor  patrio  nella  sua  essenza,  e  nel 
suo  ultimo  scopo  ;  ma ,  come  tutti  gli  affetti  umani,  subisce 
varie  modificazioni ,  e  veste  forme  diverse  secondo  che 
mutansi  le  abitudini ,  le  costumanze  ,  le  opinioni  religiose 
e  civili ,  e  le  passioni  degli  uomini ,  che  costituiscono  que- 
sta patria ,  all'  utile  della  quale  si  mira.  —  Come  dunque 
vai'iano  i  bisogni  della  patria,  variar  debbono  i  mezzi  per 
cui  può  giungersi  a  soddisfarli  o  reprimerli,  e  quindi  la 
direzione,  che  seguirà  l'amor  patrjo  in  un  secolo  sarà  to- 
talmente diversa  da  quella  d'un  altro.  —  Ne' bei  tempi 
della  romana  repubblica  il  vero  amor  patrio  era  quello  <li 
Cincinnato;  Bruto  mostrò  qual  fosse  sol  lo  i  principj  della 


22 


362 

tirannide  ;  Gocceo  Nerva  insegnò  agli  uomini  qual  alta 
prova  rimanga  a  darsi  dell'amor  patrio ,  quando  la  servitù 
è  irreparabile.  —  Ecco  come  la  differenza  de'  tempi  mo- 
dificava lo  stesso  affetto,  che  ardeva  nell'anima  di  questi 
tre  sommi.  —  Nello  stesso  modo  s'esercita  l'influenza  dei 
tempi  sugli  scrittori ,  onde  nascano  le  diverse  tinte ,  che 
segnano  le  epoche  varie  di  tutte  le  letterature.  —  Fin- 
ché la  storia  della  letteratura  si  confuse  colla  storia  dei 
letterati ,  le  strettissime  relazioni ,  che  passavano  fra  le  isti- 
tuzioni ,  e  le  costumanze  d'  un  popolo ,  e  la  sua  lettera- 
tura y  sfuggirono  inosservate  ;  ma  si  scoprirono ,  quando 
le  ricerche  storico-letterarie  presero  una  direzione  più  fi- 
losofica. —  La  tendenza  del  genio  d'uno  scrittore  dipende 
in  gran  parte  dalla  posizione  degli  oggetti,  che  lo  circon- 
dano; quindi  l'amor  patrio,  ch'egli  avrà  in  petto,  appa- 
rirà in  mille  guise ,  secondo  la  diversa  disposizione  degli 
elementi  sociali,  de'  quali  lo  scrittore  è  in  certo  modo  lo 
interprete.  —  In  un  secolo  si  manifesterà  ravvolto  in  un 
magnanimo  sdegno,  dove  in  un  altro  si  sarebbe  confuso 
con  un  suono  di  lusinga  e  di  pace.  —  Ponete  uno  storico 
(  dotato  d'altronde  di  tutte  le  qualità ,  che  costituiscono 
r  uomo  grande  )  nel  secolo  d' Augusto  ,  testimone  della 
calma,  figlia  della  stanchezza,  nella  splendida  corte,  che 
imprimeva  una  nuova  direzione  all'attività  del  carattere  ro- 
mano, in  mezzo  alla  apparente  felicità,  prodotta  dal  pro- 
gresso della  civiltà  e  della  letteratura;  e  voi  avrete  Livio. 
—  Trasportate  lo  stesso  individuo  dopo  il  regno  di  Ne- 
rone sul  principio  di  quello  di  Domiziano,  dove  era  spenta 
ogni  antica  vii^tù,  dove  l'uomo  strisciava  privo  di  dignità 
in  mezzo  al  contrasto  della  tirannide  più  feroce  e  della 
più  umiliante  viltà  ;  e  .avrete  Tacito.  —  Ambi  erano  di 
amor  patrio  caldissimi ,  ma  il  primo  sedotto  dall'apparente 
tranquillità,  credè  Roma  felice,  e  quindi  tessè  la  storia 
delle  sue   antiche   grandezze   più    com'  inno^   che    lusinga 


365 

ròrecchio  dei  forti,  che  come  acerba  rampogna  al  torpore 
dei  neghittosi  ;  laddove  Tacito  ,  venuto  ai  tempi ,  che  non 
concedevan  l' ilhidersi ,  scrisse  la  sua,  come  l'ultimo  eco 
della  libertà  fuggitiva ,  non  risparmiando  ai  suoi  coetanei 
il  quadro  della  loro  immensa   viltà. 

A'  tempi  dunque  è  d'  uopo  guareiare  per  conoscere  ,  se 
il  linguaggio  d'uno  scrittore  è  tale,  che  possa  dirsi  spirato 
dall'affetto  della  sua  patria ,  conveniente  cioè  alla  situazione 
in  che  questa  giace.  Or  quali  furono  i  tempi  dell'Alighieri  ? 
Come  ordinati  gli  elementi  sociali  ?  Una  brevissima  espo- 
sizione della  particolare  fisionomia  di  quel  secolo  ,  dei  tratti, 
che  lo  caratterizzano,  e  lo  distinguono  da' successivi ,  non 
sarà  forse  inutile  per  coloro  a'  quali  non  è  dato  l'inoltrarsi 
molto  nella  storia  dell'età  media. 

L'Italia  nel  secolo  decimoterzo  offeriva  riunito  allo  sguardo 
quanto  ci  presentò  successivamente  la  storia  intera  del 
globo.  Tutte  le  diverse  forme  di  civili,  e  politiche  istitu- 
zioni si  dividevano  le  sue  città.  —  Tutti  gli  elementi,  che 
creano  la  miseria,  o  la  felicità  delle  nazioni  s'agitavano  nel 
suo  seno.  —  Una  somma  energia,  un  valore  indomito,  una 
insofferenza  di  giogo  ,  una  irrequieta  fecondità  nel  formare 
progetti,  una  feroce  costanza  nel  superare  gli  ostacoli,  che 
s'attraversavano,  stavano  a  contrasto  con  una  rabbia  di 
dominazione,  con  ima  smania  di  sovvertimento,  con  una 
intemperanza  d'audacia ,  col  più  violento  spirito  di  vendetta, 
colla  brutalità  più  sfrenata.  —  Sublimi  virtù ,  e  grandi  de- 
litti, uomini  d'altissimi  sensi,  e  scellerati  profondi  segnan 
quel  secolo ,  come  ne'  climi ,  ove  la  natura  è  più  feconda , 
giganteggian  gì'  opposti  del  bello ,  e  dell'  orrido.  —  Con 
questa  energia,  con  questa  sovrabbondanza  di  forza,  l'Italia 
avrebbe  potuto  fondare  in  quel  secolo  la  sua  indipendenza 
contro  r  insulto  straniero  ,  ove  alcuno  avesse  posseduto  V 
arte  diflìcile  di  volgere  tutte  quelle  passioni  ad  un  solo 
scopo.  —  Ma  poiché  noi  tollerò  la  discordia  ingenita  nelle 


364 

menti  italiane  ,  e  attizzala  ognor  più  dall'ambizione  di  chi 
nelle  discordie  altrui  elevava  la  propria  potenza ,  e  dallo 
spirito  invasore  dello  straniero ,  fu  forza  ,  che  quelle  tor- 
bide genti,  a  cui  l'inerzia  era  morte,  non  dirette,  non 
frenate,  rivolgessero  a  danno  della  madre  comune  il  bi- 
sogno d' oprare.  —  Ne  mancavano  le  cagioni  di  turba- 
menti. —  I  nomi  di  Guelfi ,  e  di  Ghibellini ,  nomi  infausti 
ad  ogni  orecchio  italiano  ,  suonavano  per  quasi  tutta  que- 
sta terra  infelice,  perchè  le  fazioni  sopravvivono  alle  cause 
dalle  quali  trassero  origine ,  e  queste  tanto  più  si  suddivi- 
devano ,  quanto  mancavan  sovente  d' una  mira  determinata. 
—  Né  la  riforma  tentata,  e  in  parte  compiuta  da  Frate 
Giovanni  da  Vicenza,  ne  il  reggimento  repubblicano,  mercè 
il  quale  Fiorenza  vide  risorte  le  lettere,  e  l'arti,  impedi- 
rono che  la  discordia  ripidlulasse  ognor  più  feroce  nella 
terra  Lombarda,  e  nella  Toscana.  —  Dall' un  termine  all' 
altro  le  spade  italiane  grondarono  sangue  italiano.  —  Gli 
stati  di  Napoli  lacerati  dalle  lunghe  lotte  di  Manfredi  e 
dell'usurpatore  Carlo  d' Angiò  fremevano  sotto  il  sangui- 
noso giogo  ;  la  Sicilia  vendicava  col  vespro  il  giovine  Cor- 
radino;  vendetta  sterile  ,  che  poneala  per  qualche  tempo 
sotto  il  dominio  de'  re  d'  Aragona.  —  Nella  Lombardia ,  i 
Delia-Torre  tentavan  d'assidersi  sulle  rovine  della  tirannide 
d'Ezzelino.  —  Siena ,  Arezzo  ,  Fiorenza  combatteansi  ac- 
canitamente. —  La  signoria  de' mari  provocava  a  guerra 
mortale  Genova  e  Pisa.  —  E  a  danni  di  Pisa  congiunge- 
vano l'armi  Fiorenza,  Lucca,  Prato,  Pistoia,  Volteri-a  ed 
altre  nemiche  giurate  tra  di  loro  prim^a  che  il  furor  Guelfo 
confondesse  i  loro  interessi  contro  l' unica  città  Ghibellina 
della  Toscana  ;  ma  guerre  eran  quelle  non  temperate  da 
que'  precetti ,  che  il  pudore  dettò  alle  nazioni  e  eh'  esse 
approvarono  col  nome  di  dritto  delle  genti  ;  guerre  com- 
battute colla  ferocia  dei  tempi ,  e  dello  scopo  a  cui  ten- 
devano ,  come  quelle ,  che  più  spesso  all'esterminio  mira- 


365 

vano,  che  a  mutamenti  dì  governo  e  di  territorio.  — 
Ogni  occasione  afferravasi ,  pm  che  dannosa  al  nemico  ; 
ogni  mezzo  era  buono  ,  purché  guidasse  a  vittoria.  —  Le 
tregue  convertite  in  agguati ,  ogni  maniera  d'insidia,  ogni 
genere  di  tradimento ,  tutto  sembrava  lecita  parte  di  guerra. 
—  E  ad  ognuno  ,  il  quale  rammenti  nella  sola  guerra  tra 
Genova  e  Pisa,  il  giuramiento  ,  con  che  s'  astrinsero  le 
città  alleate  de' Genovesi ,  a  struggere  le  mm-a  Pisane,  e 
disperderne  i  cittadini  nelle  terre  vicme  ,  la  fuga  del  conte 
Ugolino  nella  battaglia  della  Meloria.  —  Il  modo ,  con  cui 
si  trattaron  da'  Liguri  undici  mila  prigionieri  Pisani,  frutto 
di  questa  vittoria ,  diecimila  dei  quali  periron  tra  ceppi , 
fremerà  l'anima  in  petto  non  discorde  dalle  nostre  parole. 
Che  se  noi  diamp  un'  occhiata  all'  interna  situazione  delle 
città,  tal  quadro  ci  s'appresenta,  che  noi  non  possiamo  , 
se  non  gemere  su  questa  nostra  Italia,  che  diede  sì  mi- 
serando spettacolo  al  mondo.  —  Per  ogni  dove  i  cittadini 
correvano  a' tumulti,  e  alle  risse  colla  stessa  ira,  con  che 
il  fm^ente  lacera  le  proprie  piaghe.  —  Per  ogni  dove  gli 
oltraggi,  le  ferite,  gli  assassinj  contaminavano  le  belle  con- 
trade, che  sembrano  create  dalla  natura  ad  una  pace  tran- 
quilla ed  eterna;  che  agli  uni  poneva  il  sangue  sul  brando 
desio  di  prepotente  dominio  ,  agli  altri  timor  di  servaggio, 
e  smania  d'indipendenza  forse  tropp'oltre  spinta.  —  Le 
primarie  famiglie  nobili  erano  quasi  tutte  in  aperta  nimi- 
cizia  tra  loro  ;  le  minori  parteggiavano  per  l'une  o  per  le 
altre.  —  Quindi  le  città  turbate  sempre  da'  privati  dissidi 
che  per  lo  più  si  decidevan  coli' armi  ;  ogni  palazzo  era 
roccia  di  guerra ,  ogni  piazza  potea  divenir  teatro  di  com- 
battimenti, ■ —  Intanto  gl'animi  s'educavano  al  disprezzo  di 
ogni  ordine  e  d'  ogni  legge  ;  la  sommessione  a'  tribunali 
da'  nobili  si  reputava  viltà  ;  ove  un  d'essi  venisse  ti-atto  in 
giudizio  ,  si  tentava  da  coloro ,  che  vincolo  di  parentela 
stringeva   col   reo  ,   di   trarlo   a   forza   dalle   mani   de'  suoi 


366 

custodi  ;  ogni  personale  Jelilto  faceasi  per  tal  iifiodo  delitto 
di  molti.  —  Le  leggi  erano:  ma  i  governi  erano  impotenti  a 
serbarne    intatta    l'esecuzione  ;    onde ,   poiché  nessmia  cosa 
valeva  a  fi-enare  l'intemperante  audacia  de'  nobdi ,  il  popolo 
stanco   di   sofferire   in   silenzio,  levavasi  in  arme  contro   i 
perturbanti  del  suo  riposo.  —  Siffatte  popolari  rivoluzioni 
non  regolate  dalla  saggezza  de' Governanti,  dirette  da  pri- 
vati rancori ,   animate    dalle   memorie    d'  antichi  oltraggi , 
attizzate   ognor   più  da  qualche  adulatore  di  plebe,  oltre- 
passavano quasi  sempre  lo  scopo j  (del  che  abbiamo,  per 
tacer  d'altri,  luminoso  esempio  nella  rivoluzione,  che  Giano 
della  Bella  promosse   in   Firenze)    quindi   il  flagello  della 
anarchia  ogni  cosa  percotea;  ed  alla  tirannide  della  nobiltà 
sottentrava  1'  ebbrietà    della    plebe ,  pur  sempre  tirannide. 
—  Così  s'avvicendava  il. disordine  sotto  forme  diverse,  fmch' 
una  famiglia  più  avveduta  dell'altre,  invadesse  la  signoria. 
Tali  fm-ono  i  tempi ,  ne'  quali   Dante  menò  la  dolorosa 
sjia  vita,  tempi  fecondi  di  gravi  insegnamenti  a  chi  dentro 
vi    guardi  con    occhio    filosofico,   tempi,   dallo    studio    dei 
quali   non   può  venir  che  salute  all'Italia.  —  Ora  se  v'ha 
taluno,  al  quale,  dopo  aver  percorsa  la  stoina  di  quest'età, 
non  s' affacci  sul  volto ,  che  un  sorriso  di  sterile  compas- 
sione,  questi   è    da   più,    o   da   meno   d'un   uomo;  che  le 
sciagure  d'una  nazione,  la  quale,  piena    di    coraggio   e  di 
forze ,  le  rivolge  furiosamente  contro  i  suoi  figli ,  e  prepara 
allo   straniero    la   via,  consumando  miseramente  se  stessa, 
saraimo    sempre    alto  argomento  di  dolore ,  e  di   pianto  a 
chi  sente.    —   E    diciamo  di  dolore,  e  di  pianto,  perchè 
in   ogni  tempo    i   più  s'appagano  di  gemere,  e  di  tacere 
sovra   infortunii,   a   cui  non  possono  porre  riparo.  —  Ma 
in   tutti   i   secoli    v'hanno  delle  anime   di  fuoco,  che  non 
possono  acquetarsi  all'universal  corruttela,  né  starsi  paghe 
d'uno  steril  silenzio.  —  Collocate  dalla  natura  ad  una  im- 
mensa altezza    comprendono  in  un'occhiata   la    situazione. 


567 

e  i  bisogni  de'  loro  simili  ;  straniere  a'  vizi  de'  loro  con- 
temporanei ,  tanto  più  vivamente  ne  sono  affette  ;  uno  sdegno 
santo  le  invade;  tormentate  da  un  prepotente  desìo  di"  far 
migliori  i  loro  fratelli,  mandano  una  voce  possente  e  se- 
vera ,  come  di  Profeta ,  che  gridi  rampogna  alle  genti  ; 
voce ,  che  il  più  delle  volte  vien  male  accolta  da  coloro , 
a'  quali  è  dirizzata,  come  da  fanciulli  la  medicina.  Ma  chi 
dirà  doversi  anteporre  la  lusinga  d'un  plauso  fugace  alla 
riconoscenza  più  tarda  de'  posteri?  —  A  questa  sola  Dante 
mirava,  e  lo  esprimeva  in  quei  versi,  che  non  dovrebbero 
obbliarsi  mai  da  chi  scrive  — 

E  s'io  al  vero  son  timido  amico  , 
Temo  di  perder  vita  tra  coloro, 
Che  questo  tempo  chiameranno  antico. 

Farad,  e.  XVlì. 

Forse  egli  gemeva  della  dura  necessità ,  che  astringevalo 
a  denudare  le  piaghe  della  sua  terra  ,  forse  ogni  verso , 
in  cui  scolpiva  una  delle  tante  colpe,  che  la  macchiavano, 
gli  costava  una  lacrima ,  e  gli  dolca  ,  che  la  sua  voce  do- 
vesse esser  molesta  nel  primo  gusto;  ma  si  confortava 
pensando,  che  avrebbe  lasciato  vital  nutrimento  ,  come 
fosse  digesta,  confoi^to  veramente  degno  dell'alto  animo 
suo 5  perchè  bella  lode  s'aspetta  a  chi  tempra  un  inno  alle 
glorie  patrie,  ma  vieppiù  bella  a  chi  tenta  ricondurre  all' 
antica  virtù  i  suoi  degeneri  concittadini,  impresa  difficile 
e  perigliosa. —  Utilmente  lusingavano  l'orecchio  de' giovani 
Greci  le  odi  nazionali  di  Pindaro,  quando  la  virtù  dei  vin- 
citori nei  ludi  Elei  splendeva  incontaminata  nel  foro  e  nel 
campo  \  le  slesse  odi  avrebbero  suonato  amaro  scherno  o 
adulazione  codarda  dopoché  la  libertà  greca  era  spirata 
nelle  pianure  di  Cheronea.  Onde,  che  in  un  popolo  gua- 


308 

sto  per  molti  vizi ,  o  neghittoso  per  nullità  dì  sentire ,  sarà 
santo  sempre  sovra  ogni  altro  l'uffizio ,  che  s'assume  la  sa- 
tira, quando  venga  trattata  non  colle  scurrilità  di  Settano, 
o  coir  animosità  cieca  del  Rosa,  ma  colla  severità  della  virtù , 
con  che  Pei'sio  sentenzia  gì'  inetti  dell'  età  sua ,  o  colla 
onesta  decenza  del  nostro  Parini.  —  Però  agli  italiani  del 
secolo  decimoterzo  ,  ad  uomini  educati  all'ire  dalle  contese 
<lomestiche,  ed  estere,  che  sorridevano  alla  vendetta,  come 
a  delizia  celeste ,  la  fantasia  de'  quali  richiedea  per  essere 
scossa  rappresentanze  di  dannati,  e  d'eterni  tormenti  *i 
lo  stil  grave  di  Persio,  e  la  dilicata  ironia  del  Parini 
avrebber  suonato  inutili,  come  una  voce  isolata  nel  fremito 
della  tempesta.  —  Per  essi  volevansi  parole  di  fuoco ,  come 
l'indole  loro,  parole  d'alto  sdegno,  d'iracondo  dolore,  di 
amaro  scherno ,  tali  insomma ,  che  colpir  valessero  quelle 
menti  indmate,  perchè  l'aura,  che  offende  la  dilicata  beltà, 
passa  non  sentita  sulla  cute  incallita  del  villano ,  e  agli 
scrittori  è  forza  usar  lo  stile ,  che  i  tempi  richieggono , 
ov'essi  anelino  all'  utile ,  non  ad  una  gloriuzza  sterile  e 
breve.  —  Tali  parole  profeii  l'Alighieri,  ispirandosi  alle 
sciagure  immense  della  sua  patria ,  alle  colpe  e  a'  vizi , 
che  le  eternavano,  e  all'anima  sua  bollente,  mesta  e  se- 
vera per  natura ,  allevata  ne'  guai ,  di  ninno  amica,  fuorché 
del  vero.  —  Vestita  la  severità  d'un  giudice ,  flagellò  le 
colpe  e  i  colpevoli ,  ovunque  fossero  ;  non  ebbe  riguardo 
a  fazioni ,  a  partiti ,  ad  antiche  amicizie  ;  non  ser-vì  a  timor 
di  potenti ,  non  s'innorpellò  ad  apparenze  di  libertà  ,  ma 
denudò  con  imparziale  giudizio  l'anime  ree ,  per  vedere 
se  il  quadro  della  loro  malvagità  potesse  ritraiTC  i  suoi 
compatriotti  dalle  torte  vie ,  in  che  s'erano  messi ,  come 
i  magistrati  di  Sparta ,  a  chi  s'avviliva  coU'uscir  da'  limiti 
della  temperanza,  presentavano   l'abbietto  spettacolo  d'un 

*i  Giovanni  Villani  —  IsL  Fior.  hb.  vni.  e.  70. 


369 

Iloto  briaco.  —  Or  se  questa  è  mente  indegna  di  buon 
cittadino,  noi  confessiamo  d'ignorare  il  valoi-e  di  questo 
vocabolo;  ma  chi  negasse  una  tal  mente  aver  diretto  l'in- 
tero poema ,  noi  opporremo  le  parole  stesse  dell'Alighieri , 
il  quale  nella  terza  cantica  si  mostra  così  convinto  della 
santità  dell'opera  sua ,  che  illudendosi  sulla  riconoscenza 
de' suoi  coetanei,  si  conforta  colla  speranza,  che  il  suo 
poema  possa  riaprirgli  le  porte  dell'amata  Fiorenza  *i.  — 
Questa  testimonianza  d'una  coscienza  immacolata  non  ci 
par  cosa  di  poco  peso  nella  quistione ,  perchè  un  tal  voto, 
una  tale  speranza  non  s'affacciano  ad  un  uomo ,  il  quale 
arde  d'ira  contro  la  patria ,  e  contro  d'essa  inveisce  scri- 
vendo. —  E  Dante  esprimeva  questa  sua  illusione  nel  canto 
vigesimo  quinto  del  Paradiso ,  verso  il  termine  dell'età  sua  ; 
quando  avea  già  ingoiato  tutto  il  calice  dell'esilio ,  quando 
ei  dovea  essere  inacerbito  da  tutte  le  miserie  ,  che  accom- 
pagnano l'uomo  bisognoso  e  d'animo  fiero. 

Del  resto  noi  non  annoieremo  chi  legge  collo  schierare 
dinanzi  tutti  que'  tratti  del  divino  poema,  che  pongono  in 
evidenza  la  piena  d'affetto  patrio ,  di  che  avvampava  l'esule 
illustre  ,  e  sarebbe  opera  inutile  ,  dopo  quanto  ne  sminuzzò 
il  Perticari  ;  ma  diremo ,  che  quand'anche  non  esistesse  il 
sublime  canto  ,  in  cui  parla  Bordello  ,  ne  alcun  altro  di 
simil  fatta,  a  ehi  s'inviscera  nella  mente  d'uno  scrittore  , 
gli  stessi  tratti,  che  s'allogano  a  dimostrare  la  vendetta 
dell'Alighieri,   verrebbero  a  far  piena  discolpa  dell'animo 

*i  Se  mai  continga  ,  che  il  poema  sacro 

Al  quale  ha  posto  mano  e  cielo ,  e  terra , 
Si  che  m'  ha  fatto  per  più  anni  macro, 

Vinca  la  crudeltà,  che  fuor  mi  serra 
Del  bello  ovile  ,  ov'io  dormii  agnello 
Nimico  a' lupi  che  li  danno  guerra  ,  ecc. 

Farad,  e.  XXV. 


570 

suo.  —  Egli  inveisce  agramente  contro  le  colpe ,  onde 
l'itala  terra  era  lorda,  ma  non  è, scoppio  di  fìirore  irragio- 
nevole, o  d'offeso  orgoglio;  è  suono  d'alta  mestizia,  come 
d'uomo,  che  scriva  piangendo;  è  il  genio  della  libertà  patria 
che  geme  sulla  sua  statua  rovesciata,  e  freme  contro  co- 
loro, che  la  travolser  nel  fango.  —  Nei  versi,  che  più 
infieriscono,  tu  senti  un  pianto,  che  gronda  sulla  dura 
necessità ,  che  i  fati  della  patria  gl'impongono  ;  tu  discerni 
l'affetto  d'un  padre,  il  quale  si  sforza  di  vestire  una  se- 
verità ,  che  non  è  nel  suo  cuore ,  per  soffocare  una  passione 
crescente  nel  petto  del  figlio,  che  può  trascinarlo  a  rovina. 
Le  voci  —  patria,  natio  loco,  mia  terra  —  appaiono 
tratto  tratto  per  farti  risovvenire,  che  il  poeta  ama  Fio- 
renza collo  stesso  ardore ,  con  cui  flagella  i  lupi ,  che  le 
dan  guerra.  —  Sovente  egli  cerca  un  tristo  compenso  nei 
giorni,  che  furono,  e  riposando  il  suo  sguardo  stanco  sul- 
l'antica situazione  della  sua  città ,  rammenta  con  orgoglio 
sublime  ciò  che  fu  un  tempo ,  ritraendoci  con  tinte  d'ini- 
mitabil  dolcezza  ,  la  pace  ,  la  serenità ,  la  virtù  semplice , 
e  queta ,  che  faceano  di  quella  terra  un  soggiorno  celeste , 
primachè  il  puzzo  del  Villano  d'Aguglione,  e  di  quel  da 
Signa  contaminasse  quella  purità  di  costumi. 

Acerbissime  dunque  furono,  noi  neghiamo,  le  querele 
dell'Alighieri;  ma  tali  quali  esigevano  i  tempi,  i  costumi, 
le  circostanze  dell'età  sua;  tali  specialmente,  quali  l'affetto 
patrio  ben  concepito  impose  a  tutti  gli  uomini,  che  per 
genio,  e  virtù  si  sollevarono  al  di  sopra  degli  altri  *i.  Il 

*i  Se  vevo  è,  come  risulta  dalla  vita  di  Dante  del  Boccaccio, 
da  due  novelle  di  Franco  Sacchetti ,  e  da  altri  ,  che  i  primi  sette 
canti  almeno  fossero  di  già  composti ,  e  diffusi  in  Firenze  ,  prima 
ch'ei  ne  fosse  cacciato ,  ognun  vede  dal  tenore  di  quei  canti,  e  dallo 
stile  ,  che  in  essi  s'adopra ,  non  doversi  ascrivere  all'ira  della  sciagura  , 
bensì  ad  alto ,  e  fermissimo  proposito  dello  Scrittore  ,  l'aspre  parole , 
e  i  rimproveri,  ch'egli  proferisce  nel  suo  poema. 


571 

Perticari  pose  umanzi  agli  accusatori  di  Dante  tiatti  non 
meno  aspri  e  pungenti  del  Boccaccio,  del  Villani:  memorò 
le  parole  severe,  che  Demostene,  Aristofane ,  Tullio,  Pla- 
tone, Seneca,  Tacito,  ed  altri  mille  scagliarono  contro  i 
peccati  delle  loro  terre  ;  e  si  lagnò  della  ingratitudine  dei 
posteri,  che  della  stessa  cosa  gli  uni  laudavano,  mentre 
accusavano  l'altro;  perlochè  noi  non  ci  tratterremo  sopra 
questo  argomento  ;  e  rimembreremo  soltanto ,  come  il  Pe- 
trarca ,  di  cui  Perticari  non  fece  motto ,  trascorse  oltre  lo 
sdegno  dell'Alighieri,  ogniqualvolta  dall'oggetto  eterno  dell' 
amor  suo  torse  il  guardo  all'Italia.  —  I  tre  sonetti ,  nei 
quali  impreca  ogni  castigo  a  Roma,  superano  in  ira  quanto 
fu  detto  mai  da  Dante ,  o  da  alcun  altro  poeta.  —  Nella 
canzone  —  Italia  mia  benché  il  parlar  sia  indarno  — 
egli  mostra  altamente  il  suo  disprezzo  pei  tanti  tirannetti, 
che  laceravano  la  patria  ;  nell'altra,  ch'egli  forse  inviò  a 
Stefano  Colonna,  e  che  incomincia.  —  Spirto  gentil ^  che 
quelle  membra  reggi  —  chiama  l'Italia  tutta  'vecchia , 
lenta ,  oziosa  ,•  e  brama,  che  alcuno  ponga  mano  nella  sua 
venerabile  chioma,  e  nelle  sue  trecce  sparte.  —  E  il  Pe- 
trarca viveva  in  tempi  di  minore  ferocia,  benché  d'egual 
corruzione;  non  avea  certamente  oltraggio  da  vendicare: 
era  dotato  d'animo  sovra  ogn'altro  dolcissimo  ,  nudrito  di 
sospiri  d'amore ,  educato  alla  pieghevolezza  dalle  corti,  ove 
ei,  troppo  forse  per  l'onor  suo,  soggiornava. 

Un'ultima  prova  intanto  del  vero ,  che  per  noi  si  so- 
stiene, trarremo  dagli  altri  scritti  dell'Alighieri;  e  poiché 
le  idee  d'un  autore  debbono,  come  le  leggi,  interpre- 
tarsi r  una  coli'  altra ,  un  guardo  solo ,  che  noi  gettiamo 
sopra  tuttociò,  ch'egli  andò  di  mano  in  mano  vergando, 
ci  convincerà  ognor  più  dell'animo  suo.  —  In  tutti  i  suoi 
scritti,  di  qualunque  genere  essi  siano,  traluce  sempre 
sotto  forme  diverse  l'amore  immenso,  ch'ei  portava  alla 
patria;  amore,   che  non  nudrivasi  di  pregiudizietti,  o  di 


572 

rancori  municipali ,  ma  di  pensieri  luminosi  d'unione  ,  e 
di  pace  5  che  non  ristringevasi  ad  un  cerchio  di  mura ,  ma 
sibbene  a  tutto  il  bel  paese ,  dove  il  sì  suona ,  perchè  la 
patria  d'un  italiano  non  è  Roma,  Firenze,  o  Milano,  ma 
tutta  Italia.  Con  tal  mente  egli  scrisse  il  libro  della  Mo- 
narchia, in  cui  se  tutte  le  idee  non  son  tali  da  dover  essere 
universalmente  abbracciate,  tutte  almeno  appaion  dettate 
da  un  ottimo  spirto  ,  quale  ammettevano  i  tempi  ;  in  questo 
egli  mirò  a  congiungere  in  un  sol  corpo  l'Italia  piena  di 
divisioni ,  e  sottrarla  al  servaggio  ,  che  allora  minacciavala 
più  che  mai.  —  E  se  il  latino  linguaggio ,  le  fonne  sco- 
lastiche, che  vi  campeggiano,  e  la  scarsezza  delle  edizioni 
copriron  quest'opera  quasi  d'obblio ,  non  è  men  vero ,  che 
ei  vi  gettò  que'  semi  d' indipendenza  e  di  libertà ,  eh'  ei 
profuse  poscia  nel  suo  poema,  e  che  fruttificarono  larga- 
mente nei  secoli  posteriori.  —  Con  tal  mente  fii  da  lui 
concepito  il  trattato  del  volgare  Eloquio,  che  concitò  in 
questi  ultimi  tempi  lo  spirito  irritabile  de'  letteiati  italiani 
a  controversie  più  argute  forse,  che  utili,  —  In  questo 
egli  s'erge  luminosamente  al  di  sopra  di  quella  torma  di 
grammatici,  che  fanno  intisichire  la  lingua  per  volerla 
costringere  nelle  fasce  della  sua  infanzia  ;  dimostra  la  vera 
favella  italiana  non  esser  Tosca,  Lombarda,  o  d'altra  Pro- 
vincia ;  ma  una  sola ,  e  di  tutta  la  terra  —  CKAppennin 
parte ,  e  'Z  mar  circonda ,  e  talpe.  —  Insegnando  a'  suoi 
coetanei ,  come  questo  idioma  illustre  ,  fondamentale  non 
avea  nessun  limite  ;  ma  si  facea  bello  di  ciò ,  ch'era  mi- 
gliore in  ogni  dialetto,  egli  cercava  di  soffocare  ogni  con- 
tesa di  primato  in  fatto  di  lingua  nelle  varie  provincie  , 
ed  insinuava  l'alta  massima ,  che  nella  comunione  reciproca 
delle  idee  sta  gran  parte  de'  progressi  dello  spirito  umano. 
—  Siffatti  pensieri  ebbero  da  lui  più  ampio  sviluppo  nel 
suo  Convivio,  dov'egli  si  pronunzia  con  entusiasmo  cam- 
pione della  favella  italiana  volgare ,  e  predice  a  questa  ver- 


575 

ginella  modesta,  ch'egli  eJucava  a  più  nobili  fati,  glorie, 
e  trionfi  sull'idioma  latino,  ch'era  ormai  sole  al  tramonto. 
—  Egli  si  mostra,  come  fu  notato  da  uno  scrittore,  ben 
piùi  altero  della  nobiltà ,  e  dell'efllcacia  della  sua  lingua  , 
che  del  merito  dei  propri!  versi.  —  Sembra  ch'egli  col 
pascersi  di  (j[uest'avvenire  cerchi  stornare  la  mestizia,  che 
gl'infortunj  politici  d'Italia ,  e  di  se  stesso  gli  procaccia- 
vano ;  perch'egU  scriveva  quest'opera ,  quando  avea  già 
sperimentato  ,  come  l'ai'co  dell'esilio  saetti  acuto  lo  strale, 
quando  la  sua  vita  dechinava  al  fine.  —  Eppure  l'alFetto  di 
patria  ardeva  sempre  vivissimo  nel  cuor  suo,  come  ci  fanno 
fede  que'  tratti  commoventissimi,  ne'  quali  piange  la  sorte  , 
che  lo  giltò  fuori  del  dolce  seno  della  bellissima ,  e  fa- 
mosissima figlia  di  Roma,  Fiorenza.  —  Quest'afletto  di 
patria  mai  noi  lasciò ,  accompagnandolo  nelle  sue  peregri- 
nazioni per  l'Italia;  non  formò  pensiero,  non  mise  sospiro, 
che  non  lo  spirasse;  e  per  tacere  della  bella  canzone  — 
Tre  donne  intorno  al  cuor  mi  son  venute  —  e  della  bel- 
lissima —  Patria  degna  di  triunfal  fama  —  perfino  quand' 
egli  scrive  ciò,  che  amoi'c  gli  detta,  non  pensa  tanto  alla 
sua  Beatrice,  che  obblii  la  città,  dove  nacque;  così  nella 
canzone ,  che  incomincia  —  Amor ,  da  che  mi  convien  pur 
cJiio  mi  doglia  —  il  lamento,  ch'ei  mette  per  la  crudeltà 
della  donna  sua,  gli  è  cagione  di  rimembrai-e  la  crudeltà 
di  Fiorenza,  che  fuor  di  so  lo  serrava,  —  f^'ota  d' amore y 
e  nuda  di  pietate  —  e  nell'altra  —  La  dispietata  mente 
che  pur  mira  —  tutta  d'amore,  ricorda  il  dolce  paese, 
eh'  ha  lasciato. 

Ma  ove  piu'e  alcuni  squarci  del  poema  potessero  lasciare 
un  senso  d'esitazione  nell'animo,  noi  abbiamo  una  testi- 
monianza irrecusabile  ,  che  non  lascia  alcun  dubbio  sulla 
mente  ,  che  animò  la  sua  cantica.  —  Questa  è  la  sua  vita. 
Ciò,  che  in  essa  più  monta  è  oramai  conosciuto  abbastanza, 
benché  l'Italia  ,   malgrado  un  diluvio  di  commenti ,  note  , 


574 

memorie,  e  saggi,  non  possegga  finoi^a  una  vita  degna  di 
questo  sommo ,  e  il  voto  del  nostro  buon  Pelli  rimanga 
pm"  sempre  inesaudito.  —  Ond'è  ,  che  noi  moveremo  in- 
torno ad  essa  parole  brevissime. 

Non  difficil  cosa  sarebbe,  crediamo,  il  dimostrare,  come 
il  mutamento  di  parte ,  di  che  lo  accusaron  taluni ,  fosse 
figlio  non  d'una  mente  volubile ,  o  della  necessità  dell'esilio, 
bensì  d'un  affinato  discernimento ,  e  d'una  imparzialità  a 
tutta  prova ,  dappoiché  la  Guelfa  fazione ,  che  potea  parere 
a  prima  vista  animata  da  uno  spirito  più  italiano  ,  e  che 
.  egli  seguì ,  finché  il  bollore  giovanile  gli  fé'  legge  di  se- 
guir la  parte ,  in  che  tutti  i  suoi  s'eran  messi ,  appunto 
in  quel  torno,  guasta  da'  nuovi  partiti ,  piegò  dal  proposito 
primo ,  e  mostrò  evidentemente  di  servire  a  privati  affetti, 
e  agli  interessi  di  chi  la  moveva  più,  che  a  quei  della 
patria.  —  Ma  questa ,  ed  altre  quistioni  di  simil  fatta  non 
son  tali ,  che  possano  trovar  luogo  ne'  brevi  limiti  di  un 
articolo  di  giornale ,  e  spetterebbero  a  chi  s'assumesse  di 
dare  all'Italia  una  buona  vita  dell'Alighieri.  —  Ben  diremo 
che  siccom'egli  siede  ,  e  siederà  gran  pezza  primo  fi-a  i 
poeti,  che  durano  eterni,  così  la  sua  vita  può  pi^esentarsi 
con  tutta  fidanza  a  modello  di  coloro,  che  san  cos'è  patria, 
e  com'essa  vuol  esser  servita.  —  Un'esistenza  d'undici  lustri 
iion  fu  per  lui ,  che  un  solo  sospiro ,  e  questo  fu  per  la 
Italia.  —  Non  ebbe  riposo  giammai  nella  lotta,  ch'egli 
inti-aprese  animosamente  contro  i  suoi  oppressori,  contro  i 
pregiudizi ,  che  la  dominavano ,  contro  l'ignoranza ,  che 
sovr'essa  pesava.  —  Logorò  il  fiore  dell'età  sua  in  sagri- 
fizi  continui  per  la  terra,  che  lo  rinegò.  —  Sembra  im- 
possibile ,  che  dopo  aver  percorse  le  circostanze  della  sua 
vita ,  alcuno  abbia  potuto  muovere  sospetto  sullo  spirito  , 
che  lo  animava.  —  L'uomo,  che  combattè  valorosamente 
nella  giornata  di  Campaldino  (1289)  contro  la  gente  di 
Arezzo,  che  guerreggiò  un  anno  dopo  contro  i  Pisani.  — 


375 

L'uomo,  che  Firenze  iscelse  all'età  d'anni  trentacinque  ad 
uno  de'  tre  reggitori  della  repubblica.  —  Che  seppe  in 
tempi  difficilissimi  ottenersi  tanta  fama  di  senno  ,  e  d'in- 
tegrità ,  che ,  come  sul  suo  capo  posassero  le  sorti  delle 
cose  patrie ,  i  due  priori ,  suoi  compagni ,  a  lui  solo  affi- 
davano il  maneggio  degli  affari  più  perigliosi.  —  L'uomo 
che  nelle  gare  de'  Bianchi ,  e  dei  Neri ,  spogliatosi  d'ogni 
privata  affezione ,  pronunziò  la  sentenza  d'esilio  contro  ambe 
le  parti  (  i3oi  ),  monumento  di  severa  imparzialità,  che  volò 
a'  piedi  di  Bonifazio  per  vedere  di  smuoverlo  da'  consigli , 
che  ponevano  Fiorenza  sotto  la  tirannide  di  Carlo  di  Valois , 
e  che  più  tardi,  cpando  più  gemeva  sotto  il  pondo  delle 
ingiurie  della  fortuna,  ritrovò  tanta  forza  d'animo  da  con- 
dannarsi ad  un  bando  perpetuo ,  anziché  avvilir  sé ,  e  la 
sua  patria  colla  vergogna  d'una  sommessione  disonorevole  *i. 

—  Quest'uomo ,  diciamo ,  presenta  un  tal  quadro  ,  che 
sfida  il  m.ordere  dell'invidia.  —  Poiché  fu  bandito,  errò  lunga 
pezza  per  tutta  l'Italia ,  vivendo  di  memorie  ,  grande  del 
suo  dolore  ,  forte  di  quell'ingegno  ,   che  ninno  può  torre. 

—  L'infortunio  non  l'avvili;  la  miseria,  che,  a  detta  di 
Omero,  dimezza  l'anima   dello   schiavo,  non  gli  tolse  pur 


*i  Noi  non  stimiamo  a  porre  tra  i  fatti  più  degni  di  lode  dello 
Alighieri  questo  suo  rifiuto  d'entrare  in  Fiorenza ,  benché  alcuno 
abbia  voluto  inferirne  rancore ,  e  superbia.  —  A  chiunque  ramme- 
mori tutte  le  vie  ch'ei  tentò  per  ricuperare  la  patria  ,  e  la  lettera , 
ch'egli  scrisse  al  suo  popolo  ,  mentovata  da  Leonardo  Bruni  nella 
sua  vita  di  Dante  ,  non  può  venir  dubbio  sul  desiderio  ,  ch'egli  nu- 
triva di  rimpatriare  —  E  dove  si  considerino  le  turpissime  condi- 
zioni ,  che  a  lui  s'offerivano  ,  memorate  dal  Boccaccio  nella  vita  , 
ch'egli  lasciò  di  lui ,  e  la  lettera  intera  di  Dante  ,  ch'egli  inviò  a 
chi  gli  faceva  tali  proposte  ,  non  riman  luogo  ,  che  ad  altissima 
ammirazione  ;  perchè  l'uomo  deve  prima  di  tutto  rispettare  la  sua 
patria  in  se  stesso  ,  e  la  qualità  di  cittadino  allora  veramente  si 
perde  ,  quando  ottiensi  colla  viltà,  o  coU'infamia. 


376 

una  dramma  del  suo  generoso  sentire  ;  ma  stette  contro  i 
colpi  della  fortmia ,  com'uomo  che  duolsi  più  dell'altrui  , 
che  del  proprio  danno  ;  e  bench'ei  fosse  astretto  a  men- 
dicare dai  signori  italiani  un  tozzo  di  quel  pane,  cJie  sa 
di  sale  j  non  piegò  dinanzi  al  potere ,  non  prostituì  il  suo 
genio,  e  la  musa  a  speranze  di  principesca  mercede.  — 
Com'ei  vide  tronca  ogni  via  per  soccorrere  col  senno,  e 
col  braccio  alla  patria  inferma  ,  die  mano  allo  scrivere  , 
e  legò  in  un  poema  eterno  a'  suoi  posteri  l'amore  il  più 
ardente  della  indipendenza ,  e  l'odio  il  più  fiero  contro  i 
vizi ,  che  trassero  a  mal  partito  la  sua  Fiorenza.  —  Comjsiè 
il  suo  mortale  pellegrinaggio  in  Ravenna  j  ivi  riposano  an- 
cora le  sue  ossa,  segnate  da  un  monumento  indegno  di 
lui,  lontane  dalla  terra  ,  che  tanto  amò  ,  e  dove  l'inerzia 
di  Leon  X.  non  permise  che  a  lui  s'ergesse  una  tomlja 
da  Michelangelo,  erede  del  suo  genio  ,  e  l'unico  forse  degno 
di  pagargli  il  tributo,  che  l'Italia  deve  alla  sua  memoria. 
O  Italiani!  Studiate  Dante  ;  non  su' commenti ,  non  sulle 
glosse;  ma  nella  storia  del  secolo,  in  ch'egli  visse,  nella 
sua  vita ,  e  nelle  sue  opere.  —  Ma  badate  !  V  ha  più  che 
il  verso  nel  suo  poema  ;  e  per  questo  non  vi  fidate  ài 
grammatici,  e  agli  interpreti;  essi  sono  come  la  gente, 
che  dissecca  cadaveri  ;  voi  vedete  le  ossa ,  i  muscoli ,  le 
vene  che  formavano  il  corpo  ;  ma  dov'è  la  scintilla ,  che 
l'animò  ?  —  Ricordatevi ,  che  Socrate  disse  il  migliore  in- 
terprete d*  Omero  essere  1'  ingegrio  più  altamente  spirato 
dalle  muse.  Avete  voi  un'anima  di  fuoco?  —  Avete  mai 
provato  il  sublime  fremito,  che  destano  l'antiche  memo- 
rie ?  —  Avete  mai  abbracciate  le  tombe  de'  pochi  grandi , 
che  spesero  per  la  patria  vita  ,  e  intelletto?  —  Avete  voi 
versata  mai  una  lacrima  sulla  bella  contrada ,  che  gli  odi, 
i  partiti,  le  dissensioni,  e  la  prepotenza  straniera  ridus- 
sero al  nvdla  ?  —  Se  tali  siete ,  studiate  Dante  ;  da  quelle 
pagine  profondamente  energiche ,  succhiate   quello  sdegno 


377 

magnanimo ,  onde  l'esule  illustre  nudriva  l'anima  ;  che  l'ira 
contro  i  vizi  e  le  corruttele  è  virtù.  —  Apprendete  da  lui, 
come  si  serva  alla  terra  natia ,  finché  l'oprare  non  è  vìe- 
tato  ;  come  si  viva  nella  sciagura.  —  La  forza  delle  cose 
molto  ci  ha  tolto;  ma  nessuno  può  torci  i  nostri  grandi; 
né  l'invidia,  né  l'indifferenza  della  servitù  potè  struggerne 
i  nomi ,  ed  i  monumenti  ;  ed  ora  stanno  come  quelle  co- 
lonne ,  che  s'affacciano  al  pellegrino  nelle  mute  solitudini 
dell'Egitto  ,  e  gli  additano ,  che  in  que'  luoghi  fu  possente 
città.  —  Circondiamo  d' affetto  figliale  la  loro  memoria. 
—  Ogni  fi:onda  del  lauro  immortale ,  che  i  secoli  po- 
sarono su'  loro  sepolcri ,  é  pegno  di  gloria  per  noi  ;  né 
potete  appressare  a  quella  corona  una  mano  sacrilega , 
che  non  facciate  piaga  profonda  nell'  onore  della  terra , 
che  vi  die  vita,  —  O  Italiani  !  —  non  obbliate  giammai , 
che  il  primo  passo  a  produrre  uomini  grandi  sta  nello 
onorare  ì  già  spenti. 

XXX. 


IL    DOPPIO    GIURAMENTO 

Dal  tedesco  di  Gìan  Paolo 


Enrico  era  un  giovinetto  di  i5  anni,  che  è  quanto  dire  pieno 
di  buoni  proponimenti  che  compieva  di  rado ,  e  di  falli  di  cui 
giornalmente  si  pentiva  ^  egli  amava  suo  padre  ed  il  suo  mae- 
stro con  molto  amore  ,  ma  molte  volte  amava  ancora  maggior- 
mente i  suoi  piaceri:  egli  avrebbe  volentieri  per  amendue  sagri- 
ficato  la  sua  vita ,  ma  non  la  sua  volontà  ,  e  gli  slanci  sfrenati 

33 


578 

della  sua  anima  Ji  foco  erano  spesso  a  coloro  che  egli  amava 
ed  a  se  medesimo  fonte  di  amarissime  lagrime.  Così  la  sua  vita 
errava  dolorosamente  tra  errori  e  pentimenti,  e  finalmente  quel 
continuo  avvicendarsi  di  buone  risoluzioni  e  di  falli  perniciosi  y 
tolse  a'  suoi  amici  e  persino  a  lui  stesso  ogni  speranza  di  mi- 
glioramento. Allora  il  conte  suo  padre  non  potè  più  allonta- 
nare dal  cuore  troppo  spesso  ferito  il  tormentoso  pensiero  che 
Enrico,  nell'  accademie  e  nei  viaggi  in  cui  la  via  del  vizio  si 
fa  sempre  più  facile  e  più  fiorente,  ed  in  cui  non  giunge  più 
mano  amorevole  e  voce  di  padre,  cadrebbe  di  errore  in  errore 
e  ritornerebbe  a  casa  con  un'  anima  macchiata  e  snervata ,  spo- 
glia di  tutte  le  sue  pure  bellezze,  ed  incapace  persino  del  pal- 
lido riflesso  della  virtù ,  il  pentimento. 

Il  conte  era  di  cuor  tenero,  dolce  e  pio,  ma  malaticcio  e 
troppo  debole.  La  tomba  della  sua  moglie  era  quasi  il  piede- 
stallo della  sua  vita  e  minava  tutte  le  ajuole,  su  cui  egli  cer- 
cava di  cogliere  fiori.  Ora  nel  suo  giorno  di  nascita,  e  forse  a 
motivo  di  quello,  divenne  ammalato,  tanto  poco  il  petto  parali- 
tico sopportare  poteva  un  giorno ,  in  cui  il  cuore  raddoppiava  i 
suoi  battiti.  Poiché  gli  svenimenti  si  succedevano  ,  il  figlio  stra- 
ziato si  recò  nel  boschetto  inglese,  in  cui  stava  la  tomba  di 
sua  madre  e  quella  vuota  che  il  suo  padre  si  era  fatta  prepa- 
rare ,  e  su  cui  Enrico  promise  allo  spirito  materno  di  combat- 
tere con  tutta  la  possa  la  sua  violenta  fame  dei  piaceri. 

Il  giorno  della  nascita  del  padre  sembrava  dirgli  :  «  il  lieve 
ì)  strato  di  terra  che  separa  tuo  padre  dalla  cenere  di  tua  ma- 
»  dre  si  romperà  presto ,  forse  fra  pochi  giorni ,  ed  allora  esso 
»  muore  dolente  e  senza  speranza ,  e  non  le  può  dire  che  tu 
»  ti  sei  fatto  migliore,  »  O  allora  egli  scoppiò  in  un  pianto 
dirotto ,  ma  infelice  Enrico  a  qual  cosa  giovano  le  tue  lagrime , 
e  la  tua  commozione  se  tu  non  ti  migliori  ? 

Dopo  pochi  giorni  il  padre  si  rialzò  dal  letto ,  ed  in  mala- 
tìccio eccesso  di  emozione  e  di  speranza  strinse  al  petto  feb- 
bricitante il  giovinetto  pentito.  Enrico  inebriato  dalla  gioia 
della  guarigione  e  del  bacio  paterno  divenne  più  lieto  ,  più 
baldanzoso,  più  audace.  Il  suo  maestro  che  cercava  di  rime- 
diare alla  debolezza   del  padre,   con   potente  severità   tentò  di 


379  ^ 

frenare  l'eccesso  della  gioia.  — Il  bolleute  Enrico  fu  ilisobbe- 
xlieute  ad  un  comando,  che  paragonato  al  mite  cenno  del  pa- 
dre sembrava  tirannia:  —  e  poiché  il  maestro  ripetè  fermamente 
e  con  forza  il  necessario  comando,  Enrico  in  un  momento  di 
vertigine  giovenile  feri  profondamente  il  cuore  e  1'  onore  del 
severo  amico:  —  ed  allora  l'insubordinazione  contro  il  mae- 
stro, siccome  dardo  velenoso,  volò  a  colpire  l'egro  cuore  del 
padre  disperato  ,  ed  egli  soggiacque  alla  ferita  e  ricadde  sul 
letto  degli  ammalati. 

Io  non  vuo',  miei  cari  giovani  lettori,  dipingervi  la  colpa 
ed  il  dolore  di  Enrico.  Ma  nel  giudizio  severo  che  siete  per 
portare  contro  di  lui  comprendete  anche  quello  di  che  forse 
voi  stessi  siete  colpevoli  :  ah  ove  è  quel  figlio  che  può  avvici- 
narsi al  letto  di  morte  dei  suoi  genitori  senza  che  la  coscienza 
gli  ponga  in  bocca  queste  parole  :  «  se  io  non  tolsi  dalla  loro 
»  vita  anni ,  io  costo  però  loro  settimane  e  giorni  !  —  ah  quei 
))  dolori  che  ora  vorrei  lenire,  furono  forse  da  me  medesimo 
»  cagionati  od  accresciuti  ,  e  quegl' occhi  amorevoli  che  vor- 
»  rebbero  tanto  volontieri  guardare  almeno  un'ora  ancora  nella 
))  vita  sono  chiusi  anzi  tempo  dai  miei  errori.  »  Ma  l'abbaci- 
nato mortale  commette  i  suoi  falli  audacemente  perchè  ne  cela 
a  se  medesimo  le  omicide  conseguenze  :  —  egli  scioglie  dalla 
catena  le  belve  feroci  imprigionate  nel  suo  petto  e  le  lascia 
vagar  libere  la  notte  fra  la  folla  degli  uomini,  ma  non  vede 
quanti  innocenti  la  fiera  sfrenata  afferra  e  strozza. 

L' uomo  inselvatichito  gitta  con  animo  leggiero  attorno  di  sé 
i  peccati,  quasi  carboni  ardenti,  e  allora  soltanto  quando  dorme 
il  sonno  della  tomba ,  le  scintille  che  egli  sparse  incendono 
dietro  a  lui  le  capanne ,  e  una  colonna  di  fumo  s' innalza 
come  colonna  d' infamia  sulla  sua  tomba  e  vi  sta  sopra  eter- 
namente. 

Enrico  non  potè,  tostochè  ogni  speranza  di  guarigione  svanì, 
reggere  alla  vista  del  volto  macilento  del  padre  j  egli  si  tratte- 
neva liclla  camera  vicina  ginocchione  ,  tacito  come  un  malfat- 
tore ,  e  con  gli  occhi  chiusi  avanti  il  futuro,  da  cui  aspettava 
(li   momento  in  momento  il  grido  terribile:    «  egli  è  morto!  » 

Finalmente  dovette  avvicinarsi  al  letto  dell'  ammalato  per  ri- 


380 

ceverne  1'  estremo  addio  ed  il  perdono  ;  ma  il  padre  tornogli 
il  suo  amore  non  la  sua  fidanza ,  e  gli  disse  :  «  cangiati  figlio 
»   mio ,  ma  non  prometterlo.   » 

Enrico  cadde  annientato  dalla  vergogna  e  dal  dolore  nella 
camera  vicina  ,  allorché  quasi  svegliandosi  udì  il  suo  vecchio 
maestro  ,  che  fu  pure  maestro  di  suo  padre  ,  benedirlo  come 
se  la  notte  eterna  s'  avvolgesse  già  attorno  la  vita  intormentita  : 
a  t'  addormenta  soavemente  nel  sonno  del  Sigaore ,  disse  egli, 
»  o  uomo  virtuoso ,  o  fedele  discepolo  !  tutti  i  tuoi  buoni  pro- 
»  ponimenti  che  hai  mantenuti,  tutte  le  tue  vittorie  sopra  di 
»  te  medesimo  ,  tutte  le  tue  belle  azioni  devono  ora  come  se- 
»  rene  nuvole  della  sera  spandersi  nel  crepuscolo  della  tua 
i>  morte  !  Nella  tua  ultima  ora  abbi  ancora  speranza  nell'  in- 
»  felice  tuo  Enrico,  e  sorridi  se  nel  tuo  cuore  rompeutesi  un' 
»  estasi  di  gioia  trova  ancora  un  filo  di  vita.  » 

L'ammalato  non  poteva  sciogliersi  dalla  sincope,  che  lo  pre- 
meva colla  sua  mano  di  piombo  ,  ed  i  rotti  sensi  scambiarono 
la  voce  del  maestro  per  quella  del  figlio,  ed  egli  balbettò; 
«  figlio  mio,  io  non  ti  vedo,  ma  odo  la  tua  voce,  poni  la 
»  tua  mano  sopra  di  me  e  giura  di  farti  migliore.  »  Enrico  si 
precipitò  nella  camera  pronto  al  giuramento  ;  ma  il  maestro 
lo  respinse  colla  mano  sinistra  ,  collocò  la  destra  sul  cuore  del 
padre  e  disse  lievemente  :   «  io  lo  giuro  in  nome  di  lui.  » 

Ma  tutto  ad  un  tratto  sentì  il  cuore  cessare  i  suoi  battiti , 
e  riposarsi  dalla  lunga  commozione  della  vita.  «  Fuggi  infelice, 
»   disse  egli ,  tuo  padre  è  morto  senza  speranza.  » 

Enrico  fuggi  dal  castello.  Oh  come  avrebbe  potuto  vedere 
e  dividere  un  cordoglio,  in  cui  egli  medesimo  aveva  spinti  gli 
amici  del  padre  ?  Esso  lasciò  soltanto  al  suo  maestro  la  pro- 
messa di  ritornare  e  ne  fissò  il  tempo ,  vacillante  ed  altamente 
piangendo  entrò  nel  boschetto  inglese ,  e  vide  i  bianchi  mo- 
numenti dividere  il  verde  fogliame  quasi  pallidi  scheletri.  Ma 
non  ebbe  il  coraggio  di  toccare  il  futuro  vuoto  luogo  di  riposo 
del  padre  5  egli  si  appoggiò  soltanto  alla  seconda  piramide  che 
copriva  un  cuore,  che  non  era  morto  per  cagion  sua,  il  cuore 
della  madre  ,  che  già  da  lungo  tempo  riposava  nella  polvere 
del  sepolcro.  Egli  non  osava  piangere,  nulla  osava  promettere 


381 

e  tacendo ,  col  capo  chino ,  e  coir  animo  strasciato  portò  più 
lungi  il  suo  dolore.  Dovunque  gli  venivano  incontro  ricordanze 
della  perdita  e  della  colpa:  —  ciascun  figlio  era  uno  che  cor- 
reva giulivo  verso  il  padre  portando  in  alto  le  bionde  spiche 
mietute:  —  ciascun  suono  veniva  da  una  campana  dei  morti:  — 
ogni  altura  di  terreno  era  una  tomba,  ogni  sfera  segnava  sol- 
tanto', come  quel  regio  orologio,  l'ora  della  morte  del  padre  *i. 

Enrico  dopo  cinque  oscuri  giorni  pieni  di  dolori  e  di  pen- 
timento senti  il  desiderio  di  rivedere  l'amico  del  padre,  e  sperò 
poterlo  consolare  colle  primizie  del  suo  cambiamento.  Il  più  bel 
funerale  che  1'  uomo  possa  preparare  ad  una  persona  amata, 
che  non  è  più,  si  è  l'asciugare  le  lagrime  altrui  anziché  ver- 
sarne egli  medesimo  j  e  la  più  bella  corona  di  fiori  e  di  cipressi 
che  noi  possiamo  appendere  alle  urne  dei  nostri  cari  è  un  frut- 
tifero tralcio  di  opere  buone. 

Egli  volle  entrare  di  notte  nella  mesta  abitazione  onde  ce- 
lare il  suo  rossore.  Allorché  traversò  il  boschetto  ,  la  bianca 
piramide  della  tomba  paterna  stava  fra  il  vivente  fogliame  ter- 
ribile a  vedersi,  come  nel  puro  azzurro  del  cielo  s'  innalza  la 
bigia  colonna  di  fumo  di  un  villaggio  incendiato.  Egli  posò  il 
capo  cadente  contro  la  dura  fredda  colonna  e  nel  cuore  intor- 
mentito e  martoriato  nissun  pensiero  poteva  farsi  passo.  Là 
stava  egli  abbandonato  e  solo  ;  nissuna  voce  soave  gli  diceva  : 
«  hai  pianto  abbastanza.  »  Nissun  cuore  di  padre  intenerito  gli 
susurrava  k  sei  castigato  abbastanza.  »  Il  romoreggiare  delle  fo- 
glie gli  sembrava  un  fremito  di  collera  ,  1'  oscurità  un  preci- 
pizio. L' immutabilità  della  sua  perdita  lo  circonduce  lontan 
lontano  come  un  mare  stagnante ,  in  cui  non  batte  onda ,  non 
fiotta  si  solleva. 

Finalmente  dopo  che  gli  cadde  una  lagrima  dal  ciglio,  vide 
nel  cielo  una  stella  serena ,  che  soave  come  l' occhio  di  uno 
spirito  celeste  guardava  là  entro  luccicando  attraverso  il  foglia- 


*i  Nel  castello  reale  di  Versailles  era  già  un  orologio,  che  finché  il  re  viveva 
stava  fermo  e  segnava  1'  ora  della  morte  del  predecessore ,  e  allora  soltanto  an- 
dava quando  un  altro  re  moriva,  lo  non  mi  so  se  si  possa  trovare  un  memento 
morì  migliore  di  questo. 


582 

me  •■,  allora  un  dolore  più  mite  scese  nel  suo  petto  j  egli  pensò 
al  giuramento  di  emendarsi ,  che  la  morte  non  aveva  lasciato 
compiere,  si  pose  lentamente  ginocchione,  volse  l'occhio  ba- 
gnato verso  le  stelle  e  disse  : 

«  O  padre,  padre!  (  e  la  piena  del  cordoglio  gli  trattenne 
»  lungo  tempo  le  parole  :  )  qui  presso  la  tua  tomba  sta  il  tuo 
»  povero  orfano  figlio,  e  giuro  a  te  ,  o  spirito  sereno  e  pio, 
»  io  mi  farò  migliore;  accogli  pietoso  il  mio  giuramento!  —  Oh 
w   potessi  tu  darmi  un  segno  che  mi  hai  udito!  » 

Attorno  a  lui  si  udì  di  repente  un  indistinto  romore  5  una 
pallida  immagine  d'  uomo  si  apri  lentamente  un  passo  fra  il 
cespuglio  e  disse  :  «  io  ti  ho  udito,  e  spero  di  nuovo  !  »  Egli 
era  suo  padre. 

Quello  stalo  di  mezzo  tra  la  morte  ed  il  sonno ,  il  fratello 
della  morte ,  lo  svenimento  gli  aveva ,  come  un  risanante  pro- 
fondo sonno  ,  data  di  nuovo  la  vita.  Ottimo  padre  !  quand'an- 
che la  morte  ti  avesse  trasportato  frammezzo  lo  splendore  del 
secondo  mondo ,  il  tuo  cuore  non  avrebbe  forse  potuto  essere 
maggiormente  innondato  dalla  gioia,  di  quello  che  fu  in  que- 
sto momento ,  in  cui  il  tuo  figlio  emendato  da  dolori  atrocis- 
simi cadde  nelle  tue  braccia  ,  e  ti  recò  di  nuovo  la  più  bella 
speranza  di  un  padre  ! 

Ma  frattanto  che  il  sipario  cade  su  questo  piccolo  dram- 
ma ,  io  vi  domando  ,  amati  giovani  lettori:  avete  voi  genitori 
cui  non  abbiate  ancora  recata  la  bellissima  speranza  ?  Oh  al- 
lora io  vuo',  come  farà  un  giorno  con  punte  dolorose  la  co- 
scienza ,  ricordarvi  che  verrà  un  di  in  cui  non  troverete  con- 
solazione ed  in  cui  esclamerete  ;  «  Ah  essi  mi  hanno  amato  so- 
»  vr' ogni  cosa  al  mondo,  ma  io  li  ho  lasciati  morire  senza 
»  speranza  e  sono  stato  il  loro  ultimo  dolore.  » 

Y. 


383 

RIVISTA    CRITICA 


SCÈNES    DE    LA    VIE    ITAUENNE   par  MERY 

(Paris,   1837.   1  voi.  in-8,  fr.   i5  ). 


Non  v'  ha  paese  che  sia  stato  così  frequentemente  visitato 
come  la  nostra  Italia,  che  abbia  avuto  1'  onore  o  fors'  anco  la 
sventura  di  tanti  viaggiatori  e  vagheggiatori  stranieri ,  che  ab- 
bia destate  tante  reminiscenze ,  suscitate  tante  critiche ,  tanti 
voti ,  avuto  in  una  parola  tante  descrizioni.  Essa  viene  ancora 
oggidì  chiamata  la  terra  classica  delle  belle  arti ,  e  delle  ri- 
cordanze d'  ogni  maniera  sia  di  azioni  guerriere ,  che  d' isti- 
tuzioni civili ,  come  di  forme  politiche.  —  E  questo  vanto  si 
continua  tuttora  concedere  all'  Italia ,  sebbene  essa  non  sia 
più  da  gran  tempo  il  centro  della  civiltà  europea ,  ma  sibbene 
il  movimento  della  società  e  dell'  industria  sia  passato  in  altre 
contrade.  Con  tuttociò  convien  dire  che  la  materia  allo  scri- 
vere sopra  questa  bella  Italia  non  sia  ancor  esaurita  del  tutto , 
poiché  ancora  in  oggi  viene  il  sig.  Méry  a  confidarci  le  me- 
morie del  suo  viaggio  :  memorie  eh'  ei  ci  trasmette  conformi 
alle  sensazioni  che  provò  facendolo ,  ridondanti  di  entusiasmo 
e  di  poesia. 


584 

Il  sig.  Méry  per  altro  è  uno  di  quei  discreti  viaggiatori  che 
si  souo  accorti  che  ella  è  ormai  cessata ,  o  che  almeno  cessar 
dovrebbe  quell'antica  smania  di  cercare  in  Italia  scene  di  de- 
gradazione o  morale  o  politica  o  religiosa  5  di  quelle  narrazioni 
di  tradimenti,  di  assassini!  e  di  lascivie,  che  da  Rogero  Ascham 
precettore  della  regina  Elisabetta  d' Inghilterra  in  poi  ,  che 
visitava  l'Italia  nel  i58o,  servirono  sempre  sino  a' dì  nostri  di 
prediletto  argomento  a  tutti  i  viaggiatori  ,  a  tutti  i  romanzieri 
ed  a  tutti  i  poeti.  Erano  le  bellezze  d'  Italia  per  questi  non 
sempre  casti  ingegni ,  come  bellezze  di  cortigiana  che  si  di- 
spregiano mentre  si  osservano,  sicché  fu  generoso  per  un  poeta 
italiano  rimprocciare  la  natura  che  avesse  fatta  1'  Italia  cosi 
bella    e  non  più  forte. 

Il  sig.  Méry  non  si  rese  colpevole  di  questo  oltraggio,  e  co- 
noscendo d'altronde  quante  volte  l'Italia  sia  stata  descritta, 
volle  risparmiare  ai  suoi  lettori  la  noia  di  queste  ripetizioni , 
e  si  contentò  di  ritrarre  alcune  scene  di  cui  egli  stesso  fu  testi- 
monio oculare.  La  sobrietà  del  sig.  Méry  non  fu  però  tale  e 
tanta  ch'egli  non  abbia  pur  anco  voluto  risovvenirci  di  alcuni 
tratti  della  storia  ,  e  di  trasportarci  alle  gloriose  epoche  di 
Roma ,  e  delle  altre  famose  città  italiane.  Egli  in  ciò  non  potè 
affatto  sottrarsi  a  quella  necessità  fatale  che  sente  chiunque 
visita  r  Italia ,  non  eccettuato  neppure  quel  così  nuovo  e  ro- 
mantico ingegno  del  Byron  ,  di  non  potere  cioè  calpestare  la 
terra  d' Italia  senza  sentir  fremere  le  ossa  de'  suoi  grandi  tra- 
passati, e  senza  curvare  foss' anco  involontariamente  la  fronte 
dinanzi  alla  conquistatrice  del  mondo. 

Le  pagine  del  sig.  Méry,  com'  erano  le  giornate  del  suo  viag- 
gio sparse  di  sensazioni  vivide,  così  sono  ancor  esse  infiorate 
di  alcune  poesie,  e  queste  sebbene  mal  potrebbero  resistere  ad 
una  critica  severa,  pure  tramandano  un  fuoco  d'ispirazione, 
e  tal  sentimento  d'indipendenza  da  ogni  scuola  esclusiva,  che 
non  ponno  a  meno  che  giunger  gradevoli  e  ricercate.  Merito 
singolare  in  un  tempo  in  cni  la  poesia  si  mostra  così  meretri- 
cia ,  così  servile  ,  cosi  guasta  da  pretensioni  ! 

Il  medio  evo ,  la  prosperità  eh'  esso  per  alcun  tempo  pro- 
cacciò colle  sue  savie  istituzioni  municipali  e  commerciali  ,  lo 


385 

splendore  principaluiente  eh'  esso  col  mezzo  delle  arti  diffase 
suir  Italia ,  formano  i  più  cari  oggetti  dell'  ammirazione  e  del 
pennello  del  sig.  Méry.  Ella  è  soprattutto  mirabile  una  pittura 
ch'ei  fa  della  maraviglìosa  attività  di  Michel  Àngiolo,  dì  questo 
genio  moltiforme,  che  maneggiando  ora  il  pennello,  orlo  scal- 
pello ,  ed  or  la  cazzuola  sapeva  ad  ogni  tratto  creare  nuovi 
capi-lavori ,  e  seminava  nel  suo  cammino  dijginti  divini ,  cat- 
tedrali gigantesche ,  palagi  magnifici  e  fortezze  terribili.  Resi 
questi  tributi  alla  potenza  del  genio  italiano  j  il  sig.  Méry  noa 
può  trattenersi  dal  ritornare  sovente  a  contemplare  la  gloria 
degli  antichi  romani ,  e  le  reminiscenze  di  quell'  Impero  si  ri- 
scontrano molto  e  forse  troppo  spesso  nel  suo  libro.  —  Ma 
queste  dipinture  dell'antica  Roma  divengono  però  più  interes- 
santi per  lo  bellissimo  contrasto  in  cui  le  son  poste  colle  de- 
scrizioni della  Roma  moderna  ^  che  il  sig.  Méry  [ci  rivela  in 
una  maniera  assai  arguta.  Egli  in  particolare  riferisce  alcuni  cu- 
riosi annedoti  sopra  certi  antiquarj  e  sopra  alcune  manufat- 
ture  che  in  Roma  si  sono  aperte  collo  scopo  di  soddisfare  le 
loro  innocenti  manie ,  speculando  sopra  una  credulità  omai 
divenuta  proverbiale  ,  ma  che  in  sostanza  a'  dì.  nostri  è  giunta 
per  buona  sorte  al  suo  tramonto. 

Il  fato  poi  di  Ercolano  ispirò  al  sig.  Méry  una  specie  di 
cantico ,  dove  si  trovano  di  molti  sublimi  concetti ,  sebbene 
però  gli  si  possa  rimproverare  una  soverchia  licenza  nella  de- 
scrizione di  un'  orgia ,  i  di  cui  attori  vengon  sorpresi  in  mezzo 
ai  fescennini  loro  trasporti  dalla  lava  ardente,  e  periscono  sof- 
.  focati  sotto  una  pioggia  di  cenere.  ■ —  Dante  istesso  non  avrebbe 
potuto  immaginare  un  castigo  ed  una  catastrofe  più  conve- 
niente a  quelle  turpitudini.  Ma  se  i  sani  intelletti  trovano  a 
ragione  riprovevole  l'intemperanza  di  sifatte  immagini;  egli  è 
però  dal  Iato  dell'  arte  non  men  vero  che  il  contrasto  di  si- 
mili delirj  voluttuosi,  di  cotesti  amori  sfrenati ,  accanto  a  tutti 
i  terrori  di  una  catastrofe  ,  che  viene  a  colpire  come  una  no- 
vella Pentapoli  un'  intiera  città  co'  suoi  abitatori,  e  a  cancel- 
larla dal  novero  delle  altre  città  e  a  seppellirla  per  dir  cosi 
qua^  vivente  ,•  è  tale  un  argomento  che  non  manca  sicuramente 
di  forti  colori  di  sublime  poesia. 


982 

Da  quéste  scene  orribili  suscitate  dalla  contemplazione  del 
Vulcano  e  dalle  rovine  di  Ercolano,  e  che  rappresentano  la 
natura  fisica  e  la  natura  morale  in  disordine ,  il  sig.  Méry  è 
chiamato  da  un  genio  più  mite  a  descrizioni  più  placide  e  ral- 
legratrici.  Arrivato  alla  bella  Firenze ,  egli  ci  narra  con  quale 
amabile  ospitalità  egli  vi  sia  stato  accolto  dalla  celebre  Cata- 
lani, che  non  sono  ancora  molti  anni  e  prima  della  Malìbrau 
teneva  il  seggio  tra  le  rinomanze  teatrali,  e  peregrinando  famo- 
samente da  una  capitale  all'altra,  recava  col  suo  canto  torrenti 
d'armonia  ai  più  squisiti  dilettanti  d' Europa.  Questa  donna 
vive  ora  ritirata  in  una  sua  magnifica  villa,  che  divenne  il  ri- 
trovo di  tutte  le  celebrità  di  Firenze,  e  prosegue  a  coltivare 
tuttavia  col  più  costante  amore  quell'  arte  ,  che  le  procacciò 
tanta  fama  e  ricchezza.  La  sua  casa  è  un  tempio  consacrato  alla 
musica ,  ed  il  poeta  francese  descrive  con  una  specie  di  estasi 
le  pure  e  soavi  armonie  di  cui  si  è  innebbriato  in  quell'  incan- 
tevole soggiorno. 

Ammiratore  fedele  poi  di  tutto  ciò  che  si  riferisce  alla  fa- 
miglia Bonaparte  ,  il  sig.  Méry  visita  nel  suo  viaggio  e  la  ve- 
dova di  Murat  ,  e  il  principe  di  Montfort ,  e  il  conte  di  San- 
Leu,  e  la  madre  dell'Imperatore;  e  mentre  suscita  in  questo 
modo  soprattutto  pe' suoi  concittadini  mille  memorie,  ricorda 
eziandio  alcuni  tratti  interessanti  sopra  questi  rottami  di  una 
dinastia  ,  il  cui  regno  fu  a  guisa  di  meteora ,  così  splendido 
e  cosi  fugace.  Ma  egli  è  a  questo  proposito  che  taluno  rim- 
proverò il  sig.  Méry  di  avere  in  tali  argomenti  fatto  uso  di 
frasi  contorte  e  snaturate  per  dare  un  colore  più  energico  ed 
una  gagllardia  più  concitata  alle  sue  espressioni.  —  Poteva 
forse  esser  lecito ,  chiesero  alcuni ,  di  tor  a  prestanza  dai  trivi! 
e  dalle  caserme  lo  sconcio  e  barbaro  loro  linguaggio  ,  unica- 
mente perchè  talvolta  esso  è  energico  ed  ardente  ? 

Da  ultimo  il  sig.  Méry  col  titolo  di  varietà  ci  dà  in  fine 
del  suo  secondo  volume  alcuni  piccioli  capitoli  assai  piacevoli , 
che  mostrano  qual  fino  conoscitore  egli  sia  degli  usi  e  delle 
caricature  della  società  presente.  In  uno  di  questi  capitoli  ap- 
punto si  contiene  un  dialogo  fra  due  commessi- viaggiatóri  , 
improntato  con    una  evidenza    prodigiosa    d'  insulsaggine  e  di 


387 

jattaiiza.  —  A  fare  una  pittura  cosi  naturale  e  fors'  anco  un 
po'  troppo  pungente  ,  convenne  che  il  sig.  Méry ,  come  Alfieri 
nella  sua  satira  sul  ceto  medio ,  avesse  in  questa  classe  di  per- 
sone trovato  il  terzo  stato  del  terzo  stato,  e  un  fondo  d'igno- 
ranza, di  saccenteria,  di  tornaconto,  di  simulazione  e  di  liber- 
tinaggio ,  sotto  il  colorito  di  una  disinvolta  gentilezza ,  dì  una 
elegante  ed  aggraziata  officiosità.  —  Se  si  possono  desiderare  a 
questa  porzione  di  gioventù,  che  potrebbe  essere  così  utile  non 
solamente  al  commercio ,  preso  nel  più  stretto  suo  significato , 
ma  eziandio  ad  una  maggior  diffusione  d'  ogni  più  colta  ma- 
niera di  umano  consorzio  ;  una  maggior  istruzione  e  più  buona 
fede  e  maggior  naturalezza,  non  si  deve  però  mai  tanto  di- 
scendere sino  a  rappresentarla  con  tinte  così  odiose.  Un  carat- 
tere tanto  affliggente,  una  natura,  bisogna  pur  confessarlo, 
cosi  stolida ,  come  quella  che  piacque  al  sig.  Méry  di  cogliere 
sul  fatto  guidandoci  a  sentire  un  dialogo  di  due  commis-voya- 
geurs  ;  è  un  quadro  troppo  caricato  per  essere  istruttivo. 

In  tutto  questo  libro  pertanto  ,  come  si  può  argomentare  da 
quanto  si  è  detto  fin  qui  ,  non  v'  ha  gran  cosa  che  giustifichi 
il  tìtolo  di  Scene  della  vita  italiana  che  gli  fu  dato.  Le  sue 
descrizioni  si  riferiscono  all'  antichità  piuttosto  che  alle  cose 
presenti,  vi  si  è  fatta  troppa  parte  all'immaginazione,  piutto- 
sto che  alla  ragione  ed  al  sentimento  ;  ed  insomma  quelle 
descrizioni  per  quanto  brillanti  possano  per  un  momento  ap- 
parire ,  sono  però  ben  lontane  dal  contentare  le  menti  dei  let- 
terati,  e  diciamolo  pur  anco  dei  poeti  stessi  della  nostra  etàj 
sono  poi  soprattutto  ben  lontane  dall'  interessare  le  simpatie 
e  le  tradizioni  degli  italiani. 

Severino  Battaglione. 


388 

COMMEDIE   DI   CABLO   NOTELLIS 

(Torino,  1837.  Tipogr.  Favate  ). 


Sì  è  osservato  con  piacere  che  in  queste  tre  nuove  comme- 
die il  sig.  Novellis  ha  migliorato  il  suo  stile.  Noi  vorremmo 
poter  anche  notare  un  somigliante  progresso  nell'intrinseca  loro 
composizione  j  ma  da  questo  lato  le  tre  prime  commedie  che 
mandò  alla  luce  ci  sembrano  ancor  superiori  a  queste  che  ora 
ha  pubblicate.  In  generale  però  la  composizione  è  ben  dispo- 
sta, ma  vi  si  sente  ancor  troppo  il  difetto  di  novità  e  d'inven- 
zione. Sempre,  ma  adesso  principalmente  perchè  una  comme- 
dia sia  buona,  bisogna  che  l'argomento,  l'intreccio,  gli  acci- 
denti ,  lo  scioglimento  ,  il  linguaggio  persino  siano  nuovi ,  e 
che  ogni  cosa  giunga  rapida  al  suo  scopo.  Se  non  vi  sono  con- 
trasti di  affetti  e  di  passioni,  se  da  questi  contrasti  non  sgor- 
gano spontanee  le  situazioni,  se  lo  sviluppo  è  presto  preve- 
duto o  giunge  troppo  strano  ed  inverosimile  ;  sarà  sempre  im- 
possibile che  una  commedia  piaccia ,  commova  od  istruisca. 
Gl'indugi  nell'azione,  le  lungaggini  nel  discorso,  la  trivialità 
o  la  trascuranza  della  frase  ,  bastano  per  renderla  fredda,  o 
farla  cadere.  Perocché  l'espressione  ed  i  pensieri  plateali  non 
piacciono  ora  nemmen  più  alla  platea.  La  platea  desidera  e  si 
aspetta  al  teatro  di  essere  inalzata  ad  una  sfera  che  sia  ancor 
naturale  sì  certo ,  ma  che  sia  più  colta  ,  più  eletta  dì  quella 
in  cui  vive  solitamente.  Altrimenti  il  povero  spettatore  benché 
al  teatro  si  crederà  dannato  tuttavia  a  voltolarsi  nelle  abbiet- 
tezze della  vita  comune. 

Chi  pertanto  si  toglie  in  oggi  il  difficile  incarico  di  dilettare 
altrui  scrivendo  commedie  ,  non  si  persuaderà  mai  abbastanza 
che  i  caratteri   da  lui  tratteggiati  deggiono  presentare  almeno 


389 

qualche  lato  che  sia  originale ,  che  deggiono  esserejntieri ,  non 
troppo  comuni  o  sbiadati  ;  che  questi  caratteri  e  gli  avveni- 
menti tutti  del  dramma  devono  riferirsi  ad  un'  epoca  speciale, 
a  questa  od  a  quell'  altra  condizione  di  esistenza  individuale , 
domestica  o  sociale  ;  che  in  somma  la  commedia  è  un  qua- 
dro che  per  far  effetto  bisogna  che  sia  dipinto  con  colori  vi- 
vaci, risentiti,  spontanei  e  locali.  Tutte  queste  condizioni  che 
non  sono  tanto  proprie  dell'  arte  come  della  natura  e'  bisogna 
che  si  trovino  in  chi  vuol  scrivere  oggidì  una  buona  commedia  , 
una  commedia  italiana  soprattutto.  Se  nel  sig.  Novellis  non 
possiamo  per  ora  ancor  veder  tutte  riunite  queste  condizioni  , 
alcune  però  ei  senza  dubbio  già  ne  possiede ,  e  quella  fra  le 
altre  di  saper  descrivere  i  costumi  di  una  data  circostanza ,  la 
fece  spiccare  nella  picciola  commedia  del  Cholera-Morbus.  De- 
sideriamo pertanto  che  come  il  sig.  Novellis  pensò  a  migliorare 
la  forma ,  così  dia  pur  anche  opera  a  rendere  la  sostanza  delle 
sue  commedie   più   vivace  e  più  interessante. 

Difficile ,  convien  pur  dirlo  ,  più  assai  di  quello  che  comu- 
nemente si  pensa ,  difficile ,  è  divenuta  oggidì  1'  arte  di  dilet- 
tare. Perciò  conviene  più  che  mai  che  i  concetti  dello  scrittore 
comico  siano  schietti ,  intimi ,  psicologici ,  se  parlando  di  com- 
medie si  può  usar  questa  espressione.  In  generale  ,  torniamo 
a  dirlo,  l'orditura  delle  commedie  del  Novellis  era  buona,  il 
disegno  anche  per  lo  più  ben  ideato,  certa  ricchezza  d' intrec- 
cio si  scorgeva  pur  anco  principalmente  nelle  prime  e  nel  Pal- 
mer'^ il  materiale  insomma  di  una  commedia  c'era  ed  era  an- 
che buono,  ma  dove  si  trovava  poi  l'anima,  il  brio,  il  colorito 
che  le  desse  vita  ,  movimento  e  calore  ?  Perchè  soprattutto  i 
concetti  non  sono  maggiormente  cospersi  di  quel  vero  sale  co- 
mico ,  che  è  pur  tanto  necessario  per  poter  ancor  pizzicare  le 
nauseate  abitudini  dell'  età    nostra  ? 

Oltrediciò  lo  scrittor  di  commedie  deve  di  già  aver  avver- 
tito ,  che  il  sommo  dell'  arte  pare  oggidì  che  consista  nel  (co- 
gliere sul  fatto  ,  od  anche  nel  far  sorgere  per  mezzo  di  con- 
trasti impreveduti  e  ben  maneggiati  le  ridicolaggini  del  secolo  ; 
e  ciò  appunto  perchè  non  v'  è  forse  mai  stata  un'  epoca  come 
questa  ,  nella  quale  gli  uomini  sì  studino  e  si  sforzino  tanto  a 


590 

coprire  e  ad  evitare  il  ridicolo.  Altrimenti  leggendo  od  ascol- 
tando la  lunga  sequenza  de'  dialoghi  di  una  commedia  ,  e'  ci 
parrà  sempre  di  assistere  ad  una  dì  quelle  tante  conversazioni , 
a  cui  sappiamo  bensì  di  essere  presenti ,  ma  che  non  c'inte- 
ressano poi  mai  tanto  da  non  lasciarci  a  più  riprese  pensare 
a  tutt' altro. 

Vogliam  credere  che  l' ingegno  del  sig.  Medico  Novellis  sa- 
prà preservarci  da  queste  distrazioni  troppo  certamente  inur- 
bane per  un  autore,  e  massime  per  un  autor  comico;  e  gli 
saremo  quindi  grati  se  continuerà  ad  impiegare  i  suoi  ozj  me- 
dici nel  porgerci  colle  sue  commedie  una  medicina  salutare  e 
piacevole  contro  le  noje  ed  i  difet|,i  della  società  che  viviamo. 
Così  il  Novellis  verrà  contribuendo  con  Nota,  con  Brofferio  , 
e  con  Gindri  a  sicurare  al  Piemonte  la  gloria  di  essere  nel 
produrre  delle  commedie  la  più  feconda  tra  le  nazioni  italiane. 

—  Per  noi  che  ravvisiamo  nelle  produzioni  drammatiche  di 
ogni  sorta  un  ufficio  più  alto  che  quello  del  semplice  passa- 
tempo ,  bastano  questi  pochi  tratti  e  generali  ;  e  lasciamo  a  chi. 
si  appaga  dei  loro  minori  ufficj  di  fare  di  queste  commedie  del 
Novellis  una  più  minuta  analisi  ;  dalla  quale  potranno  forse 
emergere  pregj  o  difetti  che  a  noi  sono  sfuggiti.  Però  noi  di 
esse  e  dei  loro  particolari  non  diremo  più  altro  che  il  titolo, 
onde  quando  avvenga  che  siano  nominate  o  rappresentate  il 
nome  del  loro  autore  anche  fuori  del  Piemonte  sia  subito  co- 
nosciuto. —  Il  titolo  dunque  delle  commedie  precedentemente 
pubblicate  si  è  :  Mio  marito  e  mia  moglie.  —  /  due  viaggiatori 
al  Pompejano.  —  Un  giorno  prima.  Quello  delle  recenti:  — 
Palmer  ossia  L'uomo  del  mistero.  —  Giungere  in  buon  punto 
ossia  //  padre  e  l' amante.  —  Un  caso  strano  ossia  II  Cholei'a 
morbus. 


391 

Mk  Slrti 


Lettera  X. 

MUSICA    VECCHIA    E    MUSICA    NUOVA 

.^-iaKriSr» 

Carissimo  Amico, 


Un  autor  che  cent'  anni  ha  che  morio 
Ripor  dovrollo  fra  gli  antichi  e  rari , 
O  fra  i  moderni  e  vii  degni  d'  obblio  ? 
Quest'  articolo  prima  si  dichiari. 

OnAZio.  Trad.  del  Pallavicini. 

Il  vecchio  ed  il  nuovo ,  l' antico  ed  il  moderno  talora  si  fan 
guerra  accanita,  talora  gareggiano  onestamente  per  le  preten- 
sioni che  hanno  all'  ammirazione  e  riconoscenza  degli  uomini. 
Talvolta  soverchiansi  e  calpestansi ,  talvolta  sembrano  accordarsi 
e  far  pace  forse  per  meditar  nuove  guerre ,  onde  con  queste 
alternative  e  riempiere  que'  vuoti  che  formansi  nell'  ozio  o  di- 
fetto de'  grandi  e  potenti  ingegni ,  e  dar  da  dire  e  da  fare  ai 
mediocri.  Ed  in  questi  frattempi  infecondi  voi  udite  a  dire  :  gli 
antichi  poco  seppero ,  poco  inventarono ,  retrocessero  anzi  che 
avanzare  ;  giganti  sì  nelle  arti  e  nelle  lettere ,  ma  pigmei  nella 
scienza  e  nella  civiltà.  I  moderni  all'  opposto  sempre  avanti  ; 
ogni  secolo,  ogni  età ,  ogni  anno  una  scoperta,  un'istituzione, 
una  nuova  luce  ;  progresso  contìnuo  —  Così  si  dice  ed  anche 
viceversa.  Poi  si  viene  ai  paralelli ,  i  quali ,  senza  contare  che 
sovente  peccano  d' ingiustìzia  e  parzialità ,  sono  sempre  difficili 
a  farsi.  E  per  fargli  bene  bisognerebbe  conoscere  a  fondo  tutta 


392 

Tanticliità  e  tutta  la  modernità,  (mille  perdoni),  e  pesarle  in- 
sieme con  equa  bilancia.  Ma  come  peseremo  tutto  l'antico  se 
non  1'  abbiamo  cbe  mezzo  ?  Quanti  volumi ,  quante  cognizioni 
degli  antichi  perdute  attraverso  de'  tempi  !  Sarebbe  lo  stesso 
cbe  bilanciare  il  patrimonio  d' un  infelice  o  spensierato  pa- 
drone con  quello  d' un  fortunato  e  provvido  fattore.  Voglio  dire 
che  bisognerebbe  rendere  agli  antichi  tutto  il  perduto  del  tempo 
passato ,  e  tutto  il  rubato  nel  tempo  presente ,  ed  allora  arri- 
schiarsi a  questo  bilanciamento. 

