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Non ita certandi cupidns quam propler mnorcui.
LUCREZ.
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TORINO, 1857
STAMPERIA GHIRINGIIELLO E COMI».
#
lìVDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE NEL PRIMO VOLUME
INTRODUZIONE nag. i
Dell' insufficienza della psicologia come punto di par-
tenza della Glosofia. w » 5
Nuovo Saggio sull'origine delle idee di Antonio Rosmi-
ni-Serbati ecc. M. Tarditi » 209
O • • • \ — Esposizione del Sistema filosofico del suddetto Au-
tore. Art. I. N. Tommaseo « 229
Id. Art. a. Id. „ 3i3
Id. Art. 3. Id. » 409
Etudes sur l'economie politiqiie par /. C. L. Simonde
de Sismondi. S. Battagliohe » io5
Etudes législatives par I. N. Id >i 248
Del Codice civile per gli Stati di S. M. il Re di Sar-
degna. Id » 5o5
SCIENZE SOCIALI I Atti di governo e di economia pubblica. Di alcuni prov-
ED / vedimenti recentemente pubblicati in Piem. ecc. Id. » 3oo
AMMWISTRATIVE 1 Pri^jo saggio di rivista critica su Torino. R. . . » 4or
Saggio di statistica del R. Manicomio di Torino del
Dott. Coli. Bonacossa Medico assistente di detta
Manicomio. A. C. Maffoni Mcd. Coli. . . » 146
Considerazioni sulle teire incolte del Piemonte, ecc.
Aw. T. Plebano ). 88
SCIENZE STORICHE
SCIENZE MEDICHE
LETTERATURA.
STRANIERA
LETTERATURA
ITALIANA
Documenti di storia italiana copiati sugli originali su-
tentici e per lo più autografi ecc. uontezebolo. » 60
La Letteratura e l' Archeologia greca come il più an-
tico e più forte legame fra la Grecia e il resto dell'
Europa. Trad. di T. G » 428
Storia Patria — Paleografia. S. Battagliqbe. . » 34»
Notizie sopra alcune monete battute in Piemonte dai
Conti di Provenza ecc. G. di S. Quiktino. « 547
Plinio l' antico. Tui.lio Dandolo. » 53 1
Dell' Omiopatia in Vienna. L. Valerio » i36
Patogenia dell' idrope del Dott. M. Borgialli. A. C.
Maffoki Med. Coli » 279
Brevi riflessioni sull' art. inserito nel Subalpino ecc.
intitolato : Esposizione ed esame critico del sistema
frenologico ecc. Med. D-R » 4^'
Risposta alle brevi riflessioni del Med. D-R. suU' art.
inserito nel Subalpino ecc. intitolato : Esposizione ed
esame critico ecc. A. C. Maffoni Med. Coli. . » 588
Biilletin des Eaux d'Aix en Savoie » 4^4
Olla Podrida. - Dialogo tra un Spagnuolo e un Ita-
liano. » 19
II doppio giuramento. Y » 377
Della poesia lirica e di Uhland. Y » ^Sg
Di alcune traduzioni dall' inglese e in particolare del
Pellegrinaggio del giovine Aroldo , recato in italiano
da Giuseppe Gazziiio. » 569
Scènes de la vie italienne par Méì'j. S. Battaglione » 383
/ Dell' amor patrio di Dante » 359
Orazioni dei professori Boucheron e Paravia. G. » 285
Il buon fanciullo. Racconti di un Maestro elementare
pubblicati da Cesare Cantù. S. Battaglione. . » i85
Il Giovanetto , il Galantuomo , il Carlanibrogio di Mon-
tevecchia ed Inni sacri di Cesare Cantù. Id. » 4^8
Il libro dell' adolescenza compilato da Achille Mauri » igS
fl Ulrico e Lida. Novella di Tommaso Grossi. C. B. » 171
I Emesto e Clara. Novella. Carlo Marengo. ...» 83
\ Poesie inedite di Silfio Pellico da Saluzzo. Id. » 4^^
LETTERATURA
ITALIANA
FILOLOGIA
Versi di Agostino Gagnoli Reggiano. C. Marekco. « 289
Sopra l' Erodiano tradotto da Pietro Manzi. C. D. » i54
Ciriffo Calvaneo composto da Lucca de Pulci a peti-
zione del Magnifico Lorenzo de' Medici. G. . » 178
Studj poetici di Luigi Rocca. G » 4^4
Le bellezze della natura. Inni di A. Buonfiglio. mm. w 479
Commedie di Carlo NovelUs » 388
L' Iride. montezemolo » 9^
Vita Francisai Canaveri Monregalensis Medicinae Pro-
fessor in Taurinensi Athenaeo. Auctore Laurentio
Martinio. montezemolo » 4^2
La Mitologia descritta e dipinta ossia storia metodica
universale de' falsi Numi ecc. P « 297
Grammatica francese. Esercitazioni per gli studiosi di
Gioachino Simondi. F. C » 299
Dizionario Geografico-Storico ecc. del professore Gof-
fredo Casalis. G » 288
Dizionario Biogi-afico de' Magistrati e Giureconsulti in-
signi della Monarchia di Savoia di G. M. Regis. S. B. » 604
Piccola Biografia di Donne illustri Alessandrine. P. » 93
Alcuni capitoli della prefazione alla nuova edizione del
Dizionario del Tomjnaseo. T n ni
Ode di Melino o Melinno alla città di Roma. C. D. » 198
Arnoldo , Veglia. Agostino Cagnoli » 490
BELLE ARTI | Lettera X. Musica vecchia e Musica nuova. B. . » 891
J Giovanni Migliara. Y » 96
NECROLOGIA
ANNUNZJ
Lettere inedite di Luigi Bossi a Giuseppe Grassi. » 486
Lettera di Pietro Giordani » 200
Lettera inedita di Vincenzo Monti a Luigi Rossi . w 497
Di un Istituto italiano aperto in Parigi » 407
Di una edizione per associazione alle opere di Rosmini » 3 1 1
Notizie diverse pag. 204 5o3
AhHURZI di BlBLlOGRAFU i> Io3 207
*^i §cffon ^ciKfoCt
M^ orti per le proprie intenzioni ed inanimiti dai
conforti degli onesti (^poiché anche le cose scientiji-^
che e letterarie hanno la loro onestà^ gli Estensori
del SuBALPiiso intraprendono il secondo anno della
loro carriera. Eglino non diranno che in essa ab-
biano sempre raccolto fiori né frutti assai meno y
ma ne anco ebbero ad incontrar triboli ad ogni
passo y e le pia felici speranze sorrisero sempre
ai loro conati y e li sostennero nelV ardua via.
Le loro faticJw comunque umili e poche y non fu-
rono però in tutto trovate vane e dispregievoli.
Essi dunque non le hanno ora rifiutate fastiditi^
come da taluno y non diremo se si temesse o se
si desiderasse , ma certo si susurrava. Anzi^ come
vedete , essi si apparecchiano ad affrontarle di
bel nuovo coraggiosi y e a sostenerle queste fati-
che y quantunque ne li aspettino forse m,aggiori
pericoli di biasimi e di censure^ avvegnaché queste
spine si attacchino tanto più avide e tenaci alle
cose y quanto più le medesime sembrano alzarsi a
maggiore solidità e chiarezza. Nulla di meno
quello stesso spirito di moderazione ^ d' imparzia--
lità e di concordia per cui si distinse per lo pas-
sato il nostro Giornale , continuerà sempre fedel-
mente a scorgere tutti i suoi passi futuri. Nella
varietà delle dottrine che in esso verranno trattate ^
ci vedrete sempre ^ o lettori^ mirare ad una meta
costante y quella del miglioramento positivo della
umanità. Nella ricerca del vero e del giusto , del-
V utile e del bello ^ questi quattro grandi elementi
della destinazione umana e socievole y avremo sem-
pre per guida la ragione suprema , intima e rela-
tiva delle cose francheggiata dall' esperienza. Cosi
evitando di declinare negli estremi che quando non
siano pur sempre fallaci y sono però sempre peri-
gliosi y tutto ciò die crederemo sanamente vantag-
gioso per la società e per gV individui verrà da
noi incessantemente scelto e professato. Nelle cose
specialmente letterarie od attinenti alle belle arti
più che ad un sentimento verso ad un bello esteriore
e di pure forme ^ noi guarderemo alt intima bel-
lezza ^ e pmcureremo d' invaghire le menti di un'
estetica pia di morale che di nuda fantasia. Nella
critica poiy in questo campo cosi furiosamente eser-
citato e cosi intristito , dove per lo piti trovate come
neir empia boscaglia dei suicidi
» Non fiondi verdi , ma di color fosco ;
» Non rami schietti , ma nodosi e 'nvoìti -,
» Non dolci pomi , ma stecchi con tosco -,
* Pakte. Inf. Canio. XUl.
e dove ogni spiccar di foglia^ ed ogni romper di
fronda mette un guajo e sangue , qui in questa
foresta noi procederemo cauti ^ benigni, dignitosi.
Perciò nella critica prenderemo piuttosto ad esa-
minare le opinioni nei loro lati meno avvertiti , che
a combatterle e a condannarle.
Con questi intendimenti vorremo y o lettori, che
aumentato in pria il numero di coloro che si de-
stinano alla coltura delV intelletto e del cuore ,
s" insinuasse poi negli animi di ciascuno un a-
more , una simpatia ^ un desiderio per ogni cosa
die né'vari rami dell' umana intelligenza risulta di
buono ^ di sensato, di ragionevole e di onorando.
Bello sarebbe il poter far sottentrare a quello spirito
di frivolezza e di scetticismo che non è ancora del
tutto scacciato dal santuario della scienza , un
cidto più eletto , ponderato e severo. Salutare il
comporre a saviezza gV ingegni di soverchio con-
fidenti , placare le passioni innovatrici^ e volgerne
V ardore a* fini più. stabili e sicuri e pero niente
meno nobili e generosi. Ottimo infine sarebbe il po^
ter avvezzare gli animi a trovare negli studj e
nelle lettere un invito ed una norma per giudicata
rettamente, per onestamente interpretare, e per
comprendere e godere giudiziosg,mente i frutti delT
umano sapere e della civile prudenza. Per ciò , o
lettori, noi vorremmo che a costo di parervi ancora
talvolta accigliati e disameni voi raccoglieste tutte
queste impi-essioni dalle pagine nostre , e brame-
remmo che in esse voi trovaste pri/nieramente un
4
alimento sano e sustanzioso ^ e poscia se V inge-
gno ci consentisse somministrarcelo j piacevole an-
che e leggero.
Invogliarvi allo studio delle cognizioni utili e
gentili^ occuparvi nelV amore e neW istruzione delle
patrie cose ^ accomunarvi tutte quelle intellettuali
ricchezze che i progressi vanno ogni giorno con-
quistando e spargendo in Italia e nelle altre parti
del mondo incivilito y comunicarvi col mezzo di
questo Giornale più che le specolazioni paHicolari
de' suoi Estensori y quelle che già hanno provato
altrove il giudizio dei dotti ^ e V azione pratica
dell' esperienza y ecco y o lettori y quanto ci propo-
niamo di fare per piacervi e per giovarvi. Ad un
tal Jine già vi è noto cJw abbiamo posto e che
poniamo tuttavia V opera nostra per estendere le
nostre corrispondenze y il numero de nostri colla-
boratori y e più di tutto ancora le nostre cogni-
zioni. Ond^ è che vedrete inserite nel Subalpino
di questo nuovo anno non solamente memorie ori-
ginali y ma analisi d opere , riviste critiche y ed
alle notizie bibliografiche y arrogersi pur anche
quelle di cose naturali e di arti meccaniche. Tali
sono i nostj'i disegni y i nostri tentativi') le speranze
nostre y i nostri pj^emii. Leggitori y se li trovate ge-
nerosi y confortateli col senno e coir opera vostra.
5
Filosofia — Dell'insufficienza della Psicologia come punto
di partenza della Filosofia. Art. com.
11 sig. Adolfo Garnler uno dei più distinti allievi del cele-
bre Cousin per rendere , com'egli dice, più agevole l'intelli-
genza della filosoCa del suo maestro pubblicò una compilazione
fatta dagli scolari delle lezioni tenutesi nell' anno 1818, delle
quali nei Fragmens philosophiques non si aveva che il pro-
gramma *i. Abbiamo letto con avidità queste spiegazioni per
cercarvi una risposta alle difficoltà che l'illustre Schelling rom-
pendo un silenzio di vent' anni ha mosso contro la nuova
scuola francese in un opuscolo assai noto 5 ma dobbiam con-
fessare di non averla potuto rinvenire poiché per quanto ci
parve da questo lato le lezioni pubblicate dal sig. Garnier
nulla aggiungono a quanto si conteneva nelle opere del fon-
datore di quella scuola.
Il vero , il bene , ed il bello sono rivelati all' uomo dalla
ragione, insegna il sig. Cousin. Così mirava egli a toglier di
mezzo molte difficoltà che si opponevano. a varie scuole e sistemi,
a quello per cagion d' esempio che riconosceva come misura e
norma del bene il senso morale, facoltà essenzialmente personale
e soggettiva. Per liberare da un egual rimprovero i dettami
della ragione, Cousin avverte che questa non può dirsi propria
dell' individuo , se non quando si fatti dettami entrano nel do-
minio della riflessione, operazione questa individuale nella quale
Xio si trova come elemento indispensabile. Ma il sig. Cousiu
*i V. Subalp. maggio i83G distr, a.» pag. i45.
6
crede ài aver afferrato la rivelazione primitiva delle verità ra-
zionali in ciò eh' egli chiama percezione pura ( appérception
pure ) base e fondamento secondo lui d'ogni verità riflessa.
In sì fatta guisa ci sembra che la difficoltà sia allontanata
ma non risolta. Partendo sempre dal punto di vista psicologico
e cosi dalla natura umana, considerando cioè la natura umana
isolatamente e separatamente da quel tutladi cui ella non è
che un anello, non vi ha moda di escludere che anche le ri-
velazioni primitive , le percezioni pure abbiano un carattere
soggettivo, come non v'ha modo di dimostrare che la ragione
istessa rivesta 1' autorità dell' assoluto e sia competente a sta-
bilirlo. Questo è precisamente il rimprovero che fa Schelling
alla francese filosofia : Nous voìld dono rèduits à la nature
humaine. S'accorga o non s'accorga l'uomo della personalità
della sua ragione nell'istante djUa percezione pura, sia o non
sia manifesta in quest' istante 1' azione dell' io , fatto sta che
la sola presenza del medesimo basta a distruggere o quanto
meno a rendere incerta la proposizione fondamentale di Cou-
sin che la ragione nel detto istante operi da sé e come imper-
sonale. Se nel progredire si dimentica di raffermare la base del
criterio assunto come primitivo ne sorte un sistema di filosofia
manchevole ; se la legittimità di quel criterio vien dimostrata
solamente dipoi è vizioso il metodo.
Ad ogni modo trovare nella semplice psicologia 1' elemento
costitutivo ovvero il criterio certo dell' assoluto, temiamo, che
sia impresa disperata, ed implicante quasi contraddizione nei
termini (a). Di ciò si avvedeva la filosofia tedesca quando ri-
nunciava al sistema di Fichte ed a quello stesso di Schelling
che il medesimo autor suo più non difende. Ed è perciò che
non dal punto divista psicologico, ma sibbene dall' ontologico
partono oggidì le più assennate e profonde ricerche: nel che si
venne per avventura a trascorrere ad un altro estremo (b). Frat-
tanto non slamo in grado di accettare come una scoperta im-
portante e valevole a contribuire all'avanzamento della scienza
quella di Cousin che all'ontologia stima di preporre la psico-
logia. Anche nelle cose metafisiche ab Jove principiuni (e).
E cosi ha sempre proceduto il mondo e sempre procede j poi-
7
che, come dice profondamente Schelling nell'opuscolo summen-
tovato, egli è vero quo le genre humain ne vit que de foi (d).
Entrare in maggiori ragguagli sul libro pubblicato dal sig.
Garnier non è nostro proposito almen per ora. Ma non ab-
biamo voluto tralasciare questi pochi cenni per mettere in av-
vertenza la studiosa gioventù italiana contro l' apparente chia-
rezza e facilità di buona parte dei recenti libri francesi. Non
ci farebbe meraviglia se le nostre parole fossero prese in senso
diverso dalla nostra intenzione. Anche Cousin ha dovuto di-
fendersi dall' accusa di misticismo. Accusa triviale che non
sarà mai risparmiata a chiunque , scostandosi dai pretti dettami
e dalle conseguenze della filosofia di Gondillac , cerchi più
salda base alle umane credenze, nel che sta la vera missione
della filosofia; poiché le verità principali sono trovate, e guai al
genere umano ae non lo fossero state fin da principio.
W.
^
8
jYote ali Art, precedente.
{a) In un articolo a parte , se il tempo e l' ingegno non manche-
ranno alla buona volontà, noi ci proponiamo di ricercare fino a
qual segno si possa con ragione affermare V insufficienza del metodo
psicologico a farci uscire dal soggettivo e dal fenomenale, e quindi
come possa esservi una contraddizione nei termini quando si dice
con una formola di Cousin che il vero metodo debbe ridursi a que-
sto, di trovare a posteriori una regola^ un. principio che abbia un
valore a priori.
Ove la psicologia si limiti ad osservare gli atti puri del soggetto
intelligente , ed in questi o in uno di questi vogliasi porre il punto
di partenza della filosofia, certo la scienza che quindi si costruisce
non avrà che un valore soggettivo. Ma se 1' osservazione psicologica
si spinge fin oltre gli atti dello spirito, più su vogliam dire del puro
pensare , fino ali* oggetto essenziale di qxiesfe' atto ; chi sa che non
si arrivi allora ad un punto fermo , ad un incondizionato , in cui la
filosofia trovi ad un tempo e il principio e la vita e la sicura quiete ?
In queste note che ci attentiamo di aggiungere all' articolo com-
municàtoci , noi ci limiteremo ad accennare per quali ragioni ci paja
difettoso in filosofia il metodo ontologico generalmente seguito dai
filosofi alemanni, e come probabilmente avvenuto sia che da questi
si abbandonasse quel metodo che a tanta perfezione condusse pure
la filosofia natmale-, quel metodo vogliam dire in cui con giusta
misura vengono adoperate \ osservazione e la ragione , che compon-
gono insieme 1' umana facoltà di conoscere.
La separazione di queste due quasi leve dell' umano sapere è
egualmente pericolosa: la storia della filosofia ce ne offre mille ar-
gomenti. «Bornerla philosophie à l'observation, c'est qu'on le sache
» ou qu'on l'ignore , la mettre sur la route du Scepticisme : negliger
» l'observation c'est la jeter dans les voies de l'hypothèse. Le Sce-
» pticisme et l'hypothèse, voilà les deux écueils de la philosophie.
» La vraie méthode évite l'uil et l'autre *i, »
*i V. Cousin Fiiijj. jiliil. 2. ed. prcT pag. VII.
9
Noi non vogliamo abusare dell' argomento delle cause finali y ma
certo la coesistenza in noi dell' osservazione e della ragione è un
fatto tale che basta se non altro- a farci dubitare della bontà di un
metodo in cui si volesse 1' una o 1' altra di quelle facoltà trascurare.
Perchè se la ra^one vale di per se sola a farci conoscere ogni cosa,
se da lei sola può scaturirne intiera Xa. filosofia della natura, e la
filosofia dello spirito, a che cosa ci servirà più l'osservazione che
pure fa parte della nostra natura? Ad un tale sistema noi avremo
il diritto di dire con Jouffroy, « . qu'il, n'interroge pas l'intelligence
« humaine tonte entière, mais que la mutilant, il demande à une
» de ses facultés une image du monde que peut seul donner fidé-
» lemenl le concours de toutes les facultés iixises en nous pour le
» connaitre *i. »
(b) La nuova filosofia tedesca pone 1* ontologia come punto di
partenza della filosofia. « Aspirant à reproduire dans ses conceptions
» l'ordre méme des choses, débute par Tètre des étres pour de-
» scendre ensuite par tous les degrés de l'existence jusqu'à l'homme
» et aux diverses facultés dont il est pourvu; elle aiTÌve à la psy-
» chologie par l'ontologie , par la métaphysique et la physique réu-
» nies *2. » Quindi la filosofia trascendente partendo dall'assoluto es-
sere, costruisce e in certo qual modo crea il mondo reale e il
mondo ideale. Filosofare sulla natura, dice Schelling, è la medesima
cosa che creare la natura. Ed è perciò che un illustre nostro com-
paesano reputa, non senza qualche ragione, questi moderni tentativi
non troppo dissimili da quelli degli antichi per le loro cosmogonie
e teogonie *3.
In questo loro modo di filosofare i seguaci della nuova scuola
tedesca suppongono due cose , la cognizione cioè dell' esistenza dell'
assoluto, e la cognizione della sua essenza. Ma d'onde di grazia
questa doppia cognizione dell'esistenza e dell'essenza dell'assoluto?
Certo non altrimenti, che o dalla ragione o dalla fede, presa que-
sta se non nel senso della ragione pratica di Kant e Fichte, certo
nel senso di Jacobi o in quello qualunque in cui la prende Schelling
quando dice che le genre humain ne vit cjue de foi. Ora se la ra-
gione è quella che pone l'assoluto, questo non avrà più valore di
quel che ne abbia la ragione stessa, o Se questa guida è essenzial-
*i V. Jouffroy Cours de droit naturel. t. i. pag. 2t5.
*-2 Cousin Fragni, phil. preface de la 2. ed. pag. X.
*3 V. Subalpino dislr. 2. aprile Iclt. del C. Cesure Balbo pag. 6;.
10
» mente fallace ( o soggettiva ) nulla ci varrà il partine da lei pet
n condurci all'assoluto: tuttociò che noi diremo non avrà nessun
» valore j non sapremo mai nulla di fermo: poiché ciò che diciamo
» anche del primo degli esseri, è solo vera e valente cognizione in
» quanto la ragione che ci fa conoscere quell' essere è autorevole e
» ferma * i . » L' assoluto posto dalla ragione sarà sempre un asso-
luto fenomenale finché non si dimostri che « la ragione stessa ri-
» vesta 1' autorità dell' assoluto , e sia competente a stabilirlo » come
osserva l'autore dell' articolo. Ed è appunto per questa creduta in-
competenza della ragione a stabilire 1' assoluto, che vuoisi questo
fare oggetto pvu-amente di fede.
Ma se egli è per un atto di fede che si pone 1' assoluto (e notisi
bene per un atto di fede disgiunto al tutto dalla ragione) noi non
vediamo più che cosa si guadagni a porre l' ontologia come punto
di partenza della filosofia anziché la psicologia presa appunto in
quella condizione in cui si tiene per insufficiente a stabiUre il cri-
terio certo dell'assoluto: perché finalmente nell' uno come nell'altro
metodo il fondamento delle umane credenze é in sostanza un atto
di fede , in cui la ragione pura non entra né a produrlo , né a dargli
salda base. La differenza tra questi due metodi si riduce dunque
ad essere 1' uno più o meno commodo dell' altro , più o meno ele-
gante come metodo d'esposizione; la questione adunque del metodo
e quindi del vero punto di partenza della filosofia non è più che
una questione d' arte come dice Cousin *2.
E notisi che non abbiamo sin qui parlato che dell'esistenza dell*
assoluto; ma la nuova filosofia germanica richiede di più, che se ne
conosca pure l'essenza. Senza di questo , anche supponendone già
stabilita l' esistenza , l' assoluto sarebbe sempre un' incognita da cui
nulla non potrebbesi trarre. Perché alti-o è conoscere 1' esistenza di
im oggetto , altro è conoscere 1' oggetto stesso. Ma l' assoluto, l' in-»
finito non si può comprendere dalla mente umana , la quale non ha
idee positive che delle cose sensibili e di se stessa. Quale sarà adun-
que r assoluto della nuova filosofia? Egli non fu né potea essere
che una composizione del mondo e dell' uomo ; un assoluto ripieno
e quasi imbottato, come dice Rosmini, di tutte le altre cose che
si conoscono pienamente, quali sono appunto la natura e 1' uomoj
*i V Bosmini Nuovo S;iggio siili' oiig. delle idee. Sez. VII. cap. II. art 5.
Roin» i83o.
^A V. Cousin ibid piig. XII.
11
un assoluto in cui &i identifica l'oggetto e il soggetto, 1' io e il non
io , il reale e 1* ideale. Se con ragione il sig. Cousin chianii un' ipo-
tesi questo punto di partenza della filosofia lasciamo giudicarne ai
nostri lettori.
Certo da un tale assoluto nelle mani di un Sclielling, e special-
mente di un Hegel , l'un des csprits le» plus^/vastes^ Ics plus subtilsy
les plus dialecticicns quifurent jamais * i , doveva con una spontaneità
maravigliosa uscirne la doppia filosofìa della natura e dello spirito^
ridotta in un sistema brillante e compatto, nel quale vengono come
di per se stesse, e quasi per un giuoco di logica a collocarsi le
leggi della natura e dell' umanità , del mondo reale e del mondo
ideale, che con tanta fatica furono trovate col metodo dell' osser-
vazione e dell' induzione. Ma guai se queste leggi non erano cono-
sciute prima àeMa. filosofia della natura! E per usare le (eloquenti
parole del sig. Cousin: « Où en serions-nous , je vous prie, «i l'au-»
» teur lui-méme n'avait plus ou moins pratiqué cettc humhle mé-
» thode qu'il dissimule ou qu'il dcdaigne aprés l'avoir suivie ; si
» en l'écoutant ou en le lisant on ne vérifiait tacitement ses asser-
* tìons sur Ics connaissances mémes qu'on a acquises par une autrc
» voie ; et si fmalement on n'arrivait pas à une autre partie du sistème
» savoir la psychologie , dont la lumière se refl<;cliit^ sur toutes les
» autres parties et dont la vérité devient pour nous la mesure de
» la vérité du sistème entier '2. »
Tuttavia e' non si può negare che V enciclopedia^dclle scienze fi-
losofiche^ dove la fdosoBa dell' assoluto da principio solo parzial-
mente sviluppata fu da Hegel ridotta in un sistema compiuto ed
universale, non sia uno de' più grandi monumenti della fdosofìa del
nostro secolo. Certamente nessun altro sistema pare a noi che si
presenti cosi luminosamente fornito come questo dei due grandi
caratteri dell' unità e della totalità^ che distinguono la vera filosfi-
fia, caratteri a cui tende ed anela il secolo nostro nella scienza,
nell'arte, nello stato, in tutto. E come tale non si può negare che
la nuova scuola tedesca non abbia costrutto con un' arte stupeiula
quello a cui mirava Bacone quando scriveva dell'unione delle scien-
ze, — «01 meditiamo di fondare nelV intelletto umano un sacro
tempio il r/uale rappresenti ed esprima il mondo *3: — e non abbia
*i V. Barohoii de Penhoiin Hist. do la phil. allcm. t. 2. p. a\i.
*a V. Cousin ibid. pag. XII.
•3 N. Org. I. ,ao.
12
tentato una rappresentazione di quel maraviglioso spettacolo a cui
erano rivolti i voti di Seneca *r. Utinam quemadmodum universi
mundi facies in conspectum venit^ ita philosophia tota posset occur-
rere simillimum mundo spectaculum! profecto enim omnes mortales
in admirationem sui raperei, relictis his quae nunc maglia , ma-
gnorum ignorantia, credimus.
Che se pel metodo tenuto dai seguaci della nuova scuola tedesca
la loro filosofìa una ed universale non è per avventura più che una
Semplice ipotesi, in cui manifesto si vede uno sforzo non di con-
formare la propria filosofia alla natura delle cose, ma di confor-
mare le cose alla propria filosofìa ; egli non si può tuttavia negar
loro la lode di avere pienamente veduto di quale filosofìa abbisogni
lo spirito umano e di avere mostrato a quale scopo debbano mi-
rare coloro clie seguendo un altro metodo aspirano ad un sistema
compiuto di filosofia.
Certamente noi crediamo , che non possa darsi vera filosofia, che
non sia filosofia dell' assoluto , per cui solamente si può intendere
come non lo spirito imponga le sue leggi alla natura , né questa a
quello , ma 1' uno e 1' altra le ricevano dall' assoluto , che si mani-
festa per cosi dire nella natura e nell' umanità, e per cui solo esiste
quella mirabile armonia che si trova tra il mondo fisico e il mondo
morale, armonia che forma tutta la bellezza della creazione. Ma
appunto per questo la filosofia deve soimnamente guardarsi dal
porre l'assoluto quasi come un'ipotesi, come lo spazio nella geo-
metria. Una tale filosofia non sarebbe mai che una specie di ma-
tematica delle qualità degli esseri e delle forme dell' intelligenza,
come la matematica propriamente detta non è che la filosofia delle
quantità e delle forme dello spazio. « Dans l'une et l'autre , dice
» Ancillon, on crée et l'on construit les étrps sur lesquels on opere
>ì et l'on déduit ensuite d'eux tout ce qu'on a bien voulu prendre
» la peine d'y mettre Une philosophie qui suivrait la
» méme marche pourrait prouver dans son intérèt une grande force
» d'intelligence, mais elle ne contiendrait rien de positif, et ne
» garantirait pas une seule existeiice. Ce serait une véritable toile
» d'araignée artistement faite, mais faiblc et sans consistance, tirée
» de la substance méme de l'animai qui l'habite *2.
*i Epist. LXXXIX.
"u V. Ancillon Ess. sur la .scicncc et la foi phiIoso[)[iiqiK- pag. G ;, l'aiis i&3o.
15
(e) A questo proposito pare a noi che non dovrebbesi mai per-
dere di vista la distinzione che si fa dei due ordini delle cognizioni
e degli oggetti delle cognizioni. Nella nostra mente gli oggetti non
sono se non è la cognizione loro ; noi non possiamo nulla affermare
né negare degli oggetti se non quanto e per quanto essi sono a noi
conosciuti. L' ordine dunque delle cognizioni precede l' ordine degli
oggetti. E l'A. stesso dell' articolo implicitamente riconosce questa
cosa , quando facendo consistere la vera missione della filosofia,
nel cercare una salda base alle umane credenze , egli pone come
primo nella filosofia il problema logico , il problema cioè del crite-
rio del vero , il quale appartiene intieramente al mondo ideale , poi-
ché solo nelle idee risiede la cognizione e quindi in esse sole può
trovarsi quel primo vero che dee essere il criterio delle verità par-
ticolari , che tali appunto sono , perchè di quello partecipano.
» Convien dunque muovere la filosofia dal problema della vali-
» dita delle cognizioni prima di ragionare su qualunque oggetto ,
» fosse anco lo stesso assoluto. — Vero è che e noi e i ragiona-
» menti nostri dipendono essi stessi dall' assoluto ; ma questa di-
» pendenza non è nell'ordine delle cognizioni umane; ma nell' or-
» dine degU esseri reali : cioè , vero è bensi che acciocché noi sia-
» mo , e acciocché possiamo ragionare dee essere 1' assoluto , ma
» non è mica vero per questo che noi possiamo conoscere ciò, né
» conoscere 1' assoluto , senza far uso della facoltà di conoscere di
» cui siamo dotati , della ragione * l .
Certo che volendo distribuire in ordine gli oggetti sussistenti
delle cognizioni , il primo di tutti gli altri è 1' assoluto -, tutti gli al-
*f V. Rosmini N. Saggio V. IV, pag. 5i2. E questa medesima distinzione dei
due ordini mentovati delie cognizioni che sono nella mente e degli oggi:tti loro,
1' egregio filosofo italiano 1' adopera pure con ottimo successo , per quanto a
noi pare , a dimostrare contro U sig. Cousin non essere necessario die nella
prima percezione si percepisca la causa assoluta ed infìnita. — • ( Ibid. p^ig. 55 1 ).
E la teorìa stessa della creazione necessaria , di cui a ragione si adombra la
Teologia , non sarebb' ella per avventura fondata pure sopra una simile inver-
sione dei due ordini delle cognizioni e degli oggelti , della possibiUià e della
sussistenza , dell' ideale e del reale ? Infatti ncll' ordine ideale o dtlle cogni-
zioni l' idea di causa è inseparabile da quella d'elTetto, sicché la prinui non può
stare senza la seconda. Trasportisi questo vero dall' ordine delle possibilità o
delle idee all'ordine delle sussistenze, edavrassi la creazione necessaria. Ma
chi attentamente riflette non può fallir di vedere che nei due ordini accennati
le relazioni Ira la causa e 1' efl'ello sono non Solo diverse ma conlraiie V. Ros-
junii Principii della scienza morale, pag. \~. Milano i83i. Tip. Po-lÌJUi.
14
tri dipendono da lui e non sono, né sono possibili se non per lui ;
ma la cosa è ben diversa se si tratta di distribuire sistematicamente
le cognizioni e di cercare quale sia quel primo noto, quella prima
idea che è luce alla mente nell'acquisto di tutte le altre, e fonda-
mento della loro verità e certezza. Neil' ordine ontologico adunque
o delle cose sussistenti con ragione si dice ab Jove principium , o
come profondamente s' esprime s. Paolo ex invisibilibus visibilia fatta
sunt; ma nelV ordine logico o delle cognizioni un altro punto di par-,
lenza crediamo doversi stabilire diverso dall' assoluto , se non vogliasi
porre per primo ciò cbe veramente è l'ultimo nell'umano pensiero ;
e come dice ancora s. Paolo nell'ordine delle cognizioni invisibilia Dei
per ea qiuie facta sunt visibilia conspiciuntur.
E notisi che noi qui prendiamo come sinonimi il punto di par-
tenza della filosofìa e la base della filosofìa , due cose le quali non
possono insieme confondersi ed identificarsi se non supponendo già
formata la filosofia come scienza. Poiché in tale ipotesi 1' ordine della
filosofìa non può essere altro dall' ordine assoluto delle verità infra
loro , e dee quindi la filosofia cominciare a stabilire per primo quel
punto luminoso, dal quale derivasi il chiarore della certezza e della
verità a tutte le altre cognizioni , e con cui queste vengono accer-
tate e giustificate. Ma il punto di partenza della filosofia come scienza
formata non può essere lo stesso che il punto di partenza di chi si
applica a filosofare , a cercare cioè 1' ordine assoluto delle verità , e
quindi il primo vero da cui tutti gli altri dipendono. Se la filosofia
si prende in questo senso di una ricerca che 1' uomo fa dell' ordine
assoluto delle verità conosciute, il suo punto di partenza non può
essere altro che « V osservazione riflessa sopra di se medesimo -,
» questa sola gli può fare scorgere ben chiaro e avvertire quel punto
)• luminoso onde ha principio e movimento tutto il sistema delle
» cognizioni *i.
{d) E sia pur vero « que le genre humain ne vit que de foi.
» Mais les masses, potrebbe dire Cousin, n'ont pas le secret de leurs
» croyances. La vérité n'est pas la science ; la vérité est pour tous ,
» la science pour peux : tonte vérité est dans le genre humain , mais
» le genre humain n'est pas philosophe La science philoso-
» phique est le conipte sevère que la reflexion se rend à elle méme
» d'idées qu'cUe n'pas faites Savoir sans s'en rendre compie,
*i V» nosMiini N. Saggio voi. IV, pag. 5()4 «= ««g. , e Cousin Frag. phil. 2. ed.
l'ag. 35i.
15
• savoir en s'en rendant compie , c'est là toute la diCférence pos-
» sible de l'honime à l'homme , du peuple au pliilosophe * i . »
Del resto rimarrebbe sempre a sapersi se quel primo atto di fede
air assoluto sia legittimo o no , sia fondato in ragione , o semplice-
mente un atto di fede cieca comunque irresistibile. Perchè in que-
sto secondo caso lo scetticismo sarebbe^ inevitabile ed invincibile ,
siccome osserva il Joufl'roy. « Nous a-oyons le scepticisme à jamais
» invincible, parceque nous regardons le scepticisme comme le
>» dernier mot de la raison sur elle méme *2. » Ed è perciò che
nella prefazione ultimamente pubblicata alle opere di Reid *3 , egli
osserva che la sentenza di Royer CoUard ^«'o/i ne fait pas au sce-
pticisme sa part et <juhine fois introduit dans V entendement il l'en-
vahit tout entier, non è propriamente vera se non nel punto di
vista della verità umana-, ma che egli crede più vero di dire, com-
prendendo in un medesimo punto di vista la verità umana e la
verità assoluta, che non si può altrimenti finirne collo scetticismo se
non con fare a lui pure la sua parte legittima nella mente umana.
Di che egli trae argomento di lodare Kant perchè abbia fatto una
tal parte allo scetticismo dimostrando impossibile quel problema
supremo della ragione , e di accusare gli Scozzesi di pctizion di
principio quando dichiarano assurdo un tale problema, e di mara-
vigliarsi finalmente delle ingegnose ma impotenti teorie con cui
Fichte, Schelling, Hegel, Cousin sonosi adoperati per salvare la
cognizione umana dall' incontestabile decreto della filosofia critica.
Ma a malgrado che il sig. Jouffroy si studi di renderci tranquilli
sui pericoli d'un tale scetticismo trascendentale, noi non sapremmo
tuttavia così facilmente sottoscrivere a quella sua singolare transa-
zione col medesimo.
E primieramente noi non vediamo in qual maniera, posLo che la
ragione dell'uomo non sia capace che di una verità puramente
umana, possa tuttavia questa ragione proporsi il proble::ia se la
verità umana sia la verità assoluta; come non abbiamo inixl saputo
intendere in qual modo Kant ci parli di noumeni quiiudo egli
stesso insegna che la mente umana non vede altro che fenomeni.
« La distinzione che fa Kant fra noumeni e fenomeni diuiostrache
» la nostra intelligenza non è limitata a' soli fenomeni, ne alle sole
*i V. Cousin Fragm. pliil. prof, à lu i. cj.
*.i V. ftlcldii-os pilli, dii Sci-pticisui. jia-, u^o.
'j V. Ocuvicd coiiiplclcs de RciJ de. vul. I. prcf. pag, CXCV.
16
» forme Kantiane, ma che abbraccia tutto il possibile. Chi fosse
» veramente hmitato a' soli fenomeni , non saprebbe che oltre ai
» fenomeni possano essere de' noumeni *i. » E cosi pure la distin-
zione che fa Jouffroy d'una verità umana e di ima verità assolutay
dimostra che la nostra intelligenza non è limitata alla sola verità
umana. Chi fosse veramente a questa sola vei-ità limitato non sa-
prebbe che oltre ad essa possa pure esisterne un' altra. Quindi se
gli scozzesi dall' un canto avevano il torto di vietare aUo spirito
umano di proporsi il problema sul valore della verità da lui cono-
sciuta, nessuna ragione di proporselo non possono dall'altro canto
avere coloro , i quali vogliono 1' umana intelligenza limitata ad una
verità puramente relativa. In questo loro sistema si che ci pare
assurdo un tale problema, perchè assurdo al tutto ci pare che la
mente dell' uomo possa concepire un sospetto, un dubbio su di una
cosa di cui ella non ha idea di sorta. Ma questo problema lo spi-
rito umano se lo propone veramente ogni qual volta si applica a fi-
losofare. « Et ce n'est point-là une supposition : mais un fait
» que l'observation constate immédiatement en nous, et que les débats
» de la philosophie sur les fondements de la certitude ne font que
» traduire sur la scène de 1' histoire *2. » Dunque se dall'un canto
il fatto dell'esistenza d'un tale problema nella filosofia sta contro
l'arbitrario divieto degli scozzesi, le condizioni del problema mede-
simo provano dall' alti'o canto l'intrinseco difetto di, qualsiasi siste-
ma di filosofia, in cui vogliasi partire da un atto di fede cieca e
irresistibile, risultante da leggi indeclinabili deli' intelligenza , di che
nasce poi la necessità di hmitare 1' intelligenza stessa ad una verità
puramente relativa , e di fare quindi in essa la sua parte allo scet-
ticismo.
In secondo luogo se ci facciamo ad investigare quale abbia po-
tuto essere la ragione che rese il sig. Jouffroy cosi facile ad ac-
conciarsi coUo scetticismo fino a fargli la sua parte legittima nella
filosofia, pare a noi che questa ragione sia nel fondo quella mede-
sima , che in Germania indusse ì filosofi venuti dopo Kant ad ab-
bandonare il metodo psicologico , e a muovere la filosofia dall' on-
tologia come da suo vero punto di partenza. Lo scetticismo tra-
scendentale ( cosi pare a noi che abbiano dovuto ragionare ) è una
conseguenza necessaria della psicologia di Kant , e^quindi puredella
*i V. Rosmini Nuovo Sagp;!o voi. VI. p. 46(5. Rom.
*-2 V. Jouffruy. [.lef. a lUid. pag. CLXXXVIll.
17
scuola scozzese, da cui la prima essenzialmente non differisce; ma
questa psicologia , comunque possa pure essere ulteriormente perfezio-
nata , è vera , massimamente là dove insegna che la parte formale od
a priori delle nostre cognizioni risulta da leggi costitutive o forme
originali del soggetto conoscente: forza è adunque di venire all'una
o all'altra di queste due conclusioni , o di fare la sua parte allo
scetticismo volendo partire dalla psicologia sia critica sia scozzese, o
di non partire dalla psicologia bensi dall' ontologia volendo evitare
lo scetticismo. Nel quale ragionamento chiunque facilmente vede su
quale supposizione sia fondata la doppia conseguenza a cui conduce.
Ella nasce evidentemente dall' adottare come cosa provata , che
non ammette replica, la natura soggettiva delle nozioni a priori
principio e fondamento dell' umana cognizione.<J ''J*«f* mn?o i?sno8 9
Ma è egli poi vero che sia soggettiva la parte ji prtOri ' AeVi^e litì-
stre cognizioni? è ella già stata abbastanza esaminata questa parte
a priori? non potrebbe ella essere assai ridotta? e ridotta all' ul-
tima sua semplicità, s'è egli già abbastanza studiato quali caratteri
abbia e quindi quale valore? Prima di transigere collo scetticismo y
prima di condannare in massa il metodo psicologico converrebbe
esaminare se non si possa fare una psicologia più perfetta di quella
di Kant, e se oltre i seguaci del criticismo in Allemagna ed in
Francia non ci siano altri scrittori di filosofia, i quali abbiano per
avventura dato una soluzione più compiuta del problema ideologico
mediante l' osservazione psicologica , in cui siansi incontrati in un
primo vero assoluto, principio e fondamento di tutta la scienza
umana.
Né diversamente pare a noi che dovessero ragionare nel secolo
scorso Reid e Kant , quando presero a combattere lo scetticismo di
Hume rifacendo più compiutamente la psicologia di Loke , della
quale il primo era una conseguenza necessaria. Ora lo scetticismo
trascendentale non è meno strettamente connesso colla psicologia di
Reid e di Kant, che noi fosse quello di Hume colla psicologia di
Loke. Egli è adunque naturale di cercare prima di tutto in qualche
difetto delle dottrine psicologiche del criticismo l'origine e il fonda-
mento del moderno scetticismo. Reid avrebbe conchiuso cosi , e
Kant stesso se non fosse egli 1' autore del criticismo. Ma i moderni
hanno tenuto un altro discorso. Spaventati dallo scetticismo trascen-
dentale tanto più forte di quello di Hume, quanto il criticismo è
più forte del sensismo, invece di dubitare della verità della filosofia
critica da cui quello s' ingenera , o s' acconciarono a fare la sua
3
18
parte allo scetticismo, o proclamarono l' ìnsufTicienza della psicologia
per risolvere il problema logico, e dissero che non ella ma 1'. on-
tologia doveva essere il punto di partenza della filosofia.
Due soli tra i moderni, per quanto noi sappiamo, Cousin e Ros-
mini hanno veduto dove giacesse il difetto intrinseco della filosofia
moderna, e di quale riforma abbisognasse. Investigare mediante
un' osservazione più compiuta le condizioni od elementi a priori
della cognizione umana, ridurre alla massima semplicità questa
parte a priori della cognizione, e rivendicarne contro il criticismo
il valore obbiettivo ed assoluto-, ecco quello che i due mentovati
filosofi si sono proposto di fare ed hanno fatto , ciascheduno alla sua
maniera , ma 1' uno e 1' altro restando fedele al metodo psicologico
e senza uscire dall' osservazione ma spingendola troppo più profon-
damente di quel che avessero fatto gli scozzesi e Kant stesso. Che
se dopo 1' ultimo opuscolo di Schelling citato nell' articolo che an-
notiamo, e dopo gli scritti di Rosmini non può per avventura più
dirsi della soluzione data da Cousin del problema in questione, ciò
che egli stesso ne dice que le tems et la discussion ne font point
encore ébranlée *r, questo almeno pare a noi che possa pure con
verità affermarsi della soluzione proposta da Rosmini.
Ma noi non vogliamo in questo luogo nulla pronunciare sid me-
rito delle soluzioni di questi due sommi filosofi. Nostro intento era
solamente di far vedere come essi abbiano in filosofia tentato quell'
unica riforma che il rigoroso metodo prescriveva , riforma analoga
a quella che nel secolo scorso facevano Reid e Kant, suggerite l'una
e l'altra da uno scetticismo diverso d'indole, ma egualmente in-
vincibile, finché non venissero riformale quelle dottrine psicologiche
su cui fondavasi. Quindi a noi pare che 1' autore dello scetticismo
ti'ascendentale se vivesse, non potrebbe a Cousin e Rosmini scrivere
diversamente da quel che a Reid scriveva David Hume: « Je dirai
» seulement que si vous avez pu répandre la lumière sur ces objets
» importants mais obscurs , loin d'en étre mortifié je serai asse;;
» vain poiu" réclamer une part du mérite, et je penserai que c'est
» du moins parceque mes erreurs n'ont pas trop d'incohérence
» entre elles, que vous avez été cojiduit à faire un plus sevère
» examen et à reconnaitre la futilitc des principes sur lesquels je
» m'appuyais *2. >» P.
*i V. Cousin Frag. phil. prcf. i. ed. ^
*2 V. Vie de Reid par Dugaid Ste^vart nel primo volum delle opere di Reid
traduUc da Jouffroy pag. 17.
19
LETTERATURA STRANIERA
OLLA PODRIDA
'ir
3b
^ICit Citenóoie dev Suvaimno
Pregiatissimo Signore ,
Non sono molti anni che peregrinando io in certe re-
gioni settentrionali in cerca del bello pittorico , mi abbat-
tei per mia fortuna in un Galiziano da Santiago di Ceai-
postella il quale, lasciata per la ragione che potete im-
maginarvi la patria , per dar tempo al tempo s' era anch'
esso ridotto a fare il pellegrino assai più lungamente che
non avrebbe voluto. Egli era una buona pasta d'uomo,
dottissimo in tutto ciò che riguarda la letteratura e la
storia del suo paese, e più che mediocremente istruito
nelle cose politiche e letterarie del rimanente d'Europa.
L' aver stampato qualche opuscolo nella sua gioventù gli
aveva acquistata una bella fama in tutta quanta la Galizia
e nelle vicine province, per cui poteva infilzare dietro il
suo nome una lunga serie di titoli accademici , perchè in
Ispagna, come in Italia, un uomo che abbia scritto una dis-
sertazioncella sopra un punto d' antichità , od una canzone
in lode di una bella o di un potente, diviene issofatto let-
terato ed è accolto a braccia aperte da tutti gli accade-
mici immobili ed assiderati come un confratello.
20
Il mio Don José E — j M — , che così si chiamava
il buon Galiziano , benché fosse vicino al decimo lustro
e paresse principalmente inclinato agli studi gravi della
storia e dell' economia politica, aveva ciò noii di meno
una di quelle anime veramente spagnuole , in cui la gra-
vità ed il sussiego nascondono appena un' imaginazione ar-
dente e poetica nel più alto grado, a svegliare la quale
basta sovente im cenno , come un leggerissimo tocco è
sufBciente a far iscoppiare la scintilla elettrica. Trovato sin
dalle prime nostre parole che 1' amicizia di parecchie per-
sone ci era comune, fummo in breve liberi da ogni no-
iosa etichetta e prestamente d'accordo di visitare insieme
alcuni laghi rinomati e certe famose montagnette che, da
volere a non volere, bisogna in quelle parti aver vedute e
trovar belle e romantiche per non ribellarsi al dominio
prepotente della moda. — Noi passammo insieme parecchi
giorni , ora viaggiando , ora fermandoci dove ci accadeva
di trovare delizioso soggiorno e comodo ricetto , e in sulle
prime ragionammo per lo più di cose politiche dando ,
come si suol fare , libero corso alle nostre utopie e mettendo
a soqquadro tutte le cinque parti del mondo. Provveduto
a questo primo e più urgente bisogno, convenne cercar
materia a nuovi ragionamenti , ed io cui da giovine era
accaduto di aver per le mani di molti libri spagnuoli e
soprattutto 'l'inimitabile D. Chisciotte, pensai di trar pro-
fitto della favorevole congiuntura che mi si presentava per
ingolfare 1* amico nel mare magnian della letteratura Ca-
stigliana, persuaso che ne ricaverei eguale istruzione e di-
letto , e che lo troverei difensore ostinato delle glorie let-
terarie della sua nazione , come lo aveva trovato magnifi-
catore di ogni altra cosa che spettasse al già vastissimo
impero delle Spagne e delle Indie. — Mi valsi pertanto
del primo nome d'autore che gli avvenne di citare per
dimostrar qualche dubbio intorno al merito trascendente
21
che gli era da lui attribuito, e la sorte volle che la mia
vittima fosse il mellifluo Melendez Valdes che D. José
aveva altre volte conosciuto, anzi della cui amicìzia di-
ceva essere stato , negli ultimi anni della vita di lui , par-
ticolarmente onorato. La scintilla scoppio siccome io aveva
preveduto, A un tratto vidi accendersi d' insolito fuoco lo
sguardo del Galiziano , la sua voce riprese un novello vi-
gore ed io sorridendo mi preparai ad andar via stuzzi-
cando e pungendo il suo amor proprio nazionale , intento
a fissare le sue parole nella mente per trascriverle poi la
sera nel zibaldone delle mie note. — Ed io trascrìssi non
solamente le sue ma le mie che furono troppe, e questa,
signor Estensore, è una copia fedele del dialogo che se-
gui fra lo Spagnuolo e l' Italiano. Se lo crederete degno
di occupare un posto nel vostro Giornale fatelo pure di
pubblica r-agione, che così m'ajuterete a sdebitarmi di un
voto letterario, cui mi convenne far promessa di adem-
pire, per aver osato dubitare che Melendez fosse il primo
poeta del mondo. - — Come io facessi questo voto lo tro-
verete spiegato sul finire del dialogo e vedrete che , se vi
mando una traduzione , pur troppo misera , di una poesia
castiglìana , la colpa non è tutta mia. Intanto abbiate pa-
zienza e lasciate che D. José esageri dal suo canto , e
eh* io faccia il prosontuoso dal mio : e voglia il cielo che i
lettori vostri provino , scorrendo la copia del nostro dia-
logo , una particella di quei diletto eh' io provai grandis-
simo prendendo parte all' originale.
22
DIALOGO
tta uno Opaanuofo e uu Utafiauo
^Oyyra alcune parti della poesia castigliana.
S. Possibile che vi arrischiate a pronunziare un' eresia
letteraria qual è quella che vi è sfuggita ? — Come ! Il
divino Juan Melendez Valdes, della cui amicizia mi/ van-
terò sempre fin eh' io viva , sarebbe secondo voi un inge-
gno mediocre , un poeta da tenersi in conto di dozzinale ?
/. Mi guardi il cielo dal voler temerariamente gmdicare
di una materia , in cui so di essere incompetente , e soprat-
tutto dall' offender voi offendendo la memoria di quel vostro
venerato amico ; ma permettete che per mia istruzione io
vi dica liberamente quello che penso, e vi sarò grato se
vorrete raddrizzare le mie idee a mano a mano che mi
vedrete uscire del seminato.
S. Io mi sono già accorto dai discorsi che abbiamo in-
sieme tenuti che non siete affatto digiuno delle cose no-
stre , e vi ho trovato in altri soggetti assai più ragionevole
che generalmente non sono gli stranieri verso la mia na-i
zione. Epperò dite pm^e quel che vi piace che io non vi
accagionerò dei giudizi torti che porterete sulla letteratura
spagnuola, ma gli attribuirò a quel pregiudizio che regna
in quasi tutte le menti di porre la propria letteratura al
di sopra di ogni altra , conculcando quelle degli altri po-
poli, quasi indegne di stare in paragone con la nostra.
/. Per poco che riflettiate su questo difetto generale,
vedrete che la cosa non può essere altramente. Ciasche-
duno apprezza ciò che maggiormente conosce e ciò che
- 25
è avvezzo ad ammirare sin dair infanzia. Per istruito che
uno sia nelle letteratm'e straniere , non avverrà mai , tranne
forse alcuni casi rarissimi , eh' egli le abbia familiari quanto
la sua: e per versato che imo sia nelle lingue esotiche
non giungerà mai a sentirne tutte le bellezze , tutta la forza
e tutta r armonia. Quindi udrete ciascuna nazione esaltare
la propria lingua sopra tutte le altre, e darle lode di ricca,
di pieghevole , d' armoniosa e di espressiva , perchè è na-
turai cosa che non iscopriamo eguali qualità in un idioma
Straniero , che per fare che si faccia non apprenderemo
mai se non imperfettamente. Dite il vero, signor José,
non v' è egli mai accaduto di scoprire nel vostro dialetto '
Gallego espressioni piene di brio , di concisione e di bel-
lezza imitativa, cui credereste appena trovarsi le uguali
nella lingua castigliana?
S. Voi r avete indovinato. Egli mi è più volte accaduto
di osservare in bocca de' nostri artigiani e dei contadini
della Galizia certi modi di esprimersi al tutto originali e
di una tale bellezza che invano vi avrei cercato un vero
equivalente nella lingua colta della nazione : e questo pro-
viene senza dubbio , come voi intendete di dire , dall' es-
sermi piiì familiare la lingua che ho imparata dalla balia,
che non quella che ho appresa alle scuole e nei libri. Ma
appunto per questo , come potrete voi sentire ciò che sente
uno Spagnuolo alla lettura' delle soavissime poesie di Me-
lendez F'aldes , il cui merito principalissimo consiste nell'
inarrivabile dolcezza della lingua e del metro, e in una
magìa di stile che rapisce , che incanta , e per cui gli fu
giustamente dato il titolo di divino ?
L A me pare che questo divino voi- Spagnuoli lo date
con troppa frequenza e quasi direi con leggerezza, facili
come siete a lasciarvi sedurre dalla pompa delle parole e
da ciò che è più atto a cattivar l'orecchio che la mente
ed il cuore.
24
iS. Andate là voi Italiani che non avete mai fatto abuso
di cotesto epiteto. Gli è un bel coraggio il vostro di fare
a noi quest'accusa, quando non avete vergognato di con-
taminare per sempre questa parola applicandola a quel vo-
stro infamissimo scrittore V Aretino.
I. Ci sta bene il rimprovero; ma questo fu un errore
dei padri nostri, nel quale vi assicuro che noi moderni
non siamo troppo inclinati a cadere , poiché raramente
ndi-ete persone di senno dare fra noi questo titolo ad altri
che dM^ Alighieri ed 2^^ Ariosto y i quali confesserete che
lo meritano ben altramente che 1' anacreontico Melendez.
Vi concederò senza difficoltà tutto ciò che dite della soa-
vità della lingua e della magìa dello stile che in lui s' in-
contrano in grado eminente, mai>astano foi'se queste qua-
lità perchè s* abbia dritto ad un titolo che non si dovrebbe
dare se non a quei primissimi scrittori che non eccedono
i due o i tre in tutto il corso di una letteratura ? — Io
non mi posso trattenere dal ridere quando penso che que-
sto vostro amico, pel grande amore che portava ai vez-
zeggiativi , ha potuto trasformare in un tenero Jovino quel
sapientissimo Jovellanos letterato , filosofo e uomo di stato
ed uno dei migliori ingegni che la Spagna abbia nel pas-
sato secolo prodotti. — Ma in che cosa è poi Melendez
superiore a Manuel de Villegas se non nel numero delle
anacreontiche e nell' aver più di lui ripetuti gli sdolcinati
pensieri che riempiono tutti gli erotici ? Noi siamo sempre
da capo col pajarillo e con la palomita , col tomillo e con
r arullo j quasi che questi fossero ancora tempi da diver-
tirsi cogli augelletti e con le tortorelle e da sospirare per
le Fillidi e per le Clori.
S. Poter di Giove che me la fareste dir grossa? Si ha
dunque a rinunziare alla poesia tenera ed amorosa perchè
celati uomini si sono messo in capo di voler fare i pesa-
mondi, e disprezzano tutto ciò che non è statistica ed
25
economia politica? Non ci sarà dunque più lecito di ri-
crearci r animo leggendo una poesia leggera piena di gra-
zia e di eleganza , o qualche facezia condita di sale attico
e vestita di uno stile armonioso , ma saremo condannati
a passare i giorni su libri aridissimi, colle ciglia sempre
corrugate , quasi fossimo altrettanti matematici o uomini
di stato ?
/. Voi siete il primo Spagnuolo che io abbia udito de-
clamare contro la gravità. — Io non voglio già dire che si
debbano bandir affatto simili composizioni da una lettera-
tura , ma vorrei che non si desse loro maggior importanza
di quella che si meritano: perchè, se comincerete a dar
del divino ad un autore di canzonette, correrete rischio
di fare che tutti i giovinotti all' uscir delle scuole si vol-
gano col colascione in mano a cantare le loro Filli vere o
imaginarie, e ne nasca un andazzo anacreontico da 'sner-
vare un pajo di generazioni. Vi sovvenga di ciò che è ac-
caduto in Italia quando i nostri verseggiatori (che non li
voglio chiamare poeti) si misero tutti a cantare le belle
mani, le auree chiome, e le nere ciglia delle donne dei
loro pensieri , o a farsi pastori e non parlar d' altro che
di agnellini, di tenere erbette e della crudeltà delle loro
pastorelle candide come la giuncata e dure come uno sco-
glio. Il mal esempio penetrò in breve nella vostra Spagna,
se pure di là non venne , e per quasi due secoli non si udì
altro nelle due penisole che un continuo suono di sospiri
e di pianto, e un perpetuo rimare di Cupido con infido
di bene con pene ed altre somiglianti ridicolaggini da far
morire di noja. Quanto, ip'm di cotesti vostri cari erotici,
a me piacciono le antiche ballate o romanze che si can-
tarono attorno alla culla della vostra letteratm-a! In esse,
in vece di ridicoli lamenti di pastori innamorati e di ge-
miti di tortorelle , sono rammentati fatti storici degni di
ricordanza ed inculcate massime di onore cavalleresco.
26
mentre nella rozza loro semplicità non di rado incontrate
pensieri sublimi che valgono un mondo di frascherie amo-
rose.
S. Non dirò che abbiate tutto il torto nel dar la pre-
ferenza alle nostre antiche romanze sulle anacreontiche.
Ma si vogliono giustamente apprezzare e le une e le altre :
sebbene, adirvi lamia schietta opinione, anch'io inchino
grandemente a favore delle prime, per le quali la nazione
spagnuola si può vantare di cosa quasi sconosciuta nelle
letterature degli altri popoli. Quanta semplicità in fatto, e
quanta nobiltà ad un tempo non si trova in moltissime di
quelle romanze che narrano le eroiche gesta del Cìd, e le
accanite guerre contro i Maomettani che avevano usurpata
tanta parte del nostro paese ! Né mancano quelle che con-
tengono patetiche storie d' amore e sono piene di una soave
imalinconia che in tanta diversità di tempi e di costumi
ancora tocca profondamente il cuore. Oh ! quella domina-
zione degli Àrabi, o Mori che si voglian chiamare, nella
nostra penisola, se da una parte è stata cagione di mali
grandissimi , per 1' altra ha fomentata una civiltà che non
si sarebbe altramente potuta sperare , ed ha infuso un non so
che di cavalleresco e di poetico nel carattere spagnuolo, no-
bilitandolo al pari di quello di qualunque nazione d'Europa.
/. Voi mi parlate da uomo spregiudicato e m' incorrag-
giate a dirvi che 1' epoca della dominazione araba nel mez-
zogiorno della Spagna è sempre stata per me la parte piiì
bella e più poetica della vostra storia, e che sin dalla
prima mia gioventù mi sono sentito gagliardamente spinto
ad intraprendere un pellegrinaggio , non già alla Mecca ,
ma verso Cordova e Granata, le moresche reliquie delle
quali son certo mi farebbero palpitare il cuore quasi al
pari di quelle di Roma, e di Atene. Quella è per me la
terra della poesia , quello è il luogo felice in cui la mia
imaginazione ha collocato il suo paradiso terrestre.
27
S. Amico , voi destate in me le dolci reminiscenze di
un' età che da lunga pezza è passata , e rivolgete il mio
pensiero a luoghi e a scene che mi stanno ancora profon-
damente impressi nell' animo. Quando in sul bollore degli
anni io visitai quelle due città che appena serbano un'om-
bra della loro antica grandezza , e vidi in Cordova la selva
di colonne del maggiore suo tempio , e quegl' infiniti leg-
gerissimi archi che pajono più 1' opera di Silfi che di uo-
mini: quando in Granata mi aggirai per le splendide sale
deW^lhambra, i cui stucchi risplendenti d'oro e d'azzurro
sembrano aver ricevuto jeri 1' ultimo tocco dell' artefice ,
e compresi che smisurate ricchezze si sono dovute profon-
dere ne' moltiplici acquidotti che distribuivano 1' acqua in
zampilli per tutte le case , io dissi meco medesimo : quanto
ha dovuto esser potente , colta e gentile la nazione che
ha pensato ad opere così maravigliose ! quel tempio , quel-
l' Alhambra bastano a riconciliarci cogli usurpatori della
nostria patria , e a far perdonare gli amori del Re Rodrigo
con la Cava prima cagione di quella irruzione straniera. —
Là neW Alhambra , in quella sala stessa Je' leoni che fii
bagnata da tanto sangue degli Abenzerragiy io ripeteva le
romanze che parlano degli amori di Zajda, di Fatima e
di Galiana , declamava quella che incomincia Paseabase
et Rey Moro , e 1' altra sull' assedio di Alhama che fece
spargere tante lagrime ai Mori negli ultimi anni del loro
impero neM' Andalusia y e, il dirò con mia vergogna, non
avrei potuto consentire che il soggiorno de' Maomettani
fosse cancellato dalla storia della mia patria.
/. Perchè vergognare di un sentimento che avete co-
mune con moltissime persone, e perchè invece non glo-
riarvi di ciò che ha più di tutto contribuito a rendere
illustre la vostra nazione? Senza i lumi che vi vennero
dall'oriente i vostri Re Goti non v' avrebbero procurata se
non una tarda civiltà, e se questa vi doveva giugnere dal
28
lato de' Pirenei vi si sarebbe presentata vestita alla fran-
cese con gravissimo danno della fìsonomia originale che il
carattere vostro e la vostra letteratura conservano ancora
a malgrado di tutto ciò che si è fatto per alterarli.
S. Voi ridereste se vi rammentassi che presso di noi si
apprezza grandemente 1* antico e piu-o sangue cristiano , e
non si sogliono riguardare i Mori sott* altro aspetto che
sotto quello d' infedeli.
1. Caro D. Jose , non istiamo ad entrare in discussioni
religiose, perchè la materia è troppo ardua e delicata ^ e
potrebbe tm-bare assai più che non il disputare sulla let-
teratura la buona armonia che in questi giorni è fra noi
regnata. Parlando accademicamente e , come si suol dire ,
dal tetto in giù, se si riguarda alla barbarie che regnava
in tutta la Spagna , quando l* insulto fatto dal Re Rodrigo
all' anore del Conte Giuliano chiamò gli Arabi nel vostro
paese , chi è che non debba rallegrarsi delle conseguenze
che la battaglia del Guadalete ha prodotte ? E poniamo
anche che la ragione ci dovesse far odiare quella na-
zione come usurpatrice , i Goti o J^isigoti , e i Vandali
vostri progenitori non erano essi usurpatori del territorio
Iberico quanto i Maomettani? Vada dunque l'un per l'al-
tro e invece di badare al loro dritto d' invadere la Spa-
gna, badiamo agli effetti che l'invasione ha partoriti. Senza
r irruzione moresca non si sarebbe mai svegliato fra voi
quello spirito di cavalleria che vi durò per tanti secoli ^
e, quel eh' è peggio pel soggetto del nostro discorso, la
letteratura vostra e la vostra lingua non avrebbero quell'
impronta orientale che a dispetto di tanti rivolgimenti
non si è potuta cancellare e vi distingue ancora dalle al-
tre nazioni che vi circondano.
S. Voi dite il vero , il punto d' onore frutto dello spi-
rito cavalleresco , e i semi arabi che segretamente vennero
fra noi germogliando ,. hanno dato un carattere alla nostra
29
letteratura che cerchereste invano nell* italiana p nella fran-
cese , e peggio ancora in quelle delle lingue del setten-
trione. Peccato eh* essa non abbia progredito secondo i
suoi primordii , perchè l' imitazione della vostra nel sedi-
cesimo secolo , e della francese nel decimottavo , le hanno
dato il tracollo , e tolta tutta la sua antica dignità. Noi
avevamo un modo di verseggiare tutto nostro , un modo
di rimare diverso da quello delle altre nazioni europee ,
le regole d* Aristotile non erano venute ad inceppare U
nostro teatro che spaziava libero per tutti i campi dell*
imaginazione, e bastò che Boscan, infettato dal gusto ita-
liano e dall' amicizia del vostro Navagero , si unisse a
Garcilaso de la Vega per introdurre fra noi una riforma
che doveva privarci di una gran parte della nostra ori-
ginalità.
/. Se Boscan non intraprendava di riformare la poesia
spagnuola un altro l'avrebbe in sua vece riformata, perchè
le cose erano giunte al punto , a cagione principalmente
delle guerre di Carlo V. pel ducato di Milano e pel re-
gno di Napoli , che di necessità o la letteratura spagnuola
doveva accostarsi all'italiana o l'italiana alla spagnuola. Ora
delle due toccava alla vostra a riformarsi , la quale non
aveva avuto né un Dante , ne un Petrarca che ne stabi-
lissero fermamente le basi. Il male che vi fu fatto da Boscan
e da Garcilaso , dai quali fu pure ingentilito il vostro verso
che suonava rozzamente nelle redondillas e nelle coplas
de arte major, fu quello di fomentare nel vostro suolo
quella gramigna dei sonetti e delle egloghe di cui non so
se vi sia maggior peste nelle lettere. Del rimanente la ri-
forma non produsse grand' effetto sulla vostra poesia dram-
matica, per la ragione che l'Italia non avendo derrata dì
questa sorta da esportare , ed essendo servile e mìsera
imitatrice dei Greci e dei Latini non vi poteva incorag-
giare a copiare le sue copie.
30
S. Buon per noi che l' Italia non avesse nulla nel suo
teatro che fosse degno d' imitazione , perchè altrimente non
avremmo veduto sorgere quei grandi ingegni di Lope de
f^ega Carpio e di Calderon de la Barca , i quali bastano
da se soli a rendere gloriosa una letteratura. — Che dite
voi di questi due colossi? E avete voi in Italia un pajo
di campioni da oppor loro nelle produzioni teatrali ?
/. Se vi ho da dire schiettamente ciò che io penso ,
noi siamo meno felici di alcune altre nazioni nelle cose
nostre di teatro. La commedia è rimasta in Italia o tri-
vialmente spiritosa o nobilmente fredda: e la tragedia è
troppo calcata sul greco modello perchè si possa chiamare
veramente italiana. Ma non e' innoltriamo in questa di-
gressione che ci condmTebbe troppo lontano e finché si
può procuriamo di non uscire dalla Spagna. Guai se qual-
che mio concittadino penetrasse il mio segreto sentimento
sulle nostre drammatiche produzioni ! sarebbe cosa da farmi
sbattezzare , perchè certi pregiudizi sono forse radicati
nella mia patria più fortemente ancora che nella vostra. —
Torniamo pertanto a Lope de Vega e a Calderon , e sof-
frite che vi dica liberamente che se essi sono ingegni stra-
ordinari , e certamente sono tali , il loro genio è cosi
disordinato da consistere almeno per la metà nella strava-
gaiua. — Una nazione che ha potuto ammirare i loro Jutos
sacranientales non dà un' idea favorevole né della sua re-
ligione , né del suo discernimento. Una nazione che potè
dilettarsi alla rappresentazione di migliaia di commedie de
Capa j espada , quasi tutte fondate sul punto d' onore e
piene zeppe di duelli di fi^atelli e di padri contro amanti
o seduttoi'i , per vendicare 1' onore di figlie o di sorelle ,
mostra che non patisce la noja della monotonia , e che
può ingojare qualunque pasticcio , purché abbia esterna-
mente qualche pouo di condimento che l' ajuti a scorrer
giù per l'esofago.
31
S. Ma vói siete oltremodo severo nei vostri giudizi , e
non la perdonate nemmeno ai sommi. - — Dunque cotesti
grandi ingegni , poiché fate loro la grazia di chiamarli con
questo nome , a parer vostro non avrebbero altra qualità
fuorché quella di una fantasia disordinata ? E non tenete
voi in nissun conto la prodigiosa loro facoltà di scrivere e
di scrivere elegantemente?
/. So che Lope ebbe il dono funesto di poter scrivere
quasi con la rapidità con cui si pensa , e so che più di
cento de' suoi drammi , per quanto egli stesso ci narra, in
meno di ventiquattr' ore : .;
« Pasaron de las musas al teati'o. »
Calderon fu anch' esso dotato di una straordinaria rapidità
nel comporre , e di comporre in uno stile a' suoi tempi
riputato elegantissimo , ma , sia con vostra pace , e l' uno
e l'altro avi-ebbero meglio provveduto alla loro fama se
non si fossero tanto affrettati. Quel Lope che aveva tal-
mente apamaliati , o per dir meglio ingannati , i suoi con-
temporanei, da fare che il suo nome divenisse sinonimo
di cosa perfetta: quel Calderon che col suo stile culto
tanto propagò ed accrebbe quel parlar per concetti e
quegli arzigogoli inti'odotti da Gongora , che cosa hanno
lasciato che porti veramente il marchio del buon gusto ,
e si accosti a quella perfezione di cui si trovano fi equenti
esempi nelle altre letterature e talora anche nella vostra
fuori del genere drammatico?
iS*. Se foste Spagnuolo cotesta perfezione di cui parlate
la trovereste in parte nelle opere stesse di Lope e di Cal-
deron, sebbene io non possa negare che questi facesse un
abuso condannevole di concetti e dell'ingegno prodigioso
che la natura gli aveva concesso. — Ma cotesto malaugu-
rato cultismo che gli rimproverate ci è pur venuto d'Ita-
52
Ila f come la prima riforma della nostra poesia ! Quel Ma-
rini che mise in voga presso di voi lo stile che chiamate
del seicento, è pm^e stato cagione che la corruzione dal
regno di Napoli passasse in Ispagna, e vi gettasse quelle
radici che pur troppo vi pose per più di un secolo.
/. Potrei rispondervi che Marini originario spagnuolo e
allevato fra Spagnuoli fu corrotto da voi prima di accre-
scere la vostra corruzione ; ma confesserò , eh' egli ebbe la
sua parte nella propagazione del cattivo gusto in Ispagna.
Presso di noi la nostra buona sorte ha voluto che gì' imi-
tatori del Marini fossero poeti di poco o nessun valore,
invece che uomini veramente grandi portarono fra voi l'as-
surdità all' eccesso , e fecero che il pubblico giudizio vi
fosse compiutamente travolto,
S. Or bene concediamo , poiché il volete , che tanto
ZiOpe quanto Calderon abbiano traviato per troppa imma-
ginazione e per fretta eccessiva nel comporre , non potrete
tuttavia ricusar loro il merito innegabile dell'invenzione e
quello di un dialogare così spiritoso e vivace da incantare
gli spettatori.
/. L* invenzione certamente non è loro mancata , e buon
per loro se ne avessero avuta meno con maggior criterio.
Ma un* invenzione mostruosa non frenata da quel tatto let-
terario che fa distinguere l' oro dall' orpello , è una qualità
piuttosto da lamentarsi che da invidiare. Quanto è alla spi-
ritosa vivacità del dialogo io concederò tutto quello che
volete, purché sopportiate ch'io dica essere questo merito
pur troppo oscurato dai difetti , non della lingua che al
dir di tutti è quasi sempre bellissima, ma dello stile che
raramente è naturale e più di tutto dai pensieri che par-
ticolarmente in Calderon sono , per quel mal vezzo del
cultismo , lambiccati e contorti e per lo più rilucenti di
un falso splendore.
S. Donde viene adunque che i Tedeschi fanno tanto caso
55
di questi nostri drammatici e che i Francesi si sono arric-
chiti delle spoglie del nostro teatro, se questo è secondo
voi così mostruoso e ridicolo?
/. Adagio con quel mostruoso e ridicolo , poiché io non
ispingo la cosa cosi oltre come voi semiorate immaginare.
Ho lette delle vostre commedie de Capa y espada , fra
le quali poche di Lope , un maggior numero di Calderon
ed alcune di Agostino Moreto ricavandone grandissimo di-
letto ; e dicendo questo io sono più generoso del nostro
Baretti, il quale, intendentissimo com'ei^a della vostra let-
teratura , non vi trovò mai più di due commedie che gli pia-
cessero , e queste sono El famiUar sin demonio di Gaspar
de Avila , e No hai bien sin ageno dano di Antonio Sigler
de Huerta. — Delle commedie eroiche ossiano tragedie
dei vostri antichi non parlo , perchè appena ve n' ha al-
cuna che sia degna di essere rammentata, tanto esse sono
piene di stranezze ripugnanti alla ragione e al buon senso.
E se i Tedeschi tengono in gran conto parecchi dei vo-
stri drammi , egli è perchè anch' essi sogliono dare un li-
bero corso all' immaginazione e sono tanto amanti delle
nuove creazioni che perdonano facilmicnte ogni trascorso,
purché resti appagato quell' ardente desiderio che hanno
di trasportarsi con la mente fuori delle regioni del possi-
bile. Né vi faccia stupore che i Francesi si siano valuti
delle creazioni vostre per adattarle al loro teatro , perchè
vi si vuol render giustizia col dire che v' ha presso di voi
una miniera quasi inesauribile di eccellente metallo che
voi non avete saputo separare dalla terra e dalle rocce ,
e che la delicata mano dei Francesi ha convertito in gio-
ielli. Né questo è il solo caso in cui le cose vostre pas-
sando in Francia siano divenute migliori, mercè del buon
gusto di chi le ha sapute pulire e fare coli' opera sua
adorne e gentili. Ricordatevi dello stupendo Gii Blas de
Santillane che Le Sa gè vi ha rubalo, abbellendolo in modo
3
34
da farsi perdonare il furto e da ricavarne grandissima lode
come d' opera originale.
S. Ciò che mi dite dei Tedeschi mi dimostra che prima
di entrare in questa discussione avrei dovuto interrogarvi
se siate classico o romantico, sebbene sia da presumersi
e dall'essere voi stato allevato in Italia e da certe opinioni
teste manifestate, che dovete appartenere ai partigiani del
classicismo.
/. V ingannate a partito , signore , se credete che le
opinioni o i pregiudizi! delle scuole mi dirigano nelle mie
affezioni letterarie. In questo mi lascio guidare dal senti-
mento del bello che è in noi innato e dall' educazione e
dallo studio accresciuto : e se ho da dirla , giudico assai
più secondo il cuore che non secondo la mente. — Se do-
vessi prendere un nome per indicare l'opinione che seguo
mi chiamerei eclettico, cioè non solamente classico e ro-
mantico ad un tempo , ma amico d' ogni genere di lette-
ratura , qualunque sia la sua appellazione , purché ci trovi
quel bello che rapisce , che accende , che commuove e che
non è privilegio di un popolo o di un paese , ma si trova
sparso per tutta la natura. Nello stesso modo che ammiro
un bel quadro di scuola italiana , rimango estatico dinanzi
una Madonna del vostro Murillo , e a quella guisa che mi
compiaccio nel vedere una perfetta imitazione della na-
tura in una pittura fiamminga , fo le mie delizie di una
marina o di un paesello inglese. Da buon' ora ho rotte le
pastoie delle arti poetiche che ci vorrebbero condannare
ad ima perpetua e sterile imitazione dei classici greci e
latini. La vera arte poetica è la natura studiata e discussa
con quella ragione che fa dell' uomo il primo degli esseri
creati. Quindi io sono sincero ammiratore di quegli stessi
Tedeschi che sono i più zelanti difensori del vostro teatro ;
venero Goethe e Schiller , e soprattutto il primo dei dram-
maturgi moderni l'impareggiabile, ma pur troppo strano,
35
Shakspeare, perchè essi mi parlano soventi al cuore con
una poesia piena di passione e di afletto , invece che i
vostri tendono sempre ad abbagliare la mente.
iS". Se così è vi godrà 1' animo nel vedere gli sforzi che
si vanno facendo in Francia ed in Italia per accostarsi ai
romantici o almeno per uscire dai limiti nei quali le let-
terature di quei paesi furono per 1' addietro ristrette,
/. Dite pure che ne godo assaissimo , perchè veggo che
non e' è modo d' infondere una novella vita in quelle let-
terature salvo col cercare ispirazioni al di fuori. Piuttosto
che udir ripetere per sempre ciò che si è detto e ridetto
per tanti secoli e non veder altro che imitatori d' imitatori ,
amo che si vada a rischio di errare seguendo un' altra via ,
la quale può darsi che conduca anche noi a bella e glo-
riosa meta, come vi ha condotte altre nazioni. Né mi sgo-
menta il vedere che i primi passi siano incerti e che in
sul bel principio del cammino molti vadano già errando
fuori di strada , perchè penso non potersi giungere alla vi-
rilità senza passare per l' infanzia e per la fanciullezza.
Questo poi più di tutto mi rassicura che la letteratura clas-
sica , con tanta copia di libri che sono nelle mani di tutti ,
non può più andar perduta , e che la sua influenza si farà
sempre sentire sia col temperare gli eccessi cui 1* amore
della novità potrebbe portare i più fervidi ingegni , sia col
richiamarli alle antiche discipline, quando l'esperienza mo-
strasse essere le nuove o dannose o non adattate ai nostri
costumi.
S. Strana cosa che, mentre le altre nazioni vanno tentando
di rompere le catene del classicismo , noi Spagnuoli da
più di mezzo secolo facciamo di tutto per rinunziare alla
libertà del nostro antico teatro e metterci nei ceppi delie
regole classiche.
/. Questo vi provi che coloro i quali fondarono il vostro
teatro fecero bensì gran cose che vi riempirono di mara-
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viglia, ma non gettarono le loro fondamenta sul sodo.
Quindi voi andate ora in cerca del vero che non avete
ancora trovato e pensate di poterlo incontrare nel classi-
cismo , mentre altri non paghi di questo lo cercano fra i
romantici, vale a dire nelle scuole tedesca ed inglese, le
quali più particolarmente , a me pare , si hanno in mira
parlando di romanticismo , ad esclusione dell' antica spa-
gnuola che forma un genere a parte cui io darei volon-
tieri il nome di romantico-orientale. Oltre a ciò badate
che il desiderio di varietà è naturale all'uomo e che i po-
poli come gì' individui non possono sempre stare nella
medesima giacitura e non tentare di schermirsi dalla stan-
chezza col dar volta , benché spesso accada che voltandosi
si trovino in una postura più spiacevole di prima. — Do-
poché il trono delle Spagne passò in mano ad una dina-
stia francese , gli antichi costumi spagnuoli si andarono a
grado a grado adulterando e con essi si venne pure per-
dendo 1' affezione all'antica letteratura. — D. Ignazio de
Luzan stemperando poi la poetica di Boileau in quel suo
grosso , ma in gran parte savio , volume , sparse i semi
che dovevano sul finire del secolo decimottavo produrre
il loro frutto. Egli , e la moda di Francia che prevalse
in questo come in altre cose , diedero 1' ultimo crollo al
teatro sino allor prediletto.
S. Egli è pur troppo così. Sono più di cincpiant'anni che
si scrivono tragedie e commedie regolain , ma non è an-
cora sorto fra noi un ingegno tale che possa colla clas-
sica regolarità far dimenticare ciò che voi chiamate le
stravaganze dei nostri antichi. Né Leandro Fernandez
Moratin , né il Messicano Gorostiza , né Martinez de la
Rosa , benché degnissimi di lode , non hanno ancora pro-
vato che il metodo classico convenga alla Spagna. Chi sa
cjuando verrà a decidersi questa importantissima questione?
/. Egli pare che voi andrete ancora tentone per qiial-
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che tempo finche non nasca chi sappia fare un beli' inne-
sto dell' un genere suU' altro e soddisfaccia ad un tempo
alla presente civiltà e al desiderio che vi lasciano le me-
morie del passato. Quella medesima incertezza che regna
fra voi , regna pur anche presso varie altre nazioni. Ve-
dete la Germania , stata 1' ultima a scendere nell' aringo
letterario , alternare il classico ed il romantico , e la vec-
chia Inghilterra , pur sempre devota ammiratrice del suo
Shakspeare , prendere alcuna volta a modello Sofocle ed
Euripide, quasi si mostrasse sazia delle sue immense ric-
chezze.
S. Noi ci siamo ingolfati in una quistione troppo se-
ria ed io , con vostra licenza , vorrei che tornassimo al
nostro soggetto , premendomi di dimostrarvi che la lette-
ratura Gastigliana ha pure in sé molto di buono , e può
reggere al confronto delle sue sorelle. Non parlerò più
del nostro dramma antico , giacché veggo che il vostro
pregiudizio su questo punto é invincibile ; ma prima che
passiamo ad altra materia ditemi almeno se , mentre non
vi piace l'intrinseco , non trovate alcuna cosa di lodevole
nel metro di cui si faceva e si fa ancor uso nelle nostre
commedie. A me pare che il verso sia adattato e che
quelle rime assonanti , particolari alla nostra lingua, siano
grandemente pregevoli come quelle che aggiungono venu-
stà senza offendere l'orecchio e distogliere l'attenzione. Ma
non oso più asserir nulla , tanto voi mi parete intento a
troncare le ali del nostro orgoglio.
/. Voi lo dite ridendo, epperò mi confortate a prose-
guire senza timore. — Qui sono pienamente della vostra
opinione e credo con voi che il vostro verso di redon-
dilla, benché di sole otto sillabe, é forse più atto d'ogni
altro al dialogare per cpiella giacitura d' accenti , spesso
diversa da quella dell'ottonario italiano , che lo rende nò
troppo armonioso né troppo monotono ; e le vostre rime
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assonanti mi sono pur care per la segreta annonia che
diirondono nella verseggiatura , là dove la rima consonante,
per la troppa sua evidenza diverrebbe insopportabile.
S. Ho udito dire da molti stranieri che la semplice
assonanza diviene appena sensibile al loro orecchio, cosa
che mi fa stupore perchè non v' ha Spagnuolo fi-equenta-
tore di teatro che non segua esattamente quel suono si-
mile che si va i-ipetendo per intere scene ad ogni verso
pari e non si accorga immediatamente quando il poeta ,
avendo per così dire esausto un assonante, viene a met-
ter mano ad un altro.
/. Il mio orecchio non è certamente esercitato quanto
quello di uno Spagnuolo , ma vi so dire che quel poco
d'abitudine che ho alla rima assonante fa ch'essa mi di-
venga molesta nei versi sciolti italiani, dove mi avviene
spesso d'incontrarla e dove mi pare che faccia difetto ,
perchè la perfezione di un tal verso esige , secondo me , che
gli accenti principali cadano più che si può sopra vocali
di diversa natura. Molti, e forse la maggior parte dei no-
stri verseggiatori, non badano a questa rima segreta o
mezza rima , perchè si richiede un esercizio particolare a
scoprirla. Quindi accade che spesso lasciano trascorrere
due o ti'e e sino a quattro versi l'uno dopo l'altro finienti
con la stessa assonanza e fanno che il lettore si rimanga
mal soddisfatto , per un non so che d'ignoto che lo feri-
sce e che pure non sa chiaramente distinguere. Io quando
veggo parecchi versi di seguito o in poca lontananza gli
uni dagli altri terminare, a cagion d'esempio, con le parole
seno , cielo , Jìero , = sorte , fronte , sole , = mano ,
canto , caro e simili , dico subito , costui non ha mai
letto una romanza o una scena di commedia spagnuola,
oppure si fida dell'inesperienza del suo lettore.
S. Benché la rima assonante sia quella che regna prin-
cipalmente nei nostri drammi , gli autori nostri per in-
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trodurvi maggior varietà non tralasciarono d' innestarvi
anche la consonante, seguendo l'esempio di Cervantes che
nella sua Numancia e nelle altre sue composizioni teatrali
fece uso di ottave con endecassillabi , e di versi di re-
dondilla rimati a quartine. Che pensate voi di quest'uso
che non solamente prevalse presso Lope e Calderon e i
loro contemporanei , ma s'incontra eziandio in parecchi
scrittori del secolo decimottavo che tentarono invano dì
far risorgere l'antica commedia ?
/. Dico che per me è insopportabile e che Lope e i
suoi seguaci valendosi dell'assonante di cui non s'era ser-
vito Cervantes, non s'accorsero bene della superiorità di
questa rima sull'altra quando poterono aver ricorso a re-
dondillas rimate a consonanza , le quali martellano l' orec-
chio assai più che non le rime perpetuamente accoppiate del
teatro fi^ancese. E dico di più che quell'introdurre ottave
di endecassillabi , e non solamente ottave ma terze rime ,
e sonetti, e il verseggiare delle canzoni Petrarchesche nel
dialogo , fu una mera vanità degli autori vostri , i quali vol-
lero con grave pregiudizio del dramma mostrarsi esperti
in ogni genere di versificazione e maestri nel vincere o-
gni difficoltà. La difficoltà vinta nel verseggiare ha certa-
mente il suo pregio , ma nel dramma l'arte che si adopera
nel meccanismo del verso vuol essere compiutamente ce-
lata, acciò non si distolga l'attenzione dal soggetto per
chiamarla sulla semplice forma. — Certo non era neces-
sario a Lope di abbandonarsi al capriccio di far questa
mal intesa mescolanza [di metri e di rime poiché , se
furono innumerevoli i suoi drammi , senza numero fm'ono
pure i suoi sonetti e i suoi capitoli e troppi i suoi poemi
epici, nei quali potè dare sfogo al prurito di rimare alla
italiana.
S. Vedo che non fate maggiore stima delle altre poesie
di Lope di quella che facciate de' suoi drammi , e in parte
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non \i do il torto , sebbene abbiamo di lui parecchi so-
netti di squisita perfezione speciahnente nello stile gio-
coso che voi chiamate bernesco.
I. Concorro volontieri nella vostra opinione quanto ai
sonetti , alcuni dei quali sono veramente pieni di origina-
lità e di grazia, qual è quello sulla sua logora sottana
che fu tradotto da Scarron e da lui dato in luce come
cosa propria. Ma, in nome della santa poesia, non mi par-
late de' suoi cinque o sei poemi eroici ninno dei quali io
credo sia ancor letto dai vostri compatriotti o ricevesse l'
onore di una seconda edizione. Sicché gli esemplari o ne
sono sepolti nelle pubbliche biblioteche o sono fra le mani
dei privati raccoglitori d'anticaglie. — Quell'uomo che fu
da' suoi contemporanei chiamato prodigio della natura ,
inorgoglito dal dominio che aveva acquistato sulla mente
del pubblico si credette capace d'intraprendere qualunque
pili difficile composizione, e volle particolarmente lottare
coir Ariosto e col Tasso componendo una continuazione
del Furioso col titolo di Hermosura de Angelica ed una
Gerusalemme conquistata, poemi in ottava rima e di venti
canti cadmio. Qui si vide di che tempra fosse quel suo
ingegno tanto predicato. I poemi del Tasso e dell'Ariosto
vivranno finché vivrà 1' amore delle lettere , e quelli di
Lope, quasi ignorati nella stessa sua patria furono sepolti
sin dal loro nascere e sono ora nido e alimento delle tar-
me in mezzo alla polvere delle biblioteche. Vi sono pre-
stigi coi quali si può, vivendo, abbagliare una nazione, ma
la posterità non può essere ingannata. Per ottener fama
presso di lei non ci vuole la sola faciUtà di chi improv-
visa, ma lo studio e la lima di chi lentamente compone.
S. Non vi darò colpa che non abbiate veduta la rac-
colta delle opere in prosa ed in verso di Lope de Vega
in 2 1 voi. in 4. stampata a Madrid verso il 1780, perchè
certe opere spagnuole raramente passano i Pirenei od il
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mare ; con tuttociò voi vi siete apposto al vero dicendo
che i poemi eroici di Lope trovano fra noi pochi lettori.
Veramente né i due poemi da voi nominati, né i quattro
altri dello stesso autore sono i titoli pei quali gli Spagnuoli
chieggono un posto onorevole nella poesia epica. E la-
sciando stare il Monserrate del Virues e il Bernardo os-
sia la vittoria di Roncesvalles del Balbuena che sono
certamente degni di grand' onore , chi è che possa ricu-
sare a D. Alonzo de Ercilla la corona epica per la sua
Araucana ?
I. Fate bene a lasciar da parte il Monserrate , benché
sia lodato da Cervantes nella rivista che il curato e il
barbiere fanno della biblioteca di D. Chisciotte , perché se
v' ha qualche pregio di stile egli è in tutto il resto al di
sotto della dignità di un poema eroico. La vita di un romito
e la fondazione di un convento possono essere materia di
un bel libro ascetico, ma non hanno nulla di quel grande
e di quel poetico che si richiede per un' epopea. Del
Bernardo non dirò , perchè non mi é mai capitato fra le
mani, ma so che tutti lo tengono in minor conto Ae\-
Y Araucana , e voi medesimo ad essa lo posponete. Fer-
miamoci pertanto a parlare di questa. — Che il signor
D. Alonzo de Ercilla y Zuhiga sia poeta epico a nes-
suno verrà in capo di negarlo. Ma eh' egli sia buon poeta
e possa stare in compagnia dei grandi delle altre nazioni ,
quand' anche non fosse nota 1' opinione di tutti coloro che
hanno scritto sulla vostra poesia , ve lo negherei io che
per mia noja mortale 1' ho voluto leggere tutto quanto
dalla prima sino all' ultima ottava.
iS". Potrei domandarvi col comico francese qii'alliez-vous
/aire dans cette galère ? Quando avete cominciato a sba-
digliare perchè non avete gettato via il libro e dato un
addio a D. Alonzo?
/. Io era nella mia gioventù così pieno di entusiasmo
42
per la letteratura spagnuola , a cagion di quel caro D.
Chisciotte di cui faceva la mìa delizia ^ che udendo dire
da tutti essere 1' Araucana il migliore dei vostri poemi
epici, deliberai di volerla leggere con grandissima atten-
zione , così per vedere qual fede meritassero coloro che
la biasimano , come per avere un punto ben determinato
che mi regolasse nel giudicare del gusto spagnuolo. Io
diceva a me stesso, forse coloro che hanno condannata
\ Araucana non ebbero pazienza di leggere un poema così
lungo e, stanchi dell'esposizione che per lo più suol riu-
scire tediosa, sono passati sopra molte delle sue bellezze;
o fors' anche erano mal disposti contro il soggetto per
queU' orrore che ispirano le imprese spagnuole nell'America.
Armiamoci di sofferenza , e leggiamo coli' intenzione di
rendere la dovuta giustizia al poeta ed alla sua nazione.
S. Non istate a proseguire, perchè già avete dichiarato
che il frutto di cotesta lettura non fii altro che una noja
mortale.
/. E potete voi in coscienza maravigliarvi che io non
sia divenuto caldo ammiratore di Ercilla ? — Narrazione
stemperata di avvenimenti comuni , più degna di una gaz-
zetta che di un poema ; — digressioni lunghissime intorno
alla storia spagnuola , nelle quali si trova appena un' om-
bra di poesia ; — descrizioni geografiche aridissime , piene
di nomi di popoli , di montagne e di fiumi , luogo comune
di cui si servirono quasi tutti i vostri poeti , e persmo il
Camois che pure non aveva bisogno di ricorrere a questa
riempitura di stucco ; — e , per non dire di tutto parti -
tamente , racconto freddissimo delle avventure di Didone
che vi sta veramente a locanda, e vi par tirato cogli ar-
gani , — sono cose che stancherebbero la pazienza di un
Giobbe.
S. Certamente il buon Alonzo , che racconta egli stesso
le avventure di Didone a* suoi guerrieri , avrebbe potuto
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scegliere qualche altra storia più adattata a ricreare le ve-
glie di un esercito accampato nelle solitudini d' Arauco.
Ma la sua narrazione ha almeno questo merito che non
le si può dare il nome di crambe repetita, poiché si sco-
sta interamente da quella di Virgilio , e vendica 1* onore
della fondatrice di Cartagine.
/. Voi lo dite per celia. Bel merito in verità! sappiate
che in fatto di poesia una Didone sedotta ed innamorata
come ce la dipìnge Virgilio, vale assai più che cento Didoni
virtuose e ifredde come quella del vostro Ercilla.
S. Ma il pregio dell' Araucana noi^ dipende tanto dalle
cose narrate quanto dal modo di narrarle , e qui ricadiamo
nel dubbio che ho mosso, parlando di Melendez Valdes,
se uno straniero sia atto a giudicare di quel certo fascino
che nasce dalla eleganza della lingua e dalla maestria dello
stile , per sentire le quali , come pure per comprender
bene le allusioni storiche , conviene essere nato in Ispagna ,
pensare alla spagnuola , ed essere nutrito di quelle memo-
rie per cui spesso avviene che un tasto il quale non rende
suono all' orecchio dello straniero , vibra fortemente ed
eccita dolcissime reminiscenze nel cuore dello Spagnuolo. —
Qual è l'Italiano che vorrebbe leggere l'Ariosto tradotto,
sicm-o come sarebbe di non più trovarvi ciò che più di
tutto r incanta nell' originale ?
/. Voi mi stringete tra l' uscio ed il muro, e fate che
non osi rispondere per timore di passare per presuntuoso. —
Senza contrastare assolutamente all' Araucana il merito che
le attribuite , questo credo di poter asserire che l' Ariosto
spesse volte tradotto in francese , in inglese , in tedesco ,
e in molti altri idiomi è da per tutto letto con molta avi-
dità dagli stranieri , mentre il poema di D. Alonzo , il
quale non so se abbia mai avuto l' onore d' essere tradotto ,
venendo voltato in altra lingua non conserverebbe alcuna
qualità che potesse menomamente allettare.
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S. E non alletterebbe il racconto d' un' impresa eroica
qual è la conquista òì Arauco ^ la descrizione di un paese
nuovo , dei costumi di quei selvaggi e del loro valore ?
/. Sì certo potrebbe allettare se 1' autore , guerreggiando
e scrivendo nell' estremità dell' America meridionale , non
avesse avuta costantemente la Spagna d'innanzi agli occhi
e se invece di abbracciar troppe cose da storico, ci avesse
fatto da vero poeta un bel quadro della contrada che pur
troppo devastava, e del popolo che era intento a distrug-
gere. Ma che dico un bel quadro ? Esso sarebbe riuscito
un quadro d' orrore ^anche in migliori mani che non sono
quelle dell' agghiacciato D. Alonzo. Il soggetto per divenir
grande, commovente e poetico voleva esser trattato da un
amico degli Araucani, e Caupolican doveva essere il pro-
tagonista del poema. Quell' eroe selvaggio maltrattato com'
è in tutte le maniei*e dal poeta guerriero è pure il vero
protagonista dell' Araucana , e il solo personaggio del poema
che ispiri alcun interesse per la sua grandezza d'animo in
vita e per la costanza eroica nell'orrendo supplizio cui fu
barbaramente condannato. Egli accade qui ciò che ha luogo
nella stessa Iliade e nell' Eneide. Omero e J^irgilio han
pur bello innalzare Achille e il pio Enea al di sopra de-
gli altri personaggi de' loro poemi , il lettore si sente sem-
pre più inclinato per Ettore e per Turno , perchè quando
r amor proprio nazionale non entra di mezzo , gli assaliti
ci riescono più cari che gli assalitori , essendo un istinto
naturale dell'uomo spregiudicato di odiare gli oppressori ,
e di prender le parti degli oppressi. — E quali oppressori
più odiosi dei vostri compatriotti nelle Americhe ?
S. Tiriamo un velo sopra una storia che mi fa racca-
pricciare e , poiché avete toccato del Camoés rimprove-
randogli pure d' aver fatto uso di un luogo comune qual
è la descrizione geografica dell' Europa che è tuttavia imi-
tata dai poeti dell' anticliità , e stimata bellissima dai Por-
4§
toghesi , fate che io sappia se a malgrado delle molte sue
stravaganze gli date la preferenza sul nostro epico.
/. Siate sincero e voi stesso confesserete che tutta la
parte colta della vostra nazione riconosce la superiorità
dell' epico portoghese sul vostro. Che diversità nell' impor-
tanza del soggetto , nella condotta del poema , negli orna-
menti poetici e direi anche nell' eleganza del dire e nell'
armonia del verso, se mi potessi arrischiare a palesare la
m.ia qualunque siasi opinione su questo delicatissimo punto.
Certamente non posso tollerare V intervento tutto classico
di Venere e di Bacco nella spedizione di Gama : certa-
mente mi muove a riso il vedere questo Dio travestito
da sacerdote cristiano celebrare il sagrificio della Messa in
un' isola lungo le coste dell' Africa , per ingannar me^io
gli esploratori de' Portoghesi e far loro credere che si
trovano in paese amico : nello stesso modo che mi vengono
a nausea gli amori del gigante Adamastor colla sua ninfa,
e parecchie altre assurdità qua e là sparse nel poema ; ma
a chi non piacerebbe l'abboccamento di Venere con Giove,
r episodio d' Ignez de Castigo , la partenza di Gama da
Lisbona , 1' apparizione del gigante al capo delle tempeste ,
il torneo dei dodici cavalieri lusitani in Inghilterra e final-
mente l'isola degli amori , per non dire di tante altre parti
piene di amor patrio , di poesia e di grazia che rivelano
nell'autore un sommo poeta, benché sgraziatamente si sia
lasciato strascinare dal cattivo gusto dell' età sua , e si sia
anch' esso qualche volta dilettato come il Tasso di ricer-
catezze e di concetti! — Basti il dire, a lode del Camoés,
che il gran Torquato ne paventava il confronto.
S. A udirvi parlare dell' armonia de' versi del Camoés
si potrebbe credere che preferiate la lingua portoghese alla
spagnuola siccome più dolce o forse , secondo voi , più
pieghevole,
/. Queste due Ungue sono, a parer mio, come due so-
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relle nate ad un parto , le quali hanno in generale le me-
desime fattezze, ma che ben considerate mostrano, non
ostante la loro somiglianza , certi tratti particolari che val-
gono non solamente a distinguerle , ma quasi a dar loro un
diverso carattere. L' una sorella è tutta dignità , ha un
parlare chiaro e sonoro e un andamento costantemente
grave , e questa è la spagnuola ; 1' altra anch' essa maestosa
d' aspetto è tuttavia più vivace e più disinvolta ne' suoi
muovimenti. Ciascuna , come spesso accade tra sorelle , ha
un suo vizietto peculiare di pronunzia, se pure si può
chiamar vizio ciò che fa essenzialmente parte della loro
natura , e questo non 1' hanno già ereditato dalla madre
latina, ma l' hanno contratto a volere nella loro infanzia
imitare i modi dell' araba matrigna. La spagnuola guasta
la sua bella e sonora voce con ciò che noi chiamiamo la
gorga , e la portoghese scema la grazia della sua con certi
suoni nasali simili alla nunnazione arabicay che a chi non
ci è avvezzo riescono di non picciolo tormento. E questi
difetti 0 peculiarità , se così vi piace , saranno cagione che
ne r una , ne 1' altra non potranno mai agguagliare l' ita-
liana nel canto.
S. Su questo proposito vi posso accertare che il vostro
gran compositore Rossini non ha quella cattiva idea che
avete voi della nostra lingua per ciò che riguarda la sua
capacità di essere posta in musica. — Non è molto che un
giovane , mio amico ed eccellente poeta ;, chiamato D. Angel
de Saavedra scrisse per lui una cantata, alla quale quel
celebrato maestro adattò le sue bellissime note con quella
facilità, con cui ne avrebbe vestita una cantata del Meta-
stasio. Sentite le parole dell' arietta con cui termina la
composizione , e dite se il loro suono non si assomiglia
pienamente a quello della vostra lingua :
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Despieito sùbito
Y me hallo pròfugo
Del suelo Hispànico
Donde naci :
Donde mi Angelica
De amargas làgrimas
Su rostro pàlido
Bana por mi.
Y en vez del bàlsamo
Del aura plàcida
Del cielo Bético
Que tanto amé,
Las nieblas hòrridas
Del frio Tàmesis
Ci>n pecho misero
Respirare.
/. Voi sapete che Rossini mette in musica lo stesso
francese che è pure quella lingua anti-musicale che tutti
sanno essere. Non crediate tuttavia con questi Tersi , gentili
in vero ed armoniosi che m' avete recitati , di vincere in
dolcezza la lingua portoghese, poiché troverete nelle poesie
del Brasiliano Manuel Da Costa certe canzonette prive in
gran parte di suoni nasali che, cantate all' italiana, ap-
pena si distinguerebbero dalle nostre ariette. Udite queste
due strofette di cui per accidente mi ricordo, e proferite
voi medesimo la sentenza:
Nao te engane , o bella Nize ,
0 cristal da fonte amena:
Que essa fonte he muy serena,
He muy brando esse cristal.
Se assim conio vez teu rosto
Viras , Nize , os seus eifeitos ,
Pode ser que em nossos peitos
O tormento fosse igual.
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iS. Pare veramente che abbiate fatto giuramento di
sempre condannare la povera lingua spagnuola. — Ditemi
orsù, uomo incontentabile, se in tutto il vasto campo
delle nostra letteratura non e' è cosa alcuna che abbia
incontrato grazia agli occhi vostri , nulla che vi possa
piacere, nulla che ci distingua dalle altre nazioni.
/. Voi m' obbligate ad uscire dal territorio della poe-
sia, e ad entrare mal mio grado nel regno della prosa. —
Sì che avete cose belle, cose uniche nella vostra lingna,
e basterebbe nominare l'incomparabile i?. Quixote /intorno
al quale è inutile l'aggiungere una sola parola. Ma io non
mi contenterò di accennare questa vostra grandissima glo-
ria, e per mostrarvi che son giusto, dirò che niun'altra na-
zione, a creder mio, vi vince nel genere picaresco , e
neir ironico-faceto, nei quali potete vantarvi della vita
di Lazarillo de Tormes del Mendoza , della vida y
hechos del picara Guzman de Alfarache di Matheo
Aleman , di quella del gran Tacano di Quevedo e di
altre cose su questo fare , come sarebbe la novella di
Riìiconete y Cortadillo di Cervantes , e in un genere
anch' esso originale della vida de frai Gerundio de
Campazas del padre de V Isla. E poiché ho nominato
Quevedo non tacerò che le sue 'visioni sono piene di
sali e di facezie e affatto degne di quell' uomo che fu
straordinario in tutto ciò che ha intrapreso. — Ma qui
lasciate che io chiegga a voi Spagnuolo , per qual ra-
gione con tanta gravità quanta si vede negl' individui
della vostra nazione, sia accaduto che gl'ingegni faceti
siano stati così frequenti fra voi , e che le facezie loro
riescano così leggiadre e così spiritose come le vediamo
essere, benché per lo più siano espresse in modo che
fa sospettare una serietà imperturbabile in colui che
le scrive.
S. Voi mi costringei.e a dir cosa che vorrei pur ta-
49
cere. Ma poiché mi siete ora andato un tal poco a versi,
vi dirò che la gravità della nostra nazione e il suo lin-
guaggio pomposo hanno un lato assai ridicolo che non
poteva sfuggire ai hegl' ingegni. — Del grazioso effetto
delle loro facezie troverete voi medesimo la ragione se
rifletterete che colui il quale è d'ingegno faceto ed ha
un aspetto serio è più sicuro di far ridere di un altro
che è il primo egli stesso ad accompagnar col riso le
sue arguzie.
/. Or bene poiché l' ora del pranzo s'avvicina , mio
buon D. José , vi voglio dare un cordiale ammettendo
senza difficoltà che nella poesia lirica non avete nulla
ad invidiare alle altre letterature moderne. Due sommi
poeti che distinguo per amore di brevità tra la folla
dei lirici che vissero nel sedicesimo secolo , il divino
Fernando de Herrera e Fr. Luis de Leon bastano da
se soli ad assicurarvi un posto eminente in questo ge-
nere di poesia. La canzone del primo sulla battaglia di
Lepanto non è inferiore ad alcuna del Chiabrera o del
Filicaja, e Fr. LuiSj poeta ispirato da sentimenti reli-
giosi ha più d' ogni altro il pregio di una somma cor-
rezione di stile. Povero Leon ! L'aver tradotta la cantica
di Salomone gli costò caro. Cinque anni passati nelle
carceri dell'inquisizione espiarono l' imprudenza di aver
voluto rendere in volgare ciò che è egualmente perico-
loso di spiegare nel senso mistico come nel naturale.
S. Grandissimo ingegno [Elegantissimo scrittore ! Quella
profezia del Tago sugli amori del re Rodrigo sarebbe
da se sola sufficiente a farlo immortale.
/. Sì se non fosse un' imitazione della profezia di
Nereo a Paride che è una delle più belle odi di Orazio.
S. Voi mi volete pungere sino all'ultimo. Manco male
tuttavia che riconoscete gli Spagnuoli buoni a qualche
cosa. Avreste per altro potuto onorare di un cenno i
4
50
due fratelli Argensola che noi riputiamo dei primi fra
i nostri classici del secolo di Herrera e di Leon, ma
da voi convien prendere quello che si può e non guar-
darci tanto per lo sottile. Scommetterei adesso che es-
sendovi limitato a parlare degli antichi , voi tenete i
moderni per indegni di stare in compagnia di quelli ,
e che in tutto il secolo decimottavo ( poiché non si
vuol parlare del precedente , infettato come fu dal cui'
tismo) non trovate un solo lirico degno di essere salu-
tato poeta.
/. Se dovessi scegliere fra i pochi lirici del secolo pas-
sato che io conosco , lasciando il divino Melendez dì
cui abbiamo già parlato , io nominerei di preferenza
D. Nicolas Fernandez de Moratin , padre del vostro
miglior autore di commedie di questi tempi , che fra
gli Arcadi di Roma godè già del sonoro nome di Flu-
misbo Thermodonziaco , e sopra di lui metterei il por-
toghese Francisco Manuel, morto non ha guari in Pa-
rigi e di cui ho veduto il sepolcro nel famoso cimitero
detto del Pére la Chaise , se non fosse che io temo di
essere accusato di uscire espressamente del soggetto della
vostra letteratura per darvi a divedere che i vostri vi-
cini vi hanno ancora una volta superati. Ma a questo
Lusitano, per grande ch'egli sia, non posso perdonare di
essersi ostinato a scrivere odi senza rima , ad imitazione
dei metri latini e greci , spogliando cosi la poesia lirica
moderna di un aiuto che io credo essenzialissimo €
senza il quale essa perde il suo maggiore ornamento.
S. Leggete la traduzione che il Moratin ha fatta del-
l'ode d'Orazio , /«ie^er mtae scelerisque purus , la quale
se non m'inganno incomincia — El de la vida _, Fu-
sco, religiosa; — leggete l'ode saffica — Dulce cecino
de la verde selva — che Manuel de f^illegas scrìsse
un secolo e mezzo prima di lui, e vedrete che il metro
51
salfìco almeno può nella nostra lingua e fors' anche
nella portoghese far senza la rima , principalmente sic-
come io credo a cagione delle molte terminazioni alla
latina variate da desinenze in consonanti , le quali fanno
che le parole delle due germane siano nell'aspetto e nel
suono somiglianti a quelle della madre.
/. Io non credo che questo esperimento fosse per riu-
scire a hene in Italiano, benché noi siamo più ricchi
di voi in parole latine ed abbiamo il vantaggio di poter
troncare un'infinità di vocaboli dando così maggior len-
tezza o rapidità al verso secondo che si richiede, lad-
dove voi andate quasi privi di questa bellissima facoltà.
S. Non so se questa mutilazione che fate subire a
molte delle vostre parole sia poi di quel gran vantag-
gio che sembrate credere, ma so che noi abbiamo nella
nostra lingua una grandissima varietà di vocaboli sdruc-
cioli , piani e tronchi , i quali ben maneggiati dal poeta
bastano a qualunque genere di composizione e tanto
alio scrivere lento e grave, quanto al vivace e concitato.
— Che noi non temiamo il confronto con la lingua ita-
liana , vi sia una prova la bellissima traduzione dell'
Aminta fatta dal nostro Jauregui che vi lascia incerto
se dobbiate dare la preferenza al Tasso o al suo tra-
duttore.
/. Perchè il merito del Jauregui fosse compiuto egli
non avrebbe dovuto tralasciare certe parti del suo au-
tore qual è quella in cui sotto 1' allegoria delle ciance
si fa allusione alla Corte di Ferrara, dando così a so-
spettare che la difficoltà del soggetto l'abbia sgomentato.
S. Lasciando addietro quella puerile cicalata sopra le
ciance che in forma di bambine vanno trescando ,
egli ha forse pensato all'onore del Tasso. Epperò invece
di biasimarlo fareste bene a dargliene lode. — Ma tor-
nando al nostro argomento , senza nulla togliere al me-
52
rito di Francisco Manuel , che ho conosciuto più
che ottogenario e che compiango per la sventura che
ebbe comune col mio Melendez di morire esule dalla
patria^ io vi posso insegnare il nome di un buon poeta
mio favorito il quale ha lasciato cose di cui si potrebbe
vantare lo stesso Luis de Leon.
I. Fate che io il conosca e vi prometto di onorarlo
quanto meriterà il suo ingegno. Chi è questo poeta che
forse col suo volo non ha potuto superare i Pirenei, e
quali sono le sue produzioni?
S. Egli fu un modestissimo religioso chiamato Fr.
Diego Gonzales che morendo nel 1794 ordinò ad un
amico di ardere tutte le sue poesie, le quali per buona
fortuna furono salvate dal minacciato incendio. Fra le
altre cose compì la stupenda traduzione del libro di
Giobbe cominciata da Luis de Leon, e il fece in modo
tale che le terzine dei due traduttori sembrano uscite
della medesima penna. Per saggio del fare di questo va-
lente poeta vi voglio far conoscere la sua invettiva in-
titolata El murciélago alevoso (il. vipistrello traditore),
che è un pezzo altrettanto grazioso quanto originale.
/. Bravo il mio D. José : io mi fo tutto orecchi e sono
pronto a rinunziare al pranzo che ci aspetta per sen-
tire questo capo d'opera : animo incominciate.
S. Mi piace questa vostra impazienza, ma per questa
volta contentatevi di desinare con qualche cosa di più
solido. Il fatto è che la poesia è lunghetta e non 1' ho
a memoria. Ma non passeranno quindici giorni che ,
terminato questo mio viaggetto e restituitomi al mio
quartier generale , ve la farò tenere ad una condizione
che prometterete sin d'ora di religiosamente osservare.
/-Parlate, che io prometterei volentieri mari e monti,
0 come voi solete dire Roma y Toma , perchè sono
più ghiotto di buona poesia che la gatta del lardo o che
1 orso del miele.
55
S. La condizione è questa, che in punizione del di-
sprezzo che avete oggi ^nostrale per tanti degni scrit-
tori della mia nazione , dobbiate tradurre questa invet-
tiva nella vostra lingua e per quanto starà in voi, ren-
derla nota ad onore e gloria della buon'anima del Gon-
zales, cui piaccia a Domeneddio di concedere la pace
dei giusti.
/. Oimè ! io posso ben promettere , ma chi sa come
andrà poi la bisogna? Tuttavia accada quel che sa ac-
cadere, se
La mano di colei che tutto solve
non mi manderà innanzi tempo a raggiugnere il buon
Gonzales, io vi giuro di adempiere il vostro desiderio.
S. Qua dunque la mano e andiamo a tavola che sia-
mo aspettati. — Io sono sicuro che per continuare a
farmi dispetto , fra i vini che secondo l'uso di questo
paese ei stanno per porre innanzi , voi avrete il corag-
gio di preferire quello di Porto allo Xeres, non per al-
tro se non perchè quello è portoghese, e questo ha la
sventura di essere raccolto sul suolo di Spagna.
/. Vedrete che saprò render giustizia all'uno ed all'
altro, e ammirerete la mia imparzialità verso le due na-
zioni. Andiamo pure , che tutti e due questi nettari
vengono opportunamente per innaffiarmi l'ugola che sento
dal troppo parlare inaridita.
Posto fine alla guerra letteraria ci volgemmo d'accordo
coU'appetito di due eroi ad assalire un enorme rostbeej',
attorno al quale scavammo in poco tempo una discreta
linea di circonvallazione, praticandovi pure qua e là
54
qualche profonda breccia dove trovammo che la mate-
ria era più arrendevole. Non s'era mai veduta fra noi
tanta concordia. D. José m'invitava a bere il Porto ed
io gli rendeva la pariglia collo Xeres, non risparmiando
gl'inchini di testa ad uso del paese e protraendo sino a
notte avanzata quel dolcissimo simposio. — Era l'ultima
sera che io passava col mio buon Galiziano. L'indomani
ci separammo a buonissima ora, egli volto a mezzogiorno
ed io a levante e forse per non più incontrarci su questa
terra. Intanto i quindici giorni non erano ancora pas-
sati che io riceveva il vantato Murciélago , il quale mi
sembrò veramente riunire la grazia alla novità dell'idea
ed essere parto di un ingegno poetico fuori del comune.
L'elegante semplicità del componimento mi convinse
tosto che non arriverei mai a trasfondere le pregevoli
sue qualità in una traduzione e soprattutto mi spaventò
quel crescendo della XV strofa : ma non c'era modo di
ritirare la data parola e bene o male conveniva sciogliere
il voto. — Eccovi adunque, signor Estensore pregiatis-
simo, l'invettiva del Gonzales travestita in italiano. Se
mai per caso ella piacesse ancora nei nuovi suoi panni
che ho procurato di tagliarle scrupolosamente secondo
la misura spagnuola , pensate ch'essa è cento volte piii
bella nella nativa sua veste, di cui non mi fu possibile
d'imitare i peregrini ornamenti e i vivaci e splendidi
colori. State sano e Dio vi benedica con tutti coloro che
diranno del bene del mio Gonzales e non si faranno
beffe
Del vostro devotissimo
Ai iS d'aprile del 1837.
55
IL VIPISTRELLO TRADITORE
X
vetttvoj
Stava la bella Irene
Soletta a notte un tenero viglietto
Vergando con affetto
E con parole di dolcezza piene-,
E perchè ogni timor volea dal seno
Sgombrar del suo Fileno ,
Con insolita forza gli espriraea
Il casto amore che nel cor le ardea.
Stando sovra pensiere,
Entrò ( sorte crudele ! ) un Vipistrello
Da non so qual sportello.
La peima Irene allor lasciò cadere,
Tremò , gemè , giidò , gente v' accorse ,
Ma trepida ed in forse ,
Nel volerle celar , d' inchiostro tutte
Le già vergate note , oimè ! fé' brutte.
Fileno dolente
Dell' occorso a' suoi danni amaro caso ,
E di giust' ira invaso
Contro del Vipistrel , mostro insolente ,
Che sconcio della Bella avea lo scritto
Con orrendo delitto ,
Di rabbia e di furor fremer s' udiva
£ si '1 funesto uccello maledirà.
56
Mostro , tra bruto e augello,
Ch' hai di bruto e di augel tutto il peggiore!
Delle tenèbre orrore ,
Notturna vision , spettro novello
All' alma luce eternamente avverso ,
Ognor nelle ombre immerso ,
Infausto nunzio della fredda notte ,
Com' osi uscir dalle natie tue grotte ?
Tua brutta forma in coro
Maledica la turba dei pennuti ,
Che i dolci lor tributi
Mandan col canto all'alba dai crin d'oro.
E poi che privo m* hai di mia ventura ,
Disnor della natura !
Piombi sovra di te tutto iJ malanno
Che ad un esser si vii puote far danno.
Vengan piogge dirotte
Dall' alto delle nubi rovinando ,
Allora infuriando
Che nel bujo uscirai d' amica notte.
O r inviso splendor di lampi ardenti
T' accechi e ti spaventi ,
Oppur bufera tal soffi dai poli
Che alla tua faine ogni zanzara iavoli.
Visto dietro gli arazzi
Dove di giorno te ne fai dimora ,
La fante, in tua malora ,
Ti creda un ragnatele e via ti spazzi.
E d' un colpo di scopa a t(>rra spinto ,
Mirando un indistinto
Coso agitarsi come s' abbia vita
Getti la scopa e fugga inormlita.
5f
E soprarrivi intanto
Il vivace e scherzevole micino ,
E al veder tal vicino
In pria s' arretri e tengasi in un canto ;
Rabbuffi il pel d' orrore e soffiar &' oda ,
Levi r enfiata coda
E arcata inverso il ciel alzi la schiena
Mentre la terra i pie toccano appena.
Ma poscia rinfrancato
E in sé tornando dal timor concetto
Radendo il suol col petto ,
Snodi dall' un la coda all' altro lato ,
Standosi quatto ad osservarti attento ,
Ed ogni movimento
Che in te discopra il guardo suo sagace
Lo provochi all' assalto e renda audace.
Alfìn su te si getti ,
Fatto ardito , e t' assalga cogli uncini ,
Per terra ti strascini
E tutto a farti strazio si diletti.
E se neir ale avvien t' abbia piantati
Quegli artigli affilati ,
A scuoterti da sé , più d' una volta
Ti slanci in suo terror sino aiU volta.
Accorra al tuo stridire ,
Convocando i suoi pari , il rio fanciullo
Che con fero trastullo
Suol contro gli animali incrudelire.
Però che il cielo , d' animo spietato
Quanti siamo ha dotato ,
Infin che gli anni o la paterna cura
Reudonci umani e vincou la natura.
58
Grido di gioja spinga
La torma puerile entrando avaccio
E di tenace laccio
A te , senza pietade , il collo stringa :
Al tuo guaire , il romoroso sciame
Maledetto ! ti chiame ,
E credendoti spirto dell' inferno
Ti carichi di sputi e d' ogni scherno.
Quindi per le telucce ,
Ch' han guisa d'alie , sul porton t' inchiodi ,
E seguendo i suoi modi
T' accosti al glifo accese candelucce ;
Fra sé godendo con un cor feroce
Del brucior che ti cuoce ,
E mentre striUi , ti dimeni e lagni,
Con risa e con fischiate t' accompagni.
E armate ambe le mani
Di pungoli, coltelli e sassolini,
Di chiovi e temperini ,
Di schegge e di stromenti aguzzi e strani;
Tutti già stanchi omai di tanta festa,
Mettano l'arme in resta ,
E con ferocia pellegrina e rara
Quella vii alma aliìn tolganti a gara.
Ti battano , t' incidano ,
Ti premano , ti pestin , ti martellino ,
Ti pungan , ti scarpellino ,
T' infizzino , ti scarnin , ti dividano ,
Ti lacerin, ti squarcino, ti mozzino,
Ti fendano , ti sgozzino ,
Ti scortichin , ti scannino , ti frangano ,
Né pelle o polpa od ossa ti rimangano.
m
E le credenze folli
Delle vecchie stimando al tutto vere,
Strani effetti a vedere
Facciano stoppe nel tuo sangue molli ,
Per incenderle poi di mezzanotte ,
Credendo da marmotte
Che nell'aria vedran serpi e biscioni
Ed altre paventose visioni.
Poi faccianti il mortoro ,
Pe' trivi la vii salma strascinando ,
In due file alternando
Una nenia nasale a doppio coro ;
Altri , seguendo , de' piagnoni imiti
Le rauche voci e i riti ,
Mentre la pompa funeral s' avvia
Verso la fogna più fetente e ria.
Infra quella lordura
Si scavi una capace ed alta pozza ,
E sia la buca sozza
La dovuta a' tuoi merti sepoltura.
Colà per eternarne la memoria
S' incida la tua storia
Su bronzo adamantino o in duri marmi
Qual è compendiata in questi carmi.
EPITAFIO
Qui giace il Vipistrello traditore
Che al sol fé' per orror torcere il passo.
Vittima poi di pueril furore
Pagò le pene e fu di vita casso.
Non ti partir bennato viatore
Senza sclamar sul maladetto sasso :
» Tal sia la sorte di qualunque audace
» D' Irene bella osa turbar la pace.
60
Scienze Storiche
Documenti di Storia italiana copiati sugli originali auten-
tici e per lo pia autografi esistenti in Parigi da Giuseppe
Molini già Bibliotecario f con note. — Firenze, tipogr,
aW insegna di Dante,
Torino, presso Poniba e Comp.
La storia ha due caratteri diversi i quali assume se-
condo l'età e le condizioni dei popoli. Presso le società
giovani ancora e vicine alla propria origine la sua na-
tura è puramente estetica e la storia confondasi colla
poesia. Essa non mira che a procurare quel piacere, che
nasce nell' uomo alla rappresentazione di un dramma ,
di cui egli stesso è l' eroe , e se altro ottiene non è det-
tando ammaestramenti severi, ma volgendosi al cuore
ed air immaginazione. Quindi l'amor di patria e di re»
ligione, r entusiasmo per quanto è bello e grande, che
inspira il narratore veste agli occhi suoi di tale incanto
le coscj che mentre riesce sfolgoreggiante di verità l'e-
spressione dei sentimenti e dello stato morale d' un pe-
riodo, i fatti materiali veduti attraverso quel prisma tro-
vansi talmente alterati da venirne poscia in concetto di
favolosi o simbolici.
Col progredire delle società le facoltà intellettuali dell'
uomo vieppiù sviluppandosi ei s'avvede che tra i fatti
61
narrati dalla storia havvì un' intima connessione , egli
sospetta che l' idea di causa e d' effetto possa applicarsi
alla legge che ne determina la successione, che il pas-
sato possa offerire giovevoli consigli pel presente e per
r avvenire. Allora ei chiede alla storia non più semplice
diletto, ma utili insegnamenti, ed allora la natura della
storia non è più estetica , ma filosofica. Non è più uffi-
zio suo il percuotere l'immaginazione, il far vibrare
le fibre del cuore; essa assume il carattere pratico di
maestra della vita: essa pone i fatti in prima linea, li
spoglia d'ogni apparente prestigio, li esamina, li libra,
ed investigandone le cause e gli effetti, fa sì che dalla
loro esposizione possano dedursi quelle norme pruden-
ziali atte a dirigere gli uomini e le società nella loro
carriera.
Tale si è l'indole della storia presso i popoli adulti,
e r Italia dopo il risorgimento ne diede alle altre na-
zioni il modello nella scuola storica del secolo XVI ,
della quale stanno come a principi e luminari Machia-
vello e Guicciardini. Ma havvi per avventura alcun che
d' incompleto nel modo di esporre le istorie , e di pe-
netrare nella ragion delle cose quale ci fu lasciato dai
grandi maestri di quel secolo , e quale fu adoprato fino
al principio del presente , sul quale argomento noi ose-
remo manifestare la nostra opinione.
A chi si faccia a meditare sulle storie principalmente
di Guicciardini e Machiavello apparirà quale intenso stu-
dio essi abbiano posto nell' investigare le cause dei fatti
che narrano, e nel trarre in luce quei segreti motori,
che per l'interessata malizia degli uomini, o per decorso
di tempo rimasero sotto il velo del mistero. A colui pa-
rimente verrà notato come ogni loro perscrutazione volga
sugli interessi e le passioni che possono aver mosso co-
loro, che concorsero al compimento degli avvenimenti
62
narrati. Profondi conoscitori dell'animo umano nessuna
delle molle che danno impulso alle nostre azioni sfuggì
alla loro osservazione, e sotto questo riguardo essi at-
tinsero forse il colmo della possibilità. Ma se con sommo
acume furono da essi librate le cause personali che in-
dussero gli attori del loro dramma a togliere un'impre-
sa, se razione degli uomini sulle cose vien da essi mi-
rabilmente definita ; noi possiam dire senza esitanza ,
che gli effetti che quelle vicissitudini producevano nelle
intime viscere della società non vengono di pari luce
irradiati, e che l'azione delle cose sugli uomini fu so-
vente da quelli o poco, o men che poco considerata.
Quindi la storia dei popoli fu improntata di un pro-
tagonismo quale veramente non vien consentito dalla
natura delle umane vicende, e dietro quelle lotte di in-
dividui con sì grande maestrìa dipinte, il fondo del qua-
dro ossia la massa sociale, le sue condizioni , il suo stato
morale rimangono troppo spesso all' oscuro. Tanta po-
tenza d^ azione, tanta facoltà di muovere, rivolgere e
mutare, raccolta nella volontà e nel senno deir uomo
individuo, tolse loro di conoscere e scrutare un'altra
genesi di cause, le quali o latenti negli avvenimenti
anteriori, o diffuse nella generalità delle cose, o conge-
nite a quei fatti morali , che si producono talora nelle
masse di una gente, sono talmente efficaci da indurre
nella successione degli eventi una ineluttabile quasi ne-
cessità. E forse per quel modo loro di prospettare la
storia parve a taluni, che quei due grandi, invece di
farsi insegnatorì di civile sapienza, s'atteggiassero secondo
le proprie inclinazioni, l'uno ad iniquo consigliere di
tiranni, l'altro ad astuto maestro di sovvertimenti. Il qual
divisamento era per certo egualmente lontano dalla mente
d' entrambi.
Era pregio dell'età nostra il trarre in luce tutti gli
65
elementi che concorrono alla generazione dei fatti la
cui catena costituisce la storia, e sottoponendoli a se-
vero esame, dando a ciascun di essi il proprio valore,
preparare la soluzione dell'alto problema : per qual modo
possa l'umana sapienza dare alle sociali vicende il mi-
gliore avviamento. Però conveniva sospendere la fede
alle storie antiche; risalire i tempi andati: risuscitare
quei volghi lasciati sdegnosamente nell' oblio: vedere
qual vita morale, quali materiali condizioni a loro ve-
nissero dai rivolgimenti registrati negli annali, e dalle
instituzioni che li ressero : quali tendenze, quali bisogni
determinassero i moti, ed i mutamenti successivi; e di-
mostrare finalmente come in ogni fatto importante si
abbiano sempre a ravvisare ed il frutto del passato ^ ed
il germe dell'avvenire.
La scuola storica del secolo XIX. intesa a quella meta
e dai tesori di cui in breve periodo essa ha arricchito
la scienza, giova sperare, che non sarà indarno pro-
mettitrice di alte e feconde dottrine. Come saggio com-
piuto di tal maniera di storie noi citeremo soltanto la
storia delV incivilimento di Francesco Guizòt, pel quale fu
ventura l'avere ne' suoi libri storici innalzato a se stesso
un monumento, che sfiderà i secoli, pria d'avventurarsi
in più tempestose regioni , e far sua cura la potenza di
un giorno.
Ma con qual face rischiarare le dense tenebre del
passato ? Come spirare nelle spente generazioni un sofiìo
di vita, per cui risorgendo esse agli occhi nostri nella ve-
rità del loro aspetto, noi possiamo accomunarci alle loro
sorti: studiare l'intima essenza della loro condizione: ve-
dere quali impressioni ricevessero dal mondo esterno :
come nel loro seno si elaborassero quei semi , che ger-
mogliando prima in poche menti sono al grado d'idea,
accolti e meditati dal pensiero prendon nome di prin-
64
cipìO; diffusi costituiscono una tendenza, quindi un bi-
sogno j sinché erumpendo nella realtà determinano un
fatto , e mutan la faccia delle cose? Perciò fare è duopo
tornare alla contemplazione di quei fatti e studiarli
non nelle descrizioni , che ne fecero gli storici , ma nei
vestigi che ne rimangono j tener conto di ogni docu-
mento non solo importante , ma anche di quelli , che
sono in apparenza di minor rilievo j passare in rassegna
tutti gli avvanzi delle età scorse, e cercando coll'aiuto
di un' oculata critica negli utensili , nelle suppellettili ,
nelle armi il modo del vivere materiale, nelle carte e
transazioni private le relazioni da uomo a uomo , nelle
leggi e nelle costituzioni i rapporti fra i reggitori , ed i
governati , nei monumenti delle arti , nei libri , e negli
scritti di scienze e di lettere le condizioni dell'intelligenza,
assegnare a ciascuno di questi speciali elementi il loro
grado d'influenza sull'universo andamento delle cose,
e riedificare la storia non solo dappresso l'ordine cro-
nologico della successione dei fatti, ma ancora dapresso
a un ordine razionale e completo di procedenza fra le '^\
cause e gli eflfetti.
In quel difficile aringo accennano ora di lanciarsi
animosi gli ingegni italiani, e non poche pregievoli o-
pere di recente uscite in luce mostrano di quali pro-
fonde meditazioni si faccia soggetto la storia *i. Intanto
noi esultiamo nel profondo del core in vedere con quanto
ardore, con quanta alacrità vadano gli studiosi rivan-
gando il passato , e come traendo essi dai polverosi ar-
chivi, e dalle biblioteche ove giacevano inutili e se-
polti tanti preziosi documenti della storia nostra , li fac-
•i Troviamo una diligente rassegna dei libri storici ultimamente pubblicati
in Italia in un arlicolo dell' Indicatore intitolato della nostra letteratura net
i836 dettato dall' egregio Ambrosoli. Noi faremo di mano in mano conoscere
ai nostri lettori le principali ira le opere ivi accennate.
m
ciano di pubblica ragione colle stampe , e prepiirino
così i fondamenti su cui dovrà innalzarsi il nuovo edi-
fizio storico.
Nelle cronache, nelle memorie , nelle iscrizioni, nelle
relazioni uiTiziali, nelle leggi, nelle corrispondenze pri-
vate, ed in tutte quelle scritture autentiche che serbano
fedele ed intatta l'impronta dell'epoca loro, stan lipo-
ste le fonti della sapienza isterica; perocché soltanto in
faccia a quelli incontrastabili testimoni delle età che fu-
rono, potrà lo scrittore sottrarsi all'influenza delle im-
pressioni , e dei pregiudizi dei dì correnti , e raccogliendo
come in riflesso lo stato morale ed intellettuale di un
popolo, ritrarlo genuino nelle sue carte accanto all'al-
ternare degli eventi.
Allora potrà indagarsi qual reciproca azione esercitino
fra loro le idee ed i costumi ; per qual nesso ogni
mutazione nella sfera delle pratiche vicende si rannodi
ad un movimento del mondo intellettuale ; quale soli-
darietà possa imporsi alle instituzioni , alle leggi, ed
alle circostanze esterne fra le quali le società progredi-
scono verso quella perfettibilità che è il loro scopo pro-
videnziale , la loro vocazione. Allora la storia sarà la
voce dell'umanità che rivela se stessa e additando il
loro destino agli uomini, edalle genti, insegnerà a pro-
cedere con amore e con fede verso la maturità dei tempi.
Fra i benemeriti cui la pubblica riconoscenza è debito
tributo per le faticose indagini fatte a profitto degli stu-
diosi di storia, va distintamente onorato il chiarissimo
sig. Molini , il quale pubblicava non ha guari due vo-
lumi di documenti di storia italiana copiati sugli ori-
ginali autentici e per lo più autografi esistenti nelle
varie biblioteche di Parigi. Questi egli ne oflferisce cor-
redati di note illustrative scritte da un Gino Capponi
uomo dotto e profondo nelhé storie, ed il cui nome
5
66
suona superbamente lusinghiero ad ogni orecchio italiano
rammentando come in tempi antichi valessero le fiere
parole di un generoso nostro concittadino a fiaccar la
burhanza di un re straniero *i.
Per dare ai nostri leggitori un'idea dell'importanza di
questi documenti converrebbe forse il presentarne T elen-
co; ma siccome lunga e fastidiosa potrebbe riuscire la let-
tura d'un nudo indice, abbiamo prescelto di qui traspor-
tare tre lettere autentiche che hanno tratto alle cose
nostre di Piemonte; due di esse sono dei sindaci e citta-
dini di Torino a Francesco I. ; la terza è la risposta di
quel re alle precedenti. Da queste sarà agevole il giudicare
quanta luce possa diffondere sulla storia italiana la rac-
colta di documenti che ora annunziamo e raccoman-
diamo al pubblico.
•i Carlo vili.
MASSIMO MOKTEZEMOLO.
67
N.*» GCCCXXX.
I Sindaci e Cittadini di Torino a FiaHcesco I. de' 25 kiglio iSì-j
( voi. N.'' 8587 a e. i48 ).
È in originale
SIRE
Vostre bon plaisir sera scavoir comment a la venue de oos embas-
sadeurs de court vostre cite de Thurin tres (ìdele et tres aifection-
nee pensoit havoyr mis fin a ses malheurs , estant par vostre beni-
gne graice reduyte , et unye a vostre sacre couronne, et les dicts
embassadeurs ont fait unge telle rellacion du bon vouloyr de vostre
maieste que diete vostre cite seroyt soulaigee et tenue souhs vostre
protection comme se feust Lyon ou Paris , et que au plus tard il
seroyt a la venue de Monseig. Huniieres,
Mais , Sire , a present diete cite se trouve en grant doleur, et
soucy. Car ancores que par le dict Monseig. de Humieres ayt este
faite toute diligence de soulager la diete ville, et Monseig. de Bou-
tieres nostre gouverneur, et Monseig. le president journelleinent ne
cessent de leur coste y pouvoyr le mieulx que peuvent , neantmoins
la malice de aulcuns souldats est si grande , et l'amour quils por-
tent a Vostre Maieste est si petite , que estant le dict Monseig.
d'Huniieres dedans Thurin , par deux ou trois fois ils ont co-
mance mectre les vivres de la place a sacq , et ont menasse de
saqucgier Monseig. de Boutieres et le reste de la ville. Et soubdain
que leur payement fault , ils menassent de mectre Thurin a sacq ,
et battent les citoyens et presnent leurs vivres par force et pour ce
les marchants et autres citoyens veulent deshabiter.
Oultre ce a Thurin y est bien peu de feure, bien peu de boys et
de foings , peu de bestes pour charier le tout. Car par la grosse
afflueuce de gents qui venoyent dedans Thurin les dicts foings qui
estoyent dedans la ville se sont si fort consumer que au present la
povre cite se retienne en petit estat touchant au couste {coté) dcs
citoyens. Et davantaige an despartir du camp les commissaires ont
amene quasi tous les beufs de Thurin au camp tant pour conduyre
l'artilleric , que pour la monition des vivres , et ont tant faict qu'il
semble proprement que vos dict officiers niectent euls mesmes le
siege a Thurin , et lout contre le voubyr du dict Mons. d'Humieres.
68
Avecques ce que les ennemys ne laissent pour cliose du monde
qua tous les jours ne coment jusques a pres de la ville et gardent
que les vivres ny peuvent estre portez a demy. Et pour faulte dung
bon prevost qui tiegnet les champs , beaucoup de ceulx qui sont a
vostre service destroussent les vivandiers eulxmemes.
Sire , les ballouuars de Thurin sont seulement bastiz. Venant 1'
yver , estant a la sort qulls sont , sans alcune faulte , ils ruyneront
a grand domaige de vostre majeste , et dangier de la ville.
Sire , pour demonstrer en partie de nostre bon vouloyr que ha-
vons destre preserves en vostre protection et grace , ancores que pan-
sons , que Vostre Maieste en sera mieulx certifieé par ses officiers
que par nous ; neantmoins de nostre couste havons pansé d'adver-
tir Vostre Maieste du tout poui- faiie nostre debvoyr. Au quel mieulx
ajnons mourir que y fallir.
Le bon plaisir de Vostre Serenis. Maieste sera nous tenir en sa
benigne grace. Et prierons incessement Dieu que luy doint tres bonne
et longue vie , et victoire contre ses ennemys. Escripte a Thurin le
XXV jovir de juillet.
yos tres humbles, et tres obeyssants subgects , et serviteurs. Les
Sindifjues et citoyens de Thurin.
( Direzione ) Au Roy.
N.° CCCCXXI.
Altra come sopra de' 28 ( Ivi a e. i55 ).
E in originale
SIRE
Nous avons escript par les aultres du vingtcinquiesme de ce moys
les inconvenientz que dobitions en ceste Gite par faulte d'aulcuns
maulvais soldats. La nuyct passe quasi que nostre prophetie sest ac-
complie. Toutesfois les ennemys qui desia avoyent gaigne ung ba-
stillion par speciale grace de Dieu et vertu de Monseigneur le Gou-
verneur onte este repoussoz a leur grant dommage , comme plus a
plain somes certains vous escripra le dici MpnseJg. k Gouvcnieur.
Et affili que tei inconvenìent ou plus grant ne advienne une aul-
ire fojs, voussupplionstres humblement dy fere pourvoir de bonne
heure sur le tout et mesmement sur la police de gens de guerre
aftin que les citoyens prennent cueur de demeurer en la ville et aussi
a la reparation des forteresses tant de la dite ville comme du chanp
Touchant les afferes des citoyens Vos. Mag. ne doubte point, car nous
avons dehbere de vivre et mourir a la subgection et service dicelie
pour la quelle prierons tousiours le benoist Createur qui par sa grace
vous domt en sante et prosperite tresbonne vie et longue et victoire
de ses ennemys. De Thurin ce xxviij jour de juUet iSSy.
Vos treshumbles , et tres obeyssants subgects , et sermenrs.
Les Sindyc et citoyens de Thurin.
( Direzione ) Aa Roy.
N.° CCCCXXII.
Risposta di Francesco I. alle due lettere precedenti da
8 agosto i537 {^ol. iV.° 856o a e. nQ).
E copia di carattere sincrono.
De par le Roy
Treschers et bien amez, Nous avons dernierenient receu deux let-
res que nous aves escriptes des xxv» et xxviij" du moys passe , par
lesquelles avons veu entre aultres choses les plaintes et doleLces
que nous faictes touchant les maulx , peines et travaulx que vous
avez par cy devant soufferts , et soustenus. En toutes les choses
plus a plam touchees et declarees par vos dites letties au moyen
du mauvays ordre, gouvernement et facon de vivre des souldats
qu. ont este et sont encores en nostre ville de Thurin, ce qui
.ble de plus. Car entendez que lune des choses de ce monde que
rXerT "n"*' "'* '^"^ ^"'^ ^^^^^ ^^^"' «* favorablement
traictez et soullagez soubs nous connne nos bons , vrays et lo-
yauls subgects que vous tenons et reputons. A cette cause nous en-
voyons preseutement vos dites let.res au Seig. de Hunùers nost..