D'  altra  parte  (  lo  dirò  a  gloria  nostra  )  non  corrono  ne  an- 
che più  que'  tempi  semibarbari  in  cui  il  merito  della  novità 
sostenevasi  sul  dispregio  dell'  antico ,  in  cui  ogni  innovazione 
o  scoperta  era  una  scena  di  scherno  per  le  cose  vecchie  ,  in 
cui  gli  spiriti  frivoli  e  deboli  sotto  il  modesto  titolo  di  forti 
con  tirannia  neroniana  o  tiberiana  che  fosse,  ci  volevano  dell' 
antichità  per  fino  cavar  di  capo  la  memoria.  Questi  tenebrosi 
intervalli  passarono ,  e  con  nostro  conforto  vedemmo  invecchiar 
bambine  le  sciocche  novità,  e  ringiovanire  molte  delle  vecchie 
e  dispregiate  cose.  E  ciò  in  generale.  In  quanto  alla  musica  poi 
bisogna  confessare  che  i  suoi  tempi  grossi  od  intervalli  batta- 
glieri corrono  proprio  adesso.  Ella  di  tutte  le  arti  forse  la  più 
giovane  entrata  è  pur  dianzi  nell'agone  de'  cimenti  e  delle  prove, 
mentre  le  altre  sorelle  già  ne  uscirono  vincitrici.  Abbandonata 
da'  suoi  a  tutto  il  rigore  della  sua  sorte ,  gettata  nella  funesta 
arena  tra'  concordi  ruggiti  e  le  affamate  zanne  di  mille  belve 
mostruose  e  crudeli ,  nella  prima  lotta  che  sostiene  ,  nella 
tenerezza  della  sua  età  mi  fa  compassione  e  m' invita  a  pre- 
starle soccorso.  Ond'  io  mosso  a  sì  umana  opera  mi  rivolgo  oggi 
a  coloro  che  la  spregiano  sotto  titolo  dì  vecchia ,  o  per  dir 
meglio  la  straziano  in  antica  e  moderna  ,  per  sapere  da  loro 
medesimi  quale  e  dove  sia  il  confine  che  l' una  dall'altra  di- 
vida. Siccome  la  musica  non  ebbe  ancora  il  suo  medio  evo  dòpo 
che  gli  italiani  la  rigenerarono ,  né  epoca  di  morte  o  risorgi- 
mento (  eccettochè  non  sia  adesso  )  finora  non  si  è  notata  nella 
sua  storia  5  così  sarebbe  da  vedere  dove  colesti  limiti  s'  abbiano 
a  porre.  Da  Pergolesi  o  da  Metastasio  sino  a  noi ,  due  estremi 
del  nostro  periodo  musicale,  a  qual  anno,  a  qual  giorno  diremo  : 


595 

i^ìiì  finisce  la  vecchia  a  eoraiiicia  la  uuova  musica?....  Senio 
fischiarmi  nell'  orecchio  Rossini ,  riguardato  da  inoderni  come 
autore  o  capo  d'  una  nuova  musica.  Sia  dunque  l' eccellente 
nostro  Pesarese  fine  e  principio  delle  due  musiche ,  sìa  egli  il 
padre  canentium  cythara  alla  moderna.  Certo  io,  che  si  gran 
maestro  non  ha  coteste  pretensioni  ,  mi  fo  lecito  di  chiedere 
ancora  una  volta  ai  nemici  della  musica  detta  vecchia  se  a  sif- 
fatta epoca  sia  accaduta  rivoluzione  o  ristorazione  nel  regno 
musicale  ?  Rivoluzione  a  mio  parer  non  si  è  fatta  ;  poiché  la 
teorica  è  pur  quella  d'  una  volta  ,  i  principi  son  sempre  i  me- 
desimi j  nessun  genere,  nessun  tuono,  nuove  modulazioni  « 
passaggi  non  si  sono  aggiunti.  Che  se  nella  pratica  si  volessero 
vedere  grandi  mutazioni  e  gran  divario  tra  il  vecchio  ed  il 
nuovo  ,  vi  sarebbe  rischio  di  veder  lucciole  per  lanterne.  Lo 
stile ,  la  maniera  ,  il  metodo  che  un  maestro  sceglie ,  per  di- 
versi che  sieno  dagli  antecedenti  ,  fossero  anche  gli  ottimi  , 
non  possono  immutare  i  principi  dell'  arte ,  altrimenti  tante 
rivoluzioni  dovrebbersi  contare  ,  quanti  sono  i  grandi  compo- 
sitori italiani  e  stranieri.  Perciò  se  niun  de'  moderni  trova  ri- 
voluzioni musicali ,  né  in  Pergolesi  ,  né  in  Sacchini  ,  né  in 
Paesiello  ,  né  in  Mozart ,  né  in  altri  nel  loro  genere  e  stile 
eccellenti  ,  nemmen  .può  trovarne  una  in  Rossini,  O  molte  bi- 
sognerà ammetterne  o  nessuna.  Tanto  meno  i  moderni  vor- 
ranno vedere  nella  mentovata  epoca  una  ristorazione ,  siccome 
Quella  che  nota  un  ritorno  alle  cose  antiche  ,  un  rinnovamento 
di  quanto  era  disusato  od  invecchiato.  Niun  di  loro  crederà 
avere  Rossini  ristabilito  la  vecchia  musica  ,  richiamati  i  sem- 
plici e  sicuri  metodi  de'  prischi  maestri ,  ridonateci  le  opere 
veramente  serie  e  veramente  buffe  ;  quantunque  a  dir  vero  ab- 
bia egli  in  alcune  delle  sue  prime  e  comiche  composizioni 
molto  dell'  antico  ritenuto  o  rinnovato.  Ma  se  rivoluzione  non 
«i  è  fatta  ,  e  la  ristorazione  è  ancora  da  farsi  ("  e  si  faccia,  pur 
presto  ) ,  dunque  questa  linea  divisoria  non  esìste  ,  dunque  è 
sciocchezza  chiamar  musica  vecchia  quella  che  precede  Ros- 
sini ,  e  torcerle  il  muso  come  a  cosa  rancida  e  fetente.  Se  vo- 
glionsi  segnar  confini  in  musica  ,  si  segnino  tra  la  buona  e  la 
eattiva,  tra  l'espressiva  e  l' insiguificanle,   tra  1' armonia  ed  il 


394 

fracasso,  e  poi  si  tiri  avanti  a  chiusi  occbl.  Sia  scritta  jeri  o<l 
oggi,  l'anno  scorso  o  dieci  anni  fa,  purché  sia  buona  si  ascolti 
e  si  rispetti. 

Che  ve  ne  pare,  amico  dolcissimo,  o  dulcissime  rerum,,  che 
fiate,  che  ve  ne  pare?  Ora  dite  voi,  che  io  starò  zitto.  — 
Poesia  vecchia  e  nuova  ,  letteratura  vecchia  e  nuova  ,  tragedia 
vecchia  e  nuova.  —  Anch'  io  posso  rispondere  sullo  stesso 
tuono  :  scarpe  vecchie  e  nuove  ,    abiti   vecchi    e  nuovi  ,    mode 

vecchie  e  nuove colla  differenza   che   il  mio  vecchiume 

cede  sempre  alla  novità  ,  ed  il  vostro  tien  sempre  il  campo  ; 
perciò  se  la  musica  non  già  colle  scarpe  e  cogli  abiti  logori , 
ma  colla  poesia  e  letteratura  vecchia  debbo  stare,  siccome  non 

negherete,    io  sono  con    voi Eppure    no,    perchè    voi    siete 

persuaso  che  la  musica  nuova  è  migliore  della  vecchia  ,  e  che 
mentre  la  vecchia  poesia  e  letteratura  e  pittura  tiene  il  campo , 
la  vecchia  musica  noi  può  a  petto  della  recente.  Hic  fossa  est 
ingens!  Molti  ho  io  uditi  a  parlar  come  voi,  cioè  ad  asserire 
che  la  musica  de'  tempi  nostri  è  migliore  di  quella  de'  tempi 
andati,-  ma  ragioni  di  tale  asserzione  né  buone,  né  cattive  noa 
ho  mai  udite,  se  non  vogliam  però  tener  conto  di  quella  che 
dice,  la  musica  vecchia  non  piace  più.  Ultima  rado.  A  colora 
che  a  siffatta  ragione  s'  appoggiano ,  potrebbesi  rispondere  che 
quando  essi  e  i  tempi  risaneranno,  tornerà  a  piacere;  poiché 
se  Dante  e  Petrarca  e  tutti  i  classici  nostri ,  cessato  il  falso 
gusto,  furono  di  nuovo  gustati,  anche  Pergolesi  e  Cimarosa 
coi  loro  colleghi ,  cessato  il  fracasso  odierno,  sarau  nuovamente 
ricercati. 

Ma  a  que'  pochissimi  poi  che  credono  la  vecchia  musica  in-^ 
feriore  alla  nuova  non  per  il  vago  effetto  del  piacere  ,  ma  per 
merito  intrinseco  io  dirò  :  confrontiamo  lo  scorso  secolo  col 
nostro  per  vedere  se  la  cosa  è  così  e  poi  sentenziamo.  Parago- 
niamo p,  e.  i  maestri ,  le  opere  e  gli  uditori  ,  e  vediamo  se 
mai  siavi  differenza  tale  da  conchiudere  che  questa  o  quella 
musica  è  migliore.  Ciò  (drò  io  più  brevemente  che  potrò.  Ed 
in  quanto  ai  compositori  del  secolo  andato  furono  essi  uomini 
d'  ingegno  o  no  ?  voglio  dire  uomini  nati  e  fatti  dalla  natura 
per  la  musica  .  siccome  sono  i  moderai  ?  Che  la  maggior  parte 


395 

di  es8Ì  dati  siensì  a  questa  professioue  invita  Minava  ,  ed  ìr 
vece  di  promuovere  ed  illustrar  1'  arte  ,  1'  abbiano  inceppata  o 
profanata  come  oggi  si  fa  ,  chi  ha  letto  la  storia  noi  crede.  Auzi 
egli  è  bello  1'  osservare  come  da  un  po'  prima  dei  tempi  me- 
tastasiani sino  al  cominciar  del  corrente  secolo  tutta  la  vec- 
chia scuola  italiana  colla  tedesca  siasi  affaticata  a  tener  accesa 
quella  face  musicale  che  ad  ognuno  rischiarasse  la  via  del  bello 
e  del  vero.  Oscuro  intervallo  ,  o  vuoto  mai  non  fu  j  anzi  nei 
tempi  a  noi  più  vicini  crescere  sì  vide  la  luce  per  opera  di 
Paesiello  e  Gimarosa  ,  che  gli  ultimi  stati  sarebbono  della  bella 
schiera  ove  Majer  e  Paer  e  Cherubini  non  l'avessero  conti- 
nuata. Tutti  quanti  grande  ingegno  e  fantasia  ed  invenzione  o 
(quel  che  più  monta)  filosofia  nel  comporre  mostrarono,  tutti 
dissimili  tra  sé  ,  ma  tutti  nel  genere  loro  e  stile  e  maniera  più 
o  meno  perfetti.  Che  se  alcuno  è  maravigliato  dal  grido  che 
levarono  i  nostri  finora  pochi  moderni  ,  drizzi  per  un  poco  gli 
orecchi  per  udire  l'eco  dell'universale  fama  che  Gluck  e  Hasse 
e  Piccini  e  Marcello  e  Porpora  e  Sacchini  e  Haendel  e  Pae- 
siello ,  e  Paer  con  molti  altri  godettero  per  tutta  Europa , 
ascolti  le  italiane  melodie  in  Londra,  in  Parigi,  in  Vienna,  in 
molte  parti  di  Germania  e  nella  Russia  pur  anche  ,  e  le  tede- 
sche armonie  che  con  italiane  parole  con  quelle  gareggiano  per 
tutti  i  teatri  e  le  corti  e  le  cappelle  europee.  Tutti  i  vecchi 
maestri  furono  per  grido  i  Rossini  de'  tempi  loro  ,  tutti  usci- 
rono dalla  patria  ricercati  ,  pregati  ,  premiati  ,  trattenuti  con 
grossi  stipendi  5  così  che  in  questa  parte  per  nulla  debbono 
credersi  inferiori  a'  moderni. 

Ma  il  merito  de'  compositori  meglio  si  conosce  dalle  opere 
loro  ,  e  le  opere  della  vecchia  scuola  sono  tali  e  tante  che  non 
temono  il  confronto  delle  moderne.  Non  fa  bisogno  che  io  qui 
vi  nomini  i  migliori  spartiti  del  secol  nostro,  il  Barbiere,  il 
Mosè,  la  Norma  ecc.  11  periodo  presente  è  ancora  troppo  breve 
per  paragonarlo  con  tutto  il  secolo  passato  ;  solo  i  nipoti  no- 
stri potranno  confrontare  i  due  secoli  musicali  ,  supposto  che 
la  presente  scuola  possa  come  1'  antica  toccare  felicemente  il 
fine  del  nostro  ottocento.  Allora  i  giudiziosi  ed  imparziali  po- 
steri messi  sul  leggio  la  Serva  padrona,  V  Oilmpiarie  ^  1' ^^*~ 


396 

ma  ,  la  Nina  Pazza  ecc.  ecc.  dcciderauno  quale  de'  due  secoli 
avrà  prodotti  più  capì  d'opera.  Ciò  riguardo  alla  quantità;  ma 
x-ispetto  alla  qualità  delle  due  musiche  potremmo  decidere  qual- 
che cosa  anche  noi  ,  pensando  che  forse  forse  non  saremo  pre- 
senti al  giudizio  della  posterità  in  questa  parte.  E  precedano 
i  giudizi  nostri  le  autorità  altrui.  La  prima  è  di  uno  di  que' 
cotali  che  nella  varietà  de'  tempi  mostrano  poca  fermezza  ne' 
principi  loro,  e  lasciandosi  aggirare  dalle  novità  sono  costretti 
a  darsi  iper  inconseguenti  (scusate  il  termine  )  ,•  l'altra  è  d'uno 
molto  più  fermo  in  musica.  Il  sig.  Garpani  già  da  me  lodato  , 
pieno  come  era  della  vecchia  scuola  ,  sul  cominciar  dell'  età 
presente  ,  mentre  il  nuovo  Ercole  della  moderna  musica  era 
ancor  in  fasce  ,  davaci  una  galleria  de'  vecchi  compositori ,  la- 
voro che  provaci  il  suo  musicale  e  pittorico  sapere.  In  questa 
galleria  (  ved.  le  Hajdine  )  trentadue  maestri  disposti  in  or- 
dine di  merito  vengono  assomigliati  e  sopranomati  dai  più  so- 
lenni Pittori;  Pergolesi  è  Raffaello,  Gluck  il  Caravaggio,  Pi- 
cini  il  Tiziano,  Sacchini  lil  Coreggio,  Haendel  il  Michelan- 
giolo  ,  Cimarosa  è  il  Veronese  ecc.  Ciò  a  suo  parere  e  gusto 
significava  che  i  posti  d'onore  eran  presi,  e  che  i  futuri  e  na- 
scenti maestri  dovevano  contentarsi  dei  secondi  e  dei  terzi. 
Onore  grandissimo  in  verità  alla  vecchia  scuola  !  Ma  troppo 
presto  ei  giudicò.  Sorse  Rossini  e  dietro  lui  il  bravo  Merca- 
dante,  i  quali  dovevano  essere  in  luoghi  distinti  collocati.  Come 
fare?  .  .  .  Snicchiare  i  vecchi?  Collocare  i  manieristi  (  così  chia- 
mava egli  i  contemporanei  )  accanto  ai  Raffaelli  ed  ai  Tiziani  ? 
No  certo.  Si  chiude  la  vecchia  pinacoteca,  e  se  ne  apre  un'altra 
di  nuovo  gusto ,  la  quale  molto  diversa  nel  disegno  e  colorito 
dalla  prima  ,  lascio  a  considerare  a  voi  di  quali  nomi  pittorici 
8Ì  vorrà  fregiare.  Io  per  me  entrato  per  un  buco  nella  galleria 
vecchia  non  invidio  la  nuova  ^  e  prendendomene  delle  grandi 
satolle  ,  mi  provo  anche  a  rompere  i  chiavistelli  ed  a  sganghe- 
rare le  porte  per  aprirne  1'  adito  agli   amatori. 

L'  altra  autorità  è  quella  che  Carlo  Botta  ci  somministra  sul 
finire  della  sua  storia  d'  Italia  (lib.  3o  ).  L'illustre  Storico  dopo 
d'  averci  detto  a  proposito  di  Metaslasio  ,  che  la  vecchia  mu- 
sica   aveva  toccata    la    perfezione    per    i'  unità    e  la  semplicità 


397 

•ad'  era  condotta  «  quella  ,  soggiunge  ,  era  veramente  musica 
«  italiana,  possente  per  semplicità ,  per  grazia  ,  per  verità;  la 
)•  melodia  padrona  ,  1'  armonia  serva  ,  1'  armonia  che  non  fa 
»  effetto  se  non  quando  imita  la  melodia  ,  i  mezzi  meccanici 
»  lasciati  a  chi  callose  orecchie  ed  insensibile  cuore  ha  .  .  '.  ; 
»  Omero  e  Virgilio  e  Raffaello  si  erano  trasfusi  in  Paesiello 
»  ed  in  Cimarosa,  ed  in  tanti  altri  compositori  di  quel  tempo, 
»  che  veramente  si  può  e  dee  chiamare  V  età  dell'  oro  per 
n   la  musica  ....    La   maestria    e  la  vera  arte    non    consistono 

»    nel  far  monti  di  note »    Queste  ultime  parole  mirano 

la  musica  moderna  intorno  alla  quale  giova  leggere  il  seguito 
del  citato  frammento,  e  fermarsi  un  poco  su  quel  pesce  pa- 
stinaca senza  capo  e  coda ,  o  sul  mostro  d'  Orazio  con  testa 
d'  uomo  e  collo  di  cavallo.  Giudizio  alquanto  rigoroso  ma  vero. 
Ma  Itisela ndo  altri  pareri  e  giudizj  usciti  da  pochi  anni  in  qua 
intorno  alla  musica  presente  ,  io  contento  solo  di  non  trovar 
la  vecchia  inferiore  alla  nuova,  direi,  per  ridur  tutti  i  pregi 
comparativi  ad  una  formola ,  che  l' antica  è  molto  espressiva  e 
significante  ,  e  perciò  molto  commovente  ed  efficace.  Poiché 
tolta  r  espressione  ,  che  vale  paragonar  la  semplicità  di  quelli 
colla  copia  di  questi  ,  lo  stile  de'  vecchi  con  quello  de'  giovani, 
il  parco  uso  degli  stromenti  d'  una  volta  col  lusso  della  mo- 
derna orchestra  ?  Bisogna  guardare  se  lo  spartito  ha  detto  ciò 
che  doveva  dire  in  qualunque  modo  1'  abbia  detto.  Ora  egli  è 
certo  per  chi  1'  antiquata  musica  conosce  ,  che  i  compositori 
del  settecento  molto  studiavano  e  badavano  a  cotesta  espressione, 
a  cotesto  efficace  linguaggio  che  va  dritto  a  ferire  nel  suo  scopo. 
E  chi  non  udì  a  parlare  del  Misero  pargoletto  ,  del  6'e  cerca 
se  dice,  o  di  quell'  altro  che  spesse  e  molte  lagrime  espresse: 
Quando  senti  spirarti  sul  volto  ?  Io  noi  so  ,  ma  bisogna  bea 
che  piangessero  i  Parigini  all'  Edipo  di  Sacchiui  ,  di  cui  non 
conosco  più  tragico  compositore ,  od  alle  commoventi  IJigenie 
di  Gluck  ,  di  cui  fu  detto  che  avesse  rinnovato  il  dolore  an- 
tico!. Questo  buon  Tedesco  aveva  due  massime  nel  comporre: 
la  prima  era  quella  di  spendere  anche  un  anno  intorno  ad  un' 
opera  ;  la  seconda  era  di  dimenticarsi  nello  scrivere  d'  avere 
studiata  la  musica.  E  veramente  quest'  arte  pare  che    sia  fatta 


598 

più  pei  cuore  che  per  gli  orecchi ,  più  per  scuotere  e  dilettare 
l'anima  che  per  lacerare  od  intronare  i  timpani  e  i  nervi  acustici. 
La  musica  fragorosa  ai  soldati .  e  1'  insignificante  ai  baccani 
Campestri  lasciavano  i  nostri  sensibilissimi  antenati.  Ciò  tanto 
-è  vero  che  Bellini  quantunque  acceso  di  tutto  il  sicilian  fuoco 
volle  la  nuova  armonia  dal  fracasso  ricondurre  all'antica  espres- 
sione. Più  felice  se  il  secolo  non  l'avesse  guasto  ,  o  se  più  lunga 
«;tà  campo  gli  avesse  dato  ad  emendarsi  !  11  poco  bene  che 
fece  fruttò  per  altro  gran  male,  voglio  dire  una  male  intesa 
imitazione.  La  mancanza  poi  o  decadenza  di  questa  musicale 
espressione  credo  essere  venuta  principalmente  da  non  so  quale 
convenzione  lentamente  intrusasi  tra  musici  e  poeti ,  o  tra  que- 
sti e  gli  uditori.  Se  Demostene  e  Tullio  avessero  voluto  prima 
di  recitare  que'  solenni  discorsi  intendersi  col  popolo  o  coi 
giudici  o  coi  magistrati  su  quanto  potevano  o  dovevano  dire  , 
io  credo  che  invece  di  capi-lavori  avremmo  oi'a  mostri  d'  elo- 
quenza. Nelle  moderne  opere  bisogna  che  siavi  a  quel  tale 
luogo  quel  tale  pezzo  o  a  due  o  a  tre  o  a  tutti  ,  quella  ca- 
vatina  j,  quella  cabaletta  e  che  so  io,  altrimenti  si  arrischia 
una  carta.  Insomma  una  convenzione  in  luogo  dell'una  e  sem- 
plice espressione  vi  è  5  tra  chi  siasi  fatta  non  so.  La  vecchia 
musica  che  non  aveva  convenzioni  che  col  buon  gusto  e  col 
buon  senso  ,  era  perciò  più  libera  e  disinvolta. 

Ma  egli  può  ancora  avvenire  che  la  nuova  sia  migliore  della 
vecchia  ,  fatta  ragione  degli  uditori  de'  due  secoli.  Può  darsi 
che  perfino  1'  acustica  abbia  fatti  progressi  tali  da  pochi  anni 
in  qua  che  quanto  pareva  aggradevole  agli  avi  nostri ,  ora  a 
noi  non  debba  riuscire  che  ingrato  e  disarmonioso.  Può  anche 
darsi  che  gli  uditori  de'  tempi  andati  bevessero  grosso,  e  se 
ne  lasciassero  imporre  dai  maestri  5  altrimenti  come  potrebbe 
essere  che  la  musica  da  loro  gustata  e  giudicata  buona  ,  anzi 
ottima  a  noi  non  debba  più  piacere  ?  In  verità  che  questo  so- 
spetto mi  mette  paura  !  Per  levarmela  voglio  un  po'  conside- 
rare le  acustiche  disposizioni  de'  nostri  buoni  maggiori.  Io  non 
chiamerò  in  sussidio  di  quest'analisi  né  le  arti,  né  la  filoso- 
fia ,  né  le  lettere  del  secolo  andato ,  siccome  un  po'  lontane 
dagli  organi  udi torli.  Venga  solo  la   poesia  siccome   sorella  ed 


399 

ausiliare  della  musica  ,  quella  poesia  che  Metastasio  e  Zeno  e 
Patini  e  MalFei  e  Alfieri  e  Manfredi  e  Pindemonti  collo  sta* 
dio  ■de'  classici  ristorarono  in  Italia ,  e  la  poesia  lirica  e  dram- 
matica principalmente,  e  con  essa  la  goldoniana  commedia.  E 
venga  pure  senza  timore  alcuno  perchè  debbe  sapere  che  è  la  bea 
venuta  anche  nell'età  nostra ,  quantunque  stordita  da  un  verseg- 
giar boreale.  Ora ,  dico  io ,  questa  poesia  che  noi  teniamo 
ancor  buona  ,  fu  ella  gustata  e  sentita  da'  nostri  vecchi  o  no? 
Ebbero  essi  buon  gusto  e  senno  nel  dilettarsene  e  nell' ammi- 
rarla o  no?  E  quel  che  più  monta  udirono  essi  con  intelli- 
genza e  discrezione  le  delicate  armonie  di  Metastasio  ,  e  le  più 
robuste  di  Alfieri  ?  Sicuramente.  Dunque  avevano  buon  orec- 
chio e  buon  gusto.  Ma  se  eran  ben  disposti  per  la  poesia,  per- 
chè noi  dovevano  essere  per  la  musica  ?  Se  mostravano  tanta 
intelligenza  per  Parini  ed  Alfieri  e  Goldoni ,  come  mai  al  me- 
lodramma potevano  diventar  ostrogoti  ?  Chi  è  barbaro  per  la 
musica  ,  forza  è  che  sialo  pure  per  la  poesia  e  1'  eloquenza  ; 
un  orecchio  imperfetto  o  mal  disposto  alle  armonie  poetiche, 
lo  è  pure  alle  musicali.  D'  altra  parte  se  noi  non  abbiamo  an- 
cora riprovata  la  poesia  del  settecento  perchè  ne  riproveremo 
la  musica  ?  Perchè  chiuderemo  1'  udito  a  tante  opere  che  nell' 
arringo  della  civiltà  gareggiarono  con  tutte  le  buone  produzioni 
del  secolo  passato  ? 

Ora  che  mi  son  tolta  questa  paura  me  ne  viene  uu'  altra. 
E  quale  mai?  Amico  mio  ,  domando  segretezza  ;  ciò  stia  tra  noi. 
Ho  paura  che  non  gli  avi ,  ma  i  nipoti  sieno  gli  ostrogoti.  Oh 
m'  intendo  in  musica ,  sempre  in  musica  ,  perchè  nelle  altre 
cose  non  potrei  asserirlo  sì  presto.  E  non  vi  pare  che  le  fa- 
coltà acustiche  de'  moderni  invece  di  progredire  sieno  retroce- 
dute? Non  vi  sembra  ritornata  quella  certa  musica  fiamminga 
fondata  sui  ghiribizzi  ,  e  sulle  cabale  o  cabalette  che  sieno  del 
contrappunto  ?  Anche  quella  era  una  musica    di    convenzione , 

anche  quella  vestivasi    di    melodie    plateali Del    resto    la 

colpa  non  sarebbe  poi  tutta  nostra.  Neil'  intervallo  che  credesi 
essere  passato  tra  il  vecchio  ed  il  nuovo  ,  i  nostri  tìmpani  fu- 
rono talmente  storditi  dal  fracasso  di  tante  artiglierie  che  po- 
sero sossopra   tutta  Europa  ,  che  è  miracolo  grande  il  non  es- 


40^ 

•«ve  diventati  affatto  sordi.  Quali  strepiti ,  quai  frastuoni  noa 
ferirono  il  nostro  tenero  orecchio  educalo  nella  musica  mar- 
ziale !  Di  qui  è  che  la  musica  preso  quel  non  so  che  di  ail4- 
glieresco  che  ancora  conserva  a  spavento  de'  timpani ,  me&tre 
gli  altri  organi  troyansi  già  in  profonda  pace.  E  questa  se  non 
erro  ,  potrebbe  contarsi  come  1'  epoca   della  musica  moderna. 

Ma  egli  sarebbe  ormai  tempo  di  far  pace  anche  in  music». 
Gessi  il  rumor  della  guerra  musicale ,  cessi  il  fragore  degli 
stroraenti  micidiali  dell'  orecchio  ,  e  torni  la  musica  pacata  , 
soave,  affettuosa,  lo  preparerò  i  protocolli  per  la  pace'  musi-» 
cale  d'  Kuropa.  Poiché  considerando  che  musica  buona ,  origi- 
nale e  nuova  più  non  si  sente  ,  e  che  la  carestia  de'  composi- 
tori è  grande,  e  grande  pure  il  pericolo  di  dover  chiudere  t 
teatri  melodrammatici ,  o  di  nausearli  sempre  colle  medesime 
opere  ;  considerando  pure  che  inventare  o  sognare  un'  altra  mu- 
sica novissima  è  diffìcile  ,  che  adottarne  una  straniera  all'  Eu- 
ropa ,  fosse  anche  la  Cinese  o  quella  degli  Ottentoti,  non  con- 
viene ,  che  ripudiare  o  guastare  quella  che  abbiamo  è  barba- 
rie ,  e  che  rinunciarvi  affatto  non  si  può  ,  si  propone  tìhe  sia 
permesso  alla  musica  di  ricominciare  il  suo  periodo.  Da  capo, 
e  in  due  modi  :  uno  col  riprodurre  le  migliori  opere  del  set- 
tecento ,  l'altro  coir  imitarne  i  capi-lavori.  Mentre  i  nuovi  mae- 
stri si  addestrano  a  questa  imitazione,  e  si  preparano  cogli 
studi  necessari,  vengano  sulle  scene  gli  spartiti  già  belli  e  fatti, 
che  la  generazione  presente  avida  di  novità  troverà  tutti  novis- 
simi e  mai  più  uditi.  Fuori  le  Nine ,  le  Serve,  le  Zingare,  le 
Didoni,  le  Olimpiadi,  le  Ifigenie,  e  con  esse  il  Mondo  della 
luna  opera  interessante,  e  che  non  teme  le  giunterie  de'  can- 
Diocchiali.  E  che  ?  Credete  voi  questo  ritornello  una  rivista  alla 
yecchia  guardaroba  di  famiglia.  La  sia.  Purché  si  faccia  la 
pace  a  molti  non  dispiacerà  passare  a  rassegna  i  guardinfanti, 
le  armìUe,  le  zazzere,  le  cappe  e  le  brache  del  bisnonno.  Addio. 

B. 


'8 


I>RI3I0    SAGGIO    DI    RIVISTA    CRITICA    8U    TORITHO. 


!  • '•  • •''■'■    ■ìJh'?»«  'iwefj 

.  >it«    cqoiun 

L'ampia  scala  della  scienza  dell'economia  politica  ba  per 
primo  gradino  Teic^igLO^a  di  famigljla„  e  per,  ^jtiijio  qu^l»  dellA 
grandi  società.    .  r     ..j   .,,  ,ii-,    ,f.ni!;  i  >ij.'ìi'i1'ìa?   a   «i|mai 

I  progressi  dell'umano  intendimento,  l'abolizione  di  anticlii 
privilegi  di  alcune  caste,  il  lavoro  di  tutti,  contribuirono  vali- 
damente ai  giorni  nostri  allo  sviluppo  dei  veri  principii  dì 
questa  scienza ,  alla  quale  si  deve  per  la  massima  parte  lo  stato 
attuale  della  civiltà  europea. 

Le  capitali  degli  Stati,  centri  di  lumi,  d'azione  e  di  potere, 
sono  naturalmente  destinate  a  segnare  ad  ogni  epoca  il  vero 
tipo  del  movimento  sociale  ;  ma  sgraziatamente  le  capitali 
racchiudono  in  pari  tempo  nel  seno  loro  tanti  semi  di  corruzione, 
che  mal  saprebbesi  determinare  se  l'influenza  loro  sulla  società 
intiera  non  sia  per  avventura  più  nocevole  che  utile ,  se  non 
saranno  un  giorno  per  dare  gravi  motivi  di  temenza  ai  governi. 

Queste  città  privilegiate,  risultato  necessario,  ed  inerente 
alla  natura  stessa  d'ogni  società  politica  regolare,  destarono  ìa 
ogni  tempo  la  sollecitudine  dei  governi,  bramosi  di  raccogliere 
sopra  un  punto  medesimo  tuttociò  che  può  far  mostra  di  gran- 
dezza. 

Torino  è  senza  dubbio  una  delle  capitali  d'Europa  che  eccitò 
in  ogni  tempo,  e  a  un  alto  segno  l'ammirazion  generale.  Dopo 
il  ripristinamento  dell'antica  monarchia ,  questa  città  è  pur  anco 
una  di  quelle  che  sotto  gli  auspizii  de'  principi  della  casa  di 
Savoia   acquistò  grandemente.  Se  fedele  alle  antiche  tradizioni 


402 

la  nazione  piemontese  si  mantenne  sempre  in  quell'eminente 
grado  che  alla  sua'  dignità  si  conviene  ,  la  capitale  a  sua  volta, 
centro  di  tante  utili  instituzioni,  non  fallì  giammai  ai  suoi  illustri 
destini. 

Ciò  nondimeno  è  da  desiderarsi  che  il  soggiorno  di  questa 
Metropoli  possa  diventare  più  attraente,  soprattutto  per  gli 
stranieri  avvezzi  ad  un  movimento  intellettuale  e  sociale  molto 
più  vivo  che  non  sia  quello  che  in  Piemonte  riscontrasi.  E 
certamente  non  è  già  per  mancanza  degli  opportuni  elementi, 
ma  soltanto  per  difetto  di  un  ravvicinamento  più  intimo  delle 
classi  agiate  della  società  che  questa  capitale  presenta  nella 
Europa  una  vera  anomalia.  A  ninno  ormai  può  più  tornare  a 
conto  questa  linea  sevei'a  di  separazione,  e  meno  forse  ai  governi 
stessi  che  ai  privati.  E  non  è  desso  un  fatto  istorìco  ad  un 
tempo  e  contemporaneo,  che  dovunque  le  classi  della  società 
si  mantennero  per  tal  modo  isolate,  la  civiltà  vi  rimase  stazio- 
naria,  il  che  equivale  a  retrograda? 

La  creazione  di  un  casino  quale  parecchie  fra  le  principali 
città  d'Italia  già  offrono  l'esempio ,  in  cui  tutta  la  colta  società 
\errehbe  ammessa  ,  dove  i  forestieri  avrebbero  l'opportunità  di 
conoscere  i  più  illustri  e  distinti  cittiadini  d'ogni  classe  ,  ove 
sarebbe  dato  di  assistere  talvolta  ai  conversare  dei  dotti  di 
primo  ordine,  sì  nazionali  che  esteri,  tale  dorrebbe  essere, 
in  senso  nostro,  il  primo  passo  da  farsi  per  operare  una  certa 
qual  fusione  tra  le  alte  classi  della  società  ,  che  sola  può  rav- 
vivar questa  Metropoli. 

Per  tal  via  si  giungerebbe  a  conoscere,  apprezzare  e  favorire 
gì'  ingegni  e  tutte  le  nobili  inspirazioni  del  cuore  umano,  ed 
in  questi  dilettevoli  convegni  il  possente  e  dolce  impero  del 
gentil  sesso  medesimo,  utilmente  diretto  ad  ingentilire  i  costumi, 
potrebbe  fare  della  nostra  Torino  uno  de' più  graziosi  soggiorni. 

Dopo  questo  rapido  cenno  sovra  le  sociali  relazioni  che  ge- 
neralmente si  desidererebbe  veder  stabilite  nella  Piemontese 
Capitale^  ci  sia  lecito  di  segnare  di  volo  alcuni  altri  migliora- 
menti materiali  che  avrebbero,  secondò  noi,  i  più  felici  risul- 
tamenti  non ■  solo  pell'igieue,  e  l'economia  domestica,  ma  ezian- 
dio pelta  stessa    morale. 


40!^ 

Ai  giorni  nostri  sonvi  ben  poche  città  capitali  in  cui  ogni 
pubblico  stabilimento,  e  persino  ogni  quartiere  privato  di  una 
qualche  entità,  non  abbiano  una  o  parecchie  chiavi  che  som- 
ministrino l'acqua  necessaria  per  gli  usi  domestici ,  ed  in  coi 
numerose  e  belle  fontane  non  adornino  le  piazze  ,  i  giardini 
e  le  passeggiate  pubbliche. 

Si  dice  che  quest'idea  non  fosse  già  fuggita  ai  nostri  maggiori, 
ma  che  sia  stata  rigettata  sul  riflesso,  che  la  città  essendo  in 
allora  munita  di  fortificazioni  andava  soggetta  a  sopportar  degli 
assedii,  cui  i  nemici  avrebbero  potuto  aggravare  di  molto  pri- 
vando la  città  delle  sue  derivazioni  esteriori  d'acqua  potabile. 
Potrebbesi  rispondere  che  l'esistenza  di  un  acquedotto  per  una 
piazza  da  guerra  non  avrebbe  mai  dovuto  far  trascurare  i  pozzi 
e  le  cisterne,  le  quali,  ad  esempio  di  quel  che  succederebbe 
a  Genova  in  caso  d'assedio,  avrebbero  pur  sempre  assicurata 
la  popolazione  contro  la  più  terribile  fra  le  privazioni.  Ci  pare 
adunque  più  probabile  che  la  mancanza  di  monumenti  di  tal 
genere  debba  piuttosto  attribuirsi  alle  guerre  continue  che  negli 
scorsi  secoli  travagliarono  questa  bella  contrada  ,  senza  lasciarle 
per  così  dire  tempo  ad  occuparsi  di  cotali  opere  di  pubblica 
utilità,  che  non  s'innalzano  che  all'ombra  di  una  profonda  pace. 

10  non  mi  fermerò  qui  a  provaie  come  i  quattro  quinti  dei 
pozzi  attualmente  esistenti  in  Torino  somministrino  acque  pregne 
di  sali  nocivi  alla  salute  :  è  questo  un  fatto  bastantemente 
comprovato  da  molte  analisi  chimiche.  Non  starò  neppure  ad 
esaminare  quale  potrebbe  essere  la  derivazione  più  confaciente. 

11  lago  di  Avigliana,  le  correnti  della  Dora  e  della  Stura  sono 
tre  serbatoi  naturali  da  cui  si  potrebbe  derivare  a  volontà  per 
mezzo  di  acquedotti  un'acqua  salubre. 

La  costruzione  di  un  acquedotto,  con  tutti  gli  accessorii  per 
la  distribuzione  dell'acque  nell'interno  della  città  non  sarebbe 
di  una  spesa  tale  che  non  potesse  venir  abbondantemente  coperta 
dal  prodotto  della  vendita  dell'acque  stesse.  Certamente  conver- 
rebbe che  il  governo ,  per  una  disposizione  amministrativa  la 
quale  troverebbe  un  fondamento  ragionevole  ne'  motivi  d'igiene 
pubblica,  obbligasse  i  proprietarii  delle  case  ad  acquistar  l'acqua 
necessaria  pell'uso  dei  loro  pigionali.  Ma  tal  carico  non  gravi- 


404 

terebbfi  su  di  essi,  ma  bensì  su  questi  ultimi,  i  quali  troTe- 
rebbero  d'altronde  un  sufficiente  compenso  nella  salubrità  delle 
acque  ,  e  nella  maggior  facilità  pel  servizio  interno  delle  famiglie, 
niteotre  per  altro  canto  si  toglierebbero  i  numerosi  inconvenienti 
che  il  trasportar  l'acqua  a  tutti  i  piani  delle  case,  a  braccia 
d'uomo  ,  in  oggi  produce. 

Terrebbero  quindi  dietro  quegli  abbellimenti  ,  ohe  la  Civica 
Amministrazione  ,  secondata  dal  Governo,  recherebbesi  certa- 
mente a  premura  di  proporre  ed  eseguire  coll'adornare  le  pub- 
bliche piazze  di  eleganti  fontane ,  in  mezzo  alle  quali ,  ad  imi- 
tazione di  ciò  che  si  scorge  in  quasi  tutti  gli  Squares  d'In- 
ghilterra ,  vedrebbonsi  sorgere  vaghi  gruppi  di  alberi  ,  e  dove 
ameni  tappeti  di  verzura  alletterebbero  gl'occhi  del  passeggiero 
in  oggi  allontanatone  nella  stagione  estiva  dal  cocente  riverbero 
di  questi  quasi  brani  di  ardente  deserto. 

È  questo,  parmi  ,  un  soggetto  degno  d'esercitare  la  sagacità 
dei  nostri  ingegneri ,  e  relativamente  al  quale  la  Civica  Ammi- 
nistrazione dovrebbe  prender  le  mosse,  onde  aver  una  base  pre- 
liminare per  valutare  i  progetti  che  sarebbero  senza  fallo  offerti 
da  società  d'azionisti  tosto  che  quest'utile  idea  fosse  per  essere 
secondata  dal  governo. 

La  città  di  Lucca  innalzò  non  ha  guari  un  monumento  di 
tal  genere  che  onora  ad  un  tempo  ed  il  Governo  e  l'Ammini- 
strazione locale.  La  cinta  fortificata  della  città  fu  trapassata  col 
mezzo  di  un  sifone-acquedotto  ,  di  cui  si  ammira  con  ragione 
il  concetto.  La  derivazione  fu  presa  alla  distanza  di  due  mi- 
glia italiane  in  una  valletta  ricca  di  sorgenti  che  furono  raccolte 
in  una  sol  massa  per  mezzo  di  un  muro  gigantesco  chiudente 
la  valle,  dietro  il  quale  si  ammontarono  pietre  e  ghiaia  a 
guisa  di  filtro  naturale.  Noi  tralascieremo  di  qui  descrivere  lo 
grandi  opere  idrauliche  per  mezzo  delle  quali ,  e  col  movente 
del  vapore,  le  acque  le  più  impure  della  Senna  e  del  Tamigi 
vengono  innalzate,  purificate,  e  distribuite  in  tutti  i  quartieri 
di  Parigi  e  di  Londra  ,  a  tutti  i  piani  per  gli  usi  domestici  , 
oltre  di  quelle  che  vanno  ad  alimentare  le  numerose  fontane 
che  abbelliscono  le  piazze  pubbliche,  i  parchi  ecc. 

Torino  sinora  differisce  d'assai  dalle  altre  capitali  per  la  man- 


405 

eanza.  di  derivazioni  d'acqua  ,  e  di  monumenti  d'arte,  e  questa 
mancanza  vi  si  fa  soprattutto  sentire  ai  forestieri.  Gli  antichi 
aveano  forse  spinto  tropp'oltre  questo  gusto,  ma  siccome  la 
salute  de'  cittadini ,  ed  il  genio  delle  arti  vi  si  collegano ,  noi 
non  sapremmo  dar  loro  biasimo  per  siffato  lusso. 

Mentre  noi  verghiam  queste  linee  giunge  a  nostra  notizia  che 
il  Governo  di  S.  M.  approvò  un'intrapresa  per  l'illuminamento 
della  città  col  mezzo  del  gaz.  E  questo  un  progresso  che  sarà 
pienamente  giustificato  quando  vedrassi  prolungato  per  questo 
magico  artifizio  il  giorno  ,  con  una  assai  vistosa  economia. 

E  ormai  tempo  di  trattare  un'altra  questione  che  nell'inte- 
resse delle  famiglie  e  della  pubblica  morale  merita  l'attenzione 
di  questa  capitale. 

È  cosa  di  fatto  ,  pur  troppo  ,  che  tutti  i  capi  di  famiglia  , 
d'officine  ecc.  si  lagnano  in  oggi  delle  persone  di  servizio  e  degli 
operai  in  generale,  la  moralità  de' quali  è  molto  dubbia,  e  la 
attitudine  al  servizio  pochissima.  Aggiungeremo  ancora  che  a 
Torino  il  numero  de'  servitori  d'ambi  i  sessi  è  eccessivo  ,  e  che 
oltre  ad  un  quarto  di  essi  trovasi  di  continuo  senza  padrone 
ed  in  aspettativa  ,  il  che  succede  pressoché  a  tutti  ,  gli  uni 
dopo  gli  altri ,  nel  breve  spazio  di  un  anno.  Il  giuoco  del  lotto 
è  fuor  d'ogni  dubbio  una  delle  precipue  cagioni  dello  scadi- 
mento morale  di  questa  classe  di  persone  ,  a  cui  confidiamo 
nullameno  ciò  che  abbiamo  di  più  caro  al  mondo,  la  custodia 
de'  nostri  figli ,  delle  nostre  case  ,  e  la  nostra  propria  esistenza. 
Le  persone  di  servizio  uscendo  ad  ogni  ora  dal  tetto  domestico 
pei  mercati  e  per  le  altre  compre  ,  che  richiedono  talvolta  un 
tempo  assai  lungo,  e  praticandosi  vicendevolmente,  ne  nasce  in 
generale  un  sistema  ordinato  di  mutua  corruzione,  nella  quale 
la  sciagurata  malattìa  morale  del  lotto  si  mostra  in  prima  linea, 
e  con  delle  conseguenze  che  ricadono  quasi  sempre  a  danno 
della  borsa  se  non  della  salute  dei  padroni. 

Noi  pensiamo  che  si  giungerebbe  a  recare  Un  rimedio  effi- 
cace a  questo  grave  male  sociale  se  si  potesse  : 

1°  Ottenere  dalla  saviezza  del  Governo,  se  non  la  soppres- 
sione totale  del  lotto  ,  almeno  un  assai  grande  aumento  al  mi- 
nimum della  posta. 


406 

2.**  Stabilire  delle  casse  di  risparmio  sp«cialtueate  destili;* t« 
all'impiego  di  piccole  somme. 

3."  Diminuire  il  numero  dei  servitori  con  agevolare  per 
ogni  via  il  servizio  interno  delle  famiglie. 

4."  Favorire  la  creazione  di  stabilimenti  per  l'educazione 
speciale  delle  persone  di  servizio  ,  dai  quali  verrebbero  poscia 
tratte  per  essere  collocate  presso  le  famiglie. 

I  due  primi  rimedii  stanno  unicamente  nelle  mani  del  Go- 
verno ,  ed  havvi  ragione  di  sperare  che  desteranno  fra  non 
molto  la  sua    sollecitudine. 

II  terzo  conseguiterebbe  naturalmente  dalle  maggiori  como- 
dità che  ogni  famiglia  troverebbe  pel  suo  interno  governo,  ove 
Venisse  provvista  l'acqua  per  tutti  gli  usi  domestici  nel  modo 
sovr'accennato ,  ed  ove  inoltre,  come  già  si  pratica  in  molte 
città  di  Europa  ,  i  pristiuai ,  i  beccai  ,  i  rivenduglioli  d'erbaggi, 
frutta  ecc.  arrecassero  ogni  giorno  a  domicilio  la  necessaria 
provvigione.  Cotali  misure  che  non  potrebbero  far  crescere  per 
nulla,  o  quasi,  il  prezzo  degli  oggetti  di  giornaliero  consumo, 
basterebbero  forse  per  porre  non  poche  famiglie  in  grado  di 
diminuire  il  numero  de'  servitori ,  o  quanto  meno  per  rendere 
il  loro  servizio  e  più  couscienzioso  e  più  assiduo  di  quel  che 
ei  sia  oggigiorno. 

11  quarto  rimedio  terrebbe  inevitabilmente  dietro  ai  tre  primi 
e  compirebbe  il  novero  di  quelle  disposizioni  possibili  per  mezzo 
delle  quali  gioverebbe  sperare  di  conseguire  una  sufliciente  cer- 
tezza circa  la  moralità  delle  persone  di  servizio. 

Noi  ben  veggiamo  che  fra  siffatte  novità  talune  urterebbero 
più  o  meno  direttamente  con  alcune  costumanze  municipali 
invalse  da  poco  tempo  ,  ma  queste  riforme  evidentemente  se- 
gnate col  marchio  della  pubblica  utilità  ,  introdurransi  Gual- 
inentje  anche  fra  noi.  Già  ci  è  dolce  di  poter  innalzare  la  no- 
stra voce  a  lode  del  benefico  ed  unanime  pensamento  del  So- 
vrano, della  Civica  Amministrazione  ,  e  degli  abitatori  di  questa 
città,  di  creare  un  asilo  per  la  vera  mendicità,  piaga  sociale 
sotto  il  cui  mantello  trova  bene  spesso  a  celarsi  il  delitto.  Al- 
lorché si  pensa  che  per  lo  addietro  il  figlio  d'un  mendicante 
non  veniva  alla  luce  se  non  che  per  seguitare  il  vile  mestiere 


407 

ài  coloro  a  cui  doveva  la  disgrazia  dell:^  vita ,  ooi  ci  sentiamo 
inorridire.  Ma  se,  pur  troppo,  non  si  potrà  mai  impedire  che 
vi  siano  individui  a  carico  della  società ,  i  figli  loro  imparando 
in  questi  asili  di  vera  carità  cristiana  a  procacciarsi  col  lavoro 
il  necessario,  potranno  d'or  innanzi  rendersi  altrettanto  utili  alla 
patria,  quanto  sgraziatamente  nocivi  le  furono  i  padri  loro. ili 

Ci  sia  per  ultimo  ancor  lecito  di  chiamare  l'attenzione  del 
pubblico  sull'utilità  che  deriva  da  quella  polizia  delle  case  che 
viene  si  efficacemente  esercitata  dai  portinai  in  tutte  le  capi- 
tali d'Europa  fuorché  nella  nostra. 

Tale  si  è  il  quadro  delle  osservazioni  a  cui  limitiamo  per 
ora  questo  primo  saggio  di  critica  rivista  sulla  capitale  del  Pie- 
monte. Coloro  che  viaggiarono  all'  estero  concorderanno  facil- 
mente con  noi.  Ma  si  è  principalmente  agli  altri  che  noi  ab- 
biamo inteso  di  accennare  scrivendo  queste  poche  linee,  e  nello 
scopo  di  convincerli  ,  come  nutriam  fiducia ,  che  vi  sarebbero 
per  Torino  molte  riforme  vantaggiose  da  adottarsi,  da  cui  per 
essa  deriverebbero  ad  un  tempo  e  maggior  lustro,  ed  un'attrat- 
tiva che  sin  ora  le  manca,  ed  un  miglior  essere  domestico. 

X.        ■ 


AMI^lJaJZIO  ,,  „, ,„, 

Di  un  istituto  Itdtma''"''"" 

APERTO    IW    PARIGI 


Non  potendo  che  tornare  in  utilità  delle  scienze  ^  delle  arti 
e  del  commercio  l'apertura  di  uno  stabilimento  in  Parigi,  che 
ha  per  iscopo  di  diffondere  le  produzioni  d'ogni  maniera  sì 
dell'Italia  in  Francia  e  nelle  altre  nazioni,  come  della  Fran- 
cia e  delle  altre  nazioni   in  Italia  ,  il  Subalpino  perciò  si  reta 


a  gradito  »uO  debito  non  solo  di  annunziarlo,  ma  altresì  di 
accompagnarne  1'  annunzio  coi  più  prosperi  augurj. 

Il  direttore  di  questo  nuovo  Stabilimento  si  è  il  sig.  Fa- 
eton,  quegli  stesso  che  nel  1828  areva  già  intrapresa  con  tanto 
successo  la  pubblicazione  della  Biblioteca  Italiana  in  Parma, 
che  venne  quindi  continuata  con  ottimo  discernimento  dai  sig. 
Stella  in  Milano,        «''*'»  'i>  oIimI   jò , 

Il  Pastori  domiciliàtoisi  óirà  a  Pàirigi ,  quasi  a  compimento  di 
queste  biblioteche  ,  intende  ora  a  pubblicare  una  Biblioteca 
straniera  ,  nella  quale  si  avrà  una  serie  delle  migliori  opere 
straniere  tradotte  in  buona  lingua  italiana. 

Questa  pubblicazione  sarà  una  delle  principali  occupazioni 
dell'  Istituto,  e  gioverà  senza  dubbio  a  soddisfare  quell'  univer- 
«ale  bisogno  di  comunicarsi  a  vicenda  tutte  le  produzioni  della 
mente  che  hanno  luogo  presso  le  nazioni  più  incivilite.  Per 
r  Italia  sopra  tutto  che  è  costretta  ricorrere  rapporto  a  varj 
rami  di  scienze  ai  libri  stranieri ,  questa  pubblicazione  sarà 
utile  in  sommo  grado. 

Altre  incumbenze  nello  stesso  tempo  si  propone  pure 
r  ISTITUTO  che  annunziamo.  Esso  riceve  a  Parigi  per  darvi 
smercio  ogni  prodotto  d'industria,  d'arti,  libri,  giornali  ecc. 
ecc. ,  e  parimenti  trasmette  in  Italia  ognuno  di  questi  slessi 
^prodotti  a  misura  che  ^li  verranno  commessi. 

Non  fa  d'  uopo  dir  di  vantaggio  per  comprendere  di  quanto 
profitto  possa  essere  alla  patria  comune  questo  amplìssimo  uf- 
ficio di  corrispondenza  ,  e  quanto  esso  meriti  di  venire  inco- 
raggiato. 


»TA3*Pfel\tA    GHlRINGHELliO    K    COMI», 
eoiì  periui*«iont. 


409 
FILOSOFIA 


00p00bionc 


BEL    SISTEMA    FILOSOFICO    DEL    NUOVO    SAGGIO    £GG. 

Fatta   da  N.  Tommaseo 


Art.    3."  (^.  distrib.  precedenle)     ' 


Progressi  della  filosofia  nella   soluzione  del  problema. 

Indagando  l'origine  delle  idee,  alcuni  filosofi  si  sono 
piuttosto  dati  ad  esaminar  la  potenza  di  produrle  o  di 
possederle ,  altri  a  studiare  i  mezzi  o  aiuti  esterni  di  cui 
quella  potenza  ha  bisogno  per  operare  *i. 

Quanto  a'  primi ,  alcuni  pensarono  bastasse  dare  all' 
anima  una  facoltà  capace  di  trasformare  le  sensazioni 
in  idee;  altri  dissero  che  questa  facoltà  non  bastava, 
e  che  conveniva  ammettere  qualche  cosa  d'innato.  Tra 
i  sostenitori  delle  idee  innate,  altri,  come  i  Cartesiani, 
ponevano  congenite  all'uomo  le  stesse  idee  delle  cose; 
altri,   come   Leibaizio,  facevano  delle  idee  innate  tanti 

*x  Oimsc.  filos.  T.  II.  p.  496. 


410 

piccoli  sentimenti  non  avvertiti  dall'anima  ;  altri ,  come 
il  Kant,  le  ridusse  a  tante  forme  creatrici  delle  altre 
idee  e  degli  oggetti. 

Quanto  a'  secondi ,  chi  richiede  ,  oltre  le  sensazioni , 
de'  sentimenti  interni  necessarii  a  formare  le  idee  *i  ; 
chi.  oltre  gli  esterni  oggetti  influenti  sull'anima,  richiede 
un  lume  continuo  della  divinila  *2  \  chi  colloca  fuori 
dell'uomo  le  idee  com' enti  sussistenti  ed  eterni  *3,  chi 
pensa  che  oltre  alle  sensazioni  un  altro  aiuto  esteriore 
convenga  ammettere  alla  formazione  delle  idee  *4j  ed  è 
la  favella  *5. 

Che  gli  errori  stessi  de'  filosofanti  entrino  nel  gran  di- 
segno della  Provvidenza  a  dimostrare  la  necessità  delle 
solide  dottrine,  a  condurci  per  vie  tortuose  ed  inaspet- 
tate,  a  consolidare  la  verità  promovendo  obbiezioni  che 
la  renderanno  vieppiù  evidente  col  tempo ,  eir  è  cosa 
certissima  *G. 

Giova  nondimeno  osservare  che  a'  tempi  del  Locke,  la 
distinzione  fra  Tintelletto  ed  il  senso  era  ammessa  come 
incontrastabile  da  tutti  gli  uomini  ragionevoli  :  e  se  la 
{scienza  fosse  avanzata  per  il  suo  diritto  cammino  ,  po- 
teva facilmente  giungere  alla  soluzione  dell'  arduo  pro- 
}}lema.  Ecco  come  : 

L'intelletto  definivasi  la  facoltà  di  conoscere  il  vero 
dal  falso.  Or  bene  :  restava  a  cercare  che  cosa  fosse  il 
vero  ed  il  falso  ;  si  sarebbe  trovalo  che  il  vero  essendo 
ciò  che  è,  il  vero  è  l'ente;  che  l'intelletto  adunque  è 
la  facoltà  di  percepir  l'ente.  Quindi  risultava  che  il  senso 
non  può  percepire  T  ente  ;  che  l'idea  dell'ente  spogliata 
di  tutte  le  determinazioni  le  quali  le  vengono  per  mezzo 

*i    Laromiguiere.  —  *2  Malebranche,  —  *3  Platone. 
*4  Bonald,  e  prima  di  lui  Condillac.  —  *5  P,  5o2  ivi, 
*tj  JN.  Sa|jjjio  T,  i.  f.  3,40, 


411 

de' sensi  ,  h  l'idea  iinivcrsnlissiinn  ;  elio  da  quesla  idea 
tutte  le  ;dl.rc  ricevono  universalità;  clic  tulle  le  'nìct'. 
hynno  //  comune  per  elemento  coslilucntc  l;i  loro  ii.i- 
tur<n. 

Il  Condillac  conliisc  il  sentire  col  giudicare,  cose  «lagli 
antichi  distinte.  11  lieid  e  lo  Stewart  conj'usf.ro  l' imma- 
ginazione coir  intelletto  ,  distinti  anch'  essi  una  volta 
assai  hene.  Per  avan/rir  la  f|iiislione  d'un  buon  passo, 
bastava  dimostrare  che  l'imaginazione  vede  le  iniagini 
singole  ,  non  le   idee  universali. 

E  già  prima  del  D'  Alembert  era  stata  posta  fin  dal 
Bossuet  la  rpieslione,  come  lo  spirilo  unisca  in  sé  le 
sensazioni   diverse  per  modo  dn  l'arno  un  oggetto   unico. 

La  filosofia  Lockiana  e  la  CondìUachiana  fecero  retroce- 
dere la  qu(stione  in  alcune  j)arti,  altro  ne  illu-trarono  , 
e  (  merito  non  comune)  insegnarono  l'arte  di  rendere  al 
possibile  popolare  la  scienza  *ì.  Ma  il  disprezzo  afiellalo 
dal  Locke  e  dal  Condillac  verso  tutti  coloro  che  li  prc- 
ccdcllero,  senza  voler  considerare  gli  slessi  sbagli  come 
tante  nuove  questioni  da  sciogliere  ,  e  però  come  tante 
occasioni  di  far  trionfare  la  verità  ,  fu  macchia  e  danno 
del  loro  sistema   *2. 

Chi  bada  del  resto  all'ordine  e  alla  natura  de' sistemi 
fdosofici ,  trova  un  vincolo  ed  un  passaggio  naturale  tra 
i  più  disparati.  Cartesio  incominciò  la  sua  filosofia  d.d 
pensiero:  penso  j  dunque  esisto:  il  Locke  volle  spingersi 
on  passo  indietro  a  veder  come  nasca  il  pensiero,  e  ri- 
corse alla  sensazione.  Fu  saltato  un  grado  intermedio, 
ed  è  l'importante:  il  materiale  con  cui  cemcnlare,  te 
così  posso  dire,  la  sensazione  al  pensiero  *3. 

Il  Berkeley  e  l'Hume  ondeggiano  tra  il  Locke  ed  il  Con- 
dillac;  ora   aujmcllono    una  riflessione  originalrice   delle 

•i   F.   ,7..  —   ^j.  \>.  Sj\.  —  *j  1,  ni.  p.  -Crf.. 


412 

cognizioni,  ora  no  *i.  Ma  tendono  più  spesso  a  far  pre- 
valere la  sensazione"  alla  riflessione  attiva.  Ed  è  singolare 
ch'essi  abbiano  nome  d^idealisti ,  mentre  (parlo  dell'Hume 
specialmente)  dovrebbero  piuttosto  chiamarsi  raateria- 
Jisti.  Tutto,  dicon  essi,  è  sensazione;  la  sensazione  è 
in  noij  dunque  l'universo  sensibile  è  tutto  in  noi.  La 
terza  proposizione  non  distrugge  la  prima ,  anzi  su  quella 
si  fonda   *2. 

Cosi  la  distruzione  del  vero  oggettivo  comincia  in 
origine  da  Cartesio,  il  quale,  accreditando  la  sentenza 
(lei  Galilei  sulle  qualità  secondarie  de' corpi,  che  sono 
tutte  nel  soggetto,  ripose  l'essenza  de' corpi  nell'esten- 
sione, senz'osservare  che  tutte  le  sensazioni  hanno  una 
qualche  parte  oggettiva.  Il  Bayle  applicò  gli  argomenti  di 
Cartesio  all'  estensione  stessa ,  la  quale  anch'  essa  può 
dirsi  soggettiva  in  quanto  eh' è  percepita  col  mezzo  di 
una  sensazione;  e  così  appianò  la  strada  al  Kant ,  che 
distrusse  ogni  realità  sin   dal  fondo  *3, 

Il  Kant  lasciò  la  natura  materiale  in  dubbio:  il  Fichte 
la  assorbì  nello  spirito  stesso  :  lo  Schelling,  reputando 
troppo  piccolo  lo  spirito  all'  immensità  del  proprio  pen- 
siero, lo  innalzò  a  Dio,  ma  per  abbassare  Dio  sino  allo 
(Spirito,  per  confondere  insieme  spirito,  uomo,  ogni 
cosa  *4- 

Quest'è  la  progressione  del  male.  Ma  riguardando  la 
cosa  da  un  miglior  lato,  i  passi  della  filosofia  nella 
soluzione  del  problema,  secondo  l'ordine  non  de' tempi, 
ma  delle  dottrine ,  son  questi  :  —  si  comincia  dal  cre- 
dere che  le  sensazioni  sono  in  sostanza  il  medesimo 
che  le  idee  *5  —  si  conosce  che  le  idee  non  possono 
nascere  se  l'intelletto  non  riflette ,  non  opera  sulle  sen- 

*i  T.  1.  p.  I20.  —  *2  T.  III.  p.  749. 

*3  T.  m.  p,  5g3.  T.  IV.  p,  460.  —  *4  T.  IV.  p.  So^.  ^  *5  Locke 


415 

sazioni  —  si  osserva  che  cosa  sia  questa  riflessione ,  e 
là  si  trova  un'analisi  pura  *i.  —  Si  cammina  meglio, 
e  si  trova  che  quest'analisi  ha  bisogno  di  una  sintesi 
primitiva  *2  —  una  sintesi  non  si  potendo  fare  senzri 
un  giudizio,  quella  meditazione  dell'intelletto  dev'essere 
un  atto  della  facoltà  di  giudicare  *3  —  l'analisi  del  giu- 
dizio dimostra  la  necessità  d'idee  universali  precedenti 
— '  si  classificano  le  idee  universali,  e  le  si  trovano  su- 
bordinate le  une  alle  altre  ,  e  le  une  dalle  altre  si  de- 
ducono —  si  sale  ad  un'idea  universalissima  *4^  madre 
di  tutte  *5. 

Ossermzioni. 

Ognun  vede  pertanto  che  molli  e  sommi  ingegni  ri- 
conobbero la  necessità  di  qualche  cosa  d'innato  a  spie- 
gare l'origine  delle  idee,  che  molti  intravvidero  l'idea 
dell'autore,  e  potevano  coglierla  se  avessero  liberata  la 
questione  ^dagli  elementi  accessorii  ;  jche  tra  il  nulla 
ammettere  e  l'ammettere  troppo  ^  era  necessario  deter- 
minare un  punto  di  mezzo  ,  e  ridurre  il  sistema  alla 
maggior  possibile  semplicità;  che  abolire  ogni  cosa  d'in- 
nato conduce  a  irreparabili  errori;  e  che  codesta  anti- 
patìa contro  la  parola  innato  è  vinta  non  solo  dalla  ne- 
cessità di  adottarla,  ma  dalla  possibilità  di  considerare 
quest'idea  universalissima  come  un  elemento  di  cogni- 
zione piuttosto  che  come  un'idea  propriamente  detta; 
che  in  fine  sarà  molto  piìi  facile  perfezionare  ^  determi- 
nar meglio  e  svolgere  1'  idea  dell'autore,  che  non  con- 
futarla. 

Ciò  che  dimostra  la  verità  della  teoria  è  la  sua  grande 

*i  Laromlguière.    — •    *2  Galluppi,  *3  Ueid.  —  *4  Rosmini. 
"■5  T.  in,  p.  746. 


414 

semplicità:  laJJove  in  Platone  e  in  Aristotele,  nel  Locke 
e  in  Condillac,  nel  Leibnizio  e  nel  Kant  egli  è  facile  no- 
lai'e  contraddizioni  più  o  meno  evidenti.  E  tutti,  tranne 
quel  di  Platone  e  di  Leibnizio,  sono  sistemi  negativi, 
che  distruggono  più  o  meno  direttamente  l'umana  cer- 
tezza e  se  stessi. 

Dalla  breve  analisi  sopra  recata  si  vede  però  che  se 
il  Locke  giovò  grandemente  alla  fdosofia  col  portarla  al- 
meno in  parte  sul  campo  dell'osservazione;  se  nonché 
il  sistema  di  lui  era  stato  in  parte,  con  ben  altra  forza 
di  raziocinio  e  d'ingegno,  sostenuto  da  Aristotele;  sic- 
ché, a  paragone  di  lui,  il  Locke  non  pare  che  un  princi- 
piante di  buona  volontà.  Ho  detto  in  parte  ^  perchè  quello 
stesso  principio  aristotelico  il  quale  pare  affatto  d'accordo 
col  Condillac;  //  senso  giudica,  va  temperatamente  in- 
teso, avuto  riguardo  ai  varii  significati  del  greco  xpivo» , 
significati  e  morali  e  corporei,  e  limitati  e  larghissimi  ;  e 
n'  è  prova  il  latino  cerno ,  decerno ,  Crimen  j  discrimen  \ 
e   i  nostri  discernere  ,   crisi,  criterio,  critica    ed  altri. 

Già  il  lettore  si  sarà  potuto  accorgere  dei  molti  passi 
fatti  dalla  filosofia  nel  sistema  del  Kant,  prima  che  questo 
sofista  sorgesse:  cosa  importante  a  notarsi,  acciocché  sì 
vegga  come  l'errore  consegue  all'errore,  e  come  quando 
l'errore   arriva    all'estremo    suo    limite,    allora    confina 
colla  verità.  Si    potrebbe    a   questo   proposito  aggiungere 
che  in  un  altro  senso  ancora  Cartesio  appianò  la  via  all' 
idealismo  ;  in  quanto  che  facendo  corrispondere  all'idea 
dell'uomo  un  ente  al  di  fuori ,  con  questa  nuova  specie 
d'oggettività  apriva  l'adito  ad  una  soggettività  desolante. 
La    questione    pertanto   si   riduce    a  questo  :    tra  il  si- 
stema della  sensazione ,  e  quello  delle  idee  innate,  l'uno 
è  insufficiente    a  spiegare  i  fatti  dell'intelligenza,  l'altro 
è  superfluo:  il  principio  del  Nuovo  Saggio  nulla  contiene 
di  assurdo,  perchè  si  fonda  sopra  un  fatto  e  un  razìoci- 


415 

Ilio  evidente;  sopra  un  fatto  il  quale  è  necessario  a  spie- 
gare gli  altri  fatti  del  pensiero,  tutti  cioè  gli  umani  giu- 
dizi. Vediamo  come  dalFidea  dell'essere  unita  alle  sensa- 
zioni si  formi  il  primo  giudizio,  il  più  semplice  di  tutti , 
ma  il  più  difficile  di  tutti  a  spiegarsi. 

Del  giudizio  primitivo. 

S'  è  già  toccato  di  quella  sintesi  *x  con  la  quale  ap- 
plicando l'idea  dell'ente  come  predicato  a  un  complesso 
di  sensazioni^  eh' è  in  tal  caso  il  soggetto,  si  viene  a 
formare  un  giudizio  primitivo  esiste  ciò  eh'  io  sento  , 
giudizio  per  cui  non  e'  è  bisogno  d'  avere  per  soggetto 
l'idea  d'un  altr'ente.  Così  si  scioglie  la  terribile  obbiezione 
accennata  *2  :  come  posso  io  giudicare  ch'esista  realmente 
ciò  di  che  non  ho  alcuna  idea?  Per  iscioglierla,  conve- 
niva trovare  un  giudizio  in  cui  l'oggetto  che  si  giudica 
esistente  non  fosse  pensabile  se  non  in  forza  dello  stesso 
giudizio;  trovar  un  giudizio  che  desse  l'esistenza  all'idea 
della  cosa  giudicata ,  vale  a  dire  che  producesse  in  noi 
l'idea  della  cosa,  non  la  supponesse  *3.  Ora  finche  il 
giudizio  cade  sopra  una  qualità  della  cosa,  l'idea  della 
cosa  necessariamente  deve  preesistere  in  noi  al  giudizio. 
Ma  quando  il  giudizio  è  tale  che  cade  sull'esistenza  della 
cosa ,  allora  l'idea  della  cosa  giudicata  non  esiste  prima 
del  detto  giudizio,  ma  in  virtù  di  quello;  perchè,  finat- 
tanto  che  la  cosa  non  la  pensiamo  come  esistente  (o  ia 
realtà  od  in  potenza),  essa  è  nulla  per  noi,  non  può 
essere  oggetto  del  pensiero ,  un'  idea.  Il  giudizio  dun- 
que sull'esistenza  delle  cose,  a  differenza  di  tutti  gli  altri, 
presenta  esso  medesimo  il  proprio  oggetto,  ha  un'energia 

*'i   V.  Subalpino  distribuzione  di  luglio   1837,  pag.  337.  338. 
*-2  Id.  pag.  323.     —     "3.  N.  Saggio  T.  1.  p.   i53. 


416 

tutta  stia:  cioè  di  far  esistere  con  sé  un' idea  che  prima 
non  esisteva,  col  dire  a  se  stesso:  quel  ch'io  sento  ^  è. 

Ognun  vede  pertanto  che  il  primitivo  giudizio  della 
mente  deve  cadere  sopra  un  oggetto  sussistente,  cioè 
realmente  esistente ,  non  sopra  un  oggetto  meramente 
possibile,  vale  a  dire  esistente  in  potenza;  giacche,  quan- 
tunque l'idea  generale  dell'ente  riguardi  Vente  possibile , 
certo  è  che  le  sensazioni  ci  vengono  dagli  oggetti  sus' 
sislenti  :  i  quali  però  senza  l' idea  dell'ente  possibile  non 
si  potrebbero  percepire.  Si  noti  dunque  la  differenza 
tra  sussistenza  ed  esistenza  in  genere;  l'una  è  la  reale, 
l'attuale  ;  l'altra  comprende  e  il  reale  e  il  possibile.  Pla- 
tone confuse  insieme  le  due  cose  :  e  quindi  gli  errori 
del  suo  sistema  *i. 

A  chi  domanderà  :  come  l'uomo  è  egli  mosso  a  pen- 
sare la  cosa  attualmente  esistente  ?  o  donde  trae  l'idea 
universale  di  esistenza  possibile,  della  quale  per  tal  pen- 
siero abbisogna?  o  come  l'idea  di  esistenza  possibile, 
idea  universale  ,  si  applica  ad  una  cosa  determinata  ,  a 
pensare  un  oggetto  piuttosto  che  un  altro  ?  si  risponde 
i."  dell'idea  d'esistenza  è  già  detto  che  non  può  non 
essere  innata.  2.**  Quel  che  ci  muove  a  pensare  un  og- 
getto sono  le  sensazioni.  3.°  E  son  esse  che  determinano 
l'oggetto  del  nostro  pensiero.  A  quella  modificazione  che 
io  provo  in  me,  il  mio  spirito  si  eccita  e  dice:  questo 
che  mi  fa  sentire,  esiste:  e  non  son  io  questa  cosa. 

Il  detto  giudizio  pare  composto  di  due  giudizii  ele- 
mentari :  ma  sono  indisgiungibili  ,  e  si  fanno  con  un 
atto  solo  :  uno  negativo  :  questo  di  io  sento  non  son  io  : 
l'altro  positivo  :  è  cosa  diversa  da  me.  Il  giudizio  in 
quant'  è  negativo  .,  riguarda  le  sensazioni  ;  le  quali  non 
possono  star  da  se  :  un  tal   giudizio   negativo   implica  e 

*i  T.  III.  p.  3G2. 


417 

produce  necessariamente  il  pensiero  di  cosa  esistente 
fuori  di  noi ,  il  qual  pensiero  è  la  parte  positiva  di  detto 
giudizio.  Io  non  potrei  mai  giudicare  che  le  sensazioni 
non  possono  esistere  sole  ,  suppongono  qualche  ente  di- 
verso dall' /o,  se  non  avessi  in  me  l'idea  universale  del- 
l'essere; se  non  trovasi  una  ripugnanza  tra  questa  idea 
e  l'idea  di  sensazioni  supposte  isolate  da  ogni  ente.  Per 
sentire  questa  ripugnanza  basta  la  generale  idea  d'esi- 
stenza :  basta  ,    ma   è  necessaria. 

Alla  difficoltà  dunque  :  come  posso  io  giudicare  che 
esista  cosa  di  cui  non  ho  idea?  Si  risponde:  il  giudi- 
care ch'esista  una  cosa  determinata  ,  racchiude  due  parti; 
l'idea  di  cosa  che  possa  esistere  in  genere,  e  l'idea  di 
cosa  presente,  determinata  da  una  o  più  delle  sue  qua- 
lità. Finch'io  penso  ad  un  ente  in  genere  ,  nulla  giu- 
dico :  il  giudizio  segue,  quando  il  pensiero  dell'ente  in 
genere  1'  applico  e  lo  determino  ad  un  oggetto.  Posta 
dunque  nell'uomo  l'idea  dell'essere;  per  formare  il 
giudizio  esiste  la  tal  cosa  j  non  c'è  più  bisogno  che 
delle  sensazioni,  le  quali  mi  determinan  l'ente.  Analiz- 
ziamo ancor  meglio  questa  primitiva  importantissima 
operazione  dello  spirito  umano. 

Schiarimenti. 

L'uomo  è  fornito  di  senso  e  d'intelletto:  per  via  de' 
sensi  riceve  l'impressione  delle  qualità  sensibili,  coU'in- 
telletto  percepisce  le  cose  come  diverse  da  lui.  Ora  tut- 
tociò  che  cade  sotto  il  senso,  purché  vi  faccia  la  con- 
veniente impressione,  diventa  oggetto  altresì  del  nostro 
intelletto.  Ricevute  dunque  dal  senso  le  impressioni, 
r  intelletto  il  qual  considera  appunto  le  cose  come  esi- 
stenti in  se  stesse,  percepisce  le  dette  qualità  sensibili 
come   esistenti  in   se  stesse,  non  già  nella  relazione  che 


418 

ììonijo  con  noi  ,  in  quanto  sono  sensazioni.  Ora  perce- 
pire le  qualità  sensil)ili  indipendenti  da  noi ,  non  è  che 
aggiudicare  ad  esse  un'  esistenza  diversa  dalla  nostra  ;  e 
ciò  è  lo  stesso  che  giudicare:  esiste  un  ente  fuori  di 
noi.  Quali  siano  in  esso  le  qualità  sensibili  ,  e  come  vi 
sìeno  ,  questo  non  può  determinare  il  giudizio  primi- 
tivo,  il    quale  si  limila   a  percepir  l'esistenza. 

Ell'è  dunque  essenzial  cosa  distinguere  i  giudizi  nei 
quali  si  pensa  una  qualità  d'un  ente  già  prima  da  noi 
concepito  (  p.  e.  quest"  uomo  è  bnono)  dai  giudizi  ne' 
quali  pensiamo  l'essere  delle  qualità  sensibili  :  nei  primi 
preesiste  al  giudizio  1  oggetto  del  medesimo  ;  nel  secondo 
non  prepsistono  al  giudizio  che  gli  elementi  dell'oggetto 
del  giudizio,  cioè  la  sensazione  e  l'idea  d'esistenza  *i. 
Non  sempre  dunque  il  giudizio  si  esercita  sopra  un  og- 
getto pensato  già  ;  ma  il  pensiero  slesso  nel  giudizio  pri- 
mitivo sì  crea  il  proprio  oggetto.  Altrimenti  saremmo 
sempre  alla  solita  petizion  di  principio  :  come  mai  le 
idee  generali  preesistano  al  giudizio,  e  il  giudizio  alle 
idee?  Altrimenti  i  sensisti  non  possono  spiegare  come 
in  noi  si  formi  l'idea  di  corpo  ,  la  quale  non  s'ha  senza 
un  giudizio  che  le  qualità  sensibili  pronunzi  esistenti  *2. 

Sentire  il  corpo,  possedere  l'idea  d'esistenza,  unire  iì 
predicato  esistente  al  soggetto  qualità  sensibili,  e  così 
formare  il  giudizio  :  ecco  tre  facoltà  necessarie  per  avere 
r  idea  di  corpo,  ed  essenzialmente  distinte  *3.  Chiamiamo 
la  prima  sensibilità  corporea,  la  seconda  intelletto,  la 
terza  facoltà  di  giudicare  o  ragione.  La  sensibilità  pos- 
siede un  elemento  del  giudizio  ,  l'intelletto  n'  ha  un  altro; 
ma  finche  le  due  facoltà  stanno  così  separate,  giudizio 
non  segue.  Ecco  coni'  esso  abbia  luogo. 

La  sensibilità   e  l'intelletto  sono  facoltà  d'un  io  stesso 

*i  T.  II.  p.  3i8.  —  *2  T.  I.  p.   162.  —  *3  T.  11.  p.  270. 


419 

li  (Juale  nella  sua  unità  accoppia  insieme  i  due  dislinll 
elementi  che  quelle  due  distinte  facoltà  gli  forniscono. 
Queir  w  che  sento  l'oggetto  sensibile  agente  sopra  me, 
son  quel  desso  che  posseggo  l'idea  d^esistenza.  Ma  questo 
ancora  non  basta.  Potrebbero  le  due  idee  nel  soggetto 
medesimo  stare  accanto,  stare  insieme,  senza  unirsi  però. 
Conviene  che  questo  soggetto  abbia  una  forza  per  ri- 
flettere sopra  ciò  ch'egli  patisce  o  ha  in  sé  stesso.  Ri- 
flettendo dunque  ai  due  elementi  della  sensazione  e  dell' 
idea  d'esistenza,  e' riconosce  nell'oggetto  della  sensazione 
un' esistenza ,  eh' è  una  realizzazione  particolare  di  quell' 
esistènza  generale  ,  ch'egli  concepiva  soltanto  come  pos- 
sibile. Queste  tre  operazioni  costituiscono  la  terza  delle 
dette  facoltà,  quella  di  giudicare  o  di  ragionare;  per 
dirla  più  semplice,  la  ragione.  Se  dunque  si  volesse 
adottare  nella  scienza  un  linguaggio  costante,  e  fuggire 
gli  equivoci ,  converrebbe  notare  che  l'intelletto  non  giu- 
dica e  non  percepisce  :  esso  somministra  alla  ragione  il 
mezzo  del  percepire,  la  regola  di  giudicare,  l'idea  d'esi- 
stenza, che  serve  di  predicato  alla  formazion  del  giudi- 
zio :  è  esistente.  Ma  sebbene  non  sia  propriamente  1'  in- 
telletto che  percepisca,  pure  si  chiama  percezione  in- 
tellettuale questa  che  descriviamo,  perchè  1'  intelletto 
ne  fornisce  l'elemento  formale. 

La  percezione  intellettuale  può  dunque  definirsi:  il  per- 
cepire che  fa  il  nostro  spirito  un  oggetto  sentito,  quando 
lo  vede  in  relazione  con  la  generale  idea  d'esistenza. 

In  questo  giudizio  primitivo  convien  distinguere  l'idea 
generale  dell'esistenza  eh' è  in  noi,  da  quell'attuale  esi- 
stenza che  noi  nell'oggetto  riconosciamo,  e  gliela  venia- 
mo ad  attribuire  col  nostro  giudizio.  L'idea  generale  l'A. 
Ja  chiama  predicato;  l'esistenza  particolare  dell'oggetto, 
la  chiama  attributo  *i.  Il  Kant  mescolò  le  due  cose. 


'i  r» 


,j(iq. 


420 

Ne  da  lai  distinzione  segue  che  nel  giudizio  primitivo 
due  siano   le   idee   in  noi,  l'una  dell'esistenza  generale 
(  predicato  )  ;  l'altra  della  particolare  (  attributo  ).  La  pa- 
rola esistenza  presa  assolutamente,  non  esprime  che  un' 
idea  generale.  Quando  un  ente  ferisce  i  nostri  sensi,  se 
noi   non    avessimo    altro   che   le  sensazioni ,    potremmo 
pronunziare  un  accento   esprimente  la  nostra  affezione; 
ma    questo    accento   mosso  dall'istinto,   non  sarebbe  un 
giudizio  ;  non  esprimerebbe  un  ente  in  quanto  è  in  sé, 
ma  una  nostra  modificazione.  Per   percepire  gli  enti  in 
quanto    sono    distinti    da   me ,  conviene  eh'  io  paragoni 
la  passione  ricevuta  dal  senso  con  l'idea  d'esistenza;  al- 
lora   io    trovo  un  rapporto  fra  la  passione  particolare  e 
l'esistenza  d'un  agente  diverso  da  me  ,  e  dico  a  me  stesso  : 
ciò  ch'io  sento  è  un   agente  che  ha  l'esistenza  (in  quel 
dato  modo  che  mi  determina  il  senso)  *i.  L'idea  dun- 
que   d' un    ente    corporeo    non  è  che    la  percezione  del 
rapporto  che  corre  tra  la  passione  del  mio  senso  (effetto 
del  detto  ente)  e  la  generale  idea  d'esistenza.  Ell'è  dun- 
que improprietà  chiamare    idea    quello    dell'  ente  corpo- 
reo, prima  che  l'intelletto  lo  giudichi  esistente:  una  sola 
è  l'idea  d'esistenza,  la  generale  :  molle  sono  le  idee  degli 
enti  esistenti',  e  queste  sono,  ripeto,  il  rapporto  tra  l'ente 
sentito  e  r  idea  generale,  rapporto  percepito  dalla  mente 
in  maravigliosa  e  perfetta  unità  *2.  Sono   l'applicazione 
della   medesima    idea    generale  ,  non  sono  tante  diverse 
idee  d'esistenza. 

*i  T.  I.  p.  i^-x.  T.  II.  p.  53. 

*a  T.  II.  p.  3i5.  T.  III.  p.  :iSe.  T.  IV.  p.  2o5. 


Tommaseo. 


Sarà  continuato. 


421 

RIVISTA    CRITICA 


■& 


Brevi  riflessioni  sull'artìcolo  inserito  nel  Subalpino  (  iSSy  feb- 
braio e  marzo,  pag.  178  )  intitolato  :  Esposizione  ed  esame 
critico  del  sistema  frenologico  considerato  nei  suoi  principiij 
nel  suo  metodo j  nella  sua  teoria  e  nelle  sue  conseguenze  del 
Dott.  L.  Cerise. 


È  pure  lodevole  cosa  che  i  patrli  giornali  diano  contezza  di 
quanto  va  di  nuovo  pubblicandosi  fra  noi,  e  nelle  estere  con- 
trade ,  e  che  prendano  a  discutere  alcuni  punti   scientifici  che 

a  non  pochi  sembravano  inconcussi Di  ciò  sappiamo  buoa 

grado  al  medico  collegiato  Maffoni  che  venne  esponendo  nel 
Subalpino  le  idee  del  Dott.  L.  Cerise  sulla  frenologia,  abben- 
chè  tentando  di  confutarla  con  argomenti  metafisici ,  e  soggiun- 
gendo che  nelle  dispute  di  frenologia  si  pecchi  per  mancanza 
di  buona  fede  da  ambe  le  parti  ,  non  abbia  poi  manifestato 
tutta  quella  imparzialità  che  indicherebbero  queste  ultime  sue 
parole. 

Il  D.  Cerise  volendo  combattere  la  frenologia  come  condu- 
cente al  materialismo  dice  (pag.  479  ^^^  Subalpino)  che  ogni 
dottrina  appoggia  sopra  una  certezza  ;  — ■  la  sola  certezza  as- 
soluta è  quella  che  è  posta  nella  conoscenza  positiva  della 
legge  morale  ,  cioè  delle  relazioni  stabilite  tra  l'attività  umana 
ed  il  suo  istrumeuto  che  è  \'  organismo  ,  tra  Dìo  ,  e  1'  uomo  , 

Ira    r  uomo    ed  il   mondo Questa  conoscenza  è  il  punto 

centrale  di  ogni  concezione  scientifica.  —  La  sola  scienza  che 


422 

possa  espiimerc  più  direttamente  la  legge  morale  ,  è  la  psico- 
logia. 

I  prìucipii  del  Cerise  sarebbero  certamente  ottimi  ,  se  fos- 
sero possibili  a  stabilirsi  5  ma  se  non  si  avesse  alcuna  cognizione 
positiva  senza  la  perfetta  conoscenza  delle  relazioni  tra  l'animo 
ed  il  corpo  noi  saremmo  ignari  di  ogni  cosa  ,  avvegnaché  fi- 
nora non  vi  sono  che  ipotesi  a  tale  riguardo  :  basta  qui  ricor- 
dare quella  di  Descartes  j  di  Leihnitz,  di  Mallehranche  ,  ecc. 
—  La  sola  frenologia  come  scienza  fondata  sull'  osservazione 
fatta  negli  animali  ,  e  nell'uomo  potè  determinare  che  1'  eser- 
cizio delle  facoltà  intellettuali ,  e  morali  si  opera  col  mezzo 
di  particolari  organi ,  senza  pretendere  di  dimostrare  quale  sia 
r  intima  relazione  di  detti  organi  col  principio  immateriale  , 
coU'animo  ,  principio  che  niuu  frenologo  di  buona  fede  potrà 
negare  e  che  negato  rovescierebbe  la  frenologia I  rap- 
porti poi  tra  Dio  e  1'  uomo  ,  tra  1'  uomo  ed  il  mondo  si  co- 
noscono meglio  in  proporzione  dello  sviluppo  e  dell'attività  degli 
organi  finché  l' animo  racchiuso  quasi  in  carcere  esercita  le  sue 
funzioni  nel  corpo.  Di  fatti  il  neonato  che  possiede  un  animo 
come  r  adulto  ,  animo  che  principio  semplice  né  cresce ,  né 
invecchia  non  esercita  alcune  delle  succitate  facoltà  sino  a  tanto 
che  gli  organi  siano  bene  sviluppati ,  e  perfezionati  5  e  se  per 
malattia  accada  che  tale  sviluppo  non  facciasi  ,  o  sia  abnorme 
come  succede  negli  imbecilli  ,  inerte  pure  se  ne  stanno  le  fa- 
coltà dell'animo ,  perchè  il  principio  attivo  non  può  per  le  leggi 
stabilite  dal  Creatore  agire  senza  la  concorrenza  dello  strumento 
atto  a  tale  funzione.  Se  poi  l'uomo  reso  adulto  abbia  sortito 
un  normale  sviluppo  di  organi  cerebrali ,  e  che  per  causa  for- 
tuita si  turbi  l'organizzazione  dei  medesimi,  sconcertasi  e  per- 
vertesi  eziandio  la  funzione  come  occorre  nelle  manie ,  nelle 
lipomanie  ecc.  Cogli  organi  cerebrali  adunque  si  esercitano  le 
facoltà  dell'animo  :  questa  è  una  massima  che  è'  consona  colla 
quotidiana  osservazione  ,  col  buon  senso  ,  anzi  coi  principii 
della  nostra  Religione  :  è  la  massima  fondamentale  della  fre- 
nologia di  Gali ,  massima  ammessa  dallo  stesso  Dott.  Cerisc 
nella  memoria  di  cui  parliamo  (  pag.  5o  )  e  perciò  a  questa 
massima  a  torlo  si  imputa    di   condurre  al   materialismo  :   anzi 


423 

noi  crediamo  piuttosto  dare  luogo  alla  miscredéuza  ,  ed  alla 
iucredulità  ,  lo  stabilire  dottrine  filosofiche  su  priucipii  non 
bene  conosciuti ,  die  male  intesi  sono  ancoi-a  peggio  interpre- 
tati :  la  qual  cosa  si  può  applicare  agli  scritti  di  molti  meta- 
fisici. 

Il  D.  Cerne  pone  nell'uomo  un'attività  indipendente  dai  suoi 
istrumenti  ed  organi  corporei  ,  invece  che  la  frenologia  attri- 
buisce un'  attività  a  questi  organi  stessi  ,  anzi  altrettante  atti- 
vità quanti  sono  gli  organi  ,  il  che  conduce  secondo  lui  al  puro 
materialismo. 

Questa  è  una  questione  antichissima  e  già  confutata  da  Gali: 
tuttavia  messa  in  campo  tante  volte ,  vien  ora  rinnovata  dal 
Dott.  Cerise.  Noi  daremo  adunque  la  medesima  risposta  or  ora 
scritta,  cioè,  non  niegarsi  dai  frenologi  il  principio  attivo,  l'ani- 
nio  5  ma  che  questi  esercita  le  sue  funzioni  per  mezzo  di  or- 
gani :  questi  essere  strumenti ,  o  mezzi  ,  ma  non  il  princìpio 
attivo  il  quale  pensa  ,  il  quale  induce  a  fare  ,  o  non  fare  una 
cosa  :  che  gli  organi  sono  attivi  in  quanto  che  per  leggi  dell' 
organismo  possono  agire  sopra  di  loro  ,  come  possono  essere 
posti  in  azione  da  altre  cause  ,  come  da  qualunque  altra  causa 
può  spontaneamente  in  essi  prodursi  una  mutazione  stimolante 
all'esercizio  di  quella  facoltà ,  senza  che  vi  sia  assoluta  neces- 
sità di  tale  esercizio.  Nessun  frenologo  ragionevole  considerò 
l'anima  inevitabilmente  padroneggiata  dagli  strumenti  dei  quali 
nell'esercizio  delle  sue  facoltà  essa  si   serve. 

La  libertà  fu  considerata  dai  frenologi  in  una  maniera  più 
equa  di  quello  che  siasi  fatto  dai  metafisici.  Essi  pongono  per 
base  che  nello  stato  fisiologico  ,  qualunque  sia  lo  sviluppo  ,  e 
l'attività  di  un  organo  non  havvi  necessità  di  azione ,  nia  su- 
scettività e  tendenza  anche  massima  a  quell'  azione ,  siccome 
la  giornaliera  storia  delle  vicende  umane  dimostra.  La  libertà 
è  una  facoltà  dell'  animo  ,  né  questa  potrebbe  dignitosamente 
esercitarsi  dall'uomo  se  fosse  egualmente  spinto  a  tutte  le  azioni: 
la  libertà  si  esercita  nel  massimo  grado  allora  appunto  che  si 
iiiega  il  soddisfacimento  di  una  passione  acni  siamo  inclinati; 
e  questa  se  violenta  può  per  mezzo  della  frenologia  essere  tanto 
quanto  valutata  per  regolarne  l'imputazione  ...  La  nioltiplicità 


424 

adunque  degli  organi  non  toglie  la  libertà  ,  e  non  conduce  al 
materialismo  ,  siccome  falsamente  vuole  far  credere  il  sig.  Ce- 
rise  che  bramerebbe  ingolfarci  nelle  astrazioni  di  Kant  confon- 
dendo quanto  appartiene  alla  fisiologia  colla  psicologia 

Il  Dott.  Cerise  trae  argomento  di  confutazione  del  sistema 
di  Gali,  cercando  dimostrare  che  la  craniologia  non  corri- 
sponde   al    vero   sviluppo  del  cervello Noi  ci  limiteremo 

a  dire  che  prima  della  vecchiaia  ,  epoca  in  cui  succedono  nuove 
mutazioni  nel  cranio,  questo  ne'  luoghi  indicati  da  Gali  quale 
sede  degli  organi  corrisponde  nelle  elevazioni  e  depressioni  alle 
elevazioni  e  depressioni  del  cervello,  siccome  le  quotidiane  os- 
servazioni di  anatomia  Io  comprovano. 

Niun  frenologo  ragionevole  vorrà  stabilire  essere  finora  -co- 
gnite le  funzioni  di  circonvoluzioni  cerebrali  inaccessibili;  ma 
se  vuoisi  parlare  da  senno  il  sig.  Cerise  medesimo  non  sosterrà 
che  quest'obbiezione  distrugga  quello  che  è  cognito  ;  rimasero 
a  noi  ,  e  rimarranno  ai  nostri  nipoti  nuove  verità  a  scoprire  , 
ma  queste  non  annienteranno  quelle  già  trovate L'osser- 
vazione avendo  provato  che  il  termine  ,  o  l'espansione  di  al- 
cune circonvoluzioni  è  legata  ad  una  facoltà  conosciuta  ,  basta 
al  frenologo  per  istabilirla ....  Forse  che  prima  di  Gali  colle 
sezioni  del  cervello  fatte  da  p^iq  d'Azjr ,  sezioni  che  ci  la- 
sciano vedere  l'interna  struttura  delle  circonvoluzioni,  si  potè 
fissare  la  sede  di  una  sola  facoltà  ?  . .  .  E  le  lesioni  parziali  di 
organi  perchè  recano  la  perdita  isolata  di  alcune  facoltà,  siccome 
toccò  a  molti  di  osservare  ,  fra  cui  Larrej  relativamente  alla 
memoria  ,  non  comprovano  la  veracità  della  frenologia  ?  Il  cra- 
niometro  del  piemontese  nostro  Parroco  Giacoma  non  ci  pone 
in  grado  di  misurare  lo  sviluppo  degli  organi  ?  —  Che  la  fre- 
nologia relativamente  ad  alcuni  organi  sia  di  malagevole  appli- 
cazione ,  massime  quando  lo  sviluppo  di  un  organo  coincide 
collo  sviluppo  di  un  altro  di  mole  piccola  e  prossimo,  è  un  fatto 
dipendente  meno  dalla  scienza  che  dal  frenologo ....  che  la 
frenologia  poi  in  quanto  a  diverse  classificazioni  sia  in  armonia 
colla  credenza  di  sublimi  pensatori,  prova  che  la  verità  essendo 
ima  doveva  da  tutti  ravvisarsi  la  stessa  :  Gali  condotto  dall'os- 
servaziuue  trovò  il  supposto  eaistenle  tra  lo  sviluppo  di  i?u  or- 


425 

Sano  ,  ed  una  facollà  ,   e  questa  localizzazione  non  si  conosceva 

prima  di  lui Egli  la  confermò    in  mille  guise,  e  fa  d'uopo 

chiarire  erronee  le  sue  osservazioni  ,  se  si  vuole  rovesciare  il 
suo  sistema  .  .  .  Converrà  dimostrare  che  malgrado  la  diversità 
di  conformazione  nelle  circonvoluzioni  cerebrali  del  tigre  ,  del 
lione  ,  dell'ourang-outang ,  del  kangaroo ,  del  cane,  del  vitello, 
identiche  sono  le  facoltà ,  e  viceversa ,  perchè  le  medesime  fa- 
coltà non  siano  rappresentate  da  organi  diversi ,  ma  sempre  da 

organi  identici 

Laonde  soggiungeremo  che  una  dottrina  appoggiata  alle  os- 
servazioni deve  essere  confutata  nelle  sue  basi  ,  e  non  con  so- 
fismi, e  travisamenti  emettendo  invece  proposizioni  metafisiche 
non  dimostrate  per  abbagliare  gli  inesperti.  .  .  Pochi  fatti  con- 
trarii  non  valgono  a  dlstrurne  migliaia.  ...  Le  osservazioni  di 
anatomia  comparata  estese  assaissimo  da  F^imont  sono  pure  no- 
tìzie che  avrebbero  dovuto  prendersi  in  considerazione  dal  D. 
Gollegiato  Mqffbnì,  e  studiarsi  *i  prima  di  tacciare  i  frenologi  di 
mala  fede.  .  .  Se  poi  vogliamo  gettare  uno  sguardo  alle  osser- 
vazioni instituite  sulla  specie  umana,  il  medesimo  avrebbe  rin- 
venuto anche  in  Piemonte  una  prova  della  realtà  della  freno- 
logia *2  e  non  già  un  fatto  di  mala  fede.  .  .  Inoltre  a  soste- 
nere tale  argomento  bisognerebbe  dimostrare  che  Kaiicauson 
fu  così  industrioso  nella  meccanica  dopo  le  istruzioni  avute , 
e  non  per  semplice  impulso  intuitivo  di  un  pendulo  .  .  .  che 
un  Btrlinazzi ,  ed  un  Betti  mimici  valentissimi  coll'organo  dell' 
imitazione  pronunciatissimo  divennero  tali  per  l'educazione... 
Eppure  Bertinazzi  studiava  legge  ,  e  di  slancio  sorprese  gli  spet- 
tatori ,  ed  il  Betti  era  ragazzo  di  età  e  di  azioni;  e  conveniva 

*i  Ad  esempio  di  quanto  fece  Fimonl,  il  quale  studiò  la  frenologia  per  con- 
futarla ;  ma  conosciutane  la  base  divenne  uno  dei  più  caldi  patrocinatori  della 
medesima. 

*a  Vedi  Repertorio  Medico-chirurgico  del  Piemonte  anno  XIV  volume  del 
i835  pag.  i85  ove  rapportasi  la  necroscopia  del  teschio  ,  del  cranio  e  del  cer- 
vello di  uno  sciagurato  che  colle  sue  ncfandità  riempi  di  orrore  le  popolazioni 
del   Canavese.     ...    Necroscopia    riferita   dai    giornali    di   Napoli  ,    di  Parigi  ,   di 

Edimburgo  ccc Più  vedi  le  tesi  di  aggregazione  del  Dolt.  Bonacossa,  e  le 

Elfi  nieridi  (ìsico-mcdichc  del  Piemonte,  fogli  2,  4,  6,  12,  i3,  17,39,  3i  ,  32 
38,  dell'anno  i836. 

26 


426 

strapparlo  dai  compagni  coi  quali  giuocava  per  le  strade  ,  e 
condurlo  sulle  scene  per  esservi  ammirato. 

Le  discussioni  tra  Gali  e  Spurzheim  circa  alcuni  punti  di 
frenologia  provano  non  acquistarsi  le  cognizioni  sempre  di  bot- 
to ,  e  che  le  massime  stabilite  da  Gali  sono  fondate  sopra  un 
gran  numero  di  osservazioni Egli  si  astenne  dal  pronun- 
ciare quando  i  fatti  da  lui  conosciuti  non  erano  bastante- 
mente   chiari  e    numerosi Quante  polemiche  si    agitarono 

sopra  argomenti  religiosi ,  fisici  ,  medici ,  ecc.  ?  ma  chi  dirà 
per  questo  non  sussistere  né  la  religione ,  né  la  fisica  ?  Si  ri- 
nunzierebbe  al  buon   senso   aderendo   a   sì  fatta  conclusione. 

La  frenologia  considerando  esistervi  casi  di  straordinarie  in- 
clinazioni proclama  la  tolleranza  verso  gli  altri,  ma  non  l'in- 
giustizia  Essa  è  di  accordo  col  Vangelo  nel  modo  il  più 

rigoroso:  questo  predica  di  amare  il  prossimo  come  noi  stessi, 
ma  somministrando  la  frenologia  i  mezzi  per  conoscere  i  varii 
gradi  d'imputabilità  ,  determina  eziandio  fino  ad  un  certo  punto 
un'equa  applicazione  della  legge,  e  ciò  che  più  importa  la  me- 
desima insegnando  a  distinguere  per  tempo  le  capacità  assolute, 
e  relative  degli  uomini  porge  utilissimi  e  filosofici  principii  di 
educazione  dirigendo  opportunamente  lo  sviluppo  di  alcuni  or- 
gani, temperando  coli' esercizio  di  altri  antagonisti  l'impiego 
di  quelli  che  preponderanti  ed  isolati  sarebbero  crudele  sti- 
molo a  biasimevoli  azioni. 

Le  persone  poi  di  straordinario  talento  in  qualche  ramo  , 
presentando  lo  sviluppo  di  quel  tal  organo  comQ  consta  dalle 
osservazioni  di  frenologia  ,  ci  additano  pure  a  qual  genere  di 
opere  debbansi  dedicare  gli  individui  di  una  simile  organizza- 
zione ,  essendo  indubitato  constare  la  terrestre  felicità  in  gran 
parte  dall'indole  delle  azioni  a  cui  ci  trasporta  il  proprio  or- 
ganismo. Il  proverbio  poetae  nascuntur  è  applicabile  alla  mu- 
sica ,  alla  mimica ,  alla  pittura  ,  al  calcolo  ecc.  Siccome  poi 
l'organismo  diventa  più  attivo  per  l'esercizio  :  così  l'educazione 
esercitando  alcuni  organi  promove  la  perfezione  degli  stromenti 
per  cui  l'animo  spiega  le  sue  facoltà Che  tutti  gli  indi- 
vidui poi  non  godano  di  un'eguale  perfezione  di  facoltà  costi- 
tuisce un  assioma  non  meno  vero  di  quello  dell'  ineguaglianza 


427 

4eir  organismo    entro  certi  limili Ed  infatti  baslcià  loisc 

insegnare  la  politica  ad  un  idiota  per  crearlo  un  uomo  di  slato? 
Perchè  Montesquieu  sì  celebre  Magistrato  non  intendeva  i  calcoli 
geometrici  malgrado  le  istruzioni  avute  ^  e  da  lui  con  sommo 
impegno  studiate  ?  Potendo  l'educazione  pressoché  in  tutti  gli 
uomini  produrre  qualche  cosa  ,  e  la  maggior  parie  delle  teste 
umane  offrendo  un  regolare  sviluppo  senza  preponderanza  di 
organi ,  ci  spiega  perchè  comuni  essendo  ì  mezzi ,  la  moltitu- 
dine degli  uomini  sia  eguale  per  la  suscettività  delle  cose ,  e 
le  cognizioni  essere  in  rapporto  all'  educazione  avuta  ,  ma  ci 
spiega  altresì  come  alcuni  eletti  dalla  natura  siano  slati  più 
favoriti  diventando  celebri  senza  grande  fatica  e  per  unico 
impulso ,  sia  in  qualche  ramo  scientifico  ,  sia  in  qualche  genere 
di  azione,  cioè  a  motivo  della  preponderanza  degli  organi,  una 
essendo  la  attività  :  qui  è  il  caso  di  r^torquire  al  sig.  Gerise 
il  detto  di  San  Paolo  epist.  Corint.  xn.  4- 

E  giacché  il  D.  Gerise  per  combattere  la  frenologia  si  serve 
di  argomenti  metafisici ,  aggiungendo  questa  scienza  immorale 
tendere  al  rovescio  dei  principii  religiosi  ,  noi  crediamo  bene 
di  rispondergli  anche  in  proposito ,  osservandogli  essere  la  fre- 
nologia la  sola  scienza  filosofica  che  sia  perfettamente  concorde 

col  nuovo  ed  antico  Testamento Ed  in  vero  dalla  Genesi 

(  cap.  I.  e  2.  )  noi  sappiamo  che  Dio  creò  l'uomo  ad  imma- 
gine e  similitudine  sua  ,  cioè  che  diede  un'  anima  eguale  a 
tulli  gli  uomini  ,  e  sappiamo  poi  dal  Vangelo  che  distribuì  i 
talenti  a  diversi  gradi  ,  talenti  che  si  moltiplicano  coli'  eser- 
cizio ,  e  coU'educazione  (  vedi  la  parabola  «  Et  uni  Jedit.  quin- 
(jue  talenta  »  ). 

Forza  è  dunque  di  conchiudere  che  identica  essendo  l'anima 
piacque  al  Creatore  d'impi'imere  una  differenza  di  capacità  coi 
diversi  mezzi,  colle  modificazioni  cioè  dell'organismo..  .  Quindi 
la  frenologia  avendo  per  iscopo  la  conoscenza  di  queste  varie 
modificazioni  ,  non  può  essere  una  scienza  antievangelica.  .  .  . 
Invitiamo  il  lettore  per  meglio  convincersi  di  quanto  sosteniamo 
a  leggere  la  dottissima  memoria  del  signor  Don  Giacoma  Par- 
roco di  Borgaro,  intitolata:  Rijlcssioiii  sul  sisicma  frenologico  del 
Doli.  Gali,   e  proposta  d'un  craniomctro  (  Torino   i83(>  ). 


428 

Ci  piacerebbe  cbe  un  imparziale  esame  venisse  instituito 
della  frenologia ,  scienza  che  pare  diffondersi  nella  nostra  pe- 
nisola ,  ma  quest'  esame  dovrebbe  essere  corroborato  da  fatti  , 
e  non  già  da  argomenti  stranieri  all'arte  medica  ,  e  raggiran- 
tisi  sopra  astruserie  metafisiche  male  applicate Un'  appo- 
sita raccolta  di  oggetti  frenologici  desunti  dall'anatomia  compa- 
rata ,  e  da  individui  fra  noi  cogniti  potrebbe  servire  di  base 
alle  future  indagini  ,  onde  senza  spirito  di  parte  ,  ed  in  buona 
fede  si  coltivasse  una  scienza  delle  cui  basi  fondamentali  siamo 
tuttora  ìntimamente  persuasi,  sperando  inoltre  che  i  nostri  po- 
steri gioiranno  dei  benefici  lumi  provenienti  dalla  saggia  appli- 
cazione della  medesima  ai  sociali   consorzii. 

Medico  D-R. 


La  Letteratura  e  l'Archeologia  Greca  come  il  più  antico j 
e  più  forte  legame  fra  la  Grecia  e   il  resto  dell'Europa  *. 


(Vienna  addi  24  marzo  1837). 


I. 

La  Grecia,  madre  delle  arti  e  delle  scienze,  godette  anche 
sotto  il  giogo  di  Roma  d'una  quasi  religiosa  venerazione  per 
parte  degli  stessi  romani  *i.  I  Greci  erano  gli  educatori  e  i 
maestri  dei  figli  dì  quei  superbi  vincitori ,  e  la  gioventù  romana 
visitava    Atene   onde   perfezionarsi   in   ogni  genere  dì  coltura  ; 

*  Quesl'  artìcolo  scritto  in  Greco  -  moderno  ed  inserito  nel  Giornale 
«  ò 'EXAwvJxig  rap^yS^ójUeg  »  si  presentò  per  la  prima  volta  tradotto  in  tede- 
sco ai  lettori  del  Magazin  far  die  literatw  des  Aulandes. 

"i  Orazio  lip.  II.  1.  i56.  Graccia  vieta  fvrum  viclorem  caepil. 


429 

mentre  gli  scrittovi ,  i  poeti ,  e  gli  artisti  romani  ,  anziché 
vergognarsene,  si  pregiavano,  e  raccomandavano  assai  d'imitare 
i  capolavori  dei  Greci  *i. 

Ma  anche  questo  tempo  passò.  Ottant'anni  circa  dopo  la 
divisione  dell'impero  romano  in  occidentale  e  orientale  ,  divenne 
il  primo  preda  dei  barbari  ^  l'ultimo  all'incontro  si  mantenne 
ancora,  egli  è  vero,  per  dieci  secoli,  ma  benché  scosso  con- 
tinuamente da  turbolenze  interiori ^  e  da  esterni  assalimenti 
molto  più  attendeva  a  contese  dogmatiche,  che  a  respingere  le 
orde  nemiche  dai  confini  dell'impero  ed  a  riconquistare  le  per- 
dute Provincie.  Gli  abitatori  dell'impero  d'Oriente  ,  ingrati  ne- 
poti  degli  antichi  greci  e  rimescolati  con  altre  nazioni  ,  si  spo- 
gliarono persino  del  nome  dei  loro  propin  antenati ,  ed  invece 
dì  greci  si  appellarono  romani.  Con  tuttociò  ritennero  bensì 
la  loro  madre  lingua  ,  ma  perdettero  la  profonda  cognizione 
della  medesima  e  l'intelligenza  delle  grandi  opere  in  essa  com- 
poste. Soltanto  nei  chiostri  si  mantennero  alcune  deboli  traccie 
della  letteratura  e  filosofia  greca.  E  questa  letteratura  in  altro 
non  consisteva  che  in  arida  grammatica,  estrema  filologia;  la 
poesia  si  fece  un'arte  di  rimeggiar  senza  gusto  ,  e  la  divina 
filosofia  di  Socrate  e  di  Platone  decadde  in  una  infeconda 
sofistica.  In  una  parola  le  tenebre  della  barbarle  che  pesarono 
su  tutta  Europa  ,  si  distesero  in  un  grado  più  forte  ancora  sulla 
Grecia,  patria  dell'incivilimento  e  della    sapienza. 

Questo  era  il  carattere  e  la  situazione  generale  di  quel  tempo 
quando  ad  un  tratto  nello  spazio  di  mezzo  secolo  alcune  im- 
prevedute circostanze  contribuirono  a  richiamar  nuova  vita  in 
Europa  ,  e  a  ridestare  di  mezzo  alle  tenebre  alcune  scintille  di 
luce,  le  quali  doveano  mutar  la  faccia  del  mondo.  Basti  di  qui 
ricordare  soltanto  e  le  importanti  invenzioni  della  stampa  e 
della  polvere  di  cannone  ,  e  la  scoperta  d'America  e  del  tra- 
gitto per  le  Indie  occidentali.  Quasi  nello  stesso  tempo  accadde 
anche  la  conquista  di  Costantinopoli  ,  che  in  questa  combina- 
zione di  avvenimenti  merita  da  noi  un  riguardo  particolare. 
Parecchi  greci  eruditi  che  fuggivano  in  Italia  la  tirannia  degli 

*i  Orazio  ,  arte  poetica  268  :   f^os  exemplaria  graeca  eie. 


430 

Osmani  ,  in  Ttalia  ,  ove  già  uu  secolo  prima  per  lo  studio  dei 
classici  latini  e  lo  opere  d'arte  trovate  iu  seno  alla  terra,  avea 
cominciato  la  rinascenza  della  coltura,  vi  portarono  copie  delle 
opero  degli  antichi  scrittori  greci.  Altri  uomini  distinti  si  de- 
dicarono allora  allo  studio  della  lingua  greca ,  e  delle  opere 
in  essa  composte  ,  e  superarono  ben  tosto  i  loro  maestri.  La 
stampa  poco  prima  trovata  ,  moltiplicò  con  portentosa  celerità 
cosi  gli  scritti  degli  antichi  greci  ,  come  quelli  dei  loro  com- 
mentatori 5  e  dopo  una  generazione,  lo  studio  della  rinata  let- 
teratura greca  si  era  già  dilatato  per  tutta  Europa.  I  nomi  di 
Omero  e  Tucidide,  di  Sofocle  e  di  Platone  risuonarono  dalle 
scuole  d'Italia  sino  al  nordico  polo,  e  dagli  estremi  confini  del 
Portogallo  sino  alle  sponde  del  Baltico  ,  e  lo  spirito  di  questi 
uomini  straordinarii  riaccese  in  mille  e  mille  il  fuoco  celeste 
della  poesia  e  della  filosofia  ,  lo  zelo  della  riflessione  e  delle 
indagini ,  e  l'impulso   all'educazione. 

Da  quell'epoca  in  poi  l'Europa  percorse  a  passi  giganteschi 
la  via  della  civiltà;  Considerando  sempre  la  Grecia  come  la 
madre  delle  scienze  e  delle  arti ,  al  di  cui  maggiore  sviluppo 
intendeva  continuamente.  D'allora  in  poi  la  greca  letteratura 
restò  e  resterà  uno  degli  oggetti  principali  dello  studio  nelle 
scuole ,  ed  il  mezzo  migliore  di  formare  l'intelletto  della  gio- 
ventù ,  e  di  arricchirlo  di  idee  generose.  Migliaia  di  giovani 
imparano  ad  amar  la  Grecia  ,  come  la  fonte  della  loro  intel- 
lettuale coltura  ,  a  stimare  gli  uomini  sorami  dell'antichità  come 
i  benefattori  dell'uman  genere,  e  provano  un  senso  di  riverenza , 
pronunziando  i  nomi  di  Atene  e  di  Sparta ,  delle  Termopili 
e  di  Maratona. 

Tale  è  il  legame  ,  che  congiunge  la  Grecia  da  secoli  col 
rimanente  d'Europa:  questa  è  l'origine  della  lor  parentela,  più 
stretta  assai  di  quella  del  sangue.  Intanto  la  Grecia,  spogliata 
persino  del  suo  nome  e  delle  sue  rimembranze  ,  gemeva  sotto 
il  giogo  d'una  inumana  tirannia  ,  quantunque  i  suoi  figli  nu- 
trissero ,  anche  in  servitù  ,  nel  loro  seno  vivissime  le  scintille 
della  rigenerazione.  Il  concento  della  gloria  dei  lor  maggiori 
dalle  spiaggie  d'Europa  risuonava  sempre  più  forte  all'orecchio 
dei  Greci,  le  scienze  bandite  uu  di  dalla  Grecia,  ed  accolte  e 


451 

coltivate  ili  Europa,  cominciarono  a  ritoi'uare  insenslbilmeule 
nella  lor  patria  :  quelle  scintille  lìnalmcnte  si  fecer  fiamma. 
La  Grecia  die  di  piglio  alle  armi,  il  inondo  incivilito  alzò  ini 
grido  di  gioia,  e  la  aiutò  nella  lotta  contro  i  tiranni,  e  la  Grecia 
solennizzò  la  sua  risurrezione. 

II. 

Noi  crediamo  di  aver  dimostrato  l'essenza  ,  e  i  motivi  della 
intima  colleganza  fra  la  Grecia  ed  il  resto  d'Europa.  Ora  ci 
opporrà  ijualclieduno  essersi  questa  essenza  deirammesso  legame 
cangiata;  la  Grecia  attuale  appena  desta  da  un  lungo  e  pro- 
fondo letargo,  trovar  l'Europa,  sua  gioviu  sorella,  più  assai 
innoltrata  nelle  arti  e  nelle  scienze,  ed  abbisognar  tanto  più 
del  di  lei  sostegno  e  della  di  lei  istruzione.  E  ciò  veramente 
in  qualche  rapporto  debbe  esser  concesso.  La  Grecia  deve  di- 
fatti farsi  ridare  dall'Europa  il  seme  della  maggior  parte  delle 
scienze  ,  per  ispargerlo  nuovamente  sul  suo  fecondo  terreno. 
Ma  essa  custodisce  ancor  nel  suo  seno  tesori  inesauribili  per 
le  scienze  e  le  arti,  e  ponendoli  in  luce  e  facilitando  le  ri- 
cerche dei  dotti  ,  apparirà  anche  per  l'avvenire  benefattrice  e 
maestra  d'Europa,  e  terrà  vivo  l'antico  santissimo  nodo  fra  essa 
ed  il  mondo  incivilito. 

E  facile  a  comprendere ,  che  qui  vogliamo  parlare  delle  così 
dette  antichità  ,  di  quei  ricchi  tesori  dell'arte  antica  ,  della  ar- 
chitettura, della  scultura,  della  plastica,  e  della  pittura,  e 
fiualmente  anche  di  quelli  che  giacciono  nascosti  uelle  iscri- 
zioni ,  le  quali  non  solamente  gettano  spesso  nuova  luce  sulla 
storia  della  Grecia  e  dei  paesi  finitimi,  come  anche  sulla  storia 
dello  spirito  umano  in  complesso  e  su  quella  delle  arti  e  delle 
scoperte  ,  ma  aumentano  ben  anche  la  cognizione  dell'antico 
idioma  dei  Greci ,  e  ci  conservarono  persino  dei  canti  di  poeti 
le  di  cui  opere  andarono  smarrite  nel  generale  decadimento 
dell'antica  letteratura. 

I  diversi  governi  che  si  succedettero  nella  Grecia  dal  tempo 
della  rivoluzione  seppero  apprezzare  l'importanza  di  questo  as- 
sunto ,  e  si  affrettarono  a  proibire  il  trasporto  di  antichità  dalla 


Aù2 

Grecia  ,  e  ad  ordinare  la  conservazione  degli  edifici  e  dei  mo- 
numenti ancora  esistenti  (  veggansi  le  risoluzioni  della  dieta 
nazionale  di  Trezene  nel  1827).  A  questo  solo  potevasi  limi- 
tare il  governo  durante  la  guerra.  Altre  misure  furono  prese 
quando ,  dopo  l'arrivo  in  Grecia  del  Presidente  Capodistria 
(1828),  le  circostanze  assunsero  un  altro  aspetto  e  crebbero  le 
rendite.  Per  decreto  del  Presidente  del  20  ottobre  1829  venne 
stabilito  in  Egina  un  Museo  pubblico  sotto  la  direzione  del 
noto  arcbeologo  Mustoxidi.  La  Dieta  nazionale  di  Argo  con- 
fermò la  decisione  presa  in  Trezene,  e  il  23  giugno  i83o  ri- 
lasciò il  Presidente  una  circolare  a  tutti  i  Governatori  ,  in  cui 
era  fissato  un  preciso  regolamento  intorno  alle  anticbità  ,  e  in 
cui  essi,  come  ogni  altro  amico  delle  arti  ,  venivano  eccitati 
a  contribuire  all'arriccliimento  del  Museo  nazionale;  ed  il  Go- 
verno intraprese  nel  tempo  stesso  degli  scavi  in  Egina  ,  Me- 
gara ,  Delfi,  Ciduo ,  ed  altri  luoglii. 

Tutte  queste  nìisure  furono  secondate  da  felici  risultamenti. 
Nello  spazio  di  circa  tre  anni,  sino  al  i8>ji,  nel  museo  che 
si  trovava  ancora  in  Egina  ,  per  mancanza  di  conveniente  lo- 
cale in  Atene,  si  radunarono  alcune  centinaia  di  oggetti  d'arte 
in  marmo  (statue,  bassi  rilievi,  frammenti  di  edifici,  monu- 
menti sepolcrali ,  iscrizioni  ed  altro  ),  una  gran  parte  dei  quali 
sono  veramente  belli  e  considerevoli  5  oltre  a  ciò  esso  conte- 
neva una  non  ordinaria  collezione  di  vasi  d'argilla  ,  di  monete 
e  di  altre  anticaglie.  Dopo  la  morte  del  Presidente  però,  e  in 
conseguenza  delle  turbolenze  die  allora  insorsero  ,  non  solo  fu 
trascurato  il  suddetto  regolamento ,  ma  venne  in  parte  saccheg- 
giato il  Museo  stesso  in  Egina. 

Dopo  la  venuta  del  re  Ottone  (i83'i)  la  reggenza  rivolse 
nuovamente  la  sua  attenzione  a  questo  soggetto ,  lo  riordinò 
con  una  legge  del  io,  22  maggio  i834  e  nominò  il  richiesto 
personale.  Parecchie  antichità  trovate  nelle  isole  e  nel  Pelo- 
ponnese  furono  ancora  mandate  al  Museo  di  Egina,  mentre 
quelle  rinvenute  in  Atene  sotto  la  direzione  di  Pitachi  eletto 
conservatore  di  antichità  pel  greco  continente ,  ivi  rimasero 
dopoché  Atene  fu  destinata  capitale  del  regno.  Un  più  largo 
campo  s'aperse  airArchcologia  quando  la  sede  del  Governo  vcane 


455 

difatti  trasportata  in  Atene.  Fu  decretato  il  disgombro  della 
Agropoli  dalle  mine  e  il  riprislinamento  dei  suoi  stupendi  edi- 
fici, in  quanto  era  possibile;  e  già  il  3i  dicembre  i834  co- 
minciarono i  lavori  cbe  durano  ancora.  Gli  effetti  superarono 
l'aspettazione.  Il  tempio  della  Vittoria  non  alata,  danneggiato 
dai  Turchi  pria  dell'ultima  guerra  con  Venezia  nell'anno  i684, 
fu  ritrovato  quasi  tutto  in  frantumi  e  poscia  quasi  interamente 
rimesso.  Una  gran  parte  del  piano  dell'Agropoli  venne  scavata 
e  liberata  dalle  macerie  •,  vi  si  trovarono  molte  opere  di  Fidia 
appartenenti  al  Partenone  ,  come  pure  una  quantità  di  statue, 
bassi  rilievi  ed  iscrizioni  importanti  per  la  storia  antica.  Le 
macchine  e  gli  apparecchi  necessarii  all'innalzamento  delle  co- 
lonne del  Partenone  ,  son  pronte ,  ed  in  pochi  mesi  debbono 
essere  erette  *i.  Le  spese  per  tutti  i  lavori  sull' Agropoli , 
comprese  quelle  della  compra  e  costruzione  delle  macchine,  dal 
3i  dicembre  1 834  sino  ad  ora  (luglio  i836)  ammontarono  in- 
circa a  5o,ooo  dramme,  dalle  quali  però  debbono  essere  diffal- 
cate 20,000  dramme  guadagnate  nella  vendita  degli  oggetti  su- 
perflui 5  e  però  la  spesa  netta  rimane  di  36,ooo  dramme  ,  som- 
ma che  restò  in  Grecia  e  contribuì  al  sostentamento  di  mol- 
tissime famiglie  ,  essendoché  gli  individui  occupati  in  quei  la- 
vori erano  greci  e  terrazzani. 

Il  tempio  di  Teseo  che  dopo  i  monumenti  dell'Agropoli  è 
il  più  importante ,  e  il  meglio  conservato  fra  tutte  le  opere 
dell'antica  architettura  nella  Grecia  ,  fu  poco  fa  destinato  ad 
una  gliptoteca ,  essendone  stato  prima  migliorato  il  tetto  ed 
alcune  altre  parti  sulla  spesa  di  circa  5 eoo  dramme.  In  questo 
tempio  fu  già  esposto  un  gran  numero  di  bassi  rilievi  ,  che  si 
trovarono  nelle  scavazioni  al  Pireo,  ed  in  Atene.  Fra  le  statue 
più  notevoli  havvi  un  Apollo  rinvenuto  in  Tira  ,  che  appar- 
tiene all'antico  periodo  dell'arte  egizia;  poscia  un  Ermete  dì 
Timo  ,  una  statua  di  Stilos  ,  una  Atene  (Minerva),  ed  un  leone 
pugnante  contro  un  cavallo.  Per  mancanza  di  spazio  non  si 
potè  collocare  nel  tempio  varii  altri  pezzi  di  merito  secondario, 


*i  Quest'articolo,   come  viene    accennato  poche  lince  dopo,    fu  scritto  nel 
luglio  del  i836. 


454 

e  lo  stesso  motivo  impedisce  pure  ch'esso  venga  aperto  al  pub- 
blico regolarmente. 

Oltre  a  ciò  il  Governo  raccolse  in  Megara,  Tespia  in  Beozia, 
in  Andro  ed  altri  luoghi  statue  bellissime,  le  quali  debbono 
far  parte  della  collezione  di  Atene ,  tostochè  lo  permettano  le 
circostanze. 

Mentre  di  questo  modo  volgea  il  Governo  le  sue  cure  alla 
formazione  d'un  centrale  museo,  pensò  pure  all'erezione  di  musei 
secondarli  nei  singoli  paesi ,  come  a  Sira  ,  a  Timo ,  a  Sparta, 
a  Tegea  ,  a  Megalopoli  e  a  Tebe.  In  queste  collezioni  trovansì 
in  parte  statue,  in  parte  bassi  rilievi ,  vasi ,  inscrizioni  e  monete. 

Trasferito  il  Governo  in  Atene,  vi  fu  pure  trasportata  la  col- 
lezione numismatica  di  Egina,  ed  accresciuta  moltissimo  d'allora 
in  poi  mediante  donazioni  particolari.  Per  dare  una  maggiore 
estensione  e  sviluppo  a  questo  ramo  di  archeologia  tanto  rile- 
vante per  la  cognizione  dell'antica  geografia,  della  storia  poli- 
tica e  della  storia  dell'arte  ,  ne  confidò  la  direzione  a  Giede 
esperto  numismatico,  associandosi  anche  la  collezione  dei  vasi 
di  terra  cotta  la  quale  pei  prodotti  degli  scavi  in  Atene ,  Trura, 
e  Tira  venne  considerabilmente  crescendo. 

Una  parte  singolarmente  importante  delle  antichità  trovate 
nella  Grecia  sono  ,  come  abbiamo  osservato ,  le  iscrizioni.  A 
bella  prima  però  esse  non  presentano  un  interesse  particolare 
che  ai  soli  dotti  occupantisi  di  storiche  ricerche  ,  ed  assomi- 
gliano in  qualche  modo  ad  un  rozzo  blocco  di  marmo  il  cui 
interno  valore  il  solo  architetto  conosce  ,  mentre  l'indotto  ap- 
pena vi  rivolge  uno  sguardo.  Ma  se  queste  iscrizioni  vengono 
dilucidate  ed  ordinate  da  un  profondo  conoscitore  ,  ne  emerge 
a  poco  a  poco  un  edificio  storico  ,  la  di  cui  inaspettata  bel- 
lezza sorprende  ;  come  dimostrò  il  signor  Boch  nella  sua  opera 
(i  Sulla  economia  politica  degli  Ateniesi.  »  Noi  stessi  perciò  ci 
siamo  fin  qui  limitati  di  pubblicare  nei  giornali  soltanto  quelle 
iscrizioni  che  offrono  un  generale  interesse  ,  contribuendo  alla 
soluzione  di  dubbi  tipografici  e  storici ,  sin  che  una  volta 
l'esteso  commercio  librario  nella  Grecia  agevolò  la  pubblica- 
zione anche  delle  altre  ,  e  la  fondazione  d'una  Università  ren- 
dendo più  generale    lo  studio  di  questa  parte  dell'archeologta 


435 

e  delle  scienze  ausiliarie  alla  storia ,  avrà  formato  un  più  largo 
circolo  di  lettori  per  le  raccolte  delle  iscrizioni  *i. 

E  questo  basti  intorno  a  ciò  che  il  Governo  Greco  fece  sin 
ora  per  la  parte  scientifica  dell'archeologia.  Per  quel  che  ri- 
guarda un'altra  parte  di  questo  soggetto  ,  qui  noteremo ,  che 
in  ciascun  anno  i5  a  20  mila  viaggiatori  si  recano  a  Roma  e 
a  Napoli  e  i  più  coll'intenzione  di  vedere  e  studiarvi  le  anti- 
chità ;  cosicché  a  certo  riguardo  si  può  dire  che  Roma  viva 
in  gran  parte  del  concorso  degli  stranieri,  e  senza  alcun  dub- 
bio una  gran  parte  di  essi  visiterebbe  la  Grecia  e  nominata- 
mente Atene  ,  se  fosse  stabilita  per  mezzo  di  battelli  a  vapore 
una  regolare  comunicazione  coll'Italia  *2.  Ammettendo  a  3ooo 
soltanto  il  numero  annuale  dei  forestieri  verrebbe  in  Grecia 
posta  in  circolazione  una  somma  di  danaro  non  piccola. 


*i  Nell'anno  i834  l'autore  di  questo  articolo  pubblicò  il  primo  fascicolo 
delle  iscrizioni  greche  ancora  inedite  sotto  il  titolo  di  «  Jnscriptiones  Greca» 
ineditae.  »  Egli  scrisse  pure  l'opuseoletto  ;  «  Hercule  et  Nessus  ;  peinlure  d' un 
fase  de  Tence  Athènes  i835. 

*■!  Ciò  avvenne  in  certo  qual  modo  quest'anno  dal  lato  d'Italia  e   di  Francia. 


Trad.  di  T.  G. 


436 

POESIE    INEDITE    DI    SILVIO    PELLICO    DA    SALUZZO 

Voi.  2.  Torino,  presso  Giuseppe  Bocca. 


Io  ammiro  l'autore  della  Francesca  da  Rimlni  per  l'alto  suo 
ingegno.  Lo^^venero  ed  amo  per  1'  egregie  sue  doti  di  cuore  e 
d'  animo,  e  per  la  memoria  delle  sue  famose  sventure.  Que- 
sti sensi  di  simpatia,  d'ammirazione  e  di  compianto  io  credo 
condividerli  con  quante  sono  anime  gentili  in  Piemonte  e  in 
Italia  non  solo,  ma  anche  fuori  del  Piemonte  ovunque  il  nome 
di  Pellico  sia  pervenuto,  e  non  ignota  la  storia  de'  suoi  dolori. 
Altro  io  non  so  scorgere  in  esso  che  un  nohile  amico,  un  amico 
che  io  volontieri  abbraccio  ove  il  minor  s'appiglia:  e  quanto  alla 
palestra  drammatica,  l'emerito  atleta  che  si  cinse  la  corona, 
quand'  io  a  quella  osava  appena  innalzare  un  timido  e  lontano 
pensiero.  Lungi  adunque  da  me  la  pretensione  di  esercitare  a 
suo  riguardo  l'ufficio  di  critico,  di  sedermi  prò  tribunali  a  di- 
scutere il  merito  delle  sue  nuove  poesie.  Lascio  questa  provin- 
cia cui  spetta.  Il  mio  altro  non  sarà  che  un  annunzio.  Se  forse 
una  qualche  osservazione  mi  si  presenterà  cosi  ovvia  da  non 
saper  lasciarla  sfuggire,  protesto  sin  d'ora  ch'io  non  intendo, 
neir emetterla,  di  attribuirle  importanza  veruna. 

Il  primo  volume  è  tutto  di  liriche,  o  sacre  nel  più  stretto 
significato,  o  morali.  Lungo  sarebbe,  anche  a  modo  di  puro 
annunzio,  il  dir  di  tutte  singolarmente.  Accennerò  d'una  sola, 
le  ottave  sur  Ugo  Foscolo.  Fuvvi  chi  scrivendo  la  biografia 
di  questo  illustre,  fu  severo  alla  sua  memoria,  e  direi  quasi 
maligno:  perocché  più  sollecito  di  enumerarne  ed  amplificarne 


437 

i  difetti ,  che  di  discorrerne   ì  pregj ,  volle  poi  aggiunger   fede 
a'  suoi   racconti   coli'  autorità   d'una   lunga    e    assai  famigliare 


amicizia. 


Di  tua  vita  furenti  indagatori , 

Per  laudare  o  schernir  la  tua   memoria, 
Di  te  narrare  i  deplorandi  errori , 
Quasi  parte  maggior  della  tua  gloria. 
Falsato  indegnamente  hanno  i  colori! 
Del  tuo  core  ignorato  hanno  l' istoria  ! 
Ugo  conobbi  ,  o  ingiurianti  infidi  , 
E  tra'  suoi  falli  alta  virtude  io  vidi  ! 

Così  Pellico  :  e  a  chiunque  leggerà  queste  ottave  lascio  giu- 
dicare se  buono  e  generoso  uffizio  ei  rendesse  o  no  colle  me- 
desime all'  estinto  suo  amico ,  e  se  gli  amanti  della  fama  di 
Foscolo  non  debbaii  essergliene  grati. 

Il  secondo  volume  contien  sette  cantiche.  Questa  foggia  di  no- 
velle in  versi  sciolti ,  dove  gli  eventi  accessorii  vengono  brevis- 
simamente accennati,  e  si  trasvolano  lunghi  intervalli  di  tempo 
con  rapide  ed  ardite  transizioni  5  ma  per  V  opposto  de'  fatti 
principali  e  dei  principali  caratteri  descrivonsi  i  minuti  parti- 
colari; e  la  parte  affettuosa  poi,  la  parte,  dirò  cosi,  psicolo- 
gica ,  accuratamente  vi  è  svolta  5  questo  genere ,  dico ,  è ,  almeno 
in  Italia ,  proprio  di  Pellico. 

La  prima  cantica ,  che  porta  per  titolo  Rafaella ,  e  per  epi- 
grafe il  detto  de'  Proverbi  :  responsio  mollis  franga  irain,  sermo 
durus  suscitai  furorem ,  tende  a  dimostrare  quanto  più  agisca 
con  senno  ,  chi  parlando  il  vero  ai  regnanti ,  si  studia  condirlo 
di  miti  e  reverenti  parole ,  che  più  accettevole  il  rendano , 
che  non  colui  ,  che  d'  aspro  e  irriverente  linguaggio  veste  la 
verità  già  dura  di  per  stessa  all'orecchio  de' potenti  :  e  quanto 
possa  a  vincer  1'  ira  in  petto  virile  l' incanto  d'  un  dolce  lab- 
bro femmineo.  Ugo  nello  ,  cavalier  lombardo  ,  è  falsamente  ac- 
cusato ad  Ottone  II  della  morte  di  Emerigo ,  barone  carissimo 
all'imperatore.  xVldigero  trovatore  de' monti,  onde  scende  l'Eri- 
ilano  ,  trovandosi  in  V  ermia  alla  corte  d'Ottone  , 


438 

L' infiammato 
Inno  rivolse  a  pingere  l' iiom  giusto  , 
Che  i  maligni  allontanano  dal  trono 
Con  atroci  calunnie.  E  la  pittura 
Dell'  improvvido  vate   apertamente 
D'  Ugonel  presentava  e  le  sembianze  , 
E  le  virtù  ed  il  carcere.   . 

IVè  ciò  soltanto:  ma  ardì  mescere  a  questa  pittura 

Sentenze  tai ,  eli'  eran  flagello  al  core 
Di  taluno  frai  grandi. 

Quest'  improntitudine  non  che  persuada  l' Imperatore ,  lo 
commove  a  più  sdegno  contro  Ugonello ,  nella  cui  disgrazia 
già  sta  per  esser  involto  lo  stesso  Aldigero ,  che  ne  assunse  le 
difese  in  mal  punto.  Ma  Rafaella ,  valente  trovatrice  e  bellis- 
sima ,  s'  avanza  coli'  arpa  appiè  del  trono  ,  e  più  istrutta  dell' 
aulico  linguaggio ,  che  il  giovine  poeta  non  sia  ,  a  lusinghiere 
ed  ossequiose  lodi  mesce  tali  parole  che  a  serie  considerazioni 
eccitano  lamenta  di  Cesare,  il  quale ,  sospesa  la  condanna  di 
Ugonello,  alle  preghiere  di  Rafaella  perdona  poi  all'incauto  Al- 
digero. Meglio  esaminata  la  causa  dell'accusato,  questi  è  chiarito 
innocente.  Liberato  dal  carcere ,  e  grato  ad  amendue  i  suoi 
difensori,  che  viveano  innamorati  l'uno  dell'altro,  si  fa  me- 
diatore a  congiungerne  perpetuamente  i  destini. 

Ecco  della  detta  cantica  alcuni  squarci  per  saggio  dello  stile 
e  del  verso. 

Fascino  avea  sull'anima  d'entrambi    (Aldigeio  e  suo  padre) 

Que'  bellicosi  spiriti  la  luce 

De'  poetici  studi.  Il  viandante 

Le  valli  attraversando  in  notti  estive  , 

Violarsi  i  dolcissimi  silenzi 

Da  dilette  armonie  sui  colli  udiva  ; 

Ed  erano  i  due  vati ,  ardenti  spesso 

Di  queir  estro  recondito  e  divino  , 

Che  più  fra  il  riso  degli  ameni  campi, 

Che  nel  fragor  delle  città  sfavilla  . 


459 

Ma  r  estro  sempre  non  traean  da'  belli 

Maravigliosi  di  natura  aspetti. 

Or  contemplavan  ,  bianchi  di  spavento  , 

Le  tempeste  che  visitan  la  terra 

Come  i  ladroni ,  e  menan  beffe  al  pianto 

De'  poveri ,  cui  tutto  ban  divorato  ; 

Or  lunge  ramingavano ,  e  sui  laghi , 

E  sui  precipitevoli  torrenti , 

E  sulle  oceanine  onde  le  spume 

Ivan  solcando  ne'  perigli ,  all'  urto 

Più  feroce  de'  venti,  allor  che  il  legno 

E  s' innalza  e  sprofondasi  impazzato  , 

E  qual  degl'  imbarcati  urla ,  qual  prega 

Con  pentimento  e  con  secreta  angosce , 

Quale  il  nocchiero  interroga,  e  il  nocchiero 

Non  risponde,  ma  sibila  convulso. 


Quel  moversi  de'  popoli  irruente 
Verso  le  regie  case    un  mar  parea  , 
Che  traripando  inondi  la  campagna , 
E  le  universe  voci ,  ancor  eh'  allegre 
Rombavan  si  moltiplici  e  si  ferme, 
Che  la  tremenda  ricordavan  foga 
Di  città,  che  o  si  scagli  alla  rivolta, 
0  per  subiti  incendi ,  o  per  tremoto 
Impetuosa  dagli  alberghi  spanda 
Uomini  e  donne,  e  per  le  vie  cozzante 
Strilli  fuggendo  la  insensata  turba. 
Si  discernea  eh'  eli'  era  gioia  ,  e  pure 
Era  una  gioia  che  mettea  spavento. 

la  tali  urti  di  gente  il  buon  Romeo 
Da  una  parte  fu  spinto  ,  e  da  altra  parte 
Spinto  venne  il  suo  figlio ,  e  vanamente 
Qua  e  là  si  cercan  lungo  tempo  un  l'altro  , 
E  a  chiamarsi  a  vicenda  alzan  la  voce. 
11  sole  iva  all'  occaso  ,  e  detto  avresti 


440 

eh'  ei  discendesse  in  mezzo  al  gregge  umano , 
Tutto  affollato  sulla  immensa  terra. 
Quella  vista  e  la  splendida  vaghezza 
De'  nugoletti  occidentali ,  e  il  molle 
Neir  aere  della  sera  innominato 
Religioso  incantamento ,  e  in  blandi 
Fremiti  ornai  converso  il  fracassio, 
Ed  a  que'  blandi  fremiti  commista 
La  grata  dissonanza  or  de'  nitriti 
Che  le  briglie  scotendo  alza,  presago 
Della  vicina  stalla  il  corridore  ; 
Or  di  persone  salutanti ,  o  mosse 
A  subitanee  risa  ;  or  d'  allungato 
Grido  di  chi  da  lunge  appellar  sembra 
Con  dolce  affetto  un  qualche  suo  smarrito, 
De'  ti-ovadori  commovea  lo  spirto. 


Questa  pittura  piena  di  verità  è  chiusa  dai  seguenti  versi , 
che  ricordano,  parafrasandole  elegantemente,  due  assai  note 
terzine  di  Dante. 

Alle  soavi  rimembranze  è  schiuso 
Più  in  quella  vespertina  ora  che  in  altre 
Dell'  intero  suo  giorno  ,  il  cor  dell'  uomo  , 
Perocché  il  dileguarsi  della  lampa 
Che  a  tutti  è  lieta  ,  inchina  ogni  pensante 
Ad  affetti  patetici ,  e  al  ricordo 
Del  dileguarsi  della  vita.  Allora 
Diciam  la  requie  a'  nostri  pii,  che  insieme 
Un  di  con  noi  frangeano  il  pane,  e  al  sacro 
Ospitai  nappo  s'  estinguean  la  sete  , 
E  che  falce  di  morte  indi  ha  mietuto-, 
E  se  remota  è  la  natia  convalle  , 
L' invochiain  sospirando  ,  e  riportiamo 
Alle  cene  domestiche  e  alla  pace 
Del  proprio  letto   il  desioso  sguardo. 
E  le  vergini  piangono  a  quell'  ora 
Più  dolcemente  o  la  perduta  madre, 
0  r  amica  od  il  prode  ,  a  cui  risposto 


441 

Avea  gUt  il  cor,  se  non  le  labbra  :   «Io  t'amo!* 
Ed  a  queir  ora  tutto  ciò  nell'  ahna 
Sente  un  alto  poeta  ,  e  più  che  mai 
Con  mistica  armonia  s'  ordinan  belle 
D'  egregi  fatti  istorie  entro  sua  mente. 

Nella  Cantica  Ebelino  si  descrive  la  forte  pazienza  d'  un  ca- 
lunniato. Ebelino  favorito  di  Ottone  II  stringe  amicizia  con 
Guelardo.  Satana  che  s'  era  assunta  davanti  a  Dio  1'  orrenda 
missione  di  far  prevaricare  quel  giusto ,  è  segreto  mezzano 
della  fatale  amicizia. 

Iva  ci  cercando  1'  uomo ,  ' 

In  cui  scerne^se  il  dolce  volto,  e  i  dolci 
Atti ,  e  r  irrequieto  occhio  geloso 
Del  venditor  di  Cristo  ;  e  non  volgare 
Mente  si  fosse  ,  ma  gentil  ,  ma  calda 
Di  lodevoli  brame  ,  ed  inscia  quasi 
Di  sé  si  pervertisse  ,  e  vaneggiasse 
D'  amor  per  tutte  le  virtù ,  e  seguirle 
Tutte  paresse  ,  e  infedel  fosse  a  tutte. 
Tale  ,  od  un  vero  giusto  esser  dovea 
Chi  affascinasse  d'  Ebelino  il  core. 

Guelardo  all'ombra    del  suo  potente    amico    dlvien  potente 
anch'  esso  alla  corte  d'  Ottone. 
Intanto 

L'  augusto  sir  della  germana  sede 
Contezza  ebbe  di  fremiti  e  lamenti 
Neil' ahne  de' Lombardi  esasperate, 
Ed  a  sedarle  con  prudenza  invia 
Ebelino  e  Guelardo. 

I  ribelli  a  ciò  mossi  dalla  fama  di  Ebelino  gli  offrono  la 
corona  d' Italia  ,  eh'  egli  ,  fedele  a'  suoi  doveri ,  altamente  ri- 
fiuta. Guelardo  cui  lusinga  il  pensiero  di  sedersi  a  fianco  d'un 
amico  coronalo  ,  e  un  dì  fors'  anche  succedergli  ,  con  ogni  ge- 
nere di  seduzioni  1'  istiga  ad  accettare  la  pingue  profferta.  Ma 


442 

Ebelino  è  irremovibile  :  e  a  Guclartlo  che  non  cessa  dall'  in- 
festarlo, prima  con  pacate  ragioni,  poi  con  crucciose  parole 
risponde.  Di  ciò  Guelardo  s'  adonta.  Incapace  della  virtù  dell' 
amico  ,  la  crede  mentita.  S'  immagina  sprezzato  da  Ebelino  , 
invidiato  ,  abborrito.  Trasportato  dal  suo  livore  ,  sedotto  inol- 
tre dalle  lusinghe  della  greca  Teofania  moglie  di  Ottone  ,  si 
risolve  a  procacciar  dell'  amico  1'  estrema  rovina  ,  accusandolo 
all'  imperatore  di  fellonia.  Il  fedele  Ebelino  è  posto  in  carcere: 
soggiace  a  processo.  Guelardo  presiede  a'  suoi  giudici. 

Cela  Guelardo  il  suo  tremore  ,  e  prende 
Cosi  ad  interrogar  : 

—  Qual  è  il  tuo  nome  , 
0  sciagurato  reo  ? 

—  Sono  Ebelino 
Da  Villanova  ,  amico  tuo. 

—  Rigetto 
L'  amistà  d'  un  feilon.  Giudice  seggo. 
Che  macchinasti  co'  Lombardi  ? 

In  viso 
L'  accusato  guardoUo  e  non  rispose. 

E  Guelardo:  —  A  lor  trame  eri  secreto 
Eccitator  -,  t'  offrian  lo  scettro  ,   e  pronta 
Stava  tua  destra  ad  accettarlo  in  giorno  , 
eh'  ansio  esitavi  a  stabihre  ,  in  giorno 
Che  ,  la  mercè  di  Dio  ,  non  è  spuntato. 
Y'  ha  fra  i  complici  tuoi  chi  tua  perfidia 
Al  tribunale  attesta. 

E  poiché  muto 
Serbavasi  Ebelin  ,  vengon  a  un  cenno 
\  Que'  testimoni!  nella  sala   addotti. 

Eran  duo  di  que'  truci  esclaniatori 
Di  libertà ,  di  civiche  vendette  , 
Di  patrio  amor,  che  ne'  consessi  audaci 
Della  rivolta  più  fervean  ,  più  scherno 
Scagliavan  sui  duhbiauti  e  sovra  i  miti  , 
E  più  capaci  d'  affrontar  qualunque 
l'arean  supplizio  ,  anzi  che  mai  parola 
Di  codardia  al  proprio  scampo   sciorre. 


445 

Questi  eroi  da  macelli  ,  questi  atroci 
Ostentatori  d'  invincibil  rabbia  , 
Come  fur  tolti  a  lor  gioconde  cene  , 
E  gravato  di  ferri  ebbero  il  pugno  , 
E  il  patibolo  vider  ,  tremebondi 
Quasi  cinèdi,  le  arroganti  grida 
Volsero  in  turpi  lagrime  e  in  più  turpi 
Esibimenti  di  riscatto  inlame  , 
Altre  teste  al  carnefice  segnando. 

Dal  corrotto  tribunale  cui  presiede  Guelardo  ,  Ebelino  s'ap- 
pella all'  imperatore.  Questi  già  sta  per  cedere  all'  eloquenza  di 
lui  ,  e  alla  forza  dell'  antica  amicizia  ,  quando  sopraggiuugc 
Teofania  che  maestra  a  volger  le  chiavi  del  cuore  d'  Augusto  , 
con  uno  de'  suoi  magici  sguardi  rintuzza  quella  nascente  pietà. 

Torna  Ebelino  al  carcere  ,  e  già  scerne 
Che  inevitata  è  per  lui  morte.  Oh  come 
Lenti  di  nuovo  i  di ,  lente  le  notti 
Volgon  per  lui!   Quel  sempre  assomigliarsi 
D'  una  all'  altra  ora ,  e  la  perpetua  veglia , 
Ed  il  perpetuo  tenebrore  —  e  i  cibi 
Immondi  e  scarsi  —  e  1'  aspreggiante   vote 
Di  questo  o  quello  sgherro  —  e  il  frequent'urlo 
D'  altri  prigioni  disperati  ,  in  cupe 
Vicine  volte  seppelliti  —  e  il  suono 
De'  ceppi  loro  ,  e  quel  de'  propri  —  e  il  cauto 
Osceno  del  ladron  che  ,    bestemmiando  , 
La  forca  aspetta  —  e  i  gemiti  dell'  egro 
Forse  non  reo  che  sulla  paglia  spira  — 
E  il  sollecito  passo  delle  guardie 
Che  dicono  :   «  E  spirato  !»   —  e  questo  detto 
Che  1'  echeggiante  corridojo  in  guisa 
Ripete  orrenda  —  e  il  pianto  d'  un  amico 
Che ,  udendo  il  nome  dell'  estinto  ,  grida 
Dal  fondo  d'  un  covile  :   «  Ahi  !  gli  sorvivo  !  » 
E  per  dispregio  di  quel  pianto  il  ghigno, 
Od  il  sibilo  infame  di  coloro 
Che  trascinano  il  morto  —  e  con  siffatta 


411 

Serie  tV  inenarrabili  vicende 

Di  Castel ,  che  i  perenni  affigurava 

Dell'abisso  tormenti,  il  ricordarsi 

De' di  sereni  cbe  svanir,  de' plausi, 

Delle  liete  speranze,  e,  più  di  tutto, 

De'  dolci  affetti  -  ab  !  quella  è  tale  immensa 

Congerie  di  dolori  e  di  spaventi , 

Che  dissennar  minaccia  ogni  più  forte 

E  sdegnoso  intelletto  !  E  se  si  ponno 

Da  intelletto  simil  serbar  talvolta 

Contro  all'empia  fortuna  altero  scherno, 

O  pensieri  di  pace  e  di  perdono  , 

E  di  fede  nel  cielo  ,  ahi!  pur  ciuell'ora 

Amarisslma  vien  che  ineluttata 

Mestizia  il   cor  miseramente  serra  , 

E  non  v'  è  chi  consoU  !  Ed  altre  pan 

A  quell'ora  succedono,  e  d'angoscia 

In   angoscia  si  cade!  Ed  un'  ardente 

Smania  investe  il  cervello,  ed  impazzato 

Esser  si  teme  o  brama  !  E  il  generoso 

Petto  chiuder  non  puossi  all'  irruente 

Piena  dell'  odio  che  in  lui  versan  mille 

Della  viltà  degli  uomini  memorie  ! 

E  feroce  si  resta  ,  e  di  se  stesso 

S' inorridisce  ,  e  sclamasi  :    «  Son  io  , 

>,  Benché  non  conscio  di  mie  colpe,  un  empio .  » 

Ebelino  é  finalmente  dannato  a  nrovte  ,  ^  t-Uo  al  -pplizio 

f.alle  insane  urla  delle  turbe  sebera.tr.cr  ,  d.  ^j^f^^^T^l^^ 

.„  tempo  l'assordavan  d'applausi.  Muore  il  giusto  calunniato. 
11  calunniatore  trionfa.  Ma 

Perchè  perduto 
Delle  guance  ha  il  vermiglio  ,  e  la  baldanza 
Della  voce  e  del  guardo?  -  E  perche  al  riso 
Che  da  Teofania  volto  gli  è  spesso 
Non  ride,  e  gli  occhi  abbassa,  o  spaventato 
Mira  a  destra  e  sinistra  ?  -  E  perche  a  sera, 
Se  m  luoghv  oscuri  passa  ,  aflretta  il  piede 


445 

A  illuminata  parte  ,  e  ansante  giunge 

Quasi  inseguito  fosse  ?  —  E  perchè  cerca 

Talor  per  via  i  mendici,  e  su  lor  versa 

A  piene  mani  l' oro  ,   e  di  lor  preci 

L'  amto  invoca ,  e  inefficaci  poscia 

Di  quei  le  preci  ei  furibondo  chiama?  — 

E  perchè  ne'  festini  alcune  volte 

Cionca  e  sghignazza,  e  intrepido  si  vanta 

Contro  a  tutte  paure,  e  quando  a  letto 

Va  nell'  ebbrezza  ,  trema  ed  urla  ,  e  al  fido 

Servo  chiede  il  cilicio ,  e  se  lo  cinge  ? 

Tanto  può  su  Guelardo  il  suo  atroce  rimorso  ,  che  pas- 
sando un  giorno  a  lianco  d'Ottone  sulla  piazza, 

Ove  ancor  d'  Ebelino  ad  alto  palo 
Yedeasi  infisso  il  teschio, 

Malgrado  la  forza  eh'  ei  tenta  fare  a  se  stesso  per  celare  il 
suo  turbamento  ,  straluna  gli  occhi  ,  i  denti  gli  battono  forte- 
mente ,  sta  per  cader  da  cavallo , 

E  prepotenza  di  rimorso  invitta  , 
Ma  non  pia ,  lo  costringe 

a  confessare  ad  alta  voce  in  presenza  dell'  imperatore,  de'  suoi 
cortigiani  ,  e  dell'  affollato  popolo  ,  il  suo  nero  delitto. 

11  traditor  nel  suo  sangue  stramazza. 
Qua!  mano  il  colpo  die  priniier  ?  Mal  puote 
Fama  saperlo.  I  più  disser  che  ratto 
Un  ferro  in  cor  si  configgesse  il  tristo, 
Altri  che  Otton  percosselo.  Il  tumulto 
Ferve  con  rabbia  orrenda.  In  cento  brani 
Ecco  lacero  ,  pesto  ,  annichilato 
Il  cadavere  infame.  E  s'  inchinaro 
D'Ebelino  anzi  il  teschio  e  imperadore 
Ed  ottimati  e  popolo,  e  nel  tempio 
Dato  fu  loco  alla  reliquia  santa. 


446 

La  Cantica  Ilclegarde  è  come  la  Rafaella  un  elogio  della  fem- 
minea onnipotenza.  Irnantlo  e  Camillo  figli  di  due  baroni  che 
hanno  i  loro  castelli  sulle  opposte  rive  del  Pellice  ,  cresciuti 
insieme  dall'  infanzia  in  una  più  che  fraterna  amicizia  ,  fatti 
adulti  son  trasportati  in  contrarie  parti  dai  venti  delle  fazioni 
politiche  e  divengon  nemici.  Camillo  di  cuor  più  tenero  ed  af- 
fettuoso ,  confida  ad  Ildegarde,  sua  degna  sposa,  quanto  ei  viva 
tormentato  dall'  inestinguibil  desiderio  di  quella  antica  amici- 
zia :  e  come  gli  dolga  che  a  riconciliarlo  con  Irnando  siano 
riusciti  a  voto  gli  uffizi  di  parecchi  intercessori.  Consigliato  dalla 
moglie  a  prasentarsi  egli  stesso  ,  senz'  opera  di  mediatori  ,  all' 
amico  ,  ma  rattenuto  dal  deferire  a  tal  consiglio  da  umani  ri- 
spetti ,  si  appiglia  ad  un  partito  di  mezzo  ,  che  come  sogliono 
per  lo  più  i  mezzi  partiti  ,  gli  viene  fallito.  Invia  ad  Irnando 
un  messaggiero  j  che  l'itorna  narrando  i  vituperi ,  di  che  quegli 
lo  ha  colmo.  Camillo  nel  suo  furore  protesta  di  l'inunziar  per 
sempre  all'  amicizia  d'  Irnando  ,  del  quale  rimanendogli  (  me- 
moria fin  a  quel  giorno  carissima)  un  anello,  trattolsi  dal  dito 
lo  frange  in  cento  pezzi  ,  e  li  gitta  nel  fango.  Intanto  gli  giunge 
r  annunzio  che  il  castello  d'  una  sua  suora  è  assediato  da  illu- 
stri niasnadieri ,  ed  egli  senza  frappor  tempo  in  mezzo  corre 
in  suo  aiuto.  Allora  la  solitaria  Ildegarde  accoglie  un  felice  pen- 
siero. Varca  il  Pellice  con  pochi  famigli  ,  e  si  conduce  al  ca- 
stello d'  Irnando.  Quivi  introdotta  davanti  ad  Elina  ,  moglie  di 
quello  ,  romana  di  patria,  di  cor  fervente  e  di  gentile  intelletto, 
ma  entusiastica  anzi  che  no  ,  sicché  avea  credulamente  ricevute 
neU'  animo  le  tristi  impressioni  che  di  Camillo  le  avea  fatte 
il  suo  sposo  ;  le  chiede  amorevolmente  il  perchè  in  tanta  e  si 
sciagurata  ira  de'  loro  mariti  ,  elleno  donne  non  potrebbero  , 
serbandosi  straniere  alle  virili  discordie  ,  come  hanno  relazione 
di  vicinanza,  così  stringerla  pnvanche  d'amicizia?  E  tanto  sa 
dire  e  tanto  sa  fare  con  ogni  generazione  d'innocenti  arti  don- 
nesche ,  che  Elìna  ne  rimane  commossa,  e  il  marito  quivi  pre- 
sente ,  tutto  confuso,  tenta,  recriminando  Camillo,  scolparsi 
del  suo  ostile  contegno.  Ma  Ildegarde  tesse  di  Camillo  una  sì 
bella  difesa ,  e  tante  e  sì  irrefragabili  prove  adduce  del  non 
essersi  mai  spenti  nel  cuor  di  lui  i  prischi  aifettuosi  sensi,  che 


447 

irnando  vìnto  a  quella  soave  eloquenza  ,  lutto  commosso  e  mu- 
tato ,  sale  in  arcione,  e  seguito  da'  suoi  guerrieri  vola  in  aluto 
del  perigliante  amico.  Perigliante  sì ,  perchè  assediato  colla 
suora  nel  castello  e  ridotto  allo  stremo  per  difetto  di  vetto- 
vaglia ,  e  sedizione  del  presidio  ,  era  ,  senza  quel  soccorso  ,  alla 
vigilia  di  cader  nelle  mani  di  quegli  illustri  ladroni.  Le  due 
donne  intanto  al  tramontar  d'  ogni  sole  movevano  incontro  ai 
loro  mariti,  e  tornando  sempre  a  casa  digiune  de'  cari  aspetti, 
cominciavano  a  sospettare  di  qualche  disastro ,  a  rammaricarsi, 
a  tremare  :  e  la  focosa  Elina  die  più  d'  una  fiata  in  poco  gen- 
tili smanie  contro  la  compagna  ,  eh'  ella  osò  chiamare  cagione 
delle  sue  sventure.  Ma  1  due  prodi  riamicati  ritornano  final- 
mente all'amplesso  di  quelle  bellissime  ed  amorosissime  spose: 
e  prodigatasi  a  vicenda  la  lode  del  valore ,  e  confortati  di  buon 
nibbiolo  nelle  ospitali  sale  ,  e  rese  somme  grazie  alla  concilia- 
trice Ildegarde ,  cui  Elina  chiede  in  ginocchio  perdono  de'  suoi 
insani  trasporti  ,  quella  ,  a  memoria  di  cosi  lieto  evento ,  ed 
in  penitenza  de'  passati  rancori , 

Un'  annua  festa 
Intima  in  questo  e  in  quel  castel,  che  festa 
Dell'  amistà  si  chiami  ,  e  dove  ufficio 
De'  vati  sia  cantar  quanti  sospetti 
Calunniosi  partorisce  1'  ira , 
E  quanto  1'  ira  accrescano  le  ambagi 
De'  falsi  intercessori ,  e  quanto  egregia 
Sappia  interceditrice  esser  la  donna, 

Se'^qui  finisse  la  cantica,  pai'ml  che  avrebbe  una  più  bella 
e  nobile  chiusa  che  non  le  facciano  i  sette  altri  versi ,  dai  quali 
vien  terminata. 

Nel  poemetto  /  Saluzzesi  sì  cantano  le  dolorose  vicende  di 
Tommaso  Marchese  di  Saluzzo  ,  che  spogliato  della  signoria  da 
Manfredo  suo  zio,  fatto  prigione,  poi  ricuperata  a  peso  d'oro 
la  libertà  ,  pel  mal  reggimento  dell'  usurpatore  ,  ed  odio  de- 
gli stranieri,  di  cui  circondavasi ,  desiderato  in  breve  tempo 
da'  suoi  sudditi,  col  favor  loro,  col  proprio  valore  e  coll'aiuto 


448 

di  alili  stranieri  (perenne  e  noiosa  alternativa  tlelT  italìclic 
guerre  )  ricupera  il  perduto  marchionnal  soglio,  A  questi  avve- 
uimenti  storici  si  mescono  ,  quasi  episodio  ,  ma  più  importante 
dello  stesso  principal  tema,  le  avventure  di  Eleardo  cavalier 
saluzzese ,  che  seguace  dapprima  dell'  usurpatore,  rivoltato 
allo  spettacolo  delle  sue  atroci  sevizie  ,  si  associa  alla  sorte 
dell"  espulso  Tommaso.  I  suoi  amori  colla  figlia  d'Arrigo,  cal- 
dissimo fautore  di  Manfredo  ,  il  ferreo  ed  indomabil  carattere 
di  questo  partigiano,  e  la  ben  ritratta  figura  del  vecchio  Ab- 
bate di  StafTaida ,  monaco  ,  guersiei'o  e  santo  ad  un  tempo, 
sott  quanto  in  questa  cantica  di  più  bellezze  abbondi ,  e  desti 
maggior  interesse. 

Araldo  e  Clara  ha  uno  scopo  altamente  morale.  Aroldo  vec- 
cliio  e  cieco  barone  dalle  romite  torri  che  si  specchiati  nel  Pel" 
lice,  all'annunzio  che  suo  figlio,  unico  maschio ,  il  qual  com- 
batteva nelle  fila  del  Marchese  Tommaso  intento  a  ricuperare 
la  signoria  da  Manfredo  usurpatagli  ,  fu  dallo  stesso  Manfredo 
fatto  prigione  5  sollecito  di  riscattare  il  figlio,  fa  raccolta  di 
quante  ricchezze  può  in  quella  premura  aver  alla  mano,  e  gui- 
dato dalla  figlia  Clara  ,  s'  incammina  alla  volta  del  campo  di 
Manfredo.  Una  banda  di  assassini  li  assale  per  via  e  sono  sva- 
ligiati. Evasi  a  gran  pena  da  quelle  mani  rapaci  ,  s' avviano 
per  ricovero  al  castello  d'  un  lor  consanguineo  :  e  lo  trovano 
dal  furor  di  Manfredo  disertato,  ucciso  il  castellano,  e  saccheg- 
giato ogni  casolare  all'  intorno.  Sovvenuti  di  gramo  cibo  dai 
villici  ,  oppressi  dal  disagio  e  dall'  affanno ,  pure  a  piedi  si 
strascinano  fino  al  campo  dell'  usurpatore. 

0  padre. 
Odi  tu ,  disse ,  odi  tu  roco   un  suono 
Simile  al  suon  della  bufera  ,  o  a  quello 
Di  molte  acque  correnti? 

Il  vecchio  capo 
Ei  soffermò,  ed  immemore  im  istante 
Delle  sue  angosce  ,  alzò  la  barba  e  rise. 
—  Oh  di  qual  gioia  quel  fragor  m'  empiea 
NegU  anni  miei  di  gloria!  È  il  campo,  o  figlia! 


449 

Noto  è  ad  orecchio  di   guerrier  quel  suono, 
Come  voce  di  sposa  al  suo  diletto. 
Un  dì  cosi  fremente  io  il  bellicoso 
Aere  appena  sentia,  sovra  il  miio  scudo 
Battea  forte  l'acciaro,  e  dai  precordi! 
Metteva  un  grido  che  atterria  da  lunge 
Del  nemico  le  scolte.  E  i  miei  congiunti 
Dicean:    «  Voce  è  d' Aroldo,  oggi  si  pugni, 
Che  ,  dove  è  Aroldo ,  è  la  vittoria.  »  Or  fiacca 
È  questa  voce,  e  più  la  destra,  e  al  breve 
Giubbilo  del  guerrier  tosto  succede 
In  me  a  quel  suono  il  trepidar  del  padre. 

Proseguirò  alcun  tempo,  e  quindi  Clara, 
Che  sino  aUor  soavemente  a'  detti 
Del  genitore  avea  frammisti   i  suoi , 
Incominciò  a  interrompersi,  e  risposte 
Dar  che,  non  conscio  l'intelletto,  un  moto 
Parean  sol  delle  labbia,   A  poco  spazio 
Vedea  della  distante  oste  per  1'  aure 
Quasi  di  nave  altissimi  duo  pini 
Elevarsi  e  ondeggiar,  poscia  fermarsi 
Come  al  suolo  confitti.  E  secondata 
Venia  quell'opra  da  un  clamor  che  il  primo 
Clamor  non  era,  ma  or  fischiante  or  rotto 
Da  infami  ghigni,  e  da  cupo  silenzio. 

A'  sensi  suoi  creder  dovea?  le  cime 
Parean  gravate  de'  duo  legni,  e  il  pondo 
Che  le  gravava  non  scerneasi.  Udito 
Spesso  Clara  ha  di  barbari  supplizi , 
Ove  ad  apppesa  vittima  lo  strale 
Drizzano  i  bersaglieri ,  ed  ottien  palma 
Quei  che  divide  dalle  ciglia  il  teschio. 

Di  tal  supplizi  un  questo  fora  ? 


Spaventata  da  questo  dubbio  e  veggendo  il  padre  stesso  in- 
vaso da  tristi  presentimenti ,  vorrebbe  persuaderlo  a  retroce- 
dere. Ma  Aroldo  stimolato  vie  più  ,  non  che  trattenuto  dall' 
ansio  timore ,    vuole  ad  ogni    costo  innoltrare ,    strascinandosi 


450 

dietro  ,  piuttosto  che  seguito  dalla  figlia  ,  tutta  tremante  e  sbi- 
gottita. Giunti  sotto  i  due  fatali  pini ,  Clara  allo  spettacolo  di 
due  salme  insanguinate  ,  che  mal  ravvisa ,  perchè 

Franta 
Han  la  coppa  del  cranio,  e  dal  mozzato 
Lor  sembiante  piovea  cerebro  e  sangue , 

percossa  da  fiero  ribrezzo  ,  cade  tramortita  a'  piedi  del  pa- 
dre. Passa  di  là  frattanto  Manfredo  ,  che  con  alcuni  cavalieri 
iva  perlustrando  il  campo,  e  visto  Aroldo  colla  figlia  svenuta, 
mosso,  benché  crudele,  da  cavalleresco  istinto  ,  sgrida,  chia- 
mandolo discortese  e  stolto  ,  il  vegliardo  che  ha  tratta  sotto 
il  patibolo,  a  rischio  di  farla  perir  d'orrore,  quella  pavida  fan- 
ciulla. Aroldo,  riconosciuto  alla  voce  il  tiranno,  gli  svela  l'es- 
ser suo,  e  ricordatagli  la  propria  fedeltà  all'  estinto  Marchese 
padre  di  Manfredo ,  e  quante  volte  Manfredo  stesso  ancor  gio- 
TÌnetto  bevesse  alla  tazza  d' Aroldo  nel  suo  castello  ospitale  , 
gli  chiede  in  grazia  di  voler  rendere  al  cieco  genitore  il  figlio 
prigione  ,  oiferendogli  ,  tosto  che  raccolto  abbia  novell'  oro  in 
luogo  di  quello  che  i  ladroni  gli  han  tolto,  un  assai  pingue 
riscatto. 

È  tardi,  o  vecchio,  e  ducimene, 

risponde  non  senza  commozione  Manfredo.  Joffrido,  il  figlio, 
che  Aroldo  vuol  riscattare,  è  un  di  que'  due  che  pendon  la- 
ceri e  difformi  dagli  alberi  infami:  non  è  più  in  podestà  del 
tiranno  di  far  altro  per  esso  ,  che  di  sottrarne  ai  corvi  il  ca- 
davere, e  concederlo  alla  paterna  pietà. 

Disse ,  e  accennando  che  una  guardia  il  morto 
Dalla  croce  calasse,  e  all'infelice 
Lo  rimettesse ,  cogli  sproni  un  tocco 
Diede  al  cavallo,  e  col  suo  stuol  disparve. 

Eran  passate  oltre  a  sei  lune.  Il  cieco  ed  orbo  vecchio  ge- 
mea  nel  solitario  castello  sul  figlio  si   indegnamente  trucidalo. 


451 

Giunge  alle  sue  porle  un  fuggitivo  tormentato  da  febbril  sete, 
perocché  perdeva  il  sangue  per  molte  ferite.  Aroldo  gì'  invia 
per  mezzo  di  Clara  una  coppa  di  generoso  licore.  Ma  non  sì 
tosto  il  fuggitivo  , 

Che  al  maestoso  inceder  cavaliero 

Parca,  e  mendico  ai  finti  panni, 

ebbe  veduto  la  nobil  donzella  ,  che  coprendosi  il  volto  tenta 
fuggire  :  ma  indebolito  dal  sangue  perduto  ,  in  quell'  atto  im- 
petuoso di  fuga  ,  cade  stramazzando.  Quello  straniero  era  Man- 
fredo ,  che  superato  in  guerra  dal  nipote  ,  perduti  i  mal  con- 
quistati dominii  ,  fuggiva  dall'  ira  del  vincitore.  Riconosciuto 
da  Clara,  il  primo,  involontario  suo  molo  è  quello  di  correre 
al  padre,  narrandogli  come  l'uccisore  di  Joffrido  è,  quasi  per 
prodigio,   velluto  a  darsi  nelle  sue  mani. 

Ma  in  queir  istante  gli  occhi 
Della  donzella  alzaronsi  a  parete  , 
Onde  pendea  dell'  Uomo-Dio  morente 
Effigie  veneranda  ,  e  a  quella  vista 
L'  irrompente  parola  il  cor  rattenne. 


Un  servo  entrava:  —  Damigella,  o  carco 
D'inaudite  peccata,  o  fuor  di  senno 
E  lo  stranier.  Che  far  dobbiam?  D'Iddio 
Parla  tra  sé  com'  uoni  cui  prema  occulto 
Di  vendette  terribili  spavento, 
E  di  qui  vuol  fuggir. 

—  Tosto  bardata 
Per  lui  sia  mia  cavalla. 

Il  servo  parte 
Meravigliato  ,  ed  obbedisce.  Intanto 
Antico  armadio  la  fanciulla  schiude , 
Ed  indi  tratto  un  de'  paterni  manti , 
Al  leve  suo  tesor  poscia  s' affretta 
D'  auree  monete ,  e  in  una  borsa  il  pone. 

Cosi  ver  1'  agitato  ospite  mosse , 
E  que'  doni  offerendogli  ,  —  d'Aroldo 
Questa,  gli  disse,  è  la  vendetta,  o  sire. 


452 

Frenica  la  generosa  in  lui  mirando 
L'  uccisor  di  Joflrido  e  il  formidato 
Di  Saluzzo  oppressor,  ma  piamente 
Frenò  il  ribrezzo,  e  dal  balcon  la  corte 
Del  castello  accennando  ,  a  lui  soggiunse  : 
—  Ecco  a'  tuoi  cenni  un  corridor:  se  lena 
Ti  basti ,  fuggi ,  e  t'  accompagni  il  cielo  ! 

Clara  sparve  ,  ciò  detto.  E  V  infelice 
Tiranno  —  Angiol  !  gridò.  —  Poi  die  dal  cuore 
Uno  scroscio  di  pianto.  Ed  allor  forse 
Pentimento  verace  a  lui  fu  strazio 
Le  proprie  atroci  colpe  rammentando  , 
E  rammentando  il  giovine  Joffrido  , 
E  quel  misero  cieco   che  appoggiato 
Ad  un  alber  credeasi  ,  e  gli  grondava 
Sovra  la  testa,  ahi,  di  suo  figlio  il  sangue. 

Aroldo  ,  inteso  l'atto  magnanimo,  preso  da  cieco  furor  di 
vendetta  la  biasima  sulle  prime  quasi  di  mal  collocata  pietà. 
Ma  venuto  ai  secondi  pensieri  ,  la  commenda  come  di  santa  e 
generosa  opra  ,  e  paternamente  la  benedice. 

Un  dì  alle  torri  del  baron  fu  visto 
Gitmgere  di  Manfredo  un  messaggero 
Da  lontana  contrada  ,  e  apportatore 
Venia  di  ricchi  doni.  Eran  tre  lune 
Che  pace  avean  l'ossa  d' Aroldo,  e  muto 
Era  il  catello,  ed  in  vicino  chiostro 
Cinta  di  sacre  lane,  i  dolci  salmi 
L'  orfana  per  la  cara  alma  del  padre 
E  del  fratel  tutte  le  notti  ergea. 

Qui  finisce  la  cantica  ,  della  quale  non  è  d'  uopo  che  io 
spieghi  al  lettore  la  morale  sentenza.  L'  uomo  che  consacra  a 
SI  alti  fini  il  suo  ingegno  ,  che  rivolge  a  così  degni  temi  la  sua 
facoltà  poetica,  quest'uomo  è  benemerito  dell'umanità,  e  gli 
è  dovuta  da  tutti  i  buoni  gratitudine  e  venerazione. 


455 

Rocccllo,  da  cui  s'intitola  la  sesta  cantica ,  è  un  cavaller 
Saluzzese  de'  tempi  prossimi  ai  sovra  descritti ,  che  noiato  allo 
spettacolo  delle  patrie  turbolenze,  crede  che  la  stirpe  umana 
sia  affatto  degenerata  nella  sua  terra  natale  ,•  e  indispettito  si 
risolve  ad  abbandonarla.  Visita  poi  una  dopo  l'altra  quasi  tutte 
le  italiche  città,  sperando,  ogni  qualvolta  pone  il  piede  in 
questa  o  in  quell'altra,  di  avervi  a  trovare  quelle  virtù,  ch'ei 
piange  estinte  nella  sua  patria.  Ma  1'  aspetto  dei  vizi  d'  ognuna 
d'  esse  lo  nausea  talmente  ,  che  dopo  breve  dimora  ,  si  parte 
disgustato  da  tutte,  e  stanco  alla  fin  fine  dì  cercare  indarno 
la  città  virtuosa  ,  se  ne  torna  ,  sgombro  di  molte  illusioni  , 
alla  mal  abbandonata  Saluzzo.  Il  vecchio  Gilnero ,  scudiero  suo, 
che  r  avea  più  volte  benché  senza  frutto  sconsigliato  dalle  sue 
peregrinazioni  ,  lo  motteggiò  poi  sempre  per  via  ,  mordendo 
con  arguti  motti  gli  entusiasmi  del  suo  giovine  ed  inesperto  si- 
gnore, che  ad  ogni  passo  incontrava  le  umiliazioni  del  disin- 
ganno. Pervenuti  a  Saluzzo  , 

—  Ah  vi  siam  giunti  I  esclama 
Quegli  e  questi  a  vicenda,  e  il  cavaliere, 
,  Fervido  sempre,  altissime,  abbondanti 

Mette  dal  cor  voci  di  laude  al  loco. 
Al  principe,  alle  leggi,  a' consanguinei , 
Al  volgo,  agU  usi,  alla  favella,  a  tutto. 
—  Temprate  il  foco  del  contento,  o  sire, 
Dice  il  savio  Gilner:  senza  magagne 
Non  ewi  terra  ,  ed  ha  le  sue  pur  cpiesta. 
Ma  poiché  pieno  è  di  magagne  il  mondo  , 
Indulgete  de'  vostri  avi  alla  terra 
Più  che  ad  ogni  altra  ,  e  piamente  a  lei 
Sacrate  il  senno  ed  i  tesori  e  il  brando. 

Il  tuono  della  satira  dominante  in  tutta  questa  cantica  ,  la 
fa,  parmi,  discordare  da  quante  altre  ed  ora  ed  in  altri  tempi 
uscirono  dalla  candida  e  mansueta  anima  di  Silvio  Pellico.  No  : 
le  sventure  d' Italia  non  vogliono  dagl'Italiani  esser  dipinte  con 
satirico  pennello.  Lasciamo  agli  stranieri  questo  inamabile  ui- 


454 

fi-iio.  Noi  descriviamole  in  guisa,    che   pianto  fruiti,    amaris- 
sirao  pianto  ,  non  riso  beffardo. 

Ma  degni  di  Pellico  sono  i  seguenti  versi ,  ch'egli  ha  posto  in 
bocca  all'Alighieri  moribondo  nella  cantica  la  Morte  di  Dante. 

Quanto  sei  bella, 
Fiorenza  mia  !  Quanto  sei  bella  ,  o  Italia  , 
In  tutte  le  tue  valli,  aucorcUè  sparse 
D'  ossa  infelici  e  di  crudeh  istorie  ! 
E  che  monta  che  in  genti  altre  sfavilli 
D' eccelsi  troni  maestà  maggiore  , 
Mentre  per  varie  signorie  te  reggi? 
Chi  può  sfrondar  della  tua  gloria  il  serto  ? 
Chi  a  te  delle  gentih  arti  1'  impero 
Involar  mai?  Chi  scancellar  dal  core 
D'ogni  uom  che  bevve  al  nascer  suo  quest'aure  , 
La  gioia  d'  esser  Italo  ?   la  gioia 
D'  esser  nepote  dell'  antica  Roma , 
E  figlio  della  nuova  ?  Abbian  fortune 
Luminose  altri  popoli:  in  disdoro 
Mai  non  cadrà  la  venerata  terra 
Che  domò  1'  universo 


Ma  bastan  forse  aviti  pregi  ?  Il  grido 

Non  vi  colpi  de'  miei  robusti  carmi  ? 

E  eh'  altro  ,  poetando  io  per  luiigh'  anni , 

Vi  dissi,  Itah,  mai,  fuorché  d'  apporre 

Nobiltà  a  nobiltà,  virtù  a  virtude 

Innanzi  al  mondo,  e  a  voi  niedesuii ,  e  a  Dio? 


E  questi  altri  : 


Chi  son  color  che  un  idolo  si  fanno 

Deli'  Angioina  Gallica  burbanza 

Da  Carlo  in  trono  appo  il  Yesevo  assisa, 

E  la  dicon  sublime  esca  a  future 

Italiche  armonie  di  leggi  e  forza 

E  civiltà  !  Strappatevi  la  benda  : 

Straniero  è  U  Gallo  !    Sua  virtude  è  olir'  Alpe , 

Qui  pianta  è  che  traligna ,  e  non  soave 


455 

Olezzo  ,  ma  fetoi   manda  e  veleno! 

Qui  tntela  è  bugiarda   e  si  converte 

In  laido  furto  ed  in  più  laido  oltraggio  ! 

Qui  farmachi  alle  piaghe  offre  e  vi  sparge 

Aceto  e  sale  ,  e  ficcavi  gli  artigli  , 

E  de'  ruggiti  degl'  infermi  ride  ! 

Onoriamolo  oltr'Alpe,  o  quando  inerme 

Visita  le  latine  illustri  terre  , 

Non  quando  s'  arma  ed  amistà  ne  giura! 

Lui  quasi  imbelli  pargoli  maestro 

Non  invochiam ,  non  invochiamlo  padre  : 

Adulti  siam  se  ci  crediamo  adulti  ! 