70
lieutettayi general par de la , au quel nous escripvons en veoir et
i>ien memement entendi-c le contenu pour sur le tout promptement
Bourvoir , remedier et donner lordre qu'il verrà estre requis et ne-
cessaire ainsi que sommes tout as^ures quel fera , vous advisant
que nous avons dernierement entendu par le Seig. de Boutieres la
benne et grande demonstractlon que vous avez faicte pour nostre
scurite et la conservation de nostre dite ville de Thurin , a la sur-
.prinse que les ennemys se y sont puis nagueres efforces de faire ,
qui nous a este, et est de plus en plus donner a cognoistre la sin-
guliere aiiection que vous portez tant a nous quant au bien et pro-
sperite de nos afFaires qui sont clioses que nous ne mectrons jamays
en oubly mays le recongnoistrons avecques le temps envers vous quant
Toccasion se y adonnera , en sorte que vous aurez juste cause de
vous en contenter. Et a tant tres chers et bien ames nous prions
le Createur qu'il vous ayt en sa saincte , et digne garde. Escript
a le viij jour d'Aoust mil v.* xxxvij.
Francoys.
Breton
A nos treschers et bien amez les Sindicq et Citoyens de nostre
bonne ville et Gite de Thurin.
{ Nota ai tre documenti che precedono J. Il Piemonte eradi-
venuto Provincia Francese , e intorno a Torino già da un
anno si combatteva 5 il Vasto per notturna sorpresa aveva den-
tro Casale fatto prigioniero il sig. di Burie; a lui successe il
Butieres , e per la discordia tra capitani Italiani era venuto di
Francia sino dagli 8 Giugno l'Huraieres a governare la guerra.
E il Duca di Vittemberga aveva condotto grossa mano di Ale-
manni , i quali da principio tolsero le paghe agli Italiani , poi
nemmen essi pagati levarono tal rumore che tutto il campo
ne fu sconvolto. E mentre cosi la guerra infelicemente proce-
deva , Torino pativa con le miserie della fame quella della
militare contumacia. Le due lettere de' Sindaci della Città
espongono le lagnanze, quella del re compiange a danni della
nostra buona Città di Torino , e rinvia i IVIagistrati aX Luogo-
teueate Generale, che non vi aveva rimedio.
71
FILOLOGI!
Alcuni capitoli della Prefazione alla nuova edizione
del Dizionario de^Sinonimi d^l Tomaseo.
Capit. I.
Come della ricchezza delle lingue s' abusi.
Fra le molle tribolazioni che ingombrano la via degli
autori, non è la minima vedere i propri intendimenti
o non compresi o interpretati a rovescio j sentire da unV
interrogazione simile alla famosa del Cardinale, uscire una
lode più amara delle più acri censure. Io scrivente, per
esempio, sentii più d'una volta, a proposito di quest'
opera, rammentarmi, come cosa non dissimile ^ il di-
zionario del Rabbi. Dimostrare a costoro come e perchè
il dizionario del padre Rabbi sia misfatto più grave che
'1 rimario del Ruscelli; e come il mio intendesse appunto
allo scopo contrario, sarebbe stato buttar le parole; onde
meglio parevami rispondere con mansuetudine: «questa
è cosa un pò differente. »
Né quella buona gente diceva sproposito tanto strano
quanto sembrava all'orgoglio mio. Fatto è che il Dizio-
nario del Rabbi è come 1' ultima e più madornale con-
seguenza di quello che gran parte de' nostri scrittori da
gran tempo e pensano e fanno. Ai quali la varietà de'
suoni par cosa più desiderabile che la proprietà e l'evi-
denza del direj e ad occhi chiusi scambiano l'una voce
72
con l'altra afllne , pare [serchè raen volgare, a quel
ch'essi dicono, e perchè '1 numero lo domanda (come
chi dicesse in grazia della rima), o per non ripetere la
medesima parola, eh' è vizio dagli umanisti con severità
biasimato.
Né questa è già malattia che s' attacchi a tale o a tal
uomo letterato , a tale o a tal parte della educazione
letteraria ; è contagio della specie tutta quanta. Vedete
nelle edizioni a uso del Delfino di Francia , vedete con-
sumalo un sacrilegio appetto a cui le bestemmie de' ro-
ijaantici sono giaculatorie; vedete tradotti i poeti latini
in rea prosa, l'oro delle parole proprie scambiato col
piombo di altre sinonime; come chi insegnasse , tirando
nel bersaglio , a non imbroccare nel segno. Cosa , per
verità, non difficile.
TI qual sacrilegio è dei commentatori mestiere, tra-
.stullo e gloria: e per commetterlo i più di loro si cre-
dono messi al mondo. Io non parlo del Biagioli ne dei
pari suoi; morti o viventi in odore di pedanteria o nella
patria o presso 1' estere nazioni : ma nessuno vorrà dir
pedante Enrico Stefano j e ne anco quel Volpi, del quale
i tipi corainìani s'onorano. Or bene: volete voi sapere
come lo Stefano interpreti quell' ovidiano bellissimo :
Grande dolori
Ingenium est :
Ecco : Majus doloris quam gaiidii est ingenium * i .
È il Tibulliano
Et dominam tenero continuissc sinu-, *2.
Sapete voi come il Volpi lo illustra? Mammoso,
*r Thcs. L. 4, Gr.
*i L. I. el. I,
n
Di tutti poi ; o quasi tutti i dizionariì , è fallo grave
accumulare vocaboli di senso vanissimo per dichiarare
i significati d' un solo. E non era necessità che il Monti
ed altri questo peccato rimproverassero alla Crusca , sic-
come a sola colpevole ; se lo Stefano non n' è franco ,
né quella sana mente del buon Forcellini. Il primo de'
quali àpeXrs^ta vi spiega con stoliditas yStultitiajamentia
vesania ; il secondo animadversio con attentio j con-
sideratio j notatio', poi animadversorj qui animadvertit
et attente observat ; poi animadversus j animadversio ,
castigatio ; i>oì animadversus _, consideratus , perspectus,
cognitus: poi animadverto j animum adverto j attente
considero , cognosco , la qual varietà di spiegazioni porta
con se quattro mali : superfluità , improprietà , confu-
sione , contraddizione. O le voci dichiaranti quella di
cui si tratta hanno ( che non può essere ) tutte il me-
desimo senso , e moltiplicarle non giova ; o hanno senso
diverso , e fate di ciascuno di quelli un distinto para-
grafo. Questo che par lieve difetto, e che ai provetti
non nuoce, guasta però le menti inesperte, avvezza a
queir uso promiscuo , anzi abuso di voci da cui tanti
stili verbosi, ampollosi, falsi, e donde colla fine lo spos-
samento e la corruzion della lingua. Di qui venne a noi
(sebbene non paia) la smania di quello stile aulico e
cortigiano che, non appropriando la dizione al soggetto,
ma da' comuni usi de' vocaboli , come da volgar cosa
aborrendo, non può nella sua cortigiania non essere tanto
affettato e impotente quant'è superbo. Di qui l'opinione
che belle possan essere le parole e pieno lo stile nella
difformità de' concetti e nella vacuità del pensiero.
74
CiPiT. n.
Falsa ricchezza.
Le idee a poco a poco si vengono in altre particolari
suddividendo , e ciascuna suddivisione ampliando. Là
dove r occhio nudo non vede che una via lattea , 1' ar-
mato di lente discerne schiera innumerata di stelle:
là dove rocchio inesercitato non iscorge che un punto,
r esercitato conosce molliplicità, varietà, discontinuità,
opposizione. Que' gradi , già inosservati , d' una idea for-
mano col tempo scienze e mondi e vocabolarii novelli.
Or quando ciascuno anello della lunga catena d' enti
e di relazioni corporee , intellettuali , morali ha un
nome suo proprio, incomunicabile, e noto, la lingua
è ricca. Ma che m' importa eh' io possa esprimere un'
idea in dicci modi se dieci altre idee mi mancano d'un
nome lor proprio , e m' è forza significarle con uno di
que' dieci modi che servivano a denotare quell' una ?
Quando la cultura degl' ingegni sia in parte accattata
di fuori, parte ristretta in poca gente divisa tra sé e
dal resto della nazione, allora s' ha questa falza ricchezza
di cui parliamo.
Ad esprimere le più tra le comuni idee della vita ,
noi Italiani abbiamo dovizia di frasi gaie , modeste , pos-
senti. Anco la lingua delle arti adulte già innanzi il se-
colo decimottavo è in buona parte determinata in Tos-
cana , siccome presso quel popolo che , dopo la civiltà
rinnovata, fu primo a fiorire nell'opere della mano.
Dell' arti e delle scienze modernamente salite a grandi
incrementi non possiam dire altrettanto.
Ma Tun de'modi di bene determinare il linguaggio nuovo
gli è non viziare con nuovi abusi 1' antico ; proporre a
sé questa norma , eh' è ancor più morale e civile che
7€r
filologica : u fintanto che due idee si potranno esprimere
con due promiscui vocaboli entrambe, s'avrà sempre
un linguaggio pieno d' equivoci , di discordie , d'errori. »
Presentatemi due idee con due nomi promiscui , io mi
crederò d' averne tre delie idee : le significate da' due
nomi, e la terza, della promiscuità d'esse idee da nomi
promiscui significate. La terza idea per lo meno sarà
erronea ; 1' errore si moltiplicherà per il numero e degli
usi e degli uomini che quelle voci useranno. E la lin-
gua col tempo si renderà inetta a trattare quelle materie
dove un equivoco costa troppo. E barbarie, vera barba-
rie si nasconderà sotto l'abito d' una mendicata eleganza.
« Certamente la copia delle voci è ricchezza, ma la
» copia non consìste nel numero, ricchezza inerte d'a-
» vari. S'altro non hanno le voci di differente che il
n suono e non la maggiore o minore latitudine o deter-
» minazione del concetto , le sono ingombro della me-
» moria, non agevolezza all'arte del dire *i. »
Quando, per esempio, il benemerito Gamba consiglia
d' inserire nel dizionario arrugare j intende , io spero, di
aggregarlo al numero delle voci morte o mezzo morte *2,
perchè non veggo uso alcuno di quel verbo dove non
cadano i più comuni corrugare ^ increspare y raggrinzare y
raggrinzire j aggrinzare j avvizzire, appassire , ammez-
zire. Poi se volete leccume (direbbe il Cesare) d'eleganze,
troverete accresparCj che in Toscana non è morto an-
cora, e crespare che non ha esempi ma è padre legit-
timo del tuo crespamento , o Francesco da Buti cemen-
tatore; e avvizzare j se non vi dispiace, o se meglio vi
garba, appassare y son pronti ai vostri servigi.
Il Girard paragona le voci superflue a piatti vuoti
*i Girard. Préf.
*2 Serie de' testi di liiigua.
76
senza vivande sopra : ma i piatti vuoti son buoni per*
mutare , giovano a pulizia ; dove le voci superflue fanno*
confusione: e confusione è sudicia cosa *i. '
Capit. iir.
Che la natura non ha le ripetizioni in orrore.
« Si dirà che la copia delle voci risparmia le nojose
» ripetizioni: ma la noia diviene dalla ripetizione del-
» l'idea ben più che del suono. Se la medesima voce,
» ritornando, dispiace, dispiace non per l'uguale im-
» pressione che ne riceve l'orecchio, ma per quella che
n n' ha la mente. I pronomi che pur si vengono ripe-
» tendo a ogni tratto, non annojano perchè necessarii :
» si ripetono gli articoli e le preposizioni spessissimo ,
» perchè destinate a indicare una relazione della cosa ,
» non hanno valore determinato di per sé, sì che quella
» indicazione , ad ogni nuovo oggetto a cui s' applichi ,
» si rifa nuova *2. »
Il numero, sia poetico sìa oratorio, dev'essere dall'
idea dominato, non già dominare. E cotesta scolaresca
sollecitudine di non ripetere, dove occorra, la medesima
voce, è condannata dall'esempio de' grandi scrittori.
Ma i grandi scrittori non erano retori , e appartenevano
al numero di quella sguajata gente che:
Dice le cose sue semplicemente *3,
che non cerca, ma trova uno stile di colore sano, di
forma snella, d'abito conveniente al soggetto j gente che
*i La surabondance qui n'apporte ni plus de nettate, ni plus de
gràce, ni plus d'energie, est une négligence qu'on doit éviter, Dumarsais.
*2 Girard.
'•3 Berni.
non intendeva punto gli artifizìi profondi di quegli scri-
vicchiatori chiarissimi eh' oggigiorno hanno fama di fio-
riti e fecondi.
Non è necessario cercar tropp' addentro per rinvenire
con che pensata ( se così posso dire ) e maestrevole non
curanza, gli scrittori grandi adoprassero le medesime
voci più volte in breve periodo di discorso, dovunque
ciò credessero acconcio. Giova recare esempi di poeti ,
siccome di quelli a cui più larghe licenze vengono con-
cedute , sebbene i poeti più grandi ne usassero meno di
quel che i prosatorelli moderni facciano.
Apriamo la commedia di Dante ; ed eccoti nel primo
canto via ripetuto ben quattro volte *i. Oh gran padre
Alighieri , non sapevate voi dunque che la nostra lingua
bellissima aveva pure e strada e sentiero e tante altre
voci significanti a un bel circa il medesimo , che pote-
vano fiorire il vostro stile di molto variata eleganza?
E paura , questa brutta parola che tanti coraggiosi
d' oggidì non fanno sentire , ma sentono e intendono
tanto bene, paura nel primo della commedia cinque
volte ritorna *2. Come? Non aveva egli in pronto l'ine-
sperto poeta terrore 3 timore j spavento ^ tenia ^ temenza ^
dotta j dottanza e altri assai ? Ma al poeta inesperto paura
piacque, e in dicianove versi lo disse tre volte, e cinque
in cinquantadue, e due (cosa orribile!) in cinque. E
questo medesimo cosa non lo ripete egli in sei versi due
volte *3 ? E tra ritrovare e trovare ci corre egli mag-
* I V. 3 , Che la diritta via .... V. i a , Che la verace via ....
V. ag , Ripresi via ... . V. 4^, Passar per la sua via.
*2 V. 6 , Rinnova la paura. — V. i5, Di paura compunto. -^
V. 19, Fu la paura .... queta — V. 44 > Paura non mi desse —
V. 53 , La paura eh' uscìa ....
*3 V. 4 3 Cosa dura — V. 9 , Altre cose.
7S
giore intervallo che di cinque versi? *!. Nulla dico di
'Volgersi , che tre volte *2 , nulla di vista che due ri-
corre *3 ; nulla di perdere , ripetuto con semplicità sco-
laresca in tre versi *4' Ma come tacere di quella bestia
che dovrebbe proprio far tremare i polsi agli amatori
della elegante varietà del nostro idioma *5 ? Come di
quel luogo, triviale parola, la cui ripetizione è sì tri-
viale? *G. E dal luogo venendo al tempo, come non
s' accorgere che il primo canto della città senza tempo
infelice, di questi tempi n'ha quattro *'y?
E il Petrarca , scrittore più sollecito de' minuti orna-
menti j e più schivo de' minuti difetti , il Petrarca ri-
strinse in vie minor numero di parole il suo linguag-
gio poetico, ne dalle ripetizioni aborrì. Prendiamo la
Ballatetta *8 da Gian Giacomo *9 citata ( eh' è non
piccolo onore): e troveremo in quattordici versi due
volte vedere *io, desiare due volte *ii non loulan da
desio, be' due volte *i2; poi morta e morte *i3 . amore
e amoroso *i4j quasi accosto, due volte velo e velati lì
*i V. 1, Mi ritrovai . . . V. 8 , Ben eh' i' vi trovai.
*2 Si volge all' acqua — Si volse indietio — Più volte vólto.
*3 La vista che m' apparve — Uscia di sua vista.
*4 Perdei la speranza — perder lo face.
*5 Bestia senza pace — Vedi la bestia — Che questa bestia.
*6 Basso loco — luogo selvaggio — luogo eterno.
'*7 Tempo era — Ora del tempo — Giunge il tempo — Al teujpo
degli Dei. Non parlo di fare ripetuto otto volte. M' han fatto cer-
car . . — m' han fatto onore.
*8 P.« I. Ball. I.
*9 N. Hél. P. I.
*io Non vi vid' io — Vidivi.
* 1 1 11 gran desio — Desiando morta — Ch' i' più desiava.
* X 2 Be' pensier — Be' vostri occhi . . ,
■*i3 Hanno la . . . mente morta — per mia morte.
'*i4 Ma poi ch'amor — L'amoroso sguardo.
70
presso *i. E chi potrebbe numerare le ripetizioni inele-
ganti di cui pecca il Petrarca, e che i nostri innume-
rabili maestri avrebbero con avveduta severità tolte via?
L'Ariosto? Peggio. Qui non cade dover notare della
ripetizione delle rime, altra Cariddi che i nostri noc-
chieri insegnano ad evitare *2. Ma quanto a ripetere
modi e voci, oh il povero scrittore ch'era Messer Lo-
dovico! *3. Sarebbe troppo crudele oltraggio alla fama
sua e troppa offesa al fine sgusto dei nostri retori mol-
tiplicare gli esempi.
E il più doloroso si è che i grandi scrittori in questa,
come in altre cose , tengono il modo del popolo igno-
rante, o per meglio dire, della vilìssima plebe; la qual
non teme di ripetere tante volte il medesimo vocabolo
quante le fa di bisogno per significare la medesima idea.
Perchè '1 popolo non conosce sinonimi : e le voci di senso
affine hanno nel quotidiano commercio del parlare una
differenza di valore ben ferma. Il qual difetto popolare
richiama alla mente un'altro errore grossissimo; che
norma della scritta è la lingua parlata, vale a dire
che gli uomini scrivono e parlano per fare intendere il
* I Lassare il velo , — Capelli velati , — Mi governa il velo.
*a Nelle prime trenta ottave abbiamo ripetute le rime ato , agna ,
aldo y ata , ei, ia , iva ^ oi , oso, olse , one, orse, olto: era tre
volte , ano quattro. E vuol dire , una ripetizione a ogni coppia d'ot-
tave. Se i pedanti recano autorità per ristringere i confini dell' arte ,
e a noi sia lecito all' autorità ricorrere per allargarli.
"Z St. 3. E darvi sol può 1' umil servo vostro
Né , che poco vi dia da imputar sono
Che quanto io posso dar tutto vi dono.
St, i3. E per la selva a tutta briglia il caccia
Di su, di giù per l'alta selva fiera.
Ivi. La più sicura e miglior via procaccia.
Lascia cura al destrier che la via faccid.
80
lor pensiero ; o per dirla altrimenti , che scambiare i
segni degli oggetti è scambiare gli oggetti stessi. Dal qual
errore seguirebbe che 1' uomo del volgo ha idee, nel suo
cerchio, più chiare, che non abbiano molti letterati
chiarissimi , onore della penisola : assurdità manifeste.
Capit. IV.
De^ Sinonimi.
« Sono sinonimi in ogni lingua , ma non sono mai
» cosi fifa t ti , che possano sempre l'uno per l'altro ado-
» perarsi: potrò io dir, per esempio: è giusto che il
» ricco soccorra il povero j e dir potrò ugualmente, che
» questo è il suo dovere: ma non potrò dir già : io fa
» 'l mio giusto 3 invece di: io fo H mio dovere *\. »
« Se fossero sinonimi veri in una lingua ce ne sarebbe
» due: perchè trovato il segno denotante un' idea , non
» se ne cerca altro più. E 1' uso di tutti gì' idiomi , per
» licenzioso che paia e vagante a caso , mai non si
» parte da questa norma; né mai dà luogo a parole
» che dicano in tutto e per l'appunto il medesimo d'altre
» parole senza proscrivere la vecchia , o senza assegnare
)) a quella alcuna varietà, non foss' altro di grado *3. »
Quintiliano l'aveva notato già: « Sunt alia verba hujus
») nalurae ut idem pluribus vocibus declarent ; ut nihil
» significationis, quo potius utaris, intersit. Ut ensis et
» gladius. Quarum nobis ubertatem et divitias dabit
)) lectio, ut bis non solum quo modo occurrerint, sed
» etiam quo modo oportet, utamur. Non semper enim
» haec Inter se idem faciunt nec, sicut de intellectu
*i Zannoni, Antologia di Firenze i83o, Dicembre.
*3 Dumarsais.
81
» animi recte dixerim vld^o , ita de usu oculorum in-
» telligo. Nec ut mucro gladium sic miicronem gladcus
» ostendit *i. »
Non è dunque a credere che le voci sinonime ab-
biano in sul primo denotato per l'appunto la medesima
cosa *2-j poi (sentita la necessità del parlare chiaro)
essersene venute determinando le differenze. Non mai
così forte come ne'primordii della civiltà gli uomini sen-
tono il bisogno di parlare chiaro j e meglio che la chia-
rezza, si coglie da' parlanti altamente persuasi e verace-
mente commossi , la prima condizione d' ogni bellezza
vera del dire, l'evidenza. Così (per trarre esempio da
cosa, apparentemente più notabile, ma non più impor-
tante dell'umano linguaggio) le civili costituzioni in sul
principio , perchè non materialmente determinate e
scritte su un foglio di carta , si credono essere state
ondeggianti airarbitrio delle passioni e del caso: e pure
non è legge più forte del tacito, universale, e quasi
ispirato consenso.
Il Laveaux *3, considerando che sinonimi veri la lingua
non ha, intitolò l'opera sua dizionario sinonimico: ma
e' non fece altro che coniare una voce non bella senza
togliere 1' improprietà. Meno male attenersi all' antico ,
giacché non si corre , in usandolo, risico alcuno d'errore.
Ognuno sa che sinonimo è voce così inadeguata come
sono metafisica j fisica j, matematica ; ma ognuno intende
qhiarissimo che significhi. Io non ho voglia per ora di
beccarmi il cervello a trovare un titolo non meno breve
più proprio, che piaccia agli altri, e piaccia anco a me.
*i ìnst. X.
*o. Boinviiliers.
*3 Parigi 1826.
82
RIVISTA CRITICA
ERNESTO E CLARA
Novella.
Torino, G. I. Rcviglio e Figlio libraj. i8j6.
Ricordami d' aver letto nella Bibbia * i di non so qual profeta ,
cui il Signore in visione diede a mangiare un libro , il quale
sembrato dolce al palato del suo mangiatore , poiché 1' ebbe
tutto in corpo , gli rodeva amaramente le viscere. A siffatto libro
mistico , parmi si possano assomigliare que' libri tutti , che
piacevoli e lusinghieri alla prima lettura per certa lor venustà
di stile , e speciosa mostra di brio e di spirito , letti un' altra
volta recano nausea per lo gran vuoto eh' entro vi si scorge.
Sonvene altri per lo contrario , che di nessuno adescamento o
lenocinlo apparentemente forniti , disgustano in sul primo squa-
dernarli, e distolgono dall' andar avanti il lettore, il quale
ove sia tanto ostinato o benevolo da continuar la lettura non
solo, ma da ripigliarla un'altra volta da capo, trovasene poscia
contento per molte bellezze non prima avvertite , che in ap-
presso gli si manifestano. A. questa seconda specie di libri
calza a meraviglia l' imagin di Dante *2, che è il rovescio ap-
punto della citata imagine biblica:
Che se la voce tua snri molesta
Nel primo gusto, vital nulrimcnto
Lascerà poi quando sarà digesta.
*i Apocal. cap. 10, vcrs. io.
'ii i'arad. canto 17.
8S
Tale, a mio giudizio, si è un libro anonimo , di recente u-
scito alla luce. E per tema che la parola anonimo rechi spa-
vento a taluno che si ricordi, come le streghe di Shakespeare
affaccendate intorno alla caldaja delle loro diavolerie, a Macbetto
che le interroga che cosa sliensi facendo, gridano per tutta
risposta , un^ opera anonima 5 e faccia quindi concetto dell' an-
nunziata operetta come di perfida e maligna scrittura 5 a costui
m' affretterò di dire , che essendo questa una satira in genere
contro certe mende del viver sociale , non innocente soltanto ,
ma è cosa utile e buona, e che 1' Autore a me e ad altri no-
tissimo, ben lunge dal farsi dell' anonimo frontispizio una trincea
per quindi scoccare da luogo sicuro i suoi dardi, non intende
giovarsene altrimenti che come di velo alla sua rara modestia.
Neil' Ernesto e Clara ( che tale è il titolo della novella di
cui ragioniamo ) descrivo usi le avventure di un gentilomuzzo
scapestratello , al quale una benigna indole ed un mediocre
ingegno da una pedantesca coltura, e da una superficiale edu-
cazione snervati, ad altro non servono che a viemeglio sentir
la vergogna de' propri! trascorsi , e a logorarsi , per risorger
dall' abbiezione , in tardi ed inutili conati. Affogato ne' debiti
e tolta una ricca moglie, quasi cambiale per soddisfarli, questa
nel primo amplesso gli scatta via indispettita , ed egli novello
Enea, quando credevasi d'abbracciare la diletta Creusa, strin-
gesi più volte al petto le braccia digiune *i. Fallitagli colla sposa
la dote, assalito d'ogni parte dai creditori, fugge il minacciatogli
carcere, s'inselva pauroso, s'appiatta nella solitudine, e dato
un primo passo in fallo , precipita quasi d' abisso in abisso , ia
cento disgrazie 1' una maggiore dell' altra , e 1' una più che l'al-
tra ridicola: poiché, se uomo sdrucciola, e cade sguajatamente,
per quanto gli dolga il fianco o gli sanguini il capo, non gli
verrà fatto di vietare agli astanti le risa. Miserabilissima poi di
tutte le disgrazie , non ommessa la fame , la prigione per sup-
posti delitti, e lo scriver lettere d'amore a nome e per conto
altrui, si è questa a parer mio, d'essersi lasciato entrare in
capo il ticchio della letteratura, e d'aver scritto, ìmàta Minerva
*i Virg. eneid. lib. 2.
84
non un sonetto in vita , ma un intero romanzo, La sposa re-
frattaria intanto , di buona pasta aneli' essa , e di vivace inge-
gno, ma del pari dalla frivola educazione corrotta (degnissima
coppia , nata , malgrado gli eventi contrarii , a realizzare il si-
stema dell' armonie prestabilite!); la sposa refrattaria dopo una
notte mal dormita prende a fastidio le piume indebitamente
verginali ,• cerca dello sposo , ed intesane la vergognosa fuga ,
invece di lacerarsi le cliiome , ne paga i debiti 5 spia il luogo
del suo ricovero; e frattanto nella sua vedovanza senza corrotto,
assediata da molti proci qual più qnal meno amabili e destri,
fra' quali (era ben giusto) tiene non ultimo luogo un cugino,
armeggiando scaltritamente con tutti, dopo molte e varie bat-
taglie, non senza riportarne qualche leggiera ferita, sgomina
iiiiuhueute e mette in fuga quella falange di cicisbei. Rappat-
tumatasi con Ernesto, sul punto di compiere l'interrotto sacri-
fizio alle deità conjugali, questi, cui la manìa del romanzo
fieramente incalza , quasiché Apollo cacciatoglisi in corpo ,
come già in quelli delle grinze sibille , lo rendesse astemio d'o-
gni prosaica voluttà, fugge alla sua volta la sposa, e frappone
per motivi sublimi una nuova dilazione all' adempimento de'
suoi volgari doveri. E quando egli stende finalmente a Clara
le braccia desiose, la prigione (qui si muta registro, e la nar-
razione con grata sorpresa del lettore assume il tuono patetico)
la prigione da lei duramente lo scevra. Uscito del carcere, e
Pei- varios casus , per tot discrimina rerum
divenuto marito effettivo, dopo le prime caldezze, il romanzo,
quasi spetro di un'amorosa più anziana venuto dall'altro mondo
a far valere sul fedifrago amante i suoi diritti ipotecarii , il
romanzo si pianta terribile fra Clara ed Ernesto, e portandosi
quest' ultimo con sé nell'eteree regioni dell'ideale, lascia la po-
vera moglie novellamente digiuna della sospirata realtà. Ter-
minato il malaugurato romanzo , e sottoposto al giudizio di
Clara , con che cuore avrebbe questa tessuto 1' elogio del suo
abbonito rivale? A quel figlio spirituale d'Ernesto fece la de-
relilta quel viso , che qualunque delle mogli nostrali farebbe
85
ad un figlio che fosse prole del solo manto. Il biasimare che
fa la moglie d' uno scrittore le opere del chiarissimo sposo ,
dovrebbe (dico io scrittore) dovrebbe essere fragl' impedimenti
dirimenti del matrimonio. Ma se non fu questa bastante cagione
al divorzio di vincolo , fu più che bastante al divorzio di
cuore. Cercò Ernesto fra non domestiche pareti la lode, e tro-
volla presso una vecchia dama mecenatessa dei letterati di
primo pelo , che invitatolo a leggerle il suo romanzo , del quale
o bello o brutto, già molto si bucinava per la città, con mi-
rabil arte ignota al protettore d' Orazio, cangiogli in un banco
di Faraone 1' appena cominciata lettura.
Così il povero letterato novizio, là dove si lusingava di co-
gliere allori , e ricever applausi , trovossi invece espilato fin
dell'ultimo soldo, 'e gluocando infine sulla parola, più che
mai stato fosse oberato. Quest' ultimo smacco, simile a un ta-
glio maestrevolmente fatto da mano cerusica ad una viziosa
enfiagione, guarisce radicalmente Ejrnesto della sua vanità let-
teraria. Clara, cui la manificentissima fantasia dell' autore diede
un fondo inesauribile di ricchezze, salda exahrupto questi, che
saran gli ultimi debiti del resipiscente marito: ed Ernesto,
come un debitore romano rimasto in virtù delle dodici tavole
schiavo della sua bella creditrice, tenterà di soddisfarle alla
meglio con affetto costante, con giudaica usura di maritali ca-
rezze , e coir aeternum vale al romanzo.
Ecco in Iscorcio l'orditura della novella , nel compendiare la
quale se per avventura fui inesatto, sappiasi che questo è pri-
vilegio di noi giornalisti. Dopo aver dato una prima e rapida
scorsa al libro, nella mia immatura saviezza io sentenziava. così:
pecca, e non venialmente, questo componimento in due cose:
i.a 11 tuono quasi costantemente satirico, o sermonatorio, e il
silenzio totale di forti passioni in un tempo , in cui piacciono
(ripeto le parole d' un bello spirito) i romanzi all' acqua forte;
in un tempo, in cui la sensitività dei lettori da tante scritture
concitatrici e patrie e straniere logorata, ha fatto tal callo, che
ad eccitarla altro ci si vuole che un leggero solletico : grallìa-
ture ed uncinature fan d' uopo. 2. a La poca importanza de' per-
sonaggi messi in azione. Ernesto, Don Chisciotte del moderno
S6
bon ton, mezzo fra '1 sentimentale e '1 melenso, non mai abba-
stanza risibile né miserando, sembra uno di que' tanti attori,
i quali , sia ebe abbian in volto la mascbera comica , sia cbe
abbian la tragica, appajon sempre mediocri. E il complesso
de' personaggi e delle cose descritte parmi un accordo di mezze
tinte scelte a bella posta per imitar il colore dell' alta conver-
sazione , dove la convenzionale eleganza , e il contegno sono
sussidi! della mediocrità. Clara fra civetta ed austera si fa-
rebbe sovente compiangere , se non si facesse talvolta compatire.
Ippolito , r amante ed amabil cugino, è mosso da affetti così
temperanti, clie 11 lettore né pel suo rischio si affanna, né
per la sua vittoria Y ammira. E cbi vorrà palpitar per esso
quand' egli acqueta così agevolmente i suoi palpili ? Pirro fi-
nalmente, il seduttore per eccellenza, vero diplomatico del mal
costume, siccome agisce dietro freddi calcoli, né mai si vede
dà calde passioni agitato, così nessuna può ispirarne al lettore.
Ma a chiunque dopo una prima lettura volesse imitarmi in
questo giudizio prepostero , io coli' orgoglio di chi ha fatto
qualcosa di più eh' altri non fece, e da fedel giornalista seduto
a magistrale scranna , vorrei a quel cotale inappellabilmente
risponder così : o pigro esaminatore e corrivo giudice , rileggi ,
come fec' lo le ducento sessanta pagine della novella in que-
stione , e se non sei più cattivo conoscltor di novelle , che
Ernesto fosse del suo romanzo, dovrai confessar meco, che
quanto già parveti un ammasso di cose leggieri e frivole, è
una fedele imagine del bel mondo presente j sicché fedele non
sarebbe 1' imagine , se men frivola fosse dell' originale. Molti
particolari, dei quali prima non ti rendesti conto, or più non
ti passeranno davanti inosservati , e svelerannotl il molto acume
d'ingegno, il buon criterio, lo spirito penetrante, e l'espe-
rienza dello scrittore. Quel sentenziare che prima ti spiacque,
e giudicasti che , proprio del sermone e della satira , nella no-
vella stesse a disagio, ora in grazia della nobiltà e verità dì
molte sentenze (e parecchie ve n' ha a meraviglia argute e
calzanti), non contento di perdonarglielo nel dovrai anzi, ove
giusto esser voglia, commendare. In una folla di coserelle alle
quali applicasti il generico ngxne di nonnulla, o chicchi bichiac-
87
chi, come «lice la Crusca , vedrai colta la natura sul fatto :
quei tanti pensieri che grillano nella testa vuota d' Ernesto ,
non più stravaganti , od insulsi , ma li dirai naturali ; riderai
meco delle balordaggini di Cosimo 5 e il cupo e tenebroso ca-
rattere di Pirro desterà in te quell' ammirazione , con cui si
ammirano i birbanti sublimi. Quindi renderai grazie all'autore,
che svelando le più tenui ed intricate fila della diabolica trama ,
colla quale gli uomini tendono insidie alla donnesca virtù, in-
segna alle donne come schermirsi e non cader nella ragna.
Pagandogli adunque non iscarso tributo di lodi pel molto bello
che scopristi nel suo lavoro, gli dirai meco: signor anonimo!
Il patetico episodio della prigione, e la miseranda catastrofe
di Olderico e Matilde (novella nella novella), che escono dai
termini delP ironia , e sembrano staccati da componimenti di
un altro genere , svelando in voi la facoltà di dipingere con
proprii colori i lagrimevoli casi , e di muovere dolcemente gli
affetti, a questo genere d' or in avanti vogliate appigliarvi , e
mirare a spremer dagli occhi de' lettori e delle leggitrici le
lagrime , piuttosto che atteggiarne le labbra ad un beffardo
sorriso. Infatto di stile la lode di stringato e sugoso, che me-
ritamente affezionate , ceda pur talvolta il luogo a quella di
facile e chiaro : né vi basti d' aver quasi in nube accennato ,
ma studiatevi di tutto esprimere , e stampar nelle altrui meuti
il vostro pensiero. Moderate il vezzo degli epiteti antonomastici
(se sbaglio nell' appellazione un qualche pedante m'usi la ca-
rità di correggermi), come la trafuggitrice ^ V insonne^ V adorata
ecc. 5 e non contento perultimo di fiorire di bellezze recondite
gli scritti vostri, da quelle più appariscenti e scolpite sperate
il pronto assenso dei lettori , e la cara ai novellieri popolarità.
Le opere vostre (e noi ne conosciamo dell' altre) simili a certi
burberi di egregio cuore , di severe e poco allettatrici apparenze
vestono cose sostanzievolmente buone e pregevoli. E invero
che delle due è assai miglior cosa l'imitare nell'opere dell'in-
gegno quel baculo, che un fiero Romano recò in dono al tem-
pio di Delfo , oro al didentro , e rozzo legno al di fuori, che
non certa specie di vasellame di vii metallo, coperto di una sottilis-
sima lamina d'argento, la quale logorata dall'uso svela l' im-
88
potente vanità del padrone. Ma il mistico bastone, simbolo
d'una ignota virtù, ove il fiero Romano non l' avesse altrimenti
fatta conoscere, sarebbesl per sempre rimasto appeso, negletto
dono, alle deltlclie pareti. Così se un libro vuoto di pensieri ,
e sol bello di forme ^ condannato a non esser letto eh© una
sol volta, un libro d'inamabili forme, per quanto di pensieri
sia ricco , corre un riscbio peggiore : quello di rimanere im-
nieritamenle sconosciuto,
Carlo Marenco.
Considerazione sulle terre incolte del Piemonte ecc.
dei signor Conte A. Piola.
( Torino , un voi. in -8 ).
Il signor Conte A. Piola , già noto nella repubblica lette-
raria per altri pregievoli lavori, fece testé di pubblica ragione
una sua opera intitolata = Considerazione sulle terre incolte
del Piemonte j con indicazione de^ mezzi j e de^ melodi di dis-
sodamento applicabili anche alle altre terre incoke d" Italia
neliinteresse del pauperismo, nr Basta questo titolo a dimo-
strare r importanza dello scritto , e ad encomiare V umanità e
iìlantropia dell'autore, il profondo suo sentire, la giudiziosa
scelta d'nn mezzo per ottenere un fine. Per me confesso inge-
nuamente , che sendomi per caso capitato tra le mani , restai
rapito dal più soave piacere nella lettura d' un libro , in cui
s' ammira soprattutto uno stile piano, conciso, e bastantemente
purgato , una conveniente sobrietà de' principj della politica
economia , ed una ben giusta loro applicazione al propostosi
scopo , che se largheggiò alquanto in erudizione sì patria , che
straniera , ascriver devesi all'indole della materia trattala , che
imperiosamente esigeva d' essere ad ogni modo lumeggiata e
sorretta da non poche verità così di fatto , come di raziocinio.
Voi dunque incontrate in un volume in 8.' dì pag. 288 tante
89
cose, tante idee, tanti riflessi in si perfetta armonia , clie uno
scrittore meno abile , o meno esercitato vi avrebbe almanco
nel leggerli condannato ad un doppio tempo , e ben sta qui il
detto , che a pochi è comune il privilegio di poter tutto es-
porre iu sì ristretti confini.
L' A. considerò da un lato , che grande è la turba de' men-
dicanti, e d' altri miseri in Piemonte, dall' altro che non meno
sperticata è la quantità de' sodi , e tosto gli cadde in pensiero di
maturare 1' idea di farvi scomparire i primi col dissodamento
de' secondi. Esso non si contentò di fantasticare in proposito,
come avviene talvolta anche tra uomini dottissimi , ma volle
ocularmente visitare una gran parte di tali Lande, analizzarne le
sostanze , e le forze applicate della natura , confrontarle coi
terreni attigui , qui verdeggianti di liete erbe, là biondeggianti
di spiche , altrove popolati di vegeti e robuste piante , e farne
infino agricoli esperimenti. Venne quindi proponendo al R.
Governo , già da lunga pezza disposto a benignamente acco-
gliere utili ed orrevoli innovazioni , il dissodamento di tante
superficie da secoli incolte, la formazione d'una società d'azio-
nisti per agevolarne 1' eseguimento , la fondazione di stabili-
menti agricoli sulle più estese brughiere , beraggie , o f^aude
per ricoverarvi la poveraglia valida sotto, ben intesa ammini-
strazione , e sotto la vigilanza della benemerita classe de' sol-
dati veterani , cui nel modo stesso , e negli stessi stabilimenti
vuole , che lor si provveda. Dimostrò maestrevolmente quanto
il suo progetto sarebbe per fruttare all' agricoltura , al perfe-
zionamento de' relativi metodi , alle arti , al commercio , alla
morale civile e religiosa , alla pubblica salute , ed in ispeciale
guisa alle Regie Finanze ; quanto opportuno altresì , onde lo
stato nostro non resti addietro nel progressivo andamento ris-
petto alla popolazione, ed alla ricchezza, vale a dire alla potenza
ed alla prosperità. E se finquì fu mai sempre uu puro desiderio
de' filantropi , una bella utopia, e nulla più 1' idea d'estirpare
la mendicità , non è cosi del pensiero del Conte Piola. I mezzi
da lui proposti sono d' esito sicuro , né molto difficili 5 im-
mancabile è pure il bando de' poverelli attuali, non che de'
nascenti per cent' anni e cento. Risalendo egli alle cagioni della
90
antica sterilità di tante terre incolte, viene con giudiziosi ri-
flessi accennando la mancanza un tempo sì di braccia suffi-
cienti, che di mezzi di coltivare, quindi l'abitudine di vederle
deserte , la supposta incapacità di produrre , la loro comunanza,
la facoltà di libero pascolo , il morso infine troppo frequente ,
e fatale del bestiame pascolante. Dimostra inoltre sia con buon
corrèdo di ragioni, che quelle superficie sono suscettive della
coltivazione de' cereali , della vite, o di altre utili piante in-
digene , od esotiche , sia , e molto più qui per confessione delle
stesse comunità , là coli' esame de' vegetali spontanei popolanti
tali sodi, altrove dalle piante amanti ubertoso terreno, come
il pioppo e la quercia, dappertutto col già praticato dissoda-
mento de' simili terreni di privata spettanza. Lo statista poi
fra le varie preziose notizie ricava, che la superficie dello stato
di terra ferma rileva in totale a giornate . . . 18,129,891
cioè montuosa a giornate 10,907,114
Piana giornate 2,222,777
da cui deducendosi quelle dell'acqua, delle città
e de' borghi , e delle strade, di giornate . . . 5 1,6 12
rimane la piana coltivabile di giornate . . . . 2,171,165
Che nelle sole sette provincie , Torinese, Vercellese, del
Mondovl , Saluzzese, Novarese, Biellese e di Pinerolo le terre
incolte rilevano all'ignota somma di giornate 128,600, popo-
late da 679,609 abitanti , cosi che tale superficie sta al num.
di questi come i a 4 60971000 , ed il num. de' comuni sta
a quella come i a 4^' giornate.
Che lo stato attuale di sì fatti sodi priva la nazione d' una
egregia somma di sussistenze bastevoli al vitto di circa un
milione d' uomini.
Che la sola importazione del fromento estero eccede ogni
anno quintali 681,691 , che produrrebbero giornate 60,000 di
terra ben coltivata.
Che stazionaria è l'agricoltura in Piemonte perchè perseve-
rante negli antichi metodi , quandoché governata con altri più
pregievoli ci offre in Inghilterra un prodotto come 9, in Francia
come 6, ed in Italia come 4 soltanto.
91
Che sebbene il Piemonte non sia ricco a fronte de' vicini,
e rispetto a quanto potrebbe esserlo , onde la necessità d' ac-
crescere fra noi la massa delle sussistenze si fa specialmente
sentire dopo la riunione del Ducato di Genova , non è tutta-
via men vero , che la prontezza de' sudditi a chiudere in po-
chi mesi quasi per intiero col proprio numerario 1' uno , e
l'altro prestito del i83i e i834, l'esame delle esportazioni,
ed importazioni delle varie merci, 1' altezza del valore delle
terre , e delle carte del debito pubblico provano palpabilmente
che questa vostra bella contrada non scarseggia punto di capi-
tali necessarj ad attivare il suo progetto , ed altri molti dì
eguale pubblico interesse.
Che i territori » *" quali vi sono que' sodi , non provvedendo
lavoro a tutti gli abitanti , sono questi in generale dalla fame
costretti a vagare in terra straniera , non senza incalcolabile
pregiudìzio della comune patria , tutto che essi non come oziosi y
dice 11 celebre Beccaria , ma con mirabile , o quasi unica in-
dustria corrano ad esercitare V attività del loro ingegno e del
loro commercio nel restante dell Europa.
Che infine dall' esposta operosa agricoltura degli stati circo-
stanti , e dalla conseguente massa delle produzioni , bello è il
conchiudere , che non seguendone il nostro 1' esempio , ver-
ranno esse ad inondare i nostri mercati , e ad impoverire i
proprietarj per lo scemamento del prezzo delle indigene pro-
duzioni. Ducimi , che la brevità d' un articolo non consentaneo
ad una più estesa analisi di questa preziosa opera, la quale
sebbene né nuova nelle sue viste , né in altri regni trasandata
in pratica, si presenta tuttavia vestita di sì fatta originalità
nel suo complesso da avvanzare, se mal non m' appongo , ogni
altra del suo genere , da far sommo onore a chi la dettò , né
poter a meno di essere coronata di felice successo 5 che se ta-
luno vi trovasse per avventura da tale , o tal verso alcun che
da ribadire , sarebbe questo in fede mia una di quelle pecche
simili alle macchie
Del bel Pianeta , che distingue 1' ore ,
le quali nulla scemano punto al suo massimo splendore.
Aw. Teresio Plebano.
92
r ■-,},, Piccola Biografia di donne illustri Alessandrine.
(Alessandria i837, presso L. Guidetti t voi. in 12.)
Evidente prova d'un continuo progredire nella civiltà sono,
fra molte altre , le opere consecrate a rammentare le gesta di
quelle illustri donne, che malgrado gli intoppi fi-apposti dai
pregiudizii edai tempi, lasciarono onorevole fama di sé, e tanto
più benemerita impresa ell'è cotesta , che pur di molte che
eminente virtù reseco chiare ne andò smarrito persino il nome ;
biasimevole trascuranza , per non dir peggio, di cui verremo,
ed a ragione accagionati dai posteri. Molti secoli scorsero prima
che le donne potessero occupare nella civile società quel grado
cui le chiamava natura , e che loro aveano assegnato le divine
insti tuzioui del cristianesimo.
Le costumanze de'popoli settentrionali, usi alle cose guerresche
e sprezzatori o tiranni di quanti non li pareggiavano per fisica
forza, restarono per ben molti secoli impresse nell'animo dei
loro discendenti , e la condizion delle donne nel medio evo e
ne' tempi posteriori , la barbarie delle molte leggi promulgate
a loro riguardo ne sono prova manifesta. E tanto profonda
radice nell' universale misero queste idee , che allorquando a
più miti costumi ci menavano gli studi e la filosofia , cessò
l'oppressione, ma non si pensò a farle degne del novello stato
cui erano chiamate coU'educazione civile e morale.
Questa difficile e gloriosa impresa fu riserbata al nostro secolo,
e bello è il vedere come e letterati e filosofi tendano coi loro
scritti a compierla. Né ultimi sono coloro i quali tentano
infiammare que' fervidi cuori coli' esposizione delle virtù dì
quelle donne che seppero rompere il denso velo che circondava
in tempi più tristi la loro esistenza.
Lode perciò allo scopo che prefiggeasi il leggiadro scrittore
dell'opuscoletto da noi annunziato. Ma questo libro otterrà egli
il propostosi scopo ? Ecco di che cosa noi dubitiamo.
i
95
L'amore del municipio che ci vide bambini troppo spesso
fa gabbo al nostro giudizio , e ciò che per troppa frivolità nói
terremo indegno della pubblica luce ne' confinanti paesi ci alletta
e muove il nòstro amor proprio, se avvenuto in quelle muriì
ove respirammo le prime aure vitali. ' ' '
Quindi queir inutile farragine di libri che ingombrano le
biblioteche , e che spesso fecero sprecare Un tempo prezioso
ai loro autori con danno delle buone lettere e delle scienze."
Non è già che fra questi si voglia annoverare la piccola biografia
delle illustri Alessandrine 5 ma pure hanno essi i nomi in questa
rammentati tutti un diritto alla riconoscenza de' posteri?
Noi ne dubitiamo altamente. Sia lode alla castità di quelle
vergini, al buon uso fatto delle loro ricchezze da quelle matrone,
sia lode all'ingegno di quelle donzelle che trovarono in celebrati
uomini ammiratori alle loro virtù, ma ove un nome che rifulga
di quella pura e splendente gloria che cinge le tempia di tante
e tante illustri italiane?
L'esagerazione nelle cose utili e buone è peccato degno di
scusa , ma è sempre peccato il menar vanto della più piccola
cosa, è il più delle volte indizio di povertà che non di ricchezza ,
e l'ostentare ricchezza quando non è realmente è inutile per
non dire biasimevole cosa.
Queste osservazioni sembreranno forse acerbe allo scrittore
di quest'operetta , al quale tributiamo i più sinceri encomii
pel purgato e facile suo stile, ma s'egli, spogliato il patrio affetto,
vorrà fare un solo confronto , non gli sarà forse disagevole il
convincersi della verità de' nostri pensieri. P.
L IRIDE
Giornale di Letteratura, Belle Arti, Scienze , Agricoltura.^
Commercio e di utili cognizioni. Novara, iSSj.
Udiste voi mai, o lettori umanissimi, sulle labbra degli eterni
lodatori de' tempi andati suonar quell' antica e patetica querela
94
per cui lamentando la miseria e dappoccaggine degli ingegni
presenti esaltano i di che furono e rimpiangono svaniti con
essi la vigorìa delle menti, il calore delle anime, l'amore al
buono , al bello, al grande ? Per me, io credo, che la miglior
risposta allo stucchevole piato sia 1' invitarli ad un severo raf-
frontamento dell'epoca presente co' tempi da loro magnificati,
e se quindi non cessano dall' importuno guaio., potremo scla-
mare con Marziale :
Tantum cura polest et ars doloris *i !
E poiché a proposito di un nuovo giornale queste idee mi
si affacciavano alla mente , mi sia lecito il chiedere se quel
bisogno di accomunare il pensiero, di effondere le proprie idee,
di conoscere, e meditare le altrui, se quel bisogno, dico, che dà
vita e favore alla letteratura periodica non rivela negli animi
un forte amore al sapere, nelle menti una operosità, una so-
lerzia , che sono certo pegno di futuri progressi alle scienze ,
alle lettere , alla civiltà ?
In Piemonte non sono molti anni desideravasi in vano un
giornale , che per speciale istituto rendesse conto delle opere
dell' ingegno , ed esponendo le altrui meditazioni , agitando le
questioni del giorno si facesse specchio delle correnti condi-
zioni delle scienze e delle lettere. Ora entrate in un gabinetto
letterario , squadernate i fogli che ingombrano le tavole dei
Caffè y e non che accusare quella mancanza, ammirerete co-
me non solo l'universa letteratura, ma le singole discipline
abbiano in qualche opera periodica un veicolo che diffonde
nel popolo gli oracoli della dottrina , e come il giornalismo
COSI giovane ancora si sforzi di ritrarre in quadro fedele il
presente stato delle cognizioni , ora notando quanto viene
intrapreso e compiuto dai cultori delle scienze , ora segnando
quanto rimane ad intraprendere e a farsi. E sì che d' aurei
fasti non è tutta tessuta la storia dei giornali, e che talora la
repubblica letteraria ebbe per cagion loro a lamentare lo scan-
dalo ed il subbuglio ; ma se vogliasi avvertire alla situazione
*i VII, 39, 8.
95
in che era questa caduta prima che si schiudesse 1' arena gior-
nalistica , non parrà strano che in sulle prime fra il conten-
dere di tante private ambizioncelle che alla scranna dittato-
riale o al principato aspiravano , venissero talvolta gli scrittori
periodici tratti al parteggiare , ed a combattere fra loro ; come
non fa meraviglia e non fu sventura , che a raddensare quindi
la passeggiera tempesta un giornale, a sé vendicando 1' ufficio
di tribuno , spingesse contro le ambite usurpazioni una voce
franca ed audace, e che pensando con Cicerone, che obest ple-
rumque iis j qui discere vohint auctoritas eorum qui docent *i,
rammentasse, che non in vano 1' antica sapienza costituì a re-
pubblica coloro che intendono allo studio delle lettere, e gri-
dasse con Seneca : Non sumus sub regc ; se sibi quisque vindi-
cet *2.
Ora finalmente quei tempi procellosi dileguarono , e giova
sperare che alle patite discordie succederà solo una laudevol
gara fraterna per cui ciascuno si studierà di meglio giovare al
progresso dei lumi e della civiltà. Perciò noi salutiamo con
lieti augurii 1' apparizione di un nuovo giornale , che dal suo
titolo si annunzia messaggiero di pace ; e nel veder fra coloro
che vi danno opera taluno che mostravasi nei passati conflitti
sì fiero ed animoso lottatore s' accresce la nostra speranza che
sia omai discesa nelP anima di tutti la persuasione , che ad
attingere per mezzo delle lettere un nobile e giovevole scopo
è più che tutto necessario fra quanti vi consacrano 1' ingegno
un vincolo ed un patto di concordia e d' amore. Ned altrimenti
possiamo augurare di un foglio al quale promette alcuni de'
suoi pensieri un Cesare Cantù, a tutti caro ed ammirato quanto
per la prestanza dell' ingegno, tanto per la dolcezza e nobiltà
del core. In questi voti ed in questa fiducia noi pertanto pre-
ghiamo all'Iride festivo accoglimento e lungo splendore. Spetta
al pubblico a coronare la nostra preghiera con un efficace —
Così sìa.
*i De nat. Dcor. i. 5.
*2 Epist. 33.
I .MOKTBi!EMOI.O.
96
MJÈCROLOOIA
a
-Uj/«J.'.' 1-1 ■ '. ; •: . ..■■■'il- ^;_,{j
ili il a*4y , jB7i tiOii a iti .ja
•IO.) vi-J,;';^,!'. •';
Tutti i giornali di Milano , di Torino , ed altri d' Italia hanno
annunciata e pianta l'amara e prematura morte di Giovanni Mi-
gliara, accompagnando il triste annuncio con accurate notizie bio-
grafiche. Poiché sarebbe inutile il ripeterle, noi non diremo dun-
que in qual giorno nascesse, ed in quale morisse l'esimio pittore,
che seguiva nella tomba il capo della scuola medica italiana
r illustre Rasori, ma desiderosi di testimoniare noi pure il cor-
doglio , che ci giunse al cuore udendo tronca nell' intiera sua
vigoria quella mente robusta e creatrice, ci teniamo per for-
tunati di potere stampare nelle pagine del Subalpino le inedite*!
eloquenti parole, che l'egregio signor Ignazio Fumagalli, facendo
le veci di segretario della accademia di belle arti di Brera ,
pronunciava sulla recente sua tomba nel campo santo di Milano
il dì 2 1 aprile iSSy. E qui ci sia permes'So di lamentare, che
non sia perancO introdotta presso di noi l'usanza di accompa-
gnare al tùmulo, e di dire parole di dolore e di pace sulle spo-
glie delle persone , che ci furono care. Questa pia costumanza
è oramai generale in tutta l'Italia, e presso i popoli stranieri,
e quanto affettuosa sia ed eccitante al bene non v'ha chi noi
*i 11 presente articolo era già consegnato alle stampe quando vedemmo sulU
Gazzetta privilegiala eli Milano riprodotta qiusl' orai^ionc , clic a Boi fu man-
dala inanoscvittu da uu nostro cor^ispoudcnlc.
I
97
vegga. Il dolóic allratclla le 'perspne, cli« a questo pietoso uf-
ficio si conducono , e chi può dire quante inimicizie vi ven-
gono spente, quante discordie attutate? L'allievo che accom-
pagna alla tomba il suo maestro negli onori che gli vengono
resi, nel dolore che cagiona la sua morte, non trova egli forse
un possente stimolo a battere con pie fermo e coraggioso lo
stesso onorevole sentiero *i ?
Non è ancor passato un anno dacché 1' esimio ai'tista con
quella cortesia, da cui veniva accresciuto pregio alle molte sue
virtù, e' introduceva nei tanti santuari delle arti belle, che
Milano mostra con nobile orgoglio agli stranieri, come per se-
gnare falsa la stolta parola venuta d' oltramonte, essere cioè la
pittura e la scultura morte in Italia; e noi con commozione ci ri-
cordiamo con quale e quanto affetto un Hayez, un Molteni, uu
Massimo d'Azeglio accoglievano Gio. Migliara: ma chi avesse ve-
duto con quanta riverenza e conlidente amore a lui sì vol-
gevano i giovani allievi degli artisti sovra nominati avrebbe
detto certamente e con ragione: «ecco l'uomo che sa accop-
piare la grandezza dell' ingegno colle più soavi doti del cuore. »
Il genio pittorico di Migliara era eminentemente popolare.
Diffatti quando ignoto ancora, nato da poveri, ma onesti arti-
giani, povero esso pure e costretto da una prepotente malattia
a lasciare la pittura teatrale, da cui traeva non poco guadagno,
presentò all'esposizione di Brera alcune sue tavolette *2: queste
*i E slata aperta in Milano ima sottoscrizione por erìgergli un condegno mo-
numento , ed il 8Ìg. Capriolo d' Alessandria produrrà quanto prima con i suoi
torchi litografici il ritratto di lui , disegnato da un dipinto di Francesco Mcnsi
concittadino del Migliara.
*2 La Biblioteca Italiana nel suo quaderno di gennaio scorso aflfci-ma , che
il Migliara si rivolse al genere che coltivò tanto felicemente , avendo veduto
i dipinti di certo Predelle bravo artista, il quale dopo avfre dimorato qualche
tempo in Milano passò in Inghilterra. Tale asserzione non priva il nostro con-
cittadino di essere fondatore in Italia di una nuova scuola, ed uà attento pa-
ragone tra i dipinti del Freddie e del Migliara farà di leggieri conoscere , che
senza digradare al merito del primo, è forza concedere che il secondo lo ha
Jasci.ito di molli p.ts.si indietro. Altronde il Migliara non è 1* unico tsempio di
uu pittore che abbia variata la sua maniera couteuiplando le opere di altro va-
li ute artefice.
'«
98
sarebbero forse rimaste nou osservate, se la folla di minuto
popolo, che preso da quei suoi splendidi effetti di luce le ac-
cerchiava , non avessevi volta 1' attenzione dei conoscitori , che
ratificarono quindi ampiamente quel tacito giudizio. E chi vide
più tardi le esposizioni di Brera, può attestare che la folla non
fu mai infedele a Migliara , presso ai lavori del quale era solita
a trattenersi mostrando cogli atti, colle esclamazioni, collo
scambio delle parole un'ammirazione tanto più da pregiarsi,
quanto più spontanea. Fece perciò a parer nostro ottima cosa
Defendeute Sacchi dettando italiana l' iscrizione , che fu posta
sulle porte della chiesa di san Babila , ove ebbero luogo le
esequie di Migliara j poiché così facendo non i soli dotti, ma
tutti coloro che ammirarono i dipinti dell'illustre estinto, po-
terono mandare un compianto alla sua memoria *i.
L'esempio del Migliara è forse una novella prova dell' utile
grandissimo , che alle belle arti deriva dalle pubbliche esposi-
zioni 5 poiché chi può tener fermo che Migliara infermiccio ,
oscuro, destituto di mezzi dì fortuna, non sarebbe caduto sotto
il peso di tante calamità, ove le esposizioni di Brera non aves-
sero concesso al talento modesto e tacitamente attivo di far
mostra del grande suo valore ? E noi facciamo eco ai voti di
un altro giornale piemontese *2, in cui leggonsi spesso sotto
la sigla O peregrine notizie artistiche, affinchè in questa pro-
vincia italiana , in cui in pochi anni molto venne operato in
favore delle arti belle, questo si aggiunga di rendere più fre-
quenti, anzi annue le esposizioni di belle arti, per cui mezzo
viene nel popolo educalo il sentimento del bello, e torna agli
artisti un forte incoraggiamento.
Non taceremo eziandio il desiderio, che le esposizioni di belle
arti sieno separate da quelle dell'industria e delle manifatture,
poiché nulla, o quasi nulla, hanno esse di comune, e quando
"j Altra isciizione italiana , che noi con quella di Defendente Sacelli fac-
cìauiD succedere ali' orazione del eh. sig Fumagalli , fu dettata in occasione
che il sig. Po!!)peo Calvi, uno dei più distinti allievi del Migliava, fece ce-
lebrare a proprie spese un funerale all' egregio maestro nella chicia di S, Giu-
seppe.
"a Vedi i) Mcssagt'crc Torinese n. i5.
99
sono riunite non fanno altra cosa se non se danneggiarsi re-
ciprocamente ; né impedisca 1' adempimento di questi desiderii
il timore, che manchino gli artisti all'impresa: poiché nel paese,
in cui ha posta sua stanza un Palagi, in cui vivono giovani
artisti come Ajres di Savigliano , Biscara , Francesco Gonin ,
Pietro Righini , Reviglìo , Bruneri , Bogliani , Lauro , Ferrari ,
Galeazzi , architetti come Bonsignore , Mosca, Melano , Anto-
nelli, e dilettanti di pittura, come sono Cesare di Benevello ,
Roberto di Azeglio, in un paese, che ha data nascita ai viventi
Massimo di Azeglio, Storelli, un sospetto simile peccherebbe
di soverchia e biasimevole peritanza.
Y.
ORAZIOJXC DI IGINAZIO FUMAGALLI
Amici, colleghi, estimatori del pittore Giovanni Migliara!
Nel consegnare col pianto questa inanimata spoglia alla creta
d'onde fu tratta, abbiamo sotto gli occhi il vivente quadro
della nostra caducità ed insieme del compenso di si fatta me-
schina condizione , cui può l'uomo aspirare colle proprie azio-
ni! Irreparabile e straniera ai nostri mezzi è la prima, il se-
condo dipende tutto da noi. Questo stesso pietoso officio che
or per noi si compie ce ne addita 1' origine e lo scopo. Due
giorni or sono chi non avrebbe invidiata 1' esistenza del Cav.
Giovanni Migliara? £i passeggiava tra noi, segno alla stima ed
alla ammirazione generale sìa per portenti che operar soleva
col suo pennello, sì per esempio di condotta ai padri di fa-
mìglia, ai cittadini, agi' ingegni distinti. La sua modestia, i
suoi modi famigliari, il suo cuore lo rendevano caro a tutti
quanti la sorte avevano di avvicinarlo. Varcati da poco i dieci
lustri, il di lui aspetto avrebbe fatto metter pegno a chiuu-
100
que per una beh protratta longevità. Ma oli quanto sono in-
certi i nostri giudicii! All'apparire di vespero del giorno die-
ciotto- egli non era più: la morte con un colpo, simile a fol-
gore che in un baleno solca il midollo di annosa quercia e
la incenerisce^ acerbamente il tolse alla numerosa di lui fa-
miglia di cui era l'idolo ed il sostegno, alle arti belle di cui
era l'onore, agli amici, ai congiunti, agli estimatori di cui
formava la delizia. Ah sì ... . troppo presto, o spirito gen-
tile, che ora ti riposi in quella luce tanto da te vagheggiata
e sì bene ritratta , troppo presto 1' oggetto divenisti del nostro
cordoglio, siccome lo eri del nostro vanto di possederti ....
Se il pregar pace a questo tuo frale fosse si possente di far
più beato e splendido 1' attuale tuo soggiorno, ben certo tu
saresti di ottenerlo col vale che or diamo a queste tue ossa ! . . , .
Ma le tue virtù ci sono mallevadrici che 1' hai ben donde.
Non a caso la Suprema Provvidenza fa mostra quaggiù di
anime privilegiate e gentili, le quali attestano il beiiefico suo
patrocinio della razza umana. A qualunque ramo di studio ,
d'industria o di arte volgono questi esseri l'ingegno e l'opera,
sembrano spinti da un celeste impulso e destinati a riscuotere
non pure il plauso in terra, ma a bearsi poscia nella gran luce
del Creatore. Ciascuna loro produzione porta lo stigma di
uno sentire squisito, tende al progresso, alla diffusione dei
lumi, obbliga alla meraviglia, suscita l'amore della imitazione,
e da ciò ne scaturisce un miglioramento nella società. Al loro
spegnersi si fa sentire lo stimolo della generale gratitudine ,
quindi il bisogno di raccomandare con venerazione, con mo-
numenti i loro nomi alla posterità j quindi 1' origine di un
giusto compenso alla transitoria loro esistenza.
Al numero di questi eletti certamente apparteneva il Cav.
Migliara E chi porrà in dubbio che gli si competa il vive i*
oltre il sepolcro? ed un diritto al lungo nostro dolore?
Sebbene le prime aure vitali egli respirasse sotto un altro cielo
d'Italia, l'Insubria però gli fu benigna culla per le arti; qui
venn'cgli nelle prospettiche dottrine educato, qui crebbe alla
gloria che or lo circonda. Se una malferma salute non con-
sentì che l'illusione egli producesse con le notturne scene sotto
101
la scorta deli' ultimo della celebre famiglia d^i Galliaci, un
genio salvatore lo assise al cavaletto ed ivi il suo proprio seppe
trarre dalla sventura il più luminoso vantaggio. E chi non sa
che la luce vera e la artificiale divennero il suo studio favo-
rito? che giunto a signoreggiarle, le adoperò in modo da de-
stare r incanto , da eccitare per ogni lontana contrada in cui
pervennero i suoi dipinti, 1' ansia di possederli?
Né qui sta ancor tutto. Le splendide 'sue orme non attras-
sero una sterile ammirazione, che già da parecchi anni non
pochi generosi giovani si posero a seguirle , egli fu loro cor-
tese de' suoi tesori, non mancò il successo, e di liete speranze
or già ne gode la patria.
Ben a ragione quindi gli Italiani, e specialmente gli Insubri
devono essergli grati, e lo saranno per aver promossa con ogni
studio la coltura di un'arte delle più leggiadre e seducenti, e
per r amore con che procurò di sostenere una parte dell'avita
loro gloria. In quanto a noi, cui ( oltre a tutto ciò ) ci fu dato
di conoscere d' appresso il candore dell' animo suo e gli altri
suoi particolari , mentre da intenso duolo compresi , lamentiamo
r immatura sua separazione, un voto innalziamo che altro
della schiera de' seguaci dipintori sorga a pareggiarlo, siccome
meta già per se stessa abbastanza ardua e da tentarsi dai più
valorosi.
Amici, colleghi, estimatori di Giovanni Migliara ! queste ge-
lide spoglie in cui stanziò una vita sì preziosa, ora ritornano
in seno aHa gran Madre di tutti. Innaffiate di lagrime la gleba
•he ora sta per coprirle e tu^ se di là su dove tace ogni cura
miri gli affetti nostri, esulta, anima benedetta ! giacché sino a
tanto che i nostri cuori daranno un battito perenne riroarravvi
la ricordanza delle belle opere tue, delle cittadine virtù, delle
dolci ed amabili qualità onde fosti adorno.
102
A ^
GIOVANNI MIGLIARA
SPLENDORE DELLA PITTURA PROSPETTICA ITALIANA
OTTIMO PADRE DI FAMIGLIA
CARO A TUTTI l BUONI
SOAVE PIO &ELIGIOSO
LA SERA DEL l8 APRILE iSSy
NELl' ETÀ DI ANNI 5 1
RAPITO IMPROVVISAMENTE
all' AFFETTO DELLA MOGLIE E DEI FIGLI
RIFULGA ETERNA
LA LUCE DEL SIGNORE
Dejendenle Sacchi.
GIOVANNI MIGLIARA
PITTORE
DI FAMA EUROPEA
PIO AFFABILE SINCERO
IMPROVVISAMENTE RAPITO
AGLI AMICI
DI CUI FORMAVA LA DELIZIA
PREGATE LA PACE DEI GIUSTI
ANNUiNZJ DI BIBLIOGRAFIA
LIBRI ITALIANI
Lisni FRAJXGESI
Intorno ad alcune Varianti nel te-
sto della divina commedia di
Dante , di confronto colla le-
zione di Nidobeato -, lettera dell'
abate Fortunato Federici , vi-
ce-bibliotecario della Università
di Padova, — Milano , coi tipi
di Paolo Andrea Molina, i83G,
in-S.** di pag. Sa.
L' Architettura antica descritta e
dimostrata coi monumenti. Dell'
architetto Cav. Luigi Canina.
Roma, tipogr. Canina, i836.
Fase. XII in-foglio , con io ta-
vole in rame ... .11. 12. 87
Corsa pel Bacino del Rodano e
per la Liguria d' occidente —
Vicenza, in-8. di pag. l'j^con
6 tavole.
Museo della R. Accademia di Man-
tova , descritto ed illustrato dal
dott. Gio. Labus. — Mantova
presso gli Editori D. Ario , e
fratelli Negretti , voi. Ili , fase.
96 IO in-8 di pag. 20.
Ogni fase, di 4 tav. all'acqua-
tinta 11. I 74
Manuale pratico per la cura degli
apparentemente morti, premes-
sevi alcune idee generali di po-
lizia medica per tutela della
vita negli asfitici. Opera di Pie-
tro Manni. — Napoli, dalla ti-
pogr. del R. Ministero di stato
degli allari interni nel R, Al-
bergo de' povcii , id35 , in-8.
NouvEAU Guide pralique et indu-
strie! par A. J. Chevallet , in-8 ,
i835, le Mans , cbez l'auteur,
à Troyes , rue de la Monnaje ,
N. 12 11, 4 «
Rapport verbale sur l'Hortus Dy-
ckensis fait à la société d'hor-
ticulture de Paris par M. Poi"
teau, — Paris, !836, madame
Huzard. — L'Hortus Dyckensis,
ou Jardin botanique du Chateau
de Dick, residence de M. le
Prince de Salm-Dick , est un
bel ouvrage in-8 , orné de plan-
ches public à Dusseldorf M. P.;
en rendant compte de ce travail
paie au Prince de Salm comme
botaniste savant et zelé un juste
tribut d'éloges: ce Jardin a été
fonde en 1 800 , dans lequel les
plantes au nombre de plus de
trois mille espèces , suivies de
leurs varietés sont rangées par
ordre alphabétique. — On aime
à voir un Prince riclie et éclai-
ré consacrer sa fortune et ses
loisirs à la science dont il est
épris , tandis que sa digne com-
pagne la Princesse Constance
de Salm, cultive à la fois la
haute littérature et la poesie ,
et ne met jamais sa piume
pure et elegante , que au Ser-
vice de la raison de la saine
philosophic j et de la vérité.
M. A, I.
IM
J'Attbf^ifiil*
■nr liwA Mtkmm. —
VimM. UtnmM t€ CaM
Stovif» asvafe 4fIsi Ck» iref-
tiyi <wi» ai arMlvi pmtmjtr
Mf-vfìtimm Bfgmtoa. — Iwwtfj,
«1 afere gj^anBc L' «speta tmà
Xfm am l^^fBt «r WaujLMi UL
Tife» £ fijgfiirlwg lrrzr> , e ^iu^
tia Jiel <«4 teaif» prr ^ TW'
mar. — Lmi4at.^Ltmffmsm i^i^,
^ b!W^ ««• am ilefoniflar ^
«mitani ni Mi 4«^ dbiltMii I&
ZMb. — L«wlray CbactM,
D. limi w«L fmft, m-è, -ii
T« LiR «j» Tmc» «£ Mh» IO-
tniB. Jfcj fV, CarfiaiUr, Im^tt^
Tnwmjnn Sckviiw «f dw; b«r W,
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fBÌe. Csnw <6 gray ifi.i eatrer-
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DKCnónnK de JfjtteUtm. S«r^
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di Ictaa , taak. f* — Jcnaa ,
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Ccacaaanx «aa FoffnrfriML, i/iati»
dei Fovta^iii» «^ìSm^ &A<^,
tona. >, — Usmmbemtf, j/rtt»o
6z«;a«c7)V Ec*ri«A'« Sót de» EmÌiì:
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SftMKi d' Eavefa dopo il tettit,
%T ik F, lU Rmumtr, Xom, 6.
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di ùfketnó» dd m^sm i», /^.
JÌIRM& , retteae e priyCcMone <Ij
iTiifeiaij air aairMWt.i ife ifer-
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«TiJTFfixi ciiiAja«'inci.u» t «:/9)rr.
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« (Mia iMiliiiui''ii 9 «JW <(ftejQt" bi»iks»im»ai^ ^huiumi» aUtt: Hi wn^»^
106
credette poter attribuire lutti questi disastri a quel siste-
ma^ che corre dietro ad ogni illimitato aumento di pro-
duzione , ed a tutti quei trovati, che recentemente le
scienze e le arti hanno introdotto per ottenere un au-
mento sì fatto. Volendo il Sismondi venire a queste con-
clusioni raccomanda con reiterata premura la distinzione
tra quella parte di scienza, ch'egli usando una voce già
adoperata da Aristotile, chiama crematistlca; e la vera
scienza dell'economia politica *i- Secondo il Sismondi
l'unico oggetto della crematistlca si è quello di aumen-
tare senza limite la ricchezza , laddove la economia po-
litica come regola della città e della famiglia deve re-
golare r uso della ricchezza stessa , e provocarne una
proporzionata distribuzione a prò di tutti i cittadini.
Sotto questo più vasto e più nobile aspetto ecco come
il Sismondi definisca l'economia politica.
« La vera economia politica, egli dice, è quella scienza,
)) che insegna a dirigere il lavoro dell'uomo in si fatta
» maniera che tutti possano partecipare ai godimenti eh'
» esso deve procacciare; che tutti sieno nodriti , allog-
» giati , vestiti in modo da poter profittare dei benefizi
» che Dio preparò per l'uomo , che tutti abbiano agio
» sufficiente per conservare la salute dell'anima insieme
» a quella del corpo ; che tutti siano chiamati ad aver
» parte pur anche al festino dell'intelligenza , e che ciò
» nulla ostante alcuni più favoriti dalla fortuna trovino
» nella ricchezza la comodità, l'indipendenza e l'emu-
*i Platone chiamava philochremazia la cupidità di avere, e nel
sogno della sua repubblica ideava la comunione de' beni per isfug-
gire alle contese ed alle invidie che per la philochremazia s'intro-
ducevano nella società. Ma queste contese e queste invidie sareb-
bero divenute assai più violente e pericolose , ove nella società non
vi fosse stata e sempre non si fosse mantenuta la partizione dei
beni e il diritto di proprietà.
\
107
» lazione , che sono necessarie per poter sviluppare le
» pili alte facoltà dell'anima , e dello spirito ; che qual-
» cheduno possa avanzarsi verso le arti, le scienze e le
» virtià, che fanno la gloria della società umana; che
» questi uomini privilegiati , questi uomini che saranno
» pochi per lo maggior bene di tutti siano però abbastanza
» numerosi, affinchè il loro esempio sia da per tutto
» profittevole; che essi siano come il lievito, che fa
» fermentar le masse, o come una luce che le rischiara
» tutte quante; che il loro soggiorno nelle capitali ,
» nelle ville, nelle campagne, il grado della loro opulenza,
» la proporzione col resto della popolazione siano equì-
» librati in guisa , che dalla loro ricchezza risulti il più
» gran bene possibile della società ; che infine sia sempre
» per il loro reciproco vantaggio , e secondo i fini della
» provvidenza, che il povero si riscontra quaggiù col
)) dovizioso. »
I nostri lettori si saranno a quest'ora già avveduti ,
che una tale definizione della economia politica si ri-
solve nell'apologia dei ricchi, e della loro missione nella
società. Noi non ci faremo mallevadori che questa de-
finizione piaccia a tutlii più severi cultori delle scienze
sociali, e specialmente ai Sansimonisti. Comunque però
essa si potrebbe accettare a patto che ogni altra con-
seguenza delle massime dello stesso Sismondi venisse
adottata. Imperocché, se come egli afferma, il lavoro è
l'alimentatore dell'uomo, il fonte di tutti i godimenti
materiali della vita, e se dal lavoro nasce la ricchezza,
i ricchi perciò per essere e divenir giustamente tali do-
vrebbero essere i primi a lavorare, e la ricchezza do-
vrebbe essere il prezzo del lavoro e della capacità , e non
della sorte. Pare che l'autore senta lo scontro di questa
conseguenza, allorché cerca di evitarne il rigore dicendo
che le prerogative dei ricchi, ed i vantaggi che la società
108
ricava dai medesimi , oltre a quelli che dipendono sol-
tanto da una materiale consumazione maggiore di quella
che si fa dagli altri membri della società, consistono
poi soprattutto nell'impiego del loro ozio allo sviluppo
di tutte le facoltà intellettuali, e nell'impiego del loro
superfluo in sollievo delle miserie sociali.
In questo modo il Sisraondì vuole conciliare ì suoi
lettori coi ricchi e colle disuguaglianze sociali di ogni
maniera; e ciò, nel mentre stesso che deplora lo stato
di tanti miserabili, e mentre persino disapprova i re-
centi accorgimenti dell'umana industria per accrescere la
ricchezza , e che servirono e servir possono di mezzo
9 molti per acquistarla.
Da questi pochi cenni già noteranno alcuni a quali
incoerenze si avventurino quelle opinioni del Sismondi,
che egli in oggi pubblicò col titolo di Studi sull'Eco-
nomia politica in un primo volume, e che già in diverse
epoche ed in varii scritti aveva inseriti in alcuni gior-
nali , e dove come nelle altre maggiori sue opere egli
prese parte in tutte le discussioni che le scien/^e sociali
vengono ai nostri tempi presentando,
Tutte queste discussioni sono intimamente collegale
fra di loro , poiché gli nomini riuniti in società vollero
conoscere gli elementi, e le condizioni di questa società;
e come nella pohtica cercarono i loro diritti, nella
fdosofia morale i loro doveri, nella storia la loro espe-
rienza; così nell'economia politica cioè nella produzione
della ricchezza cercarono i loro godimenti.
Ma in tutte queste importantissime discipline il Sis-
mondi dopo aver gettati alcuni generali principii , in
presenza poi di tutte le loro conseguenze si sgomenta,
e vorrebbe indietreggiare. Egli perciò si mostra ancora
come uno di quegli scrittori , che avanzatisi cogli anni
in qualche carriera scieatilica o Icttcìariii , e disgustaU
109
J)ol forse (la qualche raen fortunata conseguenza , o ve-
duta nelle vicende pubbliche, o provata pur anche sol-
tanto nelle vicende proprie e private, s'ingegnano di porre
ad esse un fréno, e di moderare con condizioni quelle
stesse dottrine, che prima avevano proclamate libere,
assolute ed illimitate; non senza però portare ancora in
questa specie di loro pentimento la stessa buona fede
che avevano prima. Così appunto già avvenne al Sis-
mondi nelle sue dottrine politiche.
Dopo essersi fatto Io storico moderno della libertà, il
Sismondi nel suo trattato sopra Le Costituzioni dei po-
poli liberi declinando dalle primiere idee di eguaglianza,
sebbene noti possa invero mai riconoscere la sovranità
nella forza materiale e numerica, admette però la so-
vranità dell' intelligenza , della ragione e della volontà
costante ed illuminata, e mentre insegna saviamente che
le rivoluzioni non sono più fatte per migliorare la con-
dizione del genere umano, cerca invece di concentrarne
r attenzione e le passioni sopra quel graduato anda-
mento di esso per cui è sperabile che si giunga ad ot-
tenere maggiori cognizioni, maggior libertà, più di virtin
e più di ben essere universale.
Commendevole e saggio sarebbe questo divisamento del
Sismondi qualora egli avesse realmente applicato all'eco-
nomia politica questo solo spirito di prudente modera-
zione con cui è dettato. Ma rispetto all'economia politica
egli lo trasgredisce. Senza osar distrurre quei principi!
che egli stesso ed altri insigni scrittori posero quali fon-
damenta della scienza economica ei vorrebbe troncare a
mezzo i risultamenti della loro applicazione ^ ed invece
di attribuire ed investigare le cagioni degl'inconvenienti
ed abusi che da essi sembrano talora provenire, nelle
incoerenze e negli ostacoli degli altri ordini coesi-
stf^nti delle cose sociali , pretenderebbe isolare i prin-
110
cipii Jitll' applicazione pratica, o mantenere sospeso in
uno stalo incerto ed ondulatorio l'edifizìo sociale.
Con questo sistema per guida il Sismondi nella sua
introduzione principia per dichiararsi nemico delle mac-
chine. Scorgendo che il pauperismo è divenuto l'oggetto
dell'attenzione e delle declamazioni de' pubblicisti, ecco ,
egli tosto conchiude, ecco il funesto effetto delle mac-
chine , giacché dovunque esse si sono introdotte il nu-
mero de' poveri si è aumentato.
Ma questa sorta di argomentazione non è delle più
giuste, nò di quelle, che meglio facciano onore all'inge-
gno di un tanto scrittore. Imperocché prima di incol-
pare le macchine dell'aumento delia mendicità conver-
rebbe accertare due fatti.
Primieramente converrebbe sapere se veramente i po-
veri siano cresciuti in proporzione della popolazione, o
se forse questo supposto aumento de^ poveri non pro-
venga piuttosto dacché a tempi nostri la scienza stati-
stica va facendo le più minute ricerche sopra questo
oggetto , quando altra volta era pressoché compiutamente
trascurato.
In secondo luo^o converrebbe dimostrare che sia effel-
tiva mente l'introduzione delle macchine quella che abbia
prodotto l'aumento dei poveri, ove però quest'aumento
si venga a conoscere reale e positivo.
Ora dunque se si guarda la quistione dal primo lato
nessuno meglio del Sismondi sa , e può insegnarci come
negli andati secoli l'uomo, il servo della gleba, il ple-
beo j il proletario , il popolo insomma taglieggia bile ,
come si diceva, ed effettivamente in ogni maniera ta-
glieggiato , fosse non curato e così poco contasse a far
parte dello Stato, che certamente niuno pensava ad oc-
cuparsi di lui, ed a conoscerne la condizione, e tanto
meno il numero dei poveri che quasi intieramente il
componevano.
Ili
L'autore delle Repubbliche Italiane, e della Storia dei
Francesi conosce troppo bene quale fosse la sorte del
popolo ne' tempi lontani dai nostri, per supporre che
alcuno si potesse pigliar pensiero di verificarne i biso-
gni e notare il numero dei bisognosi. Le sue storie ci
palesano invece che dove la popolazione era maggiore ,
ivi pur anche maggiore era la loro moltitudine , e che
se era scarso , ciò proveniva da che il paese era inabi-
tato, e deserto. Quanto povero fosse il popolo, e qual
conto se ne facesse, ed in qual termine eisi fosse sotto
la dominazione Longobarda , e quindi parecchi secoli
dopo sotto quella Spagnuola , ben ce lo narra il Man-
zoni; e non pertanto a quei tempi non c'erano forse
altre macchine, che le macchine di guerra, e quella
del patibolo che potessero far aumentare il pauperismo.
Si comincia dunque per ignorare in gran parte quale
si fosse la condizione e l'estensione delle povere classi ,
e quei riscontri che pur se ne hanno a tutt'altre cagioni
ne fanno attribuire l'esistenza che non all'attività ed alla
libertà del commercio , e dell'industria. Quei riscontri
anzi ci dicono che le miserie che allora affliggevano i
popoli erano ben piii terribili che quelle , che sentono-
i nostri odierni proletarii, ed operaj. La miseria di quésti
è tale relativamente alle odierne classi facoltose, ma sa-
rebbe forse soltanto una mediocrità in paragone di quella^
che soffriva il povero nei mezzi tempi, II povero in oggi
si chiama povero perchè non ha alloggio, nò copia di
abiti, di mobili j di vivande, perchè in somma non ha
il superfluo; ma il povero dell' altre volte era povero
perchè non aveva pane, ne vestito, ne tetto; perchè
mancando di tutto il necessario, non aveva forse altro
<;he un padrone che lo maltrattasse. Si può quindi ra-
gionevolmente credere che non vi sia poi alla lìn fine
realmente questo preteso aumento de' poveri nella pre-
112
sente età rispetto alle età passate; o per lo nreno ella
è questa una cosa molto dubbiosa.
Osservando poi la questione sotto il secondo aspetto,
e dato anche , che effettivamente in oggi sia aumen^
lato il numero de' poveri , si crede poter affermare che
un tale aumento non è punto imputabile all' introdu-
zione delle macchine.
L'imprevidenza difatli ed il disordine, effetti questi
assai frequenti e comuni di una educazione viziata e
di una trascurata istruzione, sono il più soventi meglio
che ogni altra cosa le cagioni delia rovina e dell'infeli-
cità della classe degli artigiani , e dei lavoranti giorna-
lieri. L'intensità di queste cagioni potè egli è vero forse
crescere dopo l'introduzione delle macchine perchè pa-
recchie sorta di godimenti essendo divenuti più facili
a procacciarsi da un maggior numero di persone, le
tcintazioni perciò hanno anch'esse dovuto moltiplicarsi e
le privazioni divenir quindi più dolorose; ma nel tempo
medesimo le macelline stesse moltiplicarono pur anche
ì mezzi per soddisfarle sia col dare una maggior quantità
di prodotti industriali, sia colla conseguente loro modi-
cità di prezzo, sia coU'avere aumentato il lavoro stesso,
e la consumazione di varii altri prodotti, e colla for-
mazione delle macchine stesse , e col continuato loro at-
tivamento.
In questa difesa delle macchine abbiamo anche com-
pagno Giuseppe Droz, scrittore che più di tutti e me-
glio anche del Mill fa sentire le relazioni che hanno
colla morale le questioni di pubblica economia , e che
sempre, quando il può, si studia di riporne la soluzione
liei sentimenti più naturali dell' uomo. Questo scrittore
dunque che ci sembra confidare assai più del Sismondi
nella perfettibilità umana e sociale, riconosce che l'iu-
veuzionc delle macchine moltipllca le mercanzie, ne
113
fa abbassare il prezzo, ed aumenta il lavoro. Inoltre l'im-
piego delle macchine conserva le forze, e la vita^ ri-
sparmiando ad un certo numero di opera] molti lavori
mal sani e pericolosi. — Contribuisce poi anche al mi-
glioramento de' costumi, poiché i lavori molto faticosi
eccitano a far abuso de' liquori spiritosi, e non v'ha
dubbio che il diminuire l'intensità delle fatiche egli è
un mezzo di togliere una causa, od anche soltanto un
pretesto allo stravizzo *i. Prima di Droz anche il Mal-
thus aveva spiegato lo stesso parere in favore delle mac-
chine. Ecco le sue parole: malgrado il risparmio della
mano d'opera cagionato dall' introduzione delle mac-
chine, pure questo genere d' industria invece d'impie-
gare un minor numero di braccia , ne richiede anzi un
maggior numero che per lo passato *2.
D'altra parte poi mentre si dibatteva l'oziosa quistione
sopra l'utilità ed il pericolo di queste macchine, che
già una volta introdottesi più non potevano scomparire
dal dominio degli uomini, nessuno pensò poi mai a
preparare la classe degli artigiani a quella nuova car-
riera, che per essa veniva ad aprirsi. Infatti 1' attiva-
menlo delle macchine dispensando l'uomo dalle fatiche
uianuali gli lasciava poi tutti quei sussidii che possono
derivare dal canto dell' intelligenza , e lo obbligavano
così a coltivare le sue più nobili facoltà. Ed è veramente
questo genere di coltura, che contenuta in certi limiti
ed opportunamente diretta secondo le varie tendenze,
ed i bisogni degli individui, e della società, e delle sue
circostanze attuali, o possibili, debb' essere il patrimo-
nio, ed il conforto di tutti, e non solamente una specie
di monopolio per le classi privilegiate *3.
* I Droz Priiicipes de la scìeuce des richesses lib. 3 , cap. 5.
1 Priuc. d'économ. politiq. toni. 3, pag. io3.
3 Son noli gli sforzi che presso alcune nazioni si vanno facendo
114
Imperocché ei ci pare un errore quello di credere
che i ricchi soltanto debbano avere la privativa del sa-
pere, e dello squisito sentire nelle belle arti, essendo
forse più soventi avvenuto che i ricchi impieghino il
per educare le classi lavoratrici col mezzo di una istruzione più con-
facente allo stato attuale della civiltà e dell'industria. Noi citeremo
fra le altre la recente opera del signor Emilio Berès pubblicata in
Parigi lo scorso anno sui mezzi di migliorare le classi lavoratrici,
tanto sotto il rapporto del loro ben essere materiale, clie sotto quello
del loro perfezionamento morale. — Dal primo lato ei riconosce
che l' attuale e pur troppo incontestabile infelicità di queste classi
non deve attribuirsi né all' introduzione delle macchine , né all'
aumento della popolazione , né al lusso ed all' ambizione die lo
stato della civiltà presente diffuse presso ogni qualità di persone.
Il signor Bèrés ritrova invece che questo mal essere degli artieri
proviene da tutto ciò che vien ogni giorno succedendo nei partico-
lari e minuti detagli della vita ordinaria dell' operajo. Quivi ei palesa
di molti abusi sanitari! , e suggerisce molti provvedimenti d' igiene. —
Riguardo poi al miglioramento morale egli propone un' istruzione
semplice e popolare , la compilazione e la diffusione di libri ad essa
opportuni , r apei-tura di pubbliche biblioteche , ed intanto egli stesso
già comincia ad offrire una specie di catechismo intitolato : — Trat-
tenimenti di un maestro di scuola sopra i vizj e le virtù delle classi
manufattrici, — Propone anche per lo stesso fine le sale d' asilo ,
e le scuole d'industria e di morale popolare. Finalmente desidera che
vengano stabihte delle feste pubbliche , perchè , per ripetere la sua
frase , il cielo aperto delle piazze è un' atmosfera più favorevole per
i buoni pensieri e per i buoni costumi che non è quella delle ta-
verne e dei ridotti. Noi Italiani già possiamo vantare un esempio
di queste feste pubbliche di cui parla il signor Bére» nella scuola
festiva istituita per gli artegiani in Figline nella Toscana dal celebre
Lambruschini , e della di cui amministrazione già egli fu in grado
di darne un conto incoraggiante nell'anno i833. {Pedi Annali di
Statis. , fascio, di febb. i834 )•
Noi poi non vogliamo terminare questa nota senza ancora citare
l'esempio della società esistente in Francia per l'educazione gratuita
e positiva degli artieri , la quale ha per iscopo non solo di, som-
115
loro ozio in tutt' altro, che a coltivare le scienze e le
arti. E per l'opposto poi si è più d'una volta osservato
che ben più spesso la povertà, ed il bisogno furono gli
stimoli potenti che mossero l'uomo a conoscere i prin-
cipii del vero , dell' utile e del bello , ed a riprodurre
nelle opere d'ingegno o d' immaginazione ^ e nelle arti
le loro sublimi ispirazioni.
— « L'uomo affatto ozioso è un peccato ambulante, »
dice PufFendorfF. Contuttociò tutti i ricchi non furono
sempre oziosi, ma anzi colle loro ricchezze e coi loro am-
biziosi progetti favorirono soventi i dotti e gli artisti ; se
non che molte volte ancora ne attraversarono, o ne svia-
rono coi loro capricciosi giudizi i disegni , ed i più su-
blimi concepimenti. Molte volte ancora per un ingegno
che favorivano, ma che talora neppure stimavano, la-,
sciavano inerte , bisognosa ed oppressa una moltitudine
che disprezzavano. Cosi pare a noi che il Sismondi mentre
biasima il soverchio aumento della ricchezza che può
diffondersi a benefizio di molti, passi ad encomiare con
troppo calore i ricchi : come pur anche ci pare , che egli
si lascii troppo facilmente rapire in estasi alla vista dei
palagi delle città d' Italia , innalzati per la più gran parte
da negozianti e da fabbricanti in un'epoca in cui non
«sisteva ancora alcuna di quelle portentose macchine,
ch'egli condanna, e che ora sono soltanto più abitati
da modesti industriali, i quali neppur hanno quanto ba-
sta per provvederli delle suppellettili convenienti e per
restaurarli. Ma questo non può essere un argomento suf-
ntinistrare ad essi i mezzi di perfezionare la loro industria , ma si
pure d' illuminare e rassodare dal lato morale la loro condotta.
( Vedi il discorso del sig. Broiissais alla società frenologica di Parigi
sul metodo d' insegnamento adottato dal Colonnello Rancourt per
l' educazione suddetta ).
ciente contro l'odierno uso delle macchine, e còntfó
l'indefinito incremento della produzione.
Infatti Taspetto silenzioso e decaduto di quelle magni-
fiche moli istesse, ci attestano quali dovettero essere le
conseguenze di uno slato di società in cui le rlcche:2ze
erano il retaggio di pochi , e dove tutte le forze vitali
della nazione stavano ridotte nella fortunale nell'arbitrio
di alcuni cittadini. Ecco che ne avvenne. D&ll'industria
inceppata fra gli antichi metodi proibitivi^ e fatto og-
getto di monopolio , non s'indugiò molto a passare anche
nel resto al sistema di esclusività , e di privilegio ; di
maniera che quando poscia arrivò il giorno del peri-
colo e della decadenza più non si rinvennero da un
canto che ricchi egoisti , e dall'altro che poveri avviliti.
,Nè un siffatto argomento tratto dalla magnificenza degli
edifizii , dallo splendore delle belle arti, e dell'opulenza
di alcune antiche famiglie d'Italia è nuovo nell'opera del
Sismondi. Esso già era stato fatto fino dal i-jOG dal
conte Carli nella sua grand' opera sulle monete. Ma se
siffatto confronto poteva essere di gran peso rispetto ai
tempi in cui il Carli scriveva, ei non potrebbe più cer^
lamente essere di alcun valore in oggi che da sessant'anni
vi è sorto tanto movimento d'industria , di bisogni , di
commercio e di lusso. Certamente più non si trovereb-
bero al dì d'oggi semplici cittadini che potessero fare
imprestiti alle proprie città di duecento, e di trecento
mila zecchini per volta come i Panciatici in Firenze,
nò mantenere quattro, o sei mila uomini in arme come
gli Strozzi in Toscana, i Torre, i Visconti e gli Sforza
in Lombardia, e come i Pepoli, gli Albizi, i Gonzaga, ed
i Malaspina in altre parti d'Italia. Ma per contro in
luogo di questi pochi signori che se ne stavano ne' loro
palagj assiepati di oziosi famigli o di feroci scherani,
e che se non divenivano oppressori non tardavano pero
117
a divenire stromenti della tirannide , quante migliaia di
famiglie per l'acquistata maggior quantità della produ-
zione, e per la miglior distribuzione data ai prodotti
non vivono esse meglio vestite, meglio alloggiate, meglio
nutrite, meglio e più costantemente istrutte di quanto
]o fossero nei secoli addietro ? E le terre che una volta
non servivano che di luogo di ricreazione, od al prov-
visionare d'un ricco, e che poi giacevano in gran parte
incolte, coperte di foreste j e disabitate, non si veggono
ora popolate da laboriosi e pacifici cittadini viventi in
una modesta ed agiata indipendenza? E se una volta
soltanto i patrizii più opulenti, i prelati, i principi,
ed i conventi possedevano—le- maravigliose pitture di
Raffaello j del Tiziano, del Domenichino e del Reni,
non è egli consolante vedere in oggi come non v'abbia
più quasi umile casolare che non possegga la sua lito-
grafìa?
Rimproverare dunque le macchine come causa del
pauperismo non sembra cosa da saggio , mentre è co-
stante che la loro introduzione giovò all' uomo per
migliorare la pi^opria esistenza. E tanto varrebbe rimpro-
verare l'odierno incivilimento ; perchè neppur esso può
andare scompagnato da qualche temporario inconveniente
cui nessuna conquista dell'umana intelligenza restò mai
affatto immune,
Non bisogna per altro credere che il Sismondi scagli
questi rimproveri così alla ventura e senza fondamento.
Ei li conforta sovente di buone ragioni e di osservazioni
ingegnosissime. Fra le altre egli attribuisce all'invenzione
delle macchine , ed all'infinità di merci che producono
Ja cessazione dei lavori domestici riguardo alle donne.
E non si va affatto fuori del vero credendo che nell'ese-
guimento di questi lavori sta per buona parte riposta la
veciprocilà degli affetti domestici , poiché quando aduna
118
donna, dice il Sismondi , non si lascia più altro ufficio
in casa che quello di far ragazzi, tutti i vincoli della
convivenza, tutti i sentimenti di famiglia si sciolgono,
o si rallentano^ e per essa si fa più piana, e più lusin-
ghiera la via dell'immoralità.
Ma ciò neppure è vero a tutto rigore; poiché le mac-
chine hanno un beli' aumentare i prodotti manufatti ,
ma non mancheranno però mai alle donne di molte
utili , virtuose e gentili occupazioni.
Da che gli economisti per la più gran parte, come
pensa il Sismondi, si applicarono soltanto a far crescere
la ricchezza materiale, e non pensarono che non può esi-
stervi vera ricchezza se non viene distribuita a tutti,
nacquero alcuni sistemi che essendo unicamente diretti
ad aumentare all'infinito la produzione, portano se-
condo il Sismondi più danno che vantaggio all'umanità.
Tali sono a suo avviso le grandi innovazioni , che da
un mezzo secolo cangiarono faccia al mondo industriale,
vale a dire la concentrazione dei grandi capitali, lo
stabilimento delle grandi manifatture, e l'introduzione
delle macchine. Quindi tu non vedresti il Sismondi sor-
ridere per piacere , e per sorpresa veggendo uscire da
una fabbrica bello e formato il panno con quella stessa
materia che ventiquattro ore prima era ancor lana so-
pra il dorso della pecora vivente , ne lo vedresti sod-
disfatto veggendo come un uomo solo possa in un solo
giorno dare tanto di abiti , di stromenti di ferro , o di
stoviglie da poterne caricare un battello. Il Sismondi a
questi prodigj dell'industria risponderebbe austeramente
che un tempo tutti i consumatori di questi oggetti stessi
non ne andavano però sprovveduti ^ ma li compravano
da cento piccoli fabbricanti che vivevano nell'indipen-
denza , e che ora sono scomparsi per lasciare il posto
ad un solo milionario.
119
Ma queste conseguenze, come è facile a scorgere, sono
spinte tropp' oltre, spinte sino all'esagerazione. Questi
non sempre sono gli effetti che risultano dall' attiva-
mento delle macchine, e dalle grandi manifatture, e gli
economisti recenti di maggior conto quando cercano i
mezzi per aumentare la ricchezza, non perdono però di
vista quegli altri, che sono destinati a farla circolare a
beneficio di tutti.
Quindi egli è nell'ipotesi che gli economisti abbiano
nei loro sistemi disgiunti quei due oggetti delle scienze
economiche, che in sostanza se non sono identici sono
però e devono essere sempre uniti , che il Sismondi fondò
la sua introduzione sulla preaccennata distinzione della
crematistica, ossia dell' arte di aumentare le ricchezze ,
e l'economia politica , ossia la scienza che insegna co-
me tutti ne possano godere.
I migliori economisti non hanno però per certo tra-
lasciato di fare quella distinzione , ove era stata neces-
saria e tanto meno si sono unicamente appigliati a col-
tivare una sola parte della scienza trascurando quell'al-
tra , che le sta inseparabilmente congiunta e quasi sempre
confusa. Veggiamo anzi, per tacere di altri, che il nostro
Gioia , uno di quegli economisti che abbiano più cer-
cato r aumento della produzione ed il favore dell'indu-
stria, esamina pur anche l'economia politica dal lato
della distribuzione della ricchezza , vi consacra una parte
della sua grand' opera , ed investiga persino quale debba
essere l'influenza governativa nelle tre grandi divisioni
di questa scienza, cioè sulla produzione, sulla distribu-
zione e sul consumo.
Siccome non conveniamo intieramente sulla neces-
sità di quella distinzione tra la crematistica e 1' econo-
mia politica, né sulla verità dell'ipotesi che la maggior
parte degli economisti abbiano appoggiati i loro sistemi
120
unicamente sul principio creraalistico j così noi non pos-
siamo parimenti ammettere tutte le conseguenze che il
Sismondi considerando isolatamente quelle due parti di
una scienza sola ne desume.
Malgrado però questi lievi dispareri noi non possiamo
poi a meno che concordare col Sismondi quando dice ,
che la vera ricchezza non consiste soltanto nella astratta
nozione dc-i valore, del prezzo, e nell'abbondanza dei
prodotti necessarii , utili , voluttuarii ed eleganti , che
materialmente la compongono, ma bensì che essa sta
riposta nel concorso, ed influenza della ricchezza istessa
sulla felicità, e sulla dignità morale dell'uomo.
Piace perciò anche a noi il considerare e lo stimare
la ricchezza sotto questo più nobile e vero suo rapporto
e ben vorremo anche noi trovare quella giusta norma
che la società dovrebbe tenere per provvedere e per
tutelare costantemente i suoi interessi materiali, e la
sua sussistenza.
Ma non è poi certo ne nella soppressione delle mac-
chine, ne nella distruzione delle grandi manifatture che
si può trovare questa norma, poiché a malgrado di qual-
che momentaneo disagio, e collisione d'interessi sarà
però sempre inconcussso che il voler porre un freno
alla forza inventiva dell'uomo, ed ai progressi dell'in-
dustria, sarebbe lo stesso come voler impor leggi alla
forza generale dell' attrazione che regola 1' economia fi-
sica del creato. L'economia sociale come quella dell'u-
niverso continua il suo corso frammezzo alle due forze
centripeta e centrifuga della produzione, e della consu-
mazione.
Queste istesse teorie contrarie all' illimitato aumento
della produzione insegnate nella dissertazione che serve
d'introduzione al libro del Sismondi , si veggono poscia
sempre piìi sviluppale in tutto il corso dclT opera, ed
121
adattate ai fatti antichi e recenti, onde dimostrarle ezian-
dio vere nelle loro applicazioni. Così quando il Sisniondi
considera la bilancia della consumazione colla produ-
zione dopo un quadro interessante in cui fa il paralello
fra lo stato dell'industria e del commercio or sono ses-
sant'anni e fra quello attuale, immagina un lepido apo-
logo per rappresentare gl'inconvenienti di una eccessiva
produzione.
— Gandalin , ci narra scherzando, aveva appreso da
un negromante, che dicendo alcune magiche parole ad
un manico di scopa, questo diventava un j)ortatore di
quanta acqua ei si desiderasse; Gandalin proferisce quelle
certe parole, ed il manico portò tant'acqua da innondare
tutto il suo appartamento. Volle che cessasse, ma luomo-
macchina non intendeva ragione, e continuava spietata-
mente a portar acqua, sintanto che Gandalin istizzito
mise a pezzi il manico portatore. Allora invece di uno
insorsero a suo servigio altrettanti portatori d' acqua ,
quanti erano i tronchi del manico spezzato , e quanti
uomini-macchine abbatteva, altrettanti risorgevano per
fare a suo marcio dispetto 1' indiscreto trasporto. Tutto
il fiume sarebbe passato nelle stanze del povero Gan-
dalin se il maliardo non fosse venuto in suo soccorso ,
e non avesse rotto l'incantesimo. —
Così ( ecco la morale che da questo scherzo deriva il
Sismondi), l'acqua non v'ha dubbio che sia un' ottima
cosa, una cosa non men necessaria alla vita che il ca-
pitale, che il lavoro, eppure si può aver di troppo an-
che delle migliori cose. I filosofi hanno pronunciato al-
cune parole magiche, i governi, i popoli, i capitalisti
le hanno ascoltate e ripetute , e lutti gli uomini sono
diventati industriali, e le produzioni si sono ammontic-
chiale, e non si volle mai ancora badare da senno se
non ve n' avesse anche di troppo.
S
122
Anzi pare che neppure in oggi si prenda molto pen-
siero di farvi attenzione, soggiunge ilSismondi, giacché
tutti gli economisti sulle traccie di Adam Smith, di Ric-
cardo, di Say, di Mac-Culloch, e di Senior pensano,
che per conseguire la prosperità delle nazioni basta au-
mentare continuamente la produzione della ricchezza.
Egli è in seguito alle idee sin qui riferite che il Sis-
mondi dissente da quest'opinione, tuttoché insegnata
da tutti questi classici economisti. Egli poi ne dissente
perchè sbigottito dal timore che non vi sia poi una con-
sumazione bastante per esaurire la produzione, attribui-
sce a questa sproporzione ch'egli suppone durevolmente
possibile il pauperismo, la miseria 'ed i tumulti degli
operaj privi di lavoro e di mercede. Il Sismondi per giu-
stificare questi suoi timori ricorre agli antichi onde di-
mostrare che essi avevano cercato di impedire l'eccesso
della produzione sulla consumazione. Secondo i loro si-
stemi gli Egiziani doviziosi di produzioni del suolo im-
piegavano r operajo a costrurre dei monumenti , e non
a fabbricare delle mercanzie; i Sibariti consumavano nel
lusso e nella voluttà gli eccessi della produzione ; e gli
Ateniesi occupavano il cittadino nelle cose della patria
per distoglierlo dal lavoro soverchiamente produttivo, non
aspirando che a formare uomini superiori per doti di
animo e per alacrità di persona senza punto darsi pen-
siero a produr delle ricchezze. Ma chi vorrebbe prendere
a modello questi antichi sistemi ? Chi vorrebbe ottenere
una proporzione tra la produzione e la consumazione
a costo de' mezzi usati da questi antichi popoli per
mantenerle a livello? Chi vorrebbe conseguirla , e ras-
segnarsi allo stato in cui vivevano in quei secoli le
masse della popolazione? Vi esisteva é vero una mate-
riale proporzione tra la produzione e la consumazione ,
ma un istesso equilibrio eravi poi forse nelle varie con-
125
dizioni degli uomini ? E la maggior parte di essi parte-
cipava forse a quella ricchezza e felicità che erano in-
vece riservate a poclìissimi , e che il Sismondl vuole
che a tutti vengano proporzionatamente distribuite? Egli
è appunto nel fare il confronto di tempi e di nazioni
tanto diverse che occorre opportunissima la distinzione
di Romagnosi tra il lusso barbarico che anticamente re-
gnava , ed il lusso civile che in oggi fiorisce.
Non soflFermandosi a queste considerazioni il Sismondi
tutto rapito nel proprio sistema ritrae in Malthus di
che appoggiarlo, avendo anche questo illustre scrittore
traveduta la necessità di mantenere una proporzione Ira
le produzioni e le consumazioni, e giudicato che queste
non erano una conseguenza necessaria della prima.
Ma poi il Sismondi abbandona pur anco il Malthus
allorché questi dal rivelato disordine ne trae la strana
induzione che per attivare la consumazione era dovere
dei ricchi di moltiplicare i loro piaceri ed i loro godi-
menti ; cosicché le loro dissipazioni e le profusioni dei
governi dovessero desiderarsi come altrettanti atti di be-
neficenza inverso coloro che devono lavorare per vivere.
Mentre però il Sismondi prende a confutare le dot-
trine della libera produzione, e specialmente gli argo-
menti addotti dal Riccardo per sostenerle, egli è nulla-
meno costretto di confessare che non saprebbe trovare
un altro sistema a sostituire a quello che tende a favo-
rire l'aumento indefinito della produzione, anzi mentre
indica alcune riforme nella legislazione per cui i mali
che oggidì provengono a suo credere dallo squilibrio
delle produzioni colle consumazioni, dichiara ch'egli
non ha in verun modo il pensiero d' incagliare i pro-
gressi della produzione o di ritardar l'applicazione delle
scienze e nemmeno l'invenzione delle macchine.
Questa protesta dell' autore indica abbastanza che bi-
124
sogna cercare altrove i rimedii al pauperismo, ed alla
disuguaglianza nel riparto delle ricchezze , che non nel-
r abolizione dei sistemi della libera universale concor-
renza commerciale, delle associazioni con grandi capitali,
delle grandi manifatture, e delle macchine. Imperciocché
ad onta di tutte le speciose difficoltà ed anche delle diffi-
coltà positive, e momentanee che si possono fare, e che
forse esistono contro le dottrine dei citati economisti in-
glesi e francesi, sarà pur sempre vero , che la produzione
creando infiniti mezzi di cambj , crea pur anche altret-
tante cause di consumazione, e qualunque possa essere la
quantità dei prodotti che può aver ottenuto l' industria
umana, non avverrà mai ch'essa ne superi lo smercio e
rimanga lungamente stagnante e dannosa. I bisogni, ed
i desiderii deir uomo sono incommensurabili , ed essi
convertiranno sempre tutte le ricchezze , dopo soddis-
fatto al necessario, in altrettanti godimenti. Quindi non
ci sembra troppo esalto il dire che non vi possa esistere
vera prosperità, se non quando la ricerca precede la
produzione, perchè l'esistenza, la vista e l'apparecchio
della produzione invitano già per se stesse e solleticano
la ricerca ; e la consumazione non può essere per lunga
pezza stazionaria, ne poi si potrebbe immaginare un
modo , ed un termine con cui si potesse ragionevol-
mente avvertire la classe produttrice dei varj gradi e
delle varie vicende della consumazione. Un tale sistema
poi quando pur fosse possibile non avrebbe forse per ef-
fetto che mantener sopita l'attività umana, oppure ri-
volgerla come presso gli antichi ad opere servili, ad opere
inutili per il ben essere della maggior parte della na-
zione.
Tiene pur anche per questa opinione il già lodato
Droz , il quale sebbene admetta che alcune volte può
esservi eccesso od inopportunità di fabbricazione o di
125
spedizione di una qual data merce, nega poi che iti ge-
nerale vi possa essere eccessivo aumento di produzione.
Tanto anzi se ne mostra fautore che non può trattenersi
dair esclamare : « limitare la produzione] qual è quell'
» amministratore sagace e dabbene che non frema a
») queste parole, che non significano altro se non che
» diminuire il lavoro e rincarare la consumazione * i ?
Queste considerazioni dovrebbero bastare per sconsi-
gliare chicchessia dal disertare la scuola inglese di Smith
e di Ricardo, e la francese di Ganilh e di Say, che
insegnano ogni produzione ingenerare una consumazione,
per seguir quella del Sismondi. Infatti se com'egli dice
la consumazione non può provenire che dalla popola-
zione congiunta alla ricchezza, sembra naturale che non
si possa supporre un aumento di produzione senza sup-
porre nello stesso tempo un aumento di popolazione ,
mentre le cose non si producono spontaneamente da se
stesse, ma bensì per il lavoro dell'uomo, che secondo
i principii dello stesso Sismondi è il padre d' ogni ric-
chezza. E già lo diceva il nostro Galiani, allorché nel suo
libro della moneta scriveva « non esservi cosa dopo gli
» elementi piiì necessaria all' uomo che l'uomo , e che
» dalla varia quantità degli uomini dipende il prezzo
» di tutto. Quello dunque che deve essere il solo og-
» getto della virtuosa avidità degli uomini, perchè vera
» ricchezza è 1' uomo. L' uomo solo dovunque abbondi
» fa prosperare uno stato. )> Dove dunque v'ha popola-
zione e produzione ivi v'ha necessariamente la ricchezza,
perchè per la forza ingenita delle cose, queste tre con-
dizioni di popolazione , di produzione e di consuma-
zione non stanno separate l'una dall'altra, ma sono l'una
sull'altra vicendevolmente, ed irremissibilmente opera-
*i Loc. cit. lib. 2, cap. 5.
126
trici e come eausa ed effetto. Lo dice lo stesso Sismondi
con queste precise parole : population , production, con-
sommation , accumulation , prosperile j misere j tout se
He ali revenu j tout s'explique par le revenu.
Crediamo pertanto cosa assurda, ed impossibile che
in uno stato progressivo della società vi possa essere pro-
duzione senza consumazione, o con una consumazione
sproporzionatamente minore. Ciò potrà forse succedere
in un isolato e passeggero frangente, od in qualche crisi
commerciale o politica , ma poscia le cose per la pro-
pria loro natura e condizione, e quando nel resto gli or-
dini pubblici siano buoni, non indugiano poi molto ad
equilibrarsi. Così abbiamo veduto nel tempo del blocus
continentale esservi in Francia difetto di produzione,
ma ben tosto sollevarsi con tutta la sua energia V indu-
stria nazionale, sorgere e perfezionarsi le manifatture;
ed all'opposto in Inghilterra dove trovavasi sovrabbon-
danza di produzione, e difetto di consumazione, aprirsi
nuovi canali allo spaccio degli oggetti prodotti, ed esten-
dersi il suo commercio nelle Indie , ed in paesi quasi
insino allora sconosciuti *i.
'''i Una tal discussione può forse nelle circostanze presenti essere
particolarmente interessante ed opportuna sul proposito delle sete. —
E noto r attuale decadimento nel valore delle sete , e la grande quan-
tità di esse rimaste invendute ed inoperose. Ora s'ingannerebbe chi
attribuisse siffatto accidente od alla migliorata coltivazione dei gelsi
od all' aumento strabocchevole dei prodotti serici o ad un supposto
difetto di consumazione* Piuttosto vuoisi attribuire a cagioni più
remote e meno osservate , come pur anco ai vincoli commerciali
tuttora esistenti in fatto di sete. Confidando forse ancora di troppo
sopra gli effetti di questi regolamenti proibitivi i filanti non guarda-
rono a pagare i bozzoli ad un prezzo elevato. Se invece già fosse
stata in vigore un' assoluta libertà nella vendita ed uscita delle sete
greggie , i filanti allora non dovendo più tanto pensare a conservare ,
od a provvedere le sete per assicurarsi il lavoro nei filatoj, avrebbero
127
È d'uopo aver presenti queste osservazioni allorché il
Sismondi passa a trattare 1' argomento della rendita so-
ciale y e Io esamina sotto l'influenza delle stesse preven-
zioni e degli stessi timori. Prima di definire cosa intenda
col nome di rendita sociale, egli risale all'origine delle
società,. e dice che nell'infanzia delle medesime la pro-
duzione era ristretta al puro bisogno della sussistenza ,
o tutto al più al cambio delle cose necessarie alla vita-
Ma ora per poter vivere, eì soggiunge, bisogna che il
produttore possa vendere, né vi può esser rendita senza
forse subito esitata la maggior parte di esse , mentre le ricerche
erano maggiori , ed il prezzo delle sete presentava ancora un bene-
ficio. Inoltre non si lamenterebbe mai alcun ingombro di sete ove
in proporzione del loro aumento nella primitiva produzione si fossero
pure aumentate le fabbriche ed i setificj del paese. Alla crisi attuale
pertanto ed al rinnovamento di essa in avvenire possono servire di
rimedio ed una compiuta libertà di commercio , ed un aumento di
stabilimenti destinati a lavorare la seta. D' altronde qualora continui
a crescere la produzione delle sete , allora resta inevitabile la dimi-
nuzione nel prezzo de' bozzoli , e perciò la consumazione non tarde-
rebbe a parificarsi colla produzione sia col rendersi più diffuso e
comune anche a favore delle classi meno agiate 1' uso delle stoft'e
di seta , sia coli' impiego di una maggior quantità di materia nella
fabbricazione delle medesime ecc. ecc. Questi rimedii o succedenti
per la naturale tendenza degli eventi , o per l'attrito degli universali
interessi , o per un savio spirito intraprendente dei capitalisti sareb-
bero forse più efficaci, e più radicalmente proficui per riparare alla
crisi attuale, od almeno per impedirne il ritorno che non sia l' im-
maginata apertura di Monti ossiano depositi di seta fattisi da società
private, o dai Governi. Infatti sebbene ciò potesse al momento. re-
care qualche giovamento alle classi agricole o commercianti, pure in
progresso , e dato massime che la crisi continuasse oltre un anno , e
l'inazione delle fabbriche estere non cessasse , allora certamente quel
ritrovato , anche per la stessa facilità di procurarsi il numerario , ben
lungi dall' aver fatto un durevole vantaggio all' agricoltura ed al
commercio , non sarebbe stato che un effimero palliativo capace a
condurre i commercianti a maggiori discapiti , ed a più corta rovina.
128
the vi sia smercio. II prodotto di questo smercio forma
il reddito tanto dell'individuo come della società. Quindi
la rendita sociale è il complesso^ la riunione, la somma
delle vendite di ciascuno, e quanto maggiore è la ren-
dita di ciascun individuo, di ciascuna famiglia j altret-
tanto maggiore è la rendita dello stato. E siccowie ogni
individuo e ogni famiglia regola la spesa e lo stabili-
mento, e l'aumento di essa sopra il proprio reddito,
così la società deve regolare sopra il prodotto universale
le sue uscite, la sua popolazione, il suo grado di pro-
sperità.
Posto il principio che la rendita e lo smercio non
dipende dalla volontà del produttore o del possessore
delle merci , ma bensì dal bisogno del consumatore ,
il Sismondi trae la conseguenza (secondo noi , troppo
generale ed assoluta) che quando il consumatore è giunto
al segno di non aver più bisogno di comperare, la ven-
dita cessa, e la produzione rimane inutile, e non fa
più che ingombrare i fondachi ed i luoghi dove suole
esporsi in vendita, e divenir quindi anche cagione della
rovina stessa del produttore. Partendo da questi prin-
cipii il Sismondi asserisce che la rendita tanto per l'in-
dividuo, come per la società non cresce in proporzione
della produzione, e quindi proclama di nuovo la neces-
sità di agguagliare la produzione al bisogno del con-
sumatore , e di proporzionarla in ragione delle domande.
Questo sbilancio, continua sempre il Sismondi, si ri-
scontra tra la produzione e la consumazione, tra la
quantità dei prodotti e la scarsità delle vendite e del
reddito , tanto in fatto delle produzioni del suolo, come
in quelle delle arti e delle manifatture.
Rispetto alle manifatture egli vede bensì che l'indu-
stria dopo essersi affaticata ad accrescere la quantità dei
prodotti, si rivolge a perfezionarne le qualità, e da
129
ciò riconosce una nuova sorgente di lavoro e di rendita;
ma anche per questa parte egli giudica necessarii , ed
inevitabili i confini , e nello stesso modo che la quan-
tità è deslinata per soddisfare i bisogni , e deve rego-
larsi sul numero dei consumatori, così la qualità ossia le
modificazioni venendo a soddisfare le esigenze dell'agia-
tezza, devono pur anche proporzionarsi sulla scala degli
agj che i cittadini posseggono.
Riguardo poi all'agricoltura affermando che in Europa
la popolazione non cresce pi«ù che di una centesima parte
per anno , vorrebbe pur anche che la produzione non
eccedesse questa proporzione. Con questo non è già che
il Sismondi paventi come paventava il Malthus un au-
mento così fatto di popolazione, che col tempo si giunga
a tal croce da non aver più i mezzi necessarii per la
sua sussistenza, ed il genere umano abbia a terminare
per morir di fame ; egli anzi dimostra che ciò è impos-
sibile a succedere, e gli tocca qui di confessare che la
popolazione si misura naturalmente sopra i suoi mezzi di
sussistenza.
Ma con tutto ciò, è il Sismondi che conchiude, se-
condo gli impulsi dati in oggi dall'economia politica né
r agricoltore, né il manufattore si arrestano alla surrife-
rita misura della popolazione, e poiché vi può essere
nello stesso tempo eccessività di prodotti e deficienza di
reddito, dice che in questo caso può bensì risultare un
beneficio particolare e privalo dell' agricoltore e dell'ar-
tefice, ma però afferma che da questo sbilancio ne na-
sce un generale conflitto d'interessi contrarii, per cui
ogni produttore cerca di soppiantarsi l'un l'altro, e viene
intanto a diminuirsi in massa , ed a scemare in gene-
rale per la società la somma della rendita.
Sin qui il Sismondi. Sebbene tutti questi ragionamenti
contengano fuor di dubbio qualche parte, ed anche molta
130
parte di vero , tuttavia le conclusioni che poscia se ne
vogliono dedurre non ci sembrano tutte egualmente giu-
ste e sensate', ed anzi talune ci pajono sentire assai
del paradosso.
La prima di queste conclusioni si è che può esservi
anche eccesso delle migliori cose, e così il lavoro, il
capitale, la produzione per quanto ottime cose siano
per se stesse possono nuUameno essere eccessive, e quando
son tali nuocere alla società.
La seconda conclusione si è che non è vero che la
lotta degli interessi individuali basti a promuovere i beni
di tutti j e così non essere né giusto, ne utile il sistema
della libera concorrenza , ma dovere invece l' attività
umana soggiacere alla vigilanza ed ai regolamenti re-
pressivi dell' autorità per poter ottenere una proporzio-
nata formazione e distribuzione delle ricchezze e della
rendita sociale.
Ognun vede quanto siffatte conclusioni si scostino dalle
dottrine dei più classici economisti. Forse il Sismondi
vi giunse e le adottò perchè prese a considerare isola-
tamente dapprima i bisogni , e le condizioni dell' indi-
viduo, poscia quelle della famiglia, ed in seguito ne
applicò tutti i fatti e le conseguenze all'intiera società.
Ma se questo metodo di raziocinare può condurre allo
scoprimento di qualche verità astratta , esso poi può
soventi trarre in inganno quando si viene ad esaminare
lo stato concreto e generale delle grandi masse sociali.
Sotto questo ben diverso punto di vista molte cose che
pajono vere applicate ali" individuo od a qualche isolata
società, cessano di essere tali se vogliono applicarsi
alle grandi nazioni, considerate nel loro complesso, nel
movimento e nello sviluppo , nella generale reciprocità
di tutte le tendenze, di tutti gl'interessi che attualmente
le danno vita e le fanno progredire. D'altronde la prò-
131
dazione massime in fatto d'agricoltura la necessariamente
aumentare la popolazione y e così la consumazione : e
la modificazione stessa ed il perfezionamento indefinito
che r industria e le arti danno a vicenda ai prodotti
primitivi sono ancor essi altrettanti mezzi di consuma-
zione.
In ultima analisi poi per quanto i prodotti agricoli,
ed anche quelli industriali siansi aumentati non si è
però mai veduto , né certamente si vedrà mai che ab-
bia dovuto marcire , e corrompersi senza alcun profitto
una quantità di granaglie, ne incendiarsi, o gettarsi in
fondo dell'acqua i colli di mercanzie. Anzi si è sempre
veduto, a misura che i prodotti crescono, crescere pur
anche la popolazione , migliorarsi il suo nutrimento ,
ed aumentarsi le dolcezze dell'esistenza. Così egualmente
si è veduto che a misura che i prodotti industriali si
moltiplicano , scemando essi di prezzo ed anche di du-
rata, crescono perciò nella stessa proporzione i mezzi,
la facilità, il desiderio ed il bisogno della provvista.
È noto, per cagion d' esempio , che quando s'inven-
tarono i telai da calze ne crebbe il consumo nella pro-
porzione che pur col loro mezzo n'era cresciuta la pro-
duzione. D'altronde l^interesse individuale impedirà sem-
pre questo temuto sbilancio : allorché per la troppa pro-
duzione i prezzi saranno inviliti a segno che non riesca
più proficua la fabbricazione de' prodotti industriali , egli
è palese che la produzione rallenterà da se stessa e ces-
serà anche del tutto, per rianimarsi soltanto quando
nuove ricerche aprano la via ad un nuovo smercio.
Permettendoci queste osservazioni, sulle opinioni di
un autore così rispettabile come il Sismondi, noi siamo
però ben lontani dal negare che nella graduata e ge-
nerale distribuzione della ricchezza e della rendita so-
ciale non consista il vero oggetto dell'economia politica.
132
cioè il ben essere di tutti i membri della società: ma
noi soltanto pensiamo che dessa si possa ragionevol-
mente e per la naturale necessità delle cose e delle buone
direzioni civili ottenersi permettendo non solo, ma an-
che favoreggiando 1' aumento della produzione, e la-
sciando libero il concorso di tutte le facoltà industriali
del cittadino per ottenerlo.
Ad uno stesso modo noi concordiamo col Sismondi,
che dove non vi è questa divisione e questa distribu-
zione del reddito sociale, vale a dire della prosperità e
della ricchezza nazionale fra tutte le classi dei cittadini,
e quando chi lavora non può avere la sua parte di
quel ben essere , che lavorando ha voluto procurarsi ,
ed a cui ha dritto, allora procedono tutti quei disagj
e quei patimenti che egli trova nelle moderne società.
Per ripararli, crediamo ancor noi, neppure allora sono
più sufficienti i loro stessi piiì recenti e preziosi trovati.
Almeno il Sismondi vorrebbe persuadercene colle seguenti
parole : « Egli è inutile lo aprire al popolo delle casse
» di risparmio se prima non si assicura che ha una ren-
» dita su cui potrà risparmiare: egli è inutile occuparsi
» della sua educazione, della sua istruzione, se prima
» non lo si assicura che il tempo che deve impiegare
)) per procurarsi il reddito necessario gli lascierà alcun
» poco di riposo per poter pensare ed alcun poco di vi-
» gore per meditare, egli è inutile spingerlo alla scoperta
» di un nuovo genere di produzione se prima non è
» certo che questa gli frutterà un premio corrispondente
» ai suoi sforzi per ottenerla, egli è inutile dischiudergli
» il commercio all' estero se non può essere certo che
» vendendo ai forestieri egli aumenterà il suo profitto,
» se comprando dai forestieri il risparmio che egli farà
» di una parte della sua rendita non distruggerà poi
» nel proprio suo paese qualche altra rendita più im-
» portante. » Ma anche in queste declamazioni ci duole
osservare quell'uggia sistematica che trascina il Sismondi
neir esagerato, dappoiché, se fossero state sempre prima
necessarie tutte queste certezze, lo spirito umano avrebbe
dormito un sonno eterno.
Noi dunque ove dovessimo conchiudere il nostro giù.
dizio su quest'opera del Sismondi, diremmo che in gene-
rale si può convenire perfettamente sui risultati che il
Sismondi desidera per la maggior felicità degl' individui
e delle nazioni, ma che poi non si può egualmente
convenire in tutti i mezzi che egli propone per otte-
nere quei risultati.
Laonde teniamo per fermo che 1' aumento della pro-
duzione, e la libertà dell'industria non sono le cagioni
degli accennati dissesti sociali. Se infatti, come afferma
lo stesso Sismondi, la popolazione si ragguaglia, e si
compensa da se eoi mezzi di sussistenza in guisa che
non può mai tanto crescere la popolazione che più non
vi siano viveri sufficienti per nutrirla, cosi la produ-
zione sia dei frutti della terra, che dell'opera dell'uomo
si porrà sempre da se stessa in equilibrio colle ricerche
e coi bisogni dei consumatori.
Abbiasi dunque per vero , che la rendita sociale sia
l'ultimo prodotto, il beneficio derivante da tutto il la-
voro , da tutti gli sforzi , da tutte le risorse dell' indi-
viduo e della società, e che si distribuisce o deve di-
stribuirsi a vantaggio proporzionato di tutti ,* ma non
si creda con ciò che questo si possa soltanto ottenere
con limitare e vincolare .gli slanci ed i progressi dell'
industria, poiché invece noi il crediamo risultare gra-
datamente dall'incremento della popolazione e della pro-
duzione. Imperocché le molte ricchezze possono essere
soltanto perniciose quando si aumentano in mani di
pochi , e questi pochi o le ritengano avaramente ino-
134
perose, o se le impiegano, le sprecano psr Gorrompere
«è od altrui ; e si è allora che Bacone ha ragione di
dire, parlando però all'individuo, e non ad un'intiera
nazione , che le ricchezze sono come le armi ed il ba-
gaglio del soldato: non deve averne di più di quel che
serve; se non serve impaccia. Ma quando all'incontro per
li buoni ordini della società, e perchè la civiltà è tanto
avanzata , che tutti lavorando secondo i propri mezzi
e la propria condizione possono partecipare alle ric-
chezze, e quegli stessi che le hanno acquistate sono co-
stretti di porle di bel nuovo in circolazione se pur vo-
gliono goderne, allora l'aumento delle ricchezze non
sarà mai nocevole , ma bensì fruttuoso.
Per le quali cose se non possiamo in tutto sotto-
scrivere alle conclusioni del Sismondi, e così se nep-
pure il possiamo quando crede che per rendere parte-
cipi tutti i membri della società della rendita sociale,
o per dir meglio per far sì che la prosperità nazionale
si diffonda sopra di tutti, dovrebbe la podestà legisla-
trice contenere in qualche limite la libertà e l'operosità
dell' industria umana ; così però non possiamo non far
plauso ai voti ed alle intenzioni di questo illustre au-
tore allorché richiama particolarmente l'attenzione e la
generosa protezione dell'autorità sovrana sopra la classe
povera e lavoratrice, e prima d'ogni altra sopra quella
più numerosa che vive addetta all' agricoltura.
In conclusione perciò (terminando questo nostro primo
articolo sull'opera del Sismondi ), noi sebbene siimo ve-
nuti sinora dubitando sulla verità e sull' esattezza di al-
cune fra le sue opinioni , pure dobbiamo tanto per atto
di giustizia , come per sentimento d' interna nostra sod-
disfazione confessare che queste pur anco sue meno con-
sentite e meno approvabili opinioni, gli sono però sem-
pre dettate da un senso profondo di filantropia e di
135
umanità per le classi povere e sofferenti della società.
In ciò, e questo onora altamente il suo cuore ^ il Sis-
mondi non sì smentisce mai. Se la maggior parte degli
economisti sembra talvolta dimenticarsene; quanto a lui,
lo stato infelice della classe lavoratrice gli sta continua-
mente dinanzi agli occhi, e tutti i suoi studj , le sue
ricerche, i suoi insegnamenti hanno per iscopo costante
di migliorarne la sorte e di alleviarne i patimenti. Ma
colpito forse da una fatale coincidenza di questo stato,
che commosse l' anima sua generosa e sensitiva , colle
dottrine che gli odierni economisti professano, credette
che la cagione se ne dovesse ripetere da queste stesse
dottrine ed intraprese le sue ricerche ed i suoi studj
economici sotto l' influenza di questa prevenzione. Ei si
fu questa prevenzione apparentemente che lo condusse
talvolta ad emettere principii e conseguenze rnen vere
ed esagerate, ed a scambiare l'indefinito e spontaneo
aumento della produzione, affidato alla libera industria
umana ed a quella ragionevolezza e provvidenzial mi-
sura con cui si governano sempre tutti i progressi della
società, con una cieca ed illimitata produzione, con una
produzione sempre necessariamente crescente, soffocante
e fatale.
/ivi'. Severino Battaglione.
136
SCIENZE MEDICHE
DELL OMIOPATIA IM VIEWWA. LETTERA.
Fratello carissimo
Quando sono partito per Vienna tu mi hai chiesti ,
ed io ti ho promessi i maggiori ragguagli possibili sullo
stato della medicina in questi paesi, ma non riceven-
done tu alcuno da me nelle lettere, che ti ho finora
dirette, hai potuto credere che io avessi dimenticata la
mia promessa 5 niente affatto, fratello mio, io ho visti
alcuni di questi professori, ho visitati ospedali, ho letti
giornali di medicina, mi sono procuralo note da un
giovane medico, mio amico, ed ho ritardato di parte-
ciparti quanto era giunto a sapere, perchè voleva es-
sere in caso di parlartene colla maggior cognizione dì
causa possibile per un povero profano in questa scienza
come io mi sono. Eccoti ora il primo frutto di questo
ritardo, a cui forse farò succedere altre lettere, che po-
trai chiamare mediche , se questo titolo non è troppo
orgoglioso^ e se tu non ti stancherai di leggere, ed io
di scrivere , come è probabile.
Comincio dal descriverti quanto concerne 1' oraio-
patia in questa città; i.° perchè tu mi hai chiesto par-
ticolari informazioni su questo oggetto; — 2," perchè
137
questa era la questione vitale della medicina germanica;
— 3." perchè dalla propagazione di questo, che non so
se si debba chiamare contagio medico nella città di
Vienna, potrai arguire dell'incremento acquistato nel re-
sto della Germania poiché procedette quasi ovunque
nello stesso modoj quando questa questione sarà esaurita,
ti darò qualche cenno siiìV idropati a ed altri sistemi me-
dici seguiti ncir Alemagna , sui modi clinici messi in
pratica negli ospedali, sulla letteratura medica: ed anche
qualche cenno sulle scienze sue sorelle , ma tu dovrai
essere indulgente con me, se qualche volta troverai stor-
piati i tuoi nomi di scienza , e tenermi solo conto della
buona volontà.
Hahnemann come collaboratore al giornale di Huf-
feland *i si era mostrato valente indagatore della na-
tura , ed era come tale, favorevolmente conosciuto quando
rese pubbliche nel trattato sul caftè *2 le sue viste so-
pra la doppia azione dei medicamenti ( azione antece-
dente , e susseguente), trattato, che fece alta impres-
sione nelle Germanie , e dovrebbe valere d'introduzione
al suo Organon *3 , che venne nel 1810 a sorprendere
questi paesi col suo strano contenuto, e coll'arrogante
dizione. Naturalmente una dottrina cosi straordinaria
dettata in tuono non meno straordinario non poteva
trovare i suoi primi proseliti nel pubblico medico ; essa
si rifuggi© dunque come fa ogni cosa oscura, che non
regge al tribunale di un giudice superiore, presso le
classi indotte, i cui applausi Hahnemann ottenne di leg-
gieri, mediante l'apparente semplicità del suo metodo,
ed alcuni felici successi ; ma più tardi i vantaggi pecu-
niari , che egli riportò malgrado i gridi degli Alliopatici,
indussero alcuni giovani medici a giurare per la barba
del nuovo Paracelso, ed a servire ai capricci del pub-
blico. Sino all'anno 1810 l'omiopatia era rim;isla però
138
nella ristretta sfera del suo fondatore , ma in sul finir
di queir anno il Dottore Marienzeller, medico dello
stato maggiore dell'armata, si presentò a Vienna , come
proselite della nuova dottrina , ed ebbe un successo
così favorevole che egli vide ben tosto la maggior parte
della nobiltà più cospicua obbediente al suo scettro
omiopatico , ed indusse e medici e pubblico all' imita-
zione. Cinque anni piiì tardi un altro omiopatico il
Dottore Lichtenfels , ebbe voga così grande presso la
classe media del popolo Viennese , che dai tempi di
Pietro Frank in qua nessuno in questa città sa ricor-
darsi un simile concorso presso un medico. Questo
romoroso successo, forse anche il considerevole onora-
rio che gli omiopatici domandavano, e ricevevano ( cioè
un ducato per caduna visita , locchè corrisponde a do-
dici lire nuove di Piemonte ) destarono gli Alliopatici
dalla loro apatia, ed il giovane medico, da cui ebbi la
maggior parte di queste notizie mi disse ricordarsi egli
benissimo del tempo, in cui quasi tutti i medici ricor-
revano all'omiopatia nei casi i più disperati , quasi ad
ultimo tentativo , ed aver egli stesso assistito ad un
consulto dei medici i più distinti di Vienna, in cui ten-
tarono in una ostruzione mesenterica ostinata l'omio-
patia , però senza il menomo vantaggio.
Ben tosto si convinsero gli Alliopatici dell'esagerazione
delle guarigioni miracolose, che si attribuivano gli Hah-
nemannisti , e nacque quindi una divisione più distinta
fra i due partiti , divisione che non tardò guari a vol-
gersi in odio aperto, mediante la crescente influenza
di Hahnemann , poiché, come ben sai, si disprezzano
i deboli, e l'odio è il privilegio dei potenti j e tale era
divenuto il partito omiopatico, al cui dilatamento in
Austria pare aver contribuito altamente il sacerdozio,
che qui come altrove spinto dal desiderio di beneficare
139
r umanità , cai lo ehiania l'esercizio del suo ministe-
ro , e dalla mancanza di medici alle campagne , e' si
intrude così volentieri nello studio della medicina ,
che tanto vale a conciliargli necessaria influenza presso
le classi meno agiate della popolazione. Al sacerdozio
già travagliato da tante occupazioni non poteva non
riescire bene accetto un metodo cosi facile , mediante
cui senza veruna cognizione preliminare si può diven-
tare medico perfetto in pochi giorni , ed io mi ricordo,
che nel nostro Piemonte il così detto sistema di Leroy
aveva il massimo numero di aderenti presso questo ve-
nerabile ceto di persone. Insomma i'omiopatia ebbe tanto
favore a Vienna, che il succitato D. Marienzeller ebbe ,
non senza lunga resistenza ^ dal magistrato medico su-
premo la facoltà di trattare omiopaticamente una parte
dell'ospedale militare sotto la vigilanza del celebre Bi-
schoff (professore deiraccademia Giuseppina, ed autore
della nota Pìretologia *4 ) unitamente ad altri medici
distinti; i risultati di questo tentativo pubblico furono
quali erano aspettati dalla maggior parte dei medici ,
cioè la mortalità fu eccedente, e tra gli ammalati risa-
nati la maggior parte lo furono in grazia della dieta ri-
gorosa, a cui erano astretti, la minor parte in virtù dei
medicamenti.
L' omiopatia ritrasse da questa pubblica lotta ben
altro che gloria , e rimase quindi per alcuni anni, sic-
come ogni moda che perdette il solletico della novità,
indifferente al pubblico. In generale ad onta dell' appa-
rente affollamento alla loro porta gli omiopatici di quel
tempo non potevano vantarsi di una clientela perma-
nente, poiché non si ricorreva all'opera loro, se non che
nei casi cronici della specie più disperata, in cui l'arte
umana non poteva più nulla. Ed un avvenimento stiano
venne allora a renderli sospetti ben a ragione , e fu
140
motivo che venne loro interdetto per breve tempo l'e-
sercizio. Il D. Lichtenfels seppe indurre una giovanetta
a lasciarsi magnetizzare, e questa bene istrutta come
doveva fare la sua parte consigliò nel suo finto sogno
magnetico il cardinale Rodolfo fratello del defunto Im^
peratore, a servirsi di mezzi oraiopatici contro quel
genere di epilepsia , conosciuta volgarmente in Piemonte
sotto il nome di male di S. Gioanni , da cui egli era
travagliato; l'inganno venne scoperto dagli astanti, e
rese per qualche tempo vacillanti i fautori dell' omio-
patia. A Vienna ogni avvenimento serio , o piacevole
viene ben tosto logorato da un numero infinito di aned-
doti, finche stanchi delle proprie ciarle questi buoni
Viennesi , onde rendere così più facile la difficile loro
digestione si rivolgono ad altro oggetto , a cui fanno
sentire lo stesso flagello. Nella cronaca scandalosa di
quei tempi, che è oltremodo ricca di satire e di aned-
doti sull'omiopatia, ti citerò solo il seguente a modo di
esempio. Un cav. Ungarese stanziato a Pesth (città, come
tu sai, posta al confluente del Danubio , che bagna prima
le mura di Vienna ) e che per afiari non poteva allon-
tanarsene , scrisse per medico consulto ad un Dott. omio-
patico a Vienna j ed accennatigli tutti i sintomi della
malattia da cui dicevasì travagliato , ne lo richiese di
versare nel Danubio i medicamenti corrispondenti in dose
alliopalica, promettendo di bere il domane un bicchiere
di acqua attinta nel Danubio a Pesth, con che egli ver-
rebbe ad essere medicato omiopaticamente : aneddoto
non privo dì sale, e che può andar compagno al nar-
rato dal Dott. Andrai nell'accademia medica di Parigi,
esservi cioè a Berlino due medici omiopatici , di cui
uno birbante , e due ignoranti.