Costretto  Silvio  Pellico  per  tutto  il  corso  dell'  infelice  de- 
cennio a  non  occuparsi  quasi  mai  d'altro,  che  de' suoi  pati- 
menti ,  divenne  poeta  altamente  soggettivo.  Quindi  non  nelle 
liriche  soltanto  (  perchè  la  poesia  lirica  nasce  dall'  abbondanza 
del  cuore),  ma  e  nelle  cantiche  e  nelle  tragedie  stesse  com- 
poste dal  giorno  della  presura  in  poi  ,  vedesi  qua  e  là  ritratto 
il  prigioniero  dello  Spilbergo  5  l'uomo  che  soffre,  ama  e  per- 
dona :  —  1'  uomo  che  ne'  suoi  canti  rende  un  perenne  tributo 
di  gratitudine  alla  severa  ma  in  un  pietosa  amica  ,  che  visi- 
tollo  ne'  giorni  dell'  infortunio  5  a  colei  che  scese  dall'  alto  nel 
fondo  del  suo  giaciglio  a  recargli  quelle  consolazioni  che  gli  uo- 
mini né  volevano  ,  né  potevano  dargli  :  ma  del  quale  ti  duol 
soltanto  che  la  religione  sia  pervenuta  fino  a  lui  per  una  via 
sì  dolorosa  ,  eh'  ei  sia  stato  anzi  martire  che  confessore  :  — 
l'uomo  disingannato  delle  più  belle  speranze  della  gioventù; 
che  ha  fatto  sogni  stupendi  ,  poi  risvegliossi  nel  carcere:  quindi 
caduto  nello  scetticismo  politico,  nella  rinnegazione  d'ogni  si- 
stema sociale  ,  dispera  talvolta  di  trovar  ombra  [di  giustizia  e 
di  verità  fralle  tante  disputazioni  a  cui  il  mondo  fu  dato  in 
preda  (  morbo  comune  a  coloro  che  dalle  collisioni  politiche 
usciron  malconci  )  :  e  talvolta  nelle  sue  ore  più  tristi  è  tentato 
di  dissacrar  tutto  ciò  che  un  tempo  egli  ha  consecrato  :  di  get- 
tare il  fango  dell'  irrisione  e  del  disprezzo  sulle  più  belle  illu- 
sioni del   tempo  felice.  Ma  la  dolce  e  mansueta  sua   natura  lo 


456 

fa  uscir  vittorioso  da  questi  raoinenll  di  lentazione  :  ed  allora 
egli  invoca  un  anelito  di  alterna  indulgenza  fralle  irose  schiatte 
de'  forti  che  ha  tocche  la  discordia  cibile  :  allora  ei  prega  il 
cielo  ,  che  sparga  sulla  terra 

L'  armonia  delle  paci  e  del  perdono. 

r  uomo  per  ultimo  delle  Mie  prigioni:  caro  e  pregevol  li- 
bro, dove  la  verità  non  d'altro  s'adorna  che  di  se  stessa,  e  di 
qualche  opportuna  moral  riflessione;  dove  lo  stile  è  Lello  per 
semplicità  e  lindura  ,  e  pel  condimento  d'  ingenui  ed  innocenti 
lepori;  dove  la  narrazione  è  calda  ed  animata  di  quella  vita, 
che  palpita  ne'  racconti  di  tutti  coloro  che  si  fanno  storici  essi 
medesimi  delle  proprie  vicende  :  ma  dove  nessun  piagnisteo  , 
nessuno  sfogo  di  rabbia  o  d'  intemperante  cordoglio  :  all'oppo- 
sto una  benigna  indulgenza  verso  quanti  furono  cagione  o  mezzo 
a  farlo  soffrire  5  un  notabile  laconismo  nell' accennarne  le  parti 
malvage,  una  scrupolosa  sollecitudine  di  ricordarne  le  buone: 
nessun  fiore  dimenticato  che  abbia  germoglialo  fra  si  dure  spine. 
Libro,  che  in  poco  di  tempo  divenne  europeo,  che  fece  spar- 
gere molte  lagrime  ,  e  innamorò  molti  delja  beli'  anima  dello 
scrittore  ;  libro  di  somma  efficacia  a  far  abborrire  la  soverchia 
severità  delle  pene  ,  e  a  destar  in  avvenire  gravi  pensieri  nelle 
menti  di  coloro  ,  che  sederanno  a  legislatori  del  diritto  penale, 
e  a  far  cadere  una  qualche  canccllatrice  lagrima  sulle  lor  ta- 
vole di  sangue. 

I  detti  sentimenti  di  scetticismo  politico  ,  e  d'  alterna  in- 
dulgenza traspaiono  più  manifestamente  dalla  Gismonda  da 
Mendrisio  ,  dal  Leoniero  da  Dertona  e  dall'  Iginia  d'  Asti ,  tra- 
gedie delle  quali  la  prima  non  può  venir  ricordata  senza  ram- 
mentar insieme  i  clamorosissimi  applausi  ,  di  cui  risuonò  il  tea- 
tro quand'  essa  venne  rappresentala,  e  1'  entusiasmo  del  pub- 
blico ,  che  per  poco  non  ha  portato  1'  autore  in  trionfo.  Né 
infelice  successo  avrebber  avuto,  parmi,  l'altre  due,  quando 
se  ne  fosse  eseguita  la  recita,  come  non  ebbe,  ed  anzi  fu  ac- 
colta con  molto  favore  1'  Ester  d'  Engaddi  :  le  quali  tutte  ,  se 
non  aggiungono    al  merito   della   Francesca    da  Rimini  ,    quelli 


457 

ohe  Irasser  quludi  cagione  d'ingiuriosi  sospelti,  non  vollero  por 
mente  a  ciò  ,  che  Pellico  scriveva   c],uest'ultlma  nel  tempo  della 
gioventù  ,  dell'  amore ,    delle    dolci    illusioni ,    delle  lusinghiere 
speranze:  quando  nell'avvenire  ei  non  sapea  scorger  altro  che 
fantasmi  di  gloria  e  di  felicità  :  quando  un  Monti  ,   un  Foscolo 
e  parecchi  altri  valenti  gli  erano  e  coi  conforti  ,  e  coli'  esempio 
continui  sproni  a  correre    a  meta  gloriosa.  Le    belle  e  fresche 
ispirazioni  dell'  età  prima  ,  i  tenui  sogni  della  porta  d'  avorio , 
scherzanti  davanti  al  pensiero  ,  son  cose  fugaci  come    quell'età 
stessa  :    ed    è  tanto   possibile    il    richiamarle  nell'  età    matura  , 
quanto  possibìl  sia  il  ringiovanire.  Ma  quell'  altre  invece  furono 
da  lui  composte  in  un  luogo  di  sì  tetra  solitudine  e  di  tal  do- 
lore j  che  il  suo  intelletto  doveva  essere  più  che  mai  debole.  E 
chiunque  consideri  come  quest'uomo  ,  prima  in  mezzo  all'ansie 
d'  un  processo  capitale  ,  e  coli'  Immagine  del  supplizio  davanti 
al  pensiero,  poi  fralle  tenebre  d'una  segreta,  col  corpo  infer- 
mo e  1'  animo  addolorato,  con  quella  lunghissima  notte  di  pri- 
gionia sospesa  sul  capo,  della  quale  la  sua  salute  logorata   non 
gli  lasciava  sperare    1'  aurora  :     ia  tale   luogo  e    iii    tale    stato  , 
privo  d'ogni  cosa  tanto  al  leggere  che  allo  scrivere  necessaria, 
ideasse  e  colorisse  disegni  di  poemetti  e  tragedie  ;  e  senza  ve- 
run  sussidio  alla   memoria  fuorché    il  buio    e  la  solitudine,    li 
ritenesse  poi  tutti  sì  lungamente  nel  capo:  chi  consideri,  dico, 
siffatte  cose  non  potrà  far  a  meno  di  ammirare  e  la  sua   forza 
d'  animo  ,  e  il  suo  vigore  d'  ingegno. 

Al  postutto  Silvio  Pellico  è  un  uomo  ,  di  cui  il  Piemonte 
debbe  onorarsi  altamente  ,  e  la  cui  fama  che  già  rifulse  bella 
frai  contemporanei  ,  risoi-gei'à  ancor  più  bella  frai  posteri  :  uu 
uomo  in  cui  la  bontà  dell'animo  (  raro  e  mirabil  pregio  )  dall' 
altezza  dell'  ingegno  ,  anche  ai  tempi  delia  maggior  sua  gloria , 
non  fu  mai  vinta.  Che  se  oggi  in  molte  delle  sue  opere  l'Au- 
tore della  Francesca  da  Rimini  è  desiderato  ,  di  questo  deside- 
rio nessuno  sia  che  ne  incolpi  lui  stesso  j  bensì  quelle  amaris- 
sime  e  ineluttabili  cause  ,  che  uno  spirto  si  nobile  e  promet- 
titore hanno  in  fiera  e  miserabii  guisa  contristato. 

Carlo  MarcuLO. 
.'i8 


458 

IL  GIOVINETTO    drizzalo    alla    bontà, 
al  sapere  j  all' industria 

IL  GALANTUOMO,   libro  di  morale  po- 
polarle 

CAKLADIBnOGlU    DI   MONTEVECCHIA 

INNI    SACRI 

(  Milano  >837  ). 


ili  Cksake  Caìntù. 


"  Io  parlo  di  sapienza  non  di  scicnzu ,  e  ne  domando  per- 
»  dono  agli  innumerabilt  dotti  che  turbano  o  ronciliano 
»  il  sonno  del  nostro  secolo  senza  saperlo  educare. 

N.   Tommaseo. 


Molti  sono  coloro  i  quali  volgendo  l'occhio  e  la  mano  sopra 
un  libro  di  modesta  apparenza  e  di  piccola  mole,  il  quale  veg- 
gano consecrato  all'  insegnamento  ed  all'educazione  di  fanciulli 
o  di  giovinetti,  se  ne  scostano  subito  incuriosi  ,  e  giudicano  quel 
libro  un  libro  da  collegio  e  da  ragazzi  ,  un  libro  non  degno  di 
loro.  Ma  se  poi  cotestoro  con  animo  meno  inconsiderato  e  più 
paziente  volessero  fermarsi  sulla  lettura  di  non  pochi  di  questi 
libri  che  ora  si  stampano  anche  in  Italia ,  si  ricrederebbero 
forse  ben  tosto  di  quella  lor  prima  mal  preconcetta  impressione. 

Destiniamo  le  presenti  parole  a  cooperare  per  quanto  è  in 
noi  a  questo  utile  disinganno,  e  ciò  specialmente  riguardo  alli 
preannunziati  libri  di  Cesare  Gantù. 

Trovare  nel  Fanciullo  e  fomentare  in  lui  l'istinto  della  bene- 
volenza ,  rinforzare  e  dirigere  a  giusta  meta  il  suo  spirilo  di 
ricerca  e  di  osservazione  ;  educare  nel  Gioy'inetlo  il  cuore  con 
premunirlo  contro  i  suoi  prestigi,  svilupparne  l'intelligenza  e 
proteggerla  dagli  errori j  confermare  ìmìW Adulto  le  tendenze  al 


459 

Lene  ,  rivolgere  alla  propria  felicità  ed  a  quella  degli  allri  la 
sua  attività  e  la  sua  istruzione  5  fare  insomma  dell'uomo  un. 
utile ,  un  onesto  e  perciò  un  più  contento  cittadino  ,  ecco  lo 
scopo  di  queste  tre  successive  operette  del  sig.  Cesare  Gantù 
—  //  buon  Fanciullo.  —  //  Giovinetto.  ■ —  //  Galantuomo. 

Questi  tre  libricciuoli  per  chi  ne  guarda  il  complesso  (ope- 
rato ora  colla  recente  operetta  il  Carlambrogio  dì  Montevec- 
cliia  pubblicala  nel  Nuovo  jiinico  della  Gioventù)  fortiiano  in 
sostanza  un  libro  solo  ,  si  tengono  per  così  dire  amorosamente 
per  mano  l'un  l'altro;  e  come  porta  Tordine  dei  loro  titoli, 
l'autore  di  essi  a  guisa  di  custode  affettuoso  principia  a  pren- 
der la  creatura  umana  da  quando  ancora  è  debole  bambina  e 
scorgendola  poscia  pel  sentiero  della  vita  la  conduce  sino  alla 
virilità,  cioè  sino  a  quel  tempo  in  cui  franco  e  sicuro  l'uomo 
riconosce  in  se  stesso  ,  e  può  essere  davvero  per  gli  altri  una 
vera  immagine  del  suo  divin  Creatore. 

Ora  di  questo  difficile  viaggio  fattosi  guida  il  Cantù  ne  ad- 
dila tutti  i  pericoli  e  tutti  i  tesori  ,  lo  sgombra  dalle  spine,  e 
ne  discuopre  i  fiori  veraci,  quei  fiori  die  fragranti  di  casta 
bellezza  danno  poi  frutti  di  sapienza  e  di  amore. 

Della  prima  di  queste  tre  operette  già  diemmo  non  è  guari 
ragguaglio  ,  ed  oi-a  rinnoviamo  il  piacere  cbe  allora  abbiamo 
provalo  ragionando  delle  altre  cbe  la  seguono. 

Perciò  comincieremo  per  dire  che  nella  seconda  è  speciale 
intendimento  dell'ottimo  autore  d'infondere  nel  giovinetto  una 
salutare  diffidenza  contro  le  proprie  passioni  e  contro  i  pregiu- 
dizi che  tentano  di  buon'ora,  e  le  male  inclinazioni  della  na- 
tura ,  e  la  corruttela  delle  cose  che  il  circondano ,  radicargli 
nel  cuore  e  nell'intelletto. 

Poi  gli  viene  discoprendo  ed  educando  il  sentimento  della 
beneficenza  e  di  tutte  le  virtù  più  usuali  e  pratiche ,  e  gli 
schiera  allo  sguardo  dell'animo  tutti  i  beni  dèlia  probità  e  della 
industria  ,  tutti  i  mali  dell'ozio  e  della  malvagità  ,  che  non 
può  più  esservi  pericolo  che  il  giovinetto  possa  ingannarsi  nella 
scelta. 

Così  verame-nte  viene  il  giovinetto,  come  annunzia  e  brama 
il    Gantù,   drizzalo    alla    bontà.-,   al    sapere,    td  uìVinduòltia ,  t 


400 

quivi  iuipara  latti  c[uei  savii  insegnamenti  per  cui  ruomo  di- 
venta grato  testimonio  alla  propria  coscienza,  e  Iniou  esempio 
per  i  suoi  fratelli  ,  e  viene  quindi  a  sostenersi  sereno  e  pacalo 
contro  tutte  le  vicende  prevedibili  ed  imprevedibili  della  vita, 
senza  mai  nuocere  ,  senza  sprezzare  ,  senza  deridere  gli  altri 
suoi  couipagiii  nel  laticoso   viaggio. 

Il  giovinetto  che  leggerà  questi  libri  non  potrà  a  meno  che 
restar  penetrato  da  una  gran  fede  e  da  un  gran  rispetto  per  i 
buoni  pensieri ,  e  per  le  buone  azioni  ,  e  nutrirà,  ne  siamo 
certi,  la  più  consolante  fiducia  nelle  ottime  conseguenze  che  da 
queste  procedono  ,  sebbene  non  siano  esse  sempre  immediate, 
uè  sempre  raccolte  quaggiù.  —  Potrà  almeno  sempre  confidare 
in  questa  bella  promessa  —  Qui  stnutiai  in  lacrjniìs ,  in  exul- 
tatione  metet.  —  Informati  dunque  da  queste  letture  vedrete, 
u  italiani,  crescere  i  giovinetti  gentili  senza  essere  efieminati  , 
contenti  di  se  stessi  senza  essere  egoisti,  schietti  ed  indipen- 
denti,  e  giammai  infinti,  né  boriosi. 

Se  per  altro  cercherete  teorie  astratte  e  speculative  voi  nou 
le  troverete  in  questi  libri,  ma  le  verità  che  ne  dipendono  le 
vedrete  improntarsi  negli  spiriti  giovanili  come  naturali  con- 
seguenze pratiche  e  sensibili  di  quei  principii  5  ed  invece  di 
inerpicare  l' ingegno  sopra  regioni  troppo  alte  e  nebulose  ,  le 
lezioni  si  ascoltano  di  una  morale  facile  ad  intendersi,  non 
difficile  a  porsi  in  opera. 

Quando  ciò  vi  diciamo,  non  andate  però  a  credere  che  il 
Cantù  lasci  ignorare  al  suo  giovinetto  le  fonti  delle  scienze,  e 
delle  più  nobili  discipline  umane.  —  Perocché  anzi  ne  cerca 
e  ne  accarezza  egli  stesso  come  si  potrebbe  dire  il  midollo,  e 
sotto  forme  semplici  materiali  e  schiettissime  ne  schiude  ai 
giovinetti  le  ricchezze  più  vere  e  più  utili. 

Cosi  nelle  scienze ,  nella  storia  ,  nelle  arti,  nei  progressi  del 
sapere  e  dell'industria,  nella  vita  insomma  di  tutte  le  ore  e 
di  tutti  i  giorni  ,  si  voglion  cercare  quei  fatti  morali  e  sensi- 
tivi che  sono  più  acconci  per  l'istruzione  ,  per  l'esempio  ,  per 
la  loro  facilità  ,   e  per  la  loro    frequenza. 

Quindi  è  che  tutte  le  sentenze  ,  tutti  i  detti  ,  tutti  i  pro- 
verbji    che    le    antiche    e  le  rceeuli  età  ci  hanno   tramandati  a 


guisa  (li  altrettante  incisioni  od  intagli  ,  sono  rome  a  disposi- 
zione del  Gantù,  ed  egli  non  lascia  d'ingemmarne  opportuna- 
mente i  suoi  scritti.  Siano  poi  quei  detti  usciti  dalla  bocca  dei 
più  accigliati  filosofi  ,  oppure  da  quella  de'  più  modesti  nomini 
del  popolo  ,  per  lui  è  tutt'uno.  Persuaso  che  in  quelle  forniole 
proverbiali  si  racchiudono  le  verità  piii  fondamentali  e  meglio 
provate  della  vita  giusta  e  felice  ,  egli  le  espone  sempre  colla 
stessa  reverenza  ,  e  le  distribuisce  in  tutti  quei  luoghi  che  crede 
più  adatti  per  far  impressione  nella   mente  de'  suoi   allievi. 

Così  parimenti  dalla  vita  degli  uomini  celebri  ei  discerne  i 
tratti  più  caratteristici  ,  e  li  presenta  poi  così  al  vivo  ed  al  na- 
turale che  il  suo  giovane  lettore  non  può  a  meno  che  sentirsi 
invitato  ad  imitare  quei  esempi ,  ed  a  conformare  le  sue  opere 
a  quei  consigli  :  tanto  sempre  il  Canlù  ha  l'arte  di  porli  a  ri- 
scontro dei  vantaggi  che  i  medesimi  o  tosto  o  tardi  partori- 
rono, non  fossei'o  anche  stati  che  il  solo  premio  di  una  buona 
intenzione  sentita  e  voluta. 

E  tutte  queste  sante  cose  poi  il  Cantù  le  dice  con  maniere 
così  affettuose  e  scevre  d'ogni  burbanza  dommatica  ,  che  ben 
difficilmente  si  potrebbe  sfuggire  alla  loro  convinzione.  Perciò 
egli  per  lo  più  si  giova  dello  stile  piano  delle  parabole  ,  e  con 
un  linguaggio  tutto  popolare  e  soave  erudisce  i  giovinetti  nelle 
più  ovvie  come  nelle  più  importanti  cognizioni,  in  quelle  co- 
gnizioni che  non  solamente  appartengono  alla  scienza  od  alla 
morale  astratta,  ma  che  versano  intorno  all'economia  domestica, 
alle  arti,  ai  mestieri  e  che  in  una  parola  sono  le  più  neces- 
sarie e  le  più  vantaggiose  in  qualunque  condizione  l'uomo  possa 
trovarsi  nel  corso  della  vita  pratica.  Così  per  es.  troviamo  nel 
Cantù  il  ragguaglio  dei  pesi  e  delle  misure,  delle  distanze  ,  e 
delle  monete  ,  e  nello  stesso  tempo  alcune  brevi  ma  esatte  no- 
tizie di  statistica  intorno  alla  popolazione  ,  all'industria  al  com- 
mercio  ed  alla   navigazione. 

Non  bisogna  senza  dubbio  pi'etendere  che  in  libri  di  così 
pìcciola  mole  tutte  qixeste  cose  sieno  molto  sviluppate  ;  ma  per 
altro  non  si  può  negare  né  anche  che  siano  esposte  con  una 
chiarezza  e  precisione  sufficiente  per  interessare  e  per  istruire 
la  gioventù.  D'altronde  basterebbe  poi  che  fossero  soltanto  in- 


462 

dicale  perchè  almeno  coloro  a  cui  è  affidata  la  sua  coltura  e 
la  sua  educazione j  abbiano  una  traccia  per  ricordarle,  per  ispic- 
j^arle  ,  per  adattarle  alle  intelligenze  giovanili. 

Sarà  difatti  a  più  d'uno  di  noi  accaduto  che  un  fanciullo  per 
quell'istinto  d'insaziabile  curiosità  che  tanto  gli  è  naturale  gli 
sia  andato  facendo  interrogazioni,  alle  quali  in  sul  momento 
non  abbia  subito  saputo  cosa  rispondere,  o  vi  abbia  risposto  di 
traverso,  ed  inesattamente.  Or  bene  questi  libri  rispondono  in 
tali  casi  per  noi ,  e  ci  metton  sulle  labbra  quelle  parole  più 
atte  e  precise,  con  cui  poter  soddisfare  quelle  domande,  e  dare 
ai  giovinetti  idee  schiette  e  positive  sopra  i  fenomeni  si  della 
natura  fisica  ,  come  di  quella  morale  e  sociale. 

I  pregi  sin  qui  riferiti  sono  comuni  a  tutte  queste  letture 
giovanili  del  Cantù  ,  ma  dove  essi  spiccano  maggiormente ,  e 
vi  stanno  per  così  dire  raccolti,  si  è  nel  Galantuomo  e  nel 
Carlamhrogio  di  Montevecchia. 

Quivi  però  dirigendosi  all'uomo  già  uscito  di  giovinezza  ,  le 
lezioni  del  Cantù  assumono  un  aspetto  più  grave  e  più  solenne. 

Lo  spirito  di  osservazione,  è  ben  vero,  vi  ci  viene  di  bel 
nuovo  raccomandato  ;  ma  si  dimosti'a  con  più  sentita  verità 
come  a  lui  siano  dovuti  i  progressi  nelle  scienze  ,  nelle  arti , 
nella  propria  fortuna ,  e  come  da  esso  provengano  le  regole  del 
costumato  e  del  prudente  vivere  sociale. 

Così  pur  anche  ma  però  sempre  con  maggior  fervore  ritorna 
in  questi  libri  più  gravi  ad  ispirare  l'amore  dell'ordine,  e  del 
proprio  stato  ,  e  il  sentimento  della  propria  dignità.  Un  mae- 
stro più  amorevole,  più  conscienzioso  del  Cantù  non  si  potrebbe 
trovar  facilmente.  Egli  insegna  con  affetto  pari  all'evidenza  e  la 
moderazione  nei  progetti  e  nei  desiderii,  e  la  perseveranza  nella 
professione  o  nel  mestiero  che  ciascuno  si  è  prescelto  ,  od  in 
cui  si  trova  per  caso  avviato,  e  la  costanza  persino  nella  pro- 
pria dimora  perchè  pietra  mossa  non  fa  muscliio.  A  udire  tutti 
questi  precetti  si  direbbe  che  1'  anima  e  la  voce  di  Franklin 
siano  passate  nel  Cantù,  e  veramente  tutti  i  ricordi  di  quel 
sommo  sono  da  lui  coji  eguale  semplicità  e  bontà  di  cuore  ad 
ogni  buona  occasione  ripetuti. 

Quando  poi  annovera  ed  espone  i  diversi  diritti  ed  i  corri- 


465 

sponderitl  doveri  dell'uomo ,  non  si  può  non  esser  persuasi  che 
l'apri  di  questi  precetti  non  può  esservi  né  vera  contentezza , 
né  stabile  felicità. 

Se  in  questa  bella  esposizione  di  diritti  e  di  doveri  lo  svi- 
luppo interno  dell'  individualità  non  è  punto  dimenticato  ,  vi 
si  tiene  però  anche  sempre  strettissimo  conto  di  tutti  i  legami  , 
e  di  tutte  le  relazioni  estrinseche  per  cui  1'  uomo  non  deve 
mai  essere  né  1'  idolo  ,  né  il  tormento  di  se  stesso  ;  né  peso 
inutile  né  stromento  dannoso  per  la  società,  e  per  i  suoi  simili. 
E  come  già  desiderava  che  il  suo  giovinetto  imparasse  a  ve- 
nerare i  sacerdoti  per  la  missione  ch'essi  hanno  di  beneficare 
la  umanità  ,  così  il  Cantù  vuole  pur  anche  che  l'uomo  adulto 
conservi  questo  rispetto  istesso  ,  s'egli  pur  ama  la  religione  ,  la 
patria,  ed  i  fratelli  suoi. 

E  sebbene  ,  come  si  è  detto ,  già  avesse  al  suo  Giovinetto 
mostrato  di  rispettare  gli  ecclesiastici ,  avvedutamente  però 
aspettò  di  parlare  di  proposito  al  Galantuomo  delle  verità  reli- 
giose ,  della  rivelazione ,  dell'immortalità  dell'anima ,  poiché  la 
esperienza  gli  ha  mostrato  che  quando  si  vogliono  a  tutta  forza 
inculcare  negli  intelletti  troppo  teneri  queste  verità  superiori, 
allora  si  è  che  gli  uomini  contraggono  sópra  la  religione  idee 
confuse  ,  incompiute  ,  fraintese.  Di  qui  riescendo  incapaci  a 
formarne  un  giudicio  elevato  e  degno  dell'  alta  sua  origine  e 
del  suo  scopo  s.%itissimo  ,  molti  si  veggono  poscia  cadere  nei 
due  estremi  opposti ,  o  delle  incredulità  o  della  superstizione  ; 
e  ravvisare  nella  religione  una  incommoda  correttrice  di  cui  è 
bello  scuotere  quando  che  sia  il  giogo  ,  oppure  una  specu- 
lazione astuta  sopra  l'umana  ignoranza  e  credulità,  da  cui  e 
vanto  tenersi  sciolto  e  lontano. 

Ma  siccome  non  solamente  verso  la  religione  e  verso  il  sa- 
cerdozio ,  e  cosi  verso  le  autorità  che  reggono  il  mondo  invi- 
sibile conviene  all'uomo  di  usare  rispetto  e  amore,  ma  così 
pure  deve  rispettare  le  leggi ,  il  governo  ,  e  le  autorità  tutte 
che  reggono  il  mondo  visibile  e  che  legittime  e  ragionevoli  nel 
loro  potere  lo  esercitano  per  l'ordine  ,  per  la  giustizia  e  per 
il  bene  della  famiglia  umana  ,  cosi  il  Cantù  ci  porge  il  ritratto 
di  una  società  onesta  e  fiorente,  scrivendo  :  —  Nel    tuo  paese 


464 

^)edi  i  cittadini  operosi,  accreditati ,  cordiali,  che  si  rispettano 
e  che  si  fanno  rispettare ,  il  debole  protetto  contro  il  forte  j  il 
uomo  leale  contro  V ingannatore ,  scelti  agli  impieghi  i  più  me" 
ritevoli ^  favorito  il  commercio,  guarentita  la  pubblica  salute, 
promossa  l'educazione?  Benedici  il  cielo  :  ivi  è  governo  buono. 
Assennate  come  queste,  e  veramente  conducenti  ad  un  vi- 
vere ogni  volta  più  civile  e  giocondo  sono  tutte  le  massime  che 
si  leggono  in  questi  libri,  e  senza  ora  volerle  qui  citar  tutte, 
notiamo  quella  sola  con  cui  si  consigliano  coloro  che  sparlano 
del  Governo.  —  //  Governo  ti  parrà  men  cattivo  quanto  tu  piìi 

.sarai  un  galantuomo mettiamci  in  mente  d^essere  5'  un 

bastimento  in  alto  mare lasciamo  fare  al  piloto 

e  rammentiamo  che  i  naviganti  per  regolai'si  bene  e  per  andar 
diritto  guardano  in  su. 

Abbiamo  a  bella  posta  voluto  dire  che  queste  massime  mi- 
rano a  procacciare  coll'adempi mento  di  tutti  i  doveri  un  vi- 
vere ognor  più  civile  e  contento  ,  onde  taluno  non  venisse  so- 
spettando che  mirassero  invece  a  condurre  ad  un  vivere  stupido, 
inerte  e  servile.  Dovunque  v'  ha  uno  scritto  di  Cesare  Canjù 
stia  pur  lungi  un  sì  brutto  sospetto.  La  sua  mente  ed  il  suo 
cuore  educati  alla  scuola  divina  del  Vangelo  ,  si  veggono  sem- 
pre intenti  a  scolpire  in.  chiunque  li  ascolta  e  giunge  a  com- 
prenderli una  carità  operosa  verso  quelli  che  soffrono,  cos\ 
bene  come  una  pietà  risvegliatrice  per  coloi*  che  fanno  sof- 
frire ,  una  pietà  uè  codarda  né  furtiva ,  ma  franca  aperta  e  co- 
raggiosa. 

Che  se  ciò  non  fosse  come  il  Caulù  avrebbe  sin  da  prin- 
cipio dichiarato  Tuomo  essenzialmente  perfettibile  e  ragione- 
vole? Perchè  non  l'avrebbe  soltanto  riconosciuto  soggetto  a 
moltissimi  doveri ,  invece  che  tanto  eloquentemente  ne  proclama 
anche  i  diritti  ?  Per  qual  fine  insomma  avrebbe  segnalati  nella 
essenza  dell'uomo  e  della  società  il  principio  ed  il  bisogno  di 
un  continuo  progresso  ? 

Venerazione  e  rispetto  alla  religione  ed  ai  ministri  suoi,  ri- 
spetto ed  obbedienza  alle  leggi,  alle  autorità,  ai  governi,  sono 
sentimenti  assai  più  nobili  e  generosi,  che  non  siano  quelli  del 
dubbio,  del  dispregio,  dell' intolleranza  j  sono  il  forte  cemento 


465 

«enza  del  quale  ben  lungi  dal  migliorare  e  progredire  la  società 
resterebbe  sempre  disordinata  e  scomposta. 

Evvi  chi  ne  brami  una  prova  maggiore  ?  legga  il  Cantù 
dove  parla  dei  doveri  verso  la  patria. 

Quest'amore  così  profanato,  che  mai  altro  il  fu  tanto,  questo 
amore  eh' 

«  Empie  a  mille  la  Locca  e  a  dieci  il  petto  » 

non  può  e  non  deve  consistere  in  nude  parole,  in  fantasticag- 
gini inoperose. 

Consiste  questo  sentimento  sacro  nell'esercizio  costante  ed 
amato  di  tutte  le  virtù  pubbliche  e  private  ,  nell'essere  buon 
agricoltore  ,  buon  operaio  ,  buon  impiegato  ,  buon  marito  e 
buon  padre  ;  consiste  nell'amare  e  nel  beneficare  i  suoi  simili 
come  fratelli  ,  consiste  nel  fare  sacrifizii  ,  nel  rassegnarsi  alle 
privazioni  ,  alle  ingiustizie  ,  ai  dolori ,  e  così  a  quello  più  amaro 
di  tutti  all'esilio  ;  consiste  insomma  nel  praticare  tutte  quelle 
virtù  che  il  Cantù  insegna  ai  suoi  lettori  di  praticare  ,  e  che 
quelli  i  quali  veramente  amarono  la  patria  han  praticato  nelle 
varie  condizioni  che  o  il  cittadino  o  la  patria  si  sono  rispetti- 
vamente trovati. 

Egli  è  colla  coscienza  di  questi  principii  che  allora  potremo 
sclamare  col  Cantù  —  E  noi  pure  amiamo  la  patria  nostra , 
amiamo  l'Italia ,  questo  cielo  così  ridente ,  questo  clima  tempe- 
rato ,  questo  suolo  cosi  fecondo  _,  questo  linguaggio  armonioso  , 
parlato  da  tanti  cittadini  j  uniti  con  noi  nell'amore  della  patria 
comune,  nei  patimenti j  nelle  gioie,  nelle  speranze. 

E  quando  udremo  pronunciare  queste  parole  da  uomini  quali 
vorrebbe  farli  il  Cantù ,  allora  sì  che  potremo  dire  che  desse 
non  sono  più  un  suono  di  poesia  vana ,  un  lusso  di  garrula 
fantasia  5  né  quindi  alcuno  più  potrà  sospettarle  che  servano 
quasi  sempre  di  pretesto  ad  ambizioni  nascoste  ,  o  di  orpello 
alla  scioperaggine,  o  di  pascolo  ad  utopie  irrequiete. 

Quando  in  un  libro ,  come  sono  questi  del  Cantù,  si  trovano 
di  così  buone  intenzioni ,  tanta  saviezza  di  consigli  ,  tanta  vee- 
menza di  persuasione  e  di   affetto,   tanta  modestia   di   forme, 


466 

tanto  impegno  insomma  di  rendere  gli  uomini  più  felici  e 
migliori ,  certamente  sarebbe  ben  strano  lo  occuparsi  ancora 
della  lingua  onde  si  valse  colui  che  li  scrisse. 

La  lingua  che  sa  recare  cosi  positivi  vantaggi  non  può  nou 
essere  eccellente  ,  e  sebbene  il  Cantù  non  abbia  fatta  profes- 
sione di  purismo,  né  sia  corso  in  cerca  dei  vocaboli  più  for- 
biti ,  più  classici  ;  pure  ei  seppe  vestire  con  voce  e  con  fogge 
italiane  tanti  sentimenti ,  e  tanti  affetti  che  prima  di  lui  diffi- 
cilmente si  leggevano  in  libri  italiani. 

Del  resto  la  sua  parola  è  sempre  nitida  ,  affettuosa  ,  popo- 
lare ,  è  la  parola  di  Manzoni ,  di  Lambruschini ,  del  Mauri  , 
di  E.  Mayer  e  del  Grolli  ,  semplice  ma  eloquente,  di  quella 
eloquenza  che  non  cura  e  non  mendica  il  suffragio  degli  eru- 
diti, ma  che  persuade,  che  trascina,  che  opera,  che  commove 
e  migliora. 

Imperciocché  non  basta  possedere  nascosto  il  tesoro  della 
bontà  ,  del  sapere  ,  e  della  virtù  per  poter  scrivere  libri  di  tal 
sorta,  ma  quelli  soli  il  possono  che  come  quei  sommi  testé 
nominati,  ed  altri  illustri  italiani  viventi,  che  per  brevità  non 
nominiamo  ,  Iddio  privilegiò  del  dono  di  fare  a  tutti  com- 
prendere i  vantaggi,  e  ad  amare  le  condizioni  mercè  cui  da  tutti 
si  possono  quei  tesori  inapprezzabili  conseguire. 

Si  può  quindi  francamente  affermare  che  il  Cantù  ha  prin- 
cipiato ad  empiere  quel  vuoto  che  si  trovava  nella  letteratura 
italiana  ,  e  mercè  sua,  e  mercè  di  quei  benemeriti  che  in  si 
bella  impresa  gli  sono  compagni  l'Italia  possiede  oggimai  anch' 
èssa  libri  con  cui  istruire  le  moltitudini,  ed  il  popolo  ;  e  cosi 
le  vien  tolta  la  vergogna  di  accattare  dagli  stranieri  un  elemento 
sì  necessario  di  civiltà  e  di  morale  perfezionamento  *i. 

Né  taceremo  che  molte  cose,  molte  dottrine,  molti  mini- 
steri ,  veggonsi  in  queste  letture  piuttosto  indicate  che  espresse, 

*i  Straniere  ,  ma  pur  degne  di  essere  venerate  ed  imitate  in  Italia  sono  molte 
opere  che  si  pubblicano  ora  con  lodevole  frequenza  per  l'educazione  giovanile. 
—  Senza  accennare  le  opere  di  distinti  Tedeschi,  meritano  special  menzione  i 
racconti  di  Mad.  Guizot  ;  le  novelle  della  signora  S.  Ulliac  Tréniadeure  e  gJi 
scritti  di  Mad.  L.  Bclloc  e  di  //.  Montgolfier  ,  e  quello  ancor  più  recente  lor 
libro  intitolalo  La    JRuche  Journal  d'éludes  etc.  —  Si  può  desiderare  che  tutte 


467 

e  talora  l'autore  ne  rappresenta  il  mondo  più  buono  di  quello 
ne  sembri  realmente  che  sia  ,  ed  anche  pare  che  tratto  dalla 
propria  benignità  inclini  a  spargere  sulle  cose  di  quaggiù  troppi 
fiori  e  troppe  lodi  5  ma  lungi  che  da  ciò  gliene  venga  biasimo, 
io  credo  che  1'  abbia  fatto  non  tanto  per  aver  realmente  cre- 
dute buone  e  pregevoli  queste  cose  in  se  stesse ,  ma  forse  più 
per  desiderio  che  in  realtà  le  medesime  poi  si  conformassero 
ai  motivi  di  quelle  lodi  e  di  quegli  applausi. 

Ora  poi  in  proposito  appunto  di  lodi  non  vi  sarà  egli  chi 
fastidilo  delle  tante  che  sin  qui  abbiamo  date  dal  Cantù  ,  si 
senta  la  voglia  di  dirci:  —  Possibile  che  in  questi  libri  non 
abbiate  poi  nulla  trovato  di  che  criticare  ? 

No  veramente ,  io  rispondo.  Però  più  per  compiacervi  che 
per  altro  vi  dirò  avere  anch'io  qualche  volta  temuto  che  il 
Cantù  fosse  troppo  ottimista,  fosse  uno  di  quelli  che  per  pro- 
pria dolcezza  di  sentimento  lasciano  sé  ed  il  mondo  in  brac- 
cio ad  una  quasi  ascetica  perfettibilità.  - —  Ma  di  questo  timore 
io  m'  andai  subito  dispogliando  allorché  vidi  sempre  indefessa- 
mente raccomandata  l'attività,  l'industria  ,  il  lavoro,  e  conobbi 
che  parlando  di  religione  il  nostro  Scrittore  non  blandisce 
l'ipocrisia,  né  predica  il  quietismo,  e  quando  poi  raccomanda 
l'amore  e  la  speranza  non  vuol  farci  guardar  questo  mondo 
ancora  pur  troppo  pieno  di  guai  con  quel  certo  senso  di  bea- 
titudine che  molceva  la  fantasia  di  Bernardino  di  S.  Pierre  *i. 

Ma  invece  di  questa  taccia,  certamente  se  il  Cantù  non  avesse 
voluto  scrivere  libri  elementari  destinati  solamente  a  scorgere 
la  gioventù  nelle  prime  vie  della  virtù,  dell'industria,  e  del 
sapere  ,  gli  si  potrebbe  chiedere  perchè  non  abbia  un  po'  più 


le  donne  italiane  siano  capaci  di  comprendere  ,  e  di  insegnare  questi  libri  sin- 
tantoché r  Italia  possa  averne  qualcuna  che  sia  capace  comporli. 

Chi  poi  volesse  conoscere  un  catalogo  tutto  recente  e  ragionato  dei  libri  stra- 
nieri ed  italiani  sopra  1'  educazione  popolare,  lo  legga  nel  Ricoglilore  esposto 
dallo  stesso  C.  Cantù  (giugno,  1837,  pag.  763  a  790). 

*i  Quali  veramente  sieno  i  principii  del  Cantù  ,  quali  le  applicazioni  a  cui 
egh  intende  ,  e  come  sappia  rispondere  alle  insinuazioni  che  alcuni  pretesero 
spargere  sopra  le  sue  credenze  religiose  ,  filosofiche  o  morali  ,  ben  egli  il  dimo- 
strò in  quella  Schiarimento  che  si  legge  uel  Ricoglitore  di  marzo  1837. 


distesamente  ragionalo  sopra  alcune  delle  più  frequenti  e  pe- 
rigliose condizioni  della  società  attuale. 

Perchè  p.  e.,  gli  si  potrebbe  domandare,  non  parlare  di  pro- 
posito del  giovine  commerciante  ,  dello  studente  ,  del  giovane 
che  sceglie  moglie  e  si  accasa  ? 

Perchè  parimenti  non  consecrare  un  capitolo  a  parte  per 
parlare  a  lungo  delle  fanciulle  da  marito  ,  delle  mogli  ,  e  dire 
soltanto  quando  parla  delle  donne  in  generale ,  ch'esse  meri- 
tano sempre  tutto  il  rispetto  e  la  protezione  dell'uomo  ? 

Eppure  non  è  per  certo  il  Cantù  che  ignori  che  queste  spe- 
ciali condizioni  come  sono  le  più  frequenti  ,  così  sono  pur 
anco  le  più  sparse  di  pericoli  e  d'illusioni  5  sono  quelle  dalle 
quali  dipende  la  felicità  o  la  miseria  d'  una  gran  parte  degli 
uomini;  che  le  donne  soprattutto  hanno  sulla  vita  domestica, 
e  sulla  società  la  più  grande  influenza? 

Perchè  almeno  poi  non  dire  ai  giovinetti  di  non  considerare 
il  matrimonio  soltanto  come  una  soddisfazione  presente  ed  at- 
tuale del  proprio  cuore,  delle  individuali  sue  inclinazioni,  e  dei 
personali  suoi  interessi,  e  non  insegnare  che  si  dovrebbe  invece 
considerare  come  uno  stato  di  doveri  successivi  ,  e  osservarvi 
le  condizioni  future  della  famiglia ,  i  rapporti  ch'esso  tiene  ne- 
cessariamente con  tutta  intiera  la  società  ? 

Perchè  infine  purificando  per  quanto  è  dato  al  mortale  ogni 
mira  egoistica  ,  o  volgendola  a  più  degno  pi'oposito  non  avver- 
tire pur  anco  i  suoi  educati  che  mal  savio  è  colui,  mal  savia 
colei  che  nella  compagna  o  nel  comj)agno  che  vori-ebbe  di- 
sporsi a  scegliere  suppone  subilo  in  astratto  o  tutte  le  perfezioni 
o  molti  difetti;  o  continui  godimenti,  o  fastidi  perpetui?  Ali- 
mentare la  piena  fiducia  di  trovare  la  virtù,  insegnare  i  con- 
trassegni più  sicuri  per  cui  essa  si  palesa  ,  svelare  le  condizioni 
sotto  cui  essa  più  facilmente  può  cercarsi  e  si  ritrova,  infon- 
dere la  necessità  e  la  gioia  di  un  amore  e  di  un  rispetto  in- 
cessante per  l'oggetto  in  cui  si  è  per  buona  sorte  una  volta  tro- 
vata, ecco  una  delle  più  nobili  parli  di  chi  prende  ad  educare 
il  giovane^cittadino. 

Ci  perdonino  i  lettori  ,  e  più  di  essi  il  nostro  Cantù  queste 
digressioni  ;  ma   noi  le  abbiam  fatte  in  parte  credendo  di  in- 


469 

terprclarc  le  intenziooi  sue  ,  ed  in  parte  anche  per  servire  a 
quel  certo  obbligo  che  hanno  tutti  coloro  che  scrivono  ,  ed  i 
giornalisti  più  degli  altri  ,  di  trovar  sempre  in  qualunque  libro 
che  lor  capiti  sott'occhio  alcun  che  da  ridire  ,  a  pena  di  pas- 
sare per  leggitori  ignoranti,  superficiali,  o  adulatori.  Il  quale 
andazzo  poi  se  sia  vanità  ,  amor  del  vero,  spirito  di  contrad- 
dizione ,  od  istinto  di  perfettibilità,  noi  lascieremo  ai  critici 
più  consumati  di  noi  a  deciderlo. 

Del  resto  quando  poi  udiamo  il  Gantù  parlando  della  so- 
cietà domestica  ,  dire  bensì  a  colui  che  vuol  menar  moglie  di 
assicurarsi  prima  la  sussistenza  ,  poiché  è  meglio  dire  ,  pove- 
retto me,  che  poveretti  noi,  ma  ricordargli  però  nello  stesso 
tempo  di  non  guardar  troppo  alla  dote  vantaggiata ,  perchè  dot& 
indispensabile  è  la  virtù  :  poi  segue  la  dolcezza  di  carattere  :  le 
altre  sono  qualità  accidentali.  —  E  quando  parla  deireducazione 
mentre  raccomanda  la  necessità  d'istruire,  non  tacere  però  che 
il  mondo  ha  più  bisogno  di  galantuomini  che  di  dottori.  —  K 
quando  parla  degli  amici  consigliare  che  le  amicizie  ove  non 
possano  più  continuare  sì  deggiono  scucire _,  ma  non  istracciare. 
—  E  quando  ragiona  dei  ricchi  e  dei  poveri,  afiratellarsi  con 
questi  e  sclamare:  o  poveri  artieri,  poveri  conladini,  poveri  brac- 
cianti ,  poveri  tutti  Jratelli  miei ,  ve  lo  ripeto  :  i  migliori  no- 
stri protettori  sotto  le  nostre  braccia  e  la  nostra  testa.  —  E 
quando  infine  discorre  degli  antenati  e  dei  posteri  conchiudere 
con  questa  bella  sentenza  :  //  bene  vero  va  mai  perduto.  Se 
non  giova  oggi,  ed  a  noi ,  gioverà  in  avvenire  e  ad  altri ^  no- 
stri Jigliuoli  e  nostri  fratelli. 

Quando  ,  diciamo  ,  tuttociò  e  molte  altre  di  così  fatte  esor- 
tazioni si  trovano  nei  libri  del  Caulù  ,  e  quindi  quando  ancora 
si  pensa  al  picciolo  volume  in  cui  sono  ristretti,  allora  certa- 
mente più  non  si  possono  lamentare  quei  vuoti  che  alcuni  vor- 
rebbero vedervi. 

Che  anzi  per  dire  il  nostro  pensiero  ,  tutto  il  nostro  pen- 
siero noi  crediamo  che  queste  letture  giovanili  contengano  un 
vero  corso  di  filosofia  morale  ,  ridotto  all'arte  ])ratica  di  un 
vivere  più  virtuoso  ,  più  utile  ,  più  felice  ,  e  adattato  per  ogni 
ckiic  di   persone  ;  poiché  lu   virtù  ,  il  sapere  ,  l'operosità  ed  il 


470 

bea  essere  se  da  un  canto  non  sono  privilegi  concessi  a  taluno 
per  modo  di  privativa  ,  così  altrettanto  è  vero  che  queste  qua- 
lità non  sono  poi  nemmeno  da  tenersi  in  conto  di  gravezze  , 
di  cui  taluno  abbia  a  bramare  d'andarne  esente  per  menare 
più  spensierata  e  più  gioconda  la  vita. 

Vada  dunque  il  Cantù  lieto  della  persuasione  ch'egli  non  si 
ingannava  quando  esprimeva  lo  scopo  di  questi  suoi  scritti  colle 
seguenti  parole:  =  Ebbi  di  mira  la  classe  più  iiunierosa,  volli 
diffonder  in  essa  i  sentimenti  di  benevolenza  ,  di  contentezza 
del  proprio  stato  ,  d'  operosità  ;  correggervi  o  prevenirvi  alcuni 
sciagurati  giudizii  j  innamorarla  della  fatica ,  della  temperanza 
della  beneficenza ,  insegnarle  a  riverir  i  nomi  delle  persone 
grandi ,  cioè  delle  virtuose  ;  serenarle  negli  ingenui  gaudii  della 
natura  ;  affezionarla  alla  famiglia  ,  al  paese ,   ai  superiori. 

Questi  voli  santissimi  noi  teniamo  per  fermo  che  verranno 
un  giorno  o  1'  altro  compiuti  ,  ed  intanto  il  Cantù  fece  lutto 
ciò  che  era  in  lui  per  riuscirvi,  e  certamente  non  era  facile 
trovare  in  altri  la  facoltà  di  rendere  con  un  metodo  chiaro  , 
intelligibile  ,  affettuoso  ,  con  uno  stile  rallegrato  di  esempi  e 
sparso  di  seutenze  ricavate  dalla  sapienza  e  dall'esperienza  del 
popolo  ,  la  pratica  della  virtù  ,  l'acquisto  del  sapere  ,  la  costanza 
nell'operare  ,  cose  tutte  così  care  e  seducenti  da  sforzare  per- 
sino lo  stesso  egoismo  a  confessare  che  in  tultociò  ei  viene  a 
realmente  trovare  il  suo  conto  ,  da  persuadere  in  una  parola  , 
per  dirla  alla  maniera  del  nostro  autore  con  un  proverbio,  che 
//  far  bene  è  un  boccone  da  ghiotto. 

E  sono  pertanto  libri  siffatti  quelli  di  cui  non  si  può  mai 
abbastanza  raccomandar  la  lettura,  sono  questi  che  giova  dif- 
fondere nel  popolo,  che  tutti  i  padri  di  famiglia,  tutti  i  rettori 
delle  intelligenze  e  de'  cuori  ,  tutti  i  maestri  ,  tutti  gli  asili  , 
tutti  gli  stabilimenti  iusomuia  che  hanno  per  istituto  d'islrurre 
e  di  migliorar  l'uomo,  dovrebbero  proporre  per  tema  delle  loro 
lezioni  e  dei  loro  consigli,  farne  uso  nc41a  distribuzione  de'  pre- 
niii  ,  giovarsene  in  una  parola  come  di  un  catechismo  morale 
e  civile,  che  a  guisa  di  quello  sopra  il  culto  religioso  venisse 
divolgato  ,  insegnato,  spiegato  alla   gioventù  ed  al   popolo. 

—  Prima  di  queste   opcrttlc   morali  in  prosa  il  Cantù  aveva 


471 

già   pubblicati    tre   inui    sacri  :    —    La  croca  —  La  Domenica 

desìi  ulivi  —  Maria  Assunta, 
o 

Queste  cantiche  palesano  nel  Cantù  non  solamente  un  fondo 
di  dottrina  e  di  logica  ,  ma  lo  manifestano  pur  anche  dotato 
di  molta  facoltà  poetica,  e  di  una  pronta  immaginativa.  E 
veramente  come  si  potrebbe  anche  scriver  prose  con  tanto  ca- 
lore, con  tanta  ispirazione,  destinate,  come  quelle  che  abbiamo 
or  ora  trascorse  ,  al  perfezionamento  ed  allo  scambievole  amore 
degli  uomini,  senza  sentire  in  petto  la  fiamma  della  vera  poesia  ? 

Del  resto  questi  inni  del  Cantù,  per  quanto  a  noi  pare,  pec- 
cano per  un  solo  difetto  ,  e  questo  si  è  dell'  esser  venuti  alla 
luce  dopo  quelli  del  Manzoni  ;  e  per  dir  vero  essi  mostrano 
una  troppo  fedele  imitazione  del  fare  di  quel    grande  maestro. 

—  E  una  tale  imitazione  è  poi  sopra  di  tutto  sensibile  in  quelle 
sublimi  invocazioni,  nelle  quali  il  poeta  si  compiace ,  come  nell' 
inno  della  Pentecoste  ,  di  chiamare  la  possanza  di  Dio  e  dei 
Santi  suoi  a  venire  a  correggere  i  vizi  degli  uomini  ,  ed  a  con- 
fortarli alle  virtù  opposte.  Lo  stile  del  Cantù  neppure  arriva 
a  quella  spontaneità  ed  armonia  a  cui  giunse  il  Manzoni,  quan- 
tunque però  il  concetto  appaia  sempre  nitido ,  grande  ,  ele- 
vato ,  ed  acceso  di  quella  facondia  biblica  che  mentre  si  dirige 
al  cuore  di  ciascun  individuo ,  e  ne  tocca  le  corde  più  nasco- 
ste ,  e  ne  cava  le  più  intime  e  schiette  vibrazioni  ,  non  di- 
mentica però  le    speranze  e    i   destini    di  tutte    le  generazioni. 

—  Il  perchè  osserviamo  con  singolare  compiacenza  che  non 
si  trova  in  questi  inni  del  Cantù,  quella  pecca  di  misticismo 
e  di  oscurità  e  quel  lungo  brancolar  quasi  negli  spazj  incom- 
mensurabili dell'  universo,  che  si  riscontra  in  tante  altre  poe- 
sie sacre  nemmeno  eccettuate  quelle  del  Lamartine  ,  e  che  ci 
dolse  particolarmente  vedere  in  quelle  del  Conte  di  Bagnolo 
ed  anche  del  nostro  giovine  Giuria  ,  benché  in  esse  ,  convenga 
dirlo  collo  stesso  senso  di  compiacenza  ,  ci   sia  molto  bello,  e 

molta    promessa    di    meglio.  Insomma  però  da    tutto  ciò  si 

raccoglie  che  gì'  inni  del  Cantù  stanno  più  vicino  che  quanti 
altri  mai  a  quelli  del  Manzoni,  del  Borghi  e  di  Samuele  Biava. 

Tutti  questi  valorosi  ristoratori  della  poesia  sacra  seppero 
innalzare  le  loro  menti  alle  pure  ed  eterne  regioni  del  vero  e 


472 

del  buono  senza  perder  la  traccia  delle  cose  positive  e  mortali, 
appressarono  bensì  cupide  le  labbra  ai  casti  fonti  biblici  ,  ma 
non  ne  riportarono  l'intelletto  invasato  e  confuso  ,  in  tutti  tu 
odi  parlare  lo  stesso  linguaggio  di  speranza  e  d' amore.  —  E 
per  verità  quegli  che  si  sente  tanta  potenza  di  genio  da  far 
discendere  Dio  faccia  a  faccia  colle  sue  creature  ,  di  unirli  a 
fidato  colloquio ,  e  quasi  riescire  a  stabilire  fra  essi  una  cor- 
rispondenza di  bisogni,  di  dolori,  di  conforti,  e  di  speranze; 
questi  soltanto  è  chiamato  a  scrivere  inni  sacri. 

Che  se  degli  inni  del  Cantù  ,  e  de'  suoi  eccellenti  libri  di 
educazione  e  di  moral  popolare,  sebbene  da  noi  già  indovinati 
neiranimo  e  nell'intelletto  suo,  noi  fummo  quasi  degli  ultimi 
a  ragionare,  crediamo  però  di  fare  per  quest'indugio  ammenda 
onorevole  ,  coli'  averne  qui  parlato  più  a  lungo  ,  e  forse  con 
troppo  di  quella  compiacenza  perdonabile,  speriamo,  di  appic- 
cicare i  nostri  pensieri  a  quelli  di  uno  stimato  scrittore.  Del 
rimanente  compiamo  l'ammenda  con  essere  pur  anche  i  primi 
a  presagire  una  riconoscenza  ed  un  beneficio  ognora  crescenti 
a  tutti  questi  libri,  ed  a  protestare  ingenuamente  al  loro  au- 
tore, che,  come  desiderò  e  modestamente  si  propose  ,  ei  fece 
veramente  con  essi  una  buona  azione. 

Se^'crino  Battaglione. 


473 

STUDI      PUETICI      DI      LLIGI     ttOCGÀ. 

Torino  ,   183^.  Coi  tipi  di  Giuseppe  Fodratti. 


Giorgio  Sand  nel  suo  André,  mesto,  e  pietoso  racconto, -il 
quale  come  più  altri  dello  stesso  scrittore  pare  inteso  a  rivelare 
le  nobili  doti  ,  e  le  sublimi  facoltà  della  donna  generalmente 
o  disconosciute  o  vilipese ,  e  che  per  pietà  de'  dolorosi  casi 
onde  s'  intesse  ,  per  gentilezza  e  forza  di  femminei  affetti  , 
per  verità  d'  espressione  ,  efficacia  e  soavità  di  stile  si  ad- 
dentro commuove,  e  intenerisce  il  cuore,  che  per  lungo  tempo 
ne  rimane  nella  mente  viva  ed  accesa  la  memoria,  Giorgio  Sand 
nel  suo  André  scrive,  parlando  per  incidenza  della  poesia, 
queste  graziose  parole:    «  on  dit ,    que    la  poesie    se  meurt  :  la 

poesie  ne  peut  pas  mourir Si  ce  n'était  qu'une  langue  , 

elle  pourraìt  se  perdre;  mais  c'est  une  essence,  qui  se  compose 
de  deux  choses  :  la  beauté  répandue  dans  la  nature  extérieure 

et  le  sentiment  départi  à  toute  intelligence  ordinaire 

Si  elle  ne  produit  plus  de  grands  hommes,  n'en  peut-elle 
pas  produire  de  bons  ?  qui  sait  si  elle  ne  sera  pas  la  divinité 
douce  et  bienfaisante  d'une  autre  generation  ,  et  si  elle  ne  suc- 
cèderà  pas  au  doute  et    au  désespoir  dont  notre  siede  est  at- 

teint L'un  porte  sa  poesie  sur  son  front  ,  un  autre  dans 

son  coeur  ,  celui-ci  la  cberche  dans  une  promenade  lente  et 
silencieuse  au  sein  des  plaines,  celui-là  la  poursuit  au  galop  de 
de  son  cbeval ,  à  travers  Ics  ravins;  un  troisième  Tarrose  sur 
sa  fenétre  dans  un  pot  de  tulipes  j  au  lieu  de  demander  où, 
elle  est  ,  ne  devrait-on  pas  demander  «  où  n'est-elle  pas  ?  » 
Queste  parole  del  Sand  abbiamo  voluto  qui  riferire  perchè 
con  delicatezza  ed  efficacia  insieme  combattono  un'  opinione 
nata  non  è  gran  tempo  ,  e  venuta  di  dì  in  dì  crescendo  ,  di 
cui  non  iatendiatno  ora   toccar  qui,  che  di  passaggio,    che  già 

31) 


474 

ci  occorse  altra  volta  di  ragionarne  più  per  disteso,  quell'opi- 
nione,  vogliam  dire  ,  che  tutti  generalmente  i  secoli  più  in- 
civiliti ,  e  particolarmente  il  secolo  nostro  sia  disadatto  e  ri- 
pugnante alla  poesia.  Cotesta  opinione  è  una  di  quelle  tante,  le 
quali  messe  in  campo  risolutamente  e  con  certa  mostra  di  fi- 
losofica osservazione  ,  se  avvien  talvolta  che  trovino  qualche 
possibile  applicazione  all'  apparenza  de'  fatti ,  sebbene  in  so- 
stanza la  condizione  e  la  ragione  di  questi  sia  stata  mal  cono- 
sciuta ,  facilmente  s'  appigliano ,  si  distendono  ,  e  dominano 
per  lunga  età  le  nienti  degli  uomini.  Così  fu  già  creduto,  e 
lungamente  si  mantenne  quella  credenza,  che  l'umanità  fosse 
destinata  a  muoversi  oscillando  dentro  i  confini  della  prefissa 
Sua  curva  ,  forzata  dalle  leggi  che  la  governano  a  dichinare 
giunta  al  vertice  per  ricominciare  poscia  la  sua  ascensione.  Ora 
quella  credenza,  che  la  sorte  dell'umanità  assomigliava  in  qual- 
che modo  a  quella  di  Sisifo  s'  è  dileguata  in  faccia  alla  luce 
del  vero  ;  ed  i  termini  posti  al  progredire  della  spezie  umana 
disparvero  come  le  colonne  d'Ercole. 

Nessuna  delle  ragioni  che  s'  arrecano  in  prova  di  cotesta  pre- 
tesa insociabilità  della  poesia  coli' incivilimento  (usiamo  qui 
questo  vocabolo  in  quella  più  ampia  significazione,  che  gli  si 
suole  ora  attribuire  )  ,  ci  pare  appoggiata  ad  alcun  stabile  fon- 
damento di  verità;  non  gli  ingegni  rivolti  ne'  secoli  inciviliti  a 
cose  positive,  e  ristretti  dentro  il  cerchio  della  realtà:  che  tra 
questi  ve  ne  avrà  pur  sempre  alcuni  ,  cui  dilettano  le  gioie 
dell'  immaginazione,  e  che  sapranno  aprirsi  una  via  per  mezzo 
le  realità  più  prosaiche  ;  non  le  scienze  ,  che  invadono  tutto  : 
che  la  poesia  forma  di  per  se  stessa  una  cosa  a  parte  ,  né  ha 
bisogno  di  conquistar  sulle  scienze  il  suo  dominio,  come  queste 
non  le  potranno  mai  rapire  il  suo  ,  e  per  quanto  1'  una  e  le 
altre  allarghino  i  propri  confini  non  giungeranno  mai  a  distrug- 
gersi tra  di  loro;  la  poesia,  e  le  scienze  possono  risguardarsi 
come  due  parallele;  non  lo  scetticismo  spegnitore  d'ogni  poetica 
fiamma:  che  la  fede  non  potrà  venir  meno  giammai  all'  umana 
generazione,  e  v'avranno  pur  sempre  anime  generose,  cui  il  dub- 
bio è  pena,  e  cVie  comprese  della  forza  del  vero  credono,  con- 
lidauo,  e  sperano  j  non  il  puro  e  diremmo  verginal  sentimento 


475 

della  beltà  della  uatura  esteriore  affievolito  da  cento  altri  seti- 
tiiueuti  ,  ed  affetti  di  varia  tempra  che  la  civiltà  suscita  ,  e 
nutre  :  che  se  per  questo  rispetto  s'avvantaggiano  forse  sopra 
i  secoli  più  inciviliti  i  secoli  meno  affinati,  e  le  ispirazioni  de- 
rivate dalle  impressioni  della  bella  natura  sono  in  quelli  per  av- 
v^entura  men  vive,  e  men  fresche,-  altra  sorgente  d'ispirazioni 
psicologiche  dischiude  in  quella  vece  la  civiltà  più  squisita. 
Onde  la  poesia  avrà  bensì  in  questa  un'impronta  sua  propria; 
ma  sarà  pur  sempre  vera  poesia  conforme  ai  bisogni  e  alle 
tendenze  della  età.  Sarà  la  poesia  del  Manzoni  ,  del  Grossi  , 
del  Pellico,  del  Marenco,  del  Nicolini. 

Insomma  mentre  il  geologo  s'aggirerà  per  le  montagne  in- 
ternandosi collo  sguardo  nelle  loro  viscere  per  esplorarne  le 
qualità  e  la  giacitura  degli  strali 5  mentre  l'astronomo  veglierà 
le  notti  intento  a  contemplare  i  movimenti  degli  astri,  e  a  de- 
terminarne il  maraviglioso  magistero;  mentre  il  nocchiero  in- 
teso a  condurre  salva  la  nave  attraverso  le  ampie,  e  indistinte 
vie  del  mare  ne  spierà  attento  ogni  corrente ,  ogni  secca , 
ogni  scoglio;  le  montagne,  gli  astri,  il  mare  saranno  oggetto 
di  ben  altra  osservazione  ad  anime  calde  di  sentimento,  di 
quel  sentimento  ,  che  tende  ad  allargarsi  oltre  i  confini  del 
creato ,  a  soverchiare  i  limiti  del  finito.  Anime  cosi  fatte  al 
di  là  di  quelle  forme,  che  loro  si  dimostrano  innanzi  presen- 
tono una  sublime  ed  arcana  bellezza  ,  un  so  che  di  grande^ 
d'infinito.  Questi  sono  i  poeti.  Rapito  alla  vista  di  tanta  mae- 
stà di  natura  l'imaginoso  Ghild  llarold  sentiva  sollevarsi  e  farsi 
quasi  peregrina  dalla  carne  la  mente  sua ,  e  come  dentro  gli 
dettava    1'  accesa  fantasia    scriveva  :   «  Je  ne  vis  plus  par  moi 

mémc  j  mais  je  deviens  une  partie  de  tout  ce  qui  m'entoure 

mon  ame  peut  prendre  l'essor  et  se  confondre  avec  les  cieux, 
la  cime  des  monts  la  plalne  mouvante  des  mers,  et  les  étoiles 

de  la  voùte  azurée C'est  dans  de  semblablcs   moments  que 

nous  sommes  moins  seuls  que  jamais  ;  c'est  alors  que  se  ré- 
veille  eu  nous  la  conscience  intime  de  l'infini.  Ce  sentimeut 
emeut  et  purifìe  tout  notre  étre.  Il  est  tout-à-la  fois  l'ame  et 
la  source  d'une  melodie  qui  nous  révèle  l'éternelle  harmonie  , 
et  vépand  un  charinu  nouveau  sur  chaque  objet.  »   Com  ancora 


476 

mentre  il  severo  filosofo  detterà  ne'  suol  volumi  precetti  di  mo- 
rale ragionata,  v'avrà  in  ogni  tempo  chi  coll'imaginoso  pensiero 
vagheggiando  le  bellezze  del  mondo  morale  le  più  nobili  dot- 
trine, i  più  sublimi  principil  del  vero  e  del  bene  o  abbellirà 
dello  splendore  della  lirica  poesia  o  fregierà  della  dignità  del 
dramma  o  vestirà  delle  care  ed  amabili  forme  del  romanzo  sto- 
rico. Egli  è  adunque  falso,  che  la  poesia  possa  venir  meno:  fosse 
anche  ella  vicina  a  perire,  basterebbe  la  mente  d'un  sol  uomo  a 
ravvivarla  di  tutta  la  sua  freschezza.  Finché  la  natura  rappre- 
senterà nelle  varie  sue  forme  il  bello  assoluto  ;  finché  gli  uomini 
avranno  intelligenza  per  conoscerlo  ,  sentimento  per  amarlo 
vivrà  la  poesia,  vivrà  l'arte.  Agli  ingegni  nati  alle  sue  sublimi 
ispirazioni  s'appartiene  il  darle  quella  direzione,  che  meglio 
risponda  al  bisogno,  ed  all'utile  sociale.  Che  tutti  i  poeti  del 
secolo  presente  adempiano  questo  nobile  uffizio  non  si  po- 
trebbe certo  asserire,-  alcuni  pur  troppo  o  contaminano  la  poesia, 
o  la  impiccioliscono  5  ma  é  questa  colpa  sua  ,  o  non  piuttosto 
de'  suoi  cultori  se  invece  di  cooperare  al  miglioramento  sociale 
ora  massimamente  ,  che  si  tratta  di  rifar  quello,  che  la  gene- 
razione passata  ha  disfatto,  ella  viene  adoperata  a  bassi  ed 
indegni   uffizi    corrotta  e  corrompitrice? 

Tutte  queste  considerazioni  ci  vennero  al  pensiero  nel  mo- 
mento ,  che  imprendevamo  ,  sebbene  un  po'  tardi  ,  a  render 
conto  di  questi  Studi  poetici  del  signor  Rocca,  e  le  abbiam 
voluto  qui  premettere  perchè  non  ci  parvero  in  tutto  aliene 
dal  soggetto  ,  e  principalmente  perchè  importa  combattere  sul 
loro  nascere  certe  opinioni  ,  le  quali  cresciute  possono  avere 
dannosi  insultati.  Ora  diremo  alcuna  cosa  degli  Studi. 

Pare  ,  che  il  pensiero  di  scrivere  questi  studi  sia  venuto  al 
colto  autore  dalla  lettura  d'un  picciolo  libro  del  signor  Cav. 
Andrea  Maffei,  il  quale  prese  a  tradurre  parecchie  poesie  di 
scrittori  tedeschi  e  francesi,  e  queste  sue  traduzioni  intitolò 
Studi  poetici.  Purché  le  poesie,  che  si  prendono  a  tradurre  sieno 
veramente  buone  ed  elette,  noi  crediamo  opportuno  ed  utile  a 
coltivar  l'ingegno  poetico,  ed  a  perfezionare  lo  stile  questo 
mezzo  usato  dal  Maffei ,  e  dal  Rocca ,  che  è  pur  quello  adoperato 
dai  più  valeuli  artisti.  Che  tutte  le  poesie    tradotte  per  ifitudi 


477 

dal  sig.  Rocca  sieno  buone  ed  elette  non  oseremmo  dirlo;  ma 
la  più  parte  sono  gentili  e  delicate ,  il  che  è  prova  dello  squisito 
sentire  del  traduttore.  Noi  non  entreremo  qui  a  ragionare  parti- 
tamente  del  merito  di  esse  :  che  la  materia  ci  crescerebbe  sover- 
chio tra  le  mani,  e  ci  condurrebbe  tropp'oltre ,•  toccheremo  dun- 
que solo  del  merito  della  traduzione.  Vivacità  e  certa  freschezza  di 
stile,  spontaneità  di  locuzione,  varietà  di  metri  sono  i  pregi,  che 
distinguono  molte  tra  coteste  traduzioncelle.  Egli  è  vero  ,  che 
alcuni  di  questi  metri  non  ci  vanno  molto  a  genio  ;  quello  per 
esempio  usato  ne\Vu4deiio  deW Albei^gatrice  Araba  di  V.  Hugo, 
il  qual  metro  ci  par  poco  atto  agli  slanci  della  poesia  lirica  ; 
alcuna  volta  anche  ci  sembra  ,  che  lo  stile  del  traduttore  pro- 
ceda un  po'  umile  e  stentato  come  nella  Speranza  in  Dio  dello 
stesso  autore  ;  trovammo  eziandio  alcune  espressioni  poco  elette  ; 
quella  p.  e.  di  chiamar  una  fanciulla  Ragazza  _,  il  che  guasta 
tutta  la  soavità  di  quel  nome.  Ma  a  fronte  di  questi ,  e  d'al- 
cuni altri,  che  a  noi  paiono  difetti,  v'  hanno  negli:  studi  del 
sig.  Rocca  alcune  traduzioni  non  immeritevoli  di  lode.  Ed  una 
ne  riferiremo  qui  in  prova  intitolata  L' Odalisca  :  sono  le  remi- 
niscenze d'una  fanciulla,  renainiscenze  meste  bensì  come  il  pen- 
siero d'una  diletta  cosa  perduta ,  ma  pur  dolci  :  che  tutte  soa 
care  all'uomo  le  sue  reminiscenze  benché  dolorose,  tutte,  tranne 
quelle  che  gli  son  di  vergogna. 


L     ODALISCA 


Lontan ,  lontano  fra  1'  odorose 
Fiorite  rive  del  Bendemir 
V  ha  un  pergolato  di  scelte  rose 
Che  ognor  fia  1'  unico  mio  bel  desir. 

Delle  sue  fronde  tra  '1  vago  incanto 
L'  usignuoletto  là  suol  venir , 
E  là  sciogliendo  la  voce  al  cauto 
Rallegra  i  frutti  del  Beudeniir. 


478 

Là  in  eiel  fisando  pensosa  i  lumi 

Dolce  riposo  solca  gioir, 

Là  inebbriavanmi  molli  profumi 

E  i  cai-i  sogni  dell'  avvenir  ; 
Ed  or  del  tenero  mesto  augelletto 

Là  il  flebil  canto  godeva  udir, 

Or  udia  scorrere  suU'  ampio  letto 

L'  acque  si  placide  del  Bendemir. 
Or  lungi ,  ahi  lassa  ,  da  quelle  fronde 

Che  in  cor  mi  destano  tanto  desir, 

Domando:  oh,  veggonsi  presso  quell'  onde 

Ancor  le  vergini  rose  fiorir  ? 
E  il  mesto  augello  che  scioghe  ognora 

Fra  r  ombre  il  suono  de'  suoi  sospir, 

Oh ,  il  flebil  canto  muov'  egli  ancora 

Presso  le  rive  del  Bendemir. 
No  ,  spento  è  il  riso  di  primavera , 

Tutte  le  rose  già  s'  appassir  , 

Pili  l'usignuolo  non  canta  a  sera 

E  di  dolore  già  vuol    morir. 
Ed  io  lontana  da  quelle  fronde 

Che  in  cor  mi  destano  tanto  desir 

Non  vedrò,  misera,  più  mai  le  sponde 

Che  i  flutti  baciano  del  Bendemir. 
Ma  se  dall'  arido  mesto  terreno 

Le  vaghe  rose  già  disparir, 

Grato  un  profumo  ci  resta  almeno 

Che  1'  arte  industre  lor  sa  rapir  ! 
Cosi  fra  un'  estasi  che  m'  innamora 

Un  soavissimo   bel  sovvenir 

Al  mio  pensieio  dipinge  ancora 

Le  amene  rive  del  Bendemir  ! 

Non  crediamo  che  il  colto  scrittore  di  questi  Studi  voglia 
arrestarsi  a  questo  suo  primo  saggio:  che  se  egli  porrà  mano  a 
qualche  novella  sua  traduzione  ,  speriamo  ,  che  ella  sarà  di  tal 
opera ,  dove  egli  possa  meglio  ,  e  con  più  utile  della  lettera'? 
lava  italiana  dimostrare  il  valor  suo. 

G. 


479 

LE    BELLEZZE    DELLA    NATLRA. 

Inni  di  Antonio  Buonfiglio.  —    Genova    iSSy. 


<>  itiioiu 


Inesausta  sorgente  di  poesia^è  Taspetto  della  natura:  e  quando 
un  uomo  dotato  di  squisito  sentire  vi  si  affisa  nel  silenzio  delle 
cujre  volgari  e  s'ispira  a  quel  sublime  spettacolo  ,  allora  ritrae 
in  se  una  parte  di  quell'immensa  armonia  che  è  la  legge  dell' 
universo,  ed  il  vate  effonde  la  propria  anima  in  canti,  che  sono 
un  eco  lontano  dei  supremi  concenti.  Ma  perchè  feconda  sia 
la  vena  del  poeta  ed  efficace  l'ispirata  parola,  il  suo  sguardo 
non  deve  arrestarsi  soltanto  sul  simmetrico  alternare  delle  vi- 
sibili bellezze  e  riposare  nella  beata  contemplazione  delle  fisiche 
meraviglie.  Bensì  penetrando  negli  intimi  rapporti  delle  cose, 
ed  osservando  quelle  norme  di  correlazione,  per  cui  ciascun  es- 
sere vive  in  mirabile  consonanza  coli'  universo  creato  ,  ei  farà 
scala  della  natura  sensibile  per  salire  al  mondo  morale  ,  spie- 
gherà di  questo  1'  ordine  e  l'armonia  ,  e  si  farà  rivelatore  agli 
uomini  di  quella  legge  che  assegna  uno  scopo  ed  un  uffizio  all' 
individuo ,  ai  popoli  ,  all'  umanità.  Perocché  la  natura  non  è 
soltanto  un  armonioso  suono  del  verbo  divino,  ma  essa  è  pure 
l'oracolo  che  ci  svela  i  secreti  dell'eterna  sapienza. 

A  quella  fonte  perenne  attinse  il  Buonfiglio  le  ispirazioni 
consegnate  in  alcuni  capitoli  che  chiamò  inni;  egli  aspirò  a 
riverberare  ne'  suoi  carmi  le  bellezze  della  natura ,  e  l'opera 
corrispose  in  parte  all'intento.  Se  non  che  il  poeta  si  fece  per 
avventura  troppo  passivo  del  suo  soggetto  invece  d'investirlo 
e  dominarne  l'ampiezza;  il  suo  pensiero  non  vola  sul  vasto 
orizzonte  che  gli  si  para  dinnanzi ,  non  s'aderge  a  tale  altezza 
da  veder  dove  tenda  tanto  impulso  di  moto ,  tanta  potenza  di 
vita ,  non   tenta   di  alzare  un  lembo  à^A  velo  che  asconde  gli 


480 

umani  destini,  non  interroga  il  creato  sui  disegni  del  Creatore 
scrutando  i  cieli  ,  investigando  l'abisso.  Ma  egli  procede  suc- 
cessivamente di  fenomeno  in  fenomeno,  e  si  riposa  in  un'estasi 
tranquilla  a  fronte  degli  incantevoli  portenti  :  ei  lambe  la  su- 
perficie delle  cose  senza  inviscerarne  l'essenza  ,  e  pago  a  quell' 
armonia^  che  risulta  dall'esterior  disposizione  degli  oggetti,  ei 
li  descrive  con  minuta  diligenza  e  benedice  al  loro  Fattore,  che 
fra  tante  bellezze  pose  l'uomo  per  fruirne ,  senza  argomentare 
della  parte  che  a  questi  si  spetta  in  quel  sublime  dramma  di 
cui  teatro  è  il  mondo.  Però  manca  a  questi  poetici  componi- 
menti ,  per  molti  pregi  d'altronde  commendevoli  ,  quel  lirico 
slancio ,  quell'impeto  di  fantasia  ,  quel  fremilo  di  potente  pas- 
sione per  cui  il  poeta  ti  rapisce  e  trasporta  nelle  superiori  ^re- 
gioni  del  mondo  ideale  5  e  perciò  ancora  ne  sembra  che  la 
deaominazione  d'  inni  sotto  cui  vengono  presentati  sia  più 
che  idonea  ambiziosa.  Bensì  nel  leggere  questi  versi  tu  senti 
l'alitare  d'un  placido  affetto  che  rivela  l'emozione  d'un  cuor 
pio  e  nodrito  all'amore  di  Dio  e  degli  uomini.  Ma  la  pietà 
dell'autore  troppo  spesso  si  confonde  con  un  certo  quietismo 
mentale,  infecondo  e  disutile  per  incitar  l'uomo  a  sostener  co- 
raggiosamente la  lotta  contro  le  influenze  del  male  che  lo  cir- 
condano, e  ch'egli  è  chiamato  a  combattere  e  domare. 

Il  cristianesimo  che  sostituì  all'antagonismo  su  cui  reggevansi 
le  società  antiche,  la  legge  di  fratellanza  e  di  amore,  diede  alla 
umana  attività  un  alto  scopo  cui  deve  assiduamente  anelare  ; 
e  l'olocausto  del  divino  suo  fondatore  dimostra  che  la  via  di 
asseguirlo  è  ardua  e  faticosa.  Però  è  da  lasciarsi  ai  bonzi  ado- 
ratori di  Boudd'  ha  e  di  Fo  quella  beatitudine  di  muta  con- 
templazione, per  cui  il  pensiero  riposa  assorto  e  trasfuso  negli 
oggetti  circostanti,  e  torpe  neirannichilamcnto  dell'individuale 
energia.  Il  poeta,  e  più  ancora  il  poeta  cristiano,  non  deve 
accontentarsi  all'esprimere  le  impressioni  che  riceve  dalle  cose 
che  gli  stanno  attorno  5  egli  deve  aspirare  ad  agire  sul  mondo, 
ad  agire  potentemente,  salutarmente. 

Fatta  così  una  larga  parte  alla  censura ,  e  più  larga  forsu 
che  al  proposito  si  convenisse,  perchè  nell'esporre  queste  nostre 
opinioni   avemmo   spesso   in    mira    un    intero  genere  di  poesia 


481 

anziché  il  saggio  che  ne  sta  sott'occhio;  giustizia  vuole  che  si 
dica  doversi  molta  lode  all'autore  pel  modo  onde  seppe  vestire 
i  suoi  concetti  espressi  quasi  sempre  con  purezza  di  lingua  e 
venustà  di  stile  ,  e  talvolta  riccamente  coloriti  da  una  viva  im- 
maginazione. 

Solo  noteremo,  in  aggiunta  alle  critiche  osservazioni  da  noi 
fatte,  una  troppa  ridondanza  di  pensieri,  che  il  poeta  accumula 
talvolta  sopra  soggetti  assai  sterili  per  se  stessi,  dal  che  ne  viene 
che  alcuni  concetti  potrebbero  venir  tacciati  di  puerilità,  come 
allorché  della  neve  parlando  ei  dice 

E  tu  ritieni   sulle  patrie  porte 

Il  giovin  baldo  che  dal  sen  materno  • 

Ama  volar  fra  l'arme  in  seno  a  morte. 

Un  eroe  che  sosta  per  la  neve  che  cade  ,  è  agli  occhi  nostri 
un'immagine  meno  ancor  che  prosaica. 

Ed  anche  la  ripetizione  spesso  ricorrente  delle  parole  cetra, 
lira,  corde  potrebbe  sembrare  un  avanzo  di  quelle  arcadiche 
lautezze,  di  cui  grazie  a  Dio  senton  nausea  finalmente  li  meno 
squisiti  palati.  '  -  •*-"^^-^    «*''    ■"'"" 

Ora  se  dalle  regioni  della  critica  noi  fossimo' Wénturatarnente 
sdrucciolati  in  quelle  della  pedanteria,  ci  dorrebbe  davvero: 
ma  credemmo  che  a  poeta  che  stimiam  giovane ,  e  che  mostrasi 
.capace  di  levarsi  a  più  alti  voli  non  si  dovesse  tacere  quali 
siano  a  parer  nostro  le  mende  che  s'incontrano  ne' suoi  carmi, 
e  che  ne  offuscano  in  parte  le  bellezze.  ''' 

Non  equidem  hoc  studeo ,  buUatis  ut  mihi  nugis 
Pagina  turgescat    * 

*  Perseo, 


MiHiTIZmoLO. 


482 

ì^ita  Francisci    Canaveri'i  Monregalensis   Medicinae  professor i$ 
in  Taurinensi  Aihenaeo.  —  Auctore  Laurentio  Martinio. 

.837. 


Nel  febbrajo  dell'  anno  scorso  moriva  in  Torino  Francesco 
Canaveri  da  Mondovi  medico  insigne  e  generoso  uomo.  La  pa- 
tria pianse  in  lui  un  ottimo  cittadino,  e  la  scienza  medica  un 
cultore  cui  va  debitrice  di  molti  progressi.  Vissuto  a  tempi  in 
cui  il  vecchio  edifizio  sociale  d'ogni  parte  sfasciato  crollava  per 
ìstabilirsi  su  nuovi  principi  più  in  armonia  coi  lumi  e  le  ten- 
denze del  secolo ,  quelli  egli  candidamente  e  disinteressatamente 
amò.  Ma  modesto  e  vago  di  quella  quiete  che  allo  studio  si 
conviene ,  ei  si  astenne  ognora  dal  mescersi  nei  politici  con- 
flitti ,  e  uscì  dalle  civili  tempeste  con  pura  ed  illibata  la  co- 
scienza e  la  fama.  Chiamato  a  coprire  la  cattedra  di  medicina 
nella  Università  di  Torino  ,  a  questo  uffizio  si  consacrò  'con 
ardore  a  grande  giovamento  di  quanti  pendettero  per  più  anni 
dal  labbro  suo.  Scrisse  inoltre  vari  libri  sulle  cose  mediche,  i 
quali  fan  fede  quanto  fosse  in  lui  e  1'  ingegno  e  la  dottrina. 
Esercitò  r  arte  sua  con  generosità  e  decoro:  grande  per  sapere, 
modestia,  e  pietà,  fu  specchio  d'ogni  virtù. 

La  vita  d'  un  tal  uomo  dovea  esser  posta  in  luce  ,  sia  per 
invitare  altrui  a  seguire  quelle  splendide  orme ,  sia  per  non 
fraudare  la  sua  memoria  del  più  giusto  de'  tributi ,  la  pubblica 
riconoscenza.  Ciò  pensò  il  Professore  Lorenzo  Martini ,  e  ciò 
fece  degnamente.  Raccontò  le  vicende  dell'illustre  trapassato, 
e  diede  de'  suoi  scritti  1'  enumerazione  e  1'  analisi.  In  questa 
vita  del  Canaveri  egli  accoppiò  all'  altezza  dei  pensieri  una  certa 
solennità  di  forme  per  cui  leggendola  ci  sentiamo  sollevati  dalle 


485 

regioni  della  vita  volga rQ ,  e  posti  in  presenzia  d'  un  grand'uo- 
mo.  A  chi  conosce  la  penna  del  Martini  non  sarà  uopo  il  dire 
che  la  sua  frase  è  sonora,  la  parola  incisiva,,  lo  stile  colorito, 
veloce.  Un  grande  pregio  agli  occhi  nostri  si  è ,  che  lodando 
nobilmente  il  maestro,  il  discepolo  ci  diede  la  misura  dell'ani- 
mo e  della  mente  sua.  Grazie  sieno  a  lui  che  fece  una  bella 
e  santa  opra.  Ora  noi  saremmo  per  chiedere  all'  egregio  autore, 
perchè,  perito  qual  ei  mostrossi  più  volte  nella  nostra  italiana 
favella,  egli  abbia  prescelto  di  scrivere  in  lingua  latina;  se  non 
che  pare  vei'amente  che  nulla,  meglio  di  (jucll' augusto  idioma, 
potesse  stare  in  armonìa  con  quella  fragranza  <lì, virtù  antica 
che  spira  da   tutto  il  librò,  '  ^'        .•'•    t-.-.»    • 

Valgaci  a  confermazione  della  nostra  sentenza  il  qui  arrecare 
il  periodo  con  che  si  chiude  questa  pregevole  scrittiira. 

Mohumentuih  ià  campo  funereo  posilum  est.  ScrìHejìti.Wsci- 
pulo  paucula  de  se  dicere  liceat.  Sepulcrum  saepe  adeo  :  imagi- 
natio  marmar  animat  :  illi  acuii  benignitatem  spirarti  :  ea  labia 
virtutem  commendant.  Praécepta,  Consilia ,  henefacta  menti  si' 

mul  recursont:  pai'entem' venerar.  Faxit  Deus  admiratio  fructù 

ne  carcat.  •■■  .^  '•'  •■-■■;-.  onne 

sii    iinErmi'iaxio?»!  43  ^  «*|w    *^^o    f»JniMWD<«Fi«*»».  ot»3 

j     f.^Mi      ìaiiR     j-r       '-     ,.-..:   :  ■.    I    .,(•      -    .^j,!/,     Jc    ÌJtJ 

:,•;,    ,.,,'.  'jji.'ì    )..  <\   .fiH8   latup 

■■  Minnsin'ìh  &l  ,  inqijjca.  al.  ,  animilo  i  ..oiisaéiouoo  laq  ì.1JqI> 
•     -  —  ■'.::■•    f.  ., Tv. -:,-'■  ':''■..:-■    ;>"■■'■     •   ■    ■  J,   aìihaói 

xsfiviif.ao 

I.  .:<>ai  iij  u;iiiui4o.  uuuvoi^  , ns?,(po,ci;  ^oagui  iuL'  aopufi  jllawp  uà 

,,-M-.j      .[       ...■(,., I.      .).-,, -v^.-     ' ■.!     ;)I1     ttlfijjp    li     iliUilJJob 

af»q?.».  ieiayib  a.iJloxBr 

-   '».  ..    ,  .' hit:.|i  •'  t/S7   i    IMI' 

i'  '  • ,  ■..:.•    ■.\  .  ,  1  .(!•-»(  i  '.    , 


•  tHOUp 


484 

-ou  BULLETin   DES   EAUX   d'aIX   EN    SATOIE 

'jiìb  i.  ^.A 

.oìholoo  alìH  olpar  lelDoct.  Despine//*  eie 

oBofiBof    éìifjh    ,t»^fa    i-iiio/!    ii.  .;iv    li;.;;  Oi;;L)-it|   aLtui^   aj    .3,>oI:>/ 

"ffrfi'r'il)   ;;'i(r?,fi((    :f    ■  '"■''^c'  ■  ■  -ji"!!-!''!  ■''■  j'     ''rrl^'..-;!!!    li  -^j-.r  'aA'm]    ,\ 

,9ioJi;.:  i,'.,2--;j;f;j  "Ili;  j'i'tLaa'.i  u-iq  Oìiiiì!;j"J-;ì  ìOìi  ì,ìU  .i>,'i{0  f^JXi^a  t) 
sniiifjRli  iT,ii><:>a  r.\\.in  ^.flov-  iiiq  xr:?.cii?.om  v)  [«up  oli!'.. ri  .''ji[:>ii9q 
OOl:\;   ..i\:  Ah.  .   ■  ;;    i^-:.  •■     •     ■;     .-i^!  iV'iì 

Ilsigopr  Dottore  Despipe  figlio,  continuando  l'utile  pratica 
da  lui  introdotta  sin  dal  i834,  pubblicò  non  ha  molto  il  ren- 
diconto delle  acque  Termali  d'Aix  in;  Savoia  per  lo  scorso 
anno   i836. 

Dopo  up  breve  ceimo  sujl  tenore  della  costituzione  sì  atmo- 
sferica che  medica  durante  la  stagione  de'  bagni  e  sui  diversi 
metodi  dì  cura  da  lui  tenuti  a  seconda  delle  variazioni  occor- 
sevi, egli  dà  Je  tavole  comparative  del  movimento  delle  per-r 
sone  che  vi  si  recarono,  dei  luoghi  di  loro  provenienza,  del 
numero  de'  bagni  amministrati  in  quell'anno  in  paragone  dell' 
anno  antecedente.  .. 

Passa  quindi  ad  accennare  diversi  miglioramenti  che  si  fe- 
cero recentemente  alla  città  e  gli  accrescimenti  da  lui  arre- 
cati al  Museo  Patologico  incominciato  alcuni  anni  sono  per 
opera  sua.  Dà  la  relazione  di  due  escursioni  fatte  con  altri 
dotti  per  conoscere  l'origine  ,  le  cagioni  ,  la  direzione  e  la  pro- 
fondità delle  sorgenti  termali ,  esponendo  il  risultato  delle  loro 
osservazioni  j  e  termina  con  un  sunto  dei  lavori  analitici  fatti 
su  quelle  acque  dal  signor  Bonjean,  giovane  chimico  di  molta 
dottrina j  il  quale  ne  fece  un  accurato  studio,  le  sottopose  a 
molti  e  diversi  esperimenti,  e  ne  determinò  con  più  esattezza 
e  precisione  i  varii  componimenti ,  avendo  fra  le  altre  cose  ac- 
certata nelle  medesime  la  presenza  dell'iodio  sospettata  bensì 
dal  nostro  Dottor  Griffa,  ma  non  ancora  scoperta  da  nessuno , 
e  quella  di  un  fluoruro  di  calcium  la  di  cui  presenza  in  quel- 
l'acque ignoravasi  intieramente. 

Questo  semplice  rendiconto,  a  malgrado  della  sua  brevità,  con- 
tiene non  poche  assai  curiose  e  saremmo  per  dire  rilevanti  no- 


485 

tizie.  Tali  per  lo  appunto  son  quelle  che  riguardano  1'  analisi 
chimica  delle  acque  ed  il  risultato  delle  sperienze  fatte  dal  sig. 
Bonjean,  che  gioveranno  a  meglio  dirigerne  1'  impiego  nella 
cura  delle  affezioni  morbose  ,  e  soprattutto  la  scoperta  dell'iodio 
in  combinazione  nelle  medesime,  che  ne  accrescerà  senza  dub- 
bio l'uso  medicale.  Tali  purè  sono  quelle  che  concernono  le 
cause  calorificanti  delle  acque  ,  della  diminuzione  che  talora 
accade  nella  loro  temperatura  ,  e  dell'alterazione  a  cui  vanno 
qualche  altra  volta  soggette  ,  che  più  positivamente  conosciute 
potranno  essere  con  opportuni  mezzi  antivenute  ,  come  infatti 
il  signor  Despine  medesimo  in  seguito  alle  fatte  scoperte  già 
ne  accenna  alcuni. 

Ma  ciò  che  più  di  tutto  merita  lode  al  signor  Despine  si  è 
l'indefesso  zelo  che  continuamente  dimostra  pell'incremento  dello 
Stabilimento,  e  per  1'  utile  delle  persone  che  vi  concorrono. 
Egli  già  pubblicò  alcuni  anni  sonoil  Manuel  del'étranger  aux 
Eaux  d'AiXj  in  cui  assieme  a  curiose  e  dilettevoli  notizie  iste- 
riche ,  archeologiche  ,  e  statistiche  su  Aix  e  suoi  dintorni , 
diede  molte  rette  e  giudiziose  osservazioni  ,  frutto  di  accurati 
studii,  su  quelle  acque  e  loro  proprietà,  e  sul  modo  di  ammi- 
nistrarle tanto  internamente  che  esternamente.  Egli  inoltre 
creò  un  Museo  Patologico  per  conservare  la  memoria  delle 
cure  più  rilevanti  operatesi  da  quelle  acque  in  malattie  ester- 
ne, cosa  utilissima  e  che  riescirà  in  progresso  di  tempo  di  sem- 
pre maggiore  vantaggio:  e  dal  ragguaglio  ch'egli  dà  del  sistema 
da  esso  tenuto  uell'  amministrare  1'  acque  agli  ammalati  ,  noi 
veggìamo  con  piacere  che  procedendo  sull'orme  del  chiaro  suo 
genitore  egli  s' attiene  ad  un  metodo  rigorosamente  razionale 
fondato  sui  principii  della  scienza. 

Mercè  tali  cure  questo  Stabilimento  non  è  soltanto  un  luogo 
di  dilettevole  convegno  ,  ma  nello  stesso  tempo  un  vero  Stabi- 
limento sanitario  di  una  reale  utilità  in  molte  affezioni  mor- 
bose ,  e  noi  godiamo  di  poter  aggiungere  che  le  lodevoli  fati- 
che del  giovane  medico  sono  coronate  dalla  copia  ognor  cre- 
scente delle  persone  che  concorrono  a  quei  bagni ,  come  dalle 
tavole  comparative  Aa\  suo  rendiconto  rilevasi. 


486 

/''.-ì  ieb  ^  .  tiq'-.  ulì-ìh  oj_i..ìI.i:  ■'■»  ii  Bj  9op3B  allat»  £'JciniiÌ3 

islfaii  ogaiqnit 'i  anisfjbib    nf(,Oj'*»t    r.    oflOBiavoig   arfo    ,H6i>iooa 
oìfiof'Ibb  fiijji  '  -;!jj,I3kuii>  0   , ',.>.'ìf{-xofn  ÌiioÌsoÌRb  albb   f.i:ir> 

BI    LUIGI    BOSSI    A    GIUSEPPE    GR488Iir  „    ^f,.^..„ 


A  cui  può  giunger  nuovo  il  nome  del  conte  Luigi  Bossi, 
Fautore  delle  storie  d'Italia  e  di  Spagna,  e  di  tante  altre  opere, 
il  cui  numero,  la  cui  varietà,  la  cui  dottrina,  gli  meritarono, 
non  che  dal  Monti  (Proposta,  voi.  in.  p.  2.  f.  vui. ),  da  tutta 
Italia,  il  glorioso  titolo  di  PoUstore  Lombardo?  Ora  di  questo 
eruditissimo  uomo,  rapito,  non  ha  gran  tempo,  all'onor  della 
Italia  e  degli  studi,  noi  mandiamo  iu  luce  alquante  lettere  in- 
dirizzate al  celebre  nostro  concittadino  Giuseppe  Grassi,  le  quali 
fanno  seguito  a  quelle  di  altri  letterati  già  da  noi  pubblicate 
in  questo  Giornale. 

P. 


Caro   Grassi  -^'Ji 

Milano,   4  maggia   1817. 

jj>a  celebre  contessa  Isabella  Teotochi  Albrizzi ,  della  quale 
vi  sarà  giunto  agli  orecchi  il  nome,  se  non  pure  agli  occhi^ 
alcuno  de'  pregievoli  suoi  scritti ,  vi  recherà  questa  mia.  Essa 
si  ferma  due  giorni  in  Torino ,  e  quindi  passa  a  Parigi  ;  vor- 
ircbbe  iu  questi  due  giorni  vedere  quanto  vi  ha  di  importante 


487 

a  vedersi,  e  conoscere  alcuno  degli  uomini,  cbe  meritano  di 
essere  conosciuti.  Per  la  prima  parte  la  appoggio  al  conte  di 
Harrache,  come  più  libero:  per  la  seconda  a  voi,  come  più 
adatto  ;  e  spero ,  ch'ella  sarà  tanto  contenta  di  fare  la  cono- 
scenza vostra ,  quanto  voi  lo  sarete  di  veder  da  vicino  una  donna, 
che  primeggia  tra  le  poche  donne  italiane,  che  sentano  lettere. 
Sarebbe  un  gran  bene,  che  la  metteste  in  contatto  colla  Dio- 
data  valentissima;  fatele  pur  sentire,  che  questa  ha  tra  i  suoi 
adoratori  Ippolito  Pinderaonte,  come  ebbe  Cesarotti,  e  quanto 
v'ebbe  di  migliore  negli  Stati  Veneti.  Non  vi  dico  di  più  ;  af- 
fido questa  dama  ,  che  io  venerai  sempre  da  25  anni  in  qua, 
all'amicizia  vostra,  ed  a  questa  raccomandandomi,  ed  alla  me- 
moria vostra,  con  tutta  l'anima  mi  dico 

Cosa  prostra  —  Bossi. 


Lrrassi   cariss. 

Milano  9  agosto  1817. 

Io  non  vi  risposi  subito  dopo  ricevuto  il  vostro  libro  (  che 
ricevetti  prontamente,  e  del  quale  di  tutto  cuore  vi  ringrazio), 
perchè  voleva  in  pari  tempo  rendervi  conto  della  sua  presen- 
tazione all'Istituto  ,  e  del  conto  che  se  ne  sarebbe  reso  nella 
Biblioteca  Italiana.  Ma  che  volete?  Il  vostro  libro  non  è  giunto 
mai  all'Istituto ,  se  non  vi  è  giunto  clandestinamente  ,  che  non 
credo.  Il  libro  piacque  a  me,  ed  a  vari,  che  lo  giudicarono 
un  buon  lavoro  ;  ma  altri  nel  frattempo  gridarono  la  croce  contro 
quell'opera,  che  parve  loro  empia,  scandalosa,  offensiva  delle 
italiane  orecchie ,  perchè  la  reputarono  piena  di  francesismi. 
Io  avea  già  scritto  mezzo  l'articolo,  che  vi  destinava  nella  Bi- 
blioteca ,  e  mi  rimasi  col  mio  lavoro  tra  le  mani ,  come  uomo 
che  non  sa  più  la  strada  dove  andare.  A  voi  dico  tutto:  lascio 
passare  questo  primo  furore ,  e  poi  comincio  dall'inserire  quasi 
per  intiero  la  vostra  bella  prefazione,  dico  qualche  cosa  del 
Dizionario ,  che  non  è  suscettibile  d'analisi ,  e  scaso  la  neces- 


488 

sita  di  aver  preso  acl  ìmprestito  qualche  vocabolo,  che  la  scienza 
non  avea ,  e  ricavare  non  potea  se  non  dai  francesi.  Cosi  spero 
che  sarete  soddisfatto.  -^  Vedete  voi  il  mio  Leon  X?  E'  sarehhié 
pur  bene,  che  qualche  volume  vi  passasse  sott'occhlo  ,  giacché 
vi  ho  inserito  nelle  note  al  testo  ,  e  nelle  addizionali  cose  cu- 
riose ,  ed  alcune  del  tutto  nuove.  —  Se  mai  vedeste  Gioberl, 
ditegli  che  le  rose  debbono  essere  fiorite  ,  e  che  si  attende  il 
suo  lavoro  sopra  il  Gallesio.  Amatemi ,  comandatemi  e  crede- 
temi 

Cosa  vostra  —  Bossi. 


Miiano  -jò  t'cbbruio  t8t^. 

Un  amico  mio ,  del  mio  casato  ,  ma  non  parente ,  possiede 
un  esemplare  bellissimo ,  sincrono ,  delle  opere  di  Montecuc- 
coli ,  in  3  voi.  in  fol.  Vi  si  trova  un'opera,  ch'egli  crede  ine- 
dita zzz  L'Ungheria  nel  1667.  =  Se  vi  giova  questa  notìzia 
servitevene.  Addio.  Io  sono 

Il  vostro  Bossi. 

L'amico  si  presterà  a  tutto  quello 
che  voi  potrete  desiderare. 

Caro  Grassi 

Milano   i3  marzo  1819. 

Rispondo  alquanto  tardi  alla  gentilissima  vostra  delli  24  ^*^^" 
braio,  perchè  distratto  da  mille  occupazioni.  Mio  era  realmente 
l'articolo  intorno  all'opuscolo  di  Schlegel,  come  quello  pure 
àeW Eusebio  del  Mai  nel  fascicolo  medesimo,  dove  vedrete  bea 
trattato  il  vostro  Principe  di  Carìgnano.  In  fatto  di  etimologie 
si  sta  assai  male  presso  i  nostri  librai:  VAdelung  non  si  cono- 
sce neppure.  Se  io  avessi  ancora  i  miei  libri ,  potrei  dirvi  qual- 
che cosa  su  questo  proposito  ,  ma  per  disgrazia  non  ne  ho  nep- 
pure il  catalogo.   Credo  che  avrete  un  buon  dizionario   celtico 


489 

cìie  credo  stampato  a  Londra  ;  liavvì  pure  un  dizionario  della 
lingua  Vallona,  che  è  molto  stimato  :  la  grammatica  celtica  di 
certo  Le  Brìgant  è  scampata  a  Parigi.  Molto  troverete  nella 
Atlantide  di  Plao  Rudhekioy  libro  rarissimo,  che  da  noi  esiste" 
solo  nel  Gabinetto  delle  medaglie  altre  volte  della  Zecca.  Mi 
nominate  V  Ilikes;  quello  è  eccellente,  ma  conviene  avere  l'e- 
dizione del  ijo5  di  Oxford.  Non  so  se  vi  ricordiate  della  Bi- 
blioteca Italiana  che  si  stampava  a  Torino  in  francese  nel  1806, 
cred'io^  in  quella  trovasi  un  mio  lungo  articolo  sopra  uno 
scritto  di  Fabbroni,  che  è  tutto  etimologico  ,  ed  assai  curioso. 
Sopra  questa  materia  sono  anche  tornato  nel  primo  volume  di 
una  storia  d'Italia,  che  ora  qui  si  pubblica  da  Giegler  con 
qualche  lusso  ,  e  che  non  so  come  riuscirà.  A  proposito,  sento 
che  Botta  nostro  scrive  una  storia  d'Italia  ;  sapreste  voi  dirmi 
su  quale  disegno,  dove  cominci,  dove  finisca,  se  sia  diffusa  o 
compendiosa  ^  generale  o  parziale  ecc.  ?  Se  lo  sapete  ,  scrive- 
temi subito.  Tornando  all'etimologie-,  molte  cose  si  trovano 
sparse  qua  e  là  nei  libri  ai  quali  meno  si  pensa  :  molto  v'  ha 
p.  e.  nella  Italia,  nella  Sicilia,  e  nella  Germania  di  Cluverio, 
molto  nel  cattivo  libro  di  Bardati  sui  primi  abitatori  d'Italia, 
molto  nella  Storia,  o  piuttosto  nel  romanzo,  universale  del 
dottissimo  Bianchini,  molto  nelle  opere  del  Guarnacci,  del 
Muffai,  del  Lanzi  ecc.  Ma  io  non  ho  più  que' libri  alle  mani. 
Avete  voi  veduto  il  nostro  vocabolario  milanese  di  Cheru- 
binil  Alcuna  cosa  sulla  lingua  provenzale,  che  vi  potrà  gio- 
vare, ha  scritto  anche  il  defunto  Millin  ;  molte  buone  cose 
in  proposito  delle  origini  settentrionali,  paragonate  anche  colle 
Indiane  ,  troverete  nelle  opere  di  Jones,  nelle  Asiatik  Resear- 
chcs  ,  nelle  Transactions  of  Calcutta,  e  poche  nell'opera  del 
nostro  Micali.  Qualche  cenno  ho  fatto  io  delle  settentrionali 
nella  mia  lettera  a  Schlegel  sulle  vane  ossia  sulle  iscrizioni  dei 
lioni  di  Venezia,  stampata  a  Torino,  in  ottavo.  Cercate  pure 
Keissler  antiquitates  septcntn'onales  et  celticae;  il  di  cui  esem- 
plare che  io  aveva  ,  passò  nelle  mani  di  Caliiso  ;  Torhelin  an- 
tiquìtates  septentrionales  -,  le  opere  di  Giona  Ranco  :  un  buon 
libro  dev'esservi  pure  de  origine  linguae  Svecicae.  Eccovi  una 
lunga   ^uiaccherata    senza   ordine ,   e   forse   inutile.    Vedrò    eoa 

3o 


490 

molto  piacere  le  cose  vostre  ,  ed  allora  vi  dirò  forse  di  più. 
latanto  non  mi  risparmiate  se  mi  trovate  buono  ad  alcuna 
cosa.  Qualche  tentativo  etimologico  ho  fatto  io  recentemente 
neir  occasione,  che  Zurla  ha  pubblicato  la  sua  grand'  opera 
sopra  Marco  Polo  ;  ma  onorandomi  come  sua  guida,  e  suo 
aiuto,  non  ha  fatto  uso  che  di  poche  mie  osservazioni,  e  queste 

ancora   ha   storpiate Per  es.  io   il  primo    ho    spiegato 

all'evidenza  ciò  che  dir  si  volesse  il  nome  capedolae ,  del  testo 
latino  antichissimo,  e  questo  indica  i  balenotti,  che  i  Vene- 
ziani, e  molti  altri  Italiani  dicono  capi  d'olio;  si\\Vaudanicum 
Zurla ,  fid  io  non  siamo  d'  accordo  ,  perchè  io  intendo  1'  ot- 
tone ,  ed  egli  l' acciaio.  Avete  veduto  ciò  che  Ciampi  scrisse 
ultimamente  per  provare  l'antichità  della  lingua  italiana?  Hav- 
vene  un  mio  estratto  nella  Biblioteca  dell'anno  scorso  5  ma  vi 
sarà  giovevole  il  vedere  l'originale.  Qualche  cosa  troverete  pure 
nelle  antichità  italiche  del  Carli,  Ma  eccomi  di  nuovo  tra  le 
etimologie!  Monti  non  ha  cessato  mai  di  stampare,  ma  avendo 
vomitato  troppe  ingiurie  Eowtro  l'autore  ignoto  di  quelle  osser- 
vazioni che  avrete  veduto  nella  Biblioteca  Italiana ,  sta  ora  al- 
tercando colla  censura ,  perchè  non  gli  si  permette  la  stampa^ 
il  che  sia  detto  tra  noi.  Salutatemi  Vassalli  cordialmente  :  mi 
si  dice  che  Morosi  ha  avuto  la  sua  patente  di  conferma  a  que- 
sta accademia;  ed  io  non  l'avrò?  Scrivetemi,  comandatemi, 
amatemi  «  e  credetemi 

Cosa  Vostra  —  Bossi. 


4.  e, 

MUaao  23  giugno  1819. 

Non  posso  rispondere  letteralmente  all'ultima  vostra ,  che 
non  ho  per  accidente  sotto  gli  occhi  5  ma  so  bene  che  vi  si 
contenevano  varie  domande  intorno  al  codice  di  Montecuccoli, 
alle  quali  tutte  in  globo  rispondo  sì  ,  sì ,  sì.  Non  mandai  allora  il 
codi'^e  stesso,  perchè  Custodi  aveva  alcuna  idea  sopra  il  medesimo; 
ora   quei  pianeta  è  «jyclissato,  ed  io  ne  posso  disporre  libera- 


491 

mente.  Quanto  alla  persona  mia  ,  per  tutto  quest'anno  siete  ben 
sicuro  di  trovarla  in  Milano,  perchè  delirante  in  mezzo  a  que- 
sti stampatori  e  librai  noiosissimi.  Sono  usciti  i  due  primi  vo- 
lumi della  mia  storia  d'Italia  ,  ed  una  copia  è  destinata  per 
voi  ,  ditemi  solo  a  chi  debba  consegnarla  ,  se  a  Barisoni  o  ad 
altri  per  farvela  giungere  sicura  e  con  minore  dispendio.  Non 
so  come  sarà  ricevuta  quest'opera  faticosissima  ,  e  per  la  quale 
avrei  desiderato  maggiore  copia  di  mezzi ,  cioè  di  que'  libri  che 
non  si  trovano  nelle  biblioteche.  L'edizione  (  quella  almeno  in 
ottavo  )  è  bella ,  assai  corretta ,  con  molti  rami  non  inutili;  in 
Piemonte  (i|pgler  ed  io  la  mettiamo  soito  ia  vostra  protezione, 
—  Mi  era  venuto  in  pensiero  di  spedirne  una  bella  copia  (en 
velin)  al  vostro  celebre  Nota ,  perchè  la  presentasse  al  suo 
Principe  ,  affinchè  almeno  andasse  in  mano  ad  uà  principe 
italiano  5  ma  ho  cacciato  quel  pensiero  come  una  tentazione 
del  demonio,  perchè  io  niente  più  odio  che  l'andaTC  in  cerca 
di  complimenti  ,  e  l'opera  nella  migliore  sua  Tos-m?  non  mi 
verrebbe  a  costare  meno  di  i44  franchi  senza  le  legature.  Di- 
temi in  confidenza  se  ho  fatto  bene.  Il  terzo  tomo  è  già  ijiolto 
avanzato.  —  Voi  forse  mi  credeste  autore  dell'articolo  fucila 
Biblioteca  Italiana  riguardante  gli  atti  della  vostra  Accademia. 
Io  non  ho  veduto  quel  volume  se  non  un  momento  all'-^sti^uto, 
né  so  a  chi  sia  stato  dato  per  esame.  Sono  bensì  jnìel  /;li  ar- 
ticoli dell'Eusebio ,  ove  è  ben  trat'<.ato  il  mecenate  àsll'Aitoer- 
tin  hist.  de  la  peinture ,  dei'ì jintoUni  j  del  Rejnier  «ce.  — 
Venite  dunque  quando  vi  piace  j  quanto  sarà  più  presto ,  sarà 
^leglio,  perchè  avrò  il  piacere  di  vedervi^  d'abbracciarvi  e  di 
riconfermarvi  i  sentimenti  coi  quali  sono 

Cosa  Mostra  —  Bossi. 


P.  S.  Saluti  a  d'Harraclie,  a   Vassalli  ,  agli  amici  più  cari. 


492 


Milano  aò  aprile  i83o. 

È  un  secolo  che  non  ho  vostre  nuove  dirette.  Ho  veduto  il 
vostro  articolo  sui  volumi  posteriori  della  Storia,  e  vi  ringrazio. 
È  uscito    l'ottavo    volume  ,    e  già   molto  ianoltrato  il  nono.  Si 
stampa  pure  una  mia  Introduzione  allo  studio  delle  belle  arti, 
che    vi    manderò.    —  Come  va  il  Montecuccoli  ?  —  Quell'eti- 
mologia, trovata  da  Cattaneo,  di  cui  voleva  parlarvi  ,  era  quella 
di  fjLOLaxAXktip  ,  trovata    in  Erodoto,    laddove    parla||^i  finimenti 
di  cavalli,  dalla  quale  voce  egli  dubita  derivata  quella  di  ma- 
scarizza    o   mascarezza,    in   Lombardia    applicata    a  quel  cuoio 
bianco    di  cui  si  fanno  i  finimenti,  cosa  non  avvertita  dal  di- 
ligeutissimo  Cassis  nel  suo   faron  Mdanes.  —  Bello  quel  tratto 
di    bontà    del    vostro   re    per   gli  astronomi  premiati  a  Parigi  ! 
Degno  di  un  re  d'Italia!  Addio.  Disponiamoci  a  cose  migliori. 
Salutate  Peyron  dottissimo, 

//  vostro  Bossi, 


Caro  Grassi 

Milano  i4  marzo  1821. 

Spero  che  avrete  a  quest'ora  ricevuti  i  tomi  xi  e  xii  della 
storia  d'Italia,  ed  il  primo  di  quella  di  Spagna.  Questa  pure 
vi  è  raccomandata.  Il  tomo  xni  è  quasi  finito  di  stampare,  ed 
il  secondo  della  Spagna  lo  sarà  quanto  prima.  Questo  è  sudare. 
Ed  intanto  è  uscito  il  primo  fascicolo  dei  miei  animali  ;  ed  in- 
tanto sono  usciti  due  fascicoli  dei  miei  saggi  chimici  ;  ed  in- 
tanto è  uscito  il  primo  fascicolo  dei  Fasti  di  Milano  col  testo 
mio  ;  e  se  non  fosse  mancata  la  carta  ,  sarebbero  stampati  la 
Introduzione  allo  studio  delle  belle  arti,  ed  il  Dizionario  com- 
pendioso delle  belle  arti ,  tutti  miei  lavori.  Gol  mese  di  luglio 
però  conto  di  porre  fine  a  qualunque  lavoro,  e  di  darmi  ad 
uà  perfiitto  riposo. 


495 

Ho  ricevato'il  vostro  saggio  di  sinonimi  italiani.  Vi  ringrazio 
e  mi  rallegro.  Bella  l'idea,  buono  il  metodo,  lucida  la  meta- 
fisica, chiari  e  talvolta  nuovi  gli  esempi,  ben  impressoli  libro. 
Continuate  animoso  nell'impresa  che  non  può  a  meno  dì  non 
riuscirvi  onorevole  e  vantaggiosa.  Datemi  nuove  vostre ,  ama- 
temi e  credetemi 

Cosa  Prostra  —  Bossi. 


Milano  i3  settembre  iSar. 

Amico,  ho  paura  che  il  mio  agnato  e  voi  ed  io  abbiamo 
pigliato  un  granchio  madornale.  Avete  voi  veduto  un  libretto 
in  12  stampato  in  Colonia  ed  in  Ferrara,  (cioè  in  Ferrara  dal 
Filoni),  intitolato:  Memorie  del  Generale  Piencipe  di  Monte- 
cuccoli  ecc.  ecc.  aggiunta  la  vita  dell'autore  per  il  signor  H' 
D.  H.  C.  D.  R.  D.  P.  con  note  cavate  dagli  autori  antichi  e 
moderni j  poste  in  luce  per  il  signor  Henrico  di  Huyssen  con- 
sigliere di  guerra  di  S.  M.  il  Czar  di  Moscovia  j  senza  data  di 
anno  ?  Se  non  l'avete  veduto,  siamo  fritti  ,  e  quasi  tutta  l'Ac- 
cademia con  noi.  A  carte  Sai  si  trovano  gli  aforismi  appli- 
cati alla  guerra  possibile  col  Turco  in  Ungheria^  che  comin- 
ciano. —  I  popoli  barbari  ripongono  principalmente  i  loro  van- 
taggi ecc.,  segue  l'opera  divisa  in  capi  e  titoli,  ed  articoli,  \ 
primi  al  numero  di  6,  gli  ultimi  continuati  al  numero  lxxv, 
e  finisce  —  le  più.  robuste  cose  comprendere.  La  scoperta  di 
questo  libro  è  stata  fatta  dal  mio  scrittore  ,  ed  io  non  ho  vo- 
luto dilFerire  a  darvene  la  notizia.  Oh!  quanto  vi  vuole  a  pro- 
nunziare quella  parola  di  inedito  !  D'Arrache  mi  ha  dato  vostre 
nuove:  scrivetemi  se  vedeste  quel  libro,  amatemi,  comanda- 
temi e  credetemi 

Cosa  Vostra  —  Bossu 

A.  e, 

Milano  i6  febbraio  i8as. 

Alla  nota  mandatavi  da  D'Arrache,  e  scritta  uno  stans  pede 
come  questa,  dovete  aggiungere  le  grandi  moli  di  pietra  sovrap- 


494 

poste  le  une  alle  altre  dell'Iugliilterra  e  della  Scozia ,  delle  quali 
Camdeno  e  Brutt;  moli  non  dissimili  se  non  perchè  meno  gi- 
gantesche, della  Danimarca  e  di  alcune  parti  della  Germania, 
che  troverete  effigiate  in  Keissler  Antichità  settentrionali  e  cel- 
tiche, &àìn  Euardo  de  origine  Germanorum  ;  i  mucchi  di  pietre 
o  anche  di  corna  di  rangiferi  della  Siberia,  ai  quali  ogn'anno 
i  parenti  e  gli  amici  aggiungono  un  sasso  o  un  corno  ,  del  che 
potete  veder  cenno  nella  mia  traduzione  dei  viaggi  di  Billings, 
ì  mucchi  di  pietre  dell'Africa,  dell'America,  e  fino  dell'isole 
più  recentemente  scoperte  del  mar  pacifico  ;  e  legare  tutto  in- 
sieme, giacché  dicasi  quel  che  si  vuole,  sono  tutti  monumenti 
sepolcrali.  Non  vi  fidate  troppo  delle  origini  orientali  massime 
ebraiche,  che  vi  porteranno  lungi  dal  vero.  Gli  antichi  setten- 
trionali, immensamente  robusti,  ammassavano  macigni  che  an- 
cora si  guardano  con  ammirazione  per  la  loro  grandezza  smi- 
surata^ i  meridionali  più  deboli  ed  alcuni  popoli  più  recenti 
ammucchiavano  ciottoli ,  e  non  diversa  cred'io  l'origine  delle 
nurachc  La  parola  nurock  adoperata  nei  secoli  barbari ,  si  ri- 
ferisce pure  a  sepolcro. 

Mi  fa  ridere  la  domanda  sui  taccuini  se  non  altro  mal  con- 
cepita. Non  SG  come  la  Grusca  abbia  trovato  con  tre  esempi, 
dei  quali  une  solo  al  più  è  applicabile  al  lunario  ,  l'identità  di 
questo  col  taccu'no.  Gerto  è  che  né  in  Toscana,  né  in  Lombardia, 
né  in  tutta  l'Italia,  eccetto  che  nella  sola  Milano,  ed  in  un 
raggio,  che  io  non  estenderei  a  più  di  20  miglia,  si  trova  il 
taccuino  essere  sinonimo  di  almanacco.  Andate  a  Bergamo ,  a 
Cremona,  a  Piacenza,  a  Modena,  e  molto  più  progredendo; 
chiedete  un  taccuino  e  vi  si  presenta  un  astuccio  di  pelle,  od 
un  portafoglio,  un  libretto  di  fogli  bianchi,  ma  non  mai  un 
lunario.  In  Milano  sola  ,  dove  maggiore  è  la  corruzione  e  lo 
snaturamento  della  lingua,  sono  sinonimi  faccumo,  almanacco^ 
lunario y  e  solo  si  fa  una  distinzione  (ch'io  credo  semplice- 
mente mercantile  )  dal  Giornale ,  che  così  vien  detto  quel  lu- 
nario che  si  sospende  come  un  quadro.  Altra  non  se  ne  conosce 
né  da  Vallardi  né  da  alcuno.  Se  avete  letto  uno  strambotto 
mio  che  è  stato  inserito  per  intero  nell'appendice  alla  gazzetta 
di  Milano,  intitolato  :  ^iVzVra  degli  almanacchi  delT anno  1821, 


495 

avrete  veduto  il  significato  promiscuo  ài  tutti  que'  nomi.  Del 
resto  Tacoiiin,  come  sapete,  è  voce  araba  generica  che  signi- 
fica produzione^  tacuino  fu  detta. nei  bassi  tempi  qualche  opera 
medica ,  perchè  i  medici  affettavano  l'arabismo ,  e  taccuino  fa 
detto  qualche  libro  d'astrologia  nel  quale  erano  indicati  i  punti 
di  cielo,  o  forse  i  pronostici  dell'anno,  dal  che  venne  l'inganno 
dei  tristi  accademici  della  Crusca  e  la  confusione  fatta  dai  Mi- 
lanesi del  taccuino  col  lunario.  À  Venezia  ed  altrove  si  ride 
al  sentirci  nominare  taccuini  i  calendari.  In  Piemonte  doveva 
essere  famigerato  questo  nome ,  perchè  vediamo  Ioannes  de 
Fridino  dictus  Tacuinus ,  stampatore  nel  secolo  X  in  Venezia, 
che  certamente  non  aveva  tratto  il  nome  da  un  lunario,  che 
colà  non  dicevasi  taccuino.  De  hoc  satis. 

Ho  fatto  tenere  l'articolo  di  lettera  che  lo  riguardava,  al  mio 
agnato,  e  non  so  altro.  Vorrei  che  annunziaste  la  mia  opera 
sulle  arti  nel  vostro  giornale  per  far  piacere  al  libraio.  Vi  ab- 
braccio e  sono 

Cosa  Vostra  —  Bossi. 


Milano  i4  luglio  iSaS. 

Ho  ricevuto  la  vostra  carissima  recatami  da  Bocca.  Sapeva 
io  che  eravate  afllitto  da  oftalmia  5  ma  non  sapeva  già  che  que- 
sta malattia  continuasse  con  tanta  ostinazione,  né  che  voi  foste 
altresì  travagliato  da  domestiche  sciagure.  Mi  duole  assai  di 
quella  malattia  ,  e  perchè  voi  soffrite  ,  e  perchè  ne  soffrono  assai 
le  lettere  ,  se  voi  rimanete  inoperoso.  Mi  rallegro  ,  che  l'Ac- 
cademia sia  venuta  al  riparo  delle  sciagure,  e  bramo  che  il 
Governo  compia  quell'opera  salutare. 

Quanto  a  me ,  senza  alcun  male  agli  occhi  vado  a  grado  a 
grado  perdendo  la  vista.  Tuttavia  la  storia  d'Italia  è  finita  : 
(non  manca  che  un  indice)  ,  e  ne  riceverete  da  Bocca  il  vo- 
lume XIX.   Sto   terminando  alla  peggio  la  storia  di  Spagna  che 


496 

sarà  finita  nell'anno;  continuo  debolmente  i  Saggi  Chimici,  ì 
Fasti  di  Milano  ,  un  orribile  Quadro  Geografico  ,  ecc. ,  lio  fatto 
una  nuova  edizione  della  mia  versione  della  Geografìa  di  Gol- 
dsmith,  cbe  ho  quasi  interamente  rifatta  ;  ho  scritto  qualche 
articolo  per  la  Biblioteca  Italiana  ;  ma  il  lavoro  di  cui  più  mi 
compiaccio,  e  che  è  forse  il  più  perfetto  che  io  abbia  fatto 
nella  mia  vita  ,  è  la  mia  nuova  versione  dal  greco  della  Epi- 
tome di  Dione,  fatta  da  Sifilino  ,  con  amplissime  note,  della 
quale  avrete  veduto  il  primo  volume,  se  havvi  qui  qualche 
associato  alla  nostra  collana  greca;  ben  presto  uscirà  il  secondo 
che  già  è  stampato  quasi  per  metà.  Oh  che  immensa  fatica 
per  un  uomo  quasi  cieco.  Vorrei  che  andasse  in  mano  d'uo- 
mini capaci  a  giudicarla  ;  questa  è  la  sola  cosa  ch'io  posso 
mostrare  senza  molto  temere  le  censure.  Ho  anche  dovuto  fare 
un  viaggio  per  il  regno  ,  ed  altro  ne  farò  nel  mese  venturo  , 
che  mi  farà  perdere  molto  tempo.  Eccovi  date  le  mie  nuove  ; 
non  posso  scrivere  più  a  lungo,  perchè  occupatissimo  :  vi  ab- 
braccio e  sono 

//  vostro  Bossi. 


497 

Mio  cortese  Sigìiora 


Reggio,  i5  giugno   1837; 

Le  rendo  le  maggiori  grazie  che  posso  della  bontà  colla  quale 
si  è  degnata  di  trasmettermi  l'articolo  dell' Antlnori  ^  articolo 
che  io  debbo  più  air  amicizia  che  tengo  con  quell'  egregio  , 
che  ad  alcuno  mio  merito.  Non  saprei  ,  per  ver  dire ,  come 
mostrarmi  grato  ai  collaboratori  del  Subalpino  per  le  tante  gen- 
tilezze che  mi  usano  :  ma  ella  si  faccia  interprete  del  mio 
cuore  presso  di  loro,  e  loro  faccia  sentire  la  mia   gratitudine. 

Per  lei  aggradiscano  intanto  la  lettera  inedita  che  <jui  unisco, 
mentre  ad  essi  non  che  a  lei  mi  proferisco 

Umil.  De^>ot.  Obb.  Sen-o 
Agostino  Gagnoli. 


Lettera  di  Vincenzo  Monti  a  Luigi  Rossi  —  Milano. 


Tlloio  caio  ©Lmic 


Bologna ,  7.1  maggio  1810. 

Da  Paradisi  ti  verrà  consegnata  e  raccomandata  la  supplica 
di  Giordani  da  te  medesimo  suggerita.  Non  esagero  il  vero  : 
tutta  Bologna  mormora  della  crudele  dimenticanza  in  che  que- 
sto egregio  scrittore  è  tenuto ,  e  vi  va  1'  onore  della  direzione. 
Ninna  scusa ,  niun  pretesto  d'  economia  è  accettabile  ove  trat- 
tasi della  mercede  dovuta  ai  migliori  ,  dico  agi'  ingegni  che 
onorano  il  regno ,  e  se  qualcuno  deve  pur  morir  di  fame , 
muoja  e  crepi  la  mandra  degV  ignoranti ,    ma  1'  uomo  di  me- 


498 

nto  no  per  Dio.  Ascolta  dunque  la  voce  dell'amicizia,  e  più 
del  tuo  cuore  ,  e  il  povero  Giordani  sarà  consolato. 

Non  ho  per  anche  veduto  1'  articolo  del  Veladino  ,  e  ne  sono 
impaziente.  Ma  che  è  codesta  accademia  di  Pittagorici  ,  di  cui 
mi  parli  ,  e  il  giornale  che  nel  5  del  venturo  avrà  vita  ,  e  per 
cui  avremo  materia  da  ridere  ?  Mi  metti  nel  cuore  una  grande 
curiosità ,  e  il  5  di  giugno  io  pure  voglio  trovarmi  a  Milano 
onde  allegrarmi  di  questo  parto. 

Ti  ringrazio  delle  coserelle  che  mi  hai  notate  nella  mia  tra- 
duzione y  e  tutte  saranno  messe  a  proGtto.  Ma  la  cerulea  Diva 
potrà,  credo,  lasciarsi  stare,  perchè  Orazio  l'assolve.  Egli  chia- 
ma i  Germani  cerulea  gioventù  non  per  altro  che  per  gli  oc- 
chi azzurri  di  quella  gente.  Ma  intanto  segui  a  notare,  e  compi 
il  beneficio. 

All'ottimo  Veneri  e  alla  figlia  i  più  cordiali  saluti.  Un  baciò 
anche  alla  Bettina,  e  sta  sano 

Il  tuo  Monti. 


499 


TEGLIA 


Pianto  suona  la  mia  stanza  deserta  ; 
La  tua  d'  allegro  nuz'ial  liuto 
Esulta,  o  donna.  Nella  tua  pupilla 
(  Che  ben  di  cielo  si  diria ,  se  pinta 
Non  portasse  del  cor  la  doglia  arcana  ) 
Or  feriscon  le  faci  e  quelle  stesse 
Misere  gemme,  colle  quai  tu  sali 
Sposa  a  tal  che  sconosco  e  veder  tremo. 
Io  al  lume  di  lucerna  irrequieta 
Ed  a  spegnersi  presto  ,  gemebondo 
A  terra  ho  gli  occhi,  e  il  crine   per  la  fronte 
Scende  quasi  celando  la  vergogna 
Che  la  mi  grava.  Oh  che  diss'  io?  vergogna 
Chiamerò  la  sventura  ?  Ah  !  ti  solleva  , 
Incolto  crin  ,  che  bella  e  veneranda 
È  la  fronte  solcata  da  sventura! 


Fosse  pur  qui  raccolto  1'  universo 
Innalzerei  la  fronte  imperioso 
Colla  severità  de  la  sciagura  : 
E  in  questa  mira,  gli  direi,  se  indizio 
Leggi  di  colpa.  Amai:  una  fanciulla 
Amai ,  la  più  leggiadra  opra  di  Dio 
E  nulla  più.  Forse  delitto ,  o  vili 
Alme ,  voi  fate  d'  un  amor ,  d'  un  santo 
Amore  che  in  gentil  petto  letizia 
Mette  suprema  e  la  virtù ,  che  scalja 
Certa  si  fa  da  questa  polve  al  cielo  ? 
Ma  voi  uomini  siete  ì  voi  nemici 


500 

D'  ogni  ben  siete  ,  zelatori  iniqui , 

Vòlti  a  fraude,  a  sospetti,  usi  a  vendetta^ 

Morti  ad  ogni  allegrezza  di  natura, 

Di  virtù  nudi,  poveri  d'  affetti , 

Grandi  solo  nell'  ira.  Lungi  lungi 

Da  noi ,  che  l' alma  abbiam  veracemente 

Degna  di  nostra  terra;  à  noi  bollente 

Spirto  alberga  in  petto  ;  a  noi  di  molle 

Fibra  fé'  dono  questa  nostra  terra. 

E  noi  amiani  di  quell'  amor  che  voi 

Mai  non  avrete  a  gioia  de  la  vita , 

E  che  non  lascia  senza  pianto  il  ciglio. 

III. 

Ove  trascorro  ?  Igilda  mia  ,  mio  lungo 
Sospiro  ,  io  veggo  il  tuo  volto  soave 
Per  tutto  :  ed  ecco  che  mi   sorgi  innante  ^ 
Ma  in  si  pietoso  aspetto  e  verecondo 
Che  m' insegni  la  calma  ;    io  vi  perdono  , 
O  miei  fieri  nemici  ;  io  vi  perdono  , 
Che  ben  un  guardo  suo  tutto  1'  affanno 
"Val  che  mi  deste.  Igilda  mia  ,  sommessi 
Piangiamo  insieme,  insiem  la  voluttade 
Or  gustiamo  del  pianto  ,  ed  infelici 
Non  saremo  mai  più.  Oh!  che  dolcezz,a 
Per  le  vene  mi  va  ,  deliziosa 
Vita  mi  corre  e  nei  rotti  sospiri 
Par  m'esca  l'alma ,  e  al  tuo  sen  m'abbandoni. 

IV. 

Infelice  deliro!  aere  molto 

Mi  divide  da  te  :  io  piango  e  solo. 
Te  in  bianco  velo ,  e  colle  rose  al  crine  , 
Mistiche  spoglie  ,  guidano  agli  altari 
Timida  verginetta.  Ohimè  !  che  troppo 
E  santo  il  rito  ,  perdi'  io  tutto  in  grida 
Disperate  prorompa.  Ah!  se  felice 
Esser  tu  puoi,  su  quell'altare  istesso 
Ti  fermi  il  ciel  felicità.  —  Bell'  alma 
Di  vergin  che  ti  attrista?  Ah!  la  dolente 


eoi 

Parola  d'  abbandono  alla  beata 

Casa  paterna  ti  fé'  molli  i  lumi 

Del  più  bel  pianto,  e  ti  coperse  il  volto 

D'  un  mesto  velo.  Nelle  care  braccia 

Che  fanciulletta  t'  allevar  sì  dolce 

AI  natio  tetto,  t'abbandoni,  e  teco 

Piangono  tutti ,  ed  io  pur  piango ,  e  in  queste 

Coltri  nascondo  il  viso,  e  ancor  ti  miro, 

Pietosa  vista  !  nel  materno  amplesso. 

V. 

Qual  lamentoso  suono  lontanando 

Mi  disviluppa  dall'  obblio  del  mondo  ? 
Il  fé'  la  sacra  squilla ,  e  dalla  torre 
Movendo  si  moria  per  la  campagna  ; 
Ed  io  sol  n'  odo  un   fremito  indistinto 
Sulle  penne  dell'  aure  gemebonde. 
Chiuso  lung'  ora  ai  sensi  della  vita 
Stetti,  che  già  della  timida  notte 
La  silente  re'ina  si  tramonta 
Ai  nativi  miei  colli,  e  fu  poc'anzi 
In  oriente.  Ohimè  !  il  bel  ciel  sereno 
Che  a  più  bella  e  dolente  alma  sovrasta 
Imbruna  ,  e  velan  più  rare  le  stelle 
Il  lor  vergine  riso.  Oh  quanto  in  core 
Mi  ragiona  del  cielo  il  mutamento  ! 
Entro  manto  di  tenebra  s'  avvolge 
Quella  terra  si  pura  ,  e  d'  una  queta 
Limpidissima  luce  rivestita  , 
Che  dall'  estrema  porta  d'  occidente 
Un  pallido  di  luna  incerto  raggio 
Anche  una  volta  la  riguarda  ,  e  more. 
Poi  che  da  quella  un  fato  mi  respinge, 
Muoia  io  cosi  :  e  sopra  il  velo  azzurro  , 
Entro  gli  arcani  dell'  Eterno,  nuova 
Prenderò  luce  d' infinito  amore 
Questo  smorto  e  mortai  sole  obliando. 

Agostino  Gagnoli. 


502 
Notizie    Diverse 


-Astronomia  —  Lavori  e  scoperte  del  sig.  Jhon  fferschell. 

Il  signor  Herschell  scrisse  dal  Capo  di  Buona  Speranza  , 
a  sir  W.  Hamilton  vice  presidente  dell'  associazione  Britannica 
delle  Scienze  ,  una  lettera  curiosissima  intorno  alle  sue  osser- 
vazioni astronomiche.  Egli  annunzia  aver  passato  a  rassegna 
tutta  quella  parte  del  cielo  che  è  invisibile  dall'  Inghilterra. 
L'  aspetto  generale  della  regione  circumpolare  australe  ,  com- 
prendente un'  estensione  di  60  a  yo°  intorno  al  polo  ,  presenta 
una  ricchezza  ed  una  magnificenza  notevolissime.  Ciò  dipende 
dal  vivo  splendore  della  via  lattea  in  quelle  regioni.  Questo 
splendore  trovasi  in  diversi  luoghi  e  principalmente  nello  Scor- 
pione interrotto  in  modo  singolare  da  macchie  nere  prive  di 
stelle.  Il  signor  Herschell  pensa  che  la  via  lattea  non  sia  uno 
strato  o  banco  di  stelle,  ma  piuttosto  un  anello,  e  che  il  no- 
stro sistema  si  trovi  collocato  in  una  delle  regioni  le  più  vuote 
e  le  più  povere  del  gruppo  generale ,  di  modo  che  il  sole  sia 
situato  molto  più  presso  delle  parti  della  via  lattea  che  sono 
vicine  alla  sua  bipartizione,  che  di  quelle  che  sono  opposte  a 
questa  direzione.  Gli  'oggetti  più  ragguardevoli  dell'  emisfero 
osservato  da  Herschell  sono  le  grandi  nebulose  d'  Orione  e  di 
Argo.  Quelle  d'Orione  mostransi  ivi  molto  meglio  che  in  Europa, 
e  presentano  una  moltitudine  di  appendici  e  di  circonvoluzioni 
che  la  loro  situazione  ,  sempre  vicinissima  all'  orizzonte  ,  im- 
pedisce di  distinguere  dall'emisfero  bo;;eale.  Quanto  alla  nebulosa 
d'Argo,  essa  è  un  oggetto  sui  generis  y  dì  cui  è  impossibile  di 
dare  un'idea  senza  figura.  I  disegni  che  ne  fur  fatti  fino  ad 
ora  son  tutti  inesatti ,  dd  il  signov  Herschell  sta  facendone 
uno  che  satisfaccia  a  questo  bisogno  dell'astronomia.  Le  nebu- 
lose planetarie  del  cielo  australe  son  numerose  attorno  al  polo, 
ed  hanno  caratteri  totalmente  distinti.  Herschell  ne  scoprì  cin- 
que aventi  un  disco  netto  e  luminoso  all'  uguale  dei  pianeti. 
Le  più  belle  stelle  doppie  eh'  egli  abbia  scoperte  ,   e  che  non 


505 

erano  fino  ad  ora   state   notate  sono  le  stelle   y  del  Lupo  tt  e 
y  del   Centauro,   ^  dell' Idra  £  del  Cammello.  Per  dare  un'idea 
della  purezza  del  cielo  dell'  emisfero  australe,  il  sig.  Herschell 
cita  questi  due  fatti:    i.°  che  durante  uno  spazio  di  4*  giorni 
consecutivi,  ve  ne  furono  tre  soli  in  cui  non  siasi  potuto  sco- 
prire il  pianeta  Venere ,    di    pien   giorno ,   per  un  bel  sole ,  a 
«ove    ore   del   mattino  5    e   2.°   eh'  egli   potè  leggere   una   scrit- 
tura finissima  alla    sola  luce    che   lasciò    nel   cielo   un*  ecclissi 
lunare  quasi  totale.    Finalmente  il  dotto  astronomo  dà  notizie 
preziose  sulle  costellazioni  cosi   poco  conosciute   chiamate  nu- 
becole di  Magellano  j  nubecula  major  e  nubecula  minor.  Questi 
gruppi  sono  oggetti  molto  straordinarii.  Il  maggiore  è  un  com- 
plesso   di    stelle   distinte,    di  aggregati   di  forme  irregolari,  di 
aggregati  globulosi  0  di  nebulose,  il  tutto  collocato  sur  un  fondo 
uniforme  ed  appannato  ,  che  non  può  essere  altro  se  non  della 
polvere    stellare.    Questo    fondo     esaminato    con   un   telescopio 
avente  il  fuoco  di  20  piedi  non  offerse  che  un'  apparenza  d'il- 
luminamento vago    di   tutto  il  campo    della  visione.  Una  delle 
forme   più    strane    che  presentino   le  nubecole  di  Magellano  è 
quella    dell'  astro   segnato   3o    della    Dorade ,    che    mostra    un 
gruppo    di  ovali  che  vanno  tutti  ad  unirsi  in  un  centro  nero. 
Nìun  altro  spazio    nel  cielo    è  più  popolato  di  stelle  e  di   ne- 
bulose ,    delle   nubecole   di   Magellano.   La   nubecola   minore  è 
molto  meno  rimarchevole  5  essa  mostra  soltanto   una  luce  sparsa 
e  vaga,   che   uiun   ingrandimento   giunse   ancora  a  risolvere  in 
stelle.  Ma  accanto  a  lei  si  trova  la  più  magnifica  unione  globulare 
del  firmamento  5   cioè   la  stella  notata    ^j  del  Toucau.  E  sin- 
golare che  questa  bella  e  ricca  nebulosa  sia  stata  in  tutti  i  ca- 
taloghi  di  stelle  collocata   a  un  punto  che   varia   di  oltre    un' 
ora  dalla  sua  vera  situazione.  Il  sig.  Herschell  rettifica  nella  sua 
carta  questa  posizione. 

(  Rivista  Britannica.  ) 

Invenzione  —  Il  sig.  Grimard  fece  il  1 3  gennaio  scorso  sulle 
acque  della  Senua  V  esperimento  di  un  nuovo  motore  da  lui 
iinuiaginato  per  i  battelli  a  ruote  in  vece  del  vapore.  Egli  si 
e   servito  pei  dar   movimento  alle  ruote  della  forza  del  vento 


504 

ijtesso,  e  rimoatò  facilmente  il  fiume  quantunque  le  acque  fos- 
sero grosse,  e  lo  percorse  poscia  in  varie  direzioni.  Il  suo  mec- 
canismo consiste  in  una  ruota  composta  di  più  ale  sostenuta 
da  un  albero  verticale  ,  e  fatta  girare  dal  vento  5  questa  comu- 
nica il  movimento  ad  un  albero  trasversale,  all'  eslremilà  del 
quale  son  fisse  le  due  ruote  che  dan  moto  al  battello.  —  Que- 
st'  invenzione  altrettanto  bella  quanto  semplice  può  divenire 
importantissima  ,  massimamente  se  si  giungesse  a  combinarla 
in  modo  da  potere  all'  uopo  e  ne'  casi  di  bonaccia  sostituire  all' 
azione  del  vento  il  solito  motore  del  vapore. 

Antichità'  a  Angers.  —  E  stato  recentemente  trovato  da  un 
agricoltore  di  Angers,  racchiuso  entro  un  cofFano  di  legno  che 
si  sfece  tosto  in  polvere,  un  tesoro  isterico,  raro  pel  complesso 
e  la  conservazione  degli  oggetti  che  lo  compongono,  Consiste 
desso  in  20  coppie  di  vasi  sacri,  ed  altri,  di  bellissima  forma, 
ed  in  ottimo  stato,  ornati  internamente  di  disegni  religiosi  e 
simbolici  ,  in  una  cornice  da  specchio  di  argento  ,  due  ma- 
schere anch'esse  del  più  puro  e  più  fine  argento,  in  divinità 
pagane  nella  più  perfetta  integrità  ,  ed  una  chiave  di  bronzo 
stupendamente  scolpita  ,  che  parrebbe  esser  quella  del  tempio, 
se  ,  come  sembra  questi  oggetti  appartenevano  ad  un  sacello  o 
tempietto  Romano.  Ma  ciò  che  v'  ha  di  più  mirabile  si  è  la 
grazia  e  la  perfezione  di  tutti  questi  oggetti  ,  che  accennano 
evidentemente  i  più  bei  tempi  dell'arte  presso  i  Romani,  e 
r  essere  ancora  i  medesimi  così  puri  e  così  ben  conservati  , 
che  si  direbbero  uscire  or  ora  dall'  officina  dell'artefice.  Essi 
furono  acquistati  dal  sig.  Grille  bibliotecario  della  detta  città  , 
a  cui  poscia  egli  ne  fece  generosamente  dono.  Egli  sta  ora  com- 
ponendo una  notizia  per  illustrare  questi  preziosi  monumenti 
archeologi. 

(  Echo  du  Mond.   Say^.  ) 


«TAMPEKIA    GHIRINGHELLO    E    COMP. 

«on  peiiiù-ssione. 


505 

DEL  CODICE  CIVILE  PER  GLI  STATI  DI  S.  M    IL  RE  DI  SARDEGNA 
$o€6ftcato  in  Ootmo  i(  i  5  a^Jto  i  8  I  j . 


I  voti  dei  Piemontesi,  i  voti  loro  più  caii  e  dì  molli 
anni  sono  finalmente  compiuti.  Essi  possono  finalmente  tro- 
vare in  una  raccolta  unica ,  ceHa  ed  universale  quelle 
leggi  che  da  gran  tempo  desideravano  per  norma  sicura 
dei  loro  diritti  e  dei  loro  doveri  come  cittadini  e  come 
privati  ;  essi  posseggono  finalmente  un  Codice  proprio  e 
nazionale  ,  di  cui  da  gran  tempo  ed  immensamente  senti- 
vano il  bisogno. 

Molte  circostanze  imperiose  ed  infauste ,  le  une  mal  com- 
prese, e  le  altre  più  male  ancora  giudicate,  avevano  ritardato 
infino  ad  ora  questo  benefizio  ;  cosicché  il  primo  desiderio 
che  in  oggi  la  pubblicazione  del  Codice  può  aver  lasciato 
sopra  questa  materia  della  legislazione  civile ,  si  è  forse 
quello  che  esso  non  sia  stato  formato  e  pubblicato  venlidue 
o  ventitre  anni  prima.  Allora  sicuramente  non  sarebbe  toc- 
cato al  Piemonte  di  soffrire  i  cattivi  elfetti  della  repentina 
soppressione  del  Codice  fi'ancese,  e  della  egualmente  re- 
pentina ed  improvvida  rìpristinazione  di  una  legislazione 
antiquata,  mancante,  moltiforme,  vagante  tra  mille  ordi- 
namenti ,  i  quali  oltre  al  non  essere  più  guari  conosciuti , 
non  erano  poi  più  nemmeno  adattati  ai  progressi  che  la 
nazione  aveva  fatti,  ed  al  nuovo  periodo  di  civiltà  a  cui 
essa  era  pervenuta. 

Questa  sospensione  e  questo  ritardo ,  poiché  era  pur 
fatale    che    dovessero    succedere ,    non   furono    però   forse 

3i 


506 

j>erduti  pei  futuri  tleslini  della  legislazione  jilcmontese. 
L'epoca  che  corse  dopo  che  la  legislazione  fi'ancese  fu  così 
inaspettatamente  ricisa ,  e  che  ad  alcuni  parve  un  ritorno  all' 
infanzia  dell'incivilimento,  e  cui  altri  più  maligni  chiama- 
rono un  vero  jiistitium ,  non  fu  però ,  per  chi  voglia  più 
filosoficamente  considerarla,  un'epoca  di  riposo  e  di  tor- 
pore ,  ma  bensì  un'  epoca  di  prova  ed  un  tempo  di  crisi. 
Infatti  mentre  che  essa  durò  si  ebbe  agio  di  conoscere  i 
mali  e  di  scemere  i  rimedii,  gli  elementi  tutti  della  na- 
zione ,  cosi  quelli  dell'  antica ,  come  quelli  della  moderna 
civiltà,  i  principii  di  moralità  e  di  ricchezza,  i  desiderii  ed 
i  bisogni ,  tutto  insomma  si  mostrò ,  si  agitò  e  venne  per 
dir  così  a  "alle^i^iare  sui  flutti  della  società  attuale  ;  e  men- 
tre  tutto  ciò  subiva  lotte  e  contrasti  d' ogni  maniera ,  ed 
una  cosa  era  tentata  quest'oggi  per  essere  rivocata  domani, 
ne  seguitò  un  generale  fermento  da  cui  nacque  intanto 
chiara  e  distinta  la  cognizione  di  quanto  conveniva  operare 
pel  bene  della  nazione ,  e  la  ferma  volontà  di  ordinarlo. 

Tutti  quindi  ben  possono  imaginarsi  quanti  e  di  quante 
sorta  abbiano  dovuto  essere  gli  ostacoli  che  a^Tà  incontrati 
la  nuova  legislazione.  Infiniti  saranno  stati  quelli  che  si 
dovettero  assolutamente  superare  ,  innumerevoli  quelli  che 
si  poterono  soltanto  eludere.  E  questi  ostacoli  poi  non  erano 
solamente  teoretici ,  come  il  dubbio,  se  utile  o  non  utile 
fosse  il  ridurre  a;  forma  di  Codice  le  leggi  ;  ma  i  r>iù  gravi 
erano  gli  ostacoli  pratici  e  materiali,  e  quelli  massima- 
mente che  .tenevano  radice  nelle  convinzioni ,  nelle  pram- 
m.atiche  e  nei  possessi  preesistenti.  Ma  contuttociò  il  no- 
vello Codice  usci  vittorioso  dalla  lotta  di  tante  sentenze  e 
di  tanti  interessi ,  ed  il  primo  senso  che  ispirò  fìi  un  sor- 
riso di  ima  lunga  ansietà  soddisfatta ,  fu  un  saluto  di  gioia 
e  di  riconoscenza. 

Il  nostro  Codice  infatti  ha  dovuto  essere  e  fu  realmente 
il  frutto  di  una  volontà  sovrana ,  intensamente  perseverante , 


507 

saviamente  illuminata;  esso  fu  l' opeia  tkilo  studio  il  più 
attento  ed  il  più  spassionato  del  passato  e  del  presente, 
r  opera  delle  più  coscienziose  discussioni ,  il  risultamento 
dei  consigli  più  maturi  e  più  esperimentati.  Egli  è  per- 
ciò che  troviamo  rifusa  in  esso  la  sapienza  degli  antichi 
giureconsulti  romani,  e  la  saviezza  di  quelle  antiche  leggi 
piemontesi ,  che  gli  potevano  dare  un  carattere  più  oppor- 
tuno ,  più  nativo  ,  più  patrio  ;  ed  è  anche  perciò  che  in 
esso  veggiamo  trasfuse  le  migliori  disposizioni  dei  Godici 
vigenti  in  Europa ,  e  quelle  sopra  tutto  del  Codice  fran- 
cese, il  quale,  per  le  profonde  meditazioni  di  cui  era  stato 
l'oggetto  ed  il  frutto ,  e  per  essere  già  stato  osservato  in 
Piemonte  ,  e  quindi  più  conosciuto ,  ad  esso  più  che  a 
qualunque  altro  si  dovettero  credere  già  meglio  adattati  i 
costumi  de'  suoi  popoH. 

Non  potendo  noi  ora  istituire  un'  analisi  particolare  so- 
pra un'  opera  cosi  vasta ,  e  cosi  importante  in  ogni  sua 
anche  menoma  parte  ,  ci  limiteremo  perciò  ad  osservarla 
sotto  alcuni  de'  suoi  più  astratti  e  generali  aspetti. 

In  questa  intenzione  il  nostro  pensiero  si  porta  prima 
di  tutto  a  riflettere  che  alla  compilazione  del  nuovo  Co- 
dice piemontese  presiedettero  come  principii  dominanti  e 
supremi  la  religione  cattolica  e  i  omana ,  e  l'unità  della  mo- 
narchia. Queste  due  continuando  ad  essere  le  basi  fonda- 
mentali del  regno ,  e  le  due  principali  potenze  che  «ì  rico- 
noscono e  si  mantengono  fisse  in  Piemonte  ,  tutte  le  altre 
disposizioni  dovettero  senza  dubbio  informarsi  dalle  medesi- 
me ,    e   quindi    essere  ad  esse  saldamente  subordinate. 

Partendo  da  queste  basi  è  facile  riconoscere  nel  Codice 
piemontese  come  appartenenti  al  principio  religioso  quelle 
disposizioni  preliminari  che  proclamano  per  religione  do- 
minante dello  Stato  il  culto  cattolico  e  romano  solenne- 
mente professato  dal  Principe ,  e  la  tolleranza  soltanto 
per  gli  altri    otdli  (  Art.    i ,    2    e    3  ).    Siffatta    professione 


508 
1  eliglosa  che  mal  si  direbbe  poco  opportuna  in  un  Codice 
di  leggi  civili,  perchè  in  sostanza  la  legge  civile  nel  più 
schietto  suo  tipo  non  è  che  la  legge  eterna  del  vero  riflessa 
ed  applicata  alle  azioni  esterne  dell'uomo  vivente  in  società , 
ella  è  poi  così  ingenita  all'ordine  ed  alla  storia  legislativa 
della  Monarchia  di  Savoia,  che  il  nuovo  Codice,  nel  pro- 
clamarla, non  fece  che  l'eco  a  quella  che  sino  dal  i^3o 
stava  in  fronte  agli  statuti  di  Amedeo  Vili,  e  che  quasi 
negli  stessi  termini,  tranne  il  cangiamento  dell'idioma  latino 
in  italiano,  si  leggeva  ripetu.ta  nelle  Costituzioni  del   1770. 

Quindi  veggiamo  costantemente  mantenuta  nella  nuova 
Legislazione  l'  ossei^vanza  delle  leggi ,  dei  riti  e  delle  di- 
scipline della  Chiesa  in  tutto  ciò  che  il  culto  può  aver  di 
comune  coli'  esercizio  dei  diritti  civili.  Perciò  non  esclusa 
la  Chiesa  dal  concorrere  nelle  [operazioni  riguardanti  lo 
stato  civile  in  un  modo  specialmente  concertato  tra  il  go- 
verno e  la  S.  Sede  ''i  ;  perciò  conservato  nelle  materie 
anche  semplicemente  civili  il  privilegio  del  foro  ecclesia- 
stico, come  pure  ogni  sua  giurisdizione  nelle  cause  ma- 
trimoniali e  beneficiarie. 

Non  è  qui  certamente  nostro  scopo  di  riferire  tutte  quelle 
disposizioni  che  nel  nuovo  Codice  si  veggono  derivare  da 
questo  elemento  religioso.  Ne  citeremo  per  altro  a  modo 
d'  esempio  le  più  rilevanti. 

Epperò  a  questo  principio  comincia  ad  appartenere  quella 
legge  per  cui  il  matrimonio  deve  sempre  essere  celebrato 
giusta  le  regole  e  le  solennità  della  Chiesa  cattolica  (  Jrt. 
108),  e  poi  quell'altra  secondo  la  quale  anche  il  matri- 
monio del  suddito  in  paese  straniero  deve  seguire  con- 
forme a  queste  stesse  leggi  (  Jrt.  64  ).  Così  parimenti 
allo    stesso    principio   religioso    appartiene   la  provvidenza 

*i  Vedi  il  Regolamento  in  proposito  emanato  colle  RR.  Patenti 
del  20  scorso  giugno. 


509 

che   riserva  al  giudice    ecclesiastico  la  dichiarazione  della 
Talidìtà  o  deUa  inefficacia  degli  sponsali  (  Art.  107  ).  Così 
queir  altra  che  respingendo  in  qualunque  caso  il  divorzio 
quanto  al  vincolo  ,    dispone    che  il  matrimonio    possa   sol- 
tanto sciogliersi  colla  morte  di  uno  fra  i  coniugi ,  e  secondo 
le  leggi  della  Chiesa  (  Jrt.  i44  )••  cosi  quella  per  cui  nem- 
meno   si  volle    che  la  loro   personale    separazione   potesse 
farsi  di    comune  consenso,    ma    si  dichiarò    sempre   indi- 
spensabile l'autorizzazione    del  giudice   ecclesiastico  {Jrt. 
i4o):  così  l'esclusione  da  ogni  beneficio  di  legittimazione 
per  il  figho  nato  da  chi  fosse  legato  da  ordini  sacri  (  Art. 
142):    così    sancita  l'inalienabilità   dei    beni   della  Chiesa 
(Art.  436  )  :  così  finalmente  espressa  nel  nuovo  Codice  la 
ricognizione  e  la  protezione    degli  ordini  monastici  (  Art. 
714,  715,  716,  1187,   1188). 

Venendo  poi  a  parlare  delle  disposizioni  che  nel  nuovo 
Codice  si  riferiscono  al  principio  monarchico  ,  egli  è  innanzi 
tratto  giusto  di  osservare  che,  sebbene  la  prerogativa  regia 
siasi  sempre  voluta  in  tutto   fedelmente    conservare    invio- 
lata ,  pure  si  espresse  e  si  fa  agire  in  modo  che  essa  operi 
come  una  larga  tutela   dei  popoli ,    in  vantaggio  della  na- 
zione,   della    sua    indipendenza,  ^e    dei    privati    interessi, 
piuttosto  che  si  volga  mai  in  loro  danno  con  mire  despo- 
tiche  o  con   effetti    oppressivi.   La  Sovranità    nello   spirito 
della  novella  legislazione  viene  considerata  come  un  grande 
ufficio,   come   una  grande   amministrazione,   piuttosto   che 
come  una    proprietà.  Ma    poiché    il  principio    monarchico 
solennemente    consecrato   nel  nuovo  Codice  (  Art.  4  )  ?  ® 
che  fece  mantenere  cpiasi  tutte  le  giurisdizioni  di  eccezione 
che  da  esso  più  immediatamente  dipendono ,  costituisce  m 
sostanza  il  supremo  agente  e  motore  di  tutta  qualità  la  le- 
gislazione piemontese  ,   ad   un  tale  principio  perciò  e  non 
ad   altri  principii  si  debbono  inevitalDÌlmcnte  riferire  le  di- 
sposizioni che  hanno  tratto  al  diritto   pubblico ,  come  pure 


510 

tutte  quelle  altre  che  regolano  le  \arie  relazioni  che  esi- 
stono tra  il  Sovrano  e  la  nazione. 

Fra  le  disposizioni  per  altro  che  a  prima  giunta  sem- 
brano meno  direttamente  dipendere  dal  principio  monar- 
chico ,  ma  che  però  in  realtà  gli  sono  ancora  più  intima- 
mente unite ,  si  può  senza  tema  d'errare  annoverar  quella 
per  la  quale,  mentre  si  pronunciò  il  generale  divieto  di 
tutte  le  sostituzioni  per  gradi  consecutivi  ed  assoluti ,  tì 
si  aggiunge  però  subito  l'eccezione  in  favore  dei  maggiora- 
schi  «  dei  fìdecommessi ,  che  verranno  poi  con  una  legge 
speciale  regolati  (  Jrt.  879  ). 

Mentre  non  dubitiamo  che  questa  legge  speciale  prescri- 
verà cautele  e  riserve ,  condizioni  e  gradi  che  renderanno 
soltanto  in  pochissimi  casi  possibile  la  fondazione  de'  mag- 
gioraschi  e  de'  fìdecommessi ,  e  quindi  faranno  che  non  tor- 
nino a  rinascere  quei  vincoli  innumerevoli  che  inceppavano 
la  commerciabilità  dei  beni ,  e  quella  concentrazione  di 
patrimonii ,  e  quella  drseguaglianza  nella  sorte  dei  membri 
di  una  stessa  famiglia  che  già  sino  dal  1797  chiesero  al 
governo  piemontese  pronte  riforme  ,  siaci  intanto  per- 
messo d' indagare  le  ragioni  sulle  quali  questa  legge  di  ec- 
cezione potè  tuttavia  nella  nuova  legislazione  piemontese 
venir  innestata.  Neil'  accennare  queste  ragioni  noi  non  ci 
faremo  però  ne  giudici ,  ne  mallevadori  della  loro  universale 
ed  assoluta  giustizia ,  ma  considereremo  unicamente  que- 
sta istituzione  dei  fìdecommessi  in  tutti  quegli  aspetti  sotto 
cui  essa  potè  credersi  utile  ed  opportuna  ed  atta  insom- 
ma a  produrre  i  vantaggi  che  il  Legislatore,  schivandone 
il  pliì  che  possibile  gli  inconvenienti,  ebbe  di  mira  nei 
sanzionarla. 

In  primo  luogo  si  sarà  subito  avvertito  che ,  in  un  paese 
dove  le  proprietà  sono  molto  divise ,  e  non  vi  esistono 
amplissimi  patrimonii ,  e  dove  inoltre  la  popolazione  è  in 
via  d'aumento,    e   come  progressivo    lo   sviluppo   dell'in- 


511 

tlustria ,  così  crescenti  i  desitlerii  dell'  agiato  vivere  ;  ben 
difficili  riuscivano  i  mezzi  con  cui  si  potesse  ovviare  al 
facile  decadimento  delle  famiglie  più  notevoli  e  doviziose, 
decadimento  che  non  si  deve  sempre  guardare  con  indif- 
ferenza ,  poiché ,  secondo  che  la  pensano  alcuni ,  esso  nas- 
conde sovente  qualche  vizio  sociale,  e  trae  seco  scompigli 
che  non  sono  sempre  soltanto  domestici  e  privati. 

Per  la  mancanza  parimenti  di  colonie  ,  delle  grandi  asso- 
ciazioni ,  e  dei  grandi  stabilimenti ,  non  s' incontrano  nel 
Piemonte  quelle  facilità  per  cui  altrove  non  è  cosa  tanto 
rara  il  fare  subiti  guadagni ,  ed  accozzare  rapide  fortune  , 
mercè  la  mercatura,  e  le  vaste  speculazioni  di  commercio. 

Quindi  per  provvedere  alla  conservazione  delle  famiglie, 
e  dei  patrimonii ,  che  è  quanto  dire  per  conservare  1'  at- 
tuale andamento  delle  cose  e  la  presente  fisonomia  nazio- 
nale, si  sarà  probabilmente  creduto  necessario  di  ricorrere 
ai  maggioraschi  ed  ai  fidecommessi  ;  tanto  più  se  resi  fa- 
cili e  comimi  a  un  maggior  numero  di  cittadini,  la  loro 
frequenza  partecipasse  a  tutti  i  buoni  effetti  di  questa  isti- 
tuzione ,  e   i  men  buoni  nell'  attrito  generale  distruggesse. 

In  secondo  luogo  l' istituzione  delle  primogeniture  con- 
siderata sempre  dal  lato  più  plausibile  potè  anche  credersi 
favorevole  all'incoraggiamento  delle  arti  e  dell'industria, 
come  pure  a  tutte  quelle  altre  imprese  che  richieggono 
mezzi  non  comuni  di  opulenza,  di  libertà  e  qnindi  la 
concentrazione  delle  grandi  fortune. 

Con  questa  istituzione,  continuarono  forse  ad  osservare 
i  suoi  fautori ,  si  possono  eziandio  volgere  al  profitto  uni- 
versale le  ambizioni  de'  privati ,  poiché  non  pochi  padri  di 
famiglia  coli'  idea  d' istituire  fidecommessi ,  possono  intanto 
avvezzarsi  al  risparmio ,  ai  nobili  studj ,  e  ad  ogni  genere 
di  operosità. 

Queste  ragioni  forse  ancor  più  che  il  pensiero  di  circon- 
dare il  trono  di  persone  opulente  e  privilegiate  hanno  potuto 


312 

faTorire  l' istituzione  de'  maggior.ischi  e  de'  fidecommessi , 
sebbene  a  dir  quanto  più  d'una  volta  successe,  da  questo 
ordine  di  persone  il  trono  non  solamente  riceva  e  rifletta 
uno  splendore  puramente  ambizioso ,  ma  ne  possa  altresì 
attendere  un  consiglio  fedele  e  sempre  costante  ai  princi- 
pii  della  monarchia. 

In  favore  poi  di  questa  legge  si  è  forse  ancora  potuto 
soggiungere  che  il  possesso  di  un  maggiorasco ,  mentre  rende 
anche  i  grandi  stessi  più  indipendenti  e  men  bisognosi  di 
lauti  stipendi!,  concorre  altresì  a  farli  meno  ligii  al  potere 
e  men  facili  al  broglio  ;  oltreché  essa  può  fornire  ezian- 
dio i  mezzi  per  provvedere  alle  più  distinte  e  compiute 
educazioni ,  ed  a  mantenere  sino  ad  un  certo  punto  il 
decoro  ed  il  buon  gusto  di  una  società  che  può  servire 
d'esempio  e  di  scuola  per  una  più  scelta  e  più  universale 
coltura,  e  per  un  progressivo  sviluppo  delle  classi  inferiori. 

Finalmente  l' istituzione  de'  maggioraseli!  creduta  anche 
più  tardi  necessaria  alle  basi  dell'  impero  di  Francia ,  tutto- 
ché la  sua  origine  fosse  stata  dapprincipio  puramente  de- 
mocratica ,  non  solamente  ha  potuto  ravvisarsi  capace  di 
provvedere  all'interesse  della  monarchia  e  di  alcuni  casati, 
ma  potè  credersi  ancora  atta  a  rassodare  nelle  fondamenta 
dello  Stato  quel  principio  di  stabilità  e  di  conservazione 
indispensabile  a  qualunque  sorta  di  governo,  e  che  com- 
binato con  quello  del  movimento  e  dell'  innovazione ,  e 
saviamente  applicato  alle  istituzioni  politiche  e  civili,  giova 
senza  dubbio  a  mantenere  l'equilibrio  dei  varj  poteri ,  pro- 
duce gli  ordini  temperati,  ed  ha  per  effetto  quel  vero, 
ragionevole  e  graduato  progresso,  che  si  può  soltanto  spe- 
rare e  desiderare  nelle  società.  —  Egli  è  questo  indispen- 
sabile x.lemento  di  fissità  così  bene  illustrato  dal  sig.  Fitz- 
James  in  una  delle  sue  concioni  alla  Camera  de'  Pari , 
e  che  viene  presso  alcuni  governi  rappresentato  dalle  adu- 
nanze nazionali ,    quell'  elemento    che  serve    di  franchigia 


515 

alle  basi  di  qualunque  Stato  contro  tutte  le  invasioni  dell' 
anarchia   e  le  pericolose  ed  incontentabili  innovazioni. 

Sopra  questi  argomenti  adunque  dettati  per  la  massima 
parte  dalla  considerazione  dell'opportunità ,  e  di  cui  lasciamo 
che  ciascuno  apprezzi  il  valore  secondo  i  proprii  studii  e 
le  proprie  affezioni,  ed  i  quali  se  furono  sostenu^ti  non 
furono  però  esclusivamente  imposti  dalla  presenza  del  prin- 
cipio monarchico ,  sembra  a  noi  che  sia  stata  introdotta 
nel  Codice  piemontese  in  un  modo  però  tutto  eccezionale 
e  limitato  la  facoltà  di  erigere  primogeniture  e  fidecom- 
messi;  e  la  conseguente  disposizione  per  cui  non  può 
correre  prescrizione  in  pregiudicio  degli  ulteriori  chiamati 
ai  medesimi  (  Art.  aSgo  ). 

Ciò  tutto  non  ostante  sarà  sempre  bello  lo  sperare  che 
la  voce  dell'  avvenire  e  la  voce  delle  umane  affezioni  og- 
gimai  più  universalmente  con  più  equa  bilancia  e  senza 
gli  antichi  crudeli  discernimenti  sentita,  ragioneranno  più 
forti  che  la  facoltà  lasciata  nella  legge  di  erigere  maggio- 
raschi  e  fidecommessi ,  e  opereranno  che  questa  facoltà  si 
eserciti  piuttosto  in  soddisfare  alcune  intenzioni  ed  al- 
cuni affetti ,  peculiari  a  cei'te  rare  posizioni  di  famiglia  e 
di  società  in  cui  l'uomo  può  talvolta  trovarsi,  e  che  nei 
vantaggi  che  lasciano  ravvisare  nella  continuità  dei  vincoli 
fidecommessarii ,  allorché  specialmente  sono  applicati  alla 
beneficenza,  si  fanno  perdonare  l'ambizione  della  perpetuità. 

Aderente  in  certo  modo  allo  stesso  principio  monarchico 
può  dirsi  l'esclusione  delle  femmine  dalle  successioni ,  molto 
ristretta  bensì ,  ma  però  ancor  conservata  nel  nuovo  Codice 
(  Lib.  3.  Ut.  3.  cap.  2  ). 

Una  tale  esclusione  limitata  alle  sole  successioni  degli 
ascendenti  e  dei  fratelli  e  loro  discendenti  viene  però  assai 
meglio  di  quello  che  il  fosse  infìno  ad  oggi  compensata, 
poiché  si  lasciò  alle  femmine  1'  intiera  legittima  sulle  suc- 
cessioni da  cui  vengono  escluse.  Con  questa  legittimila,  che, 


514 

sebbene  non  si  scorga  separatamente  definita ,  ma  che  però 
si  raccoglie  essere  sempre  tanto  nei  casi  di  successione  te- 
stata ^  come  in  quelli  di  successione  intestata,  la  virile  della 
porzione  non  disponibile  {Art.  721  )  si  è  assai  più  lar- 
gamente che  per  lo  passato  provvisto  alla  sorte  delle  figlie, 
giacche  si  è  tolta  ogni  incertezza  riguardo  alla  congruità 
delle  doti ,  la  quale ,  come  si  sa ,  dipendeva  per  lo  più 
dall'arbitrio  dei  dotanti ,  dalla  condizione  delle  famiglie ,  e 
dalla  consuetudine  dei  luoghi:  incertezza  mostruosa  che 
qualche  volta  faceva  persino  applicare  in  tre  modi  affatto 
tra  loro  opposti  la  giurisprudenza  alle  figlie  di  una  fami- 
glia stessa ,  assegnando  a  ciascuna  un  diverso  trattamento. 
In  tal  guisa  dunque  modificata  ora  l' esclusione  delle 
femmine,  essa  nemmeno  più  potrebbe  ravvisarsi  tanto  os- 
sequente al  principio  monarchico  e  neppur  tanto  dettata 
dal  favore  dell'  agnazione.  Che  anzi  essa  manifesta  piuttosto 
lo  scopo  di  secondare  un  vero  sentimento  di  famiglia  e  di 
eguaglianza ,  più  non  ritenendo  per  base  come  prima  e 
secondo  i  varj  periodi  che  percorse  la  civiltà  europea,  od 
il  principio  guerriero ,  o  quello  feudale ,  o  quello  assoluto 
affine  alla  legge  salica,  e  nemmen  quello  meramente  agna- 
tizio ;  ma  accogliendo  invece  un  altro  principio  per  dir  così 
più  interno  e  domestico ,  quello  cioè  di  considerare  la 
donna  come  un  membro  bensì  della  famiglia,  ma  come 
un  membro  che  non  ha  ancora  e  che,  per  la  propria  con- 
dizione e  destinazione ,  non  può  avere  tanta  parte  come 
i  maschi  nell'  acquisto  o  nella  conservazione  del  retaggio 
famigliare.  Questi  sono  i  motivi  che  meritavano  senza  dubbio 
una  deferenza  dal  canto  del  Legislatore  allorché  imprendeva 
a  statuire  le  leggi  della  successione  ;  e  li  doveva  tanto  più 
aver  presenti  consapevole  ,  come  egli  era  di  certo  ,  che 
1'  eguaglianza  nel  diritto  di  succedere ,  estesa  in  tutta  la 
sua  ampiezza  dal  Codice  francese  alle  donne ,  non  potè  mai 
tanto  naturalizzarsi  in  Piemonte ,  che  vi  fosse  costantemente 


515 

e  volonterosamente  osservata  ;  ma  anzi  questa  legge  ripu- 
gnò sempre  talmente  allo  stato  di  civiltà  in  cui  il  Pie- 
monte si  trova,  ed  alle  circostanze  ed  ai  costiuni  locali 
in  cui  esso  si  mantiene ,  che  non  si  vedevano  che  padri 
e  giureconsulti  aguzzare  continuamente  l' ingegno  per  po- 
ter eludere  il  disposto  di  quell'  assoluta  eguaglianza. 

Queste  limitazioni  però  alle  teorie  liberissime  di  una 
onnimoda  indipendenza  e  di  una  illimitata  eguaglianza , 
non  sempre  del  resto  conciliabili  colle  circostanze  peculiari 
di  ciascuna  nazione ,  e  per  conseguenza  l' eminente  dire- 
zione lasciata  nella  nostra  legislazione  ai  due  principii  reli- 
gioso e  monarchico  j  si  fanno  poi  solamente  sentire  in  quelle 
disposizioni  più  generali  che  hanno ,  diremo ,  un  qualche 
rapporto  politico  ;  ma  in  tutte  le  altre  leggi  poi  che  hanno 
unicamente  per  oggetto  gì'  interessi  civili ,  le  relazioni  e 
le  transazioni  private  e  le  varie  condizioni  degl'  individui, 
allora  le  vediamo  generalmente  dominate  da  un  principio 
di  sapiente  libertà ,  e  dirette  a  stabilire  fra  i  cittadini 
una  reciproca  eguaglianza  di  diritti  e  di  obbligazioni ,  ed  a 
fissare  a  ciascuna   la  sua   applicazione  ed  i  suoi  effetti. 

Fra  quelle  leggi  pertanto  che  giovano  a  sciogliere  le 
persone  e  le  cose  da  quei  vincoli  esuberanti  che  l' antica 
legislazione  loro  imponeva ,  si  possono  classificar  quelle  che 
provveggono  sidle  basi  di  una  prudente  reciprocità  ai  sud- 
diti ed  agli  stranieri ,  e  quelle  altre  che  concernono  gli  as- 
senti ,  i  pupilli ,  i  minori ,  i  prodigi ,  i  mentecatti ,  le 
donne ,  i  figli  di  famiglia ,  ed  i  figli  non  legittimi.  A  queste 
varie  condizioni  di  persone  sicuramente  meritevoli  di  una 
speciale  assistenza  per  parte  della  legge  ,  si  è  nel  nuovo 
Codice  provveduto  coi  consigli  di  famiglia,  e  con  molte 
altre  cautele,  le  quali,  se  da  un  canto  possono  per  avven- 
tura necessitare  numerose  formalità  e  indugj ,  riescono  però 
dall'altro  di  salda  guarentigia  agli  interessi  di  quelle  per- 
sone   stesse  ;   poiché    in  sì   fatte   materie'  gì'  inconvenienti 


518 

che  possono  nascere  dalle  soverchie  precauzioni ,  sono  a 
gran  pezza  preferibili  agli  abusi  che  possono  scaturire  da 
una  troppa  indulgenza  e  da  una  celerità  smodata. 

Per  questo  istesso  spirito  di  salutare  libertà  si  è  dal 
nuovo  Codice  ristretta  la  patria  potestà  che  sotto  le  pas- 
sate leggi  era  perpetua  ed  illimitata  ;  e  per  conseguenza 
ogni  qual  volta  il  figlio  è  giunto  agli  anni  trenta ,  od  in 
caso  di  matrimonio  agli  anni  venticinque,  cessa  l'usufrutto 
del  padre  (^Jrt.  aaS):  e,  sebbene  in  quest'ultimo  caso 
di  matrimonio  non  si  sia  dichiarata  l'emancipazione  di  di- 
ritto come  disponeva  il  Codice  francese  ,  essa  però  si  è 
riconosciuta  quando  il  figlio  da  cinque  anni  dopo  compita 
la  maggior  età  (  anni  21)  tiene  casa  separata  dal  padre , 
ed  amministra  da  sé  i  suoi  interessi  (  Art.  242  ). 

Così  pure  al  figlio  di  famiglia  si  è  liberamente  accordata 
la  facoltà  di  testare  (^Art.  234  )^  ^  ^^sì  il  minore  si  di- 
chiarò abilitato  all'  amministrazione  de'  suoi  beni  compito 
che  abbia  gli  anni  dieciotto  {Art.  253  );  così  troviamo 
meglio  accertati  e  più  estesi  i  diritti  delle  varie  sorta  dei 
peculii  {Art.  226ad  22q);  così  finalmente  si  vennero  pur 
anche  togliendo  molte  di  quelle  dubbiezze  che  prima  esi- 
stevano riguardo  ai  mutui  contratti  dai  figli  di  famiglia 
(Art,   1924  e  1925  ). 

Merita  poi  anche  special  menzione  quella  legge  che  nei 
casi  di  successione  intestata  limita  l'usufi-utto  del  marito 
superstite,  ed  una  porzione  poi  ne  assegna  alla  vedova 
(  Art  gSg.  960  ).  Per  tal  guisa  i  .figli  non  restano  più  in- 
tieramente privi  del  godimento  de'  propri!  beni  mentre  dura 
la  vita  del  padre  ,  e  la  madre  poi  non  resta  più  esposta 
all'  abbandono  od  alla  sconoscenza  dei  figli ,  ovvero  alle 
ambagi  della  quarta  uxoria. 

E  qui  non  sarà  fuori  luogo  di  notare  come  il  principio 
della  libertà  neppur  sia  stato  sconosciuto  in  quelle  poche 
eccezioni  ,  nelle    quali   la   legge  è  costretta  di  sospendei'e 


517 

o  limitare  la  libertà  individuale.  Avrebbe  infatti  torlo  chi 
prendesse  per  crudeli  ed  illiberali  quelle  disposizioni  che 
nel  niiovo  Codice  si  veggono  dirette  a  reprimere  per  mezzo 
dell'autorità  paterna  i  gravi  trascorsi  dei  figli  di  famiglia 
(  Art.  2 1 5  e  seg.  )  o  la  insolvibilità  dei  debitori ,  e  le  va- 
rie altre  applicazioni  dell'arresto  personale  {Art.  2099  ad 
2123  ).  Imperocché  questa  sorta  di  rigori  eccezionali  che 
si  veggono  giustificati  coi  motivi  eloquentemente  esposti  dal 
Consigliere  di  stato  Bigot  di  Preameneau  quando  appunto 
perorava  in  Francia  per  l'adozione  della  legge  suU'  arresto 
personale  (^contrainte  par  corps)^  questi  rigori,  ^diciamo, 
che  a  primo  aspetto  sembrano  contrarii  alla  naturai  libertà 
dell'individuo ,  erano  però  e  sono  indispensabili  per  evitare 
i  partiti  arbitrarli  di  repressione  e  le  violenze ,  e  sono  poi 
altrettanti  mezzi  più  efficaci  per  conseguire  la  pratica  della 
giustizia,  e  l'adempimento  dei  singoli  doveri;  sono  in  una 
parola  leggi  indispensabili  per  non  lasciar  facile  ed  impu- 
nita la  violazione  della  legge ,  e  per  prevenire  i  mali  molto 
più  gravi  che  da  essa  potrebbero  cadere  sulla  società.  In 
queste  disposizioni  pei-tanto  le  sole  che  siano  afflittive  in 
mateina  civile ,  si  scorge  voluto  appunto  nella  più  estesa  e 
l'agionevole  sua  applicazione  il  rispetto  alla  libertà  indivi- 
duale ,  nello  stesso  tempo  che  si  volle  impedire  che  le  sì 
potesse  fare   impunemente   ed  arbitrariamente  oltraggio. 

Proseguendo  su  questo  andare  le  nostre  osservazioni  , 
veggiamo  poi  quello  stesso  spirito  di  libertà  associarsi  nel 
nuovo  Codice  a  quello  di  una  ben  ponderata  eguaglianza 
civile. 

Con  essersi  difatti ,  come  abbiamo  veduto ,  fissati  e  chia- 
riti i  diritti  ed  i  doveri  delle  varie  sorta  de'  cittadini  se- 
condo le  varie  condizioni  in  che  la  natura  o  la  società  gli 
ebbe  a  collocare ,  si  sono  in  sostanza  tolte  o  scemate  tra 
essi  molte  distanze  e  molte  differenze  e  molti  privilegio 

Una  tal  cosa  si  distingue  particolarmente  in  quelle  parti 


518 

della  legislazione  che  riguardano  le  donne ,  siano  esse 
figlie ,  o  mogli ,  o  madri ,  o  vedove.  Coli'  essersi  infatti 
concessa  la  facoltà  alla  moglie  di  far  testamento  senza 
l'autorizzazione  o  consenso  del  marito  {Jrt.  i3g);  col 
l'iconoscersi  la  qualità  di  pubblica  mercantessa  in  colei  che 
'esercisce  da  sé  qualche  genere  di  mercatura ,  come  già  la 
riconosceva  l'art.  220  del  Codice  francese  (^Jrt.  i3G);  coli' 
essersi  se  non  stabilita  la  comunione  de'  beni  che  ripu- 
gnava di  troppo  colle  abitudini  del  Piemonte,  introdotta 
almeno  la  comunione  degli  utili;  coli' essersi  finalmente  e 
soprattutto  ammessa  la  donna  alle  successioni ,  eccettuati 
soltanto  alcuni  casi,  ed  in  questi  accordato  un  equo  e 
determinato  correspettivo  ,  si  è  notabilmente  migliorata  e 
resa  meno  servile  la  condizione  delle  donne ,  si  è  provve- 
duto ad  una  maggior  fi^equenza  di  matrimonii ,  si  sono  de- 
posti nella  massa  sociale  nuovi  e  più  fecondi  germi  di  mo- 
ralità ,  e  si  è  per  ultimo  fatto  un  passo  importante  verso 
l'educazione  femm^inile. 

Prima  poi  di  passare  ad  osservare  la  nuova  Legislazione 
sotto  un  punto  di  vista  diverso  da  quello  che  presentemente 
ci  occupa,  ci  piace  notare  una  speciale  disposizione  di 
sapiente  eguaglianza  :  essa  è  quella  contenuta  nell'  Art. 
426,  in  virtù  di  cui  i  tributi  ed  ogni  altra  pubblica  im- 
posizione deve  essere  regolata  in  modo  che  ciascuno  porti 
il  proprio  peso  e  perpetuamente  si  mantenga  l'universalità 
del  concorso.  Una  tal  disposizione  che  giaceva  isterilita  e 
quasi  obbliata  nel  paragrafo  2.  lib.  6.  tit.  2.  delle  Costi- 
tuzioni del  1770,  venne  ora  richiamata  in  vigore  dal  nuovo 
Codice  ,  e  mentre  essa  giova  a  precludere  ogni  speranza 
a  qualunque  specie  di  parziale  immunità  ,  può  anche  col 
tempo  lecondai^e  con  più  giovani  ed  estese  apjilicazioni  il 
principio  dell'universalità  ne'  tributi. 