Queste erano le condizioni dell' omiopatia allorché
alcuni medici di gran fama, come HulFeland, il con-
141
sìgliere Rau, Doti. Kopp, sottoposero la nuova dottrina
ad un esame critico-pratico, e questo ultimo chiaro cli-
nico trasmise al pubblico nelle sue cose memorabili pra-
tiche *5 il frutto di dieci anni di indagini , opera che
levò alto grido presso il pubblico medico dell'Alemagna,
e che meriterebbe di essere tradotta; egli spoglio affatto
di pregiudizi costituisce l'esperienza a giudice della gran
questione , e senza diffamare 1' omiopatia col nome di
ciarlataneria ( nome che le venne dato esclusivamente
fin qui dai medici), mostra nuUadimeno i moltissimi
casi pratici, in cui essa ben lungi dal giovare fu di danno
all'ammalato. Riguardando dunque gli sforzi degli oraio-
pati come funesti , perchè con una precipitata profes-
sione di fede si privano del frutto dell'esperienza di ben
mille anni , egli vuole ammettere 1' omiopatia soltanto
in alcuni casi come metodo ( e prova con una quanti-
tà di esempi essere chiaramente insufficiente in tutte le
malattie. Huffeland (il quale è neirAlemagna conside-
rato nella medicina quello che era Goethe nella lette-
ratura , cioè quale oracolo ) avendo dichiarato nel suo
giornale il giudizio di Kopp consentaneo alle sue viste,
si trovò ben tosto forzato dalle grida di trionfo degli
Hahnemannisti a spiegare meglio questa sua opinione ,
locchè fece in un opuscolo intitolalo Omeopatia *6.
Mentrechè da un lato smentisce altamente l'asserzione,
che egli abbia riconosciuta l'omiopatia per sistema me-
dico, e mostra nella più chiara luce quanto sia funesta
e riprovevole questa rabbia d'innovazione, egli giudica
la nuova dottrina applicabile come metodo in alcuni
casi, in cui l'alliopatia fu finora impotente, come per
esempio nei Casi isterici (a), e nelle malattie dei nervi
(a) Malattie che dipendono per lo più da una eccessiva sensibilità nervosa ,
e che più sovente non esigono , che rimedi morali , uniti ad una dieta conVe-
nicutt; . evitando accuratamente ogni eccesso , e i soverchi stimoli principalmente
142
croniche ; finalmente egli invita i due partili ad accor-
darsi e dimostra la proficua influenza dell' ©miopatia
sulla farmacologia {b) opinione che altamente mi mosse
fin da quando l'udii emettere in casa nostra dal chia-
rissimo Professore Griffa. Egli vuole in una parola che
si usi in alcuni casi Yomiopatia , ma ammette in nessun
caso gli omiopatici.
Questi, e vari altri scritti prò e contro la questione
(fra questi ultimi merita particolar menzione Y antior-
ganon del Dott. Heinroth *'] ., scritto popolare per ser-
vire di contravveleno all' Organon che gli Hahnemannisti
distribuiscono gratis in tutte le case in cui loro viene
dato di porre il piede ) profittarono moltissimo all'in-
cremento dell' omiopatia presso il pubblico Viennese ,
che non considerò piij come ciarlatani i proseliti di una
dottrina, a cui uomini come Huffeland e Kopp accor-
davano la loro approvazione , sebben ristretta e par-
ziale (e).
Fino dall'anno 1828 diverse persone di alto stato,
come il Principe Lichtenstein , il Duca di Lucca, la
principessa di Metternich , e molti altri scelsero fra gli
omiopatici i loro medici di casa. In tempi più recenti
fu loro interdetto di dispensare essi stessi i medicamenti
in conseguenza di parecchie cure infelici, che fecero gran
rumore, e sarebbe loro eziandio stata interdetta la pra-
quali sono il caffè , Tino , ecc. di modo che in questo caso non alla minima
dose di rimedio , ma al metodo di vivere seguitato attribuir debbesi la guari-
gione.
(6) 11 solo vantaggio che sia venuto di cosi assurdo e strano listema in quanto
riguarda la farmacologia si deduce dall'avere sempre più richiamata l'attenzione
dei medici sulla necessità di limitarsi a più tenui dosi nelle prescrizioni di certi
rimedi , i quali pef la loro azione essenzialmente virosa , e deleteria possono
arrecare gravi danni all' inferma umanità.
(e) Cosi accadde presso di noi del metodo Le Roy , a cui le critiche non
servirono che a dare celebrità ed importanza , e , quando »i dispreizò , cadde
nell' obbliu.
145
tica se il potente Metternich non si fosse adoperato a
loro prò. Da quel tempo esiste a Vienna una farmacìa
omiopatica , la quale lia però pochissimi avventori ,
poiché ad onta del divieto summentovato , i medici
continuano a dispensare essi stessi i medicamenti. Pre-
sentemente si contano in Vienna 3o medici omiopati,
ma si può dire che un solo segue rigorosamente le mas:
sime di Hahnemann, poiché gli altri ricorrono spesso
ai pediluvii, senapismi, vescicatori, e persino in caso
di flogosi violente ai salassi , cose tutte a cui Hahne-
mann grida la croce addosso.
In questi ultimi tempi è sorta una nuova setta chia
mata isopatia^ che ha scelta la massima aequalia aequa-
libus per norma del suo procedere terapeutico. Hahne-
mann dal suo trono fulmina questi eretici con tutta la
rabbia di un sistematico : ecco una frase tolta verbalmente
dall' ultimo de' suoi scritti: a morie , a morte V ingrato che
cerca di sommergere colf aequalia aequalibus il similia
similibuSja cui deve vita _, facoltà j gloria 1 ! I A Vienna
non si conta che un solo addetto all'isopalia. Gli omio-
pati conosciuti sono Marienzellerj Lichtenfels, Schmidtj
Necrer, Wrecht^ Locwjj Emm. Weith^ G. U. Weith_, oltre
a ciò anche gli Alliopatici per la maggior parte non si ri-
fìutano di trattare omiopaticamente i loro ammalati quan-
do questi lo desiderano. Ne è da tacersi come ogni città
delle Provincie dell'impero Austriaco , Boemia, Moravia,
Galizia, Tirolo , Carinzia , Stiria , Ungheria, conti uno
o più medici omiopatici.
L'incremento dell' omiopatia esercita qui un influsso
dannoso sullo studio della medicina, che da molti non
viene coltivata col debito zelo, perchè lusingati ed at-
tratti dalla superficiale semplicità che presenta questa
nuova dottrina. Il Prof. Hildebrand, come pure Bischoft',
Raimann , e molti altri distìnti clinici si oppongono con
144
vivo cnlore a questa Innovazione pericolosa , e non po-
chi dovranno alle loro profonde viste emesse con viva
facondia l'essere stati immuni da questa epidemia, che
affligge le mediche scienze nella Germania, e minaccia
pure di invadere la Francia e l'Italia.
Weit (e queste cose ti noto perchè tu non immagini
le cose maggiori di quel che sono) è uno de' piiì pro-
fondi e bizzarri ingegni della mistica Alemagna. Nato
ebreo abbracciò già adulto il cattolicisrao col massimo
zeloj studiò medicina che esercitò col piiì soddisfacente
successo, e gratuitamente; nominato quindi a direttore
e professore dello Stabilimento Veterinario, scrisse \\n
trattato di questa scienza *8, ma ben tosto lasciata la cat-
tedra entrò nel convento de'Ligoriani j da cui, ottenuti
gli ordini , fra non molto si separò , non potendo con-
vivervi. Chiamato allora a predicatore di Santo Stefano
vi attrae colla sua eloquenza il massimo concorso , e
questo compie unitamente air esercizio della medicina.
Schietto di modi, cattolico ardente, ma tollerante, va-
lente scrittore di teologia, di filosofia mistica e di storia,
gran poeta, grande oratore, esso è uno insomma di quei
fenomeni, che trovi soltanto in questo paese, in cui la
fede alla scienza j ed alla religione è tuttora vivissima.
Costui, che viene annoverato fra gli omiopatici, per-
chè dispensa esso stesso i medicamenti , dice a chi Io
vuole udire che egli non è omiopatico , e che le dosi
di rimedi, che egli amministra non sono diverse da
quelle prescritte dall'Alliopatia. Egli si separa in ciò solo
dagli Alliopatici in quanto che opina avere i rimedi tutti
una doppia azione , cioè produrre prima una certa rea-
zione nell'organismo vitale ; ed in fatto nella diarrea, per
esempio , amministra il rabarbaro, non già come alviim
ducens, ma come alvuni òbstipans, perchè questa ultima
è la reazione prodotta dalla prima azione del rabarbaro.
145
Infine egli crede che la maggior parte degli oniiopati
amministrano ; come egli stesso fa , dosi ben lungi dalle
infinitesimali prescritte da Hahnemann, ma che non
tutti hanno là buona fede di concederlo.
Addio mio dilettissimo fratello
L. V.
Vienna, io aprile i836.
*t Journal der Practischen Heilkurist von Huffeland und Osann.
Berlin bei Reimer.
*a Der Kqffìee von Samuel Hahnemann, i833. Leipzig Heinecker.
*3 Organon der Heilkunst von Sam. Hahnemann. Dresden i833.
*4 Grundsaetze zur Erkentnnìss und Behandlung der Fieber
und Entzundungen von Professor Bischoff, 2 auflage i83o, Vien bei
Strauss.
*5 Denkwurdigkeiten der medicin von D. Kopp , bei Hermann
in Frankfurt i833 , tomi 3.
*6 Homoeopathie brochure von Huffeland , Berlin i833.
*7 Antiorganon von D. Heinroth Leipzig , iSaS.
*8 Handbuch der Veterinaire Kunde von Job. Eman. Veith 3.*
auflage i83i Wien.
146
SCIENZE AMMINISTRATIVE E STATISTICA
Saggio di Sta-osticì del R. Manicomio di Torino dal i o gennaio
i83i alòi dicembre i836, del dottore collegiata Bonacossa»
medico assistente di detto Manicomio ecc.
Torino, Stamperia Favale.
„ — ■ 9
CoU* epigrafe
« Da vcniam scriptit quorum non gloria nobis
» Causa , sed utilitas officiumque fuit. »
Gli scritti che hanno per iscopo il vero hene dell' umanità
e che servir possono a migliorare la condizione della specie
umana , non saranno mai abbastanza lodati. A questo genere
appartiene il lavoro del medico coUegiato Bonacossa , medico
in secondo nel Regio Manicomio di Torino, il quale ora an-
nunziamo. Ma acciocché la nostra lode non paja dettata da
parzialità , e volendo porre il lettore in istato di giudicarne
da se stesso , passeremo a disamina questo scritto seguitando
1' autore passo a passo.
Premessa una breve prefazione in cui annoveransi i motivi
che hanno dato la spinta all' operetta citata , narra brevemente
Bonacossa la storia di questo Manicomio , ne descrive l' ediGzio
e lo difende vittoriosamente , a quanto ne pare, contro le cri-
tiche di Brierre Boismont, e di Esquirol, Esso difende pure
il metodo di cura ivi seguitato pei maniaci chiamato da alcuni
inumano , espone in seguito il modo con cui viene amministrato
147
e governato lo spedale , il metodo seguitato per 1' ammessione
ed il rilasciamento dei pazzi , il regime dietetico delle varie
categorie di pensione che sono cinque , cioè di 2^5 , di • 35o ,
di 4^0 » <i* 6oo , e di 8oo francbi all' anno , esseudovene
poche che giungano al mille , e pochissime che superino que-
sta somma.
L' autore esprime quindi un suo voto , e si è che si prati-
casse riguardo a tutti i pensionari , quanto sì pratica riguardo
ai militari dai sottotenenti in su , pei quali mediante un au-
mento di pensione che fa il governo lo spedale provvede ogni
cosa.
« Cosi , prosegue 1' autore , si andrebbe al riparo dell' in-
» conveniente di vedere alcuno dei medesimi o non decente-
» mente vestito per negligenza dei parenti , o di doverlo prov-
» vedere di abiti a spese dell' opera. »
Esso enumera quindi i varj impiegati dello stabilimento ,
ed i loro uffici diversi.
Passando alla classificazione delle pazzie, 1' autore le divìde
in manie , demenze , e monomanie , non ponendo fra le pazzie
la semplice idiozia. Egli divide la mania in mania con agita-
zione e mania con furore ; la demenza in parziale ed estesa ;
la monomania in superstiziosa, in demonomania, monomania
orgogliosa , teomania , lipemania e mania erotica.
Discorrendo del metodo di cura seguitato nel Manicomio ,
dice 1' autore , che esso consiste per la cura fisica nei depri-
menti , sedanti , e revulsivi , nei bagni e per molti nell' ina-
zione : per la cura morale nell' isolamento , in alcuni nell'
occupazione e qualche volta nelle distrazioni. La causa pros-
sima della pazzia è da lui appoggiata al sistema di Gali sulla
pluralità degli organi , e consiste secondo lui nell' esagerazione
delle funzioni di questi organi , la quale ha luogo ora in un
senso positivo o naturale , ora in un senso negativo o dì per-
vertimento ; cosicché la mania superstiziosa e la demonomania,
come pure la manìa orgogliosa e la teomania non sarebbero
che gradi diversi della medesima affezione. Questa aberrazione
poi è accompagnata ora da aumento , ora da diminuzione di
eccitameulo delle forze vitali.
148
Grande è il partito che esso trae per le sue division» della
teoria galliana , su cui esso si fonda , abbeuchè questa stessa
teoria non sia altro a nostro credere che una ipotesi ingegnosa.
D'altronde quand' anche si ammettessero questi principi , non
ne risulterebbe alcuna mutazione nel metodo di cura da se-
guitarsi. Poiché se si tratta della cura fìsica , questa non può
essere diretta ad un organo solo , e debbe essere anche fon-
data sullo stato universale dell' infermo , avuto solamente l'i-
guardo allo stato di abbattimento o di sovraeccitamento del
cervello , come dice 1' autore medesimo. Se poi si tratta della
cura morale i mezzi suggeriti da lui sono anche quelli che
vengono generalmente prescritti dagli autori più riputati , e
consistono: i,' nell'allontanamento dell'ammalato dagli oggetti
sotto la di cui influenza , od in mezzo ai quali si sviluppò la
pazzia. 2.° Nello eccitare in lui diverse sensazioni ed idee , e
nuove affezioni.
Espone in seguito 1' autore ì corollari da esso tratti dalle
autossie cadaveriche istituite ; ma questi non sono tali a parer
nostro da poter risolvere le difficoltà che si affacciano a chi
vuole adottare il sistema di Gali.
Ben più importanti ed utili alla scienza sono le tavole di
cui r autore ha corredata la sua opera , e noi non possiamo
abbastanza lodare la di lui pazienza ed accuratezza nel fare
un lavoro , che , ove sia pure eseguito da tutti gli altri me-
dici dei manicomii , o dalla maggior parte di essi , potrà con-
tribuire grandemente al progresso di questo ramo della me-
dica scienza.
La prima tavola contiene il numero dei pazzi sì maschi, che
femmine entrati ^ usciti e morti nei sei anni dal gennajo i83i
a tutto dicembre i836.
Risulta da questa tavola: i." che il numero degli entrati è
di io66, tra i quali sonovi 65o uomini e 4^6 donne, cosicché
il numero delle donne sta a quello degli uomini come 64 a loo;
2." Che il numero degli usciti sta a quello degli entrati
come 4^ 1/2 circa a 100, ed il numero dei morti è un poco
meno di 'òi p. 100, essendo di 28 e poco meno di i/3 p. 100
negli uomini, e di 33 1/2 p. 100 nelle donne :
149
3.** Che r asilo ìu cui vi entrò un maggior numero di uo-
mini fu il iSia ; anno in cui 1' estate fu più caldo che in
tutti gli altri anni e diffatti su i2i uomo entrato in quell'
anno 35 entrarono nei mesi di luglio ed agosto : 1' anno in cui
vi entrò un maggior numero di donne fu il i835 :
4.° Che i mesi in cui entrarono più infermi sono quelli di
giugno , luglio ed agosto.
Sono pure nella medesima tavola registrati gli usciti e morti
su quelli che entrarono negli anni precedenti al i83i, essendo
solamente distinti dagli altri mediante un asterisco.
La seconda tavola rappresenta i pazzi secondo le provincie ,
in questa havvi ad osservare, che in tutte le provincie il nu-
mero degli uomini pazzi supera quello delle donne più o meno,
eccettuata la provincia d' Asti in cui vediamo registrato il con-
trario. Dovrassi forse questo ripetere dall' essere molti uomini
ricoverati nello spedale di Alessandria ? Gioverebbe sciogliere
questa questione.
La terza tavola racchiude gli uomini e le donne pazze se-
guendo le età , e da questa ricaviamo che il numero dei pazzi
va crescendo dai 20 anni in su e massimamente dai 35 ai ^o
anni, quindi comincia a diminuire; diminuendo però più rapi-
damente di quanto sia cresciuto nei maschi che nelle femmine.
La quarta tavola racchiude ì pazzi secondo il loro stato di
celibato o di matrimonio.
E notato in questa dall' autore che il numero degli ammo-
gliati è poco diverso da quello dei celibi, colla differenza però
che negli uomini havvi quasi il doppio di celibi, di quello che
vi siano di ammogliati , mentre il contrario si osserva nelle
donne. Essendo piccolissimo il numero dei vedovi , 1' autore
registrò fra i celibi i rimasti vedovi da lungo tempo , e fra
gli ammogliati , quelli che lo sono soltanto da poco tempo.
La quinta tavola è fatta secondo 1' ordine delle professioni.
Osserviamo in questa essere negli uomini il numero mag-
giore fra i contadini i quali ascendono ai 233 : *ad essi succe-
dono i militari (69) , poscia i sacerdoti (20), i calzolai (id.)
ecc. Notiamo che vi sono registrali dieci chirurghi e nissuti
medico.
150
Nelle (lonae il numero maggiore è quello delle contadine
(195), quindi trovansi le serve (58), e le occupate in lavori
domestici (44) ecc.
La sesta tavola racchiude i pazzi secondo il genere di pazzia
e secondo le varie provincie.
Ricaviamo da questa essere negli uomini in maggior numero:
i." Le manie, 2.° le demenze, 3.° le lipemanie , /^.° le manie
orgogliose, e teomanie, 5.° le supertiziose e demonomanie, 6."
le idiozie, 7.° i deliri acuti, 6." ed ultimo le manie erotiche.
Nelle donne invece troviamo: i.° le lipemanie , 2.° le manie,
3° le demenze, ^." le manie superstiziose e demonomanie (52
su ^16, mentre negli uomini sono soltanto 48 su 65o), 5.' le
manie erotiche (4i sul totale, mentre negli uomini solamente
32), 6° le monomanie orgogliose ( 18 sul totale mentre sono
y6 negli uomini), y." le idiozie, 8." i deliri acuti.
La settima tavola racchiude i pazzi secondo le età ed il ge-
nere di pazzia.
Notiamo in questa essere più frequenti le lipemanie sia negli
uomini che nelle donne dai 35 ai ^o anni ; le manie supersti-
ziose e le demonomanie negli uomini dai 25 ai 3o anni , nelle
donne dai 35 ai ^o ,- le manie erotiche nelle donne dai 3o ai
35 anni.
Trovasi nella tavola ottava il numero degli usciti e dei morti
secondo le età.
Da essa ricaviamo che 1' età che presenta maggior numero
di usciti negli uomini è quella dai 35 ai 4^ anni; nelle donne
dai 4o ai 4^* Cosicché negli uomini il numero maggiore di
usciti corrisponde all' età in cui havvi un numero maggiore di
entrati, ma non nelle donne; essendo per esse come per gli
uomini il numero maggiore di entrate dai 35 ai 4o anni. L'età
che presenta un maggiore numero di morti è negli uomini dai
3o ai 35 anni; nelle donne dai A5 ai 5o.
Segue nella tavola nona una specie di catalogo delle cause
secondo le diverse specie di pazzie.
Nella tavola decima sono divise le cause ìrA fìsiche e morali
e vengono paragonate col genere di pazzia.
Vediamo da questa essere eause principali negli uomini tri»
151
le fisiche, 1." la predisposizione ereditaria, a.° abuso del vino
e dei liquori spiritosi , 3° epilessia , 4-" encefalitide sofferta ,
5.° abuso del mercurio. Fra le morali ; i.° patemi d' animo
per miseria ed infortunio , 2." dispiaceri domestici , 3.° amore
deluso , contrariato od eccessivo , 4'° gelosia , 5." amor proprio
offeso.
Sono cause principali fra le donne , tra le fisiche , i .° di-
sposizione ereditaria , 2.° amenorrea e dismenorrea , 3.° pella-
gra. Tra le morali , i ." patemi d' animo per miseria , 2° amore
contrariato e deluso , 3." gelosia, 4-° spavento. Le cause fisiche
sia nelle donne come negli uomini stanno come yo , le morali
come 3o a 100.
La tavola undecima espone le cause secondo le provincie
diverse. L'autore, dopo aver posto in fine 170 cause ignote
negli uomini e iSq nelle donne, esprime il suo dispiacere per
questa mancanza , dicendo che è più difficile di guarire un
male di cui si ignora la causa.
E a dire il vero , siccome ciò avviene per lo più per colpa
dei parenti dell'infermo , i quali non ne istruiscono il medico
per secondi fini , dobbiamo raccomandar loro caldamente di
superare questi pregiudizi , e di fare conoscere a chi è incari-
cato di stendere il certificato tutte le più minute circostanze
se sta loro a cuore la guarigione dei congiunti che al Manico-
mio si traducono.
La tavola duodecima contiene le osservazioni meteorologiche
per i sei anni.
Dalla tavola i3 alla 26 abbiamo il numero degli entrati ,
guariti , migliorati , morti , recidivi e restanti per ciascun anno,
da questa risulterebbe essere il numero dei recidivi nei sei anni
negli uomini di 3i, da cui si debbono però eccettuare 8 affetti
da delirio acuto e non riconosciuti pazzi, e nelle donne di 16,
eccettuandone due deliri acuti.
La tavola 26 ci presenta uno specchio proporzionale dei gua-
riti secondo il diverso genere di pazzia.
La 26 ci dà la proporzione degli entrati , usciti e morti per
ciascun mese dell' anno.
La 27 ci fa conoscere il tempo durante il quale gì' infermi
152
di varie pazzìe rimasero nello spedale , sia che essi sieno gua-
riti o morti. La media è di 265 giorni.
La 28 contiene le malattie per cui succombettero i diversi
pazzi, colle proporzioni delle morti secondo il genere di malattia.
Da questa vediamo che la malattia la quale offre proporzio-
natamente una maggiore mortalità è la meningite.
Seguono poscia alcune considerazioni degne di riguardo j fra
le quali le principali sono :
Che la classe di persone meno agiata e data a professioni
per le quali rendesi poco necessario 1' esercizio delle facoltà
intellettuali è quella in cui si trova il maggior numero di
pazzi. Laonde, soggiunge Y autore, dovrebbesi conchiudere es-
sere r incivilimento in ragione inversa del numero dei pazzi.
Osserveremo però che essendo la classe più rozza anche la più
numerosa di tutte , il numero dei pazzi debbe anche essere
a quella proporzionato.
La seconda considerazione fatta dall' autore si è che la pro-
porzione dei paralitici sui pazzi è minore a Torino di quello
che lo sia nella maggior parte degli ospedali di Europa , e
pare che questo numero vada crescendo verso i paesi setten-
trionali e decrescendo nei meridionali.
Osservasi in terzo luogo dal medesimo che sui mille e ses-
sautasei individui ricoverati nei sei anni, cento e ventisei erano
già stati prima del i83i affetti da pazzia; cioè 80 uomini e
46 donne , e questi per la maggior parte appartenevano ai ma-
niaci e lipemaniaci. Finalmente si nota che la più parte delle
lipemanie ed altre pazzie con tendenza al suicidio sono ordi-
nariamente suscitate da malattie del tessuto cutaneo e del tubo
gastroenterico.
Nella tavola 29 si istituisce un paragone fra gli usciti ed i
morti dei varj manicomii.
L' autore deduce da questa alcuni corollari fra i quali accen-
niamo soltanto i due seguenti come quelli che meritano la no-
stra particolare attenzione :
1° Negli ospedali meno numerosi, ed in quelli in cui non
si ricevono che pensionari, e dove perciò il regime dietetico è
migliore, il numero dei morti è minore, e quello degli ustili
maggiore.
155
a.° Il Manicomio di Torino, quantunque sia stato per alcuni
riguardi sinora sotto circostanze meno favorevoli di quelle de^^li
altri, non è tuttavia lontano da essi per il numero delle guari-
gioni e delle morti.
Finalmente le tavole 3o, 3i e 3a ci danno il ragguaglio
dell' entrata e delle spese dello spedale , non che dei doni a
lui fatti.
Rimandiamo a queste i nostri lettori che bramassero dì sa-
pere quanto si spende al giorno nello spedale , e quanto costi
il mantenimento di ciascun individuo.
Non possiamo però fare a meno di riferire ad onore dello
spirito filantropico piemontese, che i doni fatti a questo utile
stabilimento compresi 86,812 franchi di ricavo di una lotteria
di doni gratuiti , ascesero nel corso di soli sei anni a 876,000
franchi.
Conchiuderemo rallegrandoci col Dott. Bonacossa, ed accer-
tandolo per parte nostra che i tre fini propostisi nel suo la-
voro, e accennati nella conclusione vennero compiutamente da
lui con questo scritto raggiunti , e facendo voti perchè venga
dagli altri impiegati dì pubblici spedali imitato il di luì beli'
esempio.
A. C. MiFFONr Med. Coli.
IO
154
RIVISTA CRITICA
t
SOS'llA i/eRODIANO tradotto da PIETRO 3IA1NZI
Milano, d;ill:i Ti|iogra(ì;i rie' fratelli Sonzogno , iSaj.
-s^«5Ss-
Pietro Manzi nel 1821 pubblicò in Roma con le stampe
del De Romanis una sua versione italiana d' Erodiano , e la
volle dedicata al Conte Giulio Perticari , come a letterato sulle
cui labbra si stava seduta una qualche Iddia persuasibile , e
die per soprappiù aveva oscurata la fama de" vituperatori di
que' due sonimi Dante e Tucidide *i. Il Perticari, ricambiandolo
dell' onoi'evole testimonianza a sé renduta con lettera data
da Padova nel novembre dello stesso anno, e premessa all'e-
dizione milanese del iSaB , giudicò, o dirò meglio, chiamò
tal lavoro del IManzi bellissimo volgarizzamento ^ opera vera-
mente classica , libro insomma che il Monti non si saziava
ancor dal lesgcre e dal celebrare *2. Ma queste lodi sperticate,
che dimostrano 1' indegno abuso , che si fa talvolta della fama
e dell' ingegno , anche da letterati di conto , nel voler o sen-
tenziar di ciò che mal conoscono , o dar vanto a cose di nes-
sun pregio ; queste lodi non erano ancor fatte pubbliche, quando
un collaboratore della Biblioteca italiana ( Tomo XXVI. 1822)
si credette in dovere di far conoscere al Manzi il suo giudizio
intorno al volgarizzamento d' Erodiano ; e lo fece con modi
urbani, e, a mio credere, con buon corredo di dottrina. Or
qual uso crediam noi che facesse il Manzi delle sensate osser-
vazioni propostegli ? Nessuno , e non è maraviglia. Egli nella
prefiizione ci aveva promesso « d' aver fuggito a tutto potere
' I TNrlla IfllciM dedicatoria,
*'! INclIa risposta.
155
» r errore di molti altri "^i , ingegnandosi di dare alla versione
» il corso e la dolcezza dell' italiana favella : « egli ci aveva
insegnato , die « per dare alla dizione tutta la vivacità delle
» forme e per incalorire ed animare gli argomenti è mestieri
» possedere non solo la perfettissima cognizione delle due lingue
» ( che modestia ! ), ma essere ancor versali entro le scuole
)) de' retori *2 » ( quest' ultimo vanto non glielo neghiamo ) :
quindi tranquillo nel suo errore , tanto più dopo gli encomi i
riscossi dal Perticari , nell'anno seguente 1828 fece ristampare
a Milano dai fratelli Sonzogno il suo volgarizzamento, ed un
sol passo vi trovo emendato , leggendovi mezzogiorno in vece
d' oriente (II. 11 ). Perchè poi nessuno più osasse dubitare
del merito classico, classicissimo de' suoi « Libri Vili, dal Greco
in Italiano recati » loro fece porre innanzi quelle lettere pa-
tenti di classicità , le quali aveva ricevute da Padova.
Pensando a quest' imperturbabilità o piuttosto ostinazione
del Manzi , non so come interpretarla in modo che non torni
per lui disonorevole. Poiché io dico , se 1' errare merita per-
dono, se il primo saggio che si pubblica d'un lavoro, seb-
bene imperfetto , è da commendarsi e da criticarsi con ri-
serbo, acciò che si possa veder un giorno condotto a maggior
perfezione : che opinione dovremo avere di chi ammonito ur-
banamente d' esser caduto in gravissimi errori di lingua , di
stile , d' intelligenza 5 come se tutto fosse un nulla , come se
fosse egli infallibile , ti ristampa in sul viso lo stesso saggio ,
pieno di quelle innumerevoli imperfezioni? Se vogliamo affer-
mar il vero, il Manzi mostrò pel suo scritto una predilezione
tale , che è imperdonabile ; il Perticari lodò senza coscienza ;
e r autore dell' art. della Biblioteca italiana era persona troppo
gentile , e per poco gli darei carico della sua urbanità. Egli
all' apparir della seconda edizione , avrebbe dovuto smascherar
appieno 1' impostura del Manzi , che si faceva beile de' suoi
lettori , ripetendo d' aver tradotto quel libro dal greco: avrebbe
*i' Nella prefazione pag. 17. Le vecchie traduzioni d' Erodiauo non essendo
che due , per quunlu io sappia , non capisco chi possano essere i molli altri.
*-i Pag. 16.
156
flovuto Tautor dell' articolo non più dirci a mezza Locca , ni;?
apertamente, che il volgarizzatore nou aveva capilo uè anche
il latino del Poliziano , come apparisce a chiare note da tanti
passi che storpia e scempia bruttamente : dir insomma, che il
riprodurre quell'aborto di traduzione, in cui a pianta pedis
Hsque ad verticem non est sanitas, era un insultare a tutti gli
italiani che sappiano , non dirò già di greco , ma pur un poco
di latino.
A che valse che dal dotto critico gli fosse fatto toccar direi
quasi con mano , che la versione del Poliziano , sebbene am-
mirata per elegante latinità, già sin dai tempi d'Enrico Stefano
era tenuta dai filologi per tutt' altro che fedele ed esatta *i?
A che valse che gli fosse suggerita 1' edizione dell' Irmisch, a
cui va unita la novella traduzione latina del Bergler, che dal
greco meno si scosta , acciocché il Manzi , se non capiva ba-
stantemente r originale , di quella si valesse per rivedere il suo
lavoro ? Egli di nuovo promette nel frontispizio d'aver tradotto
dal greco , ma nella prefazione confessa poi « d' aver pigliato
)> norma dagli antichi (chi son questi antichi?), e da quella
» d' Erodiano stesso, che il celebre Poliziano volse in latino
)) con modi elegantissimi , e tutti proprii di quella lingua *2. »
Il qual prender norma nella lingua del Manzi significa , che
ei seguita per si fatto modo il latino del Poliziano ( quando lo
capisce), che indarno altri lo accuserebbe d'aver dato qual-
che occhiata al testo greco. Cosi si traduce dal Greco. Ma
pazienza se almeno , quel che nou volle o non seppe fare nell'
Erodiano , lo avesse poi praticato quando negli anni seguenti
osò tentare il Tucidide. Allora diremmo, il Manzi se non ha
corretto, la pensava così : « quod scripsij scripsì , ma in av-
» venire, mettendo mano a qualche novella traduzione, mi
» prevarrò degli avvertimenti ricevuti. » Mantenendo quindi
*x Questo afierma pure lo Sclioell nel L. V, 45- della Storia della Letteratura
greca , questo Raoul-Rochette nel suo articolo d' Erodiano nella Biografia uni-
versale. « La vcrsion latine de Politien , regardée à just* titre comnie l'un dcs
)) rhcfs-d'oeuvic de la Ijtinilc moderne , mais non conime un modclc d'exacti-
» Inde et de (idélité. »
*2 Pag 17.
157
lii promessa chi non gli avrebbe data venia dei trascorsi gio-
vanili ? Ma al leggere e al vedere in che guisa ei malmenò
poscia le storie della guerra del Peloponneso , non ho potuto
contenermi ( ancorché sia tardi ) dal non dir ora due parole
dell' Erodiano, per venir altra volta al figliuolo' d' Oloro.
Quindici grossi sbagli d' interpretazione ha già notato lo
scrittore dell' articolo 5 intorno alla lingua poi non so quanti,
e d'ogni specie , ma in tanta abbondanza , tenendo dietro alle
sue pedate , si può ancora più che spigolare , mietere a mezza
raccolta. Se parrà eli' io rammenti alcun che già detto , non è
per pararmi dell'altrui. Se il Blanzi ha ripetuta 1' edizione ,
perchè non potrei io far lo stesso delle osservazioni ? Sarò tut-
tavia parco , ed avendo posto mente che parecchi errori ricor-
rono di continuo, per non rendermi tedioso nell' annoverarli
più e più volte , farò d' accennarli in complesso.
Nomi geografici. Poco mancò che il Manzi non mutasse gli
stessi^nomi dell' Italia e di Roma ; tanta è la smania di sosti-
tuire alle antiche le moderne appellazioni , quantunque vi ri-
pugni la storia. Traduce costantemente la Francia , l' lìighilterra,
r Ungheria , i confini degli stati romani ( romani terminos ini-
perii ), la romanesca marmaglia ( romana plebs ), il contado
di Gizico : quindi i Francesi ^ gVIjiglesi, i Tedeschi, gli Un-
gheri, i Tartari, i 3Iori con loro estrema meraviglia si trovano
gli uni negli eserciti, gli altri in guerra coi romani imperatori;
quindi anche Antonino Garacalla si veste alla tedesca con saio
varieggialo afa il tedesco (IV.). È poi uno sproposito insof-
fribile , che le parole « Quippe ( Bizanzio ) in angustissimo
» Propontidos constituta freto ( II. e V. ) vectigalia piscatum-
» que a mari accipit » vengano tradotte « per giacer ella in
» su lo stretto di Gallipoli., fornita è dal mare di dazj e di
» pescagione *i. »
Nonn militari. Né bastò al Manzi di destare su le nostre
labbra un riso inestinguibile a spese de' Tedeschi e de' Mori 5
che anche dai nomi della romana milizia lùtrovò modo di ral-
*i A maggior commodo della stampa non si farà uso dei greco , tanto pili
che il Manzi uou se n'è valuto iieppur egli.
158
legrarci. Udiamolo. I reggimenti delle guardie mettouo a morte
Pertinace. Severo comanda ai reggimenti Illirici ( coi loro co-
lonnelli ) di accelerar la marcia per unirsi a lui. Egli fornisce
le galere della flotta , e forzando la marcia contro Negro, questi
prega d'aiuto il re de' Parti, che non avea truppe di linea 5
ma quello degli Atreni gli manda alcuni battaglioni d' arcieri.
Emiliano generalissimo di Negro marcia pure co' suoi coscritti
( copias adduxit , quas ipse contraxerat ). Negro è vinto , e i
suoi soldati si ritirano alle collegate trincee del monte Tauro
(HI.). Ma dove lascio le razioni distribuite da Severo all'eser-
cito (II.)? la truppa che si sdegna con Antonino (V.), i tur-
cassi e gli ammitti de' Medi (VI.), il colonnello generale della
guardia (VI. ), i balestrieri e balestratori di Massimino *i, e
la buona mancia che diede all'esercito (VII. )? Non ha voluto
il Manzi nemmen ritogliere ai soldati romani le ridicole ba-
ionette , di che li aveva armati nella prima edizione , né a
Massimino quelle artiglierie , con cui lo fece muovere contro
i barbari *2, e Artabano si lagnò indarno d'essere stato preso
pel gran Signore. Insomma sotto la penna del nostro tradut;
tore ogni cosa muta natura ed aspetto. Materno traveste i suoi
dell' uniforme della guardia per uccider Commodo 5 un Oleandro
di Frigia, della nazione dei venduti all'incanto, fonda in Roma
una sontuosa uni\>ersità ( I.); Antonino vuole che i suoi ufjiziali
prendano i nomi *de' gene/'a/t d'Alessandro magno (IV.) 5 il la-
ticlavo diviene un robone a bolle d' oro (III.) 5 i commedianti
giullari (^ V.), gli anteambulones de' latini, lacchè (III. ), i cor-
rieri postiglioni con dispacci (^lY.), un letto su cui sedea Gor-
diano, un sofà ( VII).
Anche nelle cose spettanti alla religione vuole il Manzi, che
i romani sieu come cristiani : in tempio castrorum due volte
*i Anche nel Hhro I. i5. Maurusioruni in iaculando praestàntissimi , diven-
gono « lancionieri di NuraiJia » poiché Poliz. aveva Iradptto Numidae ; n^a al-
meno aggiunse , iaculal.ores , non lancionieri : tanto è vero che i»on prende
norma da altro testo , e spesso non Io capisce.
*i Non credo che 1' esempio dell' Ariosto possa bastare a difesa delle arti-
glierie romane : i tempi d' Alcina son ben diversi da quelli di Massimino. V.
il Grassi,
159
è tradotto nella cappella ( V. ); Albino par che abbia Dio stesso
ìa disdegno; Dio etc. (HI.); Antonino Eliogabalo rapisce una
vestale nel sacro monistcro delle vergini (V.); e il diascolo rivela
a Materniano chi tendeva insidie ad Antonino Caracalla (IV.).
Dopo aver notati tutti questi vocaboli , tutte queste denomi-
nazioni , che son tanti anacronismi , io dubitai talvolta , se il
Manzi traducesse da senno , o lo facesse per iscberzo , propo-
nendosi di darci vestito alla berniesca uno storico di somma
gravità. Ma le lodi che nella sua prefazione tributa ad Ero-
diano , e il tuono imperativo con cui detta precetti intorno al
traslatare , non concedendomi d' ammettere la mia seconda
supposizione , son costretto a dire , eh' egli dimostra una tale
mancanza di buon senso letterario, che mi par anzi unica, che
rara. Che diranno di noi già vilipesi italiani , che diranno gli
stranieri al leggere, che un tal guazzabuglio di traduzione è stato
ammirato da un Monti , encomiato da un Perticari ? O almeno
la lingua e lo stile adoperatovi li rendesse scusabili dalle lodi
prodigalizzate. Ma anche da questo lato lodarono senza co-
scienza. Ommetteremo certe imperfezioni di grammatica, come
« i beni i più veri e j più solidi, doversi per doverci (I. ) , soc-
comhito (\\\.) ed altri 5 saranno errori di stampa *i; porrò
da banda parecchie frasi o voci che paiono ornai troppo viete »
alliate^ la sacca ^ andette (I.)j penar uno di morte, fu panilo ,
spergiurar gli Dei ( III. ) , ammanire una musica ( IV. ) , uscir
la città j sW orecchia del senato (V.), si stea, patria, eredi-
taggio , in ischeltro (Yl.) , scandoli (Ylll.) ; ma chi gli potrà
perdonare le parole oscene e basse , che deturpano la gravità
della narrazione *2, o i tanti neologismi, o i vocaboli stra-
di I cavalli calcando £ suoi piedi iii su quelle punte (IV.). Severo , siccoiue
quello , che sortilo era vincitore (IH.). Credeano aver caduto di bocca ad uà
tigre eliciuto (V). Gli Unglieri , che gli parea aver combattuto da poltioui
(Vili.). t>' istigò loro. He li aggiudicava a se stesso (VII.).
*2 E anche singolare 1' abuso che fa de' versi dell' Alighieri , di che ha già
fatto cenno l'autore dell' articolo , ma sol di passaggio. • — Si che a bene spe-
rare di potervi riescire gli sarebbe cagione. — Gli stando iìtta nella mente l.i
cara buona immagine paterna (li). — 1 Greci furono inforcati dai Romani. —
Occupar la sella di lui che era vuota. — Per 1' eifetto de' suoi malvagi pen-
sieri. — Autiocliia , piena lutla di sospiri , pianti, ed alti guai. — Por sì bcstiul
160
volti dal proprio significato, o le metafore ampollose, che di
frequente si incontrano ? Accenneremo tutte queste cose ad
un tratto, scegliendo soprattutto quelle frasi, o que' luoghi ,
che mentre ce lo fanno conoscere per uno scrittore di mal
gusto , per un novatore poco felice , anche disvelano che lo
storico non è stato menomamente inteso. Ma chi reggerebbe
a sì lunghe litanie di capricciose locuzioni , di voci barbare e
strane ? Ci sia lecito di accozzarle insieme , e vedremo che
eleganza di modi ne verrà a nascere.
Ckymmodo.
Prima che Marc' Aurelio venisse a morte parte dei Tedeschi
ammutinano per terrore ( dilapsi effugerant ) 5 ma temeva V im-
peratore che durante la pupitezza del figliuolo , forzassero di
scuotere il giogo. Finche non menò moglie, Commodo non
ispazientia di veder la sorella Lucilla assisa sul trono impe-
riale 5 quando poi ^altezza di Crispina imperatrice si volse in
ischerno di Lucilla , questa congiurò contro il fratello , e la
trama fu scoperta da un cve.àn\.o falsario (vaniloquus ). Materno,
che col partir giustamente il bottino ingolosiva, fu secondo a
insidiar Commodo , e malgrado le lettere fulminatrici , scritte
per arrestarlo , il ))rigante ingrandiva se stesso alle maggiori
arditezze, e s' invigorìa d'astuzia. Quel Cleandro, che sopraf-
fatto da' subiti guadagnili fondò la sontuosa università , essendo
valletto di camera dell' imperatore, lo rende più odioso al po-
polo. Commodo fatti venir animali non appariti mai alla vista
de trapassati , dà uno spettacolo, al quale piovono tutti i con-
finanti. Finalmente Marzia la concubina , che 1' avea pregato
inutilmente a non patir che 1' imperio divenisse bordello, gli
dà il veleno , e langueggiante di veleno lo fa strozzar da Nar-
ciso ( L. L ).
seguo mostrato aveva avere cuore e braccia a tal mestiere disciolte ( subdolam
igitur oius ingeniuin factis declaratutn est I ! ) — Si sta come porco in brago
(lutto questo nel solo libro III.). — Di verno pel freddo cielo , fan sì grosio velo
al corso loro (VI.). — Alla Gne di sue parole ( Mas,-.imiuo ) le mani alzò e
sijiiadrolle ecc. (VU-)-
161
Pertinace.
Teme Pertinace d' esser adombrato di lusinghe , ma Eletto
lo assicura di dir cose non ismentihìli. La virtù di Pertinace
fa che le guardie se ne vituperano (ignominiam existimantes ) ,
e però spengono con la morte in sul più bel del cammino le
lodevolissime idee sue.
Settimio Severo.
I soldati , senza sbrancarne , metton 1' imperio all' incanto.
Giuliano che aveva tesori rigurgitanti d' oro e d' argento , in-
dotto dalla ciurma degli scrocconi , dice all' imperio , e 1' ot-
tiene ', ma Severo , il quale avea sognato , che il cavallo lo
passeggiasse (^ prcsagimenti , cui sogliam prestar fede, quando
sortito hanno di riescire ) è anche eletto imperatore in Un-
gheria. Giuliano in letargo non sa che farsi 5 le guardie che
ingolosiscono sempre più d' avarizia , ne sono interrorite (IL).
Severo esorta i suoi soldati per la virtù che li distingue , e
per cai sortiti son vincitori*! , a mover contro Albino. Vittorioso
notizia il popolo. Di ritorno a Roma, Plauziano (il quale è
fama che s' aggraduisse a Severo per istupro), gli congiura
centra ( impresa azzardosissima ) ; e venendo a gola aperta per
ingoiarsi il palazzo , è messo a fll di spada ( HL).
Antonino e Geta.
Fattosi il sacrifizio (lien inteso , prò imperatorum aduentw,
ma il Poliz. avendolo ommesso, il Manzi che non guarda mai il
greco, usa la stessa reticenza) Antonino e Geta prendon l'impe-
rio , e infellonendo l'un contro l'altro di veleni j la cosa andette
a segno che Antonino fesse il cuore a Geta in grembo alla
madre !I Scindendo quindi la verità ne sortì con vanto. Parte
pel Danubio , dove accattivitasi e accatti\^atasi la soldatesca
*i 11 verbo sortire vi s' incontra almeno dodici volte , sempre in senso
«rroneo.
162
coir ammazzar ogni genia di fiere ,,col far pagnotte egli stesso
e mangiarsele, passa a Pergamo, e vi si pasce di Chimere
( somniis captandis se explevit ! ) *i. Vuol farsi sposatore della
figliuola del Gran Signore, e più non capia in sé la gran vo?
glia d' impalmarla (IV.) , .,.•
Macrino ed Eliogabalo.
Morto Antonino si forbisce lo stato con 1' esilio delle spie.
Puttaneggiando Macrino con ornamenti di fibbie ( incedens fi-
bulis ornatus !! ) Mesa, che avea monti di denaro, aiutata da
una risma di l' fuggiti fa acclamar impera tor Bassiano. Il gene-
ralissimo Giuliano r assedia in Antiochia ; col leuar di peso
cofani di moneta e ostentarli, è liberata. Antonino (Eliogabalo)
dichiara Cesare il cugino Alessandro, e il Senato sottoscrive
il risibile decreto. Mammea provvede che Alessandro non im-
bruttisca la dignità del principato ; ma Antonino fa cacciar via
tutti i letterati , che empivano ad Alessandro la fantasia di
bizzoccherie e di soldatesca goffaggine ( emendantes et virorum
officia docentes!! Dove avea la testa il Manzi?) Tutto cade
nel fansp del più. vile e pazzo disordine (V.).
Ma anch' io sono sazio di ravvolgermi in questo fango , e
lascerò che i barbari si promettan yìXXoxìa, non petloreggiando
il nemico, ma scorazzando -^ che gli Ungheri dican peste ài
Alessandro (VI.); lascio, che la fortuna sbalzi sul trono quel
bestione di Massimino , né volendo a canto chi per nobiltà gli
abbia a proporre , come da un' altezza non attendibile , s' in-
golfi ne' progetti tirannici. Infierisca pur il carattere ( come è
narrato nel libro discorso , il VII. ) 5 ammazzi l'amico che lo
a\>ea tratto po' capelli all' imperio , assedii Aquileia , la fui'
mini con saette impecciate di pece, attingano gli assediati acqua
imbrodolata di sangue e di marcia ; a me basterà 1' aver no-
tato parte di quello che ne' libri otto dal greco in italiano recati,
mi parve più lingua di forastierame , che non d' un italiano.
*i Dove ha mai presa questa variante ? Ex uno disce omnes. — Vcggansi
i Commentatori, e Dione Cassio LXXVll , i5.
165
Or rimane , che dopo le frasi spezzate , si prenda a disa-
mina qualche intero periodo , o qualche brano, acciocché ap-
parisca , quanto lunga e dura fatica avrebbe a sostenere chi
tutte notar volesse le imperfezioni, di cui abbonda questo vol-
garizzamento. Incominciamo dal proemio , che tradotto fedel-
mente, dice così :
La più parte di quelli che danno opera a comporre istorie,
e si studiano di rinfrescar la memoria di antichi fatti , aspi-
rando a immortai gloria di dottrina , per non esser involti nella
gran turba che visse nel silenzio 5 nelle loro narrazioni poco
si curano della verità, ma si travagliano soprattutto della frase
e dell' armonia , confidando , che anche col narrare alcun che
di favoloso, pur coglieranno il dolce frutto d' esser uditi, né
verrà impugnata l'esattezza delle ricerche. Or udiamo il Manzi.
« La massima parte di coloro che si sono posti a scrivere
» per tramandar a' posteri la memoria delle antiche storie, nel
» far pompa di recondite dottrine , a fin di rendere il nome
» loro immortale , sogliono adoperare una maggior diligenza
» negli abbellimenti della narrazione , che nella scrupolosa ri-
» cerca della verità : dandosi a credere , che il favoleggiare su
» quei remotissimi fatti non sia in alcun modo riprovabile , ne
» possa impedire che quella incantatrice soavità corrisponda con
» usura a' loro sforzi d' ingegno. » ( Che fedeltà ! e non siamo
che al primo periodo ). Quindi prosegue Erodiano.
V hanno poi di tali , che per inimicizia o per odio di li-
ranni, per adulare od onorar re, città e privati, elevarono cou
l'eloquenza piccole azioni e basse a maggior fama del :vcir0i
Ma il Manzi. , . ,.,,,
« Alcuni altri, mossi da' privati rancori o da odio della "ti-
» rannide , ovvero profondendo lodi strabocchevoli a' principi
» delle città j ed agli stessi suoi cittadini, ingigantiscono oltre
» ogni credere cogli artifizii dell'eloquenza tali cose , che da per
» loro sono umili e basse. » Qui si vede ( e siamo al secondo
periodo ) che non ha inteso, non dirò il testo , ma né anche
il Poliziano che dice k aut in laudes principum , civitatum<y
pnvatoruraque hominum immodice assentationibus effusi. »
Andiani oltre. Marco Aurelio già presso a morte fa agli
164
amici una commoventissima allocuzione , la quale così inco-
mincia (1,4)-
Che voi siate addolorati nel vedermi a tale condotto , non
mi è punto maraviglia ; poiché il mortale da natura è mosso
a compassione delle sventure de' mortali , e le calamità che
gli cadono sott' occhio a maggior commiserazione 1' invitano.
Io poi credo di potermi da voi aspettare alquanto di più 5 im-
perocché dalla mia affezione verso di voi spero meritamente
una. vicendevole benevolenza. Ov è giunto il tempo opportuno,
a me di conoscere, che non indarno per tanti anni mi diedi
di voi pensiero , e v' onorai, e a voi di sapermene grado , di-
mostrandovi non immemori di quanto conseguiste, ecc.
Il Manzi. « Umana cosa è aver compassione degli afflitti ,
•a ed a coloro è massimamente richiesto, che se gli veggono
sotf occhi. » ( Chi dice questo? Boccaccio sì , ma non Erodiano.
La smania di copiar una riga al Certaldese 1' ha messo fuor
di strada. So che un traduttoi'e non dee camminar con le pa-
stoie , ma né anche stravolgere il senso ). « Onde io non mi
)) maraviglio , se voi nel vedermi in questo stato , mi vi mo-
)) striate pieni di cordoglio e di rammarico. Né questi segni
V d'affezione esser possono mentiti ( Marc' Aurelio non ha detto
» nulla di tale ), poiché riguardando a quel che io ho sentito
» sempre di voi , ( il greco dice ben più che sentire ) non
» mi può venire in animo dubbio alcuno della vostra benevo-
» lenza vèrso di me. Ma ora ne viene quel tempo, nel quale
» io sperimenterò se bene o male ho spesi tanti onori e tante
» beneficenze , e voi farete palese non esserne dagli animi vo-t
» stri fuggita la memoria. »
Commodo ( I. 5 ) dopo la morte del padre si presenta all'
esercito , e così lo aringa :
Sono interamente persuaso , che voi prendiate parte al mio
dolore per la calamità sopravvenuta , e ne proviate non minor
cordoglio del mio. Imperocché sopravvivendo il padre, io non
mi riputava d' esser nulla da più di voi. E di vero , amava egli
noi tutti , siccome un solo. Quindi vieppiù godeva chiaman-
domi commilitone che non figliuolo , stimando esser questa
appellazione di natura , e quella comunanza di valore. E spesse
165
volte portando me fanciullo tra le braccia , alla vostra fede
mi raccomandava Or la fortuna mi ha fatto dopo luì
imperator vostro , non intruso come quelli che precedettero ,
alteri del conseguito imperio , ma io solo nacqui per voi nella
reggia 5 né ehbi a vagire in culla privata , ma col venir dal
seno materno mi accolse la porpora imperiale, e il sole vldemi
nato ad un tempo ed imperante. Queste cose adunque nell'a-
nimo ravvolgendo, meritamente mi amerete come principe nou
datovi , ma nato per voi. ecc.
Il Manzi. « Non mi può cadere nell' animo dubbio alcuno
» che io non divida seco voi il dolore della presente calamità
)) ( manca una mezza tinta ). Imperocché, vivente il mio geni-
» tore , non mi sono io giammai riputato da più di chicchessia
» di voi. Ed egli tutti di uguale amore ci amava, e si sentia più
)) intenerire nel chiamarmi commilitone che figlio , per essere
» d'opinione che questo è nome che dà la natura, e quello prò-
» cede da cominunicazione (Poliz. l'ha tratto in errore ) di virtù.
» E ben rammenterete che mi tenendo spesse volte bambino
)) in sulle ginocchia _, passatami alle vostre braccia , come se
» alla vostra fedeltà mi volesse fidare ( anche qui e' è di
» troppo, per non aver letto che Poliziano ) Ora la
» fortuna mi ha fatto dopo lui vostro principe e principe non
» come i primi adottivo e borioso d'essersi acquistato l'imperio,
» ma principe nato eò. allevato in casa regnatrice , e da stalla
ì) fortuna guidato, che, appena venni alla luce, mi trovai
» ammantato di porpora imperiale, e ad un tratto apparvi
•» alla vista del sole e uomo e principe. Le quali cose debbono
» muovere gli animi vostri ad una maggior venerazione di me ,
» che non fui eletto , ma nato sono vostro imperatore. »
Prendiamo pure la parlata di Massimino all'esercito. (VII. 3).
So benissimo che son per dir cose a voi incredibili e
strane 5 ma , come penso , anzi che di maraviglia , degne di
riso e di scherno. Non impugnarono le armi contra voi e '1
vostro valore i Germani , che tante fiate vincemmo ; non i
Sauromati , che supplicano tuttodì per la pace : gli stessi Per-
siani , che già scorreano la Mesopotamia , ora si posano con-
lenti dello stato loro , e raffrenati dalla vostra gloria e virtù
Ira l'armi ^ da loro sperimentata nelle mie imprese , quando
capitanava gli eserciti alle rive : ma i Cartaginesi ( non è egli
ridicolo a dirsi?) i Cartaginesi impazzano, ed avendo per-
suaso o costretto un povero vecchio già per l'età fuor di senno ,
si trastullano con un re da spettacolo.
Il Manzi. «Io debbo comunicarvi cose incredibili e nuove, tali
» però , a mio credere , che non debbono farvi maravigliare ,'
» ma ridere : hanno contro voi impugnate le armi, non i
» Tedeschi tante volte battuti, non i Tartari, i quali a man
■a piegate ci chieggon la pace , e neppure ì Persiani che dopo
» aver scorsa la Mesopotamia si sono racchiusi entro il loro
» paese assaliti dalla paura del vostro valore , e dalle prove
M che facemmo noi stessi quando comandavamo l'esercito che
» difendea quelle ripe : ma, cosa da scoppiar dalle risa, i Car-
» taginesi , i quali, essendosi impazziti, e beffandosi del potere
» supremo , elevarono aW imperio , non so se suo malgrado
» ovvero consensiente un povero vecchio cadente e rimbam-
» bito. )» E così , è peggio , guasta tutta quest' orazione.
Erodiano ( IV. 8. ) parlando delle stravaganze d' Antonino
Caraccalla , ci dice :
Vedemmo anche dipinte certe ridicole immagini , d' un sol
corpo, le quali sotto la rotondità d' una testa sola, avean due
facce semitagliate , 1' una d' Alessandro , e l'altra d' Antonino.
Il Manzi. «Vedemmo similmente certi ritratti ( che ritratti ?
» se lo sogna il traduttore ) ridicolosamente dipinti a due visi
» ritraenti da un sol corpo , V uno di Alessandro , e l'altro di
» Antonino. » Il Poliziano avéa già tradotto poco fedelmente ,
e il Manzi finisce di stravolgere il senso.
Leggiamo per uìiìmaV apoteosi o consecrazione degli imperatori
romani ( IV , 2 ).
E costume de' romani il deificare quegli imperatori , che
venendo a morte, lasciano figliuoli a successori *i 5 e tale
ceremonia chiamasi apoteosi. 3. A questa solennità e sacro rito
scorgesi per tutta Roma frammisto un certo lutto. Imperocché
il corpo del trapassato si seppellisce con sontuoso funerale ,
*t Alcuni codici : lasciano successori o ftt^Uuuli.
167
secondo la consuetudine degli uomini,- ma formata quindi un'
immagine di cera, in tutto simile al defunto, viene esposta nel
vestibolo della reggia , sopra un gran letto d' avorio , levato in
alto , sottoponendovi strati intessuti d' oro. 4- Giacesi quella
pallida immagine a guisa d'infermo ; e dai due lati del letto
la più parte del giorno stanno seduti, a sinistra tutti i senatori
in gramaglia , e a destra le matrone tutte , che per la di-
gnità de' padri o de' mariti partecipano a' più alti onori. 6. j\è
si vede alcuna di esse far pompa d'oro o adoma di monili ,
ma ravvolte in semplici vesti bianche offron l'aspetto di persone
addolorate.
i II Manzi, « E consuetudine de' romani di consagrare quegli
» imperadori che lascian figliuoli o altri successori, e dopo tal
» consagrazione scriverli al calendario degli Iddii. 3. In questa
» cit^costanza si usa celebrare un misto di lutto e di festa ^
)) perchè il cadavere del defunto si sotterra secondo il rito
» sontuosamente , e nel tempo stesso s'impasta un ritratto di
» cera al verisimile , e si situa sopra un grande ed alto letto
» d' avorio , tutto coperto di broccato d' oro. 4- Questo sì
w grandemente imita C originale , che dipinto di pallore, par
)> proprio infermo che giace. Intorno a' lati del letto stanno
)» gran parte del giorno, alla sinistra i senatori tutti in gramaglie,
» a destra matrone venerevoU per la dignità de' genitori o
» mariti, 6. Le quali non abbigliano le persone loro adornamenti
» d'oro o monili , ma vi si conducono vestite di vesti bianche
» e sopraffine per mostrar più cordoglio,
"j. Per sette giorni durano questi riti : e in ciascuno entrando
i medici , s'appressano al letto , e visitato l'infermo , sempre
riferiscono che va peggiorando. 8. Quando poi sia deciso che
è morto , i più nobili dell' ordine equestre , ed eletti giovani
del senato togliendone il letto , lo trasportano per la via Sacra
e lo espongono nel vecchio Foro , dove i magistrati romani
rinunziano con giuramento le cariche. 9. Sono quivi da ambi
i lati certi gradini a somiglianza di scala : dall'una parte fanno
un coro gli equestri e patrizii giovani , e di rincontro un altro
le matrone per dignità cospicue, io. Amendue poi cantano inni
e pcani in onor del trapassato , modulandoli sopra un tono
grave e lamentevole.
168
y. « Usan far questo per sette giorni contiaui , in ciascun
» de' quali si fanno i medici presso al letto , e , come se
» consultassero dell'infermo , asseriscono sempre più peggiorare.
» 8. Quando poi è loro parso esser morto , allora la più scelta
» e nobilissima gioventù dell' ordin cavalleresco e senatorio si
» pone il letto sulle spalle , e per la via sacra lo porta al
» vecchio Foro , dove usano i romani deporre il magistrato.
» 9. Quivi sono certi gradini a similitudine di scale , neW un
» de' quali si stan fanciulli nobilissimi , ne//' altro fanciulle di
» egual nobiltà , che con tuono flebile ed affettuoso cantano
» le lamentazioni del morto.
II. Togliendo quindi il letto , portanlo fuori della città nel
campo che chiamano di Marte. 12. Ivi nella parte più spaziosa
del campo , s'innalza un palco quadrangolare ed equilatero a
forma di un edifizio. i3. Internamente è pieno tutto quanto
di sarmenti , e adorno al di fuori di drappi tessuti in oro, di
statue d'avorio , e di svariate pitture, i^. Su questo ne sorge
un secondo, simile di figura e di ornato, ma più piccolo, con
porticelle e piccole imposte aperte. Quindi un terzo , ed un
quarto , sempre minore del sottoposto , va a finire nell'ultimo
di tutti più angusto. i5. Si potrebbe paragonare la figura di
questo catafalco a quelle specole che sovrastando ai porti, durante
la notte con l'acceso fuoco dirizzano le navi a sicure stazioni, e
chiamansi volgarmente Fanali *i. 16. Innalzato pertanto il letto
al secondo palco, ivi lo posano, e vi apportano e gittan sopra
in copia aromi e tiraiami , quanti la terra produce , ed altri
frutti ed erbe e succhi, che mandino grata fragranza, ly. Impe-
rocché non vi ha popolo, non città , né persona di conto , o co-
stituita in dignità , la quale di buon grado non mandi questi
ultimi doni per onorar 1' imperatore. 18. Poiché si è fatto un
gran cumulo d'aromati , e che tutto ne è pieno il luogo, suc-
*i II Cav. Luigi Bossi , traduttore di Dione Cassio e dell'epitome di Sifilino,
nel chiosare la narrazione dell'apoteosi di Pertinace ( L. LXXIV , 5 ) , non ci
sembra aver ben compreso questo passo. « Eradiano , dice egli , parlando del
rogo di Severo munito, secondo esso, di quadruplice tavolato (anzi dovea scrivere
di cinque «ofo/a<j o palchi), lo paragonò col faro di Alessandria (^r\k d'Alessan-
dria né di Miseuo , ma con qualunque faro ).
169
cede intorno a quel catafalco una corsa equestre. 19. Tutto l'or-
dine de' cavalieri cavalca e ricavalca attorno in bell'ordinanza,
con corso e misura pirricchia. Vanno pur in giro de' cocchi in
simile ordinanza, con sopravi persone vestite di porpora , e
rappresentanti in maschera que' Romani che furono insigni ca-
pitani o imperatori.
« II. Fatte queste ceremonie , prendono nuovamente il letto
» e lo portano fuori della città in campo marzo , ove , per
» quanto è largo ( l'errore è troppo madornale , e meriterebbe
» le spalmate ), si eleva un palco di forma quadrata, composto
» tutto di grosse travi a modo di tabernacolo. iS. E questo
» si riempie di esca aridissima , e di fuori si adorna di ricchi
» strati conlesti d'oro , di figure di avorio, e di pitture varie
)) e bellissime. 1^. Nel dritto mezzo del tabernacolo se ne distingue
» un altro alquanto più piccolo, e a ingressi aperti, ma non
» dissimile né di forma, né d'ornamenti. ^ eguale indicazione
» un terzo, e similmente un quarto, di mano in mano digradantisi :
M e cosi gli altri tutti sino a che all'estremo si perviene che
» di tutti è il più piccolo. i5. Si può assomigliare questo edifizio
» a quei che torreggiano ne' porti , e dan lume di notte ai
•>ì naviganti per guidarli ad ancorarsi in sicuro, e che volgarmente
» son chiamati fanali. i6. Elevato dunque il letto nel secondo
» tabernacolo, vi gittan dentro e vi ammontano aromali, profumi,
M unguenti e frutta ed erbe le più che si hanno odorosissime,
ì) l'j. Imperocché e le nazioni, e le città e chiunque di qualche
» dignità sia insignito, garcggian tutti ad onorare le esequie
•>ì del principe. 18. Quando si è ammucchiato un grosso mucchio
» di spezierie, né parte alcuna n'è senza, allora cavalca intorno
•» a\Yeài{\z\o iìin anzi e indietro l'ordine de' cavalieri, torneando
» con certa legge e con moto detto pirricchio. 5i fanno pur
» rotear de'cocchi <^a'coccAie/t abbigliali di porpora, e mascherati
» di masclicre rappresentanti i passati illustri generali e im-
» pera lo ri. »
^^o. Terminate queste corse, il successore all'imperio togliendo
in mano una fiaccola, l'appressa al catafalco. Allora gli altri
vi appiccano da tutte parli il fuoco, che per la stipata quan-
tità di sarmenti e di tiiuiami , consuma facilmente ogui cosa.
II
170
2iì. E dairultimo e più piccolo palco, quasi da uno spaldo, par-
tesi un'aquila levandosi in un col fuoco per l'aere, e credesi
dai romani che rechi dalla terra in cielo 1' anima dello impe-
ratore, che da quindi innanzi è venerato con gli altri Iddii.
« 20. Finiti questi spettacoli , il principe ereditario prende
» una fiaccola e dà fuoco al tabernacolo. Tutti allora si affrettano
» ad avvivar la fiamma , la quale in un attimo quella secca
}) e resinosa stipa comprende e consuma, 22. Quindi messo
» fuoco all'ultimo e più piccolo tabernacolo, si fa dal più alto
» punto di lui volare un' aquila , che si crede rechi in cielo
)) l'anima del principe. E d'allora in poi il defunto imperadore
•» si venera al par degli altri Dii. »
E qui porrò fine , più non rimanendomi che da dedurre un
corollario. Se nel travestire Erodiano dimostrò il Manzi di pos-
sedere SI fattamente la perfettissima cognizione non solo delle
due lingue, ma anche d' una terza che è la latina 5 che sarà
mai del suo Tucidide ? Si haec in viridi, in arido quid fiet?
Sarà questo, come dissi , argomento d'un secondo articolo. In-
tanto premettiamo che il Ch." sig. Ambrosoli , quando ne fece
parola nel voi. LIX. della Bibl. Ital. si mostrò nel suo giudizio
troppo indulgente. Bisognava fin d' allora far sentire agli stra-
nieri , che r Italia disdegnava quella parodia del più grave
degli storici. Sì questo voleva esser fatto , acciocché i Didot e
gli Osiander , gli Arnold e i Poppo con gli altri celebri com-
mentatori non abbiano a smascellar dalle risa a spese di noi ita-
liani. Sia quindi lode al dotto e modesto Fiorentino Pasquale
Boni , il quale con la novella sua versione di Tucidide ci ha
liberati in gran parte da quest' onta. Quel che, a mio parere ,
rimane tuttavia a desiderarsi in quel lodevole suo lavoro, l'ot-
terremo e da lui in una seconda edizione, e dalla traduzione
dello stesso storico , che il eh." Cav. Peyron ha come condotta
a fine, con quella penetrazione d' ingegno, con quella filologia
e dottrina, che gli eruditi d'Europa ammirano nelle letterarie
sue produzioni.
C. D.
171
ULRICO E LIDA
Novella di Tommaso Grossi.
{Torino, presso ScUiAppati, iSSy. Un Tol. in-ia ).
Noi altri avversari aperti de' sonetti e delle canzoni Petrar-
chesche o Guidesche , e ancora de' versiscioltai Frugoniani ,
Pindemoatani o Cesarottiani , e degli anacreontici Savioleschi,
e insomma di tutti i verseggianti per imitazioni oramai esau-
rite ; noi altri, dico, siamo sovente accusati di muovere guerra
alla poesia , e cosi di rinegare quasi contro natura una delle
più belle glorie della patria nostra , una delle facoltà più pro-
prie dell'ingegno italiano. Né è meraviglia se si faccia cosi ;
che di tali gratuite accuse , di tali esagerazioni , di tali rispo-
ste a ciò che non s' è detto, nutrousi le dispute tutte, le let-
terarie come r altre. E che farci ? Replicare alle risposte ,
per poi rispondere alle repliche senza fine, senza niun frutto?
Mai no; che chi è buono a far qualcosa al mondo, ben altro
ha da fare che dispute ; ma se ci si porga mai un' occasione
di ammirare da noi , e quindi di pubblicamente lodare qual-
che poesia diversa da quelle biasimate , parrai che a noi stia
più che a niun altri di segnalarla , per mostrare col fatto che
non siaujo poi que' barbari, quegli animi anti-poelici, o peggio
anli-italiani, che si vorrebbe far credere da taluni, perchè non
lodiamo alla rinfusa tutto ciò che si fa o si scrive in Italia.
Una di queste liete occasioni di lodare, ci è data ora dalla
presente novella in ottava rima di Tommaso Grossi. Il Grossi
172
è inventore o introduttore fra noi di tal genere di novello
poetiche ed affettuose. Le novelle veramente sono molto antiche
non solo in Italia, ma nella letteratura generale de' popoli
europei; che come i racconti d'ogni sorta sogliono trastullar
r infanzia di ogni uomo , e come i rapsodi trastullarono già
quella dell'antica società , così i novellatori trattenner la nostra
nel medio evo. E trovatasi in Italia al i3oo la società più
avanzata, la lingua più formata che altrove, sorse naturalmente
un novellatore italiano superiore agli altri , e di lingua cosi
colta che egli diventò poi uno de' padri di questa. Così la
novella rimasta altrove un genere secondario di letteratura ,
diventò presso di noi un genere classico; classico, dico, secondo
l'origine e la sola buona significazione della parola , la quale
comprende tuttociò che in ogni paese si studia nelle classi
delle scuole. Quasi tutti i nostri novellatori sono autori di
lingua; dati a modello per excerpta nelle scuole ; e letti poi
anche troppo avidamente dagli usciti di esse. Imperciocché pur
troppo essi portano seco e mantengono un difetto capitale dello
stato rozzo della società in che nacquero; e non solo la sguaiatezza
delle parole , ma la volgarità de' fatti e quell'aspetto prosaico ,
triviale e materiale della vita umana , il quale s'io non m'in-
ganno è uno de' maggiori errori , una delle maggiori disgrazie
in che possa cadere mal una nazione , e in che pur troppo
cadde sovente la nostra. Gran danno , gran peccalo che abbia
potuto più, che si sia più sparso questo modo di vedere e sen-
tire , che non quello tanto diverso , tanto poetico ed appas-
sionato, e s' anco si voglia, esagerato degli altri due nostri
Dante e Petrarca. Diciamolo pure: noi altri meridionali siamo
troppo sovente esageratori ; ed ora ci lasciamo rapire dalla
nostra natura affettuosa, appassionata e poetica ; ora cadendo
stanchi da quella ci abbandoniamo quasi per disperazione a
quell'altra natura nostra , a quella vita pigra , oziosa o viziosa e
inditierente , che ci è ritratta dalle nostre novelle.
So che il Boccaccio sommo scrittore , e dopo lui alcuni suoi
imitatori toccarono talvolta da maestri alcuni affetti. Due delle
più patetiche composizioni che siano al mondo , V Otello ,
e Romeo e Giulietta, sono tratte da' nostri novellieri. Ma in
173
queste il maggior merito d' aftetti è del poeta straniero 5 qua-
lunque sia quello del Boccaccio nella Griselda ed in alcune
altre novelle, egli è lontano ad ogni modo dai due clie die-
dero vita immortale alle loro Laura e Beatrice , da colui prin-
cipalmente che la diede in pochi versi a Francesca , alla Pia,
ad Ugolino.
Questo sentire prosaico de' nostri novellatori fa quello pro-
babilmente che li trattenne sempre dallo scrivere in versi , al-
tronde cosi facili appresso a noi. E quando il Casti , primo
ch'io sappia fra noi , scrisse novelle in versi , elle rimasero
pur prosaiche nel modo di sentire. Ma nota bene che io le
dico prosaiche , non perchè facete , ma perchè elle non mi
paiono poeticamente facete. Imperciocché certo pure vi può
essere e v' è poesìa nella facezia; e ce n'è non solo quando la
facezia corregge , ma quando ella pur desta ridendo gli affetti
teneri o impetuosi , gli affetti poetici dell'anima. Chi non co-
nosce le lagrime di tenerezza talora scoppianti da una facezia ?
E infelice colui che non ha sentito poesia, una poesia troppo
diversa^ da quella del Casti , nelle facezie del divino Ariosto,
di Cervantes, di La Fontaine, di Molière, e di Shakespeare.
La poesia di tutti questi consiste principalmente in un. certo
candore, e poi negli affetti che tralucono anche in mezzo alle
loro facezie. E la perfezione è forse poi quando ( come in
D. Quisciotte , e nel Misantropo ) 1' autore trova modo d' in-
teressare per lo stesso protagonista , per 1' oggetto contro cui
rivolge le sue celie. Allora spoglie queste di ogni amarezza
lasciano 1' animo aperto ad ogni affetto migliore, [e lo rivol-
gono non contro i vizi grossolani , che saltano agli occhi di
chicchessia, ma contro i difetti, le esagerazioni della stessa
virtù , che pur si vogliono correggere. Ma sono rare queste
opere, e rari quegli autori privilegiati di quel senso squisito
della buona celia, che sta egualmente lontano dai due estremi
della grossezza e della ricercatezza; ed io dico il vero po-
nendo in ciò al par di qualunque straniero due italiani , Ario-
sto e Manzoni, non veggo pur troppo ad essi molti imitatori.
E qui tuttavia sarebbero desiderabili.
Il Grossi ne' suoi scritti milanesi , ai quali ebbe per com-
174
pagno il Porta, è scrittore faceto in quel genere poetico, che
dico io , e che non sarà forse approvato da tutti. Ma ad ogni
modo lasciamo ciò ; cbè in questa come nelle altre sue novelle
italiane il Grossi è sì narrator piano, semplice, e per così dir
popolare, ma non faceto, ed anzi dolcemente mesto. Ed a que-
sta sua seconda maniera egli venne a poco a poco dalla pri-
ma. Tutti coloro la cui memoria letteraria risale a 20 anni
addietro si ricordano certo di quella carissima Fuggitiva dettata
prima iu dialetto milanese , e poi da esso tradotta in italiano
molto opportunamente , quantunque forse si desideri in questa
come in ogni traduzione la mirabile spontaneità dell'originale.
Le lodi ricevute per tal saggio , o più probabilmente quella
compiacenza nell'opera propria , che m'immagino non manciù
mai all'autore d'una opera bella, fecero al Grossi scrivere poi
Vlldegonda , ed ora dopo altre prove in altri generi , il fanno
tornare a quello cbe gli procacciò la sua gloria giovanile, e ci
danno l'Ulrico e Lida. Dopo la Fuggitiva , ma non so se prima
o dopo rildegonda , avemmo quell'altra pure così cara novella
della Pia di Sestini , che fece a tutti increscer tanto della
morte immatura di lui. Né d'allora in poi fu fatta , ch'io sap-
pia , altra prova in questo genere; che le cantiche di Silvio
Pellico come han titolo, così hanno stile e modo e per lo più
metri diversi. Tal genere rimane dunque finora quasi esclu-
sivamente del Grossi.
E tanto più gli dobbiamo esser grati perciò di tornarvi.
Il genere è certo eminentemente italiano; italiauissimo essendo
il novellare e il poetare , e massime in ottava rima metro
tutto nostro , il più adatto che sia alla narrazione poetica , e
metro difficile ai non poeti , ma facile per quanto odo a dire a
coloro che sortirono una vera vena di stile poetico. Del re-
sto , diciamolo pure, né l'Ulrico, né la Ildegonda nemmeno,
non arrivano alla Fuggitiva. Questa è una di quelle ispirazioni
che vengono di rado o una volta sola anche agli ingegni più
pellegrini , che sorgono da una di quelle impressioni giova-
nili, le quali non tornano mai più, e che ritraggono una di
quelle situazioni semplici le quali sono rarissime per se stesse.
li Lebbroso del Maistre, la Teresa Viomyn ( o Vyomin) di
175
Campbell, l'Ourika della Duchessa di Duras, l'Eugénie Grande
del Balzac non ebber soi-elle pareggiabili ad esse. Ma che per-
ciò? Tutti questi dopo la prima novella fatta forse senza saper
di farla così bella , ne rifecero pur dell' altre ancor belle , e
fecero benissimo. Che qui più che in niun' altra cosa si può
dire, essere il meglio nemico del bene ; finché si fa bene si
dee pur continuare senza comparazione al meglio che s'è fatto;
e quelli solo debbono tacere , che si sentono ridotti a non
poter più far bene di ninna maniera. Né questo è certamente
il caso del Grossi , il quale ci dà ora l'Ulrico, novella piena
d'affetti buoni, naturali, tanto lontani dall' affettazione senti-
mentale del secolo scorso, quanto dal furore spiritato di molti
viventi, e novella scritta in quello stile poetico, facile e piano
di che l'Ariosto diede già un sì bello esempio fra noi, e che
il Lamartlne ed alcuni altri cercano di far prevalere presso i
nostri vicini.
Del resto confortando quanto sta in noi l'Autore da noi
ammirato , a continuar in questo genere nuovo quasi tutto suo
di novelle poetiche, noi ardiremo aggiugnere un'altra preghiera.
Certo ei non dee sperare dì rifare una Fuggitila. Non è possi-
bile, né utile imitare intieramente, nemmen se stesso. Ma in sé,
come in altrui sono pur cose imitabili , ed una di queste per
il Grossi sarebbe , s' io non m' inganno , il liaccostarsi a' tempi
nostri. Egli é d' una scuola, o se si voglia d' un crocchio di
scrittori pregevolissimi come per altre parti , cosi anche per una
cognizione profonda , e quasi passata in sangue , della storia.
Fanno romanzi e novelle , nelle quali è più storia forse , che
non in molte composizioni dateci per istorie pure. Né io vorrei
certo scostare i oostrì scriltoi-i d' opere d' immaginazione dall'
illustrare la storia nostra, il nostro fecondissimo medio evo;
ed anzi lo raccomanderei molto agii autori drammatici , a cui
giova mettere in certa lontananza i loro personaggi , riavvici-
natici di soverchio sulla scena. La tragedia vuol dignità , e
si sa che questa s' accresce colla lontananza. Ma nelle narra-
zioni non è tal pericolo. E noi abbiamo avuto oramai tanto
medio evo nelle novelle e ne' romanzi , che il gusto univer-
sale se ne scosta per fastidio. 11 Manzoni riapprossimandosi a '
176
noi (li due o tre secoli , piacque tanto piùj Walter Scott (a
tanto grande nel Waverley come nel medio evo 5 Balzac suc-
cessore di lui in popolarità , non si scostò mai dalla nostra
età ; cosi pur fa quell' infelice e mirabile ingegno di Giorgio
Sand; e Tommaso Grossi narrando un episodio de' tempi no-
stri ci diede un giojello inarrivabile forse , ma pur utilmente
imitabile in ciò.
Non faremo poi a' lettori il cattivo ufficio di spiegar loro in
noiosa prosa il contesto della novella eh' essi possono leggere
in graziosissinii versi. Ma a dar loro un saggio di questi che
li invogli a leggere il rimanente , ecco come 1' autore vien nar-
rando il principio degli amori di due giovani, l'uno nemico
in casa dell' amata , e questa naturalmente e tanto più in sé
riserbata.
Tanto eh' a inculta giovenil vergogna
Quel riservo apponendo , la riprese
La genitrice, dandole rampogna
Di salvatica troppo e di forese :
Che a ben nata fanciulla non bisogna
Atto usar , le dicea , tanto scortese ;
£ quasi ad amansarla e farla pia ,
L'ospite commendando le venia.
Ed ella a poco a poco quella ombrosa
Verginal peritanza temperando ,
Con una voluttà timida , ascosa
Al materno obbedia dolce comando.
Non parca veramente umana cosa ,
La verecondia si l' ornava , quando
Seduta con la madre , il viso basso
Levava al suon d' un conosciuto passo.
177
Di sì ingenua beltà , di quel pudore
Il giovane gentil tosto s' accese ,
Ma nemico in sua casa , il novo amore
Non s' attenta però farle palese -,
Che irai ? per gli occhi in pochi giorni il core
Arcanamente 1' un dell' altro intese :
Mesto della sua cura ognun si piace
E in quel novo desio struggesi e tace.
Oh come ratte ai due segreti amanti
Di quel verno trascorser le giornate !
Che -eteree gioje , che soavi pianti !
Con che dolcezza occulte ire placate !
E quante sol pel guardo e pei sembianti
Care cose fra lor significate!
E com' eran le conscie anime pronte
Al lene imperio dell' amata fronte !
C. B.
178
CiRiFFO Calvaneo COMPOSTO oA LucA de' Putcì a petizione del
magnifico Lorenzo de' Medici, restituito alla sua antica le-
zione con osservazioni hibliograjico-letterarie di S. L. G. E.
Àudia socio di varie accademie.
Firenze. Tipografia ArcivescoTile , i854'
Questo poema di Luca Pulci uno di que' tanti cavalleresclii,
di cui soprabbondò la letteratura italiana nel XV e nel XVI
secolo era diventato a di nostri oltremodo raro , stantecbè
dopo il 1672 nel qual anno fu egli stampato dai Giunti in
Firenze , nessun' altra edizione ne venne più fatta ; forse per-
chè non pareva metter conto 1' impresa. Onde il CirifFo non
aveva, si può dire, quasi più vita, che nelle pagine del Tira-
boschi, del Quadrio, del Corniani e d'alcuni altri storiografi o
critici, i quali ne parlarono più o meno gli uni per non man-
care al dovere di storico, gli altri, credo, per aver materia d'e-
sercitare l'arte loro. Ma a rialzare dall'obblio , in cui a poco
a poco cadeva, senza che quasi vi si ponesse mente, il CirifFo
s'adoperò la carità d'un dotto bibliografo il sig Audin 5 il quale
cercando per ogni parte e raffrontando insieme con maravigliosa
pazienza e solerzia bibliografica molti esemplari di diverse edi-
zioni , ridusse questo poema alla sua antica lezione, v'aggiunse
in fine 29 stanze, delle quali volevasi a gran torto defrau-
dare il povero Pulci, e fece di questo poema una nuova edi-
zione dopo oltre a due secoli e mezzo di silenzio tipografico.
Tanto è vero , che i bibliografi cui la moltitudine dei libri
rende di dì in dì più necessari , e quasi indispensabili alla
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nominanza di molti autori, si potrebbero in alcuna parte asso-
migliare o alla fama di Virgilio
. . . . Cui quot sunt torpore plumae ,
Tot vigiles oculi subter, mirabile dictu ,
Tot linguae etc.
o ai cigni dell'Ariosto ,
Che vengon lieti riportando in bocca
Sicm'ameute il nome che lor tocca.
o a qualcbe altro essere fantastico schiuso nella mente de'poeti.
Sebbene il GirifFo si componga in sostanza di quei medesimi
elementi, che sono propri di quella specie di poemi, cui esso
appartiene , e vi si rappresentino a un dipresso le stesse guerre,
gli stessi eroi, i medesimi casi, le medesime stranezze , onde
empierono le lor carte i poeti cavallereschi; tuttavia la storia
di Ciriffoj e del Povero Avveduto suo compagno, la quale
forma la parte principale di questo poema, ha qualche cosa di
men ovvio, di strano e dì commovente ad un tempo. — CirifFo
ed il Povero nacquero di due amanti tradite , le quali dolenti
e fuggitive lungi dalla patria il caso condusse per diverse vie a
certo solitario luogo, dove un vecchio pastore le raccolse sotto
il povero suo tetto. Quivi Massima e Paliprenda (tali sono i
nomi delle due belle sconsolate) quella uscita di nobil fami-
glia romana, e già madre dì Girìffo , questa discesa del sangue
regale d'Epiro ed incìnta del Povero, si narrano a vicenda la
compassionevole storia de' loro amori , confondono insieme le
loro lagrime:
E come avvien tra le persone meste
Mitigò l'una dell'altra l'affanno.
La solitudine , il dolore , la comunanza de' casi legò subita-
mente in dolce amicizia le due afllìtte nate ad amare.
Ma Paliprenda come piacque a Dio
Ne' nove mesi partorì il figliuolo ;
E perchè egli era povero venuto
Gli pose nome il Povero avveduto.
180
Quivi lor vita solitaria e strana
Tennon più mesi queste lueschinelle :
A Paliprenda alfin certo mal prese
Tanto che questa vita abbandonoe
E come savia , poi che il vero intese
A Massima il fìgliuol raccomandoe.
Che col suo latte a nutricarlo attese ,
E come proprio fìgliuol l'allevoe.
E come tortoletta ogni or si lagna
Poiché perduta aveva la sua compagna.
Crescevano intanto belli e forti e graziosi i due garzoni ed
Eran l'opere lor conforme
Ne' gesti , e ne* costumi , e ne' sembianti
SI che ei parean quasi gittati in forme.
Tornando essi un di dalla caccia, e postisi a riposar sull'erba,
Massima
Determinò dovergli ammaestrare
De' padri , e come gli avean generati.
E narrò loro come Guidone guerriero famoso della casa di Ner-
bona ingannasse con mentite promesse Paliprenda donna reale ,
poi la lasciasse gravida e sola, e come Antaadro figliuolo del-
l'impera tor di Costantinopoli ingenerasse di lei CirifTo, e tol-
tala di Roma, e per molti mari aggiratala l'abbandonasse al-
fine sopra r inospitale isola delle Strofade. Le parole di Mas-
sima accesero tale ira negli animi de' garzoni, che giurarono
ad ogni modo di far vendetta sopra i padri loro. Indi a poco
tempo Cirifib composto alla misera madre dal dolor consunta
il sepolcro allato a quel di Paliprenda s'avviò verso la Grecia
solo ed in abito di peregrino, e pervenuto a Costantinopoli
recò ad effetto il suo proposto uccidendo in una caccia An-
181
tandro , che s'era dagli altri sbandato. Condottosi quindi in
Roma fé' confessione del suo peccato , e
Costretto fu di far promissione
D'andar peregrinando umile e pio
A vicitare il sepolcro di Dio.
Cosi passò in Gerusalem e quivi
Satisfe' al voto , e in sul monte Carmello
Romito fessi:
Il Povero, com'era suo destino, sopraggiunto mentre dormiva
da una mano di corsari che pose in terra là dove egli era per
far preda s'acconciò con loro, e levato sopra una loro nave fu
condotto ad Ascalona , intorno a cui si travagliava da più anni
in guerra contro Tibaldo re d'Arabia , che v'era dentro chiuso
colle sue genti , l'esercito cristiano di Luigi re di Francia figlio
di Carlo il semplice , accompagnato in quella spedizione dai
più famosi guerrieri franchi , e tra gli altri da Guidone. Colà
il Povero messosi sotto le bandiere di Tibaldo fé' prove mi-
rabili di valore cavalleresco ,• tantoché per opra sua S. Pietro
dovette sudare
A metter drente gente senza annovero.
Si scontrò con Guidone saldo in suo proposto di dargli
morte, sebbene talfiata inorridisse pensando l'atto disumano ;
ma non gli venne fatto di ucciderlo j e dopo molti casi avver-
tito una notte da una voce misteriosa di lasciar quella terra
infedele, d'ire a trovar CirifFo sul Carmelo, e farsi da lui bat-
tezzare si dirizza senza più a quel cammino; ed in quella fu
fatta la pace tra Luigi e Tibaldo.
Qui finisce il poema del Pulci, il cui tema è ricavato, se-
condochè pare, da un antico romanzo in prosa, che s'intitola
Vita del Povero ecc. Il CirifFo venne poscia continuato dal
GiambuUari, ma non condotto a termine, o per meglio dire
non portato tant'oltre , quanto si stende colla sua narrazione
il romanzo sopramentovato. La storia dei due garzoni è quella
che domina tutto quanto il poema j a lei si legano tutti gli
18-2
altri avvenimenti, ond'egU s'intreccia; i quali, a dir vero, non
sono né nuovi, né gran fatto interessanti. Cavalieri , battaglie,
armi ed amori tutto v' è usitato: il poeta si venne aggirando
circa vilem patulumque orbem; né fu da tanto da rinnovellare
in certo modo , e far sua propria la pubblica materia coll'arte
consigliata da Orazio.
Il Corniani toccando del Ciriffo e di due altri poemi dello
stesso Luca Pulci la Giostra dì Lorenzo de Medici e il Dria-
deo, giudica non altro avervi in essi da apprendere fuorcbè un
ampia farraggine di riboboli del favellar fiorentino. E veramente
v'abbondano questi cosi pretti , e squisiti da far venire l'acquo-
lina in bocca a cbi fosse gbiotto di siffatto leccume fiorentinesco.
Ecco un' ottava che par proprio uscita di bel mezzo a Mer-
cato Vecchio ; parla del traditore Falcone che ordisce a Tibaldo
un inganno :
Or qui Falcone si doleva e miagola
E mostra per lanterna men che lucciola;
E scuopre i bossoletti e la mandragola,
E spaccia per un dattero una succiola,
Pensa tu , la corbezzola per fragola ;
Camulfa '1 barbio , e non fa neve o sdrucciola ,
E mette or drento, or fuor la filistroccola
0 vermenella , o bagatella , o coccola.
Ci duole , che l'opera e la fatica del dotto bibliografo edi-
tore , il quale non mancò per nulla alla parte sua, siasi con-
sumata intorno a cosi fatto lavoro con tanta poca utilità della
letteratura italiana , a cui bastano per questo verso se non son
forse già troppe le lautezze del Malmantlle , e di tanti altri
novellieri e poeti. Non mancano certo scritture antiche di va-
lenti italiani o dimenticate o poco conosciute , e degnissime
tuttavia d'essere riposte in luce. Rivolgendo a queste il suo
acume e la sua dottrina bibliografica , oltreché il farebbe con
più suo diletto , potrebbe l' erudito bibliografo molto meglio
meritare delle lettere italiane , il cui amore mostra che gli
sìa grandemente a cuore.
Il poema del Pulci, per dirne pur qui alcuna cosa, non ha
185
per teatro principale della sua azione una sola provincia della
Francia, o dell'Inghilterra, come quegli altri poemi di caval-
leria che presero a celebrare le gesta di Carlomagno e de' suoi
paladini contro gli Arabi , e le avventure onde ebbero sì gran
fama i Pirenei, ovvero a ravvivare le tradizioni del Re Arturo
diffuse da lungo tempo nella Cornovaglia , precipue sorgenti le
une , e le altre di poesia cavalleresca. Egli appartiene a quella
terza spezie di poemi cavallereschi, i quali trasferirono la loro
azione in altre e più lontane terre, tolsero a materia del loro
canto nuovi eroi di diverse schiatte , e raccolsero in un fascio
tradizioni di ogni spezie romane , greche , trojane. Mancando
al Pulci potenza avvivatrice d' ingegno bastante colla sua effi-
cacia a dar calore , movimento , e vita ad un tema già per
lunga età svanito, il suo poema doveva di necessità riuscire una
morta poesia. Per condurre il suo lavoro egli derivò dalla ca-
valleria concetti, imagini e colori, ma non seppe far rivivere
nel suo poema la freschezza, il candore , la gioventù della poe-
sia cavalleresca , non seppe raccenderne le reminiscenze , rav-
vivarne le tradizioni , rinfrescarne i colori.
La poesia cavalleresca, gentile innesto come la cavalleria stessa
d' arabo , e di settentrionale , originata dal cuore , dalla reli-
gione, e dalle costumanze de' tempi, suonò assai diversamente
dall'antica, fu principio d'un nuovo poetare, e cantò princi-
palmente r amore , e i grandi fatti di lancia,
Le donne , i cavalier , l' arme , gli amori ,
come scrive 1' Ariosto. Quella poesia fu allora piena di gio-
ventù, e di vita; i suoi racconti risvegliavano le più care me-
morie, alimentavano i più gentili affetti; le tradizioni che ella
prendeva ad abbellire eccitavano al sommo grado 1' interesse
popolare , ella teneva quasi luogo di storia , anzi quanto più
la vera storia veniva mancando , tanto più s' accresceva il de-
siderio , e il diletto dei canti romanzeschi. Nella Spagna so-
prattutto , dove sorse dapprima lo spirito cavalleresco per la
vicinanza de' Goti, e degli Arabi, dominò lungamente la poe-
sia romanzesca, delizia di quelle accese fantasie, e le romanze
di Abenamar , del Re Giovanni , e delle guerre civili di Gra-
184
nata suonavano care, e gradite sul labbro delle vergini inna-
morate. Quel gusto nacque è vero in gran parte dall' ignoranza ,
e dalla superstizione, siccome ne son prova le tante stranezze ,
ìuverosiiuigliauze , ed assurdità , che occorrono in que' poemi ;
ma finch'egli signoreggiò que' racconti , que' canti , quelle tra-
dizioni furono V alimento del pensiero , e la delizia della ca.-
valleria. Era la poesia de' tempi.
Ma allorché dopo il periodo delle visioni , e de' viaggi ima-
ginarj la poesia italiana che parca già tutt' altramente avviata,
si rivolse nel XV e XVI secolo ai temi cavallereschi , risuscitò
vecchie leggende per trarne materia di poetare, e diventò quasi
tutta romanzesca; molti tra coloro che v' esercitarono il loro
ingegno produssero sovente cose mostruose contraffatte. Conser-
varono nei loro nuovi poemi tutte le stranezze degli antichi ro-
manzi; ma non seppero mantenere la grazia, il candore, la
freschezza d' imaginazione , che formava il pregio loro princi-
pale. Riprodussero le forme , ma non lo spirito , l' essenza , il
nativo linguaggio di quell'antica poesia; doti, per cui tanto si
celebra e si ammira l' incomparabile romanzo del Cervantes.
Onde la loro poesia non è quasi altro che un artificio , un
giuoco, senza ispirazione, senza scopo; quale appunto pare a noi
doversi giudicare la poesia del Ciriifo. Almeno ì poeti delle vi-
sioni , che precedettero i cavallereschi , dominati dal Guelfismo
o dal Ghibellinismo avevano uno scopo ed un sentimento che
li guidava; né la loro poesia era un puro scherzo d' imagina-
zione lussureggiante che si tenta invano di nobilitare colla pre-
tesa allegoria. Il nostro giudizio non cade qui , seppure è bi-
sogno avvertirlo, su tutti i nostri poemi cavallereschi, alcuni
de' quali voglionsi meritamente sceruere dalla volgare schiera.
G.
185
IL BUON FANCIULLO
Racconti d' un Maestro elementare, pubblicati da Cesare Canlù.
( Milano 1837).
Considerazioni generali sulla letteratura pedagogica e didascalica.
Non è certamente ingannevole quella comune credenza, che
chi ama i fanciulli dà seguo di avere un' anima buona e gen-
tile. Senza citare Esopo che giuocava alle noci coi ragazzi , noi
possiamo aver tutti conosciuto uomini gravissimi e di alto af-
fare dimenticare le cure solenni del proprio stato e rasserenare
la fronte corrugata per bamboleggiare e trastullar co' fanciulli.
Se uno sventurato avesse colto questi' momenti per richiederlo
di ajuto , certamente 1' avrebbe ottenuto. E più d' una bella
scorgendo taluno incurvarsi per accarezzare e festeggiar pargo-
letti senti sorgere nel cuor suo una simpatia per quest' uomo
sensibile , e chi 1' avesse osservata in tal istante avrebbe sor-
preso in sulle sue labbra un sorriso di compiacenza e di grati-
tudine per chi forte e soggetto al turbine delle passioni ren-
deva quella specie di culto all' innocenza ed alla debolezza.
Molti di questi sorrisi avrà sicuramente già ottenuto quella
beli' anima di Cesare Gantù cogli eccellenti suoi scritti sull'e-
ducazione morale e letteraria de' fanciulli ; ma premii certa-
mente di gran lunga maggiori ed assai meno fuggevoli lo at-
tendono e gli sono dovuti.
A lui difatti non bastò aver fama di dotto e di scienziafj ,
ma discendendo dalle rupioni più ambiziose della filosofia e
12
186
della storia, non vergognò di abbassarsi sino ai fanciulli e in-
tertenendosi con essi raccontar lox'o amorevolmente alcune no-
vellette morali : persuaso clie il primo ufficio della filosofia e
come il compimento di essa si è lo adoperarsi nel pratico mi-
glioramento de' proprii simili.
In un libriccino pertanto modesto e grazioso , egli per bocca
di un maestro elementare ci regala trentasette racconti, parec-
chi dei quali egli ritrae dalla biografia di alcuni illustri italiani
come sono il Tasso , il Genovesi , 1' Alfieri , il Passeroni ed il
Canova. Per tal guisa 1' ottimo Gantù intende ad invogliare di
buon'ora i fanciulli allo studio delle cose e degli uomini d'Italia,
e lì guida per così dire sino dai più teneri anni a far cono-
scenza con alcuni di quei personaggi che più 1' hanno illustrata.
Leggendo poi questo libro non solo i maestri di scuola, ma
chiunque impara a conoscere e ad apprezzare la nobiltà e Tim-
portanza di questa professione dello insegnare ai fanciulli , e
così si viene a cancellare del tutto quel sentimento di dileg-
gio che essa ingiustamente ispirava una volta.
Le intenzioni frattanto dell' autore , e l' indole di altri più
importanti suoi scritti , ancor più che questo suo opuscoletto,
ci danno ora occasione di face in generale qualche parola sui
libri che in gran copia si pubblicano oggidì per lo insegna-
mento e per 1' educazione de' fanciulli.
Non sono ancora cinque anni che un zelante italiano pro-
rompeva in questa fervente esclamazione; Letterati italiani! Se
vi cale della più cara , della più soave porzione del popolo^ di
quella a cui sono appoggiate le speranze di un avventuroso av-
venire , datevi pensiero della istruzione de' fanciulletti. Lodo i
vostri libri pieni di sublimi idee e di elevate dottrine ^ mi com-
piaccio delle vostre scoperte , leggo con soddisfazione le eleganti
vostre scritture , ma più di voi mi loderei , se umiliandovi un
poco, non isdegnaste trattar co' fanciulli. Non vedete voi gli
stranieri quanta cura di ciò si danno ? Non sentite voi rossore
nel vedere o mal pasciuta o pasciuta dagli stranieri la prima
età de Jaiiciulletti ilaliani *i ?
* : V. Aiitolo^^ia di Firenze, fascic. di giui,Mio i832 , pag. i84-
187
Il possente invito non cadde infruttuoso. D'allora in poi una
folla di opere sì italiane che straniere, sì originali che tradotte
comparve destinata all'implorato ufFicio di istruire la gioventù,
e quasi inondò la letteratura. Tanto è vero che in uno stato
di progressivo incivilimento quando un bisogno si fa sentire ,
a quello di subito si volgono i più svegliati ingegni per sod-
disfarlo , ed il fervore non cessa sinché veramente si sia sod-
disfatto.
Noi lascieremo ad altri la briga di dare il numeroso catalogo
di tutti quei libri che sotto d' ogni forma, con ogni sorta di
titolo vengono giorno per giorno composti e pubblicati per coad-
juvare alla miglior istruzione de' giovanetti. Noi ricorderemo
soltanto che in Italia due opere periodiche di sommo pregio
sonosi a ciò specialmente consecrate *i. E non possiamo neppure
tacere che le massime che vengono da questi benemeriti inse-
gnate , si trovano poi già in gran parte raccomandate alla pra-
tica nelle sale d'asilo, e negli asili infantili, che da qualche
tempo in Italia, e specialmente in Toscana cominciano a sta-
bilirsi ed a prosperare *2.
*i La Guida dell' Educatore che si stampa dal chiar. Lumbruschìui in Fi-
renze , e r I/istitutore Elementare che si stampa in Venezia per cura dell' egre-
gio sig. Codemo. A questi sebbene con minor fama potrebbe aggiungersi Vomico
della gioifentù , altro giornale che si pubblica in Modena. — Manca però ancora
all' Italia un Dizionario di educazione e d' insegnamento. In Francia ne ha te-
sté pubblicato uno sotto questo titolo il sig. T. V. Modard , e sarebbe deside-
rabile che 1' esempio fosse anche seguito da noi.
*2 Non è sempre vero che in Francia si denigri o si dispregi la nazione ita-
liana ed i suoi costumi. Leggiamo nel n." 76 di marzo 1887 del Mémorial En-
ciclopédie/uè ecc. , a proposito dei varii scritti che si pubblicano in Italia sulle
sale d'asilo le seguenti onorevoli parole. — « Questi scritti fanno altamente ap-
» prezzare tutta 1' importanza delle sale d' asilo e 1' utilità della cooperazione
» delle pie gentildonne alla buona educazione dei fanciulli del popolo. Ciò che
» soprattutto è degno di osservazione in Italia , si è ancor meno 1' effettività
» dei miglioramenti insensibilmente iiitrodottivisi , che la moltiplicilà dei luoghi
» in cui si effettuano questi miglioramenti senza romore , senza appurati. In Italia
» il movimento della civiltà ha altrettanti centri quante sono le sue città, e l'at-
» tività intellettuale si manifesta dappertutto j in tutte si va creando , in tutte
» SI fanno degli esperimenti. Di qui ne segue che tutte le varie sorta di pro-
» gressi che a prima giunta sembrano meno naturali che in Francia, pure vi sono
') se non più rapidi , almeno più reali, — tgli è conéolanle il mirare come in
188
Se a procacciare questi beuefizj contribuì sommamente e fra
i primi il lodato Lambruschini e coli' opere e co' scritti suoi ;
non. vi restò però molto lontano il nostro Cantù 5 e quando
noi accennammo cbe fra questi due ottimi italiani vi esisteva
un patto comune di dare all' Italia una letteratura popolare di
cui ancora difettava, noi non andavamo errati *i.
Una gran parte poi dei libri che si pubblicano con questo
filantropico intendimento contengono per lo appunto storielle
per i fanciulli simili a quelle ora pubblicate dal Cantù ; ma
queste ultime si possono distinguere non solamente per 1' in-
genuità dello stile, e per la soavità de' modi , ma assai più per
la sceltezza de' pensieri , e per i precetti di sana morale che coli'
allettamento di quei racconti , i giovanetti suggono spontanei e
cari. Ogni cosa vi si trova appropriata alle forze delle loro
menti , e sembra che 1' autore , fattosi fanciullo ancor esso ,
adoperi il linguaggio de' fanciulli per farsi più caramente com-
prendere dai medesimi , e fare più sicura impressione sui loro
cuori. Così a vece di precetti astratti e metafisici , troverai
negli scritti del Cantù lezioni di morale pratica , a vece di af-
fetti esagerati e proprii soltanto degli adulti , troverai affetti
appropriati alla fanciullezza, senza alcuna traccia persino, ve-
dete prodigio! di amoreggiamenti: questo serbatojo perpetuo a
cui vengono ad attingere pressoché tutte le novelle , e quelle
pur anche che si vogliono unicamente destinare alla prima gio-
ii questa terra classica dove )a carità è così antica come la storia , essa non
» cessi di portar frutti generosi. — Si scorge con amore come i saggi ministri
» della religione , quali sono l'Abb. Lambruschini di Toscana , e l'Abb. Aporti
» di Piemonte , cbe hanno di già meritata la stima e la gratitudine di tutta
» 1' Italia , lavorino con^^anto zelo e con tanto successo a questa grand' opera
» della rigenerazione che racchiude i germi fecondi d'una civilizzazione nuova ,
« progressiva , beneBca , senza rivoluzioni , senza scosse violenti , ma conseguita
» col saggio e felice concorso dei governi e di tutte le classi dei cittadini. » —
L' importante argomeuto delle Sale d'Asilo ha pur anco riscosso 1' attenzione
dell' esimio D. Cerise cbe ne ha recentemente pubblicato un suo trattato. —
Non si tralascia per ultimo di osservare che 1' istituzione degli asili infantili
fa presentemente i più rapidi ed efEcaci progressi nel Regno Lombardo-Veneto.
( V. gli Annali di statistica fase, d' aprile i83n , pag !^[^ ).
*j V. Subalpiao distrib. di marzo 1837 , pag, /joS
189
ventù. In questi racconti in una parola tu vedi conservata tutta
quella candidezza e leggiadria verginale , che t' incanta nelle
novelle di Francesco Soave , ed a cui le medesime potrebbero
servire di ben degna introduzione.
— Ma questo diluvio di libri ad uso della gioventù che voi
tanto levate a cielo , e questa smania d' istruire sì lautamente
i fanciuUetti di qualunque condizione essi siano , non riempi-
ranno poi esse il mondo di saccenti e di vanitosi , a vece di
dare alla società buoni agricoltori , pazienti artefici , utili e
quieti cittadini ? —
Era uno scrupoloso attempatello che in udire com'io applau-
dissi al presente movimento d'istruire e di educare la gioventù,
mi andava susurrando 1' altr' jeri all' orecchio queste siffatte
parole.
— Ma io gli risposi — Fate pur bene a manifestar sotto
voce questi vostri terrori 5 altrimenti se alcuno li udisse , vi
bandirebbe la croce addosso , e vi terrebbe niente manco che
per un settatore del Califfo Omar. Vi so dir io che i libri che
oggidì trattano di educazione son fatti appunto per diffondere
una più uguale istruzione nelle varie classi sociali , ciascuna
secondo i varii suoi bisogni e la vocazione sua , per modo che
anche le meno favorite dalla fortuna possano godere delle sod-
disfazioni morali della vita. Questi novelli libri di educazione
di cui vi ragiono , sono fatti per assuefare per tempo gli uomini
ad esser paghi del proprio stato , a fornir loro i mezzi più effi-
caci per renderselo il più che si possa felice : questi libri insomma
mirano appunto a porgere a ciascheduno quelle cognizioni che
sono più atte perchè ognuno possa con dottrina sufficiente e con
probità costante esercitare quell' ufficio, quella professione,
quell'arte a cui si troverà destinato, e così a fare cittadini one-
sti ed occupati. Di tutti questi libri poi il cui numero tanto vi
sgomenta , se per avventura ora può esservene qualcuno di su-
perfluo, non ve n'ha però mai alcuno che sia nocivo. A meno
dunque che vogliate dichiararvi fautore dell'oscurantismo, e de-
siderare il ritorno di quei tempi in cui tranne i ragazzi delle
famiglie distinte, quasi poi tutti gli altri crescevano senza nep-
p,ur saper leggere uè scrivere , e senza tanto manco aver im-
190
parato qualche principio elementare di quell' arte meccanica a
cui si trovavano per tutta la loro vita destinati, certo dovrete
convenire della superiorità del metodo attuale di istruire e di
educare la gioventù. E badate ancora che neppure i ragazzi
delle famiglie agiate ricevevano in sostanza una migliore edu-
cazione , poiché essi venivano quasi sino alla adolescenza ab-
bandonati alla custodia di persone mercenarie, piene d' igno-
ranza e spesso di vizj che non facevano altro che impinzare i
loro poveri cervelli di favole e di superstiziosi racconti. La vita
dì queste creature che dovevano formare la speranza della pa-
tria e contribuire all'incremento della civiltà, era condannata
quasi asiaticamente al gineceo, era una vita separata dal resto
della società, una vita compressa e artifiziata a segno che per
essi era quasi una solennità 1' essere ammessi al consorzio de'
loro genitori Sarebbe dunque mai questa la educazione che
voi preferiste tuttora a quella che regna presentemente, e che
i più nobili ingegni si studiano di dirigere e di rendere ognor
meglio salutare ed eletta ?
— Tolga il cielo — proruppe allora non senza qualche im-
pazienza il mio interlocutore — tolga il cielo ch'io pronunci di
simili bestemmie e faccia voti così vandalici. Quand' io non
credo che sia perfetto l'odierno sistema di educazione benché
accenni ad un illimitato raffinamento , son però ben lontano
dal posporlo a quello di tutta rigidezza e d'ignoranza con cui
altre volte si allevavano i fanciulli. Ben so che allora agli
uomini che volevano uscire della schiera volgare , toccava non
di rado di riformare da se stessi la ricevuta educazione. Ma
coututtociò io non penso che il sistema d' oggidì sia affatto
esente da inconvenienti. Capisco benissimo che 1' essei-e ora i
fanciulli trattali nella società come persone adulte , ed il con-
vivere di essi nella famiglia colla più abbandonata dimesti-
chezza , può renderli più vivaci , più disinvolti , ed agevolare
anche lo sviluppo delle loro facoltà intellettuali , ma però que-
sto metodo non li rende poi forse piuttosto indocili ed irrive-
renti, che mansueti e rispettosi? Aggiungete che i ragazzi baz-
zicando liberamente colle persone di età più matura, né queste
conservando sempre quel riserbo e quella prudenza che pure
191
dovrebbero, la malìzia perciò e la dissimulazione penetra so-
venti e mette sin dai primi anni radice in quei teneri petti.
— Soprattutto poi con questo vostro voler mostrare tante cose
ai ragazzi voi correte gran rischio d'imbattervi in giovani che
sentenzian su tutto , e che si danno l'aria di enciclopedie am-
bulanti. E se vorrete esser sincero , voi stesso ne avrete sentito
più d' uno cinguettar con franchezza imperterrita di fdosofia ,
di politica, di governo e di repubblica, di tutto. Vedetelo, uno
di cotesti cervellini seduto gravemente a scranna pronunciare
sul merito di qualunque scrittore e letterato , giudicare tutte
le riputasioni , fastidire e guardare con piglio sprezzante molte
di quelle cose che i più assennati rispettano. Egli per far pompa
di bello ed arguto spirito ad ogni proferta parola suppone un
doppio senso, ad ogni discorso un'allusione maligna. Egli non
potrà persuadersi che si possa parlar con semplicità, con be-
nevolenza , con schiettezza , e buona fede. A sentire costui ,
ad accostarlo , voi lo credereste senza dubbio un uomo matu-
ro , un uomo versato in ogni genere di discipline. Ebbene v'in-
gannate. Egli non è che un giovinotto di diciasette o dieciot-
t'anni, che appena ha compiuto il suo primo anno di leggi ,
e che già forse abusando di una condizione agiata ed indipen-
dente, sulla alternata lettura di filosofi, di poeti e di romanzi
ch'ei va facendo lungo i viali di qualche romita campagna, in-
alza il suo trono scientifico, e di qui scaglia anatemi e sarcas-
mi , distribuisce fama ed allori. Credendosi ad un tratto filo-
sofo, statista ed innamorato ( poiché l'amore è un ingrediente
inevitabile per un bello spirito), egli impara la religione dai
filosofi , la filosofia dai poeti , la politica sulle tragedie di Al-
fieri, la morale sulle commedie e sui l'omanzi , e la pratica del
mondo e della società frequentando la casa di una qualche sua
cugina.
— Adagio , adagio un poco , signor mio , con queste vostic
esagerazioni — ripresi io allora — voi invece di fare ritratti ,
gittate giù delle caricature , e quello che mi avete dipinto è il
D, Chisciotte dell'odierna gioventù studiosa. Bisogna in ogni cosa
esser giusti e stare nei confini del vero. Non vi so negare che
queir insegnare di tante cose ai giovanetti può indurre nelle
192
loro mentì una confusione J'idee mozzicate ; e forse una istru-
zione troppo estesa e svai'iata ha potuto traviare il loro spirito
e volgere in male quella precocità che ora è si frequente dando
ìoi'O soverchia confidenza e vanità de' proprii talenti , e forse
ancora quella troppa famigliarità e libertà dello educare ha
potuto spingerli ad una soverchia impazienza di studio e di con-
tegno. Ma poi l'educazione e l' istruzione che ora si cerca pro-
pagare coi migliori libri sì italiani che stranieri , è tutt' altra
cosa. — Essa mira anzi ad evitare o correggere tutti questi di-
fetti ^ essa cerca istruire con metodo, essa tende a regolar l'istru-
zione secondo l'età , le inclinazioni , il temperamento , la ca-
pacità dei ragazzi e le varie condizioni a cui possono più. facil-
mente esser chiamati. Volete poi voi sapere il perchè, secondo
eh' io penso, quella sperticata e indigesta istruzione portava
seco quei mali frutti che voi avete sì microscopicamente os-
servati? Egli è perchè si trascurava forse ancor allora un po'
troppo la educazione del cuore, la vera educazione religiosa.
Allora in fatto si pensava piuttosto alla coltura dello spirito
che a quella del cuore. Bastava che la mente dei giovani ap-
prendesse i priacipii di qualche scienza , bastava che con-
traesse una sfioritura superficiale dello scibile più alla moda ,
bastava che la loro bocca, sapesse pronunciare qualche motto
arguto, per credere bella e compiuta la loro educazione. Noa
è quindi da meravigliarsi , che ne uscissero poi fuori giovani
saputelli , di sé e del loro ingegno strabocchevolmente confi-
denti , dispregiatori di tutti coloro che credessero saper meno
di loro , e persuasi di saper almeno altrettanto come quelli
che loro potevano veramente stare a maestri. Ma in oggi coi
metodi insegnati dai migliori scrittori , e nei migliori libri ,
la prima educazione si è quella del cuore, e cosi quei vizi si
verranno ogni volta più dileguando. Infatti prima d'ingombrare
l'intelletto de' fanciulli di principii astratti, si procura adesso
di stampare ne' loro animi i sentimenti di buona morale e
della religione. Ben lungi dal dar loro ad intendere che so-
pra quanto v' ha nella società umana di autorevole e di ono-
rando debba passarvi sopra quasi un cilindro livellatore , nel
tempo medesimo che loro s' insegua l'eguaglianza di tutti da-
195
vanti alla giustizia come davanti a Dio , si fa loro profoncla-
mente sentire il bisogno ed il vantaggio di rispettare tuttociò
che per virtù di ragione e di legge sovrasta e deve sovrastare
negli umani consorzj. — La verità razionale di queste mas-
sime venendo ai fanciulli dimostrata cogli argomenti tratti
dalla utilità della loro esistenza , e colla rappresentazione dei
mali reali che la loro assenza produrrebbe, riesce quindi più
facile lo abituare il fanciullo a riconoscere nel suo simile un
fratello, ed a sviluppare poscia in lui il sentimento di benevo-
lenza e disporlo ad applicarne in effetto i suoi impulsi a tutte
quelle persone ed a tutte quelle cose che vi hanno diritto , e
che ne son degne. Traendosi in tal guisa partito dai menomi ac-
cidenti della lor vita , e dai rapporti degli oggetti circostanti a
misura che cominciano ad interessarli colle interne loro ten-
denze, si viene a scolpire nei loro cuori in un modo sensibile e
pratico quella morale che più non li abbandona negli anni ma-
turi, e che ne forma poi il sostegno e 1' ornamento. Cosi senza
fare del fanciullo un essere quasi straniero alla famiglia ed alla
società, e senza neppure iniziarlo con licenziosa e prematura
eguaglianza di studj , di abitudini e di maniere a tutte le più
intime relazioni della convivenza domestica e civile , si può
e si giugno ad ammetterlo ad una graduata e vantaggiosa par-
tecipazione del vivere sociale e della libertà. Tutte queste sol-
lecitudini , tutte queste impressioni sui cuori dei fanciulli la
religione le fortifica e le suggella. E la religione non manca
giammai di ciò operare quando viene insinuata piuttosto come
un sentimento che come una necessità , ed i giovani l'appren-
dono altrettanto come un benefizio quanto come un dovere ,
e la ricevono non meno per autorità che per convincimento.
Una religione che riconosce anche nel fatuo e nella feminetta
del volgo r istinto divino della sapienza e 1' ispirazione di un'
anima immortale , impedisce certamente che nell' animo dei
giovanetti ponga radice l'orgoglio , ma v'impronta all' incontro
infallibilmente un sentimento di stima e di fratellevole benevo-
lenza verso il suo simile , e non può che istillare in essi un
po' di quell'utile convinzione : unum scio me nihil scire. Ecco
dunque come la religione più sentita che imposta, e la prima
194
coltura clie si comiacia dal cuore possano far secura l'istruzione
dello spirito da tutti i suoi perìcoli , e da tutti quei travia-
menti in cui ha potuto cadere ed in cui cadde tal volta. —
Malgrado qualche sbadiglio che di quando in quando il mio
interlocutore non poteva nascondermi affatto mentre io gli stava
sgomitolando questa lunga digressione, pure tenendo essa assai
della transazione , pervenni con essa a trarlo al mio parti-
to, sebben sulle prime ei vi si mostrasse renitente anzi che no,
come i lettori han potuto vedere. — Frattanto avendolo poscia
ancor persuaso a rilegger meco questi racconti di Cesiare Gantù,
come pure alcuni altri scritti recenti in fatto di educazione tanto
dello stesso Cantù che di altri autori , restammo ancor meglio
tutti e due convinti che quando all'istruzione della mente si
accoppia Teducazione del cuore, si evitano del pari tutti gl'in-
convenienti dei due opposti sistemi, cioè di una eccessiva o di
una troppo limitata istruzione , di una soverchia famigliarità ,
'e di un troppo rigore. Col metodo pertanto dilettevole , affet-
^tuoso , sensibile adoperato dal Gantù , dal Lambruschini , e
da altri sommi, con quel metodo che fa alla coltura dell' in-
telletto precedere od andare congiunta la coltura del cuore e
degli affetti si allevano i giovanetti al retto sapere ed alla
virtù ; ed è veramente con una tal sorta di letterarie fatiche
che si possono preparare all' Italia generazioni più colte e più
•virtuose.
S. B.
195
IL LIBRO dell'adolescenza COMPILATO DA ACHILLE BIAURI
( Seconda edizione. Milano 1837 ).
Non ci soffermeremo lungamente nell' annunziare questa se-
conda edizione di un' opera utilissima, alla quale al suo primo
apparir alla luce nel i835, fecero plauso tutti i buoni, e di
cui parlarono quasi tutti i giornali d'Italia. Il libro dell'ado-
lescenza è un' accuratissima Antologia letteraria italiana e stra-
niera ad uso della gioventù, è una svariata galleria, un prezio-
sissimo mosaico delle bellezze letterarie d' ogni tempo e d' ogni
nazione distribuite , a differenza delle altre Antologie , in un
ordine di materie che ne deve rendere la lettura più profitte-
vole. Dio e la Religione, i vari fenomeni àoìiM Universo e degli
esseri che il compongono , l' Uomo considerato sotto diversi
aspetti , Id Storia religiosa e profana , antica , del medio evo
e moderna , tali sono i sublimi ed interessantissimi argomenti
trattati in questa raccolta. Ottima è la scelta degli autori ita-
liani 5 solo ci spiacque di non scorgere nell'eletta schiera il grande
tragico , il quale ben pare degno
« Dell' allòr che dal volgo I' uom divide. »
Quanto alle opere di altre lingue il compilatore si è valso
delle migliori e più eleganti traduzioni , ed ove tali non esi-
stevano la fece egli stesso da traduttore, di modo che, a no-
stro avviso , quest' opera nulla lascia a desiderare. Siane dun-
que lode all'illustre Achille Mauri, ed a lui tributino sincera
riconoscenza i giovani italiani per l'ottimo divisamento e l'esito
felice : e se r utilità è il principale elemento del mèrito , la
gloria di diligente compilatore , quale si è il Mauri , ben può
stare a fronte della gloria di tanti autori.
196
Quest' Antologia greca , latina , italiana , francese , tedesca ,
inglese , spagnuola è circoscritta, siccome ogni altra opera di
simil genere , alla letteratura : non farebbe egli cosa utile quello
scienziato, il quale pubblicasse un' Antologia scientiCca ? Ben
so che una tale compilazione non potrebbe essere che la rac-
colta degli elementi delle varie scienze , le quali già hannosi
i loro peculiari libri elementari ; pure un fiordilegio di quanto
ì migliori autori dettarono sulle scienze, sicché ne venisse con
tutta chiarezza presentato in non molte pagine il loro stato
attuale , non riuscirebbe per avventura un' opera priva di uti-
lità alla studiosa gioventù. Forse ancora nel!' opera stessa del
Mauri si sarebbe potuto allargare alquanto il campo delle scienze
tanto fisiche , quanto morali 5 così , a cagion d' esempio , in
certi trattati d'economia politica o di legislazione sono di molti
squarci , i quali non che deturpare , avrebbero abbellita la sua
raccolta e sarebbero tornati utili alla maggiore diffusione di
quelle scienze. Sicuramente e' avrebbesi dovuto limitare a pre-
sentare a' suoi giovani leggitori idee chiare ed opinioni, della cui
verità gli attuali progressi delle scienze più non lasciano dubi-
tare. Le quali cose noi diciamo per manifestare un nostro pen-
samento anziché a cagione di critica, imperciocché non ci sfugge
che grandissima essendo la quantità dei testi, i quali per i loro
pregi particolari avrebbero diritto di far parte della raccolta ,
una certa severità deve presiedere alla scelta , e sarebbe in-
giustizia incolpare il compilatore di una esclusione necessaria ,
e senza la quale sarebbe di troppo cresciuta la mole del libro.
Piacerai poi che il Mauri abbia avuto cura di avvertire quando
r immaginazione dei poeti li induce a sostituire la finzione alla
realtà delle cose , siccome fece riguardo allo squarcio poetico
sulla tromba marina estratta da Lucano : così recando il testo
di Fenelon sulla terra , sull' acqua , sull' aria e sul fuoco egli
avrebbe dovuto avvertire quanto sia erronea 1' antica opinione
dei quattro elementi a vece di farne il titolo del testo suddetto.
Spetta ai letterati il farsi banditori delle verità scientifiche.
Limitandoci ora a parlare di questa seconda edizione diremo
che il Compilatore , valendosi di alcune osservazioni critiche
fatte sulla prima edizione , pretermise certi squarci , la cui lei*
197
tura poteva , anche solo da lungi , macchiare l' illibata inno-
cenza della gioventù. In tale argomento non è mai troppa la
circospezione : chi presiede all' educazione della gioventù , od
in qualunque guisa ne fa scopo alle sue meditazioni , debb' es-
sere in tale faccenda non solo religioso , ma a così dire super-
stizioso , sia per la prepotenza della passione , sia perchè il
miglior mezzo di combatterla è il tacerne, cioè l'allontanamento
da tutto che possa suscitarla. Ne piace poi di proclamare la
sincerità e la modestia , colle quali il Mauri riconosce in parte
la giustizia della critica suddetta ; non già che egli avesse in-
serito passi apertamente disonesti , ma confessa che non era
forse stato abbastanza riguardoso. — Quando vediamo un Lam-
bruschini cambiare il titolo di redattore con quello di compi-
latore, e confessare con tutta ingenuità il suo errore di lingua
( materia sulla quale suolsi il più rabbiosamente combattere
da tanti scrittori ) , quando un Mauri confessa ed ammenda
con una seconda edizione l' involontario suo peccato ancorché
veniale , quando altri chiarissimi Italiani danno prova di un
animo giusto e disappassionato si da considerarsi come estranei
nelle quistioni letterarie circa le opere loro , ci gode 1' animo
pensando che tali preclari esempi non rimarranno sterili , ma
si verranno da tutti gì' italiani scrittori imitati , se non per
intimo convincimento , almeno per ambizione di seguitare le
traccie de' sommi , il che se ancora non sarà virtù , sarà al-
meno cosa grandemente a virtù conducevole ; e così fian sce-
mate quelle polemiche letterarie , le quali , se possono aprire
il varco alla verità quando sono contenute nei limiti della mo-
derazione e soprattutto della sincerità, riescono stucchevoli, e
grandemente deturpano le lettere quando ad esse presiede lo
spirito di parte, quando principalmente gli scrittori, il vecchio
ed il nuovo Galateo mettendo in non cale , non arrossiscono
di lanciarsi le più grossolane ingiurie.
198
me
DI aiELIIVO O MELINIVO ALLA CITTA' DI ROMA
Traduzione dal Greco.
Salve , Roma , di Marte invitta prole ,
Bellicosa reina aurimitrata ,
Ch'eterna stanza in la terrena mole ,
Tuo Olimpo , hai collocata.
A te sola concesse il Fato eterno
Il regio onor di non caduco impero ,
Perchè, ricca in poter, sieda al governo
Dell'imiverso intero.
Del bianco mare e della terra il seno
Sotto il tuo giogo , di ritorte è stretto ;
E vien gagliardamente dal tuo freno
Ogni mortai corretto.
Quei che tutto travolge , il Tempo antico ,
E l'orbe in mille guise ne trasmuta ,
L'aura d'impero che t'arride , amico
Solo per te non muta.
Che tu sola fra tutte , o gloi'iosa ,
Alle battaglie educhi i figli tuoi ,
Qual Cerere dì biade , avventurosa
D'innumerandi eroi.
Quest'ode ^ per quanto io sappia, è già stata tradotta dal
Lamberti, con quell'eleganza, che era da lui *i 5 ma poiché
egli , seguitando il parere meno probabile d'alcuni interpreti ,
*i Poesie di greci scrittori, recate in versi italiani. Brescia, )ier N. Bettolìi
1808.
199
la riputò d'Erlnna Lesbia , e la tolse in sènso allegorico come
un inno alla Fortezza ^ io ho fatto di traslatarla secondo 1' opi-
nione di parecchi altri, i quali dimostrano, essere stata scritta
da Melino, a gloria della metropoli del romano imperio. In-
torno a Melino tace la storia antica; ma lo Stobeo ci con-
servò Tode , e il patriarca Fozio il nome della poetessa. Quindi
le discussioni , singolari anzi che no , sopra l'autrice e l' argo-
mento di questa lodata poesia. GVii bramasse più ampio schia-
rimento , oltre il Fabricio *i e lo Schoell *2 , vegga le giu-
diziose osservazioni , di cui la corredò il chiarissimo Fed.
Teof. Welcker , Professore di lettere greche e latine a Got-
tinga *3. «L'entusiasmo per Roma, scrive lo Schoell nel luogo
citato , di cui è piena quest'ode, rende probabile che sia stata
composta quando i Romani , vincitori di Filippo di
Macedonia, annunziarono ai Greci un'effimera libertà. Questo
è uno de' più bei tempi dell'istoria romana, ed era tale che
poteva benissimo inspirare la poetessa Melino, la quale noi
collochiamo» in quest'epoca. » Ingegnosa ci pare questa conget-
tura dello Schoell , e certo in quel torno alle lodi di Tito
Flaminino e de' Romani venne dettato da Alceo il Messenio
r epigramma , che faremo dì qui voltare alla meglio *4.
Con le Persiche schiere al greco suolo
Venne Serse a recarlo in rio servaggio;
Tito d'Italia vi guidò lo stuolo ,
E lo scampò d'ogni servile oltraggio.
*i l.ib. II, i5,
*2 Lib. Ili , IO.
*3 Nei Meletemata e discipl. antiquitatis , opera Frid. Creuzeri , part. II. ,
p. i8. Lipsia , 1817.
"4 11 X.VI fra quelli che di lui ci rimangono. Brunck T. I.
C. D.
200
TARlfiTA
LETTERA BI PIETRO GIOROANI
Ci è capitato alle mani uno scritto antico dell' illustre Pietro
Giordani , il cui principio ci par meritevole di qualche con-
siderazione degli eruditi , per i quali vogliamo pubblicarlo; e
perciò lo tronchiamo dove la parte filologica finisce.
Bologna , i," novembre i8iS.
Tu chiamerai confidenza quello che altri direbbe temerità
mia di mandare a te ingegnoso e dotto , ma pur indulgente
ed amico, una mia congettura circa un luogo di scrittore la-
tino, degno certamente di considerazione, e per l'oscurità dispe-
rato da' commentatori. Sarei temerario ed arrogante se doman-
dassi attenzione al pubblico: è conforme alla nostra amicizia
dire a te liberamente tutto quello che mi viene all'animo, e
domandare soccorso al tuo giudizio e alla dottrina. Il luogo
che io ho preso ad interpretare è di Arnobio, nel principio del
secondo libro 5 dov' egli risponde alle genti , che alla congre-
gazione cristiana venuta da circa trecento anni nel mondo rim-
proveravano una estrema ignoranza: e per quanto a me appa-
risce dalle parole dell' autore ( e credo certo apparirà anche a
te ) era specialmente notata l' ignoranza della grammatica e di
tutta l'arte del dire, della logica, e delle leggi civili. Le sue
parole son queste :
» Quia per casus et tempora declinare verba scitis et no-
t) mina; quia voces barbaras solecismosque vitare-, quia nu-
)) merosum et instructum compositumque sermonem aut ipsis
» vos nostis efferre, aut incomptus cum fuerit scire; quia Fer-
ii nìcetn Lucilianum et Marsyam Pomponii obsignatum memoria
» continetis j quia quae sint in litibus coustitutiones, <(uot cau-
201
ì» sarum genera , qiiot dictionum, quid sit i^enus , quid species ;
» oppositum a contrario quibus rationibus distinguatur : idcirco
» vos arbitraraini scire quid sit falsum , quid veruni , quid tierì
» possit aut non possit, quae imorum , summorumque natura
» sit ? »
Arnobio espone l'accusa con urbane parole : ma nel medesimo
libro 2.° poi si vede che le genti parlavano assai duramente ,•
poiché risponde il difensore: — quid est quod vobis tamquaiii
bruti ac stolidi judicemur ? — Ed Asclepiade, che parla nel
romano martire dì Prudenzio , chiama i cristiani — turbam
imperitarn et illiteratam frequentiam. — Minuzio Felice rife-
risce i medesimi rimproveri fatti colla medesima veemenza ai
cristiani. — Indignandum omnibus indolescendumque est, au-
dere quosdam ( et hoc studioruin rudes , literarum profanos ,
expertes artium sordidarum ) certum aliquid de summa rerum
ac majestate decernere , etc. — Dove il suo commentatore Ni-
colao Rigault soggiunge che li chiamavano — vulgum infimum
et foecem valgi. — E Desiderio Herault nel proemio de' suoi
commenti al secondo libro d'Arnobio ( 2 voi. in-4.° Leida i65i)
dice — stolidos et nimis credulos esse christianos \ ìndoctos
praeterea et obtusos ; quare mirum non esse si stolidae doctri-
nae credulitatem suam facile accoraodarent.
Sia dunque fuor di quistione che nelle soprascritte parole
Arnobio risponde al rimprovero che si faceva a' cristiani di
ignorare sin quello che tutti gli altri sapevano: la quale igno-
ranza ( come si ve^ nelle parole slesse , e molto meglio in
tutto quello che segue ) è confessata da lui : ma oppone che se
i cristiani ignorano le arti elementari e le più comuni discipline
del viver civile, se non sanno quelle cose che nessuno ignora,
sanno altre cose migliori e più importanti. Il difensore de' cri-
stiani per significare con esempio particolare l'ignoranza loro,
dice , che non hanno impresso nella memoria il Mursia di Pom-
ponio , né VArco di Lucilio. Qui si vorrebbe sapere che è que-
sto Marsia , che è quest'Arco Luciliano ? Il buon Herault ( con
sincerità di l'arissimo esempio ti'a' commentatori ) confessa non
aver niente da dire — Fornicein Litcilianum et Marsyam Poni-
ponìi : de bis argumeuiis quod dicam , ccrlum et liquidum ha-
* r 2
^02
beo nihil. Ceteram de ìgnorautia christianìs obiecta dicemus
ad Minutium Felicem.
Qui mi sono io invogliato di glltarmi alle congetture. Sarà
assurdo il pensare che il Fornice Luciliano e il Mursia di Pom-
ponio erano due libri elementari ? Uno di regole forensi com-
posto dal giureconsulto Sesto Pomponio, e intitolato il Mursia j
l'altro dì regole grammaticali, da non so chi scritto, col tì-
tolo dì Arco di Lucilio. Devono essere due libri , e non troppo
grossi , perciò di semplici elementi ; se deono potersi dalla mol-
titudine tenere impressi nella memoria. La materia loro è abba-
stanza indicata dal testo di Arnobio : « costituzioni di liti , ge-
» neri di cause •, generi di parlari , differenza tra 1 genere e la
» specie , tra 1' opposto e il contrario ,• regole per evitare le
» parole barbare e i solecismi , per piegare nomi e verbi se-
» condo i casi e tempi , per distinguere un parlare composto
» e pulito da un disordinato e sordido. »
Il legista Pomponio fiorì sotto Alessandro Severo ; altri vo-
gliono sotto Adriano 5 in qualunque modo assai tempo innanzi
ad Arnobio. Al suo libro di regole forensi avea posto titolo il
Marsia , che è come dire il Foro , secondo la consuetudine del
parlar comune 5 della quale si trova antico testimonio anche
in Q. Orazio :
Non sollicitus mihi quod eras.
Surgendum sit mane , obeundus Marsya.
E la ragione è notissima anche ai med^cremente eruditi :
perchè nel Foro di Roma , in faccia ai Rostri , era una statua
di Marsia 5 e appresso a quella il tribunale delle civili. Intorno
alla statua si radunavano ì piatitori aspettando le udienze : alla
statua imponevano corone gli avvocati che vincevano : percioc-
ché Marsia era come il santo patrono della eloquenza: essendo
usanza che i dicitori temperassero e sostenessero la voce me-
diante il flauto , per lo quale trucidato Marsia dura famoso.
Il Fornice Luciliano dovett'essere un arco Murato da un Lu-
cilio. Fornice ed Arco sono la medesima cosa: e ciò appari-
sce dal vedere che l'arco Fabiano nominato da P. Vitlore, è
detto Fornice Fabiano da Cicerone , da Ascanio , da Seneca j
205
perocché 1' antica e migliore latinità chiamava Fornici quelli
che poi si dissero Archi. Si dicevano Fornici , o volte dalla fi-
gura , che era semicircolare , innanzi che si usasse farli qua-
drati. Prendevano il nome dagli autori : il Fabiano da Fabio
censore e vincitore degli Allobrogi, che lo aveva alzato sulla
via sacra, vicino alla curia, nell'ottava regione. Vittore parla
d' un Fornice di Sestinio nel Foro Boario , e di un altro del
medesimo Sestinio nel circo Massimo nell' undecima regione.
Doveva dunque dirsi Fornice Luciliano l'arco fabbricato da un
Lucilio. Imagino che ivi intorno fossero scuole di grammatici:
e niente ripugna a questa supposizione. Che poi si venisse a
dire l'arco di Lucilio invece delle scuole grammaticali , noa
parrà strano a chi ha inteso Marsia invece del Foro; a chi si
ricorda Giano invece del luogo de' Banchieri (Hoc Janus sum-
raus ab imo Personat) : Giunone in cambio della zecca -.^ Apollo
per la ragion civile ( Ipse dies pulcro distinguitur ordine rerum ;
Sportula 5 deinde Forum, iurisque peritus Apollo), e tanti
altri esempi simili. Né più è lontano dal verisimile che si chia-
masse scuola di grammatica o dal luogo dove la scuola si te-
neva , un libro di quest' arte 5 e si appellasse Foro un trattato
di pratica forense. Noi sopportiamo titoli più fantastici ; una
Minerva , cioè una grammatica latina del Sanzio ; una porta
della grammatica-^ una Reggia del Parnasso; un arsenale della
santa Inquisizione-^ ed altri innumerabili di simil forma.
Usciamo delle grammatiche e delle congetture 5 entriamo nelle
storie ; esaminiamo gli accusati e gli accusatori. Si vede
Non sappiamo a chi fosse diretto questo scritto ; né ci occorre cercarlo.
Ma chi ce ne diede copia ci mostrò anche \a copia di una lettera del Marchese
Massimiliano Angelelli ( 1' insigne traduttore di Sofocle ) al Giordani , che gli
aveva mostrata questa scrittura , come ad amico , per avere il suo giudizio.
E quell'eminente grecista gli risponde ( il di 10 nov. i8i3 ) parergli ingegnosa
la congettura ; ma non persuadersi che il Marsia e il Fornice debbano esser
libri. Muove ancora dubbi circa alcuni argomenti dal Giordani usati nella lunga
discussione istorica , la quale non si pubblica.
Molti anni dipoi l'eruditissimo Orelli di Zurigo , stampando il suo Arnobio
( raro a trovarsi in Italia ) , ha sospettato veramente che il Marsia , e il Fòrnice
fossero libri ; ma di satire , commedie , poesie oscene. I dotti , considerando
attentamente la tessitura del discorso di Arnobio , giudicheranno.
Nola dell'Editore.
204
Notìzie Diverse
Geologia. — Tracce d' una grandissima corrente
del mondo primitivo.
Il signor Sefstroin pubUicò non ha guari un'opera impor-
tante sulle tracce tV una grandissima corrente del mondo an-
tico. Questo dotto studiò il fenomeno geologico che si rannoda
alla formazione degli usar degli svedesi, lunghe serie d'eleva-
zioni formate da masse di rocce ritondate che sembrano pro-
prie alla Svezia ed alla Finlandia. Egli osservò che quasi dap-
pertutto dove si sgombra la superficie delle montagne primi-
tive , togliendo e lavando con acqua l' arena e Io strato di
terra che le ricopre , si riscontrano tracce di corrosione , ed
un gran numero di solchi profondi e di scanalature rette dis-
correnti parallelamente dal Nord al Sud. Munito di stromenti
esattissimi egli determinò la direzione di questi solchi sulle
diverjse parti della stessa montagna , quindi su diverse mon-
tagne della stessa località , e gli risultò che questi solchi , in
tutti i luoghi in cui si riscontrano , sono paralleli, ed appa-
iono come prodotti dalla confricazione di rocce che urtassero
obliquamente la superfìcie della montagna. Per tal modo si
dee credere che una corrente generale , che strascinava con sé
una gran quantità di sassi, ghiaja, e sabbia , abbia anticamente
coperto , scorrendo dal Nord al Sud-Ouest, tutta la Scandina-
via. Questa corrente dovette avere una grandissima jvelocità ,
e logorare tutte le facce settentrionali de' corpi che incontrava
in guisa che non vi lasciò né margini acuti , né canti vivi.
Gettando i sassi che traeva seco sui fianchi delle montagne e
sulle loro facce orientali ed occidentali scavò i solchi che vi
si veggono in oggi.
Le deviazioni che si ravvisano nella direzione de' solchi sui
fianchi delle montagne sono esattamente tali , quali dovettero
205
accadere, allorché per la resistenza che queste opponevano, la
direzione della corrente dovette piegarsi all' Est ed all' Guest.
Paragonando la direzione dei solchi in diversi paesi si riscon-
tra eziandio che quanto più i fianchi delle montagne trova-
ronsì estesi e prolungati , altrettanto maggiore fu la deviazione
della corrente , ma che però la superficie di questa conservò
sempre la stessa direzione. Questa corrente polverizzò in tutti
ì luoghi , e trasportò a lontane distanze una quantità enorme
di rocce libere delle formazioni antiche e posteriori. Si sa per
esempio che nelle formazioni di transizione della Westgotia ,
enormi rocce furono per tal modo schiantate, come l'attestano
ancora i massi di trapp che coprono le formazioni che resi-
stettero alla corrente , e su di cui il signor Sefstrom trovò i
solchi fattivi dai sassi che le urlarono. Questa massa di sassi
cosi trasportati dalla corrente sembra aver avuto un' altezza
di i5oo piedi : non si trovano tracce di solchi sulle monta-
gne che sorgono ad una maggior elevazione. L' epoca in cui
questa corrente esisteva, sembra secondo il metodo cronologico
de' geologi , concordare con quella in cui il diluvio copriva la
terra , o più probabilmente essere di alquanto posteriore. In
ogni caso essa è più antica dei massi erratici ( blocs errati-
ques ) che esistono in sì gran quantità alla superficie della
terra 5 imperocché quando s' incontrano di questi massi cogli
asar , essi trovansi sempre superposti a questi ultimi , e gia-
centi sulla lor cresta o cima.