Come  chiimque  può  avvedersi ,  tutte  le  fin  qui  accennate 
ed  altre  consimili  disposizioni  che  provveggpno  più  ajnpia- 


519 

mente  alla  libertà  ed  all'eguaglianza  delle  persone  e  delle 
cose ,  si  rivolgono  necessariamente  in  favore  dell'  attività 
nazionale  ,  dell'  industria  e  del  commercio. 

A  procacciare  più  direttamente  questo  beneficio  concor- 
rono poi  tutte  quelle  disposizioni  che  mirano  a   prevenire 
od  a  troncare  le  incertezze  e  le  versatilità  di  una  giurispru- 
denza vaga  e  moltiforme ,  e   quindi  quella  piiì  d'  ogni  altra 
che  porta  l'abolizione  delle  leggi  romane  e  degli  statuti  lo- 
cali ,  e  che  dichiara  le  decisioni  dei  Magistrati  non  fare 
più  forza  di  legge  {Art.  i'].).  Tali  pur  sono  quelle  che  fis- 
sano la  natura  e  le  qualità  dei  beni ,  che  definiscono  le  va 
rie  specie  di  servitù  massimamente  prediali,  e  ne  dichia- 
rano le  varie  contingenze ,   dando  soprattutto  alla  materia 
delle    acque  regole  giuste  e  costanti.  Allo  stesso  fine  di  to- 
gliere la  mala  distribuzione  e  l' incertezza  dei  diritti ,  in- 
tende il  nuovo  Codice  quando  stabilisce  le  forme  degli  atti 
tra  vivi  e  quelli  di  ultima  volontà,  quando  regola  le  suc- 
cessioni e  propone   norme  sicure   nella  interpretazione  di 
questi  atti  e  specialmente  dei  legati.  Un  medesimo  ufficio 
fanno  ancora  quelle  leggi  che  determinano  V  indole  e   gli 
effetti  di  tutte  le  varie  sorta  di  contratti ,  quelle  che  fissano 
e  prescrivono  maggiori  guarentigie  e  norme  più  severe  pei 
varii  generi  di  prova ,  e  che  limitano  particolarmente  la  più 
jB-equente  e  la  più  pericolosa  di  tutte  ,  la  testimoniale  ;  e 
finalmente  quelle  disposizioni  che  mentre  aboliscono  l'usu- 
capione come  mezzo  troppo  facile  di   usurpazione  od  intro- 
ducono riguardo  a  certi  minori  interessi  nuove  maniere  di 
prescinzioni ,    od  alle  antiche    assegnano   termini  più  circo- 
scritti, e  che  alle  varie,  manchevoli  ed  arbitraiùe  massime 
circa  la  natura  e  la   conservazione   del  possesso  ,  regolate 
finora  giusta  le  massime  degli   antichi  interdetti  romani , 
o  la  varia  giurisprudenza   dei  Magistrati ,  resa   in  ciò  an- 
cora più  che  in  altre  materie  versatile  per  l'infinita  varietà 
dei  fatti  e  delle  località ,  fecero  succedere  norme  più  speci- 


520 

fiche,  piìi  stabili  e  meno  pericolose  al  diritto  di  ciascuno. 

Crediamo  inutile  di  dimostrare  quanto  tutte  queste  parti 
di  legislazione  che  si  veggono  nel  nuovo  Codice  sotto  un 
solo  colpo  di  vista  ordinate  ,  raccolte  e  piiì  chiaramente 
stabilite,  siano  atte  ad  illuminare  i  cittadini  sugli  effetti 
delle  transazioni  a  cui  si  accostano,  a  moltiplicare  le  loro 
relazioni,  ad  assicurare  l'eseguimento  delle  obbligazioni  che 
ne  emergono  ,  a  prevenire  le  ambiguità  e  le  controversie. 
Questi  risultati  parlano  da  se  abbastanza  per  non  bisognare 
di  più  ampia  spiegazione ,  ed  è  poi  cosa  incontestata  che 
là  dove  è  maggior  libertà  e  maggior  sicurezza  di  posse- 
dere ,  ivi  è  maggiore  la  facilità  e  la  volontà  di  acqui- 
stare e  di  aumentare  le  produzioni ,  ed  i  godimenti  civili. 

Faremmo  per  altro  una  grave  ommessione  ove  tacessimo 
che  ogni  qual  volta  occorre  una  disposizione  atta  a  pro- 
muovere gli  atti  della  beneficenza  ed  a  tutelarne  costan- 
temente gli  effetti ,  il  nuovo  Codice  non  mai  la  trascura. 
Veggasi  come  VArt.  436,  provegga  alla  conservazione  dei 
beni  delle  opere  pie ,  e  singolarmente  si  osservi  VÀrt.  884, 
che  esclude  dalla  generale  proibizione  di  fare  sostituzioni 
il  lascito  perpetuo  di  una  annuita  fatto  in  soccorso  della 
indigenza ,  in  dote  alle  povere  zitelle  ,  in  premio  alla  virtit 
od  al  inerito ,  od  in  oggetti  religiosi ,  sebbene  a  siffatte 
liberalità  si  chiamassero  persone  di  una  data  qualità  o 
di  determinata  famiglia.  E  tanto  poi  si  volle  largheggiare 
con  queste  pie  fondazioni,  che  la  Sovranità  neppur  più 
pensò  a  riserbarsi  espressamente  la  facoltà  di  approvarle, 
come  disponeva  il  Codice  francese  ,  e  come  l'attuale  legis- 
lazione piemontese  in  molte  parti  de'  reali  dominli  pre- 
scriveva ,  onde  impedire  sia  che  una  troppo  grande  quan- 
tità di  beni  si  sottraesse  al  commercio  ,  sia  che  coi  legati 
pii  venissero  a  violarsi  le  più  sacrosante  leggi  del  sangue. 

Tralasciando  fi^attanto  di  discendere  a  più  minuti  parti- 
colari ,  citeremo   ancora  due  sole  speciali  disposizioni  che 


521 

conducono  parimenti  salutari  risultati  che  sinora  siamo 
andati  discorrendo. 

La  prima  di  queste  disposizioni  si  è  quella  per  cui  gli 
sponsali  verbali  non  producono  piti  alcuna  azione  civile  , 
e  che  fissa  1'  obbligo  per  colui  che  recede  dagli  sponsali 
validi  al  risarcimento  del  solo  danno  effettivamente  cau- 
sato ,  e  non  più  a  quello  dei  danni  eventuali  (  Art.  1 06 
e  107.).  Con  questo  saggio  provvedimento  si  prevengono 
tante  conseguenze  che  molte  volte  od  una  cieca  passione  , 
Gl'inesperienza,  o  la  seduzione ,  o  l'arbitrio  rendevano  fu- 
neste pei  costumi  della  gioventù,  e  per  la  tranquillità 
delle  famiglie. 

La  seconda  delle  additate  notevoli  disposizioni  si  è  lo 
Art,  44°  d^l  nuovo  Codice  che  riconosce  la  proprietà  let- 
teraria, ed  il  privilegiato  possesso  delle  produzioni  del  pro- 
prio ingegno.  Questo  è  una  vera  conquista  della  filosofia  del 
diritto  sopra  le  antiche  licenze ,  e  come  egli  è  un  segno  ir- 
recusabile di  progresso  nello  spirito  umano  ,  così  gli  è  pur 
anche  ad  un  tempo  uno  stimolo  possente  pei  suoi  maggiori 
incrementi.  Così  in  questo  novello  provvedimento  del  Co- 
dice piemontese  si  può  vedere  come  prenunziata  la  con- 
danna della  pirateria  libraria  contro  cui  tanto  si  declama 
in  Italia,  e  preparata  per  avventura  la  via  ad  un  trattato 
di  reciprocità  per  le  cose  letterarie  fra  i  diversi  Stati  ita- 
liani, con  cui  rimanga  assicurata  agli  scienziati  e  ai  dotti 
la  proprietà  dei  fi^utti  del  loro  ingegno  e  delle  loro  fatiche. 

Allo  scopo  finora  mostrato  costantemente  seguito  nella 
nuova  Legislazione  di  guarentire  le  proprietà  e  di  prevenire 
le  frodi  e  le  liti  che  possono  facilmente  comprometterne 
il  diritto ,  appai-tiene  poi  in  un  modo  tutto  speciale  ed  imme- 
diato il  sistema  ipotecario  che  quivi  si  trova  con  miglior 
metodo,  e  con  maggior  ampiezza  di  provvisioni  riordinato. 
L'esposizione  di  questo  sistema  che  nel  Codice  fìancese 
occupava  soli  1 1 1  ailicoli ,  e  che  ora  nel  piemontese  ne  00- 

32 


522 

cupa  i83  ,  e  nel  R.  Editto  del  i6  luglio  1833  ne  occu- 
pava i85  ,  viene  opportunissimamente  susseguita  dalle  di- 
sposizioni sulla  espropriazione  forzata  e  sulla  graduazione 
dei  creditori  :  occorrenze  che  anticamente  erano  affidate  all' 
incerta  giurispr-udenza  delle   cause  di  concorso. 

La  clausula  del  costituto  possessorio  ignota  al  Codice 
francese  ed  abrogata  dal  precitato  Editto ,  fu  nuovamente 
sancita  nel  nuovo  Codice  (Jrt.  2 1 46)  ,  ed  essa  giova  senza 
dubbio  a  rendere  più  generica  e  radicale  la  cautela  di  chiun- 
cjue  abbia  diritto  sopra  i  beni  del  debitore.  A  minor  ag- 
gravio però  di  quest'ultimo  si  è  anche  ammessa  l'aggiudi- 
cazione (^  Art.  2828  e  seg.),  a  vece  che  il  Codice  francese 
conosceva  soltanto  la  subastazione. 

Un'altra  utile  addizione  al  Codice  francese  si  vede  pur 
anche  fatta  nel  nuovo  sistema  ipotecario  coU'esservi  eziandio 
accordato  il  privilegio  pei  credili  delle  Comunità ,  delle 
coi'porazioni ,  e  de'  pubblici  stabilimenti  sulle  malleverie  in 
immerario  cui  i  loro  uffiziali  possono  essere  sottoposti 
{Art.  2157.  §8.):  provvedimento  questo  che  insieme  con 
molti  altri  sparsi  nel  nuovo  Codice  tende  a  viemaggior- 
mente  tutelare  l'amministrazione  ed  il  maneggio  dei  pub- 
blici stabilimenti  e  degi'  istituti  di  beneficenza. 

La  differenza  maggiore  che  passi  tra  il  numero  delle 
disposizioni  sul  regime  ipotecario  del  Codice  francese  e 
quello  del  Codice  piemontese  nasce  specialmente  dai  pri- 
vilegi e  dalle  ipoteche  che  quest'ultimo  per  cause  partico- 
lari non  contemplate  dal  primo  accorda  al  fisco  {Art.  2194 
ad  2201  )  come  pure  dalle  più  specificate  formole  della 
iscrizione  che  nel  Codice  francese  si  contenevano  soltanto 
in  undici  articoli  e  nel  nostro  si  estendono  a  ventiquat- 
tro ,  non  che  dalle  maggiori  formalità  e  cautele  che  que- 
sto richiede  per  liberare  le  proprietà  dai  privilegi  e  dalle 
ipoteche. 

Del  resto   si   può  ben  dire  in  complesso  che  in  questa 


525 

materia  ipotecaria  si  è  nel  nostro  Codice  andato  molto  pin 
innanzi  nelle  vie  della  regolarità  e  della  perfezione  non  so- 
lamente con  essersi  osservato  maggior  ordine  e  precisione 
di  quello  che  si  fosse  usato  nella  legge  da  principio  pro- 
mulgata in  Francia  sullo  stesso  oggetto,  ma  molto  più  coli' 
essersi  più  ampiamente  provvisto  alla  pubblicità  delle  ipo- 
teche ,  coli'  essersi  ridotte  le  esenzioni  dall'  obbligo  della 
iscrizione  a  pochissimi  casi ,  ed  a  quei  soli  crediti  che  si 
sogliono  immantinenti  conoscere  e  proporre  (^Art.  220J^); 
coU'essersi  per  conseguenza  escluso  da  siiìàtta  esenzione  i 
privilegi  delle  doti  e  pel  residuo  prezzo  di  beni ,  che  prima 
rendevano  in  moltissima  parte  illusorio  il  più  importante 
scopo  delle  leggi  ipotecarie.  Con  questi  ed  altri  consimili 
miglioramenti  ed  aggiunte  nelle  parti  più  vitali  ilei  sistema 
ipotecario ,  si  attribuì  al  medesimo  tutta  c{ueila  maggiore 
utilità  ,  a  cui  esso  possa  mirare ,  e  si  sono  tolte  di  mezzo 
molte  oscurità ,  e  moltissimi  pericoli  di  frodi  ,  d'irregola- 
rità e  di  privati  detrimenti. 

Questa  specie  di  confronto,  che  abbiamo  dehbato  sulle 
due  legislazioni  ipotecarie  ,  ci  guida  quasi  inseissibiimente 
a  sbozzare  un  paralello  per  così  dire  suU'  estrinseco  dei 
due  Codici  il  francese  ed  il  nostro. 

Ora  dunque  il  primo  libro  che  riguarda  le  persone  nel 
Codice  fi-ancese  abbonda  più  di  disposizioni  che  nel  no- 
stro- Il  maggior  numero  di  cento  diecinove  articoli  che 
conta  il  fi-ancese  voglionsi  attribuire  alle  leggi  concernenti 
il  matrimonio  considerato  semplicemente  come  contratto 
civile  ;  e  più  di  tutto  ancora  alle  leggi  sopra  il  divorzio 
che  per  se  solo  occupava  settantasette  articoli ,  senza  con- 
tar quelli  che  si  ^raggiravano  sulla  separazione  di  corpo 
compresi  in  un  titolo  distinto  (cap.  v.  tit.  6.)  ;  il  solo  che 
ora  si  vegga  su  questa  materia  riprodotto  nel  nostro  Co- 
dice  colla   sezione  iv.  del  titolo  5. 

All'incontro  poi  osservando  il  secondo  libro  sulla  dislin- 


524 

zione  dei  beni  nel  nostro  Codice,  si  trovano  ottant'otto  ar- 
ticoli di  pia  che  nel  Codice  francese ,  e  questo  maggior 
numero  di  articoli  è  dovuto  principalmente  alle  piii  estese 
disposizioni  circa  alla  materia  delle  servitù ,  ed  a  quella 
in  specie  che  concerne  le  acque  :  materia  così  essenziale 
in  un  paese  sostanzialmente  agricola  come  il  Piemonte ,  e 
dove  i  più  ricchi  prodotti  del  suolo  come  quelli  delle  ma- 
nifatture sono  dovuti  alla  condotta  e  all'artifizio  delle  acque. 
Ora  dunque  questa  materia  che  in  Piemonte  era  frequentis- 
sima cagione  di  differenze  e  di  dissidii ,  viene  ora  dal  nuovo 
Codice  con  particolare  diligenza  regolata  ,  e  mentre  egli 
dà  con  accorgimento  tutto  nuovo  di  economia  pubblica  la 
qualità  di  beni  immobili  alle  sorgenti ,  ai  serbato]  ed  ai 
corsi  d'  acqua  (Art.  4o3  ) ,  cerca  più  accuratamente  forse 
che  qualunque  altro  Codice  vigente  di  accomodare  la  legge 
alle  teorie  più  recenti ,  più  avverate  e  sicure  dell'  idi'aulica 
legale. 

Finalmente  riguardo  al  terzo  libro,  era  esso  nel  Codice 
francese  composto  soltanto  di  5^1  articoli,  a  vece  che  nel 
nostro  ben  ne  conta  ^66  ;  e  ciò  sebbene  nel  primo  la  sola 
materia  della  comunion  legale ,  che  ora  più  non  figura  nel 
secondo ,  comprendesse  96  articoli.  Il  maggior  numero  per- 
tanto di  xg5  articoli  che  ne  risulta  si  trova  specialmente 
impiegato  nelle  più  numerose  disposizioni  relative  alle  suc- 
cessioni ,  all'  esposizione  di  alcune  specie  di  convenzioni 
massime  relative  alla  colonia  parziaria ,  all'  aumento  delle 
provvisioni  ipotecarie,  ed  in  generale  poi  ad  una  più  minuta 
previsione  di  casi  possibili  e  di  specie  diverse. 

Il  complesso  adunque  di  questo  paralello  dà  per  risul- 
tato un  aumento  totale  di  164  articoli  nel  Codice  piemontese 
sopra   quello  di  Francia. 

Dopo  aver  notata  questa  numerica  e  materiale  differenza 
sarebbe  certamente  cosa  molto  vantaggiosa  e  filosofica  lo 
investigarne   la  cagione  intrinseca  e   razionale  ;  ma   questa 


525 
impresa  noi    la   sentiamo    superiore    di   molto  alle  nostre 
forze,  e  d'altronde   essa  ci  guiderebbe   troppo   lungi  dallo 
attuale  nostro  proposito. 

Additeremo  soltanto  che  in  un  impero  uscito  allora  al- 
lora da  una  tempestosa  rivoluzione  come  la  Francia,  che 
teneva  tanti  punti  di  contatto  colle  altre  nazioni  ;  in  un 
impero  così  esteso  di  territorio  ,  di  commercio  e  di  av- 
venire ,  ben  era  ragione  che  le  qualità ,  i  diritti ,  ed  i  do- 
veri degli  stranieri,  e  dei  cittadini  ed  i  bisogni  di  una 
eguaglianza  e  di  una  indipendenza  civile  che  in  Francia 
erano  stati  così  vivamente  sentiti  ed  espressi,  fossero  con 
leggi  più  numerose  e  speciali  dichiarati  e  regolati  ,  a  vece 
che  in  Piemonte,  paese  dato  essenzialmente  all'  agricol- 
tura e  col  territorio  infinitamente  diviso  ,  e  cogli  abitanti 
più  domisedi  e  casalinghi ,  meno  che  quelli  di  Francia 
educati  alle  individuali  fi-anchigie,  meno  abituati  alle  grandi 
scosse  ed  ai  grandi  esperimenti  amministrativi  ed  econo- 
mici ,  e  meno  anche  di  quelli  di  Francia  mutantisi  di  luogo 
e  di  stato;  tuttociò  che  aveva  rapporto  alle  convenzioni 
ed  agli  interessi  materiali ,  richiamava  più  specialmente 
r  attenzione  e   le    disposizioni  del  Legislatore. 

L'indole  d'altronde  dei  tempi  e  l'indole  della  nazione  pie- 
montese forse  più  tenace  in  ciò  che  crede  suo  diritto,  e  quindi 
più  portata  a  difenderlo  col  litigio,  richiedevano  provvedimenti 
e  formole  più  esatte  e  severe  di  quelle  che  forse  bastavano 
per  il  francese  naturalmente  più  sciolto  e  non  curante. 

Questa  diversità  essenziale  nel  carattere  dei  tempi  e  dei 
costumi  di  ciascuna  nazione,  l'influenza  anche  del  sensualismo 
e  della  filosofia  del  secolo  XVIII,  facevano  forse  più  badare  al 
presente  ed  al  materiale ,  che  non  al  razionale  ed  al  futuro  ;  e 
lasciavano  forse  meno  avvertire  nella  compilazione  delle  leggi 
a  quell'intima  moralità  che  conserva  e  che  migliora  le  isti- 
tuzioni ed  i  popoli.  L'istruzione  poi  e  l'educazione  più  sve- 
gliata e  più  avanzata  in  Francia ,  la  disapparizione  di  molte 


526 

distanze  e  di  molte  distinzioni  fra  le  persone  ,  le  età  ed  i 
sessi  prodotta  dal  movimento  novatoi^e,  erano  fors'anco  al- 
trettante cagioni  di  quella  differenza  della  quale  cerchiamo 
di  render  conto ,  e  che  si  scorge  non  solamente  nella  ma- 
teriale voluminosità  ,  ma  eziandio  nelle  intrìnseche  dispo- 
sizioni   dei  due   Godici, 

A  queste  cagioni  che  desidereremmo  aver  tempo  ed  inge- 
gno bastante  per  isviluppare  in  tutti  i  loro  rapporti  si  potrebbe 
forse  pur  anche  attribuire  una  certa  generalità  di  disposizioni 
che  si  riscontra  in  alcune  parti  del  nuovo  Codice  piemontese, 
e  che  altri  potrebbe  scambiare  per  timidezze  o  peritanze  di 
redazione,  e  così  pure  una  certa  minutezza  di  previdenze  di 
casi ,  e  di  cautele  che  potrebbbero  per  aA^entura  sembrare 
soverchie ,  se  non  si  sapessero  necessarie  per  contenere  la 
eccessiva  successività  di  convenzioni  e  di  rivocamenti,  di 
stipulazioni  simulate  ed  occulte  ;  vizio  pur  troppo  non  raro 
nelle  abitudini  piemontesi  ;  e  finalmente  da  queste  mede- 
sime cause  generali  si  potrebbe  derivare  quel  non  raro 
rimettere  la  cosa  nella  rettitudine  de'  Magistrati  e  nella 
consuetudine  che  per  alcuni  rispetti  fa  piuttosto  rassomi- 
gliare il  nostro    Codice  a  quello  Austriaco  e  di  Prussia. 

Di  qui  forse  il  frequente  richiamo  che  in  ordine  a  parec- 
chie materie  sì  va  facendo  nel  nostro  Codice  agli  usi  e  rego- 
lamenti speciali  che  non  entrano  a  far  parte  di  esso ,  e  con 
cui  sì  volle  forse  provvedere  in  un  modo  analogo  al  carat- 
tere individuale  della  nazione  ed  ai  bisogni  locali  di  essa*i. 

*i  Questo  richiamo  ad  usi  e  regolamenti  particolari  oltre  al  ve- 
dersi stabilito,  come  già  si'era  avvertito,  riguardo  agli  atti  dello  stato 
civile  (  60  ) ,  ed  agli  sponsali  ed  al  matrimonio  in  coloro  che  pro- 
fessano culti  tollerati  (  1 5o  ) ,  ed  oltre  ancora  al  trovarsi  prescritto 
riguardo  all' instituzione  dei  maggioraschi  e  de' fidecommessi  (879)-, 
si  vede  altresi  ripetuto  ove  trattasi  delle  eccezioni  all'incapacità  ge- 
neralmente prescritta  di  ricevere  per  testamento  introdotte  a  favore 
dei  membri  delle  corporazioni  religiose  ,  secolari  e  dei  corpi  e  per- 


52Z 

Di  qui  finalmente  quel  vedersi  ancor  fatto  ,  sì  gran 
conto  dell'  integrità  e  della  prudenza  dei  Magistrati ,  a  se- 
gno di  conservar  loro  quella  specie  di  libertà  coscienziosa 
nel  rendere  la  giustizia,  che  altrove  è  riconosciuta  nei 
prud'  hoinmes  e  nei  giurati  ;  sanzionando  per  tal  modo 
colla  legge  quell'arbitrio  e  quella  equità  clie  sinora  i  Ma- 
gistrati potevano  esercitare  in  Piemonte,  e  di  cui  non  si 
vollero  spogliare  affatto.  Così ,  per  citare  cjualche  esempio , 
fu  lasciato  ai  tribunali  la  libertà  di  pronunciare  secondo 
la  gravezza  delle  circostanze  l'assoluta  decadenza  dall'usu- 
frutto, e  l'arbitrio  delle  cauzioni  da  prescriversi  all' usu- 
fruttuario (^/'i.  529):  così  ad  essi  fu  anche  lasciata  la  fa- 
coltà di  accordar  dilazioni  ai  debitori  oltre  la  mora  conve- 
nuta (Art.  i334):  così  finalmente  filagli  stessi  Magistrati 
accordato  di  concedere  dilazioni  assai  riguardevoli  in  or 
dine  al  riscatto  oltre  il  termine  convenzionale  (Jrt.  1666) 

Da  questo  rapido  sguardo  che  abbiamo  lanciato  sopra 
il  Codice  civile  promulgato  testé  in  Piemonte ,  si  viene 
raccogliendo  a  guisa  di  conclusione  che  in  primo  luogo  i 
due  principii  direttori  ed  eminenti  ai  quali  tutte  le  parti 
di  questa  Legislazione  corrispondono,  il  principio  religioso 
cioè ,  ed  il  principio  monarchico  sovrastano  a  tutta  intiera 
quest'  opera  legislativa  ;  e  che  in  seguito  nella  parte  mera- 
mente civile  uno  spirito  di  libertà  ragionata  e  di  una 
sapiente  eguaglianza  di  persone  e  di  diritto  conciliata  colle 
basi  fondamentali  dello  Stato  ,  e  colle  circostanze  locali ,  e 
coir  utile  sviluppo  delle  virtù  e  delle  suscettività  politiche 
e  civili,  e    colla  sicurezza   delle  proprietà   e    dei  legittimi 

sone  morali  (716  e  717);  si  vede  lo  stesso  riguaido  alla  proprietà 
letteraria  (  44^  ) ,  trattandosi  dell'azione  redibitoria  (  1 635  )  ;  si  vede 
relativamente  all'  uso  dei  boschi  e  delle  selve  (  547  ) ;  si  vede  final- 
mente in  ordine  alle  società  e  relazioni  commerciali  (  1896  e  2149). 
—  Tutti  questi  rimandi  promettono  l,a  pubblicazione  di  altri  distinti 
Codici  sopra  altre  parti  della  legislazione  e  dell'  economia  pubblica , 


528 

possessi  ,  e  col  materiale  ed  intellettuale  perfezionamento 
della  nazione  ,  e  cogli  impulsi  alla  iDcneficenza ,  all'  indu- 
stria, al  commercio,  ed  alle  nobili  creazioni  dell'ingegno, 
e  collo  spirito  di  una  illuminata  tutela  e  di  una  volontà 
operosa  ed  assidua  nel  procacciare  la  prosperità  nazionale  , 
furono  i  mezzi  ed  i  fini  generosi  ed  indeclinati  di  cui 
sempre  si  valse ,  ed  a  cui  sempre  mirò  1'  odierna  legisla- 
zione piemontese. 

Così  mercè  del  nuovo  Codice  i  cittadini  e  quelli  pur 
anco  che  appartengono  alle  classi  più  numerose  e  men 
colte  saranno  quinci  innanzi  meglio  istrutti  sopra  l' in- 
dole e  gli  effetti  di  ciascun  atto  a  cui  vorranno  devenlre , 
e  conosceranno  più  esattamente  i  loro  diritti  ed  i  loro  do- 
veri ;  la  mala  fede  si  vedrà  prevenuta  ne'  suoi  raggiri ,  e 
questi  resi  impotenti;  l' applicazione  delle  leggi  diverrà 
più  certa  ,  più  facile ,  meno  intralciata  ,  1'  amministrazione 
della  giustizia  più  pronta  e  più  efficace ,  ed  ì  litigi  infine , 
questo  antico  flagello  delle  belle  piemontesi  contrade,  sa- 
ranno o  prevenuti  od  abbreviati. 

Ecco  i  benefizi  segnalati  che  il  nuovo  Codice  si  propose 
e  che  otterrà  certamente  quando  fia  posto  in  esecuzione. 
Giusto  è  frattanto  che  si  sappia  che  la  sua  emanazione 
è  nel  modo  più  solenne  ed  individuale  dovuta  all'imme- 
diata ed  energicamente  continua  volontà  del  Principe,  il 
quale  trionfando  d'ogni  difficoltà  e  di  tutti  i  timori  seppe 
spiegare  tutta  quella  efficacia  d'intenzione  che  sola  deter- 
mina e  fa  riescire  le  grandi  ed  ardue  imprese.  Lo  stesso 
sentimento  di  giustizia  ci  muove  a  dire  che  dopo  la  ferma 
volontà  sovrana  conti-ibuirono  nella  composizione  e  nella 
pubblicazione  del  Codice  le  dotte  ed  assidue  fatiche  della 
Commissione  per  tal  fine  creata,  ed  in  specie  l'eminente 
cooperazionc  del  Ministro  eletto  a  presiederla  ,  e  che  coli' 
ingegno  potente  per  dottrina,  e  per  sperienza  seppe  con 
modi  animosi ,  perseveranti  e  nello  stesso  tempo  moderati 


529 

conciliare  all'unico  scopo  dell'universale  utilità  la  più  gran 
parte  delle   divergenze  di  opinioni  e  d'  interessi. 

Saremmo  indegni  di  scrivere  sopra  queste  materie,  sa- 
remmo infedeli  alla  verità  ,  se  avessimo  taciuti  questi 
pensieri  verso  chi  ebbe  la  più  alta  parte  nel  beneficare  il 
Piemonte  d'una  raccolta  universale  di  leggi.  V'hanno  delle 
reticenze  non  meno  ignobili ,  ma  forse  ancor  più  pei-niciose 
della  stessa  adulazione,  e  tal  sarebbe  il  lasciar  ignorare 
quali  siano  state  quelle  magnanime  e  sovrane  intelligenze 
che  hanno  così  felicemente  intrapresa  la  presente  rigene- 
razione legislativa.  Se  oggidì  noi  la  veggiamo  star  quasi  a 
livello  coi  lumi  attuali  della  filosofia,  coi  progressi  della 
civiltà  e  colle  esigenze  della  prosperità  nazionale,  se  in 
essa  troviamo  una  giusta  intelligenza  dei  futuri  sociali  bi- 
sogni »  un  tanto  benefizio  non  è  solamente  dovuto  alla  forza 
delle  opinioni  e  degli  esempi ,  ma  ben  anche  al  valore  di 
quegli  spiriti  generosi ,  che  librando  la  ragione  ed  i  fatti, 
le  opportunità  e  le  tendenze ,  si  sollevarono  all'  altezza  del 
loro  secolo. 

L'  opera  loro  pertanto ,  cioè  il  novello  Codice  viene  se- 
gnando un'  era  novella  nel  governo  e  nella  legislazione  ne- 
gli Stati  del  Re  di  Sardegna.  Egli  attesta  allo  sguardo 
d' Europa  e  d'  ogni  popolo  che  incivilisca ,  come  già  fe- 
cero ai  loro  tempi,  ma  in  un  modo  però  conforme  ad 
essi  le  Regie  Costituzioni  del  1770 ,  un'  epoca  di  vero 
progresso  sociale ,  un  regno  illuminato  e  forte ,  egli  espri- 
me dal  lato  civile  un  immenso  miglioramento  sullo  stato  della 
legislazione  sinora  vigente ,  e  altri  ne  prepara  in  tutte  le 
ramificazioni  sociali.  Questo  Codice  adunque  ed  il  sovrano 
suo  Ordinatore ,  come  anche  tutti  quegli  egregj  che  vi  po- 
sero l' ingegno  ed  il  cuore  hanno  il  più  giusto  diritto  all'am- 
mirazione ed  alle  benedizioni  delle  presenti  e  delle  ven- 
ture generazioni  subalpine ,  e  queste  tanto  più  abbondanti 
sopra   di   essi   scenderanno    quanto  più   prontamente  sarà 


530 

compiuto  l' intiero  edifizio  della  legislazione  piemontese 
colla  pubblicazione  di  tutte  le  altre  sue  parti,  e  così  pu- 
re, maturandosi  i  tempi,  di  un  Codice  eziandio  ammini- 
strativo. 

Nel  sentimento  profondo  di  queste  speranze ,  o  per  dir 
meglio  di  queste  convinzioni ,  noi  non  crediamo  di  poter 
meglio  terminare  questi  nostri  primi  e  certamente  ancor 
immaturi  pensieri  sul  nuovo  Codice  fuorché  con  quelle  pa- 
role che,  pronunciate  or  son  più  di  tre nt' anni  in  Filanda, 
sembrano  scritte  oggigiorno  appositamente  per  esso ,  e 
quasi  ne  vengono  compendiando  tutta  la  sostanza.  —  «  Nella 
»  nuova  legislazione,  concionava  l'esimio  Portalis,  non  si 
«  è  punto  cercato  d'introdurre  novità  pericolose.  —  Si  è 
))  anzi  conservato  delle  leggi  antiche  quanto  poteva  conci- 
»  liarsi  collo  stato  presente  delle  cose.  —  Si  è  provveduto 
»  alla  pubblicità  de'  matrimonii  (  P^.  nel  nostro  Codice  gli 
))  art.  ii3  e  ii4)'  —  Si  sono  stabilite  regole  saggie  pel 
))  governo  delle  famiglie  ;  si  è  ristabilita  a  guisa  di  ma- 
»  gistratura  l'autorità  dei  padri.  —  Si  sono  richiamate  tutte 
»  le  provvisioni  necessarie  per  assicurare  la  sommessione 
»  dei  figli.  —  Si  è  lasciata  una  latitudnie  sufiiciente  alla 
»  liberalità  dei  testatori.  —  Si  sono  sviluppati  tutti  i  prin- 
»  cipii  generali  delle  convenzioni ,  e  quelli  che  derivano 
»  dalla  natura  particolare  di  ciascun  contratto  ;  si  è  vegliato 
»  all'  osservanza  de'  buoni  costumi ,  alla  libertà  ragione - 
»  vole  del  commercio.  —  Si  è  infine  provveduto  su  tutti 
»  gli   oggetti    che   possono  interessare   la  civil  società  *i. 


*  I  Exposé  des  motifs  de  la  loi  relative  à  la  réunion  des  loìs  ci- 
viles  en  un  seul  corps  sous  le  titre  du  Code  civil  des  Franqais  , 
par  M.  le  Conseiller  d' État  Portaus. 


Severino  Battaglione. 


531 
pLimo  l'apctico. 


Nacque  a  Como  l'anno  2 3  dell'era  volgare.  Condotto  che 
era  adolescente  a  Roma,  vi  fu  discepolo  del  grammatico 
Apione  ;  giovinetto  visitò  l'Africa ,  fé'  dimora  in  Egitto ,  e 
com'era  costume  dei  doviziosi ,  die  compimento  in  Atene 
alla  sua  educazione.  Militò  in  Germania  sotto  L.  Pomponio 
che  gli  affidò  il  comando  d'una  squadra  di  cavalleria,  si 
addestrò  siffattamente  nella  disciplina  dell'equestre  milizia 
da  potere  in  appresso  pubblicare  un  trattato  sui  vari  modi 
di  lanciare  giavellotti  ^  ed  altre  armi  stando  a  cavallo.  I 
brevi  riposi  consacrò  a  visitare  le  scatm-igini  del  Danubio, 
le  rive  dell'Oceano ,  l'interiore  delle  terre ,  abitate  dai  Cauci 
ed  altre  baibare  tribù.  E  da  cx^edere  che  discendesse  alle 
foci  dell'Elba  ,  e  del  Veser  sulla  flotta  destinata  a  ricono- 
scere le  spiagge  del  mare  settentrionale ,  e  del  Chersoneso 
la  qual  recò ,  regnando  Claudio ,  per  la  prima  volta  la  fama 
del  popolo  Romano  a  que'  lidi  remoti. 

Le  gesta  de'  suoi  compatriotti  in  Germania  invogliaronlo 
di  scriverne  la  storia ,  ignoriamo  sino  a  qual  punto  con- 
ducesse Plinio  un  tal  lavoro  ,  solo  sappiamo  che  vi  diede 
opera  allorché  sett'anni  dopo  d'essere  entrato  nell'  arringo 
dell'armi,  sen  distolse  per  consacrarsi  alle  lettere  ed  alla 
eloquenza  del  foro;  in  età  più  provetta  preferì  lo  studio 
delle  scienze,  benché  scienza  suonasse  in  allora  una  vana 
parola,  e  si  fornì  la  memoria  d'un  ingombro  sterminato  di 


532 

fatti ,  erudizione  incompleta ,  massa  di  cognizioni  eteroge- 
nee ;  profittevoli  ed  elevate  le  une  ,  meschine  e  puerili  le 
altre,  quelle  degne  di  destare  ammirazione  ed  invidia  nei 
moderni,  queste  che  vincano  in  assurdità  le  superstizioni 
contemporanee  d'Omero. 

Plinio  fissò  la  dimora  in  patria  sia  per  amministrarvi  più 
dappresso  i  suoi  beni,  sia  per  iscansare  il  trambusto  della 
capitale  dominata,  e  messa  sossopra  dal  capriccio  de'  li- 
berti ,  e  dalle  pazzie  spesso  scellerate  de'  Cesari. 

Parve  stranezza  allorquando  si  trattò  di  dare  a  Nerone 
un  istitutore  ,  che  Agrippina ,  la  quale  di  buona  fede  cer- 
cavalo  tra  migliori,  non  ponesse  gli  occhi  sullo  storico  della 
Germania ,  di  cui  ci  avvisa  Tacito  che  il  nome  già  era 
scritto  sin  d'allora  nelle  tavole  di  bronzo  della  fama.  Se- 
neca notissimo  a  Roma  per  essere  capo  d'una  setta  in  voga, 
e  che  un  ingiusto  esilio  dignitosamente  sostenuto  aveva  al- 
zato a  bella  riputazione,  fu  preferito.  Contemporaneamente 
l'essere  nato  a  Plinio  un  nipote ,  gli  ispirò  l'idea  di  det- 
tare un  libro  sull'  educazione  ad  uso  degli  studiosi  dell'e- 
loquenza ;  e  lo  intitolò  —  Studiosus.  Al  modo  di  Quinti- 
liano nelle  Istituzioni  facevasi  guida  all'alunno  dall'infanzia 
all'  età  d'  arringare ,  inteso  ad  erudirlo  d'ogni  più  minuto 
particolare ,  che  a  quella  principalissima  tra  le  Romane 
discipline  apparteneva. 

Lavoro  più  tecnico  ed  arido  ,  l'occupò  in  seguito  ;  gli 
otto  libri  delle  difficoltà  del  latino  sermone  e  de'  vocaboli 
d'incerta  significazione.  Con  mostrarsi  immerso  in  tai  filo- 
logiche ricerche,  evitò  di  dar  ombra  a  Nerone,  il  quale 
anzi  lo  ascrisse  all'ordine  equestre  e  lo  nominò  procura- 
tore Cesareo  nelle  Spagne.  Fu  caro  a  Vespasiano  che  gli 
conferì  il  comando  della  flotta  stanziata  a  Miseno.  E  non 
ostante  che  fosse  mai  sempre  occupato  a  servigi  dello  Stato, 
seppe  trovare  tempo  e  comodità  di  coltivare  quegli  studi 
scientifici,  che  nella  seconda  metà  della  vita  avea  abbrac- 


555 

ciati  con  predilezione.  Si  era  egli  formata  una  specie  d'an- 
tologia ,  o  raccolta  di  brani  delle  sue  letture ,  e  di  osser- 
vazioni fatte  sovra  luogo  ed  intorno  vàri  argomenti  ;  la 
quale  raccolta  sin  da  quando  era  in  Ispagna  ammontava 
a  censessanta  volumi  scritti  per  dritto  e  per  i-ovescio,  locchè 
n'addoppia  il  numero  ,  miscellanea  che  andò  sempre  cre- 
scendo finche  ebbe  vita  l'infaticabile  compilatore. 

Ma  qui  ninno  meglio  degU  studi  di  Caio,  Plinio  (di  cui 
ci  restano  unico  ma  colossale  monumento  i  trentasei  libri 
della  storia  naturale)  può  ragionare  che  il  suo •  proprio 
nipote  il  quale  ne  rende  conto  come  segue  in  una  lettera 
a  Macro  (  lib.  III.  5.  ). 

«  Io  mi  compiaccio  sommamente  intendendo  come  gli 
»  scritti  dello  zio  ti  sieno  cari ,  e  ti  stia  a  cuore  avere 
»  contezza  di  tutti;  ne  mi  terrò  contento  solamente  di 
»  indicarteli.;  accennerò  altresì  con  qual  ordine  abbiali 
»  egli  messi  in  luce ,  cognizione  non  inopportuna  a  letterato. 
»  Quando  comandava  una  coorte  di  cavalli  ,  compose  il 
»  trattato;  De  jaculatione  equestri;  nel  quale  die  saggio 
»  di  raro  acume,  ed  esattezza.  Pubblicò  poscia  in  due  libri 
»  la  vita  di  Pomponio  Secondo ,  da  lui  molto  amato  a 
»  segno  d'amichevole  gratitudine  ;  fecesi  quindi  a  compilare 
M  i  venti  libri  delle  guerre  Germaniche  che  contengono 
»  il  racconto  di  tutte  le  fazioni  militari  che  ci  avemmo 
»  in  que'  paesi,  e  con  quei  barbari.  Un  sogno  avevagli 
»  ispirato  il  pensiero  di  codesta  grande  tattica  ;  eragli  paruto 
»  vedere  l'ombra  di  Druso  Nerone  ,  il  quale  dopo  d'aver 
»  fatto  colà  grandi  conquiste,  v'era  pur  morto,  scongiurarlo 
»  che  non  lasciasse  cadere  dimenticate  le  sue  gesta.  Abbiamo 
»  inoltre  di  lui  tre  libri  con  titolo  di  Studiosus ,  che  per 
«  la  loro  estensione  dovettero  essere  divisi  in  sei  volumi; 
»  dall'infanzia  all'età  perfetta,  egli  v'insegna  come  si  diventi 
»  oratore.  Gli  otto  libri  Diibii  sermonis  dettò  durante  gli 
»  ultimi  anni  dell'  imperio   di  Nerone ,   poi  i  trent'uno  in 


^34 

»  continuazione  alle  storie  d' Aufidio  Basso ,  ad  ultimo  i 
«  trentasette  della  naturale  storia,  la  quale  opera  è  d'una 
»  estensione  e  d'una  erudizione  infinita ,  e  varia  quasi  al 
))  paro  della  stessa  natura. 

»  Stupisci  che  uomo  il  cui  tempo  era  tutt'altro  che  libero 
»  da  cm^e  non  letterarie  potesse  scrivere  tanti  volumi ,  e 
»  trattare  argomenti  sì  disparati ,  e  per  la  più  parte  spinosi 
»  e  difficili.  Stupirai  anco  più ,  risapendo  che  egli  ha  inoltre 
»  patrocinato  cause ,  e  che  quando  morì  toccava  appena 
»  i  56  anni  ;  de*  quai  mezzi,  a  dir  poco ,  spese  in  adempiere 
»  le  missioni  di  cui  investivalo  la  confidenza  degli  Impe- 
»  ratori. 

»  Era  egli  dotato  d'una  penetrazione ,  d'una  applicazione, 
»  d'una  vigilanza  incredibile.  Alla  ricorrenza  delle  feste  di 
»  Vulcano  nel  mese  di  agosto  ,  cominciava  a  vegliare  la 
»  notte  ,  non  a  cercare  presagi  in  cielo ,  ma  a  studiare. 
»  Poneasi  al  tavolo  in  estate  sull*^  abbuiare  ,  e  nel  verno 
»  ad  una  o  due  ore  dopo  la  mezzanotte.  Spesso  a  mezzanotte  ; 
»  non  era  possibile  accordare  meno  al  sonno  ;  e  il  sonno 
»  sorprenderlo  talora  sui  libri.  Avanti  dì  conduceasi  a 
n  Vespasiano  che  delle  notti  facea  buon  uso  anch'  egli , 
»  di  là  muovea  ad  eseguire  ciò  che  gli  era  stato  commesso , 
))  lo  che  fatto  avendo ,  tornava  a  casa,  e  il  rimanente  tempo 
»  consacrava  a  studiare  ;  dopo  il  pranzo  che  semplice  ,  e 
»  leggero  era  sempre  ,  secondo  il  costume  de'  nostri  vecchi, 
»  se  gli  garbava  oziare ,  coricavasi  al  sole.  Amava  farsi 
»  leggere  libri  ,  e  ne  cavava  osservazioni  ed  estratti  ; 
n  costumava  dire  non  esservi  sì  triste  scrittura,  da  cui 
»  cavare  non  si  potesse  qualche  cosa  di  buono.  Ritiratosi 
)>  dal  sole  usava  d'un  bagno  freddo  ,  mangiava ,  dormiva 
»  un  pochetto,  poi  come  se  il  giorno  ricominciasse  riponeasi 
))  allo  studio  sino  a  cena  ,  durante  la  quale  letture  di 
»  nuovo ,  e  di  nuovo  estratti,  —  Ricordomi  un  dì  che  il 
»  lettore  avendo  pronunziato  male  alcune  parole ,  uno  dei 


535 

»  commensali  le  fé'  ripetere.  —  Non  avevate  inteso  il 
»  senso:  domandò  lo  zio.  Si  certo,  rispose  l'altro.  Perchè 
»  dunque  farlo  ripetere?  Cotesta  interruzione  ci  costa  dieci 
»  linee  a  dir  poco.  —  Ora  vedi  se  egli  era  economo  del 
»  tempo. 

»  Nei  viaggi  leggeva  o  dettava  ;  allora ,  come  più  sciolto 
»  da  distrazioni  ,  e  da  brighe ,  avea  sempre  a  fianco  il 
»  suo  libro,  le  tavolette  ed  il  copista,  e  per  non  perdere 
»  nemmeno  un  istante ,  anche  per  Roma  non  girava  che 
»  in  lettica,  e  mi  sovviene  che  un  giorno  mi  rimproverò 
n  d'aver  passeggiato,  dicendo  —  potevi  cavar  profitto  da 
»  tali  ore.  —  Assiduità  meravigliosa,  mercè  la  quale  gli 
»  riuscì  di  scrivere  sì  sterminato  numero  di  volumi.  Gli 
»  è  dunque  a  ragione  che  mi  fanno  ridere  coloro  che  mi 
))  appellano  studioso,  io  che  a  petto  di  mio  zio  sono  un 
»   perdigiorni.  n 

L'anno  che  tenne  dietro  alla  pubblicazione  della  Storia 
Naturale ,  fu  memorando  per  la  prima  eruzione  del  Vesuvio , 
e  la  catastrofe  di  Ercolano  ,  Stabia  e  Pompei  ;  vittima 
dell'amor  suo  per  la  scienza  Plinio  perì,  e  l'amoroso  nipote 
anco  di  quella  scena  spaventosa  ci  fu  spettatore 

u  Era  Plinio  a  Miseno ,  e  di  presenza  governava  1'  ar- 
»  mata  :  il  23  agosto  ad  un'  ora  pomeridiana  circa  ,  mia 
»  madre  avvisollo  dell'  apparire  di  una  nube  di  forma ,  e 
»  di  grandezza  straordinaria.  Ei  che  secondo  il  suo  costume, 
))  dopo  d'  aver  dimorato  al  sole  e  bevuta  acqua  fi  edda , 
n  giaceva  studiando ,  alzatosi  salì  a  luogo  da  cui  poteva 
»  molto  bene  osservare  il  fenomeno.  Un  nugolo  (  non  sa- 
»  peasi  da  qual  monte  sbucasse,  fu  noto  poscia  ch'era  il 
«  Vesuvio)  s'alzava  di  figura  che  potevasi  paragonare  ad 
»  un  pino ,  poiché  spintosi  in  su  con  una  maniera  di 
»  lunghissimo  fusto  allargavasi  in  rami  che  sfiimavano  con 
n  dilatarsi  ;  perchè  ,  credo ,  quelle  materie  da  immediata 
y)   forza    cacciate ,  da    questa  abbandonate  ,   e    dal  proprio 


536 

»  peso  vinte  si  disperdevano  cadendo  5  il  nugolo  poi  qua 
«  era  candido ,  là  scuro ,  e  macchiato ,  secondo  che  sol- 
»  levava  cenere  o  terra. 

»  Vago  d'apprendere,  deliberò  lo  zio  al  portento  accostarsi 
n  ed  esplorare  che  fosse.  Ordina  che  gli  si  appronti  un 
»  palischermo ,  m' invita  ad  accompagnarlo  ;  risposi  che 
»  preferiva  meglio  studiare  ;  m'  avea  egli  dato  da  scrivere. 
»  Esci  di  casa  munito  delle  sue  tabelle.  I  marinai  di  Retina 
»  spaventati  perchè  il  borgo  soggiace  al  monte ,  nò  v'è  di 
»  là  altro  scampo  che  per  mare ,  supplicavanlo  non  si 
»  esponesse  a  tanto  pericolo  ;  le  quali  preghiere  noi  vinsero 
»  e  perseverò  intrepido  a  ciò  fare  che  amore  della  scienza 
»  suggerivagli.  Eccolo  colla  quadrireme  fiiori  del  porto , 
»  né  solo  a  que'  di  Retina  reca  soccorso ,  ma  anche  a  molti 
»  altri  che  le  vicine  spiagge  popolavano  ,  chiamativi  dall' 
»  amenità  del  luogo  :  s'  accosta  là  donde  fugge  ognuno  ; 
»  mette  la  prora  diritta  al  pericolo  talmente  sciolto  da 
»  ogni  paura ,  che  mano  mano  i  caratteri  del  fenomeno 
»  gli  si  presentano,  ne  fa  annotazione.  Già  la  cenere  cade 
»  sulla  nave ,  e  con  avvicinaisi  questa  alla  riva ,  si  fa  pili 
»   calda  e  folta  ;  precipitano  pomici  e   sassi  arsi. 

»  L'onde  stJjitanee  e  la  ruina  leri'ibile  del  lido  tennerlo 
M  in  forse  di  dare  addietro  ;  ma  tosto  al  timoniere  che  a 
w  ciò  fare  consigliavalo  —  la  fortuna  aiuta ,  disse ,  gli 
t>  ardimentosi:  drizza  a  Pomponiano.  —  Questi  era  a  Stabio 
»  sull'estremità  opposta  della  baia  j  perocché  quivi  internasi 
»  il  mare  ,  e  foima  un  seno.  Ivi  trovò  l'amico  il  quale , 
n  benché  vicino  non  fosse  il  pericolo  notabilmente  pei'ò 
«  crescente  ad  ogni  istante  ,  affacendavasi  a  trasportare 
V  ogni  sua  dovizia  sulle  navi,  pronto  a  fuggire  tosto  che 
«  cadeva  il  vento  da  cui  assecondato  ratto  era  giunto  lo 
»  zio.  Abbracciollo  che  tremava,  fecegli  animo  ,  e  per 
))  iscemare  colla  propria  tranquillità  il  suo  terrore  volle 
»   essere  condotto  al  bagno,  si  lavò,  si  coricò,  cenò  ilare 


537 

»  in  volto,  o,  ciò  che  era  ancora  miiablle  ,  fingendo  tl'cs- 
»   serio. 

o  Frattanto  immense  fiamme,  e  vasti  incendi  riluceano 
»  per  tutto  verso  il  Vesuvio  ed  il  loro  chiarore  diradava 
»  le  notturne  tenebre.  Plinio  a  diminuire  lo  spavento  dei 
»  riguardanti  afferma  provenire  tai  fiamme  dal  bruciare 
»  delle  ville  abbandonate ,  a  cui  nella  trepidazione  delia 
»  fuga  s'è  appiccato  il  fuoco  ;  poi  s'abbandonò  al  sonno  , 
»  e  dormì  veramente ,  perchè  il  suo  respiro  che  per  la 
))  pinguedine  del  corpo  era  grave  e  romoroso  ,  fu  udito 
»  da  coloro  che  facean  guardia  sul  limitare. 

»  Il  cortile  per  cui  s'entrava  nella  camera  già  talmente 
»  si  faceva  ingombro  di  cenere  e  di  pomici ,  che  ove  più 
n  a  lungo  fosse  egli  giaciuto,  l'uscita  sarebbesi  resa  impossi- 
•  bile.  Fu  desto ,  sorse ,  tornò  a  Pomponiano  e  agli  altri 
»  che  vegliavano  ;  tennero  consiglio  se  era  più  espediente 
»  il  restarvi  in  casa,  o  l'uscire  all'aperto;  per  le  gagliarde 
»  scosse  di  terremuoto,  vacillavano  i  tetti,  ed  agitati  dalle 
1»  fondamenta  i  muri  pareano  andare  e  venire  :  a  cielo 
n  aperto  era  da  temere  il  cadere  de'  sassi ,  comechè  lievi  e 
»  spugnosi. 

»  Mosselo  peitanto  l'imponenza  di  tanti  pericoli  uniti  : 
))  lui  determinò  la  ragione  ,  gli  altri  il  timore  ;  tutti  posersi 
»  guanciali  in  testa  a  riparo  delle  precipiti  materie  ;  aggior- 
))  nava  altrove  ;  regnava  quivi  tuttavia  tenebrosissima  notte, 
))  che  infinite  faci  a  stento  diradavano.  Piacque  uscire  sul  li- 
»  do ,  e  vedere  da  vicino  s'era  navigabile  il  mare  :  lo  trova- 
»  rono  turbato  e  contrario.  Quivi  giacendo  sovra  un  panno 
»  più  e  più  volte  Plinio  domandò  e  bevette  acqua  fredda  ; 
»  poco  stante  fiamme  precedute  da  odore  sulfureo  volsero 
»  gli  altri  in  fuga ,  e  lui  scossero  ;  appoggiato  a  due  servi, 
»  s'alzò,  e  ricadde,  siccome  io  conghietturo ,  oppresso  dalla 
»  densa  caligine  il  respiro  che  dalla  natura  sortito  aveva 
«  debole,  frequente,  affannoso.  Tre  giorni  dopo  fu  trovato 

33 


558 

»  il  corpo  illeso ,  intiero  ,  coperto  eli  cenere ,  coi  panni 
»  indosso  non  guasti  :  facea  vista  d'uomo  che  dorme  anzi 
»  che  di  spento » 

Questo  scritto  così  pieno  di  pittorica  evidenza  c'invoglia 
di  sapere  cosa  dello  scrivente  n'  avvenisse  quella  notte 
terribile  ;  anche  sulla  casa  ov'egli  era  l'imasto  a  Miseno  , 
dovette  piovere  il  Vesuvio  le  infocate  sue  pomici  :  quanto 
più  modestamente  tace  egli  di  sé  per  non  occuparsi  che 
dello  zio  ,  tanto  più  destasi  in  noi  benevola  sollecitudine 
d'averci  anche  de' suoi  casi  contezza.  Una  tal  sollecitudine 
Tacito  (a  cui  la  lettera  testé  citata  era  indirizzata)  provoUa 
anch'  egli.  «  Tu  affermi  (  scrivegli  nuovamente  Plinio  il 
»  Giovine  )  che  la  lettera  in  cui  la  morte  dello  zio  ti  descrissi 
»  ha  desta  in  te  una  voglia  infinita  di  conoscere  non  solo 
»  a  quai  paure ,  ma  anche  a  quai  casi  io  sottostassi  a 
»  Miseno.  Benché  l'animo  a  tei  reminiscenze  rifugga,  ti 
»  compiacerò. 

»  Partito  lo  zio  spesi  il  tempo  in  quelle  occupazioni 
»  che  mi  avevano  fatto  preferire  il  rimanere  ;  poi  presi 
»  un  bagno  ,  cenai  e  m'abbandonai  a  sonno  breve  inquieto. 
»  A  terremuoti  in  Campania ,  meno  spaventosi  perché  più 
»  frequenti,  già  m'era  avvezzo;  ma  quella  notte  fu  tale  il 
»  commovimento ,  che  ogni  cosa  pareva  rovinare.  Mi  balzò 
»  in  camera  la  madre  ;  scendemmo  nel  cortile  ,  di  breve 
»  spazio  discosto  dal  mare  e  domandai  (dubito  se  questa 
»  debbasi  appellare  fortezza  o  stoltezza  ;  m'  avea  allora 
»  diciotto  anni  )  il  mio  Tito  Livio  ;  ed  eziandio  mi  posi 
»  a  leggere  e  fare  estratti  :  quand'ecco  un  amico  dello  zio 
»  giuntogli  poc'anzi  di  Spagna,  accorrere,  e  veggendo  me 
»  in  lettura ,  mia  madre  seduta  ,  rimproverare  vivamente 
»  a  me  la  tranquillità,  a  lei  la  pazienza;  né  io  per  questo 
»  alzava  gli  occhi  dal  libro.  Era  l'ora  prima ,  dubbiamente 
))  aggiornava,  i  circostanti  tetti  scassinavansi;  onde,  benché 
))  in  luogo  aperto  ma  angusto  ,  correvamo  pericolo.  Parve 


559 

»  opportuno  uscire.  Il  volgo  attonito  e  pel  quale  la  paura 
»  tien  luogo  di  prudenza ,  e  l'altrui  consiglio  preferisce 
»  al  proprio  in  numerosa  frotta,  c'incalza,  preme  e  spinge 
»  oltre  ;  fuori  dell'abitato  molte  meraviglie ,  e  molti  spaventi 
»  ci  si  parano  imianzi  ;  che  i  carri  quivi  condotti,  tuttoché 
»  in  pianura  ,  cacciati  da  opposte  parti  non  poteano  stai- 
»  fermi  ;  vano  era  riuscito  l'affrancare  le  ruote  con  sassi 
»  il  mare  parca  che  si  riassorbisse,  e  la  riva  scuotendosi 
»  respingesselo :  certo  che  il  lido  s'era  addentrato,  e  gia- 
))  ceano  animali  marini  sulla  nuda  sabbia.  D'altra  parte  una 
»  nube  oscura  spaventosamente  rotta  da  guizzi  di  fuoco, 
))  fendeasi  in  forma  di  lunghe  fiamme  simili  a  folgori ,  però 
»  maggiori.  Allora  l'amico  Spagnuolo  instò  più  efficacemente 
»  con  dire.  —  Se  il  fi-atei  vostro ,  se  lo  zio  vive  ,  ei  vi 
»  vuole  salvi,  se  perì  ,  vi  brama  superstiti  :  perche  dunque 
»  sospendete  la  fuga?  —  Rispondemmo  che  incerti  della 
»  sua  salvezza  non  ci  reggeva  l'animo  di  pensare  alla  no- 
»  stra.  Ei  non  si  trattenne  allora  più  oltre  ma  con  sol- 
»  lecita  fuga  si  sottrasse  al  pericolo. 

»  La  nube  intanto  era  scesa  correndo  il  mare,  circondando 
»  Capri,  sperperando  Miseno  la  madre  supplicavami,  me- 
»  scolando  alle  preci  i  comandi,  che  fiiggissi;  poterlo  io 
»  fare  agevolmente  per  essere  giovine;  ella  grave  di  corpo 
»  e  d'anni ,  soccomberebbe  contenta  se  non  mi  fosse  cagione 
»  di  morte.  Io  per  lo  contrario  giurava  che  non  mi  sarei 
»  posto  in  salvo  senza  di  lei,  e  strettala  per  mano  la 
»  costrinsi  ad  affrettarsi. 

»  Fattasi  più  rada  la  polvere  scorsi  sovrastarne  da  tergo 
»  un  polverio  che  quasi  torrente  ne  inseguiva  —  Esciamo 
))  dalla  via ,  dissi ,  finché  aggiorna  ,  onde  non  ci  atterri , 
»  e  per  le  tenebre  non  ci  calpesti  la  turba  soprawegnentc. 
»  —  Appena  eravamci  ritratti  che  la  notte  si  fé'  tenebrosa, 
»  non  come  quando  è  senza  luna  ,  ma  qual  è  ne'  luoghi 
»  chiusi  ove  non  vi  ha  lume  ;  avresti  uditi  allora  i  lai  delie 


540 

»  femmine  ,  le  giida  de'  fanciulli ,  gli  urli  degli  uomini, 
))  questi  i  genitori ,  quelli  i  figli ,  altri  le  mogli  ricercare 
»  a  nome ,  tentar  tutti  di  riconoscersi  alla  voce ,  chi  la 
»  propria  sventura ,  chi  quella  de'  suoi  cari  lamentava  ; 
»  taluno  per  terrore  della  morte,  la  morte  invocava;  molti 
»  implorare  gli  Dei,  molti  bestemmiarli,  credendo  essere 
»  quella  la  suprema  notte  del  mondo. 

»  Rischiarò  alquanto  ,  né  pareva  indizio  di  giorno  bensì 
»  di  fuoco  che  s'avvicinasse,  ma  il  fuoco  stette  lungi,  torna- 
»  rono  le  tenebre  ,  e  cadde  nuovamente  una  cenere  pesante 
))  e  copiosa,  la  quale  ci  scuotevamo  di  dosso  già  già  ri- 
»  copertine  ed  oppressi.  Posso  gloriarmi  che  non  un  ge- 
»  mito  non  una  voce,  che  virile  non  fosse,  mi  sfuggì;  se 
»  non  che  trovava  sollievo  all'  umana  fralezza  in  pensando 
»  che  io  periva  col  mondo. 

»  Finalmente  quella  caligine  scioltasi  in  una  specie  di 
»  fumo  ,  svanì  ;  tosto  il  vero  giorno  risplendette ,  ed  anche 
»  il  sole,  ma  fiacco  come  suole  allorché  tramonta.  Gli  oggetti 
»  apparivano  mutati,  coverti,  come  se  fosse  neve,  da  un 
»  alto  strato  di  cenere.  Rientrati  a  Miseno ,  ristoratici  alla 
»  meglio ,  passammo  una  paurosa  notte  tra  speranza  e 
))  timore  ;  il  timore  prevalea  perché  continuava  il  tremito 
»  della  terra,  e  forsennati  con  orrendi  vaticinii  pareano 
»  pigliarsi  giuoco  de'  proprii  danni  e  degli  altrui. 

»  A  noi  però  nemmeno  allora ,  comechè  presaghi  di 
»  nuovi  guai,  entrò  in  pensiero  di  lasciare  que'  luoghi 
»  pria  d'averci  novelle  dello  zio.  —  » 

In  leggere  queste  pagine  un  brivido  non  ci  corse  per 
l'ossa  ?  —  Quella  madre  che  nemmeno  d'un  momento  vuole 
ritardata  la  fuga  al  figlio  ,  abbia  a  costargliene  la  vita,  alla 
madre  nostra  non  ci  fa  pensare  con  rinfervorata  tenerezza? 
Quegli  lu-li  della  moltitudine  che  fugge ,  misti  di  tante  voci 
strazianti ,  e  che  si  perdono  nella  lontananza ,  a  quel  suono 
somigliare    sulla  terra?  A   qual   scena  paragoneremo  quel 


541 

fuoco  che  incalza ,  quella  cenere  che  piove  ,  quel  terremoto 
che  squassa,  quel  mai  e  che  si  riassorbe ,  ma  ci  riconfortiamo. 
Evvi  in  mezzo  a  tanto  orrore  un  cuore  che  palpita 
virtuosamente  per  un  benefattore  ,  per  una  madre  ?  —  La 
lettera  di  Plinio  più  che  alla  Storia  di  Roma  appaitiene 
a  quella  dell'umanità. 

Gli  studi ,  la  morte  di  Plinio  ci  furono  narrati  da  un 
testimonio  di  vista ,  e  d'udito  ;  ora  ci  resta  l'esaminare  i 
suoi  scritti. 

Abbracciar  volle  nella  sua  storia  tutti  i  fatti  della  natm^a, 
e  si  fosse  egli  contentato  di  questo  già  per  sé  colossale 
imprendimento  ,  avrebbe  fatto  opera  in  mezzo  alla  vastità 
sua ,  improntata  di  filosofica  unità  :  ma  superficiali  analogie 
trascinavanlo  fiior  di  via ,  allontanavanlo  dal  suo  soggetto  : 
a  quanto  lo  spettacolo  dell'universo  presentavagli  spontaneo , 
e  direi  come  non  interrogato,  associò  non  solamente  la 
materia  medica  dei  tre  regni,  ma  un  trattato  di  tecnologia 
ed  una  storia  delle  belle  arti,  le  quali  aggiunte  furono 
soverchie ,  o  se  piace  meglio  sufficienti  ;  che  avere  non  vi 
potea  via  di  mezzo ,  o  convenia  restringersi  all'ordine  fisico, 
al  cielo  ,  alla  terra ,  al  mondo  organico  ed  inorganico  ,  o 
volendo  pm'  ammettere  l'uomo  siccome  intelligenza  che  si 
manifesta  sotto  tali  alte  apparenze ,  mediante  trovati  ed 
atti,  stava  bene  esaurire  la  serie  immensa  di  colali  atti  e 
trovati  compilando  una  vera  enciclopedia  :  Plinio  peccò  nel 
concetto  primo ,  non  raggiunse  ,  od  oltrepassò  lo  scopo  : 
ora  gettiamo  lo  sguardo  sulla  distribuzione  del  suo  lavoro. 

Il  primo  libro  è  consecrato  all'  astronomia  ,  ed  alla 
meteorologia  ,  i  quattro  seguenti  alla  geografia  ;  poi  sino 
all'  undecimo  tratta  di  zoologia  ;  sino  al  decuixonono  di 
botanica,  la  materia  medica  comincia  al  ventesimo  e  si 
suddivide  in  vegetabile  (dal  XX  al  XXVII)  ed  animale 
(dal  XXVIII  al  XXXII),  tiene  dietro  la  mineralogia  con 
suoi   annessi  ,•  la   materia  medica  minerale  ,  le  belle  arti  ; 


542 

alcune  descrizioni  relative  all'arti  meccaniche  chiudono  la 
opera.  Sul  finire  del  libro  VII  è  degno  d'osservazione  un 
lungo  squarcio  sulle  invenzioni  e  le  istituzioni  umane. 

A  studiare  i  primi  lineamenti  di  questa  vasta  compilazione, 
ella  ci  parrà  maestosa  e  semplice  :  il  cielo,  la  terra,  le  grandi 
masse  degli  esseri  terrestri ,  la  storia  de'  tre  regni  ;  ma  un 
leggero  esame  ce  ne  chiarisce  le  pecche  ,  le  descrizioni 
relative  alle  arti  sono  seminate  qua  e  là  invece  di  trovare 
posto  nei  capitoli  ove  si  tratta  delle  sostanze  che  loro 
forniscono  la  materia  prima ,  o  meglio  raccolte  a  formare 
un  corpo  ;  le  belle  arti  sono  tutte  affibbiate  alla  mineralogia 
quasi  che  non  vi  avessero  infinite  sostanze  organiche  di  che 
gli  artisti  adoperano,  come  gli  statuari  l'avorio,  i  cesella- 
tori r  ebano ,  i  dipintori  tela  e  pennello ,  non  che  colori 
somministrati  dal  regno  vegetabile  e  dall'animale.  La  materia 
medica  dovea  tener  dietro  alla  sposizione  de'  tre  regni  in 
cambio  di  venire  inserita  come  a  caso  in  mezzo  ad  essi  ; 
oltreché  sommo  disordine  regna  nella  parte  mineralogica 
ove  Plinio  raccozzò  alla  rinfusa,  oltre  le  descrizioni,  ricette, 
e  racconti  senza  fine.  Piìi  grave  rimprovero  noi  gli  moviamo 
d'avere  rappiccato  con  fìnvole  e  false  analogie,  con  transizioni 
superficiali,  e  perfino  con  artifizii  degni  d'un  retore  e  di 
un  sofista  il  quadro  della  natura  alla  dipintm^a  delle  creazioni 
umane. 

Vuoisi  per  altro  avvertire  che  Plinio  assumendosi  la  parte 
di  compilatore  ed  abbreviatore  non  è  risponsabile  di  tutti 
gli  abbagli  in  cui  cadde.  Ma  come  adempì  agli  ufficii  di 
compilatore  ?  Anche  sotto  questo  aspetto  scorgeremlo 
meritevole  di  riprensione ,  non  è  sempre  felice  nella  scelta 
dogli  autori ,  avviengli  sovente  di  preferire  una  spiegazione 
puerile  ad  altra  ragionevole,  un'evidente  favola  alla  pretta 
verità.  Pronto  a  copiare  così  Ctesia  come  Aristotele ,  non 
sognasi  tampoco  d'attribuire  un  senso  simbolico  agli  animali 
che  quel  primo  si  figurò  di  scorgere  nei  ieroglifi  di  Persepoli. 


543 

Racimola  tutto  (jnanto  gli  cade  sotto  mano ,  e  spaccia  come 
assiomi  incontrastabili  paradossi  di  che  da  oltre  mi  secolo 
i  dotti  d'Alessandria  dimostrarono  l'assurdità,  siccome  però 
molte  fiate  non  ha  egli  visto  ciò  che  descrive,  altera  il  senso 
pensando  di  non  modificare  che  la  frase ,  e  diventa  oscuro 
ed  inesatto ,  inconveniente  che  spesseggia  quando  traduce 
dal  greco  e  cita  misui'e ,  e  nomi  di  spezie.  Le  nomenclature 
non  solo  sono  in  Plinio  difettive  ed  arbitrarie ,  ma  le 
descrizioni  e  indicazioni  che  ci  dà  degli  oggetti  sono  presso 
che  sempre  insufficienti  a  farceli  riconoscere  ;  a  meno  che 
la  tradizione  ,  o  il  nome  conservato  non  ci  illumini,  A 
crescere  confusione  sovrabbondano  le  ripetizioni  specialmente 
nella  geografia;  v'è  un  nome  che  torna  per  fino  sei  volte 
con  ortografia  cambiata  ;  pare  che  l'Autore  non  siasi  accorto 
dell'identità  d'una  stessa  appellazione  stiracchiata  e  torturata 
in  fogge  diverse  da  varii  dialetti ,  e  da  fi^m^e  grammaticali. 
Le  contraddizioni  ad  ultimo  formicolano  per  cagione  delle 
citazioni  che  Plinio  fa  di  scrittori  che  trattano  d'uno  stesso 
argomento  con  idee  discordanti. 

Le  quali  pecche  avvertite,  qual  giudizio  converrà  defi- 
nitivamente portare  della  compilazione  di  Plinio? 

In  quanto  a'  fatti  scientifici ,  essa  non  può  tornare  che 
di  scarso  giovamento  ai  moderni  ;  la  storia  però  delle  belle 
arti  vi  è  assai  bene  delineata  ,  e  con  bel  garbo  sono  in- 
dicate le  origini ,  l'epoche,  i  progressi,  i  capolavori  di  queste 
ad  erudirti  de'  progressi  materiali  che  la  civiltà  aveva  fatto 
nel  mondo  Romano,  niun a  guida  può  fornire  maggior  copia 
di  minute  infox^mazioni  dell'  enciclopedista  antico  ;  il  suo 
libro  ti  può  tenere  luogo  d'una  biblioteca  greco-latina.  Plinio 
accenna  egli  stesso  nella  dedicatoria  a  Tito  Vespasiano  qual 
maniera  d'utilità  procacciar  debba  il  suo  lavoro,  e  ragiona 
intorno  a  ciò  con  modestia  non  comune  a  Romani  scrittori. 
«  Racchiudemmo  in  trentasei  volumi  ventimila  fatti  notevoli 
somministratici   da  cento    scelti  autori    in    duemila  opere 


544 

a  pochi  studiosi  noti  per  l'oscurità  della  materia.  Aggiun- 
gemmo assai   cose  dagli   antichi  ignorate ,  trovati  di  suc- 
cessivo raffinamento.  I  volumi  che  io  ti  dedico  sono  frutto 
d'una   volgare    fatica ,   avvegnaché   fosse   in   me   anche    un 
elevato  ingegno ,  in  cambio  di  mediocrissimo  qual  è ,  non 
trovano  posto  in   essi ,  ne  ragionamenti  animati ,  ne  dia- 
loghi ,  né  orazioni ,  né  r-acconti  di  meravigliose  avventure , 
né  svariati  episodi,  né  altre  piacevolezze  deniegate  tutte  a 
sì  arida  materia.  Io  imprendo  a  descrivere  la  natura  (che 
è  come  dire  tutto  quanto  esiste)  anco  nelle  sue  parti  meno 
nobili  con  vocaboli  agresti ,  esotici,  persino  barbari ,  e  tali 
da  non  potersi  metter  fuori  senza  apologia  ;  oltreché  la  via 
che  percorro  non   è  attraente ,  o  frequentata.  Niuno  dei 
nostri  si  é  accinto  a  trattare  questo  tema;  niuno  de'Greci: 
in  fatto  di  studi  la  moltitudine  corre  al  piacevole  ;  ciò  che 
altri  sottilmente  lasciò   scritto  giace  velato  da   tenebre,  o 
dimenticato  :  convienmi  sfiorare  l' universalità  delle  cogni- 
zioni dai  Greci  detta  EyxvxkoTtav^eca.  (encicolopedia)  facendo 
tesoro  di  fatti  gli  uni  ignorati ,  incerti  ,  gli  altri  promul- 
gati, e  noti  a  sazietà.  Arduo  alle  cose  vecchie   è  imporre 
vesta  di  novità ,  alle  nuove  dar   autorevolezza ,   freschezza 
infondere  alle    sbiadate ,   fede  alle  dubbie ,  a  tutte  rivendi- 
care la  propria  natura ,  restituire  il  fatto  suo.  Anche  se  va 
fallito  l'intento,  bello  é  aver  tentato  sì  magnifica  impresa.  » 
Plinio  dovette  fare  innamorati  i  contemporanei  della  bel- 
lezza, talora    severa,   talora  declamatoria  e  pittoresca  del 
suo   stile.    «  La  terra  (  scriv'egli  )  è  solo  tra  gli  elementi 
»  a   cui  ci  piacque  dare  in  premio  de'  suoi  benefizi ,  un 
»  nome,  un'appellazione  che  richiama  l'imponente,  e  sagro 
»  pensiero  della  maternità.  Ella  è  regno  dell'uomo,  a  quel 
»  modo    che  l'aria  è   imperio  di  Dio;  ricevelo   nascente  , 
n  nutrelo  infante ,  né  v'  ha  giorno  in  cui  cessi  di  tutelarlo 
»  e   sorreggerlo  ,   sino   al  dì  nel    qual    dischiudendogli   il 
»  grembo  ,   quando   tutta   natura  ripudialo  ,  madre  allora 


545 

»  più  che  dianzi  covre  e  fa  sacre  le  mortali  sue  spoglie  r 
»  né  basta  ,•  anco  morto  ella  ne  conserva  gli  avelli  ,  e  le 
»  sculte  memorie  ,  e  fa  durare  il  di  lui  nome  oltre  i  rl- 
»  stretti  confini  della  vita.  Ultima  divinità  dalla  nostra  col- 
»  lera  invocata  ,  la  invochiamo  greve  alle  reliquie  dei  ne- 
»  mici ,  dimentichi  che  ella  non  isdegnasi  mai  contro  il 
»  uomo.  L' acque  si  elevano  a  cadere  in  temporalesche 
»  pioggle,  s'indiu'ano  in  grandine  ,  gonfiansi  in  marosi  , 
»  precipitansi  in  torrenti  ;  l'aria  si  condensa  in  nugoli ,  e 
»  si  scatena  in  procelle,  ma  là  terra  è  benefica,  mite,  in- 
»  dulgente ,  premurosa  mai  sempre  di  giovare  ai  mortali. 
»  Quai  tributi  noi  non  gli  strappiamo  !  quai  doni  non  ci 
»  offre  spontanea  !  quai  colori ,  cpiai  sapori ,  quai  delizie 
»  del  tatto  e  dell'odorato  !  Quant'è  fida  a  restituire  molti- 
»  plicato  il  fidatole  deposito  !  Quanti  esseri  nutrica  per  noi  ; 
»  se  alimenta  animali  velenosi ,  l'aria  che  loro  dà  vita  ac- 
»  cagioniamone.  Costretto  a  riceverne  il  germe  ,  ad  ali- 
»  mentarlo  sbucciato,  la  terra  seppe  diffondere  ad  antidoto 
»  le  salutifere  erbe ,  madre  di  benefizi  all'  uomo  infatica- 
))  bile  ,  gli  stessi  veleni  forse  sono  un  presente  della  sua 
»  bontà..  ..  (Lib.  I.).  » 

Benché  l'abbondanza  ciceroniana  avesse  cessato  di  pia- 
cere ,  e  Seneca  avesse  posto  in  onore  una  nuova  maniera 
di  stile  ,  chi  mai  caldo  ammiratore  di  M.  Tullio ,  più  di 
Plinio?  —  «  Potrei  io  senza  delitto  tacere  il  tuo  nome  o 
Cicerone  ?  Cosa  celebrerò  io  in  te ,  siccome  titolo  distin- 
tivo della  tua  gloria  ?  Basti  ricordare  il  lusinghiero  omaggio 
che  un  popolo  intiero,  un  popolo  quai  era  il  Romano  , 
tributò  al  tuo  genio  sublime  ;  e  scegliere  ne'  fasti  d'  una 
vita  sì  bella  le  azioni  sole  che  segnalarono  il  tuo  conso- 
lato. Parli  ?  e  le  tribù  rinunziano  alla  legge  agraria  che  pur 
assicuravate  dai  più  imperiosi  bisogni  della  vita.  Consigli? 
esse  perdonano  a  Roscio  autore  della  legge  che  prescrivendo 
seggi  distinti  nell'anfiteatro,  e  nel  cii-co,  introducea  distin- 


546 

zioni  ingiuriose  alla  moltitudine  :  invochi  la  giustizia  ed  il 
diritto  ?  I  figli  de'  proscritti  condannansi  volontarii  a  non 
potere  aspirare  alle  magistrature  !  Catilina  colpito  dalle  tue 
ifolgori  fugge  ;  Marc' Antonio  è  proscritto  :  abbiti  il  mio  omag- 
gio ,  o  tu  che  primo  fosti  acclamato  padre  della  patria  ! 
o  tu  che  meritasti  di  trionfare  senza  avere  deposta  la  toga, 
e  conseguisti  gli  allori  della  vittoria  colle  sole  armi  della 
parola  !  o  tu  della  eloqoenza ,  e  delle  latine  lettere,  padre  ! 
o  tu  finalmente  che  per  adoperare  le  parole  di  Cesare 
conseguisti  il  migliore  de'  trionfi;  conciossiachè  è  più  glo- 
ria avere  ampliato  a  Romani  i  confini  del  genio  che  quelli 
dell'impero  !.  .  . .  » 

Plinio  come  tutti  i  grandi  scrittori  ebbesi  uno  stile  suo 
proprio ,  e  senza  calcare  l'orme  de'  novatori  si  discostò 
dagli  antichi  esempi.  Una  lingua  intermedia  tra  quella  del 
secolo  d'oro  ed  il  seguente  ,  pare  nata  e  creata  sotto  quel 
suo  stilo,  che  rapido  segna  sulle  cerate  tavolette  annota- 
zioni e  memorie  :  dizioni  espressive  aggruppanvisi ,  dan- 
novisi  reciprocamente  risalto  ;  procede  ,  conciso,  robusto , 
d'elissi  in  elissi  ;  vibrati  sonvi  i  vocaboli ,  plastica  ,  per  così 
dire ,  la  frase.  Eppure  chi  se  lo  penserebbe  ?  in  pagine  si 
animate  manca  il  sentimento ,  manca  il  cuore.  Plinio  tiene 
in  basso  conto  1'  uomo  ,  la  vita ,  le  magistrature  elevate  , 
le  idee  dell'universalità  ,  dell'infinito ,  le  generalità  in  una 
parola  che  scaturiscono  dall'assidua  contemplazione  della 
natura  hanno  favorito  in  lui  lo  sviluppo  di  una  tendenza 
ingenita  alla  misantropia ,  al  sarcasmo ,  e  si  fa  egli  bandi- 
tore (  sul  principiare  del  lib.  II  )  d'uno  scoraggiante  pan- 
teismo scaturigine  anch'esso  d'apatica  tristezza  ;  a  malgrado 
della  qual  tinta  d'ateismo  (  che  dichiarar  Dio  tutte  cose , 
è  non  riconoscerlo  in  ninna  )  Plinio ,  amatore  sincero  della 
virtù ,  maledice  con  generoso  sdegno  la  crudeltà ,  la  bas- 
sezza ed  il  lusso,  triplice  scoglio  contro  cui  pressente,  che 
s'infrangeranno  in  breve  la  civiltà ,  l'onnipotenza  Romana — 

Tullio  Dandolo. 


547 

KOTBSIE 

SOPRA   ALCUNE    MONETE   BATTUTE    IN    PIEMONTE 

BAI   CONTI  DI   PROVENZA 

coll'  ihdicazionb  di  cka  sbrie  di   doccmekti    dei   secoii    XIII  e  XIV 

ATTEKCNTI     LI     DOMIKII   DEGLI   STESSI    COSTI    IN     QUELLA.   COhTKADA. 


Durante  il  regno  dei  Longobardi  il  Piemonte,  per 
quanto  pare,  non  era  diviso  che  in  due  sole  province, 
quella  d^Asti,  cioè,  e  quella  di  Torino,  governate  con 
grandi  poteri  ciascuna  da  un  duca  sottoposto  alla  regia 
autorità. 

Il  regno  dei  Longobardi  fu  barbaro  ed  aspro  nei  suoi 
principii  ;  ma  quando ,  per  le  intestine  discordie  ,  per 
difetto  di  buoni  ordini  di  governo,  per  l'invidia  ed  am- 
bizione altrui ,  venne  ad  estinguersi ,  altro  più  non  rite- 
neva veramente  di  barbaro  che  il  nome;  ed  all'Italia, 
riunita  in  una  sola  nazione,  prometteva  un  vicino  risor- 
gimento, un  avvenire  nuovamente  glorioso. 

Al  suo  cadere ,  variata  per  opera  dei  Franchi  ogni  ci-, 
vile  instituzione ,  introdotti  ovvero  moltiplicati  i  feudi, 
divenute  a  poco  a  poco  ereditarie  le  dignità,  il  Piemonte, 
come  il  rimanente  di  questa  bella  nostra  penisola,  ri- 
tornato barbaro  un'altra  volta ,  si  trovò  diviso  in  un 
numero  grandissimo  di  piccole  signorie  governate  da  ve- 
scovi ,  marchesi ,  conti ,  abati  ecc.  Ogni  vetta  vedevasi 
allora  coronata  da  una  torre,  ogni  villaggio  signoreggiato. 


S48 

assai  più  che  protetto  ,  da  una  rocca.  Non  vi  era  più 
chi  fosse  bastante  a  resìstere  ai  Saraceni,  ì  quali,  stabi- 
liti sulle  coste  del  mar  ligustico,  scorrevano  liberamente 
per  tutto ,  derubando ,  distruggendo  ogni  cosa.  I  popoli 
inermi,  sbigottiti  cercavano  rifugio  tra  i  monti  ^  ed  in- 
tanto le  città  rese  deserte  cadevano  in  ruina. 

Se  una  condizione  di  cose  tanto  funesta  non  fu  di 
lunga  durata  ne  siamo  debitori  al  braccio  potente,  alle 
leggi  piene  di  saviezza  del  grande  Ottone,  il  quale,  ri- 
stabilita fra  noi  l'autorità  imperiale,  cacciati  i  Saraceni , 
umiliati  e  ridotti  al  dovere  i  piccoli  tiranni,  proteggendo 
il  reggimento  municipale,  favorì  mirabilmente  la  libertà 
dei  comuni,  e  la  restaurazione  dltalia.  Ma  gl'Italiani, 
già  divenuti  poco  meno  che  stranieri  gli  uni  agli  altri , 
sempre  fra  loro  discordi,  rimasero  divisi  per  non  riu- 
nirsi forse  mai  più. 

In  queste  nostre  contrade  ,  sul  cominciare  del  duode- 
cimo secolo,  il  numero  dei  minori  stati ,  dei  piccoli  si- 
gnori era  già  assai  diminuito.  Il  Monferrato  non  rico- 
nosceva ormai  più  altro  sovrano  che  i  marchesi  discen- 
denti da  Aleramo.  Nelle  Langhe,  ed  in  qualche  contrada 
situata  ai  piedi  delle  Alpi  Cozie,  dominava  il  solo  mar- 
chese Bonifazio  figlio  di  Tete.  In  alcune  principali  città 
prevaleva  bensì  ancora  l'autorità  dei  vescovi ,  ma  tem- 
perata non  poco  da  quella  dei  consoli ,  o  di  altri  magi- 
strati municipali.  I  conti  della  Moriana ,  divenuti  per 
diritto  di  successione  signori  del  marchesato  di  Susa,  ap- 
pena allora  cominciavano  a  varcare  i  confini  che  aveva 
al  di  qua  delle  Alpi  quell'antica  marca  del  regno  di 
Borgogna. 

Nell'alto  Piemonte,  cioè  nelle  ubertose  province  poste 
verso  mezzogiorno  fra  il  Tanaro  e  le  Alpi  Cozie  ,  nel 
corso  del  decimo  secolo,  rese  quasi  deserte,  per  le  con- 
tinue mal  contrastate   scorrerie    dei  Saraceni  ,  le  genti. 


549 

che  fuggendo  avevano  cercato  salvezza  fra  i  |monli,  ab- 
bandonati colà  nelle  proprie  rocche  i  loro  signori ,  scen- 
devano a  rialzare  le  antiche  città,  a  fabbricarne  delle 
nuove. 

Fu  allora  ,  cioè  nel  corso  del  medesimo  secolo  duo- 
decimo ,  che  si  videro  sorgere  e  crescere  rapidamente 
le  città  di  Cuneo  ,  Mondovi,  Fossano  ,  Savigliano  ^  Bene, 
Cherasco  ecc.,  le  quali,  non  volendo  riconoscere  altra 
sovranità  che  quella  dell'impero,  prendevano  a  reggersi 
colle  proprie  leggi  a  guisa  di  liberi  comuni.  Ma  troppo 
deboli  ancora  ,  benché  spesso  collegate  fra  loro  sotto  il 
vesillo  di  parte  guelfa ,  onde  opporsi  efficacemente  alle 
pretese  degli  antichi  baroni ,  all'oro  degli  Astigiani ,  alla 
cupidigia  degli  altri  ghibellini  ,  dovettero  rivolgersi  agli 
stranieri  onde  averne  protezione   e  soccorso. 

Ne  questi  potevano  essere  altri  che  i  conti  della  Pro- 
venza ,  i  quali  non  solamente  toccavano  i  loro  confini 
come  padroni  della  contea  di  Nizza,  ma  investiti,  come 
scrive  taluno,  delle  due  valli  del  Gesso  e  della  Stura, 
già  tenevano  un  piede  in  Piemonte,  nelle  stesse  loro 
contrade. 

Era  salita  in  grande  altezza ,  a  que'  giorni ,  la  potenza 
dei  Provenzali ,  poiché  Carlo  I  di  Francia  alle  contee 
di  Provenza  e  di  Forcalchieri ,  che  gli  recava  in  dote 
Beatrice,  figlia  ed  erede  dell'  ultimo  conte  della  prima 
dinastia  ,  Raimondo  Berengario  IV ,  riuniva  gli  aviti  do- 
minii  dell'Anjou  e  del  Maine. 

Il  comune  di  Cuneo  fu  il  primo  a  ricorrere  a  Carlo, 
ad  aprirgli  le  sue  porte  nel  125^  ;  e  ben  presto  dovet- 
tero fare  lo  stesso  anche  Alba,  Savigliano,  Mondovi, 
Fossano,  Cherasco,  Demonte,  Busca,  Cen tallo  ed  altre 
terre  ancora.  Ma,  come  suol  sempre  intervenire  quando 
il  debole  s'accosta  al  potente,  non  andò  guari  che  la 
protezione  si  rivolse  in  signoria.    Cuneo  il  primo  dovette 


550 

venire  a  patti  con  Carlo,  e  giurargli  fedeltà  nel  1369; 
ed  al  suo  esempio  dovettero  gli  uni  dopo  gli  altri  uni- 
formarsi anche  gli  altri  comuni  anzidetti.  Così  ebbe 
principio  la  sovranità  degli  Angioini  conti  di  Provenza  in 
Piemonte;  la  quale  vi  si  mantenne  con  varie  vicende  per 
più  d'un  secolo,  cioè  fino  al  13^3,  od  in  quel  torno. 

Quando  l'ambizioso  Carlo  I  passò  ad  occupare  il  trono 
delle  due  Sicilie,  il  governo  del  Piemonte  venne  affidato 
ad  uno  dei  primi  uffiziali  della  corte,  al  Siniscalco  di 
Provenza  ,  il  quale  in  Cuneo  stesso  aveva  per  solito  sua 
stanza.  Carlo  intanto  dava  a  questi  suoi  nuovi  dominii 
il  titolo  di  contea.  Né  di  ciò  contento  il  buon  Carlo  II, 
suo  successore,  non  solamente  volle  che  questo  titolo 
apparisse  sui  propri  diplomi,  e  nelle  publiche  scritture, 
ma  che,  per  maggior  solennità,  si  stampasse  ancóra  sulle 
monete. 

A  questo  fine  ordinò,  nel  iSo^,  che  si  aprisse  una 
sua  zecca  in  Piemonte  ,  nella  città  di  Cuneo  ,  per  quanto 
pare  ,  perchè  quivi  era  il  regio  palazzo ,  quivi  dimorava  , 
come  si  è  detto,  il  luogotenente  del  sovrano,  quivi  in 
somma  la  signoria  degli  Angioini  su  queste  contrade  aveva 
avuti  i  suoi  principii  ;  e  quivi  ancora  poteva  quel  prin- 
cipe far  uso  a  buon  diritto  di  quella  sua  prerogativa, 
perchè  non  v'era  a  que'  dì  chi  fosse  di  lui  più  potente 
in  Piemonte. 

Nessuno  finora,  per  quanto  mi  è  noto,  ha  fatto  men- 
zione di  quella  zecca.  Che  sia  stata  però  è  chiaramente 
dimostrato  e  per  1' atto  publico  in  virtù  del  quale  ebbe 
quella  principio,  e  per  le  monete  stesse  che  in  essa  fu- 
rono coniate. 

Io  ho  veduto  quest'atto  o  publica  scrittura  in  una  per- 
gamena originale  ed  autentica,  la  quale,  colla  data  del 
3i  di  marzo  iSo^,  si  conserva  nell'archivio  che  fu  già 
dei  conti  di  Provenza,  il  quale,  dopo  esser  rimasto  per 


551 

vari  secoli  in  Aix ,  presso  quella  R.  Camera  de' conti,  fa 
parte  ora  dell'archivio  generale  del  dipartimento  delle 
Bocche  del  Rodano  in  Marsiglia.  Essendomi  quivi  stato 
permesso  di  trarne  copia,  senza  troppo  dilungarmi  a 
darlo  per  intiero  ,  ne  produrrò  solo  quel  tanto  che  potrà 
maggiormente  dar  luce  al  mio  argomento.  Eccolo. 

«  -^  In  nomine  Domini  Amen.  Infrascripta  pacta  et 
»  conventiones  habita  ethabite,  tractata  et  tractate,  fir- 
»  mata  et  firmate  sunt  inler  egregium  virum  dominum 
I)  Raynaldura  de  Lecto ,  militem  regium ,  magistrum 
»  ostiarum,  ac  Pedemontis  Senescallum,  vice  et  nomine 
))  serenissimi  domini  domini  Karoli  secundi  Dei  gratia 
»  illustris  Jerusalem  et  Sicilie  regis  ,  ex  una  parte,  et 
»)  Thomam  Ribam,  Ardicionem  Merllum  de  Cuneo  ,  et 
»  Reccardinum  de  Summarìpa,  eorura  propriis  nomini- 
»  bus ,  et  vice  et  nomine  sociorura  suorum  ad  infra- 
»  scripta  facienda  ,  et  ad  efFectum  ducenda,  ex  alia.  In 
))  primis  enim  ,  actum  inter  dictas  partes,  et  pacto  ex- 
»  presso  extitit  stabilitum  quod  predicti  Thomas ,  Ar- 
»  dicio  et  Recardinus ,  eorum  propriis  ,  et  quibus  supra 
»  nominibus ,  faciant  et  operentur,  et  facere  teneantur 
»  seu  fieri  facere  monetara  unam  grossam  de  argento , 
»  que  sit  et  esse  debeat  boni,  puri  et  legalis  argenti, 
»  et  insti  ponderis  et  iuste  ac  bone  legalitatis  seu  lie; 
»  et  eque  boni  et  insti  ponderis  et  legalitatis  seu  lie, 
j)  sicut  est  illa  moneta  grossa  dive  memorie  domini 
»  Lodoyci  regis  Francorum  ;  que  moneta  valeat,  et  va- 
»  lere  debeat  solidos  duos  et  dimidium  astenses.  Ita 
»  videlicet  sicut  valet  predicta  moneta  que  fieri  fecit 
»  predictus  dive  memorie  dominus  Lodoycus  rex.  Et 
»  quod  faciant  et  operentur,  seu  facere  fieri  teneantur 
n  unam  aliam  monetam  que  valeat  et  valere  debeat,  ad 
))  cursum  diete  monete  grosse,  denarios  sex  astenses  mi- 
))  nutos  j  ita    videlicet    sicut   valebit  ad    cursum    suum 


552 

»  predicta  moneta  grossa  solidos  duos  et  denarios  sex 
»  astenses,  que  moneta  sit  et  esse  debeat  in  suo  esse 
n  eque  bone  legalitatìs  seu  lie ,  sicut  est  seu  erit  pre- 
»  dieta  moneta  grossa  prò  predicto  suo  pretio  in  suo 
»  esse.  Diminuto  tamen  et  extracto  de  predicta  moneta 
»  minori  eo  quod  pluris  constaret  in  ea  facienda  et 
»  operanda  quam  predicta  moneta  grossa. 

»  Et  quod  faciant  et  operentur,  et  facere  fiant,  vel 
»  operar!  teneanturquamdam  aliam  monetam  minutam, 
»  cuius  monete  minute  viginti  valeant  unum  denarium 
»  grossum  de  illa  moneta  grossa  superius  nominata.  Ita 
»  videlicet  in  suo  esse  et  insta  legalitate  seu  lie  sicut 
»  est ,  seu  valet  in  suo  esse  predicta  moneta  grossa.  Di- 
»  minuto  tamen  et  extracto  de  dieta  moneta  minuta  eo 
»  quod  pluris  constaret,  seu  constabit  ipsa  moneta  mi- 
»  nuta  quam  predicta  moneta   grossa. 

»  Item  actum  inter  predictas  partes,  et  pacto  expresso 
»  firmatum  extitit  quod  predicti  Thomas ,  Arditio  et 
»  Reccardinus,  eorum  et  quibus  supra  nominibus,  non 
»  possint,  nec  debeant  ullo  modo  de  predicta  moneta, 
»  sive  de  predictis  monetis  aliquid  expendere ,  vel  alio 
»  modo  ad  aliquem  locum  transferre  aliquam  decam  , 
»  nisi  prius  dieta  moneta,  seu  diete  monete  cognita  sive 
»  cognite  fuerint,  et  approbata  et  approbate  per  custo- 
»  dem  seu  cognitorem  vel  approbatorem  supra  dictam 
))  monetam ,  ad  hoc  per  dictwm  dominum  seu  specia- 
»  liter  vel  generaliter  ordinatum ,  vel  per  alium  loco 
»  predicti  cognitoris  ad  predicta  specialiter  constitutum 
»  vel  substitutum. 

Segue  V enumerazione  degli  obblighi,  pesi  e  condizioni 
che,  a  qué' tempi  j  in  somiglianti  locazioni  era  uso  di 
imporre  ai  conduttori  delle  zecche.  Di  poi  il  contratto 
così  finisce  : 

»  Actum  Cunei  in  domo  domini  Johannis  Rodulfi  in- 


555 

))  risperiti,  anno  domini  millesimo  trecentesimo  septimo, 
})  die  ultimo  martii,  quinte  indictionis.  Regnante  sere- 
»  nissimo  principe  domino  Karolo  secundo  Dei  gratia 
»  illustri  Jerusalera  et  Sicilie  rege,  Provincie ,  Forcal- 
»  cherii  ac  Pedemontis  comite.  Regnorum  eius  anno  vi- 
»  gesirao  tertio.  Feliciter.  Amen. 

»  In  presentia  et  testimonio  domini  Gabrielis  Salvaf^ii 
»  de  Janua  vicarii,  domini  UfFredutii  de  Perusio  iudicis 
»  et  magistri  Frami.  Ruffi  clavarii  Cunei  ^  domini  Jolian- 
»  nis  Rodulfi  predicti,  notarii  Malhei  Priori  de  Vinli- 
»  milio ,  et  domini  Rostagni  de  Majrono  regio  Pede- 
»  montis  procuratore,  testium  ad  hoc  specialiler  voca- 
))  torum  et  rogatorum. 

)►  Et  ego  Nicolaus  de  Rocca  Cnsalis  puhilcus  aucto- 
))  ritate  regia  comitatus  Pedemontis  nolarius  hoc  instru- 
»  mentum  iussus  et  requisitus  scripsi ,  puhlicavi  et  meo 
»  signo  signavi. 

Ora,  come  è  chiaro,  in  vigore  dell'esposta  convenzione, 
gli  appaltatori  di  quella  zecca,  la  quale,  senza  duhhio, 
doveva  essere  in  Cuneo  ,  erano  tenuti  a  fabbricare  due 
maniere  di  moneta;  una  grossa,  che  è  quanto  dire  di 
fine  argento,  conforme  a  quella  che  era  già  stata  battuta 
in  Francia  dal  re  san  Lodovico,  restauratore  della  mo- 
neta in  quel  regno;  l'altra   di  bassa  lega. 

Oltre  a  ciò  quella  moneta  grossa  doveva  essere  di 
due  qualità.  Una  di  tanto  peso  che  ciascun  suo  denaro 
pareggiasse  il  valore  corrente  di  due  soldi  e  mezzo  di 
denari  minuti  astigiani.  L'altra,  di  peso  e  bontà  assai 
minore ,  non  dovea  valere  che  una  quinta  parte  del 
denaro  grosso  suddetto  ,  cioè  non  più  di  sei  denari 
minuti  della  stessa    zecca  di  Asti. 

La  lira  ed  il  soldo  erano  in  que'  tempi  monete  pura- 
mente ideali  ,  ossia  di  conto;  le  sole  monete  reali  che 
erano  in  corso  in   questi   paesi  erano  i  fiorini  d'oro,  ed 

34 


554 

il  denaro  d'argento  con  tutte  le  sue  frazioni  di  vario  peso 
e  di  varia  lega  ,  distinto  esso  denaro  con  cento  nomi 
diversi  secondo  le  varie  province.  L'elemento  priqnodi  ogni 
somma,  e  di  ogni  conteggio  era  il  denaro  piccolo  ossia 
minuto  ,  quindi  frequentissime  s' incontrano  nelle  scrit- 
ture di  que'  giorni  le  partite  di  lire  di  piccioli ,  di  soldi 
di  piccioli  ecc. 

La  moneta  minuta  poi,  che  que*  conduttori  dovevano 
battere,  dovea  essere  fatta  di  peso  così  tenue,  di  lega  così 
bassa,  che  il  suo  valore  dovea  stare  al  valore  del  denaro 
grosso  nella  proporzione  di  uno  a  venti.  Proporzione  che, 
due  secoli  dopo  ,  quando ,  mutato  universalmente  il  si- 
stema monetale,  al  fiorino  di  conto,  ed  al  denaro  fu 
sostituita  la  lira,  continuò  a  sussistere  fra  la  lira  medesima 
ed  il  soldo ,  come  sussiste  anch'oggi  in  moltissimi  luoghi. 

In  tal  guisa ,  .con  ottimo  consiglio ,  si  veniva  a  pre- 
scrivere che  la  moneta  da  fabbricarsi  non  fosse  inferiore 
nella  bontà  del  suo  titolo  a  quella  che  era,  a  que'  dì, 
in  maggiore  estimazione  ,  cioè  al  grosso  tornese  del  re 
san  Lodovico;  e  che  in  quanto  al  suo  valore  non  do- 
vesse discostarsi  da  quello  della  moneta  ,  che  era  allora 
e  più  frequente,  e  più  ricercata  nel  rimanente  del  Pie- 
monte ,  cioè  l'Astigiana. 

L'intelligenza  di  tutti  questi  particolari ,  nella  maniera 
in  cui  per  solito  sono  esposti  nelle  pergamene  di  quei 
secoli,  non  è  veramente  senza  qualche  difficoltà  per  chi 
jion  ha  fatti  molti  studi;,  ed  accurate  ricerche  intorno 
al  valsente  della  pecunia,  e  delle  altre  cose  in  quella  età. 
Io  potrei  forse  gettare  qualche  luce  su  questo  spinoso 
argomento,  ma  noi  consente  la  brevità  di  questo  scritto. 

Dirò  solo  che,  per  un  documento  del  iSaS  publi- 
pato  dai  eh.  Muletti  nella  loro  Storia  diplomatica  del 
^Marchesato  di  Saluzzo  ,  II  i4o,  si  viene  a  sapere  come 
Ja   lira   degli   Astigiani ,  corrente  in  Piemonte  in  quegli 


555 

anni  ,  si  pareggiava  nel  valore  all'ottava  parte  di  unn 
marca  di  otto  once  di  fine  argento  ;  che  è  quanto  dire 
alla  quantità  delTargento  contenuto  in  una  moderna  pia- 
stra di  Spagna  dalle  colonne,  od  a  poco  meno. 

Quindi  due  soldi  e  mezzo  di  piccioli  astigiani,  ottava 
parte  della  lira  ,  dovevano  corrispondere  all'ottava  parte 
della  piastra  suddetta  ,  cioè  a  cinquantadue  grani  circi 
di  fine  argento.  E  sarà  questo  appunto  il  valore  del  lot 
equivalente ,  cioè  il  denaro  grosso  che  dovea  battersi 
nella  nuova  officina  dei  conti  di  Provenza  in  Cuneo. 
Valore  a  que'  tempi  assai  più  elevato  nel  comune  com- 
mercio che  non  è  di  presente  ,  perchè  allora  il  pregio 
in  cui  erano  tenuti  i  metalli  nobili  a  fronte  del  valore 
della  fatica  dell'  uomo  ,  e  delle  cose  più  necessarie  alla 
sua  esistenza  ,    era  assai  maggiore  che   non  fu  poi  nelle 


età  susseguenti. 


I  patti  consentiti  nel  mentovato  istruraento,  dell'ulti- 
mo di  marzo  i3o7,  ebbero  senza  fallo  il  loro  effetto,  pe- 
rocché rimangono  tuttora  monete  d'argento  del  peso  ap- 
punto ,  e  della  bontà  prescritta  in  quella  convenzione , 
sulle  quali  il  re  Carlo  II,  non  mostrandosi  fregiato  di 
altro  titolo  se  non  di  quello  di  conte  del  Piemonte,  è 
da  credere  che  in  questi  suoi  dominii  subalpini,  e 
non  altrove ,  sieno  state  quelle  fabbricate  ;  né  diver- 
samente egli  soleva  adoperare  nelle  altre  sue  zecche. 
Di  fatto  sulle  monete  battute  da  lui  in  Provenza ,  tra- 
lasciate tutte  le  altre  sue  qualificazioni  d'onore,  non 
volle  essere  distinto  se  non  con  quella  di  conte  di  quella 
contrada  :  COMES  PROVINCIE.  Parimente  su  quelle  che  in 
suo  nome  si  stampavano  allora  nel  regno  delle  due 
Sicilie ,  sulle  quali ,  ommesse  le  altre  sue  minori  di- 
gnità, fu  contento  della  regale:  JERUSALEM. ET. SICILIE.  REX. 
Dopo  di  ciò  potremo  noi  dubitare  che  non  apparten- 
gano al  solo  Piemonte  quelle  sulle  quali  è  detto  sola- 
mente :  COMES  PEDEMONTIS  ? 


556 

Le  mentovate  monete  non  sono  veramente  del  peso 
che,  come  si  è  notato,  dovea  avere  il  denaro  grosso 
che  era  da  stamparsi  in  Cuneo  :  ma  pesano  precisa- 
mente quanto  la  sua  metà.  Convien  dire  perciò  che,  per 
quanto  non  se  ne  faccia  parola  nella  divisata  scrittura 
di  locazione,  sia  stato  conlato  in  quella  officina  non  il 
solo  denaro  grosso,  ma,  forse  in  maggior  copia,  anche 
il  mezzo  denaro,  come  si  praticava  appunto  nelle  altre 
zecche  degli  Angioini. 

Altri  grossi  e  mezzi  grossi  dello  stesso  peso ,  e  presso 
a  poco  della  medesima  bontà  si  coniavano  pure  a  que' 
giorni  in  Asti  colla  leggenda  :  Conradus  II  rex  )  (  Asten- 
sisj  altri  ne  furono  battuti  poco  dopo  in  Torino,  im- 
prontati del  nome  del  loro  autore:  Philippus  Princeps  )( 
de  Sabaudia;  ed  altri  finalmente  se  ne  fabbricavano 
nelle  diverse  zecche  de' conti  di  Savoia,  tanto  di  qua 
come  di  là  delle  Alpi  ;  tutti  fatti  in  conformità  dei  grossi 
tornesi  di  Francia.  Così  il  Piemonte ,  sul  cominciare  del 
secolo  decimoquarto,  godeva  già  dell'insigne  vantaggio 
di  avere  una  moneta  uniforme  ed  eccellente;  la  quale 
non  sarebbe  certamente  venuta  meno  così  tosto,  se  nei 
due  secoli  susseguenti,  quivi,  come  per  tutto  altrove, 
ogni  libero  comune,  ogni  piccolo  barone,  ogni  prelato 
non  avesse  voluto  avere  una  propria  zecca,  dove  le  buone 
monete  altrui  si  contraifacevano ,  si  adulteravano  impu- 
nemente. 

Io  posseggo  due  di  que' mezzi  grossi  battuti  in  Cuneo 
simili  fra  loro.  Non  sono  però  frequenti  anche  fra  di 
noi  tali  monete  ,  come  generalmente  non  Io  sono  tutte 
quelle  di  buona  lega  che  verso  quel  tempo  furono  bat- 
tute nei  diversi  stati  o  città  del  Piemonte,  quelle  sole 
d'Asti  eccettuate.  Ne  di  ciò  è  da  far  meraviglia ,  per- 
chè, siccome  quelle  che  erano  di  finissimo  argento ,  non 
conosciute  peranco ,  non  curate,  non  ricercate,  tutte 
rru.'ic»  '1'^''""ttero  nassarc  nel   crof^iuolo. 


557 

Per  tutto  altrove  poi  sono  rarissime  ;  nel  lungo  corso 
del  viver  mio ,  e  nelle  mie  frequenti  peregrinazioni  non 
più  che  cinque  soli  esemplari  di  quelle  monete  mi  è  ve- 
nuto fatto  di  vedere,  e  questi  pure  erano  metà  del  de- 
naro, nulla  o  ben  poco  differenti  1'  uno  dall'  altro,  E 
vuoisi  notare    che  tutte   le  ho  vedute  in  Italia. 

In  Francia  somiglianti  monete  sono  finora  intieramente 
sconosciute.  Nessuno  di  que'  scrittori  ne  ha  fatta  men- 
zione j  ed  io  stesso  le  ho  cercate  invano  nei  primari 
musei  di  Parigi,  di  Lione  e  della  Provenza.  Nuovo  ar- 
gomento per  dover  credere  che  non  sono  opera  di  quelle 
officine. 

Tengo  presso  di  me  l'impronta  di  quelle  che  ho  os- 
servate, e  le  puhlicherò  quando  che  sia  con  altre  che 
già  tengo  in  pronto  attenenti  pure  al  Piemonte  :  ecco  in- 
tanto la  descrizione  di  quella  fra  quelle  tre  cIir  era  la  me- 
glio conservata.  =  Mezzo  denaro  grosso  gigliato  d' ar- 
gento, alla  bontà  di  denari  undici  e  mezzo  circa  j  del  peso 
di  grani  torinesi ,  o  vogliam  dire  parigini  del  marco, 
ventuno,  ma,  essendo  la  moneta  non  del  tutto  ben  con- 
servata ,  ne  dovea  forse  pesare  da  ventitre  o  ventiquat- 
tro, quando  tutta  nuova  usciva  di  zecca.  Sulla  sua  faccia 
diritta  ,  nel  campo,  è  una  croce  semplice  senza  orna- 
menti, intorno  alla  quale  sta  scritto:  4*  K.AROLUS. SCL. rex. 
Sulla  parte  rovescia  poi  il  campo  è  occupato  dallo  stem- 
ma dei  duchi  d'Anjou  portante  tre  gigli  d'oro  in  campo 
azzurro,  sotto  un  lambello  a  tre  pendenti,  colla  leggenda 
attorno:  4*  COMES  PEDMONTIS ^  scritta  in  caratteri  detti 
semigotici  propri  appunto  di  quella  età. 

Se  poi ,  dopo  la  morte  di  Carlo  II,  nel  iSoq,  regnando 
Roberto  suo  figlio  e  successore,  la  nuova  zecca  dei  conti 
di  Provenza  in  Piemonte  abbia  continuato  a  lavorare, 
non  ne  siamo  finora  fatti  sicuri  per  alcuna  moneta  o 
documento.  Non  pare  però  che  se  ne  possa  dubitare  ;  in 


558 
primo  luogo  perchè,  essendo  stata  quella  officina  aflìdata 
a  Tommaso  Riha  e  compagni  nel  1807  ,  la  locazione  non 
poteva  ancora  essere  giunta  al  suo  termine  due  anni  dopo, 
quando  cessava  di  vivere  il  suo  fondatore.  Abbiamo  in 
secondo  luogo  una  moneta  dello  stesso  re  Roberto  sulla 
quale  egli  pure,  ad  imitazione  del  padre,  tralasciati  gli 
altri  suoi  titoli  consueti  di  Provenza  e  di  Forcalchieri , 
assume  quello  soltanto  di  conte  del  Piemonte. 

Il  primo  a  dare  un  cenno  di  questa  moneta  è  stato 
il  Bouche  nella  sua  Storia  cronologica  della  Provenza, 
II.  357.  La  diede  poi  in  disegno  il  sig.  Fauris  de  Saint 
Vincent  3  e  nuovamente  dopo  di  lui  il  Duby  nei  sup- 
plimenti  all'insigne  sua  opera  sulle  monete  dei  baroni  di 
Francia,  II.  2  11.  Eccola  quale  si  vede  da  lui  rappresen- 
tata. Sulla  parte  diritta,  nell'area,  il  re,  sedente  sopra 
un  trono  retto  da  due  leoni ,  stringe  nella  destra  uno 
scettro  gigliato,  ed  ha  nella  sinistra  il  globo  crucigero, 
intorno  si  legge  :  >fy  ROBERTUS.  JERUSALEM.  ET.  SICILIE.  REX. 
Sul  rovescio  è  nel  campo  una  croce  fiorita  (fleuronnèe), 
accostata  negli  angoli  da  quattro  fiordalisi  ,  non  diversa 
da  quella  che  si  vede  nella  maggior  parte  delle  monete 
battute  da  quel  principe j  ed  intorno  si  legge:  *j*  COMES 
PEDEMOKTIS. 

Pare  che  il  Duby  abbia  avuta  la  moneta  stessa  nelle 
mani,  perocché  dopo  averla  descritta  soggiunge:  cette 
pièce  est  un  demi  Ijs ,  cioè  un  carlino  gigliato  d'argento 
di  Napoli ,  yà^Ti^wee  pour  le  Piémont  en  i33o^  du 
poids  de  vingt  grains _,  et  au  tnénie  iitre  que  les  carlins", 
vale  a  dire  alla  bontà  di  undici  denari ,  e  grani  quattro 
o  cinque  al  più. 

Ora  essendo  questa  la  sola  moneta  che  sia  stata  fi- 
nora conosciuta  in  Francia  _,  sulla  quale  si  veda  il  sag- 
gio re  Roberto  intitolarsi  conte  del  Piemonte,  non  può 
quella  essere  argomento  sufiiciente  per  dire  che  sia  stala 
coniata  piuttosto  colà  che  al  di  qua  delle  Alpi. 


559 

La  potenza  dei  Provenzali  in  Piemonte ,  la  quale , 
regnando  ancora  Roberto,  già  aveva  incominciato  a  de- 
clinare, precipitò,  e  si  spense  poi  intieramente  poco 
dopo  la  metà  di  quel  secolo ,  ai  tempi  della  regina  Gio- 
vanna sua  figlia.  Non  si  sono  vedute  finora  monete  di 
questa  principessa,  le  quali  si  possa  credere  essere  state 
coniate  in  queste  contrade  subalpine.  Di  troppi  altri  affari 
e  più  rilevanti  e  diversi  ebbe  ad  occuparsi  questa  infelice 
principessa,  durante  il  suo  regno  burrascoso  sempre  ed 
inquieto. 

Né  il  mentovato  contratto  del  1807  intorno  alla  mo= 
neta  è  il  solo  documento  spettante  al  Piemonte,  che  si 
sia  conservato  negli  archivi  degli  antichi  conti  della  Pro- 
venza. Altri  ben  molti  ve  n'  hanno ,  tutti  più  o  meno 
importanti  e  preziosi  per  la  storia,  tutti  degni  per  ogni 
rispetto  di  essere  conosciuti.  Tanta  luce  essi  tramandano 
sulla  condizione  politica,  e  sulle  vicende  di  questi  paesi, 
nei  due  secoli  decimoterzo  e  decìmoquarto  ^  che  è  me- 
ravìglia come,  essendo  già  stati  quegli  archivi,  dal  1761 
a  questa  parte,  per  ben  quattro  volte  visitati  da  uomini 
eruditi ,  cultori  delle  cose  patrie ,  non  vi  sia  mai  stato 
finora ,  non  dirò  chi  li  abbia  publicati ,  ma  chi  ne  ab- 
bia pur  dato  un  cenno  qualunque. 

Col  consenso,  e  coli' assistenza  del  eh.  sig.  P.  Ricard, 
dotto  e  cortesissimo  prefetto  dell'archivio  di  Marsiglia  , 
dove  quelle  carte  ora  si  custodiscono  ,  io  le  ho  poco  fa 
in  gran  parte  esaminate,  traendone  quelle  notizie  che 
potevano  coadiuvare  in  qualche  modo  ai  miei  studi  ge- 
niali. Mi  applicai  pure  a  stenderne  un  indice  ;  e  per 
giovare  in  qualche  modo  anche  ad  altri ,  come  appen- 
dice lo  unirò  a  questo  scritto  j  per  quanto  la  giunta  riu- 
scir possa  maggiore  della  derrata ,  colla  fiducia  che , 
quando  l' esistenza  ed  il  pregio  di  que'  documenti  ver- 
ranno ad  essere  conosciuti ,  non  mancherà ,  fra   questi 


560 

nostri  benemeriti  promotori  della  storia  patria ,  chi , 
avendo  agio,  mezzi  e  zelo  maggiore  che  io  non  ho, 
vorrà  accingersi  al  non  lieve,  non  facile  manuale  lavoro 
di  pigliarne  copia,  e  publicarli. 

Ne  tema  questi  di  dover  incappare  in  alcuna  di  quelle 
scritture,  le  quali,  immaginate  da  non  so  quale  falsa- 
rio ,  or  saranno  sessant'anni  ,  per  dar  sembianza  di  ve- 
rità alla  supposta  discendenza  aleramica  del  marchese 
Bonifazio  figlio  di  Tete  ,  furono  accolte  senza  esame,  e 
come  genuine  fatte  publiche  in  più  d"  un  libro  dai  no- 
stri scrittori ,  siccome  quelle  che  si  dicevano  ricavate 
dagli  originali  che  erano  negli  archivi  camerali  d'Aix  in 
Provenza. 

Ma  è  verità  che  carte  sì  fatte  non  sono,  e  non  sono 
state  mai  in  quegli  archivi.  Questa  cosa  io  asseriva  sem- 
plicemente, senza  addurne  prova,  in  un  ragionamunto 
che  ha  per  titolo:  Delfinstituzìone  delle  zecche  già  pos- 
sedute dal  marchesi  di  Saluzzo  in  Piemonte ,  stampato, 
ora  è  un  anno,  negli  atti  della  R.  Accademia  di  Lucca. 
Oggi  però  per  soddisfare  anche  a  coloro  cui  non  piacesse 
onorare  di  un'intiera  confidenza  quelle  mie  parole,  poi- 
ché l'occasione  mi  si  presenta  favorevole ,  comunicherò 
loro  e  le  domande  che,  per  accertarmi  di  un  tal  fatto, 
io  porgeva,  fin  dal  i834 ,  al  prelodato  archivista  sig. 
Ricard,  e  le  risposte  che  dalla  sua  gentilezza  io  ne  ot- 
teneva. Io  a  lui  domandava  se  fra  gli  antichi  docu- 
menti del  suo  archivio,  i  quali  facevano  parte  altre  volte 
dell'archivio  della  Regia  Camera  in  Aix ,  nell'  armadio 
Piemonte j  fosse:  i."  un  manuscritto  intitolato:  Acta 
capitularia   monasterii  Sancti  Dalmatii  de  Pedona. 

•2.P  Una  promessa  di  matrimonio  fra  il  marchese  Tete 
figlio  di  Anselmo  marchese  della  Liguria  e  Teodolinda 
sorella  del  re  d'Ungheria.  Actum  apud  Tlhiscum  anno 
Mxxji  ,  ind.  xiii ,  die  24  Jebruarj, 


561 

3."  Atto  della  fondazione  del  monastero  del  Wasto  in 
Liguria  fatta  dallo  stesso  marchese.  Dell'anno  mxxvii  , 
y  di  maggio. 

4.°  Istruraento  di  donazione  fatta  dal  medesimo  mar- 
chese Tete  ai  monaci  di  Monbasilio.  Actum  in  carni' 
nata  castri  Ceve,  anno  Dom.  incar.  mliXj  ind.  xii ,  die 
penultima  mensis  mady. 

Io  gli  chiedeva  finalmente  se  trovandosi  in  quell'ar- 
chivio i  mentovati  documenti  ,  presentassero  questi  i 
caratteri   di   una  originale  sincerità. 

Ed  ecco  le  stesse  parole  colle  quali  il  cortese  sig.  Ri- 
card  avea  la  compiacenza  di  soddisfare  alle  mie  in- 
chieste, il   dì  5  aprile  del  i834. 

Au  regu  de  votre  lettre  du  premier  de  ce  mois  j'ai 
recherché  dans  nos  archives  le  cartulaire  des  actes  ca- 
pitulaires  du  Monastèro  de  S.  Dalmas;  ce  registro  n'e- 
xiste  pas ,  et  aucun  ancien  inventaire  n'annonce  qu'il 
y  ait  existé. 

Les  actes  que  vous  m^indiquez  n'existent  pas  non  plus 
parrai  les  titres  de  la  chambre  des  comptes.  Armoire  Q, 
case  Piémont.  Vous  trouverez  ci-après  la  nomenclature 
de  ceux  qui  s'y  trouvent ,  et  qui  sont  relatifs  au  mona- 
stèro de  S.  Dalmas  du  Boug.  Aucun  de  ces  titres  ne  re- 
monte aux  e'poques   désigne'es  dans  votre  lettre. 

En  i-jGi  on  remit  aux  commissaires  du  Roi  de  Sar- 
daigne  divers  titres  relatifs  à  des  pays  qui  lui  avaient 
eté  cédes  par  la  Franco  j  l'inventaire  de  cette  remisene 
fait  nuUement  raention  des  trois  titres  que  vous  me 
demandez.  Dernierement  lorsque  M.  M.  Cibrario  et  Pro- 
»  mis  sont  venus  compulser  les  archives  ils  n'ont  rien 
»  note  do  relatif  à  S.  Dalmas.  » 

Una  copia  di  questa  lettera  ,  diretta  all'amico  che  a- 
veva  inoltrate  le  dette  domande  in  nome  mio,  è  presso 
di  me.  In  fondo    di    essa,  accanto  al  sigillo    dell'archi- 


562 

vio ,  si  legge  :  certijié  conforme  aiix  lettrcs  orìgìnales 
—  P.  Ricard  archiviste  de  la  Préfecture. 

Le  carte  spettanti  all'accennato  monastero  di  S.  Dal- 
xnazzo  del  Borgo,  delle  quali  fa  parola  lo  stesso  sig. 
Ricard ,  sono  tre ,  e  si  troveranno  descritte  colle  altre 
nell'indice  che  segue.  La  più  antica  porta  la  data  del 
1258. 

Intanto  piacesse  al  cielo  che  fossero  queste  le  sole  scrit- 
ture apocrife  che  offuscano,  e  deturpano  tuttavia  la  ve- 
rità dalle  nostre  storie;  e  che  tutte  andassero  immuni 
da  sì  fatte  brutture  le  varie  raccolte  di  antichi  docu- 
menti, che,  per  favorirle  e  servir  loro  di  buon  fon- 
damento, sono  stale  fino  al  dì  d'oggi  fra  di  noi  publicate. 


DESCRIZIONE   DELLE    PERGASIEINE 

Dei  secoli  XIII  e  XIV  risguardanti  al  Piemonte  , 
le  quali  si  conservano  nel  publico  Archivio  di  Marsiglia. 


Ai'madio  Q ,  casella  Piemonte. 


MAZZO  A. 

Doc.  I.  VII  kal,  iunii  1210.  Privilegio  di  Ottone  IV  imp.  dato 
in  favore  della  città  di  Alessandria  in  Lombardia. 

2 iulii    1240.  Lettere  di  generale  perdono  concesse  dallo 

imp.  Federico  II  ai  cittadini  di  Alessandria  predetta. 

Questi  due  diplomi  non  si  trovano  nel  Codice  dipi.  ital.  del  Lu- 
nìg;  mancano  pure  presso  il  Ghilini ,  e  presso  gli  altri  scrittori 
delle  storie  di  Alessandria. 

3.  XIV  sept.  1358.  Atto  capitolare  dei  monaci  di  S.  Dalmazzo  del 
Borgo  ,  col  quale  danno  gli  opportuni  poteri  al  loro  abate  Tommaso, 
a  ciò  che ,  recandosi  egli  in  corte  di  Roma  ,  e  presso  altri  princi- 
pi ,  fosse  in  grado  di  protestare  contro  gli  attentati ,  ordini  e  sta- 


563 

tuti  emanati  dal  comune  di  Cuneo  contrari  ai  diritti  e  privikgi  del 
loro  monastero. 

Questa  scrittura  munita  di  due  sigilli  in  cera  assai  mal  ridotti^ 
poiché  si  trova  negli  archivi  che  furono  dei  conti  di  Provenza,  di- 
mostra che  a  (questi  avea  avuto  ricorso  l'abate  Tommaso  onde  ot- 
tenere protezione.  Le  carte  che  seguono  fanno  vedere  qual  sia  stato 
il  successo  delle  sue  istanze. 

4-  X  iulii  i25g.  Convenzione  per  la  quale  il  comune  di  Cuneo, 
conservando  gran  parte  delle  sue  libertà  e  privilegi,  si  sottomette 
all'ubbidienza  di  Carlo  I  d'Anjou  ,  conte  di  Provenza. 

5.  XXIV  iulii  i25g.  La  città  di  Cuneo  prèsta  omaggio  di  fedeltà 
al  conte  suddetto. 

Questi  documenti,  come  pure  tutti  gli  altri  che  vengono  dopo  , 
aventi  relazione  col  comune  di  Cuneo,  non  si  trovano  neppur  men- 
tovati nelle  storie  di  quella  città  scritte  dal  Partenio  e  dal  Saint 
Simon. 

6 aug.    laSg.  Tommaso  abate  del  mon.  di  S.  Dalmazzo 

di  Pedona,  ossia  del  Borgo,  fa  donazione  al  conte  di  Pi'ovenza  di  tutti 
i  beni  e  diritti  che  il  suo  monastero  aveva  nella  città  di  Cuneo. 

7.  IX  aug.  I25g.  Ordinato  del  consìglio  generale  della  città  d'Alba 
in  Piemonte  ,  col  quale  dà  potere  ai  suoi  deputati  di  sottoporre  la 
detta  città  all'ubbidienza  del  conte  di  Provenza  ,  coi  patti  e  condi- 
zioni da  combinarsi. 

8.  XXIV  aug.  laSg.  Procura  rilasciata  dai  cittadini  di  Cberasco 
ai  loro  deputati  pei-  l'effetto  di  cui  nell'ordinato  precedente. 

9.  VII  sept.  i25g.  Il  consiglio  della  città  d'Alba  manda  al  conte 
Carlo  I  un  suo  ordinato  contenente  la  promessa  di  confermare  tutto- 
ciò  che  sarebbe  stato  operato  e  promesso  dai  loro  deputati. 

A  piedi  di  quest'atto  sono  registrati  i  nomi  di  tutti  i  consiglieri 
che  avevano  sottoscritta  la  predetta  deliberazione  del  IX  agosto  di 
quest'anno  medesimo.  Fra  que'  consiglieri,  che  sono  moltissimi,  pia- 
cemi  accennare  i  seguenti  :  Franciscus  de  Braida ,  Ogerius  de  Ne- 
veis  ,  Rollandus  de  Somano  ,  Jacobus  Pelletta ,  Theobaldus  de  For- 
xano ,  Jacobus  de  Rodello ,  Thomas  Canaverus ,  Petrus  de  PuteOy 
Ogerius  Marone  ,  Jacobus  de  Novello  ,  Rollandus  de  Leona  ,  Phi- 
lippus  Corderius  ,  Dominicus  de  Raconixio  ,  Thomas  Cacheranus^ 
Jacobus  Pautrieri  etc. 

10.  XVIII  oct.  laSg.  Le  città  d'Alba  e  di  Cherasco  di  comune 
accordo  eleggono  deputati  per  concertare  le  condizioni  colle  quali 
si  sarebbero  sottoposte  alla  signoria  del  conte  di  Provenza. 


564 

M.  (senza  data).  Privilegi  concessi  dallo  stesso  conte  di  Provenza 
alle  due  città  d'Alba  e  di  Cherasco  quando  riconobbero  la  sua  sof 
vranità. 

12.  X  decem.  laSg,  et  XXII  febr.  1260.  Le  stesse  città  d'Alba 
e  di  Cherasco  confermano  gli  accordi  intesi  fra  il  conte  di  Provenza 
ed  i  loro  procuratori. 

i3.  Ili  febr.  ia6o.  Atto  d'omaggio  prestato  dalla  città  d'Alba  al 
conte  Carlo  di  Provenza. 

14.  VI  martii  1260.  Lettere  colle  quali  sono  confermate  le  con- 
venzioni fatte  già  fra  Carlo  d'Anjou  conte  di  Provenza  ,  figlio  di 
Francia ,  ed  il  monastero  di  S.  Dalmazzo  del  Borgo  ,  intorno  ai  diritti 
che  questo  aveva  sopra  la  città  di  Cuneo. 

i5.  XXIII  apr.  1260.  Manuele  conte  di  Blandra te  presta  omaggio 
al  conte  Carlo  di  Provenza  per  la  signoria  di  Santo  Stefano  d'Asti , 
la  quale  dovea  essere  tenuta  da  Manuele  colle  stesse  condizioni  colle 
quali  ne  era  già  prima  stato  investito  il  comune  d'Alba. 

16.  XV  sept.  1260.  Liberazione  data  al  clavarie  di  Cuneo  in  nome 
del  conte  di  Provenza ,  come  signore  di  quella  città  ,  per  tutto  ciò 
che  poteva  essere  stato  dovuto  a  diverse  persone  quivi  nominate. 

17.  XIII  ineunte  ianuario  1261.  Trattato  di  pace  fra  il  marchese 
di  Clavesana  e  Guglielmo  Treo di  Garessio. 

18.  XXIII  ianuar.  1264.  Tiattato  di  confederazione  e  d'alleanza 
fra  il  conte  Carlo  di  Provenza  e  le  città  lombarde  di  Milano  ,  Ber- 
gamo ,  Lodi  ecc.  ;  nel  quale  trattato  sono  registrati  i  poteri  dati 
agli  ambasciatori  onde  intendere  simili  accordi. 

Questa  membrana  è  di  lezione  assai  diffìcile  pel  cattivo  stato  in 
cui  si  trova  ridotta. 

19.  XX  maii  1270.  Il  consiglio  generale  del  comune  di  Alessan- 
dria nomina  suoi  deputati  per  trattare  delle  condizioni ,  colle  quali 
quella  città  dovea  riconoscere  la  signoria  del  conte  Carlo  I  di  Pro- 
venza ,  re  di  Sicilia.  Seguono  quivi  i  nomi  di  tutti  i  consiglieri  sot- 
toscritti. 

20.  XX  maii  1270.  Trattato  conchiuso  fra  il  detto  re  Carlo  I  ed 
i  deputati  di  Alessandria ,  dove  sono  enumerate  le  condizioni  ,  ed 
i  patti  reciprocamente  convenuti. 

Questa  carta  era  da  prima  munita  di  otto  sigilli  ;  ora  ne  rimari- 
gono  tre  soli  ,  anche  assai  mal  conservati.  Sopra  uno  di  ijuesti  è 
rappresentato  un  dottore  sedente  in  cattedra,  in  atto  ,  per  quanto 
pare ,  di  leggere  o  commentare  un  codice  aperto  avanti  di  lui.  La 
leggenda  del  sigillo  è  pure  quasi  al  tutto  perduta. 


565 

21.  VI  iunii  1270.  Conrado  ed  Enrico  de  Carretto  vendono  a  Ro- 
berto de  Laverio  tutti  i  loro  diritti  nei  luoghi ,  signorie  e  territori 
di  Garessio ,  Mursecco  ,  ed  altii  villaggi  colà  vicini. 

Questo  Roberto  era  probabilmente  padre  ovvero  fratello  di  quel 
Filippo  de  Laveria^  il  quale,  come  grande  Siniscalco  di  Provenza ^ 
riceveva  ,  nel  1 285  ,  gli  omaggi  delle  città  del  Piemonte  pel  re  Carlo 
Il ,  quando  questi ,  morto  il  padre  ,  saliva  al  trono. 

22.  I  iulii  1270.  Altra  vendita  fatta  allo  stesso  Roberto  di  un 
forno  situato  nel  luogo  di  Garessio. 

23.  Vili  sept.  1270.  Il  marchese  di  Clavesana  cede  allo  stesso 
Roberto  la  terra  e  signoria  di  Ormea  (  Ulmete) ,  con  altri  luoghi 
tenuti  allora  dal  Marchese  di  Ceva  ;  ed  a  lui  ne  dà  investitura. 

24.  Vili  octob.  1270.  Il  marchese  di  Clavesana  cede  al  re  Carlo  I 
i  diritti  che  si  era  riservati  sopra  i  luoghi  predetti  di  Garessio , 
Ormea  ed  altri ,  quando  li  dava  in  feudo  a  Roberto  de  Laverio. 

35.  XXX  sept.  1272.  Roberto  de  Laverio  investito  dei  diritti  del 
marchese  di  Clavesana  ,  viene  a  transazione  col  marchese  di  Ceva 
sulle  vertenze  insorte  intorno  al  luogo  di  Gai'essio ,  ed  altri  ivi  no- 
minati. 

26.  VII!  oct.  1273.  Alcuni  nobili  promettono  di  costringere  i  si- 
gnori d'  Ormea  a  rimanere  nella  fedeltà  del  re  Carlo  ,  ovvero  ad 
abbandonare  il  paese. 


MAZZO  B. 

Doc.  I.  XXVIII  novemb.  i3o5.  La  città  d'Alba  presta  nuova- 
mente omaggio  all'autorità  del  re  Carlo  II ,  conte  di  Provenza  e  di 
Piemonte. 

2.  XXXImartii  1307.  Accordi  firmati  fi^  il  siniscalco  di  Piemonte 
Rinaldo  de  Lecto  ,  in  nome  del  re  Carlo  II ,  e  Tommaso  Riha  da 
Cuneo  e  compagni ,  acciò  facciano  questi  moneta  grossa  e  minuta 
in  nome  dello  stesso  re  ,  aUa  bontà  medesima  di  quella  che  si  bat- 
teva in  Francia  ai  tempi  del  re  san  Lodovico. 

3.  XVI  aprilis  1307.  Procura  spedita  dal  re  Carlo  II,  conte  di 
Provenza,  di  Forcalchierl  e  di  Piemonte,  per  accettare  la  donazione, 


566 

che  gli  era  offerta  da  Manfredo  marchese  di  Saluzzo  ,  di  tutti  i  suoi 
diritti  sopra  il  marchesato  del  Monferrato. 

4.  VI  mali  1307.  Donazione  della  signoria  di  Possano  fatta  dal 
detto  marchese  di  Saluzzo  al  re  Carlo  IL 

Da  questo  rotolo  pendevano  altre  volte  due  sigilli  in  piombo. 

5.  VI  maii  iSoy.  Manfredo  marchese  di  Saluzzo  fa  omaggio  al 
re  Carlo  II  di  tutte  le  sue  ragioni  sopra  il  marchesato  del  Monferrato. 

6.  VI  madii  1307.  Filippo  di  Savoia  principe  d'Acaia  nomina  pro- 
curatori per  trattare  col  re  Carlo  li,  e  con  Roberto  duca  di  Cala- 
bria suo  figlio ,  e  ricevere  da  essi  l'investitura  della  contea  d'Alba 
negli  Abbruzzi ,  che  gli  era  stata  promessa. 

7.  XV  octob.  1307.  Il  re  Carlo  II  dà  investitura  al  detto  Filippo 
d'Acaia  della  contea  d'Alba  or  mentovata  ,  e  questi  gli  presta  l'o- 
maggio di  fedeltà  richiesto  dalla  stessa  investitura. 

8.  XVII  febr.  i3og.  Carlo  II  cede  la  contea  di  Piemonte  a  Ro- 
berto duca  di  Calabria  suo  figlio  ;  questi  ne  prende  il  possesso  ,  e 
riceve  il  giuramento  di  fedeltà  dal  comune  di  Cuneo,  e  dalla  nobiltà 
del  paese. 

9.  XX Vili  iulii  1 3 IO.  Trattato  d'alleanza  conchiuso  fra  il  siniscalco 
di  Provenza  Raimondo  de  Baux  (  de  Baucio  ) ,  in  nome  del  re  Ro- 
berto, ed  i  sindaci  del  comune  d'Asti. 

Questo  Raimondo  doveva  essere  anzi  il  nipote  che  il  fratello  della 
bella  Cecilia  de  Baux  rimasta  vedova  di  Amedeo  IV  conte  di  Sa- 
voia nel  1253. 

10.  (senza  data).  Convenzione  fra  Roberto  re  di  Sicilia,  conte  di 
Provenza  ecc.  ed  il  comune  di  Alessandria ,  dove  sono  descritti  i 
patti  coi  quali  il  detto  comvme  si  costituisce  sotto  l'ubbidienza  di  lui. 

11.  VII  aug.  i3i5.  Accordo  fra  il  comandante  all'esercito  delre 
Roberto  ,  e  gli  abitanti  di  Lucerna  (  ?  )  ,  e  di  altri  luoghi ,  col  quale 
quegli  uomini  promettono  riconoscere  la  signoria  del  re  ,  tosto  che 
egli  si  sarà  reso  padrone  di  Drenerò  e  della  sua  rocca  -,  ed  intanto 
promettono  pagargli  cento  marche  d'argento. 

12.  XXXI  iulii  1329.  Filippo  di  Savoia  principe  d'Acaia  riconosce 
da  Filippo  de  Valois  ,  comandante  alle  armi  del  re  Roberto  in  Pie- 
monte ,  la  città  di  Savigliano  ,  Era  ed  altre  terre ,  colle  condizioni 
quivi  descritte.  Questa  pergamena  è  munita  di  sigillo  in  cera. 

i3.  XX  sept.  i322.  Il  castellano  della  città  e  castello  di  Busca 
consegna  la  detta  città  e  suo  castello  a  Bernaido  de  Monfrain  ,  in 
ubbidienza  agli  ordini  dati  su  tal  particolare  dal  re  Roberto  il  di 
tre  del  luglio  precedente. 


567 

i4.  XV  aprilis  i324'  Poteri  dati  dal  re  Roberto  a  Giovanni  Ca- 
bassole,  giudice  maggiore  nella  contea  di  Forcalchieri,  onde  trattare 
di  pace  con  Filippo  principe  d'Acaia. 

Né  questa  carta  né  le  precedenti  ,  nelle  quali  è  fatta  menzione 
di  Filippo  d'Acaia ,  si  trovano  fra  i  numerosi  documenti  coi  quali 
l'egregio  cav.  Datta  ha  opportunamente  corredata  la  sua  storia  di 
quel  ramo  dei  conti  di  Savoia. 

i5.  Vili  aug.  1824.  Altri  poteri  dati  dallo  stesso  re  Roberto  a 
fine  di  terminare  le  controversie  vertenti  fra  di  lui ,  gli  Astigiani  ed 
altri. 

La  pergamena  originale  è  munita  di  sigillo  in  cera ,  sul  quale  il 
re  è  rappresentato  sedente  in  maestà,  come  sulle  sue  monete  gene- 
ralmente. 

16.  Ili  martii  i34o.  Atto  con  cui  il  re  Roberto  cede  a  Manfredo 
maixhese  di  Saluzzo  il  castello  di  Migliabruna  colle  sue  dipendenze 
(  castrum  et  fortiam  Moglebrune  ) ,  affinchè  lo  tenesse  come  gover- 
natore in  nome  del  re ,  fino  a  tanto  che  a  lui  piacesse,  gli  fosse  re- 
stituito. Actum  Cherii  in  churte  Sancii  Antonini. 

17.  XVIII  martii  1342.  Trattato  fra  Tommaso  marchese  di  Saluzzo 
e  Bertrando  de  Baux  siniscalco  di  Provenza  ,  col  quale  il  detto  mar- 
chese promette  al  re  Roberto  di  porre  in  deposito  fra  le  mani  del 
siniscalco  medesimo  la  città  e  fortezza  di  Drenerò  ;  le  quali  il  detto 
sig.  de  Baux  dovrebbe  ricevere  in  suo  proprio  nome  ,  e  non  già 
nella  sua  qualità  di  siniscalco. 

18.  XII  iulii  1342.  Procura  del  siniscalco  Bertrando  de  Baux  ac- 
ciocché si  prendesse  possesso  in  nome  suo  della  città  e  fortezza  di 
Drenerò. 

Questo  documento  ,  e  tutti  gli  altri  summentovati ,  nei  quali  si 
tratta  d'affari  fra  i  marchesi  di  Saluzzo  ed  i  conti  di  Provenza  , 
mancano  nella  pregevole  storia  diplomatica  del  marchesato  di  Sa- 
luzzo scritta  dai  chiar.  sigg.  Muletti.  Quanto  più  cortese  e  generoso 
si  sarebbe  dimostrato  verso  di  loro  lo  Sciavo  se  ,  invece  delle  sue 
amene  favolette  sulla  Teodolinda  ,  e  sui  marchesi  della  Liguria , 
avesse  loro  recato  dagli  archivi  d'  Aix  questi  veri  e  limpidissimi 
fonti  della  storia. 

19.  XVII  oct.  i363.  Picono  Marchcsano  è  messo  in  possesso  della 
signoria  di  Roccasparvera ,  che  a  lui ,  ai  suoi  eredi  e  successori  era 
stata  venduta  dal  siniscalco  con  istrumento  del  26  febbraio   i358. 

20.  V  iuUi  i365.  Folco  d'Agoult  siniscalco  di  Provenza  vende  al 
nobile   Giorgio  di  Moutomalc  da  Cuneo   tutti  i  beni  e  diritti  che  la 


568 

r^lna  Giovanna  aveva  nella  terra  di  Demonte  e  suo  distretto ,  pel 
prezzo  convenuto  di  cinquecento  fiorini  d'oro. 

21.  XXXI  iulii  i365.  Ordine  di  Folco  d'Agoult  predetto  di  pa- 
gare a  Giorgio  di  Montemale  ,  castellano  di  Demonte  ,  le  somme  che 
egli  aveva  impiegate  nelle  fortificazioni  del  detto  luogo. 

L'originale  di  questa  scrittura  è  uno  di  quelli  che  nel  j-6i  ju- 
rono  rimessi  alla  real  corte  di  Sardegna. 

11.  X  novemb.  i375.  Giuramento  prestato  da  Girardino  marchese 
di  Ceva  ,  per  sé  e  per  gli  altri  marchesi  suoi  consorti ,  di  custodire 
e  difendere  il  luogo  e  bastia  di  Carassone ,  in  nome  della  regina 
Giovanna  :  ma  di  doverglielo  restituire  qualora  ella  volesse  rendere 
al  detto  marchese  mille  fiorini  imprestati  da  lui  alla  corte. 

Oltre  i  documenti  fin  qui  accennati ,  nello  stesso  armadio  Q,  molti 
e  molti  altri  se  ne  trovano  ancora  nei  mazzi  D  ,  E ,  F  ,  G  ,  tutti 
concernenti  le  relazioni  che  sì  passavano ,  a  que'  tempi ,  fra  i  conti 
di  Provenza  e  le  diverse  città  e  stati  d'Italia  ,  come  Parma,  Piacenza, 
Bergamo  ecc.,  colla  republica  di  Genova  ,  col  Ballìo  di  Ventimi- 
glia  ,  ma  soprattutto  colla  città  di  Nizza  ;  i  quali  documenti  origi- 
nali, essendo  ben  preziosi  anch'essi  per  l'attenenza  che  hanno  colla 
storia  del  Piemonte  ,  dovranno  pure  essere  consultati  da  chi  volesse 
accingersi  all'ardua  impresa  di  scrivere  quella  storia  con  tutti  i  suoi 
particolari. 

Tre  altre  carte ,  tolte  da  quello  stesso  archivio  ,  sono  state  pu- 
blicate  poco  fa  dai  chiar.  sigg.  Cibrario  e  Promis  fra  i  Documenti 
appartenenti  alla  storia  della  monarchia  di  Savoia.  Di  questi  io 
non  farò  qui  parola  ,  e  perchè  già  noti ,  e  perchè  estranei  alla  storia 
del  Piemonte.  Di  fatto  nell'archivio  di  Marsiglia  sono  collocati  in 
armadio  diverso  da  quello  dove  stanno  le  carte  spettanti  al  Piemonte 
medesimo. 

Torino,  questo  di  20  agosto  1837. 

Giulio  di  San  Qriwnso. 


569 

RIVISTA    CRITICA 


Di  alcune  traduzioni  dall'inglese  e  in  particolare  del  Pellegrinaggio 
del  Giovine  Aroldo,   recato  in  italiano  da  Giuseppe  Gaz^ino. 

(Genova,  i836.  i.  voi.  ia-t)  ). 


•  >:  Un  dottoruzzo  fisico,  di  nome  italiano  ma  inglese  di  nascila, 
il  quale,  essendo  agli  stipendi  di  Lord  Byron ,  lo  accompagnava 
ne' suoi  viaggi  lungo  il  Reno,  e  gli  fu  sorgente  di  vessazioni  e 
molestie  infinite ,  spinto  da  inconcepibile  vanità  ebbe  un  giorno 
r  ardimento  di  rivolgersi  al  poeta  e  di  dirgli  :  «  insomma  che 
sapete  far  voi  che  non  sappia  e  non  possa  fare  ancor  io  ?  — 
Poiché  mi  costringete  a  rispondervi,  disse  Byron  ^  io  credo  di 
poter  fare  tre  cose  che  voi  non  potete.  —  E  quali  ?  chiese 
r  arrogante  giovinotto.  —  Queste  ,  ripigliò  Byron  5  passare  da 
una  sponda  all'altra  di  questo  fiume  nuotando:  —  smoccolare 
una  candela  con  un  colpo  di  pistola  a  venti  passi  di  distanza: 
—  e  scrivere  un  poema  di  cui  si  sono  venduti  quattordici 
mila  esemplari  in  un  giorno.  »  —  Il  dottorino  ammutolì,  ma 
non  si  corresse  e  simile  alla  rana  della  favola  che  'si  provò  a 
voler  acquistare  la  vasta  mole  del  bue,  egli  osò  scrivere  versi 
e  prose  nella  casa  medesima  e  sotto  gli  occhi  di  colui  di  cui 
non  avrebbe  dovuto  tastare  il  polso  senza  tremare. 
i  ;  A  me  pare  che  coloro  i  quali ,  senza  ben  comprendere  quanta 
sia  r  altezza  del  genio  di  Byron  e  conoscere  Je  loro  forze ,  rai- 

35 


570 

surano  se  stessi  con  quei  grande ,  e  tentano  di  trasportarne 
gli  altissimi  e  spesso  misteriosi  concetti  nel  loro  linguaggio , 
possano  essere  giustamente  paragonati  al  giovin  dottore  di  cui 
ho  fatto  cenno,  o  veramente  ad  un  prosontuoso  pigmeo  che 
osi  lottare  contro  un  gigante ,  confidando  forse  di  poterlo  vin- 
cere con  qualche  astuzia  o  con  destro  artifizio  atterrare.  — 
Se  consideriamo  come  la  lingua  italiana  sia  stata  per  l'addietro 
poco  felicemente  adoperata  a  voltare  gli  autori  inglesi  che  più 
s'  accostano  al  genere  classico  ,  talché  dalle  versioni  dello  Sce~ 
lino  Lampante  e  del  Sidro  di  JoJin  Philips  fatte  dal  Maga- 
lotti ,  sino  air  ultima  traduzione  del  Paradiso  perduto  del  So- 
relli, appena  la  letteratura  nostra  si  può  con  qualche  ragione 
vantare  del  volgarizzamento  del  Papi,  il  quale  tuttavia  non 
arriva  alla  Miltoniana  maestà ,  non  potremo  maravigliarci  ab- 
bastanza come  parecchi  de'  nostri  contemporanei  si  siano  ar- 
rischiati ad  ingolfarsi  ne'  poemi  di  Lord  Bjròn ,  i  quali  (  se 
se  ne  eccettuino  i  soli  drammi  di  Shahspeare  )  sono  a  cento 
doppi  più  difficili  a  recarsi  in  altra  lìngua  che  non  quelli  de' 
suoi  predecessori,  e  come  abbiano  potuto  cosi  presumere  delle 
proprie  forze  ,  da  persuadersi  di  esser  da  tanto  per  far  gustare 
air  Italia  le  bellezze  al  tutto  singolari  di  quel  sommo  poeta.  — 
Per  poco  che  uno  sia  versato  nella  letteratura  inglese,  egli  è 
facile  lo  scoprire,  che  i  maggiori  poeti  di  questo  secolo  e  quelli 
dei  due  precedenti  sono  in  generale  tra  loro  cosi  diversi  nelle 
ispirazioni,  nel  modo  di  trattare  e  di  adornare  i  soggetti,  e 
soventi  volte  persino  nella  forma  estrinseca  de'  loro  poemi,  che 
sì  direbbero  non  solo  appartenere  a  scuole  intieramente  oppo- 
ste, ma  quasi  a  due  nazioni,  che  in  poesia  (fatta  astrazione 
della  lingua  )  seguano  due  strade  affatto  divergenti.  Si  parago- 
nino Bjron ,  Scott  e  Moore  con  Millon,  Drjden  e  Pope,  non 
nel  merito  poetico,  sul  quale  spetta  alla  posterità  e  non  a  noi 
a  pronunziare,  ma  in  ciò  che  chiameremo  la  loro  maniera,  e 
si  vedrà  che  a  questi  si  potrebbe  quasi  dare  il  nome  di  clas- 
sici, come  noi  l'intendiamo,  cioè  allevati  alla  scuola  degli  an- 
tichi e  in  qualche  parte  ritraenti  da  essi  le  loro  concezioni  , 
r  andamento  delle  idee  e  le  medesime  bellezze ,  invece  che  gli 
altri  sembrano,  almeno   apparentemente  ,    avere  assai   poco  di 


571 

comune  coi   gran  maestri    dell'  antichità  ,    e    meritare    la    mo- 
derna denominazione  dì  romantici ,    se  non  che  alcuni  di  essi 
la  sdegnano,  forse  perchè  principalmente  si  pregiano  di  ^ESsere 
originali.  —  Ora  se  noi  Italiani ,  ricchi  come  siamo  di  tradu- 
zioni dal  greco  e  dal  latino  che  sono  riputate  vicine  alla  per- 
fezione ,    non   siamo   ancora   giunti   a  voltare  un  poeta  inglese 
della  vecchia  scuola  in  un  modo  che  sia  appieno  soddisfacente , 
ad   onta   che   lo  stesso   linguaggio   solenne   e   per    così   dire  di 
convenzione  ,  di  cui  ci  siamo  serviti  pei  classici  antichi ,  possa 
in  gran  parte  essere  in  simili  traduzioni  impiegato,   come  po- 
tremo sperare  di  vincere   le  difficoltà   che   in  folla   si   presen- 
tano voltando  le  opere  dei  moderni ,  le  quali  tanto  si  scostano 
dal  nostro  genere  e  per  la  natura   delle  cose  narrate   e  per  la 
varietà  delle  descritte  e  per  la  novità    del  sentire  che   in  esse 
s' incontrano  ?  —  Io  non  dico  che  sia  impossibile  il  far  passare 
dalla  lingua  inglese  nell'  italiana    né  gli  scritti   di  Milton   o  di 
Pope,  né  quelli  di  Moore  o  di  Bjron,  ma  asserisco  che,  qua- 
lunque ne  sia  la  cagione    o  la  poca  analogia   delle    due  lingue 
o  il  poco  studio  e  non  bastantemente  profondo  che  si  fa  presso 
di  noi  della  letteratura  inglese  ,  oppure   la  non  sufficiente  pe- 
rizia dei  traduttori  nei  due  idiomi  che  maneggiano  ,  il  fatto  è 
che,  tranne  il  Paradiso  perduto    del    Papi,    appena    v'ha  una 
traduzione  dall'  inglese    di  qualche  momento  ,    la  quale  possa, 
non  dirò  esser  messa  accanto  all'  Iliade  del  Monti  o  ?\V Eneide 
del  Caro  per  merito  di  volgarizzamento ,  ma  soddisfare  un  let- 
tore che  abbia  alquanto  gustato  il  poeta  nella   sua  lingua   na- 
tiva. Forse  il  principale  ostacolo  ad  ottenere  buone  traduzioni 
delle  opere   di  cui  parlo  ,  proviene  dal  poco  credito  in  cui  og- 
gidì un  traduttore  è  generalmente  tenuto,   il  che  fa   che  rara- 
mente veggiamo  consecrarsi  alla  fatica  del  tradurre  coloro  che 
per  dottrina    e  per    genio  sarebbero  più   atti  a  riprodurre    fra 
noi   le  bellezze    dei  poeti    esotici  5  e  fors'  anche  non    è    ultima 
cagione  della  povertà  nostra  di  buone  versioni  dalle  lingue  vi- 
venti quello  spirito  che  con  moderno   vocabolo  si  chiama  spe- 
culatore ,  pel  quale  si  suol  tradurre  con  una  condannevole  ra- 
pidità e  spesso  si  tralascia  di  ricorrere   alla  sorgente  per  arre- 
starsi ad  una  versione  francese  ,  già  frutto  di    un'  altra  specu- 


572 

lazione  ,  in  cui  il  povero  autore  è  stato  miseramente  mano- 
messo e  mutilato.  —  So  che  molti  stimeranno  questo  giudizio 
troppo  severo  ,  e  particolarmente  coloro  che  non  essendo  ini- 
ziati nella  lingua  inglese  o  non  essendo  giunti  a  gustarne  a 
fondo  le  bellezze  e  ad  intenderne  1'  armonia  dei  versi,  hanno 
fermata  la  loro  opinione  sul  valor  poetico  di  Lord  Byron  e  de- 
gli altri  sommi  Britanni,  o  su  traduzioni  francesi  o  sovra  quelle 
che  vanno  di  quando  in  quando  nella  nostra  Italia  comparendo, 
per  lo  più  compilate  nell'eterno  verso  sciolto,  troppo  difficile 
e  troppo  facile  a  un  tempo  secondo  la  maggiore  o  minore  at- 
titudine di  chi  lo  tratta.  Ma  se  dieci  anni  di  continuato  sog- 
giorno in  una  delle  più  colte  città  della  Gran  Brettagna,  e  di 
assiduo  studio  della  lingua  e  della  letteratura  inglese  ,  possono 
dare  ad  alcuno  il  diritto  di  proferire  un'  opinione  sulle  tra- 
duzioni degli  autori  di  quella  nazione  che  vanno  attorno  fra 
noi  ,  mi  sia  lecito  il  dire  con  qualche  confidenza  che  finora 
chi  non  ha  potuto  attingere  alla  fonte  non  può  non  avere  un* 
idea  assai  inesatta  del  genio  di  Lord  B3Ton  ,  e  di  quei  pochi 
che  con  lui  formano  quella  magnifica  costellazione  che  nella 
gioventù  nostra  abbiamo  veduta  splendere  e  che  tuttora  splende 
con  le  altre  lucidissima  sul  Parnaso  brìttannico. 

E  prima  eh'  io  venga  a  parlare  più  particolarmente  dei  tra- 
duttori di  Byron ,  mi  si  conceda  che  mi  fermi  alquanto  su  di 
uno  che  avendo  animosamente  intrapreso  di  voltare  nella  no- 
stra lingua  ciò  che  v'  ha  di  più  grande  in  tutta  la  letteratura 
dell'  Inghilterra  ,  è  giunto,  Dio  sa  come  ,  ad  acquistar  fama  di 
egregio  traduttore,  e  a  far  credere  all'  Italia  che  nulla  più  le 
manca  per  portare  un  fondato  giudizio  sulle  immortali  produ- 
zioni di  Shakspeare.  —  Intendo  parlare  di  Michele  Leoni,  il 
quale  recò  parte  in  versi  e  parte  in  prosa  i  drammi  di  quel 
gran  tragico,  ed  ebbe  la  fortuna  di  essere  creduto  degno  inter- 
prete di  un  tanto  genio,  cosa  che  ni  uno  avendo  pubblicamente, 
eh'  io  sappia  ,  rivocata  in  dubbio ,  è  passata  ora  per  così  dire 
in  giudicato  con  vera  nostra  mistì/ìcazione  (  mi  si  perdoni  que- 
sto espressivo  neologismo  ) ,  non  che  a  danno  della  riputazione 
del  poeta  presso  gli  Italiani  e  a  trionfo  dei  nemici  del  teatro 
romantico.    Non  è  questo    il   luogo    di   entrare    in  un   minuto 


573 

esame  della  traduzione  del  Leoni  confrontandola  col  testo  ,  al 
che  fare  si  richiederebbero  volumi,  ma  poiché  io  non  ho  certa- 
mente il  diritto  e  non  pretendo  di  essere  creduto  sulla  mia 
parola  quando  dico  che  Shakspeare  non  è  slato  tradotto  ma 
tradito  e  straziato,  il  lettore  che  sappia  tanto  d'inglese  da  poter 
fare  questo  paragone  ,  sia  contento  di  esaminare  con  diligenza 
alcune  scene  della  Tempesta  e  del  Re  Lear,  la  prima  voltata 
in  versi,  e  il  secondo  (come  assicura  il  Leoni)  fedelissimamente 
in  prosa,  e  dica  se  1'  Italia  non  è  sin  qui  vivuta  nell'inganno, 
e  se  si  possa  con  giustizia  pronunziare  del  merito  di  Shakspeare 
da  una  interpretazione  cosi  mutilata  ,  così  priva  della  vivacità , 
della  naturalezza  e  dei  finissimi  sali  che  cotanto  sì  ammirano 
in  quel  poeta.  La  prima  scena  della  Tempesta  basta  da  se  sola 
per  dare  un  saggio  del  fare  dell'autore  e  di  quello  dell'inter- 
prete. Una  nave  è  in  procinto  di  far  naufragio.  Il  capitano,  i 
marinari  e  i  passeggieri  sano  sulla  tolda  e  aspettano  ad  ogni 
istante  di  essere  ingoiati  dalle  acque  o  spinti  dal  vento  a  fran- 
gersi contro  gli  scogli.  Il  poeta  fa  parlare  i  suoi  interlocutori  in 
quel  modo  con  cui  si  parlerebbe  in  un  vero  pericolo  di  naufra- 
gio, e  vi  mette  sotl'occhio  un  quadro  pieno  di  verità  e  di  vita. 
Ma  ciò  non  piace  al  traduttore  al  quale  il  parlare  conciso, 
marinaresco  e  tolto  dalla  natura,  impiegato  da  Shakspeare, 
non  può  andare  a  genio  ,  perchè  si  scosta  dal  linguaggio  con- 
venzionale e  solenne  del  dramma.  Quindi  per  far  la  carità  al 
suo  autore  di  salvarlo  dal  basso  e  dal  triviale  ,  egli  dà  una  di- 
gnità eroica  alle  sue  espressioni  e  ne  fa  una  caricatura  di  cui 
non  si  può  vedere  la  più  ridicola.  Questa  carità  che  il  Leoni 
fa  a  quel  poveraccio  di  Shakspeare  è  spinta  così  oltre  nei  drammi 
recati  in  versi  che  lo  sciagurato  poeta  non  può  più  compor- 
tarsi a  suo  talento  ,  ma  debbe  celare  la  sua  propensione  al 
riso  sotto  il  grave  aspetto  di  un  Senocrate ,  cosicché  quel  fi- 
gliuolo della  natura  il  quale  suole  nella  sua  lingua  ridere,  pian- 
gere, arrovellarsi  né  più  né  meno  che  rìdono,  piangono,  e  si 
arrovellano  gli  uomini  di  passioni  ardentissime  e  d'immagina- 
zione esaltata,  divenuto  fantoccio  dell'arte,  cammina  sui  tram- 
poli con  tutto  il  decoro  ,  la  freddezza  e  la  convenienza  tea- 
trale che  è  piaciuto  al  Leoni  di  trasportare  dal  teatro  italiano, 


574 

ossia  dal  greco  ,  sulle  libere  scene  dell'  Inghilterra.  Né  questo 
è  il  solo  favore  che  l' egregio  interprete    fa    al  suo   poeta  ogni 
qualvolta  ne  rende  in  versi  non  solamente  i  versi,  ma  pur  an- 
che la  medesima  prosa.  Fermandoci  alla  Tempesta  io  inviterò  il 
lettore  a  por  mente  a  quel  mostro  chiamato  Caliban,  il   quale, 
partecipan^lo  quasi  della  natura  umana  e   della  ferina,  parla  un 
linguaggio  convenientissimo  a  quelle  ,  ed   è  perciò    considerato 
come  una  delle  creazioni  più  maravigliose  della  mente  di  Shak- 
speare ,  in  questo    specialmente  lodata  che  abbia    partorito  ad 
un  tempo  quell'  aborto  d'  uomo    e  quell'  aborto   di    lìngua.  Le 
idee  del  traduttore  non  potevano   adattarsi    a  una  tanta   inde- 
gnità. Epperò   veggiamo   che  la  sua  tenerezza  per  1'  onore  del 
poeta    lo  indusse    a  rendere    quanto  più  regolare  ha  potuto  il 
linguaggio  di   Caliban ,   e  a  mettere  in  bocca  a   quel  selvaggio 
i  fiori  del  bel  parlare  acciò  potesse  decentemente  comparire  in 
mezzo  alla  gente  coturnata  ,  poco  curando  che  il  concetto  dell 
autore  ne  rimanesse  viziato  e  disfatto.  Ma,  dirà  taluno  e  forse 
il  Leoni  medesimo  se  ancor  vive  (  nel  qual  caso  gli  preghiamo 
lunga  vita  acciò  possa  pentirsi  de'  suoi  trascorsi  letterari  e  far 
la  dovuta  riparazione  all'  autore  che  ha  malmenato  )  ,  ma  que- 
sto è  un  male  inevitabile    allor   quando   si  traduce    in   versi , 
perchè  la  lingua  poetica  di  ciascun  paese  ha  la  propria   fisio- 
nomia e  il  proprio  carattere,  e  quando  uno  è  ristretto  dal  nu- 
mero delle  sillabe  >  egli  non  può  né  saltare ,    né  correre  come 
altri  vorrebbe.  —  Dato  anche    che   la   lingua    poetica   italiana 
non  potesse  rendere  tutto   ciò  che  l'inglese,  o  per  dir  meglio 
quella  di  Shakspeare ,  ha  potuto  esprimere,  cosa  che  io  nego  e 
che  niun  italiano   vorrà  concedere  ,    chi  obbligava    il  Leoni  a 
trasportare  in  versi  ciò  che  sapeva  non  potersi  trattare  se  non 
in  prosa  ?  E  perchè  ha  egli  aspettato  a    prendere  la  buona  ri- 
soluzione   di    voltare    quei  drammi   in    prosa    allorquando    già 
molli  di  essi  erano  stati  per  lui  raffazzonati  in  versi  ,    in   tale 
maniera  che  più  non  li  riconoscerebbe  colui  medesimo  che  gli  ha 
dati  alla  luce?  —  Sebbene,  a  dir  vero,  il  Leoni  non  ha  occasione  di 
vantarsi  nemmeno  di  quelli  eh'  egli  ha  esposti  in    prosa  ,  e  ne 
sia  testimonio  il  citato  Jie  Lear,  in  cui  non   so  se  più  sia  da 
condannarsi  la  negligenza  della  lingua  e  dello  stile ,  che  quasi 


575 

nulla  rammenta  della  naturale  eleganza  e  del  brio  del  poeta, 
o  il  numero  dei  granchi,  davvero  incredibile,  cbe  ad  ogni  pie 
sospinto  il  traduttore  ha  saputo  prendere,  anche  là  dove 
pareva  fosse  impossibile  di  pescarne.  —  Tutte  le  volte  cbe  leg- 
gendo Shakspeare  o  vedendone  rappresentare  i  capo -lavori  dal 
Carlo  Keinblej  dal  IToungj  dal  Kean  e  dal  Macready^  io  mi 
sono  posto  a  meditare  sul  modo  in  cui  si  potrebbe  far  cono- 
scere quel  sommo  ingegno  all'Italia,  non  una  sola,  io  credo, 
ho  potuto  fermarmi  sull'  idea  che  se  ne  dovesse  fare  una  tra- 
duzione in  versi ,  convinto  come  io  era  ,  che  quanto  v'  ba  di 
naturale  ,  passando  nel  metro  italiano  diverrebbe  affettato , 
che  quella  giacitura  di  parole  ciascuna  delle  quali  si  trova  a 
suo  luogo  senza  sforzo  e  senza  contorsione ,  diverrebbe  tutta 
stravolta  donde  nascerebbe  un  parlare  misurato  con  le  seste  ,  e 
che  i  motti  festivi  ,  i  sali  e  i  lampi  dell'  ingegno  o  più  non 
si  mostrerebbero  o  sarebbero  cosi  stravisati  da  comparire  piut- 
tosto fuochi  fatui  e  fuggitivi,  privi  di  corpo  ,  di  calore  e  di  vita. 
Il  tradurre  i  drammi  di  Shakspeare  in  versi  è  pertanto  a 
mio  avviso  più  impossibile  che  difficile  ,  e  se  i  Tedeschi  si 
vantano  di  una  versione  che  riproduce,  a  quel  che  dicono,  nella 
stessa  forma  tutte  le  bellezze  e  persino  le  menorae  idee  dell' 
originale,  ciò  vuol  essere  attribuito  alla  natura  della  loro  lingua 
più  omogenea  all'inglese,  siccome  quella  che  è  nata  dalla  stessa 
madre,  ed  alla  facoltà  di  crear  parole  composte  con  le  quali 
senza  slombare  i  pensieri  con  lunghe  circonlocuzioni  si  dice 
appuntino  la  cosa  nella  stessa  maniera  in  cui  fu  concepita.  — 
Epperò  il  Leoni  non  è  del  tutto  senza  scusa  se  ,  avendo  deli- 
berato di  far  italiano  il  tragico  inglese  e  di  vestirlo  con  la 
pompa  del  nostro  verso  ,  egli  si  vide  svaporare  per  le  mani  ciò 
che ,  dopo  la  grandezza  e  la  sublimità  delle  idee  e  dopo  il 
dilicato  e  profondo  sentire,  ne  forma  per  avventura  uno  dei 
pregi  maggiori,  voglio  dire  la  festività,  la  vaghezza  del  dire 
e  ciò  che  i  francesi  chiamano  spirito  ;  ma  egli  è  pur  sempre 
da  biasimare  di  aver  voluto  far  uso  dello  stile  solenne  dove  il 
poeta  si  contenta  di  uno  stile  pedestre  ,  e  di  non  aver  suffi- 
ciente cognizione  della  lingua  peculiare  e  dei  modi  del  suo 
autore,  e  delle  allusioni,  cbe  certamente  per  uno  straniero  sono 


576 

Jl  una  difficoltà  immensa  ad  intendersi  ,  cosiccliè  ne  avvenne 
che  il  suo  lavoro ,  in  molte  parti  imperfetto  ,  se  ne  rimase 
quasi  senz'anima  e  come  una  mera  ombra  dell'originale ,  tutta 
floscia  ,  tutta  languida  e  tutta  scolorita. 

Limitiamoci  adunque  a  sperare  che  1'  Italia  possa   avere  un 
giorno   una  vera  e  fedele  traduzione  in  prosa  di  quel  tragico, 
ed  auguriamoci  che  il  futuro  traduttore  non  sia  semplicemente 
perito    nella    lingua  e  nella  letteratura  inglese  ,  ma  abbia  sor- 
tito   dalla    natura    un   leggiadro  ingegno  come  quello  del  Cai'. 
Andrea  Mqffeì,  le  cui  versioni  dal  Tedesco  possono  essere  pro- 
poste come    modello  ,    e  sia    dotato    di    una    diligenza    instan- 
cabile, pari  a  quella  di  cui,  non  è  molto,  ha  dato  saggio   Giovila 
Scalcini  nel  ponderato  suo  volgarizzamento  del  Fausto  di  Goethe. 
Se   la    traduzione   dì   Shakspeare   è  onninamente  da  rifarsi  , 
sono   pure   da   rinnovarsi    quasi  tutte   quelle   che   abbiamo   di 
Moore,,  di  Tf alter  Scott  e  di  Byron.  Il  Lalla  Hook  del  primo, 
benché  bellissimo  poema,  non  è  più  cosa  di  cui  si  possa  sop- 
portare la  lettura  nella  versione  fattane  da  un  nostro  Piemon- 
tese  sotto   il   nome    anagrammatico   di   Tito   Pouirio  Catti.  La 
Donna  del  Lago  del  secondo  è  sfiorata  nei  versi  di  un  dottor 
Siciliano  di  nome  infelice  ;  e  fra  i  poemi  del   Byron  pochi  sono 
quelli  che   tradotti  ci  destino  ancora  quelle  sensazioni  che  in 
leggendo   gli   originali   così  potenti  si  provano.  —  L'  Isola  ha 
pur  troppo  spesa  indarno  la  sua  fatica.  Nelle  sue  mani  il  poeta 
non  è  più  poeta  ;  i  racconti  così  vivaci  ,  immaginosi  e  passio- 
nati, ì  voli  pieni  d'ardire,  le  riflessioni  sovente  così  acute,  fìlor 
sofiche  e  profonde  ,  la  violenza   delle  passioni ,  l'ebbrezza  del- 
l'amore ,    il   patetico   e  il   sentimentftle  ,  tutlociò  insomma  per 
cui  le  produzioni  del  bardo  inglese  cotanto  si  distinguono,  riesce 
sbiadato  e  freddamente  detto  con  uno  stesso  tuono  e  con  una 
stessa  fraseologia  ,  da  non  appagare  se  non  un  lettore  novizio, 
ignaro    affatto    della    potenza  di    ciò  che   è  uscito  dalla  mente 
creatrice  dell' autore.   Il  nmprovero  ch'io  fo  aìV  Isola  si  vuol 
fare  in  generale  agli  altri  traduttori  dello  stesso  poeta  j  per  la 
qual   cosa   si    può  francamente  asserire,  che  se  i  poemi  di  cui 
parlo,  fossero  comparsi  in  origine  vestiti  all'italiana  quali  oggi 
li   veggiamo  ,  Lord  Byron  che  soleva   dire  di  essersi  svegliato 


577 

una   mattina  e  trovato  famoso  ,    non  sì  sarebbe  mai  vantato  , 
che   quattordici   mila  esemplari  del  Corsaro  fossero  stati  ven- 
duti in  un  sol  giorno  ;  né  certamente  il  Pellegrinaggio  d'Aroldo, 
la  Sposa  di  Ahido  e  V Assedio  di  Corinto  sarebbero  stati  strappati 
dalle  mani  de' librai ,  come  sappiamo  essere  avvenuto,  con  un 
entusiasmo   di   cui  non   si  ba  altro  esempio  se  non  nella  vita 
letteraria   del   gran  Novellatore   Scozzese.   —   Quella  malia  di 
stile ,    quei   vezzi  di   lingua  ,    quella    vivezza    di    descrizioni    e 
d'imagini,  che  rendono  così  allettatrici  le  poesie  di  Byron,  sono 
certamente    cose    che   a   pochissimi  sarebbe  dato  di  conservare 
traducendo  ,    ma   perchè   non    si    fanno   almeno  tutti  gli  sforzi 
per  adattarsi  alla  maniera  dell'autore,  e  prima  di  tutto  per  in- 
tenderne   bene   i   concetti  ?  Perchè   non   si  tenta  di  assimilare 
per  quanto  si  può  il  metro  italiano  al  metro  dell'originale  ,  la 
verseggiatura  del  traduttore  a  quella  del  poeta  ?  —  Questi  scri- 
veva ad  un  amico  di  aver  cercato  d'introdurre  la  maggior  va- 
rietà  ne'  suoi  poemi  anche  nella  forma  esteriore ,  acciò  1'  uno 
dall'  altro   in   tutto   e  per  tutto  differissero.  «  La  verseggiatura 
del  Corsaro  ,  diceva  ,  non  è  quella  di  Lara ,    né  il  metro  del 
Giaurro    è    simile    a  quello  della  Sposa  d' Ahido  ;  Childe  Ha- 
rold  è  diverso  da  tutti  questi ,  ed  ho  tentato  di  fare  che  VAS' 
sedio  di    Corinto  non  somigliasse  ad  alcuno  dei   precedenti.   » 
—    Infatti  ,    per    non   parlare   di  tutti  ,  il  Corsaro  e  1'  Aroldo 
principalissimi  ,    con   Don   Juan  ,  fra  i  poemi  di  Bjron  ,  sono 
scritti ,    con    griudissirao   artifizio,   il    primo    nel    distico  eroico 
(^couplet'),  tanto    difficile    e  tanto   lodato  per  l'eleganza  negli 
scritti  di  Dryden  e  di  Pope  ,  e  il  secondo  nella  Stanza  Spen- 
seriana   difficilissima  anch'essa  ,    che    nella    poesia    inglese  può 
dirsi  corrispondente    per  l'ufficio  e  per  la  maestà    della  forma 
alla  nostra  ottava  italiana.  —  Il  genio  di  Lord  Byron  era  troppo 
libero  e  quasi  sfrenalo  perchè  potesse  assoggettarsi  ad  una  ma- 
niera unica  di  verseggiare;  quindi  è  che  negli  stessi  poemi  nei 
quali  ha  più  costantemente  seguitata  una  sola  forma  ,  egli  non 
si   può    di    quando  in  quando  trattenere  dall'  introdurre  pezzi 
lirici  di  un  metro  diverso  ,  seguendo   l'impulso  della  passione 
e  dell'estro  ,    appunto  come  Shakspeare  passa  sovente  ne'  suoi 
drammi ,  non  solo   dal  grave  al  faceto,  dal  basso  al  sublime  , 


578 

ma  dalla  prosa  al  verso  e  dal  verso  sciolto  al  rimato  ,  secondo 
che  è  indotto  dalla  natura  delle  situazioni  in  cui  i  suoi  per- 
sonaggi sono  posti,  dalla  elevazione  dei  loro  sentimenti,  e  dal 
linguaggio  che  debbono  tenere.  —  Eppure  i  nostri  traduttori 
ricorrono  quasi  sempre  al  verso  sciolto  ,  e  il  distico  eroico  , 
la  stanza  di  Spencer  e  il  verso  di  otto  sillabe  sì  comune  nei 
poeti  inglesi  moderni  ,  sono  per  lo  più  trasformati  nell'  ende- 
cassillabo  nudo  ,  a  sostenere  il  quale  ci  vorrebbe  il  genio  e 
l'abilità  dei  Parini,  dei  Monti  ^  dei  Foscoli ,  e  dei  Manzoni.  Io 
credo  veramente  che  questo  metodo ,  oltre  alle  cause  già  nar- 
rate ,  sia  uno  dei  motivi  per  cui  le  traduzioni  dei  grandi  au- 
tori inglesi  non  diventano  presso  noi  popolari.  La  rima  è  di 
un  grandissimo  aiuto  a  chi  scrive,  uou  meno  che  a  chi  legge. 
Il  primo  corre  minor  rischio  di  cadere  nella  monotonia  e  può 
yidare  in  parte  la  debolezza  dello  stile  ,•  l'altro  si  ricrea  col 
ritoVno  de'  medesimi  suoni  e  ,  invece  di  essere  stancato  da 
quella  non  interrotta  applicazione  di  mente  che  lo  sciolto  ri- 
chiede ,  si  riposa  al  finire  d'ogni  stanza  e  può  così  proseguire 
più  lungamente  nella  lettura.  Supponiamo  che  la  Gerusalemme 
e  il  Furioso  fossero  scritti  in  versi  sciolti  invece  di  ottave,  chi 
potrebbe ,  a  malgrado  di  tutta  la  perfezione  del  verso  ,  durare 
a  leggerne  più  d'un  canto  in  un  tratto  ?  —  Per  me  io  credo 
sinceramente  che  se  il  Corsaro  fosse  trasportato  in  ottava  rima 
invece  che  l'abbiamo  soltanto  tradotto  in  prosa  o  in  isciolti  , 
per  poco  che  la  traduzione  fosse  elegante  e  fedele,  non  vi  sa- 
rebbe persona  mediocremente  colta  che  più  d'una  fiata  non  lo 
leggesse  avidamente.  —  Però  non  si  maravigli  Giuseppe  Nicolini 
se ,  a  dispetto  della  sufficiente  sua  esattezza  nel  rendere  il 
senso  ,  del  quasi  sempre  lodevole  suo  verseggiare  e  del  non 
eccessivo  stemperamento  dei  pensieri  dell'  autore  ,  le  sue  tra- 
duzioni non  potranno  essere  riguardate  come  modelli  da  imi- 
tarsi ,  non  godranno  della  desiderata  popolarità ,  né  saranno 
in  quel  pregio  in  cui  sott'altra  forma  sarebbero  forse  tenute. 
—  La  colpa  è  in  parte  sua  ,•  con  un  metro  che  maggiormente 
allettasse  ,  il  suo  lavoro  sarebbe  più  conosciuto  e  più  onorato 
e  non  lascerebbe  desiderare  che  altri  si  accinga  alla  medesima 
impresa.  —  Il  Nicolini  ha  sentita  la  necessità  di  alternare  vari 


579 

metri  nel  Giaurro  ,  forse  ad  imitazione  di  ciò  che  vide  prati- 
cato nella  versione  dello  stesso  poemetto  già  data  da  quel  chiaro 
ingegno  di  Pellegrino  Bossi,  il  quale  ,  se  non  fosse  stalo  di- 
stolto da  più  severi  studi ,  pareva  riunire  tutte  le  qualità  che 
si  richieggono  in  un  traduttore  di  Byron  5  ma  egli  ha  poi  ab- 
bandonata la  buona  strada  appena  entratovi  e ,  sedotto  dalla 
apparente  facilità  del  verso  sciolto ,  non  ha  badato  che  non 
potrebbe  evitare  una  monotonia  fatale  al  lettore  ,  al  poeta  e 
alla  sua  stessa  riputazione.  Vi  sono  dei  tratti  nei  poemi  di  By- 
ron che  dovrebbero  far  forza  al  traduttore  e  ,  a  malgrado  della 
diversità  delle  lingue  e  del  loro  modo  di  verseggiare  ,  sugge- 
rirgli certi  metri  come  inevitabili.  —  Ne  sia  d'esempio  quello 
splendido  principio  della  Fidanzata  o  Sposa  d'  Abido  ,  (  che 
a  dir  vero  non  è  né  fidanzata  né  sposa  )  in  cui  il  poeta  imi- 
tando i  pensieri  e  il  metro  di  Goethe,  adopera  un  verso  che 
manifestamente  chiama  di  essere  tradotto  col  dodecassillabo,  di 
cui  Manzoni  ci  diede  un  bellissimo  saggio  in  uno  de'  cori  dell' 
Adelchi.  Pare  impossibile  che  al  Nicolini  sia  sfuggito  essere 
tale  la  misura  del  verso  inglese  da  richiedere  assolutamente 
in  questo  luogo  il  metro  che  abbiamo  accennato ,  e  eh'  egli 
abbia  potuto  preferirgli  lo  sciolto  che  toglie  a  quel  pezzo  una 
gran  parte  della  sua  lirica  bellezza.  Né  é  da  dire  che  il  tra- 
duttore non  fosse  esperto  in  questo  genere  di  verso  poiché  si 
vede  che  in  certi  frammenti  del  Childe  Harold  egli  ha  recato 
in  dodecasillabi    il  canto  marziale  degli  Albanesi  , 

«  Tamburgi!  Tamburgi  !  col  rombo  di  guerra  » 

siccome  il  verso  inglese  suggeriva  di  fare. 

A  maggiore  spiegazione  di  queste  mie  riflessioni  sulla  scelta 
del  metro  io  non  mi  posso  trattenere  dal  qui  riferire  il  prin- 
cipio della  Sposa  d' Abido  siccome  è  stato  tradotto  dal  Nicolini 
e  quale  lo  trovo  in  un  manoscritto  inedito  di  persona  che  ,  or 
sono  più  di  dieci  anni,  tentò  di  voltare  liberamente  lo  stesso 
poema,  ma  poi  abbandonò  l'impresa  disperando  di  poter  riu- 
scire a  buon  porto.  —  Comincerò  dal  Nicolini  il  quale  ha  senza 
dubbio  sopra  dell'anoniaio  il  merito  della  fedeltà  e  cui ,  toltane 


580 

una  tal  quale  debolezza,  io  non  fo  altro  rimprovero  se  non  di 
aver  trascurato  di  trarre  un  conveniente  partito  del  verso 
lirico. 