( Annali di Poggendorf.)
Oceanica — Juan Fernandez. Cotonizzazione di guest" Isola.
Quest'isola celebre per la residenza in essa di Alessandro
Selkerck, le cui avventure diedero a De Foé il soggetto del
suo Robinson Crusoe, è divenuta come le isole vicine proprietà
di un cittadino americano , che la prese ad affitto dal governo
del Chili per lunga serie d'anni. Ella servi dapprima al deposito
206
per i condannati all' esiglio , ma le spese che richiecleYa questo
stabilimento , e l' ognor crescente numero dei prigionieri deter-
minarono il governo del Chili ad abbandonarla. Colui che ne
divenne possessore ha intenzione di emigrare colà, e di con-
durvi secciai loo, o aoo famiglie dalle isole Sandwick, all'og-
getto di coltivarla , e di allevarvi del bestiame , egli solo esclu-
sivamente esercirà il controllo sul governo dell' isola. Le sue
disposizioni saranno estesissime, ed ha intenzione di porre nella
principal foce dei segnali ove trovansi scogli , banchi , o simili
cose danneggianti i vascelli a vantaggio de' marinai , che tro-
veranno ne' suoi magazzeni ogni genere di provvigione. Egli ne
sconterà le tratte alle tasse ordinarie : egli loro somministrerà
senza verun pagamento dei battelli rimorchiatoi per entrarvi ,
ed uscirvi. La foce del Cumberland è sicura, e gli avvantaggi
che presenta ai balenieri sono preziosissimi , non saravvi alcun
diritto di porto , e sarà provvisto alle difficoltà che potrebbero
insorgere per le diserzioni dell' equipaggio , cosa di non poca
importanza , se si ha riguardo alla molesta influenza che ebbero
queste difficoltà sui successi delle spedizioni. L' isola da quanto
viene asserito nelle parti montagnose abbonda di Sandal , e di
altri legni preziosi , le sue rive sono il ritiro dei leoni di mare,
e l'interno è incomparabile sia per la bellezza delle situazioni,
che per la purezza della temperatura atmosferica.
Dopo la perseveranza ben conosciuta, dice il sig. Francesco
Lavalée vice-console di Francia , di colui che si è posto al pos-
sesso di questo prezioso territorio , questo progetto non può a
meno di riuscire, e di produrre immense conseguenze per i
proprietari , e capitani impiegati nelle pesche al mare del Sud.
( Annal. marit. j et colon. ).
207
AKNUNZJ DI BIBLIOGRAFIA
LIBRI ITALIANI
LIBAI FRANCESI
Deila Coltivaziohb delia Sabba-
bietola. Istruzione di Matteo
Bonafous direttore dell'orto R.
Agrario. ( Torino , tip. Cliirio
e Mina).
Questa pregievole scrittura
singolare per la sua chiarezza
e precisione , è consacrata a
proporre e descrivere i metodi
più sicuri e pratici per otte-
nere in Piemonte la coltura
della Barbabietola, e da que-
sta la fabbricazione dello zuc-
chero indigeno , che la Francia
già ricava in una quantità ec-
cedente la metà dell' uso ne-
cessario ai suoi abitanti. -— Il
risultato di questa nuova colti-
vazione sarebbe quello di dare
33 rubbi di zucchero per ogni
giornata di buon terreno ben
coltivata , valutando soltanto
questa rendita al 4 P^i" cento.
— Non è a dire che questo ge-
nere di produzione affatto nuovo
per il Piemonte ove fosse atti-
vata con successo, darebbe senza
dubbio una nuova direzione ed
un nuovo impulso all' agri-
coltura ed al commercio negli
Stati di S. M. — È noto che
nella provincia d' Ivrea fertile
per territorio e feconda d' in-
gegni intraprendenti e vivaci ,
già si è formata una società per
azioni , avente per oggetto la
fabbricazione dello zucchero di
Agriculture simplifiée, cu mojens
d'établir des prairies perennes
dans toutes les locaUtés. Con-
sidération sur l'état de l'agri-
culture en France par Hugan
ainé. Brochure in-8, chez M.'
Huzard. — Paris, prix 11. i aS
Les trois Mondes ou la fin des
disputes philosophiques sur le
beau , le laid , le bien , le mal ,
le vrai , le faux par M. H.
Idolfe , in-8. — Paris , De-
lannig 11. 5 »
Manuel de l'amateur d'autographes
par P. Jules Fontaine , in-8 de
24 feuilles. — Paris chez Morta
11. 7 5o
Proposition de nouveaux rails pour
les chemins àeievT^ar M.Dausse
in-8, une feuille. — Paris, chez
Carilian Gaury.
Abrégé de l'histoire de la mede-
cine considérée comme science
et comme art dans le progrès
et son exercice depuis son ori-
gine jusqu'au XIX siècle, par
L. F. Gasté , médecin ovdinaire
d'armée et de l'hópital inilitaire
de Calais, membre de l'acadé-
mie royale de médecine , in-8.
— Paris, Baillière . . 11. 7 »
Traité des fièvres, ou initations
cérébro-spinales intermittentes
d'après des observations re-
cuillies eii France , en Corse ,
et en AlVique par F. G. Maillot,
iu-8 , i83tì. — Paris, Baillieic.
208
LIBRI ITALIANI
LIBRI FRANCESI
barbabietole ; il cui principal
direttore si è il sig, Dott. Lo-
renzo Gatta. Questa società ano-
nima fu approvata da S. M. con
Patenti del 6 maggio 1887 col
titolo di Società' Teutloponica
Camavesana. — Questa impresa
già in tal modo favoreggiata dal
Sovrano merita poi di venir
promossa con tutta l' assistenza
e r incoraggiamento del pub-
blico ed il Piemonte aspetta con
tutta ansietà di conoscerne i ri-
sultati.
8. B.
Democrazia smascherata ossia Pa-
ralello tra lo slato democratico
e lo stato monarchico , orazione
sacro-politica del P. Prospero
Toìiso dell'ordine de' Predica-
tori , recitata nella Cattedrale
di Alessandria nel giorno del
solenne Te Deum dopo la resa
della Cittadella seguita il 21
luglio 1799, seconda edizione
milanese. — Milano , Tipografia
Pogliani , 1 836 , m- 1 1 di pag. 54.
FtoRA CoMENSE disposta secondo il
sistema di Linneo dal professore
Giuseppe Comolli I. R. diret-
tore del Liceo medico provin-
ciale di Como ecc. — In Como
coi tipi di Pietro Ostinelli , 1 836,
voi. Ili in-i6 di pag. 272.
EsQuissES BiOGRAPHiQUEs de i'ancìen
pays de Liegi , dello stesso , ibid.
Les Derniebs Grignoux ou le Ré-
glement de 1684, dello stesso,
ibid.
Encvclopédie de gens du monde.
Répertoire universel de toutes
les connaissances nécessaires ,
utiles , agréables dans la vie
sociale etc. , etc. , par une So-
ciété de savans , de Utterateurs
et d'artistes francais et étran-
gers. — 12 tomes grand in-8,
chacun en deux voi. de plus
de 4oo pages à deux coloimp^.
Prix 5 fr. le voi.
Histoire x)e l'Établissement et db
LA Direction de l'Eglise par
les Apóties , trad. de l'AUemand
de Néander par F. Fontanés ,
2 voi. in-8. — 9 fr.
Hygiène Morale , ou application
de la physiologie à la morale
et à l'éducation , par Casimir
Broussais. — Paris, 1837, in-
8, 6 fr.
Scénes de la vie italieune par Mery.
— Paris, 1887, 2 voi. in-8,
i5 fr.
Une Famille par M. Gidzot; ou-
vrage à l'usage de la jeunesse,
continue par Amable Tasta.
— Paris, 1837, 2 voi. in- 12
fig. 8 fr.
STAMPEniA GHIRINGHEI.LO E COÌVIP.
con pcnuissionc.
209
FILOSOFIA
NUOVO SAGGIO StLL OlllGINE DELLE IDEE
di Antonio Rosmini-Serbati Sacerdote Rovei'etaiio.
(Rom<i, Salviucci , i83o *ol. iv. Milano, Pogliani, i836-37. voi. ut.)
£ n€ce!>s>ario che tulli i buoni , i quali possono e sanno , diano
mano pronta e concorde a ricostruiie la scienza stessa; jier
ricostruire quindi la morale , per ricostruire finalmente la
società scomposta e scommessa.
RosMiKJ , Prefazione al Nuovo Saggio.
Intorno a questo stupendo lavoro di filosofia usciranno
in questo Giornale parecchi articoli del sig. Tommaseo ,
alcuni già pubblicali nell'Antologia di Firenze ( i832 ),
altri tuttora inediti , coi quali viensi a formare in breve
una perfetta ed elegante esposizione della dottrina di quel
filosofo profondissimo, che oggi alla scuola italiana dà vita
nuova ed ordinamento pieno e grandioso. Un' esposizione
compiuta del sistema filosofico dell' Ab. Rosmini , la quale
possa darne una giusta idea a quei moltissimi che non hanno
agio di studiarla nella voluminosa opera in cui l'Autore
lo espone , manca tuttavia all' Italia , non bastando ad un
tale bisogno i pochi cenni , che i più accreditati giornali
i3
210
ed il Ricoglitoie in ispecie ne hanno dato. E ad un gior-
nale del Piemonte s' apparteneva certamente di far cono-
scere distesamente questo sistema , il quale prima che nelle
altre Università d' Italia fu nella nostra di Torino pubbli-
camente professato , e introdotto quindi nell' insegnamento
della filosofia nelle minori scuole alla medesima soggette '"i.
E questa circostanza basterebbe certamente di per se sola
a dimostrare 1' opportunità degli articoli che pubblichiamo;
ma oltre d vantaggio che ne può tornare alla gioventù stu-
diosa del nostro paese , per altri rispetti più generali parve
a noi di fare cosa utilissima nel pubblicare per intiero gli
studj del Tommaseo sul Nuovo Saggio.
Or fa appena tre anni che 1' egregio sig. Michele Par-
ma inseriva nel Ricoglitore un articolo degno di lui in-
torno a quest'opera del Rosmini per iscontare, com'egli
dice , in parte V indifferenza della mia patria 'verso di
lui', pare infatti, che essa lo ignori a che noi curi sa-
pendolo '"2. Se da quello che avviene intorno a noi vuoisi
giudicare del resto d' Italia , quest' indifierenza s' è final-
mente dileguata , per dar luogo se non all' entusiasmo ,
certo almeno ad un sentimento che è ben divergo dall' in-
differenza. I seguaci stessi di quella filosofia , che il Ros-
mini con quel suo fino e robusto ragionare ha vittoriosa-
mente combattuto , non hanno potuto a meno di sentire
tutta la superiorità del suo sistema sopra gli altri, e men-
tre in vece di scendere con lui ad una polemica seria ,
conscienziosa , e diretta dal puro amore della verità , essi
cercarono di abbatterlo con quelle armi che solo 1' amor
di sistema può dare , riuscirono appunto all' intento con-
trario , di far nascere negli animi il desiderio di conoscere
■*! V. Elementa Ethices I. A. Sciolla etc. iu usuiu 1\. scholarum.
Taurini i834 , Fodratti.
*2 JlicogUtorc, gi^S'^*^ ^834? psg. 542.
21 1
la fìlosofìa di un uomo , contro cui tanto strepito facevano
i suoi avversari , e di cui nel tempo stesso altri parla-
vano con tanta lode ed ammirazione , e tra questi prin-
cipalmente un Michele Parma , un Cesare Cantù noti all'
Italia per tanti pregevoli lavori. Compariva intanto in un
programma d' associazione l' elenco delle opere edite ed
inedite del Rosmini , che il tipografo Pogliani si propo-
neva di stampai'e ; il numero e la varietà delle medesime
costringevano quelli stessi che pur non lo conoscevano ad
ammirare la fecondità della mente del nostro grande con-
temporaneo , che giovane ancora aveva saputo creare un
sistema di filosofia , di cui potrebbesi a ragione dire ciò
che del sistema di Leibnitz diceva Fontenelle , quii fut
quelque chose dHmprévu et inespéré sur une matière oà
la philosophie semblait avoir fait ses derniers ejjfòrts ; e
non contento a crearlo l' aveva pur saputo sviluppare in
tante parti dell' umano sapere , nella morale , nell' educa-
zione , neir estetica , nella scienza del diritto , nella reli-
gione. Ed in questa superior parte d' Italia in ispecie le
singolari relazioni contrattevi dal Rosmini, non vuoisi dire
quanto potentemente abbiano dovuto scuotere gli animi ,
e quante attenzioni fissai^e , e quanta curiosità eccitare di
conoscere pur qualche cosa de' suoi principii in filosofia.
Chi per poco riflette alla facilità con cui gli uomini so-
gliono giudicare e delle cose che sanno , e di quelle che
non sanno, può di leggeri concepire stranezza di giudizi,
di discorsi , di domande , che hanno dovuto e debbono
farsi intorno a quest' uomo maraviglioso ed intorno al suo
sistema filosofico. E se noi dobbiamo far giudizio da quel
poco che ne abbiamo udito a dii^e , ci è forza confessare
che ben pochi sono quelli che conoscano che cosa sia Ros-
mini , che cosa il suo sistema ; il che vuol dire ben pochi
essere quelli , che abbiano letto le opere di questo insi-
gne filosofo , dalle quali non solo il sistema di lui , ma
212
r animo egregio apparisce. Or poiché molti più sono quelli
che di conoscere l' uno e l' altro abbisognano , di quelli che
abbiano o il tempo o il modo di studiarli ne' voluminosi
scritti da lui pubblicati , noi ci proponiamo di provvedere
in qualche modo a questo bisogno. ''
1 E intorno all'illustre Autore delKuovo Saggio, poiché»
a parlarne di proposito le nostre parole potrebbero forse
non incontrare presso tutti la dovuta fede , ci limiterenao
a dire ai nostri lettori, essere egli stato con verità defi-
nito dal sig. Parma , quando nell' articolo sopra citato lo
chiamava un sommo ingegno , un animo candido e vir-
tuoso , un cuore angelico tutto penetrato di carità , e noi
soggiungeremo , un uomo che si fa amici devoti tutti quelli
che lo avvicinano. Dirne maggiormente noi non dobbiamo
per non dispiacere allo stesso Rosmini , il quale in tanti
luoghi delle sue opere ci dice , che il vero filosofo non
deve tanto occuparsi degli autori, quanto piuttosto delle
loro dottrine, e che nella filosofia non la causa di alcuna
persona si tratta , ma sì solamente la causa della verità. -;
Venendo dunque al sistema filosofico del Rosmini, noi'
non sapremmo se egli potrebbe venir meglio e più com-
piutamente esposto , che non sia negli articoli seguenti.
Sulla chiarezza ed eleganza dell' esposizione ne è malleva-
dore ai nostri lettori il nome di Tommaseo, di cui essa
è tanto lodevole lavoro ; sulla fedeltà della medesima ab-
biamo l'assenso stesso dell' Autore del Nuovo Saggio. Ma
perchè non lutti saranno con noi d' accordo suU' utilità di
diffondere la cognizione di un sistema filosofico , il quale
secondo che a molti pare , non può interessare se non
quei soli che si occupano propriamente di studj metafisici;
pare a noi di dovere per poco fermarci a ragionare alquanto
distesamente su questo proposito.
E che la cognizione di questo sistema non debba inte-
ressare quelli solamente , che si occupano di filosofia teo-
213
^tica, ma quelli pm'e che gli stutlj dei primi tengono
in conto di oziose speculazioni, e sono tutti rivolti a' studi,
com' essi dicono, più positivi e di un'utilità pratica, noi
crediamo che possa solamente dubitarne colui , il quale
non abbia mai meditato agli stretti legami per cui le scienze
si attengono le une alle altre , e come i principii più teo-
retici , e che in apparenza sembrano lontanissimi dalle più
vicine e pratiche necessità degli uomini, siano fecondi di
conseguenze, e penetrino , anche non osservati, nella vita
reale ; sicché a grandissima ragione possa con Royer-Collard
affermarsi, essere un fatto che la morale privata e pub-
blica , r ordine della società , e la felicità degli individui
sono impegnate nella questione della vera e della falsa fi-
losofia intorno alla realtà della cognizione umana. La sto-
ria della filosofia tante prove ci offre di questo fatto ,
che a negarlo bisogna proprio o non averla mai letta , o
non aver mai saputo seguire il filo delle conseguenze di
un sistema nelle sue varie applicazioni alla morale, alla
religione, alla politica.
Questi studiosi di verità positive , questi amatori zelanti
dell' umanità , i quali hanno in disprezzo tutto ciò che non
è materialmente utile , tutto ciò che non toglie immediata-
mente qualche necessità, tutto ciò che non è un progetto
di miglioramento sociale , hanno essi mai studiato dove giac-
cia la radice dei mali presenti della società ? hanno essi
mai meditato a qual epoca di distruzione noi succediamo,
e per opera di quali dottrine siasi quella distruzione effet-
tuata, e come trattandosi di ricomporre e riordinare la so-
cietà, le dottrine che furono potenti alla distruzione, siano
impotenti alla riedificazione? — O dirassi forse che l'epoca
della distruzione non è per anco passata ; che molti elementi
della vecchia società esistono tuttavia, o vanno ripigliando
r esistenza ? — Non lo credete. Questi elementi non hanno
che un' esistenza di fatto , e quindi un' esistenza precaria ;
214
essi propriamente parlando non esistono più , perchè non
hanno più alcuna esistenza nelle credenze e nelle simpa-
tie degli uomini della nostra età. Del resto per rimediare
al male che può esservi in un ordine di cose, è egli ne-
cessario di distruggere anche il bene, col farsi eco degli
errori che un secolo fa sconvolsero la società ? E i mali
che affliggono la società in certi paesi , non gravitano pure
su di essa là dove 1' opera della distruzione fii sì com-
piuta , sì estesa? O non è anzi appunto perchè troppo si è
distrutto , che la società è di presente da tanta miseria
travagliata ?
Sì, perchè troppo si è distrutto; e intendiamoci bene,
che non è tanto dell' ordine materiale quanto dell' ordine
morale , che noi vogliamo qui parlare : quando confonden-
dosi r idea colla sensazione , l' intelletto col senso ; la legge
che obbliga coli' inclinazione che alletta ; il dovere coli' in-
teresse ; Dio colla natura 5 il diritto sociale con un libero
patto degli uomini ; la società dell' operoso ed universal
amore con quella dell' individualismo ; il principio dell' evo-
luzione con CUI compier si deve la gran legge umanitaria
del progresso , colla dottrina della rivoluzione sempre mai
feconda di disordini e di mali; il progresso della civiltà
coir obl)lio del passato ; la sapienza tradizionale de' secoli
preceduti col pregiudizio e coli' ignoranza; — quando con
tutte queste confusioni e sovvertimenti si diffuse negli uo-
mini uno scetticismo profondo , soffocatore d' ogni fede ,
d' ogai credenza , autore quindi d' un' anarchia morale , la
quale se non prorompe nella vita esterna , non è mestieri
il dire per quali cagioni avvenga,
Chiaminsi religiose od irreligiose le epoche opposte, in
cui gli uomini hanno o non hanno delle forti credenze ,
delle convinzioni ferme ; chiaminsi con qual altro nome si
voglia ; il fatto si è che nella storia dell' umanità noi ci
incontriamo veramente in epoche di fede come di scetticis-
215
mo , in epoche di forza e di vera vita sociale , come in
epoche di spossamento e di demoralizzazione ; ed un fatto è
pure che la nosti^a è una di quelle epoche di scetticismo *i;
perchè , come negare che penetrando nelle coscienze non
si trovi nella maggior parte degli uomini un'assenza totale
**. Intorno alla verità di questo fatto ci rincresce di non avere
con noi d'accordo l'Autore dell'articolo sulla confutazione dello scet-
ticismo proposta dal Rosmini , inserito nella distribuzione di marzo
della Biblioteca Italiana. — Anche noi abbiamo un tempo creduto
che i filosofi buttassero il fiato a combattere contro lo scetticismo ,
e che la filosofia deviasse dalla sua vera missione adoperandosi con
tanto sforzo a svellere dalle radici un sistema diametralmente op-
posto alla confidenza propria di quell'età , in cui l'uomo dorme so-
pra un letto di spine e vi sogna Jìori e giardini , e sotto una pioggia
di rose tien ragionamento della sua gioia cogli Angeli. Ma quel
sogno beato della gioventii dura pur troppo poco ; e con lui quante
illusioni non si dileguano ! Noi avremmo allora con trasporto di gioia
dato la mano a chi avesse paragonato i confutatori dello scetticismo
aglt Alchimisti che cercavano l'oro ove non era ; o all' Eroe della
Mancia , che nei mulini a vento ravvisava altrettanti guerrieri. Ma
in oggi meno lontano dal vero riputiamo chi paragonasse agli Al-
chimisti che l'oro vedevano in tutte le cose , coloro che vedono in
ogni animo principj fermi , convinzioni decise , fede operosa , e che
se non danno al vivo il carattere battagliere dell'Eroe della Mancia,
esprimono però un errore mentale simile al suo ; perchè siccome
egli credevasi di vedere da ogni banda armati guerrieri che impe-
divano nel mondo quella giustizia eh' egli avrebbevi voluto far re-
gnar sola colla sua bella del Toboso ; cosi questi credono in senso
inverso di vedere d' ogni intorno dei guerrieri ossiano uomini ,
forti di fede e di convinzioni , combattitori volonterosi pel trionfo
della verità e della giustizia.
Né vale il dire che si può essere scettico nelle cose di pura spe-
ctdazione , e non esserlo nelle cose pratiche , in quelle cioè che mag-
giormente importano. Noi sappiamo benissimo che Kant non è il
solo , il quale , negata alla ragione pura ogni autorità oggettiva, sia
caduto nella sublime inconseguenza di dare alla ragione pratica l'au-
torità negata alla prima. Certo Pirrone non fu piironista in tutto,
216
di credenze su tutte le questioni che inteiessano l' uma-
nità? Sia egli di diritto o sia iW fatto lo scetticismo attuale,
questo non monta ; quando si sa che il primo ingenera di
sé tardi o tosto il secondo, e scendendo, come dice Jouf-
froy, dalla sommità alla base della società , si diffonde nelle
masse , in seno a cui scavando e distruggendo tutte le cre-
denze , tutto quel sistema di verità a cui esse avevano fede,
che erano la regola della loro condotta in tutto , finisce
né Epicuro epicureo, né Hume fu sempre scettico , né altri altro.
Ma resta pure a vedei'si se i seguitatori dei loro principii vorranno
poi anche seguitarli nelle loro inconseguenze; o se Epicuro sia il
solo che abbia avuto in Aristippo un espositore franco de' suoi
principii , non contenuto da nessun riguardo , da nessun pudore.
Del resto , per non eccedere i limiti d' una nota , e' potrebbesi
ancora concedere che le persone individuali non possono stare nello
scetticismo preso a rigor d' espressione. Ma nessuno certo crediamo
vorrà negarci cl>e , in mezzo al più ardito dogmatismo individuale ,
non possa sussistere e non sussista nella persona , per cosi dire, na-
zionale uno scetticismo sociale , risultante dalla lotta degli uomini
divisi di credenze , di principii , d'interessi -, lotta per cui si rende
impossibile quell'amichevole cospirazione di poteri , quell'amore re-
ciproco vmiversale , che nasce dall'intendersi scambievolmente, e che
è necessario alla produzione del bene generale , il quale viene anzi
impedito e reso impossibile quando manca quella morale forza so-
ciale , che non può risultare che dall' unità di mente e di cuore
nella società.
Ed è appunto per promuovere ed accelerare questa concordia della
filosofia coir umanità , e della filosofia con se stessa , quest' intelli-
genza de' filosofi tra di loro , e dei filosofi col popolo , sicché « il
dotto e la moltitudine non abbiano più che un solo linguaggio , e
intendendosi si amino , rimossa ogni invidia ed ogni dispregio -, »
che r illustre Autore del Nuovo Saggio con tanta forza insiste sulle
questioni dell' origine e certezza del sapere umano , nel suo esame
del Rinnovamento della filosofia in Italia *.
* Pag. 4.
217
per produrre il vuoto assoluto * i . « Conviene adunque oggi-
» mai non trattenersi nella superficie , ne con de' rimedj
» palliativi coprire a noi medesimi l' enormità delle nostre
» piaghe ; ma in quella vece è necessario che tutti i buo-
» ni, i quali possono e sanno, diano mano pronta e con-
» corde a ricostruire la scienza stessa , per ricostruire quindi
» la morale , per ricostruire finalmente la società scom-
» posta e scommessa ; e che nel ricostruu'e la scienza ,
» incomincino 1' opera da' veri più elementari , da quali
» tutti gli altri dipendono ins'^me co' beni figliuoli tutti
» della verità *2. »
Così r illustre A. del Nuc /o Saggio dopo aver accen-
nato quale sia la radice profonda dei profondi mali che
travagliano la società , dimostra nel tempo stesso quale sia
il vero , l' unico modo da tenersi per isvellere la prima ,
e cessare dalla società i secondi. Ne lascia senza risposta
coloro che pur non sanno o non vogliono vedere il nesso
intimo che è tra gli attuali e pressanti bisogni dell'uma-
nità e le questioni astrattissime dell' origine e realtà dell'
umano sapere ; che pretendono di poter mettere da parte
tutte quelle questioni imbarazzanti , come essi dicono , le
quali non sono a parer loro , che cagioni d' interminabili
liti , e che ninna vera edificazione apportano ; che presu-
mono di tirare ima linea di separazione fra verità e ve-
rità , e dichiarar quelle utili , queste superflue ; quasi la
verità , tutta quanta ella è , non sia un bisogno essenziale
della nostra natura ; o le forze de' singoli uomini possano
giugnere a contendere e vietare all' umanità ne pure la più
piccola parte della verità : perocché l' umanità non si la-
scierà nnpor mai questo limite arbitrario ed ingiusto , e
l' inquisizione del vero sarà sempre all' uman genere tanto
*i Jouffroy , Cours de droit natiirel , lec. io du scepticisme actuel.
*2 Rosmini, Nuovo Saggio. Prefazione p. XVI.
218
llbeia quanto 1' aria e la luce, tanto aperta quanto aperta
r ha fatta per esso Iddio *i.
E questi medesimi che presumono dar leggi all' intelli-
genza umana , e fissarle un limite e dirle « tu non pas-
serai oltre questo » noi vorremmo che nella citata prefa-
zione si fermassero a meditare sopra quel luogo, ove l'A.
accennando ai due bisogni essenziali , che 1' uomo ha in
se medesimo da soddisfare, l'uno appartenente alla vastità
del suo cuore , l' altro, per così dire , alla profondità , di-
mostra come 1' uomo « non sarà a pieno mai soddisfatto,
fino a che non abbia ridotto e sottomesso T immensa va-
rietà e universalità delle cose a un principio solo , nella
cui immutabilità egli trovi un riposo e una quiete men-
tale, dove più altro non gli resti a cercare e desiderare.... »
nel quale il tutto si semplifichi e si risolva, e da cui egli
possa vedere tranquillamente altresì quale sia il posto che
occupa egli m^edesimo nel tutto, e come egli debba guar-
dare quel posto per non violare un ordine che tanto ha
cercato , e sottomettersi al principio che unizza tutte le
cose, acciocché egli entri nella grande unità e non la tm'bi,
in quella unità che ha conosciuto per 1' estremo voto di
sua natura e per il termine dei suoi supremi bisogni. E
dunque da quell' unità che abbraccia il tutto , che viene
un solido fondamento alla morale , e fino a tanto che le
scienze si insegneranno l' una dall' altra spartita , e quasi
frammenti sconnessi di tempio scrollato e da barbare in-
vasioni diruto, non sarà mai possibile che il sapere umano
vada di un passo pari colla m^orale virtù , e che gli uo-
mini coir aumento de' lumi si ammigliorino ; e se non si
ammigliorano , come si può riordinare la società senza i co-
stumi *2 ?
*i Pag, LVIIl.
"■2. Pag. XX.
219
Ne ci si dica essere forse per noi esagerati 1 pericoli
dell' odierno scetticismo. Certo nessuno giunge a dubitar
seriamente della propria esistenza né di quella dell' uni-
verso; la voce della natura dissipa ad ogni istante questi
sogni ; ma un non s' avvezza a mettere in questione i fatti
più evidenti , senza persuadersi che niente vi sia , che non
possa e non debba esser messo in questione. Non si può
fare allo scetticismo la sua parte; una volta introdotto nella
mente , egli l' occupa per intiero. Quando tutte le esistenze
sono in problema , qual autorità rimane ancora ai rapporti
che le uniscono ? Ed è pure da questi rapporti , che si
derivano tutte le leggi delle società, tutti i diritti e tutti
i doveri che costituiscono la morale pubblica e privata *i.
Lo studio comparativo della storia civile delle nazioni e
della storia della filosofia dimostra ad evidenza, che un'ar-
monia mirabile esiste tra le varie fasi , per cosi dire ,
percorse dall'idea filosofica ed il mezzo sociale in cui ella
si sviluppa. E quest' armonia non può essere un mistero,
se si rifletta come la filosofia d' un' epoca e di un paese ,
ora non sia che l' espressione scientifica e quasi 1' ultimo
risultamento dei costumi e delle opinioni dominanti nella
società ; ora per contrario sia la causa il principio da cui
parte un nuovo movimento sociale. La prima, che potrebbe
quasi dirsi \mdi filosofia di circostanza , è certamente, quanto
al successo ed alla popolarità , in assai migliore condizione
della seconda. Ma la sua missione consiste pm^amente a
sviluppare le consegueuze buone o tristi di quel sistema
di credenze, cui essa riduce in formole scientifiche, con-
seguenze a cui senza di essa sarebbe pur giunta la società,
impiegandovi , a dir vero , un tempo molto maggiore , e
quando nessun' altra azione estranea si fosse levata a fer-
mare o dirigere altrimenti la tendenza del suo movimento.
*i Royer-Collard. OEuvies complètes de Reid etc, T. IV. p. 334.
220
Una tale filosofia efficacissima può adunque essere nelle
epoche di disti"uzione ad accelerare il morimento della
società. Ma una volta compiuta quest' opera ella non ha
più alcuna efficacia a riordinare e ricomporre , o termina
nello scetticismo eh' è caratteristico della società cui 1' o-
pera della distruzione gettò in una specie d' anarchia in-
tellettuale.
Ma in mezzo a quest' anarchia sussistono pur intieri i
bisogni essenziali della natura umana , i quali risorgono
negli individui come nelle società, e risorgono tanto più
forti _, tanto più esigenti, quanto meno essi trovano mate-
ria da soddisfarsi nelle immense rovine che restano dopo
la distruzione. Viene allora la volta d' un' altra filosofia ,
che potrebbesi dire assoluta, la quale studiando questi bi-
sogni dell' uomo , e in mezzo alle rovine in cui sorge ,
rintracciando ciò che nella natura umana hawi d' eterno,
d'immutabile, e che nessun'opera di distruzione , per quanto
forte ella sia e generale, non può mai abbattere ne schian-
tare: perocché egli emana da quella Parola che è più forte
d' ogni potenza ; alla luce stupenda di questo elemento di-
vino riconduce gli animi disviati , e su questo come su
pietra angolare edifica un sistema di verità , che riconcilia
gli animi, li rinvigorisce a nuova fede, e li dispone ad un
nuovo ordine di cose , tanto più eccellente del passato,
scevro com' egli è de' suoi errori e diletti rimasti sepolti
sotto le sue rovine.
Né la vanità dei tentativi , che in quest' epoche di tran-
sizione si fanno dai più distinti ingegni per ricostruire un
sistema che ai pressanti bisogni dell' umanità sia , come a
dire, proporzionato , deve punto far maraviglia, ripensando
alle cagioni della medesima , cagioni che a' tempi nostri
ci sembra di poter ravvisare ; o nel difetto di unità e di to-
talità che è comune alla maggior parte de' sistemi escogi-
tati , i quali non che rispondere a tutte le esigenze della
natura umana , non rispondono forse nemmeno alle prin-^'
cipali di esse ; o nell'impotenza più sopra toccata delle
dottrine che hanno distrutto , a ricostrurre un nuovo si-
stema soddisfacente ; od all' impossibilità di elevarsi ai due
mentovati caratteri dell' wmtò , e della totalità che travaglia
ogni manièra di eclectismo , o sia egli di giusta-posizione j
vero mosaico di filosofie spezzate , o sia di organizzazione
o fusione in uno di tutti i veri elementi, che alcuni pre-
siunono di saper raccogliere fra le macerie dell' ordine di-
strutto, e comporne un sistema, che sia così vero nel suo
insieme, come si pretende che siano vere le singole parti
raccolte ; o finalmente all' arbitrario carattere delle dottrine
àe^ trascendenti, i quali dissociandosi per la via d'un im-
menso deserto dall' umana convivenza, costruiscono per via
di pure astrazioni un sistema, maraviglioso certamente nella
sua struttura , ma puramente ideale , e per quanti sforzi
si faccia , impotente a nulla stabilire di reale ; un sistema
del resto in cui convien prima credere che vedere ^ che
è precisamente il contrario di ciò che vuole questa nostra
umana natura.
E perchè altri da questa vanità di tentativi potrebbe
forse oonchiudere contro l'assunto principale <ìhe abbiamo
preso a discorrere ; noi vogliamo a questo luogo avvertire,
che se dall' un canto i varj sistemi proposti non raggiun-
gono il fine a cui sono diretti , non sono però dall' altro
canto così vani, così senza rapporto col bisogni dell'attuale
società , che non esercitino sopra di essa un' influenza più
o meno estesa. E quei medesimi sistemi che sono in ap-
parenza più lontani dalla realtà delle cose umane , sono
però efficacissimi o motori o conservatori delle società in
cui si diffondono. Prendiamone ad esempio la filosofia di
Fichte o quella di Schelling e di Hegel.
Chiunque ricorda il carattere di Napoleone, quel suo
pensiero immutabile, quell'assoluta sua volontà, che non
222
tollerava che uu altro pensiero , un' altra volontà dalla sua
gli si opponesse ; e il carattere per conseguenza del re-
gime imperiale di Francia, che faceva la guerra a tutte
le nazionalità , e coli' imporre all'Europa le sue leggi vo-
leva cancellare i vari caratteri costitutivi delle medesime ;
non può a meno di vedere quanta parte la filosofìa di
Fichte , l' io assoluto di quest' ardito filosofo , elevato a
quel grado di potenza che tutti sanno , dovesse avere in
quel sentimento prepotente di nazionale indipendenza, che
spiegò la Germania nella reazione terribile che fece nel
i8i3 contro l'impero; reazione a cui non poteva certa-
mente essere estraneo l'insegnamento di un uomo, il quale
in una lezione sul dovere , discorrendo a parlare dello stato
delle cose pubbliche , e delle piaghe tuttora sanguinanti
dell'AUemagna , dimostrata la necessità che stringeva ognuno
di prendere le armi, terminava con queste nobili parole:
« Il corso sarà dunque sospeso fino alla fine della guerra j
noi lo ripiglieremo nella nostra patria fatta libera , o sa-
rem morti per riconquistare la sua libertà. » E scendeva
dalla cattedra , e si metteva nelle file d' un battaglione de-
stinato ad ingrossare l' esercito *i. Certo con assai più di
ragione avrebbe Napoleone potuto dire di Fichte, ciò che
della Staèl diceva per giustificare l' odio suo verso di lei ,
e l' esigilo a cui la dannava: Elle travaillait les esprits
d'une facon qui ne me convenait pas.
Intorno ad Hegel, riflette opportunamente il sig. Bai-one
di Penhoèn, il re di Prussia avrebbe potuto dire il con-
trario. Diffatti , soggiunge lo stesso A. , l' insegnamento di
Fichte aveva infuso in tutti i cuori un fanatismo per la
libertà, un'insofferenza di ogni giogo, che furono favore-
voli all' autorità nella sua lotta con lo straniero. Termi-
nata la lotta , questo medesimo ardore di tutti gli animi
*i Barchovi de Penhòen, Hist. de la phil. allem. Conclusion.
225
non sarebbe forse stato senza qualche pericolo ; ma ap-
parve allora la filosofia di Hegel, la cui influenza doveva
opei"are in senso inverso. E talmente inverso doveva es-
sere , che un celebre scrittore d'AUemagna , il sig. Heine
ebbe a dire , che « se la filosofia di Schelling e di Hegel
)> fosse stata più diffusa in Francia, la rivoluzione di lu-
» glio non avrebbe avuto luogo. » La verità della quale
sentenza non sarebb' ella per avventura abbastanza confer-
mata dal modo , con cui si considera quell'avvenimento da
coloro, che certamente non sono estranei alle dottrine He-
geliane , e pei quali « trois jours n'ont pas changé la na-
» ture des choses et l'état de la société fi'ancaise *i ? »
Né noi con questo intendiamo già di pronunziare alcun
giudizio sulla natiu-a dei grandi fatti sociali a cui accen-
niamo , né sul merito intrinseco delle dottrine che a quei
fatti hanno rapporto. Solo vogliamo ai nostri lettori mo-
strare , come la filosofia teoretica sia mal giudicata da co-
loro , che la tengono per così aliena dalla vita sociale ,
che lo studio di quella per poco non reputano doversi dalla
società degli operosi uomini sbandire, come Platone voleva
dalla sua repubblica discacciati i poeti : solo vogliamo m^o-
strare con quanta ragione nell'attuale condizione della so-
cietà in cui viviamo si debba con Rosmini, anzi con tutto
il secolo nostro, proclamare la necessità che tutti i buoni,
i quali sinceramente amano l'umanità, l< diano mano pronta
e concorde a ricostruire la scienza stessa, per ricostruire
quindi la morale , per ricostruire finalmente la società scom-
posta e scommessa. »
E Rosmini non è già uno di quei tanti , che stannosi
contenti pur al gridare quello che s'abbia da fare ; egli
solo ha già fatto e fa tanto , quanto non potrebbero in-
sieme le forze unite di molli. E con qunl potenza di mente
*ì Cousin, Frag. pliil,, prof, à la ■?.. ud., p. LVIII.
224
e di volontà siasi egli adoperato nel ricostruire la scienza,
abbastanza lo mostra quel suo stupendo Saggio sull'origine
delle idee che diede a noi occasione di entrare in questo
discorso. E siccome sui principi! in quest' opera stabiliti
ha egli pur già dato mano vigorosamente a ricostruire la
morale i così sui medesimi principii punto non esitiamo a
credere che egli sia per dar opera efficace alla ricostru-
zione della società nell' opera sua , che intorno al diritto
vedrà qviando che sia la luce. Perchè tra gli altiù meriti
di quest' insigne scrittore , questo certamente nessuno potrà
contestargli , d'un' esattezza e precisione logica , d'una coe-
renza ne' suoi ragionamenti , d'una franchezza nelle appli-
cazioni de' suoi principii e nell'espressione del suo pensiero,
di tutto il suo pensiero, che è piuttosto unica che rara.
Ed è appunto per questo suo merito altrettanto vero ,
quanto è pregevole , e per la fecondità accennata della sua
dottrina del Nuovo Saggio ( di cui non è a dire se 1' Au-
tore sappia trarre partito ) , che noi , quand'anco fossimo a
questa sua dottrina poco inclinati , anzi tanto più quanto
più avversi a quella , vorr-emmo la cognizione della me-
desima raccomandare. Perchè senza di ciò, come potreb-
bero equamente giudicarsi , e venir adottate o combattute
le applicazioni della medesima? Quando non si conoscono
i principii, si butta il fiato a disputare delle conseguenze.
E questo nostro invito allo studio della filosofia teoi-e-
lica, e di quella in specie del Nuovo Saggio, noi vorremmo
principahuente fatto a quella classe di studiosi che si oc-
cupano ex professo della religione. La necessità di ricon-
durre gli animi a questa confortatrice unica della vita è
così patente , così universalmente sentita da rendere su-
perfluo ogni discorso in proposito. Certo noi non crediamo 3|
che il Cristianesimo si trovi in così grande pericolo, co-
me altri va predicando ; e di questa nostra credenza il
motivo è appunto la tendenza del nostro secolo verso gU
225
studi della filosofia , e la tendenza decisamente religiosa
dell'odierna fiilosofia. Ne altrimenti esser potrebbe , quando ,
siccome profondamente osserva lo stesso Hegel, u gli og-
getti della filosofìa sono pure quelli stessi della religione ,
amendue hanno per oggetto la verità o Dio che solo è
la verità] amendue trattano della natura degli spiriti umani,
dei loro rapporti vicendevoli, e dei loro rapporti con
Dio, che è la verità *i. Di che segue essere veramente
la filosofia la propedeutica alla vera religione , e pei no-
stri tempi la sola che valga a preparare e ricondurre gli
animi ad essa. « Gouciossiachè l' uomo sari\ più preparato
» all' adorazione e alla fede , più eh' egli si sarà allonta-
)) nato dall' errore ed occupato a conoscere e ad amare
» anche quell'abbozzo, per così dire, di naturai Gristiane-
)) simo che è nell' uomo la naturale verità , un ci^epu-
)) scolo, sai^ei per chiamarlo, del Verbo Divino *2. »
E questo abbozzo di natm^al Cristianesimo , cpiesto cre-
puscolo del Verbo Divino , è appunto quel lume della ra-
gione, che Rosmini nel suo Nuovo Saggio prende ad esa-
minare e a definire che cosa egli sia , che cosa sia quell'
idea o forma che dà all'uomo l'attitudine di conoscere, e
-per dirlo con Dante ,
Che lume fia tra '1 vero e l'intelletlo. ( Purg. 6.J
A coloro che amano sinceramente la religione , non può
non essere cara una filosofia nella quale s' insegna , come
l'uomo non possa conoscere senza accostarsi alla Divinità,
senza usare un lume a cui non può egli veramente riflet-
tere senza così a un tratto dare un'occhiata, per così dire.
*i Reviie Gennanique , mars i836, p. 7,52.
■*2 Rosiauù, Nuovo Saggio, piefaz. pag. XXV.
li
226
all'immenso tesoro dell'eterna sapienza di Dio. E per me-
glio convincere gli studiosi di cose sacre di quanto abbia
giovato alla religione il Rosmini con quel suo profondo
Studio su ciò che costituisce ragionevole \ uomo , e come
strettamente insieme s'attengano la religione e la ragione
umana, intesa come l'intende Rosmini, ci piace di qui ri-
ferire im brano , che ci venne incontrato in un giornale
fi^-ancese , dove a noi parve di vedere qualche cosa di più,
che un semplice vestigio della dottrina Rosminiana.
« Supprimer la religion c'est supprimèr la raison. La
» religion c'est le commerce intérieur que nous avons avec
» Dieu par notre raison. Or qu'est-ce que la raison? Sans
» doute, ce qui connait. Mais dans tonte connaissance il
)) y a quelque chose d'immviable et d'eternel. (( Nulle
« conception, par exemple , sans l'idee de Tètre, » idée
» nécessairement immuable et éternelle. Cependant la raison
» humaine qui a commencé et qui change, puisqu'elle ap-
)) prend et oublie , est incapable de renfermer complète-
» ment par elle méme une telle idée, et ne peut la trouver
» tout-à-fait que dans la raison divine, à la quelle par
)) consèquent elle a besoin d'étre intimement unie pour
» pouvoir connaìtre. Mais la religion consistant précisément
)> dans cette union , il s'ensuit , qu'elle est la coudition de
» la vie de la raison , et que ruiner Fune c'est luiner
)) l'autre. »
E qui poniam fine a queste nostre considerazioni , non
però senza esserci prima congratulati coll'Italla d'aver ge-
nerato e possedere un uomo della tempra del Rosmini, e
senza aver prima manifestato anche il sentimento di nobile
fierezza, che proA^amo d'essere noi pure nati in Italia, e
d'esservi nati in un tempo in cui possiamo essere testimo-
nii , e per quanto valgano le nostre deboli forze , a parte
anche del forte movimento e della nuova vita , che per
opera del Rosmini fu e sarà sempre piìi eccitata nella fi-
227
losofia d'Italia; clell'Ilalia, cui gli stranieri con tanta ingiu-
stizia danno la taccia d' inetta agli studi filosofici ; dell'
Italia che non potrà oggi mai essere più esclusa dal no-
vero delle grandi nazioni filosofiche d'Europa; dell'Italia
finalmente che all'Europa presente e futura mostrerà con
quanta leggerezza un filosofo d'altronde profondissimo la
giudicasse , quando nelle sue eloquenti improvvisazioni di-
ceva , a che r Italia è in generale e nella filosofia spe-
cialmente ce que la fait la France * i
■*! Cousin, Cours d'hist. de la phil. !3. lec., 17 jiùUet 1&28.
Michele T' Aiti.
228
ESPOSIZIONE
(D«( «SiJtcHia Ìfi(oóofico «>cf TfGuovo Sa^^xo tee.
Fatta da N, Tommaseo
Art. 1.
Importanza della questione.
Tra le più belle e meno CTitabili questioni filosofiche
è questa dell'origine delle idee, sì perchè conduce il ra-
gionamento ai primi cardini della scienza, e aiuta a scom-
porre le nozioni troppo complicate , a sviluppar le confuse ;
sì perchè lo studio della genesi delle cose porta necessa-
riamente con sé, che se ne mediti e la natura e l'ordine;
si perchè la detta questione non si potrà sciogUere piena-
mente senz'osservare in ogni età, in ogni stato della vita
le operazioni dello spirito umano , e quindi l' osservazione
collocare per base di tutta la scienza. E possiamo affer-
mare che in tutte quante sono le discussioni filosofiche
questa dell'origine delle idee più o meno direttamente en-
tra anch'essa a far nodo e ad accrescere le difficoltà, co-
sicché se questa non si tenti di sciogliere, le altre ancora
rimangono poco meno che inestricabili ed oggetto di di-
sputazione continua. Così nelle cose politiche abbiam ve-
duto che, per definire alla meglio la lite dei diritti e dei
doveri, un invincibile istinto sospinse molti scrittori dello
scorso secolo a risalire alla prima origine de' governi e
delle società : né la questione prossima e urgente si ri-
schiarò , se non quando si vide un po' chiai^o in quell' al-
tra apparentemente lontanissima , quando cioè la teoria
del contratto sociale incominciò a parer favolosa. Simil-
mente ognuno s'accorge che la perpetua disputa tra spiri-
229
tualisti e sensisti, dalla risoluzione del quesito sull'origine
delle idee verrebbe a ricevere una diffinizione soddisfacente,
quando fosse dimostrata l'impossibilità che certe idee ven-
gano propriamente da' sensi , e fosse fatta distinzione pre-
cisa tra occasione ed origine. Indagando altresì ciò che vi
abbia nella ragione umana di preesistente all'uso della stessa-
ragione, si viene a dedurne i limiti dell'umana intelligenza
e la dipendenza di lei dagli enti fuori di sé , siano supe-
riori o inferiori alla sua natura; e per conseguenza i do-
veri che la stringono a se stessa e ad altrui. Conosciuti
da ultimo i processi della mente nell' acquisto delle idee
e nella loro concatenazione ed ordinamento , si viene ad
agevolare e a perfezionare quasi di lancio la scienza dif-
ficilissima dell'educazione , la quale dovrebb'essere un aiuto
alla natura perchè si s\nluppi , ed è sovente un inciampo
alle operazioni di lei , appunto perchè se ne ignorano i
procedimienti e le norme.
Del nuovo saggio che tratta un si grande argomento, io
darò come posso un' idea , attento sempre a recar fedelmente
le dottrine dell' A. , e spesso con le sue stesse parole ; a
commentarle talvolta, ma sempre in modo che i suoi prin-
cipii riescano , per più chiarezza e sicmtà del lettore , net-
tamente distinti da' miei commenti. E in questo breve la-
voro , consacrato non all' amicizia che mi lega dolcissima
al virtuoso Autore, ma alla divina causa del vero , io mi
asterrò da ogni lode , persuaso che la lode più desidera-
bile debba dall' esposizione di tali idee risultare spontanea.
Assunto delV Opera.
Qui mi si presenta un'osservazione sul titolo stesso del
libro ; e credo non inutile esporla. Chi si proponesse di
trattare propriamente dell' origine delle idee , assumerebbe
forse un troppo gwivoso incarico , almen per ora , e cer-
250
tamente troppo più grave che l'Autore del Nuovo Saggio
non abbia inteso di assumersi. Egli non altro si propone
( e lo vedrem poi ) se non di rispondere alla domanda :
« quali elementi son necessarii perchè 1' anima giunga a
formarsi le idee che possiede? » Per rispondere a questa
domanda era necessario entrare in molte importanti par-
ticolarità sul principio generatore di tutte le idee, sulla
formazione e sulla natura di certe idee madri ; ma non
indagare di tutte l' origine , né tesserne la storia cronolo-
gica , e descrivere le leggi secondo le quali avviene la ge-
nesi loro. In mi primo saggio , cotesto sarebbe riuscito
assolutamente impossibile , giacche mancano ancora le os-
servazioni e le esperienze necessarie; osservazioni ed e-
sperienze che un uomo solo non può certamente racco-
gliere , ordinare , ridurre in sistema. Il titolo dunque del
Nuovo Saggio è un po' piiì ampio che 1' A. non avrebbe
desiderato , ma egli credette , io penso , conveniente atte-
nersi , anco nella posizione della questione , all'uso comune
de' filosofi , contento di poi limitarla nel corso dell' opera.
Stato della questione.
Non basta , dice l' Autore , che le difficoltà sien poste
in qualunque modo dinanzi all'attenzione dell'uomo , per-
chè siano sciolte: bisogna che sien poste bene '"i. E non
sono poste bene se non sono conosciute intimamente, ne
sTono intimamente conosciute se non ricevono un principio
di soluzione almeno *2. Or la questione sull' origine delle
idee , fu mal posta finora : quasi da lutti toccata , ma così
per isbieco ; nessuno 1' affrontò direttamente , né questa
dall'altre questioni distinse.
L' A. la pane così. — Noi abbiam delle idee : come si
producon esse?^ Come si trovano in noi? *3 -^ La diffi-
di N. Saggio T, I. pag. i. a. — *2 P. 319. — *3 P. 21.;
^31
colta del rispondere a tale domanda , ben la vede chi pensi
alle cose seguenti.
L' uomo ha delle idee generali : come le acquista ? In
due modi ( dice , o potrebbe dire il filosofo ) per via dell'
astrazione, e per via del giudizio. Ma l'astrazione che cos'è?
L'atto di distinguere in un oggetto dai caratteri propri suoi
quelli ch'esso ha comuni con altri oggetti , di lasciare da
parte i propri , e por niente a' comuni. Questi caratteri
comuni sono le idee generali. Ma il generale non è nel
particolare se non in quanto la mente ve lo riconosce; e
per distinguere l'uno dall'altro convien già sentire a qual-
che modo che cosa sia generale. L'astrazione dunque non
crea le idee generali , che astraendo cioè dividendo nulla
si crea '" i ; non fa che osservarle, adoprarle. Io vi domando
come il generale abbia origine , e voi mi rispondete : nella
separazione del generale dal particolare , dal proprio. Co-
testo è un supporre quello ch'è in questione *2.
Donde , ripetiamo , donde vengono dunque le idee gene-
rali ? — Dal giudizio si risponde. — E per giudizio che cosa
intendono gli uomini ? — L' atto con cui la mente accoppia
un predicato a un soggetto. — Ora per accoppiarli , con-
viene averli mentalmente distinti , convien possedere del pre-
dicato un' idea generale. Per dire che una mano è bianca
convien già sapere che sia bianchezza. Il giudizio dunque
non forma tutte le idee generali, ma ne suppone taluna *3.
Ecco la difficoltà: qui bisogna o spiegare donde venga
nell'uomo quella qualunque idea generale che deve pree-
sistere necessariamente al giudizio, o provare che il giu-
dizio può farsi senza idee generali. Il secondo è un as-
surdo : tutta la questione riducesi al primo ; e tutti i filo-
sofi rincontrarono per vie diverse e in modi diversi la
difficoltà che indichiamo.
*i T. 11. p. 75. — »2 P. 90 — *3 T. I. p. 25.
232
Locke trova nella lingua e nello spirito umano l'idea di
sostanza ; vede di non la poter derivare ne dalla sensa-
zione, ne dalla riflessione ; e piuttosto che ammettere qual-
ch'altra origine di lei , e cosi modilicare il proprio sistema,
che fa egli? la nega. Dice che c'è questa idea, ma che
non è punto un'idea. Lo spediente è assai comodo , e sa-
rebbe anche sufficientemente filosofico , se non lasciasse
intatta la difficoltà che si tratta di sciogliere. L'idea di so-
stanza inchiude in sé l' idea di esistenza , cioè d'accidenti
che non possono stare da sé , e d' un ente che in sé li
raccolga , e nel quale essi sieno. Io non posso percepire
alcun ente senza dire a me medesimo ch'esso esiste, senza
attribuirgli l'universale proprietà d'esistenza ; e non posso
sentir oh' esso esiste , senz' avere appunto 1' idea d' esi-
stenza *i. Non solamente dunque le idee generali suppon-
gono di necessità quest'idea, ma le idee stesse degli enti in-
dividuali la suppongono: appena io sento l'esistenza d'un
d'essi , io gli ho già applicato l' idea generale dell' essere.
Se dunque l'idea di sostanza inchiude in sé la essenzia-
lissima idea d'esistenza , non può non essere anch'essa ve-
ramente un'idea. ' '
Il Condillac rincontra la medesima questione , laddove
afferma che le idee non si possono avere senza un giudi-
zio ; ed infatti non hawi idea Ahma cosa sinché Io spirito
non pronunzi internamente : la tal cosa è *2. Dall' altra
parte per formare un giudizio si vogliono delle idee *3.
Ora se le idee non sono possibili senza un giudizio , né
un giudizio é possibile senza idee , (piesto circolo vizioso
come si rompe ?
Il Reid vedendo la difficoltà, tentò di trovare un giu-
dizio anteriore alle idee *4 , un giudizio primitivo, instin-
tivo , quasi meccanico , col quale lo spirito afferma esi-
»i P. 4i. — *2 P. 52. — *3 P. 89. — *4 P. i3r.
253
slenti gli oggetti esterni. Ma questo giudìzio , per primi-
tivo che sia , è un'affermazione dell'esistenza dell'oggetto,
quindi suppone formata l' idea d' esistenza. Come poss' io
giudicare eh' esista cosa di cui non ho alcuna idea *£ ? A
questa terribile interrogazione non risponde ne il sistema
di Reid, ne quello d'altri filosofi insigni. Reid ammette un
giudizio misterioso , anzi assurdo , un giudizio fatto senza
idee generali : e lo ammette senza provarne la necessità ,
la possibilità *2.
Insomma Locke dice da un lato : « le idee debbon essere
prima de' giudizi , perch' è assurdo supporre un confronto
tra due cose prima eh' esistan le cose da confrontarsi. »
E fin qui dice il vero. Reid dall'altro soggiunge: u i giu-
dizi precedono le idee, perch' è impossibile formarsi l'idea
d' una cosa prima di pensare , vale a dire di giudicar eh'
essa esiste. » E cotesto pure ha la sua verità ''"3. Ma le
sono due verità affatto opposte : vedremo più sotto come
r A. n. riesca a conciliarle e a spiegarle con la propria
dottrina.
Locke e Condillac e Reid rincontrarono la difficoltà che
trattiamo , l'uno nel cercare che sia idea di sostanza, l'al-
tro nel parlar delle idee generali, il terzo nel notare l'er-
rore di Locke che dalle idee acquisite comincia lo sviluppo
dello spirito umano.
Stewart la incontra laddove s' accinge a spiegare come
r uomo si formi le idee generali imponendo i nomi alle
cose. Egli vuole cioè che le idee generali sien meri nomi,
e non pensa che un' idea è sempre un'idea ; che i nomi
esprimenti idee generali , non significando individui , se non
significassero idee generali, non avrebbero senso , non si
potrebbero pronunziare da uomini ragionevoli ; che le idee
di specie e di genere , necessarie per imporre un nome
*i P. i53. — "i P. i63. — ♦S P. I70.
254
generale , non si possono avere senza l'idea d'una qualità
comune , né l' idea d' una qualità comune a più oggetti si
può mai formare senza un giudizio. Ora un giudizio, ripe-
tiamolo, suppone già l'idea d'una qualità comune : dunque
com' è che idee generali non v' abbia senza giudizio , né
giudizio senza idee generali *i ? Per uscire di un tal an-
dirivieni , sarebb' egli forse necessario ammettere qualche
idea generale , a noi nota naturalmente , e che preceda
il giudizio *2 ?
Y'ebbe dei filosofi che ammisero appunto questo prin-
cìpio , non propriamente per ispiegare l'origine delle idee ,
ma per altre ragioni. E primo di tutti Platone , il quale
intravvede la questione che ci occupa laddove domanda ,
come l'uomo possa cercar di conoscere quello ch'egli ignora
se esista j e se lo ignora affatto , come può faine ricerca ?
Per cercare infatti una cosa, bisogna a qualche modo co-
noscerne una parte , una qualità , un che qualunque. E
questa difficoltà , che non è tutt'una con quella di cui ra-
gioniamo , vi si accosta nondimeno moltissimo *3. Platone
s'accorse che tutta la difficoltà dello spiegare l'origine delle
idee riducevasi allo spiegar l'esistenza in noi d'una potenza
capace a produrle *4 : ma le idee innate poi ch'egli am-
mette non sono a scioglierla necessarie.
Aristotele , per contraddire a Platone , nega ogn' idea
innata ; e non potendo spiegare come si formi in noi la
percezione delle verità prime , indimostrabili , quelle a cui
la mente deve invincibilmente un assenso , ammette una
potenza capace d'immediatamente percepirle , una potenza
molto simile alla riflessione di Locke '"5. Ma qui torna la
medesima difficoltà : come mai formare le idee generali
astraendole dai particolari , se esse nei particolari non sono ?
Se anzi per percepire i particolari , convien giudicarli esi-
*i P. 235. — *2P. 325. — *3T.II.p.6. — *4P- i4. — *5P.4'2.
235
stenti; e se questo giudizio suppone già beli' e formata la
geneialissima idea d'esistenza *i ?
Così quando l'Hume si sbraccia a combattere l'idea di
causa, non s'avvede di far fatica perduta. O s'abbia o no
un' idea esatta della causalità ( e si dica il medesimo di
tutte le idee generali ) , o v'abbia o no qualche cosa che
le corrisponda nella realità , riman sempre a spiegare di
quest' idea , qualunque ella siasi , 1' origine. I sensi non la
danno ; 1' Hmne lo confessa , ed è appunto perciò che vor-
rebbe negarla. Dunque o bisogna modificare il principio
Lockiano che tutte le idee vengono dai sensi y o affermare
che il principio di causalità non solo non è vero , ma non
è neppur tenuto per vero da nessun uomo , né pur pen-
sato da mente umana , che nessuno mai lo immaginò ,
nessuno ne parlò m.ai al mondo *2.
Kant , fra i molti errori del suo criticismo dommatico,
colse una verità importante , laddove affermò che pensare
è giudicare ; e che intendimento è la facoltà di giudicare ,
non altro *3. Egli poi considerò la questione che ci occupa
sott'altra forma ; e per iscioglierla conchìuse che que' giudizi
suppongono un predicato a priori, un'idea preesistente e
al giudizio e all' esperienza dei sensi, naturai dote della
umana ragione *4- Kant , per isciogliere il nodo , pone per
vero troppo più che a scioglierlo non bisogna. E il modo
di porre e il modo di sciogliere la questione è inesatto ;
ma ìa questione è sentita ; e ciò basta per noi *5.
Per definirla, altri, dice l'A. n., concedono troppo, al-
tri troppo poco. Platone , e Aristotele in parte , e Leibni-
zio e Kant son de' primi ; de' secondi Locke , Condillac ,
Reid e Stew^art *6. Nessuno poi determina il punto vero
della controversia , liberandolo dalle questioni accessorie :
"i P. 72. — *2 P. 233. — *3 275 — *4 P. a85.
*5 P. 3oQ, — *6 T. I. p. 3.
236
« Convien rammentare che noi abbiamo bisogno di un'
« idea generale fino dal primo giudizio che noi facciamo
I» colla nostra mente , perchè senza una tale idea non si
» dà alcun giudizio. Il nodo dunque della questione sta
» tutto nel primo passo che fa la mente nel suo primo
» e più semplice giudizio, I filosofi all'incontro che hanno
» essi fatto ? Sui pigimi passi della ragione sono passati
» con tutta facilità , non supponendo che in essi dovesse
» cercarsi il nodo ; e sono corsi agli ultimi passi e ragio-
» namenti che fa la mente quando stabilisce de' principi!
» scientifici. Essi si sono sbracciati a spiegare la foi'ma-
)) zione di questi principii scientifici ; e ci sono , a dir
» vero , riusciti ; giacché tutto ciò ch'era difficile , cioè il
» primo passo del ragionamento , 1' hanno supposto e non
» ispiegato *i. »
Osservazioni.
E dall' averlo supposto , non ispiegato , provengono i tanti
equivoci e dispareri. Le difficoltà che si evitano sono le
più teri-ibili , diventano (mi si perdoni la comparazione )
diventano nella scienza quello che nella società sono i de-
litti impuniti. Ma l'incontrare che tutti fecero , camminando
per diverse strade , questa medesima difficoltà sotto forme
varie ; e le verità e gli errori a cui furono condotti o per
volerne r-ender ragione o per volerla dissimulare , dimo-
strano l'importanza vitale della questione , la sua varietà ,
la vastità , la bellezza ; e come in essa si racchiuda un
non so che di elementare insieme e di profondo , che co-
manda la meditazione e la provoca.
Le idee generali ; ecco il nodo. Negarle non si può ;
dar loro un' origine indipendente dal giudizio è del pari
*i T. IL p. no.
237
impossibile. E si noti che 1' astrazione medesima suppone
già formata una serie lunghissima di giudizi: talché la di-
stinzione fatta dall' A. più sopra , là dove pone per origine
delle idee generali o l' astrazioìie o il giudizio , non ha
per fine , cred'io , che di accomodarsi al linguaggio di certi
filosofi per meglio convincerli.
Abbiamo dunque veduto che il problema è rimasto fi-
nora insolubile , che le meditazioni di tanti uomini insigni
ne fanno viemeglio sentire la difficoltà e l'importanza. Ora
vediamo come l'A. lo sciolga : come trovi un'idea generale
la quale non ha punto bisogno d'un giudizio per esistere
e per formare il primo giudizio della mente.
DeWidea generale d'esistenza.
Egli è un fatto che l'uomo può pensare e pensa all'
esistenza , all'essere in universale, pensa cioè alla comune
qualità dì tutte le cose, l'essere : fatto innegabile. Quando
io dico : « La ragione è propria dell'uomo , il sentire è
» comune colle bestie, il vegetare colle piante, ma l'es-
» sere è comune a tutte le cose » io considero l'essere
delle cose indipendentemente dal resto. Se l'uomo non
potesse considerar l'essere in universale, questo discorso
sarebbe impossibile. — Sopra un fatto così semplice
fonda FA. tutta la teoria delle idee *i.
Pensare all'essere in universale, non si può senza aver
l'idea dell'essere in universale: e senza questa idea l'uo-
mo non può pensare a nulla , perchè da tutte le qualità
e le proprietà d'un oggetto si può bene astrarre, ma
non da quella dell'essere ch'è la più generale di tutte ;
tolta la quale non resta che il nulla. Astraendo tutte le
*« T. IH. p. 6.
238
altre qualità, e alla sola esistenza pensando, si penserà
un essere affatto indeterminato , un' incognita , ma sem-
pre sì penserà un qualche cosa , si penserà un essere
che avrà o potrà avere le qualità necessarie per esistere,
sebbene incognite a voi o da voi tralasciate. Questa è
un' idea generalissima , indefinita , ma pure un' idea. Tolta
questa, è tolto il pensare *i.
E quando diciamo idea y non intendiamo §^/Mfi?iz/o. Io
posso avere l'idea d'una cosa che non esiste, e però
pensarla senza giudicar ch'essa esista, come d'un cavallo
imaginario , di qualunque cosa possibile. Negli enti de-
terminati che ci vengono presentati da' sensi, là sì che
l'idea è inseparabile dal giudizio : ma l' idea dell' essere
in universale ognun vede che non è l' idea di tale o tal
ente determinato, è una mera possibilità. Quand' io a-
straggo e prescindo dal giudizio della sussistenza di un
ente, mi resta ancora qualcosa; mi resta il pensiero della
possibilità di quell'ente. Quand' io dico dunque." idea
dell'essere universale intendo dell'ergere possibile. Tale
idea non esige nessuno assenso o dissenso , perchè non
afferma e non nega ; solo è istrumento alla facoltà di
affermare e negare *2.
Quest'idea, siccom'è la più generale, è altresì la piìi
semplice , e non ha bisogno di alcun' altra per essere
concepita. Noi non ci possiamo dunque formar di lei al»
cuna imagine sensibile , che allora la non sarebbe più
semplice , sarebbe determinata , e individualizzata : ma
se noi volessimo negare tutte le idee generali che non
portan seco forme sensibili, si negherebbe la miglior
parte dell' umano sapere. E a questo non possono con-
traddire gli slessi sensisti , giacche quand' anco non fos-
sero enti spirituali , non lascerebbero però d' esistere le
*I P. II. -^ *2 P, 226.
239
idee degli enti spirituali : tali idee si possono tacciare
d'inesatte, di false; non mai negarle.
Pensando l'ente in universale, io penso la cosa in sé,
non in relazione coll'esser mio ne con altri. O falsa o
vera sia tale credenza, ell'è un fatto *i. Ora da questo
principio deduco che l'idea dell'essere non viene da' sensi,
perchè tuttociò che le sensazioni ci fanno provare, non
è che la relazione delle cose con noi , la potenza che
esse hanno a modificarci: e son due cose manifestamente
distinte V esser sentito e 1' esistere in sé. Il provar sem-
pre unita l'idea alla sensazione, ci fa confondere l' una
cosa con l'altra : ma , ben pensando , si trova che nell'
idea è considerata la cosa in un senso non contrario j
ma contrapposto a quello in cui la sensazione ce l'ofifre.
Che l'idea dell'essere non venga da' sensi, lo si prova
innoltre dall'esser questa l'idea di cosa possibile, mentre
la sensazione non ci dà che cose sussistenti *2. Il pos-
sibile è interamente indeterminato, il sussistente è in-
dividuale, concreto. Quand'io penso a una statua, con-
vien ch'io la pensi di tale o tale determinata grandezza,
forma, colore; quand'io penso l'essere, fo più che a-
strarre dalla statua, la grandezza, la forma, il colore,
tutte le sue qualità. Astraendo da un oggetto individuo
le sue qualità , ma sempre pensandolo in quanto io lo
sento , non posso mai concepire l'essere in generale.
La sensazione mi dà, ripetiamolo, oggetti individui:
l'idea dell'essere possibile è universale , perchè riguarda
quel ch'hanno di comune gli enti tutti, l'esistere. Ella ha
innoltre in sé il carattere della necessità,, essendo neces-
sario che una cosa possa essere perchè sia. Ciò che non
può esistere, certo non è: e perchè si possa pensar qual-
che cosa , è necessario il pensiero dell' ente. Ora nella
*i P. 22. _ *2 P. 33.
240
sensazione nulla è necessario , perchè tutte le sensazioni
sono accidentali modificazioni dell'ente che pensa, come
non necessarii sono pure gli oggetti che le producono.
Ricapitoliamo. L'idea universale dell'essere, sebbene
semplicissima, ha in se due elementi ; un qualche cosUj
un essere indeterminato affatto j e la possibilità di
quest^ essere indeterminato , cioè il poter esso determi-
narsi venendo a sussistere. Due elementi, uniti insieme
in modo affatto indisgiungibile , e dimostranti che la
detta idea non può venire dal senso.
Ma può ella venire dal sentimento della nostra pro-
pria esistenza? Nemmeno *j. L' /o è un sentimento;
quindi particolare di natura sua : l'idea dell' /o è un'idea
particolare; né l'universahssima delle idee può venire da
quella. Con l'idea dell' /o, i' penso d'esistere, mi classi-
fico tra gli enti; non penso l'essere in comune, ma ap-
plico l'idea dell'essere in comune a me stesso.
Si badi innoltre che il sentimento dell'/o è innato sì,
non però l'idea dell' /o , la quale è acquisita e, di ne-
cessità, posteriore all'idea dell'ente *2 : distinzione im-
portantissima a farsi. 11 sentimento della propria esistenza
non è la cognizione intellettiva della propria esistenza,
non è che materia di delta cognizione, allorché vi si
applica l'idea dell'essere. Egli è tutto 1' Io che sente in-
separabilmente se medesimo: egli è V Io come intellet-
to, eh' ha in sé l'idea d'esistenza. L'/o sentito è soggetto,
r Io giudicato è oggetto a se stesso *3. Se noi non co-
noscessimo noi stessi che per sentimento, non potremmo
ragionare sull'anima nostra , e considerarla come un ente,
un soggetto del nostro pensiero. E perché da questo
sentimento nasca un^ idea , è necessaria un' altra idea ,
quella di cui disputiamo.
*i P. 48. — *2 P. 54. — *3 T. 11. p. 5i.
241
Ma quest'idea dell'essere poirebb'ella forse venir pro-
dotta dalla riflessione Lockiana , cioè dall'attenzione fis-
sata sulle esterne sensazioni, o sull'interno sentimento ,
senza però nulla aggiungere a questo o a quelle? — No:
la cosa è ben chiara. Se l'idea dell'essere non può venir
dalle sensazioni, se non può dall'interno sentimento;
e se la riflessione , quale Locke la presenta , nulla ag-
giunge né ai sensi ne all' lOj certo è che quesl' idea non
potrà mai dalla riflessione prodursi. Innoltre, una rifles'
sione siffatta è impossibile; giacche, per acquistare, ri-
flettendo, delle cognizioni convien confrontare le sen-
sazioni tra loro e giudicarle; ne giudicarle si può senza
una regola del giudizio, senza un'idea generale ch'è ap-
punto Tidea dell'essere *i.
Altri potrebbe supporre che l'idea dell' ente sorgesse
improvvisa nello spìrito all'atto primo della percezione:
e così pensa Reid a un dipresso. Ma perchè alla sen-
sazione succeda la percezione , che si richied'egli ? Un
giudizio che affermi esistente l'oggetto motore della sen-
sazione : e questo giudizio che cosa suppone ? L'abbiani
detto più volte: l'idea dell' e.ssere. La quale idea deve
necessariamente precedere la percezione che non si può
formare senz^essa.
Trasportiamoci al primo primo de' giudizi che l'uomo
può fare bambino. Qualunque sia esso , comunque si
faccia, non può consistere che nel pensare all'esistenza
di tale o tal altro oggetto. E che cos'è pensar l'esistenza
d' un oggetto ? non già ricevere l'idea d' esistenza , ma
farne uso, applicarla *2. E il farne uso suppone l'idea
già formata, perchè non s'usa, ne s'applica cosa che non
esiste. Fra il dire a se stesso : questo è un ente , e il
non dirlo, non si può pensare alcun passo intermedio *3.
*i T. III. p. 62. — *i V, 78. — *3 T. I. p. 5e.
i5
242
Cotesto supporre la subitanea creazione d' un' idea sì
importante è supporre gratuitamente uno strano prodi-
gio *\. O si pretende che Dio la crei nella mente , co-
me volevano gli Arabi ^ e l' ipotesi d' una creazione sì
inutile non merita d' essere confutata. O si vuole con
Kant ch'ell'esca dalla naturai fecondità dello spirito ; e
anch' allora ( lasciando la stranezza del sistema ) rimare
rebbe sempre, che se lo spirito produce l'idea dell'es-
sere , n'aveva in sé il germe, che all'occasione si venne
svolgendo.
Più : se r idea dell' essere è cosa diversa affatto dalla
sensazione, come può ella sorgere in noi all' occasione
di questa ? Convien ricadere nel sistema dell' armonia
prestabilita o in quel delle cause occasionali, sistemi
che ricorrendo ad un agente fuori della natura umana
ripugnano alla Kanziana filosofia.
Da ultimo la mente umana non può produrre da sé
l'idea dell'essere, perchè la mente è individuo, 1' idea
universale ; r una contingente , l'altra necessaria ; quella
esistente, l'altra riguarda il possibile; quella soggetto,
r altra oggetto , vale a dire che la mente umana vede
r idea dell' essere , ma non la produce. L' essenza sua è
così indipendente dalla mente che la contempla, come
una stella del firmamento dall' occhio che la mira. E
analizzando in astratto ^operazione intellettuale del ge-
neralizzare, si trova ch'essa non è mica un'operazione
la qual produca qualche cosa j ma una semplice visione
di quello ch'è già. L'intendere non è che un vedere in-
teriore : il vedere non è produrre *2.
Se dunque 1' idea dell' essere è necessaria alla forma-
zione di tutte le idee^ e nulla si può pensare senz'essa j
se non si trae dalle sensazioni , non dall' interno senti-
ci T. III. p. 82. — *3 T. II. p. io5.
245
mento, non dalla viflessione, non è creala da Dio a
bella posta , non sorge improvvisa da incognita virtù
della mente , ell'è dunque innata. L'argomentazione non
ammette risposta. Quest' idea esìste: egli è un fatto. O
comincia ad esistere insieme con noi, vale a dire eh' è
innata , o no. Se fu prodotta di poi , non può venire die
da noi stessi o da cosa di fuori : qui non e' è mezzo.
Non da noij dunque da cosa di fuori; vale a dire, o
da oggetto sensibile, l'azione de' corpi; oda oggetto che
non cade sotto i sensi , 1' azione di Dio. Anche questo
dilemma non ammette uscita. Se dunque s'esclude l'a-
zione e de' corpi e di Dio , che rimane ? Che la dev'es-
sere innata.
Non inorridiscano i filosofi a questo epiteto. Quando
la voce idea si serbi a significare una percezione gene-
rale determinata in qualunque maniera , sì può conce-
der benissimo che nessuna idea innata si trovi nella mente
dell'uomo, perchè questo Ae^ essere è germe affatto in-
determinato. Chiamiamolo geriìie j lume , facoltà j o
come r A. lo chiama più spesso , forma : invece di in-
nato chiamiamolo concreato j connato j essenziale ; non
giova disputar di parole.
Che se l'uomo all'idea dell'essere non fa, se non tardi,
avvertenza, egli è che le cose di fuori assorbono in sulle
prime tutta l'attenzione di lui ; sì che ad altre ancor più
sensibili operazioni dello spirito egli non dà punto retta:
or si pensi a questo germe , che per essere considerato,
richiede la più semplice e però la più difficile delle a-
strazioni. Altro è veder un'idea: altro è accorgersi di
vederla *i. Ma di ciò poi.
*i T. UL p. 90.
244
Ossev\>azionL
Alcuni filosofi che pensano con certe parole , e per-
dute quelle, par che smarriscano la facoltà di pensare,
grideranno contro questa teoria , pur perchè v' entrano
quelle sei lettere : innato. Io non risponderò , che quando
diciam tutto giorno 1' amor del bene essere innato all'
uomo, nessun uomo ragionevole ne ride o ne freme j e
pure dall'amor del bene è indivisibile l'idea indefinita
dell'essere. Dirò solamente: neghino il fatto, se possono,
di quest" idea eh' esiste nell' uomo, o ne spieghino in
altro modo V origine. Far la guerra a una parola è im-
presa, se così piace, coraggiosa e filosofica ; ma per vin-
cerla veramente questa parola, bisogna distruggere i fatti
ch'essa ha la temerità d'indicare.
S'osservi del resto che dovendo pure ammettere qual-
che cosa d'innato, questo dell'idea universale dell'essere
è il meno che ammetter si possa, è l'elemento più sem-
plice che dia la ragione umana : ed è però la più fi-
losofica delle dottrine. Quel che ripugna nel sistema delle
idee innate, è primieramente la moltiplicità loro; poi
quel supporle belle e determinate e quasi individuali ;
che è troppo e insieme troppo poco: troppo per il nu-
mero; troppo poco per la natura di tali idee, le quali ,
così determinate , non hanno quella fecondità che alla
sola idea universalissima è propria.
Dell'esistenza poi di tale idea se ne può persuadere
non solo il filosofo abituato alle difficoltà della medita-
zione, ma qualunque siasi uomo diretto senso, quando
pensi ch'ell'entra come parte essenziale di tutte le idee.
Al par che tutte le cose essenziali , la vi è nascosta ,
coperta da elementi più estrinseci, ma questo appunto
prova la su' intima necessità. Così vediamo la radice
245
nascosta nella lerra , il seme nel frutto , la vita nel corpo
animale. Ma io la posso separar col pensiero quest'idea
dalle altre tutte , e tutti possono separamela purché vo-
gliano. Ella non potrebb' essere più facile a cogliersi e
più ovvia , senz' essere men generale , senza perdere la
natura sua. Non è ovvia ed evidente in sulle prime e
per sé; ma é la ragione e il criterio d'ogni evidenza,
perchè senz^ essa nessuna idea di nessun ente sarebbe
percettibile.
E si noti la concatenazione di questi principii. L'idea
dell' essere non esisterebbe se non fosse affatto inde-
terminata , perché qualunque determinazione verrebbe
a particolareggiarla, a mutarla in un'altra idea. L'idea
deir essere non può dunque conservarsi affatto indeter-
minata, senza riguardare il possibile, giacché la sussi-
stenza reale é una determinazione dell'essere. E appunto
perchè riguarda il possibile , essa idea è adeguata alla
vastità della mente umana , e costituisce la natura ra-
gionevole ; perché non havvi oggetto che le si pre-
senti , cui essa non possa in qualche parte comprendere.
Limitata l' umana ragione agli enti sussistenti , non sa-
rebbe più dessa. La generalità delle idee suppone l'idea
del possibile; e l'idea del possibile, generalizzata, è
l'idea generale dell'essere. Questo è il sistema più consen-
taneo a' principii dell' indefinita umana perfettibilità :
giacché j qualunque soggetto alla mente si presenti, coli'
idea dell'essere questa se ne impadronisce , e lo ricono-
sce informato di quel suggello. EU'è un'indeterminazione
sublime che tiene dell'infinito ; che rende l'uomo capace
dell'entusiasmo e del desiderio , due fiumi reali che scen-
dono dalle altezze interminate del possibile.
Tuttociò eh' è grande , abbraccia e par che ravvicini
gli estremi ; però pare contraddittorio ad occhio men
veggente. L'idea dell'essere, per poter determinare tutte
246
le altre idee j deve appunto essere affatto indetcrminata:
e d'altra parte perchè sia l'idea dell'essere possibile, deve
inchiudere in se stessa un principio di necessità, i.° per-
chè non si potrebbe concepire 1' essere possibile senza
enti sussistenti , 2.° perchè un' idea così irrecusabile co-
me questa dell' essere , con la energia sua stessa incute
il sentimento della necessità , S." perchè , come dice V
A., ciò che può essere deve poter essere; altrimenti sa-
rebbe impossibile: e d'altra parte ciò che dev'essere,
deve aver lutti affatto i gradi di possibilità. Questa con-
traddizione apparente tra il possibile ed il necessario è
un'armonia veramente essenziale all'idea, e rende evi-
dente il passaggio che fa la mente con sì mirabile faci-
lità dall'essere possibile a Colui che è ed è necessario, a
Dio.
L' Autore ha notati nella grandissima semplicità di
quest' idea du' elementi : un essere indeterminato , e la
possibilità di quest'essere. Ognun vede però come quelli
siano elementi che l'astrazione stessa non può separare.
Io potrei bene imaginare la possibilità d'un ente deter-
minato , non mai un essere indeterminato che sia non
possibile ma sussistente. Nel primo caso io mi formerei
r idea particolare di un cert' ente possibile , di che qui
non si tratta : ma nel secondo , s^ io voglio pensare ad
un oggetto semplicemente in quanto ha l'essere , convien
ch'io prescinda da ogni determinazione, e quindi dalla
stessa sua real sussistenza.
Quand'io penso un oggetto in quanto ha 1' essere , io
debbo pensarlo non in quanto esso ha relazione con me,
ma in se stesso , debbo pensarlo cioè non soggettiva-
mente ma oggettivamente : e se le inevitabili associazioni
delle idee vengono a mescolarsi in questo mio pensiero,
puro e semplice, dell'essere , ciò non fa ch'io non possa
in un momento della mia riflessione prescindere da
2^7
quelle , e considerar 1' essere in se. Questo momento è
brevissimo , ma c'è: e si può farne e rinnovarne 1' e-
sperienza a piacere. Così si trova che l' idea più ogget-
tiva di tutte , quella che più nettamente prescinde da
ciò che riguarda all' Io senziente , al soggetto , è l' idea
dell' essere ; senza la quale anzi non vi sarebbe oggetti-
vità, perchè le cose non si potrebbero considerare in
quanto sono , ma in quanto noi le sentiamo, in quanto
paiono modificazioni dello spirito nostro.
E , considerata appunto l'oggettività della detta idea ,
la sua universalità, la fecondità inesauribile, e la vita-
lità che diffonde nel mondo vastissimo delle idee , alle
quali tutte fa corrispondere 1' esistenza , e , per dir così,
ve la infonde ; si può bene affermare che quest' idea è
più sublime dell'uomo ; ch'è nata con esso, perchè è la
sua dignità , l'anima dell'anima sua ; e che il farla sor-
gere o da' sensi o da altra cagione posteriore all'esistenza
di lui, se non fosse un assurdo , sarebbe un mistero cento
volte più inesplicabile dell'ammetterla a lui concreata.
Tommaseo.
Sarà continuato.
248
ETUDES LEGISLATITES PAR I. N.
( Un voi. in-8. Paris, i83G).
Avvengono per fortuna non di rado certi novelli inse-
gnamenti che ognor più persuadono della necessità di stare
in guardia contro quelle teorie che sotto l'apparenza di
novità e di una profonda e non mai tentata investiga-
zione , e sotto colore di più lontani e più generali pensa-
menti, si predicano per miglioratrici delle attuali istitu-
zioni umane , e della presente condizione della civiltà.
Da queste belle promesse molti soventi si lasciano ab-
bacinale ; onde poi nascono sogni di riforme , utopie d'ogni
sorta, e qualche volta persino tentativi perniciosi. Questi
tali non pensano e non gridano altro che progresso , pro-
gresso. Ma e' non s' avveggono che il suono per essi ma-
gico di questa parola stordisce molte volte il loro intelletto;
imperocché non sanno por mente che la verità per se
stessa non progredisce , ne indietreggia mai , ma che in-
vece Sta sempre salda ed immobile nell' adamantino suo
249
seggio ; per modo che chi s' avvia ai due opposti estremi
per rintracciarla , si scosta egualmente da essa. Le vie sol-
tanto ed i metodi per raggiungerla sono diverse ; quali più
brevi e facili , quali più tortuose e difficili , alcune più
sicure e giuste , altre più fortunevoli e dubbiose. Chi si
aggira intorno al suo disco non sempre raggiante senza
mai discoprirlo , chi ne scambia una qualche striscia di luce
per l' intiero suo splendore , chi ne lambisce i contorni
senza internarsi , senza vederne tutta intiera la sua orbita.
Nella ricerca adunque e nella scelta , nel trovare e nello
sgombrare le vie migliori e più giuste che conducono alla
verità , consiste il progresso ; non già nel collocarla in una
nuova foggia di ragionamento , in un gruppo singolare d'
idee astratte.
Queste cose che forse non piaceranno a quegli ingegni
che sono per impazienza troppo corrivi a vedere il me-
glio in tutto ciò che si presenta coli' aspetto di nuovo ,
ci tornavano alla mente nel leggere gli Studj Legislativi del
sig. I. N., e nel confrontare le dottrine che per entro vi
sono insegnate colle imponenti espressioni del suo esordio.
Eccole :
» Lo scopo provvidenziale che domina il pensiero umano ,
» egli scrive , sfugge alla sagacità dell' uomo. I secoli nel
» loro cammino lento e maestoso raccolgono il picciol nu-
)) mero delle idee che lor deggiono sopravvivere , le fanno
» matiu'are in silenzio nella coscienza di parecchie gene-
)) razioni, e le rivelano poi tutte formate alla società che
» le accetta, riconoscendole come loro parti in sino al-
» lora sconosciuti. Risalii-e a questa genesi , a questa pro-
» gressione misteriosa delle istituzioni umane, alle loro
» origini contestate o confuse, cogliere ed improntare il
« carattere proprio ai principj ed ai fatti che servirono
» come di fasce alla lor culla , e discernere il pensiero
)) morale da quello della semplice tradizione , la ragione
250
» dal pregiudizio , le inclinazioni dell' umanità dalle ten-
n denze egoistiche ; tale è lo scopo che si propongono
» questi Studj. »
Scopo certamente immenso , e tale da meritare l'eterna
riconoscenza di tutte le venture generazioni.
Ma chi lusingato dalla pompa di queste frasi promettenti
tanta ampiezza di vedute e di risultati , pensasse di trovare
in questi Studj lo scopo sublime che annunziano , reste-
rebbe fortemente illuso.
Almeno così ne parve di poter pensare allorché entram-
mo nella disamina delle proposizioni che questo libro con-
tiene ; ed i lettori potranno giudicarne per se stessi , consi-
derando tre sole di quelle proposizioni a cui limitiamo il
presente articolo.
La prima proposizione si è quella in cui si condanna
il diritto di far grazia esercitato dal Sovrano.
L' autore dice che quando il monarca esercita questo
diritto , si spoglia dell' attributo essenziale della giustizia,
quello cioè di far eseguire la legge. Secondo lui il diritto
del perdono non ha altra miglior base tranne quella della
imperfezione delle leggi e dei cattivi ordini giudiziarii ,
sorgenti di molte ingiustizie e dì inique condanne. Quindi
il perdono non può mai a parer suo ravvisarsi che come
im rimedio contro il vizio della legislazione , la quale ove
fosse perfetta non potrebbe più dare ad alcuno il diritto
di derogarvi.
Tali in sostanza sono i ragionamenti del sig. I. N. Ma essi
potrebbero soltanto esser veri tuttavolta che fosse dato all'u-
mana natura di governarsi in società con leggi che avessero in
ogni tempo ed in ogni luogo tutti i caratteri di una esatta
giustizia, e di una utilità costante, con leggi in una pa-
rola che rinchiudessero una perfezione matematica. Ma sic-
come ciò sarà sempre , se non una chimera , almeno un
problema di tutti i secoli , così resterà sempre uno fra i
251
migliori attributi della sovranità quello ^i far grazia. Ciò
tanfo è vero che questo diritto forma tuttora la più bella
gemma della corona monarchica, anche colà dove le leggi
dello Stato ne hanno in altre parti limitato il potere. Ella
è del resto una elementare dottrina quella che la giustizia
è pur anche essenzialmente distributiva, e che molte cir-
costanze individuali , di social posizione , d' interesse non
ordinario non possono sempre venir contemplate dalla legf^e ,
né apprezzarsi dai magistrati. Resta quindi prerogativa del
Capo dello Stato il conoscere di queste straordinarie ec-
cezioni , e di provvedervi con una mism^a superiore di giu-
stizia.
Egli è impossibile trovare una legislazione così perfetta
che comprenda tutti i casi, anzi tutti i menomi accidenti
di questi casi istessi , i quali benché impercettibili agli oc-
chi della legge, pure cangiano notevolmente le varie con-
dizioni della imputabilità. Perciò il perdono che la legge
stessa applicasse espressamente al delitto, sarebbe una delle
più assurde incoerenze; non verrebbe già ad essere l'ese-
cuzione della legge, ma sarebbe bensì un aperto ricono-
scere la primitiva sua ingmstizia ed inefficacia. Siccome
adunque nella legislazione non si può tener conto di tutte
le gradazioni delle circostanze che determinano il de-
litto , così conviene admettere che se il perdono non è
del dominio della legge scritta , lo è però in quello della
morale giustizia. Così nel diritto di far grazia ha luogo ui\
principio di una più eminente , più universale giustizia,
di una giustizia per così dire provvidenziale che forma
anch'essa uno di quei tanti indefmibiU, ma pur necessari
legami che affezionano l'uomo vivente in società coli' or-
dine e col governo della medesima. Perciò veggiamo le mol-
titudini senza aver mai in pensiero di accusar per troppo
crudele od ingiusta la legge , accoglier anzi con trasporto
di gioia ogni grazia , ed ogni indulto. Non è quindi il per-
252
dono una violazione della legge , ma egli è bensì l' applica-
zione di una legge di un ordine superiore ; egli è un j)ro-
fittare del silenzio della legge civile , per far parlare la
legge più eminente della ragion sociale ; quella legge che
non è di questo o di quel secolo , di questo o di quel po-
polo , ma che abbraccia l' universale economia di tutte le
umane società.
Per le quali cose vuol esser perduta quella opinione per
cui si crede che quando il perdono viene compartito , esso
venga concesso per riguardi parziali e per abuso di potere ,
mentre all' opposto si osserva eh' ei viene generalmente
concesso allorché si verificano circostanze straordinarie o
cùxostanze particolari attenuanti il delitto a cui la legge
non ha potuto abbastanza deferire ; allorché prevalgono
esigenze di una maggiore utilità, ed il bisogno di conser-
vare tra il Sovrano ed i sudditi, tra i cittadini e lo Stato
il convincimento di una indeffettibile protezione , di un
vicendevole amore. Perciò non potrà mai dirsi con verità
e con giustizia che la clemenza sia nient' altro che un si-
nonimo òx favore.
Del rimanente tolto il diritto àx far grazia verrebbe ne-
cessariamente lasciato alla legge ed ai Magistrati un mag-
giore ai^bitrio , e non sarebbe vano il temere , che per
amore di equità e sul riflesso che la sovranità più non po-
trebbe esercire quel diritto , si cadesse poi nel gravissimo
inconveniente che i Magistrati credessero di trovarlo troppo
soventi compreso nella legge , e fossero quindi tentati di
arrogare a se stessi quel diritto di cui si sarebbe privato
il capo della nazione.
Sia dunque il sistema penale più perfetto che compor-
tar lo possa la condizione umana ; ma nel tempo stesso si
lasci al capo dello Stato questa bella prerogativa ò\ far ,
grazia, la quale di sua natura, e per la propria sicurezza
come per la sicurezza della società , non verrà certamente
253
mai usata salvo che nei casi di una giusta , prudente ed
utile clemenza.
La seconda proposizione che non possiamo lodare negli
Studj del sig. I. N. si è quella per cui egli crede tuttavia
ed in qualunque tempo indispensabile per alcuni casi la
pena di morte.
)) I delitti, egli dice j per cui questa pena non si può
)) abolire sono i delitti di sangue e di alto tradimento ,
)) quelli cioè de' quali la società non può impedire la con-
)) tinuazione o la recidiva. I delitti sanguinari ed i delitti
» politici sono i soli contro cui la società ha il diritto di
» stare continuamente armata A Roma ove la pena
» della morte era riservata per gli schiavi , Manlio che
» aveva liberato la patria dal giogo de' Galli , fu precipi-
)) tato dalla rocca Tarpea, perchè la sua ambizione intor-
)) bidava lo Stato La Russia dove Elisabetta e Cat-
» terina II avevano abolita la pena di morte non fu salva
» dalle cospirazioni di Pugatschev^ che colla decapitazione
» del capo de' faziosi. — Non si può andar all' incontro
» de' mali incalcolabili delle guerre civili e delle scosse po-
» litiche fuorché individualizzando la morte. Questa è una
» necessità indispensabile. Se non si fa perire un indivi -
« duo per sentenza capitale , mille ne periranno per gene-
» rali conflitti. La legalità risparmia il sangue, n
Chi avrebbe mai potuto credere che in Francia e nel
secolo XIX si stampassero queste massime che farebbero
fremere Beccaria , il Conte di Sellon e lo stesso Carmi-
gnani? Ma dopo avere il sig. I. N. voluto disarmare il So-
vrano del diritto di far grazia , ben conveniva aspettarsi
oh' egli volesse cercare di conservare al carnefice ogni sua
prerogativa , e fare l' apologia della pena di morte. Se non
che veniamo confortati dal credere che non vi sia gentile
lettore il quale non trovi nella propria coscienza la con-
futazione di simili dottrine , evidentemente contrarie a tutti
254
i principi! di politica e di filantropia, che i più grandi
scrittori ed i governi pii!k illuminati hanno accolti nella con-
vinzione propria e trasfusi e protetti nella credenza dei
popoli. La pena di morte è forse ancora per qualche tempo
e per qualche nazione una triste necessità ; una di quelle
necessità così inevitabili che si cangiano in giustizie. Ma
nel cedere a questa necessità la società si deve vestire a
lutto j e desiderando con tutto fervore quando che sia
r abolizione della pena capitale , a questi voti congiungere
poi i provvedimenti onde i costumi de' popoli siano recati
a tal grado di benignità da poter sbandire per sempre una
necessità sì terribile. Il tenere invece la pena di mor-te e
il professarla per una sanzione indispensabile e perpetua
della legislazione penale , per im freno irremovibile e fa-
tale dell' umanità , ella è tal dottrina che ben lungi dal ci-
mentare nello stato l' ordine e l' obbedienza , vi alimente-
rebbe anzi l'inquietudine ed il disgusto. Gli esempj perciò
che il sig. I. N. volle trarre dalla storia di nazioni ancora
mezzo barbare e feroci, costituite sopra fondamenti affatto
diversi da quelli delle odierne società, non possono sicu-
ramente servire di alcuna norma a queste ultime, per le
quali è provato che le leggi ordinate con una generosa ed
eguale gmstizia, dirette ed amministrate con uno spirito
di paterna sollecitudine , temperate nel razionale equilibrio
di una giustizia tutelatrice e di una sapiente indulgenza ,
sono le ancore più forti e sicure di uno Stato qualunque ,
senza ricorrere agli ultimi espedienti della forza , alla ven-
detta ed all' eccidio.
Egli è poi un errore quello del sig. I. N. , quando as-
serisce che la società non può altrimenti che colla morte
impedire la continuazione o la recidiva dei delitti di san-
gue e di alto tradimento \ mentre l' esperienza e' insegna
che con altri provvedimenti assai più umani si possono
prevenire e castigare questi debiti. Numerosi esempj delle
25ff
storie recenti molto più autorevoli di quelli antichi citati
dall' Autore , potrebbero rispondere vittoriosamente che
non £ii mai vero che il perdonare la morte pei delitti po-
litici , sia stato cagione di rovina per gli Stati. Parimenti
nessuno prudente uomo di Stato ha mai pensato ohe lo
spirito di rivolta non possa spegnersi fuorché colla morte,
poiché, salve pochissime eccezioni , si sono veduti a mente
più tranquilla, sedato l'impeto delle passioni, ed ammae-
strati dall'esperienza, i faziosi ritornare utili e pacifici cit-
tadini, a (noni
La terza proposizione finalmente che noi vogliamo an-
cora disapprovare negli Studj del sig. I. N. , si é quella
per cui egli vorrebbe che i figli illegittimi succedessero
egualmente come i legittimi. Egli vorrebbe che la legitti-
mità della nascita fosse una parola scancellata dai codici,
e che più non fossero vietate le ricerche sulla paternità.
Per far adottare una legislazione così singolare e che il
sig. I. N. si sforza far credere più logica e più liberale ,
quando non farebbe che mettere sottosopra tutte le mas-
sime sinquì ricevute della pubblica morale , ecco con quali
argomenti egli ragiona :
» Dal diritto di proprietà ne nasce necessariamente il
» diritto di successione. Qualunque facoltà di disporre della
)) proprietà fiiori delle basi natui-ali, sulle quali essa é
» fondata , dovrebbe essere interdetta. Il diritto della pro-
» prietà acquistata una volta riconosciuto , quello della suc-
» cessione resta un diritto naturale, senza distinzione di
» persona tra i membri che compongono la famiglia. Se
« i privilegi della nascita sottoposti ad alcune regole ri-
» guardo ai figli di diversi letti , nuUa hanno che ripugni
» alla ragione , come alla giustizia , quelli che ingiungono
» la diseredazione ai figli nati fuori del matrimonio, non
» sono eglino una ontosa riparazione del fallo de' loro pa-
» dri? Con qual diritto si vuol egli far loro scontare la
256
)) pena di questo nuovo peccato ori^nale ? Se la
» legge imprimesse al seduttore , qualunque fosse il suo
» rango sociale , una nota d' infamia sarebbe ella più ri-
» dicola del pregiudizio che disonora la debolezza di una
» povera donna , e che esercita i più stupidi rigori contro
» il fanciullo delle sue lagrime? »
Per quanto queste commoventi declamazioni sembrino a
primo aspetto indirizzarsi alla pietà ed alla umanità, pure
a riflettervi pacatamente , le loro conseguenze non potreb-
bero mai credersi abbastanza convenienti od applicabili alla
legislazione.
In primo luogo s' egli è vero che dal diritto di pro-
prietà nasce quello della successione , non ne segue però
che questo sia il solo ed unico diritto che da quella si parta.
Che anzi il primo , il più vero , il più caratteristico diritto
della proprietà si è quello della più assoluta, libera ed il-
limitata disponibilità di essa. Una legge dunque che inter-
dicesse di disporre fuori delle basi della successione, di-
strurrebbe affatto nella sua essenza il diritto di proprietà,
sarebbe contraria ad ogni idea sulla libertà degli umani
commercii , ed ordinerebbe in sostanza un fidecommisso
generale e perpetuo.
In secondo luogo un altro carattere o per dir meglio
un' altra conseguenza inerente al dii'itto di proprietà si è
quella che abbiano a parteciparne tutti coloro che hanno
cooperato, o che possono ragionevolmente cooperare ad
acquistarla, od anche solamente a conservarla. Ora rispetto
soltanto ai figli legittimi che convivono coi loro parenti si
verifica questa attuale o possibile cooperazione , poiché ri-
guardo ai figli illegittimi che vivono fuori della famiglia ,
e che senza intervertire 1' ordine sociale non vi possono
mai vivere in concorso de' figli legittimi, come potrebbero
mai essi cooperare all'acquisto od alla conservazione della
sostanza famigliare? I figli non legittimi dunque in quanto
257
ai dirilti reali della proprietà possono giudicarsi come
estranei , quando invece i legittimi ne sono come i compro-
prietarii , e ciò è così vero che i romani giureconsulti li
considerarono condomini delle sostanze paterne.
Inoltrandosi quindi nella discussione si trova eziandio
che appunto perchè la legge stabilì de' privilegj fra gli
stessi figli di diversi letti , essa può egualmente e con mag-
gior ragione stabilirne jfra i legittimi ed i naturali. La dis-
eredazione poi non è una conseguenza necessaria, assoluta,
indeclinaliile della qualità di figliuoli illegittimi : i padri non
sono impediti dal provvedere alla prole illegittima ; ed a
favore di essa può anzi esercitarsi lo stesso libero diritto
della proprietà, che il nostro scrittore vorrebbe eliminare.
Oltre acciò se la dottrina del sig. I. N, venisse adottata,
la legislazione vedrebbesi in aperta opposizione colla mo-
rale. Infatti come accertare la figliazione della prole nata
fuori del matrimonio? E per ciò ottenere quanti scandali,
quanti disordini , quanti scompigli nelle famiglie ? Ove poi
la legge notasse d' infamia il seduttore , le ricerche , le
prove che per chiarire il colpevole sarebbero indispensa-
bili , non schiuderebbero elleno V adito alle più immorali
conseguenze ? In qual modo si potrebbe discernere il com-
plice dalla vittima ? Ben è certo che leggi ed indagini di
di tal fatta non potrebbero eseguirsi senza sollevare il velo
a tante turpitudini o a tante sventure di cui è miglior
consiglio lasciare ignota ogni traccia.
L' opinione del resto che disonora la donna sedotta se
forse non è sempre giusta e ponderata, pure giova come
antidoto contro la seduzione stessa ed il mal costume ; e
se alla venere libera ed alla prole illegittima le leggi accor-
dassero gli stessi diritti civili e l'opinione le stesse sociali
onoranze , qual rispetto più vi sarebbe per la fede conju-
gale, qual ragione che determinasse a contrarre legittimi
matrimonii ? Finalmente la stessa misera sorte a mi vanno
i6
258
esposti i figli illegiltimi , i rigori con cui la legge li ri-
mira e l'opinione li tratta , non sono essi altrettanti ripie-
ghi per trattenere dal libertinaggio coloro che fossero per
dissolutezza inclinati ad aumentarne il numero ?
Non aggiungiamo parole per provare viemaggiormente
che la riforma legislativa che su questo proposito vorrebbe
suggeru'e il sig. I. N. non farebbe che compromettere la
santità de'matrimonii, la certezza e V educazione della prole,
il riposo insomma delle famiglie.
Basteranno frattanto queste sole citazioni e li pochi ri-
flessi coti cui abbiamo voluto accompagnarle per compren-
dere ciò che sin da princìpio abbiamo accennato , cioè , che
le conclusioni degli Studj del sig. I. N. non corrispondono
gran fatto alle magnifiche parole del suo esordio.
Non sarà dunque a questi Studj che noi consiglleremo
i giovani legisti di venir a studiare i principii che reg-
gono e che ancora perfezionar possono 1' attuale incivili-
mento e tantomeno le basi di quelle riforme di cui alcune
parti della legislazione potessero per avventura abbisognare.
Severino Battaglione.
259
DELLA POESIA LIRICA E DI UULAJXB
Gcdihte von Ludwig Uliland. r. Band g." auflage
Stuttgai uiid TubiDgen beim Cotta.
Vi fu chi asserì avere la poesia compiuti i suoi de-
stini , ed incolpando da un lato le oscure elucubrazioni
metafisiche, da un altro due scienze, che giovani ancora
già stanno giganti e tanta parte occupano degli studi
presenti, la pubblica economia cioè e la statistica , mo-
vendo lagnanze ai rivolgimenti politici che in alcune na-
zioni vicine staccarono ingegni potenti dal tavolino mo-
desto del letterato per lanciarli o alla tribuna, ove si
discutono i destini delle genti , o nei sentieri tenebrosi
della diplomazia, querula chiamò l'epoca presente tutta
prosaica, tutta positiva; altri, e questi sono i più, di
questo prosaismo , di questa supposta morte della poesia
danno lode grandissima all' età che viviamo. Ma noi
crediamo che sia le lodi , sia il biasimo non siano me-
ritati. Certamente non sono più i giorni, in cui si cin-
gevano le tempia di alloro ad un Tibaldeo, in cui Cle-
mente Marot dirigeva a posta sua le leggi del buon gu-
sto nella corte di Francia; in cui un Marini era ricer-
260
calo dai privati e dai prìncipi , e parteggiando per lui
città intere , si dividevano in fazioni nemiche ; in cui
un sonetto di Monsignore Della Casa metteva in moto
le mille accademie poetiche dell' Italia. Ma se mostre-
remo la poesia lirica chiamata a pigliar parte rilevan-
tissima nella vita di due grandi nazioni differenti di
lingua, di costumi, di leggi e di clima, vogliam dire
la Francia e la Germania; se la vedremo nell'Italia.,,
abbandonate le fiabe di una trita mitologia , e le non
men trite gesta dei Greci e dei Romani , moversi in-
certa ancora e vacillante ma non priva di coraggio e
di speranza pel novello sentiero in cui prima l'avviò un
Manzoni , ed in cui le sono scorta un Giacomo Leo-
pardi, un Carrer, un Berchet, un Tommaso Grossi, con
Colleoni, Mezzanotte, Gabriele Rossetti, Cesare Cantù ,
Samuele Biava _, noi crederemo avere vinta la causa.
Quello che fu detto della poesia in generale può dirsi
a buon diritto della poesia pastorale ed epica, e noi
deploriamo che poeti valenti sconoscendo essere 1" epo-
pea chiamata a cantare gesta di popoli primitivi a po-
poli primitivi, e che traendo il maggior suo incanto dal
meraviglioso, non può fissare l'attenzione di un secolo,
che alle meraviglie non crede , spendano in sforzi im-
potenti un ingegno, che impiegato altrimenti potrebbe
fruttare loro ed alla patria onore grandissimo, e basti no-
minare fra i molti Pirker, Perceval Grandisson, Alletz,
Botta, Ricci, Bellini, Arici, Teresa Bandettini. Forse
quello che dicemmo dell'epopea non vorrà negarcelo al-
cuno, ma chiamando vicina a morire la poesia dram-
matica , vediamo che troppo numero di oppositori ver-
rebbe a gridarci la croce contro , cosicché esitanti e pe-
ritosi esterniamo questo nostro dubbio. Eppure se guar-
dia^no 1' Alemagna , la Francia , l' Inghilterra , la Spa-
gna , l' Italia , noi vediamo ovunque uomini di ingégno
261
sommo dopo avere ottenuto allori incontrastati nella
poesia lirica , nel romanzo , porre le mani alla grand'
opera del dramma moderno , annunciato tanto e sem-
pre atteso invano, cogliervi appena un freddo successo
e ritrarre quindi pressoché tutti la penna da un' im-
presa ardua cotanto. A conferma di ciò citeremo i vi-
cini esempi di Manzoni fra gli italiani, di Uliland, di
Immermann fra i tedeschi, di Bjron j di Bulwer, di
Scott fra gl'inglesi, di Martinez la Rosa, D. Telesforo
de Truebafra gli spagnuoli , di Della Vigne, Chateau-
Lriand *i , Lamartine *2 , De Vigny, Vittore Ugo fra
i francesi. E qui di Vittore Ugo vogliam dire due pa-
role abbenchè la nostra opinione sia per esserci con-
trastata da molti ed in ispecie da uno de" collabora-^
tori del Subalpino , la cui opinione in fatto di cose
drammatiche ha pure un gran peso agli occhi nostri.
Vittore Ugo ha volto in questi ultimi anni tutta la forza
del suo genio al teatro , e noi crediamo con danno
gravissimo delle lettere francesi ; imperciocché quai
miracoli di poesia non eravamo noi in dritto di at-
tendere dal poeta lirico sempre casto, sempre morale,
che nell'età di i5 anni dettava odi, per cui Chateau-
briand ebbe a chiamarlo un fanciullo sublime, dallo
splendido scrittore delle Orientali , dal soave cantore
delle foglie d' autunnol Chi legge V Angelo tiranno di
Padova, V He mani , la Maria Tudor , ]a Lucrezia Bor-
gia, ed anche la Marion Delorme e le Roi s'amuse ,
che noi teniamo in conto de' suoi capo-lavori teatrali,
troverà certamente in essi slanci di vivace fantasia, scene
di effetto sorprendente, ma vi cercherà invano quella
vita nascosta, che farà eterne le creazioni di Sakespeare,
in cui si vede un mirabile compendio del medio evo,
invano cercherà quelle vedute profonde in cui Schiller
preconizza un' epoca futura ; invano quel nazionalismo
262
potente che fa delle produzioni drammatiche di Alfieri
un quadro meraviglioso, nel cui insieme i posteri tro-
veranno scolle a rilievo per cosi dire le passioni , i vizi
e le virtù che furono molte dell' ultimo periodo del se-
colo 18.* in Italia. Ma qui ci soffermiamo perchè veg-
giamo avere tocca una materia che ci menerebbe in di-
squisizioni lontane troppo dal nostro proposito e forse,
e senza forse, superiori alle nostre forze.
Abbiamo detto che la poesia lirica si è addentrata
così nei costumi della Francia e della Germania , che
nei poeti lirici di quelle nazioni noi possiamo leggere
la storia delle loro opinioni , vedere la pittura della loro
vita pubblica e privata. Per ciò cfie riguarda la Francia
senza volere segnare quanta parte abbiano avuta nelle
sue vittorie i canti militari di Delisle de Salles e di Giu-
seppe Maria Chenier, senza ricordare il detto di quell'
uomo di stato , che chiamò uno scrittore di canzoni
l'autore vero della rivoluzione di luglio, noi rimanderemo
i nostri lettori allo spiritoso discorso che Scribe pronun-
ciava all' accademia di Parigi quando vi venne ammesso
è ora scorso un anno. Ma se ciò che disse Scribe della
Francia è vero, questa verità è mille volte più palese
neir Alemagna ove una popolazione astretta dal clima
e dalle costumanze dei padri mena neir intimità delle
mura casalinghe la sua vita , e ponendo in cima di ogni
pensiero le affezioni di famiglia, commette alla poesia
ed alla musica di manifestare quelle profonde commo-
zioni che nella sua naturale timidezza non permette al
linguaggio comune di palesare, e di cui senza quelle
nobili arti sorelle tu la crederesti incapace. Neil' Alema-
gna ogni fase della natura, ogni più lieve evenimento
della vita domestica è guardata dal suo lato poetico,
quindi avviene che senza ricercare le gesta di eroi che
non vissero o vissero in paesi lontani , 0 di Dei im-
265
maginatì , ognuno cui sìa concessa la favella poetica
trova in quelli i temi delle sue canzoni, e queste per-
chè dovute ad ispirazione popolare e nazionale, perchè
scritte nella lingua parlala con piccole modificazioni da
tutte le classi della società, trovano un eco nel cuore
di tutti , dal ricco barone del Palatinato al povero mi-
natore della Stiria , dalla dama di Vienna alla donnic-
ciuola di Amborgo.
Senza volere ricordare i tempi, in cui associazioni di
calzolai, sarti, falegnami si raccoglievano dopo termi-
nati i loro lavori in una cameretta, e colla sola ispira-
zione di un croccinolo di birra discendevano a tenzoni
poetiche , e formavano altrettante accademie ; noi Ve-
diamo negli scrittori della Germania di questi ultimi
tempi compendiate per dir così , e rappresentate le fasi
delle opinioni che ebbero dominio presso quel popolo
mal conosciuto: in Biirger, in Blumauer, in Wieland il
scetticismo ed il sensualismo del secolo i8.° che dalla
Francia fece irruzione nell'Europa intiera; in Schiller,
in Klopstock, in Schubart, in Seume quello slancio ge-
neroso prodotto dalla rivoluzione del 1789 prima che
fosse macchiata di sangue ; in Voss il puritanismo se-
vero che le tenne dietro; in Holtj il desiderio della
vita campestre e quel disprezzo verso i rivolgimenti po-
litici sorto dallo spettacolo delle sanguinose catastrofi ,
che s" avvicendarono negli ultimi anni del secolo iS.*" e
nei primi del secolo 19." Non parliamo di Goethe per-
chè Goethe, genio raoltiforme e scettico, volse tutto il
suo ingegno a cercare la perfezione nell'arte, e guardò
con sorriso ironico e beffardo le emozioni, da cui egli
era troppo egoista per lasciarsi trascinare.
Quando la Francia ebbe scacciate dal suo territorio
le falangi straniere e da conquistata fattasi conquistatrice
inondò i paesi al dì là del Reno, quei popoli rima-
264
sero per qualche tempo muti e freddi spettatori , ma
quando videro irrisi i loro domestici costumi, violato
il santuario della loro vita privata si levarono in piedi,
e seguendo le voci e 1' esempio dei loro poeti , che
colla spada e col canto precedevano le coorti degli ar-
mati, scacciarono alia loro volta l'invasore, e furono
visti in tempi dissimili tanto , rinnovati gli esempli dei
Tirtei, dei Simonidi , dei Bardi della Caledonia. Molti
sono quei poeti che 1' oppression francese fece correre
nelle prime file. Tederò Kòrner morì sul campo di bat-
taglia, Federico Rùckert, Maurizio Ascndt, SeckendorfF,
ma prima di tutti Uhland, meritano di essere partico-
larmente nominati. Né Uhland vuoisi solo raccomandare
come poeta soldato, ma dalla cessazione delle guerre
napoleoniche in poi egli è rimasto il rappresentante fe-
dele del genio germanico ; le sue canzoni sono nella
bocca di tutti , del pastore , del cittadino , della villa-
nella , del soldato , e chi viaggia la parte meridionale
dell' Alemagna vede spesso nelle capanne e nelle case
dei grandi il suo ritratto , con qualche motto, che mo-
stra quanto sia l'amore, che quei popoli nutrono verso
il loro poeta nazionale.
Luigi Uhland nato a Tubinga il 26 aprile del 1787,
dopo aver viaggiata la Francia e l' Alemagna esercitò
onorevolmente in Stoccarda la professione d'Avvocato,
avvicendando con graziosi epigrammi, con tenere, molli
canzoni d' amore i suoi doveri legali. Nei componimenti
che spettano a quest'epoca Fidea sempre casta del poeta
pare appena pensata, così soavemente lieve e traspa-
rente è il velo dalla parola che la copre. Uditelo:
La madre ed il Jlglio.
La madre. Mio figlio innalza il tuo sguardo al cielo , là fra i
beati sta un tuo fratellino, che vi vemie coadotto dagli angeli per-
chè non mi afflisse mai.
265
Il figlio. Aflìnchè nissun angelo possa mai staccarmi dall'amo-
revole tuo seno, mostrami, o mamma, come debbo fare per af-
fliggerti.
Risoluzione.
Essa suole venire in questa valle silenziosa , io vuo' oggi arrì-
scliiarmi con animo ardito. Perchè dovrò tremare dinanzi una fan-
ciulla, che non fece mai male a nissuno.
Tutti la salutano cosi volentieri , io le passo vicino e non oso ; e
non innalzo mai il mio sguardo alla più bella delle stelle.
I fiori che s' inchinano ver lei, gli uccelh colle loro allegre can-
tilene osan ben mostrarle il loro amore: perchè questo costa a me
solo tanta pena ?
Io mi sono spesso lagnato amaramente le intere lunghe notti col
cielo, e non ho mai avventurato innanzi a lei questa sola parola:
io ti amo !
Io vuo' pormi sotto questi alberi ov' essa ogni giorno suole ve-
nire a diporto , ed allora vuo' dirle come fo ne' miei sogni : siccome
essa è la mia dolce vita.
Voglio Oh ! guai ! che terrore ; essa s' avvicina e
mi vedrà ! io corro a nascondermi dietro il cespugho , di là la veggo
passare.
Meraviglia.
Essa era pochi giorni sono una fanciullina, ed ora non la è più,
proprio no ! tantosto il fiore è schiuso , tantosto si chiude di nuovo
a metà. A chi chiederò io la spiegazione di questo prodigio I son io
forse condotto in errore da una soave illusione ?
Essa parla coi pensieri di una fanciulletta , ed il moversi de' suoi
occhi è pio -, però un senso interno mi dice cose maggiori , e veggo
un' oscurità senza fine. Già queste sono meraviglie del dolce amore.
L'amore ne fa molte meraviglie.
Uhland giovine ancora guarda la poesia siccome una
sorella, che l'accompagna ne' primi passi della vita, e
gli tempra quella misteriosa melanconia^ che non è il
men dolce pregio dell' età giovanile.
266
// Cantore.
Il garzone canta ancora all'eco i suoi pensieri. Il Silfo preso dal
gioco giovenile sta sospeso ad udirlo. Le sue canzoni splendono at-
torno di lui siccome corona di fiori ; esse lo accorapagaano attraverso
il silenzioso boschetto.
Egli viene alle feste del popolo , egli canta nelle sale dei re , tutti
i commensali lo guardano attoniti , e la sua canzone rallegra il con-
vito ; le bellissime fra le donne lo coronano con lucenti fiorellini ;
egli china ver terra T occhio bagnato di lagrime e le sue guancia
avvampano.
Ma quando giunse l'ora dell^ oppressione del suo pae-
se, quando le falangi francesi innondarono i campi della
Germania , la missione della poesia si eleva. Uhland ira-
pugna la spada e non getta la lira , ma chiede da
quella suoni più robusti e marziali: uditelo in una can-
zone , che vuoisi ascrivere a quell' epoca :
Canzone del Cantore tedesco.
Io ho cantato nei giorni passati canzoni di vario genere, di an-
tiche e pie leggende , d' amore , della primavera , del vino. Ora la
sorgente dei canti si è disseccata , e tutte queste cose mi pajono
frivole inezie, poiché rimbombò lo scudo di guerra, e n' usci la
chiamata — per la patria!
Si narra dei Ratti che si cingessero di una catena di bronzo ,
finché fossero sciolti dal voto di portarla colla morte data ad un
nemico. Io incateno lo spirito e chiudo la bocca del canto finché
avrò servito alla patria come fratello d' armi.
E benché non sia nato ad essere un eroe , e mi sia toccata in
sorte la beve canzone d' amore-, tuttavia vorrei lottando ottenere in
questa santa guerra una sola cosa : Il nobile diritto di cantare la
vittoria del popolo tedesco.
E questo nobile diritto l'ottenne, e nissuno cantò con
parole più generose , così scevre di collera e di odio
verso i vinti la vittoria dei popoli tedeschi ; ma quando
Uhland vide avere la vittoria fallite le speranze che
267
n' erano sorte , ei volge severo le sue parole ai suoi di-
letti Wurtemberghesi , ed i suoi componimenti raccolti
sotto il titolo di poesie patrie sono forse con alcune
odi di Klopstock e di Schiller quanto possegga la poesia
lirica tedesca di più sublime e robusto.
Ecco le parole che ei volge alla sua patria:
TFurtemberg,
- Ma cosa ti può mancare , mia dolce patria ? Anche nelle terre lon-
tane si dice , tu il sai bene , che la benedizione di Dio sta sovra
di te. '
Si dice essere tu un giardino , un vero paradiso -, cosa puoi aspet-
tare di più quando vieni chiamata la terra felice ?
Ogni uomo d' onore parla una parola che passò come eredità di
padre in figlio ; che quand' anche si volesse a bella posta corrom-
per te non sarebbe possibile il farlo.
Ed i tuoi campi di biada non somigliano essi nel loro ondeggiare
alle onde fluttuanti del mare ? non viene da mille colline il mosto
a rallegrare le tue città ?
E tutti i tuoi fiumi e laghi non abbondano essi dÀ pesci ? non
sono le tue selve ricchissime di selvaggina?
Le tue vaste pianure non nutrono esse numerosi greggi di lanuti?
non hai tu mandre di cavalli e di pingui majali ?
Non s' ode forse lodare anche in remotissimi paesi la legna che
nasce nella foresta nera ? non hai tu sale e ferro e perfino una
porzioncella d' oro nelle tue miniere ?
Non sono esse le tue donne amichevoli, casalinghe, pie e fedeli?
i tuoi vigneti non fioriscono e fruttificano forse ogni anno con per-
petuo avvicendarsi ?
Non sono forse i tuoi uomini laboriosi, onesti e sinceri ? cono-
scitori delle opere di pace , valorosi nelle combattute battaglie ?
0 terra delle messi e del vino , o popolo benedetto da Dio , che
cosa ti manca? — Tutto , ed una cosa sola. — L'antico buon diritto.
Questa poesia porta la data del 1816, ed in quel
torno di tempo (dal 1816 al 1819) dettò Uhland i suoi
capo-lavori lirici, fu chiamato a professore nell' univer-
268
sita di Stoccarda, stampò le sue due tragedie Ernesto
duca di Svevia, e Lodovico il Bavaro, che, come abbiam
detto, ottennero un successo di stima , e scrisse quella
serie di ballate, in cui i costumi e le credenze del me-
dio evo sono dipinte con un fare ingenuo ed un' inar-
rivabile verità.
Facciamci addentro nella vita privata de' tedeschi e
noi troveremo l'amore e la religione; un amore mistico,
una religione contemplativa confondersi a vicenda e mi-
schiarsi a tutte le impressioni, a tutti gli evenimenti
domestici. Grazie a quel misticismo 1' amore ha conser-
vato un potere grandissimo su quei popoli , la sua es-
senza si è purificata; quindi nasce quella melanconia,
queir abbandono che è un distintivo della nazione ale-
manna. Nissuno seppe meglio di Uhland dipingere la
santità dell' amore , e le due ballate che seguono pro-
veranno la verità della nostra asserzione. Qui non è
l' amore dei sensi che dalla Grecia passò a Roma an-
tica, all'Italia, alla Spagna; qui non sono le nere o
bionde chiome, non gli occhi cerulei, non la bella
bocca , non i tersi denti : ma 1' amore è collocato alto
così che non ammette compenso; è per dire così un
culto interno , una religione del cuore.
Romanza del fedele Gualtiero.
D fedele Gualtiero cavalcava presso la cappella di nostra Donna,
sulla cui soglia stava glnocchione immersa in profondo pentimento
una fanciulla, « Fermati , fermati , mio fido Gualtiero , non riconosci
» tu il suono della voce che udivi già cosi volontieri ? »
» Chi vedo io qua? la fallace fanciulla, clie, ahi pur troppo, io
» chiamava una volta Ja mia ! dove hai tu lasciati i tuoi abiti di
» seta ? dove sono i ciondoli e le gemme ?» — « 0 me misera ! dac-
» che divenni infedele il mio paradiso è perduto , ed io il troverò
» soltanto presso di te. »
269
Egli fé' salire sul cavallo la beUa donna, mosso da una tenera
compassione. Essa si avviticchiò fermamente attorno il corpo di lui
colle molli bianche manine. « O mio fido Gualtiero, il mio cuore
» amorevole batte presso una fredda parete di acciajo , ed i battiti
» del tuo non rispondono ai miei battiti. »
Eglino entrarono cavalcando nel castello di Gualtiero -, il castello
era deserto e silenzioso. Essa disciolse l' elmo al cavaliere , il pieno
della bellezza era svanito. — « Le tue pallide guancie , i tuoi occhi
B oscurati sono il tuo ornamento , mio fido amore. Tu non mi hai
» mai piaciuto tanto. »
La pia fanciulla scioglie 1' armatura al signore , cui ella era stata
cagione di tanta mestizia. « Cosa vedo , ah me misero ! chi discese
» nella tomba di coloro che tu hai amati ?» — « Io vesto il duolo
» per la perdita dell' amatissima mia , che uè sulla terra , né al di
» là della tomba troverò più mai. »
Essa cade ai suoi piedi colle braccia alte e sporgenti. « Qui stommi
» povera peccatrice , abbi compassione di me , ed irmalzami a nuova
» gioia , lasciami posata al tuo petto fedele guarire da tutte le mie
» pene. »
» Alzati , alzati , povera fanciulla , io non posso farlo ; le mie
» braccia sono chiuse per sempre , il mio petto è senza vita. Sii
» sempre immersa nella mestizia come io lo sono ; V amore è per-
» duto , 1' amore è perduto e non torna mai più. »
La Mietitrice.
» Buon giorno , Maria ! così di buon' ora già stante e desta ? te
» la più fida delle fanti non rende pigra 1' amore. Sì, se" tu mi
» mieti d' oggi in tre giorni questo campo non ti niegherò più lun-
» gamente il mio unico figlio. »
Oh come 1' amorevole cuore di Maria palpita alle parole del fa-
coltoso affittajuolo ! Una nuova gagliarda vita trascorre nelle sue
membra , vedi come essa mena attorno la falce , come mette giuso
i manipoli.
Il mezzodì infuoca , i mietitori illanguiditi corrono alla sorgente
per ristorarsi e cercare ombre per sonnacchiare. Negli arsi campi
lavorano ancora le api ronzanti , Maria non riposa , ma lavora a
gara con esse.
270
Il sole tramonta e s' odono i tocchi della campana serale , ben
gridano i vicini « Maria quest' è abbastanza per oggi, » ben si al-
lontanano da essa i mietitori , il pastore e la greggia , Maria affila
la falce per incominciare dì nuovo.
Già cade la rugiada , già splendono la luna e le stelle , i campi
spirano fragranza , da lungi s'ode il canto dell' usignuolo-, Maria non
chiede riposo , non si sofferma ad udirne le note armoniose y essa
fa mai sempre fischiare la falce vibrata con forza.
E così nutrendosi di amore , confortandosi di una beata speranza
continuò dalla sera al mattino , dal mattino alla sera. Il sole si leva
per la terza volta, ecco. tutto è finito. Vedi là stare Maria disciolta
in lagrime di voluttà.
« Buon giorno , Maria , ma f osa vedo ! oh mano dilìgente , il
1» campo è mietuto ! oh penserò ben io a ricompensarti ricca-
» mente. » — « Col solo sposalizio. » — ■ a Tu hai tolto sul seiio
• il mìo scherzo , si vede bene che i cuori innamorati sono pazzi
■ e credenzoni. »
Egli parla e fa il suo cammino , ma alla povera Maria s' irrigi-
disce il cuore , le si rompono sotto le tremanti ginocchia , e la mie-
titrice fu trovata là nel campo mietuto senza parola e priva affatto
di sentimento e di memoria.
E cosi vive ancora anni muta a gmsa dì persona morta , ed mi
vasuccio di miele è l'unico suo cibo. Oh tenetele pronta una tomba
sul più florido dei campi , mietitrice cosi amorevole come questa
non fu vista mai.
Qualche volta Illiland si sdegna contro i critici , con-
tro i pedanti, peste di tutti i tempi e di tutti i paesi,
talvolta tenta la poesìa giocosa ; ma il suo sdegno è
dolce , la sua facezia ha un non so che di mesto , e
diresti che egli ride a fior di labbia. I due saggi che
citiamo qui sotto stanno, a giudizio dei dotti tedeschi,
fra le più belle poesie di Uhland, ma noi temiamo che
non siano per parere tali ai nostri lettori , perchè nella
traduzione quel piglio ingenuo e semplice, che ne sono
ì pregi migliori, venne pur troppo perduto.
271
La canzone di prìmai>era del critico.
Quest* è primavera ... lo concedo. Me ne rallegro ... ne debbo
convenire ; poiché si può andai-e a diporto senza tema dei raffred-
dori.
Le cicogne e le rondini arrivano non troppo presto , non
troppo presto , non troppo presto ! fiorite pure, miei arboscelli, fio-
rite . . , . . alla buon' ora , alla buon' ora.
E vero io sento un tantin di piacere , poiché 1' allodola canta di-
scretamente ; i gorgheggi di Filomela ponno essere peggiori , e il
sole non splende troppo male.
Nessuno si maravigli di vedermi ne' campi verdeggianti ! io non
disdegno di uscire colla primavera di Kleist in saccoccia *3.
J[ un poeta morto di fame.
Egli era destino che tu dovessi vivere pien di crucci , e ti sei con-
sumato appunto come deve fare un poeta.
Questo annunciava la Pieride alla tua culla. Essa consecrava la tua
bocca alle canzoni , ma a nient' altro.
La tua madre moriva mentr' eri ancor fanciullo , e la sua per-
dita presagiva che nissun fiore terrestre fiorirebbe pejr te su que-
sta terra.
Il mondo coi suoi tesori , con tutto il suo superfluo doveva sol-
tanto solleticare il tuo occhio , altri doveva goderne.
La tua vita fu una primavera , i tuoi sogni furono fiori , ma un
altro preme i grappoli , un altro stacca i fiori degli alberi.
Oh quante volte hai vuotato il crucciolo dell' acqua , mentre i
festini altrui si rallegravano colle tue canzoni.
Tu eri già fatto sottile , e poco meno che spirito , ora sei ritor-
nato a casa , laddove l' ambrosia è il solo cibo.
Sia portato alla tomba ciò che somiglia un cadavere ! tu non hai
premuta la terra la terra ti sia leggiera !
Quanto altamente i poeti tedeschi sentano la nobiltà
dell'origine della poesia, e l'altezza della missione che
è venuta a compiere sulla terra, lo proveranno i due
componimenti che seguono. \J arte lìbera e V impreca-
272
zione del cantore finiranno la serie delle citazioni, con
cui abbiamo cercato di far conoscere il massimo fra i
poeti viventi della Germania ; ne vogliamo tacere che
r imprecazione del cantore è riguardata dai critici a-
lemanni siccome capo-lavoro di dizione e robustezza poe-
tica, e che V arte libera compie un magnifico quadro,
in cui Schiller cercò di mostrare 1' origine della lette-
ratura alemanna j e noi riputiamo che d' ora in poi
questi due lavori non potranno piìi scompagnarsi.
L'arte libera.
Quegli a cui nella selva dei poeti germanici venne dato il canto ,
canti ! quest' è gioia , quest' è vita quando ogni ramo ripete una
canzone.
L' arte delle canzoni non è retaggio di pochi nomi orgogliosi , il
seme ne è sparso per tutte le terre dell' Alemagna.
Consegna alle libere note quello che gonfia il tuo cuore. Il tuo
amore lieve susurri e scorra cupamente tuonando la tua collei-a.
Se non vuoi destinare tutta la vita al canto , canta almeno nell'
impeto della gioventù. Gli usignuoli sposano all'aura le loro melo-
die nella sola stagione dei fiori.
Se non puoi consegnare ai libri quello che ti donano le ore gitta
al vento un foglio volante , 1' animosa gioventù saprà ben coglierlo !
Alchimisti, necromanti, Imigi da noi le vostre arti segrete. Noi non
siamo legati da formole. La nostr' arte si chiama poesia.
Noi veneriamo santamente gli spiriti , ma i nomi sono vapore per
noi. Noi onoriamo i grandi maestri , ma 1' arte è libera per noi.
Il Dio che sta morto e cupo dentro le fredde pareti di marmo
chiamate templi non è il Dio della Germania. Egli .vive e susurra
dalle foreste di quercie.
L'imprecazione del cantore.
Era nei tempi antichi un castello erto e sublime , egli splendeva
lungo nei campi sino alle onde azzmre del mare ; attorno in fiorente
corona l'accerchiavano olezzanti giardini, in cui zampillavano fresche
sorgenti dai bei colori dell' iride.
275
Colà stava un le orgoglioso , ricco ili tene e di vittorie , e se-
deva pallido e cupo sul suo trono : perchè quel eh' egli pensa è
spavento , quel eh' egli guarda è rabbia , quel eh' egli parla è fla-
gello , quel eh' egli scrive è sangue.
Una volta trasse a questo castello una nobile coppia di cantori ,
uno in auree treccie , 1' altro co' capelli biancheggianti. Il vecchio
iniuiito d' arpa cavalcava un adorno destriero , ed il fiorente com-
pagno camminava volenteroso al suo fianco.
Il vecchio disse al giovane : « or sii pronto , mio figlio , ricorda
» le nostre più gravi canzoni , canta nel tuono il più ripieno , ra-
» duna assieme tutte le forze , la gioia ed anche il dolore , oggi
» ci tocca commovere il ferreo cuore del re.
Già i due cantori stanno nella sala sublime per cento colonne ,
ed il re e la sua moglie siedono sul trono. Il re tremendamente ma-
gnifico , simile a sanguinosa aurora boreale , la regina dolce e mite
quasi guardasse là entro un tenue raggio di luna.
Allora il canuto toccò le corde , le toccò in tuono cosi mirabil-
mente ripieno , che il suono ricco viesempre più ricco percoteva
l'orecchio-, allora la voce del giovinetto proruppe fuori celestemente
serena , accompagnata dal canto del vecchio simile a cupo coro
di spettri.
Essi cantano della primavera e dell' amore , del benedetto secolo
d'oro, della libertà, della dignità dell'uomo, della fedeltà, della
santità. Essi cantano di tutto ciò che move a soave palpito il petto
dell' uomo , essi cantano di tutte le cQse subUmi , che elevano il
cuore dell' uomo.
La ciurma dei corteggiani disposti in cerchio dimentica i suoi ghi-
gni , i feroci sicari del re s' inchinano quasi a cosa divina. La re-
gina palpitante per mestizia e per gioia stacca la rosa dal suo petto
e la gitta abbasso ai cantori.
Voi avete sedotto il mio popolo , volete ora sedurre la mia mo-
glie , urla il re infuriando e trema per tutto il corpo. Egli caccia
fuori la spada , che fulminando attraversa il petto del giovinetto ,
da cui invece delle auree canzoni esce ora un rivo di sangue.
Ed allorché siccome dispersa da una bufferà la torma degli udi-
tori si dissipò , il giovanetto spirò nelle braccia del suo juaestro.
Egli lo ravvolge nel mantello , lo colloca sul cavallo , ve lo lejji
sopra diritto, ed abbandona con esso il castello.
Ma giunto avanti alla sublime porta, il canuto cantore si so.Oei-
274
mava , afferrava la sua arpa , la migliore fra tutte le arpe, la rom-
peva ad una marmorea coloniina , e gridava alto cosi che ne rim-
bombavano il castello ed il giardino.
» Guai a voi , orgogliosi colonnati ! attraverso i vostri vuoti spazj
» non s' oda mai più un dolce suono né di corda , né di canto -,
» ma soltanto sospiri e gemiti e timidi passi di schiavi , finché lo
» spirito della vendetta vi riduca in rovine ed in fango,
» Guai a voi, giardini olezzanti nella soave luce di maggio! io
» vi mostro questo volto reso difforme dalla morte , onde ne re-
» stiate distrutti , affinchè ogni vostra sorgente si dissecchi , onde
» nei giorni futuri giacciate deserti e petraje.
» Guai a te , infame assassino ! te maledizione dei bardi I tutti i
r> tuoi sforzi dietro le sanguinose corone della gloria sieno vani, il
n tuo nome sia dimenticato , immerso in sempiteina notte , sia qual
» ultimo gemito dileguato nel vuoto aere. »
U cielo accolse 1' imprecazione del vegliardo. I muri giacciono a
ten-a, i colonnati son distrutti , una sola subUme colonna indica an-
cora la passata magnificenza , ma anche questa già fessa può crollare
dentro la notte.
Ed attorno invece degli olezzanti giardini tu vedi una deserta bru-
gliera , nissun albero vi spande le sue ombre , nissuna sorgente corre
attraverso la sabbia -, nissuna canzone rammenta il nome del re. 4^n-
nientamento e dimenticanza , quest' è l' imprecazione del cantore.
Gli scritti di Uhland sono pochi ed oltre alle sue due
tragedie, essi stanno tutti raccolti in un volume dì 55o
pagine. L'edizione che ci sta sotto gli occhi è la nona, e
porta la data del i835; ma sappiamo che il celebre li-
braio B. Cotta ha ora posta in vendita l'undecima. E que-
sto può anche essere misura della grande popolarità del
poeta alemanno, se si pon mente che il B. Cotta, sic-
come ci venne assicurato, delle edizioni dei classici te-
deschi non stampa mai meno di 5ooo esemplari, e se
a quel numero già fortissimo si aggiungono le molte ri-
stampe, che ne vennero senza suo consenso fatte nel
nord della Germania. Poiché quella maledizione ha l'A-
Icmagna comune con noi italiani , che essendo divisa
275
in varie parti , la pirateria libraria vi esercita impune-
mente le infami sue rapine.
Da qualche tempp la musa di Uhland tace, ma per
quanto i suoi ammiratori ne siano dolenti , non ne mo-
vono lagnanza, e non gliene sanno mal grado, poiché
scelto a deputato degli Elettori di Stoccarda alla Dieta
degli Stati Wurtemberghesi, egli impiega il grande suo
ingegno e 1' alta sua influenza di uomo probo e sincero
amatore del bene a prò della cara sua patria. E noi ri-
cordiamo con piacere e riputiamo a nostra grande ven-
tura di avere udito la voce grave e dolce del poeta na-
zionale dell' Alemagna cadere dalla tribuna, e di essere
stati spettatori con quanta riverenza fosse ascoltata in
una Dieta di cui erano membri un Wolfango Menzcl *4 ,
un Schwab *5, i fratelli Pfitzer *6 e Schott, che lo guar-
dano come loro capo, e votano d'ordinario secolui. Né
i soli suoi prediletti studi potè Uhland sagrificare ai do-
veri del legislatore, poiché costretto a scegliere tra l'of-
ficio gratuito di Deputato e quello di professore, quan-
tunque la sua fortuna non ecceda quella mediocrità, che
Orazio chiamò aurea ^ senza però appagarsene , mostrò
che non solo sa cantare la virtiì, predicarla dalla tri-
buna, ma darne eziandio un nobilissimo esempio *'j.
Un giovine scrittore alemanno morto anzi tempo alle
lettere ed alla patria, che in lui avevano riposte gran-
dissime speranze di gloria, l'autore di Enrico di Ofter-
dingen, Novalis lasciò scritto: « formare la poesia lirica
» un coro nel dramma della vita e del mondo. » E ap-
punto l'alto officio che i Greci avevano assegnato al
coro nella tragedia, l'officio cioè di moderatore dei co-
stumi, di pacificatore delle discordie, occupò ed occupa
nella letteratura alemanna Uhland e la schiera eletta
che segue le sue pedate; fra i suoi seguaci ed imilatori
voglionsi nominare il poeta clic si nasconda sotto il
276
nome di Anastasius Griin, le cui passeggiale viennesi
ed il volume di poesie col bizzarro titolo di macerie
menarono tanto rumore; che viaggiò di fresco l'Italia non
per deriderla, ma per ammirarla ed amarla; il barone
di Zedlitz le cui ghirlande sepolcrali vennero recente-
mente tradotte in versi italiani; lo scrittore ungarese
che si cela sotto il pseudonimo di Nicola Lenau, che
oltre ad un volume di bellissime poesie liriche stampò
non ha guari una continuazione al Faust di Goethe ,
ed il giovine Miiller , garzone libraio di Cotta , che
stampò sul principiare del iSSiy un volume di poesie,
delle quali Uhland ebbe a dire « le poesie di questo gio-
vine ( Miiller conta soli 26 anni ) si lascieranno indie-
tro d' assai le mie ; » e Chamisso e Ebert ed i fratelli
Pfitzer e Stieglitz, e molti altri, di cui terremo forse
un giorno discorso ai nostri lettori se essi cel consen-
tiranno.
Malgrado due canzoni e pochi sonetti di Petrarca ,
qualche lavoro poetico da scegliersi qua e là nei volumi-
nosi scritti di Alamanni , Filicaja , Testi , alcune odi e
sonetti di Fantoni e Foscolo, che sono gli anelli che
uniscono la letteratura del secolo i8.° a quella del se-
colo 19°, tu trovi nei poeti italiani splendidi versi,
tutti i doni della fantasia e dell'ingegno, che il cielo
sembrò prodigare a larga mano su questa terra predi-
letta , tuttavia se Dante ed Alfieri non fossero , si po-
trebbe dire con ragione che l' Italia non possiede una
poesia nazionale. Sul principiare del secolo in cui vi-
viamo, nella capitale dell' Insubria nacque un fanciullo;
che Foscolo disse chiamato a grandi cose, e grandi cose
scrisse promettitrici di altre maggiori. Ma da lungo
tempo il cantore del Carmagnola, di Ermengarda, della
Pentecoste tace, e F Italia che l'ama e sa di esserne
amata aspetta desiosa la voce del suo poeta. Oh sappia
277
Manzoni, che a coloro, cui natura concesse la sacra fiam-
ma della poesia, è affidata l'augusta missione di lenire i
dolori presenti , di tener desta la speranza che sta per
morire, di mostmre i fiori ai tapini, che nel duro sen-
tiero della vita non hanno o non vedono che i triboli
e le spine; e sappia che questa missione è dovere com-
pirla.
Y.
I^OTE
*i Vedi Mosè tragedia di Chateaubriand.
*2 Molti squarci del SauUe , tragedia di Lamartine , furono pubbli-
cati ora in questo , ora in quello dei giornali francesi , e nell' esi-
tanza che mostra 1' illustre autore delle Meditazioni nel pubblicarla
per intiero , noi vediamo una novella prova in favore dell' opinione
che accenniamo.
*3 La primavera di Rleist è un poema classico nella letteratura
alemanna.
*4 Wolfango Menzel la cui guerra letteraria contro Gutskow Mund
Laube , Heine menò di fresco tanto rumore , è il famigerato redat-
tore del foglio critico annesso al Morgenblatt edito da Cotta a Tu-
binga. Scrisse una storia dei tedeschi , una storia della poesia te-
desca e della letteratura tedesca , che ebbero versioni in italiano ed
in francesce.
*5 Gustavo Schwab è professore nell' università di Stoccarda e
gode fama grandissima nell' Alemagna per le sue ballate originali ,
e per una versione in versi tedeschi delle precipue fra le opere poe-
tiche di Lamartine e Barthelemy. Noi stamperemo in uno dei pros-
simi numeri del Subalpino una belhssinia poesia inedita di questo
chiaro professore volta in italiano , che voUe mandarci per esservi
inserta ; volendo con ciò provarci che i deboli nostri sforzi trovano
un eco nella dotta Germania.
^7S
*6 I fratelli Pfitzer sono amendue poeti lirici valentissimi ; oltre-
acciò Gustavo scrisse una vita di Martino Lutero, che vuoisi siala
migliore che possegga la Germania , ed il fratello secondogenito pub-
blicò le lettere di due tedeschi che ebbero un successo grandissimo
e molte edizioni.
*7 Non possiamo trattenerci dallo stampare uno squarcio di una
ietterà di un dolcissimo nostro amico scritta da Stoccarda in data
del 5 aprile 1837. E ciò facciamo tanto più di buon animo, perchè
pensiamo che i nostri lettori vedranno come concordi e buoni sono
nella loro vita privata questi letterati tedeschi. Oh fossero cosi i
letterati italiani !
o Jerì a sera fui invitato a cena
dal professore Schwab : accettai con piacere e qual fu la mia gioja
quando vi trovai riuniti i due fratelli Pfitzer e Wolfango Menzel ed
il massimo de' chimici della Germania Judin professore ad Eidelberga.
Io era a tavola tra la signora Uhland e suo marito. Come saprai
Uhland eletto Deputato alla Dieta dovette scegliere tra la carica di
professore e deputato , e ciò contro le leggi del regno , che accor-
dano riposo ad un professore eletto Deputato. Uhland rinunciò , alla
cattedra , e vive tranquillo i suoi giorni in Tubinga. Io doman-
dava alla signora se il soggiorno di Tubinga le piaceva tanto quanto
di quello Stoccarda : « si perchè piace al mio Uhland. » Ed il sig.
Uhland disse subito «poverina, la sua madre, tutti i suoi parenti
sono qui in Stoccarda , e mi spiace di tenernela lontana , ma » .
Wolfango Menzel è persona grave e seria , i due fratelli Pfitzer sono
dolci come colombe. Il primo , Gustavo , parla italiano , e la moglie
sua giovinetta di venti anni è la persona la più gentile e bella che
tu possa vedere. Ella parla benissimo francese ed anche 1' italiano :
sta ora leggendo il Carmagnola , e le fé' male udire che Manzoni
non scrive più Chiesi alla signora Pfitzer se deside-
rava di vedere l' Italia : « se lo desidero , è questo il pensiere dei
miei giorni , il sogno delle mie notti. »
279
RIVISTA CRITICA
PATOGENIA DELL IDBOPE I>EL DOTT. MICHELE BORGIALLI
Ivrea, coi tipi degli eredi Franco , 1837.
Ogni scrittore nel por mano ad un'opera qualunque, debbe
avere per iscopo di piacere o di giovare altrui. Ma se quest'ul-
timo scopo si esige in qualunque specie di sci'ittura scientifica,
quanto maggiormente dovrassi pretendere in quelle che riguar-
dano la medicina. Un tale oggetto si era certamente prefisso
il Dott. Borgialli , quando mandava alle stampe il suo scritto
sulla patogenia dell' idrope, e noi facciamo plauso alla di lui
buona intenzione, e lodiamo per questa parte la di lui fatica.
Se poi egli abbia a no raggiunto il fine che nella sua prefa-
zione si propone , cioè di spargere luce su questo ramo di pa-
tologia 5 se egli abbia potuto dimostrare il suo assunto , lo la-
scieremo decidere dal lettore a cui sottoporremo soltanto i mo-
tivi che ci impediscono di essere interamente persuasi della
verità delle sue opinioni.
Quest'opuscolo distinto in vari capitoli, propriamente si po-
trebbe in due parti dividere. Nella prima l'autore, dopo di
avere definita l' idrope , espone il suo pensamento sulla causa
prossima di essa. Neil' altra confuta o tenta di confutare le opi-
nioni alla sua contrarie.
Egli definisce l' idrope , V esistenza di un umore morboso ,
diverso dal pus , dal naturale esalato , e sempre sieroso nel
tessuto cellulare , od in qualche cavità.
280
Osserveremo iu primo luogo circa questa definizione, che,
ammessa la ideatila dell'acqua idropica collo siero, non si
potrebbe questa chiamare un umore morboso , e sarebbe bensì
morbosa la collezione, ma non mai 1' umore , essendo lo siero
un umore naturale. In secondo luogo se 1' umore idropico ì'
sempre sieroso, come può egli differire costantemente dall'u-
more naturale esalato ? Noi tutti sappiamo esistervi una specie
di membrane, dalle quali trasuda continuamente un umore
sieroso che le irrora. Ora chi disse al Dott. Boi-gialli che questo
siero naturale differisca dall' acqua idropica ? Egli però spiega
inferiormente la sua proposizione, dicendo che l'acqua idropica
«^ della natura dello siero del sangue, ed il siero naturalmente
esalato non lo è. A ciò però risponderemo che in primo luogo
r umor naturale esalato dalle membrane sierose è costante-
mente analogo allo siero del sangue , e diffatti dall'analisi dell'
umore dell' amnios fatta da Vaucquelin e da Buniva , parago-
nata coir analisi dello siero del sangue fatta da Marcet e da
altri vediamo i seguenti risultati:
Siero del sangue. Umore dell' amnios.
Acqua, albumina, idroclorato Acqua, albumina, idroclorato
di soda e di potassa , sotto- di soda , fosfato di calce , car-
larbonato di soda, solliito di bonato di calce,
potassa , fosfato di calce , di
ferro e di magnesia *i.
Dal che si vede essere nei due umori i principi componenti
quasi identici. In secondo luogo osserveremo che bene spesso
1' acqua idropica non è simile allo siero del sangue, giacché
in essa manca affatto l'albumina, principio costituente dello
siero del sangue ^ come lo ebbe a dimostrare più volte Mor-
gagni , e diffatti esposta al fuoco svapora interamente senza
coagularsi. Finalmente la quantità dell'albumina contenuta nell'
*i Notisi che il solfato di potassa , il solfato di ferro e di magnesia viene in
quantità minima trovato.
281
acqua idropiea varia costantemente secondo la natura e la sede
della collezione idropica. Che se alcuni autori trovarono que-
sto umore analogo allo siero del sangue , ciò prova soltanto la
cosa essere stata così in quelli che essi esaminarono, ma non
distrugge le altrui contrarie osservazioni.
Esposte quindi in modo istorico le principali opinioni sulla
causa prossima dell' idrope , nel che non possiamo che lodare
la di lui pazienza, passa l'autore in un altro capo a dare la
propria opinione che è la seguente :
» Tutte le raccolte sierose non possono altrimenti essere che
» il prodotto di un trasudamento di siero trapelato per ì pori
» inorganici delle vene indotto da una causa impediente, o ri-
» tardante il corso del sangue, u
La sentenza , siccome ognun vede , è perentoria. Dopo di
questo credevamo che egli ci dimostrasse questi pori inorga-
nici , e ci adducesse prove dimostrative di questa trasudazione.
Ma egli invece arreca una serie di esperimenti e di osserva-
zioni , dalle quali risulta che la compressione, l'otturamento,
la legatura , il ristringimento delle vene ritardando ed impe-
diendo il ritorno del sangue , dava luogo all' idrope.
Ciò era già stato da diversi altri osservato prima di lui. Ed
ammettendo che la cosa sia costantemente così , non ne se-
guirà certamente che 1' idrope debba avere luogo per i pori
inorganici delle vene. Quelli stessi che ciò sostennero , affer-
marono fosse lo spandimento per aumento di esalazione da essi
attribuita ai pori inorganici delle arterie capillari *i. Una tale
opinione però combattuta venne daHaller, Fordyce , Hewson ,
Cruickshank , Bichat , e Boerrhave , e pare non si possa soste-
nere: I. pel caso delle idropi saccate che rimangono cosi per anni
interi senza progredire: 2. perchè nulla prova questo trasuda-
mento durante la vita : 3. perchè questi pori inorganici ninno
li vide. Né più è probabile che questo trasudamento succeda
*i Ma queati autori negando con Dumas e molti recenti i vasi esalanti, at-
tribuivano ogni esalazione a questi pori ; mentre secondo il Borgialli , questo
trasudamento dell' idrope sarebbe luti' altro affare che un'esalazione aumentata.
Onde egli viene ad ammettere vasi propri destinati all' esalazione , lasciando ai
pori inorganici venosi il trasudamento morboso.
282
per i pori venosi , perchè se questi pori esìstessero e permet-
tessero così facilmente 1' uscita dello siero , 1' idrope sarebbe
consecutiva a tutte le varici venose j ed allora il sangue rima-
nente sarebbe poverissimo di siero, mentre il fatto ci dimostra
che ne è sopracarico. Non possiamo pertanto noi concepire
che il ritardo di circolazione venosa induca un ritardo in tutta
la circolazione , quindi turgore nei capillari , e maggiore atti-
vità negli esalanti , che da alcuni si considerano come un'ap-
pendice di questi? Benché nissuno abbia veduto questi vasi esa-
lanti , è più naturale di ammetterli che di non ammettere i
pori inorganici.
Non si potrebbe anche meglio spiegare l' idrope che accom-
pagna questo ritardo di circolazione per difetto di assorbimento
nelle estremità venose? Assorbimento ammesso ora dalla più
parte dei fisiologi , e di cui si servono appunto i moderni pa-
tologi per ispiegare questa specie d' idrope ? Assorbimento di
cui r autore non fece neppure parola , mentre una tale opi-
nione era almeno degna di una confutazione se egli credeva
di poter avere forza bastante per ciò fare ?
All' opposto egli dà per dimostrata la comunicazione tra i
linfatici e le estremità venose annunziata dal Lippi , a mal-
grado che a questa opinione ostino le sperienze contrarie di
Panizza e di Antomarchi che smentiscono questo preteso fatto ,
dicendo che se i liquidi passarono dai linfatici nelle estremità
venosiB, ciò accadde per effetto di rottura e non già naturalmente.
Ma r autore stesso non può a sé dissimulare che vari fatti
tendono a provare potervi essere ritardo di circolazione venosa,
senzaché ne succeda idrope , egli però dice che in questi casi
la circolazione si effettuava per mezzo dei vasi laterali. Ma per-
chè questa circolazione sarassi potuta effettuare una volta e non
tin' altra e non sempre , come crede Bichat , e come necessa-
riamente debbe accadere , perché ove la circolazione venga af-
fatto in qualche parte impedita, non" già l'idrope, ma la morte
sarebbe conseguenza inevitabile ? L' autore non lo dà questo
perchè , ma si contenta di dire che non dobbiamo credere a
Bichat; quantunque nella sperienza di Lower, da lui arrecata,
la morte abbia in poche ore succeduto all'impedita circolazioni;.
283
Passando poi agli argomenti coi (Juali tenta combattere le
altrui opinioni sull' idrope , e prima di tutte quella che la fa
dipendere da un disequilibrio tra 1' assorbimento e 1' esalazio-
ne, egli fonda tutti i- suoi argoriiebti sull'opinione che ai soli
linfatici competa l'assorbimento, perciò nulli sono questi argo-
menti finché esso non dimostri non darsi assorbimento venoso.
Egli è poi assai singolare -il modo con cui esso spiega il prohto
riprodncimento nelle acque neir ascite dopo sofferta la para-
centesi , « che ci suggerisce , dice egli , il repentino accumu-
» lamento delle acque dopo la paracentesi , se non una atti-
V ti vita sorprendente dei linfatici , che colle loro boCcuccie
» esterne assorbono dall' atmosfera 1' acqua, che trasportano
)) quindi nella corrente sanguigna ? » Quantunque non si possa
negare 1' assorbimento cutaneo , ad ottenere un così pronto ri-
producimento delle acque converrebbe che fosse V atmosfera
un mare di vapori; e l'autore ha dimenticato interamente che
gli ascitici di cui parla hanno una sete inestinguibile e bevono
eccessivamente ?
Siccome nissuno di tutti gli altri suoi argomenti tende a
provare questo venoso trasudamento ed essi ci prenderebbero
troppo tempo , ci contenteremo di accennarne alcuno. Egli dice
che l'analogia tra lo siero dei vescicanti e quello degli idropici,
da Geromini e da varj altri osservata, non può sussistere: i:
perchè non havvi analogia di umore , quantunque spessissimo non
analogia ma identità si osservi, perchè lo siero dei vescicanti
ora è limpido, trasparente, inodoro, ora più denso e quasi ge-
latinoso come l' acqua idropica , dietro le osservazioni gene-
rali. 2. Perchè nei vescicanti l'effusione è secondaria di una le-
sione di aderenza e di continuità. Non sappiamo noi adunque
che il vescicante opera sulla cute per semplice irritazione , au-
mentando cosi r esalazione, che continuamente si effettua alla
superficie della cute ? Non vediamo forse succedere la mede-
sima cosa dall' azione dell' acqua bollente, dell'ammoniaca, o
di altro irritante esterno ? La separazione della cute dalla cuti-
cola non è forse effetto dell'accumulamento dell'umore esalato ,
siccome è facile ad ognuno di vedere? Non sappiamo noi che la
cuticola non offre né vasi, né nervi, e secondo l'opinione gè-
284
nerale u(m è che l'effetto di una naturale secrezione? Come
dunque ammettere coU'autore che la formazione di queste v'e-
scìche è precedif.ta da un ammortimento di tessuto , da una
lesione di aderenza e di continuità e formato da quel liquido
che possono versare i vasi offesil Non si troverehh.er.il* tal Cfii^p
sangue misto collo siero nelle vesciche prodotte?, ;,)....:> ; ..
Di questo genere sono la più parte degli argomenti addotti
dall' autore. Egli finisce però per concedere che la distruzione
di ghiandole o di qualche insigne tronco linfatico , la debo-
lezza , r infiammazione , la pletora , lo spasmo , i vizi organici
e la nefrite possono hensi a loro posta produrre l' idrope , ma
solamente in quanto che ritardano la circolazione venosa e
danno luogo a questo suo creduto trasudamento, che egli non
cerca menomamente di provare.
Ma quand' anche volessimo pure ammettere per vera questi^
sua proposizione nuda finora affatto di prove , qual ', vantaggio
ne risultjerebbe per la medicina pratica ? Come potrassi giun-
gere a togliere questa lentezza di circolazione , se nop allentar
niamo le cause che la producono ? Come impedirassi questo
morhoso trasudamento, se non col ristabilire l'attività della cir-
colazione, togliendo le cause che la rallentano? E qualora
insuperabili sieno codeste cause, che altro ci resta a fare so
non se a combatterne gli effetti promuovendo il riassorbimento
di questo fluido, o procurandone nieccanicamente l'espulsione,
come finora da tutti si è fatto ? Una prova di questo ci som-
ministra l'autore medesimo nella storia di una ascite da lui
trattata ed in fondo dell'opuscolo riferita, in cui, dopoché egli
ehbe inutilmente impiegati successivamente la digitale, i diure-
tici salini, la squilla, i drastici, ogni sorta di rimedi stimolanti
e controstimolanti y narcotici ed irritanti j misti e separati , l'am-
malata non guarì , finché dopo la ^5. operazione di paracen-
tesi, la natura indispettita, per modo di dire, riprese il pro-
prio impero e ristabilì la menstruazione , il di cui interrora-
pimento aveva dato origine alla malattia.
Tralasciamo poi di fare alcuna osservazione sullo stile dell'
autore , perché una tal briga la lasciamo ai gramatici , lo av-
vertiamo però che questo debbe essere almeno chiaro e non
285
porre il lettore nel caso di doversi lambiccare il cerviino per
poter intendere il significato dello scritto.
Finiamo poi confortandolo a prosegwire animosamente nella
carriera cominciata, poiché non a tutti riesce interamente un
primo tentativo e speriamo che non vorrà prendere a male le
fattegli osservazioni , poiché fu nostro scopo nel farle di atte-
nerci fedelmente alla epigrafe del Giornale:
MoQ ita certandi cMpidus sed propter amorem
veritatis.
A. a Maffoni M. C.
■*■•" - " ' > ■ ■ .1 ■ « . I J t I J - !■■ ■ ■ '■ I . L - I I
Caroli Boucheròni Oràtio habita in R. Taurinensi Athenueo
ni. non. novembr. an. MDCCCXXXVI.
(Taurini, edentìbus Chirìo et Mina in vico Padano).
Orazione pel giorno onomastico di S. M. il Re Carlo Alberto
recitata nella grand" aula della Regia Università di Torino
il giorno IV. di noi^embre MDCCCXXXVI dal Cav. Pier -Ales-
sandro Paravia professore di eloquenza italiana.
( Torino , tipografia Chirio e Mina ).
Le due lodate orazioni dei chiarissimi Professori venivano a
luce quasi ad un parto sei mesi circa addietro. Stupirà forse
alcuno de' nostri più severi lettori, come dopo sì lungo inter-
vallo , grande mortalis aevi spatium; essendo già alle due an-
nunziate scritture venuto meno il pregio della novità, orna-
mento principale di molti scritti e precipua attrattiva a non
pochi leggitori , noi assumiamo poi qui il tardo uJIIzio di ra-
gionarne, come di cosa venuta novellamente nel dominio della
286
lelteratura, e della critica giornalistica. Se le due orazioni, di
-cui qui si favella, non fossero altro che un puro sfoggjo di
lusso accademico, se altro meritp jiop ;avessqrQ tranne quello
d'aver continuata una consuetudine antica , e d'essere apparse
con non volgar splendidezza alla luce, sei mesi di tempo tras-
corsivi sopra ne avrebbero forse ornai spenta al tutto la breve
nominanza, e disutile ufficio imprenderebbe la penna del lo-
datore, che s'affaticasse a volerle suscitar dall' obblio. Allora
potremmo noi venir qui meritamente rimproverati di servo
encomio, volendo dar nome e lode a cose già per la loro nul-
Iczza dimenticate. Ma la nobiltà, e l'eccellenza di queste due
orazioni e fors'anche il nostro costume alieno per natura da
ogni lusinga adulatrice rimoveranno da noi cotale taccia 5 ed
i nostri lettori ci sapran forse grado d'aver richiamata la loro
attenzione sopra due pregiate scritture, sebbene non più af-
fatto recenti; perocché l'età comunque lontana non nocque
mai alle cose belle e generose.
Dimostrare i grandi beni , che all'umana società derivarono
dall' assidua efficacia delle letterarie , e scientifiche discipline ,
vendicarle da alcune antiche , ed oltraggiose accuse cui talvolta
la malignità, più spesso l'ignoranza mosse loro contro , tale è
il tema , che prese a trattare tutto conveniente all'occorrenza,
tale lo scopo , che si propose nella sua orazione l'illustre Prof.
Cav. Carlo Boucheron. Quod si , con queste parole chiude l'o-
ratore il suo splendido esordio , quod si ex historia barhariae
et humanitatis conficiam quid literae sìnt , ut obiurgantium ca-
lumnias diluam , imposito mihi muneri satisfecisse arhitrahor.
Pervetus argumentum est , quod tamen diverse prò varia tem-
porum ratione postulai tractari.
L'antichità del soggetto fu vinta dalla novità del trattarlo ,
e il vecchio tema in certo modo ringiovanito con pensieri ac-
comodati all'età, forti, e sentiti. Gli antichi e recenti conati
dell'umano intelletto, i suoi stupendi conquisti, il continuo av-
vicinarsi insomma della gran curva intellettuale al suo assintoto
furono mirabilmente toccati nella prima parte dèlia orazione.
Nella seconda vennero arditamente combattuti i caluuuialori
delle lettere, proprio augelli nollurni incontro al soie , cui pesa
287
la diva luce , che ogni cosa ricrea e solo è cara la tenebra , e
lo squallor della notte. Ed a coloro , che dalla scienza temono
danno alla religione si rivolge chiedendo utrum melius de reli-
gione sentiat, qui maximam ipsius corn^enientiam esse putat cum
ratione, an qui repugnantiam. Quid sibi vult monstruosum. hoc
foedus religionis cum, ihscientia? an si pii sumus repuerascimus ?
E rappresentata quindi con grande efficacia d'eloquenza l'ima-
gine d'alcuni secoli più fecondi di turbamenti, e mostratene
le veraci cagioni, conchiude interrrogando coloro, che alle let-
tere danno carico degli umani rivolgimenti: quando sempiterna
quaedam et arcana vis nihil quietum esse patitur , id velini a
nostris ohiurgatoribus rescire, cur tot vicissitudinum culpam in
Literas transferant ?
Quest'orazione , la quale noi riputiamo una delle migliori tra
le molte scritte fin qui dal chiarissimo Prof. Boucheron, è det-
tata colla nobile franchezza di chi sente dentro da sé profon-
damente la forza del conceputo vero. Noi non' ci stenderemo
qui a notarne la grave, e severa eloquenza, la squisitezza del
dire. Chi non sa , che l'illustre Cav. Boucheron ha come tras-
fuso in se stesso le grazie , la venustà , lo splendore dei grandi
maestri del Lazio, svolti da lui con mano notturna e diurna ?
Al tema trattato con tanta dignità dall'egregio sig. Professore
Boucheron si lega in qualche modo quello condotto con va-
ghissima eleganza di forme, splendor di locuzioni, altezza, e se-
verità di concetti dall' esimio suo collega Cav. Pier-Alessandro
Paravia. Alle lodi delle lettere ei fé' succedere quelle del Prin-
cipe che con tanto favore le protegge e promuove. Il suo en-
comio non fu intemperante , ma giusto ; con avveduto consi-
glio ei fece sì , che la lode del Principe emergesse piuttosto
dai fatti , che dalle sue parole. Egli lodò il Re Carlo Alberto
non tanto di quelle splendide qualità , che accrescono orna-
mento ai regni , quanto di quelle più importanti , che s'ado-
perano a migliorarne la sorte. E si distese perciò con parti-
colar compiacenza a favellare del novello codice, a cui è ora
rivolta l'espettazione di tutto il regno , e che, diceva l'oratore,
« ove degnamente risponda all' intendimento del Re , che lo
volle, al bisogno della nazion che lo aspetta, e alla coscienza
288
eli que' , cVie il discutono non è dubbio che segnerà per lutti
noi un' epoca di civile restaurazioue. »
Jj' Orazione del sig. Cav. Paravia procede dal principio al
fine dilicata , adorna, briosa, disinvolta. Diremmo, che imiti
essa le forme gentili d' un' aggraziata fanciulla , mentre quella
del sig. Cav. Boucheron rappresenta le nobili forme d'una di-
gnitosa matrona.
G.
DIZIONARIO GEOGRAFICO -STORICO ECC.
del prof. Goffredo Casalis.
. I; un lirp .
È stato pubblicato in questi ultimi giorpi il fascicolo 12,
primo del quarto volume del Dizionario Geografico-Storico-
Statistico - Commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sarde-
gna , composto dal benemerito sig. Prof. Goffredo Casalis. Le
cose, che vi si comprendono sono scritte con quel maturo
senno , con quella dottrina , con quella coscienziata probità ,
che tanto resero accetta finora a tutti i buoni la pubblicazione
di quest'opera. Si contengono in questo fascicolo gli articoli di
21 Comuni dei R. Stati di Terraferma 5 otto de' quali sono
Capo-luoghi di Mandamento. Vi si trovano inoltre sei capi ri-
guardanti sei luoghi non eretti in comune , ma notabili per le
storiche notizie, che ad essi appartengono. V ha la descrizione
del monte Cassino, ed alcuni cenni sopra 96 terrlccluole po-
chissimo conosciute , e rimarchevoli nondimeno per istoriche
reminiscenze. Di ciascuna di queste l'Autore ha dato raggua-
gli, che possono riuscir graditi agli amatori delle cose patrie.
Gli articoli di maggiore importanza cosi per la parte coro-
grafica, come per quella , che concerne la storia sono Caselle,
Castagneto, Castagnole d'Asti, Casteldelfino , Castell' Alfieri ,
Castellamonte , Castellar di Sai uzzo , Castelletto del Cervo, Ca-
stelletto d'Orba, Castelmagno, Castelnuovo di Nizza, e sopra
tutti Castellazzo d'Alessandria, e Gasleggio.
G.
289
VEDISI DI AGOSTIIXO CAGIVOLI AEGGI^ilHO
Pjalo, i836.
Havvi una poesìa , che mi prende vagheiza di cliiamarla Ro-
mitica. Essa appartiene a que' poeti , che lontani dallo espri-
mere , come la più parte fanno, le idee, i bisogni e le ten-
denze del secolo , par che punto non ritraggono da' proprii
tempi , e neutrali fra tutte le passioni contemporanee , si con-
centrano in se stessi per farsi di quando in quando interpreti
al pubblico di ciò che s'agita nei penetrali della lor anima. Li
vorremo noi biasimare come orgogliosi , che non veggono al
mondo fuori del loro m« , cosa degna di contemplazione : o
come certi egoisti, che in tempi calamitosi rifuggono nella so-
litudine , e fanno del vantato fastidio del mondo pretesto alla
lor codardia, che abborre dal comportare il fascio de' comuni
dolori ? Né r uno , né 1' altro. Non tutte 1' anime che sentono
son fatte per riflettere come prisma i colori delia propria età.
Ve n' ha di sì tenere e delicate , che lo strepito delle pub-
bliche cose le introna si, di' esser vorrebber sorde j le confri-
cazioni sociali le logorano; il vortice degli eventi non che ineb-
briarle d' entusiasmo , le colpisce di stordimento. Sono ritrose
e solinghe come il giglio della convalle : e dispregerem noi que-
sto fiore , perchè la polvere delle vie noi contamina , né il
vento de' vasti piani l'agita o lo sfronda giammai?
Poeta di tal fatta è , per quanto sembra da' suoi primi saggi ,
il sìg. Agostino Gagnoli. Le cose del mondo par che noi toc-
chiu per nulla: dico del mondo sociale, poiché in licambio egli
i8
290
si mostra insaziabilmente avido d' ispirarsi al tranquillo spet-
tacolo della bella natura , e all' aure di un purissimo amore.
Lasciando altrui il sentenziare se un amor scevro d' ogni
carnai desiderio , un amore platonico , o per adoperare più mo-
derna frase, un amore d' artista ( quello cioè che i bravi artisti
sentono pei capi d' opera dell' arti belle ) abbia mai albergato
in petto umanOj certo si è che un amor di tal sorta dai tro-
vatori in qua fece pur sempre parte del linguaggio poetico : e
oggidì pure que' poeti francesi stessi , che pajono aver per mis-
sione di strappar l'amore dalle braccia della Venere celeste, e
nudo d' ogni velo tornarlo in grembo ad una Venere terrestre
e profana , que' poeti medesimi non sepper talvolta resistere
air incanto di pingere un amore tutto spirituale e verecondo.
Esempio ne sia il Didier di Vittor Ugo. Peraltro non è un
amore siffatto , che per quanto sia puro , è pur sempre im-
prontato del comun marchio della moderna poesia 5 non è il
delirante ed entusiastico amore del romanzo o del dramma che
il Gagnoli va esprimendo qua e là ne' suoi versi : bensì un
amor placido e malinconico, che esala mollemente in mesti lai
e in dolci sospiri ; 1' amor della vita Nuova e del Canzoniere.
Delle rime di questo giovine autore pubblicossi in Prato una
raccolta , nella quale scorgemmo pur anche i Versi alla Luna ,
che in una delle distribuzioni dello scorso anno abbiamo noi ,
e non immeritamente , lodati. Sia di queste, che dell'altre poe-
sie in detta raccolta comprese , siccome abbastanza conosciute,
non ne citeremo nessuna : ma invece faremo che questa breve
scrittura sia seguita da due canzoni del Gagnoli stesso , perchè
inedita 1' una ( crediamo ) , 1' altra pubblicata di recente , non
fanno parte dell' edizione di Prato 5 e perchè , tranne forse po-
chissimi nei, ci parvero e per mirabile grazia e soavità di di-
zione , e per gentilezza di pensieri assai commendevoli.
La fragranza tutta classica , che spira dalle poesie del gio-
vin Reggiano , senz'ombra di contaminazione straniera, le farà,
non ne dubitiamo , per eia solo accettevoli a molti, Per verità
hann' esse generalmente una gran bellezza di forme : che se il
pensiero , che le anima, tenue, sfumato ed uniforme qual è,
agli occhi de' più fsa' moderni, usi ad esser colpiti, dirò così, do.
291
sceniche tinte, sfuggisse in modo da. farle parer quasi vuote, tolga
il cielo che tali le etimiam' noi , che amiamo di preferenza le
bellezze modeste e velate -, noi che sappiamo quanto il ben in-
tendere e gastare Petrarca sia grande indizio d' anima bella e
gentile. Sokanto ci sia lecito muovere il dubbio , se da Petrarca
ini qua il modo di sentire o almeno di esprimere non sia tanto
cangiato, che chi s' arrischii d' imitare quell'antica, conaun-
que bella maniera, non trapianti gli alberi d'un secolo nel ter-
reno d'un altro, dove più non potranno produrre que' saporiti
frutti, che già produssero nel terreno natio? .• , Ìj'-^
Delle poesie, di cui ragiouiamo , parlò non è gran tèmpo
con molto onore un. gioraial«i'. ìe di ciò noi gli sappiamo buon
grado , amanti quali siamo del vero , e conscii far santo uf-
ficio coloro , che incoraggiano anzi che deprimere gì' ingegni
nascenti.' Vero è che il genio ,i<sevvero genio è, trioni idi ;^>tbi
gli ostacoli: vero è altresì che l'esperto cultore troncar suole
di giovine pianta quegl' inutili germogli, che pullirlan ;su pel
fusto , acciò quel suco che a nutrire viziosi virgulti n' andrebbe
disperso per via , tenda diritto al vertice, e sovra un robusto
tronco schiuda un ampio c-esto di rigogliosi rami. Per altro il
conoscere i buoni dai cattivi germogli , e il troncar questi senza
aprire nell'albero una profonda ferita , che imbozzacchire lo fac-
cia , hoc opus y hic labor est.
Ma non meno che dall'ingiuria è dovere di chi giudicata d
giovani ingegni il temperarsi dall' adulazione. Dico i giovani :
non che io creda beli' opera il vituperare o 1' incensare i ma-
turi : ma perchè questi almeno si presumon avere e dall' età
e dall' esperienza bastante virtù per resistere ai contrasti e alle
seduzioni. Ma chi prende a giudicare un autore esordiente, as-
sume in sé la risponsabilità d' un educatore. Quindi , siccome
a qualunque altezza sia per giungere questo od altro qualsivo-
glia scrittore , non ci vedranno mai dall' invidia mossi tentar
di sfrondargli il suo alloro , acciò non aduggi il nosti'o umile
arbusto ; cosi l'amore di una novella nominanza non ne pone
ora sulla penna lodi cosi assolute ed inebbrianti , che lo affa-
scinino ed addormentino al suono delle lusinghe. Perciò con-
Senlendo col giornalista prelodato in tutte 1' altre parli del
292
suo giudizio , non vorremmo che a scusare il Gagnoli del di-
fetto di robusti pensieri , avesse detto che il secol nostro pieno
<^i perturbazioni sociali e d' intemperanti passioni , ha bisogno
non di forti accenti risvegliatori , che già è svegliato fin troppo :
ma all' opposto di voci soavi ed assopitrici.
Perocché , rispondiam noi , la voce stessa d' Orfeo possente
« lenire i rabidi leoni , e addormentar Cerbero sul limitare
d' Averno , nel frastuono delle odierne contèse suonerebbe in-
ascoltata : e il secol nostro ha bisogno anzi d' una voce , che
gridi più forte di lui , che delle molte sue ambizioni e pas-
sioni conciti soltanto le generose e le indirizzi a buon fine : che
quell'energia, che frutto già di grandi rivolgimenti e di guerre^
dalle azioni "è nel successivo ozio passata ai pensieri j e che
ora per mancanza di un degno e universalmente consentito
scopo si logora qua e là in vani e non sempre onorevoli co-
nati , questa energia che è pure il vanto del nostro secolo , la
rivolga verso di una comune , santa ed arrivabile meta , il per-
fezionamento degli individui e dei popoli per mezzo di tutte
le private e le sociali virtù. Certo il Petrarca , quando rivolse
uno sguardo alla terra natia , e la vide lacerata dappertutto da
guerre intestine , e da barbariche genti calpestata e derisa ,
certo non tentò addormentarla con note soavi , acciò perdesse il
sentimento de' proprii dolori ; ma deposta la cetra amorosa ,
iutuonò queir eroico suo canto :
Italia Olia, benché i! partar sia indaiOQ.
Carlo Marenco.
293
3n irrotte "Si ^utvia ©«vati - 3^*fctm
CAIVZONE
Di lieve orma fuggente
Segnò la terra , e stanca , in un desio
Dalla diletta gente
E dal sole prendea 1' ultimo addio :
E in quella parte dove il tempo è morto ,
E che ad eterni rai s' imprimavera ,
Per lo sentier pili corto,
Come r aura del ciel corse leggiera.
Dolce bacioUa in viso
L'Angiol che sempre la vegliò terrena:
E nuova al Paradiso
In quella fronte aprì stella serena ;
Poi mise la celeste creatura
Entro gli arcani delle belle cose
Divise da natura
Pel velo azzuiTO che le tiene ascose.
L' eletta pellegrina
Venne alle valli che non san di verno,
E infloran la divina
Aura soave d' un odore etemo :
Ivi nudrito dalla dia presenza
Sta il fiore di letizia e di pietate ,
E r altro d'innocenza
Alle verdini imbianca alme beate.
294
Intorno si (liftbnde
Ineffabil di celie melodia ,
Cui da lungi risponde
Quella che dai sommessi astri si cria :
Là , chiamate a volar per tanta altezza^ ,
Van le angeliche penne e di colori ,
Di profumi e dolcezza
Ampi dietro di sé lascian tesori.
Vaga di meraviglia
Senti crescere il voi , si che le piume ,
Come il desio consiglia ,
Levò sin presso al padiglion del Nume.
Qui riverente col fidato duce
Agli altissimi templi si raccolse,
Ch'hanno addobbo di luce ,
E in quanto il dico in quel splendor s'avvolse.
Ma come si distende
Il vel dell' ombre sul terren cammino ,
In silenzio discende
Alle vedove soglie il Cherubino:
E allor che si togliea dalle immortali
Case , calando ai tenebrosi campi ,
Spogliò il fulgor dell' ali
Per non solcar il queto aere di lampi.
Due care pargolette
Vide nel sonno riposar- gli affanni.
Ei fi-a quelle si stette ,
E al lor padre mirando aperse i vanni
SI , che al raggiar di tremule scintille
Lume al ciglio del misero s' apprese
Che , schiuse le pupille ,
Tutta la santa vision comprese.
295
CAIVTO
Chiuso da solitudine romita
Quando 1' azzurro vel notte distende ,
E più mesta la vita
D' innamorate fantasie s' accende ,
Era mia dolce cura
Movere allo spirar di primavera
Per la bella armonia della natura ,
E all' inno della sera,
Che r orbe riverente innalza a Dio ,
Per me un suono s' aggiunse — Il pianto mio !
Mi parlava talor soavemente
Il remoto cader d'una fontana,
Quasi cetra dolente
Che per le taciturne aure allontana'.
Ad un sospir m' apriva
Zeffiro il seno in quella che ramingo
Suir arpa melanconica moriva.
Diceami: augel solingo ,
Gemi al mio canto : il sasso che lo frange
L' estrema nota anch' ei mormora e piange.
Or chi tiemmi da* miei campi diviso ,
Chi mi toglie all' aperto e verecondo
Delle stelle sorriso ,
Alla notturna melodia del mondo ?.
Qual non udito in prima
Spirto di music' aura onnipossente
Mi ricerca gli affetti e li sublima ,
Sì che l' agije mente
Come non stretta da terren costume
Sente crescere al voi libere piume ?
296
il vero? 0 forse iUuMon gioconda
Che da commosso imaginar s'informa,-
E dalia bassa sponda
Per vergini sentier m' alza a grand' orma ?
O a ragionarmi ancora
Il fantastico mio Genio discende,
Il Genio che le vane ombre colora ,
E mentre a me s' apprende ,
E de' gaudii più puri all' onda bee,
Mi spinge al fonte dell' eterne idee ?
Non è fraude de' sensi , o del pensiero
Larve , che vario dagli affetti han manto.
Sei tu , Angiolo vero ,
Arbitra d' armonia donna del canto.
Son questi i peregrini
Accenti che tu vibri entro dell' alma ,
E che tempri nei numeri divini ,
Onde r inerte salma
Più non grava lo spirto , e non è velo
Che tutto quanto ne contenda il cielo!
Oh ! come di pietà , di sdegno e amore
Colori il volto , e atteggi le pupille
Stancate nel dolore
Quando furtive in lo» premi le stille!
Come in sogno deliro
Per la dolcezza de' più cari istanti
Quasi t' esce la vita in un sospiro !
A tanta opra d' incanti
Tutta in te, qual chi è fuor d'ogni altra cosa,
La nostra inebbriata alma si posa^
Ahi ! r ora del diletto è fuggitiva ,
E van le gioie nel dolor perdute !
T' invidia estrania riva ,
E le mie notti si faranno mute.
297
Volgerò allora il piede"*
Un'altra volta , ma più mesto e lento
Alla campestre mia vedova sede :
E là sempre nel vento
Udir parrammi , come parte il sole ,
L' ondeggiar dell' armoniche parole.
0 mio carme , se altrui movi a disdegno ,
Perchè non vesti di miglior vaghezza ,
E non arrivi di sue lodi al segno,
Di' : che a si grande altezza
Le nostre fantasie volar non sanno ,
E eh' ella troppo mi gravò d' affanno.
Di Agostino Gagnoli.
LA MITOLOGIA
Descritta e dipinta ossia storia metodica universale dei Jais i
Numi appresso i popoli antichi e moderni j con cento tavole in
rame j opera del sig. Odolant Desnos , traduzione dal francese
con correzioni aggiunte e postille.
( Torino 1837 , presso Reviglio , in 8. )
Nei tempi che corrono , lo studio della mitologia è da molti
guardato con occhio di sprezzo , e forse , più di quanto vor-
rebbe ragione , negletto ; colpa i dettami della moderna scuola
romantica troppo largamente interpretati, da coloro che alla
ragione non sottomettono il libero e fervido immaginare.
298
Chi potrà infatto mettere ia torse l'utilità e 1' importanza
della mitologia, la quale forma parte sì essenziale dell' antica
storia, e che tante preziose memorie ci conservò sulla storia
fisica del nostro globo, che senza quelle allegoriche favole sa-
rebbero state perdute, e che gli stupendi progressi delle scienze
geologiche vennero così luminosamente a confermare?
Oltre a ciò essa formò per moltissimi secoli la religione
delle due prime nazioni del mondo la Greca e la Romana; e
qual sia l'influenza della religione sulle future sorti d'un po-
polo, quindi la necessità di un accurato studio perchè vuole
ragionevolmente giudicar delle cose , all' evidenza lo dimostra
quella venerazione che si conservò al culto de' miti per tanti
secoli ancora da che era stata quella religione bandita dall'u-
niverso incivilito.
Le lettere e le belle arti attinsero a quei purissimi fonti di
grazie e di venustà le loro inspirazioni ; le scienze se ne gio-
varono, e molte di esse tornano ridicole od inintelligibili nelle
loro denominazioni a chi sia affatto digiuno di questi studii.
Ecco il perchè non esitiamo ad encomiare come utile ed
importante la nuova pubblicazione che annunziamo,- e tanto
più ove si voglia considerare che nella folla che e' ingombra
di libri sulla mitologia, difficile assai per non dir impossibile
era il trovare un'opera su questa materia , la quale o non fosse
troppo erudita , o non troppo elementare , non tenendo conto
de' dizlonarii ne' quali la mente non può mai abbracciare il
sistema compiuto delle mitologie, e nemmeno la maggior parte
delle relazioni che hanno i miti fra loro.
Questa difficile impresa compì lodevolmente il sig. Odolant
Desnos, alla mitologia greca e romana , quelle aggiungendo
de' così detti popoli barbari, in modo da presentarne in que-
sto volume un compiuto sistema: né dubitiamo ch'essa sia per
tornare gradita agli italiani, massime che fra le mani dell'il-
lustre scrittore cui è affidata spariranno quelle poche mende
di che poteasi accagionare 1' originale francese , come già ne
dimostrano i pochi fogli venuti in luce.
P.
299
GKAMMATICA FRANCESE.
ESERCITAZIONI PER GLI STUDIOSI
Odi Cfoac^tHO oimoudt
Torino, presso Pie, 1837.
Vi hanno certi studi nei quali gli ostacoli supex'ali , e l'in-
gegno impiegato a riuscirvi non fruttano quell'onore , e quella
gloria , che da altri studi forse meno scabrosi , e diiFicili si
può conseguire. Deriva ciò dagli .storti giudizi , che spesso si
formano sull'importanza delle cose , e sulla necessità di posse-
dere forte e nobile intelletto non solamente quando trattasi di
materie ove la fantasia domina massimamente, ma anche allor-
ché deve porsi alla prova tutta la sagacità della fredda ragione.
Così al sentir certuni allorché trattasi della compilazione d'una
grammatica o d'un vocabolario non può esservi , che un uomo
di mediocre ingegno il quale possa decidersi di spendervi in-
torno le sue cure e le sue veglie : giacché a dir loro vocabo-
larista e grammatico è quasi sinonimo di pedante. — Ma quanto
però questi tali s'ingannano ! Per ben riuscire in questi generi
di studi è necessario non solamente un vasto fondo di cogni-
zioni, ma pur anche una squisita filosofia, un tatto finissimo che
a pochi è dato , e da molti si desidera. ■ — Sono questi tutti
i pregi , che si possedono dal signor Si mondi autore della
grammatica , e delle esercitazioni che annunziamo.
Attendendo egli da molti anni all'insegnamento della lingua
francese con eccellente metodo e rara perizia dell'arte , e ricca
la mente di peregrine cognizioni potè egli condurre a fine una
grammatica francese ad uso degli italiani tale da riuscire a
nessun' altra seconda.
Egli colse l'occasione in cui facevasi la nuovissima edizione
del Dizionario dell'Accademia Francese , il quale ( sono queste
500
parole dell'Autore ) « con sapiente rispetto ai rÌYolgìmenti dei
» tempi , e delle cose allarga i confini della lingua senza tra-
» visarne le forme schiette e spontanee , e ne migliora l'orto-
» grafia con mirabile magistero. » — Si volse perciò sulle traccio
di quel dizionario ogniqualvolta sentenziò l'accademia, nei casi
in cui ella si tacque, giovossi dell'autorità, e dell'esempio del
sommi scrittori. — Divise la sua opera in quattro parti : nella
prima diede i principj generali della pronunzia, nella seconda
trattò delle parti del discorso, e delle varie loro forme; nella
terza dell'ortografia, e nella quarta della sintassi. — Quanto
poi agli esercizi d' ortografia e agli esercizi fraseologici intro-
dusse degli errori a bella posta onde farne correttore lo stu-
diante e così meglio scolpirgli le regole nella memoria.
Oltre l'indicata grammatica sono ora uscite ( prima dispen-
sa ) le esercitazioni per gli studiosi a parte compilate : pale-
sano anch' esse il retto giudizio dell'autore : tributiamo perciò
ad esso larghi e sinceri plausi.
F. C.
ATTI DI GOVERNO E DI ECONOMIA PUBBLICA
Di alcuni prowt^edimenti recentemente pubblicati in Piemonte,'^
per favorire il commerciò > l agricoltura e l' industria.
Come presso quasi tutte le altre nazioni , cosi pur anche in
Piemonte l'agricoltura , il commercio e l'industria presentavano
in quest' anno gravi sintomi di vicina costernazione. La scarsità
dei ricolti nello scorso anno , e la poca apparenza che da
principio le passate contrarietà dell'atmosfera lasciavano di un
anno migliore, facevano quasi giorno per giorno incarire le
501
derrate di prima necessità. Dall'altra parte l'impensato, lo stra-
ordinario e pur troppo tuttor persistente iuvilimento delle sete
lavorate per cui una gran quantità delle medesime rimane tut-
tavia invenduta e giacente, toglieva dalla circolazione e dal com-
mercio quelle forti somme che negli anni più prosperi si sogliono
impiegare nella compra de' bozzoli, e distribuirsi quindi più
o meno immediatamente in beneficio dell' agricoltura e dell'
industria. Per la mancanza o quanto meno per la diminuzione
di questi mezzi pecuniarii, la consumazione pur anche delle
altre merci di minor conto , e massime quella degli oggetti
di lusso , restava languida anch'essa e sospesa. Scorgevasi quiii-
di un dissesto visibilissimo anche nei rami inferiori dell' in-
dustria e del traffico. Per ciò molte case di commercio sta-
vano in forse se dovessero , o se pure potessero continuare o
rinunciare alle consuete loro operazioni; e molti edifizj , molte
manufatture avrebbero dovuto rimanersi inoperose. I fallimenti
poi che presso le nazioni più commercianti e le più floride
si vanno succedendo con una rapidità spaventevole , crescevano
l'ansietà e lo sgomento universale.
La crisi commerciale era anche imminente per il Piemonte,
e l'orizzonte commerciale quivi pur anco stava per farsi tor-
bido e minaccioso. Le fortune e le speculazioni private in un
paese dove le proprietà immobili sono così ripartite , e dove
non vi esistono grandi associazioni di capitali , non bastavano
per allontanare il pericolo. Una tale insufficienza facevasi poi
ancor meglio sentire per quella continua distrazione di capi-
tali nelle opere di costruzione e di abbellimento che corre tut-
tavia incessante , tanto nella capitale come nelle provincie. E
sebbene tali opere alimentino altri generi d' industria e tendano
a rendere più comoda, più salubre ed anche col tempo men
dispendiosa 1' abitazione nelle città e nella capitale , pure egli
non è men vei'o che intanto esse producono una reale sot-
trazione di numerario alle altre speculazioni del commercio e
dell'agricoltura.
In questi gravi frangenti non era dunque altrove che presso
il Governo , e presso il tesoro pubblico che si poteva trovare
un adeguato riparo. E il Governo appunto fu quegli che senti
302
ad un tempo e tutta l' intensità del pericolo , e tutta la vo-
lontà e la forza per allontanarlo. E siccome già per lo stesso
scopo di favorire l'industria ed il commercio aveva coi Jì. Bre-
vetti del 28 marzo e 26 novembre i835 aperti altri prestiti
d' indeterminata destinazione , così col recente Editto del it>
maggio 183^ — aprì un prestito speciale di sei milióni a fa-
vore del commercio^ da eseguirsi sopra depositi di setCj me-
diante il solo interesse del 4 ^er cento all'anno, colle condi-
zioni e cautele prescritte colle successive Lettere Patenti del
20 maggio, e coli' Istruzione approvata col R. Brevetto del 23
sifccessivo.
Egli è noto che questo istesso partito già era stato proposto
presso altre nazioni, ma o perchè le circostanze del loro erario
fossero men prospere, o perchè quivi si avessero meno confi-
denti o men generose disposizioni, o per qualsiasi altro special
motivo , certo è che quel partito non fu adottato. Era perciò
riservato al Piemonte di offrire questo coraggioso e nobile esem-
pio. E i Piemontesi reggendolo in loro prò esercitato , sentono
quindi più forti crescere i vincoli di riconoscenza e di amore
che li stringono all' autorità che li protegge.
Nella concessione di un prestito cosi opportuno tutti ravvisa-
rono un pronto ed efficace sostegno offerto alla prosperità nazio-
nale che si trovava nelle parti sue più vitali minacciato. Trovossi
inoltre con questo prestito assicurato eziandio un altro benefìzio
di ben più alta influenza. Difatti per questo Editto , mentre
si venne da un lato mostrando quanta provvidenza nello am-
ministrare lo Stato e quanta fiducia il Governo riponga ne' pro-
prj sudditi 5 i sudditi poi stessi vengono dall' altro a compren-
dere quanto possano in tempi difficili e calamitosi riposar sopra
la protezione e la generosità del Governo. Laonde un simile prov-
vedimento si scorge proprio fatto per far epoca nell' ammini-
strazione delle cose pubbliche di uno Stato, venendo con esso
nelle medesime stabilito un precedente importantissimo ,• quello
cioè che il Governo è disposto ad intervenire coi proprii sus-
sidii ogni qualvolta l'agricoltura , il commercio, e 1' industria
e le classi de' cittadini , che ad alcuna di queste sorgenti di
pubblica ricchezza sono addette, si trovano in angustie slrapr-
305
dìnarie, come quella die attualmente si soffre. Ed ecco come
il principio delT intervento governativo nell'economia interna,
e quasi privata dei cittadini , temperato dal sentimento di una
illuminata e liberale tutela, giunga a penetrare con positivo
vantaggio in tutte le meno appariscenti ramificazioni sociali, e
possa ravvivarne il movimento , e venga in una parola a soc-
correre le miserie più intime e più private del popolo.
I benefizj dunque che dalla discorsa provvisione dimanano ,
non potrebbero essere più evidenti , più positivi. Quei sei mi-
lioni, che si offrono in prestito al solo interesse del 4 per cento,
passando per le mani de' banchieri e de' negozianti , vengono
poi in sostanza a diffondersi fra le classi più bisognose e la-
voratrici, e prima di tutte sopra quella degli agricoltori. Cosi
si giunge a placare i bisogni più urgenti e più palpitanti della
nazione , poiché sarebbe veramente stato un nuovo disastro per
per la classe agricola , se per la viltà del prezzo dei bozzoli ,
questo primo soccorso dell'annata rurale le fosse venuto difK-
cile , incerto e scarso. Laddove i commercianti col favore del
prestito accordato dalle R. Finanze possono tra i limiti però
sempre della prudenza sostenere il valore di questo primo pro-
dotto in vantaggio di coloro che ne sono i primi produttori j e
quanto poi all'interesse proprio dei commercianti stessi, eglino
restano in facoltà di conservare i loro fondi in sete senza an-
dare costretti a farne distratto con gravissima perdita, ed a quel
prezzo che loro avesse piaciuto ai fabbricanti esteri d' imporre.
Sotto di questo aspetto ei si verifica eziandio un altro vantaggio
più immediato , e si è quello di poter continuare a fare egual-
mente le stesse commerciali operazioni , mediante la sola corri-
spondenza del 4 per cento, quando invece senza quel prestito
avrebbero dovuto farle colle piazze estere coli' aggiunta del di-
ritto di provvisione non minore del a per cento; beneficio a cui
le Regie Finanze sicuramente neppur pensarono di aspirare.
Siccome per altro si può abusare di tutto , ed anche delle
migliori cose, e delle più salutari istituzioni, così non manca-
rono di quelli che nell'aprimento di questo prestilo temettero
che venisse aperta ai negozianti una via troppo facile per con-
seguire vistose somme ad un modico interesse, e quindi il pe-
304
vicolo che i metlesiml si potessero avventurare alla spensierata
in temerarie speculazioni.
Ma oltreché la prudenza e lo spirito di calcolo che bea dif-
ficilmente suole abbandonare la classe mercantile, e l'esperienza
delle passate vicende commerciali , basterebbero senza dubbio
per se stesse a porre un utile freno alle intemperanti opera-
zioni , le Finanze poi stesse nel distribuire il prestito adotte-
ranno certamente quei temperamenti più acconci per non lasciar
concentrare in troppo poche case di commercio somme troppo
forti , e del resto poi l'obbligo inseparabile di guarentirle col
deposilo di sete ad un terzo meno del loro valore corrente ,
porgerà un naturai limite ed una giudiziosa misura a quelle
passività che ciascuna casa di commercio volesse in tal modo
contrattare.
Oltre poi a questi vi fu ancora chi sospettò due altri incon-
venienti nella provvisione di cui ragioniamo. - — Si è detto in
primo luogo che i vantaggi di questo sussidio si sarebbero esclu-
sivamente assorbiti dal comuìcrcio depositario delle sete. Ma
chi non vede che quei vantaggi non si arrestano nella sola classe
commerciante , ma rifluiscono bensì di necessità sopra le prime
classi produttrici , gli agricoltori e gli operaj ? Del resto poi
noi siamo di quelli che guardiamo senza invidia e senza ti-
more crescere la fortuna dei commercianti, perchè stimiamo
che dove questi prosperano , anche le altre classi della popo-
lazione non possono pur anche far di meno che prosperare. —
In secondo luogo si temeva che quel prestito di sei milioni
potesse cagionare un accumulamento di materie prime , che
infine dell' anno fosse poi difllcile a smerciare. — Ma petchè
questo timore fosse ragionevole converrebbe supporre che l'odier-
na crisi commerciale fosse per un più lungo tempo durevole ,
di quello che necessariamente lo possa essere. Le roauufatture
ripiglieranno la rallentata fabbricazione , poiché non vorranno
consumare i proprj capitali per sostenersi. La consumazione
della seta, così vastamente diffusa ed in tante guise impiegata
e riprodotta, divenne quasi un bisogno, e non v' ha pericolo
che retroceda. — Finalmente lo stesso inevitabile ribasso delle
materie prime farà rianimare e la fabbricazione e la jconsuma-
zionc.
305
ConsUerale tutte queste cose ognun vetle come questo prov-
vedimento, ove giunga a superare alcune difficoltà nell'esecuzione,
che necessariamente dovette essere attorniata da molte forma-
lità, possa conseguin; il benefico Suo scopo, tanto per l'inte-
resse generale dello Stato, come per quello dei privati. Le classi
agricole , le classi commercianti e raanufattrici ricevono soc-
corso da esso , poiché per le medesime resta assicurata la ren-
dita ed il lavoro; ed in generale poi si salva l'iutiera nazione
dal flagello dei fallimenti. Così se ih Piemonte due o tre soli
ne avvennero , ed ancora tra i filandieri dell' ultimo ordine,
ognuno si pensi qual rovina sare]>be successa , qualora la prov-
vida mano ' del Governo non vi avesse per tempo posto un
argine salvatore?
— Prima di questo editto già erano emanati i Sovrani prov-
vedimenti del i3 settembre i834 = 7 aprile i835 = 9 aprile
1 836 z=r coi quali si permise la libera uscita della legna da
fuoco j dei legnami di costruzione j e delle sete greggie. — Prov-
vedimenti siiTalti manifestamente pur anche diretti a favorire
r agricoltura e 1' industria nazionale presentano la stessa im-
pronta di sapienza civile ed economica che consigliò recente-
mente l'accennato prestito de' sei milioni. Particolarmente vi
è analogo quello concernente la libera estrazione delle sete, e
sebbene questa sia per ora soltanto ancor limitata per alcune
Provincie , tuttavia bastò ampiamente a dimostrare col fatto
che la libertà in questo ramo di agricoltura e di commercio
che si può dir classico in Piemonte , è ben lontana dal pro-
durre quelle calamità che i più tenaci ed interessati fautori
del sistema proibitivo, come i più meticolosi speculatori pre-
annunziavano al principio della libera concorrenza , e del li-
bero commercio.
— Regio Brevetto del i." aprile iS3y, col quale S. M. no-
mina una Commissione incaricata di esaminare le proposizioni
fatte al Governo pcUo stabilimento di una strada a ruotaje di
ferro tra Genova e le Provincie del Piemonte. —
Fruito dello stesso impulso verso i progressi sociali e di quel
desiderio di agguagliare le altre qasioni nella applicazione delle
*i8
306
più sane teorie dell' economia politica all'esercizio pratico, si
è questo provvedimento clie ha per oggetto l' introduzione di
un' opera pubblica e dei dipendenti generi d' industria affatto
insoliti per il Piemonte. Il progetto per la formazione delle strade
ferrate affidato alla disamina di una special commissione com-
posta di persone dotate della più illuminata pratica in tal
sorta di opere pubbliche, non venne già cecamente accolto, ma
fu bensì ricevuto con tutta quella prudente antiveggenza che
si deve avere nell' ordinare lavori pubblici j massime quando
essi sono di prima introduzione , e tali da cangiare la preesi-
stente condizione delle cose che vi hanno un'immediata relazione.
Neil' occasione per altro che sta per aprirsi una strada in
ferro tra Venezia e Milano , 1' amministrazione pubblica del
Piemonte non dovea restarsi spettatrice indifferente. Il com-
mercio difatti tra il Piemonte e Genova , e tra gli Stati Sardi
e la Lombardia ed i cantoni della Svizzera veniva per questo
accidente esposto agli effetti di una nuova e straordinaria con-
correnza. Per neutralizzare le cattive conseguenze che potrebbe
risentirne il Piemonte , non v'è forse miglior partito che quello
di aprire una simile strada tra il suo territorio ed i confini
del territorio Lombardo, la quale dirigendosi da Genova verso
gli Appennini , si partirebbe , ( come avvisa il progetto ) valicati
quei monti in due rami , 1' uno de' quali s' inoltrerebbe nell'
interno del Piemonte , mentre l'altro accennerebbe alle fron-
tiere settentrionali del regno.
Né contro i voti ed i computi dì una vera e sagace conve-
nienza potrà mai prevalere l'osservazione di coloro che oppon-
gono non poter crescere la consumazione ed il bisogno delle
merci o indigene o provenienti dall' estero in proporzione della
maggior accumulazione prodotta dalla maggior facilità di tras-
porto, per modo che secondo il dir di costoro, le strade a
ruotaje di ferro in Piemonte o dovrebbero rimanersi poco
esercitate , od agevolerebbero un trasporto superiore allo smer-
cio e quindi in sostanza superfluo. Il vantaggio ancora incerto
poi che le strade di ferro procaccerebbero non francherebbe
a detta di moìti l'enorme spesa della loro costruzione, la quale
poi anzi verrebbe sottraendo alle già conosciute e più avviate
speculazioni capitali immensi.
307
Ma queste difficoltà , se mal non s' apponiamo , si dileguano
in presenza delli seguenti riflessi:
i." Collo stabilimento di una o più strade in ferro si dimi-
nuisce per il consumatore il prezzo della merce importata , e
così si aumentano in proporzione i mezzi di una più abbon-
dante consumazione e di maggiori godimenti.
2.° Si accresce all' estero 1' esportazione e lo smercio delle
nostre derrate territoriali, come sono i vini, il riso, le sete,
il canape ecc. ecc. : oggetti che attualmente per 1' eccessivo
prezzo dei trasporti hanno un esito assai limitato. Inoltre le
miniere di ferro di cui abbonda il Piemonte, ed i rami d'in-
dustria che da esse dipendono, piglierebbero sicuramente an-
cora una nuova attività , e prometterebbero un prodotto mag-
giore.
3.° Mentre si facilita ogni genere di utile comunicazione tra
provincia e provincia , e tra nazione e nazione , s' impedisce
che r una preponderi sull' altra nelle operazioni commerciali ,
e quindi che uno stato acquisti maggior influenza e ricchezza
a discapito dell' altro. Ella è la conservazione di questo equi-
librio politico ed economico che merita più di tutto ancora
una maggior attenzione in questa sorta di progetti amministra-
tivi , se si vuole che la prosperità e l' indipendenza nazionale
non venga mai compromessa.
A fronte di cosi manifesti vantaggi se per avventura l'erario
potesse in sulle prime sofl"rir qualche perdita dal lato dei dazj
di transito , di sosta e simili ( al che per altro si sarebbero
già trovati gli opportuni compensi ed i disimpegni colle cau-
tele proposte dalle varie amministrazioni con cui questa im-
presa può essere in contatto ), 1' autorità però non dovrebbe a
questi temporanei scapiti mai tanto badare da desistere dal
concepito divisamente , poiché questi scapiti inseparabili da
qualunque primo stabilimento sarebbero in progresso del tempo
largamente ricomprati colla maggior esportazione sia delle merci
nazionali, che di quelle introdotte dall' estero per venire al-
trove trasportate, e così cogli accresciuti proventi delle do-
gane ai confini.
308
■ — Manifesti Camerali del 2 5 aprile zr: 16 e 22 maggio iSSjr. —
Figlia di quella stessa vigilante sollecitudine con cui si vede
venire il Governo in ajuto della popolazione anche con un
momentaneo disagio dell' erario , si è la reiterata diminuzione
dei diritti d' entrata ed importazione dei cereali in Piemonte
che venne ordinata con queste ancor più recenti provvidenze.
Dir non è mestieri come questa diminuzione abbia realmente
contribuito a mantenere ad un prezzo discreto le derrate di
prima necessità 5 e ad impedire che un esorbitante aumento
venisse ancora ad esacerbare le miserie delle classi più nume-
rose e più indigenti. Se negli anni di abbondanza il favorire
r esportazione dei prodotti agricoli ed il restringere 1' impor-
tazione dei cereali dall' estero era di un sicuro vantaggio per
r agricoltura nazionale, 11 togliere ora temporariamente questi
vincoli negli anni di scarsità e di penuria non può certamente
a meno che tornare a profitto della intiera popolazione. — E
questa è una prova novella che non è sempre giusta la paura
di quegli Economisti che credono ostinatamente sempre dan-
nosa od almeno disutile 1' ingerenza governativa nelle vicissi-
tudini dell'industria e dell'annona.
— Regio Editto 24 dicembre i836 :=: Istruzione relativa
approvata da S. 31. coti Brevetto del 4 aprile 1887. —
Un nuovo sistema economico ed una più uniforme e più ef-
ficace direzione data alle opere pie, che assicura a ciascuna ia
particolare ed allo Stato in generale una più esatta e regolare os-
servanza del loro proprio instituto, formano l'oggetto di questi
provvedimenti. — L' istruzione facile e distinta che vi è an-
nessa , le varie circolari relative diramate dalla Regia Segreteria
dell' Interno sono destinate a spiegare , a regolare ed a conse-
guire più sicuramente 1' esecuzione degli ordini e delle inten-
zioni sovrane. Non v' ha dubbio che colle disposizioni che vi
si contengono restino come per anticipazione risolte tutte quelle
difficoltà e quei conflitti che a prima giunta 1' esecuzione di
un nuovo sistema suole sempre presentare. Egli è sopra queste
norme rischiai-ate da tutti i vantaggi e da tutti gì' inconve-
nienti già provati dai Comitati di beneficenza stabiliti dal governo
509
francese , e modellate adesso sulle basi attuali della monarclija
e del culto, clie non tarderanno a ricostituirsi le numerose
opere pie che onorano e beneficano il Piemonte , e che se erano
da lungo tempo scadute dal primiero splendore ed istituto ,
non erano però tali da guardarsi con quella disistima eoa cui
parve ad alcuni ed ultimamente al sig. Conte Petitti di do-
verle osservare , magnificando, non senza qualche infedeltà
alla professata carità di patria, gli stabilimenti di beneficenza
stranieri sopra quelli del Piemonte. Del resto le conseguenze di
questi regolamenti corrisponderanno senza dubbio alle inten-
zioni da cui furono e sono tuttodì animati ,• e ciò che frattanto
si otterrà sicuramente , si è il riscatto delle opere pie da una
amministrazione arbitraria, esclusiva, non soggetta a verun sin-
dacato, nel tempo stesso che si avrà l'esatta cognizione dei loro
proventi, e la giusta distribuzione dei medesimi. Sappiamo che
su queste traccie e a norma dei recenti regolamenti verranno
riordinate con viste di un'alta e sapiente filantropia nuovi sta-
bilimenti di beneficenza, e ricoveri per la mendicità, i quali
nulla avranno da invidiare alle istituzioni di tal genere esi-
stenti in altri paesi. Sarà nostro pensiero di fare a suo tempo
conoscere al pubblico il merito degli uni e degli altri col
mezzo di questo Giornale.
— B. Patenti del 27 giugno iS3y. — Al sullodato generale
riordinamento delle Opere pie appartiene da un lato , e dall'
altro già accenna ad un nuovo sistema giudiziario di univer-
sale uniformità questa recentissima provvidenza , colla quale si
ridusse all' ordinaria giurisdizione de' Magistrati civili la cogni-
zione delle cause del R. Manicomio di Torino , che prima in
forza di antichi ordinamenti era riservata al Vicario e Sopra-
intendente generale di politica e polizia di questa Capitale.
Questi antichi ordinamenti, e quella eccezional giurisdizione
cozzavano ora troppo di fronte coi sentimenti dell' epoca pre-
sente , ed erano poi assolutamente incompatibili col nuovo Re-
golamento approvato da S. M. colle Lettere Patenti del 20 mag-
gio 1837 P^^ ^1 suddetto Manicomio. — Ma essi mostravano
ancora l' indole di quei tempi in cui un Ospizio pei mentecatti
310
veniva considerato come una semplice dipendenza della polizia
e come una casa di repressione, nella quale chi aveva la dis-
grazia di entrare una volta era riputato come un pazzo incu-
rabile, incapace irrevocabilmente ed indegno fors' anche di ri-
tornare nella società , riguardavasi come un furioso che si doveva
contenere colla forza ; e ciò tutto senza sospettare né manco
che quel povero infelice potesse ancor essere suscettibile di una
cura intellettuale e morale , senza che si sospettasse nemmeno
eh' egli potesse ancora ricuperare il senno smarrito , affievolito
o soltanto traviato. E le proprietà e gli interessi materiali di
un tale Ricovero venivano trattati ad uno stesso modo come
gl'individui che vi stavano rinchiusi, e governati cogli stessi
principii.
Accolgano frattanto i nostri lettori questo breve ragguaglio
sopra alcuni di quei provvedimenti che in questi ultimi anni
si pubblicarono in Piemonte onde preservarlo dai mali in cui o
le critiche circostanze presenti, o le antiche corrutele potevano
precipitarlo. Egli è con essi che si venne ad un tratto rime-
diando come ai bisogni dell'istante, così a quelli inveterati
abusi che i' ignoranza o 1' incuria dei tempi e degli uomini
avevano lasciato serpeggiare per entro alle meglio divisate isti-
tuzioni.
Tocca ora al buon senso delle popolazioni di riconoscere in
questi provvedimenti quello spirito di vera filantropia locale
che gli ha ispirati , e per cui si perviene a soddisfare a una
gran parte dei più riposti ma non però dei meno importanti
bisogni dello stato , e vengono chiamati a vita novella tutti
gli elementi suoi più poderosi, e si rigenerano insomma tutte
le varie parti della pubblica amministrazione.
L' influenza benefica di questi esempi non può tardare a
manifestarsi , e quello stesso Consiglio di sovrana provvidenza
che già in molte cose fece trionfare le migliori dottrine eco-
nomiche sopra le più grette passioni e sopra quei bassi timori
che se molte volte possono essere pel desiderio del bene sentiti ,
possono però anche talora per solo amor di parte venire si-
mulati e magnificati, saprà eziandio coronare un movimento si
. 511
generoso colla promulgazione di una legislazione uniforme e
compiuta.
Avviate le sorti piemontesi per questa carriera di migliora-
menti sociali , la storia della civiltà europea non tralascierà di
notare questi passi che in essa fa ogni giorno il Piemonte; e
dirà ai contemporanei non men che ai posteri come il suo Go-
verno comprendendo del pari le tendenze del secolo, ed i bi-
sogni ed i voti della sua popolazione abbia saputo secondare
le une e provvedere agli altri in modo che la legge universale
della perfettibilità umana fosse sempre ascoltata e protetta.
Severino Battaglione,
annunzio
Opere edite ed inedite di Antonio Rosmini - Serbati , cioè: Il
Nuovo Saggio suW origine delle idee j e L'Esame del Rinno-
vamento DELLA Filosofia in Italia, proposto da C. T. Mamiani
DELLA Rovere.
(Continuazione della ristampa fatta presto Pogliani in Milano, i836).
Di qual momento siano le questioni trattate nelle opere di
cui annunziamo questa nuova pubblicazione, si può argomentare
dal rimbombo che fecero quando per la prima volta uscirono
in luce per dividere in due campi avversi i cultori delle filo-
sofiche discipline. L'ammirazione , sì viva dall'una parte , portò
gli uni ad inchinare dinanzi al loro autore se stessi e la fi-
losofia italiana , mentre dall' altra un' acre opposizione diede
312
alle controversie agitate un aspetto di accanita guerra anzi
nocevole alla scienza che altro.
Nel chiamare l'attenzione dei nostri lettori sull'accurata edi-
zione che si sta facendo delle opere filosofiche di Rosmini , noi
vorremmo provocare uno studio ed un esame altramente pa-
cato e severo delle dottrine ivi accolte : perocché esse volgono
su capi che possono guardiarsi come cardini dell' umano sapere
e della società.
Il far vessillo d'un nome, o T in tuonarlo come grido di
guerra , il mescere all' amore della verità e all' odio per 1' er-
rore le simpatie ed i rancori dell' uomo di parte, tolgono alla
mente quella serenità e quella limpidezza per cui solo è suscet-
tiva di raccogliere e di riflettere i raggi del vero.
Però in argomento di tanta rilevanza il Subalpino accogliendo
sempre quelli scritti che mirano a dilucidare le importanti
questioni , quale pur siasi 1' opinione individuale di chi gli
presta 1' opera sua , ristarà dall' ascriversi fra i propugnatori o
gli avversari delle dottrine contenute nelle opere in discorso ,
finché dal complemento del sistema, e dalle provocate dispu-
tazioni possa emergere quel maturo giudizio su cui riposa ogni
conscienziosa convinzione.
// Subalpino.
STAMPERIA GHIRINGHELLO E tOMP.
con permissione.
313
FILOSOFIA
(Bùìfo&izxom
DEL SISTEMA FILOSOFICO DEL NUOVO SAGGIO ECC.
Fatta da N. Tommaseo
Art. 2.° (/^. distvib. precedente)
Confronti.
Ora paragoniamo il principio dell'Autore co' principii
de' filosofi che lo precedettero , e indichiamone le dif-
ferenze.
La prim.t è nel metodo. Locke e Condillac incomin-
ciano dall'analizzare le facoltà dell' intelletto , e poco si
curano di analizzare le umane cognizioni. All' incontro
r analisi delle cognizioni deve precedere l' analisi delle
facoltà, perchè queste non si conoscono se non da' loro
eflfetti , che sono appunto le cognizioni e le idee *i.
Gli altri filosofi innoltre per ispiegare 1' origine delle
idee, ammettono troppo più o troppo meno che non
*i T. I. p. 8. T. II. p. 191. T. IV. p. 5t2.
^9
314
bisogni: ma tutti, qual più qual meno, s'accostano all'idea
dell' A. , tutti in certa guisa concorrono a confermarla.
Locke.
Locke, il quale facendo uscire tutte le idee dalla sen-
sazione e dalla riflessione, quasi come sgorgano da due
ampi fori 1' acque d'un fonte * i , e vedendo che l' idea
di sostanza non può ne dall'una né dall'altra venire, la
nega *2', Locke, io dicevo, dopo averla negata, ne am-
mette una qualche oscura nozione *3 , e concede ch'essa
è frequente argomento de' ragionamenti umani. Neces-
saria infatti è l'idea di sostanza , cioè d'un soggetto che
unisce in sé le sensibili qualità *4.
L' osservazione di Locke sull'impossibilità di dedurre
da' corpi l'idea di sostanza, era buonissima: ma rimase
per molto tempo infeconda. D'Alembert, meditando più
addentro sul principio « che le sensazioni ci danno im-
mediatamente l'idee de' corpi al di fuori di noi ; » prin-
cipio ammesso da Locke senza prove ^ com'ovvio, trovò
difEcilissimo a spiegare come mai, le sensazioni essendo
modificazioni dell'esser nostro, non essendo che in noi,
l'uomo possa uscir di se, e farsi l'idea di qualche cosa
al di fuori , egli che non ha altro fonte d' idee che le
sensazioni, tutte, ripeto, interiori. Questa ed altre dif-
ficoltà mosse dal D'Alembert sono, sott'altra forma, le
medesime che incontrò Locke a spiegare l'idea di sostanza,
conducono a cercare un principio di cognizione, me-
diante il quale 1' uomo apprenda a considerare le cose
fuori di se, in quanto esistono, non in quanto gli danno
tale sensazione o tal altra,
*i T. I. p. 26. -. *2 P. 35. — *3 T. III. p. 398.
*4 T. 1. p. 57.
315
Il sistema di Locke noii è dunque contrario alla veri-
tà ; n' ha il germe in sé : basta svolgerlo. Posta con Locke
e non negata , la potenza ch'è nell'intelletto di produrre
le cognizioni , conveniva cercare se possa esistere una
potenza pensante che non abbia punto bisogno di alcnna
nozione primitiva 5 se insomma si possa concepire un
pensiero il qual sia cosa diversa dalla veduta o dall'ap-
plicazione d' un' idea generale *i. Non convien negare
all'uomo la facoltà di passare dalle sensazioni alle idee»
astratte; anzi giova partirsi di qui per vedere se in tale
operazione l'uomo abbia bisogno di punto d'innato *2.
Già Locke istesso, quando distingue la cognizione u-
mana in due specie , a priori e a posteriori , contrad-
dice alla propria idea , della riflessione , unica madre
delle cognizioni umane *3. — E ad ammettere una qual-
che cosa «yor/or/ sarebbero stati i Lockiani tutti condotti
ben facilmente , se un loro avversario , invece di con-
traddire ad essi di fronte , avesse cercato quali sieno le
qualità necessarie alla potenza dell' intelletto per trarre
dalla sensazione le idee.
Si sarebbero allora facilmente accordati nell' ammet-
tere che una potenza nuda d'ogni nozione primitiva non
sarebbe atta a prestar tale uffizio : e la differenza ( ben
conciliabile) si sarebbe ridotta a questo: = se la detta
primitiva nozione, Jiecessaria a far eh' essa potenza e-
sista ed operi ^ abbia o no a dirsi idea innata. E si
poteva anche conchiudere che no ; giacche 1' idea uni-
versale deir essere è così diversa da quelle idee innate
che i filosofi ammisero , da potersi senza sbaglio com-
prendere nel general titolo di potenza dello stesso in-
telletto ♦4.
*i T. II. p. 43. — "1 T. l. p. i36. — r3 P. 211. 334.
M Opusc. Filosof. del med. A. T. 11. p. 498,
316
Condillac.
Il domandare con D'Alembert, come noi possiamo
dalle interne sensazioni trasportarci fuor di noi e for-
mare le idee de^ corpi , era domandare : « come si possa
formar un giudizio prima d'essere forniti d'idee. » Per
avere infatti un'idea di cosa fuori di noi, convien fare,
voglia o non voglia , i seguenti giudizi = esiste qual-
che cosa == questo eh' esiste è fuori di me , distinto
da me = questo ch'esiste è il soggetto che in se unisce
le qualità sensibili da me percepite *i. — Per formare
tali giudizi io debbo già possedere delle idee generali ;
dunque per aver delle idee , io debbo posseder già for-
mate delle idee precedenti. Esiste dunque una nozione
primitiva.
Condillac inculcò sulla prima parte del ragionamento,
vide la necessità de' giudizi per formare le idee , ma
non osservò che il giudizio presuppone un'idea generale.
E invece di approfittare del piccolo passo fatto dalla que-
stione , si pensò di sciogliere il nodo, affermando che
il senso giudica : eh' è molto più che affermare che il
senso dell'odorato percepisce i colori. 11 singolare si è elisegli
distingue nel senso le due funzioni, del sentire e del giudi-
care ; avrebbe fatto meno male a confonderle. Egli di-
stingue innoltre l'attività dalla passività ; e poi pretende
che la sensazione si muti da se in attenzione, che la
passività si trasformi in attività, e il sì e il no sien
tutt'uno *2. Egli distingue 1' attenzione della memoria ,
dall'attenzione del senso, chiamando l'una attiva, l'al-
tra passiva ; poi vuole che la memoria sia una specie di
sensazione; eh' è come volere che l'uomo e il ritratto
dell'uomo siano una cosa. Confonde il giudizio con la
*! Saggio T. I. p. 6.?., — *2 P. 70.
317
semplice attenzione, quasiché per essere due operazioni
contemporanee ( e non sempre son tali ), dovessero ri-
dursi a una sola! Dà al tatto il privilegio di fare che
le sue sensazioni siano idee , e di trasformare le impres-
sioni degli altri sensi in idee : e ciò per la ragione che
il tatto giudica gli oggetti esterni *i. Con questa teoria,
fondata sopra una metafora j della sensazione trasfor-
mata *2 ; con una teoria che dando alla sensazione il
giudizio , fa che la sensazione senta un'altra sensazione,
giacche non si dà giudizio senza confronto ; fa che il
senso d'una sensazione sia quello stesso che ne sente con-
temporaneamente un' altra • fa che il rapporto sentito
fra due idee , rapporto che è il termine del giudizio ,
sia lo stesso giudizio *3 j con una teoria tale, doppia-
mente singolare in un uomo ch'è celebrato per preci-
sione filosofica e per evidenza ; le difficoltà non si sciol-
gono • e riman sempre a decidere questo punto: se il
giudizio è laecessario a formare le idee , e le idee a for-
mare un giudizio , qual è il primo de' due? Date al tatto
la facoltà di pensare, datela allo spirito ; la difficoltà ri-
raan sempre la stessa *4- H ConcUllac si pensa forse di
scioglierla col trattar dei giudizi prima che delle idee
generali : e dopo avere trattato in tre luoghi diversi delle
idee, de' giudizi, e delle idee generali, conchiude con
ammirabile semplicità: « da ciò si vede quanto sia facile
» il formarsi le idee generali. »
Quello che avrà forse condotto l' ab. di Condillac a
confondere il giudizio col senso, sarà stato il doppio si-
gnificato della parola impressione che s'applica e al corpo
e alla mente *5 , il doppio significato della parola im-
pulso *6 , il doppio significato della parola sentire che
^i p. 88. — «2 P. 128. — ^'3 P. io5. — "4 P. 93.
*') T. m. p. 771. — *6 p. 781.
518
s'usa e per avere opinione , e per provare un affetto e
per giudicare *i. Ma la filosofia non dovrebbe amare
gli equivoci.
Del resto quando la parola sentire e altre simili s'ap»
plicano alle idee generali ; allora apparisce evidente
l'incongruenza dell'ammettere che il senso formi, senta,
possegga le idee generali *2. Il senso ha sempre per ter-
mine un oggetto singolo; tutto ciò dunque che noi tro-
viamo fornito di qualche universalità , è fuori affatto del
dominio de' sensi *3.
Ma considerand' anco la cosa da un altro lato, ognun
vede che , l'impressione essendo esteriore al tatto e alla
vista e agli altri sensi , non è da confondere con la
sensazione ch'è interna. Il sistema de' sensisti non è punto
più filosofico della fantasìa di Epicuro immaginante gì'
idoletti ch'escono da" corpi e svolazzano e vengono a noi;
o di quella di Hook il quale dice le idee della vista
formale d'una materia simile alla pietra di Bologna od
al fosforo j quelle dell' udito d' una materia simile alle
corde di violino , e così discorrendo. Tutti coloro che
paragonano l'impressione fatta dagli oggetti esterni su
noi, a quella che fa sulla cera il suggello, o ad una
contrazione , irritazione j configurazione, non pensarono
che tutti questi effetti son più o meno visibili o sensi-
bili al tatto; ma che le idee nessuno ancora le ha po-
tute aocchiare ne brancicare. Tutti i materialisti con-
fondono grossolanamente 1' oggetto della sensazione col
soggetto di lei. Cabanis parla del cervello come d'un
viscere che digerisce il pensiero. Noi veggiamo dìc'egli
le //w;?rew/on/ pervenire al cervello per mezzo de' nervi;
esse sono allora isolate j incoerenti : questo viscere en-
tra in azione j agisce sopr^esse^ e ben tosto le rimanda
*i T. IL p. 68. — *2 P. 79. ~ *3 T. III. p. 73..
319
cangiate in idee. Questo si chiama proprietà filosofica!
Questo si chiama evidenza di dire ! Questo si chiama
attenersi allo studio de' fatti!
Ma finche le esperienze dello Spallanzani sulla digestione
non s' applichino con successo alle idee , finché non si
trovino nel cervello le idee più o meno digerite come
si trova la pasta de' cibi nello stomaco de' polli , sino a
quel momento sarà lecito dubitare dell' infallibilità del
sig. Cabanis *i.
Distinta l'impressione dalla sensazione, resta a distin-
guere la sensazione dalla cognizione : quella non è che
materia di questa *2. Alla sensazione manca l'unità, l'u-
niversalità , che sono i caratteri delle idee *3 : manca
il suggello della necessità ; ond'è , che riducendo tutto
alla sensazione, sempre accidentale e attuale, si cade
nello scetticismo *4 5 perchè il necessario e il possibile
sono , come s'è detto più sopra , congiunti in modo che
tolta l'idea del possibile , Tidea del necessario anch'essa
vien meno. Quindi è che un filosofo con sublime ac-
corgimento attribuisce l'origine del materialismo alla con-
fusione della potenza coU'atto *5.
Gli è un' illusione del resto il credere che Gondillac
non abbia fatt'altro che continuare, modificandolo, il
sistema di Locke *6. Gondillac in ciò faceva inganno a
se stesso. Le formole qua e là sono uguali, il criterio è
diverso. Locke, dice un autore francese, si chiude in se
e lascia venire le imagini di fuori ; Gondillac si colloca
al di fuori a fianco della sua statua , e le compone un'
anima colle sensazioni che mano a mano le porge. L'uno
riman sempre dentro ; l'altro fuori sempre. Locke trova
i corpi nel fatto interiore delle idee ; Gondillac s'ostina
*, p. ,86. — *2 T. IV. p. 7. — *3 P. 106. — *4 P. i36.
*5 P. r58. — % T. 111. p. 400.
320
a dedurre i fenomeni ^ella mente dal fallo esterno della
sensazione. Quindi è che la teoria della sensazione in
Inghilterra produsse l'idealismo di Berkeley, di Hume ;
in Francia il materialismo di Cabanis , di Tracy.
Ma qualunque sieno le varietà del sistema di que'due
valentuomini , si può senza taccia di soverchio ardire
sospettarlo sbagliato. Convien distinguere il cammino che
percorre la mente del bambino infante nell'acquisto delle
idee, dal cammino che nell'analisi delle idee fa la scienza.
Per misurare tutti i passi del primo , converrebbe tor-
nare bambino: e chi vuol cominciare la filosofia dal
trattato delle sensazioni, convien di necessità che s'aiuti
a forza di fantasia , che indovini que' fatti ch'egli non
può più certamente osservare in se stesso. Cominciando
all'incontro dall' analisi delle idee quali le ha 1' uomo
adulto , e vedendo non di negarle ma di spiegare se i
^ensi soli le abbian potute produrre, allora veramente
la filosofia s'appoggia air osservazione , ed è, come Ba-
cone raccomanda, induttiva *i. Quell'esattezza perciò
con la quale i sensisti vanno a poco a poco creando
le idee, e dal particolare conducendo lo spirito al ge-
nerale , non è che imaginaria : giacche dal particolare
al generale è un salto immenso a cui non si passa per
gradi. Chi vuol ragione di ciò, rammenti quel che si
è detto pili sopra : « che non si può pensare un solo
particolare senza 1' aiuto d' un' idea generale. » Egli è
impossibile lo sviluppo delle cognizioni senza un germe
intellettivo; e chi toglie questo germe, ^toglie l'intelletto^
ed è costretto a supporre cosa incomprensibile, cioè
che l'intelletto nasca nell'uomo col nascere della sen-
sazione, che l'uomo diventi non sia ragionevole *2.
*i T. IV. p. 595.
*2 Piincipii di scienza morale del medesimo A. pag. 24-
321
Ma basti di Condillac. Le leggere modificazioni al Lo-
kismo fatte in Francia dopo Condillac , inviluppandolo
di medicina e di notoraia e di chimica (cli'è ben peggio
che applicare la cosmogonia alla medicina), non danno
nessuna nuova spiegazione dell'origine delle idee *i.
R^id e Stewart.
Reid, il primo e il più forte tra gli oppugnatori di
Locke , per tutto negare al suo avversario , negò fin
l'esistenza delle idee: assunto non mollo conforme a quel
senso comune al quale egli pur vanta di sempre atte-
nersi *2.
Per isciogliere il problema dell'origine delle idee^ Reid
e Stewart ammettono che l'uomo conosca gli oggetti e-
sterni, non perchè la sensazione gliene presenti l'imagine,
ma per una quasi ispirazione o facoltà di genere tutto
suo , la quale all' occasione delle sensazioni fa sì che
l'uomo giudichi esistere il corpo. Questa ispirazione in
prima è troppo misteriosa ; e poi non basta a spiegare
il fenomeno *3. Ho detto: misteriosa; perchè in questo
naturale giudizio primitivo eh' esce dall' intrinseca virtà
della mente, è il germe di quel kantismo che troppo
a ragione è antipatico a molti *4-
Il sistema scozzese infatti non vince punto quello
scetticismo che pur tende a combattere. Ammettendo
che la sensazione nulla ha che fare con la percezione
dell'esistenza de"" corpi, si viene a mostrare il fianco allo
scettico, il qual può francamente opporre: che una
percezione così eterogenea alla sensazione , risica d'es-
"i Saggio T. I. p. ii3. — *c» P. 12 1. — . *3 P. 819.
*4 T. II. p. 38 e 33i.
322
sere infida e ingannevole ; che un giudizio cieco , qual è
il primo giudizio voluto da Reid, è una necessità inesplica-
bile , da cui non ci viene alcuna sicurezza della verità
delle cose giudicate ; che il vero così si commuta col ne-
cessario, senza prova nessuna che il necessario sia vero *i.
Non vince né anco il sensismo , perchè laddove Reid
si lamenta che alcuni filosofi facciano preesistere il giu-
dizio al senso , e il senso al giudizio , ha ragione pienis-
sima j ma laddove pretende che la frase : il senso giu-
dica , sia esatta, quivi certamente s'inganna. Giacché
non avendo il senso idee generali, ed essendo queste idee
necessarie al giudizio , ognun vede che il senso non può
giudicare *2. — • Se non che egli si trova contraddicente
a se stesso quando distingue la sensazione dalla perce-
zione così fortemente che ne fa due cose affatto diverse *3.
Del resto quel medesimo errore che trasse Reid a ori-
ginare la prima delle umane idee da un giudizio cieco e
inesplicabile j quell'errore poteva essere un passo verso
la verità; giacché così si ammetteva la necessità di un
giudizio primitivo, semplicissimo; e si confessava l'im-
potenza del senso a somministrar gli elementi tutti di
tale giudizio.
Non è nuova già cotest' idea di derivare da una cieca
potenza i primi elementi della cognizione : anche Dante
intese a questo modo la sentenza scolastica *4 : e da
Reid a Galluppi,la filosofia moderna a questo princi-
pio tornò. Galluppi chiama appunto soggettive le idee
dell'unità, dell'identità, ed altre tali; quasiché dal sog-
getto medesimo traggano resistenza *5. Ma se i primi
elementi della cognizione non sono indipendenti dal sog-
getto , e non hanno un oggetto a cui riferirsi, la scienza
1* T. IV. p. la. — *2 T. III. p. 721. — *3 P. 741.
*4 Purg. XVIII. Ogni forma ecc. — *5 T. II. p. 243.
325
umana è scrollata da' fondamenti ; e lo scetticismo, si-
stema impossibile dall' una parte , dall'altra è irrepara-
bile. A porre una base ferma all' umana cognizione e
certezza il nostro Autore non vede che quest' unico
mezzo : stabilire che un oggetto hanno i nostri pensieri
universale , necessario ^ indipendente : e quest' è V idea
concreata dell'essere *i.
Quanto al metodo di Reid, il qual consiste nell' os-
servazione e neir osservanza de' principii del senso co-
mune, non è qui luogo a trattarne. Diremo soltanto
che, come metodo ausiliario, può tornare utilissimo;
come criterio unico, è talvolta fallace; che le grandi
diiììcoltà di conoscere il senso comune , l'opinione de-
gli uomini tutti , le grandi ambiguità e gli arbitrii dell'
interpretarlo , la sua stessa naturale incertezza e varietà,
frutto dell'umana degenerazione; la sua insufficienza
intrìnseca che lo rende abbisognante d'un criterio più
certo, tutte queste ragioni con altre non poche, con-
corrono a render sovente arbitraria l'applicazione che
fa di questo principio la scuola scozzese ìlle proprie
dottrine *2.
Platone.
I filosofi de' quali è detto sinora , peccarono alquanto
nel poco ; quelli di cui ci resta a parlare , nel troppo *3.
La difficoltà posta da Platone — come mai l' uomo
possa cercar di conoscere quel che ignora — porta na-
turalmente a inferire che una qualche idea generale ,
"i T. III. p. 825. — *3 T. IV. p. 160, i63, 173, 174, 3i5,
317, 321, 323, 333, 336, 428, 429, 43o, 452, 453, 6o5,
606; ed altrove. — *3 T. II. p. 4.
324
almeno quella dell' essere , deve aver l'uomo per poter
pensare agli enti che le sensazioni gli presentano sussi-
stenti. Un tale discorso conduceva ad. ammettere qual-
che cosa di medio tra il perfettamente conoscere e
l'interamente ignorare; e in questa cognizione mista di
luce e d' oscurità , di tanta luce che basti a far rico-
noscere ciò che si cerca , e di tanta oscurità che renda
necessario il cercare la cosa per veramente conoscerla,
doveva consistere la soluzione del problema. Giacché tra
il conoscere chiaramente e il non conoscere punto , è
una serie di gradi lunghissima: e nessuno lo nega *i.
Platone scioglie la difficoltà col supporre una cogni-
zione posseduta dall'uomo in una vita precedente, e poi
dimenticata nascendo ; e comprova l'ipotesi coll'esempio
del fanciullo, al quale per via d'interrogazioni avvedu-
tamente dirette si possono far pronunziare delle verità
geometriche prima facili , poi anco difficili , eh' egli
non aveva mai sentite da alcuno. Questo fatto dimostra
che l'uomo ha la facoltà di giudicare anco di cose che
mai per l'innanzi non vide : e fa conchiudere a Platone
che tutti questi giudizi eran già nella mente, ma oblite-
rati *2.
La difficoltà è posta qui troppo largamente : non è
necessario spiegare tutti quanti i giudizi che l'uomo fa
di cose a lui nuove; basta spiegare quel giudizio primo
col quale s' acquista la prima idea : o se questo spie-
gare non si può , ammettere un' idea madre. Fatto il
primo giudizio , rimane spiegata la possibilità d'acqui-
stare innumerabili altre idee, materia ad altri giudizi. Non
era necessario ammettere ingeniti i tipi di tutte le ve-
rità : bastava ammettere un tipo, a cui raffrontandole
cose^ poter conoscere la verità loro; bastava trovare
*! T. IV. p. 4G9. — *2 T. II. p. 12.
525
un criterio della verità in genere, e non tanti crite-
rii quante sono le verità: cosa falsa ed assurda *i. Tutte
le nostre idee sono composte di due elementi, l'uno
invariabile, necessario, comune a tutte, l'idea' dell'es-
sere ; l'altro variabile, singolare, le determinazioni ag-
giunte all'idea dell'essere, che ne costituiscono l'idea
del tale o tal ente. Il secondo elemento ci viene dai
sensi , e non occorre ammetterlo innato : non così il
il primo *2.
Platone confonde il sapere in atto col sapere in po-
tenza ; vuol che la mente già sappia perdi' ha in se la
facoltà di sapere. Quel giovanetto che rispondendo alle
interrogazioni ben disposte trova da se una verità ^ geo-
metrica, non la sapeva egli prima, ma aveva i princi-
pii che a saperla conducono *o. Se Platone del resto ,
invece di recare ad esempio una verità geometrica e di
deduzione, avesse recata una verità metafisica e di prim'
ordine, avrebbe prevenute le obbiezioni d^Aristolele , e
si sarebbe molto più avvicinato alla retta via; giacche
questa specie di verità più immediatamente dipende dal-
l'idea d'esistenza , l'unica necessaria per tutte figliarle.
Aristotele.
Aristotele per ispiegare l'origine delle idee generali
suppose che l'intelletto percepisse gli universali per un
atto passivo simile a quello col quale il senso percepisce
gli oggetti sensibili. Ma vedendo che questi universali
non esistono fuor della mente , imaginò una potenza in-
terna alla quale attribuì la virtù di rendere universali i
particolari mediante l'astrazione *4- A sentir certi filo-
ni P. 23. — *2 T. 111. p. 46. — *3 T. II. p. 34.
*4 r. ti. p. 5o e seg.
326
sofi, si direbbe che l'astrarre sia come dividere per metà
una linea, un uomo, un pasticcio, lasciar da un canto
il particolare e cogliere l'universale. Ma cogliendo l'uni-
versale,'nulla si stacca dall'individuo; non è se non
l'idea che si coglie *i. Parrebbe, a sentire Aristotele, che
il senso pigli per se il particolare, e l' intelletto 1' uni-
versale j come l'occhio e l'orecchio piglian per se l'uno
i raggi di luce, l'altro ì suoni dall' aria nella qual sono
e questi e quelli in certo modo confusi. Ma l'universale
non esiste nelle cose come la luce nell'aria. Percepire
il comune ne' particolari , è come dire : percepir il co-
mune in ciò che non è punto comune *2. Il comune
non è che un rapporto fra più individui, osservato dalla
mente dell'uomo , che li confronta : ora un rapporto di
due individui non si trova in alcuno de' due individui
considerato in sé; non si trova che nella mia mente;
convien ch'io lo vegga in una sola concezione della stessa
mente mia.
Aristotele , per iscioglier l'imbroglio , stabilisce un in-
telletto agente , mediatore fra il senso e l'intelletto , che
ha per uilìzio trasformare ì fantasmi sensibili e singolari
in universali. L'incumbenza, gliela dà proprio Aristotele:
tocca poi a questo intelletto trovare il modo di disim-
pegnarsene, senza portar seco nessuna idea; ma cavan-
dole tutte da' fantasmi sensibili. Per aggiungere ai fanta-
smi sensibili l'universalità, bisogna pure che l'intelletto
agente in qualche parte la trovi *3.
In altro luogo lo Stagirita rappresenta i singolari cam-
biati in universali quando passano dal senso all'intelletto
a guisa di liquore che prende la forma del vaso nel
quale è mesciuto. Ma la differenza si è che il liquore
travasato riman sempre lo stesso , e che i singolari non
U P. 74. — "% P. 63. — *3 P. 85.
3-27
possono diventare universali senza cambiare natura. —
Più : questa trasformazione ridurrebbe in tal caso la ve-
rità soggettiva, cioè relativa alla mente, non oggettiva,
cioè atta ad entrar nella mente senza perdere la sua
natura di verità; e si cadrebbe nello scetticismo e nel
Kantismo , scogli che dalla dottrina peripatetica a prima
vista paiono lontanissimi. v.t»
In alcuni passi però s'avvicina Aristotele al vero , co-
me quando accenna alla sfuggita uno universale quie-
scente neW anima', e quando ammette che l'intelletto
agente traendo dal particolare sensibile l'universale, deve
avere in se un atto, sostanziale alla propria natura ,
senza il quale non potrebbe fare 1' operazione indicata.
Sebbene oscura ed equivoca sia la frase, ognun vede
come Tatto d'una facoltà conoscitiva non può essere che
una cognizione sostanzialmente preesistente nell'intelletto
all'operazione dell'universalizzare *i.
Quando poi Aristotele si contenta di negare che sia
innata noli' uomo alcuna idea determinata , allora con-
vien pienamente col nostro Autore *2. Ma i più de' com-
mentatori d'Aristotele s'attennero alle sentenze di lui più
chiare e più frequentemente ripetute, e negarono affatto
ogni cosa d'innato. Temistio fra gli altri, spiega, dietro
Aristotele , 1' origine degli universali con una specie di
lenta induzione che dall'accumulamento di molte osser-
vazioni ed esperienze , trae finalmente una conseguenza
generale : principio falso , che scambia la difficoltà , non
la scioglie. Vediamolo con un esempio.
Per formarsi l'idea generale che la china vince la feb-
bre periodica , certamente è necessario del tempo e dell'
esperienza a fine di poter raccogliere i molti casi par-
ticolari da' quali conchiudere quella verità: ma potre' io
*i P. 102. — T. III. p. 101, — *a T. II. p. ii5, ii8.
328
mai concliiuderla se non mi formassi un' idea generale
di china e di febbre periodica , cioè non del tale o tal
pezzo di china , ma di tutte quante le cortecce possi-
bili di quella pianta ; non della febbre di Paolo o d'An*
toniOj ma di tutte in genere le febbri periodiche, che
mai sono state, sono, saranno, o possano o potranno
essere ? E queste due idee cosi generali , o per meglio
dire la generalità di queste due idee , mi può ella ve-
nire da' sensi, da osservazioni, anche innumerabili, re-
plicate con tutta la possibile diligenza ? Qual è dunque
la forza che fa la mia mente ascendere al generale?
Quella de' sensi, no certo.
La norma stessa dell'analogia non può essere dal senso
fornita. Abbiamo noi percepiti dodici oggetti? Noi non
potremmo colla mente estenderci al tredicesimo se non
l'abbiam percepito: molto meno potremmo estenderci
a tutti gli enti esistenti ; meno ancora ai possibili *i.
Questa considerazione distrugge il sensismo dalle sue fon-
damenta.
Leibniz io.
Questo grand'uomo si fa a combattere Locke pur con
animo d'interpretare benignamente le dottrine di lui, e
spiegarle e perfezionarle : concede a Locke , che le idee
le quali non vengono dalla sensazione debbono venire
dalla riflessione ; ma afferma che la riflessione non è altro
se non un' attenzione data a ciò che è già in noi *2.
Il male si è che Leibnizio prende la voce innato in
più sensi; e ora chiama idee innate quelle che l'intel-
letto deve acquistare nel primo momento della nostra
esistenza j or chiama innate quelle che sono concreate
*i P. 207. — *3 P. i38.
529
airintelletto , essenziali a lui, senza le quali non esiste-
rebbe intelletto. Ognun vede che la questione ne' due
casi mula aspetto di molto: giacche nel secondo (ed è il
nostro) si tratta di vedere se l'intelletto sia o no una
potenza di far uso di una qualche idea per ragionare,
sì che il negare questa idea sia il medesimo che negar
l'intelletto. Ell'è una questione che non versa solamente
sul fatto, ma sulla natura stessa dell'intelletto umano:
e da questo lato la riguarda il grand'uomo laddove al-
l'assioma : niente è nelV intelletto che non sia stato nel
senso , soggiunge : niente j tranne lo stesso intelletto.
Ed infatti una facoltà di pensare priva allatto d' ogni
nozione sarebbe una contraddizione ne' termini, una po-
tenza che non è punto potenza. Il solo ammettere la
facoltà di pensare innata, innato l'intelletto, h già un
ammettere qualche idea innata , mediante la quale la
intelligenza possa esercitare 1' uffizio suo sulle ricevute
sensazioni *i.
Le frasi di tavola rasa j di cera j àì\ finestre , appli-
cate all'anima, nulla provano : avverte Leibnizio. L'intel-
ligenza umana somiglia forse a una tavola , a un pezzo
di cera?I sensisti che tanto si vantano di precisione fi-
losofica, dovrebbero lasciare una volta sifiatte metafore.
La questione del resto sull'elemento innato delle umane
cognizioni , non è esattamente posta da Leibnizio ; ed
è sciolta , come ognun sa, col sistema dell'armonia pre-
stabilita, dove s'ammettono innate nell'anima e le idee
non sensibili di tutte quante le cose, e certi istinti che
ci muovono a riflettere sopra le idee , e così farcene
accorti ; sistema che non è necessario confutare *2.
Il gran merito di Leibnizio in tal questione si fu di
avere fortemente inculcato sulle percezioni a cui l'anima
*i 1'. 142. - ♦a P. i53.
550
non riflette: donde si viene a conchiudere che un'idea
può essere nell'intelletto senza che l'uomo se ne accorga,
perchè ancora non vi ha riflettuto. Il negar questo , il
dire con Locke che le idee innate non esistono , perchè
se esistessero , noi lo sapremmo , è un contraddire alla
quotidiana esperienza; giacché tutti noi ci risovveniamo,
a qualche occasione, di cose dimenticate; ci accorgiamo
cioè d'idee che erano in noi, ma non riflettute, e quasi
non fossero. E non è possibile, soggiunge Leibnizio,
che noi riflettiamo sempre direttamente su tutti i no-
stri pensieri : se ciò fosse lo spirito dovrebbe far rifles-
sione sopra ciascuna sua riflessione, all'infinito, senza
poter mai venire a capo di qualche nuovo pensiero.
Egli è pur forza che la mente resti dal riflettere so-
pra tutte quante le sue riflessioni , e che infine ci sia
qualche pensiero che si lasci passare senza pensarvi: al-
trimenti si tornerebbe sempre al medesimo. Questo ar-
gomento prova non solo il fatto ma la necessità del fatto:
e il nostro Autore lo riduce a formola veramente filo-
sofica quando dice : « un atto qualunque dell'intendi-
» mento ci fa conoscere l'oggetto suo nel qual termina,
» ma non ci fa conoscer se stesso *i. »
Altro è dunque ch'esista nella mente un'idea, altro
è il pensarci attualmente: quando noi non vi pensiamo,
non sappiamo d'averla ; e non sapendo d'averla, non pos-
siamo né anco parlarne *2.
Del resto sebbene Leibnizio ammetta a spiegar l'ori-
gine delle idee un po' meno d'innato che Platone , am-
mette però troppo più che a spiegarla non sia necessario.
Egli paragona l'umana cognizione a un pezzo di marmo
venato dallo scalpello in modo che levandone via il
superfluo, e seguendo quelle venature, possa escirne per-
U T. IV. p. 48o. — *2 T. II. p. 168.
331
fetta la statua. Ma queste venature sono troppo : bastava
ammettere un regolo, seguendo il quale si venisse a
cavare dal marmo la statua. Le venature di Leibnizio
sono le idee innate ; il regolo è l'idea generale dell' es-
sere *i.
Kant.
Kant, che molto approGtta delle idee dì Leibnizio, e-
sagerandolo ma senza citarlo *2 , ammette senza esame
il principio Lockiano, che tutte le cognizioni vengono
dall'esperienza , e suppone provato ciò eh' è in questione
*3 ; ma non ammette che tutte vengan da' sensi , e si
accinge a cercare le condizioni necessarie acciocché sia
possibile un'esperienza originatrice deirumano sapere *^.
Distingue intanto la cognizione a priori dalla cognizione
a posteriori, distinzione ammessa da Locke istesso. L'e-
sperienza de' sensi mostra ciò che è, non ciò che deve
o può essere. Le idee di necessità e di possibilità , cioè
d'universalità, non vengon da' sensi: la cognizione acci-
dentale e parziale è a posteriori , la necessaria e la pos-
sibile è a priori.
Si noti però 1' errore grave di Kant e d' altri filosofi.
Essi dicono : « tutte le cognizioni universali e necessarie
sono a priori. » Dovevano dire : l'universalità e la ne-
cessità delle cognizioni è a priori. Con la prima sen-
tenza si vengono ad ammettere molte idee innate *5 ;
con la seconda, una sola, ch'è per essenza universalis-
sima e fornita di quel carattere della necessità *6. Con
la prima s'ammettono certe attività dello spirito, ma
nessuna idea attualmente pensata: con la seconda si pone
*i P. 175. — *a Opusc. filosof. II. 5oi.
*3 N. Saggio T. II. p. 180. — *4 1'. 194.
*5 P. ò%\. — '6 T. 311. p. 39.
332
che l'intellelto essenzialmente conosca qualche cosa, cioè
l'essere in universale, ch'è l'essenziale oggetto delTintel-
ligenza *i. Però l'Autore del Nuovo Saggio comincia la
sua ricerca dall'oggetto essenziale dell'intelletto, mentre
tanti altri comincian la loro dall'atto dello spirito, senz'
accorgersi che quest' atto deve dipendere dall' azione
d'un Oggetto *2.
Prima dì procedere oltre co' principii di Kant, fer-
miamoci un poco allo scetticismo di Hume, giacché l'or-
dine delle idee lo richiede.
Hume.
Trovando in Locke quelle due proposizioni contrarie :
tutto viene da' sensi, e: esiste una cognizione a priori,
V Hume ne conobbe la contraddizione ; e piuttosto che
lasciare la prima, negò la seconda: negò quindi la ne-
cessità dell'idea di causa, e dichiarò essere errore del
senso comune Tassioma : « tutti gli effetti devono avere
una causa *3. n Ma negando l'idea di causa, non s^avvide
che , per la ragione stessa , e' doveva logicamente negare
tutte quante le idee necessarie ed universali, tutti gli
assiomi , giacché le idee necessarie ed universali , appunto
come quella di causa , non ci vengon da' sensi. Ne giova
ad Hume distinguere le cognizioni a priori che riguar-
dano le teorie, da quelle che discendono a' fatti. Tutte
le cognizioni a priori , quando s^applicano ad un caso
particolare, discendono al fatto; e tutte le cognizioni
di fatto inchiudono in sé qualche cognizione a priori.
Ma per confutare la dottrina che taccia di falso l'as-
sioma : ogni effetto ha una causa, basta notare che la
connessione di luogo o di tempo tra quello che pare
U T, IV. p. 459. — "% T. IV. p. 463. — *3 T. IL p. 217.
555
effetto e quella che par causa, connessione data dall'
Hume come origine del pregiudizio volgare , questa con-
nessione , ripeto, osservala coll'esperienza de' sensi, non
potrebbe giunger mai a creare un principio necessario
ed universale qual è il principio di causa. Ne giova il
dire che questo principio pare universale e necessario,
ma non è. Esso non potrebbe nemmeno apparir tale
agli uomini, se questi non avessero una cognizione a priori
e non venente da' sensi. Poniamo infatti che la propo-
sizione: og-n/ effetto deve avere una causa, non sia che
una versione inesatta di questa osservazione dell' espe-
rienza : certi avvenimenti precedono sovente certi altri.
Perchè gli uomini potessero trasformare una proposizione
empirica in un assioma razionale , dovevano possedere
— r idea di possibilità , giacche 1' essere possibile non
cade sotto il senso — l'idea di causa, giacche sotto i
sensi non cadono che gli effetti — l'idea di necessità ,
giacche i sensi mostrano quello eh' è, non quel che
dev'essere — l'idea d'universalità, giacche 1' esperienza
de' sensi è limitata a un certo numero d" oggetti e di
atti. La difficoltà dunque che si trova ad aramsttere il
principio di causalità come vero, si trova pure ad am-
metterlo come apparente : data la sola esperienza dei
sensi, gli uomini non se lo sarebbero potuti nemmanco
imaginare. A noi basta dunque che l' Hume conceda
che quest'idea c^è : sia vera o falsa, bisogna spiegarne
l'origine *i. — Torniamo a Kant.
Hume negò le cognizioni a priori : Reid le ammise,
e le spiegò con un giudizio istintivo : Kant svolse la
teoria di Reid, e ne ingrandì fortemente l'errore, vo-
lendo spiegare questo giudizio cieco che lo Scozzese am-
metteva.
*i P. 233.
334
La mente, dice Knnt, all' occasione delle sensazioni
percepisce gli oggetti esteriori , ma questi non sono un
mero aggregato di sensazioni. Son enti risultanti dalle
sensazioni stesse, che son Ja materia; e da certe qualità
poste dallo spirito, che Kant chiama forme *i. Quand'
io percepisco una pianta , non soffro solamente alcune
modificazioni ne' miei organi corporei, le quali, come
soggettive, nulla pongono fuori di me: io ammetto ìnnol-
tre col mio intendimento qualche cosa di oggettivo al
di fuori, che ha un'esistenza indipendente da me; e per
far questo, debbo aggiungere alla sensazione il concetto
di qualche cosa che sia necessario, universale. Fin qui
Kant dice il vero; giacche per affermare che l'oggetto
esiste fuori di me , io debbo aggiungere alle sensazioni
l'idea d' esistenza. Ma Kant enumera ben quattordici
forme ch'entrano xìgW^l formazione d'un oggetto corpo-
reo da noi percepito. Son troppe.
Kant innoltre col definire i corpi un'unione di forme
intellettuali e di sensazioni, e le une e le altre venenti
da noi, le prime dall'attività dell'intelletto, le seconde
dalla suscettività del senso, fa soggettive tutte le co-
gnizioni, distrugge ogni realità e fin la possibilità di
accertarsi se nulla vi sia di reale fuori di noi. Conseguenza
di quel giudizio cieco, ammesso da Reid; giudizio uscente
da ignota virtù intrinseca dell' intelletto *2. E appunto
una cieca operazione dell'intelletto ammette Kant, la
qual si crea da sé l'universo senza sapere se 1' universo
esista , e si pasce delle proprie illusioni : scetticismo
profondo e terribile.
L^errore essenziale di Kant sta nell' aver fatta delle
i4ee nostre e degli oggetti esterni una cosa sola. Una cosa
sola ne aveva fatto anche Reid; ma Reid aveva detto:
♦l P. 247. -^ *2 P. 25l.
535
questa cosa sola sono gli oggetti esterni ; le idee non
esistono. Kant invece : questa cosa sola sono le idee ;
son esse gli oggetti j altri oggetti esterni non c'è.
I concetti, osservò Kant, sono generali: dunque non
possono esistere nelle cose, ma sì nella mente. — Questo
è vero : ma non ne viene già che i nostri concetti en-
trino come un elemento nell'oggetto esterno, a crearlo,
a costruirlo. Prendiamo ad esempio un'idea generale:
l'esistenza. Bisogna distinguere l'esistenza in generale,
che, come idea , è solamente nel nostro intelletto, dalla
particolare cli'è nell'oggetto stesso, è realtà, non idea.
Egli è ben vero che quando noi giudichiamo che 1' og-
getto esiste , applichiamo il predicato generale d'esistenza
ad un particolare soggetto : ma con ciò noi non pon-
ghiamo già nell'oggetto particolare l'esistenza in generale,
cosa assurda : non facciam che trovarvi l' esistenza sua
particolare, e riconoscerla col mezzo dell'idea generale,
che abbiamo in noi , classificando l'oggetto nel numero
degli enti ch'esistono. Se l'esistenza che percepiamo in
un dato oggetto fosse l'idea d'esistenza che abbiamo in
noi, allora il percepire un oggetto, sarebbe lo stesso
che infondervi un' esistenza generale , qual è nella mente
nostra.
Kant confuse il concetto con la cosa che al concetto
corrisponde , il modo d'intendere con la cosa intesa *i :
quindi pose essere l'universo un prodotto dell'umano in-
tendimento e della sensibilità , ponendo quello come
forma , questa come materia, quasi due ingredienti suf-
ficienti a comporre tutte le cose del mondo. E ciò che
s'è detto dell'esistenza, dicasi ben più a ragione delle
altre categorie Kanziane.
Cosi quand' io aiFermo : « questa montagna è grande »
*i T. IV. p. 433.
336
non creo la montagna , non ci metto della grandezza
ch'è in me *i ; non fo che riconoscere la grandezza
che in essa, raiFrontandola a un'idea di grandezza, eh'
io ho nella mente. L'idea di grandezza non è la grandezza
medesima delia cosa. Che se non esistesse una real dif-
ferenza tra l'idea e l'oggetto corrispondente, come po-
tremmo noi distinguere queste due cose ? E perchè fu-
rono da tutti distinte ? Sopra qual fondamento *2 ?
Altro errore di Kant. Egli pone le categorie di quan-
tità, qualità, relazione, modalità, come condizioni della
percezione intellettiva , sicché non si possa percepire un
oggetto senza percepir quelle ancora. Ma io posso per-
cepire un oggetto esterno, semplicemente col pensarlo
esistente, senza pronunziare giudizio sul resto. Posso dire:
« esiste qualche cosa che modifica i miei sensi, fornita
certo di tutte le condizioni necessarie acciocché possa
esistere: » sospendendo poi ogni giudizio su queste con-
dizioni ; le quali sono bensì necessarie all'esistenza delle
cose esterne , ma non alla percezione nostra. Insomma
l'unica idea necessaria alla percezione è l'idea d'esisten-
za : si può certamente e nell'atto stesso e dopo la per-
cezione esaminare le proprietà dell' oggetto ; e così si
perfeziona il sapere: ma certo, il primo giudizio della
mente portato sul di fuori di sé, deve affatto cadere
sull'essere, non sugli accessorii di quello. — Ma Kant
confondendo l'oggetto esterno con l'idea della mente,
doveva di necessità porre nella mente le qualità che son
nell'oggetto.
L'esistenza stessa de' giudizi! sintetici a priori non è
punto un fatto, giacché lutti quelli che Kant dice tali ,
quelli cioè eh' egli considera come non contenenti nel
soggetto l'idea del predicato, tali non sono e la con-
*i T. II. p. 262. — T. IV. p. 21 5, — *2 T. IV. p. 468.
557
tengono veramente *i. Nell'idea de' numeri sette e cinque
unitij s' inchiude l'idea del dodici: nelTidea di linea
retta s'inchiude l'idea della più breve fra le linee, che
partono da un medesimo punto e ad un altro punto
riescono : nell'idea d' effetto s'inchiude l' idea di causa :
e l'unica difficoltà, in questo caso, sta nello spiegare
l'idea d'esistenza, alla quale l'idea di causa riducesi, come
mostra l'autore *2. E in generale , la difficoltà del pro-
blema filosofico non istà nel trovare come un predicato
non inchiuso nell'idea del soggetto a questo s'unisca,
sta nel trovare come la mente si formi il concetto del
soggetto, dell'ente esterno; come si formi i concetti delle
cose. Badiamo bene a questo problema.
Nel concetto d'una cosa esiste un giudizio intrinseco,
col quale consideriamo la cosa oggettivamente , cioè in
se, non soggettivamente, cioè come una modificazione
dell'essere nostro. In questo giudizio, come in tutti i
giudizi, dev'esserci un predicato e un soggetto. Qual è
il predicato ? L'esistenza. Giacché percepire una cosa og-
gettivamente è percepirla in sé , nell'esistenza eh' ell^ha
o che può avere. E quale è il soggetto? La cosa stessa
ch'ha operato sui nostri sensi.
Il soggetto in questo giudizio non è da noi percepito
intellettualmente, ch'anzi il giudizio stesso è l'atto della
percezione intellettuale: il soggetto è qui la cosa, in
quanto è percepita dal senso , cosa di cui non abbiamo
il concetto, ma la semplice sensazione. Questo è impor-
tante a notarsi; ed è il secreto di tutta la filosofia dello
spirito umano: che v'ha de' soggetti de' nostri giudizi,
de' quali non abbiamo l'idea ma la sensazione soltanto.
Son questi i primi giudizi che fa 1' umano intelletto ,
quando dice : esiste quello eh' io sento. Ciò ch'io senio,
*i T. U. p. 287. — »2 T. 111. p. 290.
338
io lo percepisco intellettualmente, non in quanto lo sento,
ma in quanto v'aggiungo il predicato dell'esistenza. Ri-
mossa la parola esiste, eh' è qui il predicato perchè si-
nonimo ad è esìstente, rimossa, dico, la parola esiste,
che cosa mi resta? Ciò ch^ io sento, vale a dire, ciò
eh' io non ancora percepisco come esistente al di fuori
di me.
Quest'analisi del giudizio nostro primitivo è la chiave
che si apre i segreti delle operazioni dell'umano intel-
letto. Il soggetto ciò ch'io sento, ci vien dato da'sensi;
ma il predicato , l' idea d' esistenza , non può certo dai
sensi venire *i.
I giudizi primitivi pertanto si formano mediante una
sintesi , fra il predicato che i sensi non danno , e il
soggetto ch'è appunto la sensazione , o il complesso delle
sensazioni.. Questi giudizi primitivi sono dunque in certo
modo sintetici , e rendono possibili gli altri giudizi ana-
litici ; con cui si scompongono i concetti delle cose ,
formati per via della predetta sintesi primitiva, — Ma
Kant intende la voce sintetico in senso più materiale ,
come se il predicato della mente entrasse a far parte
del soggetto, e a crearlo. Egli dunque si dà a numerare
siffatti predicati che non vengono né dall'esperienza ne
dal concetto del soggetto , e tutti li vuole usciti da una
portentosa fecondità dello spirito *2.
I predicati stabiliti da Kant, e le dodici categorie
dell' intelletto , con le due forme del senso interno ed
qsterno, son cosa in gran parte arbitraria e forzatamente
simmetrica *3. Le une poi rientrano nelle altre; e l'idea
d'esistenza possibile le comprende tutte, e tutte se le
assoggetta , come quella che comprende in sé l'altre di
esistenza reale e di necessità, e molto più quelle che
♦i T. II. p. 3o4. — *2 P. 331. — *3 P. 347.
539
sono men generali delle due nominate *i : la sostanza,
la quale considera un ente oggettivo ; la causa, di cui la
mente s'accorge pensando al principio d'una nuova esi-
stenza; l'azione, che dal senso non può passare all'intel-
letto, se non si percepisca come possibile a replicarsi
un numero indefinito di volte ; la quantità e la qualità,
che non si possono ne anch'esse pensare esistenti se non
si pensano insieme come possibili: finalmente lo spazio
ed il tempo j le idee de' quali , analizzate, si risolvono
in due elementi i.° lo spazio ed il tempo sperimentato
co' sensi, 2." il pensiero della possibilità d'uno spazio e
d'un tempo indefinitamente ripetuto e ampliato.
Insomma la mente non ha innata in se forma alcuna
determinata, ma una sola indeterminata aflfatto , l'idea
dell' essere. Questa moltiplicità dì forme tutte primitive
ripugna al pensiero *2 , come ripugna all' universalità
delle idee la natura di quelle forme restrittive tutte l'una
dell'altra *3, come ripugna alla ragione quella cieca ne-
cessità che domina nel Kanziano sistema *4 j ^ questa
necessità fatale proviene dal negare ogni cognizione og-
gettiva , contro il fatto evidente il qual ci dice che noi
pensiamo un di fuori di noi *5. Voler sostenere che la
ragione s' inganni ^ è stoltezza; giacche con qual norma
giudichereste voi che la ragione s'inganni? Con la ragione
stessa. Vale a dire che voi stesso potete dunque ingan-
narvi pensando che la ragione s'inganni. Coli' ammettere
che tutto è soggettivo , si concede essere soggettivo an-
che il ragionamento che tende a distruggere la cogni-
zione oggettiva: e il Kantismo così distrugge, senza vo-
lere, se stesso; e non può credersi vero senza dichiarar
dubbie e nulle tutte le proprie dottrine *6.
*i P. 354. — »2 P. 338. T. IV. p. 4. — *3 P. 97. io3. 461
'4 P. II. e 254. — *5 P. 70. — *6 P. 145. 167.
340
Fichte e Schelling.
Fichte volle trarre dall'io umano e la forma e la ma-
teria delle cognizioni : 1' io , secondo lui , pone se stesso,
vale a dire si crea; e non può porre se stesso, se non
ponendo di contro a se il non io : sicché quell'atto che
lo rende consapevole di se, lo rende , al dire di Fichte,
consapevole degli oggetti esterni. Il non io esiste coll'/o,
dalla cui attività scaturisce. Dio stesso entra nel non io
ed è creato dall'uomo. — • Questa strana teoria non ispiega
l'origine delle idee , ma confonde l'atto del percepire
con quel di riflettere sulla propria percezione *i.
Nulla dirò del sistema di Schelling, che tutto confonde
in quel suo assoluto, del quale poi non offre un criterio
sicuro ; e così, mentre tenta di distruggere lo scetticismo,
lo rende in certa guisa infinito *2.
Boutenveck.
Bouterweck sorse a combattere l'assoluto di Schelling,
e quell'idealismo che risolve tutto l'universo in idee. Ana-
lizzando , dic'egli, le idee troviamo che gli esseri le pre-
cedono , e son causa di quelle. Questo in sostanza era
il fine anche di Fichte e di Schelling; ma essi, appunto
a tal fine, immedesimarono l'ente al pensiero; o, per
dir meglio , fecero tutti gli enti uscir dal pensiero.
Bouterweck osservò che non si dà conoscenza senza
un oggetto, un essere; e che l'essere in generale è in-
definibile affatto. L'essere adunque, è, conchius'egli , es-
senziale al pensiero ; e sebbene diverso dal pensiero, pure
da esso è necessariamente supposto. Disse dunque che
conveniva prender le mosse da un'assoluta facoltà di co-
*i P. 432. — *2 P. 483.
541
noscere, come da un fatto fondamentale, e che questa
consiste appunto nella percezione dell'assoluta esistenza.
« Ad ogni sentimento e pensiero (quest'è la formola
di Bouterweck) sottostà un essere, come fondamento
vero , e quindi assoluto. »
Ma qui Bouterweck confonde l'esistenza assoluta con
l'idea universale dell'esistenza. Se avesse detto che Tin-
telligenza è unita con questa idea, e n' è informata^ sa-
rebbe entrato nel sistema del nostro Autore: ma pren-
dendo l'essere in luogo della sua nozione, cadde nello
spinozìsmo, perchè mescolò 1' ente reale e attuale col
pensiero; indarno salvandosi col dare all'individuo una
attività sua propria, ch'egli chiama virtualità *i.
Barellili.
Bardilli mosse anch'egli la sua filosofia dal pensiero :
ma per primo passo del pensiero stabilì quello ch'è l'ul-
timo, Fassoluto. Non solo non è necessario l'assoluto a
percepire le cose, ch'anzi esso medesimo non si può
percepire senz' altri elementi di cognizione e senza un
criterio di verità. Il criterio del vero si è ch'io debbo
conoscere la necessità della verità per esserne certo \ e
questa necessità è già compresa nell'idea dell'esser pos-
sibile, senza bisogno di ricorrere ad un assoluto sussi-
stente *2. Altro è che niuna cosa possa sussistere senza
ch'esista un ente assoluto , altro è che niuna idea possa
formarsi senza l'idea dell'ente assoluto *3.
*i P. 5i3. — ■ *2 P. 520. — *3 P, 55i.
Tommaseo.
Saì'à continualo ,
342
PALEOGRAFIA
(Anni 1689 — iSgo).
Il l'egno di Gailo Emanuele I. fu, come a tutti è noto,
celebrato come uno de' più gloriosi regni e per opere di
pace , e per imprese di guerra. Quésto Piincipe che gli
storici s'accordano in chiamar Grande, dopo aver vinto
sopra le armi francesi il tanto contrastato Marchesato di
Saluzzo ed averlo aggiunto ai proprii dominii , e mentre con-
quistava sebbene per poco tempo la Provenza , cingeva pur
anche di assedio la città di Ginevra, Entrambe queste im-
prese gli sarebbero forse riescile a meglio, ove nel medesimo
tempo non le avesse tvitte e due condotte , e se le vittorie
dell'intrepido Lèsdiquières e la vigilanza di Sancy capitano
del re cristianissimo non avessero costretto il Duca a ri-
chiamar tostamente in Piemonte le soldatesche ch'egli te-
neva schierate sulle sponde del Mediterraneo e del Lemano.
La fortuna si compiacque talmente di questo principe che
dubitò persino un istante se dovesse farne un l'e di Francia ;
e se a Carlo Emanuele mancava per esserlo il diritto, e
gli mancò poscia il successo , non gli fallì perp certo né
545
l' animo , uè la lusinga. Malgrado i frequenti trattati di
pace stipulati colla Francia , egli non si mantenne mai in
amicizia costante con essa , ma la sua astuta politica si
mostrò sempre piuttosto ligia alla Spagna. Della quale pro-
pensione dopo la morte di lui , ne pagavano forse ancora
il fio ed il Piemonte , e la Principessa Cristina di Francia
che poscia ne resse le sorti; rimanendo e l'uno e l'altra
lungamente perseguitati da Luigi XIII e dal Richelieu suo
ministro.
Ma Carlo Emanuele aveva sposata Catterina figlia di
Filippo II , e questo matrimonio sembrava promettere allo
suocero più sicura la sua dominazione in Italia, ed al ge-
nero V ampUazione de' suoi proprii Stati con estenderne
soprattutto i confini verso le terre possedute dalla Francia.
Ben gli è vero che il Duca di Savoia in seguito alle varie
negoziazioni tenute colla Francia , e principalmente in vi-
gor del trattato di Brusolo del 2 5 aprile 1610 poteva dap-
prima lusingarsi di ampliare coU'aiuto della Francia i suoi
Stati sopra il Monferrato e la Lombardia, ma questa lu-
singa dovette sempre cedere il passo a quell' altra meno
seducente, ma forse preliminare e piìi facile a verificarsi,
di allargare cioè i suoi dominii ed assicurarsene il pos-
sesso dalla parte che toccavano il territorio francese.. Qual
fosse di tutti questi progetti e di tutte queste diverse mire
quella che più movesse il Duca , non è facile indovinarlo ;
certo è però che intanto una tale alternativa di disegni e
d' interessi faceva credere ai Francesi ed agli Spagnuoli
di avere eguali diritti all' affezione del Duca , quantunque
però sembri più probabile , che ( come riferisce Vittorio
Contarini ambasciatore di Venezia a Torino ), queste due
potenze egualmente s' ingannassero ; perché il Duca non
aspirava in sostanza che a scuotere il giogo dell' una
e dell' altra. Egli era italiano , scrive il citato Contarini ,
e lo era per cuore.
544
In mezzo al ravvolgimento di così vasti disegni di dò-
minio e d' indipendenza , le cronache dei tempi ricordano
con meraviglia i viaggi che il Duca fece a Madrid ed a
Parigi , e li narrano cosi splendidi e tanto per fasto e
per profusioni stupendi, che comunemente si diceva che
per farli sembrava che il Duca avesse posto in gaggio i
suoi Stati. Certamente per le molte prodigalità e per i
grandiosi monumenti eretti sotto il suo regno , e per le
continue guerre , le finanze dello Stato eransi allora ridotte
all'estremo, e v'abbisognarono poscia i sei anni di regno
del suo successore Amedeo I. amministrati colla piiì grande
parsimonia per riassettarne il meglio che fosse possibile le
ferite profonde che prima avevano ricevute.
Fra le varie cagioni, a cui gli storici attribuiscono l'esito
non sempre fortunato di tanti disegni , v' ha chi anno-
vera eziandio quella della tenuità e della tardità dei sus-
sidii che la Spagna aveva promessi al nostro Duca. Ma
per altro sembra che quelle sovvenzioni , ove pur fossero
state indispensabili per il successo delle sue imprese, non
dovessero poi nemmen essere tanto scarse se lo giudichia-
mo da una procura spedita dal Duca il 20 luglio iSgo
al Consigliere Giovanni Giacomo Battaglione per esigere
in Genova da Don Fedro di Mendoca conte di Binasco,
ambasciatore di S. M. Cattolica , trentamila scudi d' oro
ogni mese durante cinque mesi , come vi si dice portati
da lettera scritta dal re al detto suo ambasciatore data in
Madrid il 28 aprile dello stesso anno.
Questo mandato spedito per pubblico atto era stato pre-
ceduto da una particolar istruzione fumata dallo stesso
Duca il 16 luglio, dove fra le altre cose incarica il suo
Commessario di fare instanza alli Serenissimi Principe
Daria, e conte di Binasco di adoperarsi 'vivamente per
trovare chi volesse pagargli anticipatamente tutta la re-
stante somma , acciò che esso Duca se ne potesse pron-
54^
taniente servire ed entrare all'impresa colle forze e col
danaro che conviene '■ i .
L'impresa quivi accennata era la guerra in Provenza e
nel contado di Ginevra, ed affinchè si potesse tosto e più
facilmente riscuotere quel sospiiato danaro , ed eiìbttuare
*i Stetti lungamente in forse se dovessi o non fare di pubblica
ragione queste carte autografe che trovai rovistando in sui polverosi
scaffali di un'antica biblioteca di famiglia. Io poteva infatti temere
che il pubblicarle potesse venir apposto a personale o gentilizia va-
nità. Ma questo mio timore fu superato pensando che codesti docu-
menti potrebbero per avventura essere di qualche utilità agli studi
delle patrie cose con far note le formole e le speciali cautele con
cui alciuii rami della pubblica economia in Piemonte venivano an-
ticamente amministrati ; o quanto meno far conoscere lo stile di-
plomatico di quella età. Né poi si è creduto che potesse spiacere
ad alcuno il vedere come sino da quei tempi i Reali di Savoia affi-
dassero cariche di molta importanza a semplici cittadini che cre-
dessero capaci di esercitarle , senza ricercare unicamente i titoli di
nobiltà come da certuni si è sospettato e forse ancora adesso si so-
spetta. Egli è d' altronde consiglio dato da Manzoni a chiunque
voglia penetrare nello studio dell'antica storia d'Italia quello di cer-
care nelle cronache , nelle leggi , nelle lettere , nelle carte dei pri-
vati i segni di vita della popolazione italiana, ( Discorso sulla sto-
ria Longobardica in Italia). E pare che a questo intento siasi
appunto mirato colla recente pubblicazione degli antichi documenti
che si sono stipulati in Piemonte , fra i quali non pochi se ne tro-
vano che non hanno altra relazione fuorché a convenzioni e ad in-
teressi privati.
» Istrutioue alV Auditor Battaglione di (jucllo havcrà da far in Ge-
» nova per servitio nostro.
» l'riina consignaretc le lettere che noi scj'ivianio alii SS.nii l'iincipe Dori.i
» e conte (li Binasco |-ingr.iliaiido1i dei iiiioni ofììcii elio liaiiuo fatto per sci
» vitio nostro tanto con lettere scritte alli SS. ini Vice Wi- di INapoli che Cici-
» Ha , quanto con li SS.i'i Giacomo et Lazaio Spiiiuhi in «jiiesta materia pc-
546
qupile operazioni di cambio che ora fanno i Roschild e
gli Owart , il Duca si > contenta che si doni un honesto
utile a chi gli J acesse quella comodità.
Noi non sappiamo adesso quale sia stato questo utile ,
se onesto oppure esorbitante , ma sappiamo soltanto che
quelle negoziazioni si effettuarono ; [poiché abbiamo sott'
occhio i contratti che seguirono in Genova, rodati in lin-
gua spagnuola da un certo Notaro Tinello , e due quie-
tanze passate dallo stesso Duca al prefato suo procuratore :
1' una data in Nizza il -y ottobre iSgo per fiorini pSo^iGi
grosso uno , quai ti due moneta di Piemonte , e 1' altra
data in Aix il 20 novembre dello stesso anno per trenta
mila scuti d'oro.
V ha molta ragione per credere che tutti gli usi a cui
si erano destinate queste somme non dovessero essere pa-
» cunini'ia , pregandoli a voler continuare i detti buoni officii sino al compi-
» mento.
» Farete intendere particolarmente al detto S.mo Conte di Binasco , che ha-
» vete procura mia di scuoter li denari che sono maturati , et ordine di soddi-
» sfare ai detti SS. mi Giacomo et Lazaro Spinola li iS^m ducati che non si
1) pagarono in Sicilia per haver quel Vice Re tirala la partita tutta iutiera a
)) pagarsi costi in Genova.
« Farete instanza alli SS. mi e particolarmente al detto conte di Binasco am-
» basciatore d' adoperarsi vivamente per trovar chi voglia far partito et acco-
» modarsi di tutta la somma restante , acciò che se ne possiamo servir pronta-
» mente et entrar a questa impresa con le forze et col nervo del denaro che
1) conviene , et si contentiamo come pur abbiamo scritto che si doni un ho-
» nesto utile a chi ci fiirà questa comodità.
» Potrebbe essere che il Principe Doria si fosse ritirato a Loano , però qiic-
» sto non importerà , poiché il S.mo Ambasciatore ne è lui il principal tial-
u tante che ne ha havuto l'ordine da S. M. Cattolica.
» Di quello andaretc facendo , ce ne darete avviso di iii.ii)o in mane, e Dio
J> S. E. S. vi conservi.
» Fn-sano il i(i di ltii;lio ifx)!!.
(,. EMA^UtL
547
lesi giacché il Duca vi dice di ritenere presso di sé al-
cune ricevute riportate dal suo procuratore non -volendo
che passino ad altra mano, come egli si esprime nella
prima delle suddatate quietanze.
Fi^attanto si può osservare come fosse curioso il modo
con cui allora esse venivano spedite. Il Duca stesso le spe-
diva per mezzo di un ricorso firmato di sua mano alla
sua Camera de' conti , richiedendola che le interinasse.
Così sono fatte ed interinate le due sopi^anominate ducali
liberazioni , e certamente la formola non era delle più
complicate.
Prima poi ancora di queste commissioni un'altra di non
diversa natura già si era data allo stesso Auditore Batta-
glione dall' Infante Catterina consorte di Carlo Emanuele.
Noi ne facciamo parola perchè giova a rettificare un'as-
serzione che troviam fatta dal Guichenon e poscia ripetuta
dal Marchese Costa di Beauregard. Dicono dunque questi
due annalisti che in Spagna si dubitò che le profusioni
fattevisi dal Duca nell'occasione del suo matrimonio colla
figlia di Filippo II non eccedessero di gran lunga la dote
ohe ne avrelsbe dovuto raccogliere , ed alla quale per
quanto anzi paresse ne il Duca , né i suoi figliuoli aves-
sero toccato più che tanto.
Ora teniamo pure sott' occhio un documento che ci con-
vince del contrario. Egli é desso un'altra procura che la
stessa Infante Catterina sposa del Duca faceva il primo di
novembre iSSg al prenominato Consigliere , yoer trattare
e conchiudere con chi meglio gli paresse e facesse il pia
utile partito di toi^si Vassunto di esigere in Napoli e pa-
gare in Genova V annua pensione di ducati 47866, tari 3,
grani 6 assignatile da suo padre sopra la dogana delle
pecore di Puglia.
Ben era d' uopo che in questa contrada la pastorizia
fosse molto in fiore per poter sopportale un assegno sì
548
grave : e nessuno al d\ d'oggi si sarebbe mai aspettato, di
vedere come i poveri pastori della Puglia abbiano forse
col prodotto delle lor mandre contribuito nelle guerre che
l'avventuroso Duca di Savoia sosteneva sulle alpi, od alla
mugnificenza de' suoi viaggi , od all'innalzamento di quei
monumenti con cui abbelliva i suoi Slati.
Checche ne sia, pare però cosa certa che quel Prin-
cipe oltre alle rendite proprie era costretto e sapeva sem-
pre molto bene impiegare i sovvenimenti stranieri, senza
che poi né quelle né questi siangli bastati per condurre
a felice termine le troppe sue imprese ^'i.
Compiuti questi uftizi e mentre il Duca era occupato
nelle guerre lontane , egli aveva commessa la reggenza
dello Stato alla sua consorte Catterina Infanta di Spagna.
In questo frattempo alle tante miserie pubbliche e private
si arrogeva ancora un nuovo verme che rodeva le sostanze
dello Stato e ne scompigliava il commercio. Eva questo il
mal seme de' speculatori piemontesi , milanesi , o di altra
nazione che si fossero, i quali sino dal i575 estraevano
dal Piemonte le monete più pesanti e più fine d'oro , e
trafficandole colla stessa zecca di Milano , o cogli orefici ,
facevano danno gi-andissimo all'erario ed ai privati negozi.
Diverse potevano essere le cause di questo sconcerto. O
veramente si commetteva frode nell' estrazione , ed allora
*i Questa incumbenza lasciata dalla Duchessa veniva pur anche
raccomandata dal Duca suo consorte, sebbene riguardasse soltanto i
particolari interessi di lei. Di ciò ne assicura una lettera credenziale
limessa da Andrea Provana di Leyni allo stesso Battaglione ( 3o
gennaio iSSg ) per D. Carlos Davalos comandante la cavalleria per
S. M. Cattolica. Scrivegli in questa commendatizia quel Sully del
Piemonte che Sua Altezza manda a quei regni di Napoli e Sicilia il
ridetto personaggio , e con questa opportunità gli dice di averlo pre-
gato cìm faccia n\'erenza e basii la mano in suo nome a quel si-
gnore Spagnuolo.
549
v*€èà' per certo tlelitto in chi la praticava ; oppure per la
condizione dei popoli il commercio interno povero e ste-
rile si faceva tutto per mezzo di carta monetata o con
moneta di bassa lega senza che fosse necessaria la circo-
lazione delle più nobili monete d'oro , o finalmente il prin-
cipe stesso coniava monete e poscia le tassava a prezzo
minore del loro intrinseco valore , ed in questi due ultimi
casi la colpa non era certamente dei trafFicatori , ma bensì
della miseria dei tempi e della imperizia amministrativa. Ad
ogni modo, da qualunque causa procedesse, per far cessare
quell'antico traffico la Principessa Reggente non trovò altra
via che quella di mandare lo stesso Auditore Battaglione
in Milano onde presso quel Governatore il Duca dì Terra-
nova facesse tutte le possibili pratiche per scoprire le
frodi, conoscerne gli autori e punirli. Ecco nella seguente
nota l'istruzione particolare con cui per un tale oggetto si
muniva il già nominato personaggio '"i.