I. 


Conosci  i  climi  ove  il  cipresso  e  il  mirto 
Sono  emblemi  de' fatti  end' ei  fur  scena? 
Ove  il  duol  della  tortore,  o  la  rabbia 
De  l'avoltoio  sfogasi  nel  sangue 
0  in  gemiti  d'amor  ?  Conosci  i  climi 
De  la  viglia  e  del  cedro  ,  ove  le  piagge 
Fioriscon  sempre  e  sempre  fulge  il  sole  ? 
Ove  l'ale  di  balsami  imbevute 
Cala  zefiro  stanche  in  sui  rosai  , 
E  l'arancio  più  indora  ,  e  più  s'abbronza 
L'ulivo  ,  e  l'usignuol  mai  non  è  muto  ? 
Ove  ,  pari  in  beltà  ,  varie  in  colori 
De  la  terra  e  del  ciel  ridon  le  tinte , 
E  sue  porpore  il  mar  spiega  più  ardenti  ? 
Ove  sono  le  vergini  più  molli 
De  le  rose  che  intrecciano  ,  ove  ,  tranne 
Lo  spinto  de  1'  uom  ,  tutto  è  divino  ì 
Son  la  culla  del  sol ,  sono  i  suoi  regni  : 
Deh  può  il  sole  brillar  sovra  misfatti 
Pari  a  quei  de'  suoi  figli  ?  ahi  che  funesti 
Come  addio  d'amator  sono  i  lor  cuori  , 
Sono  le  istorie  di  ch'ei  fan  ricordo  ! 


II. 


Cinto  da  turbe  di  leggiadri  schiavi 

In  arnese  da  guerra  e  intenti  al  cenno 
Del  comune  Signor  ,  sia  ch'egli  imponga 
Seguir  suoi  passi  o  vigilar  sua  stanza , 
Siede  il  vecchio  Giaffir  nel  suo  divano. 
Grave  una  cura  nel  suo  sguardo  è  impressa 
E  tuttoché  d'un  Mussulmano  il  volto 
Troppo  sua  mente  trapelar  non  lasci  , 
Tutto  esperto  a  coprir  ,  tranne  l'orgoglio  , 


581 

Il  pensoso  sembiante  e  l'accigliata 

Fronte  or  più  svelan  ch'ei  svelar  non  soglia. 

m. 

«  Si  sbarazzi  la  stanza.  »  Ognuno  sgombra. 
«  Il  Capo-guardia  del  serraglio  venga.  » 

Ora  si  ponga  mente  come  una  versione  assai  più  imperfetta 
che  non  è  questa  del  Nicolini,  anzi  un  semplice  abbozzo,  possa 
per  avventura  dar  maggior  risalto  ai  pensieri  e  produrre  un  ef- 
fetto più  gradito ,  pel  solo  lenocinio  della  rima  e  per  l'aiuto  di 
un  metro  meglio  adattato  a  quello  cui  l'autore  ha  stimato  di 
dover  dare  la  preferenza. 

I- 

Vedeste  la  terra  che  il  mirto  e  il  cipresso 

Nutrica  quai  segni  dell'opre  de'  figli  ? 

Là  dove  il  furore  si  rapido  spesso 

A  tenero  affetto  succede  nel  sen  ? 

Vedeste  la  terra  de'  cedri  e  de'  gigli , 

Dai  poggi  fioriti ,  dal  cielo  seren  ? 
Là  zefiro  lieve  con  ali  odorose 

Di  grati  profumi ,  sugli  orti  passeggia 

Ve  '1  seno  vermiglio  dispiegan  le  rose  , 

E  aranci  ed  ulivi  ricoprono  il  suol. 

Là  presso  all'amata  costante  gorgheggia 

Con  querule  note  l'acceso  usignuol. 
Di  vario  colore  la  terra  ed  il  cielo 

Han  varia  beltade  ,  ma  pregio  simile. 

Il  mare  più  oscuro  diffonde  il  suo  velo 

Tra  '1  verde  e  l'azzurro  che  fangli  confin.  — 

Al  par  della  rosa  la  donna  è  gentile 

E  tranne  l'uom  solo  v'è  tutto  divin. 
Levante  ella  ha  nome  ;  la  terra  è  del  sole. 

Ahi  puote  egli  ancora  versarvi  la  luce, 

Mirare  i  misfatti  dell'empia  sua  prole  ! 

D'amanti  divisi  qual  fiero  è  il  dolor  , 

Qual  tristo  è  l'addio  ,  del  popolo  truce 

Son  crudi  i  racconti  ,  son  barbari  i  cor  ! 


582 
II. 

Cinto  ogni  intorno  da  guerriero  stuolo 
Di  schiavi  armati  ,  del  Signor  pensoso 
Tutti  pendenti  e  pronti  a  un  cenno  solo 
A  seguirlo  o  a  vegliar  sul  suo  riposo  , 
I  profondi  pensier  celando  invano 
Sedea  il  vecchio  Giaffir  nel  suo  divano. 

E  benché  rado  il  Mussulman  col  volto 
I  segreti  dell'alma  altrui  disvele  , 
Dotto  in  tenere  ogni  pensier  sepolto 
Fuorché  l'orgoglio  indomito  e  crudele  , 
La  curva  fronte  e  il  rigido  contegno 
Dell'agitato  cor  davan  pur  segno. 

t  ra. 

«  Si  sgombri ,  e  dell'  Harem  tosto  si  chiame 
U  capo  delle  guardie  »   —  In  un  baleno 
Degli  schiavi  sparito  ecco  è  lo  sciame. 


E  questa  non  curanza  di  adattarsi  il  più  che  è  possibile  al 
metro  dell'autore  è  uno  dei  principali  rimproveri  che  io  fo  pure 
al  Gazzino  recente  traduttore  del  Pellegrinaggio  del  Giovine 
uiroldo.  —  Un  poema  siccome  questo  che  non  consiste  in  una 
narrazione  continuata ,  ma  in  osservazioni  e  in  descrizioni  per 
lo  più  le  une  dalle  altre  staccate  ,  poema  che  nell'  originale  è 
divìso  in  tante  Stanze  Spenseriane  composte  ciascuna  di  otto 
versi  eroici  e  di  un  alessandrino  che  serve  di  chiusa  ,  non  po- 
teva essere  voltato  in  versi  sciolti  senza  che  perdesse  il  suo 
carattere.  Non  solamente  nell'originale  quasi  ogni  stanza  è  una 
cosa  perfetta  in  se  stessa  e  spesso  ,  pei  frequentissimi  voli  del 
poeta  ,  indipendente  da  quella  che  precede  e  dall'altra  che  segue, 
ma  il  genio  dell'  autore  ha  molte  fiate  voluto  esprimervi  un 
pensiero  epigrammatico  il  quale  ,  siccome  avviene  negli  epi- 
grammi ,  è  preparato  nei  primi  versi  e  viene  ,  per  cosi  dire  , 
a  scoppiare  precipitando  e  lampeggiando  negli  ultimi.  —  Ora 
egli   è   impossibile   che   un    poema   ideato   a  questo  modo  non 


583 

iscapiti  immensamente  venendo  ridotto  in  verso  sciolto  ,  col 
quale  vi  si  introduce  una  forma  affatto  diversa  dalla  sua  pro- 
pria, e  gli  si  dà  quasi  un  andamento  connesso  e  continuo,  con- 
trario alla  sua  indole,  il  che  fa  che  la  mente  più  non  vi  trovi 
quei  luoghi  di  riposo  nei  quali  era  intenzione  del  poeta  che 
si  fermasse  a  considerare  un  pensiero  acuto,  un  sarcasmo  od 
una  di  quelle  idee  compendiate  e  concise  che  hanno  d'uopo  di 
essere  ponderate  con  qualche  meditazione.  Non  dissimulerò 
tuttavia  che  lo  scegliere  un  metro  adattato  a  quello  deìV^roldo 
è  un  problema  di  non  facile  risoluzione,  h'otta^'n  si  presenta 
a  primo  aspetto  come  la  stanza  più  naturale  e  più  accetta  agli 
Italiani;  ma  si  vuol  riflettere  che  otto  versi  inglesi  di  dieci 
sillabe  ed  uno  di  dodici  non  possono  senza  un  grave  sforzo 
essere  compressi  in  soli  otto  dei  nostri  eroici ,  tanto  più  che 
le  parole  monosillabiche,  di  cui  abbonda  la  lingua  inglese,  esi- 
gono qualche  ampiezza  dì  spazio  per  essere  allungate  nei  po- 
lisillabi del  nostro  idioma. 

L'ottava  rima  sarebbe  dunque  un  letto  di  Procuste,  in  cui 
un  traduttore  deW^roldo  giacerebbe  con  grandissimo  tormento, 
«ebbene  si  abbiano  esempi  di  stanze  Spenseriane  voltate  e  ri- 
strette in  ottave  ,  uno  dei  quali  ci  venne  dato  dall'Inglese  Ma- 
tJiias,  peritissimo  della  lingua  italiana  ,  che  in  un  modo  assai 
lodevole  per  uno  straniero  trasportò  non  è  molto  dalla  sua  lingua 
nella  nostra  un  lungo  episodio  del  gran  poema  di  Spencer,  in- 
titolato la  Regina  della  fate.  6e  la  troppa  ristrettezza  dell'ot- 
tava potrebbe  generare  oscurità  ,  cosa  soprattutto  da  evitarsi 
nel  tradurre  un  poeta  che  talvolta  non  è  de'  più  chiari ,  la 
troppa  libertà  che  nasce  dal  verseggiare  scioltamente  invita  a 
cadere  in  un  altro  difetto  non  meno  grave  ,  che  è  lo  scriver 
diffuso  e  per  conseguenza  l'indebolimento  dei  pensieri  dell'autore. 
Di  questo  vizio  del  Cazzino  io  verrò  a  parlare  più  sotto , 
dove  avvertirò  come  egli  abbia  veramente  ecceduto  i  limiti  della 
discrezione.  Intanto  vorrei  pure  indicare  un  qualche  metodo 
per  mettere  un  futuro  traduttore  del  poema  di  cui  si  tratta  , 
in  istato  di  servirsi  della  rima  senza  che  sia  costretto  a  muti- 
lare le  idee  del  suo  autore  per  ristringerle  dentro  a  troppo  an- 
gusti confini.  —  So  che  chiunque  non  abbia  con  la  grandezza 


584 

dell'  ingegno   acquistato   il  dritto  d' introdurre  nuove  regole  in 
letteratura,  può  meritamente  essere  tacciato  di  prosontuoso  quando 
si   arrischi  a  mettere   innanzi  una  sua  novità.  Tuttavia  paren- 
domi di  aver  già  detto   abbastanza  perchè  forse  taluno  ini  giu- 
dichi  temerario  ,   tanto  vale  eh'  io    spieghi  chiaramente  il  mio 
pensiero.    E   il    mio   pensiero ,   che   sottopongo   al  giudizio  del 
lettore   con  la   dovuta  diffidenza  di  me  stesso,  non  è  altro  se 
non  questo  ,  che  ciascuna  stanza  inglese  dell'Aroldo  possa  es- 
sere tradotta  ia  altra  italiana  di  dieci  versi ,  non  già  costruita 
come  quelle  decime  che  all'imitazione  delle  ottave   hanno  due 
rime   alternate   pei  primi  otto  versi  ,  mentre  i  due  ultimi  ri- 
mano   insieme  (metro   difficilissimo   per   le   quattro   e  quattro 
rime  che  si  richieggono  e  spiacevole  per  la  lena  che  tiene  troppo 
lungamente  sospesa   in    chi  legge  ) ,  ma  formata  di  tre  terzine 
e  di  un  verso  di  chiusa ,  il  che  offre  il  vantaggio  di  più  pause, 
congiunto  a  una  maggior  varietà  nel  rimare.  —  Io  sono  tanto 
persuaso  che  una  buona  scelta  di  metro  è  importantissima  alla 
buona  riuscita   di  una  traduzione  ,  che  ho  voluto    soffermarmi 
a  trattare  di  questa  materia  anche  più  a  lungo  che  non  avrei 
dovuto  e  con  rischio  di  mettere  l'altrui  pazienza  alla  prova.  — 
Passerò  ora  al  secondo  difetto  che  ravviso  nel  lavoro  del  Gaz- 
Zino,  il   quale  è  gravissimo  ,  siccome  quello  che  alla  brevità  e 
alla  forza   del   dire   di   Byron   sostituisce  una  lunghezza  ed  un 
languore   che    fanno   scomparire   il   più  bel  pregio  del  poema. 
Ho    già   detto   come    questo  sia  diviso   in  tante  stanze  di  nove 
versi    caduna,  tranne    quattro  pezzi  lirici  di   vario    metro.    — >■ 
Egli  pare  che  se  si  concedesse  al  Gazzino  di  voltare  in  dodici 
o  al  più  tredici  versi  ciascuna  stanza,  egli  non  solamente  non 
si  dovrebbe  lagnare  di  troppa  strettezza,  ma  avrebbe  ragione  di 
riguardare  questa  latitudine  come  generosa.  Che  si  dirà  dunque 
quando  si  sappia    ch'egli  sta    rade    volte  dentro  questi  termini 
e  che  il  più    sovente  gli  eccede  stendendosi  sino  a  quindici  o 
sedici  versi  ed  anche  a  diciotto  e  diciannove?  Il  merito  prin- 
cipale di  un  traduttore  ,  dopo  la  retta  intelligenza  del  suo  au- 
tore ,    è   quello   di   rendere  con  fedeltà  ,  concisione  ,  nerbo  ed 
eleganza    le    cose    che    intraprende   a    recare   nella    sua  lingua. 
Qual    concisione   e    qual   nerbo  possa  trovaxsi    in  una  versione 


585 

così  dilungata,  che  altri  paragonerebbe  alla  lira  sterlina  cam- 
biata in  tante  lire  nostrali,  io  lascerò  che  ciascuno  se  lo  ima- 
gini ,  e  dirò  brevemente  della  eleganza  e  della  fedeltà  per  ve- 
nirne quanto  prima  ad  una  conclusione.  —  Per  ciò  che  è  della 
eleganza  pare  veramente  che  si  debba  più  lode  che  censura  al 
nostro  traduttore ,  il  quale  mostra  di  entrare  ben  addentro  nella 
cognizione  della  propria  lingua  e  nell'artifizio  dello  stile,  come 
pure  in  generale  nella  costruzione  del  verso ,  ma  a  quest'elogio 
che  mi  stimo  in  debito  di  fargli,  mi  tocca  con  grave  rincresci- 
mento di  contrapporre  la  dichiarazione  che  in  fatto  di  fedeltà 
il  suo  volgarizzamento  è  straordinariamente  peccante.  In  un 
poema  in  cui  gì'  Inglesi  medesimi  confessano  di  trovare  non 
poche  difficoltà,  non  è  maraviglia  che  talvolta  un  Italianp  non 
arrivi  a  dare  una  spiegazione  che  sia  soddisfacente.  Di  questa 
oscurità  non  voglio  accusare  il  Gazzino  ,  ma  non  posso  non 
attribuire  a  lui  1'  esagerazione  che  s'incontra  nel  principio  del 
poema  ,  là  dove  si  parla  dei  bagordi  d'^roWo  ,  i  quali  sono 
dipinti  nell'italiano  con  una  tinta  assai  più  fosca  che  non  nei 
versi  di  Byrou.  —  Il  poeta,  che  forse  volle  far  allusione  agli 
errori  della  sua  gioventù,  aveva  già  fatta  una  confessione  schietta 
abbastanza  senza  che  il  traduttore  si  prendesse  la  libertà  di 
aggravare  le  colpe  confessate  ,  dando  un'interpretazione  sinistra 
a  parole  che  ne  possono  ricevere  una  più  naturale  e  xpen  rea  *i. 
Parimenti  sono  tutta  colpa  del  Gazzino  i  frequenti  scambi 
che  occorrono  nel  significato  di  parole  e  di  frasi  che  Rer  se 
stesse  non  presentano  alcuna  difficoltà  *a  ;  e  colpa  &u.a  wno  le 
volontarie  variazioni  che  va  introducendo  quasi  ad  innalzare  i 

*i  Cosi  nella  prefazione  la  parola  waiter  vale  seguace,  scudiero  e  uon  giovi- 
nastro dedito  al  bagordo.  —  Cosi  nella  stanza  IX  del  canto  I  il  poeta  dice  che 
niuno  amò  ArolJo ,  e  non  già  che  nullo  potè  mai  amarlo ,  nel  che  il  traduttore 
sembra  aver  confuso  il  did  col  could ,  tra  i  quali  passa  una  grandissima  diversità. 
—  Nella  medesima  stanza  repeller  significa  una  persona  che  mangia  e  beve  schia- 
mazzando e  non  già  un  donzello  bordelliere;  e  lemans  corrisponde  al  fianccstf 
maìtresses  e  non  &  fanciulle  svergognale.  —  E  questo  basti  per  prova  dell'esa- 
gerazione che  ho  acccimata,  di  cui  potrei  citare  altri  esenjpi  se  l'amore  di  brevità 
non  m' inducesse  a  tralasciarli. 

*-ì  Le  yaruìc  oj'  iitdijfvieut  memory  ,  nella  prefazione,  aiijuifKano  di  non  lode- 
vole memoria   e  nou  ^^ià   cui  non  monta   il  ricordare.   —  L'ultuiio  verno  dell» 

36 


586 

pensieri  del  poeta  e  rivestirli  di  maggior  decoro.  —  Qui  non 
posso  stare  che  non  riferisca  una  parte  della  stanza  XXXVIII 
del-  IV  canto ,  in  cui  il  poeta  dopo  di  aver  inveito  contro  Al- 
fonso d'Este  pei  mali  trattamenti  fatti  soffrire  all'infelice  2or- 
quato  ,  e  di  aver  detto  che  «  nato  in  altra  condizione  appena 
3)  sarebbe  stato  degno  di  essere  lo  schiavo  della  sua  vittima:  » 
aggiunge  pieno  di  santo  sdegno:  TU  nato  per  mangiare ^  essere 
disprezzato  e-  morire  come  muojono  le  bestie ,  tranne  che  avesti 
un  più  splendido  truogolo  ed  un  pia  ampio  porcile.  EGLI  con 

un  aureola  intorno  alla  froìite 

Parole  altamente  sdegnose  e  piene  di  nobilissima  bile,  seb- 
bene in  apparenza  triviali ,  che  al  traduttore  è  piaciuto  di  vol- 
tare nel  modo  seguente  : 

»  TU  nato  ai  prandj  e  al  vitupero  ^  pari 

»  A' bruti  cui  coglie  anzi  tempo  *i  morte: 

»  Se  non  che  l' esca  più  pregiata  e  avesti 

»  Più  magnificò  il  tetto.  EI  glorioso 

XIV  stanza  del  primo  canto  è  compiutamente  sbagliato.  Drizzano  il  corAt  tra  fer- 
tili sponde  dove  tuttavia  pochi  contadini  mietono  :  dice  il  poeta.  Non  cosi  il  tra- 
duttore che  volta: 

E  alle  feroci  (  feraci  ?  ) 

Contrade  il  drizza  là  've  copiosa 

All'iiidustre  colon  messe  risponde. 

Nel  canto  II  stanza  XVII  king-making  victory  vale  vittoria  creatrice  di  re  e 
non  d' allori  prodiga  vittoria.  —  Canto  IV  stanza  Vili  ay  è  puramente  un'  af- 
fermazione più  energica  e  non  ha  niente  che  fare  con  ahi  lasso.  —  Canto  IV  ' 
stanza  XXVIII  deep  dyed  applicato  al  fiume  Brenta  è  allusivo  alle  sue  acque 
torbide ,  e  non  può  tradui-si  por  alto  /lutto.  —  Canto  IV  stanza  LXII  ciò  che  il 
Cazzino  traduce  affretta  alla  solinga  valle  ,  prendendo  sultry  per  solitary ,  vuol 
dire  letterahnente  fumano  per  la  soffocante  pianura.  —  Canto  IV  stanza  LXIII 
il  reeled  away  e  tutto  ciò  che  vi  si  dice  del  terremoto ,  ha  una  foi-za  d' imagine 
che  è  appena  accennata  nella  traduzione.  —  Cauto  IV  stanza  LXXII  qucll'  amore 
che  sta  vegliando  sulla  demenza  con  volto  inalterabile  è  tutt' altro  che  l'amor 
che  con  sereno-occhio   contempli  la  demenza  e  rida. 

Alla  pag.  277  squabble  risponde  bensì  al  francese  querelle,  ma  non  già  all'ita- 
liano querela  ecc.  ecc.  —  E  di  questi  esempi  potrei  pure  addurre  non  picciol  nu- 
mero tolto  da  tutti  i  canti ,  ma  qui  m' arresto  per  non  ingrossare  straordinaria- 
mente questa  nota. 

*i  Che  cosa  il  Cazzino  aljbia  voluto  dire  con  le  parole  anzi  tempo,  che  ha 
aggiunto  del  suo  ,  io  confesso  di   non  saperlo   comprendere.  —  lì  poeta  paragona 


587 

E  qui  pure  nel  leggere  questi  versi  e  nello  scorgere  trasfor- 
mato il  mangiare  in  prandj ,  il  truogolo  in  esca ,  il  porcile  in 
tetto,  acciò  il  poeta  parli  più  dignitosamente  da  par  suo,  mi 
sembra  di  vedere  Michele  Leoni  raddrizzare  le  gambe  a  Shàk- 
speare  ,  o  veramente  Irò  far  la  limosina  a  Creso.  Di  queste 
cose  che  mostrano  un'  eccessiva  e  mal  intesa  delicatezza  nel 
traduttore  ,  e  annunziano  un  sentire  lontano  dall'  arditezza  di 
quello  del  poeta,  il  lettore  attento  e  che  abbia  qualche  perizia 
dell'  inglese  troverà  tanta  copia  nell'  Araldo  italiano  da  fargli 
cadere  il  libro  dalle  mani ,  salvo  non  voglia  leggere  il  Cazzino 
e  non  si  curi  di  conoscere  Bjron. 

10  non  entrerò  in  maggiori  particolari  per  dimostrare  più 
minutamente  quanti  siano  gli  sbagli  del  traduttore  ,  ma  non 
voglio  tralasciare  di  chiedergli  perchè,  traducendo  in  versi  tutta 
r  opera  ,  abbia  voltate  in  prosa  le  poche  e  belle  stanze  della 
dedica  a  lantlie  :  perchè  le  graziose  romanze  del  canto  I ,  l'ad- 
dio alla  patria  e  V altro  a  Inez ,  che  era  ovvio  di  recare  in 
versi  anacreontici ,  siano  state  1'  una  sagrificata  all'amore  degli 
sciolti  ,  r  altra  ridotta  in  endecasillabi  rimati  ?  quartine  :  per- 
chè finalmente  là  dove  nel  canto  IV  il  poeta  ci  dà  letteral- 
mente in  due  stanze  il  celebre  sonetto  del  Filicaìa  Italia,  Ita- 
lia !  non  introducendovi  del  suo  che  uno  o  due  versi ,  non  sia 
nato  nella  mente  del  Cazzino  il  pensiero  di  restituirci  le  stesse 
espressioni  del  poeta  italiano,  piuttosto  che  stemperarne  le 
idee  in  ventisei  versi  di  suo  conio.  —  Dopo  tutto  questo  non 
mi  resta  se  non  a  conchiudere  che  il  lavoro  del  Gazzino  ben- 
ché lodevole  sotto  qualche  aspetto ,  non  è  tuttavia  tale  che 
possa  darci  una  giusta  idea  àoiV Araldo  inglese,  né  far  si  che 
non  se  ne  debba  desiderare  un'  altra  versione. 

11  sig.  Cazzino  non  prenda  in  mala  parte  queste  mie  osser- 
vazioni che  il  solo  amore  della  verità   mi  ha   dettate  ,  ma  da 

solamente  il  vivere  e  il  morire  d'Alfonso  a  quello  dei  bruti ,  e  poco  importa  che 
questi  muoiano  innanzi  tempo  od  in  età  matura.  Forse  il  traduttore  si  ricordò  di 
quel  lepido  epitafio  già  fatto  ad  un  tal  Giovanni  Vilelli ,  che  lo  scrittore  racco- 
mandava al  cielo ,  dicendo  : 

Vituli  misercre  Johannis 

Qucm  moj's  prievipicns  non  sinit  esse  bovcm. 


588 

saggio  pensi  di  non  aver  fatto  perora  altro  che  uno  studio  su 
Lord  Byron  per  prepararsi  ad  un  novello  lavoro;  ed  io  mi  farò 
premura  di  tributargli  i  dovuti  encomii ,  allorché  schivando  i 
difetti  che  ho  in  questo  accennati  ,  egli  faccia  una  traduzione 
degna  di  quell'  ingegno  che  a  più  segui  si  vede  essergli  slato 
dalla  natura  largamente  compartito. 

20  agosto  iS3y. 


Risposta  alle  brevi  riflessioni  del  Medico  D-R.  inserite  nel  fa- 
scicolo d'agosto  i83j  del  Subalpino,  sull'articolo  pubblicato 
in  quello  di  febbraio  e  marzo  dello  stesso  Giornale,  ed  inti- 
tolato :  Esposizione  ed  esame  critico  del  sistema  frenologico 
ecc.  del  Dott.  L.  Cerise. 


Quando  io  pubblicai  nel  fascicolo  di  febbraio  e  marzo  del 
Subalpino  una  breve  analisi  dell'  operetta  del  Dottore  Cerise 
sulla  frenologia,  n'ebbi  a  soffrire  da  alcuno  acerbi  rimproveri, 
quasiché  io  avessi  questo  pubblicato  coli'  unico  fine  di  deni- 
grare la  frenologia  avanti  agli  occhi  della  gente  dabbene.  Io  ri- 
sposi allora  che  aveva  creduta  cosa  utile  di  far  conoscere  que- 
st'  opera  di  recente  uscita  ,  e  di  cui  i  giornali  forestieri  avevano 
parlato  con  elogio  -,  tanto  più  per  essere  questa ,  fatica  di  un 
nostro  compaesano  :  che  se  la  dottrina  frenologica  era  ferma- 
mente stabilita  sulle  sue  basi ,  sarebbe  certamente  riuscita  vit- 
toriosa nella  lotta ,  e  che  io  per  mia  parte  erami  astenuto  dal 
manifestare  la  mia    opinione  ^   appunto  perchè  era  contraria  a 


589 

quella  dei  frenologi ,  e  non  voleva  acquistarmi  la  taccia  di  in- 
j^iusto  o  parziale  ;  che  del  resto  rimaneva  a  chiunque  libero  il 
campo  di  rispondere. 

Queste  cose  ho  voluto  qui  premettere  ,  affinchè  si  sappia  che 
io  non  entro  nell'  arringo  di  mia  spontanea  volontà  ,  e  se  il 
Medico  D-R.,  facendo  una  critica  ragionata  dell'opera  del  Ce- 
rlse ,  e  ribattendo  i  di  lui  argomenti  ad  uno  ad  uno,  mi  avesse 
lasciato  in  pace  ,  come  io  lo  desiderava  ,  avrei  io  pure  lasciata 
la  briga  di  rispondere  all'autore  della  confutazione  frenologica. 

Siccome  però  il  Medico  D-R.  mi  proclama  parziale ,  e  sic- 
come egli  tenta  solamente  di  fare  un'apologia  della  frenologia, 
senza  confutare  gli  argomenti  del  Gerise ,  così  mi  veggo  a- 
stretto  a  prendere  la  penna  ,  prima  per  quanto  mi  riguarda 
personalmente ,  e  quindi  per  dimostrare  che  finora  egli  noa 
distrusse  alcuna  delle  obbiezioni  dell'  avversario  che  si  accinse 
a  combattere. 

Comincierò  adunque  a  parlare  di  me  ,  perchè  sono  il  primo  a 
cui  il  Dott.  D-R.  si  rivolge,  accusandomi  di  parzialità  per  avere 
tentato  di  confutare  la  frenologia  con  argomenti  metafisici  ^  e 
per  aver  detto  che  nelle  dispute  di  frenologia  si  pecca  da  ambe 
le  parti  per  mancanza  di  buona  fede. 

Riguardo  alla  prima  imputazione  risponderò  ,  che  se  il  Me- 
dico D-R.  avesse  letta  attentamente  l'opera  del  Gerise  ,  ed  il 
sunto  che  io  ne  feci,  veduto  avrebbe  facilmente  che  io  no» 
espriuio  mai  il  mio  modo  di  pensare  in  tutti  quei  fogli  :  che  io 
non  aggiunsi  un  solo  argomento  a  quelli  arrecati  dal  Gerise,  e 
che  riferii  semplicemente  le  di  lui  opinioni  in  ristretto ,  non  già 
perchè  temessi ,  o  tema  di  far  conoscere  il  mio  modo  di  pensare 
riguardo  a  questa  questione  ,  ma  perchè  non  voleva  prendere 
ad  impugnare  né  l'una,  né  1'  altra  opinione.  Giò  ripeto  ora  a 
bella  posta  perchè  non  voglio  mai  che  mi  sia  attribuita  cosa  eh' 
io  non  feci,  quand'anche  l'averla  fatta  fosse  per  me  glorioso. 

Quanto  poi  spetta  alla  seconda  accusa  del  Medico  D-R.,  ove 
io  abbia  dimostrato  apertamente  esservi  dei  frenologi  di  mala 
fede ,  spero  che  la  taccia  di  parziale  cesserà  d'  essermi  appo- 
sta ;  ma  di  ciò  parleremo  in  seguito.  Vediamo  ora  in  qual  modo 
il  Dott.  D-R.  risponde  agli  argomenti  del  Gerise. 


590 

Egli  comincia  per  dire  che  il  Cerise  si  avvolge  nelle  astru- 
serie metafisiche  ,  e  che  non  vi  può  esistere  alcuna  cognizione 
positiva  senza  la  perfetta  conoscenza  delle  relazioni  fra  l'anima 
ed  il  corpo.  Né  in  ciò  discorda  dal  Cerise ,  il  quale  dice  che 
la  sola  certezza  assoluta  è  posta  nella  conoscenza  delle  relazioni 
fra  r  attività  umana  ed  il  suo  organismo.  Finquì  essi  vanno 
perfettamente  d'accordo  ,  ma  dissentono  però  in  ciò  che  il  Me- 
dico D-R.  dice  essere  la  sola  scienza  frenologica  atta  a  darci 
questa  conoscenza  ,  essendoché  essa  sola  fa  conoscere  come 
l' esercizio  delle  facoltà  morali  ed  intellettuali  si  esercita  per 
mezzo  di  organi. 

Questo  però  non  è  menomamente  provato,  perché  in  primo 
luogo  converrebbe  dimostrare  essere  la  frenologia  una  scienza, 
la  qual  cosa  viene  contestata  dal  Cerise,  e  da  infiniti  altri  5  in 
secondo  luogo  che  la  sola  frenologia  sia  quella  che  fa  cono- 
scere esercitarsi  le  facoltà  morali  ed  intellettuali  per  mezzo  di 
organi,  essendo  questa  verità  antica  quanto  la  fisiologia,  e 
diffatti  il  Cerise  dice  che  l'uomo  è  una  attività  servita  da  un 
organismo.  Ma  ciò  che  separa  Cerise  dai  frenologi  si  è ,  l'avere 
essi  stabilito  ,  o  a  dir  meglio  supposto  nel  cervello  tanti  organi 
particolari,  ed  il  considerare  questi  organi  come  attivi  da  se 
stessi  o  come  tanti  centri  di  attività  ,  la  qual  cosa  secondo  il 
Cerise  conduce  al  materialismo. 

Ad  una  tale  imputazione  risponde  il  Dott.  D-R.  colle  se- 
guenti parole  :  «  non  negarsi  dai  frenologi  il  principio  attivo , 
))  r  animo  ,  ma  questo  esercitare  le  sue  funzioni  per  mezzo  di 
»  organi  ,*  questi  essere  strumenti  o  mezzi,  ma  non  il  princi- 
M  pio  attivo  il  quale  pensa,  il  quale  induce  a  fare,  o  non  fare 
»  una  cosa  :  che  gli  organi  sono  attivi  in  quanto  che  per  leggi 
»  dell'  organismo  possono  agire  sopra  di  loro  j  come  possono 
»  essere  posti  in  azione  da  altre  cause  3  come  da  qualunque  al- 
»  tra  causa  può  spontaneamente  prodursi  in  essi  una  muta- 
»  zione  stimolante  all'  esercizio  di  quella  facoltà  j  senza  che  vi 
»   sia  assoluta  necessità  di  tale  esercizio.  » 

Il  Dott.  D-R.  accusa  Cerise  d' ingolfarsi  nelle  astruserie  me- 
tafisiche ,  ma  dimmi j  o  lettore,  se  tu  comprendi  questa  con- 
fusione di  parole,  perchè,  a  dirti  il  vero  >  io  ne  intendo  poco. 


591 

Proviamoci  però  e  cerchiamo  d' illuminarci  a  vicenda.  L'animo 
esercita  le  sue  funzioni  per  mezzo  di  organi  :  finqui  va  bene  , 
se  si  eccettui  il  significato  dato  alla  parola  organi.  Questi  or- 
gani sono  strumenti,  ma  non  il  principio  attivo  il  quale  induce. 
a  fare  o  non  fare  una  cosa.  Né  diversamente  la  intende  il  Ce- 
rise ,  quando  dice  che  1'  uomo  è  una  attività  servita  da  un  or- 
ganismo. Gli  organi  sono  attivi  in  guanto  che  per  leggi  deW 
organismo  possono  agire  sopra  di  loro.  Ma  chi  sono  questi  loro? 
Forse  gli  organi  stessi  ?  in  tal  caso  avrebbe  dovuto  dire  il  D-R. 
sopra  di  loro  stessi  ,  o  sopra  di  se  stessi ,  o  gli  uni  sopra  gli 
altri  reciprocamente.  Ma  se  essi  sono  semplici  strumenti,  come 
potranno  operare  di  per  sé.  Adunque  questi  strumenti  hanno 
pure  in  se  stessi  una  forza  di  azione  non  dipendente  dall'animo  5 
adunque  non  sono  più  semplici  strumenti  :  ma  proseguiamo. 
Come  possono  essere  posti  in  azione  da  altre  cause.  Ma  da  quali 
cause,  doveva  almeno  dircele  il  Medico  D-R.,  perchè  la  prima 
causa  di  azione  è  l'animo  stesso ,  a  suo  dire ,  di  cui  essi  organi 
sono  strumenti  ,  i  quali  strumenti  però  non  ubbidiscono  sempre 
all'animo,  ma  qualche  volta  operano  da  sé,  ed  altre  volte  ope- 
rano per  altre  cause:  ma  seguitiamo.  Come  da  qualunque  altra, 
causa  può  spontaneamente  prodursi  in  essi  una  mutazione  stimo- 
lante all'  esercizio  di  quella  facoltà  ,  senzadio  vi  sia  assoluta  ne- 
cessitd  di  tale  esercizio.  Qui  osserveremo  primieramente  che  se 
si  produce  una  mutazione  da  qualsivoglia  causa,  questa  non  può 
più  succedere  spontaneamente,  perchè  causa  e  spontaneità  sono 
due  cose  fra  loro  ripugnanti  5  quindi  non  sappiamo  compren- 
dere come  questa  mutazione  induca  soltanto  tendenza  e  non 
necessità  di  azione.  Perocché  è  legge  di  frenologia  che  l'animo 
non  può  nulla  operare  senza  il  ministero  di  quel  dato  organo, 
e  le  sue  operazioni  sono  sempre  d'  accordo  collo  sviluppo  di 
quel  dato  organo ,  cosi  nessuno  potrà  essere  poeta  o  pittore 
senza  l'organo  dell'idealità,  e  nessuno  potrà  essere  buon  pa- 
dre senza  1'  organo  della  fìlogenitura.  Nò  vale  il  dire  che  que- 
sti organi  si  possono  sviluppare  col  mezzo  dell'educazione,  per- 
chè a  ciò  fare  è  necessario  quello  dell'  educabilità.  Se  Paolo 
adunque  non  può  avere  inclinazioni  virtuose  e  per  conseguenza 
eseguire  azioni  conformi  alla  virtù ,  perchè  gli  mancano  gli  or- 


592 

galli  che  portano  a  queste  inclinazioni  ,  e  se  per  l'opposto  sono 
assai  sviluppali  in  lui  gli  organi  delle  facoltà  che  portano  al 
vizio  ed  al  delitto  ,  allora  bisognerà  per  forza  che  divenga  un 
birbante,  giacché  dice  Spurzheim,  «l'educazione  non  crea, 
»  tutta  la  sua  influenza  limitasi  a  coltivare  le  facoltà  ed  a  di- 
»   rigere  le  azioni.  » 

Eppure  il  D-R.  sostiene  che  i  frenologi  ammettono  la  libertà 

nell'  uomo. 

Prima  di  tutto  è  necessario  di  sapere  che  cosa  si  intenda  sotta 
il  nome  di  libertà. 

Noi  non  possiamo  intendere  altro  che  la  piena  facoltà  di 
fare  o  non  fare  una  cosa,  qualunque  sia  il  motivo  che  possa 
renderci  più  piacevole  il  farla,  o  non  farla;  e  perciò  secondo 
questa  definizione  il  trionfo  della  volontà  umana  sopra  le  sue 
passioni  è  il  più  allo  grado  in  cui  si  esercii!  la  libertà,  e  per 
conseguenza  la  volontà  è  tanto  più  forte  in  quanto  che  l'uomo 
si  sente  più  libero. 

I  frenologi  invece  cominciano  per  definire  la  volontà  in  que- 
sti termini  :  «  la  volontà  non  è  che  il  più  alto  grado  del  desi- 
»  derio ,  ed  essa  è  tanto  più  forte ,  in  quanto  che  gli  impulsi 
i)  sono  più  violenti  e  meno  riflessi ,  per  conseguenza  essa  è  in 
))  ragione  inversa  della  libertà.  »  Questa  libertà  poi,  secondo 
la  loro  opinione  ,  non  è  che  «  il  più  alto  grado  che  ha  l'uomo 
»  di  scegliere  la  determinazione  che  crede  migliore  dietro  tutti 
■»  i  motivi  che  trae  dalla  sua  ragione.  »  Ma  che  cosa  è  que- 
sta ragione  ? 

Secondo  Gali,  «  essa  non  è  che  un  modo  rischiarato  di 
»  azione  dei  sensi  intercrauiani ,  e  secondo  Spurzheim  ,  un 
-»  trionfo  subitaneo  dei  sentimenti  superiori  sopra  gli  inferiori.  » 
Dal  che  si  vede  chiaramente  che  i  frenologi  confondono  la 
passione  colla  volontà:  la  ragione  coli' impulso,  e  che  la  li- 
bertà per  essi  non  esiste. 

DifFatti  dice  Gali:  «quando  si  preconizza  il  libero  arbitrio, 
»  r  uomo  è  già  suir  orlo  del  precipizio ,  e  se  abusa  della  li- 
»  berta ,  lo  fa  perchè  è  spinto  d^  un  principio  fatale  ad  abu- 
»  sarne.  » 

Altrove  poi  dice    il   medesimo   autore  :  «  1'  uomo   finché  è 


593 

»  animale  sarà  forse  governato  da  leggi  organiche  opposte  a 
»  quelle  che  presiedono  alle  facoltà  del  cane ,  del  cavallo ,  e 
»  della  scimia?  Le  qualità  ed  i  talenti  particolarmente  distinti 
»  sono  dovuti  alla  medesima  origine  ,  il  sentimento  della  be- 
»  nevolenza  ,  le  idee  ed  i  sentimenti  religiosi  sono  sempre  l'ef- 
»  fetto  di  uno  sviluppo  favorevole ,  e  dell'  energia  insolita  di 
»   queste  facoltà.  » 

Queste  citazioni  ho  voluto  ripetere  acciocché  si  conosca  quale 
sia  il  principio  che  domina  tutto  il  sistema.  Io  non  niego  frat- 
tanto che  sianvi  frenologi  che  la  pensano  diversamente,  ma  è 
forza  di  confessare  con  Cerise  che  questi  si  allontanano  dai 
principj  fondamentali  posati  dai  loro  maestri. 

Ma  per  non  ingolfarci  nella  metafisica ,  lasciamo  da  parte 
questo  punto,  esortando  soltando  il  Medico  D-R.  a  rileggere 
attentamente  l'opera  del  Cerise,  ed  a  ribatterne  gli  argomenti, 
perchè  non  basta  il  dire  che  i  frenologi  la  pensano  così ,  ma 
bisogna  provarlo. 

Ora  veniamo  alla  questione  della  verità  o  falsità  della  dot- 
triua  stessa  riguardo  agli  organi. 

Il  Dott.  Cerise  cerca  di  provare  che  la  frenologia  è  fon- 
data sopra  la  cranioscopia,  e  che  senza  di  questa  non  potrebbe 
sussistere,  dicendo  che  dimostrata  la  falsità  della  craniosco- 
pia verrebbe  a  rovinare  immediatamente  tutto  l'edifìzio  freno- 
logico. 

Il  Medico  D-R.  non  combatte  questa  proposizione,  ma  si 
contenta  di  proclamare  l' infallibilità  della  cranioscopia.  Ora  fa 
d'uopo  di  qui  riportare  le  proposizioni  del  Dott.  Cerise,  colle 
quali  egli  non  impugna  la  cranioscopia  e  la  cerebroscopia  5 
quantunque  esse  sieno  state  già  da  noi  pubblicate  nel  sunto 
che  facemmo  della  dì  lui  opera ,  affinchè  i  lettori  possano  giu- 
dicare se  il  Dott.  D-R,  le  abbia  vittoriosamente  confutate  o  no. 

Prop.  I.*  «  La  superficie  del  cranio  non  riproduce  la  forma 
della  superficie  corrispondente  del  cervello.  » 

A  ciò  il  D-R.  sì  contenta  dì  rispondere  che  prima  della  vec- 
chiezza ,  epoca  in  cui  succedono  nuove  mutazioni  nel  cranio , 
questo ,  nei  luoghi  indicati  da  Gali  quale  sede  degli  organi , 
corrisponde  nelle  elevazioni  e  depressioni  alle  elevazioni  e  de- 


594 

pressioni  del  cervello,  siccome  le  quotidiane  osservazioni  di 
anatomia  lo  comprovano. 

Se  noi  volessimo  combattere  questa  proposizione  posta  con 
tanta  franchezza  arrecando  autorità  di  avversari  alla  frenologia , 
vana  sarebbe  la  nostra  opera ,  stantechè  i  soli  frenologi  sono 
in  questa  materia  di  buona  fede  ,  e  tutte  le  altre  autorità  deb- 
bonsi  rigettare  come  sospette. 

Pertanto  noi  ci  contenteremo  di  ricorrere  ai  frenologi  stessi 
accogliendone  quelle  modeste  confessioni  che  loro  sfuggono  , 
come  già  fece  il  Cerise  che  le  riferì  nella  sua  opera. 

Vediamo  adunque  quanto  dice  il  frenologo  Bailly  in  un  ar- 
ticolo inserito  nel  giornale  della  società  frenologica  di  Parigi 
intitolato:  Saggio  sui  mezzi  di  far  fare  dei  progressi  alla  fre- 
nologia, f^anlaggi  _,  insufficienza  ed  abusi  della  cranioscopia. 
Sono  le  di  lui  parole. 

«  Lo  stesso  sviluppo  delle  medesime  parti  del  cranio  ,  la 
))  stessa  dimensione  di  tutti  i  diametri  diversi ,  le  medesime  di- 
»  stanze  di  tutti  i  diversi  punti  che  si  possono  stabilire  alla 
»  di  lui  superficie,  possono  coesistere  collo  sviluppo  di  facoltà 
»   affatto  diverse  in  tutte  queste  differenze. 

«  Cosicché  due  teste  esattamente  e  matematicamente  simili 
»  per  tutte  le  misure  che  si  potranno  prendere  su  tutti  i  punti 
»  della  superficie  ,  e  in  qualunque  maniera  ciò  si  faccia  ,  po- 
»  tranno  appartenere  ad  individui  interamente  diversi  per  la 
»   natura  e  l'energia  delle  facoltà.  » 

Ed  inferiormente  : 

«  La  medesima  porzione  del  cranio  non  corrispondendo  mai 

»  alle  medesime  circonvoluzioni ,  ella  è  cosa  evidente  che  tutte 

•  »  le  misure  che  dar  si  possono  delle  diverse  porzioni  della  te- 

»   sta  non  potranno  giammai  avere  importanza  alcuna  per  dare 

»   una  idea  esatta  dello  sviluppo  di  facoltà  diverse. 

»  Ella  è  adunque  cosa  evidente  che  quando  una  regione  della 
))  testa  è  uniformemente  convessa  e  liscia,  non  esiste  né  nella 
))  cranioscopia,  né  nella  cefalometria  alcun  mezzo  per  accer- 
»   tare  il  vero  stato  del  cervello  che  essa  racchiude.  » 

A  questa  si  aggiunge  1'  autorità  del  D.  Casimiro  Broussais , 
autorità  certamente  non  sospetta  ,  il  quale  manifestò  la  propria 


595 

tìpinlone  a  questo  riguardo  nel  congresso  isterico  del  i835  in 
un  discorso  apologetico  della  frenologia. 

Egli  confessa  che  i  casi  in  cui  le  circonvoluzioni  cerebrali 
corrispondono  alle  elevazioni  del  cranio  non  giungono  alla  metà. 
Se  non  si  trattasse  di  due  frenologi  che  non  si  possono  tac- 
ciare di  mala  fede ,  potremmo  dubitare  della  verità  di  queste 
asserzioni ,  ma  per  non  meritarci  dal  Medico  D-R.  la  taccia  di 
parziali,  siamo  astretti  a  credere  sulla  loro  parola,  lasciando 
soltanto  al  suddetto  di  conciliare  con  essi  la  sua  proposizione 
affatto  contraria.  Conchiuderemo  perciò  col  Dott.  Cerise  es- 
sere la  craniologia  una  dottrina  fallace. 

Prop.  a."  «  Nell'immensa  maggioranza  dei  casi  in  cui  si  osser- 
»  vano  prominenze  e  depressioni ,  esse  non  hanno  alcuna  re- 
M  lazione  colle  facoltà  che  ad  esse  si  pretendono  corrispon- 
»   denti.  » 

A  ciò  risponde  il  Dott.  D-R.,  che  migliaia  di  fatti  dimo- 
strano la  corrispondenza  delle  facoltà  alle  circonvoluzioni,  e 
che  pochi  fatti  contrarli  non  bastano  a  distrurre  questi  mi- 
gliaia. 

Però  se  fosse  permesso  di  addurre  autorità  antifrenologiche 
questi  migliaia  di  fatti  sarebbero  ridotti  d'assai,  e  questi  po- 
chi di  alcune  centinaia  accresciuti  *i.  Per  esempio  riguardo  al 
cervelletto  specialmente,  ove  vien  posta  la  sede  dell' amati- 
vita  ,  potremmo  addurre  l'autorità  di  Bouillaud ,  il  quale  con- 
fessa che  da  caldo  settatore  di  Gali,  qual  egli  era,  fu  poi  in- 
dotto a  dubitare  della  dottrina  del  frenologo  tedesco  dalle  con- 
vincenti sperienze  di  Flourens,  e  dietro  le  proprie  ebbe  a  con- 
chiudere quanto  segue: 

<t  i."  Le  sperienze  sugli  animali  ,  e  le  osservazioni  raccolte 
»  fra  gli  uomini  non  ci  autorizzano  a  seguitare  1'  opinione  di 
»   Gali  sulle  funzioni  del  cervelletto. 

«  2."  Queste  sperienze  si  potrebbero  piuttosto  indurre  a  pen- 
»  sare  che  il  cervelletto  sia  il  centro  legislativo  dei  moti  di 
»  equilibrio  e  di  locomozione.  » 


*i  Vedi  la  lettera  del  Cav.  Speranza    al  Dott.  Finella ,  inserita   nelle  Efl'emc- 
ridi  di  Fantonetti,  fascicolo  di  maggio  iSÒ-j. 


596 

Siccome  però  1'  autorità  di  Bouillaud  è  sospetta  perchè  di- 
sertò le  bandiere  della  frenologia  ,  ci  appelleremo  ai  frenologi 
medesimi.  L'  ottimo  nostro  collega  il  Dott.  Bonacossa ,  quan- 
tunque egli  stesso  frenologo  ,  nella  sua  statistica  del  Regio  Ma- 
nicomio Torinese  ,  già  da  noi  lodata  in  questo  medesimo  Gior- 
nale ,  confessa  ingenuamente  che  spesso  non  havvi  differenza 
fra  il  cervello  di  un  sapiente  e  quello  di  un  idiota  *i.  Avver- 
tiamo poi  che  molti  di  questi  fatti  di  cui  parla  il  D-R.  sono 
fondati  sulla  cranioscopia  dimostrata  fallace.  Inferiormente  di- 
mostreremo poscia  ad  evidenza  con  fatti  citati  dai  frenologi 
stessi ,  come  possano  esservi  circonvoluzioui  svilupatissime  e 
mancanza  di  facoltà  e  viceversa. 

E  bensì  vero  che  il  Medico  D-R.  soggiunge  che  alcuni  fatti 
contrarii  non  possono  distrurne  migliaia  ,  ma  se  vogliamo  es- 
sere di  buona  fede ,  rimarrà  provatissimo  doversi  credere  falsa 
la  teoria  degli  organi  ,  ove  abbiavi  facoltà  alcuna  manifesta  con 
mancanza  dell'organo  da  cui  si  fa  derivare;  poiché  dovremo 
allora  credere  non  essere  questo  l'organo  di  detta  facoltà;  giac- 
ché nissuuo  finora  potè  vedere  senza  occhi ,  o  fece  qualche 
moto  senza  1' oi-gano  che  a  quello  presiede,  e  così  se  havvi 
Tin  organo  sviluppatissimo  con  deficienza  della  facoltà  cui  esso  si 
fa  presiedere,  potremo  conchiudere  almeno  che  i  sensi  non 
possono  mai  accertarci  dello  stato  dell'organo  cbe  favorisce  lo 
sviluppo  di  queste  facoltà. 

Per  altra  parte  lo  stesso  Casimiro  Broussais  nel  rendiconto 
per  gli  anni  i833  e  34,  stampato  nel  numero  di  aprile  i835 
del  giornale  della  società  frenologica  di  Parigi,  dice  chiaramente: 

«  Portateci  una  sola  testa  di  qualunque  individuo  eminente 
»  per  qualsivoglia  facoltà  ,  il  di  cui  organo  corrispondente  sia 
»  depresso,  e  noi  ci  confesseremo  vinti.  »  Parole  ben  diverse 
da  quelle  del  Medico  D-R. 

Prop.  3.*  «  Molte  circonvoluzioni  cerebrali  sono  inaccessibili 
»   all'  osservazione.   » 

A  questa  il  Medico  D-R.  risponde  così  : 

«  Niun  ragionevole  frenologo  vorrà  stabilire  essere  finora  co- 

*i  Vedi  in  oltre  il  N.  3^  della  Gazzetta  Medicale,   iSS;. 


597 

»  gnite  le  funzioni  di  circonvoluzioni  cerebrali  inaccessibili, 
)»  ma  se  vuoisi  parlare  da  senno ,  il  sig.  Cerise  medesimo  noa 
»  sosterrà  che  questa  obbiezione  distrugga  quello  che  è  co- 
»  gnito  ,•  rimasero  a  noi  e  rimarranno  ai  nostri  nipoti  nuove 
»  verità  a  scoprire  ,  ma  queste  non  annienteranno  quelle  già 
»    trovate.   » 

Ma  prosiegue  il  Cerise  :  «  come  volete  che  vi  resti  ancora 
))  qualche  cosa  a  scoprire  in  queste  circonvoluzioni ,  quando 
»  voi  avete  già  trentacinque  o  trentasei  attitudini  tutte  situate 
»  air  esterno  ?  Che  cosa  potete  ancora  aggiungere  in  fatto  di 
»  attitudini  di  abilità  ad  una  scienza  che  ha  già  decretata  alla 
»  superficie  cerebrale  l'esistenza  degli  organi  della  circospezione, 
»  dell'  astuzia  ,  della  secretività  ?  Che  cosa  potete  aggiungere 
»  riguardo  agli  istinti  animali  ad  una  scienza  che  ha  già  tro- 
»  vati  gli  organi  dell'amor  fisico,  della  filogenitura ,  della  com- 
»  battività,  della  distruttività,  dell'adesività,  dell' acquisi  vita, 
»  dell' imitati  vita  ?  Che  cosa  volete  aggiungere  riguardo  alle  at- 
»  titudini  intellettuali  ad  una  scienza  che  possiede  già  gli  oc- 
«  galli  della  configurazione ,  dell'  estensione  ,  del  colorito  ,  del 
»  tempo,  della  melodia,  del  linguaggio  naturale  ed  artifiziale, 
))  dei  numeri,  della  località,  dell'eventualità,  della  causalità, 
»  del  paragone  ecc.  ?  L' idealità ,  la  speranza  ,  1'  amore  di  sé  , 
»  l'orgoglio,  r  approbativilà  ,  la  perseveranza  ,  la  benevolenza, 
))  r  ambizione  ,  la  gajezza  ,  ed  altre  facoltà  hanno  già  i  loro 
))  organi  5  che  cosa  faremo  adunque  delle  tante  circonvoluzioni 
»  che  rimangono  all'  interno  ?  »  Per  certo  di  due  cose  1'  una  : 
o  converrà  spostare  diversi  organi  ,  o  lasciare  delle  circonvo- 
luzioni inerti.  Sia  nel  primo,  che  nel  secondo  caso  conviene  ro- 
vesciare la  scienza,  e  dichiararla  fallace,  eppure  qui  non  v'  ha 
via  di  mezzo  ,  giacché  sfido  il  più  grande  psicologo  a  trovare 
delle  altre  attitudini,  perchè  se  esaminiamo  la  dottrina  psi- 
cologica di  Gali ,  vediamo  nascere  dalle  attitudini  da  lui  tro- 
vate assieme  combinate  tutte  le  facoltà  e  disposizioni  umane  , 
come  dalle  ventiquattro  lettere  dell'alfabeto  la  Gerusalemme 
del  Tasso. 

Prop.  /^.^  «  Le  circonvoluzioni  cerebrali ,  le  di  cui  prorai- 
))   uenze  sono  presentate  quale  espressione  esterna  degli  organi. 


598 

»  non  possono  essere  esplorate  che  dopo  la  morie  dell'  Indivi- 
»  duo  ,  la  qual  cosa  rende  le  osservazioni  esatte  ,   rare  e   dif- 

»  ficili.  » 

Proposizione  questa  a  cui  nulla  si  può  ridire,  ed  a  coi  il 
Medico  D-R.  non  ebbe  ad  opporre  altro  che  la  certezza  della 
cranioscopia ,  certezza  dimostrata  nulla  per  confessione  dei  fre- 
nologi medesimi.  Perciò  i  migliaia  di  fatti  accennati  dal  D-R. 
restano  così  ridotti  a  ben  scarso  numero. 

Prop.  5.*  «  Non  havvi  misura  esatta  per  misurare  queste  cir- 
»  convoluzioni ,  ed  è  impossibile  di  stabilirla  in  anatomia.  » 
A  questa  proposizione  che  è  un  corollario  della  precedente  il 
Dott.  D-R.  risponde  proponendo  il  craniometro  del  nostro  par- 
roco Giacoma.  Ma  questa  misura  varrebbe  soltanto  ove  la  cra- 
niologia fosse  accertata ,  e  non  può  servire ,  essendo  essa  dimo- 
strata  infedele  ,  come  anche  per  la  proposizione  seguente. 

Prop.  6.*  «  L'  energia  delle  facoltà  non  è  in  ragione  diretta 
»   dello  sviluppo  delle  circonvoluzioni.  » 

Verità  questa  antica  quanto  fisiologia,  giacché  nissun  fisio- 
logo ha  mai  preteso  di  stabilire  che  V  energia  di  un  organo 
fosse  in  ragione  della  sua  mole.  Chi  è  che  giudicherà  dell'acu- 
tezza della  vista  dalla  grossezza  dell'occhio,  della  forza  di  un 
ballerino  dalla  grossezza  delle  di  lui  gambe,  della  forza  di  un 
atleta  dalla  grossezza  delle  di  lui  braccia  ?  Non  neghiamo  che 
ciò  accada  qualche  volta,  ma  infinite  sono  le  osservazioni  con- 
trarie ,  anzi  se  questa  può  essere  un'  induzione  qualche  volta 
fondata  per  quanto  riguarda  il  sistema  muscolare,  è  quasi  sem- 
pre fallace  per  quanto  spetta  al  sistema  nervoso  di  cui  ora  si 
tratta.  Inoltre  questa  energia  cresce  o  diminuisce  in  ragione 
del  temperamento,  della  nutrizione,  dell'educazione,  e  perciò 
a  che  cosa  si  riduce  la  cerebroscopia  ?  Se  nissuna  misura  può 
valutare  il  grado  di  energia  di  un  organo,  bisogna  confessare 
che  non  si  trova  e  non  si  troverà  giammai  un  mezzo  per  giu- 
dicare frenologicamente  delle  facoltà  di  un  uomo.  A  che  cosa 
si  riducono  adunque  i  migliaia  di  fatti  del  Medico  D-R.  ? 

Prop.  7.*  «  Le  circonvoluzioni  medesime  ,  secondo  i  lavori 
»  di  Gali ,  non  sono  che  forme  esterne ,  ossia  estremità  di  or- 
»  gani.  » 


599 

Da  dò  si  vede  che,  volendo  anche  ammettere  l'esistenza  di 
questi  organi ,  non  fornirebbe  né  la  cranioscopia,  né  la  cerebro- 
scopia  alcun  mezzo  per  calcolarne  lo  sviluppo  e  l'energia,  giac- 
ché queste  mal  si  possono  conoscere  dalla  forma  esterna.  Su 
questa  obbiezione  il  Dott.  D-B..  passa  sopra  come  fece  sulle  al- 
tre ,  e  perciò  egli  ci  permetterà  di  dire  che  esse  ancora  sussi- 
stono in  tutta  la  loro  integrità. 

Prop.  8.*  «Molte  circonvoluzioni  essendo  egualmente  svilup- 
»  paté,  impediscono  di  distinguere  quale  di  essa  predomini,  e 
»   da  quale  dipenda  una  facoltà  piuttosto  che  un'  altra. 

Che  questa  obbiezione  sia  di  peso  lo  concede  il  D-R.  me- 
desimo ,  ma  egli  dice  che  questo  è  un  difetto  del  frenologo , 
piuttosto  che  della  scienza.  Ma  io  soggiungo  che  un  tale  difetto , 
quantunque  dipendente  dall'imperfezione  dei  nostri  mezzi  esplo- 
ratori ,  è  tale,  unito  agli  altri  già  rammentati,  da  impedire 
alla  frenologia  di  stabilirsi  sopra  basi  certe,  e  da  condannarla  a 
rimanere  una  semplice  ipotesi  quale  essa  è  presentemente.  Il 
Medico  D-R.  dice  che  facoltà  eminenti  scoperte  in  diversi  uo- 
mini grandi  e  coesistenti  con  una  circonvoluzione  determinata 
bastarono  a  stabilire  essere  questo  o  quello  1'  organo  di  quella 
data  facoltà.  Ma  vediamo  quali  siano  questi  fondamenti  su  cui 
si  appoggiò  la  frenologia.  Siccome  Gali  non  aveva  alcuna  base 
onde  fondare  il  suo  imnaaginato  sistema  ,  cominciò  a  disporre 
su  questa  o  quella  parte  del  cranio  umano  gli  organi  delle 
varie  facoltà  umane  j  divise  il  cranio  e  per  conseguenza  il  cer- 
vello in  tanti  compartimenti  come  fecero  i  geografi  del  globo 
terraqueo  ;  quindi  spaziando  nel  campo  della  storia,  rimodellò 
i  cranii  di  tanti  uomini  famosi  per  virtù  e  per  vizi ,  i  quali 
cranii  però  non  aveva  mai  veduti ,  e  passando  da  un  suppo- 
sto air  altro  diede  il  nome  pomposo  di  scienza  alla  propria 
teoria.  Diffatti  mediante  il  suo  ingegno  e  quello  de'  suoi  se- 
guaci si  trovarono  gli  oi'gani  cerebrali  di  Socrate,  Platone, 
Aristotile ,  Ippocrate  ,  Alessandro  Magno  ,  Nerone  ,  Roberto 
Bruce,  Dugnescliu,  L' Hopital,  Sterne,  Wandick,  Kant,  Ba- 
cone ,  San  Brunone  ecc.  5  quantunque  nissuno  abbia  mai  po- 
tuto vedere  i  loro  cranii ,  e  da  questi  discendendo  agli  altri , 
e  viceversa  dagli  altri  crauii  comuni  ascendendo  a  questi,  sta- 


600 

bilirono   un   circolo    vizioso   simile    a    quello  dei   Rasoriani   ia 
patologia. 

Che  se  voi  ad  essi  presentate  cranii  o  cervelli  d'uomini,  le 
di  cui  cirvonvoluzioni  non  corrispondano  alle  qualità  morali  od 
intellettuali ,  in  essi  già  conosciute,  non  temete  punto  che  essi 
restino  imbrogliati,  che  tosto  vi  sanno  trovare  altre  circonvo- 
luzioni che  poterono  fare  le  veci  di  quelle  che  in  essi  man- 
cavano, o  neutralizzare  quelle  che  erano  svilupatissime.  Basta 
a  convincersi  di  questo  il  leggere  la  discussione  fra  la  gazzetta 
medica  ed  il  giornale  di  frenologia ,  riguardo  ai  cranii  di  Na- 
poleone *i ,  Lacenaire  ed  Avril.  E  quando  essi  non  seppero  più 
che  dire  contro  i  fatti  desunti  dal  modello  in  gesso  del  cranio 
del  conquistatore  ,  tacciarono  di  falsità  questo  gesso  medesimo 
presentato  da  Antomarchi.  E  tutto  ciò  colla  più  grande  buona 
fede  di  questo  mondo. 

Prop.  9.*  «  I  fatti  patologici  non  presentano  mai,  o  quasi  mai 
»  lesioni  di  una  sola  circonvoluzione,  né  si  è  osservato  che  la 
»  lesione  di  un  gruppo  di  circonvoluzioni  sia  stata  accompa- 
»  guata  da  una  alterazione  costante  nelle  facoltà  che  da  que- 
)>   sto  gruppo  si  fanno  dipendere.  » 

Ad  essa  risponde  il  Medico  D-R.  rimandandoci  alle  osserva- 
zioni fatte  da  Larrey  riguardo  all'  organo  della  memoria. 

Noi  non  conosciamo  le  osservazioni  particolari  di  Larrey,  ma 
rispondiamo  essere  osservazione  costante  che  la  memoria  è  sem- 
pre la  prima  alterata  in  tutte  le  malattie  che  attaccano  il  cer- 
vello, qualunque  sia  la  parte  di  esso  che  rimanga  affetta.  Dif- 
fatti  nei  tifi  ed  in  tutte  le  malattie  che  direttamente  assalgono 
il  sistema  nervoso,  vediamo  alterarsi  o  perdersi  la  memoria  , 
quantunque  non  siavi  stata  veruna  lesione  parziale  organica  , 
come  lo  prova  in  seguito  il  riacquistarsi  della  medesima ,  to- 
stochè  il  convalescente  riacquista  forza  e  vigore. 

Infatti  né  le  osservazioni  fatte  dal  Dott.  Voisin  e  riferite 
nella  sua  opera  delle  cause  delle  malattie  mentali  valgono  a 
provare  gran  cosa  in  favore  della  frenologia ,  né  sono  più  con- 
chiudenti  gli  scritti   sulla  pazzia    dei  Dott.   Broussais  e  Spur- 

*i  Vedi  la  Gaiietta  Medicale  N.  3;    f  38  ,  183;. 


601 

zheim  ,  e  se  le  osservazioni  del  Dott.  Gombes  sembrano  più 
favorevoli  alla  cranioscopia  ,  dobbiamo  avvertire  essere  le  mede- 
sime contraddette  dal  Medico  del  Manicomio  di  Richemond  , 
ove  il  detto  autore  fece  le  sue  osservazioni ,  eppure  il  Dott. 
Combes  è  un  frenologo,  ed  i  frenologi  sono  di  buona  fede. 

Anche  le  osservazioni  di  Lallemand,  Bayle,  Calmeil,  Rostan, 
Georget,  Esquirol,  Bouillaud,  Abercombie,  Lelut  sono  contra- 
rie alla  frenologia.  Wè  le  osservazioni  dell'  ottimo  collega  no- 
stro Bonacossa  provano  gran  fatto  in  favore  degli  organi  cere- 
brali, rifei'endo  egli  un  solo  fatto  favorevole  in  parte  alla  dot- 
trina da  lui  professata  ,  su  seimila  e  più  ammalati. 

Ma  il  Medico  D-R.  trae  un  argomento  di  conferma  della 
dottrina  frenologica  dall'  essere  la  medesima  in  quanto  alla  clas- 
sificazione degli  organi  in  armonia  colla  credenza  de'  sublimi 
pensatori.  A  questo  però  risponderemo  che  tutte  le  teorie  in- 
gegnose benché  in  seguito  siano  slate  dimostrate  false,  furono 
da  uomini  d'ingegno  seguitate;  che  gli  argomenti  dedotti  dall' 
autorità  sono  ai  giorni  nostri  di  nessuna  importanza ,  che  altri 
sublimi  pensatori  niegano  questa  classificazione  ,  altri  dubitano 
della  di  lei  esattezza,  e  che  si  disputò  seriamente  dai  mede- 
simi frenologi  sopra  1'  esistenza  di  questo  o  di  quell'  organo. 
Ecco  quanto  riferisce  il  Gerise  a  questo  riguardo.  «  Si  disse 
))  che  r  astuzia  (  la  ruse  )  era  una  facoltà  primitiva  ,  e  se  ne 
»  trovò  immediatamente  l'organo.  Poco  dopo  si  riconobbe  die- 
»  tro  più  mature  riflessioni  che  l' astuzia  non  è  facoltà  fonda- 
»  mentale  ,  giacché  sonvi  uomini  astuti  per  soddisfare  ad  un 
»  loro  istinto,  e  stupidi  quanto  al  rimanente.  Allora  si  can- 
»  celiò  e  si  decretò  l'abolizione  dell'organo  dell'astuzia,  che  ri- 
»  sorse  però  qualche  tempo  dopo  ed  espulse  il  rivale  che  aveva 
))  preso  il  suo  posto.  Lo  stesso  accadde  riguardo  all'organo  della 
»  secretività.  »  E  cosi  i  frenologi  vanno  mutando  la  sede  degli 
organi  e  gli  organi  stessi  a  loro  talento  ,  siccome  fecero  Spur- 
zheira,  Broussais,  Gombes,  Dumoutiers ,  Voisin  ecc.  Benché 
quanto  alle  basi  si  attengano  alla  dottrina  di  Gali,  perchè  veg- 
gono benissimo  che  senza  di  una  base  qualunque  distrutto  sa- 
rebbe il  loro  sistema. 

La  polemica  fra  Gali  e  Spurzheim  non   prova  nulla  secondo 

*-66 


602 

il  D-R.,  ma  a  me  pare  che  provi  moltissimo  ,  perchè  dalle  se- 
guenti parole  di  quest'ultimo  possiamo  scorgere  quali  sieno  ì 
reali  fondamenti  della  frenologia. 

«  Egli  parrebbe  ,  dice  Spurzheim  ,  dal  modo  con  cui  Gali 
»  si  esprime,  che  esso  non  parli  mai  di  un  organo  senza  es- 
»  seme  prima  pienamente  certo  ,  ma  bene  spesso  accade  il 
»  contrario.  Ogni  indicazione  di  organi  non  fu  da  bel  princi- 
»   pio  che  congetturale ,  e  non  fu  dimostrata  che  dietro   a  spe- 

»   rimenti Non  biasimi  adunque  la  mia  maniera  di  stabilire 

»   questi  organi  perchè  è  simile  alla  sua.  » 

Ed  in  seguito  : 

«  Altre  volte  Gali  disse  e  pubblicò  che  l'organo  della  reli- 
»  gione  e  della  morale  è  un  solo;  poco  dopo  non  fu  più  così.,.„ 
»  Ma  perchè  non  contentossi  egli  di  tenere  perse  la  sua  idea, 
»  finché  la  cosa  non  fosse  provata  da  un  buon  numero  di  os- 
»  servazioni  esatte?  Perchè  pubblicò  egli  il  cangiamento  della 
»  sua  opinione  ?  Ha  egli  un  numero  sufficiente  di  osservazioni 
»  esatte  per  ciò  fare  ?  Io  non  esito  a  rigettare  questa  sua  seconda 
))  opinione.  »  Tralasciamo  molte  altre  cose  che  questi  due  capi- 
scuola si  scrissero  vicendevolmente  ,  le  quali  provano  che  la 
supposta  certezza  di  questa  dottrina  si  riduce  ad  una  chimera. 

Io  non  ho  letto  l'opera  di  Vimont  sulla  frenologia  compa- 
rata ,  ma  quand'anche  1'  avessi  letta  non  ne  sarei  maggiormente 
persuaso  ,  perchè  bisogna  prima  di  tutto  che  tali  osservazioni 
sieno  ripetute  da  diversi  ,  e  le  osservazioni  contrarie  di  Bouil- 
laud  riguardo  al  cervelletto  distruggono  in  parte  questa  teoria. 

Siccome  però  il  Medico  D-R.  mi  esorta  a  convertirmi  alla 
frenologia  dietro  l'esempio  citato  nel  Repertorio  Medico -Chi- 
rurgico del  i835,  pag.  i85  ,  così  sarà  bene  che  esaminiamo 
questo  fatto. 

Nello  sciagurato  di  cui  si  parla  nel  Repertorio  trovaronsi 
mancanti  gli  organi  della  teosofia,  della  benevolenza  e  dell' edu- 
cabilità  5  prominenti  invece  gli  organi  dell'  astuzia  ,  della  di- 
struttività e  del  furto.  Mancavano  pure  gli  organi  della  filoge- 
nitura, dell' affezionatività  e  dell'amatività  ,  ossia  erotismo,  od 
amor  fisico. 

Quest'uomo  doveva  necessariamente  essere  un  birbante  perchè 


603 

è  imposssibile  di  manifestare  una  buona  inclinazione  senza  averne 
l'organo  corrispondente  ,  e  questo  è  un  fondamento  della  dot' 
trina  Galliana  ^  e  perciò  non  poteva  essere  questo  sciagurato 
né  buon  cittadino  j  né  buon  marito,  né  uomo  religioso;  né  mi 
si  dica  die  1'  educazione  poteva  in  lui  correggere  le  mancanze 
dell'organismo,  perchè  in  primo  luogo  l'educazione  nulla  crea, 
in  secondo  luogo  non  si  può  far  luogo  ad  educazione  alcuna 
senza  1'  organo  dell'  educabilità.  Dove  era  dunque  in  costui  il 
libero  arbitrio?  Dove  la  buona  fede  dei  frenologi,  i  quali  di- 
cono che  r  organo  della  teosofia  non  manca  mai  ? 

Eppure  quest'  uomo  non  fu  mai  conosciuto  per  ateo  ,  quan- 
tunque scelleratissimo  ;  e  prima  di  morire  manifestò  sentimenti 
religiosi.  Dirassi  forse  che  egli  fingeva  e  simulava  sino  all'  e- 
stremo  momento  ? 

Inoltre  se  non  havvi  inclinazione  senza  l'organo  corrispon- 
dente ,  quest'  nomo  non  avrebbe  mai  dovuta  manifestare  alcuna 
inclinazione  all'  altro  sesso  ,  perchè  mancava  affatto  in  lui  l'or- 
gano dell' amor  fisico.  Eppure  i  suoi  principali  delitti  indicano 
il  contrario  ;  risultando  dalla  sentenza  contro  di  lui  emanata 
aver  egli  per  ben  quattro  volte  commessi  stupri  con  violenza  , 
senza  calcolare  i  delitti  di  tal  genere  che  non  vennero  provati. 

Ma  l'autoi'e  della  memoria  inserita  nel  Repertorio  con  tutta 
semplicità  e  buona  fede  ci  dice  che  egli  commise  questi  delitti 
perchè  era  portato  alla  carnificina ,  ed  alla  distruzione.  Ve- 
diamolo adunque. 

Il  primo  delitto  fu  da  lui  tentato  nel  iSaS,  ed  allora  egli 
non  uccise  1'  oggetto  della  sua  libidine  e  ne  fu  condannato  al 
carcere. 

Gli  altri  furono  da  lui  commessi  in  seguito  ,  e  per  sottrarsi 
al  meritato  castigo  uccideva  egli  quelle  misere  fanciulle  ,  e  le 
sotterrava  e  ne  disperdeva  i  cadaveri  fatti  in  brani  perchè  non. 
si  sapesse  chi  le  avesse  uccise.  Egli  non  uccise  mai  veruna 
altra  persona  di  diverso  sesso  ,  né  anche  al  di  sotto  dell'adole- 
scenza, secondo  la  sentenza  contro  lui  emanata,  la  qual  cosa 
non  sarebbegli  slata  più  difficile  che  l'uccidere  queste  fanciulle. 
Eppure  r  erotismo  ,  la  libidine  non  erano  le  sue  inclinazioni. 
Vedi   conclusione  logica  ?  Vedi    eccesso  di  buona  fede  ?  Ecco  i 


604 

fatti  su  cui  si   appoggia  la  frenologia  ?  Ecco   le  fonti  a  cui  bi- 
sogna ricorrere -per  mutare  d'opinione?  Conchìucliamo. 

Se  adunque  la  frenologia  si  appoggia  alla  cranioscopia  ;  se 
la  cranioscopia  ,  a  confessione  dei  frenologi  medesimi  ,  è  un 
mezzo  di  esplorazione  insufficiente,  perchè  le  protuberanze  del 
cranio  non  corrispondono  costantemente  alle  circonvoluzioni  ce- 
rebrali ,  dobbiamo  eliminare  tutti  i  fatti  che  si  appoggiano  uni- 
camente sulla  cranioscopia.  Se  la  cerebroscopia  non  è  gran  fatto 
più  certa,  perchè  un  organo  può  essere  sviluppatissimo  e  senza 
energia,  o  viceversa,  dobbiamo  confessare  che  possiamo  anche 
valutare  pochissimo  le  osservazioni  cerebroscopiche ,  e  perciò 
molti  altri  fatti  debbono  essere  rivocati  in  dubbio. 

Se  finalmente  i  frenologi  medesimi  ci  arrecano  fatti  contrad- 
dittorii  benché  cerchino  poi  d'  interpretarli  secondo  la  loro 
idea  ,  dobbiamo  dire  che  possiamo  calcolare  quasi  niente  sui 
fatti  per  potere  stabilire  le  basi  di  questa  dottrina.  Ma  sic- 
come questa  dottrina  si  appoggia  unicamente  su  tali  fatti,  così 
dobbiamo  dire  con  Gerise  cbe  essa  non  ha  alcuna  base  certa, 
od  almeno  che  il  Medico  D-R.  non  arrecò  finora  argomenti 
che  valgano  a  convincerci  del  contrario. 

Med.  Coli.  Maffoni. 


Dizionario  Biografico  di  Magistrati  e  Giureconsulti  insignì 
della  Monarchia  di  Savoia  di  G.  M.  Regis. 

(  Torino ,  presso  Bellatore.  i837  ). 


Prova  non  dubbia  d'ingegno  operoso,  e  di  animo  tenero 
verso  la  patria  danno  coloro  che  cercano  ogni  via  per  accre- 
scerle fama  e  splendore.  Non  ultima  fra  queste  vie  si  è  certa- 
mente quella  di  raccogliere  il  nome  di  quegli  illustri  che  spe- 
sero le  loro  veglie  negli  studii  e  negli  ufficii  che  furono  utili 
alla  patria,  e  che  se  vissero  tempi  lontani   dai   nostri,  abita- 


605 

rono  però  gli  stessi  luoghi  che  noi  abitiamo  ,  e  respirarono  le 
stesse  aure  che  noi  respiriamo  ,  e  coi  loro  scritti  o  coi  loro 
esempi  ci  furono  custodi  e  trasmettitori  del  sapere  e  della  ci- 
viltà di  che  ora  sentiamo  i  benefizj. 

Ella  è  appunto  questa  via  e  questa  prova  che  in  oggi  ricalca 
in  Piemonte  il  sig.  G.  JVI.  Regis ,  nome  chiaro  presso  noi  per 
varie  pregiate  opere  forensi  e  di  lunga  lena  già  da  lui  compi- 
late. Egli  ora  col  Dizionario  Biografico  che  ha  intrapreso  ci  pro- 
mette un'opera  non  minore  di  polso  e  di  vantaggio.  Ed  una 
simil  opera  coll'ordine  ed  estensione  che  il  Regis  propone  di 
darle,  mancava  tuttavia  a  noi  Piemontesi  ,  come  manca  tuttora 
all'intiera  Italia  un  compiuto  Dizionario  di  tutti  gl'illustri  Ita- 
liani 5  ed  è  questa  una  delle  nostre  miserie  e  vergogne  nostre, 
il  dover  cercare  in  libri  francesi  e  sotto  forme  digiune  del  sen- 
timento italiano  il  nome  e  le  vicende  dei  grandi  uomini  italiani. 

Quanto  a  quelli  che  negli  Stati  di  terra  ferma  del  Re  di 
Sardegna  si  applicarono,  lasciando  qualche  orma  distinta,  alle 
patrie  magistrature  ed  allo  studio  delle  cose  legali,  l'annun- 
ziata opera  del  Regis  ci  sta  ora  provvedendo.  Sarà  per  essa  che 
molti  nomi  che  giacevano  sinora  obbliati  rivedranno  la  luce  , 
e  gli  spiriti  di  coloro  che  li  portarono  vivendo  gusteranno 
il  piacere  della  gloria  e  della  riconoscenza  che  forse  vivi  non 
avevano  ancor  assaggiato. 

La  pubblicazione  di  quest'opera  fino  dal  suo  primo  momento 
parve  a  noi  opportunissima  ,  e  quindi  ben  scelta  l' occasione 
del  comporla  5  imperocché  la  storia  di  coloro  che  trattarono 
le  discipline  legali  e  coprirono  le  cariche  del  foro  durante  l'an- 
tica e  varia  giurisprudenza  piemontese,  chiuderà  degnamente 
il  periodo  della  sua  vita ,  e  sarà  come  un  termine  di  divi- 
sione tra  essa  e  quella  della  novella  legislazione.  E  sotto  l'im- 
pero poi  di  quest'ultima  egli  è  da  sperare  che  sorgeranno  nomi 
non  meno  chiari  di  quelli  che  illustrarono  l' antica  ;  e  presso 
i  posteri  poi  non  mancherà  neppure  una  penna  che  venga  pie- 
tosa, come  quella  del  Regis  ,  a  salvarli  da  un  silenzio  che  senza 
di  lui  pei  nostri  antenati  in  magistratura  e  in  giurisprudenza  , 
minacciava  di  trasformarsi  in  perpetua  dimenticanza. 

Dal  sig.  Regis  per  l'indole  de'  suoi  studii  e  per  gli  ufficii  che 


606 

sostiene  ,  dobbiamo  più  che  da  qualunque   altro  riprometterci 
un'  opera  di  questo  genere  compiuta  ed  interessante.  Altri  illu- 
stri piemontesi    già   lo  precedettero  nell'  onorevole   arringo ,   e 
specialmente    fra  i  meno    antichi    può    essergli    di  guida  e  di 
conforto  alla    fatica    l' ottimo  Tenivelli  ,    maestro   così  caro   al 
Botta.  Fra  i  viventi   poi,    senza    né    anco   parlare    di    Camillo 
Ugoni ,  e  di  Renieri ,  bello  sarebbe  per  il  Regis  lo  avere  a  mo- 
dello quei  nostri  egregj  che  prestano  la  lor  opera  come  il  Pa- 
ravia ed  il  Manno  nella  biografia  che  si  pubblica   in  Venezia. 
L'amore  del  Piemonte  consigliò  al  Regis  questo   suo   nuovo 
lavoro  ,  ma  egli  poi  lo  proseguisce  con  maggior  tenerezza  sem- 
pre quando    può  riferire  qualche  celebrità    della    propria   pro- 
vìncia :  la  provincia  d' Ivrea  paese  ricco  per  lui  di  care  e  nobili 
reminiscenze.  Veggiamo    infatti    nella  prima  dispensa    del   suo 
Dizionario  com'  egli  riporti  con  sìngolar  compiacenza  un  brano 
dì  una  orazione  latina   di  Carlo  Giulio ,  compaesano  e  collega 
del  Botta ,  e  che  per  qualche    tempo  ebbe   comuni  con   lui  le 
vicende  e  la    fama  ,   e    che   nell'  eloquenza    spontanea    ed  im- 
provvisa ,    come  r  altro  nella    gravità    delle    sentenze   e   nello 
stile  della  storia,  fu  piuttosto,   come  udimmo  dalla  bocca   del 
conte  Prospero  Balbo  ,  un  prodigio  che  una  rarità. 

In  questa  orazione  che  ora  il  Regis  ci  ricorda,  il  Giulio  dis- 
corre delle  celebrità  letterarie  che  onorano  la  terra  canavesana, 
contro  un  opuscolo  allora  recente  del  Denina,  il  quale  imme- 
more forse  di  averla  nella  sua  Italia  occidentale  salutata  come 
terra  ferace  di  grandi  ingegni ,  aveva  poi  osato  di  scrivere  che 
—  cette  ville  (Ivrée)  qui  a  donne  d  l'Italie  des  rois  et  des  ri- 
vaux  aux  empereurs,  rCa  jamais  étè  illustrée  par  aucun  auteur, 
ni  homme  célèbre  d'aucune  classe.  —  Ma  per  buona  sorte  i 
nostri  lettori  si  ricordano  che  quest'  opuscolo  del  Denina  usci 
contemporaneo  a  quelli  della  sua  vecchiezza  ,  e  che  fu  uno  di 
quei  tanti  parti  infelici  che  sono  destinati  a  segnare  il  tra- 
monto della  gloria  letteraria  dei  loro  autori. 

Frattanto  tutti  troveranno  ottimo  il  consiglio  del  Regis  di 
richiamare  alla  memoria  dei  posteri  le  illustrazioni  del  foro 
piemontese ,  come  quelle  che  possono  da  un  canto  far  tacere 
la  calunnia  nazionale  e  straniera  ,    e   dall'  altro  servire  di   stl- 


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molo  alle  giovani  emulazioni.  Infatti  chi  sa  quanti  giovani  stu- 
diosi veggendo  come  o  tosto  o  tai'di  venga  rivendicato  dall'ob- 
blio  il  nome  di  coloro  che  con  qualche  distinzione  fecero  prove 
delle  loro  virtù  e  dei  loro  studj  sostenendo  pubblici  ufficii,  o 
scrivendo  qualche  utile  dettato ,  si  sentiranno  infiammarsi  a 
seguirne  il  generoso  esempio  ? 

«  A  egregie  cose  il  forte  animo  accendono 
«  L'  unic  de'  forti 

scriveva  Foscolo  celebrando  i  più  famosi  Italiani  estinti  e  gli 
eroi  di  Omero  ;  e  noi  lo  ripetiamo  colle  voci  stesse  parlando 
della  biografia  di  magistrati  e  di  giureconsulti  piemontesi,  quando 
pure  questa  biografia  non  sia  una  squallida  raccolta  di  sche- 
letri ,  ma  bensì  una  galleria  di  ritratti  animati  e  parlanti. 
Imperciocché  noi  stimiamo  non  albergare  soltanto  il  forte  sen- 
tire e  r  amor  della  patria  ne'  petti  guerrieri  e  in  quello  dei 
poeti  ,  ma  ardere  pur  anche  in  chi  si  consacra  agli  studj  più 
miti  ed  alle  cure  civili.  La  storia  civile  dei  popoli  ci  mostra 
come  la  toga  abbia  anch'essa,  come  la  spada  e  l'alloro,  la  sua 
forza ,  il  suo  coraggio  ,    la  sua  gloria. 

Mentre  scriviamo  queste  cose  in  lode  dell'  opera  che  an- 
nunziamo ed  a  conforto  del  suo  autore  ,  noi  tradiremmo  la  voce 
dell'intimo  sentimento  e  la  missione  della  letteratura  periodica, 
se  tacessimo  sopra  alcune  condizioni  che  una  biografia  della 
sorta  di  quella  intrapresa  dal  Regis  dovrebbe  riempire  ,  e  che 
noi  speriamo  di  vedere  in  essa  riempite. 

Primieramente  nello  scrivere  questo  Dizionario  noi  vorremmo 
ad  ogni  tratto  interrogata  assieme  alla  storia  dei  tempi  quella 
pur  anche  privata  di  ciascun  magistrato  o  giureconsulto  di 
cui  si  vuol  sbozzare  la  biografia ,  e  che  poi  questa  col  racconto 
talvolta  di  qualche  fatto  curioso  desse  agli  odierni  leggitori 
quasi  vivo  il  ritratto  di  quei  personaggi,  senza  farcene  soltanto 
conoscere  l'esistenza,  e  senza  soggiungere  neppure  un  segno 
che  li  distingua  dalle  infinite  esistenze  di  qualunque  altro  uomo 
che  abbia  oscuramente  vissuto. 

In  secondo  luogo  non  dovrebbe  lasciarsi  d'indagare  nella  sto- 
ria contemporanea  politica  ,  civile  e  letteraria  quali  fossero  le 


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dottrine,  le  leggi,  i  costumi  ,  le  pratiche  forensi,  e  quali 
principii  se  feudali  o  monarchici  o  municipali  od  ecclesiastici 
prevalessero  nell'epoca  in  che  visse  questo  o  quell'altro  ma- 
gistrato o  giureconsulto,  e  quali  insomma  siano  state  le  qui- 
stioni  più  agitate  e  più  vitali  di  quell'epoca  stessa.  Egli  è  sol- 
tanto col  sussidio  di  siffatte  indagini  che  si  potrebbe  apprendere 
qual  parte  i  magistrati  ed  i  giureconsulti ,  di  cui  si  legge  la  sto- 
ria, abbiano  avuta  in  quelle  quistioni,  e  di  quale  guarentigia 
od  insegnamento  i  posteri  lor  deggiano  essere  debitori  o  nell' 
esercizio  dei  loro  ufficj ,  o  nel  dettare  le  loro  scritture. 

In  questo  modo  soltanto  la  biografia  può  venire  in  aiuto 
della  storia  ,  e  quindi  potrebbe  farci  disceruere  nelle  varie  epo- 
che lo  stato  della  giurisprudenza ,  e  delle  sociali  relazioni  j 
quali  elementi  siansi  introdotti ,  e  quali  spariti  nella  civil  so- 
cietà, se  in  quella  data  epoca  la  scienza,  il  diritto,  e  la  mo- 
ralità fossero  retrograde  od  in  progresso  ,  quali  di  questa  vi- 
cenda ne  fossero  le  cagioni  e  quale  insomma  sia  stata  l'influenza 
che  sopra  tutte  queste  cose  vi  hanno  esercitata  quegli  uomini 
di  cui    si    vuol  scrivere  la  biografia. 

Allora  si  che  una  biografia  si  vedrebbe  toccare  al  sommo 
de' suoi  pregi,  e  se  pure  avvenisse  che  essa  troppo  indulgente 
traesse  alla  luce  qualche  nome  che  per  se  slesso  non  ne  fosse 
molto  meritevole  ,  il  diverrebbe  però  almeno  per  le  cose  con- 
temporanee di  cui  egli  assieme  alle  generazioni  che  seco  lui 
si  volgevano,  fu  attivo  o  passivo  elemento. 

Se  pertanto  il  Dizionario  del  Regis  ,  come  portiamo  fidu- 
cia, verrà  adempiendo  a  queste  condizioni ,  e  se  lo  vedremo  di 
quando  in  quando  arricchirsi  di  alcuna  delle  avanti  discorse 
notizie  ,  questo  Dizionario  assumerà  senza  dubbio  un  carattere 
storico  e  ben  altramente  importante  di  quello  che  a  prima 
giunta  possa  apparire,  e  noi  gli  possiamo  sin  d'  ora  promet- 
tere eh'  esso  sopravvanzerà  di  gran  tratto  tutte  quelle  altre 
opere  che  col  titolo  promettente  di  dizionari!  ,  non  sono  poi 
altro  in  sostanza  che  magri  cataloghi  di  nomi ,  di  date  ,  e  di 
luoghi.  S.  Battaglione. 

STAMPERIA    GHIRINGHELLO    E    lìOMP. 
con  permissione.