* I » Istrutìone a voi magnifico Consigliere nostro , Mastro Auditore.
» nostro nella Camera de' Conti a Gio. Giacomo Battaglione di
» tjuanto dovete far in Milano per servitio di Sua Altezza e nostro.
» L'andata vostra in detta Città di Milano ha da haver 1' effetto di chiarire
» l'estrattione delli bianchi e soldi seguita da questi nostri Stati dall'anno iSjG
» inclusive sino al presente , et quello principalmente di scaoprir le persone
» che contro le prohibitioni , et tirati dalla cupidità del guadagno ne hanno
» fatto mercantia, facendo scielta delle più grevi per venderle a peso con niag-
» gior utile, che a spenderle a numero nel che hanno interessato il publico
I» privandolo delle buone et piìi gravi monete , et lasciandoli le leggieri, sopra
» le quali poi si piglia occasione d'accrescer le monete fine , rendendo li com-
» mertii difficili et pregiudiciali.
' ' 1) Per questo vi trasferirete alla detta Città di Milano et trovarete il S.mo
»'Duca di Terranova al quale presentarete la lettera credenziale :
*" » Indi gli esplicarcte in nome nostro il desiderio che liabbiamo di chiarire
» da chi e come delle cstrattioni di monete siano seguite et perchè si ha qual-
» che notizia che la maggior parte sia stata portata e venduta in cotesta zeccba,
'- et parte anche ne sia stata venduta a orefici e meixanti da oro, da quali non
» si potrebbe cavar giiistificafione alcuna senza l'autorità di esso S.mo Duca ,
»» sia pregato in nome nostro di commtnidare a qualche principale ministro che
550
-j Singolare, come si vede, è il tenore di questa Istru-'
ZLone e più singolari ancora sono i mezzi che vi si veg-
gono proposti per impedire quel disordine dello estrarre
le buone monete, che con troppa ragione si sarebbe pur
voluto che circolassero nello Stato.
» si faccia presentare li libri de' conti tenuti si dal zecchiere che da orefici et
» mercanti predetti per detto tempo , et da essi si cavino tutti i partiti che
» potranno a questo proposito , avvertendo che vi siano li nomi e cognomi
)> delle persone da quali si saranno compre dette monete con 1' espressione del
» tempo, delle specie delle monete, della quantità et del pretio et costo. Il
» quale sommario estratto da detti libri si riduca in forma e si sottoscriva da
« uno delli Ufiiciali regj : talché faccia fede in giudicio.
» Se le persone quali hnveranno vendute ilette monete saranno suddite di sua
» Altezza siano chiamate per dichiarare se le monete erano sue proprie, ovvero
» havute per commissione da altri facendoli dichiarare il nome et cognome et
M le cause come li sono pervenute dotte monete , et se farà bisogno farli an-
» che presentare i libri et le lettere missive per chiarir meglio il fatto.
» Dagli orefici et mercanti predetti converrà intendere se hanno ricevute
» dette monete in pagamento di mercantia ovvero in cambio d'altre specie di
» monete , et se le hanno accettate a numero , ovvero a un tanto il marco e
)> peso, et se risponderanno che l'hanno ricevute a numero dichiarino il pre-
j' tio , come parimenti havendole ricevute a peso dichiarino a quanto il marco
» o libbra.
» Et per disponer più facilmente detto Duca gli direte che questo porterà
>i beneficio notabile per lo Stato di Milano in quanto che essendo per ragion
i> di queste fraudi le monete fine salite ad eccessivo pretio , né puotendosi con
» altra sorta di monete contrattare fra li doi Stati cessano li commertii , anzi
» ne segue tanta ruina e perdita a mercanti che non si contratti più la quarta
» parte di quello si faceva per 1' avanti cercando ognuno di fuggire 1' eccesso
» delle spese massime a questi tempi universalmente tanto penuriosi , et cessando
» detti commertii oltre il danno che ricevono li mercanti et artisti il propri»
» Principe sente la diminuzioue delli suoi Daciti et gabelle , et insomma sic-
« come il danaro accettato indifferentemente ad ugual prezzo in ogni loco ,
» porta ogni comodo e benefizio , così essendo valutato differentemente eoa
» fi'aude si disauge ogni cosa.
■» Et se bene che queste estrattioni , sciolte e vendite di monete non sieno
» ationi degne di severo castigo , non si può però negare che chi le fa non sii
.3) pernitioso in gran maniera alla i-epubblica : Anzi questi che fanno professione
» di far scielta di buone monete per cavarne particolar utile , rubano altrui et
» per questo come criminosi deono essere castigati per dar esempio ad altri di
» contenersi nelli debiti termini , e così siccome in aggiuto della giustizia si
» puole porger favore et aggiuto l'un principe all'altro , cosi farete inslanza ap-
» presso detto Duca che con l'autorità sua vogli facilitare la giustificatione e
351
Invece che in altri tempi si sarebbe principiato dal porre
un termine a quelle guerre che pur fossero state evitabili
( e di queste ve n' era sicuramente ) invece che si sarebbe
posto cura a dimmuire ed a scompartire egualmente tra i
diversi ordini de' cittadini le pubbliche gi-avezze , invece
che si sarebbero allontanati i motivi alle emigrazioni , fa-
vorita l'agricoltura, l'industria, ed il commercio nazionale;
nulla di tutto ciò si ordinava, ma si pretendeva all'opposto
che il Governatore di Milano contilo tutti i principj della
libertà, della confidenza e della moralità degli individui e
delle private transazioni si facesse presentare dallo zec-
chiere, dagli orefici e dai mercanti i loro libri e la loro
corrispondenza , coli' obbligare i medesimi a palesare da
chi avessero comprato ed a chi venduto le monete , ed
in qual numero , ed a qual prezzo.
Provvedimenti siiratti erano veramente degni di tempi
in cui la scienza dell' economia politica non era per così
dire ancor nata , e gran parte delle pubbliche bisogne si
governavano secondo le esigenze del momento od i ca-
» prova di questi nefandi delitti , ingegnandosi di farli credere la soddisfatione
» grande che in questa parte riceveremo.
» Vi si danno altre lettere di credenza de' quali vi servirete se così giudìca-
» rete essere di bisogno e non altrimenti ; et essendo indirizzato ad alcuno
H di quelli ministri del Re mio Signore et Padre , vi servirete del nome mio
» nel pregarli e fare tutti quelli altri ofEcii che giudicarete necessarii et oppor-
» tuni ; et se nel progresso del negotio giudicarete necessaria qualche replica
» o altro oftìcio per lettere vostre ce ne darete avviso che gli provvederemo.
» Molti accidenti puolranno avvenire in questo fatto i quali come non si
» ponno antivedere cosi non vi potemo dar legge certa; intorno al che vi go-
» vernarete come conoscerete convenire usando della diligenza et prudenza vo-
li stra solita nella quale principalmente confidiamo ; et tutto si faccia con ogni
» secretczza dalla parte vostra senza comunicare con altra persona salvo con
» chi da detto Duca vi sarà nominato , et ad ogni occasione ci andarete awi-
» sando del successo , et Dio vi guardi.
* ' i Dui. Turino il 27 marzo iSgi.
.. L' Iuf.,nt« DONNA f.ATAI.INA. »
352. V
pricci della forza. Allora le basi e tulli quelli accorgimenti
su cui la vicenda monetaria è fondata s'ignoravano tutta-
via, ed il termometro del credito e del debito pubblico, da
cui prende così spesso norma oggidì la fortuna dello Stato
e quella de' privati , non erano ancora scoperti. La mo-
neta era e fu ancora per molto tempo dopo creduta una
semplice rappresentazione del valore delle cose , quando
invece è una merce essa stessa che può crescere o diminuire
di prezzo non solamente secondo la materia intrinseca di
cui è composta, ma eziandio secondo i tempi ed i luoghi
ne' quali essa si deve spendere ed impiegare. Credevasi
egualmente che per incoraggiare il commercio, e procac-
ciare una maggior frequenza nelle negoziazioni e nei con-
tratti privati bastasse di proibire l'estrazione delle monete
più nobili all'estero , quando un tale provvedimento qualora
avesse pur potuto sortire un qualche effetto , non avrebbe
mai fatto altro che rendere ammucchiato, fermo ed ozioso
nelle zecche , o nei forzieri di alcuni pochi doviziosi il
numerario. Oltre a queste già ben fallaci opinioni era pur
anco a que' tempi in vigore quell' altra secondo cui il
valore delle monete era creduto immaginario e dipendente
dall' arbitrio del Principe : opinione che il Pagnini attri-
buisce ai giureconsulti romani, e che Pompeo Neri pi-
gliando la loro difesa , imputa ai soli legisti del secolo de-
cimo sesto e decimo settimo.
Per raddrizzare così storte dottrine e per rimediare a
questi abusi conveniva che la condizione materiale dei po-
poli si venisse a poco a poco cangiando , e che quindi le
teorie nascendo dai bisogni , potessero trovare nei fatti so-
ciali la loro più o meno compiuta applicazione. Ma intanto
quasi per due secoli ancora , dopo l'epoca di cui ragio-
niamo , dovevano aspettarsi le opere del Carli, del MafFei,
e dell' Abate Galiani ; e sebbene in quel torno fiorissero
appunto in Piemonte e Giovanni Bottero colla famosa sua
355
Eagion di stato , e Gaspare Tesauro con un suo libro sulle
monete , e Filiberto Monet di Faucigny colla sua allora
stimata opera sui numeri , pesi e misure ; pure veggiamo
tutti li sovra ricordati disordini finanzieri ed amministra-
tivi affligger ancor nientemeno queste contrade.
Vero è per altro che ove alcuno volesse badare soltanto
materialmente ad alcune leggi annonarie pubblicate in quei
tempi, ei potrebbe pensare che la scienza dell'economia
pubblica non fosse poi allora cotanto ignorata. Troviamo
difatti sotto il solo regno dello stesso Carlo Emanuele I pub-
blicate non meno di i6o di queste leggi sopra l'annona.
Fra di esse una che si merita particolar menzione si è
quella del 24 agosto i6o4, colla quale si concesse Vesito
generale dei grani fuori dello Stato in ogni tempo ed in qua-
lunque annata abbondante o sterile con licenza non mai
rivocabile in fede e parola di Principe ed in forza di
contratto. Non è mestieri soggiungere che queste intenzioni
del Principe furono ben tosto deluse , ed i suoi ordini
violati o rivocati perchè era pur forza cedere alla prepo-
tenza delle nuove cii'costanze che succedevano. Nondimeno
però questa è una legge assai singolare per quei tempi ,
e se fosse stata opportuna ed analoga a tutti gli altri or-
dinamenti dello Stato , se fosse stata preparata dalla condi-
zione contemporanea della civiltà e maturata nel calcolo di
tutti i suoi effetti , e non dettata soltanto da una qualche
emergenza subitanea ; essa potrebbe meritarsi in oggi il
vanto di avere di due e più secoli preceduto le moderne
teorie e provvisioni sulla libera estrazione dei prodotti
agricoli e delle materie prime, come pure sulla libera con-
correnza in fatto di annona.
Ma se in ordine alla legislazione annonaria egli è im-
possibile di farsi una siffatta illusione ; veggiamo per altro
dalla riportata istruzione che in materia monetaria sino da
quei tempi si conosceva in massima quell'elementare prin-
354
cipio dell' eguaglianza nel valore nominale delle monete
presso tutte le nazioni; ma ad onta di ciò, e più ancora
ad onta di tutto l' incivilimento moderno non troviamo
neppure che questo principio sia in oggi ridotto alla pra-
tica fra i vari Stati in cui la sola Italia è divisa. Eppure
a ciò si era in certo qual modo provvisto sino dall'anno
1:^54 con una specie di trattato di reciprocità salvato dall'
obblio da Pompeo Neri e stipulatosi in quell'anno sul
corso delle monete tra le città di Cremona, Parma, Bre-
scia , Piacenza , Pavia , Tortona e Bergamo.
Quanto al Piemonte chi bramasse più ampj schiarimenti
sopra di questa materia potrà forse trovarli allorché il dotto
nostro Cibrario farà di pubblica ragione i discorsi sinora
ancor inediti sulle finanze della Monarchia di Savoia ; ma
fi\ittanto si deve pur troppo ancor confessare che più se-
coli ancor dopo all'epoca ch'egli imprese ad illustrare, i
mezzi che si ponevano in opera per ovviare ai danni dell'
erario e del commercio nazionale con mantenere l'inte-
grità, delle monete , erano a un di presso come quelli
delle Gride, che ni tempo di carestia costringevano i for-
nai con multe e tratti di corda a vendere il pane a mo-
dico prezzo *i.
il> oln-.
*<. In questi discorsi promessici dal Cibrario troveremo fors'anco
fra gli ordini eoa cui si ordinava la riscossione e V ammini-
strazione delle entrate della corona nei primi secoli della Monar-
chia di Savoia , esposta la maniera colla quale si operava l'incetta e
r introduzione dei sali , uno dei rami della pubblica entrata , e che
come tutti sanno fu molte volte in Piemonte cagione di gravi con-
flitti. Ed i lettoli si ricorderanno di quelle sanguinose barufle tra
Piemontesi e Genovesi ancora un secolo dopo all'epoca di cui par-
liamo accadute a pretesto del sale , e che si vengono coi suoi so-
liti risoluti tratti descritti dal Botta {Storia d' Italia sino al 1789
lib. XXVIII. ). Chi frattanto fosse vago di sapere qualche cosa svd
modo con cui il Governo si strigava di quelle diflicili operazioni
355
Quello adunque di che noi abbiamo gran motivo a du-
bitare si è che quelli inconvenienti sulle monete in Piemonte
abbiano tuttavia durato sintantoché ebbe luogo nel 1758
sotto la presidenza dello stesso Neri il concordato che prov-
vide al giusto equilibrio delle monete fra questo St^tp,^ ^
gli Stati Austriaci in Italia. (fMffl
Ma ciò nullameno i disagi dell'erario dovevano in Pie-
monte ancor dopo a quel concordato essere di molto ac-
cresciuti, poiché il governo oberato di 120 milioni di de-
bito , soffrendo un' immensa scarsità di numerario , era
stato costretto nel 1784 di metter fuori per 20 milioni di
carta monetata.
Ei si fu in queste strettezze accadute dappoi che Mau-
rizio Solerà piemontese imaginò quel suo banco d' agri-
coltura con cui tentava di realizzare la seducente idea di
rendere circolanti i valori immobili. Ma un tale progetto
non fu adottato, e forse non sarebbe stato giovevole dì
porlo in pratica, perchè una carta monetata che non si è
moralmente certi di convertire alla sua scadenza in oro od
in argento effettivo , ma che può scontarsi coli' incomodo
rilascio di un immobile , non può mai godere di un credito
del sale , gli riferiremmo una lettera del 3 luglio iSgo scritta dai
cordialissimi fratelli Presidenti et Auditori della Camera de' Conti
di S. A. allo stesso Auditor Battaglione in Chei-asco , e nella quale
mentre si loda la diligenza da lui usata circa la condotta de' sali ,
s'invita a perseverarvi onde si possa farne una buona condotta, sic-
ché la gabella ne resti provvista per qualche tempo ; e quanto poi
alle difficoltà che potevano venir fatte dalle Comunità gli si racco-
manda di usare quel temperamento e desterità che il negozio meri-
tala ; cioè in commandargli usar qualche rigore , però nell'eseguire
tutta quella modestia che sapesse per non gravarle pili che non sono
le loro forze : rimettendosi in tutto al suo prudente arbitrio. Po-
vere quelle Conmnità se l'arbitrio di quel Magistrato avesse patito
momenti d'imprudenza o di concussione!
356
sicuro e durevole. D'altronde l'oggetto per cui il proprie-
tario si deciderebbe all'emissione di questa carta Sopra i'
suoi Stabili potrebbe essere soventi quello della dissipa-'
zione piuttosto e di folli speculazioni , che non di una
savia e lucrosa intrapresa. la ultima analisi poi , se per
buona ventura le sorti dello Stato e dell'erario non si fos-
sero cangiate in meglio , l' esecuzione di quel progetto
sarebbe andato a riuscire nell' impacciare il Governo stesso
colla devoluzione di molti stabili senza che neppure ei
quindi avesse potuto tenere il danaro che gli era neces-
sario per provvedere alle urgenze dello Stato.
Non è già per questo che l'abbondanza dei metalli mo-
netati sia sempre stata una prova della ricchezza delle na-
zioni. Essa ove le altre circostanze sociali siano in pro-
gresso , può ben certamente servire di un potente mezzo
per ac^celerare i progressi del lavoi'o e dell'industria, ma
non può però mai essere per se sola una sufficiente e giu-
sta misura della prosperità de' popoli. In Italia, per es.,
come si raccoglie dalle dimostrazioni del conte Carli , l'ef-
fetto dell'aumento dei metalli preziosi fu sempre così poco
sensibile , che avuto riguardo alla diminuzione del valore
dell' argento , ed al generale aumento nella quantità dell'
oro e dell' argento occorso nel secolo XVIII , e fatto an-
che caso di molte altre proporzioni sia di popolazione ,
che di guerre e di aggravii; pure nel 1750, epoca in cui
il Carli scriveva, i generi di prima necessità costavano
ancor meno che nel secolo XV in ragione di un i8 all' in
circa per cento.
Chi dunque avesse argomentato che la massa dei me-
talli nel i'j5o doveva essere in questa sol proporzione au-
mentata in Italia, avrebbe grandemente errato. — Pari-
menti prenderebbe abbaglio colui che nella poscia ancor
sempre accresciuta quantità de' metalli volesse trovare l'u-
nica ragione della successiva diminuzione nel prezzo dei
357
prodotti tanto territoriali che dell' industria. — La ragione
di questa bilancia tra la quantità dei metalli ed il prezzo
delle cose , sta riposta in più alte cagioni , e la si trova
nel risorgimento delle arti e dell' industria , ed in tutte
quelle altre circostanze che determinarono a partire ap-
punto dalla metà del secolo XVIII un progressivo mi-
glioramento sociale.
Basti per ora questa digressione per rammentare a quanti
mali economici ed amministrativi fosse soggetto il Piemonte
neir epoca a cui si riferiscono i suriportati documenti :
mali d' altronde che non solo il Piemonte soffriva , ma che
ijli erano pur anche comuni con molte altre nazioni.
Se non che questi mali neppur erano i soli che afflig-
gessero le popolazioni. Parlando unicamente dell' Italia le
epidemie , le carestie , le guerre e le depredazioni dei bar-
bareschi sui litorali della Penisola erano spaventevoli e fre-
quenti. Nella sola città di Roma negli anni iSgo e iSqi
la morìa vi rapiva sessanta mila abitanti *i. Napoli e Mi-
lano lottavano per non lasciarsi imporre l' inquisizione a
modo di Spagna , e nel coraggioso combattimento riesci-
vano vittoriosi. Oltre a ciò l'imposta territoriale mal ripar-
tita e parziale , l'agricoltura negletta , la mercatura avvilita ,
le strade poche od impraticabili , il commercio massime
dei grani inceppato e tormentato , le monete in disordine,
gli spiriti della maggior parte o superbi per violenza o vili
per abbiezione avvolti poi sempre in ogni maniera di su-
perstizioni, le leggi, massime le criminali, barbare, assur-
jie , od impunemente deluse o violate.
Frammezzo a questo lutto universale dell'Italia nessuno
potrà credere che bastassero a rallegrarla colle loro poesie
il Tasso , il Tassoni , il Marini ed il Chiabrera. Ma però
e degno di essere osservato che appunto nei tempi di cui
*i Cicaielli Vita di Gregorio XUI.
358
favelliamo questi illustri ingegni si erano riparati e vive-
Tano presso la Corte di Savoia ; novella prova che in quella
età si godeva in Piemonte di un governo più forte e più
ciusto , e se non fossei-o state le continue guerre in cui i
suoi principi, colpa della geografia, come diceva il Prin-
cipe Eugenio, si trovavano così spesso travolti, si sarebbe
anche goduto di un vivere più mite.
Che se del resto volessimo giudicare dall' indole degli
scritti che quei poeti ci hanno lasciati , forse ci tocche-
rebbe di conchiudei-e che in generale quando maggiore è
la prostrazione politica , e maggiori le miserie della vita
reale degli individui ; le favole , le stregherie e la satira ;
le stranezze insomma di tutto il mondo ideale, si usur-
pano ogni attività intellettuale a scapito degli studi più
nobili e delle opere più utili e generose. Così queste crea-
zioni della fantasia che servono di distrazione e di trastullo
ai dotti ingegni così bene come al volgo ignorante , sono
come quei fiori disutili che spuntano tanto più facili e ri-^
gogliosi, quanto è più putido il limo che li sostenta.
Ecco intanto in mezzo a quali dolori e mali ordina-
menti di governo civile , troppo male ricomprati dai canti
de' poeti, o da qualche lampo di gloria guerriera, si chiu-^
deva in Italia ed in Piemonte il secolo XVI e si comin-i
clava il secolo XVII.
Severino BalUislione.
559
DELL' AMOR PATRIO DI OAIXTE.'^
Quando le lettere formavan , come debbono , parte delle
istituzioni , che reggevano i popoli , e non si consideravano
ancora come conforto , bensì com' utile ministero , fu detto
il poeta non essere un accozzatore di sillabe metriche, ma
un uomo libero , spirato dai Numi a mostrare agli uomini
la verità sotto il velo dell' allegoria; e gli antichi finsero
le Muse castissime vergini , e abitatrici dei monti perchè
la poesia figlia del cielo , si nutre di libertà , e perchè i
poeti imparassero a non prostituire le loro cetre a possanza
terrestre.
Ne' bei secoli della Grecia , i poeti non immemori della
loro sublime destinazione , consecravano il loro genio all'
utile della patria; ed altri, come Teognide, spargevano
tra loro concittadini i dettati della saggezza; altri come
Solone , racchiudevano ne' loro poemi le leggi , che fanno
dolce il viver sociale ; altri , come Pindaro e Omero , eter-
navano i trionfi patrii; altri, come Esiodo, consegnavano
ne' loro versi i misteri , e le allegorie religiose. — Così
santissimo uffizio affidava la patria ai poeti, l'educazione
della gioventù al rispetto delle leggi rehgiose e civili, e
air amore della libertà; e finché l'inno d'Aiinodio, e le
360
canzoni d'Alceo suonarono sulle labbra dei giovani Greci,
non paventarono ne tirannide domestica, né giogo straniero.
Ma , come la civiltà degenerata in corruttela , i guasti
costumi , il lusso , e il tempo distruggitore d' ogni buona
cosa, ebbero inchinata la mente degli uomini alla servitù,
e la prepotenza de' pochi giganteggiò sulla sommessione
abbietta de' molti , la poesia tralignò anch'essa dalla sua
prima indipendenza , si trafficaron gì' ingegni , e fiu'ono
compri da chi sperava , che il suonar delle cetre sofFocasser
il lamento dell'umanità conculcata, la poesia divenne l'arte
di lusingare la credulità, e la intemperanza dei popoli ;
attizzò all' ire e alle voluttà i tiranni , e si fé' maestra
spesso di corruttela , quasi sempre d' inezie.
Hanno tutte le nazioni , e noi più eh' altri abbiamo im-
mensi scrittori, e troppi forse poeti. Ma qvianti furono
coloro, i quali non prostituirono l'ingegno, e la penna
alla tirannide politica (perchè anche la repubblica delle
lettere ha i suoi dittatori ) ? — Le corti , le sette , le
scuole, le accademie, i sistemi, e i pregiudizi, che ogni
secol trascina, corruppero i più, e pochissimi furono quei
grandi, che non seguitarono stendardo, se non quello del
vero , e del giusto. — De' primi la posterità fece severo
giudicio , ma dei secondi affidò la memoria all'amore di
tutti i buoni, e loro commendò di serbare intatto quel
sacro deposito a conforto nelle sciagure, e ad incitamento
ne' tempi naigliori. Fra questi sommi , che stettero incon-
taminati in mezzo all' universale servaggio, e non mirarono
ne' loro scritti, come nella lor vita , che all'utile della pa-
tria; l' Italia avida di lavar la memoria dell' antica ingiu-
stizia, die il primato, quasi senza contrasto, al divino
Alighieri, e se orgoglio municipale o spirito di contesa
mossero alcuni a ribellarsi contro l' universale sentenza ,
fu leggiero vapore in un bel cielo sereno. — Un uomo
di cui son calde ancora le ceneri, e di cui vivi à bella la
561
memoria tra noi, fìnch'alme gentili alligneranno in Italia,
pareva avere rivendicato a Dante il vanto d'ottimo citta-
dino in tal guisa, che più non dovesse sorgere alcuno a
contrasto. — Pure da qualche tempo diversi libri, che
vennero a luce , senza risuscitare la disputa, mossero al-
cune querele contro l' amor patrio dell' Alighieri; e a
queste cjuerele fece eco un letterato italiano , il quale in
una sua lettera , che inserì in uno degli ultimi numeri della
Antologia, accusollo d'intollerante, e ostinata fierezza, e
d' ira eccessiva contro Fiorenza. — Perlochè stimiamo
bene d' opporre alcune nostre considerazioni a questa ri-
nascente opinione; che se non ci verrà fatto di dir cose
nuove , ci conforteremo pur col pensiero , che le voci di
un italiano , quali esse siano , non andranno del tutto per-
dute presso la presente generazione , ove ragionino di cose,
che toccai! dappresso l'onor nazionale.
A voler giudicar dirittamente delle ragioni d'un' opera,
dei motivi, che la dettarono, dei sentimenti sotto la in-
spirazione de' quali fu scritta, e quindi della sua interpre-
tazione , parmi affacciarsi un'unica via, troppo spesso ne-
gletta ; lo studio de' tempi , in cui fu composta e quello
della vita dello scrittore.
Uno sempre è 1' amor patrio nella sua essenza, e nel
suo ultimo scopo ; ma , come tutti gli affetti umani, subisce
varie modificazioni , e veste forme diverse secondo che
mutansi le abitudini , le costumanze , le opinioni religiose
e civili , e le passioni degli uomini , che costituiscono que-
sta patria , all' utile della quale si mira. — Come dunque
vai'iano i bisogni della patria, variar debbono i mezzi per
cui può giungersi a soddisfarli o reprimerli, e quindi la
direzione, che seguirà l'amor patrjo in un secolo sarà to-
talmente diversa da quella d'un altro. — Ne' bei tempi
della romana repubblica il vero amor patrio era quello <li
Cincinnato; Bruto mostrò qual fosse sol lo i principj della
22
362
tirannide ; Gocceo Nerva insegnò agli uomini qual alta
prova rimanga a darsi dell'amor patrio , quando la servitù
è irreparabile. — Ecco come la differenza de' tempi mo-
dificava lo stesso affetto, che ardeva nell'anima di questi
tre sommi. — Nello stesso modo s'esercita l'influenza dei
tempi sugli scrittori , onde nascano le diverse tinte , che
segnano le epoche varie di tutte le letterature. — Fin-
ché la storia della letteratura si confuse colla storia dei
letterati , le strettissime relazioni , che passavano fra le isti-
tuzioni , e le costumanze d' un popolo , e la sua lettera-
tura y sfuggirono inosservate ; ma si scoprirono , quando
le ricerche storico-letterarie presero una direzione più fi-
losofica. — La tendenza del genio d'uno scrittore dipende
in gran parte dalla posizione degli oggetti, che lo circon-
dano; quindi l'amor patrio, ch'egli avrà in petto, appa-
rirà in mille guise , secondo la diversa disposizione degli
elementi sociali, de' quali lo scrittore è in certo modo lo
interprete. — In un secolo si manifesterà ravvolto in un
magnanimo sdegno, dove in un altro si sarebbe confuso
con un suono di lusinga e di pace. — Ponete uno storico
( dotato d'altronde di tutte le qualità , che costituiscono
r uomo grande ) nel secolo d' Augusto , testimone della
calma, figlia della stanchezza, nella splendida corte, che
imprimeva una nuova direzione all'attività del carattere ro-
mano, in mezzo alla apparente felicità, prodotta dal pro-
gresso della civiltà e della letteratura; e voi avrete Livio.
— Trasportate lo stesso individuo dopo il regno di Ne-
rone sul principio di quello di Domiziano, dove era spenta
ogni antica vii^tù, dove l'uomo strisciava privo di dignità
in mezzo al contrasto della tirannide più feroce e della
più umiliante viltà ; e .avrete Tacito. — Ambi erano di
amor patrio caldissimi , ma il primo sedotto dall'apparente
tranquillità, credè Roma felice, e quindi tessè la storia
delle sue antiche grandezze più com' inno^ che lusinga
365
ròrecchio dei forti, che come acerba rampogna al torpore
dei neghittosi ; laddove Tacito , venuto ai tempi , che non
concedevan l' ilhidersi , scrisse la sua, come l'ultimo eco
della libertà fuggitiva , non risparmiando ai suoi coetanei
il quadro della loro immensa viltà.
A' tempi dunque è d' uopo guareiare per conoscere , se
il linguaggio d'uno scrittore è tale, che possa dirsi spirato
dall'affetto della sua patria , conveniente cioè alla situazione
in che questa giace. Or quali furono i tempi dell'Alighieri ?
Come ordinati gli elementi sociali ? Una brevissima espo-
sizione della particolare fisionomia di quel secolo , dei tratti,
che lo caratterizzano, e lo distinguono da' successivi , non
sarà forse inutile per coloro a' quali non è dato l'inoltrarsi
molto nella storia dell'età media.
L'Italia nel secolo decimoterzo offeriva riunito allo sguardo
quanto ci presentò successivamente la storia intera del
globo. Tutte le diverse forme di civili, e politiche istitu-
zioni si dividevano le sue città. — Tutti gli elementi, che
creano la miseria, o la felicità delle nazioni s'agitavano nel
suo seno. — Una somma energia, un valore indomito, una
insofferenza di giogo , una irrequieta fecondità nel formare
progetti, una feroce costanza nel superare gli ostacoli, che
s'attraversavano, stavano a contrasto con una rabbia di
dominazione, con ima smania di sovvertimento, con una
intemperanza d'audacia , col più violento spirito di vendetta,
colla brutalità più sfrenata. — Sublimi virtù , e grandi de-
litti, uomini d'altissimi sensi, e scellerati profondi segnan
quel secolo , come ne' climi , ove la natura è più feconda ,
giganteggian gì' opposti del bello , e dell' orrido. — Con
questa energia, con questa sovrabbondanza di forza, l'Italia
avrebbe potuto fondare in quel secolo la sua indipendenza
contro r insulto straniero , ove alcuno avesse posseduto V
arte diflìcile di volgere tutte quelle passioni ad un solo
scopo. — Ma poiché noi tollerò la discordia ingenita nelle
364
menti italiane , e attizzala ognor più dall'ambizione di chi
nelle discordie altrui elevava la propria potenza , e dallo
spirito invasore dello straniero , fu forza , che quelle tor-
bide genti, a cui l'inerzia era morte, non dirette, non
frenate, rivolgessero a danno della madre comune il bi-
sogno d' oprare. — Ne mancavano le cagioni di turba-
menti. — I nomi di Guelfi , e di Ghibellini , nomi infausti
ad ogni orecchio italiano , suonavano per quasi tutta que-
sta terra infelice, perchè le fazioni sopravvivono alle cause
dalle quali trassero origine , e queste tanto più si suddivi-
devano , quanto mancavan sovente d' una mira determinata.
— Né la riforma tentata, e in parte compiuta da Frate
Giovanni da Vicenza, ne il reggimento repubblicano, mercè
il quale Fiorenza vide risorte le lettere, e l'arti, impedi-
rono che la discordia ripidlulasse ognor più feroce nella
terra Lombarda, e nella Toscana. — Dall' un termine all'
altro le spade italiane grondarono sangue italiano. — Gli
stati di Napoli lacerati dalle lunghe lotte di Manfredi e
dell'usurpatore Carlo d' Angiò fremevano sotto il sangui-
noso giogo ; la Sicilia vendicava col vespro il giovine Cor-
radino; vendetta sterile , che poneala per qualche tempo
sotto il dominio de' re d' Aragona. — Nella Lombardia , i
Delia-Torre tentavan d'assidersi sulle rovine della tirannide
d'Ezzelino. — Siena , Arezzo , Fiorenza combatteansi ac-
canitamente. — La signoria de' mari provocava a guerra
mortale Genova e Pisa. — E a danni di Pisa congiunge-
vano l'armi Fiorenza, Lucca, Prato, Pistoia, Volteri-a ed
altre nemiche giurate tra di loro prim^a che il furor Guelfo
confondesse i loro interessi contro l' unica città Ghibellina
della Toscana ; ma guerre eran quelle non temperate da
que' precetti , che il pudore dettò alle nazioni e eh' esse
approvarono col nome di dritto delle genti ; guerre com-
battute colla ferocia dei tempi , e dello scopo a cui ten-
devano , come quelle , che più spesso all'esterminio mira-
365
vano, che a mutamenti dì governo e di territorio. —
Ogni occasione afferravasi , pm che dannosa al nemico ;
ogni mezzo era buono , purché guidasse a vittoria. — Le
tregue convertite in agguati , ogni maniera d'insidia, ogni
genere di tradimento , tutto sembrava lecita parte di guerra.
— E ad ognuno , il quale rammenti nella sola guerra tra
Genova e Pisa, il giuramiento , con che s' astrinsero le
città alleate de' Genovesi , a struggere le mm-a Pisane, e
disperderne i cittadini nelle terre vicme , la fuga del conte
Ugolino nella battaglia della Meloria. — Il modo , con cui
si trattaron da' Liguri undici mila prigionieri Pisani, frutto
di questa vittoria , diecimila dei quali periron tra ceppi ,
fremerà l'anima in petto non discorde dalle nostre parole.
Che se noi diamp un' occhiata all' interna situazione delle
città, tal quadro ci s'appresenta, che noi non possiamo ,
se non gemere su questa nostra Italia, che diede sì mi-
serando spettacolo al mondo. — Per ogni dove i cittadini
correvano a' tumulti, e alle risse colla stessa ira, con che
il fm^ente lacera le proprie piaghe. — Per ogni dove gli
oltraggi, le ferite, gli assassinj contaminavano le belle con-
trade, che sembrano create dalla natura ad una pace tran-
quilla ed eterna; che agli uni poneva il sangue sul brando
desio di prepotente dominio , agli altri timor di servaggio,
e smania d'indipendenza forse tropp'oltre spinta. — Le
primarie famiglie nobili erano quasi tutte in aperta nimi-
cizia tra loro ; le minori parteggiavano per l'une o per le
altre. — Quindi le città turbate sempre da' privati dissidi
che per lo più si decidevan coli' armi ; ogni palazzo era
roccia di guerra , ogni piazza potea divenir teatro di com-
battimenti, ■ — Intanto gl'animi s'educavano al disprezzo di
ogni ordine e d' ogni legge ; la sommessione a' tribunali
da' nobili si reputava viltà ; ove un d'essi venisse ti-atto in
giudizio , si tentava da coloro , che vincolo di parentela
stringeva col reo , di trarlo a forza dalle mani de' suoi
366
custodi ; ogni personale Jelilto faceasi per tal iifiodo delitto
di molti. — Le leggi erano: ma i governi erano impotenti a
serbarne intatta l'esecuzione ; onde , poiché nessmia cosa
valeva a fi-enare l'intemperante audacia de' nobdi , il popolo
stanco di sofferire in silenzio, levavasi in arme contro i
perturbanti del suo riposo. — Siffatte popolari rivoluzioni
non regolate dalla saggezza de' Governanti, dirette da pri-
vati rancori , animate dalle memorie d' antichi oltraggi ,
attizzate ognor più da qualche adulatore di plebe, oltre-
passavano quasi sempre lo scopo j (del che abbiamo, per
tacer d'altri, luminoso esempio nella rivoluzione, che Giano
della Bella promosse in Firenze) quindi il flagello della
anarchia ogni cosa percotea; ed alla tirannide della nobiltà
sottentrava 1' ebbrietà della plebe , pur sempre tirannide.
— Così s'avvicendava il. disordine sotto forme diverse, fmch'
una famiglia più avveduta dell'altre, invadesse la signoria.
Tali fm-ono i tempi , ne' quali Dante menò la dolorosa
sjia vita, tempi fecondi di gravi insegnamenti a chi dentro
vi guardi con occhio filosofico, tempi, dallo studio dei
quali non può venir che salute all'Italia. — Ora se v'ha
taluno, al quale, dopo aver percorsa la stoina di quest'età,
non s' affacci sul volto , che un sorriso di sterile compas-
sione, questi è da più, o da meno d'un uomo; che le
sciagure d'una nazione, la quale, piena di coraggio e di
forze , le rivolge furiosamente contro i suoi figli , e prepara
allo straniero la via, consumando miseramente se stessa,
saraimo sempre alto argomento di dolore , e di pianto a
chi sente. — E diciamo di dolore, e di pianto, perchè
in ogni tempo i più s'appagano di gemere, e di tacere
sovra infortunii, a cui non possono porre riparo. — Ma
in tutti i secoli v'hanno delle anime di fuoco, che non
possono acquetarsi all'universal corruttela, né starsi paghe
d'uno steril silenzio. — Collocate dalla natura ad una im-
mensa altezza comprendono in un'occhiata la situazione.
567
e i bisogni de' loro simili ; straniere a' vizi de' loro con-
temporanei , tanto più vivamente ne sono affette ; uno sdegno
santo le invade; tormentate da un prepotente desìo di" far
migliori i loro fratelli, mandano una voce possente e se-
vera , come di Profeta , che gridi rampogna alle genti ;
voce , che il più delle volte vien male accolta da coloro ,
a' quali è dirizzata, come da fanciulli la medicina. Ma chi
dirà doversi anteporre la lusinga d'un plauso fugace alla
riconoscenza più tarda de' posteri? — A questa sola Dante
mirava, e lo esprimeva in quei versi, che non dovrebbero
obbliarsi mai da chi scrive —
E s'io al vero son timido amico ,
Temo di perder vita tra coloro,
Che questo tempo chiameranno antico.
Farad, e. XVlì.
Forse egli gemeva della dura necessità , che astringevalo
a denudare le piaghe della sua terra , forse ogni verso ,
in cui scolpiva una delle tante colpe, che la macchiavano,
gli costava una lacrima , e gli dolca , che la sua voce do-
vesse esser molesta nel primo gusto; ma si confortava
pensando, che avrebbe lasciato vital nutrimento , come
fosse digesta, confoi^to veramente degno dell'alto animo
suo 5 perchè bella lode s'aspetta a chi tempra un inno alle
glorie patrie, ma vieppiù bella a chi tenta ricondurre all'
antica virtù i suoi degeneri concittadini, impresa difficile
e perigliosa. — Utilmente lusingavano l'orecchio de' giovani
Greci le odi nazionali di Pindaro, quando la virtù dei vin-
citori nei ludi Elei splendeva incontaminata nel foro e nel
campo \ le slesse odi avrebbero suonato amaro scherno o
adulazione codarda dopoché la libertà greca era spirata
nelle pianure di Cheronea. Onde, che in un popolo gua-
308
sto per molti vizi , o neghittoso per nullità dì sentire , sarà
santo sempre sovra ogni altro l'uffizio , che s'assume la sa-
tira, quando venga trattata non colle scurrilità di Settano,
o coir animosità cieca del Rosa, ma colla severità della virtù ,
con che Pei'sio sentenzia gì' inetti dell' età sua , o colla
onesta decenza del nostro Parini. — Però agli italiani del
secolo decimoterzo , ad uomini educati all'ire dalle contese
<lomestiche, ed estere, che sorridevano alla vendetta, come
a delizia celeste , la fantasia de' quali richiedea per essere
scossa rappresentanze di dannati, e d'eterni tormenti *i
lo stil grave di Persio, e la dilicata ironia del Parini
avrebber suonato inutili, come una voce isolata nel fremito
della tempesta. — Per essi volevansi parole di fuoco , come
l'indole loro, parole d'alto sdegno, d'iracondo dolore, di
amaro scherno , tali insomma , che colpir valessero quelle
menti indmate, perchè l'aura, che offende la dilicata beltà,
passa non sentita sulla cute incallita del villano , e agli
scrittori è forza usar lo stile , che i tempi richieggono ,
ov'essi anelino all' utile , non ad una gloriuzza sterile e
breve. — Tali parole profeii l'Alighieri, ispirandosi alle
sciagure immense della sua patria , alle colpe e a' vizi ,
che le eternavano, e all'anima sua bollente, mesta e se-
vera per natura , allevata ne' guai , di ninno amica, fuorché
del vero. — Vestita la severità d'un giudice , flagellò le
colpe e i colpevoli , ovunque fossero ; non ebbe riguardo
a fazioni , a partiti , ad antiche amicizie ; non ser-vì a timor
di potenti , non s'innorpellò ad apparenze di libertà , ma
denudò con imparziale giudizio l'anime ree , per vedere
se il quadro della loro malvagità potesse ritraiTC i suoi
compatriotti dalle torte vie , in che s'erano messi , come
i magistrati di Sparta , a chi s'avviliva coU'uscir da' limiti
della temperanza, presentavano l'abbietto spettacolo d'un
*i Giovanni Villani — IsL Fior. hb. vni. e. 70.
369
Iloto briaco. — Or se questa è mente indegna di buon
cittadino, noi confessiamo d'ignorare il valoi-e di questo
vocabolo; ma chi negasse una tal mente aver diretto l'in-
tero poema , noi opporremo le parole stesse dell'Alighieri ,
il quale nella terza cantica si mostra così convinto della
santità dell'opera sua , che illudendosi sulla riconoscenza
de' suoi coetanei, si conforta colla speranza, che il suo
poema possa riaprirgli le porte dell'amata Fiorenza *i. —
Questa testimonianza d'una coscienza immacolata non ci
par cosa di poco peso nella quistione , perchè un tal voto,
una tale speranza non s'affacciano ad un uomo , il quale
arde d'ira contro la patria , e contro d'essa inveisce scri-
vendo. — E Dante esprimeva questa sua illusione nel canto
vigesimo quinto del Paradiso , verso il termine dell'età sua ;
quando avea già ingoiato tutto il calice dell'esilio , quando
ei dovea essere inacerbito da tutte le miserie , che accom-
pagnano l'uomo bisognoso e d'animo fiero.
Del resto noi non annoieremo chi legge collo schierare
dinanzi tutti que' tratti del divino poema, che pongono in
evidenza la piena d'affetto patrio , di che avvampava l'esule
illustre , e sarebbe opera inutile , dopo quanto ne sminuzzò
il Perticari ; ma diremo , che quand'anche non esistesse il
sublime canto , in cui parla Bordello , ne alcun altro di
simil fatta, a ehi s'inviscera nella mente d'uno scrittore ,
gli stessi tratti, che s'allogano a dimostrare la vendetta
dell'Alighieri, verrebbero a far piena discolpa dell'animo
*i Se mai continga , che il poema sacro
Al quale ha posto mano e cielo , e terra ,
Si che m' ha fatto per più anni macro,
Vinca la crudeltà, che fuor mi serra
Del bello ovile , ov'io dormii agnello
Nimico a' lupi che li danno guerra , ecc.
Farad, e. XXV.
570
suo. — Egli inveisce agramente contro le colpe , onde
l'itala terra era lorda, ma non è, scoppio di fìirore irragio-
nevole, o d'offeso orgoglio; è suono d'alta mestizia, come
d'uomo, che scriva piangendo; è il genio della libertà patria
che geme sulla sua statua rovesciata, e freme contro co-
loro, che la travolser nel fango. — Nei versi, che più
infieriscono, tu senti un pianto, che gronda sulla dura
necessità , che i fati della patria gl'impongono ; tu discerni
l'affetto d'un padre, il quale si sforza di vestire una se-
verità , che non è nel suo cuore , per soffocare una passione
crescente nel petto del figlio, che può trascinarlo a rovina.
Le voci — patria, natio loco, mia terra — appaiono
tratto tratto per farti risovvenire, che il poeta ama Fio-
renza collo stesso ardore , con cui flagella i lupi , che le
dan guerra. — Sovente egli cerca un tristo compenso nei
giorni, che furono, e riposando il suo sguardo stanco sul-
l'antica situazione della sua città , rammenta con orgoglio
sublime ciò che fu un tempo , ritraendoci con tinte d'ini-
mitabil dolcezza , la pace , la serenità , la virtù semplice ,
e queta , che faceano di quella terra un soggiorno celeste ,
primachè il puzzo del Villano d'Aguglione, e di quel da
Signa contaminasse quella purità di costumi.
Acerbissime dunque furono, noi neghiamo, le querele
dell'Alighieri; ma tali quali esigevano i tempi, i costumi,
le circostanze dell'età sua; tali specialmente, quali l'affetto
patrio ben concepito impose a tutti gli uomini, che per
genio, e virtù si sollevarono al di sopra degli altri *i. Il
*i Se vevo è, come risulta dalla vita di Dante del Boccaccio,
da due novelle di Franco Sacchetti , e da altri , che i primi sette
canti almeno fossero di già composti , e diffusi in Firenze , prima
ch'ei ne fosse cacciato , ognun vede dal tenore di quei canti, e dallo
stile , che in essi s'adopra , non doversi ascrivere all'ira della sciagura ,
bensì ad alto , e fermissimo proposito dello Scrittore , l'aspre parole ,
e i rimproveri, ch'egli proferisce nel suo poema.
571
Perticari pose umanzi agli accusatori di Dante tiatti non
meno aspri e pungenti del Boccaccio, del Villani: memorò
le parole severe, che Demostene, Aristofane , Tullio, Pla-
tone, Seneca, Tacito, ed altri mille scagliarono contro i
peccati delle loro terre ; e si lagnò della ingratitudine dei
posteri, che della stessa cosa gli uni laudavano, mentre
accusavano l'altro; perlochè noi non ci tratterremo sopra
questo argomento ; e rimembreremo soltanto , come il Pe-
trarca , di cui Perticari non fece motto , trascorse oltre lo
sdegno dell'Alighieri, ogniqualvolta dall'oggetto eterno dell'
amor suo torse il guardo all'Italia. — I tre sonetti , nei
quali impreca ogni castigo a Roma, superano in ira quanto
fu detto mai da Dante , o da alcun altro poeta. — Nella
canzone — Italia mia benché il parlar sia indarno —
egli mostra altamente il suo disprezzo pei tanti tirannetti,
che laceravano la patria ; nell'altra, ch'egli forse inviò a
Stefano Colonna, e che incomincia. — Spirto gentil ^ che
quelle membra reggi — chiama l'Italia tutta 'vecchia ,
lenta , oziosa ,• e brama, che alcuno ponga mano nella sua
venerabile chioma, e nelle sue trecce sparte. — E il Pe-
trarca viveva in tempi di minore ferocia, benché d'egual
corruzione; non avea certamente oltraggio da vendicare:
era dotato d'animo sovra ogn'altro dolcissimo , nudrito di
sospiri d'amore , educato alla pieghevolezza dalle corti, ove
ei, troppo forse per l'onor suo, soggiornava.
Un'ultima prova intanto del vero , che per noi si so-
stiene, trarremo dagli altri scritti dell'Alighieri; e poiché
le idee d'un autore debbono, come le leggi, interpre-
tarsi r una coli' altra , un guardo solo , che noi gettiamo
sopra tuttociò, ch'egli andò di mano in mano vergando,
ci convincerà ognor più dell'animo suo. — In tutti i suoi
scritti, di qualunque genere essi siano, traluce sempre
sotto forme diverse l'amore immenso, ch'ei portava alla
patria; amore, che non nudrivasi di pregiudizietti, o di
572
rancori municipali , ma di pensieri luminosi d'unione , e
di pace 5 che non ristringevasi ad un cerchio di mura , ma
sibbene a tutto il bel paese , dove il sì suona , perchè la
patria d'un italiano non è Roma, Firenze, o Milano, ma
tutta Italia. Con tal mente egli scrisse il libro della Mo-
narchia, in cui se tutte le idee non son tali da dover essere
universalmente abbracciate, tutte almeno appaion dettate
da un ottimo spirto , quale ammettevano i tempi ; in questo
egli mirò a congiungere in un sol corpo l'Italia piena di
divisioni , e sottrarla al servaggio , che allora minacciavala
più che mai. — E se il latino linguaggio , le fonne sco-
lastiche, che vi campeggiano, e la scarsezza delle edizioni
copriron quest'opera quasi d'obblio , non è men vero , che
ei vi gettò que' semi d' indipendenza e di libertà , eh' ei
profuse poscia nel suo poema, e che fruttificarono larga-
mente nei secoli posteriori. — Con tal mente fii da lui
concepito il trattato del volgare Eloquio, che concitò in
questi ultimi tempi lo spirito irritabile de' letteiati italiani
a controversie più argute forse, che utili, — In questo
egli s'erge luminosamente al di sopra di quella torma di
grammatici, che fanno intisichire la lingua per volerla
costringere nelle fasce della sua infanzia ; dimostra la vera
favella italiana non esser Tosca, Lombarda, o d'altra Pro-
vincia ; ma una sola , e di tutta la terra — CKAppennin
parte , e 'Z mar circonda , e talpe. — Insegnando a' suoi
coetanei , come questo idioma illustre , fondamentale non
avea nessun limite ; ma si facea bello di ciò , ch'era mi-
gliore in ogni dialetto, egli cercava di soffocare ogni con-
tesa di primato in fatto di lingua nelle varie provincie ,
ed insinuava l'alta massima , che nella comunione reciproca
delle idee sta gran parte de' progressi dello spirito umano.
— Siffatti pensieri ebbero da lui più ampio sviluppo nel
suo Convivio, dov'egli si pronunzia con entusiasmo cam-
pione della favella italiana volgare , e predice a questa ver-
575
ginella modesta, ch'egli eJucava a più nobili fati, glorie,
e trionfi sull'idioma latino, ch'era ormai sole al tramonto.
— Egli si mostra, come fu notato da uno scrittore, ben
piùi altero della nobiltà , e dell'efllcacia della sua lingua ,
che del merito dei propri! versi. — Sembra ch'egli col
pascersi di (j[uest'avvenire cerchi stornare la mestizia, che
gl'infortunj politici d'Italia , e di se stesso gli procaccia-
vano ; perch'egU scriveva quest'opera , quando avea già
sperimentato , come l'ai'co dell'esilio saetti acuto lo strale,
quando la sua vita dechinava al fine. — Eppure l'alFetto di
patria ardeva sempre vivissimo nel cuor suo, come ci fanno
fede que' tratti commoventissimi, ne' quali piange la sorte ,
che lo giltò fuori del dolce seno della bellissima , e fa-
mosissima figlia di Roma, Fiorenza. — Quest'afletto di
patria mai noi lasciò , accompagnandolo nelle sue peregri-
nazioni per l'Italia; non formò pensiero, non mise sospiro,
che non lo spirasse; e per tacere della bella canzone —
Tre donne intorno al cuor mi son venute — e della bel-
lissima — Patria degna di triunfal fama — perfino quand'
egli scrive ciò, che amoi'c gli detta, non pensa tanto alla
sua Beatrice, che obblii la città, dove nacque; così nella
canzone , che incomincia — Amor , da che mi convien pur
cJiio mi doglia — il lamento, ch'ei mette per la crudeltà
della donna sua, gli è cagione di rimembrai-e la crudeltà
di Fiorenza, che fuor di so lo serrava, — f^'ota d' amore y
e nuda di pietate — e nell'altra — La dispietata mente
che pur mira — tutta d'amore, ricorda il dolce paese,
eh' ha lasciato.
Ma ove piu'e alcuni squarci del poema potessero lasciare
un senso d'esitazione nell'animo, noi abbiamo una testi-
monianza irrecusabile , che non lascia alcun dubbio sulla
mente , che animò la sua cantica. — Questa è la sua vita.
Ciò, che in essa più monta è oramai conosciuto abbastanza,
benché l'Italia , malgrado un diluvio di commenti , note ,
574
memorie, e saggi, non possegga finoi^a una vita degna di
questo sommo , e il voto del nostro buon Pelli rimanga
pm" sempre inesaudito. — Ond'è , che noi moveremo in-
torno ad essa parole brevissime.
Non difficil cosa sarebbe, crediamo, il dimostrare, come
il mutamento di parte , di che lo accusaron taluni , fosse
figlio non d'una mente volubile , o della necessità dell'esilio,
bensì d'un affinato discernimento , e d'una imparzialità a
tutta prova , dappoiché la Guelfa fazione , che potea parere
a prima vista animata da uno spirito più italiano , e che
. egli seguì , finché il bollore giovanile gli fé' legge di se-
guir la parte , in che tutti i suoi s'eran messi , appunto
in quel torno, guasta da' nuovi partiti , piegò dal proposito
primo , e mostrò evidentemente di servire a privati affetti,
e agli interessi di chi la moveva più, che a quei della
patria. — Ma questa , ed altre quistioni di simil fatta non
son tali , che possano trovar luogo ne' brevi limiti di un
articolo di giornale , e spetterebbero a chi s'assumesse di
dare all'Italia una buona vita dell'Alighieri. — Ben diremo
che siccom'egli siede , e siederà gran pezza primo fi-a i
poeti, che durano eterni, così la sua vita può pi^esentarsi
con tutta fidanza a modello di coloro, che san cos'è patria,
e com'essa vuol esser servita. — Un'esistenza d'undici lustri
iion fu per lui , che un solo sospiro , e questo fu per la
Italia. — Non ebbe riposo giammai nella lotta, ch'egli
inti-aprese animosamente contro i suoi oppressori, contro i
pregiudizi , che la dominavano , contro l'ignoranza , che
sovr'essa pesava. — Logorò il fiore dell'età sua in sagri-
fizi continui per la terra, che lo rinegò. — Sembra im-
possibile , che dopo aver percorse le circostanze della sua
vita , alcuno abbia potuto muovere sospetto sullo spirito ,
che lo animava. — L'uomo, che combattè valorosamente
nella giornata di Campaldino (1289) contro la gente di
Arezzo, che guerreggiò un anno dopo contro i Pisani. —
375
L'uomo, che Firenze iscelse all'età d'anni trentacinque ad
uno de' tre reggitori della repubblica. — Che seppe in
tempi difficilissimi ottenersi tanta fama di senno , e d'in-
tegrità , che , come sul suo capo posassero le sorti delle
cose patrie , i due priori , suoi compagni , a lui solo affi-
davano il maneggio degli affari più perigliosi. — L'uomo
che nelle gare de' Bianchi , e dei Neri , spogliatosi d'ogni
privata affezione , pronunziò la sentenza d'esilio contro ambe
le parti ( i3oi ), monumento di severa imparzialità, che volò
a' piedi di Bonifazio per vedere di smuoverlo da' consigli ,
che ponevano Fiorenza sotto la tirannide di Carlo di Valois ,
e che più tardi, cpando più gemeva sotto il pondo delle
ingiurie della fortuna, ritrovò tanta forza d'animo da con-
dannarsi ad un bando perpetuo , anziché avvilir sé , e la
sua patria colla vergogna d'una sommessione disonorevole *i.
— Quest'uomo , diciamo , presenta un tal quadro , che
sfida il m.ordere dell'invidia. — Poiché fu bandito, errò lunga
pezza per tutta l'Italia , vivendo di memorie , grande del
suo dolore , forte di quell'ingegno , che ninno può torre.
— L'infortunio non l'avvili; la miseria, che, a detta di
Omero, dimezza l'anima dello schiavo, non gli tolse pur
*i Noi non stimiamo a porre tra i fatti più degni di lode dello
Alighieri questo suo rifiuto d'entrare in Fiorenza , benché alcuno
abbia voluto inferirne rancore , e superbia. — A chiunque ramme-
mori tutte le vie ch'ei tentò per ricuperare la patria , e la lettera ,
ch'egli scrisse al suo popolo , mentovata da Leonardo Bruni nella
sua vita di Dante , non può venir dubbio sul desiderio , ch'egli nu-
triva di rimpatriare — E dove si considerino le turpissime condi-
zioni , che a lui s'offerivano , memorate dal Boccaccio nella vita ,
ch'egli lasciò di lui , e la lettera intera di Dante , ch'egli inviò a
chi gli faceva tali proposte , non riman luogo , che ad altissima
ammirazione ; perchè l'uomo deve prima di tutto rispettare la sua
patria in se stesso , e la qualità di cittadino allora veramente si
perde , quando ottiensi colla viltà, o coU'infamia.
376
una dramma del suo generoso sentire ; ma stette contro i
colpi della fortmia , com'uomo che duolsi più dell'altrui ,
che del proprio danno ; e bench'ei fosse astretto a men-
dicare dai signori italiani un tozzo di quel pane, cJie sa
di sale j non piegò dinanzi al potere , non prostituì il suo
genio, e la musa a speranze di principesca mercede. —
Com'ei vide tronca ogni via per soccorrere col senno, e
col braccio alla patria inferma , die mano allo scrivere ,
e legò in un poema eterno a' suoi posteri l'amore il più
ardente della indipendenza , e l'odio il più fiero contro i
vizi , che trassero a mal partito la sua Fiorenza. — Comjsiè
il suo mortale pellegrinaggio in Ravenna j ivi riposano an-
cora le sue ossa, segnate da un monumento indegno di
lui, lontane dalla terra , che tanto amò , e dove l'inerzia
di Leon X. non permise che a lui s'ergesse una tomlja
da Michelangelo, erede del suo genio , e l'unico forse degno
di pagargli il tributo, che l'Italia deve alla sua memoria.
O Italiani! Studiate Dante ; non su' commenti , non sulle
glosse; ma nella storia del secolo, in ch'egli visse, nella
sua vita , e nelle sue opere. — Ma badate ! V ha più che
il verso nel suo poema ; e per questo non vi fidate ài
grammatici, e agli interpreti; essi sono come la gente,
che dissecca cadaveri ; voi vedete le ossa , i muscoli , le
vene che formavano il corpo ; ma dov'è la scintilla , che
l'animò ? — Ricordatevi , che Socrate disse il migliore in-
terprete d* Omero essere 1' ingegrio più altamente spirato
dalle muse. Avete voi un'anima di fuoco? — Avete mai
provato il sublime fremito, che destano l'antiche memo-
rie ? — Avete mai abbracciate le tombe de' pochi grandi ,
che spesero per la patria vita , e intelletto? — Avete voi
versata mai una lacrima sulla bella contrada , che gli odi,
i partiti, le dissensioni, e la prepotenza straniera ridus-
sero al nvdla ? — Se tali siete , studiate Dante ; da quelle
pagine profondamente energiche , succhiate quello sdegno
377
magnanimo , onde l'esule illustre nudriva l'anima ; che l'ira
contro i vizi e le corruttele è virtù. — Apprendete da lui,
come si serva alla terra natia , finché l'oprare non è vìe-
tato ; come si viva nella sciagura. — La forza delle cose
molto ci ha tolto; ma nessuno può torci i nostri grandi;
né l'invidia, né l'indifferenza della servitù potè struggerne
i nomi , ed i monumenti ; ed ora stanno come quelle co-
lonne , che s'affacciano al pellegrino nelle mute solitudini
dell'Egitto , e gli additano , che in que' luoghi fu possente
città. — Circondiamo d' affetto figliale la loro memoria.
— Ogni fi:onda del lauro immortale , che i secoli po-
sarono su' loro sepolcri , é pegno di gloria per noi ; né
potete appressare a quella corona una mano sacrilega ,
che non facciate piaga profonda nell' onore della terra ,
che vi die vita, — O Italiani ! — non obbliate giammai ,
che il primo passo a produrre uomini grandi sta nello
onorare ì già spenti.
XXX.
IL DOPPIO GIURAMENTO
Dal tedesco di Gìan Paolo
Enrico era un giovinetto di i5 anni, che è quanto dire pieno
di buoni proponimenti che compieva di rado , e di falli di cui
giornalmente si pentiva ^ egli amava suo padre ed il suo mae-
stro con molto amore , ma molte volte amava ancora maggior-
mente i suoi piaceri: egli avrebbe volentieri per amendue sagri-
ficato la sua vita , ma non la sua volontà , e gli slanci sfrenati
33
578
della sua anima Ji foco erano spesso a coloro che egli amava
ed a se medesimo fonte di amarissime lagrime. Così la sua vita
errava dolorosamente tra errori e pentimenti, e finalmente quel
continuo avvicendarsi di buone risoluzioni e di falli perniciosi y
tolse a' suoi amici e persino a lui stesso ogni speranza di mi-
glioramento. Allora il conte suo padre non potè più allonta-
nare dal cuore troppo spesso ferito il tormentoso pensiero che
Enrico, nell' accademie e nei viaggi in cui la via del vizio si
fa sempre più facile e più fiorente, ed in cui non giunge più
mano amorevole e voce di padre, cadrebbe di errore in errore
e ritornerebbe a casa con un' anima macchiata e snervata , spo-
glia di tutte le sue pure bellezze, ed incapace persino del pal-
lido riflesso della virtù , il pentimento.
Il conte era di cuor tenero, dolce e pio, ma malaticcio e
troppo debole. La tomba della sua moglie era quasi il piede-
stallo della sua vita e minava tutte le ajuole, su cui egli cer-
cava di cogliere fiori. Ora nel suo giorno di nascita, e forse a
motivo di quello, divenne ammalato, tanto poco il petto parali-
tico sopportare poteva un giorno , in cui il cuore raddoppiava i
suoi battiti. Poiché gli svenimenti si succedevano , il figlio stra-
ziato si recò nel boschetto inglese, in cui stava la tomba di
sua madre e quella vuota che il suo padre si era fatta prepa-
rare , e su cui Enrico promise allo spirito materno di combat-
tere con tutta la possa la sua violenta fame dei piaceri.
Il giorno della nascita del padre sembrava dirgli : « il lieve
ì) strato di terra che separa tuo padre dalla cenere di tua ma-
» dre si romperà presto , forse fra pochi giorni , ed allora esso
» muore dolente e senza speranza , e non le può dire che tu
» ti sei fatto migliore, » O allora egli scoppiò in un pianto
dirotto , ma infelice Enrico a qual cosa giovano le tue lagrime ,
e la tua commozione se tu non ti migliori ?
Dopo pochi giorni il padre si rialzò dal letto , ed in mala-
tìccio eccesso di emozione e di speranza strinse al petto feb-
bricitante il giovinetto pentito. Enrico inebriato dalla gioia
della guarigione e del bacio paterno divenne più lieto , più
baldanzoso, più audace. Il suo maestro che cercava di rime-
diare alla debolezza del padre, con potente severità tentò di
379 ^
frenare l'eccesso della gioia. — Il bolleute Enrico fu ilisobbe-
xlieute ad un comando, che paragonato al mite cenno del pa-
dre sembrava tirannia: — e poiché il maestro ripetè fermamente
e con forza il necessario comando, Enrico in un momento di
vertigine giovenile feri profondamente il cuore e 1' onore del
severo amico: — ed allora l'insubordinazione contro il mae-
stro, siccome dardo velenoso, volò a colpire l'egro cuore del
padre disperato , ed egli soggiacque alla ferita e ricadde sul
letto degli ammalati.
Io non vuo', miei cari giovani lettori, dipingervi la colpa
ed il dolore di Enrico. Ma nel giudizio severo che siete per
portare contro di lui comprendete anche quello di che forse
voi stessi siete colpevoli : ah ove è quel figlio che può avvici-
narsi al letto di morte dei suoi genitori senza che la coscienza
gli ponga in bocca queste parole : « se io non tolsi dalla loro
» vita anni , io costo però loro settimane e giorni ! — ah quei
)) dolori che ora vorrei lenire, furono forse da me medesimo
» cagionati od accresciuti , e quegl' occhi amorevoli che vor-
» rebbero tanto volontieri guardare almeno un'ora ancora nella
)) vita sono chiusi anzi tempo dai miei errori. » Ma l'abbaci-
nato mortale commette i suoi falli audacemente perchè ne cela
a se medesimo le omicide conseguenze : — egli scioglie dalla
catena le belve feroci imprigionate nel suo petto e le lascia
vagar libere la notte fra la folla degli uomini, ma non vede
quanti innocenti la fiera sfrenata afferra e strozza.
L' uomo inselvatichito gitta con animo leggiero attorno di sé
i peccati, quasi carboni ardenti, e allora soltanto quando dorme
il sonno della tomba , le scintille che egli sparse incendono
dietro a lui le capanne , e una colonna di fumo s' innalza
come colonna d' infamia sulla sua tomba e vi sta sopra eter-
namente.
Enrico non potè, tostochè ogni speranza di guarigione svanì,
reggere alla vista del volto macilento del padre j egli si tratte-
neva liclla camera vicina ginocchione , tacito come un malfat-
tore , e con gli occhi chiusi avanti il futuro, da cui aspettava
(li momento in momento il grido terribile: « egli è morto! »
Finalmente dovette avvicinarsi al letto dell' ammalato per ri-
380
ceverne 1' estremo addio ed il perdono ; ma il padre tornogli
il suo amore non la sua fidanza , e gli disse : « cangiati figlio
» mio , ma non prometterlo. »
Enrico cadde annientato dalla vergogna e dal dolore nella
camera vicina , allorché quasi svegliandosi udì il suo vecchio
maestro , che fu pure maestro di suo padre , benedirlo come
se la notte eterna s' avvolgesse già attorno la vita intormentita :
a t' addormenta soavemente nel sonno del Sigaore , disse egli,
» o uomo virtuoso , o fedele discepolo ! tutti i tuoi buoni pro-
» ponimenti che hai mantenuti, tutte le tue vittorie sopra di
» te medesimo , tutte le tue belle azioni devono ora come se-
» rene nuvole della sera spandersi nel crepuscolo della tua
i> morte ! Nella tua ultima ora abbi ancora speranza nell' in-
» felice tuo Enrico, e sorridi se nel tuo cuore rompeutesi un'
» estasi di gioia trova ancora un filo di vita. »
L'ammalato non poteva sciogliersi dalla sincope, che lo pre-
meva colla sua mano di piombo , ed i rotti sensi scambiarono
la voce del maestro per quella del figlio, ed egli balbettò;
« figlio mio, io non ti vedo, ma odo la tua voce, poni la
» tua mano sopra di me e giura di farti migliore. » Enrico si
precipitò nella camera pronto al giuramento ; ma il maestro
lo respinse colla mano sinistra , collocò la destra sul cuore del
padre e disse lievemente : « io lo giuro in nome di lui. »
Ma tutto ad un tratto sentì il cuore cessare i suoi battiti ,
e riposarsi dalla lunga commozione della vita. « Fuggi infelice,
» disse egli , tuo padre è morto senza speranza. »
Enrico fuggi dal castello. Oh come avrebbe potuto vedere
e dividere un cordoglio, in cui egli medesimo aveva spinti gli
amici del padre ? Esso lasciò soltanto al suo maestro la pro-
messa di ritornare e ne fissò il tempo , vacillante ed altamente
piangendo entrò nel boschetto inglese , e vide i bianchi mo-
numenti dividere il verde fogliame quasi pallidi scheletri. Ma
non ebbe il coraggio di toccare il futuro vuoto luogo di riposo
del padre 5 egli si appoggiò soltanto alla seconda piramide che
copriva un cuore, che non era morto per cagion sua, il cuore
della madre , che già da lungo tempo riposava nella polvere
del sepolcro. Egli non osava piangere, nulla osava promettere
381
e tacendo , col capo chino , e coir animo strasciato portò più
lungi il suo dolore. Dovunque gli venivano incontro ricordanze
della perdita e della colpa: — ciascun figlio era uno che cor-
reva giulivo verso il padre portando in alto le bionde spiche
mietute: — ciascun suono veniva da una campana dei morti: —
ogni altura di terreno era una tomba, ogni sfera segnava sol-
tanto', come quel regio orologio, l'ora della morte del padre *i.
Enrico dopo cinque oscuri giorni pieni di dolori e di pen-
timento senti il desiderio di rivedere l'amico del padre, e sperò
poterlo consolare colle primizie del suo cambiamento. Il più bel
funerale che 1' uomo possa preparare ad una persona amata,
che non è più, si è l'asciugare le lagrime altrui anziché ver-
sarne egli medesimo j e la più bella corona di fiori e di cipressi
che noi possiamo appendere alle urne dei nostri cari è un frut-
tifero tralcio di opere buone.
Egli volle entrare di notte nella mesta abitazione onde ce-
lare il suo rossore. Allorché traversò il boschetto , la bianca
piramide della tomba paterna stava fra il vivente fogliame ter-
ribile a vedersi, come nel puro azzurro del cielo s' innalza la
bigia colonna di fumo di un villaggio incendiato. Egli posò il
capo cadente contro la dura fredda colonna e nel cuore intor-
mentito e martoriato nissun pensiero poteva farsi passo. Là
stava egli abbandonato e solo ; nissuna voce soave gli diceva :
« hai pianto abbastanza. » Nissun cuore di padre intenerito gli
susurrava k sei castigato abbastanza. » Il romoreggiare delle fo-
glie gli sembrava un fremito di collera , 1' oscurità un preci-
pizio. L' immutabilità della sua perdita lo circonduce lontan
lontano come un mare stagnante , in cui non batte onda , non
fiotta si solleva.
Finalmente dopo che gli cadde una lagrima dal ciglio, vide
nel cielo una stella serena , che soave come l' occhio di uno
spirito celeste guardava là entro luccicando attraverso il foglia-
*i Nel castello reale di Versailles era già un orologio, che finché il re viveva
stava fermo e segnava 1' ora della morte del predecessore , e allora soltanto an-
dava quando un altro re moriva, lo non mi so se si possa trovare un memento
morì migliore di questo.
582
me •■, allora un dolore più mite scese nel suo petto j egli pensò
al giuramento di emendarsi , che la morte non aveva lasciato
compiere, si pose lentamente ginocchione, volse l'occhio ba-
gnato verso le stelle e disse :
« O padre, padre! ( e la piena del cordoglio gli trattenne
» lungo tempo le parole : ) qui presso la tua tomba sta il tuo
» povero orfano figlio, e giuro a te , o spirito sereno e pio,
» io mi farò migliore; accogli pietoso il mio giuramento! — Oh
w potessi tu darmi un segno che mi hai udito! »
Attorno a lui si udì di repente un indistinto romore 5 una
pallida immagine d' uomo si apri lentamente un passo fra il
cespuglio e disse : « io ti ho udito, e spero di nuovo ! » Egli
era suo padre.
Quello stalo di mezzo tra la morte ed il sonno , il fratello
della morte , lo svenimento gli aveva , come un risanante pro-
fondo sonno , data di nuovo la vita. Ottimo padre ! quand'an-
che la morte ti avesse trasportato frammezzo lo splendore del
secondo mondo , il tuo cuore non avrebbe forse potuto essere
maggiormente innondato dalla gioia, di quello che fu in que-
sto momento , in cui il tuo figlio emendato da dolori atrocis-
simi cadde nelle tue braccia , e ti recò di nuovo la più bella
speranza di un padre !
Ma frattanto che il sipario cade su questo piccolo dram-
ma , io vi domando , amati giovani lettori: avete voi genitori
cui non abbiate ancora recata la bellissima speranza ? Oh al-
lora io vuo', come farà un giorno con punte dolorose la co-
scienza , ricordarvi che verrà un di in cui non troverete con-
solazione ed in cui esclamerete ; « Ah essi mi hanno amato so-
» vr' ogni cosa al mondo, ma io li ho lasciati morire senza
» speranza e sono stato il loro ultimo dolore. »
Y.
383
RIVISTA CRITICA
SCÈNES DE LA VIE ITAUENNE par MERY
(Paris, 1837. 1 voi. in-8, fr. i5 ).
Non v' ha paese che sia stato così frequentemente visitato
come la nostra Italia, che abbia avuto 1' onore o fors' anco la
sventura di tanti viaggiatori e vagheggiatori stranieri , che ab-
bia destate tante reminiscenze , suscitate tante critiche , tanti
voti , avuto in una parola tante descrizioni. Essa viene ancora
oggidì chiamata la terra classica delle belle arti , e delle ri-
cordanze d' ogni maniera sia di azioni guerriere , che d' isti-
tuzioni civili , come di forme politiche. — E questo vanto si
continua tuttora concedere all' Italia , sebbene essa non sia
più da gran tempo il centro della civiltà europea , ma sibbene
il movimento della società e dell' industria sia passato in altre
contrade. Con tuttociò convien dire che la materia allo scri-
vere sopra questa bella Italia non sia ancor esaurita del tutto ,
poiché ancora in oggi viene il sig. Méry a confidarci le me-
morie del suo viaggio : memorie eh' ei ci trasmette conformi
alle sensazioni che provò facendolo , ridondanti di entusiasmo
e di poesia.
584
Il sig. Méry per altro è uno di quei discreti viaggiatori che
si souo accorti che ella è ormai cessata , o che almeno cessar
dovrebbe quell'antica smania di cercare in Italia scene di de-
gradazione o morale o politica o religiosa 5 di quelle narrazioni
di tradimenti, di assassini! e di lascivie, che da Rogero Ascham
precettore della regina Elisabetta d' Inghilterra in poi , che
visitava l'Italia nel i58o, servirono sempre sino a' dì nostri di
prediletto argomento a tutti i viaggiatori , a tutti i romanzieri
ed a tutti i poeti. Erano le bellezze d' Italia per questi non
sempre casti ingegni , come bellezze di cortigiana che si di-
spregiano mentre si osservano, sicché fu generoso per un poeta
italiano rimprocciare la natura che avesse fatta 1' Italia cosi
bella e non più forte.
Il sig. Méry non si rese colpevole di questo oltraggio, e co-
noscendo d'altronde quante volte l'Italia sia stata descritta,
volle risparmiare ai suoi lettori la noia di queste ripetizioni ,
e si contentò di ritrarre alcune scene di cui egli stesso fu testi-
monio oculare. La sobrietà del sig. Méry non fu però tale e
tanta ch'egli non abbia pur anco voluto risovvenirci di alcuni
tratti della storia , e di trasportarci alle gloriose epoche di
Roma , e delle altre famose città italiane. Egli in ciò non potè
affatto sottrarsi a quella necessità fatale che sente chiunque
visita r Italia , non eccettuato neppure quel così nuovo e ro-
mantico ingegno del Byron , di non potere cioè calpestare la
terra d' Italia senza sentir fremere le ossa de' suoi grandi tra-
passati, e senza curvare foss' anco involontariamente la fronte
dinanzi alla conquistatrice del mondo.
Le pagine del sig. Méry, com' erano le giornate del suo viag-
gio sparse di sensazioni vivide, così sono ancor esse infiorate
di alcune poesie, e queste sebbene mal potrebbero resistere ad
una critica severa, pure tramandano un fuoco d'ispirazione,
e tal sentimento d'indipendenza da ogni scuola esclusiva, che
non ponno a meno che giunger gradevoli e ricercate. Merito
singolare in un tempo in cni la poesia si mostra così meretri-
cia , così servile , cosi guasta da pretensioni !
Il medio evo , la prosperità eh' esso per alcun tempo pro-
cacciò colle sue savie istituzioni municipali e commerciali , lo
385
splendore principaluiente eh' esso col mezzo delle arti diffase
suir Italia , formano i più cari oggetti dell' ammirazione e del
pennello del sig. Méry. Ella è soprattutto mirabile una pittura
ch'ei fa della maraviglìosa attività di Michel Àngiolo, dì questo
genio moltiforme, che maneggiando ora il pennello, orlo scal-
pello , ed or la cazzuola sapeva ad ogni tratto creare nuovi
capi-lavori , e seminava nel suo cammino dijginti divini , cat-
tedrali gigantesche , palagi magnifici e fortezze terribili. Resi
questi tributi alla potenza del genio italiano j il sig. Méry noa
può trattenersi dal ritornare sovente a contemplare la gloria
degli antichi romani , e le reminiscenze di quell' Impero si ri-
scontrano molto e forse troppo spesso nel suo libro. — Ma
queste dipinture dell'antica Roma divengono però più interes-
santi per lo bellissimo contrasto in cui le son poste colle de-
scrizioni della Roma moderna ^ che il sig. Méry [ci rivela in
una maniera assai arguta. Egli in particolare riferisce alcuni cu-
riosi annedoti sopra certi antiquarj e sopra alcune manufat-
ture che in Roma si sono aperte collo scopo di soddisfare le
loro innocenti manie , speculando sopra una credulità omai
divenuta proverbiale , ma che in sostanza a' dì. nostri è giunta
per buona sorte al suo tramonto.
Il fato poi di Ercolano ispirò al sig. Méry una specie di
cantico , dove si trovano di molti sublimi concetti , sebbene
però gli si possa rimproverare una soverchia licenza nella de-
scrizione di un' orgia , i di cui attori vengon sorpresi in mezzo
ai fescennini loro trasporti dalla lava ardente, e periscono sof-
. focati sotto una pioggia di cenere. ■ — Dante istesso non avrebbe
potuto immaginare un castigo ed una catastrofe più conve-
niente a quelle turpitudini. Ma se i sani intelletti trovano a
ragione riprovevole l'intemperanza di sifatte immagini; egli è
però dal Iato dell' arte non men vero che il contrasto di si-
mili delirj voluttuosi, di cotesti amori sfrenati , accanto a tutti
i terrori di una catastrofe , che viene a colpire come una no-
vella Pentapoli un' intiera città co' suoi abitatori, e a cancel-
larla dal novero delle altre città e a seppellirla per dir cosi
qua^ vivente ,• è tale un argomento che non manca sicuramente
di forti colori di sublime poesia.
982
Da quéste scene orribili suscitate dalla contemplazione del
Vulcano e dalle rovine di Ercolano, e che rappresentano la
natura fisica e la natura morale in disordine , il sig. Méry è
chiamato da un genio più mite a descrizioni più placide e ral-
legratrici. Arrivato alla bella Firenze , egli ci narra con quale
amabile ospitalità egli vi sia stato accolto dalla celebre Cata-
lani, che non sono ancora molti anni e prima della Malìbrau
teneva il seggio tra le rinomanze teatrali, e peregrinando famo-
samente da una capitale all'altra, recava col suo canto torrenti
d'armonia ai più squisiti dilettanti d' Europa. Questa donna
vive ora ritirata in una sua magnifica villa, che divenne il ri-
trovo di tutte le celebrità di Firenze, e prosegue a coltivare
tuttavia col più costante amore quell' arte , che le procacciò
tanta fama e ricchezza. La sua casa è un tempio consacrato alla
musica , ed il poeta francese descrive con una specie di estasi
le pure e soavi armonie di cui si è innebbriato in quell' incan-
tevole soggiorno.
Ammiratore fedele poi di tutto ciò che si riferisce alla fa-
miglia Bonaparte , il sig. Méry visita nel suo viaggio e la ve-
dova di Murat , e il principe di Montfort , e il conte di San-
Leu, e la madre dell'Imperatore; e mentre suscita in questo
modo soprattutto pe' suoi concittadini mille memorie, ricorda
eziandio alcuni tratti interessanti sopra questi rottami di una
dinastia , il cui regno fu a guisa di meteora , così splendido
e cosi fugace. Ma egli è a questo proposito che taluno rim-
proverò il sig. Méry di avere in tali argomenti fatto uso di
frasi contorte e snaturate per dare un colore più energico ed
una gagllardia più concitata alle sue espressioni. — Poteva
forse esser lecito , chiesero alcuni , di tor a prestanza dai trivi!
e dalle caserme lo sconcio e barbaro loro linguaggio , unica-
mente perchè talvolta esso è energico ed ardente ?
Da ultimo il sig. Méry col titolo di varietà ci dà in fine
del suo secondo volume alcuni piccioli capitoli assai piacevoli ,
che mostrano qual fino conoscitore egli sia degli usi e delle
caricature della società presente. In uno di questi capitoli ap-
punto si contiene un dialogo fra due commessi- viaggiatóri ,
improntato con una evidenza prodigiosa d' insulsaggine e di
387
jattaiiza. — A fare una pittura cosi naturale e fors' anco un
po' troppo pungente , convenne che il sig. Méry , come Alfieri
nella sua satira sul ceto medio , avesse in questa classe di per-
sone trovato il terzo stato del terzo stato, e un fondo d'igno-
ranza, di saccenteria, di tornaconto, di simulazione e di liber-
tinaggio , sotto il colorito di una disinvolta gentilezza , dì una
elegante ed aggraziata officiosità. — Se si possono desiderare a
questa porzione di gioventù, che potrebbe essere così utile non
solamente al commercio , preso nel più stretto suo significato ,
ma eziandio ad una maggior diffusione d' ogni più colta ma-
niera di umano consorzio ; una maggior istruzione e più buona
fede e maggior naturalezza, non si deve però mai tanto di-
scendere sino a rappresentarla con tinte così odiose. Un carat-
tere tanto affliggente, una natura, bisogna pur confessarlo,
cosi stolida , come quella che piacque al sig. Méry di cogliere
sul fatto guidandoci a sentire un dialogo di due commis-voya-
geurs ; è un quadro troppo caricato per essere istruttivo.
In tutto questo libro pertanto , come si può argomentare da
quanto si è detto fin qui , non v' ha gran cosa che giustifichi
il tìtolo di Scene della vita italiana che gli fu dato. Le sue
descrizioni si riferiscono all' antichità piuttosto che alle cose
presenti, vi si è fatta troppa parte all'immaginazione, piutto-
sto che alla ragione ed al sentimento ; ed insomma quelle
descrizioni per quanto brillanti possano per un momento ap-
parire , sono però ben lontane dal contentare le menti dei let-
terati, e diciamolo pur anco dei poeti stessi della nostra etàj
sono poi soprattutto ben lontane dall' interessare le simpatie
e le tradizioni degli italiani.
Severino Battaglione.
388
COMMEDIE DI CABLO NOTELLIS
(Torino, 1837. Tipogr. Favate ).
Sì è osservato con piacere che in queste tre nuove comme-
die il sig. Novellis ha migliorato il suo stile. Noi vorremmo
poter anche notare un somigliante progresso nell'intrinseca loro
composizione j ma da questo lato le tre prime commedie che
mandò alla luce ci sembrano ancor superiori a queste che ora
ha pubblicate. In generale però la composizione è ben dispo-
sta, ma vi si sente ancor troppo il difetto di novità e d'inven-
zione. Sempre, ma adesso principalmente perchè una comme-
dia sia buona, bisogna che l'argomento, l'intreccio, gli acci-
denti , lo scioglimento , il linguaggio persino siano nuovi , e
che ogni cosa giunga rapida al suo scopo. Se non vi sono con-
trasti di affetti e di passioni, se da questi contrasti non sgor-
gano spontanee le situazioni, se lo sviluppo è presto preve-
duto o giunge troppo strano ed inverosimile ; sarà sempre im-
possibile che una commedia piaccia , commova od istruisca.
Gl'indugi nell'azione, le lungaggini nel discorso, la trivialità
o la trascuranza della frase , bastano per renderla fredda, o
farla cadere. Perocché l'espressione ed i pensieri plateali non
piacciono ora nemmen più alla platea. La platea desidera e si
aspetta al teatro di essere inalzata ad una sfera che sia ancor
naturale sì certo , ma che sia più colta , più eletta dì quella
in cui vive solitamente. Altrimenti il povero spettatore benché
al teatro si crederà dannato tuttavia a voltolarsi nelle abbiet-
tezze della vita comune.
Chi pertanto si toglie in oggi il difficile incarico di dilettare
altrui scrivendo commedie , non si persuaderà mai abbastanza
che i caratteri da lui tratteggiati deggiono presentare almeno
389
qualche lato che sia originale , che deggiono esserejntieri , non
troppo comuni o sbiadati ; che questi caratteri e gli avveni-
menti tutti del dramma devono riferirsi ad un' epoca speciale,
a questa od a quell' altra condizione di esistenza individuale ,
domestica o sociale ; che in somma la commedia è un qua-
dro che per far effetto bisogna che sia dipinto con colori vi-
vaci, risentiti, spontanei e locali. Tutte queste condizioni che
non sono tanto proprie dell' arte come della natura e' bisogna
che si trovino in chi vuol scrivere oggidì una buona commedia ,
una commedia italiana soprattutto. Se nel sig. Novellis non
possiamo per ora ancor veder tutte riunite queste condizioni ,
alcune però ei senza dubbio già ne possiede , e quella fra le
altre di saper descrivere i costumi di una data circostanza , la
fece spiccare nella picciola commedia del Cholera-Morbus. De-
sideriamo pertanto che come il sig. Novellis pensò a migliorare
la forma , così dia pur anche opera a rendere la sostanza delle
sue commedie più vivace e più interessante.
Difficile , convien pur dirlo , più assai di quello che comu-
nemente si pensa , difficile , è divenuta oggidì 1' arte di dilet-
tare. Perciò conviene più che mai che i concetti dello scrittore
comico siano schietti , intimi , psicologici , se parlando di com-
medie si può usar questa espressione. In generale , torniamo
a dirlo, l'orditura delle commedie del Novellis era buona, il
disegno anche per lo più ben ideato, certa ricchezza d' intrec-
cio si scorgeva pur anco principalmente nelle prime e nel Pal-
mer'^ il materiale insomma di una commedia c'era ed era an-
che buono, ma dove si trovava poi l'anima, il brio, il colorito
che le desse vita , movimento e calore ? Perchè soprattutto i
concetti non sono maggiormente cospersi di quel vero sale co-
mico , che è pur tanto necessario per poter ancor pizzicare le
nauseate abitudini dell' età nostra ?
Oltrediciò lo scrittor di commedie deve di già aver avver-
tito , che il sommo dell' arte pare oggidì che consista nel (co-
gliere sul fatto , od anche nel far sorgere per mezzo di con-
trasti impreveduti e ben maneggiati le ridicolaggini del secolo ;
e ciò appunto perchè non v' è forse mai stata un' epoca come
questa , nella quale gli uomini sì studino e si sforzino tanto a
590
coprire e ad evitare il ridicolo. Altrimenti leggendo od ascol-
tando la lunga sequenza de' dialoghi di una commedia , e' ci
parrà sempre di assistere ad una dì quelle tante conversazioni ,
a cui sappiamo bensì di essere presenti , ma che non c'inte-
ressano poi mai tanto da non lasciarci a più riprese pensare
a tutt' altro.
Vogliam credere che l' ingegno del sig. Medico Novellis sa-
prà preservarci da queste distrazioni troppo certamente inur-
bane per un autore, e massime per un autor comico; e gli
saremo quindi grati se continuerà ad impiegare i suoi ozj me-
dici nel porgerci colle sue commedie una medicina salutare e
piacevole contro le noje ed i difet|,i della società che viviamo.
Così il Novellis verrà contribuendo con Nota, con Brofferio ,
e con Gindri a sicurare al Piemonte la gloria di essere nel
produrre delle commedie la più feconda tra le nazioni italiane.
— Per noi che ravvisiamo nelle produzioni drammatiche di
ogni sorta un ufficio più alto che quello del semplice passa-
tempo , bastano questi pochi tratti e generali ; e lasciamo a chi.
si appaga dei loro minori ufficj di fare di queste commedie del
Novellis una più minuta analisi ; dalla quale potranno forse
emergere pregj o difetti che a noi sono sfuggiti. Però noi di
esse e dei loro particolari non diremo più altro che il titolo,
onde quando avvenga che siano nominate o rappresentate il
nome del loro autore anche fuori del Piemonte sia subito co-
nosciuto. — Il titolo dunque delle commedie precedentemente
pubblicate si è : Mio marito e mia moglie. — / due viaggiatori
al Pompejano. — Un giorno prima. Quello delle recenti: —
Palmer ossia L'uomo del mistero. — Giungere in buon punto
ossia // padre e l' amante. — Un caso strano ossia II Cholei'a
morbus.
391
Mk Slrti
Lettera X.
MUSICA VECCHIA E MUSICA NUOVA
.^-iaKriSr»
Carissimo Amico,
Un autor che cent' anni ha che morio
Ripor dovrollo fra gli antichi e rari ,
O fra i moderni e vii degni d' obblio ?
Quest' articolo prima si dichiari.
OnAZio. Trad. del Pallavicini.
Il vecchio ed il nuovo , l' antico ed il moderno talora si fan
guerra accanita, talora gareggiano onestamente per le preten-
sioni che hanno all' ammirazione e riconoscenza degli uomini.
Talvolta soverchiansi e calpestansi , talvolta sembrano accordarsi
e far pace forse per meditar nuove guerre , onde con queste
alternative e riempiere que' vuoti che formansi nell' ozio o di-
fetto de' grandi e potenti ingegni , e dar da dire e da fare ai
mediocri. Ed in questi frattempi infecondi voi udite a dire : gli
antichi poco seppero , poco inventarono , retrocessero anzi che
avanzare ; giganti sì nelle arti e nelle lettere , ma pigmei nella
scienza e nella civiltà. I moderni all' opposto sempre avanti ;
ogni secolo, ogni età , ogni anno una scoperta, un'istituzione,
una nuova luce ; progresso contìnuo — Così si dice ed anche
viceversa. Poi si viene ai paralelli , i quali , senza contare che
sovente peccano d' ingiustìzia e parzialità , sono sempre difficili
a farsi. E per fargli bene bisognerebbe conoscere a fondo tutta
392
Tanticliità e tutta la modernità, (mille perdoni), e pesarle in-
sieme con equa bilancia. Ma come peseremo tutto l'antico se
non 1' abbiamo cbe mezzo ? Quanti volumi , quante cognizioni
degli antichi perdute attraverso de' tempi ! Sarebbe lo stesso
cbe bilanciare il patrimonio d' un infelice o spensierato pa-
drone con quello d' un fortunato e provvido fattore. Voglio dire
che bisognerebbe rendere agli antichi tutto il perduto del tempo
passato , e tutto il rubato nel tempo presente , ed allora arri-
schiarsi a questo bilanciamento.
D' altra parte ( lo dirò a gloria nostra ) non corrono ne an-
che più que' tempi semibarbari in cui il merito della novità
sostenevasi sul dispregio dell' antico , in cui ogni innovazione
o scoperta era una scena di scherno per le cose vecchie , in
cui gli spiriti frivoli e deboli sotto il modesto titolo di forti
con tirannia neroniana o tiberiana che fosse, ci volevano dell'
antichità per fino cavar di capo la memoria. Questi tenebrosi
intervalli passarono , e con nostro conforto vedemmo invecchiar
bambine le sciocche novità, e ringiovanire molte delle vecchie
e dispregiate cose. E ciò in generale. In quanto alla musica poi
bisogna confessare che i suoi tempi grossi od intervalli batta-
glieri corrono proprio adesso. Ella di tutte le arti forse la più
giovane entrata è pur dianzi nell'agone de' cimenti e delle prove,
mentre le altre sorelle già ne uscirono vincitrici. Abbandonata
da' suoi a tutto il rigore della sua sorte , gettata nella funesta
arena tra' concordi ruggiti e le affamate zanne di mille belve
mostruose e crudeli , nella prima lotta che sostiene , nella
tenerezza della sua età mi fa compassione e m' invita a pre-
starle soccorso. Ond' io mosso a sì umana opera mi rivolgo oggi
a coloro che la spregiano sotto titolo dì vecchia , o per dir
meglio la straziano in antica e moderna , per sapere da loro
medesimi quale e dove sia il confine che l' una dall'altra di-
vida. Siccome la musica non ebbe ancora il suo medio evo dòpo
che gli italiani la rigenerarono , né epoca di morte o risorgi-
mento ( eccettochè non sia adesso ) finora non si è notata nella
sua storia 5 così sarebbe da vedere dove colesti limiti s' abbiano
a porre. Da Pergolesi o da Metastasio sino a noi , due estremi
del nostro periodo musicale, a qual anno, a qual giorno diremo :
595
i^ìiì finisce la vecchia a eoraiiicia la uuova musica?.... Senio
fischiarmi nell' orecchio Rossini , riguardato da inoderni come
autore o capo d' una nuova musica. Sia dunque l' eccellente
nostro Pesarese fine e principio delle due musiche , sìa egli il
padre canentium cythara alla moderna. Certo io, che si gran
maestro non ha coteste pretensioni , mi fo lecito di chiedere
ancora una volta ai nemici della musica detta vecchia se a sif-
fatta epoca sia accaduta rivoluzione o ristorazione nel regno
musicale ? Rivoluzione a mio parer non si è fatta ; poiché la
teorica è pur quella d' una volta , i principi son sempre i me-
desimi j nessun genere, nessun tuono, nuove modulazioni «
passaggi non si sono aggiunti. Che se nella pratica si volessero
vedere grandi mutazioni e gran divario tra il vecchio ed il
nuovo , vi sarebbe rischio di veder lucciole per lanterne. Lo
stile , la maniera , il metodo che un maestro sceglie , per di-
versi che sieno dagli antecedenti , fossero anche gli ottimi ,
non possono immutare i principi dell' arte , altrimenti tante
rivoluzioni dovrebbersi contare , quanti sono i grandi compo-
sitori italiani e stranieri. Perciò se niun de' moderni trova ri-
voluzioni musicali , né in Pergolesi , né in Sacchini , né in
Paesiello , né in Mozart , né in altri nel loro genere e stile
eccellenti , nemmen .può trovarne una in Rossini, O molte bi-
sognerà ammetterne o nessuna. Tanto meno i moderni vor-
ranno vedere nella mentovata epoca una ristorazione , siccome
Quella che nota un ritorno alle cose antiche , un rinnovamento
di quanto era disusato od invecchiato. Niun di loro crederà
avere Rossini ristabilito la vecchia musica , richiamati i sem-
plici e sicuri metodi de' prischi maestri , ridonateci le opere
veramente serie e veramente buffe ; quantunque a dir vero ab-
bia egli in alcune delle sue prime e comiche composizioni
molto dell' antico ritenuto o rinnovato. Ma se rivoluzione non
«i è fatta , e la ristorazione è ancora da farsi (" e si faccia, pur
presto ) , dunque questa linea divisoria non esìste , dunque è
sciocchezza chiamar musica vecchia quella che precede Ros-
sini , e torcerle il muso come a cosa rancida e fetente. Se vo-
glionsi segnar confini in musica , si segnino tra la buona e la
eattiva, tra l'espressiva e l' insiguificanle, tra 1' armonia ed il
394
fracasso, e poi si tiri avanti a chiusi occbl. Sia scritta jeri o<l
oggi, l'anno scorso o dieci anni fa, purché sia buona si ascolti
e si rispetti.
Che ve ne pare, amico dolcissimo, o dulcissime rerum,, che
fiate, che ve ne pare? Ora dite voi, che io starò zitto. —
Poesia vecchia e nuova , letteratura vecchia e nuova , tragedia
vecchia e nuova. — Anch' io posso rispondere sullo stesso
tuono : scarpe vecchie e nuove , abiti vecchi e nuovi , mode
vecchie e nuove colla differenza che il mio vecchiume
cede sempre alla novità , ed il vostro tien sempre il campo ;
perciò se la musica non già colle scarpe e cogli abiti logori ,
ma colla poesia e letteratura vecchia debbo stare, siccome non
negherete, io sono con voi Eppure no, perchè voi siete
persuaso che la musica nuova è migliore della vecchia , e che
mentre la vecchia poesia e letteratura e pittura tiene il campo ,
la vecchia musica noi può a petto della recente. Hic fossa est
ingens! Molti ho io uditi a parlar come voi, cioè ad asserire
che la musica de' tempi nostri è migliore di quella de' tempi
andati,- ma ragioni di tale asserzione né buone, né cattive noa
ho mai udite, se non vogliam però tener conto di quella che
dice, la musica vecchia non piace più. Ultima rado. A colora
che a siffatta ragione s' appoggiano , potrebbesi rispondere che
quando essi e i tempi risaneranno, tornerà a piacere; poiché
se Dante e Petrarca e tutti i classici nostri , cessato il falso
gusto, furono di nuovo gustati, anche Pergolesi e Cimarosa
coi loro colleghi , cessato il fracasso odierno, sarau nuovamente
ricercati.
Ma a que' pochissimi poi che credono la vecchia musica in-^
feriore alla nuova non per il vago effetto del piacere , ma per
merito intrinseco io dirò : confrontiamo lo scorso secolo col
nostro per vedere se la cosa è così e poi sentenziamo. Parago-
niamo p, e. i maestri , le opere e gli uditori , e vediamo se
mai siavi differenza tale da conchiudere che questa o quella
musica è migliore. Ciò (drò io più brevemente che potrò. Ed
in quanto ai compositori del secolo andato furono essi uomini
d' ingegno o no ? voglio dire uomini nati e fatti dalla natura
per la musica . siccome sono i moderai ? Che la maggior parte
395
di es8Ì dati siensì a questa professioue invita Minava , ed ìr
vece di promuovere ed illustrar 1' arte , 1' abbiano inceppata o
profanata come oggi si fa , chi ha letto la storia noi crede. Auzi
egli è bello 1' osservare come da un po' prima dei tempi me-
tastasiani sino al cominciar del corrente secolo tutta la vec-
chia scuola italiana colla tedesca siasi affaticata a tener accesa
quella face musicale che ad ognuno rischiarasse la via del bello
e del vero. Oscuro intervallo , o vuoto mai non fu j anzi nei
tempi a noi più vicini crescere sì vide la luce per opera di
Paesiello e Gimarosa , che gli ultimi stati sarebbono della bella
schiera ove Majer e Paer e Cherubini non l'avessero conti-
nuata. Tutti quanti grande ingegno e fantasia ed invenzione o
(quel che più monta) filosofia nel comporre mostrarono, tutti
dissimili tra sé , ma tutti nel genere loro e stile e maniera più
o meno perfetti. Che se alcuno è maravigliato dal grido che
levarono i nostri finora pochi moderni , drizzi per un poco gli
orecchi per udire l'eco dell'universale fama che Gluck e Hasse
e Piccini e Marcello e Porpora e Sacchini e Haendel e Pae-
siello , e Paer con molti altri godettero per tutta Europa ,
ascolti le italiane melodie in Londra, in Parigi, in Vienna, in
molte parti di Germania e nella Russia pur anche , e le tede-
sche armonie che con italiane parole con quelle gareggiano per
tutti i teatri e le corti e le cappelle europee. Tutti i vecchi
maestri furono per grido i Rossini de' tempi loro , tutti usci-
rono dalla patria ricercati , pregati , premiati , trattenuti con
grossi stipendi 5 così che in questa parte per nulla debbono
credersi inferiori a' moderni.
Ma il merito de' compositori meglio si conosce dalle opere
loro , e le opere della vecchia scuola sono tali e tante che non
temono il confronto delle moderne. Non fa bisogno che io qui
vi nomini i migliori spartiti del secol nostro, il Barbiere, il
Mosè, la Norma ecc. 11 periodo presente è ancora troppo breve
per paragonarlo con tutto il secolo passato ; solo i nipoti no-
stri potranno confrontare i due secoli musicali , supposto che
la presente scuola possa come 1' antica toccare felicemente il
fine del nostro ottocento. Allora i giudiziosi ed imparziali po-
steri messi sul leggio la Serva padrona, V Oilmpiarie ^ 1' ^^*~
396
ma , la Nina Pazza ecc. ecc. dcciderauno quale de' due secoli
avrà prodotti più capì d'opera. Ciò riguardo alla quantità; ma
x-ispetto alla qualità delle due musiche potremmo decidere qual-
che cosa anche noi , pensando che forse forse non saremo pre-
senti al giudizio della posterità in questa parte. E precedano
i giudizi nostri le autorità altrui. La prima è di uno di que'
cotali che nella varietà de' tempi mostrano poca fermezza ne'
principi loro, e lasciandosi aggirare dalle novità sono costretti
a darsi iper inconseguenti (scusate il termine ) ,• l'altra è d'uno
molto più fermo in musica. Il sig. Garpani già da me lodato ,
pieno come era della vecchia scuola , sul cominciar dell' età
presente , mentre il nuovo Ercole della moderna musica era
ancor in fasce , davaci una galleria de' vecchi compositori , la-
voro che provaci il suo musicale e pittorico sapere. In questa
galleria ( ved. le Hajdine ) trentadue maestri disposti in or-
dine di merito vengono assomigliati e sopranomati dai più so-
lenni Pittori; Pergolesi è Raffaello, Gluck il Caravaggio, Pi-
cini il Tiziano, Sacchini lil Coreggio, Haendel il Michelan-
giolo , Cimarosa è il Veronese ecc. Ciò a suo parere e gusto
significava che i posti d'onore eran presi, e che i futuri e na-
scenti maestri dovevano contentarsi dei secondi e dei terzi.
Onore grandissimo in verità alla vecchia scuola ! Ma troppo
presto ei giudicò. Sorse Rossini e dietro lui il bravo Merca-
dante, i quali dovevano essere in luoghi distinti collocati. Come
fare? . . . Snicchiare i vecchi? Collocare i manieristi ( così chia-
mava egli i contemporanei ) accanto ai Raffaelli ed ai Tiziani ?
No certo. Si chiude la vecchia pinacoteca, e se ne apre un'altra
di nuovo gusto , la quale molto diversa nel disegno e colorito
dalla prima , lascio a considerare a voi di quali nomi pittorici
8Ì vorrà fregiare. Io per me entrato per un buco nella galleria
vecchia non invidio la nuova ^ e prendendomene delle grandi
satolle , mi provo anche a rompere i chiavistelli ed a sganghe-
rare le porte per aprirne 1' adito agli amatori.
L' altra autorità è quella che Carlo Botta ci somministra sul
finire della sua storia d' Italia (lib. 3o ). L'illustre Storico dopo
d' averci detto a proposito di Metaslasio , che la vecchia mu-
sica aveva toccata la perfezione per i' unità e la semplicità
397
•ad' era condotta « quella , soggiunge , era veramente musica
« italiana, possente per semplicità , per grazia , per verità; la
)• melodia padrona , 1' armonia serva , 1' armonia che non fa
» effetto se non quando imita la melodia , i mezzi meccanici
» lasciati a chi callose orecchie ed insensibile cuore ha . . '. ;
» Omero e Virgilio e Raffaello si erano trasfusi in Paesiello
» ed in Cimarosa, ed in tanti altri compositori di quel tempo,
» che veramente si può e dee chiamare V età dell' oro per
n la musica .... La maestria e la vera arte non consistono
» nel far monti di note » Queste ultime parole mirano
la musica moderna intorno alla quale giova leggere il seguito
del citato frammento, e fermarsi un poco su quel pesce pa-
stinaca senza capo e coda , o sul mostro d' Orazio con testa
d' uomo e collo di cavallo. Giudizio alquanto rigoroso ma vero.
Ma Itisela ndo altri pareri e giudizj usciti da pochi anni in qua
intorno alla musica presente , io contento solo di non trovar
la vecchia inferiore alla nuova, direi, per ridur tutti i pregi
comparativi ad una formola , che l' antica è molto espressiva e
significante , e perciò molto commovente ed efficace. Poiché
tolta r espressione , che vale paragonar la semplicità di quelli
colla copia di questi , lo stile de' vecchi con quello de' giovani,
il parco uso degli stromenti d' una volta col lusso della mo-
derna orchestra ? Bisogna guardare se lo spartito ha detto ciò
che doveva dire in qualunque modo 1' abbia detto. Ora egli è
certo per chi 1' antiquata musica conosce , che i compositori
del settecento molto studiavano e badavano a cotesta espressione,
a cotesto efficace linguaggio che va dritto a ferire nel suo scopo.
E chi non udì a parlare del Misero pargoletto , del 6'e cerca
se dice, o di quell' altro che spesse e molte lagrime espresse:
Quando senti spirarti sul volto ? Io noi so , ma bisogna bea
che piangessero i Parigini all' Edipo di Sacchiui , di cui non
conosco più tragico compositore , od alle commoventi IJigenie
di Gluck , di cui fu detto che avesse rinnovato il dolore an-
tico!. Questo buon Tedesco aveva due massime nel comporre:
la prima era quella di spendere anche un anno intorno ad un'
opera ; la seconda era di dimenticarsi nello scrivere d' avere
studiata la musica. E veramente quest' arte pare che sia fatta
598
più pei cuore che per gli orecchi , più per scuotere e dilettare
l'anima che per lacerare od intronare i timpani e i nervi acustici.
La musica fragorosa ai soldati . e 1' insignificante ai baccani
Campestri lasciavano i nostri sensibilissimi antenati. Ciò tanto
-è vero che Bellini quantunque acceso di tutto il sicilian fuoco
volle la nuova armonia dal fracasso ricondurre all'antica espres-
sione. Più felice se il secolo non l'avesse guasto , o se più lunga
«;tà campo gli avesse dato ad emendarsi ! 11 poco bene che
fece fruttò per altro gran male, voglio dire una male intesa
imitazione. La mancanza poi o decadenza di questa musicale
espressione credo essere venuta principalmente da non so quale
convenzione lentamente intrusasi tra musici e poeti , o tra que-
sti e gli uditori. Se Demostene e Tullio avessero voluto prima
di recitare que' solenni discorsi intendersi col popolo o coi
giudici o coi magistrati su quanto potevano o dovevano dire ,
io credo che invece di capi-lavori avremmo oi'a mostri d' elo-
quenza. Nelle moderne opere bisogna che siavi a quel tale
luogo quel tale pezzo o a due o a tre o a tutti , quella ca-
vatina j, quella cabaletta e che so io, altrimenti si arrischia
una carta. Insomma una convenzione in luogo dell'una e sem-
plice espressione vi è 5 tra chi siasi fatta non so. La vecchia
musica che non aveva convenzioni che col buon gusto e col
buon senso , era perciò più libera e disinvolta.
Ma egli può ancora avvenire che la nuova sia migliore della
vecchia , fatta ragione degli uditori de' due secoli. Può darsi
che perfino 1' acustica abbia fatti progressi tali da pochi anni
in qua che quanto pareva aggradevole agli avi nostri , ora a
noi non debba riuscire che ingrato e disarmonioso. Può anche
darsi che gli uditori de' tempi andati bevessero grosso, e se
ne lasciassero imporre dai maestri 5 altrimenti come potrebbe
essere che la musica da loro gustata e giudicata buona , anzi
ottima a noi non debba più piacere ? In verità che questo so-
spetto mi mette paura ! Per levarmela voglio un po' conside-
rare le acustiche disposizioni de' nostri buoni maggiori. Io non
chiamerò in sussidio di quest'analisi né le arti, né la filoso-
fia , né le lettere del secolo andato , siccome un po' lontane
dagli organi udi torli. Venga solo la poesia siccome sorella ed
399
ausiliare della musica , quella poesia che Metastasio e Zeno e
Patini e MalFei e Alfieri e Manfredi e Pindemonti collo sta*
dio ■de' classici ristorarono in Italia , e la poesia lirica e dram-
matica principalmente, e con essa la goldoniana commedia. E
venga pure senza timore alcuno perchè debbe sapere che è la bea
venuta anche nell'età nostra , quantunque stordita da un verseg-
giar boreale. Ora , dico io , questa poesia che noi teniamo
ancor buona , fu ella gustata e sentita da' nostri vecchi o no?
Ebbero essi buon gusto e senno nel dilettarsene e nell' ammi-
rarla o no? E quel che più monta udirono essi con intelli-
genza e discrezione le delicate armonie di Metastasio , e le più
robuste di Alfieri ? Sicuramente. Dunque avevano buon orec-
chio e buon gusto. Ma se eran ben disposti per la poesia, per-
chè noi dovevano essere per la musica ? Se mostravano tanta
intelligenza per Parini ed Alfieri e Goldoni , come mai al me-
lodramma potevano diventar ostrogoti ? Chi è barbaro per la
musica , forza è che sialo pure per la poesia e 1' eloquenza ;
un orecchio imperfetto o mal disposto alle armonie poetiche,
lo è pure alle musicali. D' altra parte se noi non abbiamo an-
cora riprovata la poesia del settecento perchè ne riproveremo
la musica ? Perchè chiuderemo 1' udito a tante opere che nell'
arringo della civiltà gareggiarono con tutte le buone produzioni
del secolo passato ?
Ora che mi son tolta questa paura me ne viene uu' altra.
E quale mai? Amico mio , domando segretezza ; ciò stia tra noi.
Ho paura che non gli avi , ma i nipoti sieno gli ostrogoti. Oh
m' intendo in musica , sempre in musica , perchè nelle altre
cose non potrei asserirlo sì presto. E non vi pare che le fa-
coltà acustiche de' moderni invece di progredire sieno retroce-
dute? Non vi sembra ritornata quella certa musica fiamminga
fondata sui ghiribizzi , e sulle cabale o cabalette che sieno del
contrappunto ? Anche quella era una musica di convenzione ,
anche quella vestivasi di melodie plateali Del resto la
colpa non sarebbe poi tutta nostra. Neil' intervallo che credesi
essere passato tra il vecchio ed il nuovo , i nostri tìmpani fu-
rono talmente storditi dal fracasso di tante artiglierie che po-
sero sossopra tutta Europa , che è miracolo grande il non es-
40^
•«ve diventati affatto sordi. Quali strepiti , quai frastuoni noa
ferirono il nostro tenero orecchio educalo nella musica mar-
ziale ! Di qui è che la musica preso quel non so che di ail4-
glieresco che ancora conserva a spavento de' timpani , me&tre
gli altri organi troyansi già in profonda pace. E questa se non
erro , potrebbe contarsi come 1' epoca della musica moderna.
Ma egli sarebbe ormai tempo di far pace anche in music».
Gessi il rumor della guerra musicale , cessi il fragore degli
stroraenti micidiali dell' orecchio , e torni la musica pacata ,
soave, affettuosa, lo preparerò i protocolli per la pace' musi-»
cale d' Kuropa. Poiché considerando che musica buona , origi-
nale e nuova più non si sente , e che la carestia de' composi-
tori è grande, e grande pure il pericolo di dover chiudere t
teatri melodrammatici , o di nausearli sempre colle medesime
opere ; considerando pure che inventare o sognare un' altra mu-
sica novissima è diffìcile , che adottarne una straniera all' Eu-
ropa , fosse anche la Cinese o quella degli Ottentoti, non con-
viene , che ripudiare o guastare quella che abbiamo è barba-
rie , e che rinunciarvi affatto non si può , si propone tìhe sia
permesso alla musica di ricominciare il suo periodo. Da capo,
e in due modi : uno col riprodurre le migliori opere del set-
tecento , l'altro coir imitarne i capi-lavori. Mentre i nuovi mae-
stri si addestrano a questa imitazione, e si preparano cogli
studi necessari, vengano sulle scene gli spartiti già belli e fatti,
che la generazione presente avida di novità troverà tutti novis-
simi e mai più uditi. Fuori le Nine , le Serve, le Zingare, le
Didoni, le Olimpiadi, le Ifigenie, e con esse il Mondo della
luna opera interessante, e che non teme le giunterie de' can-
Diocchiali. E che ? Credete voi questo ritornello una rivista alla
yecchia guardaroba di famiglia. La sia. Purché si faccia la
pace a molti non dispiacerà passare a rassegna i guardinfanti,
le armìUe, le zazzere, le cappe e le brache del bisnonno. Addio.
B.
'8
I>RI3I0 SAGGIO DI RIVISTA CRITICA 8U TORITHO.
! • '• • •''■'■ ■ìJh'?»« 'iwefj
. >it« cqoiun
L'ampia scala della scienza dell'economia politica ba per
primo gradino Teic^igLO^a di famigljla„ e per, ^jtiijio qu^l» dellA
grandi società. . r ..j .,, ,ii-, ,f.ni!; i >ij.'ìi'i1'ìa? a «i|mai
I progressi dell'umano intendimento, l'abolizione di anticlii
privilegi di alcune caste, il lavoro di tutti, contribuirono vali-
damente ai giorni nostri allo sviluppo dei veri principii dì
questa scienza , alla quale si deve per la massima parte lo stato
attuale della civiltà europea.
Le capitali degli Stati, centri di lumi, d'azione e di potere,
sono naturalmente destinate a segnare ad ogni epoca il vero
tipo del movimento sociale ; ma sgraziatamente le capitali
racchiudono in pari tempo nel seno loro tanti semi di corruzione,
che mal saprebbesi determinare se l'influenza loro sulla società
intiera non sia per avventura più nocevole che utile , se non
saranno un giorno per dare gravi motivi di temenza ai governi.
Queste città privilegiate, risultato necessario, ed inerente
alla natura stessa d'ogni società politica regolare, destarono ìa
ogni tempo la sollecitudine dei governi, bramosi di raccogliere
sopra un punto medesimo tuttociò che può far mostra di gran-
dezza.
Torino è senza dubbio una delle capitali d'Europa che eccitò
in ogni tempo, e a un alto segno l'ammirazion generale. Dopo
il ripristinamento dell'antica monarchia , questa città è pur anco
una di quelle che sotto gli auspizii de' principi della casa di
Savoia acquistò grandemente. Se fedele alle antiche tradizioni
402
la nazione piemontese si mantenne sempre in quell'eminente
grado che alla sua' dignità si conviene , la capitale a sua volta,
centro di tante utili instituzioni, non fallì giammai ai suoi illustri
destini.
Ciò nondimeno è da desiderarsi che il soggiorno di questa
Metropoli possa diventare più attraente, soprattutto per gli
stranieri avvezzi ad un movimento intellettuale e sociale molto
più vivo che non sia quello che in Piemonte riscontrasi. E
certamente non è già per mancanza degli opportuni elementi,
ma soltanto per difetto di un ravvicinamento più intimo delle
classi agiate della società che questa capitale presenta nella
Europa una vera anomalia. A ninno ormai può più tornare a
conto questa linea sevei'a di separazione, e meno forse ai governi
stessi che ai privati. E non è desso un fatto istorìco ad un
tempo e contemporaneo, che dovunque le classi della società
si mantennero per tal modo isolate, la civiltà vi rimase stazio-
naria, il che equivale a retrograda?
La creazione di un casino quale parecchie fra le principali
città d'Italia già offrono l'esempio , in cui tutta la colta società
\errehbe ammessa , dove i forestieri avrebbero l'opportunità di
conoscere i più illustri e distinti cittiadini d'ogni classe , ove
sarebbe dato di assistere talvolta ai conversare dei dotti di
primo ordine, sì nazionali che esteri, tale dorrebbe essere,
in senso nostro, il primo passo da farsi per operare una certa
qual fusione tra le alte classi della società , che sola può rav-
vivar questa Metropoli.
Per tal via si giungerebbe a conoscere, apprezzare e favorire
gì' ingegni e tutte le nobili inspirazioni del cuore umano, ed
in questi dilettevoli convegni il possente e dolce impero del
gentil sesso medesimo, utilmente diretto ad ingentilire i costumi,
potrebbe fare della nostra Torino uno de' più graziosi soggiorni.
Dopo questo rapido cenno sovra le sociali relazioni che ge-
neralmente si desidererebbe veder stabilite nella Piemontese
Capitale^ ci sia lecito di segnare di volo alcuni altri migliora-
menti materiali che avrebbero, secondò noi, i più felici risul-
tamenti non ■ solo pell'igieue, e l'economia domestica, ma ezian-
dio pelta stessa morale.
40!^
Ai giorni nostri sonvi ben poche città capitali in cui ogni
pubblico stabilimento, e persino ogni quartiere privato di una
qualche entità, non abbiano una o parecchie chiavi che som-
ministrino l'acqua necessaria per gli usi domestici , ed in coi
numerose e belle fontane non adornino le piazze , i giardini
e le passeggiate pubbliche.
Si dice che quest'idea non fosse già fuggita ai nostri maggiori,
ma che sia stata rigettata sul riflesso, che la città essendo in
allora munita di fortificazioni andava soggetta a sopportar degli
assedii, cui i nemici avrebbero potuto aggravare di molto pri-
vando la città delle sue derivazioni esteriori d'acqua potabile.
Potrebbesi rispondere che l'esistenza di un acquedotto per una
piazza da guerra non avrebbe mai dovuto far trascurare i pozzi
e le cisterne, le quali, ad esempio di quel che succederebbe
a Genova in caso d'assedio, avrebbero pur sempre assicurata
la popolazione contro la più terribile fra le privazioni. Ci pare
adunque più probabile che la mancanza di monumenti di tal
genere debba piuttosto attribuirsi alle guerre continue che negli
scorsi secoli travagliarono questa bella contrada , senza lasciarle
per così dire tempo ad occuparsi di cotali opere di pubblica
utilità, che non s'innalzano che all'ombra di una profonda pace.
10 non mi fermerò qui a provaie come i quattro quinti dei
pozzi attualmente esistenti in Torino somministrino acque pregne
di sali nocivi alla salute : è questo un fatto bastantemente
comprovato da molte analisi chimiche. Non starò neppure ad
esaminare quale potrebbe essere la derivazione più confaciente.
11 lago di Avigliana, le correnti della Dora e della Stura sono
tre serbatoi naturali da cui si potrebbe derivare a volontà per
mezzo di acquedotti un'acqua salubre.
La costruzione di un acquedotto, con tutti gli accessorii per
la distribuzione dell'acque nell'interno della città non sarebbe
di una spesa tale che non potesse venir abbondantemente coperta
dal prodotto della vendita dell'acque stesse. Certamente conver-
rebbe che il governo , per una disposizione amministrativa la
quale troverebbe un fondamento ragionevole ne' motivi d'igiene
pubblica, obbligasse i proprietarii delle case ad acquistar l'acqua
necessaria pell'uso dei loro pigionali. Ma tal carico non gravi-
404
terebbfi su di essi, ma bensì su questi ultimi, i quali troTe-
rebbero d'altronde un sufficiente compenso nella salubrità delle
acque , e nella maggior facilità pel servizio interno delle famiglie,
niteotre per altro canto si toglierebbero i numerosi inconvenienti
che il trasportar l'acqua a tutti i piani delle case, a braccia
d'uomo , in oggi produce.
Terrebbero quindi dietro quegli abbellimenti , ohe la Civica
Amministrazione , secondata dal Governo, recherebbesi certa-
mente a premura di proporre ed eseguire coll'adornare le pub-
bliche piazze di eleganti fontane , in mezzo alle quali , ad imi-
tazione di ciò che si scorge in quasi tutti gli Squares d'In-
ghilterra , vedrebbonsi sorgere vaghi gruppi di alberi , e dove
ameni tappeti di verzura alletterebbero gl'occhi del passeggiero
in oggi allontanatone nella stagione estiva dal cocente riverbero
di questi quasi brani di ardente deserto.
È questo, parmi , un soggetto degno d'esercitare la sagacità
dei nostri ingegneri , e relativamente al quale la Civica Ammi-
nistrazione dovrebbe prender le mosse, onde aver una base pre-
liminare per valutare i progetti che sarebbero senza fallo offerti
da società d'azionisti tosto che quest'utile idea fosse per essere
secondata dal governo.
La città di Lucca innalzò non ha guari un monumento di
tal genere che onora ad un tempo ed il Governo e l'Ammini-
strazione locale. La cinta fortificata della città fu trapassata col
mezzo di un sifone-acquedotto , di cui si ammira con ragione
il concetto. La derivazione fu presa alla distanza di due mi-
glia italiane in una valletta ricca di sorgenti che furono raccolte
in una sol massa per mezzo di un muro gigantesco chiudente
la valle, dietro il quale si ammontarono pietre e ghiaia a
guisa di filtro naturale. Noi tralascieremo di qui descrivere lo
grandi opere idrauliche per mezzo delle quali , e col movente
del vapore, le acque le più impure della Senna e del Tamigi
vengono innalzate, purificate, e distribuite in tutti i quartieri
di Parigi e di Londra , a tutti i piani per gli usi domestici ,
oltre di quelle che vanno ad alimentare le numerose fontane
che abbelliscono le piazze pubbliche, i parchi ecc.
Torino sinora differisce d'assai dalle altre capitali per la man-
405
eanza. di derivazioni d'acqua , e di monumenti d'arte, e questa
mancanza vi si fa soprattutto sentire ai forestieri. Gli antichi
aveano forse spinto tropp'oltre questo gusto, ma siccome la
salute de' cittadini , ed il genio delle arti vi si collegano , noi
non sapremmo dar loro biasimo per siffato lusso.
Mentre noi verghiam queste linee giunge a nostra notizia che
il Governo di S. M. approvò un'intrapresa per l'illuminamento
della città col mezzo del gaz. E questo un progresso che sarà
pienamente giustificato quando vedrassi prolungato per questo
magico artifizio il giorno , con una assai vistosa economia.
E ormai tempo di trattare un'altra questione che nell'inte-
resse delle famiglie e della pubblica morale merita l'attenzione
di questa capitale.
È cosa di fatto , pur troppo , che tutti i capi di famiglia ,
d'officine ecc. si lagnano in oggi delle persone di servizio e degli
operai in generale, la moralità de' quali è molto dubbia, e la
attitudine al servizio pochissima. Aggiungeremo ancora che a
Torino il numero de' servitori d'ambi i sessi è eccessivo , e che
oltre ad un quarto di essi trovasi di continuo senza padrone
ed in aspettativa , il che succede pressoché a tutti , gli uni
dopo gli altri , nel breve spazio di un anno. Il giuoco del lotto
è fuor d'ogni dubbio una delle precipue cagioni dello scadi-
mento morale di questa classe di persone , a cui confidiamo
nullameno ciò che abbiamo di più caro al mondo, la custodia
de' nostri figli , delle nostre case , e la nostra propria esistenza.
Le persone di servizio uscendo ad ogni ora dal tetto domestico
pei mercati e per le altre compre , che richiedono talvolta un
tempo assai lungo, e praticandosi vicendevolmente, ne nasce in
generale un sistema ordinato di mutua corruzione, nella quale
la sciagurata malattìa morale del lotto si mostra in prima linea,
e con delle conseguenze che ricadono quasi sempre a danno
della borsa se non della salute dei padroni.
Noi pensiamo che si giungerebbe a recare Un rimedio effi-
cace a questo grave male sociale se si potesse :
1° Ottenere dalla saviezza del Governo, se non la soppres-
sione totale del lotto , almeno un assai grande aumento al mi-
nimum della posta.
406
2.** Stabilire delle casse di risparmio sp«cialtueate destili;* t«
all'impiego di piccole somme.
3." Diminuire il numero dei servitori con agevolare per
ogni via il servizio interno delle famiglie.
4." Favorire la creazione di stabilimenti per l'educazione
speciale delle persone di servizio , dai quali verrebbero poscia
tratte per essere collocate presso le famiglie.
I due primi rimedii stanno unicamente nelle mani del Go-
verno , ed havvi ragione di sperare che desteranno fra non
molto la sua sollecitudine.
II terzo conseguiterebbe naturalmente dalle maggiori como-
dità che ogni famiglia troverebbe pel suo interno governo, ove
Venisse provvista l'acqua per tutti gli usi domestici nel modo
sovr'accennato , ed ove inoltre, come già si pratica in molte
città di Europa , i pristiuai , i beccai , i rivenduglioli d'erbaggi,
frutta ecc. arrecassero ogni giorno a domicilio la necessaria
provvigione. Cotali misure che non potrebbero far crescere per
nulla, o quasi, il prezzo degli oggetti di giornaliero consumo,
basterebbero forse per porre non poche famiglie in grado di
diminuire il numero de' servitori , o quanto meno per rendere
il loro servizio e più couscienzioso e più assiduo di quel che
ei sia oggigiorno.
11 quarto rimedio terrebbe inevitabilmente dietro ai tre primi
e compirebbe il novero di quelle disposizioni possibili per mezzo
delle quali gioverebbe sperare di conseguire una sufliciente cer-
tezza circa la moralità delle persone di servizio.
Noi ben veggiamo che fra siffatte novità talune urterebbero
più o meno direttamente con alcune costumanze municipali
invalse da poco tempo , ma queste riforme evidentemente se-
gnate col marchio della pubblica utilità , introdurransi Gual-
inentje anche fra noi. Già ci è dolce di poter innalzare la no-
stra voce a lode del benefico ed unanime pensamento del So-
vrano, della Civica Amministrazione , e degli abitatori di questa
città, di creare un asilo per la vera mendicità, piaga sociale
sotto il cui mantello trova bene spesso a celarsi il delitto. Al-
lorché si pensa che per lo addietro il figlio d'un mendicante
non veniva alla luce se non che per seguitare il vile mestiere
407
ài coloro a cui doveva la disgrazia dell:^ vita , ooi ci sentiamo
inorridire. Ma se, pur troppo, non si potrà mai impedire che
vi siano individui a carico della società , i figli loro imparando
in questi asili di vera carità cristiana a procacciarsi col lavoro
il necessario, potranno d'or innanzi rendersi altrettanto utili alla
patria, quanto sgraziatamente nocivi le furono i padri loro. ili
Ci sia per ultimo ancor lecito di chiamare l'attenzione del
pubblico sull'utilità che deriva da quella polizia delle case che
viene si efficacemente esercitata dai portinai in tutte le capi-
tali d'Europa fuorché nella nostra.
Tale si è il quadro delle osservazioni a cui limitiamo per
ora questo primo saggio di critica rivista sulla capitale del Pie-
monte. Coloro che viaggiarono all' estero concorderanno facil-
mente con noi. Ma si è principalmente agli altri che noi ab-
biamo inteso di accennare scrivendo queste poche linee, e nello
scopo di convincerli , come nutriam fiducia , che vi sarebbero
per Torino molte riforme vantaggiose da adottarsi, da cui per
essa deriverebbero ad un tempo e maggior lustro, ed un'attrat-
tiva che sin ora le manca, ed un miglior essere domestico.
X. ■
AMI^lJaJZIO ,, „, ,„,
Di un istituto Itdtma''"''""
APERTO IW PARIGI
Non potendo che tornare in utilità delle scienze ^ delle arti
e del commercio l'apertura di uno stabilimento in Parigi, che
ha per iscopo di diffondere le produzioni d'ogni maniera sì
dell'Italia in Francia e nelle altre nazioni, come della Fran-
cia e delle altre nazioni in Italia , il Subalpino perciò si reta
a gradito »uO debito non solo di annunziarlo, ma altresì di
accompagnarne 1' annunzio coi più prosperi augurj.
Il direttore di questo nuovo Stabilimento si è il sig. Fa-
eton, quegli stesso che nel 1828 areva già intrapresa con tanto
successo la pubblicazione della Biblioteca Italiana in Parma,
che venne quindi continuata con ottimo discernimento dai sig.
Stella in Milano, «''*'» 'i> oIimI jò ,
Il Pastori domiciliàtoisi óirà a Pàirigi , quasi a compimento di
queste biblioteche , intende ora a pubblicare una Biblioteca
straniera , nella quale si avrà una serie delle migliori opere
straniere tradotte in buona lingua italiana.
Questa pubblicazione sarà una delle principali occupazioni
dell' Istituto, e gioverà senza dubbio a soddisfare quell' univer-
«ale bisogno di comunicarsi a vicenda tutte le produzioni della
mente che hanno luogo presso le nazioni più incivilite. Per
r Italia sopra tutto che è costretta ricorrere rapporto a varj
rami di scienze ai libri stranieri , questa pubblicazione sarà
utile in sommo grado.
Altre incumbenze nello stesso tempo si propone pure
r ISTITUTO che annunziamo. Esso riceve a Parigi per darvi
smercio ogni prodotto d'industria, d'arti, libri, giornali ecc.
ecc. , e parimenti trasmette in Italia ognuno di questi slessi
^prodotti a misura che ^li verranno commessi.
Non fa d' uopo dir di vantaggio per comprendere di quanto
profitto possa essere alla patria comune questo amplìssimo uf-
ficio di corrispondenza , e quanto esso meriti di venire inco-
raggiato.
»TA3*Pfel\tA GHlRINGHELliO K COMI»,
eoiì periui*«iont.
409
FILOSOFIA
00p00bionc
BEL SISTEMA FILOSOFICO DEL NUOVO SAGGIO £GG.
Fatta da N. Tommaseo
Art. 3." (^. distrib. precedenle) '
Progressi della filosofia nella soluzione del problema.
Indagando l'origine delle idee, alcuni filosofi si sono
piuttosto dati ad esaminar la potenza di produrle o di
possederle , altri a studiare i mezzi o aiuti esterni di cui
quella potenza ha bisogno per operare *i.
Quanto a' primi , alcuni pensarono bastasse dare all'
anima una facoltà capace di trasformare le sensazioni
in idee; altri dissero che questa facoltà non bastava,
e che conveniva ammettere qualche cosa d'innato. Tra
i sostenitori delle idee innate, altri, come i Cartesiani,
ponevano congenite all'uomo le stesse idee delle cose;
altri, come Leibaizio, facevano delle idee innate tanti
*x Oimsc. filos. T. II. p. 496.
410
piccoli sentimenti non avvertiti dall'anima ; altri , come
il Kant, le ridusse a tante forme creatrici delle altre
idee e degli oggetti.
Quanto a' secondi , chi richiede , oltre le sensazioni ,
de' sentimenti interni necessarii a formare le idee *i ;
chi. oltre gli esterni oggetti influenti sull'anima, richiede
un lume continuo della divinila *2 \ chi colloca fuori
dell'uomo le idee com' enti sussistenti ed eterni *3, chi
pensa che oltre alle sensazioni un altro aiuto esteriore
convenga ammettere alla formazione delle idee *4j ed è
la favella *5.
Che gli errori stessi de' filosofanti entrino nel gran di-
segno della Provvidenza a dimostrare la necessità delle
solide dottrine, a condurci per vie tortuose ed inaspet-
tate, a consolidare la verità promovendo obbiezioni che
la renderanno vieppiù evidente col tempo , eir è cosa
certissima *G.
Giova nondimeno osservare che a' tempi del Locke, la
distinzione fra Tintelletto ed il senso era ammessa come
incontrastabile da tutti gli uomini ragionevoli : e se la
{scienza fosse avanzata per il suo diritto cammino , po-
teva facilmente giungere alla soluzione dell' arduo pro-
}}lema. Ecco come :
L'intelletto definivasi la facoltà di conoscere il vero
dal falso. Or bene : restava a cercare che cosa fosse il
vero ed il falso ; si sarebbe trovalo che il vero essendo
ciò che è, il vero è l'ente; che l'intelletto adunque è
la facoltà di percepir l'ente. Quindi risultava che il senso
non può percepire T ente ; che l'idea dell'ente spogliata
di tutte le determinazioni le quali le vengono per mezzo
*i Laromiguiere. — *2 Malebranche, — *3 Platone.
*4 Bonald, e prima di lui Condillac. — *5 P, 5o2 ivi,
*tj JN. Sa|jjjio T, i. f. 3,40,
411
de' sensi , h l'idea iinivcrsnlissiinn ; elio da quesla idea
tutte le ;dl.rc ricevono universalità; clic tulle le 'nìct'.
hynno // comune per elemento coslilucntc l;i loro ii.i-
tur<n.
Il Condillac conliisc il sentire col giudicare, cose «lagli
antichi distinte. 11 lieid e lo Stewart conj'usf.ro l' imma-
ginazione coir intelletto , distinti anch' essi una volta
assai hene. Per avan/rir la f|iiislione d'un buon passo,
bastava dimostrare che l'imaginazione vede le iniagini
singole , non le idee universali.
E già prima del D' Alembert era stata posta fin dal
Bossuet la rpieslione, come lo spirilo unisca in sé le
sensazioni diverse per modo dn l'arno un oggetto unico.
La filosofia Lockiana e la CondìUachiana fecero retroce-
dere la qu(stione in alcune j)arti, altro ne illu-trarono ,
e ( merito non comune) insegnarono l'arte di rendere al
possibile popolare la scienza *ì. Ma il disprezzo afiellalo
dal Locke e dal Condillac verso tutti coloro che li prc-
ccdcllero, senza voler considerare gli slessi sbagli come
tante nuove questioni da sciogliere , e però come tante
occasioni di far trionfare la verità , fu macchia e danno
del loro sistema *2.
Chi bada del resto all'ordine e alla natura de' sistemi
fdosofici , trova un vincolo ed un passaggio naturale tra
i più disparati. Cartesio incominciò la sua filosofia d.d
pensiero: penso j dunque esisto: il Locke volle spingersi
on passo indietro a veder come nasca il pensiero, e ri-
corse alla sensazione. Fu saltato un grado intermedio,
ed è l'importante: il materiale con cui cemcnlare, te
così posso dire, la sensazione al pensiero *3.
Il Berkeley e l'Hume ondeggiano tra il Locke ed il Con-
dillac; ora aujmcllono una riflessione originalrice delle
•i F. ,7.. — ^j. \>. Sj\. — *j 1, ni. p. -Crf..
412
cognizioni, ora no *i. Ma tendono più spesso a far pre-
valere la sensazione" alla riflessione attiva. Ed è singolare
ch'essi abbiano nome d^idealisti , mentre (parlo dell'Hume
specialmente) dovrebbero piuttosto chiamarsi raateria-
Jisti. Tutto, dicon essi, è sensazione; la sensazione è
in noij dunque l'universo sensibile è tutto in noi. La
terza proposizione non distrugge la prima , anzi su quella
si fonda *2.
Cosi la distruzione del vero oggettivo comincia in
origine da Cartesio, il quale, accreditando la sentenza
(lei Galilei sulle qualità secondarie de' corpi, che sono
tutte nel soggetto, ripose l'essenza de' corpi nell'esten-
sione, senz'osservare che tutte le sensazioni hanno una
qualche parte oggettiva. Il Bayle applicò gli argomenti di
Cartesio all' estensione stessa , la quale anch' essa può
dirsi soggettiva in quanto eh' è percepita col mezzo di
una sensazione; e così appianò la strada al Kant , che
distrusse ogni realità sin dal fondo *3,
Il Kant lasciò la natura materiale in dubbio: il Fichte
la assorbì nello spirito stesso : lo Schelling, reputando
troppo piccolo lo spirito all' immensità del proprio pen-
siero, lo innalzò a Dio, ma per abbassare Dio sino allo
(Spirito, per confondere insieme spirito, uomo, ogni
cosa *4-
Quest'è la progressione del male. Ma riguardando la
cosa da un miglior lato, i passi della filosofia nella
soluzione del problema, secondo l'ordine non de' tempi,
ma delle dottrine , son questi : — si comincia dal cre-
dere che le sensazioni sono in sostanza il medesimo
che le idee *5 — si conosce che le idee non possono
nascere se l'intelletto non riflette , non opera sulle sen-
*i T. 1. p. I20. — *2 T. III. p. 749.
*3 T. m. p, 5g3. T. IV. p, 460. — *4 T. IV. p. So^. ^ *5 Locke
415
sazioni — si osserva che cosa sia questa riflessione , e
là si trova un'analisi pura *i. — Si cammina meglio,
e si trova che quest'analisi ha bisogno di una sintesi
primitiva *2 — una sintesi non si potendo fare senzri
un giudizio, quella meditazione dell'intelletto dev'essere
un atto della facoltà di giudicare *3 — l'analisi del giu-
dizio dimostra la necessità d'idee universali precedenti
— ' si classificano le idee universali, e le si trovano su-
bordinate le une alle altre , e le une dalle altre si de-
ducono — si sale ad un'idea universalissima *4^ madre
di tutte *5.
Ossermzioni.
Ognun vede pertanto che molli e sommi ingegni ri-
conobbero la necessità di qualche cosa d'innato a spie-
gare l'origine delle idee, che molti intravvidero l'idea
dell'autore, e potevano coglierla se avessero liberata la
questione ^dagli elementi accessorii ; jche tra il nulla
ammettere e l'ammettere troppo ^ era necessario deter-
minare un punto di mezzo , e ridurre il sistema alla
maggior possibile semplicità; che abolire ogni cosa d'in-
nato conduce a irreparabili errori; e che codesta anti-
patìa contro la parola innato è vinta non solo dalla ne-
cessità di adottarla, ma dalla possibilità di considerare
quest'idea universalissima come un elemento di cogni-
zione piuttosto che come un'idea propriamente detta;
che in fine sarà molto piìi facile perfezionare ^ determi-
nar meglio e svolgere 1' idea dell'autore, che non con-
futarla.
Ciò che dimostra la verità della teoria è la sua grande
*i Laromlguière. — • *2 Galluppi, *3 Ueid. — *4 Rosmini.
"■5 T. in, p. 746.
414
semplicità: laJJove in Platone e in Aristotele, nel Locke
e in Condillac, nel Leibnizio e nel Kant egli è facile no-
lai'e contraddizioni più o meno evidenti. E tutti, tranne
quel di Platone e di Leibnizio, sono sistemi negativi,
che distruggono più o meno direttamente l'umana cer-
tezza e se stessi.
Dalla breve analisi sopra recata si vede però che se
il Locke giovò grandemente alla fdosofia col portarla al-
meno in parte sul campo dell'osservazione; se nonché
il sistema di lui era stato in parte, con ben altra forza
di raziocinio e d'ingegno, sostenuto da Aristotele; sic-
ché, a paragone di lui, il Locke non pare che un princi-
piante di buona volontà. Ho detto in parte ^ perchè quello
stesso principio aristotelico il quale pare affatto d'accordo
col Condillac; // senso giudica, va temperatamente in-
teso, avuto riguardo ai varii significati del greco xpivo» ,
significati e morali e corporei, e limitati e larghissimi ; e
n' è prova il latino cerno , decerno , Crimen j discrimen \
e i nostri discernere , crisi, criterio, critica ed altri.
Già il lettore si sarà potuto accorgere dei molti passi
fatti dalla filosofia nel sistema del Kant, prima che questo
sofista sorgesse: cosa importante a notarsi, acciocché sì
vegga come l'errore consegue all'errore, e come quando
l'errore arriva all'estremo suo limite, allora confina
colla verità. Si potrebbe a questo proposito aggiungere
che in un altro senso ancora Cartesio appianò la via all'
idealismo ; in quanto che facendo corrispondere all'idea
dell'uomo un ente al di fuori , con questa nuova specie
d'oggettività apriva l'adito ad una soggettività desolante.
La questione pertanto si riduce a questo : tra il si-
stema della sensazione , e quello delle idee innate, l'uno
è insufficiente a spiegare i fatti dell'intelligenza, l'altro
è superfluo: il principio del Nuovo Saggio nulla contiene
di assurdo, perchè si fonda sopra un fatto e un razìoci-
415
Ilio evidente; sopra un fatto il quale è necessario a spie-
gare gli altri fatti del pensiero, tutti cioè gli umani giu-
dizi. Vediamo come dalFidea dell'essere unita alle sensa-
zioni si formi il primo giudizio, il più semplice di tutti ,
ma il più difficile di tutti a spiegarsi.
Del giudizio primitivo.
S' è già toccato di quella sintesi *x con la quale ap-
plicando l'idea dell'ente come predicato a un complesso
di sensazioni^ eh' è in tal caso il soggetto, si viene a
formare un giudizio primitivo esiste ciò eh' io sento ,
giudizio per cui non e' è bisogno d' avere per soggetto
l'idea d'un altr'ente. Così si scioglie la terribile obbiezione
accennata *2 : come posso io giudicare ch'esista realmente
ciò di che non ho alcuna idea? Per iscioglierla, conve-
niva trovare un giudizio in cui l'oggetto che si giudica
esistente non fosse pensabile se non in forza dello stesso
giudizio; trovar un giudizio che desse l'esistenza all'idea
della cosa giudicata , vale a dire che producesse in noi
l'idea della cosa, non la supponesse *3. Ora finche il
giudizio cade sopra una qualità della cosa, l'idea della
cosa necessariamente deve preesistere in noi al giudizio.
Ma quando il giudizio è tale che cade sull'esistenza della
cosa , allora l'idea della cosa giudicata non esiste prima
del detto giudizio, ma in virtù di quello; perchè, finat-
tanto che la cosa non la pensiamo come esistente (o ia
realtà od in potenza), essa è nulla per noi, non può
essere oggetto del pensiero , un' idea. Il giudizio dun-
que sull'esistenza delle cose, a differenza di tutti gli altri,
presenta esso medesimo il proprio oggetto, ha un'energia
*'i V. Subalpino distribuzione di luglio 1837, pag. 337. 338.
*-2 Id. pag. 323. — "3. N. Saggio T. 1. p. i53.
416
tutta stia: cioè di far esistere con sé un' idea che prima
non esisteva, col dire a se stesso: quel ch'io sento ^ è.
Ognun vede pertanto che il primitivo giudizio della
mente deve cadere sopra un oggetto sussistente, cioè
realmente esistente , non sopra un oggetto meramente
possibile, vale a dire esistente in potenza; giacche, quan-
tunque l'idea generale dell'ente riguardi Vente possibile ,
certo è che le sensazioni ci vengono dagli oggetti sus'
sislenti : i quali però senza l' idea dell'ente possibile non
si potrebbero percepire. Si noti dunque la differenza
tra sussistenza ed esistenza in genere; l'una è la reale,
l'attuale ; l'altra comprende e il reale e il possibile. Pla-
tone confuse insieme le due cose : e quindi gli errori
del suo sistema *i.
A chi domanderà : come l'uomo è egli mosso a pen-
sare la cosa attualmente esistente ? o donde trae l'idea
universale di esistenza possibile, della quale per tal pen-
siero abbisogna? o come l'idea di esistenza possibile,
idea universale , si applica ad una cosa determinata , a
pensare un oggetto piuttosto che un altro ? si risponde
i." dell'idea d'esistenza è già detto che non può non
essere innata. 2.** Quel che ci muove a pensare un og-
getto sono le sensazioni. 3.° E son esse che determinano
l'oggetto del nostro pensiero. A quella modificazione che
io provo in me, il mio spirito si eccita e dice: questo
che mi fa sentire, esiste: e non son io questa cosa.
Il detto giudizio pare composto di due giudizii ele-
mentari : ma sono indisgiungibili , e si fanno con un
atto solo : uno negativo : questo di io sento non son io :
l'altro positivo : è cosa diversa da me. Il giudizio in
quant' è negativo ., riguarda le sensazioni ; le quali non
possono star da se : un tal giudizio negativo implica e
*i T. III. p. 3G2.
417
produce necessariamente il pensiero di cosa esistente
fuori di noi , il qual pensiero è la parte positiva di detto
giudizio. Io non potrei mai giudicare che le sensazioni
non possono esistere sole , suppongono qualche ente di-
verso dall' /o, se non avessi in me l'idea universale del-
l'essere; se non trovasi una ripugnanza tra questa idea
e l'idea di sensazioni supposte isolate da ogni ente. Per
sentire questa ripugnanza basta la generale idea d'esi-
stenza : basta , ma è necessaria.
Alla difficoltà dunque : come posso io giudicare che
esista cosa di cui non ho idea? Si risponde: il giudi-
care ch'esista una cosa determinata , racchiude due parti;
l'idea di cosa che possa esistere in genere, e l'idea di
cosa presente, determinata da una o più delle sue qua-
lità. Finch'io penso ad un ente in genere , nulla giu-
dico : il giudizio segue, quando il pensiero dell'ente in
genere 1' applico e lo determino ad un oggetto. Posta
dunque nell'uomo l'idea dell'essere; per formare il
giudizio esiste la tal cosa j non c'è più bisogno che
delle sensazioni, le quali mi determinan l'ente. Analiz-
ziamo ancor meglio questa primitiva importantissima
operazione dello spirito umano.
Schiarimenti.
L'uomo è fornito di senso e d'intelletto: per via de'
sensi riceve l'impressione delle qualità sensibili, coU'in-
telletto percepisce le cose come diverse da lui. Ora tut-
tociò che cade sotto il senso, purché vi faccia la con-
veniente impressione, diventa oggetto altresì del nostro
intelletto. Ricevute dunque dal senso le impressioni,
r intelletto il qual considera appunto le cose come esi-
stenti in se stesse, percepisce le dette qualità sensibili
come esistenti in se stesse, non già nella relazione che
418
ììonijo con noi , in quanto sono sensazioni. Ora perce-
pire le qualità sensil)ili indipendenti da noi , non è che
aggiudicare ad esse un' esistenza diversa dalla nostra ; e
ciò è lo stesso che giudicare: esiste un ente fuori di
noi. Quali siano in esso le qualità sensibili , e come vi
sìeno , questo non può determinare il giudizio primi-
tivo, il quale si limila a percepir l'esistenza.
Ell'è dunque essenzial cosa distinguere i giudizi nei
quali si pensa una qualità d'un ente già prima da noi
concepito ( p. e. quest" uomo è bnono) dai giudizi ne'
quali pensiamo l'essere delle qualità sensibili : nei primi
preesiste al giudizio 1 oggetto del medesimo ; nel secondo
non prepsistono al giudizio che gli elementi dell'oggetto
del giudizio, cioè la sensazione e l'idea d'esistenza *i.
Non sempre dunque il giudizio si esercita sopra un og-
getto pensato già ; ma il pensiero slesso nel giudizio pri-
mitivo sì crea il proprio oggetto. Altrimenti saremmo
sempre alla solita petizion di principio : come mai le
idee generali preesistano al giudizio, e il giudizio alle
idee? Altrimenti i sensisti non possono spiegare come
in noi si formi l'idea di corpo , la quale non s'ha senza
un giudizio che le qualità sensibili pronunzi esistenti *2.
Sentire il corpo, possedere l'idea d'esistenza, unire iì
predicato esistente al soggetto qualità sensibili, e così
formare il giudizio : ecco tre facoltà necessarie per avere
r idea di corpo, ed essenzialmente distinte *3. Chiamiamo
la prima sensibilità corporea, la seconda intelletto, la
terza facoltà di giudicare o ragione. La sensibilità pos-
siede un elemento del giudizio , l'intelletto n' ha un altro;
ma finche le due facoltà stanno così separate, giudizio
non segue. Ecco coni' esso abbia luogo.
La sensibilità e l'intelletto sono facoltà d'un io stesso
*i T. II. p. 3i8. — *2 T. I. p. 162. — *3 T. 11. p. 270.
419
li (Juale nella sua unità accoppia insieme i due dislinll
elementi che quelle due distinte facoltà gli forniscono.
Queir w che sento l'oggetto sensibile agente sopra me,
son quel desso che posseggo l'idea d^esistenza. Ma questo
ancora non basta. Potrebbero le due idee nel soggetto
medesimo stare accanto, stare insieme, senza unirsi però.
Conviene che questo soggetto abbia una forza per ri-
flettere sopra ciò ch'egli patisce o ha in sé stesso. Ri-
flettendo dunque ai due elementi della sensazione e dell'
idea d'esistenza, e' riconosce nell'oggetto della sensazione
un' esistenza , eh' è una realizzazione particolare di quell'
esistènza generale , ch'egli concepiva soltanto come pos-
sibile. Queste tre operazioni costituiscono la terza delle
dette facoltà, quella di giudicare o di ragionare; per
dirla più semplice, la ragione. Se dunque si volesse
adottare nella scienza un linguaggio costante, e fuggire
gli equivoci , converrebbe notare che l'intelletto non giu-
dica e non percepisce : esso somministra alla ragione il
mezzo del percepire, la regola di giudicare, l'idea d'esi-
stenza, che serve di predicato alla formazion del giudi-
zio : è esistente. Ma sebbene non sia propriamente 1' in-
telletto che percepisca, pure si chiama percezione in-
tellettuale questa che descriviamo, perchè 1' intelletto
ne fornisce l'elemento formale.
La percezione intellettuale può dunque definirsi: il per-
cepire che fa il nostro spirito un oggetto sentito, quando
lo vede in relazione con la generale idea d'esistenza.
In questo giudizio primitivo convien distinguere l'idea
generale dell'esistenza eh' è in noi, da quell'attuale esi-
stenza che noi nell'oggetto riconosciamo, e gliela venia-
mo ad attribuire col nostro giudizio. L'idea generale l'A.
Ja chiama predicato; l'esistenza particolare dell'oggetto,
la chiama attributo *i. Il Kant mescolò le due cose.
'i r»
,j(iq.
420
Ne da lai distinzione segue che nel giudizio primitivo
due siano le idee in noi, l'una dell'esistenza generale
( predicato ) ; l'altra della particolare ( attributo ). La pa-
rola esistenza presa assolutamente, non esprime che un'
idea generale. Quando un ente ferisce i nostri sensi, se
noi non avessimo altro che le sensazioni , potremmo
pronunziare un accento esprimente la nostra affezione;
ma questo accento mosso dall'istinto, non sarebbe un
giudizio ; non esprimerebbe un ente in quanto è in sé,
ma una nostra modificazione. Per percepire gli enti in
quanto sono distinti da me , conviene eh' io paragoni
la passione ricevuta dal senso con l'idea d'esistenza; al-
lora io trovo un rapporto fra la passione particolare e
l'esistenza d'un agente diverso da me , e dico a me stesso :
ciò ch'io sento è un agente che ha l'esistenza (in quel
dato modo che mi determina il senso) *i. L'idea dun-
que d' un ente corporeo non è che la percezione del
rapporto che corre tra la passione del mio senso (effetto
del detto ente) e la generale idea d'esistenza. Ell'è dun-
que improprietà chiamare idea quello dell' ente corpo-
reo, prima che l'intelletto lo giudichi esistente: una sola
è l'idea d'esistenza, la generale : molle sono le idee degli
enti esistenti', e queste sono, ripeto, il rapporto tra l'ente
sentito e r idea generale, rapporto percepito dalla mente
in maravigliosa e perfetta unità *2. Sono l'applicazione
della medesima idea generale , non sono tante diverse
idee d'esistenza.
*i T. I. p. i^-x. T. II. p. 53.
*a T. II. p. 3i5. T. III. p. :iSe. T. IV. p. 2o5.
Tommaseo.
Sarà continuato.
421
RIVISTA CRITICA
■&
Brevi riflessioni sull'artìcolo inserito nel Subalpino ( iSSy feb-
braio e marzo, pag. 178 ) intitolato : Esposizione ed esame
critico del sistema frenologico considerato nei suoi principiij
nel suo metodo j nella sua teoria e nelle sue conseguenze del
Dott. L. Cerise.
È pure lodevole cosa che i patrli giornali diano contezza di
quanto va di nuovo pubblicandosi fra noi, e nelle estere con-
trade , e che prendano a discutere alcuni punti scientifici che
a non pochi sembravano inconcussi Di ciò sappiamo buoa
grado al medico collegiato Maffoni che venne esponendo nel
Subalpino le idee del Dott. L. Cerise sulla frenologia, abben-
chè tentando di confutarla con argomenti metafisici , e soggiun-
gendo che nelle dispute di frenologia si pecchi per mancanza
di buona fede da ambe le parti , non abbia poi manifestato
tutta quella imparzialità che indicherebbero queste ultime sue
parole.
Il D. Cerise volendo combattere la frenologia come condu-
cente al materialismo dice (pag. 479 ^^^ Subalpino) che ogni
dottrina appoggia sopra una certezza ; — ■ la sola certezza as-
soluta è quella che è posta nella conoscenza positiva della
legge morale , cioè delle relazioni stabilite tra l'attività umana
ed il suo istrumeuto che è \' organismo , tra Dìo , e 1' uomo ,
Ira r uomo ed il mondo Questa conoscenza è il punto
centrale di ogni concezione scientifica. — La sola scienza che
422
possa espiimerc più direttamente la legge morale , è la psico-
logia.
I prìucipii del Cerise sarebbero certamente ottimi , se fos-
sero possibili a stabilirsi 5 ma se non si avesse alcuna cognizione
positiva senza la perfetta conoscenza delle relazioni tra l'animo
ed il corpo noi saremmo ignari di ogni cosa , avvegnaché fi-
nora non vi sono che ipotesi a tale riguardo : basta qui ricor-
dare quella di Descartes j di Leihnitz, di Mallehranche , ecc.
— La sola frenologia come scienza fondata sull' osservazione
fatta negli animali , e nell'uomo potè determinare che 1' eser-
cizio delle facoltà intellettuali , e morali si opera col mezzo
di particolari organi , senza pretendere di dimostrare quale sia
r intima relazione di detti organi col principio immateriale ,
coU'animo , principio che niuu frenologo di buona fede potrà
negare e che negato rovescierebbe la frenologia I rap-
porti poi tra Dio e 1' uomo , tra 1' uomo ed il mondo si co-
noscono meglio in proporzione dello sviluppo e dell'attività degli
organi finché l' animo racchiuso quasi in carcere esercita le sue
funzioni nel corpo. Di fatti il neonato che possiede un animo
come r adulto , animo che principio semplice né cresce , né
invecchia non esercita alcune delle succitate facoltà sino a tanto
che gli organi siano bene sviluppati , e perfezionati 5 e se per
malattia accada che tale sviluppo non facciasi , o sia abnorme
come succede negli imbecilli , inerte pure se ne stanno le fa-
coltà dell'animo , perchè il principio attivo non può per le leggi
stabilite dal Creatore agire senza la concorrenza dello strumento
atto a tale funzione. Se poi l'uomo reso adulto abbia sortito
un normale sviluppo di organi cerebrali , e che per causa for-
tuita si turbi l'organizzazione dei medesimi, sconcertasi e per-
vertesi eziandio la funzione come occorre nelle manie , nelle
lipomanie ecc. Cogli organi cerebrali adunque si esercitano le
facoltà dell'animo : questa è una massima che è' consona colla
quotidiana osservazione , col buon senso , anzi coi principii
della nostra Religione : è la massima fondamentale della fre-
nologia di Gali , massima ammessa dallo stesso Dott. Cerisc
nella memoria di cui parliamo ( pag. 5o ) e perciò a questa
massima a torlo si imputa di condurre al materialismo : anzi
423
noi crediamo piuttosto dare luogo alla miscredéuza , ed alla
iucredulità , lo stabilire dottrine filosofiche su priucipii non
bene conosciuti , die male intesi sono ancoi-a peggio interpre-
tati : la qual cosa si può applicare agli scritti di molti meta-
fisici.
Il D. Cerne pone nell'uomo un'attività indipendente dai suoi
istrumenti ed organi corporei , invece che la frenologia attri-
buisce un' attività a questi organi stessi , anzi altrettante atti-
vità quanti sono gli organi , il che conduce secondo lui al puro
materialismo.
Questa è una questione antichissima e già confutata da Gali:
tuttavia messa in campo tante volte , vien ora rinnovata dal
Dott. Cerise. Noi daremo adunque la medesima risposta or ora
scritta, cioè, non niegarsi dai frenologi il principio attivo, l'ani-
nio 5 ma che questi esercita le sue funzioni per mezzo di or-
gani : questi essere strumenti , o mezzi , ma non il princìpio
attivo il quale pensa , il quale induce a fare , o non fare una
cosa : che gli organi sono attivi in quanto che per leggi dell'
organismo possono agire sopra di loro , come possono essere
posti in azione da altre cause , come da qualunque altra causa
può spontaneamente in essi prodursi una mutazione stimolante
all'esercizio di quella facoltà , senza che vi sia assoluta neces-
sità di tale esercizio. Nessun frenologo ragionevole considerò
l'anima inevitabilmente padroneggiata dagli strumenti dei quali
nell'esercizio delle sue facoltà essa si serve.
La libertà fu considerata dai frenologi in una maniera più
equa di quello che siasi fatto dai metafisici. Essi pongono per
base che nello stato fisiologico , qualunque sia lo sviluppo , e
l'attività di un organo non havvi necessità di azione , nia su-
scettività e tendenza anche massima a quell' azione , siccome
la giornaliera storia delle vicende umane dimostra. La libertà
è una facoltà dell' animo , né questa potrebbe dignitosamente
esercitarsi dall'uomo se fosse egualmente spinto a tutte le azioni:
la libertà si esercita nel massimo grado allora appunto che si
iiiega il soddisfacimento di una passione acni siamo inclinati;
e questa se violenta può per mezzo della frenologia essere tanto
quanto valutata per regolarne l'imputazione ... La nioltiplicità
424
adunque degli organi non toglie la libertà , e non conduce al
materialismo , siccome falsamente vuole far credere il sig. Ce-
rise che bramerebbe ingolfarci nelle astrazioni di Kant confon-
dendo quanto appartiene alla fisiologia colla psicologia
Il Dott. Cerise trae argomento di confutazione del sistema
di Gali, cercando dimostrare che la craniologia non corri-
sponde al vero sviluppo del cervello Noi ci limiteremo
a dire che prima della vecchiaia , epoca in cui succedono nuove
mutazioni nel cranio, questo ne' luoghi indicati da Gali quale
sede degli organi corrisponde nelle elevazioni e depressioni alle
elevazioni e depressioni del cervello, siccome le quotidiane os-
servazioni di anatomia Io comprovano.
Niun frenologo ragionevole vorrà stabilire essere finora -co-
gnite le funzioni di circonvoluzioni cerebrali inaccessibili; ma
se vuoisi parlare da senno il sig. Cerise medesimo non sosterrà
che quest'obbiezione distrugga quello che è cognito ; rimasero
a noi , e rimarranno ai nostri nipoti nuove verità a scoprire ,
ma queste non annienteranno quelle già trovate L'osser-
vazione avendo provato che il termine , o l'espansione di al-
cune circonvoluzioni è legata ad una facoltà conosciuta , basta
al frenologo per istabilirla .... Forse che prima di Gali colle
sezioni del cervello fatte da p^iq d'Azjr , sezioni che ci la-
sciano vedere l'interna struttura delle circonvoluzioni, si potè
fissare la sede di una sola facoltà ? . . . E le lesioni parziali di
organi perchè recano la perdita isolata di alcune facoltà, siccome
toccò a molti di osservare , fra cui Larrej relativamente alla
memoria , non comprovano la veracità della frenologia ? Il cra-
niometro del piemontese nostro Parroco Giacoma non ci pone
in grado di misurare lo sviluppo degli organi ? — Che la fre-
nologia relativamente ad alcuni organi sia di malagevole appli-
cazione , massime quando lo sviluppo di un organo coincide
collo sviluppo di un altro di mole piccola e prossimo, è un fatto
dipendente meno dalla scienza che dal frenologo .... che la
frenologia poi in quanto a diverse classificazioni sia in armonia
colla credenza di sublimi pensatori, prova che la verità essendo
ima doveva da tutti ravvisarsi la stessa : Gali condotto dall'os-
servaziuue trovò il supposto eaistenle tra lo sviluppo di i?u or-
425
Sano , ed una facollà , e questa localizzazione non si conosceva
prima di lui Egli la confermò in mille guise, e fa d'uopo
chiarire erronee le sue osservazioni , se si vuole rovesciare il
suo sistema . . . Converrà dimostrare che malgrado la diversità
di conformazione nelle circonvoluzioni cerebrali del tigre , del
lione , dell'ourang-outang , del kangaroo , del cane, del vitello,
identiche sono le facoltà , e viceversa , perchè le medesime fa-
coltà non siano rappresentate da organi diversi , ma sempre da
organi identici
Laonde soggiungeremo che una dottrina appoggiata alle os-
servazioni deve essere confutata nelle sue basi , e non con so-
fismi, e travisamenti emettendo invece proposizioni metafisiche
non dimostrate per abbagliare gli inesperti. . . Pochi fatti con-
trarii non valgono a dlstrurne migliaia. ... Le osservazioni di
anatomia comparata estese assaissimo da F^imont sono pure no-
tìzie che avrebbero dovuto prendersi in considerazione dal D.
Gollegiato Mqffbnì, e studiarsi *i prima di tacciare i frenologi di
mala fede. . . Se poi vogliamo gettare uno sguardo alle osser-
vazioni instituite sulla specie umana, il medesimo avrebbe rin-
venuto anche in Piemonte una prova della realtà della freno-
logia *2 e non già un fatto di mala fede. . . Inoltre a soste-
nere tale argomento bisognerebbe dimostrare che Kaiicauson
fu così industrioso nella meccanica dopo le istruzioni avute ,
e non per semplice impulso intuitivo di un pendulo . . . che
un Btrlinazzi , ed un Betti mimici valentissimi coll'organo dell'
imitazione pronunciatissimo divennero tali per l'educazione...
Eppure Bertinazzi studiava legge , e di slancio sorprese gli spet-
tatori , ed il Betti era ragazzo di età e di azioni; e conveniva
*i Ad esempio di quanto fece Fimonl, il quale studiò la frenologia per con-
futarla ; ma conosciutane la base divenne uno dei più caldi patrocinatori della
medesima.
*a Vedi Repertorio Medico-chirurgico del Piemonte anno XIV volume del
i835 pag. i85 ove rapportasi la necroscopia del teschio , del cranio e del cer-
vello di uno sciagurato che colle sue ncfandità riempi di orrore le popolazioni
del Canavese. ... Necroscopia riferita dai giornali di Napoli , di Parigi , di
Edimburgo ccc Più vedi le tesi di aggregazione del Dolt. Bonacossa, e le
Elfi nieridi (ìsico-mcdichc del Piemonte, fogli 2, 4, 6, 12, i3, 17,39, 3i , 32
38, dell'anno i836.
26
426
strapparlo dai compagni coi quali giuocava per le strade , e
condurlo sulle scene per esservi ammirato.
Le discussioni tra Gali e Spurzheim circa alcuni punti di
frenologia provano non acquistarsi le cognizioni sempre di bot-
to , e che le massime stabilite da Gali sono fondate sopra un
gran numero di osservazioni Egli si astenne dal pronun-
ciare quando i fatti da lui conosciuti non erano bastante-
mente chiari e numerosi Quante polemiche si agitarono
sopra argomenti religiosi , fisici , medici , ecc. ? ma chi dirà
per questo non sussistere né la religione , né la fisica ? Si ri-
nunzierebbe al buon senso aderendo a sì fatta conclusione.
La frenologia considerando esistervi casi di straordinarie in-
clinazioni proclama la tolleranza verso gli altri, ma non l'in-
giustizia Essa è di accordo col Vangelo nel modo il più
rigoroso: questo predica di amare il prossimo come noi stessi,
ma somministrando la frenologia i mezzi per conoscere i varii
gradi d'imputabilità , determina eziandio fino ad un certo punto
un'equa applicazione della legge, e ciò che più importa la me-
desima insegnando a distinguere per tempo le capacità assolute,
e relative degli uomini porge utilissimi e filosofici principii di
educazione dirigendo opportunamente lo sviluppo di alcuni or-
gani, temperando coli' esercizio di altri antagonisti l'impiego
di quelli che preponderanti ed isolati sarebbero crudele sti-
molo a biasimevoli azioni.
Le persone poi di straordinario talento in qualche ramo ,
presentando lo sviluppo di quel tal organo comQ consta dalle
osservazioni di frenologia , ci additano pure a qual genere di
opere debbansi dedicare gli individui di una simile organizza-
zione , essendo indubitato constare la terrestre felicità in gran
parte dall'indole delle azioni a cui ci trasporta il proprio or-
ganismo. Il proverbio poetae nascuntur è applicabile alla mu-
sica , alla mimica , alla pittura , al calcolo ecc. Siccome poi
l'organismo diventa più attivo per l'esercizio : così l'educazione
esercitando alcuni organi promove la perfezione degli stromenti
per cui l'animo spiega le sue facoltà Che tutti gli indi-
vidui poi non godano di un'eguale perfezione di facoltà costi-
tuisce un assioma non meno vero di quello dell' ineguaglianza
427
4eir organismo entro certi limili Ed infatti baslcià loisc
insegnare la politica ad un idiota per crearlo un uomo di slato?
Perchè Montesquieu sì celebre Magistrato non intendeva i calcoli
geometrici malgrado le istruzioni avute ^ e da lui con sommo
impegno studiate ? Potendo l'educazione pressoché in tutti gli
uomini produrre qualche cosa , e la maggior parie delle teste
umane offrendo un regolare sviluppo senza preponderanza di
organi , ci spiega perchè comuni essendo ì mezzi , la moltitu-
dine degli uomini sia eguale per la suscettività delle cose , e
le cognizioni essere in rapporto all' educazione avuta , ma ci
spiega altresì come alcuni eletti dalla natura siano slati più
favoriti diventando celebri senza grande fatica e per unico
impulso , sia in qualche ramo scientifico , sia in qualche genere
di azione, cioè a motivo della preponderanza degli organi, una
essendo la attività : qui è il caso di r^torquire al sig. Gerise
il detto di San Paolo epist. Corint. xn. 4-
E giacché il D. Gerise per combattere la frenologia si serve
di argomenti metafisici , aggiungendo questa scienza immorale
tendere al rovescio dei principii religiosi , noi crediamo bene
di rispondergli anche in proposito , osservandogli essere la fre-
nologia la sola scienza filosofica che sia perfettamente concorde
col nuovo ed antico Testamento Ed in vero dalla Genesi
( cap. I. e 2. ) noi sappiamo che Dio creò l'uomo ad imma-
gine e similitudine sua , cioè che diede un' anima eguale a
tulli gli uomini , e sappiamo poi dal Vangelo che distribuì i
talenti a diversi gradi , talenti che si moltiplicano coli' eser-
cizio , e coU'educazione ( vedi la parabola « Et uni Jedit. quin-
(jue talenta » ).
Forza è dunque di conchiudere che identica essendo l'anima
piacque al Creatore d'impi'imere una differenza di capacità coi
diversi mezzi, colle modificazioni cioè dell'organismo.. . Quindi
la frenologia avendo per iscopo la conoscenza di queste varie
modificazioni , non può essere una scienza antievangelica. . . .
Invitiamo il lettore per meglio convincersi di quanto sosteniamo
a leggere la dottissima memoria del signor Don Giacoma Par-
roco di Borgaro, intitolata: Rijlcssioiii sul sisicma frenologico del
Doli. Gali, e proposta d'un craniomctro ( Torino i83(> ).
428
Ci piacerebbe cbe un imparziale esame venisse instituito
della frenologia , scienza che pare diffondersi nella nostra pe-
nisola , ma quest' esame dovrebbe essere corroborato da fatti ,
e non già da argomenti stranieri all'arte medica , e raggiran-
tisi sopra astruserie metafisiche male applicate Un' appo-
sita raccolta di oggetti frenologici desunti dall'anatomia compa-
rata , e da individui fra noi cogniti potrebbe servire di base
alle future indagini , onde senza spirito di parte , ed in buona
fede si coltivasse una scienza delle cui basi fondamentali siamo
tuttora ìntimamente persuasi, sperando inoltre che i nostri po-
steri gioiranno dei benefici lumi provenienti dalla saggia appli-
cazione della medesima ai sociali consorzii.
Medico D-R.
La Letteratura e l'Archeologia Greca come il più antico j
e più forte legame fra la Grecia e il resto dell'Europa *.
(Vienna addi 24 marzo 1837).
I.
La Grecia, madre delle arti e delle scienze, godette anche
sotto il giogo di Roma d'una quasi religiosa venerazione per
parte degli stessi romani *i. I Greci erano gli educatori e i
maestri dei figli dì quei superbi vincitori , e la gioventù romana
visitava Atene onde perfezionarsi in ogni genere dì coltura ;
* Quesl' artìcolo scritto in Greco - moderno ed inserito nel Giornale
« ò 'EXAwvJxig rap^yS^ójUeg » si presentò per la prima volta tradotto in tede-
sco ai lettori del Magazin far die literatw des Aulandes.
"i Orazio lip. II. 1. i56. Graccia vieta fvrum viclorem caepil.
429
mentre gli scrittovi , i poeti , e gli artisti romani , anziché
vergognarsene, si pregiavano, e raccomandavano assai d'imitare
i capolavori dei Greci *i.
Ma anche questo tempo passò. Ottant'anni circa dopo la
divisione dell'impero romano in occidentale e orientale , divenne
il primo preda dei barbari ^ l'ultimo all'incontro si mantenne
ancora, egli è vero, per dieci secoli, ma benché scosso con-
tinuamente da turbolenze interiori ^ e da esterni assalimenti
molto più attendeva a contese dogmatiche, che a respingere le
orde nemiche dai confini dell'impero ed a riconquistare le per-
dute Provincie. Gli abitatori dell'impero d'Oriente , ingrati ne-
poti degli antichi greci e rimescolati con altre nazioni , si spo-
gliarono persino del nome dei loro propin antenati , ed invece
dì greci si appellarono romani. Con tuttociò ritennero bensì
la loro madre lingua , ma perdettero la profonda cognizione
della medesima e l'intelligenza delle grandi opere in essa com-
poste. Soltanto nei chiostri si mantennero alcune deboli traccie
della letteratura e filosofia greca. E questa letteratura in altro
non consisteva che in arida grammatica, estrema filologia; la
poesia si fece un'arte di rimeggiar senza gusto , e la divina
filosofia di Socrate e di Platone decadde in una infeconda
sofistica. In una parola le tenebre della barbarle che pesarono
su tutta Europa , si distesero in un grado più forte ancora sulla
Grecia, patria dell'incivilimento e della sapienza.
Questo era il carattere e la situazione generale di quel tempo
quando ad un tratto nello spazio di mezzo secolo alcune im-
prevedute circostanze contribuirono a richiamar nuova vita in
Europa , e a ridestare di mezzo alle tenebre alcune scintille di
luce, le quali doveano mutar la faccia del mondo. Basti di qui
ricordare soltanto e le importanti invenzioni della stampa e
della polvere di cannone , e la scoperta d'America e del tra-
gitto per le Indie occidentali. Quasi nello stesso tempo accadde
anche la conquista di Costantinopoli , che in questa combina-
zione di avvenimenti merita da noi un riguardo particolare.
Parecchi greci eruditi che fuggivano in Italia la tirannia degli
*i Orazio , arte poetica 268 : f^os exemplaria graeca eie.
430
Osmani , in Ttalia , ove già uu secolo prima per lo studio dei
classici latini e lo opere d'arte trovate iu seno alla terra, avea
cominciato la rinascenza della coltura, vi portarono copie delle
opero degli antichi scrittori greci. Altri uomini distinti si de-
dicarono allora allo studio della lingua greca , e delle opere
in essa composte , e superarono ben tosto i loro maestri. La
stampa poco prima trovata , moltiplicò con portentosa celerità
cosi gli scritti degli antichi greci , come quelli dei loro com-
mentatori 5 e dopo una generazione, lo studio della rinata let-
teratura greca si era già dilatato per tutta Europa. I nomi di
Omero e Tucidide, di Sofocle e di Platone risuonarono dalle
scuole d'Italia sino al nordico polo, e dagli estremi confini del
Portogallo sino alle sponde del Baltico , e lo spirito di questi
uomini straordinarii riaccese in mille e mille il fuoco celeste
della poesia e della filosofia , lo zelo della riflessione e delle
indagini , e l'impulso all'educazione.
Da quell'epoca in poi l'Europa percorse a passi giganteschi
la via della civiltà; Considerando sempre la Grecia come la
madre delle scienze e delle arti , al di cui maggiore sviluppo
intendeva continuamente. D'allora in poi la greca letteratura
restò e resterà uno degli oggetti principali dello studio nelle
scuole , ed il mezzo migliore di formare l'intelletto della gio-
ventù , e di arricchirlo di idee generose. Migliaia di giovani
imparano ad amar la Grecia , come la fonte della loro intel-
lettuale coltura , a stimare gli uomini sorami dell'antichità come
i benefattori dell'uman genere, e provano un senso di riverenza ,
pronunziando i nomi di Atene e di Sparta , delle Termopili
e di Maratona.
Tale è il legame , che congiunge la Grecia da secoli col
rimanente d'Europa: questa è l'origine della lor parentela, più
stretta assai di quella del sangue. Intanto la Grecia, spogliata
persino del suo nome e delle sue rimembranze , gemeva sotto
il giogo d'una inumana tirannia , quantunque i suoi figli nu-
trissero , anche in servitù , nel loro seno vivissime le scintille
della rigenerazione. Il concento della gloria dei lor maggiori
dalle spiaggie d'Europa risuonava sempre più forte all'orecchio
dei Greci, le scienze bandite uu di dalla Grecia, ed accolte e
451
coltivate ili Europa, cominciarono a ritoi'uare insenslbilmeule
nella lor patria : quelle scintille lìnalmcnte si fecer fiamma.
La Grecia die di piglio alle armi, il inondo incivilito alzò ini
grido di gioia, e la aiutò nella lotta contro i tiranni, e la Grecia
solennizzò la sua risurrezione.
II.
Noi crediamo di aver dimostrato l'essenza , e i motivi della
intima colleganza fra la Grecia ed il resto d'Europa. Ora ci
opporrà ijualclieduno essersi questa essenza deirammesso legame
cangiata; la Grecia attuale appena desta da un lungo e pro-
fondo letargo, trovar l'Europa, sua gioviu sorella, più assai
innoltrata nelle arti e nelle scienze, ed abbisognar tanto più
del di lei sostegno e della di lei istruzione. E ciò veramente
in qualche rapporto debbe esser concesso. La Grecia deve di-
fatti farsi ridare dall'Europa il seme della maggior parte delle
scienze , per ispargerlo nuovamente sul suo fecondo terreno.
Ma essa custodisce ancor nel suo seno tesori inesauribili per
le scienze e le arti, e ponendoli in luce e facilitando le ri-
cerche dei dotti , apparirà anche per l'avvenire benefattrice e
maestra d'Europa, e terrà vivo l'antico santissimo nodo fra essa
ed il mondo incivilito.
E facile a comprendere , che qui vogliamo parlare delle così
dette antichità , di quei ricchi tesori dell'arte antica , della ar-
chitettura, della scultura, della plastica, e della pittura, e
fiualmente anche di quelli che giacciono nascosti uelle iscri-
zioni , le quali non solamente gettano spesso nuova luce sulla
storia della Grecia e dei paesi finitimi, come anche sulla storia
dello spirito umano in complesso e su quella delle arti e delle
scoperte , ma aumentano ben anche la cognizione dell'antico
idioma dei Greci , e ci conservarono persino dei canti di poeti
le di cui opere andarono smarrite nel generale decadimento
dell'antica letteratura.
I diversi governi che si succedettero nella Grecia dal tempo
della rivoluzione seppero apprezzare l'importanza di questo as-
sunto , e si affrettarono a proibire il trasporto di antichità dalla
Aù2
Grecia , e ad ordinare la conservazione degli edifici e dei mo-
numenti ancora esistenti ( veggansi le risoluzioni della dieta
nazionale di Trezene nel 1827). A questo solo potevasi limi-
tare il governo durante la guerra. Altre misure furono prese
quando , dopo l'arrivo in Grecia del Presidente Capodistria
(1828), le circostanze assunsero un altro aspetto e crebbero le
rendite. Per decreto del Presidente del 20 ottobre 1829 venne
stabilito in Egina un Museo pubblico sotto la direzione del
noto arcbeologo Mustoxidi. La Dieta nazionale di Argo con-
fermò la decisione presa in Trezene, e il 23 giugno i83o ri-
lasciò il Presidente una circolare a tutti i Governatori , in cui
era fissato un preciso regolamento intorno alle anticbità , e in
cui essi, come ogni altro amico delle arti , venivano eccitati
a contribuire all'arriccliimento del Museo nazionale; ed il Go-
verno intraprese nel tempo stesso degli scavi in Egina , Me-
gara , Delfi, Ciduo , ed altri luoglii.
Tutte queste nìisure furono secondate da felici risultamenti.
Nello spazio di circa tre anni, sino al i8>ji, nel museo che
si trovava ancora in Egina , per mancanza di conveniente lo-
cale in Atene, si radunarono alcune centinaia di oggetti d'arte
in marmo (statue, bassi rilievi, frammenti di edifici, monu-
menti sepolcrali , iscrizioni ed altro ), una gran parte dei quali
sono veramente belli e considerevoli 5 oltre a ciò esso conte-
neva una non ordinaria collezione di vasi d'argilla , di monete
e di altre anticaglie. Dopo la morte del Presidente però, e in
conseguenza delle turbolenze die allora insorsero , non solo fu
trascurato il suddetto regolamento , ma venne in parte saccheg-
giato il Museo stesso in Egina.
Dopo la venuta del re Ottone (i83'i) la reggenza rivolse
nuovamente la sua attenzione a questo soggetto , lo riordinò
con una legge del io, 22 maggio i834 e nominò il richiesto
personale. Parecchie antichità trovate nelle isole e nel Pelo-
ponnese furono ancora mandate al Museo di Egina, mentre
quelle rinvenute in Atene sotto la direzione di Pitachi eletto
conservatore di antichità pel greco continente , ivi rimasero
dopoché Atene fu destinata capitale del regno. Un più largo
campo s'aperse airArchcologia quando la sede del Governo vcane
455
difatti trasportata in Atene. Fu decretato il disgombro della
Agropoli dalle mine e il riprislinamento dei suoi stupendi edi-
fici, in quanto era possibile; e già il 3i dicembre i834 co-
minciarono i lavori cbe durano ancora. Gli effetti superarono
l'aspettazione. Il tempio della Vittoria non alata, danneggiato
dai Turchi pria dell'ultima guerra con Venezia nell'anno i684,
fu ritrovato quasi tutto in frantumi e poscia quasi interamente
rimesso. Una gran parte del piano dell'Agropoli venne scavata
e liberata dalle macerie •, vi si trovarono molte opere di Fidia
appartenenti al Partenone , come pure una quantità di statue,
bassi rilievi ed iscrizioni importanti per la storia antica. Le
macchine e gli apparecchi necessarii all'innalzamento delle co-
lonne del Partenone , son pronte , ed in pochi mesi debbono
essere erette *i. Le spese per tutti i lavori sull' Agropoli ,
comprese quelle della compra e costruzione delle macchine, dal
3i dicembre 1 834 sino ad ora (luglio i836) ammontarono in-
circa a 5o,ooo dramme, dalle quali però debbono essere diffal-
cate 20,000 dramme guadagnate nella vendita degli oggetti su-
perflui 5 e però la spesa netta rimane di 36,ooo dramme , som-
ma che restò in Grecia e contribuì al sostentamento di mol-
tissime famiglie , essendoché gli individui occupati in quei la-
vori erano greci e terrazzani.
Il tempio di Teseo che dopo i monumenti dell'Agropoli è
il più importante , e il meglio conservato fra tutte le opere
dell'antica architettura nella Grecia , fu poco fa destinato ad
una gliptoteca , essendone stato prima migliorato il tetto ed
alcune altre parti sulla spesa di circa 5 eoo dramme. In questo
tempio fu già esposto un gran numero di bassi rilievi , che si
trovarono nelle scavazioni al Pireo, ed in Atene. Fra le statue
più notevoli havvi un Apollo rinvenuto in Tira , che appar-
tiene all'antico periodo dell'arte egizia; poscia un Ermete dì
Timo , una statua di Stilos , una Atene (Minerva), ed un leone
pugnante contro un cavallo. Per mancanza di spazio non si
potè collocare nel tempio varii altri pezzi di merito secondario,
*i Quest'articolo, come viene accennato poche lince dopo, fu scritto nel
luglio del i836.
454
e lo stesso motivo impedisce pure ch'esso venga aperto al pub-
blico regolarmente.
Oltre a ciò il Governo raccolse in Megara, Tespia in Beozia,
in Andro ed altri luoghi statue bellissime, le quali debbono
far parte della collezione di Atene , tostochè lo permettano le
circostanze.
Mentre di questo modo volgea il Governo le sue cure alla
formazione d'un centrale museo, pensò pure all'erezione di musei
secondarli nei singoli paesi , come a Sira , a Timo , a Sparta,
a Tegea , a Megalopoli e a Tebe. In queste collezioni trovansì
in parte statue, in parte bassi rilievi , vasi , inscrizioni e monete.
Trasferito il Governo in Atene, vi fu pure trasportata la col-
lezione numismatica di Egina, ed accresciuta moltissimo d'allora
in poi mediante donazioni particolari. Per dare una maggiore
estensione e sviluppo a questo ramo di archeologia tanto rile-
vante per la cognizione dell'antica geografia, della storia poli-
tica e della storia dell'arte , ne confidò la direzione a Giede
esperto numismatico, associandosi anche la collezione dei vasi
di terra cotta la quale pei prodotti degli scavi in Atene , Trura,
e Tira venne considerabilmente crescendo.
Una parte singolarmente importante delle antichità trovate
nella Grecia sono , come abbiamo osservato , le iscrizioni. A
bella prima però esse non presentano un interesse particolare
che ai soli dotti occupantisi di storiche ricerche , ed assomi-
gliano in qualche modo ad un rozzo blocco di marmo il cui
interno valore il solo architetto conosce , mentre l'indotto ap-
pena vi rivolge uno sguardo. Ma se queste iscrizioni vengono
dilucidate ed ordinate da un profondo conoscitore , ne emerge
a poco a poco un edificio storico , la di cui inaspettata bel-
lezza sorprende ; come dimostrò il signor Boch nella sua opera
(i Sulla economia politica degli Ateniesi. » Noi stessi perciò ci
siamo fin qui limitati di pubblicare nei giornali soltanto quelle
iscrizioni che offrono un generale interesse , contribuendo alla
soluzione di dubbi tipografici e storici , sin che una volta
l'esteso commercio librario nella Grecia agevolò la pubblica-
zione anche delle altre , e la fondazione d'una Università ren-
dendo più generale lo studio di questa parte dell'archeologta
435
e delle scienze ausiliarie alla storia , avrà formato un più largo
circolo di lettori per le raccolte delle iscrizioni *i.
E questo basti intorno a ciò che il Governo Greco fece sin
ora per la parte scientifica dell'archeologia. Per quel che ri-
guarda un'altra parte di questo soggetto , qui noteremo , che
in ciascun anno i5 a 20 mila viaggiatori si recano a Roma e
a Napoli e i più coll'intenzione di vedere e studiarvi le anti-
chità ; cosicché a certo riguardo si può dire che Roma viva
in gran parte del concorso degli stranieri, e senza alcun dub-
bio una gran parte di essi visiterebbe la Grecia e nominata-
mente Atene , se fosse stabilita per mezzo di battelli a vapore
una regolare comunicazione coll'Italia *2. Ammettendo a 3ooo
soltanto il numero annuale dei forestieri verrebbe in Grecia
posta in circolazione una somma di danaro non piccola.
*i Nell'anno i834 l'autore di questo articolo pubblicò il primo fascicolo
delle iscrizioni greche ancora inedite sotto il titolo di « Jnscriptiones Greca»
ineditae. » Egli scrisse pure l'opuseoletto ; « Hercule et Nessus ; peinlure d' un
fase de Tence Athènes i835.
*■! Ciò avvenne in certo qual modo quest'anno dal lato d'Italia e di Francia.
Trad. di T. G.
436
POESIE INEDITE DI SILVIO PELLICO DA SALUZZO
Voi. 2. Torino, presso Giuseppe Bocca.
Io ammiro l'autore della Francesca da Rimlni per l'alto suo
ingegno. Lo^^venero ed amo per 1' egregie sue doti di cuore e
d' animo, e per la memoria delle sue famose sventure. Que-
sti sensi di simpatia, d'ammirazione e di compianto io credo
condividerli con quante sono anime gentili in Piemonte e in
Italia non solo, ma anche fuori del Piemonte ovunque il nome
di Pellico sia pervenuto, e non ignota la storia de' suoi dolori.
Altro io non so scorgere in esso che un nohile amico, un amico
che io volontieri abbraccio ove il minor s'appiglia: e quanto alla
palestra drammatica, l'emerito atleta che si cinse la corona,
quand' io a quella osava appena innalzare un timido e lontano
pensiero. Lungi adunque da me la pretensione di esercitare a
suo riguardo l'ufficio di critico, di sedermi prò tribunali a di-
scutere il merito delle sue nuove poesie. Lascio questa provin-
cia cui spetta. Il mio altro non sarà che un annunzio. Se forse
una qualche osservazione mi si presenterà cosi ovvia da non
saper lasciarla sfuggire, protesto sin d'ora ch'io non intendo,
neir emetterla, di attribuirle importanza veruna.
Il primo volume è tutto di liriche, o sacre nel più stretto
significato, o morali. Lungo sarebbe, anche a modo di puro
annunzio, il dir di tutte singolarmente. Accennerò d'una sola,
le ottave sur Ugo Foscolo. Fuvvi chi scrivendo la biografia
di questo illustre, fu severo alla sua memoria, e direi quasi
maligno: perocché più sollecito di enumerarne ed amplificarne
437
i difetti , che di discorrerne ì pregj , volle poi aggiunger fede
a' suoi racconti coli' autorità d'una lunga e assai famigliare
amicizia.
Di tua vita furenti indagatori ,
Per laudare o schernir la tua memoria,
Di te narrare i deplorandi errori ,
Quasi parte maggior della tua gloria.
Falsato indegnamente hanno i colori!
Del tuo core ignorato hanno l' istoria !
Ugo conobbi , o ingiurianti infidi ,
E tra' suoi falli alta virtude io vidi !
Così Pellico : e a chiunque leggerà queste ottave lascio giu-
dicare se buono e generoso uffizio ei rendesse o no colle me-
desime all' estinto suo amico , e se gli amanti della fama di
Foscolo non debbaii essergliene grati.
Il secondo volume contien sette cantiche. Questa foggia di no-
velle in versi sciolti , dove gli eventi accessorii vengono brevis-
simamente accennati, e si trasvolano lunghi intervalli di tempo
con rapide ed ardite transizioni 5 ma per V opposto de' fatti
principali e dei principali caratteri descrivonsi i minuti parti-
colari; e la parte affettuosa poi, la parte, dirò cosi, psicolo-
gica , accuratamente vi è svolta 5 questo genere , dico , è , almeno
in Italia , proprio di Pellico.
La prima cantica , che porta per titolo Rafaella , e per epi-
grafe il detto de' Proverbi : responsio mollis franga irain, sermo
durus suscitai furorem , tende a dimostrare quanto più agisca
con senno , chi parlando il vero ai regnanti , si studia condirlo
di miti e reverenti parole , che più accettevole il rendano ,
che non colui , che d' aspro e irriverente linguaggio veste la
verità già dura di per stessa all'orecchio de' potenti : e quanto
possa a vincer 1' ira in petto virile l' incanto d' un dolce lab-
bro femmineo. Ugo nello , cavalier lombardo , è falsamente ac-
cusato ad Ottone II della morte di Emerigo , barone carissimo
all'imperatore. xVldigero trovatore de' monti, onde scende l'Eri-
ilano , trovandosi in V ermia alla corte d'Ottone ,
438
L' infiammato
Inno rivolse a pingere l' iiom giusto ,
Che i maligni allontanano dal trono
Con atroci calunnie. E la pittura
Dell' improvvido vate apertamente
D' Ugonel presentava e le sembianze ,
E le virtù ed il carcere. .
IVè ciò soltanto: ma ardì mescere a questa pittura
Sentenze tai , eli' eran flagello al core
Di taluno frai grandi.
Quest' improntitudine non che persuada l' Imperatore , lo
commove a più sdegno contro Ugonello , nella cui disgrazia
già sta per esser involto lo stesso Aldigero , che ne assunse le
difese in mal punto. Ma Rafaella , valente trovatrice e bellis-
sima , s' avanza coli' arpa appiè del trono , e più istrutta dell'
aulico linguaggio , che il giovine poeta non sia , a lusinghiere
ed ossequiose lodi mesce tali parole che a serie considerazioni
eccitano lamenta di Cesare, il quale , sospesa la condanna di
Ugonello, alle preghiere di Rafaella perdona poi all'incauto Al-
digero. Meglio esaminata la causa dell'accusato, questi è chiarito
innocente. Liberato dal carcere , e grato ad amendue i suoi
difensori, che viveano innamorati l'uno dell'altro, si fa me-
diatore a congiungerne perpetuamente i destini.
Ecco della detta cantica alcuni squarci per saggio dello stile
e del verso.
Fascino avea sull'anima d'entrambi (Aldigeio e suo padre)
Que' bellicosi spiriti la luce
De' poetici studi. Il viandante
Le valli attraversando in notti estive ,
Violarsi i dolcissimi silenzi
Da dilette armonie sui colli udiva ;
Ed erano i due vati , ardenti spesso
Di queir estro recondito e divino ,
Che più fra il riso degli ameni campi,
Che nel fragor delle città sfavilla .
459
Ma r estro sempre non traean da' belli
Maravigliosi di natura aspetti.
Or contemplavan , bianchi di spavento ,
Le tempeste che visitan la terra
Come i ladroni , e menan beffe al pianto
De' poveri , cui tutto ban divorato ;
Or lunge ramingavano , e sui laghi ,
E sui precipitevoli torrenti ,
E sulle oceanine onde le spume
Ivan solcando ne' perigli , all' urto
Più feroce de' venti, allor che il legno
E s' innalza e sprofondasi impazzato ,
E qual degl' imbarcati urla , qual prega
Con pentimento e con secreta angosce ,
Quale il nocchiero interroga, e il nocchiero
Non risponde, ma sibila convulso.
Quel moversi de' popoli irruente
Verso le regie case un mar parea ,
Che traripando inondi la campagna ,
E le universe voci , ancor eh' allegre
Rombavan si moltiplici e si ferme,
Che la tremenda ricordavan foga
Di città, che o si scagli alla rivolta,
0 per subiti incendi , o per tremoto
Impetuosa dagli alberghi spanda
Uomini e donne, e per le vie cozzante
Strilli fuggendo la insensata turba.
Si discernea eh' eli' era gioia , e pure
Era una gioia che mettea spavento.
la tali urti di gente il buon Romeo
Da una parte fu spinto , e da altra parte
Spinto venne il suo figlio , e vanamente
Qua e là si cercan lungo tempo un l'altro ,
E a chiamarsi a vicenda alzan la voce.
11 sole iva all' occaso , e detto avresti
440
eh' ei discendesse in mezzo al gregge umano ,
Tutto affollato sulla immensa terra.
Quella vista e la splendida vaghezza
De' nugoletti occidentali , e il molle
Neir aere della sera innominato
Religioso incantamento , e in blandi
Fremiti ornai converso il fracassio,
Ed a que' blandi fremiti commista
La grata dissonanza or de' nitriti
Che le briglie scotendo alza, presago
Della vicina stalla il corridore ;
Or di persone salutanti , o mosse
A subitanee risa ; or d' allungato
Grido di chi da lunge appellar sembra
Con dolce affetto un qualche suo smarrito,
De' ti-ovadori commovea lo spirto.
Questa pittura piena di verità è chiusa dai seguenti versi ,
che ricordano, parafrasandole elegantemente, due assai note
terzine di Dante.
Alle soavi rimembranze è schiuso
Più in quella vespertina ora che in altre
Dell' intero suo giorno , il cor dell' uomo ,
Perocché il dileguarsi della lampa
Che a tutti è lieta , inchina ogni pensante
Ad affetti patetici , e al ricordo
Del dileguarsi della vita. Allora
Diciam la requie a' nostri pii, che insieme
Un di con noi frangeano il pane, e al sacro
Ospitai nappo s' estinguean la sete ,
E che falce di morte indi ha mietuto-,
E se remota è la natia convalle ,
L' invochiain sospirando , e riportiamo
Alle cene domestiche e alla pace
Del proprio letto il desioso sguardo.
E le vergini piangono a quell' ora
Più dolcemente o la perduta madre,
0 r amica od il prode , a cui risposto
441
Avea gUt il cor, se non le labbra : «Io t'amo!*
Ed a queir ora tutto ciò nell' ahna
Sente un alto poeta , e più che mai
Con mistica armonia s' ordinan belle
D' egregi fatti istorie entro sua mente.
Nella Cantica Ebelino si descrive la forte pazienza d' un ca-
lunniato. Ebelino favorito di Ottone II stringe amicizia con
Guelardo. Satana che s' era assunta davanti a Dio 1' orrenda
missione di far prevaricare quel giusto , è segreto mezzano
della fatale amicizia.
Iva ci cercando 1' uomo , '
In cui scerne^se il dolce volto, e i dolci
Atti , e r irrequieto occhio geloso
Del venditor di Cristo ; e non volgare
Mente si fosse , ma gentil , ma calda
Di lodevoli brame , ed inscia quasi
Di sé si pervertisse , e vaneggiasse
D' amor per tutte le virtù , e seguirle
Tutte paresse , e infedel fosse a tutte.
Tale , od un vero giusto esser dovea
Chi affascinasse d' Ebelino il core.
Guelardo all'ombra del suo potente amico dlvien potente
anch' esso alla corte d' Ottone.
Intanto
L' augusto sir della germana sede
Contezza ebbe di fremiti e lamenti
Neil' ahne de' Lombardi esasperate,
Ed a sedarle con prudenza invia
Ebelino e Guelardo.
I ribelli a ciò mossi dalla fama di Ebelino gli offrono la
corona d' Italia , eh' egli , fedele a' suoi doveri , altamente ri-
fiuta. Guelardo cui lusinga il pensiero di sedersi a fianco d'un
amico coronalo , e un dì fors' anche succedergli , con ogni ge-
nere di seduzioni 1' istiga ad accettare la pingue profferta. Ma
442
Ebelino è irremovibile : e a Guclartlo che non cessa dall' in-
festarlo, prima con pacate ragioni, poi con crucciose parole
risponde. Di ciò Guelardo s' adonta. Incapace della virtù dell'
amico , la crede mentita. S' immagina sprezzato da Ebelino ,
invidiato , abborrito. Trasportato dal suo livore , sedotto inol-
tre dalle lusinghe della greca Teofania moglie di Ottone , si
risolve a procacciar dell' amico 1' estrema rovina , accusandolo
all' imperatore di fellonia. Il fedele Ebelino è posto in carcere:
soggiace a processo. Guelardo presiede a' suoi giudici.
Cela Guelardo il suo tremore , e prende
Cosi ad interrogar :
— Qual è il tuo nome ,
0 sciagurato reo ?
— Sono Ebelino
Da Villanova , amico tuo.
— Rigetto
L' amistà d' un feilon. Giudice seggo.
Che macchinasti co' Lombardi ?
In viso
L' accusato guardoUo e non rispose.
E Guelardo: — A lor trame eri secreto
Eccitator -, t' offrian lo scettro , e pronta
Stava tua destra ad accettarlo in giorno ,
eh' ansio esitavi a stabihre , in giorno
Che , la mercè di Dio , non è spuntato.
Y' ha fra i complici tuoi chi tua perfidia
Al tribunale attesta.
E poiché muto
Serbavasi Ebelin , vengon a un cenno
\ Que' testimoni! nella sala addotti.
Eran duo di que' truci esclaniatori
Di libertà , di civiche vendette ,
Di patrio amor, che ne' consessi audaci
Della rivolta più fervean , più scherno
Scagliavan sui duhbiauti e sovra i miti ,
E più capaci d' affrontar qualunque
l'arean supplizio , anzi che mai parola
Di codardia al proprio scampo sciorre.
445
Questi eroi da macelli , questi atroci
Ostentatori d' invincibil rabbia ,
Come fur tolti a lor gioconde cene ,
E gravato di ferri ebbero il pugno ,
E il patibolo vider , tremebondi
Quasi cinèdi, le arroganti grida
Volsero in turpi lagrime e in più turpi
Esibimenti di riscatto inlame ,
Altre teste al carnefice segnando.
Dal corrotto tribunale cui presiede Guelardo , Ebelino s'ap-
pella all' imperatore. Questi già sta per cedere all' eloquenza di
lui , e alla forza dell' antica amicizia , quando sopraggiuugc
Teofania che maestra a volger le chiavi del cuore d' Augusto ,
con uno de' suoi magici sguardi rintuzza quella nascente pietà.
Torna Ebelino al carcere , e già scerne
Che inevitata è per lui morte. Oh come
Lenti di nuovo i di , lente le notti
Volgon per lui! Quel sempre assomigliarsi
D' una all' altra ora , e la perpetua veglia ,
Ed il perpetuo tenebrore — e i cibi
Immondi e scarsi — e 1' aspreggiante vote
Di questo o quello sgherro — e il frequent'urlo
D' altri prigioni disperati , in cupe
Vicine volte seppelliti — e il suono
De' ceppi loro , e quel de' propri — e il cauto
Osceno del ladron che , bestemmiando ,
La forca aspetta — e i gemiti dell' egro
Forse non reo che sulla paglia spira —
E il sollecito passo delle guardie
Che dicono : « E spirato !» — e questo detto
Che 1' echeggiante corridojo in guisa
Ripete orrenda — e il pianto d' un amico
Che , udendo il nome dell' estinto , grida
Dal fondo d' un covile : « Ahi ! gli sorvivo ! »
E per dispregio di quel pianto il ghigno,
Od il sibilo infame di coloro
Che trascinano il morto — e con siffatta
411
Serie tV inenarrabili vicende
Di Castel , che i perenni affigurava
Dell'abisso tormenti, il ricordarsi
De' di sereni cbe svanir, de' plausi,
Delle liete speranze, e, più di tutto,
De' dolci affetti - ab ! quella è tale immensa
Congerie di dolori e di spaventi ,
Che dissennar minaccia ogni più forte
E sdegnoso intelletto ! E se si ponno
Da intelletto simil serbar talvolta
Contro all'empia fortuna altero scherno,
O pensieri di pace e di perdono ,
E di fede nel cielo , ahi! pur ciuell'ora
Amarisslma vien che ineluttata
Mestizia il cor miseramente serra ,
E non v' è chi consoU ! Ed altre pan
A quell'ora succedono, e d'angoscia
In angoscia si cade! Ed un' ardente
Smania investe il cervello, ed impazzato
Esser si teme o brama ! E il generoso
Petto chiuder non puossi all' irruente
Piena dell' odio che in lui versan mille
Della viltà degli uomini memorie !
E feroce si resta , e di se stesso
S' inorridisce , e sclamasi : « Son io ,
>, Benché non conscio di mie colpe, un empio . »
Ebelino é finalmente dannato a nrovte , ^ t-Uo al -pplizio
f.alle insane urla delle turbe sebera.tr.cr , d. ^j^f^^^T^l^^
.„ tempo l'assordavan d'applausi. Muore il giusto calunniato.
11 calunniatore trionfa. Ma
Perchè perduto
Delle guance ha il vermiglio , e la baldanza
Della voce e del guardo? - E perche al riso
Che da Teofania volto gli è spesso
Non ride, e gli occhi abbassa, o spaventato
Mira a destra e sinistra ? - E perche a sera,
Se m luoghv oscuri passa , aflretta il piede
445
A illuminata parte , e ansante giunge
Quasi inseguito fosse ? — E perchè cerca
Talor per via i mendici, e su lor versa
A piene mani l' oro , e di lor preci
L' amto invoca , e inefficaci poscia
Di quei le preci ei furibondo chiama? —
E perchè ne' festini alcune volte
Cionca e sghignazza, e intrepido si vanta
Contro a tutte paure, e quando a letto
Va nell' ebbrezza , trema ed urla , e al fido
Servo chiede il cilicio , e se lo cinge ?
Tanto può su Guelardo il suo atroce rimorso , che pas-
sando un giorno a lianco d'Ottone sulla piazza,
Ove ancor d' Ebelino ad alto palo
Yedeasi infisso il teschio,
Malgrado la forza eh' ei tenta fare a se stesso per celare il
suo turbamento , straluna gli occhi , i denti gli battono forte-
mente , sta per cader da cavallo ,
E prepotenza di rimorso invitta ,
Ma non pia , lo costringe
a confessare ad alta voce in presenza dell' imperatore, de' suoi
cortigiani , e dell' affollato popolo , il suo nero delitto.
11 traditor nel suo sangue stramazza.
Qua! mano il colpo die priniier ? Mal puote
Fama saperlo. I più disser che ratto
Un ferro in cor si configgesse il tristo,
Altri che Otton percosselo. Il tumulto
Ferve con rabbia orrenda. In cento brani
Ecco lacero , pesto , annichilato
Il cadavere infame. E s' inchinaro
D'Ebelino anzi il teschio e imperadore
Ed ottimati e popolo, e nel tempio
Dato fu loco alla reliquia santa.
446
La Cantica Ilclegarde è come la Rafaella un elogio della fem-
minea onnipotenza. Irnantlo e Camillo figli di due baroni che
hanno i loro castelli sulle opposte rive del Pellice , cresciuti
insieme dall' infanzia in una più che fraterna amicizia , fatti
adulti son trasportati in contrarie parti dai venti delle fazioni
politiche e divengon nemici. Camillo di cuor più tenero ed af-
fettuoso , confida ad Ildegarde, sua degna sposa, quanto ei viva
tormentato dall' inestinguibil desiderio di quella antica amici-
zia : e come gli dolga che a riconciliarlo con Irnando siano
riusciti a voto gli uffizi di parecchi intercessori. Consigliato dalla
moglie a prasentarsi egli stesso , senz' opera di mediatori , all'
amico , ma rattenuto dal deferire a tal consiglio da umani ri-
spetti , si appiglia ad un partito di mezzo , che come sogliono
per lo più i mezzi partiti , gli viene fallito. Invia ad Irnando
un messaggiero j che l'itorna narrando i vituperi , di che quegli
lo ha colmo. Camillo nel suo furore protesta di l'inunziar per
sempre all' amicizia d' Irnando , del quale rimanendogli ( me-
moria fin a quel giorno carissima) un anello, trattolsi dal dito
lo frange in cento pezzi , e li gitta nel fango. Intanto gli giunge
r annunzio che il castello d' una sua suora è assediato da illu-
stri niasnadieri , ed egli senza frappor tempo in mezzo corre
in suo aiuto. Allora la solitaria Ildegarde accoglie un felice pen-
siero. Varca il Pellice con pochi famigli , e si conduce al ca-
stello d' Irnando. Quivi introdotta davanti ad Elina , moglie di
quello , romana di patria, di cor fervente e di gentile intelletto,
ma entusiastica anzi che no , sicché avea credulamente ricevute
neU' animo le tristi impressioni che di Camillo le avea fatte
il suo sposo ; le chiede amorevolmente il perchè in tanta e si
sciagurata ira de' loro mariti , elleno donne non potrebbero ,
serbandosi straniere alle virili discordie , come hanno relazione
di vicinanza, così stringerla pnvanche d'amicizia? E tanto sa
dire e tanto sa fare con ogni generazione d'innocenti arti don-
nesche , che Elìna ne rimane commossa, e il marito quivi pre-
sente , tutto confuso, tenta, recriminando Camillo, scolparsi
del suo ostile contegno. Ma Ildegarde tesse di Camillo una sì
bella difesa , e tante e sì irrefragabili prove adduce del non
essersi mai spenti nel cuor di lui i prischi aifettuosi sensi, che
447
irnando vìnto a quella soave eloquenza , lutto commosso e mu-
tato , sale in arcione, e seguito da' suoi guerrieri vola in aluto
del perigliante amico. Perigliante sì , perchè assediato colla
suora nel castello e ridotto allo stremo per difetto di vetto-
vaglia , e sedizione del presidio , era , senza quel soccorso , alla
vigilia di cader nelle mani di quegli illustri ladroni. Le due
donne intanto al tramontar d' ogni sole movevano incontro ai
loro mariti, e tornando sempre a casa digiune de' cari aspetti,
cominciavano a sospettare di qualche disastro , a rammaricarsi,
a tremare : e la focosa Elina die più d' una fiata in poco gen-
tili smanie contro la compagna , eh' ella osò chiamare cagione
delle sue sventure. Ma 1 due prodi riamicati ritornano final-
mente all'amplesso di quelle bellissime ed amorosissime spose:
e prodigatasi a vicenda la lode del valore , e confortati di buon
nibbiolo nelle ospitali sale , e rese somme grazie alla concilia-
trice Ildegarde , cui Elina chiede in ginocchio perdono de' suoi
insani trasporti , quella , a memoria di cosi lieto evento , ed
in penitenza de' passati rancori ,
Un' annua festa
Intima in questo e in quel castel, che festa
Dell' amistà si chiami , e dove ufficio
De' vati sia cantar quanti sospetti
Calunniosi partorisce 1' ira ,
E quanto 1' ira accrescano le ambagi
De' falsi intercessori , e quanto egregia
Sappia interceditrice esser la donna,
Se'^qui finisse la cantica, pai'ml che avrebbe una più bella
e nobile chiusa che non le facciano i sette altri versi , dai quali
vien terminata.
Nel poemetto / Saluzzesi sì cantano le dolorose vicende di
Tommaso Marchese di Saluzzo , che spogliato della signoria da
Manfredo suo zio, fatto prigione, poi ricuperata a peso d'oro
la libertà , pel mal reggimento dell' usurpatore , ed odio de-
gli stranieri, di cui circondavasi , desiderato in breve tempo
da' suoi sudditi, col favor loro, col proprio valore e coll'aiuto
448
di alili stranieri (perenne e noiosa alternativa tlelT italìclic
guerre ) ricupera il perduto marchionnal soglio, A questi avve-
uimenti storici si mescono , quasi episodio , ma più importante
dello stesso principal tema, le avventure di Eleardo cavalier
saluzzese , che seguace dapprima dell' usurpatore, rivoltato
allo spettacolo delle sue atroci sevizie , si associa alla sorte
dell" espulso Tommaso. I suoi amori colla figlia d'Arrigo, cal-
dissimo fautore di Manfredo , il ferreo ed indomabil carattere
di questo partigiano, e la ben ritratta figura del vecchio Ab-
bate di StafTaida , monaco , guersiei'o e santo ad un tempo,
sott quanto in questa cantica di più bellezze abbondi , e desti
maggior interesse.
Araldo e Clara ha uno scopo altamente morale. Aroldo vec-
cliio e cieco barone dalle romite torri che si specchiati nel Pel"
lice, all'annunzio che suo figlio, unico maschio , il qual com-
batteva nelle fila del Marchese Tommaso intento a ricuperare
la signoria da Manfredo usurpatagli , fu dallo stesso Manfredo
fatto prigione 5 sollecito di riscattare il figlio, fa raccolta di
quante ricchezze può in quella premura aver alla mano, e gui-
dato dalla figlia Clara , s' incammina alla volta del campo di
Manfredo. Una banda di assassini li assale per via e sono sva-
ligiati. Evasi a gran pena da quelle mani rapaci , s' avviano
per ricovero al castello d' un lor consanguineo : e lo trovano
dal furor di Manfredo disertato, ucciso il castellano, e saccheg-
giato ogni casolare all' intorno. Sovvenuti di gramo cibo dai
villici , oppressi dal disagio e dall' affanno , pure a piedi si
strascinano fino al campo dell' usurpatore.
0 padre.
Odi tu , disse , odi tu roco un suono
Simile al suon della bufera , o a quello
Di molte acque correnti?
Il vecchio capo
Ei soffermò, ed immemore im istante
Delle sue angosce , alzò la barba e rise.
— Oh di qual gioia quel fragor m' empiea
NegU anni miei di gloria! È il campo, o figlia!
449
Noto è ad orecchio di guerrier quel suono,
Come voce di sposa al suo diletto.
Un dì cosi fremente io il bellicoso
Aere appena sentia, sovra il miio scudo
Battea forte l'acciaro, e dai precordi!
Metteva un grido che atterria da lunge
Del nemico le scolte. E i miei congiunti
Dicean: « Voce è d' Aroldo, oggi si pugni,
Che , dove è Aroldo , è la vittoria. » Or fiacca
È questa voce, e più la destra, e al breve
Giubbilo del guerrier tosto succede
In me a quel suono il trepidar del padre.
Proseguirò alcun tempo, e quindi Clara,
Che sino aUor soavemente a' detti
Del genitore avea frammisti i suoi ,
Incominciò a interrompersi, e risposte
Dar che, non conscio l'intelletto, un moto
Parean sol delle labbia, A poco spazio
Vedea della distante oste per 1' aure
Quasi di nave altissimi duo pini
Elevarsi e ondeggiar, poscia fermarsi
Come al suolo confitti. E secondata
Venia quell'opra da un clamor che il primo
Clamor non era, ma or fischiante or rotto
Da infami ghigni, e da cupo silenzio.
A' sensi suoi creder dovea? le cime
Parean gravate de' duo legni, e il pondo
Che le gravava non scerneasi. Udito
Spesso Clara ha di barbari supplizi ,
Ove ad apppesa vittima lo strale
Drizzano i bersaglieri , ed ottien palma
Quei che divide dalle ciglia il teschio.
Di tal supplizi un questo fora ?
Spaventata da questo dubbio e veggendo il padre stesso in-
vaso da tristi presentimenti , vorrebbe persuaderlo a retroce-
dere. Ma Aroldo stimolato vie più , non che trattenuto dall'
ansio timore , vuole ad ogni costo innoltrare , strascinandosi
450
dietro , piuttosto che seguito dalla figlia , tutta tremante e sbi-
gottita. Giunti sotto i due fatali pini , Clara allo spettacolo di
due salme insanguinate , che mal ravvisa , perchè
Franta
Han la coppa del cranio, e dal mozzato
Lor sembiante piovea cerebro e sangue ,
percossa da fiero ribrezzo , cade tramortita a' piedi del pa-
dre. Passa di là frattanto Manfredo , che con alcuni cavalieri
iva perlustrando il campo, e visto Aroldo colla figlia svenuta,
mosso, benché crudele, da cavalleresco istinto , sgrida, chia-
mandolo discortese e stolto , il vegliardo che ha tratta sotto
il patibolo, a rischio di farla perir d'orrore, quella pavida fan-
ciulla. Aroldo, riconosciuto alla voce il tiranno, gli svela l'es-
ser suo, e ricordatagli la propria fedeltà all' estinto Marchese
padre di Manfredo , e quante volte Manfredo stesso ancor gio-
TÌnetto bevesse alla tazza d' Aroldo nel suo castello ospitale ,
gli chiede in grazia di voler rendere al cieco genitore il figlio
prigione , oiferendogli , tosto che raccolto abbia novell' oro in
luogo di quello che i ladroni gli han tolto, un assai pingue
riscatto.
È tardi, o vecchio, e ducimene,
risponde non senza commozione Manfredo. Joffrido, il figlio,
che Aroldo vuol riscattare, è un di que' due che pendon la-
ceri e difformi dagli alberi infami: non è più in podestà del
tiranno di far altro per esso , che di sottrarne ai corvi il ca-
davere, e concederlo alla paterna pietà.
Disse , e accennando che una guardia il morto
Dalla croce calasse, e all'infelice
Lo rimettesse , cogli sproni un tocco
Diede al cavallo, e col suo stuol disparve.
Eran passate oltre a sei lune. Il cieco ed orbo vecchio ge-
mea nel solitario castello sul figlio si indegnamente trucidalo.
451
Giunge alle sue porle un fuggitivo tormentato da febbril sete,
perocché perdeva il sangue per molte ferite. Aroldo gì' invia
per mezzo di Clara una coppa di generoso licore. Ma non sì
tosto il fuggitivo ,
Che al maestoso inceder cavaliero
Parca, e mendico ai finti panni,
ebbe veduto la nobil donzella , che coprendosi il volto tenta
fuggire : ma indebolito dal sangue perduto , in quell' atto im-
petuoso di fuga , cade stramazzando. Quello straniero era Man-
fredo , che superato in guerra dal nipote , perduti i mal con-
quistati dominii , fuggiva dall' ira del vincitore. Riconosciuto
da Clara, il primo, involontario suo molo è quello di correre
al padre, narrandogli come l'uccisore di Joffrido è, quasi per
prodigio, velluto a darsi nelle sue mani.
Ma in queir istante gli occhi
Della donzella alzaronsi a parete ,
Onde pendea dell' Uomo-Dio morente
Effigie veneranda , e a quella vista
L' irrompente parola il cor rattenne.
Un servo entrava: — Damigella, o carco
D'inaudite peccata, o fuor di senno
E lo stranier. Che far dobbiam? D'Iddio
Parla tra sé com' uoni cui prema occulto
Di vendette terribili spavento,
E di qui vuol fuggir.
— Tosto bardata
Per lui sia mia cavalla.
Il servo parte
Meravigliato , ed obbedisce. Intanto
Antico armadio la fanciulla schiude ,
Ed indi tratto un de' paterni manti ,
Al leve suo tesor poscia s' affretta
D' auree monete , e in una borsa il pone.
Cosi ver 1' agitato ospite mosse ,
E que' doni offerendogli , — d'Aroldo
Questa, gli disse, è la vendetta, o sire.
452
Frenica la generosa in lui mirando
L' uccisor di Joflrido e il formidato
Di Saluzzo oppressor, ma piamente
Frenò il ribrezzo, e dal balcon la corte
Del castello accennando , a lui soggiunse :
— Ecco a' tuoi cenni un corridor: se lena
Ti basti , fuggi , e t' accompagni il cielo !
Clara sparve , ciò detto. E V infelice
Tiranno — Angiol ! gridò. — Poi die dal cuore
Uno scroscio di pianto. Ed allor forse
Pentimento verace a lui fu strazio
Le proprie atroci colpe rammentando ,
E rammentando il giovine Joffrido ,
E quel misero cieco che appoggiato
Ad un alber credeasi , e gli grondava
Sovra la testa, ahi, di suo figlio il sangue.
Aroldo , inteso l'atto magnanimo, preso da cieco furor di
vendetta la biasima sulle prime quasi di mal collocata pietà.
Ma venuto ai secondi pensieri , la commenda come di santa e
generosa opra , e paternamente la benedice.
Un dì alle torri del baron fu visto
Gitmgere di Manfredo un messaggero
Da lontana contrada , e apportatore
Venia di ricchi doni. Eran tre lune
Che pace avean l'ossa d' Aroldo, e muto
Era il catello, ed in vicino chiostro
Cinta di sacre lane, i dolci salmi
L' orfana per la cara alma del padre
E del fratel tutte le notti ergea.
Qui finisce la cantica , della quale non è d' uopo che io
spieghi al lettore la morale sentenza. L' uomo che consacra a
SI alti fini il suo ingegno , che rivolge a così degni temi la sua
facoltà poetica, quest'uomo è benemerito dell'umanità, e gli
è dovuta da tutti i buoni gratitudine e venerazione.
455
Rocccllo, da cui s'intitola la sesta cantica , è un cavaller
Saluzzese de' tempi prossimi ai sovra descritti , che noiato allo
spettacolo delle patrie turbolenze, crede che la stirpe umana
sia affatto degenerata nella sua terra natale ,• e indispettito si
risolve ad abbandonarla. Visita poi una dopo l'altra quasi tutte
le italiche città, sperando, ogni qualvolta pone il piede in
questa o in quell'altra, di avervi a trovare quelle virtù, ch'ei
piange estinte nella sua patria. Ma 1' aspetto dei vizi d' ognuna
d' esse lo nausea talmente , che dopo breve dimora , si parte
disgustato da tutte, e stanco alla fin fine dì cercare indarno
la città virtuosa , se ne torna , sgombro di molte illusioni ,
alla mal abbandonata Saluzzo. Il vecchio Gilnero , scudiero suo,
che r avea più volte benché senza frutto sconsigliato dalle sue
peregrinazioni , lo motteggiò poi sempre per via , mordendo
con arguti motti gli entusiasmi del suo giovine ed inesperto si-
gnore, che ad ogni passo incontrava le umiliazioni del disin-
ganno. Pervenuti a Saluzzo ,
— Ah vi siam giunti I esclama
Quegli e questi a vicenda, e il cavaliere,
, Fervido sempre, altissime, abbondanti
Mette dal cor voci di laude al loco.
Al principe, alle leggi, a' consanguinei ,
Al volgo, agU usi, alla favella, a tutto.
— Temprate il foco del contento, o sire,
Dice il savio Gilner: senza magagne
Non ewi terra , ed ha le sue pur cpiesta.
Ma poiché pieno è di magagne il mondo ,
Indulgete de' vostri avi alla terra
Più che ad ogni altra , e piamente a lei
Sacrate il senno ed i tesori e il brando.
Il tuono della satira dominante in tutta questa cantica , la
fa, parmi, discordare da quante altre ed ora ed in altri tempi
uscirono dalla candida e mansueta anima di Silvio Pellico. No :
le sventure d' Italia non vogliono dagl'Italiani esser dipinte con
satirico pennello. Lasciamo agli stranieri questo inamabile ui-
454
fi-iio. Noi descriviamole in guisa, che pianto fruiti, amaris-
sirao pianto , non riso beffardo.
Ma degni di Pellico sono i seguenti versi , ch'egli ha posto in
bocca all'Alighieri moribondo nella cantica la Morte di Dante.
Quanto sei bella,
Fiorenza mia ! Quanto sei bella , o Italia ,
In tutte le tue valli, aucorcUè sparse
D' ossa infelici e di crudeh istorie !
E che monta che in genti altre sfavilli
D' eccelsi troni maestà maggiore ,
Mentre per varie signorie te reggi?
Chi può sfrondar della tua gloria il serto ?
Chi a te delle gentih arti 1' impero
Involar mai? Chi scancellar dal core
D'ogni uom che bevve al nascer suo quest'aure ,
La gioia d' esser Italo ? la gioia
D' esser nepote dell' antica Roma ,
E figlio della nuova ? Abbian fortune
Luminose altri popoli: in disdoro
Mai non cadrà la venerata terra
Che domò 1' universo
Ma bastan forse aviti pregi ? Il grido
Non vi colpi de' miei robusti carmi ?
E eh' altro , poetando io per luiigh' anni ,
Vi dissi, Itah, mai, fuorché d' apporre
Nobiltà a nobiltà, virtù a virtude
Innanzi al mondo, e a voi niedesuii , e a Dio?
E questi altri :
Chi son color che un idolo si fanno
Deli' Angioina Gallica burbanza
Da Carlo in trono appo il Yesevo assisa,
E la dicon sublime esca a future
Italiche armonie di leggi e forza
E civiltà ! Strappatevi la benda :
Straniero è U Gallo ! Sua virtude è olir' Alpe ,
Qui pianta è che traligna , e non soave
455
Olezzo , ma fetoi manda e veleno!
Qui tntela è bugiarda e si converte
In laido furto ed in più laido oltraggio !
Qui farmachi alle piaghe offre e vi sparge
Aceto e sale , e ficcavi gli artigli ,
E de' ruggiti degl' infermi ride !
Onoriamolo oltr'Alpe, o quando inerme
Visita le latine illustri terre ,
Non quando s' arma ed amistà ne giura!
Lui quasi imbelli pargoli maestro
Non invochiam , non invochiamlo padre :
Adulti siam se ci crediamo adulti !
Costretto Silvio Pellico per tutto il corso dell' infelice de-
cennio a non occuparsi quasi mai d'altro, che de' suoi pati-
menti , divenne poeta altamente soggettivo. Quindi non nelle
liriche soltanto ( perchè la poesia lirica nasce dall' abbondanza
del cuore), ma e nelle cantiche e nelle tragedie stesse com-
poste dal giorno della presura in poi , vedesi qua e là ritratto
il prigioniero dello Spilbergo 5 l'uomo che soffre, ama e per-
dona : — 1' uomo che ne' suoi canti rende un perenne tributo
di gratitudine alla severa ma in un pietosa amica , che visi-
tollo ne' giorni dell' infortunio 5 a colei che scese dall' alto nel
fondo del suo giaciglio a recargli quelle consolazioni che gli uo-
mini né volevano , né potevano dargli : ma del quale ti duol
soltanto che la religione sia pervenuta fino a lui per una via
sì dolorosa , eh' ei sia stato anzi martire che confessore : —
l'uomo disingannato delle più belle speranze della gioventù;
che ha fatto sogni stupendi , poi risvegliossi nel carcere: quindi
caduto nello scetticismo politico, nella rinnegazione d'ogni si-
stema sociale , dispera talvolta di trovar ombra [di giustizia e
di verità fralle tante disputazioni a cui il mondo fu dato in
preda ( morbo comune a coloro che dalle collisioni politiche
usciron malconci ) : e talvolta nelle sue ore più tristi è tentato
di dissacrar tutto ciò che un tempo egli ha consecrato : di get-
tare il fango dell' irrisione e del disprezzo sulle più belle illu-
sioni del tempo felice. Ma la dolce e mansueta sua natura lo
456
fa uscir vittorioso da questi raoinenll di lentazione : ed allora
egli invoca un anelito di alterna indulgenza fralle irose schiatte
de' forti che ha tocche la discordia cibile : allora ei prega il
cielo , che sparga sulla terra
L' armonia delle paci e del perdono.
r uomo per ultimo delle Mie prigioni: caro e pregevol li-
bro, dove la verità non d'altro s'adorna che di se stessa, e di
qualche opportuna moral riflessione; dove lo stile è Lello per
semplicità e lindura , e pel condimento d' ingenui ed innocenti
lepori; dove la narrazione è calda ed animata di quella vita,
che palpita ne' racconti di tutti coloro che si fanno storici essi
medesimi delle proprie vicende : ma dove nessun piagnisteo ,
nessuno sfogo di rabbia o d' intemperante cordoglio : all'oppo-
sto una benigna indulgenza verso quanti furono cagione o mezzo
a farlo soffrire 5 un notabile laconismo nell' accennarne le parti
malvage, una scrupolosa sollecitudine di ricordarne le buone:
nessun fiore dimenticato che abbia germoglialo fra si dure spine.
Libro, che in poco di tempo divenne europeo, che fece spar-
gere molte lagrime , e innamorò molti delja beli' anima dello
scrittore ; libro di somma efficacia a far abborrire la soverchia
severità delle pene , e a destar in avvenire gravi pensieri nelle
menti di coloro , che sederanno a legislatori del diritto penale,
e a far cadere una qualche canccllatrice lagrima sulle lor ta-
vole di sangue.
I detti sentimenti di scetticismo politico , e d' alterna in-
dulgenza traspaiono più manifestamente dalla Gismonda da
Mendrisio , dal Leoniero da Dertona e dall' Iginia d' Asti , tra-
gedie delle quali la prima non può venir ricordata senza ram-
mentar insieme i clamorosissimi applausi , di cui risuonò il tea-
tro quand' essa venne rappresentala, e 1' entusiasmo del pub-
blico , che per poco non ha portato 1' autore in trionfo. Né
infelice successo avrebber avuto, parmi, l'altre due, quando
se ne fosse eseguita la recita, come non ebbe, ed anzi fu ac-
colta con molto favore 1' Ester d' Engaddi : le quali tutte , se
non aggiungono al merito della Francesca da Rimini , quelli
457
ohe Irasser quludi cagione d'ingiuriosi sospelti, non vollero por
mente a ciò , che Pellico scriveva c],uest'ultlma nel tempo della
gioventù , dell' amore , delle dolci illusioni , delle lusinghiere
speranze: quando nell'avvenire ei non sapea scorger altro che
fantasmi di gloria e di felicità : quando un Monti , un Foscolo
e parecchi altri valenti gli erano e coi conforti , e coli' esempio
continui sproni a correre a meta gloriosa. Le belle e fresche
ispirazioni dell' età prima , i tenui sogni della porta d' avorio ,
scherzanti davanti al pensiero , son cose fugaci come quell'età
stessa : ed è tanto possibile il richiamarle nell' età matura ,
quanto possibìl sia il ringiovanire. Ma quell' altre invece furono
da lui composte in un luogo di sì tetra solitudine e di tal do-
lore j che il suo intelletto doveva essere più che mai debole. E
chiunque consideri come quest'uomo , prima in mezzo all'ansie
d' un processo capitale , e coli' Immagine del supplizio davanti
al pensiero, poi fralle tenebre d'una segreta, col corpo infer-
mo e 1' animo addolorato, con quella lunghissima notte di pri-
gionia sospesa sul capo, della quale la sua salute logorata non
gli lasciava sperare 1' aurora : ia tale luogo e iii tale stato ,
privo d'ogni cosa tanto al leggere che allo scrivere necessaria,
ideasse e colorisse disegni di poemetti e tragedie ; e senza ve-
run sussidio alla memoria fuorché il buio e la solitudine, li
ritenesse poi tutti sì lungamente nel capo: chi consideri, dico,
siffatte cose non potrà far a meno di ammirare e la sua forza
d' animo , e il suo vigore d' ingegno.
Al postutto Silvio Pellico è un uomo , di cui il Piemonte
debbe onorarsi altamente , e la cui fama che già rifulse bella
frai contemporanei , risoi-gei'à ancor più bella frai posteri : uu
uomo in cui la bontà dell'animo ( raro e mirabil pregio ) dall'
altezza dell' ingegno , anche ai tempi delia maggior sua gloria ,
non fu mai vinta. Che se oggi in molte delle sue opere l'Au-
tore della Francesca da Rimini è desiderato , di questo deside-
rio nessuno sia che ne incolpi lui stesso j bensì quelle amaris-
sime e ineluttabili cause , che uno spirto si nobile e promet-
titore hanno in fiera e miserabii guisa contristato.
Carlo MarcuLO.
.'i8
458
IL GIOVINETTO drizzalo alla bontà,
al sapere j all' industria
IL GALANTUOMO, libro di morale po-
polarle
CAKLADIBnOGlU DI MONTEVECCHIA
INNI SACRI
( Milano >837 ).
ili Cksake Caìntù.
" Io parlo di sapienza non di scicnzu , e ne domando per-
» dono agli innumerabilt dotti che turbano o ronciliano
» il sonno del nostro secolo senza saperlo educare.
N. Tommaseo.
Molti sono coloro i quali volgendo l'occhio e la mano sopra
un libro di modesta apparenza e di piccola mole, il quale veg-
gano consecrato all' insegnamento ed all'educazione di fanciulli
o di giovinetti, se ne scostano subito incuriosi , e giudicano quel
libro un libro da collegio e da ragazzi , un libro non degno di
loro. Ma se poi cotestoro con animo meno inconsiderato e più
paziente volessero fermarsi sulla lettura di non pochi di questi
libri che ora si stampano anche in Italia , si ricrederebbero
forse ben tosto di quella lor prima mal preconcetta impressione.
Destiniamo le presenti parole a cooperare per quanto è in
noi a questo utile disinganno, e ciò specialmente riguardo alli
preannunziati libri di Cesare Gantù.
Trovare nel Fanciullo e fomentare in lui l'istinto della bene-
volenza , rinforzare e dirigere a giusta meta il suo spirilo di
ricerca e di osservazione ; educare nel Gioy'inetlo il cuore con
premunirlo contro i suoi prestigi, svilupparne l'intelligenza e
proteggerla dagli errori j confermare ìmìW Adulto le tendenze al
459
Lene , rivolgere alla propria felicità ed a quella degli allri la
sua attività e la sua istruzione 5 fare insomma dell'uomo un.
utile , un onesto e perciò un più contento cittadino , ecco lo
scopo di queste tre successive operette del sig. Cesare Gantù
— // buon Fanciullo. — // Giovinetto. ■ — // Galantuomo.
Questi tre libricciuoli per chi ne guarda il complesso (ope-
rato ora colla recente operetta il Carlambrogio dì Montevec-
cliia pubblicala nel Nuovo jiinico della Gioventù) fortiiano in
sostanza un libro solo , si tengono per così dire amorosamente
per mano l'un l'altro; e come porta Tordine dei loro titoli,
l'autore di essi a guisa di custode affettuoso principia a pren-
der la creatura umana da quando ancora è debole bambina e
scorgendola poscia pel sentiero della vita la conduce sino alla
virilità, cioè sino a quel tempo in cui franco e sicuro l'uomo
riconosce in se stesso , e può essere davvero per gli altri una
vera immagine del suo divin Creatore.
Ora di questo difficile viaggio fattosi guida il Cantù ne ad-
dila tutti i pericoli e tutti i tesori , lo sgombra dalle spine, e
ne discuopre i fiori veraci, quei fiori die fragranti di casta
bellezza danno poi frutti di sapienza e di amore.
Della prima di queste tre operette già diemmo non è guari
ragguaglio , ed oi-a rinnoviamo il piacere cbe allora abbiamo
provalo ragionando delle altre cbe la seguono.
Perciò comincieremo per dire che nella seconda è speciale
intendimento dell'ottimo autore d'infondere nel giovinetto una
salutare diffidenza contro le proprie passioni e contro i pregiu-
dizi che tentano di buon'ora, e le male inclinazioni della na-
tura , e la corruttela delle cose che il circondano , radicargli
nel cuore e nell'intelletto.
Poi gli viene discoprendo ed educando il sentimento della
beneficenza e di tutte le virtù più usuali e pratiche , e gli
schiera allo sguardo dell'animo tutti i beni dèlia probità e della
industria , tutti i mali dell'ozio e della malvagità , che non
può più esservi pericolo che il giovinetto possa ingannarsi nella
scelta.
Così verame-nte viene il giovinetto, come annunzia e brama
il Gantù, drizzalo alla bontà.-, al sapere, td uìVinduòltia , t
400
quivi iuipara latti c[uei savii insegnamenti per cui ruomo di-
venta grato testimonio alla propria coscienza, e Iniou esempio
per i suoi fratelli , e viene quindi a sostenersi sereno e pacalo
contro tutte le vicende prevedibili ed imprevedibili della vita,
senza mai nuocere , senza sprezzare , senza deridere gli altri
suoi couipagiii nel laticoso viaggio.
Il giovinetto che leggerà questi libri non potrà a meno che
restar penetrato da una gran fede e da un gran rispetto per i
buoni pensieri , e per le buone azioni , e nutrirà, ne siamo
certi, la più consolante fiducia nelle ottime conseguenze che da
queste procedono , sebbene non siano esse sempre immediate,
uè sempre raccolte quaggiù. — Potrà almeno sempre confidare
in questa bella promessa — Qui stnutiai in lacrjniìs , in exul-
tatione metet. — Informati dunque da queste letture vedrete,
u italiani, crescere i giovinetti gentili senza essere efieminati ,
contenti di se stessi senza essere egoisti, schietti ed indipen-
denti, e giammai infinti, né boriosi.
Se per altro cercherete teorie astratte e speculative voi nou
le troverete in questi libri, ma le verità che ne dipendono le
vedrete improntarsi negli spiriti giovanili come naturali con-
seguenze pratiche e sensibili di quei principii 5 ed invece di
inerpicare l' ingegno sopra regioni troppo alte e nebulose , le
lezioni si ascoltano di una morale facile ad intendersi, non
difficile a porsi in opera.
Quando ciò vi diciamo, non andate però a credere che il
Cantù lasci ignorare al suo giovinetto le fonti delle scienze, e
delle più nobili discipline umane. — Perocché anzi ne cerca
e ne accarezza egli stesso come si potrebbe dire il midollo, e
sotto forme semplici materiali e schiettissime ne schiude ai
giovinetti le ricchezze più vere e più utili.
Cosi nelle scienze , nella storia , nelle arti, nei progressi del
sapere e dell'industria, nella vita insomma di tutte le ore e
di tutti i giorni , si voglion cercare quei fatti morali e sensi-
tivi che sono più acconci per l'istruzione , per l'esempio , per
la loro facilità , e per la loro frequenza.
Quindi è che tutte le sentenze , tutti i detti , tutti i pro-
verbji che le antiche e le rceeuli età ci hanno tramandati a
guisa (li altrettante incisioni od intagli , sono rome a disposi-
zione del Gantù, ed egli non lascia d'ingemmarne opportuna-
mente i suoi scritti. Siano poi quei detti usciti dalla bocca dei
più accigliati filosofi , oppure da quella de' più modesti nomini
del popolo , per lui è tutt'uno. Persuaso che in quelle forniole
proverbiali si racchiudono le verità piii fondamentali e meglio
provate della vita giusta e felice , egli le espone sempre colla
stessa reverenza , e le distribuisce in tutti quei luoghi che crede
più adatti per far impressione nella mente de' suoi allievi.
Così parimenti dalla vita degli uomini celebri ei discerne i
tratti più caratteristici , e li presenta poi così al vivo ed al na-
turale che il suo giovane lettore non può a meno che sentirsi
invitato ad imitare quei esempi , ed a conformare le sue opere
a quei consigli : tanto sempre il Canlù ha l'arte di porli a ri-
scontro dei vantaggi che i medesimi o tosto o tardi partori-
rono, non fossei'o anche stati che il solo premio di una buona
intenzione sentita e voluta.
E tutte queste sante cose poi il Cantù le dice con maniere
così affettuose e scevre d'ogni burbanza dommatica , che ben
difficilmente si potrebbe sfuggire alla loro convinzione. Perciò
egli per lo più si giova dello stile piano delle parabole , e con
un linguaggio tutto popolare e soave erudisce i giovinetti nelle
più ovvie come nelle più importanti cognizioni, in quelle co-
gnizioni che non solamente appartengono alla scienza od alla
morale astratta, ma che versano intorno all'economia domestica,
alle arti, ai mestieri e che in una parola sono le più neces-
sarie e le più vantaggiose in qualunque condizione l'uomo possa
trovarsi nel corso della vita pratica. Così per es. troviamo nel
Cantù il ragguaglio dei pesi e delle misure, delle distanze , e
delle monete , e nello stesso tempo alcune brevi ma esatte no-
tizie di statistica intorno alla popolazione , all'industria al com-
mercio ed alla navigazione.
Non bisogna senza dubbio pi'etendere che in libri di così
pìcciola mole tutte qixeste cose sieno molto sviluppate ; ma per
altro non si può negare né anche che siano esposte con una
chiarezza e precisione sufficiente per interessare e per istruire
la gioventù. D'altronde basterebbe poi che fossero soltanto in-
462
dicale perchè almeno coloro a cui è affidata la sua coltura e
la sua educazione j abbiano una traccia per ricordarle, per ispic-
j^arle , per adattarle alle intelligenze giovanili.
Sarà difatti a più d'uno di noi accaduto che un fanciullo per
quell'istinto d'insaziabile curiosità che tanto gli è naturale gli
sia andato facendo interrogazioni, alle quali in sul momento
non abbia subito saputo cosa rispondere, o vi abbia risposto di
traverso, ed inesattamente. Or bene questi libri rispondono in
tali casi per noi , e ci metton sulle labbra quelle parole più
atte e precise, con cui poter soddisfare quelle domande, e dare
ai giovinetti idee schiette e positive sopra i fenomeni si della
natura fisica , come di quella morale e sociale.
I pregi sin qui riferiti sono comuni a tutte queste letture
giovanili del Cantù , ma dove essi spiccano maggiormente , e
vi stanno per così dire raccolti, si è nel Galantuomo e nel
Carlamhrogio di Montevecchia.
Quivi però dirigendosi all'uomo già uscito di giovinezza , le
lezioni del Cantù assumono un aspetto più grave e più solenne.
Lo spirito di osservazione, è ben vero, vi ci viene di bel
nuovo raccomandato ; ma si dimosti'a con più sentita verità
come a lui siano dovuti i progressi nelle scienze , nelle arti ,
nella propria fortuna , e come da esso provengano le regole del
costumato e del prudente vivere sociale.
Così pur anche ma però sempre con maggior fervore ritorna
in questi libri più gravi ad ispirare l'amore dell'ordine, e del
proprio stato , e il sentimento della propria dignità. Un mae-
stro più amorevole, più conscienzioso del Cantù non si potrebbe
trovar facilmente. Egli insegna con affetto pari all'evidenza e la
moderazione nei progetti e nei desiderii, e la perseveranza nella
professione o nel mestiero che ciascuno si è prescelto , od in
cui si trova per caso avviato, e la costanza persino nella pro-
pria dimora perchè pietra mossa non fa muscliio. A udire tutti
questi precetti si direbbe che 1' anima e la voce di Franklin
siano passate nel Cantù, e veramente tutti i ricordi di quel
sommo sono da lui coji eguale semplicità e bontà di cuore ad
ogni buona occasione ripetuti.
Quando poi annovera ed espone i diversi diritti ed i corri-
465
sponderitl doveri dell'uomo , non si può non esser persuasi che
l'apri di questi precetti non può esservi né vera contentezza ,
né stabile felicità.
Se in questa bella esposizione di diritti e di doveri lo svi-
luppo interno dell' individualità non è punto dimenticato , vi
si tiene però anche sempre strettissimo conto di tutti i legami ,
e di tutte le relazioni estrinseche per cui 1' uomo non deve
mai essere né 1' idolo , né il tormento di se stesso ; né peso
inutile né stromento dannoso per la società, e per i suoi simili.
E come già desiderava che il suo giovinetto imparasse a ve-
nerare i sacerdoti per la missione ch'essi hanno di beneficare
la umanità , così il Cantù vuole pur anche che l'uomo adulto
conservi questo rispetto istesso , s'egli pur ama la religione , la
patria, ed i fratelli suoi.
E sebbene , come si è detto , già avesse al suo Giovinetto
mostrato di rispettare gli ecclesiastici , avvedutamente però
aspettò di parlare di proposito al Galantuomo delle verità reli-
giose , della rivelazione , dell'immortalità dell'anima , poiché la
esperienza gli ha mostrato che quando si vogliono a tutta forza
inculcare negli intelletti troppo teneri queste verità superiori,
allora si è che gli uomini contraggono sópra la religione idee
confuse , incompiute , fraintese. Di qui riescendo incapaci a
formarne un giudicio elevato e degno dell' alta sua origine e
del suo scopo s.%itissimo , molti si veggono poscia cadere nei
due estremi opposti , o delle incredulità o della superstizione ;
e ravvisare nella religione una incommoda correttrice di cui è
bello scuotere quando che sia il giogo , oppure una specu-
lazione astuta sopra l'umana ignoranza e credulità, da cui e
vanto tenersi sciolto e lontano.
Ma siccome non solamente verso la religione e verso il sa-
cerdozio , e cosi verso le autorità che reggono il mondo invi-
sibile conviene all'uomo di usare rispetto e amore, ma così
pure deve rispettare le leggi , il governo , e le autorità tutte
che reggono il mondo visibile e che legittime e ragionevoli nel
loro potere lo esercitano per l'ordine , per la giustizia e per
il bene della famiglia umana , cosi il Cantù ci porge il ritratto
di una società onesta e fiorente, scrivendo : — Nel tuo paese
464
^)edi i cittadini operosi, accreditati , cordiali, che si rispettano
e che si fanno rispettare , il debole protetto contro il forte j il
uomo leale contro V ingannatore , scelti agli impieghi i più me"
ritevoli ^ favorito il commercio, guarentita la pubblica salute,
promossa l'educazione? Benedici il cielo : ivi è governo buono.
Assennate come queste, e veramente conducenti ad un vi-
vere ogni volta più civile e giocondo sono tutte le massime che
si leggono in questi libri, e senza ora volerle qui citar tutte,
notiamo quella sola con cui si consigliano coloro che sparlano
del Governo. — // Governo ti parrà men cattivo quanto tu piìi
.sarai un galantuomo mettiamci in mente d^essere 5' un
bastimento in alto mare lasciamo fare al piloto
e rammentiamo che i naviganti per regolai'si bene e per andar
diritto guardano in su.
Abbiamo a bella posta voluto dire che queste massime mi-
rano a procacciare coll'adempi mento di tutti i doveri un vi-
vere ognor più civile e contento , onde taluno non venisse so-
spettando che mirassero invece a condurre ad un vivere stupido,
inerte e servile. Dovunque v' ha uno scritto di Cesare Canjù
stia pur lungi un sì brutto sospetto. La sua mente ed il suo
cuore educati alla scuola divina del Vangelo , si veggono sem-
pre intenti a scolpire in. chiunque li ascolta e giunge a com-
prenderli una carità operosa verso quelli che soffrono, cos\
bene come una pietà risvegliatrice per coloi* che fanno sof-
frire , una pietà uè codarda né furtiva , ma franca aperta e co-
raggiosa.
Che se ciò non fosse come il Caulù avrebbe sin da prin-
cipio dichiarato Tuomo essenzialmente perfettibile e ragione-
vole? Perchè non l'avrebbe soltanto riconosciuto soggetto a
moltissimi doveri , invece che tanto eloquentemente ne proclama
anche i diritti ? Per qual fine insomma avrebbe segnalati nella
essenza dell'uomo e della società il principio ed il bisogno di
un continuo progresso ?
Venerazione e rispetto alla religione ed ai ministri suoi, ri-
spetto ed obbedienza alle leggi, alle autorità, ai governi, sono
sentimenti assai più nobili e generosi, che non siano quelli del
dubbio, del dispregio, dell' intolleranza j sono il forte cemento
465
«enza del quale ben lungi dal migliorare e progredire la società
resterebbe sempre disordinata e scomposta.
Evvi chi ne brami una prova maggiore ? legga il Cantù
dove parla dei doveri verso la patria.
Quest'amore così profanato, che mai altro il fu tanto, questo
amore eh'
« Empie a mille la Locca e a dieci il petto »
non può e non deve consistere in nude parole, in fantasticag-
gini inoperose.
Consiste questo sentimento sacro nell'esercizio costante ed
amato di tutte le virtù pubbliche e private , nell'essere buon
agricoltore , buon operaio , buon impiegato , buon marito e
buon padre ; consiste nell'amare e nel beneficare i suoi simili
come fratelli , consiste nel fare sacrifizii , nel rassegnarsi alle
privazioni , alle ingiustizie , ai dolori , e così a quello più amaro
di tutti all'esilio ; consiste insomma nel praticare tutte quelle
virtù che il Cantù insegna ai suoi lettori di praticare , e che
quelli i quali veramente amarono la patria han praticato nelle
varie condizioni che o il cittadino o la patria si sono rispetti-
vamente trovati.
Egli è colla coscienza di questi principii che allora potremo
sclamare col Cantù — E noi pure amiamo la patria nostra ,
amiamo l'Italia , questo cielo così ridente , questo clima tempe-
rato , questo suolo cosi fecondo _, questo linguaggio armonioso ,
parlato da tanti cittadini j uniti con noi nell'amore della patria
comune, nei patimenti j nelle gioie, nelle speranze.
E quando udremo pronunciare queste parole da uomini quali
vorrebbe farli il Cantù , allora sì che potremo dire che desse
non sono più un suono di poesia vana , un lusso di garrula
fantasia 5 né quindi alcuno più potrà sospettarle che servano
quasi sempre di pretesto ad ambizioni nascoste , o di orpello
alla scioperaggine, o di pascolo ad utopie irrequiete.
Quando in un libro , come sono questi del Cantù, si trovano
di così buone intenzioni , tanta saviezza di consigli , tanta vee-
menza di persuasione e di affetto, tanta modestia di forme,
466
tanto impegno insomma di rendere gli uomini più felici e
migliori , certamente sarebbe ben strano lo occuparsi ancora
della lingua onde si valse colui che li scrisse.
La lingua che sa recare cosi positivi vantaggi non può nou
essere eccellente , e sebbene il Cantù non abbia fatta profes-
sione di purismo, né sia corso in cerca dei vocaboli più for-
biti , più classici ; pure ei seppe vestire con voce e con fogge
italiane tanti sentimenti , e tanti affetti che prima di lui diffi-
cilmente si leggevano in libri italiani.
Del resto la sua parola è sempre nitida , affettuosa , popo-
lare , è la parola di Manzoni , di Lambruschini , del Mauri ,
di E. Mayer e del Grolli , semplice ma eloquente, di quella
eloquenza che non cura e non mendica il suffragio degli eru-
diti, ma che persuade, che trascina, che opera, che commove
e migliora.
Imperciocché non basta possedere nascosto il tesoro della
bontà , del sapere , e della virtù per poter scrivere libri di tal
sorta, ma quelli soli il possono che come quei sommi testé
nominati, ed altri illustri italiani viventi, che per brevità non
nominiamo , Iddio privilegiò del dono di fare a tutti com-
prendere i vantaggi, e ad amare le condizioni mercè cui da tutti
si possono quei tesori inapprezzabili conseguire.
Si può quindi francamente affermare che il Cantù ha prin-
cipiato ad empiere quel vuoto che si trovava nella letteratura
italiana , e mercè sua, e mercè di quei benemeriti che in si
bella impresa gli sono compagni l'Italia possiede oggimai anch'
èssa libri con cui istruire le moltitudini, ed il popolo ; e cosi
le vien tolta la vergogna di accattare dagli stranieri un elemento
sì necessario di civiltà e di morale perfezionamento *i.
Né taceremo che molte cose, molte dottrine, molti mini-
steri , veggonsi in queste letture piuttosto indicate che espresse,
*i Straniere , ma pur degne di essere venerate ed imitate in Italia sono molte
opere che si pubblicano ora con lodevole frequenza per l'educazione giovanile.
— Senza accennare le opere di distinti Tedeschi, meritano special menzione i
racconti di Mad. Guizot ; le novelle della signora S. Ulliac Tréniadeure e gJi
scritti di Mad. L. Bclloc e di //. Montgolfier , e quello ancor più recente lor
libro intitolalo La JRuche Journal d'éludes etc. — Si può desiderare che tutte
467
e talora l'autore ne rappresenta il mondo più buono di quello
ne sembri realmente che sia , ed anche pare che tratto dalla
propria benignità inclini a spargere sulle cose di quaggiù troppi
fiori e troppe lodi 5 ma lungi che da ciò gliene venga biasimo,
io credo che 1' abbia fatto non tanto per aver realmente cre-
dute buone e pregevoli queste cose in se stesse , ma forse più
per desiderio che in realtà le medesime poi si conformassero
ai motivi di quelle lodi e di quegli applausi.
Ora poi in proposito appunto di lodi non vi sarà egli chi
fastidilo delle tante che sin qui abbiamo date dal Cantù , si
senta la voglia di dirci: — Possibile che in questi libri non
abbiate poi nulla trovato di che criticare ?
No veramente , io rispondo. Però più per compiacervi che
per altro vi dirò avere anch'io qualche volta temuto che il
Cantù fosse troppo ottimista, fosse uno di quelli che per pro-
pria dolcezza di sentimento lasciano sé ed il mondo in brac-
cio ad una quasi ascetica perfettibilità. - — Ma di questo timore
io m' andai subito dispogliando allorché vidi sempre indefessa-
mente raccomandata l'attività, l'industria , il lavoro, e conobbi
che parlando di religione il nostro Scrittore non blandisce
l'ipocrisia, né predica il quietismo, e quando poi raccomanda
l'amore e la speranza non vuol farci guardar questo mondo
ancora pur troppo pieno di guai con quel certo senso di bea-
titudine che molceva la fantasia di Bernardino di S. Pierre *i.
Ma invece di questa taccia, certamente se il Cantù non avesse
voluto scrivere libri elementari destinati solamente a scorgere
la gioventù nelle prime vie della virtù, dell'industria, e del
sapere , gli si potrebbe chiedere perchè non abbia un po' più
le donne italiane siano capaci di comprendere , e di insegnare questi libri sin-
tantoché r Italia possa averne qualcuna che sia capace comporli.
Chi poi volesse conoscere un catalogo tutto recente e ragionato dei libri stra-
nieri ed italiani sopra 1' educazione popolare, lo legga nel Ricoglilore esposto
dallo stesso C. Cantù (giugno, 1837, pag. 763 a 790).
*i Quali veramente sieno i principii del Cantù , quali le applicazioni a cui
egh intende , e come sappia rispondere alle insinuazioni che alcuni pretesero
spargere sopra le sue credenze religiose , filosofiche o morali , ben egli il dimo-
strò in quella Schiarimento che si legge uel Ricoglitore di marzo 1837.
distesamente ragionalo sopra alcune delle più frequenti e pe-
rigliose condizioni della società attuale.
Perchè p. e., gli si potrebbe domandare, non parlare di pro-
posito del giovine commerciante , dello studente , del giovane
che sceglie moglie e si accasa ?
Perchè parimenti non consecrare un capitolo a parte per
parlare a lungo delle fanciulle da marito , delle mogli , e dire
soltanto quando parla delle donne in generale , ch'esse meri-
tano sempre tutto il rispetto e la protezione dell'uomo ?
Eppure non è per certo il Cantù che ignori che queste spe-
ciali condizioni come sono le più frequenti , così sono pur
anco le più sparse di pericoli e d'illusioni 5 sono quelle dalle
quali dipende la felicità o la miseria d' una gran parte degli
uomini; che le donne soprattutto hanno sulla vita domestica,
e sulla società la più grande influenza?
Perchè almeno poi non dire ai giovinetti di non considerare
il matrimonio soltanto come una soddisfazione presente ed at-
tuale del proprio cuore, delle individuali sue inclinazioni, e dei
personali suoi interessi, e non insegnare che si dovrebbe invece
considerare come uno stato di doveri successivi , e osservarvi
le condizioni future della famiglia , i rapporti ch'esso tiene ne-
cessariamente con tutta intiera la società ?
Perchè infine purificando per quanto è dato al mortale ogni
mira egoistica , o volgendola a più degno pi'oposito non avver-
tire pur anco i suoi educati che mal savio è colui, mal savia
colei che nella compagna o nel comj)agno che vori-ebbe di-
sporsi a scegliere suppone subilo in astratto o tutte le perfezioni
o molti difetti; o continui godimenti, o fastidi perpetui? Ali-
mentare la piena fiducia di trovare la virtù, insegnare i con-
trassegni più sicuri per cui essa si palesa , svelare le condizioni
sotto cui essa più facilmente può cercarsi e si ritrova, infon-
dere la necessità e la gioia di un amore e di un rispetto in-
cessante per l'oggetto in cui si è per buona sorte una volta tro-
vata, ecco una delle più nobili parli di chi prende ad educare
il giovane^cittadino.
Ci perdonino i lettori , e più di essi il nostro Cantù queste
digressioni ; ma noi le abbiam fatte in parte credendo di in-
469
terprclarc le intenziooi sue , ed in parte anche per servire a
quel certo obbligo che hanno tutti coloro che scrivono , ed i
giornalisti più degli altri , di trovar sempre in qualunque libro
che lor capiti sott'occhio alcun che da ridire , a pena di pas-
sare per leggitori ignoranti, superficiali, o adulatori. Il quale
andazzo poi se sia vanità , amor del vero, spirito di contrad-
dizione , od istinto di perfettibilità, noi lascieremo ai critici
più consumati di noi a deciderlo.
Del resto quando poi udiamo il Gantù parlando della so-
cietà domestica , dire bensì a colui che vuol menar moglie di
assicurarsi prima la sussistenza , poiché è meglio dire , pove-
retto me, che poveretti noi, ma ricordargli però nello stesso
tempo di non guardar troppo alla dote vantaggiata , perchè dot&
indispensabile è la virtù : poi segue la dolcezza di carattere : le
altre sono qualità accidentali. — E quando parla deireducazione
mentre raccomanda la necessità d'istruire, non tacere però che
il mondo ha più bisogno di galantuomini che di dottori. — K
quando parla degli amici consigliare che le amicizie ove non
possano più continuare sì deggiono scucire _, ma non istracciare.
— E quando ragiona dei ricchi e dei poveri, afiratellarsi con
questi e sclamare: o poveri artieri, poveri conladini, poveri brac-
cianti , poveri tutti Jratelli miei , ve lo ripeto : i migliori no-
stri protettori sotto le nostre braccia e la nostra testa. — E
quando infine discorre degli antenati e dei posteri conchiudere
con questa bella sentenza : // bene vero va mai perduto. Se
non giova oggi, ed a noi , gioverà in avvenire e ad altri ^ no-
stri Jigliuoli e nostri fratelli.
Quando , diciamo , tuttociò e molte altre di così fatte esor-
tazioni si trovano nei libri del Caulù , e quindi quando ancora
si pensa al picciolo volume in cui sono ristretti, allora certa-
mente più non si possono lamentare quei vuoti che alcuni vor-
rebbero vedervi.
Che anzi per dire il nostro pensiero , tutto il nostro pen-
siero noi crediamo che queste letture giovanili contengano un
vero corso di filosofia morale , ridotto all'arte ])ratica di un
vivere più virtuoso , più utile , più felice , e adattato per ogni
ckiic di persone ; poiché lu virtù , il sapere , l'operosità ed il
470
bea essere se da un canto non sono privilegi concessi a taluno
per modo di privativa , così altrettanto è vero che queste qua-
lità non sono poi nemmeno da tenersi in conto di gravezze ,
di cui taluno abbia a bramare d'andarne esente per menare
più spensierata e più gioconda la vita.
Vada dunque il Cantù lieto della persuasione ch'egli non si
ingannava quando esprimeva lo scopo di questi suoi scritti colle
seguenti parole: = Ebbi di mira la classe più iiunierosa, volli
diffonder in essa i sentimenti di benevolenza , di contentezza
del proprio stato , d' operosità ; correggervi o prevenirvi alcuni
sciagurati giudizii j innamorarla della fatica , della temperanza
della beneficenza , insegnarle a riverir i nomi delle persone
grandi , cioè delle virtuose ; serenarle negli ingenui gaudii della
natura ; affezionarla alla famiglia , al paese , ai superiori.
Questi voli santissimi noi teniamo per fermo che verranno
un giorno o 1' altro compiuti , ed intanto il Cantù fece lutto
ciò che era in lui per riuscirvi, e certamente non era facile
trovare in altri la facoltà di rendere con un metodo chiaro ,
intelligibile , affettuoso , con uno stile rallegrato di esempi e
sparso di seutenze ricavate dalla sapienza e dall'esperienza del
popolo , la pratica della virtù , l'acquisto del sapere , la costanza
nell'operare , cose tutte così care e seducenti da sforzare per-
sino lo stesso egoismo a confessare che in tultociò ei viene a
realmente trovare il suo conto , da persuadere in una parola ,
per dirla alla maniera del nostro autore con un proverbio, che
// far bene è un boccone da ghiotto.
E sono pertanto libri siffatti quelli di cui non si può mai
abbastanza raccomandar la lettura, sono questi che giova dif-
fondere nel popolo, che tutti i padri di famiglia, tutti i rettori
delle intelligenze e de' cuori , tutti i maestri , tutti gli asili ,
tutti gli stabilimenti iusomuia che hanno per istituto d'islrurre
e di migliorar l'uomo, dovrebbero proporre per tema delle loro
lezioni e dei loro consigli, farne uso nc41a distribuzione de' pre-
niii , giovarsene in una parola come di un catechismo morale
e civile, che a guisa di quello sopra il culto religioso venisse
divolgato , insegnato, spiegato alla gioventù ed al popolo.
— Prima di queste opcrttlc morali in prosa il Cantù aveva
471
già pubblicati tre inui sacri : — La croca — La Domenica
desìi ulivi — Maria Assunta,
o
Queste cantiche palesano nel Cantù non solamente un fondo
di dottrina e di logica , ma lo manifestano pur anche dotato
di molta facoltà poetica, e di una pronta immaginativa. E
veramente come si potrebbe anche scriver prose con tanto ca-
lore, con tanta ispirazione, destinate, come quelle che abbiamo
or ora trascorse , al perfezionamento ed allo scambievole amore
degli uomini, senza sentire in petto la fiamma della vera poesia ?
Del resto questi inni del Cantù, per quanto a noi pare, pec-
cano per un solo difetto , e questo si è dell' esser venuti alla
luce dopo quelli del Manzoni ; e per dir vero essi mostrano
una troppo fedele imitazione del fare di quel grande maestro.
— E una tale imitazione è poi sopra di tutto sensibile in quelle
sublimi invocazioni, nelle quali il poeta si compiace , come nell'
inno della Pentecoste , di chiamare la possanza di Dio e dei
Santi suoi a venire a correggere i vizi degli uomini , ed a con-
fortarli alle virtù opposte. Lo stile del Cantù neppure arriva
a quella spontaneità ed armonia a cui giunse il Manzoni, quan-
tunque però il concetto appaia sempre nitido , grande , ele-
vato , ed acceso di quella facondia biblica che mentre si dirige
al cuore di ciascun individuo , e ne tocca le corde più nasco-
ste , e ne cava le più intime e schiette vibrazioni , non di-
mentica però le speranze e i destini di tutte le generazioni.
— Il perchè osserviamo con singolare compiacenza che non
si trova in questi inni del Cantù, quella pecca di misticismo
e di oscurità e quel lungo brancolar quasi negli spazj incom-
mensurabili dell' universo, che si riscontra in tante altre poe-
sie sacre nemmeno eccettuate quelle del Lamartine , e che ci
dolse particolarmente vedere in quelle del Conte di Bagnolo
ed anche del nostro giovine Giuria , benché in esse , convenga
dirlo collo stesso senso di compiacenza , ci sia molto bello, e
molta promessa di meglio. Insomma però da tutto ciò si
raccoglie che gì' inni del Cantù stanno più vicino che quanti
altri mai a quelli del Manzoni, del Borghi e di Samuele Biava.
Tutti questi valorosi ristoratori della poesia sacra seppero
innalzare le loro menti alle pure ed eterne regioni del vero e
472
del buono senza perder la traccia delle cose positive e mortali,
appressarono bensì cupide le labbra ai casti fonti biblici , ma
non ne riportarono l'intelletto invasato e confuso , in tutti tu
odi parlare lo stesso linguaggio di speranza e d' amore. — E
per verità quegli che si sente tanta potenza di genio da far
discendere Dio faccia a faccia colle sue creature , di unirli a
fidato colloquio , e quasi riescire a stabilire fra essi una cor-
rispondenza di bisogni, di dolori, di conforti, e di speranze;
questi soltanto è chiamato a scrivere inni sacri.
Che se degli inni del Cantù , e de' suoi eccellenti libri di
educazione e di moral popolare, sebbene da noi già indovinati
neiranimo e nell'intelletto suo, noi fummo quasi degli ultimi
a ragionare, crediamo però di fare per quest'indugio ammenda
onorevole , coli' averne qui parlato più a lungo , e forse con
troppo di quella compiacenza perdonabile, speriamo, di appic-
cicare i nostri pensieri a quelli di uno stimato scrittore. Del
rimanente compiamo l'ammenda con essere pur anche i primi
a presagire una riconoscenza ed un beneficio ognora crescenti
a tutti questi libri, ed a protestare ingenuamente al loro au-
tore, che, come desiderò e modestamente si propose , ei fece
veramente con essi una buona azione.
Se^'crino Battaglione.
473
STUDI PUETICI DI LLIGI ttOCGÀ.
Torino , 183^. Coi tipi di Giuseppe Fodratti.
Giorgio Sand nel suo André, mesto, e pietoso racconto, -il
quale come più altri dello stesso scrittore pare inteso a rivelare
le nobili doti , e le sublimi facoltà della donna generalmente
o disconosciute o vilipese , e che per pietà de' dolorosi casi
onde s' intesse , per gentilezza e forza di femminei affetti ,
per verità d' espressione , efficacia e soavità di stile si ad-
dentro commuove, e intenerisce il cuore, che per lungo tempo
ne rimane nella mente viva ed accesa la memoria, Giorgio Sand
nel suo André scrive, parlando per incidenza della poesia,
queste graziose parole: « on dit , que la poesie se meurt : la
poesie ne peut pas mourir Si ce n'était qu'une langue ,
elle pourraìt se perdre; mais c'est une essence, qui se compose
de deux choses : la beauté répandue dans la nature extérieure
et le sentiment départi à toute intelligence ordinaire
Si elle ne produit plus de grands hommes, n'en peut-elle
pas produire de bons ? qui sait si elle ne sera pas la divinité
douce et bienfaisante d'une autre generation , et si elle ne suc-
cèderà pas au doute et au désespoir dont notre siede est at-
teint L'un porte sa poesie sur son front , un autre dans
son coeur , celui-ci la cberche dans une promenade lente et
silencieuse au sein des plaines, celui-là la poursuit au galop de
de son cbeval , à travers Ics ravins; un troisième Tarrose sur
sa fenétre dans un pot de tulipes j au lieu de demander où,
elle est , ne devrait-on pas demander « où n'est-elle pas ? »
Queste parole del Sand abbiamo voluto qui riferire perchè
con delicatezza ed efficacia insieme combattono un' opinione
nata non è gran tempo , e venuta di dì in dì crescendo , di
cui non iatendiatno ora toccar qui, che di passaggio, che già
31)
474
ci occorse altra volta di ragionarne più per disteso, quell'opi-
nione, vogliam dire , che tutti generalmente i secoli più in-
civiliti , e particolarmente il secolo nostro sia disadatto e ri-
pugnante alla poesia. Cotesta opinione è una di quelle tante, le
quali messe in campo risolutamente e con certa mostra di fi-
losofica osservazione , se avvien talvolta che trovino qualche
possibile applicazione all' apparenza de' fatti , sebbene in so-
stanza la condizione e la ragione di questi sia stata mal cono-
sciuta , facilmente s' appigliano , si distendono , e dominano
per lunga età le nienti degli uomini. Così fu già creduto, e
lungamente si mantenne quella credenza, che l'umanità fosse
destinata a muoversi oscillando dentro i confini della prefissa
Sua curva , forzata dalle leggi che la governano a dichinare
giunta al vertice per ricominciare poscia la sua ascensione. Ora
quella credenza, che la sorte dell'umanità assomigliava in qual-
che modo a quella di Sisifo s' è dileguata in faccia alla luce
del vero ; ed i termini posti al progredire della spezie umana
disparvero come le colonne d'Ercole.
Nessuna delle ragioni che s' arrecano in prova di cotesta pre-
tesa insociabilità della poesia coli' incivilimento (usiamo qui
questo vocabolo in quella più ampia significazione, che gli si
suole ora attribuire ) , ci pare appoggiata ad alcun stabile fon-
damento di verità; non gli ingegni rivolti ne' secoli inciviliti a
cose positive, e ristretti dentro il cerchio della realtà: che tra
questi ve ne avrà pur sempre alcuni , cui dilettano le gioie
dell' immaginazione, e che sapranno aprirsi una via per mezzo
le realità più prosaiche ; non le scienze , che invadono tutto :
che la poesia forma di per se stessa una cosa a parte , né ha
bisogno di conquistar sulle scienze il suo dominio, come queste
non le potranno mai rapire il suo , e per quanto 1' una e le
altre allarghino i propri confini non giungeranno mai a distrug-
gersi tra di loro; la poesia, e le scienze possono risguardarsi
come due parallele; non lo scetticismo spegnitore d'ogni poetica
fiamma: che la fede non potrà venir meno giammai all' umana
generazione, e v'avranno pur sempre anime generose, cui il dub-
bio è pena, e cVie comprese della forza del vero credono, con-
lidauo, e sperano j non il puro e diremmo verginal sentimento
475
della beltà della uatura esteriore affievolito da cento altri seti-
tiiueuti , ed affetti di varia tempra che la civiltà suscita , e
nutre : che se per questo rispetto s'avvantaggiano forse sopra
i secoli più inciviliti i secoli meno affinati, e le ispirazioni de-
rivate dalle impressioni della bella natura sono in quelli per av-
v^entura men vive, e men fresche,- altra sorgente d'ispirazioni
psicologiche dischiude in quella vece la civiltà più squisita.
Onde la poesia avrà bensì in questa un'impronta sua propria;
ma sarà pur sempre vera poesia conforme ai bisogni e alle
tendenze della età. Sarà la poesia del Manzoni , del Grossi ,
del Pellico, del Marenco, del Nicolini.
Insomma mentre il geologo s'aggirerà per le montagne in-
ternandosi collo sguardo nelle loro viscere per esplorarne le
qualità e la giacitura degli strali 5 mentre l'astronomo veglierà
le notti intento a contemplare i movimenti degli astri, e a de-
terminarne il maraviglioso magistero; mentre il nocchiero in-
teso a condurre salva la nave attraverso le ampie, e indistinte
vie del mare ne spierà attento ogni corrente , ogni secca ,
ogni scoglio; le montagne, gli astri, il mare saranno oggetto
di ben altra osservazione ad anime calde di sentimento, di
quel sentimento , che tende ad allargarsi oltre i confini del
creato , a soverchiare i limiti del finito. Anime cosi fatte al
di là di quelle forme, che loro si dimostrano innanzi presen-
tono una sublime ed arcana bellezza , un so che di grande^
d'infinito. Questi sono i poeti. Rapito alla vista di tanta mae-
stà di natura l'imaginoso Ghild llarold sentiva sollevarsi e farsi
quasi peregrina dalla carne la mente sua , e come dentro gli
dettava 1' accesa fantasia scriveva : « Je ne vis plus par moi
mémc j mais je deviens une partie de tout ce qui m'entoure
mon ame peut prendre l'essor et se confondre avec les cieux,
la cime des monts la plalne mouvante des mers, et les étoiles
de la voùte azurée C'est dans de semblablcs moments que
nous sommes moins seuls que jamais ; c'est alors que se ré-
veille eu nous la conscience intime de l'infini. Ce sentimeut
emeut et purifìe tout notre étre. Il est tout-à-la fois l'ame et
la source d'une melodie qui nous révèle l'éternelle harmonie ,
et vépand un charinu nouveau sur chaque objet. » Com ancora
476
mentre il severo filosofo detterà ne' suol volumi precetti di mo-
rale ragionata, v'avrà in ogni tempo chi coll'imaginoso pensiero
vagheggiando le bellezze del mondo morale le più nobili dot-
trine, i più sublimi principil del vero e del bene o abbellirà
dello splendore della lirica poesia o fregierà della dignità del
dramma o vestirà delle care ed amabili forme del romanzo sto-
rico. Egli è adunque falso, che la poesia possa venir meno: fosse
anche ella vicina a perire, basterebbe la mente d'un sol uomo a
ravvivarla di tutta la sua freschezza. Finché la natura rappre-
senterà nelle varie sue forme il bello assoluto ; finché gli uomini
avranno intelligenza per conoscerlo , sentimento per amarlo
vivrà la poesia, vivrà l'arte. Agli ingegni nati alle sue sublimi
ispirazioni s'appartiene il darle quella direzione, che meglio
risponda al bisogno, ed all'utile sociale. Che tutti i poeti del
secolo presente adempiano questo nobile uffizio non si po-
trebbe certo asserire,- alcuni pur troppo o contaminano la poesia,
o la impiccioliscono 5 ma é questa colpa sua , o non piuttosto
de' suoi cultori se invece di cooperare al miglioramento sociale
ora massimamente , che si tratta di rifar quello, che la gene-
razione passata ha disfatto, ella viene adoperata a bassi ed
indegni uffizi corrotta e corrompitrice?
Tutte queste considerazioni ci vennero al pensiero nel mo-
mento , che imprendevamo , sebbene un po' tardi , a render
conto di questi Studi poetici del signor Rocca, e le abbiam
voluto qui premettere perchè non ci parvero in tutto aliene
dal soggetto , e principalmente perchè importa combattere sul
loro nascere certe opinioni , le quali cresciute possono avere
dannosi insultati. Ora diremo alcuna cosa degli Studi.
Pare , che il pensiero di scrivere questi studi sia venuto al
colto autore dalla lettura d'un picciolo libro del signor Cav.
Andrea Maffei, il quale prese a tradurre parecchie poesie di
scrittori tedeschi e francesi, e queste sue traduzioni intitolò
Studi poetici. Purché le poesie, che si prendono a tradurre sieno
veramente buone ed elette, noi crediamo opportuno ed utile a
coltivar l'ingegno poetico, ed a perfezionare lo stile questo
mezzo usato dal Maffei , e dal Rocca , che è pur quello adoperato
dai più valeuli artisti. Che tutte le poesie tradotte per ifitudi
477
dal sig. Rocca sieno buone ed elette non oseremmo dirlo; ma
la più parte sono gentili e delicate , il che è prova dello squisito
sentire del traduttore. Noi non entreremo qui a ragionare parti-
tamente del merito di esse : che la materia ci crescerebbe sover-
chio tra le mani, e ci condurrebbe tropp'oltre ,• toccheremo dun-
que solo del merito della traduzione. Vivacità e certa freschezza di
stile, spontaneità di locuzione, varietà di metri sono i pregi, che
distinguono molte tra coteste traduzioncelle. Egli è vero , che
alcuni di questi metri non ci vanno molto a genio ; quello per
esempio usato ne\Vu4deiio deW Albei^gatrice Araba di V. Hugo,
il qual metro ci par poco atto agli slanci della poesia lirica ;
alcuna volta anche ci sembra , che lo stile del traduttore pro-
ceda un po' umile e stentato come nella Speranza in Dio dello
stesso autore ; trovammo eziandio alcune espressioni poco elette ;
quella p. e. di chiamar una fanciulla Ragazza _, il che guasta
tutta la soavità di quel nome. Ma a fronte di questi , e d'al-
cuni altri, che a noi paiono difetti, v' hanno negli: studi del
sig. Rocca alcune traduzioni non immeritevoli di lode. Ed una
ne riferiremo qui in prova intitolata L' Odalisca : sono le remi-
niscenze d'una fanciulla, renainiscenze meste bensì come il pen-
siero d'una diletta cosa perduta , ma pur dolci : che tutte soa
care all'uomo le sue reminiscenze benché dolorose, tutte, tranne
quelle che gli son di vergogna.
L ODALISCA
Lontan , lontano fra 1' odorose
Fiorite rive del Bendemir
V ha un pergolato di scelte rose
Che ognor fia 1' unico mio bel desir.
Delle sue fronde tra '1 vago incanto
L' usignuoletto là suol venir ,
E là sciogliendo la voce al cauto
Rallegra i frutti del Beudeniir.
478
Là in eiel fisando pensosa i lumi
Dolce riposo solca gioir,
Là inebbriavanmi molli profumi
E i cai-i sogni dell' avvenir ;
Ed or del tenero mesto augelletto
Là il flebil canto godeva udir,
Or udia scorrere suU' ampio letto
L' acque si placide del Bendemir.
Or lungi , ahi lassa , da quelle fronde
Che in cor mi destano tanto desir,
Domando: oh, veggonsi presso quell' onde
Ancor le vergini rose fiorir ?
E il mesto augello che scioghe ognora
Fra r ombre il suono de' suoi sospir,
Oh , il flebil canto muov' egli ancora
Presso le rive del Bendemir.
No , spento è il riso di primavera ,
Tutte le rose già s' appassir ,
Pili l'usignuolo non canta a sera
E di dolore già vuol morir.
Ed io lontana da quelle fronde
Che in cor mi destano tanto desir
Non vedrò, misera, più mai le sponde
Che i flutti baciano del Bendemir.
Ma se dall' arido mesto terreno
Le vaghe rose già disparir,
Grato un profumo ci resta almeno
Che 1' arte industre lor sa rapir !
Cosi fra un' estasi che m' innamora
Un soavissimo bel sovvenir
Al mio pensieio dipinge ancora
Le amene rive del Bendemir !
Non crediamo che il colto scrittore di questi Studi voglia
arrestarsi a questo suo primo saggio: che se egli porrà mano a
qualche novella sua traduzione , speriamo , che ella sarà di tal
opera , dove egli possa meglio , e con più utile della lettera'?
lava italiana dimostrare il valor suo.
G.
479
LE BELLEZZE DELLA NATLRA.
Inni di Antonio Buonfiglio. — Genova iSSy.
<> itiioiu
Inesausta sorgente di poesia^è Taspetto della natura: e quando
un uomo dotato di squisito sentire vi si affisa nel silenzio delle
cujre volgari e s'ispira a quel sublime spettacolo , allora ritrae
in se una parte di quell'immensa armonia che è la legge dell'
universo, ed il vate effonde la propria anima in canti, che sono
un eco lontano dei supremi concenti. Ma perchè feconda sia
la vena del poeta ed efficace l'ispirata parola, il suo sguardo
non deve arrestarsi soltanto sul simmetrico alternare delle vi-
sibili bellezze e riposare nella beata contemplazione delle fisiche
meraviglie. Bensì penetrando negli intimi rapporti delle cose,
ed osservando quelle norme di correlazione, per cui ciascun es-
sere vive in mirabile consonanza coli' universo creato , ei farà
scala della natura sensibile per salire al mondo morale , spie-
gherà di questo 1' ordine e l'armonia , e si farà rivelatore agli
uomini di quella legge che assegna uno scopo ed un uffizio all'
individuo , ai popoli , all' umanità. Perocché la natura non è
soltanto un armonioso suono del verbo divino, ma essa è pure
l'oracolo che ci svela i secreti dell'eterna sapienza.
A quella fonte perenne attinse il Buonfiglio le ispirazioni
consegnate in alcuni capitoli che chiamò inni; egli aspirò a
riverberare ne' suoi carmi le bellezze della natura , e l'opera
corrispose in parte all'intento. Se non che il poeta si fece per
avventura troppo passivo del suo soggetto invece d'investirlo
e dominarne l'ampiezza; il suo pensiero non vola sul vasto
orizzonte che gli si para dinnanzi , non s'aderge a tale altezza
da veder dove tenda tanto impulso di moto , tanta potenza di
vita , non tenta di alzare un lembo à^A velo che asconde gli
480
umani destini, non interroga il creato sui disegni del Creatore
scrutando i cieli , investigando l'abisso. Ma egli procede suc-
cessivamente di fenomeno in fenomeno, e si riposa in un'estasi
tranquilla a fronte degli incantevoli portenti : ei lambe la su-
perficie delle cose senza inviscerarne l'essenza , e pago a quell'
armonia^ che risulta dall'esterior disposizione degli oggetti, ei
li descrive con minuta diligenza e benedice al loro Fattore, che
fra tante bellezze pose l'uomo per fruirne , senza argomentare
della parte che a questi si spetta in quel sublime dramma di
cui teatro è il mondo. Però manca a questi poetici componi-
menti , per molti pregi d'altronde commendevoli , quel lirico
slancio , quell'impeto di fantasia , quel fremilo di potente pas-
sione per cui il poeta ti rapisce e trasporta nelle superiori ^re-
gioni del mondo ideale 5 e perciò ancora ne sembra che la
deaominazione d' inni sotto cui vengono presentati sia più
che idonea ambiziosa. Bensì nel leggere questi versi tu senti
l'alitare d'un placido affetto che rivela l'emozione d'un cuor
pio e nodrito all'amore di Dio e degli uomini. Ma la pietà
dell'autore troppo spesso si confonde con un certo quietismo
mentale, infecondo e disutile per incitar l'uomo a sostener co-
raggiosamente la lotta contro le influenze del male che lo cir-
condano, e ch'egli è chiamato a combattere e domare.
Il cristianesimo che sostituì all'antagonismo su cui reggevansi
le società antiche, la legge di fratellanza e di amore, diede alla
umana attività un alto scopo cui deve assiduamente anelare ;
e l'olocausto del divino suo fondatore dimostra che la via di
asseguirlo è ardua e faticosa. Però è da lasciarsi ai bonzi ado-
ratori di Boudd' ha e di Fo quella beatitudine di muta con-
templazione, per cui il pensiero riposa assorto e trasfuso negli
oggetti circostanti, e torpe neirannichilamcnto dell'individuale
energia. Il poeta, e più ancora il poeta cristiano, non deve
accontentarsi all'esprimere le impressioni che riceve dalle cose
che gli stanno attorno 5 egli deve aspirare ad agire sul mondo,
ad agire potentemente, salutarmente.
Fatta così una larga parte alla censura , e più larga forsu
che al proposito si convenisse, perchè nell'esporre queste nostre
opinioni avemmo spesso in mira un intero genere di poesia
481
anziché il saggio che ne sta sott'occhio; giustizia vuole che si
dica doversi molta lode all'autore pel modo onde seppe vestire
i suoi concetti espressi quasi sempre con purezza di lingua e
venustà di stile , e talvolta riccamente coloriti da una viva im-
maginazione.
Solo noteremo, in aggiunta alle critiche osservazioni da noi
fatte, una troppa ridondanza di pensieri, che il poeta accumula
talvolta sopra soggetti assai sterili per se stessi, dal che ne viene
che alcuni concetti potrebbero venir tacciati di puerilità, come
allorché della neve parlando ei dice
E tu ritieni sulle patrie porte
Il giovin baldo che dal sen materno •
Ama volar fra l'arme in seno a morte.
Un eroe che sosta per la neve che cade , è agli occhi nostri
un'immagine meno ancor che prosaica.
Ed anche la ripetizione spesso ricorrente delle parole cetra,
lira, corde potrebbe sembrare un avanzo di quelle arcadiche
lautezze, di cui grazie a Dio senton nausea finalmente li meno
squisiti palati. ' - •*-"^^-^ «*'' ■"'""
Ora se dalle regioni della critica noi fossimo' Wénturatarnente
sdrucciolati in quelle della pedanteria, ci dorrebbe davvero:
ma credemmo che a poeta che stimiam giovane , e che mostrasi
.capace di levarsi a più alti voli non si dovesse tacere quali
siano a parer nostro le mende che s'incontrano ne' suoi carmi,
e che ne offuscano in parte le bellezze. '''
Non equidem hoc studeo , buUatis ut mihi nugis
Pagina turgescat *
* Perseo,
MiHiTIZmoLO.
482
ì^ita Francisci Canaveri'i Monregalensis Medicinae professor i$
in Taurinensi Aihenaeo. — Auctore Laurentio Martinio.
.837.
Nel febbrajo dell' anno scorso moriva in Torino Francesco
Canaveri da Mondovi medico insigne e generoso uomo. La pa-
tria pianse in lui un ottimo cittadino, e la scienza medica un
cultore cui va debitrice di molti progressi. Vissuto a tempi in
cui il vecchio edifizio sociale d'ogni parte sfasciato crollava per
ìstabilirsi su nuovi principi più in armonia coi lumi e le ten-
denze del secolo , quelli egli candidamente e disinteressatamente
amò. Ma modesto e vago di quella quiete che allo studio si
conviene , ei si astenne ognora dal mescersi nei politici con-
flitti , e uscì dalle civili tempeste con pura ed illibata la co-
scienza e la fama. Chiamato a coprire la cattedra di medicina
nella Università di Torino , a questo uffizio si consacrò 'con
ardore a grande giovamento di quanti pendettero per più anni
dal labbro suo. Scrisse inoltre vari libri sulle cose mediche, i
quali fan fede quanto fosse in lui e 1' ingegno e la dottrina.
Esercitò r arte sua con generosità e decoro: grande per sapere,
modestia, e pietà, fu specchio d'ogni virtù.
La vita d' un tal uomo dovea esser posta in luce , sia per
invitare altrui a seguire quelle splendide orme , sia per non
fraudare la sua memoria del più giusto de' tributi , la pubblica
riconoscenza. Ciò pensò il Professore Lorenzo Martini , e ciò
fece degnamente. Raccontò le vicende dell'illustre trapassato,
e diede de' suoi scritti 1' enumerazione e 1' analisi. In questa
vita del Canaveri egli accoppiò all' altezza dei pensieri una certa
solennità di forme per cui leggendola ci sentiamo sollevati dalle
485
regioni della vita volga rQ , e posti in presenzia d' un grand'uo-
mo. A chi conosce la penna del Martini non sarà uopo il dire
che la sua frase è sonora, la parola incisiva,, lo stile colorito,
veloce. Un grande pregio agli occhi nostri si è , che lodando
nobilmente il maestro, il discepolo ci diede la misura dell'ani-
mo e della mente sua. Grazie sieno a lui che fece una bella
e santa opra. Ora noi saremmo per chiedere all' egregio autore,
perchè, perito qual ei mostrossi più volte nella nostra italiana
favella, egli abbia prescelto di scrivere in lingua latina; se non
che pare vei'amente che nulla, meglio di (jucll' augusto idioma,
potesse stare in armonìa con quella fragranza <lì, virtù antica
che spira da tutto il librò, ' ^' .•'• t-.-.» •
Valgaci a confermazione della nostra sentenza il qui arrecare
il periodo con che si chiude questa pregevole scrittiira.
Mohumentuih ià campo funereo posilum est. ScrìHejìti.Wsci-
pulo paucula de se dicere liceat. Sepulcrum saepe adeo : imagi-
natio marmar animat : illi acuii benignitatem spirarti : ea labia
virtutem commendant. Praécepta, Consilia , henefacta menti si'
mul recursont: pai'entem' venerar. Faxit Deus admiratio fructù
ne carcat. •■■ .^ '•' •■-■■;-. onne
sii iinErmi'iaxio?»! 43 ^ «*|w *^^o f»JniMWD<«Fi«*»». ot»3
j f.^Mi ìaiiR j-r '- ,.-..: : ■. I .,(• - .^j,!/, Jc ÌJtJ
:,•;, ,.,,'. 'jji.'ì ).. <\ .fiH8 latup
■■ Minnsin'ìh &l , inqijjca. al. , animilo i ..oiisaéiouoo laq ì.1JqI>
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484
-ou BULLETin DES EAUX d'aIX EN SATOIE
'jiìb i. ^.A
.oìholoo alìH olpar lelDoct. Despine//* eie
oBofiBof éìifjh ,t»^fa i-iiio/! ii. .;iv li;.;; Oi;;L)-it| aLtui^ aj .3,>oI:>/
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,9ioJi;.: i,'.,2--;j;f;j "Ili; j'i'tLaa'.i u-iq Oìiiiì!;j"J-;ì ìOìi ì,ìU .i>,'i{0 f^JXi^a t)
sniiifjRli iT,ii><:>a r.\\.in ^.flov- iiiq xr:?.cii?.om v) [«up oli!'.. ri .''ji[:>ii9q
OOl:\; ..i\: Ah. . ■ ;; i^-:. •■ • ■; .-i^! iV'iì
Ilsigopr Dottore Despipe figlio, continuando l'utile pratica
da lui introdotta sin dal i834, pubblicò non ha molto il ren-
diconto delle acque Termali d'Aix in; Savoia per lo scorso
anno i836.
Dopo up breve ceimo sujl tenore della costituzione sì atmo-
sferica che medica durante la stagione de' bagni e sui diversi
metodi dì cura da lui tenuti a seconda delle variazioni occor-
sevi, egli dà Je tavole comparative del movimento delle per-r
sone che vi si recarono, dei luoghi di loro provenienza, del
numero de' bagni amministrati in quell'anno in paragone dell'
anno antecedente. ..
Passa quindi ad accennare diversi miglioramenti che si fe-
cero recentemente alla città e gli accrescimenti da lui arre-
cati al Museo Patologico incominciato alcuni anni sono per
opera sua. Dà la relazione di due escursioni fatte con altri
dotti per conoscere l'origine , le cagioni , la direzione e la pro-
fondità delle sorgenti termali , esponendo il risultato delle loro
osservazioni j e termina con un sunto dei lavori analitici fatti
su quelle acque dal signor Bonjean, giovane chimico di molta
dottrina j il quale ne fece un accurato studio, le sottopose a
molti e diversi esperimenti, e ne determinò con più esattezza
e precisione i varii componimenti , avendo fra le altre cose ac-
certata nelle medesime la presenza dell'iodio sospettata bensì
dal nostro Dottor Griffa, ma non ancora scoperta da nessuno ,
e quella di un fluoruro di calcium la di cui presenza in quel-
l'acque ignoravasi intieramente.
Questo semplice rendiconto, a malgrado della sua brevità, con-
tiene non poche assai curiose e saremmo per dire rilevanti no-
485
tizie. Tali per lo appunto son quelle che riguardano 1' analisi
chimica delle acque ed il risultato delle sperienze fatte dal sig.
Bonjean, che gioveranno a meglio dirigerne 1' impiego nella
cura delle affezioni morbose , e soprattutto la scoperta dell'iodio
in combinazione nelle medesime, che ne accrescerà senza dub-
bio l'uso medicale. Tali purè sono quelle che concernono le
cause calorificanti delle acque , della diminuzione che talora
accade nella loro temperatura , e dell'alterazione a cui vanno
qualche altra volta soggette , che più positivamente conosciute
potranno essere con opportuni mezzi antivenute , come infatti
il signor Despine medesimo in seguito alle fatte scoperte già
ne accenna alcuni.
Ma ciò che più di tutto merita lode al signor Despine si è
l'indefesso zelo che continuamente dimostra pell'incremento dello
Stabilimento, e per 1' utile delle persone che vi concorrono.
Egli già pubblicò alcuni anni sonoil Manuel del'étranger aux
Eaux d'AiXj in cui assieme a curiose e dilettevoli notizie iste-
riche , archeologiche , e statistiche su Aix e suoi dintorni ,
diede molte rette e giudiziose osservazioni , frutto di accurati
studii, su quelle acque e loro proprietà, e sul modo di ammi-
nistrarle tanto internamente che esternamente. Egli inoltre
creò un Museo Patologico per conservare la memoria delle
cure più rilevanti operatesi da quelle acque in malattie ester-
ne, cosa utilissima e che riescirà in progresso di tempo di sem-
pre maggiore vantaggio: e dal ragguaglio ch'egli dà del sistema
da esso tenuto uell' amministrare 1' acque agli ammalati , noi
veggìamo con piacere che procedendo sull'orme del chiaro suo
genitore egli s' attiene ad un metodo rigorosamente razionale
fondato sui principii della scienza.
Mercè tali cure questo Stabilimento non è soltanto un luogo
di dilettevole convegno , ma nello stesso tempo un vero Stabi-
limento sanitario di una reale utilità in molte affezioni mor-
bose , e noi godiamo di poter aggiungere che le lodevoli fati-
che del giovane medico sono coronate dalla copia ognor cre-
scente delle persone che concorrono a quei bagni , come dalle
tavole comparative Aa\ suo rendiconto rilevasi.
486
/''.-ì ieb ^ . tiq'-. ulì-ìh oj_i..ìI.i: ■'■» ii Bj 9op3B allat» £'JciniiÌ3
islfaii ogaiqnit 'i anisfjbib nf(,Oj'*»t r. oflOBiavoig arfo ,H6i>iooa
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BI LUIGI BOSSI A GIUSEPPE GR488Iir „ ^f,.^..„
A cui può giunger nuovo il nome del conte Luigi Bossi,
Fautore delle storie d'Italia e di Spagna, e di tante altre opere,
il cui numero, la cui varietà, la cui dottrina, gli meritarono,
non che dal Monti (Proposta, voi. in. p. 2. f. vui. ), da tutta
Italia, il glorioso titolo di PoUstore Lombardo? Ora di questo
eruditissimo uomo, rapito, non ha gran tempo, all'onor della
Italia e degli studi, noi mandiamo iu luce alquante lettere in-
dirizzate al celebre nostro concittadino Giuseppe Grassi, le quali
fanno seguito a quelle di altri letterati già da noi pubblicate
in questo Giornale.
P.
Caro Grassi -^'Ji
Milano, 4 maggia 1817.
jj>a celebre contessa Isabella Teotochi Albrizzi , della quale
vi sarà giunto agli orecchi il nome, se non pure agli occhi^
alcuno de' pregievoli suoi scritti , vi recherà questa mia. Essa
si ferma due giorni in Torino , e quindi passa a Parigi ; vor-
ircbbe iu questi due giorni vedere quanto vi ha di importante
487
a vedersi, e conoscere alcuno degli uomini, cbe meritano di
essere conosciuti. Per la prima parte la appoggio al conte di
Harrache, come più libero: per la seconda a voi, come più
adatto ; e spero , ch'ella sarà tanto contenta di fare la cono-
scenza vostra , quanto voi lo sarete di veder da vicino una donna,
che primeggia tra le poche donne italiane, che sentano lettere.
Sarebbe un gran bene, che la metteste in contatto colla Dio-
data valentissima; fatele pur sentire, che questa ha tra i suoi
adoratori Ippolito Pinderaonte, come ebbe Cesarotti, e quanto
v'ebbe di migliore negli Stati Veneti. Non vi dico di più ; af-
fido questa dama , che io venerai sempre da 25 anni in qua,
all'amicizia vostra, ed a questa raccomandandomi, ed alla me-
moria vostra, con tutta l'anima mi dico
Cosa prostra — Bossi.
Lrrassi cariss.
Milano 9 agosto 1817.
Io non vi risposi subito dopo ricevuto il vostro libro ( che
ricevetti prontamente, e del quale di tutto cuore vi ringrazio),
perchè voleva in pari tempo rendervi conto della sua presen-
tazione all'Istituto , e del conto che se ne sarebbe reso nella
Biblioteca Italiana. Ma che volete? Il vostro libro non è giunto
mai all'Istituto , se non vi è giunto clandestinamente , che non
credo. Il libro piacque a me, ed a vari, che lo giudicarono
un buon lavoro ; ma altri nel frattempo gridarono la croce contro
quell'opera, che parve loro empia, scandalosa, offensiva delle
italiane orecchie , perchè la reputarono piena di francesismi.
Io avea già scritto mezzo l'articolo, che vi destinava nella Bi-
blioteca , e mi rimasi col mio lavoro tra le mani , come uomo
che non sa più la strada dove andare. A voi dico tutto: lascio
passare questo primo furore , e poi comincio dall'inserire quasi
per intiero la vostra bella prefazione, dico qualche cosa del
Dizionario , che non è suscettibile d'analisi , e scaso la neces-
488
sita di aver preso acl ìmprestito qualche vocabolo, che la scienza
non avea , e ricavare non potea se non dai francesi. Cosi spero
che sarete soddisfatto. -^ Vedete voi il mio Leon X? E' sarehhié
pur bene, che qualche volume vi passasse sott'occhlo , giacché
vi ho inserito nelle note al testo , e nelle addizionali cose cu-
riose , ed alcune del tutto nuove. — Se mai vedeste Gioberl,
ditegli che le rose debbono essere fiorite , e che si attende il
suo lavoro sopra il Gallesio. Amatemi , comandatemi e crede-
temi
Cosa vostra — Bossi.
Miiano -jò t'cbbruio t8t^.
Un amico mio , del mio casato , ma non parente , possiede
un esemplare bellissimo , sincrono , delle opere di Montecuc-
coli , in 3 voi. in fol. Vi si trova un'opera, ch'egli crede ine-
dita zzz L'Ungheria nel 1667. = Se vi giova questa notìzia
servitevene. Addio. Io sono
Il vostro Bossi.
L'amico si presterà a tutto quello
che voi potrete desiderare.
Caro Grassi
Milano i3 marzo 1819.
Rispondo alquanto tardi alla gentilissima vostra delli 24 ^*^^"
braio, perchè distratto da mille occupazioni. Mio era realmente
l'articolo intorno all'opuscolo di Schlegel, come quello pure
àeW Eusebio del Mai nel fascicolo medesimo, dove vedrete bea
trattato il vostro Principe di Carìgnano. In fatto di etimologie
si sta assai male presso i nostri librai: VAdelung non si cono-
sce neppure. Se io avessi ancora i miei libri , potrei dirvi qual-
che cosa su questo proposito , ma per disgrazia non ne ho nep-
pure il catalogo. Credo che avrete un buon dizionario celtico
489
cìie credo stampato a Londra ; liavvì pure un dizionario della
lingua Vallona, che è molto stimato : la grammatica celtica di
certo Le Brìgant è scampata a Parigi. Molto troverete nella
Atlantide di Plao Rudhekioy libro rarissimo, che da noi esiste"
solo nel Gabinetto delle medaglie altre volte della Zecca. Mi
nominate V Ilikes; quello è eccellente, ma conviene avere l'e-
dizione del ijo5 di Oxford. Non so se vi ricordiate della Bi-
blioteca Italiana che si stampava a Torino in francese nel 1806,
cred'io^ in quella trovasi un mio lungo articolo sopra uno
scritto di Fabbroni, che è tutto etimologico , ed assai curioso.
Sopra questa materia sono anche tornato nel primo volume di
una storia d'Italia, che ora qui si pubblica da Giegler con
qualche lusso , e che non so come riuscirà. A proposito, sento
che Botta nostro scrive una storia d'Italia ; sapreste voi dirmi
su quale disegno, dove cominci, dove finisca, se sia diffusa o
compendiosa ^ generale o parziale ecc. ? Se lo sapete , scrive-
temi subito. Tornando all'etimologie-, molte cose si trovano
sparse qua e là nei libri ai quali meno si pensa : molto v' ha
p. e. nella Italia, nella Sicilia, e nella Germania di Cluverio,
molto nel cattivo libro di Bardati sui primi abitatori d'Italia,
molto nella Storia, o piuttosto nel romanzo, universale del
dottissimo Bianchini, molto nelle opere del Guarnacci, del
Muffai, del Lanzi ecc. Ma io non ho più que' libri alle mani.
Avete voi veduto il nostro vocabolario milanese di Cheru-
binil Alcuna cosa sulla lingua provenzale, che vi potrà gio-
vare, ha scritto anche il defunto Millin ; molte buone cose
in proposito delle origini settentrionali, paragonate anche colle
Indiane , troverete nelle opere di Jones, nelle Asiatik Resear-
chcs , nelle Transactions of Calcutta, e poche nell'opera del
nostro Micali. Qualche cenno ho fatto io delle settentrionali
nella mia lettera a Schlegel sulle vane ossia sulle iscrizioni dei
lioni di Venezia, stampata a Torino, in ottavo. Cercate pure
Keissler antiquitates septcntn'onales et celticae; il di cui esem-
plare che io aveva , passò nelle mani di Caliiso ; Torhelin an-
tiquìtates septentrionales -, le opere di Giona Ranco : un buon
libro dev'esservi pure de origine linguae Svecicae. Eccovi una
lunga ^uiaccherata senza ordine , e forse inutile. Vedrò eoa
3o
490
molto piacere le cose vostre , ed allora vi dirò forse di più.
latanto non mi risparmiate se mi trovate buono ad alcuna
cosa. Qualche tentativo etimologico ho fatto io recentemente
neir occasione, che Zurla ha pubblicato la sua grand' opera
sopra Marco Polo ; ma onorandomi come sua guida, e suo
aiuto, non ha fatto uso che di poche mie osservazioni, e queste
ancora ha storpiate Per es. io il primo ho spiegato
all'evidenza ciò che dir si volesse il nome capedolae , del testo
latino antichissimo, e questo indica i balenotti, che i Vene-
ziani, e molti altri Italiani dicono capi d'olio; si\\Vaudanicum
Zurla , fid io non siamo d' accordo , perchè io intendo 1' ot-
tone , ed egli l' acciaio. Avete veduto ciò che Ciampi scrisse
ultimamente per provare l'antichità della lingua italiana? Hav-
vene un mio estratto nella Biblioteca dell'anno scorso 5 ma vi
sarà giovevole il vedere l'originale. Qualche cosa troverete pure
nelle antichità italiche del Carli, Ma eccomi di nuovo tra le
etimologie! Monti non ha cessato mai di stampare, ma avendo
vomitato troppe ingiurie Eowtro l'autore ignoto di quelle osser-
vazioni che avrete veduto nella Biblioteca Italiana , sta ora al-
tercando colla censura , perchè non gli si permette la stampa^
il che sia detto tra noi. Salutatemi Vassalli cordialmente : mi
si dice che Morosi ha avuto la sua patente di conferma a que-
sta accademia; ed io non l'avrò? Scrivetemi, comandatemi,
amatemi « e credetemi
Cosa Vostra — Bossi.
4. e,
MUaao 23 giugno 1819.
Non posso rispondere letteralmente all'ultima vostra , che
non ho per accidente sotto gli occhi 5 ma so bene che vi si
contenevano varie domande intorno al codice di Montecuccoli,
alle quali tutte in globo rispondo sì , sì , sì. Non mandai allora il
codi'^e stesso, perchè Custodi aveva alcuna idea sopra il medesimo;
ora quei pianeta è «jyclissato, ed io ne posso disporre libera-
491
mente. Quanto alla persona mia , per tutto quest'anno siete ben
sicuro di trovarla in Milano, perchè delirante in mezzo a que-
sti stampatori e librai noiosissimi. Sono usciti i due primi vo-
lumi della mia storia d'Italia , ed una copia è destinata per
voi , ditemi solo a chi debba consegnarla , se a Barisoni o ad
altri per farvela giungere sicura e con minore dispendio. Non
so come sarà ricevuta quest'opera faticosissima , e per la quale
avrei desiderato maggiore copia di mezzi , cioè di que' libri che
non si trovano nelle biblioteche. L'edizione ( quella almeno in
ottavo ) è bella , assai corretta , con molti rami non inutili; in
Piemonte (i|pgler ed io la mettiamo soito ia vostra protezione,
— Mi era venuto in pensiero di spedirne una bella copia (en
velin) al vostro celebre Nota , perchè la presentasse al suo
Principe , affinchè almeno andasse in mano ad uà principe
italiano 5 ma ho cacciato quel pensiero come una tentazione
del demonio, perchè io niente più odio che l'andaTC in cerca
di complimenti , e l'opera nella migliore sua Tos-m? non mi
verrebbe a costare meno di i44 franchi senza le legature. Di-
temi in confidenza se ho fatto bene. Il terzo tomo è già ijiolto
avanzato. — Voi forse mi credeste autore dell'articolo fucila
Biblioteca Italiana riguardante gli atti della vostra Accademia.
Io non ho veduto quel volume se non un momento all'-^sti^uto,
né so a chi sia stato dato per esame. Sono bensì jnìel /;li ar-
ticoli dell'Eusebio , ove è ben trat'<.ato il mecenate àsll'Aitoer-
tin hist. de la peinture , dei'ì jintoUni j del Rejnier «ce. —
Venite dunque quando vi piace j quanto sarà più presto , sarà
^leglio, perchè avrò il piacere di vedervi^ d'abbracciarvi e di
riconfermarvi i sentimenti coi quali sono
Cosa Mostra — Bossi.
P. S. Saluti a d'Harraclie, a Vassalli , agli amici più cari.
492
Milano aò aprile i83o.
È un secolo che non ho vostre nuove dirette. Ho veduto il
vostro articolo sui volumi posteriori della Storia, e vi ringrazio.
È uscito l'ottavo volume , e già molto ianoltrato il nono. Si
stampa pure una mia Introduzione allo studio delle belle arti,
che vi manderò. — Come va il Montecuccoli ? — Quell'eti-
mologia, trovata da Cattaneo, di cui voleva parlarvi , era quella
di fjLOLaxAXktip , trovata in Erodoto, laddove parla||^i finimenti
di cavalli, dalla quale voce egli dubita derivata quella di ma-
scarizza o mascarezza, in Lombardia applicata a quel cuoio
bianco di cui si fanno i finimenti, cosa non avvertita dal di-
ligeutissimo Cassis nel suo faron Mdanes. — Bello quel tratto
di bontà del vostro re per gli astronomi premiati a Parigi !
Degno di un re d'Italia! Addio. Disponiamoci a cose migliori.
Salutate Peyron dottissimo,
// vostro Bossi,
Caro Grassi
Milano i4 marzo 1821.
Spero che avrete a quest'ora ricevuti i tomi xi e xii della
storia d'Italia, ed il primo di quella di Spagna. Questa pure
vi è raccomandata. Il tomo xni è quasi finito di stampare, ed
il secondo della Spagna lo sarà quanto prima. Questo è sudare.
Ed intanto è uscito il primo fascicolo dei miei animali ; ed in-
tanto sono usciti due fascicoli dei miei saggi chimici ; ed in-
tanto è uscito il primo fascicolo dei Fasti di Milano col testo
mio ; e se non fosse mancata la carta , sarebbero stampati la
Introduzione allo studio delle belle arti, ed il Dizionario com-
pendioso delle belle arti , tutti miei lavori. Gol mese di luglio
però conto di porre fine a qualunque lavoro, e di darmi ad
uà perfiitto riposo.
495
Ho ricevato'il vostro saggio di sinonimi italiani. Vi ringrazio
e mi rallegro. Bella l'idea, buono il metodo, lucida la meta-
fisica, chiari e talvolta nuovi gli esempi, ben impressoli libro.
Continuate animoso nell'impresa che non può a meno dì non
riuscirvi onorevole e vantaggiosa. Datemi nuove vostre , ama-
temi e credetemi
Cosa Prostra — Bossi.
Milano i3 settembre iSar.
Amico, ho paura che il mio agnato e voi ed io abbiamo
pigliato un granchio madornale. Avete voi veduto un libretto
in 12 stampato in Colonia ed in Ferrara, (cioè in Ferrara dal
Filoni), intitolato: Memorie del Generale Piencipe di Monte-
cuccoli ecc. ecc. aggiunta la vita dell'autore per il signor H'
D. H. C. D. R. D. P. con note cavate dagli autori antichi e
moderni j poste in luce per il signor Henrico di Huyssen con-
sigliere di guerra di S. M. il Czar di Moscovia j senza data di
anno ? Se non l'avete veduto, siamo fritti , e quasi tutta l'Ac-
cademia con noi. A carte Sai si trovano gli aforismi appli-
cati alla guerra possibile col Turco in Ungheria^ che comin-
ciano. — I popoli barbari ripongono principalmente i loro van-
taggi ecc., segue l'opera divisa in capi e titoli, ed articoli, \
primi al numero di 6, gli ultimi continuati al numero lxxv,
e finisce — le più. robuste cose comprendere. La scoperta di
questo libro è stata fatta dal mio scrittore , ed io non ho vo-
luto dilFerire a darvene la notizia. Oh! quanto vi vuole a pro-
nunziare quella parola di inedito ! D'Arrache mi ha dato vostre
nuove: scrivetemi se vedeste quel libro, amatemi, comanda-
temi e credetemi
Cosa Vostra — Bossu
A. e,
Milano i6 febbraio i8as.
Alla nota mandatavi da D'Arrache, e scritta uno stans pede
come questa, dovete aggiungere le grandi moli di pietra sovrap-
494
poste le une alle altre dell'Iugliilterra e della Scozia , delle quali
Camdeno e Brutt; moli non dissimili se non perchè meno gi-
gantesche, della Danimarca e di alcune parti della Germania,
che troverete effigiate in Keissler Antichità settentrionali e cel-
tiche, &àìn Euardo de origine Germanorum ; i mucchi di pietre
o anche di corna di rangiferi della Siberia, ai quali ogn'anno
i parenti e gli amici aggiungono un sasso o un corno , del che
potete veder cenno nella mia traduzione dei viaggi di Billings,
ì mucchi di pietre dell'Africa, dell'America, e fino dell'isole
più recentemente scoperte del mar pacifico ; e legare tutto in-
sieme, giacché dicasi quel che si vuole, sono tutti monumenti
sepolcrali. Non vi fidate troppo delle origini orientali massime
ebraiche, che vi porteranno lungi dal vero. Gli antichi setten-
trionali, immensamente robusti, ammassavano macigni che an-
cora si guardano con ammirazione per la loro grandezza smi-
surata^ i meridionali più deboli ed alcuni popoli più recenti
ammucchiavano ciottoli , e non diversa cred'io l'origine delle
nurachc La parola nurock adoperata nei secoli barbari , si ri-
ferisce pure a sepolcro.
Mi fa ridere la domanda sui taccuini se non altro mal con-
cepita. Non SG come la Grusca abbia trovato con tre esempi,
dei quali une solo al più è applicabile al lunario , l'identità di
questo col taccu'no. Gerto è che né in Toscana, né in Lombardia,
né in tutta l'Italia, eccetto che nella sola Milano, ed in un
raggio, che io non estenderei a più di 20 miglia, si trova il
taccuino essere sinonimo di almanacco. Andate a Bergamo , a
Cremona, a Piacenza, a Modena, e molto più progredendo;
chiedete un taccuino e vi si presenta un astuccio di pelle, od
un portafoglio, un libretto di fogli bianchi, ma non mai un
lunario. In Milano sola , dove maggiore è la corruzione e lo
snaturamento della lingua, sono sinonimi faccumo, almanacco^
lunario y e solo si fa una distinzione (ch'io credo semplice-
mente mercantile ) dal Giornale , che così vien detto quel lu-
nario che si sospende come un quadro. Altra non se ne conosce
né da Vallardi né da alcuno. Se avete letto uno strambotto
mio che è stato inserito per intero nell'appendice alla gazzetta
di Milano, intitolato : ^iVzVra degli almanacchi delT anno 1821,
495
avrete veduto il significato promiscuo ài tutti que' nomi. Del
resto Tacoiiin, come sapete, è voce araba generica che signi-
fica produzione^ tacuino fu detta. nei bassi tempi qualche opera
medica , perchè i medici affettavano l'arabismo , e taccuino fa
detto qualche libro d'astrologia nel quale erano indicati i punti
di cielo, o forse i pronostici dell'anno, dal che venne l'inganno
dei tristi accademici della Crusca e la confusione fatta dai Mi-
lanesi del taccuino col lunario. À Venezia ed altrove si ride
al sentirci nominare taccuini i calendari. In Piemonte doveva
essere famigerato questo nome , perchè vediamo Ioannes de
Fridino dictus Tacuinus , stampatore nel secolo X in Venezia,
che certamente non aveva tratto il nome da un lunario, che
colà non dicevasi taccuino. De hoc satis.
Ho fatto tenere l'articolo di lettera che lo riguardava, al mio
agnato, e non so altro. Vorrei che annunziaste la mia opera
sulle arti nel vostro giornale per far piacere al libraio. Vi ab-
braccio e sono
Cosa Vostra — Bossi.
Milano i4 luglio iSaS.
Ho ricevuto la vostra carissima recatami da Bocca. Sapeva
io che eravate afllitto da oftalmia 5 ma non sapeva già che que-
sta malattia continuasse con tanta ostinazione, né che voi foste
altresì travagliato da domestiche sciagure. Mi duole assai di
quella malattia , e perchè voi soffrite , e perchè ne soffrono assai
le lettere , se voi rimanete inoperoso. Mi rallegro , che l'Ac-
cademia sia venuta al riparo delle sciagure, e bramo che il
Governo compia quell'opera salutare.
Quanto a me , senza alcun male agli occhi vado a grado a
grado perdendo la vista. Tuttavia la storia d'Italia è finita :
(non manca che un indice) , e ne riceverete da Bocca il vo-
lume XIX. Sto terminando alla peggio la storia di Spagna che
496
sarà finita nell'anno; continuo debolmente i Saggi Chimici, ì
Fasti di Milano , un orribile Quadro Geografico , ecc. , lio fatto
una nuova edizione della mia versione della Geografìa di Gol-
dsmith, cbe ho quasi interamente rifatta ; ho scritto qualche
articolo per la Biblioteca Italiana ; ma il lavoro di cui più mi
compiaccio, e che è forse il più perfetto che io abbia fatto
nella mia vita , è la mia nuova versione dal greco della Epi-
tome di Dione, fatta da Sifilino , con amplissime note, della
quale avrete veduto il primo volume, se havvi qui qualche
associato alla nostra collana greca; ben presto uscirà il secondo
che già è stampato quasi per metà. Oh che immensa fatica
per un uomo quasi cieco. Vorrei che andasse in mano d'uo-
mini capaci a giudicarla ; questa è la sola cosa ch'io posso
mostrare senza molto temere le censure. Ho anche dovuto fare
un viaggio per il regno , ed altro ne farò nel mese venturo ,
che mi farà perdere molto tempo. Eccovi date le mie nuove ;
non posso scrivere più a lungo, perchè occupatissimo : vi ab-
braccio e sono
// vostro Bossi.
497
Mio cortese Sigìiora
Reggio, i5 giugno 1837;
Le rendo le maggiori grazie che posso della bontà colla quale
si è degnata di trasmettermi l'articolo dell' Antlnori ^ articolo
che io debbo più air amicizia che tengo con quell' egregio ,
che ad alcuno mio merito. Non saprei , per ver dire , come
mostrarmi grato ai collaboratori del Subalpino per le tante gen-
tilezze che mi usano : ma ella si faccia interprete del mio
cuore presso di loro, e loro faccia sentire la mia gratitudine.
Per lei aggradiscano intanto la lettera inedita che <jui unisco,
mentre ad essi non che a lei mi proferisco
Umil. De^>ot. Obb. Sen-o
Agostino Gagnoli.
Lettera di Vincenzo Monti a Luigi Rossi — Milano.
Tlloio caio ©Lmic
Bologna , 7.1 maggio 1810.
Da Paradisi ti verrà consegnata e raccomandata la supplica
di Giordani da te medesimo suggerita. Non esagero il vero :
tutta Bologna mormora della crudele dimenticanza in che que-
sto egregio scrittore è tenuto , e vi va 1' onore della direzione.
Ninna scusa , niun pretesto d' economia è accettabile ove trat-
tasi della mercede dovuta ai migliori , dico agi' ingegni che
onorano il regno , e se qualcuno deve pur morir di fame ,
muoja e crepi la mandra degV ignoranti , ma 1' uomo di me-
498
nto no per Dio. Ascolta dunque la voce dell'amicizia, e più
del tuo cuore , e il povero Giordani sarà consolato.
Non ho per anche veduto 1' articolo del Veladino , e ne sono
impaziente. Ma che è codesta accademia di Pittagorici , di cui
mi parli , e il giornale che nel 5 del venturo avrà vita , e per
cui avremo materia da ridere ? Mi metti nel cuore una grande
curiosità , e il 5 di giugno io pure voglio trovarmi a Milano
onde allegrarmi di questo parto.
Ti ringrazio delle coserelle che mi hai notate nella mia tra-
duzione y e tutte saranno messe a proGtto. Ma la cerulea Diva
potrà, credo, lasciarsi stare, perchè Orazio l'assolve. Egli chia-
ma i Germani cerulea gioventù non per altro che per gli oc-
chi azzurri di quella gente. Ma intanto segui a notare, e compi
il beneficio.
All'ottimo Veneri e alla figlia i più cordiali saluti. Un baciò
anche alla Bettina, e sta sano
Il tuo Monti.
499
TEGLIA
Pianto suona la mia stanza deserta ;
La tua d' allegro nuz'ial liuto
Esulta, o donna. Nella tua pupilla
( Che ben di cielo si diria , se pinta
Non portasse del cor la doglia arcana )
Or feriscon le faci e quelle stesse
Misere gemme, colle quai tu sali
Sposa a tal che sconosco e veder tremo.
Io al lume di lucerna irrequieta
Ed a spegnersi presto , gemebondo
A terra ho gli occhi, e il crine per la fronte
Scende quasi celando la vergogna
Che la mi grava. Oh che diss' io? vergogna
Chiamerò la sventura ? Ah ! ti solleva ,
Incolto crin , che bella e veneranda
È la fronte solcata da sventura!
Fosse pur qui raccolto 1' universo
Innalzerei la fronte imperioso
Colla severità de la sciagura :
E in questa mira, gli direi, se indizio
Leggi di colpa. Amai: una fanciulla
Amai , la più leggiadra opra di Dio
E nulla più. Forse delitto , o vili
Alme , voi fate d' un amor , d' un santo
Amore che in gentil petto letizia
Mette suprema e la virtù , che scalja
Certa si fa da questa polve al cielo ?
Ma voi uomini siete ì voi nemici
500
D' ogni ben siete , zelatori iniqui ,
Vòlti a fraude, a sospetti, usi a vendetta^
Morti ad ogni allegrezza di natura,
Di virtù nudi, poveri d' affetti ,
Grandi solo nell' ira. Lungi lungi
Da noi , che l' alma abbiam veracemente
Degna di nostra terra; à noi bollente
Spirto alberga in petto ; a noi di molle
Fibra fé' dono questa nostra terra.
E noi amiani di quell' amor che voi
Mai non avrete a gioia de la vita ,
E che non lascia senza pianto il ciglio.
III.
Ove trascorro ? Igilda mia , mio lungo
Sospiro , io veggo il tuo volto soave
Per tutto : ed ecco che mi sorgi innante ^
Ma in si pietoso aspetto e verecondo
Che m' insegni la calma ; io vi perdono ,
O miei fieri nemici ; io vi perdono ,
Che ben un guardo suo tutto 1' affanno
"Val che mi deste. Igilda mia , sommessi
Piangiamo insieme, insiem la voluttade
Or gustiamo del pianto , ed infelici
Non saremo mai più. Oh! che dolcezz,a
Per le vene mi va , deliziosa
Vita mi corre e nei rotti sospiri
Par m'esca l'alma , e al tuo sen m'abbandoni.
IV.
Infelice deliro! aere molto
Mi divide da te : io piango e solo.
Te in bianco velo , e colle rose al crine ,
Mistiche spoglie , guidano agli altari
Timida verginetta. Ohimè ! che troppo
E santo il rito , perdi' io tutto in grida
Disperate prorompa. Ah! se felice
Esser tu puoi, su quell'altare istesso
Ti fermi il ciel felicità. — Bell' alma
Di vergin che ti attrista? Ah! la dolente
eoi
Parola d' abbandono alla beata
Casa paterna ti fé' molli i lumi
Del più bel pianto, e ti coperse il volto
D' un mesto velo. Nelle care braccia
Che fanciulletta t' allevar sì dolce
AI natio tetto, t'abbandoni, e teco
Piangono tutti , ed io pur piango , e in queste
Coltri nascondo il viso, e ancor ti miro,
Pietosa vista ! nel materno amplesso.
V.
Qual lamentoso suono lontanando
Mi disviluppa dall' obblio del mondo ?
Il fé' la sacra squilla , e dalla torre
Movendo si moria per la campagna ;
Ed io sol n' odo un fremito indistinto
Sulle penne dell' aure gemebonde.
Chiuso lung' ora ai sensi della vita
Stetti, che già della timida notte
La silente re'ina si tramonta
Ai nativi miei colli, e fu poc'anzi
In oriente. Ohimè ! il bel ciel sereno
Che a più bella e dolente alma sovrasta
Imbruna , e velan più rare le stelle
Il lor vergine riso. Oh quanto in core
Mi ragiona del cielo il mutamento !
Entro manto di tenebra s' avvolge
Quella terra si pura , e d' una queta
Limpidissima luce rivestita ,
Che dall' estrema porta d' occidente
Un pallido di luna incerto raggio
Anche una volta la riguarda , e more.
Poi che da quella un fato mi respinge,
Muoia io cosi : e sopra il velo azzurro ,
Entro gli arcani dell' Eterno, nuova
Prenderò luce d' infinito amore
Questo smorto e mortai sole obliando.
Agostino Gagnoli.
502
Notizie Diverse
-Astronomia — Lavori e scoperte del sig. Jhon fferschell.
Il signor Herschell scrisse dal Capo di Buona Speranza ,
a sir W. Hamilton vice presidente dell' associazione Britannica
delle Scienze , una lettera curiosissima intorno alle sue osser-
vazioni astronomiche. Egli annunzia aver passato a rassegna
tutta quella parte del cielo che è invisibile dall' Inghilterra.
L' aspetto generale della regione circumpolare australe , com-
prendente un' estensione di 60 a yo° intorno al polo , presenta
una ricchezza ed una magnificenza notevolissime. Ciò dipende
dal vivo splendore della via lattea in quelle regioni. Questo
splendore trovasi in diversi luoghi e principalmente nello Scor-
pione interrotto in modo singolare da macchie nere prive di
stelle. Il signor Herschell pensa che la via lattea non sia uno
strato o banco di stelle, ma piuttosto un anello, e che il no-
stro sistema si trovi collocato in una delle regioni le più vuote
e le più povere del gruppo generale , di modo che il sole sia
situato molto più presso delle parti della via lattea che sono
vicine alla sua bipartizione, che di quelle che sono opposte a
questa direzione. Gli 'oggetti più ragguardevoli dell' emisfero
osservato da Herschell sono le grandi nebulose d' Orione e di
Argo. Quelle d'Orione mostransi ivi molto meglio che in Europa,
e presentano una moltitudine di appendici e di circonvoluzioni
che la loro situazione , sempre vicinissima all' orizzonte , im-
pedisce di distinguere dall'emisfero bo;;eale. Quanto alla nebulosa
d'Argo, essa è un oggetto sui generis y dì cui è impossibile di
dare un'idea senza figura. I disegni che ne fur fatti fino ad
ora son tutti inesatti , dd il signov Herschell sta facendone
uno che satisfaccia a questo bisogno dell'astronomia. Le nebu-
lose planetarie del cielo australe son numerose attorno al polo,
ed hanno caratteri totalmente distinti. Herschell ne scoprì cin-
que aventi un disco netto e luminoso all' uguale dei pianeti.
Le più belle stelle doppie eh' egli abbia scoperte , e che non
505
erano fino ad ora state notate sono le stelle y del Lupo tt e
y del Centauro, ^ dell' Idra £ del Cammello. Per dare un'idea
della purezza del cielo dell' emisfero australe, il sig. Herschell
cita questi due fatti: i.° che durante uno spazio di 4* giorni
consecutivi, ve ne furono tre soli in cui non siasi potuto sco-
prire il pianeta Venere , di pien giorno , per un bel sole , a
«ove ore del mattino 5 e 2.° eh' egli potè leggere una scrit-
tura finissima alla sola luce che lasciò nel cielo un* ecclissi
lunare quasi totale. Finalmente il dotto astronomo dà notizie
preziose sulle costellazioni cosi poco conosciute chiamate nu-
becole di Magellano j nubecula major e nubecula minor. Questi
gruppi sono oggetti molto straordinarii. Il maggiore è un com-
plesso di stelle distinte, di aggregati di forme irregolari, di
aggregati globulosi 0 di nebulose, il tutto collocato sur un fondo
uniforme ed appannato , che non può essere altro se non della
polvere stellare. Questo fondo esaminato con un telescopio
avente il fuoco di 20 piedi non offerse che un' apparenza d'il-
luminamento vago di tutto il campo della visione. Una delle
forme più strane che presentino le nubecole di Magellano è
quella dell' astro segnato 3o della Dorade , che mostra un
gruppo di ovali che vanno tutti ad unirsi in un centro nero.
Nìun altro spazio nel cielo è più popolato di stelle e di ne-
bulose , delle nubecole di Magellano. La nubecola minore è
molto meno rimarchevole 5 essa mostra soltanto una luce sparsa
e vaga, che uiun ingrandimento giunse ancora a risolvere in
stelle. Ma accanto a lei si trova la più magnifica unione globulare
del firmamento 5 cioè la stella notata ^j del Toucau. E sin-
golare che questa bella e ricca nebulosa sia stata in tutti i ca-
taloghi di stelle collocata a un punto che varia di oltre un'
ora dalla sua vera situazione. Il sig. Herschell rettifica nella sua
carta questa posizione.
( Rivista Britannica. )
Invenzione — Il sig. Grimard fece il 1 3 gennaio scorso sulle
acque della Senua V esperimento di un nuovo motore da lui
iinuiaginato per i battelli a ruote in vece del vapore. Egli si
e servito pei dar movimento alle ruote della forza del vento
504
ijtesso, e rimoatò facilmente il fiume quantunque le acque fos-
sero grosse, e lo percorse poscia in varie direzioni. Il suo mec-
canismo consiste in una ruota composta di più ale sostenuta
da un albero verticale , e fatta girare dal vento 5 questa comu-
nica il movimento ad un albero trasversale, all' eslremilà del
quale son fisse le due ruote che dan moto al battello. — Que-
st' invenzione altrettanto bella quanto semplice può divenire
importantissima , massimamente se si giungesse a combinarla
in modo da potere all' uopo e ne' casi di bonaccia sostituire all'
azione del vento il solito motore del vapore.
Antichità' a Angers. — E stato recentemente trovato da un
agricoltore di Angers, racchiuso entro un cofFano di legno che
si sfece tosto in polvere, un tesoro isterico, raro pel complesso
e la conservazione degli oggetti che lo compongono, Consiste
desso in 20 coppie di vasi sacri, ed altri, di bellissima forma,
ed in ottimo stato, ornati internamente di disegni religiosi e
simbolici , in una cornice da specchio di argento , due ma-
schere anch'esse del più puro e più fine argento, in divinità
pagane nella più perfetta integrità , ed una chiave di bronzo
stupendamente scolpita , che parrebbe esser quella del tempio,
se , come sembra questi oggetti appartenevano ad un sacello o
tempietto Romano. Ma ciò che v' ha di più mirabile si è la
grazia e la perfezione di tutti questi oggetti , che accennano
evidentemente i più bei tempi dell'arte presso i Romani, e
r essere ancora i medesimi così puri e così ben conservati ,
che si direbbero uscire or ora dall' officina dell'artefice. Essi
furono acquistati dal sig. Grille bibliotecario della detta città ,
a cui poscia egli ne fece generosamente dono. Egli sta ora com-
ponendo una notizia per illustrare questi preziosi monumenti
archeologi.
( Echo du Mond. Say^. )
«TAMPEKIA GHIRINGHELLO E COMP.
«on peiiiù-ssione.
505
DEL CODICE CIVILE PER GLI STATI DI S. M IL RE DI SARDEGNA
$o€6ftcato in Ootmo i( i 5 a^Jto i 8 I j .
I voti dei Piemontesi, i voti loro più caii e dì molli
anni sono finalmente compiuti. Essi possono finalmente tro-
vare in una raccolta unica , ceHa ed universale quelle
leggi che da gran tempo desideravano per norma sicura
dei loro diritti e dei loro doveri come cittadini e come
privati ; essi posseggono finalmente un Codice proprio e
nazionale , di cui da gran tempo ed immensamente senti-
vano il bisogno.
Molte circostanze imperiose ed infauste , le une mal com-
prese, e le altre più male ancora giudicate, avevano ritardato
infino ad ora questo benefizio ; cosicché il primo desiderio
che in oggi la pubblicazione del Codice può aver lasciato
sopra questa materia della legislazione civile , si è forse
quello che esso non sia stato formato e pubblicato venlidue
o ventitre anni prima. Allora sicuramente non sarebbe toc-
cato al Piemonte di soffrire i cattivi elfetti della repentina
soppressione del Codice fi'ancese, e della egualmente re-
pentina ed improvvida rìpristinazione di una legislazione
antiquata, mancante, moltiforme, vagante tra mille ordi-
namenti , i quali oltre al non essere più guari conosciuti ,
non erano poi più nemmeno adattati ai progressi che la
nazione aveva fatti, ed al nuovo periodo di civiltà a cui
essa era pervenuta.
Questa sospensione e questo ritardo , poiché era pur
fatale che dovessero succedere , non furono però forse
3i
506
j>erduti pei futuri tleslini della legislazione jilcmontese.
L'epoca che corse dopo che la legislazione fi'ancese fu così
inaspettatamente ricisa , e che ad alcuni parve un ritorno all'
infanzia dell'incivilimento, e cui altri più maligni chiama-
rono un vero jiistitium , non fu però , per chi voglia più
filosoficamente considerarla, un'epoca di riposo e di tor-
pore , ma bensì un' epoca di prova ed un tempo di crisi.
Infatti mentre che essa durò si ebbe agio di conoscere i
mali e di scemere i rimedii, gli elementi tutti della na-
zione , cosi quelli dell' antica , come quelli della moderna
civiltà, i principii di moralità e di ricchezza, i desiderii ed
i bisogni , tutto insomma si mostrò , si agitò e venne per
dir così a "alle^i^iare sui flutti della società attuale ; e men-
tre tutto ciò subiva lotte e contrasti d' ogni maniera , ed
una cosa era tentata quest'oggi per essere rivocata domani,
ne seguitò un generale fermento da cui nacque intanto
chiara e distinta la cognizione di quanto conveniva operare
pel bene della nazione , e la ferma volontà di ordinarlo.
Tutti quindi ben possono imaginarsi quanti e di quante
sorta abbiano dovuto essere gli ostacoli che a^Tà incontrati
la nuova legislazione. Infiniti saranno stati quelli che si
dovettero assolutamente superare , innumerevoli quelli che
si poterono soltanto eludere. E questi ostacoli poi non erano
solamente teoretici , come il dubbio, se utile o non utile
fosse il ridurre a; forma di Codice le leggi ; ma i r>iù gravi
erano gli ostacoli pratici e materiali, e quelli massima-
mente che .tenevano radice nelle convinzioni , nelle pram-
m.atiche e nei possessi preesistenti. Ma contuttociò il no-
vello Codice usci vittorioso dalla lotta di tante sentenze e
di tanti interessi , ed il primo senso che ispirò fìi un sor-
riso di ima lunga ansietà soddisfatta , fu un saluto di gioia
e di riconoscenza.
Il nostro Codice infatti ha dovuto essere e fu realmente
il frutto di una volontà sovrana , intensamente perseverante ,
507
saviamente illuminata; esso fu l' opeia tkilo studio il più
attento ed il più spassionato del passato e del presente,
r opera delle più coscienziose discussioni , il risultamento
dei consigli più maturi e più esperimentati. Egli è per-
ciò che troviamo rifusa in esso la sapienza degli antichi
giureconsulti romani, e la saviezza di quelle antiche leggi
piemontesi , che gli potevano dare un carattere più oppor-
tuno , più nativo , più patrio ; ed è anche perciò che in
esso veggiamo trasfuse le migliori disposizioni dei Godici
vigenti in Europa , e quelle sopra tutto del Codice fran-
cese, il quale, per le profonde meditazioni di cui era stato
l'oggetto ed il frutto , e per essere già stato osservato in
Piemonte , e quindi più conosciuto , ad esso più che a
qualunque altro si dovettero credere già meglio adattati i
costumi de' suoi popoH.
Non potendo noi ora istituire un' analisi particolare so-
pra un' opera cosi vasta , e cosi importante in ogni sua
anche menoma parte , ci limiteremo perciò ad osservarla
sotto alcuni de' suoi più astratti e generali aspetti.
In questa intenzione il nostro pensiero si porta prima
di tutto a riflettere che alla compilazione del nuovo Co-
dice piemontese presiedettero come principii dominanti e
supremi la religione cattolica e i omana , e l'unità della mo-
narchia. Queste due continuando ad essere le basi fonda-
mentali del regno , e le due principali potenze che «ì rico-
noscono e si mantengono fisse in Piemonte , tutte le altre
disposizioni dovettero senza dubbio informarsi dalle medesi-
me , e quindi essere ad esse saldamente subordinate.
Partendo da queste basi è facile riconoscere nel Codice
piemontese come appartenenti al principio religioso quelle
disposizioni preliminari che proclamano per religione do-
minante dello Stato il culto cattolico e romano solenne-
mente professato dal Principe , e la tolleranza soltanto
per gli altri otdli ( Art. i , 2 e 3 ). Siffatta professione
508
1 eliglosa che mal si direbbe poco opportuna in un Codice
di leggi civili, perchè in sostanza la legge civile nel più
schietto suo tipo non è che la legge eterna del vero riflessa
ed applicata alle azioni esterne dell'uomo vivente in società ,
ella è poi così ingenita all'ordine ed alla storia legislativa
della Monarchia di Savoia, che il nuovo Codice, nel pro-
clamarla, non fece che l'eco a quella che sino dal i^3o
stava in fronte agli statuti di Amedeo Vili, e che quasi
negli stessi termini, tranne il cangiamento dell'idioma latino
in italiano, si leggeva ripetu.ta nelle Costituzioni del 1770.
Quindi veggiamo costantemente mantenuta nella nuova
Legislazione l' ossei^vanza delle leggi , dei riti e delle di-
scipline della Chiesa in tutto ciò che il culto può aver di
comune coli' esercizio dei diritti civili. Perciò non esclusa
la Chiesa dal concorrere nelle [operazioni riguardanti lo
stato civile in un modo specialmente concertato tra il go-
verno e la S. Sede ''i ; perciò conservato nelle materie
anche semplicemente civili il privilegio del foro ecclesia-
stico, come pure ogni sua giurisdizione nelle cause ma-
trimoniali e beneficiarie.
Non è qui certamente nostro scopo di riferire tutte quelle
disposizioni che nel nuovo Codice si veggono derivare da
questo elemento religioso. Ne citeremo per altro a modo
d' esempio le più rilevanti.
Epperò a questo principio comincia ad appartenere quella
legge per cui il matrimonio deve sempre essere celebrato
giusta le regole e le solennità della Chiesa cattolica ( Jrt.
108), e poi quell'altra secondo la quale anche il matri-
monio del suddito in paese straniero deve seguire con-
forme a queste stesse leggi ( Jrt. 64 ). Così parimenti
allo stesso principio religioso appartiene la provvidenza
*i Vedi il Regolamento in proposito emanato colle RR. Patenti
del 20 scorso giugno.
509
che riserva al giudice ecclesiastico la dichiarazione della
Talidìtà o deUa inefficacia degli sponsali ( Art. 107 ). Così
queir altra che respingendo in qualunque caso il divorzio
quanto al vincolo , dispone che il matrimonio possa sol-
tanto sciogliersi colla morte di uno fra i coniugi , e secondo
le leggi della Chiesa ( Jrt. i44 )•• cosi quella per cui nem-
meno si volle che la loro personale separazione potesse
farsi di comune consenso, ma si dichiarò sempre indi-
spensabile l'autorizzazione del giudice ecclesiastico {Jrt.
i4o): così l'esclusione da ogni beneficio di legittimazione
per il figho nato da chi fosse legato da ordini sacri ( Art.
142): così sancita l'inalienabilità dei beni della Chiesa
(Art. 436 ) : così finalmente espressa nel nuovo Codice la
ricognizione e la protezione degli ordini monastici ( Art.
714, 715, 716, 1187, 1188).
Venendo poi a parlare delle disposizioni che nel nuovo
Codice si riferiscono al principio monarchico , egli è innanzi
tratto giusto di osservare che, sebbene la prerogativa regia
siasi sempre voluta in tutto fedelmente conservare invio-
lata , pure si espresse e si fa agire in modo che essa operi
come una larga tutela dei popoli , in vantaggio della na-
zione, della sua indipendenza, ^e dei privati interessi,
piuttosto che si volga mai in loro danno con mire despo-
tiche o con effetti oppressivi. La Sovranità nello spirito
della novella legislazione viene considerata come un grande
ufficio, come una grande amministrazione, piuttosto che
come una proprietà. Ma poiché il principio monarchico
solennemente consecrato nel nuovo Codice ( Art. 4 ) ? ®
che fece mantenere cpiasi tutte le giurisdizioni di eccezione
che da esso più immediatamente dipendono , costituisce m
sostanza il supremo agente e motore di tutta qualità la le-
gislazione piemontese , ad un tale principio perciò e non
ad altri principii si debbono inevitalDÌlmcnte riferire le di-
sposizioni che hanno tratto al diritto pubblico , come pure
510
tutte quelle altre che regolano le \arie relazioni che esi-
stono tra il Sovrano e la nazione.
Fra le disposizioni per altro che a prima giunta sem-
brano meno direttamente dipendere dal principio monar-
chico , ma che però in realtà gli sono ancora più intima-
mente unite , si può senza tema d'errare annoverar quella
per la quale, mentre si pronunciò il generale divieto di
tutte le sostituzioni per gradi consecutivi ed assoluti , tì
si aggiunge però subito l'eccezione in favore dei maggiora-
schi « dei fìdecommessi , che verranno poi con una legge
speciale regolati ( Jrt. 879 ).
Mentre non dubitiamo che questa legge speciale prescri-
verà cautele e riserve , condizioni e gradi che renderanno
soltanto in pochissimi casi possibile la fondazione de' mag-
gioraschi e de' fìdecommessi , e quindi faranno che non tor-
nino a rinascere quei vincoli innumerevoli che inceppavano
la commerciabilità dei beni , e quella concentrazione di
patrimonii , e quella drseguaglianza nella sorte dei membri
di una stessa famiglia che già sino dal 1797 chiesero al
governo piemontese pronte riforme , siaci intanto per-
messo d' indagare le ragioni sulle quali questa legge di ec-
cezione potè tuttavia nella nuova legislazione piemontese
venir innestata. Neil' accennare queste ragioni noi non ci
faremo però ne giudici , ne mallevadori della loro universale
ed assoluta giustizia , ma considereremo unicamente que-
sta istituzione dei fìdecommessi in tutti quegli aspetti sotto
cui essa potè credersi utile ed opportuna ed atta insom-
ma a produrre i vantaggi che il Legislatore, schivandone
il pliì che possibile gli inconvenienti, ebbe di mira nei
sanzionarla.
In primo luogo si sarà subito avvertito che , in un paese
dove le proprietà sono molto divise , e non vi esistono
amplissimi patrimonii , e dove inoltre la popolazione è in
via d'aumento, e come progressivo lo sviluppo dell'in-
511
tlustria , così crescenti i desitlerii dell' agiato vivere ; ben
difficili riuscivano i mezzi con cui si potesse ovviare al
facile decadimento delle famiglie più notevoli e doviziose,
decadimento che non si deve sempre guardare con indif-
ferenza , poiché , secondo che la pensano alcuni , esso nas-
conde sovente qualche vizio sociale, e trae seco scompigli
che non sono sempre soltanto domestici e privati.
Per la mancanza parimenti di colonie , delle grandi asso-
ciazioni , e dei grandi stabilimenti , non s' incontrano nel
Piemonte quelle facilità per cui altrove non è cosa tanto
rara il fare subiti guadagni , ed accozzare rapide fortune ,
mercè la mercatura, e le vaste speculazioni di commercio.
Quindi per provvedere alla conservazione delle famiglie,
e dei patrimonii , che è quanto dire per conservare 1' at-
tuale andamento delle cose e la presente fisonomia nazio-
nale, si sarà probabilmente creduto necessario di ricorrere
ai maggioraschi ed ai fidecommessi ; tanto più se resi fa-
cili e comimi a un maggior numero di cittadini, la loro
frequenza partecipasse a tutti i buoni effetti di questa isti-
tuzione , e i men buoni nell' attrito generale distruggesse.
In secondo luogo l' istituzione delle primogeniture con-
siderata sempre dal lato più plausibile potè anche credersi
favorevole all'incoraggiamento delle arti e dell'industria,
come pure a tutte quelle altre imprese che richieggono
mezzi non comuni di opulenza, di libertà e qnindi la
concentrazione delle grandi fortune.
Con questa istituzione, continuarono forse ad osservare
i suoi fautori , si possono eziandio volgere al profitto uni-
versale le ambizioni de' privati , poiché non pochi padri di
famiglia coli' idea d' istituire fidecommessi , possono intanto
avvezzarsi al risparmio , ai nobili studj , e ad ogni genere
di operosità.
Queste ragioni forse ancor più che il pensiero di circon-
dare il trono di persone opulente e privilegiate hanno potuto
312
faTorire l' istituzione de' maggior.ischi e de' fidecommessi ,
sebbene a dir quanto più d'una volta successe, da questo
ordine di persone il trono non solamente riceva e rifletta
uno splendore puramente ambizioso , ma ne possa altresì
attendere un consiglio fedele e sempre costante ai princi-
pii della monarchia.
In favore poi di questa legge si è forse ancora potuto
soggiungere che il possesso di un maggiorasco , mentre rende
anche i grandi stessi più indipendenti e men bisognosi di
lauti stipendi!, concorre altresì a farli meno ligii al potere
e men facili al broglio ; oltreché essa può fornire ezian-
dio i mezzi per provvedere alle più distinte e compiute
educazioni , ed a mantenere sino ad un certo punto il
decoro ed il buon gusto di una società che può servire
d'esempio e di scuola per una più scelta e più universale
coltura, e per un progressivo sviluppo delle classi inferiori.
Finalmente l' istituzione de' maggioraseli! creduta anche
più tardi necessaria alle basi dell' impero di Francia , tutto-
ché la sua origine fosse stata dapprincipio puramente de-
mocratica , non solamente ha potuto ravvisarsi capace di
provvedere all'interesse della monarchia e di alcuni casati,
ma potè credersi ancora atta a rassodare nelle fondamenta
dello Stato quel principio di stabilità e di conservazione
indispensabile a qualunque sorta di governo, e che com-
binato con quello del movimento e dell' innovazione , e
saviamente applicato alle istituzioni politiche e civili, giova
senza dubbio a mantenere l'equilibrio dei varj poteri , pro-
duce gli ordini temperati, ed ha per effetto quel vero,
ragionevole e graduato progresso, che si può soltanto spe-
rare e desiderare nelle società. — Egli è questo indispen-
sabile x.lemento di fissità così bene illustrato dal sig. Fitz-
James in una delle sue concioni alla Camera de' Pari ,
e che viene presso alcuni governi rappresentato dalle adu-
nanze nazionali , quell' elemento che serve di franchigia
515
alle basi di qualunque Stato contro tutte le invasioni dell'
anarchia e le pericolose ed incontentabili innovazioni.
Sopra questi argomenti adunque dettati per la massima
parte dalla considerazione dell'opportunità , e di cui lasciamo
che ciascuno apprezzi il valore secondo i proprii studii e
le proprie affezioni, ed i quali se furono sostenu^ti non
furono però esclusivamente imposti dalla presenza del prin-
cipio monarchico , sembra a noi che sia stata introdotta
nel Codice piemontese in un modo però tutto eccezionale
e limitato la facoltà di erigere primogeniture e fidecom-
messi; e la conseguente disposizione per cui non può
correre prescrizione in pregiudicio degli ulteriori chiamati
ai medesimi ( Art. aSgo ).
Ciò tutto non ostante sarà sempre bello lo sperare che
la voce dell' avvenire e la voce delle umane affezioni og-
gimai più universalmente con più equa bilancia e senza
gli antichi crudeli discernimenti sentita, ragioneranno più
forti che la facoltà lasciata nella legge di erigere maggio-
raschi e fidecommessi , e opereranno che questa facoltà si
eserciti piuttosto in soddisfare alcune intenzioni ed al-
cuni affetti , peculiari a cei'te rare posizioni di famiglia e
di società in cui l'uomo può talvolta trovarsi, e che nei
vantaggi che lasciano ravvisare nella continuità dei vincoli
fidecommessarii , allorché specialmente sono applicati alla
beneficenza, si fanno perdonare l'ambizione della perpetuità.
Aderente in certo modo allo stesso principio monarchico
può dirsi l'esclusione delle femmine dalle successioni , molto
ristretta bensì , ma però ancor conservata nel nuovo Codice
( Lib. 3. Ut. 3. cap. 2 ).
Una tale esclusione limitata alle sole successioni degli
ascendenti e dei fratelli e loro discendenti viene però assai
meglio di quello che il fosse infìno ad oggi compensata,
poiché si lasciò alle femmine 1' intiera legittima sulle suc-
cessioni da cui vengono escluse. Con questa legittimila, che,
514
sebbene non si scorga separatamente definita , ma che però
si raccoglie essere sempre tanto nei casi di successione te-
stata ^ come in quelli di successione intestata, la virile della
porzione non disponibile {Art. 721 ) si è assai più lar-
gamente che per lo passato provvisto alla sorte delle figlie,
giacche si è tolta ogni incertezza riguardo alla congruità
delle doti , la quale , come si sa , dipendeva per lo più
dall'arbitrio dei dotanti , dalla condizione delle famiglie , e
dalla consuetudine dei luoghi: incertezza mostruosa che
qualche volta faceva persino applicare in tre modi affatto
tra loro opposti la giurisprudenza alle figlie di una fami-
glia stessa , assegnando a ciascuna un diverso trattamento.
In tal guisa dunque modificata ora l' esclusione delle
femmine, essa nemmeno più potrebbe ravvisarsi tanto os-
sequente al principio monarchico e neppur tanto dettata
dal favore dell' agnazione. Che anzi essa manifesta piuttosto
lo scopo di secondare un vero sentimento di famiglia e di
eguaglianza , più non ritenendo per base come prima e
secondo i varj periodi che percorse la civiltà europea, od
il principio guerriero , o quello feudale , o quello assoluto
affine alla legge salica, e nemmen quello meramente agna-
tizio ; ma accogliendo invece un altro principio per dir così
più interno e domestico , quello cioè di considerare la
donna come un membro bensì della famiglia, ma come
un membro che non ha ancora e che, per la propria con-
dizione e destinazione , non può avere tanta parte come
i maschi nell' acquisto o nella conservazione del retaggio
famigliare. Questi sono i motivi che meritavano senza dubbio
una deferenza dal canto del Legislatore allorché imprendeva
a statuire le leggi della successione ; e li doveva tanto più
aver presenti consapevole , come egli era di certo , che
1' eguaglianza nel diritto di succedere , estesa in tutta la
sua ampiezza dal Codice francese alle donne , non potè mai
tanto naturalizzarsi in Piemonte , che vi fosse costantemente
515
e volonterosamente osservata ; ma anzi questa legge ripu-
gnò sempre talmente allo stato di civiltà in cui il Pie-
monte si trova, ed alle circostanze ed ai costiuni locali
in cui esso si mantiene , che non si vedevano che padri
e giureconsulti aguzzare continuamente l' ingegno per po-
ter eludere il disposto di quell' assoluta eguaglianza.
Queste limitazioni però alle teorie liberissime di una
onnimoda indipendenza e di una illimitata eguaglianza ,
non sempre del resto conciliabili colle circostanze peculiari
di ciascuna nazione , e per conseguenza l' eminente dire-
zione lasciata nella nostra legislazione ai due principii reli-
gioso e monarchico j si fanno poi solamente sentire in quelle
disposizioni più generali che hanno , diremo , un qualche
rapporto politico ; ma in tutte le altre leggi poi che hanno
unicamente per oggetto gì' interessi civili , le relazioni e
le transazioni private e le varie condizioni degl' individui,
allora le vediamo generalmente dominate da un principio
di sapiente libertà , e dirette a stabilire fra i cittadini
una reciproca eguaglianza di diritti e di obbligazioni , ed a
fissare a ciascuna la sua applicazione ed i suoi effetti.
Fra quelle leggi pertanto che giovano a sciogliere le
persone e le cose da quei vincoli esuberanti che l' antica
legislazione loro imponeva , si possono classificar quelle che
provveggono sidle basi di una prudente reciprocità ai sud-
diti ed agli stranieri , e quelle altre che concernono gli as-
senti , i pupilli , i minori , i prodigi , i mentecatti , le
donne , i figli di famiglia , ed i figli non legittimi. A queste
varie condizioni di persone sicuramente meritevoli di una
speciale assistenza per parte della legge , si è nel nuovo
Codice provveduto coi consigli di famiglia, e con molte
altre cautele, le quali, se da un canto possono per avven-
tura necessitare numerose formalità e indugj , riescono però
dall'altro di salda guarentigia agli interessi di quelle per-
sone stesse ; poiché in sì fatte materie' gì' inconvenienti
518
che possono nascere dalle soverchie precauzioni , sono a
gran pezza preferibili agli abusi che possono scaturire da
una troppa indulgenza e da una celerità smodata.
Per questo istesso spirito di salutare libertà si è dal
nuovo Codice ristretta la patria potestà che sotto le pas-
sate leggi era perpetua ed illimitata ; e per conseguenza
ogni qual volta il figlio è giunto agli anni trenta , od in
caso di matrimonio agli anni venticinque, cessa l'usufrutto
del padre (^Jrt. aaS): e, sebbene in quest'ultimo caso
di matrimonio non si sia dichiarata l'emancipazione di di-
ritto come disponeva il Codice francese , essa però si è
riconosciuta quando il figlio da cinque anni dopo compita
la maggior età ( anni 21) tiene casa separata dal padre ,
ed amministra da sé i suoi interessi ( Art. 242 ).
Così pure al figlio di famiglia si è liberamente accordata
la facoltà di testare (^Art. 234 )^ ^ ^^sì il minore si di-
chiarò abilitato all' amministrazione de' suoi beni compito
che abbia gli anni dieciotto {Art. 253 ); così troviamo
meglio accertati e più estesi i diritti delle varie sorta dei
peculii {Art. 226ad 22q); così finalmente si vennero pur
anche togliendo molte di quelle dubbiezze che prima esi-
stevano riguardo ai mutui contratti dai figli di famiglia
(Art, 1924 e 1925 ).
Merita poi anche special menzione quella legge che nei
casi di successione intestata limita l'usufi-utto del marito
superstite, ed una porzione poi ne assegna alla vedova
( Art gSg. 960 ). Per tal guisa i .figli non restano più in-
tieramente privi del godimento de' propri! beni mentre dura
la vita del padre , e la madre poi non resta più esposta
all' abbandono od alla sconoscenza dei figli , ovvero alle
ambagi della quarta uxoria.
E qui non sarà fuori luogo di notare come il principio
della libertà neppur sia stato sconosciuto in quelle poche
eccezioni , nelle quali la legge è costretta di sospendei'e
517
o limitare la libertà individuale. Avrebbe infatti torlo chi
prendesse per crudeli ed illiberali quelle disposizioni che
nel niiovo Codice si veggono dirette a reprimere per mezzo
dell'autorità paterna i gravi trascorsi dei figli di famiglia
( Art. 2 1 5 e seg. ) o la insolvibilità dei debitori , e le va-
rie altre applicazioni dell'arresto personale {Art. 2099 ad
2123 ). Imperocché questa sorta di rigori eccezionali che
si veggono giustificati coi motivi eloquentemente esposti dal
Consigliere di stato Bigot di Preameneau quando appunto
perorava in Francia per l'adozione della legge suU' arresto
personale (^contrainte par corps)^ questi rigori, ^diciamo,
che a primo aspetto sembrano contrarii alla naturai libertà
dell'individuo , erano però e sono indispensabili per evitare
i partiti arbitrarli di repressione e le violenze , e sono poi
altrettanti mezzi più efficaci per conseguire la pratica della
giustizia, e l'adempimento dei singoli doveri; sono in una
parola leggi indispensabili per non lasciar facile ed impu-
nita la violazione della legge , e per prevenire i mali molto
più gravi che da essa potrebbero cadere sulla società. In
queste disposizioni pei-tanto le sole che siano afflittive in
mateina civile , si scorge voluto appunto nella più estesa e
l'agionevole sua applicazione il rispetto alla libertà indivi-
duale , nello stesso tempo che si volle impedire che le sì
potesse fare impunemente ed arbitrariamente oltraggio.
Proseguendo su questo andare le nostre osservazioni ,
veggiamo poi quello stesso spirito di libertà associarsi nel
nuovo Codice a quello di una ben ponderata eguaglianza
civile.
Con essersi difatti , come abbiamo veduto , fissati e chia-
riti i diritti ed i doveri delle varie sorta de' cittadini se-
condo le varie condizioni in che la natura o la società gli
ebbe a collocare , si sono in sostanza tolte o scemate tra
essi molte distanze e molte differenze e molti privilegio
Una tal cosa si distingue particolarmente in quelle parti
518
della legislazione che riguardano le donne , siano esse
figlie , o mogli , o madri , o vedove. Coli' essersi infatti
concessa la facoltà alla moglie di far testamento senza
l'autorizzazione o consenso del marito {Jrt. i3g); col
l'iconoscersi la qualità di pubblica mercantessa in colei che
'esercisce da sé qualche genere di mercatura , come già la
riconosceva l'art. 220 del Codice francese (^Jrt. i3G); coli'
essersi se non stabilita la comunione de' beni che ripu-
gnava di troppo colle abitudini del Piemonte, introdotta
almeno la comunione degli utili; coli' essersi finalmente e
soprattutto ammessa la donna alle successioni , eccettuati
soltanto alcuni casi, ed in questi accordato un equo e
determinato correspettivo , si è notabilmente migliorata e
resa meno servile la condizione delle donne , si è provve-
duto ad una maggior fi^equenza di matrimonii , si sono de-
posti nella massa sociale nuovi e più fecondi germi di mo-
ralità , e si è per ultimo fatto un passo importante verso
l'educazione femm^inile.
Prima poi di passare ad osservare la nuova Legislazione
sotto un punto di vista diverso da quello che presentemente
ci occupa, ci piace notare una speciale disposizione di
sapiente eguaglianza : essa è quella contenuta nell' Art.
426, in virtù di cui i tributi ed ogni altra pubblica im-
posizione deve essere regolata in modo che ciascuno porti
il proprio peso e perpetuamente si mantenga l'universalità
del concorso. Una tal disposizione che giaceva isterilita e
quasi obbliata nel paragrafo 2. lib. 6. tit. 2. delle Costi-
tuzioni del 1770, venne ora richiamata in vigore dal nuovo
Codice , e mentre essa giova a precludere ogni speranza
a qualunque specie di parziale immunità , può anche col
tempo lecondai^e con più giovani ed estese apjilicazioni il
principio dell'universalità ne' tributi.
Come chiimque può avvedersi , tutte le fin qui accennate
ed altre consimili disposizioni che provveggpno più ajnpia-
519
mente alla libertà ed all'eguaglianza delle persone e delle
cose , si rivolgono necessariamente in favore dell' attività
nazionale , dell' industria e del commercio.
A procacciare più direttamente questo beneficio concor-
rono poi tutte quelle disposizioni che mirano a prevenire
od a troncare le incertezze e le versatilità di una giurispru-
denza vaga e moltiforme , e quindi quella piiì d' ogni altra
che porta l'abolizione delle leggi romane e degli statuti lo-
cali , e che dichiara le decisioni dei Magistrati non fare
più forza di legge {Art. i'].). Tali pur sono quelle che fis-
sano la natura e le qualità dei beni , che definiscono le va
rie specie di servitù massimamente prediali, e ne dichia-
rano le varie contingenze , dando soprattutto alla materia
delle acque regole giuste e costanti. Allo stesso fine di to-
gliere la mala distribuzione e l' incertezza dei diritti , in-
tende il nuovo Codice quando stabilisce le forme degli atti
tra vivi e quelli di ultima volontà, quando regola le suc-
cessioni e propone norme sicure nella interpretazione di
questi atti e specialmente dei legati. Un medesimo ufficio
fanno ancora quelle leggi che determinano V indole e gli
effetti di tutte le varie sorta di contratti , quelle che fissano
e prescrivono maggiori guarentigie e norme più severe pei
varii generi di prova , e che limitano particolarmente la più
jB-equente e la più pericolosa di tutte , la testimoniale ; e
finalmente quelle disposizioni che mentre aboliscono l'usu-
capione come mezzo troppo facile di usurpazione od intro-
ducono riguardo a certi minori interessi nuove maniere di
prescinzioni , od alle antiche assegnano termini più circo-
scritti, e che alle varie, manchevoli ed arbitraiùe massime
circa la natura e la conservazione del possesso , regolate
finora giusta le massime degli antichi interdetti romani ,
o la varia giurisprudenza dei Magistrati , resa in ciò an-
cora più che in altre materie versatile per l'infinita varietà
dei fatti e delle località , fecero succedere norme più speci-
520
fiche, piìi stabili e meno pericolose al diritto di ciascuno.
Crediamo inutile di dimostrare quanto tutte queste parti
di legislazione che si veggono nel nuovo Codice sotto un
solo colpo di vista ordinate , raccolte e piiì chiaramente
stabilite, siano atte ad illuminare i cittadini sugli effetti
delle transazioni a cui si accostano, a moltiplicare le loro
relazioni, ad assicurare l'eseguimento delle obbligazioni che
ne emergono , a prevenire le ambiguità e le controversie.
Questi risultati parlano da se abbastanza per non bisognare
di più ampia spiegazione , ed è poi cosa incontestata che
là dove è maggior libertà e maggior sicurezza di posse-
dere , ivi è maggiore la facilità e la volontà di acqui-
stare e di aumentare le produzioni , ed i godimenti civili.
Faremmo per altro una grave ommessione ove tacessimo
che ogni qual volta occorre una disposizione atta a pro-
muovere gli atti della beneficenza ed a tutelarne costan-
temente gli effetti , il nuovo Codice non mai la trascura.
Veggasi come VArt. 436, provegga alla conservazione dei
beni delle opere pie , e singolarmente si osservi VÀrt. 884,
che esclude dalla generale proibizione di fare sostituzioni
il lascito perpetuo di una annuita fatto in soccorso della
indigenza , in dote alle povere zitelle , in premio alla virtit
od al inerito , od in oggetti religiosi , sebbene a siffatte
liberalità si chiamassero persone di una data qualità o
di determinata famiglia. E tanto poi si volle largheggiare
con queste pie fondazioni, che la Sovranità neppur più
pensò a riserbarsi espressamente la facoltà di approvarle,
come disponeva il Codice francese , e come l'attuale legis-
lazione piemontese in molte parti de' reali dominli pre-
scriveva , onde impedire sia che una troppo grande quan-
tità di beni si sottraesse al commercio , sia che coi legati
pii venissero a violarsi le più sacrosante leggi del sangue.
Tralasciando fi^attanto di discendere a più minuti parti-
colari , citeremo ancora due sole speciali disposizioni che
521
conducono parimenti salutari risultati che sinora siamo
andati discorrendo.
La prima di queste disposizioni si è quella per cui gli
sponsali verbali non producono piti alcuna azione civile ,
e che fissa 1' obbligo per colui che recede dagli sponsali
validi al risarcimento del solo danno effettivamente cau-
sato , e non più a quello dei danni eventuali ( Art. 1 06
e 107.). Con questo saggio provvedimento si prevengono
tante conseguenze che molte volte od una cieca passione ,
Gl'inesperienza, o la seduzione , o l'arbitrio rendevano fu-
neste pei costumi della gioventù, e per la tranquillità
delle famiglie.
La seconda delle additate notevoli disposizioni si è lo
Art, 44° d^l nuovo Codice che riconosce la proprietà let-
teraria, ed il privilegiato possesso delle produzioni del pro-
prio ingegno. Questo è una vera conquista della filosofia del
diritto sopra le antiche licenze , e come egli è un segno ir-
recusabile di progresso nello spirito umano , così gli è pur
anche ad un tempo uno stimolo possente pei suoi maggiori
incrementi. Così in questo novello provvedimento del Co-
dice piemontese si può vedere come prenunziata la con-
danna della pirateria libraria contro cui tanto si declama
in Italia, e preparata per avventura la via ad un trattato
di reciprocità per le cose letterarie fra i diversi Stati ita-
liani, con cui rimanga assicurata agli scienziati e ai dotti
la proprietà dei fi^utti del loro ingegno e delle loro fatiche.
Allo scopo finora mostrato costantemente seguito nella
nuova Legislazione di guarentire le proprietà e di prevenire
le frodi e le liti che possono facilmente comprometterne
il diritto , appai-tiene poi in un modo tutto speciale ed imme-
diato il sistema ipotecario che quivi si trova con miglior
metodo, e con maggior ampiezza di provvisioni riordinato.
L'esposizione di questo sistema che nel Codice fìancese
occupava soli 1 1 1 ailicoli , e che ora nel piemontese ne 00-
32
522
cupa i83 , e nel R. Editto del i6 luglio 1833 ne occu-
pava i85 , viene opportunissimamente susseguita dalle di-
sposizioni sulla espropriazione forzata e sulla graduazione
dei creditori : occorrenze che anticamente erano affidate all'
incerta giurispr-udenza delle cause di concorso.
La clausula del costituto possessorio ignota al Codice
francese ed abrogata dal precitato Editto , fu nuovamente
sancita nel nuovo Codice (Jrt. 2 1 46) , ed essa giova senza
dubbio a rendere più generica e radicale la cautela di chiun-
cjue abbia diritto sopra i beni del debitore. A minor ag-
gravio però di quest'ultimo si è anche ammessa l'aggiudi-
cazione (^ Art. 2828 e seg.), a vece che il Codice francese
conosceva soltanto la subastazione.
Un'altra utile addizione al Codice francese si vede pur
anche fatta nel nuovo sistema ipotecario coU'esservi eziandio
accordato il privilegio pei credili delle Comunità , delle
coi'porazioni , e de' pubblici stabilimenti sulle malleverie in
immerario cui i loro uffiziali possono essere sottoposti
{Art. 2157. §8.): provvedimento questo che insieme con
molti altri sparsi nel nuovo Codice tende a viemaggior-
mente tutelare l'amministrazione ed il maneggio dei pub-
blici stabilimenti e degi' istituti di beneficenza.
La differenza maggiore che passi tra il numero delle
disposizioni sul regime ipotecario del Codice francese e
quello del Codice piemontese nasce specialmente dai pri-
vilegi e dalle ipoteche che quest'ultimo per cause partico-
lari non contemplate dal primo accorda al fisco {Art. 2194
ad 2201 ) come pure dalle più specificate formole della
iscrizione che nel Codice francese si contenevano soltanto
in undici articoli e nel nostro si estendono a ventiquat-
tro , non che dalle maggiori formalità e cautele che que-
sto richiede per liberare le proprietà dai privilegi e dalle
ipoteche.
Del resto si può ben dire in complesso che in questa
525
materia ipotecaria si è nel nostro Codice andato molto pin
innanzi nelle vie della regolarità e della perfezione non so-
lamente con essersi osservato maggior ordine e precisione
di quello che si fosse usato nella legge da principio pro-
mulgata in Francia sullo stesso oggetto, ma molto più coli'
essersi più ampiamente provvisto alla pubblicità delle ipo-
teche , coli' essersi ridotte le esenzioni dall' obbligo della
iscrizione a pochissimi casi , ed a quei soli crediti che si
sogliono immantinenti conoscere e proporre (^Art. 220J^);
coU'essersi per conseguenza escluso da siiìàtta esenzione i
privilegi delle doti e pel residuo prezzo di beni , che prima
rendevano in moltissima parte illusorio il più importante
scopo delle leggi ipotecarie. Con questi ed altri consimili
miglioramenti ed aggiunte nelle parti più vitali ilei sistema
ipotecario , si attribuì al medesimo tutta c{ueila maggiore
utilità , a cui esso possa mirare , e si sono tolte di mezzo
molte oscurità , e moltissimi pericoli di frodi , d'irregola-
rità e di privati detrimenti.
Questa specie di confronto, che abbiamo dehbato sulle
due legislazioni ipotecarie , ci guida quasi inseissibiimente
a sbozzare un paralello per così dire suU' estrinseco dei
due Codici il francese ed il nostro.
Ora dunque il primo libro che riguarda le persone nel
Codice fi-ancese abbonda più di disposizioni che nel no-
stro- Il maggior numero di cento diecinove articoli che
conta il fi-ancese voglionsi attribuire alle leggi concernenti
il matrimonio considerato semplicemente come contratto
civile ; e più di tutto ancora alle leggi sopra il divorzio
che per se solo occupava settantasette articoli , senza con-
tar quelli che si ^raggiravano sulla separazione di corpo
compresi in un titolo distinto (cap. v. tit. 6.) ; il solo che
ora si vegga su questa materia riprodotto nel nostro Co-
dice colla sezione iv. del titolo 5.
All'incontro poi osservando il secondo libro sulla dislin-
524
zione dei beni nel nostro Codice, si trovano ottant'otto ar-
ticoli di pia che nel Codice francese , e questo maggior
numero di articoli è dovuto principalmente alle piii estese
disposizioni circa alla materia delle servitù , ed a quella
in specie che concerne le acque : materia così essenziale
in un paese sostanzialmente agricola come il Piemonte , e
dove i più ricchi prodotti del suolo come quelli delle ma-
nifatture sono dovuti alla condotta e all'artifizio delle acque.
Ora dunque questa materia che in Piemonte era frequentis-
sima cagione di differenze e di dissidii , viene ora dal nuovo
Codice con particolare diligenza regolata , e mentre egli
dà con accorgimento tutto nuovo di economia pubblica la
qualità di beni immobili alle sorgenti , ai serbato] ed ai
corsi d' acqua (Art. 4o3 ) , cerca più accuratamente forse
che qualunque altro Codice vigente di accomodare la legge
alle teorie più recenti , più avverate e sicure dell' idi'aulica
legale.
Finalmente riguardo al terzo libro, era esso nel Codice
francese composto soltanto di 5^1 articoli, a vece che nel
nostro ben ne conta ^66 ; e ciò sebbene nel primo la sola
materia della comunion legale , che ora più non figura nel
secondo , comprendesse 96 articoli. Il maggior numero per-
tanto di xg5 articoli che ne risulta si trova specialmente
impiegato nelle più numerose disposizioni relative alle suc-
cessioni , all' esposizione di alcune specie di convenzioni
massime relative alla colonia parziaria , all' aumento delle
provvisioni ipotecarie, ed in generale poi ad una più minuta
previsione di casi possibili e di specie diverse.
Il complesso adunque di questo paralello dà per risul-
tato un aumento totale di 164 articoli nel Codice piemontese
sopra quello di Francia.
Dopo aver notata questa numerica e materiale differenza
sarebbe certamente cosa molto vantaggiosa e filosofica lo
investigarne la cagione intrinseca e razionale ; ma questa
525
impresa noi la sentiamo superiore di molto alle nostre
forze, e d'altronde essa ci guiderebbe troppo lungi dallo
attuale nostro proposito.
Additeremo soltanto che in un impero uscito allora al-
lora da una tempestosa rivoluzione come la Francia, che
teneva tanti punti di contatto colle altre nazioni ; in un
impero così esteso di territorio , di commercio e di av-
venire , ben era ragione che le qualità , i diritti , ed i do-
veri degli stranieri, e dei cittadini ed i bisogni di una
eguaglianza e di una indipendenza civile che in Francia
erano stati così vivamente sentiti ed espressi, fossero con
leggi più numerose e speciali dichiarati e regolati , a vece
che in Piemonte, paese dato essenzialmente all' agricol-
tura e col territorio infinitamente diviso , e cogli abitanti
più domisedi e casalinghi , meno che quelli di Francia
educati alle individuali fi-anchigie, meno abituati alle grandi
scosse ed ai grandi esperimenti amministrativi ed econo-
mici , e meno anche di quelli di Francia mutantisi di luogo
e di stato; tuttociò che aveva rapporto alle convenzioni
ed agli interessi materiali , richiamava più specialmente
r attenzione e le disposizioni del Legislatore.
L'indole d'altronde dei tempi e l'indole della nazione pie-
montese forse più tenace in ciò che crede suo diritto, e quindi
più portata a difenderlo col litigio, richiedevano provvedimenti
e formole più esatte e severe di quelle che forse bastavano
per il francese naturalmente più sciolto e non curante.
Questa diversità essenziale nel carattere dei tempi e dei
costumi di ciascuna nazione, l'influenza anche del sensualismo
e della filosofia del secolo XVIII, facevano forse più badare al
presente ed al materiale , che non al razionale ed al futuro ; e
lasciavano forse meno avvertire nella compilazione delle leggi
a quell'intima moralità che conserva e che migliora le isti-
tuzioni ed i popoli. L'istruzione poi e l'educazione più sve-
gliata e più avanzata in Francia , la disapparizione di molte
526
distanze e di molte distinzioni fra le persone , le età ed i
sessi prodotta dal movimento novatoi^e, erano fors'anco al-
trettante cagioni di quella differenza della quale cerchiamo
di render conto , e che si scorge non solamente nella ma-
teriale voluminosità , ma eziandio nelle intrìnseche dispo-
sizioni dei due Godici,
A queste cagioni che desidereremmo aver tempo ed inge-
gno bastante per isviluppare in tutti i loro rapporti si potrebbe
forse pur anche attribuire una certa generalità di disposizioni
che si riscontra in alcune parti del nuovo Codice piemontese,
e che altri potrebbe scambiare per timidezze o peritanze di
redazione, e così pure una certa minutezza di previdenze di
casi , e di cautele che potrebbbero per aA^entura sembrare
soverchie , se non si sapessero necessarie per contenere la
eccessiva successività di convenzioni e di rivocamenti, di
stipulazioni simulate ed occulte ; vizio pur troppo non raro
nelle abitudini piemontesi ; e finalmente da queste mede-
sime cause generali si potrebbe derivare quel non raro
rimettere la cosa nella rettitudine de' Magistrati e nella
consuetudine che per alcuni rispetti fa piuttosto rassomi-
gliare il nostro Codice a quello Austriaco e di Prussia.
Di qui forse il frequente richiamo che in ordine a parec-
chie materie sì va facendo nel nostro Codice agli usi e rego-
lamenti speciali che non entrano a far parte di esso , e con
cui sì volle forse provvedere in un modo analogo al carat-
tere individuale della nazione ed ai bisogni locali di essa*i.
*i Questo richiamo ad usi e regolamenti particolari oltre al ve-
dersi stabilito, come già si'era avvertito, riguardo agli atti dello stato
civile ( 60 ) , ed agli sponsali ed al matrimonio in coloro che pro-
fessano culti tollerati ( 1 5o ) , ed oltre ancora al trovarsi prescritto
riguardo all' instituzione dei maggioraschi e de' fidecommessi (879)-,
si vede altresi ripetuto ove trattasi delle eccezioni all'incapacità ge-
neralmente prescritta di ricevere per testamento introdotte a favore
dei membri delle corporazioni religiose , secolari e dei corpi e per-
52Z
Di qui finalmente quel vedersi ancor fatto , sì gran
conto dell' integrità e della prudenza dei Magistrati , a se-
gno di conservar loro quella specie di libertà coscienziosa
nel rendere la giustizia, che altrove è riconosciuta nei
prud' hoinmes e nei giurati ; sanzionando per tal modo
colla legge quell'arbitrio e quella equità clie sinora i Ma-
gistrati potevano esercitare in Piemonte, e di cui non si
vollero spogliare affatto. Così , per citare cjualche esempio ,
fu lasciato ai tribunali la libertà di pronunciare secondo
la gravezza delle circostanze l'assoluta decadenza dall'usu-
frutto, e l'arbitrio delle cauzioni da prescriversi all' usu-
fruttuario (^/'i. 529): così ad essi fu anche lasciata la fa-
coltà di accordar dilazioni ai debitori oltre la mora conve-
nuta (Art. i334): così finalmente filagli stessi Magistrati
accordato di concedere dilazioni assai riguardevoli in or
dine al riscatto oltre il termine convenzionale (Jrt. 1666)
Da questo rapido sguardo che abbiamo lanciato sopra
il Codice civile promulgato testé in Piemonte , si viene
raccogliendo a guisa di conclusione che in primo luogo i
due principii direttori ed eminenti ai quali tutte le parti
di questa Legislazione corrispondono, il principio religioso
cioè , ed il principio monarchico sovrastano a tutta intiera
quest' opera legislativa ; e che in seguito nella parte mera-
mente civile uno spirito di libertà ragionata e di una
sapiente eguaglianza di persone e di diritto conciliata colle
basi fondamentali dello Stato , e colle circostanze locali , e
coir utile sviluppo delle virtù e delle suscettività politiche
e civili, e colla sicurezza delle proprietà e dei legittimi
sone morali (716 e 717); si vede lo stesso riguaido alla proprietà
letteraria ( 44^ ) , trattandosi dell'azione redibitoria ( 1 635 ) ; si vede
relativamente all' uso dei boschi e delle selve ( 547 ) ; si vede final-
mente in ordine alle società e relazioni commerciali ( 1896 e 2149).
— Tutti questi rimandi promettono l,a pubblicazione di altri distinti
Codici sopra altre parti della legislazione e dell' economia pubblica ,
528
possessi , e col materiale ed intellettuale perfezionamento
della nazione , e cogli impulsi alla iDcneficenza , all' indu-
stria, al commercio, ed alle nobili creazioni dell'ingegno,
e collo spirito di una illuminata tutela e di una volontà
operosa ed assidua nel procacciare la prosperità nazionale ,
furono i mezzi ed i fini generosi ed indeclinati di cui
sempre si valse , ed a cui sempre mirò 1' odierna legisla-
zione piemontese.
Così mercè del nuovo Codice i cittadini e quelli pur
anco che appartengono alle classi più numerose e men
colte saranno quinci innanzi meglio istrutti sopra l' in-
dole e gli effetti di ciascun atto a cui vorranno devenlre ,
e conosceranno più esattamente i loro diritti ed i loro do-
veri ; la mala fede si vedrà prevenuta ne' suoi raggiri , e
questi resi impotenti; l' applicazione delle leggi diverrà
più certa , più facile , meno intralciata , 1' amministrazione
della giustizia più pronta e più efficace , ed ì litigi infine ,
questo antico flagello delle belle piemontesi contrade, sa-
ranno o prevenuti od abbreviati.
Ecco i benefizi segnalati che il nuovo Codice si propose
e che otterrà certamente quando fia posto in esecuzione.
Giusto è frattanto che si sappia che la sua emanazione
è nel modo più solenne ed individuale dovuta all'imme-
diata ed energicamente continua volontà del Principe, il
quale trionfando d'ogni difficoltà e di tutti i timori seppe
spiegare tutta quella efficacia d'intenzione che sola deter-
mina e fa riescire le grandi ed ardue imprese. Lo stesso
sentimento di giustizia ci muove a dire che dopo la ferma
volontà sovrana conti-ibuirono nella composizione e nella
pubblicazione del Codice le dotte ed assidue fatiche della
Commissione per tal fine creata, ed in specie l'eminente
cooperazionc del Ministro eletto a presiederla , e che coli'
ingegno potente per dottrina, e per sperienza seppe con
modi animosi , perseveranti e nello stesso tempo moderati
529
conciliare all'unico scopo dell'universale utilità la più gran
parte delle divergenze di opinioni e d' interessi.
Saremmo indegni di scrivere sopra queste materie, sa-
remmo infedeli alla verità , se avessimo taciuti questi
pensieri verso chi ebbe la più alta parte nel beneficare il
Piemonte d'una raccolta universale di leggi. V'hanno delle
reticenze non meno ignobili , ma forse ancor più pei-niciose
della stessa adulazione, e tal sarebbe il lasciar ignorare
quali siano state quelle magnanime e sovrane intelligenze
che hanno così felicemente intrapresa la presente rigene-
razione legislativa. Se oggidì noi la veggiamo star quasi a
livello coi lumi attuali della filosofia, coi progressi della
civiltà e colle esigenze della prosperità nazionale, se in
essa troviamo una giusta intelligenza dei futuri sociali bi-
sogni » un tanto benefizio non è solamente dovuto alla forza
delle opinioni e degli esempi , ma ben anche al valore di
quegli spiriti generosi , che librando la ragione ed i fatti,
le opportunità e le tendenze , si sollevarono all' altezza del
loro secolo.
L' opera loro pertanto , cioè il novello Codice viene se-
gnando un' era novella nel governo e nella legislazione ne-
gli Stati del Re di Sardegna. Egli attesta allo sguardo
d' Europa e d' ogni popolo che incivilisca , come già fe-
cero ai loro tempi, ma in un modo però conforme ad
essi le Regie Costituzioni del 1770 , un' epoca di vero
progresso sociale , un regno illuminato e forte , egli espri-
me dal lato civile un immenso miglioramento sullo stato della
legislazione sinora vigente , e altri ne prepara in tutte le
ramificazioni sociali. Questo Codice adunque ed il sovrano
suo Ordinatore , come anche tutti quegli egregj che vi po-
sero l' ingegno ed il cuore hanno il più giusto diritto all'am-
mirazione ed alle benedizioni delle presenti e delle ven-
ture generazioni subalpine , e queste tanto più abbondanti
sopra di essi scenderanno quanto più prontamente sarà
530
compiuto l' intiero edifizio della legislazione piemontese
colla pubblicazione di tutte le altre sue parti, e così pu-
re, maturandosi i tempi, di un Codice eziandio ammini-
strativo.
Nel sentimento profondo di queste speranze , o per dir
meglio di queste convinzioni , noi non crediamo di poter
meglio terminare questi nostri primi e certamente ancor
immaturi pensieri sul nuovo Codice fuorché con quelle pa-
role che, pronunciate or son più di tre nt' anni in Filanda,
sembrano scritte oggigiorno appositamente per esso , e
quasi ne vengono compendiando tutta la sostanza. — « Nella
» nuova legislazione, concionava l'esimio Portalis, non si
« è punto cercato d'introdurre novità pericolose. — Si è
)) anzi conservato delle leggi antiche quanto poteva conci-
» liarsi collo stato presente delle cose. — Si è provveduto
» alla pubblicità de' matrimonii ( P^. nel nostro Codice gli
)) art. ii3 e ii4)' — Si sono stabilite regole saggie pel
)) governo delle famiglie ; si è ristabilita a guisa di ma-
» gistratura l'autorità dei padri. — Si sono richiamate tutte
» le provvisioni necessarie per assicurare la sommessione
» dei figli. — Si è lasciata una latitudnie sufiiciente alla
» liberalità dei testatori. — Si sono sviluppati tutti i prin-
» cipii generali delle convenzioni , e quelli che derivano
» dalla natura particolare di ciascun contratto ; si è vegliato
» all' osservanza de' buoni costumi , alla libertà ragione -
» vole del commercio. — Si è infine provveduto su tutti
» gli oggetti che possono interessare la civil società *i.
* I Exposé des motifs de la loi relative à la réunion des loìs ci-
viles en un seul corps sous le titre du Code civil des Franqais ,
par M. le Conseiller d' État Portaus.
Severino Battaglione.
531
pLimo l'apctico.
Nacque a Como l'anno 2 3 dell'era volgare. Condotto che
era adolescente a Roma, vi fu discepolo del grammatico
Apione ; giovinetto visitò l'Africa , fé' dimora in Egitto , e
com'era costume dei doviziosi , die compimento in Atene
alla sua educazione. Militò in Germania sotto L. Pomponio
che gli affidò il comando d'una squadra di cavalleria, si
addestrò siffattamente nella disciplina dell'equestre milizia
da potere in appresso pubblicare un trattato sui vari modi
di lanciare giavellotti ^ ed altre armi stando a cavallo. I
brevi riposi consacrò a visitare le scatm-igini del Danubio,
le rive dell'Oceano , l'interiore delle terre , abitate dai Cauci
ed altre baibare tribù. E da cx^edere che discendesse alle
foci dell'Elba , e del Veser sulla flotta destinata a ricono-
scere le spiagge del mare settentrionale , e del Chersoneso
la qual recò , regnando Claudio , per la prima volta la fama
del popolo Romano a que' lidi remoti.
Le gesta de' suoi compatriotti in Germania invogliaronlo
di scriverne la storia , ignoriamo sino a qual punto con-
ducesse Plinio un tal lavoro , solo sappiamo che vi diede
opera allorché sett'anni dopo d'essere entrato nell' arringo
dell'armi, sen distolse per consacrarsi alle lettere ed alla
eloquenza del foro; in età più provetta preferì lo studio
delle scienze, benché scienza suonasse in allora una vana
parola, e si fornì la memoria d'un ingombro sterminato di
532
fatti , erudizione incompleta , massa di cognizioni eteroge-
nee ; profittevoli ed elevate le une , meschine e puerili le
altre, quelle degne di destare ammirazione ed invidia nei
moderni, queste che vincano in assurdità le superstizioni
contemporanee d'Omero.
Plinio fissò la dimora in patria sia per amministrarvi più
dappresso i suoi beni, sia per iscansare il trambusto della
capitale dominata, e messa sossopra dal capriccio de' li-
berti , e dalle pazzie spesso scellerate de' Cesari.
Parve stranezza allorquando si trattò di dare a Nerone
un istitutore , che Agrippina , la quale di buona fede cer-
cavalo tra migliori, non ponesse gli occhi sullo storico della
Germania , di cui ci avvisa Tacito che il nome già era
scritto sin d'allora nelle tavole di bronzo della fama. Se-
neca notissimo a Roma per essere capo d'una setta in voga,
e che un ingiusto esilio dignitosamente sostenuto aveva al-
zato a bella riputazione, fu preferito. Contemporaneamente
l'essere nato a Plinio un nipote , gli ispirò l'idea di det-
tare un libro sull' educazione ad uso degli studiosi dell'e-
loquenza ; e lo intitolò — Studiosus. Al modo di Quinti-
liano nelle Istituzioni facevasi guida all'alunno dall'infanzia
all' età d' arringare , inteso ad erudirlo d'ogni più minuto
particolare , che a quella principalissima tra le Romane
discipline apparteneva.
Lavoro più tecnico ed arido , l'occupò in seguito ; gli
otto libri delle difficoltà del latino sermone e de' vocaboli
d'incerta significazione. Con mostrarsi immerso in tai filo-
logiche ricerche, evitò di dar ombra a Nerone, il quale
anzi lo ascrisse all'ordine equestre e lo nominò procura-
tore Cesareo nelle Spagne. Fu caro a Vespasiano che gli
conferì il comando della flotta stanziata a Miseno. E non
ostante che fosse mai sempre occupato a servigi dello Stato,
seppe trovare tempo e comodità di coltivare quegli studi
scientifici, che nella seconda metà della vita avea abbrac-
555
ciati con predilezione. Si era egli formata una specie d'an-
tologia , o raccolta di brani delle sue letture , e di osser-
vazioni fatte sovra luogo ed intorno vàri argomenti ; la
quale raccolta sin da quando era in Ispagna ammontava
a censessanta volumi scritti per dritto e per i-ovescio, locchè
n'addoppia il numero , miscellanea che andò sempre cre-
scendo finche ebbe vita l'infaticabile compilatore.
Ma qui ninno meglio degU studi di Caio, Plinio (di cui
ci restano unico ma colossale monumento i trentasei libri
della storia naturale) può ragionare che il suo • proprio
nipote il quale ne rende conto come segue in una lettera
a Macro ( lib. III. 5. ).
« Io mi compiaccio sommamente intendendo come gli
» scritti dello zio ti sieno cari , e ti stia a cuore avere
» contezza di tutti; ne mi terrò contento solamente di
» indicarteli.; accennerò altresì con qual ordine abbiali
» egli messi in luce , cognizione non inopportuna a letterato.
» Quando comandava una coorte di cavalli , compose il
» trattato; De jaculatione equestri; nel quale die saggio
» di raro acume, ed esattezza. Pubblicò poscia in due libri
» la vita di Pomponio Secondo , da lui molto amato a
» segno d'amichevole gratitudine ; fecesi quindi a compilare
M i venti libri delle guerre Germaniche che contengono
» il racconto di tutte le fazioni militari che ci avemmo
» in que' paesi, e con quei barbari. Un sogno avevagli
» ispirato il pensiero di codesta grande tattica ; eragli paruto
» vedere l'ombra di Druso Nerone , il quale dopo d'aver
» fatto colà grandi conquiste, v'era pur morto, scongiurarlo
» che non lasciasse cadere dimenticate le sue gesta. Abbiamo
» inoltre di lui tre libri con titolo di Studiosus , che per
« la loro estensione dovettero essere divisi in sei volumi;
» dall'infanzia all'età perfetta, egli v'insegna come si diventi
» oratore. Gli otto libri Diibii sermonis dettò durante gli
» ultimi anni dell' imperio di Nerone , poi i trent'uno in
^34
» continuazione alle storie d' Aufidio Basso , ad ultimo i
« trentasette della naturale storia, la quale opera è d'una
» estensione e d'una erudizione infinita , e varia quasi al
)) paro della stessa natura.
» Stupisci che uomo il cui tempo era tutt'altro che libero
» da cm^e non letterarie potesse scrivere tanti volumi , e
» trattare argomenti sì disparati , e per la più parte spinosi
» e difficili. Stupirai anco più , risapendo che egli ha inoltre
» patrocinato cause , e che quando morì toccava appena
» i 56 anni ; de* quai mezzi, a dir poco , spese in adempiere
» le missioni di cui investivalo la confidenza degli Impe-
» ratori.
» Era egli dotato d'una penetrazione , d'una applicazione,
» d'una vigilanza incredibile. Alla ricorrenza delle feste di
» Vulcano nel mese di agosto , cominciava a vegliare la
» notte , non a cercare presagi in cielo , ma a studiare.
» Poneasi al tavolo in estate sull*^ abbuiare , e nel verno
» ad una o due ore dopo la mezzanotte. Spesso a mezzanotte ;
» non era possibile accordare meno al sonno ; e il sonno
» sorprenderlo talora sui libri. Avanti dì conduceasi a
n Vespasiano che delle notti facea buon uso anch' egli ,
» di là muovea ad eseguire ciò che gli era stato commesso ,
)) lo che fatto avendo , tornava a casa, e il rimanente tempo
» consacrava a studiare ; dopo il pranzo che semplice , e
» leggero era sempre , secondo il costume de' nostri vecchi,
» se gli garbava oziare , coricavasi al sole. Amava farsi
» leggere libri , e ne cavava osservazioni ed estratti ;
n costumava dire non esservi sì triste scrittura, da cui
» cavare non si potesse qualche cosa di buono. Ritiratosi
)> dal sole usava d'un bagno freddo , mangiava , dormiva
» un pochetto, poi come se il giorno ricominciasse riponeasi
)) allo studio sino a cena , durante la quale letture di
» nuovo , e di nuovo estratti, — Ricordomi un dì che il
» lettore avendo pronunziato male alcune parole , uno dei
535
» commensali le fé' ripetere. — Non avevate inteso il
» senso: domandò lo zio. Si certo, rispose l'altro. Perchè
» dunque farlo ripetere? Cotesta interruzione ci costa dieci
» linee a dir poco. — Ora vedi se egli era economo del
» tempo.
» Nei viaggi leggeva o dettava ; allora , come più sciolto
» da distrazioni , e da brighe , avea sempre a fianco il
» suo libro, le tavolette ed il copista, e per non perdere
» nemmeno un istante , anche per Roma non girava che
» in lettica, e mi sovviene che un giorno mi rimproverò
n d'aver passeggiato, dicendo — potevi cavar profitto da
» tali ore. — Assiduità meravigliosa, mercè la quale gli
» riuscì di scrivere sì sterminato numero di volumi. Gli
» è dunque a ragione che mi fanno ridere coloro che mi
)) appellano studioso, io che a petto di mio zio sono un
» perdigiorni. n
L'anno che tenne dietro alla pubblicazione della Storia
Naturale , fu memorando per la prima eruzione del Vesuvio ,
e la catastrofe di Ercolano , Stabia e Pompei ; vittima
dell'amor suo per la scienza Plinio perì, e l'amoroso nipote
anco di quella scena spaventosa ci fu spettatore
u Era Plinio a Miseno , e di presenza governava 1' ar-
» mata : il 23 agosto ad un' ora pomeridiana circa , mia
» madre avvisollo dell' apparire di una nube di forma , e
» di grandezza straordinaria. Ei che secondo il suo costume,
)) dopo d' aver dimorato al sole e bevuta acqua fi edda ,
n giaceva studiando , alzatosi salì a luogo da cui poteva
» molto bene osservare il fenomeno. Un nugolo ( non sa-
» peasi da qual monte sbucasse, fu noto poscia ch'era il
« Vesuvio) s'alzava di figura che potevasi paragonare ad
» un pino , poiché spintosi in su con una maniera di
» lunghissimo fusto allargavasi in rami che sfiimavano con
n dilatarsi ; perchè , credo , quelle materie da immediata
y) forza cacciate , da questa abbandonate , e dal proprio
536
» peso vinte si disperdevano cadendo 5 il nugolo poi qua
« era candido , là scuro , e macchiato , secondo che sol-
» levava cenere o terra.
» Vago d'apprendere, deliberò lo zio al portento accostarsi
n ed esplorare che fosse. Ordina che gli si appronti un
» palischermo , m' invita ad accompagnarlo ; risposi che
» preferiva meglio studiare ; m' avea egli dato da scrivere.
» Esci di casa munito delle sue tabelle. I marinai di Retina
» spaventati perchè il borgo soggiace al monte , nò v'è di
» là altro scampo che per mare , supplicavanlo non si
» esponesse a tanto pericolo ; le quali preghiere noi vinsero
» e perseverò intrepido a ciò fare che amore della scienza
» suggerivagli. Eccolo colla quadrireme fiiori del porto ,
» né solo a que' di Retina reca soccorso , ma anche a molti
» altri che le vicine spiagge popolavano , chiamativi dall'
» amenità del luogo : s' accosta là donde fugge ognuno ;
» mette la prora diritta al pericolo talmente sciolto da
» ogni paura , che mano mano i caratteri del fenomeno
» gli si presentano, ne fa annotazione. Già la cenere cade
» sulla nave , e con avvicinaisi questa alla riva , si fa pili
» calda e folta ; precipitano pomici e sassi arsi.
» L'onde stJjitanee e la ruina leri'ibile del lido tennerlo
M in forse di dare addietro ; ma tosto al timoniere che a
w ciò fare consigliavalo — la fortuna aiuta , disse , gli
t> ardimentosi: drizza a Pomponiano. — Questi era a Stabio
» sull'estremità opposta della baia j perocché quivi internasi
» il mare , e foima un seno. Ivi trovò l'amico il quale ,
n benché vicino non fosse il pericolo notabilmente pei'ò
« crescente ad ogni istante , affacendavasi a trasportare
V ogni sua dovizia sulle navi, pronto a fuggire tosto che
« cadeva il vento da cui assecondato ratto era giunto lo
» zio. Abbracciollo che tremava, fecegli animo , e per
)) iscemare colla propria tranquillità il suo terrore volle
» essere condotto al bagno, si lavò, si coricò, cenò ilare
537
» in volto, o, ciò che era ancora miiablle , fingendo tl'cs-
» serio.
o Frattanto immense fiamme, e vasti incendi riluceano
» per tutto verso il Vesuvio ed il loro chiarore diradava
» le notturne tenebre. Plinio a diminuire lo spavento dei
» riguardanti afferma provenire tai fiamme dal bruciare
» delle ville abbandonate , a cui nella trepidazione delia
» fuga s'è appiccato il fuoco ; poi s'abbandonò al sonno ,
» e dormì veramente , perchè il suo respiro che per la
)) pinguedine del corpo era grave e romoroso , fu udito
» da coloro che facean guardia sul limitare.
» Il cortile per cui s'entrava nella camera già talmente
» si faceva ingombro di cenere e di pomici , che ove più
n a lungo fosse egli giaciuto, l'uscita sarebbesi resa impossi-
• bile. Fu desto , sorse , tornò a Pomponiano e agli altri
» che vegliavano ; tennero consiglio se era più espediente
» il restarvi in casa, o l'uscire all'aperto; per le gagliarde
» scosse di terremuoto, vacillavano i tetti, ed agitati dalle
1» fondamenta i muri pareano andare e venire : a cielo
n aperto era da temere il cadere de' sassi , comechè lievi e
» spugnosi.
» Mosselo peitanto l'imponenza di tanti pericoli uniti :
)) lui determinò la ragione , gli altri il timore ; tutti posersi
» guanciali in testa a riparo delle precipiti materie ; aggior-
)) nava altrove ; regnava quivi tuttavia tenebrosissima notte,
)) che infinite faci a stento diradavano. Piacque uscire sul li-
» do , e vedere da vicino s'era navigabile il mare : lo trova-
» rono turbato e contrario. Quivi giacendo sovra un panno
» più e più volte Plinio domandò e bevette acqua fredda ;
» poco stante fiamme precedute da odore sulfureo volsero
» gli altri in fuga , e lui scossero ; appoggiato a due servi,
» s'alzò, e ricadde, siccome io conghietturo , oppresso dalla
» densa caligine il respiro che dalla natura sortito aveva
« debole, frequente, affannoso. Tre giorni dopo fu trovato
33
558
» il corpo illeso , intiero , coperto eli cenere , coi panni
» indosso non guasti : facea vista d'uomo che dorme anzi
» che di spento »
Questo scritto così pieno di pittorica evidenza c'invoglia
di sapere cosa dello scrivente n' avvenisse quella notte
terribile ; anche sulla casa ov'egli era l'imasto a Miseno ,
dovette piovere il Vesuvio le infocate sue pomici : quanto
più modestamente tace egli di sé per non occuparsi che
dello zio , tanto più destasi in noi benevola sollecitudine
d'averci anche de' suoi casi contezza. Una tal sollecitudine
Tacito (a cui la lettera testé citata era indirizzata) provoUa
anch' egli. « Tu affermi ( scrivegli nuovamente Plinio il
» Giovine ) che la lettera in cui la morte dello zio ti descrissi
» ha desta in te una voglia infinita di conoscere non solo
» a quai paure , ma anche a quai casi io sottostassi a
» Miseno. Benché l'animo a tei reminiscenze rifugga, ti
» compiacerò.
» Partito lo zio spesi il tempo in quelle occupazioni
» che mi avevano fatto preferire il rimanere ; poi presi
» un bagno , cenai e m'abbandonai a sonno breve inquieto.
» A terremuoti in Campania , meno spaventosi perché più
» frequenti, già m'era avvezzo; ma quella notte fu tale il
» commovimento , che ogni cosa pareva rovinare. Mi balzò
» in camera la madre ; scendemmo nel cortile , di breve
» spazio discosto dal mare e domandai (dubito se questa
» debbasi appellare fortezza o stoltezza ; m' avea allora
» diciotto anni ) il mio Tito Livio ; ed eziandio mi posi
» a leggere e fare estratti : quand'ecco un amico dello zio
» giuntogli poc'anzi di Spagna, accorrere, e veggendo me
» in lettura , mia madre seduta , rimproverare vivamente
» a me la tranquillità, a lei la pazienza; né io per questo
» alzava gli occhi dal libro. Era l'ora prima , dubbiamente
)) aggiornava, i circostanti tetti scassinavansi; onde, benché
)) in luogo aperto ma angusto , correvamo pericolo. Parve
559
» opportuno uscire. Il volgo attonito e pel quale la paura
» tien luogo di prudenza , e l'altrui consiglio preferisce
» al proprio in numerosa frotta, c'incalza, preme e spinge
» oltre ; fuori dell'abitato molte meraviglie , e molti spaventi
» ci si parano imianzi ; che i carri quivi condotti, tuttoché
» in pianura , cacciati da opposte parti non poteano stai-
» fermi ; vano era riuscito l'affrancare le ruote con sassi
» il mare parca che si riassorbisse, e la riva scuotendosi
» respingesselo : certo che il lido s'era addentrato, e gia-
)) ceano animali marini sulla nuda sabbia. D'altra parte una
» nube oscura spaventosamente rotta da guizzi di fuoco,
)) fendeasi in forma di lunghe fiamme simili a folgori , però
» maggiori. Allora l'amico Spagnuolo instò più efficacemente
» con dire. — Se il fi-atei vostro , se lo zio vive , ei vi
» vuole salvi, se perì , vi brama superstiti : perche dunque
» sospendete la fuga? — Rispondemmo che incerti della
» sua salvezza non ci reggeva l'animo di pensare alla no-
» stra. Ei non si trattenne allora più oltre ma con sol-
» lecita fuga si sottrasse al pericolo.
» La nube intanto era scesa correndo il mare, circondando
» Capri, sperperando Miseno la madre supplicavami, me-
» scolando alle preci i comandi, che fiiggissi; poterlo io
» fare agevolmente per essere giovine; ella grave di corpo
» e d'anni , soccomberebbe contenta se non mi fosse cagione
» di morte. Io per lo contrario giurava che non mi sarei
» posto in salvo senza di lei, e strettala per mano la
» costrinsi ad affrettarsi.
» Fattasi più rada la polvere scorsi sovrastarne da tergo
» un polverio che quasi torrente ne inseguiva — Esciamo
)) dalla via , dissi , finché aggiorna , onde non ci atterri ,
» e per le tenebre non ci calpesti la turba soprawegnentc.
» — Appena eravamci ritratti che la notte si fé' tenebrosa,
» non come quando è senza luna , ma qual è ne' luoghi
» chiusi ove non vi ha lume ; avresti uditi allora i lai delie
540
» femmine , le giida de' fanciulli , gli urli degli uomini,
)) questi i genitori , quelli i figli , altri le mogli ricercare
» a nome , tentar tutti di riconoscersi alla voce , chi la
» propria sventura , chi quella de' suoi cari lamentava ;
» taluno per terrore della morte, la morte invocava; molti
» implorare gli Dei, molti bestemmiarli, credendo essere
» quella la suprema notte del mondo.
» Rischiarò alquanto , né pareva indizio di giorno bensì
» di fuoco che s'avvicinasse, ma il fuoco stette lungi, torna-
» rono le tenebre , e cadde nuovamente una cenere pesante
)) e copiosa, la quale ci scuotevamo di dosso già già ri-
» copertine ed oppressi. Posso gloriarmi che non un ge-
» mito non una voce, che virile non fosse, mi sfuggì; se
» non che trovava sollievo all' umana fralezza in pensando
» che io periva col mondo.
» Finalmente quella caligine scioltasi in una specie di
» fumo , svanì ; tosto il vero giorno risplendette , ed anche
» il sole, ma fiacco come suole allorché tramonta. Gli oggetti
» apparivano mutati, coverti, come se fosse neve, da un
» alto strato di cenere. Rientrati a Miseno , ristoratici alla
» meglio , passammo una paurosa notte tra speranza e
)) timore ; il timore prevalea perché continuava il tremito
» della terra, e forsennati con orrendi vaticinii pareano
» pigliarsi giuoco de' proprii danni e degli altrui.
» A noi però nemmeno allora , comechè presaghi di
» nuovi guai, entrò in pensiero di lasciare que' luoghi
» pria d'averci novelle dello zio. — »
In leggere queste pagine un brivido non ci corse per
l'ossa ? — Quella madre che nemmeno d'un momento vuole
ritardata la fuga al figlio , abbia a costargliene la vita, alla
madre nostra non ci fa pensare con rinfervorata tenerezza?
Quegli lu-li della moltitudine che fugge , misti di tante voci
strazianti , e che si perdono nella lontananza , a quel suono
somigliare sulla terra? A qual scena paragoneremo quel
541
fuoco che incalza , quella cenere che piove , quel terremoto
che squassa, quel mai e che si riassorbe , ma ci riconfortiamo.
Evvi in mezzo a tanto orrore un cuore che palpita
virtuosamente per un benefattore , per una madre ? — La
lettera di Plinio più che alla Storia di Roma appaitiene
a quella dell'umanità.
Gli studi , la morte di Plinio ci furono narrati da un
testimonio di vista , e d'udito ; ora ci resta l'esaminare i
suoi scritti.
Abbracciar volle nella sua storia tutti i fatti della natm^a,
e si fosse egli contentato di questo già per sé colossale
imprendimento , avrebbe fatto opera in mezzo alla vastità
sua , improntata di filosofica unità : ma superficiali analogie
trascinavanlo fiior di via , allontanavanlo dal suo soggetto :
a quanto lo spettacolo dell'universo presentavagli spontaneo ,
e direi come non interrogato, associò non solamente la
materia medica dei tre regni, ma un trattato di tecnologia
ed una storia delle belle arti, le quali aggiunte furono
soverchie , o se piace meglio sufficienti ; che avere non vi
potea via di mezzo , o convenia restringersi all'ordine fisico,
al cielo , alla terra , al mondo organico ed inorganico , o
volendo pm' ammettere l'uomo siccome intelligenza che si
manifesta sotto tali alte apparenze , mediante trovati ed
atti, stava bene esaurire la serie immensa di colali atti e
trovati compilando una vera enciclopedia : Plinio peccò nel
concetto primo , non raggiunse , od oltrepassò lo scopo :
ora gettiamo lo sguardo sulla distribuzione del suo lavoro.
Il primo libro è consecrato all' astronomia , ed alla
meteorologia , i quattro seguenti alla geografia ; poi sino
all' undecimo tratta di zoologia ; sino al decuixonono di
botanica, la materia medica comincia al ventesimo e si
suddivide in vegetabile (dal XX al XXVII) ed animale
(dal XXVIII al XXXII), tiene dietro la mineralogia con
suoi annessi ,• la materia medica minerale , le belle arti ;
542
alcune descrizioni relative all'arti meccaniche chiudono la
opera. Sul finire del libro VII è degno d'osservazione un
lungo squarcio sulle invenzioni e le istituzioni umane.
A studiare i primi lineamenti di questa vasta compilazione,
ella ci parrà maestosa e semplice : il cielo, la terra, le grandi
masse degli esseri terrestri , la storia de' tre regni ; ma un
leggero esame ce ne chiarisce le pecche , le descrizioni
relative alle arti sono seminate qua e là invece di trovare
posto nei capitoli ove si tratta delle sostanze che loro
forniscono la materia prima , o meglio raccolte a formare
un corpo ; le belle arti sono tutte affibbiate alla mineralogia
quasi che non vi avessero infinite sostanze organiche di che
gli artisti adoperano, come gli statuari l'avorio, i cesella-
tori r ebano , i dipintori tela e pennello , non che colori
somministrati dal regno vegetabile e dall'animale. La materia
medica dovea tener dietro alla sposizione de' tre regni in
cambio di venire inserita come a caso in mezzo ad essi ;
oltreché sommo disordine regna nella parte mineralogica
ove Plinio raccozzò alla rinfusa, oltre le descrizioni, ricette,
e racconti senza fine. Piìi grave rimprovero noi gli moviamo
d'avere rappiccato con fìnvole e false analogie, con transizioni
superficiali, e perfino con artifizii degni d'un retore e di
un sofista il quadro della natura alla dipintm^a delle creazioni
umane.
Vuoisi per altro avvertire che Plinio assumendosi la parte
di compilatore ed abbreviatore non è risponsabile di tutti
gli abbagli in cui cadde. Ma come adempì agli ufficii di
compilatore ? Anche sotto questo aspetto scorgeremlo
meritevole di riprensione , non è sempre felice nella scelta
dogli autori , avviengli sovente di preferire una spiegazione
puerile ad altra ragionevole, un'evidente favola alla pretta
verità. Pronto a copiare così Ctesia come Aristotele , non
sognasi tampoco d'attribuire un senso simbolico agli animali
che quel primo si figurò di scorgere nei ieroglifi di Persepoli.
543
Racimola tutto (jnanto gli cade sotto mano , e spaccia come
assiomi incontrastabili paradossi di che da oltre mi secolo
i dotti d'Alessandria dimostrarono l'assurdità, siccome però
molte fiate non ha egli visto ciò che descrive, altera il senso
pensando di non modificare che la frase , e diventa oscuro
ed inesatto , inconveniente che spesseggia quando traduce
dal greco e cita misui'e , e nomi di spezie. Le nomenclature
non solo sono in Plinio difettive ed arbitrarie , ma le
descrizioni e indicazioni che ci dà degli oggetti sono presso
che sempre insufficienti a farceli riconoscere ; a meno che
la tradizione , o il nome conservato non ci illumini, A
crescere confusione sovrabbondano le ripetizioni specialmente
nella geografia; v'è un nome che torna per fino sei volte
con ortografia cambiata ; pare che l'Autore non siasi accorto
dell'identità d'una stessa appellazione stiracchiata e torturata
in fogge diverse da varii dialetti , e da fi^m^e grammaticali.
Le contraddizioni ad ultimo formicolano per cagione delle
citazioni che Plinio fa di scrittori che trattano d'uno stesso
argomento con idee discordanti.
Le quali pecche avvertite, qual giudizio converrà defi-
nitivamente portare della compilazione di Plinio?
In quanto a' fatti scientifici , essa non può tornare che
di scarso giovamento ai moderni ; la storia però delle belle
arti vi è assai bene delineata , e con bel garbo sono in-
dicate le origini , l'epoche, i progressi, i capolavori di queste
ad erudirti de' progressi materiali che la civiltà aveva fatto
nel mondo Romano, niun a guida può fornire maggior copia
di minute infox^mazioni dell' enciclopedista antico ; il suo
libro ti può tenere luogo d'una biblioteca greco-latina. Plinio
accenna egli stesso nella dedicatoria a Tito Vespasiano qual
maniera d'utilità procacciar debba il suo lavoro, e ragiona
intorno a ciò con modestia non comune a Romani scrittori.
« Racchiudemmo in trentasei volumi ventimila fatti notevoli
somministratici da cento scelti autori in duemila opere
544
a pochi studiosi noti per l'oscurità della materia. Aggiun-
gemmo assai cose dagli antichi ignorate , trovati di suc-
cessivo raffinamento. I volumi che io ti dedico sono frutto
d'una volgare fatica , avvegnaché fosse in me anche un
elevato ingegno , in cambio di mediocrissimo qual è , non
trovano posto in essi , ne ragionamenti animati , ne dia-
loghi , né orazioni , né r-acconti di meravigliose avventure ,
né svariati episodi, né altre piacevolezze deniegate tutte a
sì arida materia. Io imprendo a descrivere la natura (che
è come dire tutto quanto esiste) anco nelle sue parti meno
nobili con vocaboli agresti , esotici, persino barbari , e tali
da non potersi metter fuori senza apologia ; oltreché la via
che percorro non è attraente , o frequentata. Niuno dei
nostri si é accinto a trattare questo tema; niuno de'Greci:
in fatto di studi la moltitudine corre al piacevole ; ciò che
altri sottilmente lasciò scritto giace velato da tenebre, o
dimenticato : convienmi sfiorare l' universalità delle cogni-
zioni dai Greci detta EyxvxkoTtav^eca. (encicolopedia) facendo
tesoro di fatti gli uni ignorati , incerti , gli altri promul-
gati, e noti a sazietà. Arduo alle cose vecchie è imporre
vesta di novità , alle nuove dar autorevolezza , freschezza
infondere alle sbiadate , fede alle dubbie , a tutte rivendi-
care la propria natura , restituire il fatto suo. Anche se va
fallito l'intento, bello é aver tentato sì magnifica impresa. »
Plinio dovette fare innamorati i contemporanei della bel-
lezza, talora severa, talora declamatoria e pittoresca del
suo stile. « La terra ( scriv'egli ) è solo tra gli elementi
» a cui ci piacque dare in premio de' suoi benefizi , un
» nome, un'appellazione che richiama l'imponente, e sagro
» pensiero della maternità. Ella è regno dell'uomo, a quel
» modo che l'aria è imperio di Dio; ricevelo nascente ,
n nutrelo infante , né v' ha giorno in cui cessi di tutelarlo
» e sorreggerlo , sino al dì nel qual dischiudendogli il
» grembo , quando tutta natura ripudialo , madre allora
545
» più che dianzi covre e fa sacre le mortali sue spoglie r
» né basta ,• anco morto ella ne conserva gli avelli , e le
» sculte memorie , e fa durare il di lui nome oltre i rl-
» stretti confini della vita. Ultima divinità dalla nostra col-
» lera invocata , la invochiamo greve alle reliquie dei ne-
» mici , dimentichi che ella non isdegnasi mai contro il
» uomo. L' acque si elevano a cadere in temporalesche
» pioggle, s'indiu'ano in grandine , gonfiansi in marosi ,
» precipitansi in torrenti ; l'aria si condensa in nugoli , e
» si scatena in procelle, ma là terra è benefica, mite, in-
» dulgente , premurosa mai sempre di giovare ai mortali.
» Quai tributi noi non gli strappiamo ! quai doni non ci
» offre spontanea ! quai colori , cpiai sapori , quai delizie
» del tatto e dell'odorato ! Quant'è fida a restituire molti-
» plicato il fidatole deposito ! Quanti esseri nutrica per noi ;
» se alimenta animali velenosi , l'aria che loro dà vita ac-
» cagioniamone. Costretto a riceverne il germe , ad ali-
» mentarlo sbucciato, la terra seppe diffondere ad antidoto
» le salutifere erbe , madre di benefizi all' uomo infatica-
)) bile , gli stessi veleni forse sono un presente della sua
» bontà.. .. (Lib. I.). »
Benché l'abbondanza ciceroniana avesse cessato di pia-
cere , e Seneca avesse posto in onore una nuova maniera
di stile , chi mai caldo ammiratore di M. Tullio , più di
Plinio? — « Potrei io senza delitto tacere il tuo nome o
Cicerone ? Cosa celebrerò io in te , siccome titolo distin-
tivo della tua gloria ? Basti ricordare il lusinghiero omaggio
che un popolo intiero, un popolo quai era il Romano ,
tributò al tuo genio sublime ; e scegliere ne' fasti d' una
vita sì bella le azioni sole che segnalarono il tuo conso-
lato. Parli ? e le tribù rinunziano alla legge agraria che pur
assicuravate dai più imperiosi bisogni della vita. Consigli?
esse perdonano a Roscio autore della legge che prescrivendo
seggi distinti nell'anfiteatro, e nel cii-co, introducea distin-
546
zioni ingiuriose alla moltitudine : invochi la giustizia ed il
diritto ? I figli de' proscritti condannansi volontarii a non
potere aspirare alle magistrature ! Catilina colpito dalle tue
ifolgori fugge ; Marc' Antonio è proscritto : abbiti il mio omag-
gio , o tu che primo fosti acclamato padre della patria !
o tu che meritasti di trionfare senza avere deposta la toga,
e conseguisti gli allori della vittoria colle sole armi della
parola ! o tu della eloqoenza , e delle latine lettere, padre !
o tu finalmente che per adoperare le parole di Cesare
conseguisti il migliore de' trionfi; conciossiachè è più glo-
ria avere ampliato a Romani i confini del genio che quelli
dell'impero !. . . . »
Plinio come tutti i grandi scrittori ebbesi uno stile suo
proprio , e senza calcare l'orme de' novatori si discostò
dagli antichi esempi. Una lingua intermedia tra quella del
secolo d'oro ed il seguente , pare nata e creata sotto quel
suo stilo, che rapido segna sulle cerate tavolette annota-
zioni e memorie : dizioni espressive aggruppanvisi , dan-
novisi reciprocamente risalto ; procede , conciso, robusto ,
d'elissi in elissi ; vibrati sonvi i vocaboli , plastica , per così
dire , la frase. Eppure chi se lo penserebbe ? in pagine si
animate manca il sentimento , manca il cuore. Plinio tiene
in basso conto 1' uomo , la vita , le magistrature elevate ,
le idee dell'universalità , dell'infinito , le generalità in una
parola che scaturiscono dall'assidua contemplazione della
natura hanno favorito in lui lo sviluppo di una tendenza
ingenita alla misantropia , al sarcasmo , e si fa egli bandi-
tore ( sul principiare del lib. II ) d'uno scoraggiante pan-
teismo scaturigine anch'esso d'apatica tristezza ; a malgrado
della qual tinta d'ateismo ( che dichiarar Dio tutte cose ,
è non riconoscerlo in ninna ) Plinio , amatore sincero della
virtù , maledice con generoso sdegno la crudeltà , la bas-
sezza ed il lusso, triplice scoglio contro cui pressente, che
s'infrangeranno in breve la civiltà , l'onnipotenza Romana —
Tullio Dandolo.
547
KOTBSIE
SOPRA ALCUNE MONETE BATTUTE IN PIEMONTE
BAI CONTI DI PROVENZA
coll' ihdicazionb di cka sbrie di doccmekti dei secoii XIII e XIV
ATTEKCNTI LI DOMIKII DEGLI STESSI COSTI IN QUELLA. COhTKADA.
Durante il regno dei Longobardi il Piemonte, per
quanto pare, non era diviso che in due sole province,
quella d^Asti, cioè, e quella di Torino, governate con
grandi poteri ciascuna da un duca sottoposto alla regia
autorità.
Il regno dei Longobardi fu barbaro ed aspro nei suoi
principii ; ma quando , per le intestine discordie , per
difetto di buoni ordini di governo, per l'invidia ed am-
bizione altrui , venne ad estinguersi , altro più non rite-
neva veramente di barbaro che il nome; ed all'Italia,
riunita in una sola nazione, prometteva un vicino risor-
gimento, un avvenire nuovamente glorioso.
Al suo cadere , variata per opera dei Franchi ogni ci-,
vile instituzione , introdotti ovvero moltiplicati i feudi,
divenute a poco a poco ereditarie le dignità, il Piemonte,
come il rimanente di questa bella nostra penisola, ri-
tornato barbaro un'altra volta , si trovò diviso in un
numero grandissimo di piccole signorie governate da ve-
scovi , marchesi , conti , abati ecc. Ogni vetta vedevasi
allora coronata da una torre, ogni villaggio signoreggiato.
S48
assai più che protetto , da una rocca. Non vi era più
chi fosse bastante a resìstere ai Saraceni, ì quali, stabi-
liti sulle coste del mar ligustico, scorrevano liberamente
per tutto , derubando , distruggendo ogni cosa. I popoli
inermi, sbigottiti cercavano rifugio tra i monti ^ ed in-
tanto le città rese deserte cadevano in ruina.
Se una condizione di cose tanto funesta non fu di
lunga durata ne siamo debitori al braccio potente, alle
leggi piene di saviezza del grande Ottone, il quale, ri-
stabilita fra noi l'autorità imperiale, cacciati i Saraceni ,
umiliati e ridotti al dovere i piccoli tiranni, proteggendo
il reggimento municipale, favorì mirabilmente la libertà
dei comuni, e la restaurazione dltalia. Ma gl'Italiani,
già divenuti poco meno che stranieri gli uni agli altri ,
sempre fra loro discordi, rimasero divisi per non riu-
nirsi forse mai più.
In queste nostre contrade , sul cominciare del duode-
cimo secolo, il numero dei minori stati , dei piccoli si-
gnori era già assai diminuito. Il Monferrato non rico-
nosceva ormai più altro sovrano che i marchesi discen-
denti da Aleramo. Nelle Langhe, ed in qualche contrada
situata ai piedi delle Alpi Cozie, dominava il solo mar-
chese Bonifazio figlio di Tete. In alcune principali città
prevaleva bensì ancora l'autorità dei vescovi , ma tem-
perata non poco da quella dei consoli , o di altri magi-
strati municipali. I conti della Moriana , divenuti per
diritto di successione signori del marchesato di Susa, ap-
pena allora cominciavano a varcare i confini che aveva
al di qua delle Alpi quell'antica marca del regno di
Borgogna.
Nell'alto Piemonte, cioè nelle ubertose province poste
verso mezzogiorno fra il Tanaro e le Alpi Cozie , nel
corso del decimo secolo, rese quasi deserte, per le con-
tinue mal contrastate scorrerie dei Saraceni , le genti.
549
che fuggendo avevano cercato salvezza fra i |monli, ab-
bandonati colà nelle proprie rocche i loro signori , scen-
devano a rialzare le antiche città, a fabbricarne delle
nuove.
Fu allora , cioè nel corso del medesimo secolo duo-
decimo , che si videro sorgere e crescere rapidamente
le città di Cuneo , Mondovi, Fossano , Savigliano ^ Bene,
Cherasco ecc., le quali, non volendo riconoscere altra
sovranità che quella dell'impero, prendevano a reggersi
colle proprie leggi a guisa di liberi comuni. Ma troppo
deboli ancora , benché spesso collegate fra loro sotto il
vesillo di parte guelfa , onde opporsi efficacemente alle
pretese degli antichi baroni , all'oro degli Astigiani , alla
cupidigia degli altri ghibellini , dovettero rivolgersi agli
stranieri onde averne protezione e soccorso.
Ne questi potevano essere altri che i conti della Pro-
venza , i quali non solamente toccavano i loro confini
come padroni della contea di Nizza, ma investiti, come
scrive taluno, delle due valli del Gesso e della Stura,
già tenevano un piede in Piemonte, nelle stesse loro
contrade.
Era salita in grande altezza , a que' giorni , la potenza
dei Provenzali , poiché Carlo I di Francia alle contee
di Provenza e di Forcalchieri , che gli recava in dote
Beatrice, figlia ed erede dell' ultimo conte della prima
dinastia , Raimondo Berengario IV , riuniva gli aviti do-
minii dell'Anjou e del Maine.
Il comune di Cuneo fu il primo a ricorrere a Carlo,
ad aprirgli le sue porte nel 125^ ; e ben presto dovet-
tero fare lo stesso anche Alba, Savigliano, Mondovi,
Fossano, Cherasco, Demonte, Busca, Cen tallo ed altre
terre ancora. Ma, come suol sempre intervenire quando
il debole s'accosta al potente, non andò guari che la
protezione si rivolse in signoria. Cuneo il primo dovette
550
venire a patti con Carlo, e giurargli fedeltà nel 1369;
ed al suo esempio dovettero gli uni dopo gli altri uni-
formarsi anche gli altri comuni anzidetti. Così ebbe
principio la sovranità degli Angioini conti di Provenza in
Piemonte; la quale vi si mantenne con varie vicende per
più d'un secolo, cioè fino al 13^3, od in quel torno.
Quando l'ambizioso Carlo I passò ad occupare il trono
delle due Sicilie, il governo del Piemonte venne affidato
ad uno dei primi uffiziali della corte, al Siniscalco di
Provenza , il quale in Cuneo stesso aveva per solito sua
stanza. Carlo intanto dava a questi suoi nuovi dominii
il titolo di contea. Né di ciò contento il buon Carlo II,
suo successore, non solamente volle che questo titolo
apparisse sui propri diplomi, e nelle publiche scritture,
ma che, per maggior solennità, si stampasse ancóra sulle
monete.
A questo fine ordinò, nel iSo^, che si aprisse una
sua zecca in Piemonte , nella città di Cuneo , per quanto
pare , perchè quivi era il regio palazzo , quivi dimorava ,
come si è detto, il luogotenente del sovrano, quivi in
somma la signoria degli Angioini su queste contrade aveva
avuti i suoi principii ; e quivi ancora poteva quel prin-
cipe far uso a buon diritto di quella sua prerogativa,
perchè non v'era a que' dì chi fosse di lui più potente
in Piemonte.
Nessuno finora, per quanto mi è noto, ha fatto men-
zione di quella zecca. Che sia stata però è chiaramente
dimostrato e per 1' atto publico in virtù del quale ebbe
quella principio, e per le monete stesse che in essa fu-
rono coniate.
Io ho veduto quest'atto o publica scrittura in una per-
gamena originale ed autentica, la quale, colla data del
3i di marzo iSo^, si conserva nell'archivio che fu già
dei conti di Provenza, il quale, dopo esser rimasto per
551
vari secoli in Aix , presso quella R. Camera de' conti, fa
parte ora dell'archivio generale del dipartimento delle
Bocche del Rodano in Marsiglia. Essendomi quivi stato
permesso di trarne copia, senza troppo dilungarmi a
darlo per intiero , ne produrrò solo quel tanto che potrà
maggiormente dar luce al mio argomento. Eccolo.
« -^ In nomine Domini Amen. Infrascripta pacta et
» conventiones habita ethabite, tractata et tractate, fir-
» mata et firmate sunt inler egregium virum dominum
I) Raynaldura de Lecto , militem regium , magistrum
» ostiarum, ac Pedemontis Senescallum, vice et nomine
)) serenissimi domini domini Karoli secundi Dei gratia
» illustris Jerusalem et Sicilie regis , ex una parte, et
») Thomam Ribam, Ardicionem Merllum de Cuneo , et
» Reccardinum de Summarìpa, eorura propriis nomini-
» bus , et vice et nomine sociorura suorum ad infra-
» scripta facienda , et ad efFectum ducenda, ex alia. In
)) primis enim , actum inter dictas partes, et pacto ex-
» presso extitit stabilitum quod predicti Thomas , Ar-
» dicio et Recardinus , eorum propriis , et quibus supra
» nominibus , faciant et operentur, et facere teneantur
» seu fieri facere monetara unam grossam de argento ,
» que sit et esse debeat boni, puri et legalis argenti,
» et insti ponderis et iuste ac bone legalitatis seu lie;
» et eque boni et insti ponderis et legalitatis seu lie,
j) sicut est illa moneta grossa dive memorie domini
» Lodoyci regis Francorum ; que moneta valeat, et va-
» lere debeat solidos duos et dimidium astenses. Ita
» videlicet sicut valet predicta moneta que fieri fecit
» predictus dive memorie dominus Lodoycus rex. Et
» quod faciant et operentur, seu facere fieri teneantur
n unam aliam monetam que valeat et valere debeat, ad
)) cursum diete monete grosse, denarios sex astenses mi-
)) nutos j ita videlicet sicut valebit ad cursum suum
552
» predicta moneta grossa solidos duos et denarios sex
» astenses, que moneta sit et esse debeat in suo esse
n eque bone legalitatìs seu lie , sicut est seu erit pre-
» dieta moneta grossa prò predicto suo pretio in suo
» esse. Diminuto tamen et extracto de predicta moneta
» minori eo quod pluris constaret in ea facienda et
» operanda quam predicta moneta grossa.
» Et quod faciant et operentur, et facere fiant, vel
» operar! teneanturquamdam aliam monetam minutam,
» cuius monete minute viginti valeant unum denarium
» grossum de illa moneta grossa superius nominata. Ita
» videlicet in suo esse et insta legalitate seu lie sicut
» est , seu valet in suo esse predicta moneta grossa. Di-
» minuto tamen et extracto de dieta moneta minuta eo
» quod pluris constaret, seu constabit ipsa moneta mi-
» nuta quam predicta moneta grossa.
» Item actum inter predictas partes, et pacto expresso
» firmatum extitit quod predicti Thomas , Arditio et
» Reccardinus, eorum et quibus supra nominibus, non
» possint, nec debeant ullo modo de predicta moneta,
» sive de predictis monetis aliquid expendere , vel alio
» modo ad aliquem locum transferre aliquam decam ,
» nisi prius dieta moneta, seu diete monete cognita sive
» cognite fuerint, et approbata et approbate per custo-
» dem seu cognitorem vel approbatorem supra dictam
)) monetam , ad hoc per dictwm dominum seu specia-
» liter vel generaliter ordinatum , vel per alium loco
» predicti cognitoris ad predicta specialiter constitutum
» vel substitutum.
Segue V enumerazione degli obblighi, pesi e condizioni
che, a qué' tempi j in somiglianti locazioni era uso di
imporre ai conduttori delle zecche. Di poi il contratto
così finisce :
» Actum Cunei in domo domini Johannis Rodulfi in-
555
)) risperiti, anno domini millesimo trecentesimo septimo,
}) die ultimo martii, quinte indictionis. Regnante sere-
» nissimo principe domino Karolo secundo Dei gratia
» illustri Jerusalera et Sicilie rege, Provincie , Forcal-
» cherii ac Pedemontis comite. Regnorum eius anno vi-
» gesirao tertio. Feliciter. Amen.
» In presentia et testimonio domini Gabrielis Salvaf^ii
» de Janua vicarii, domini UfFredutii de Perusio iudicis
» et magistri Frami. Ruffi clavarii Cunei ^ domini Jolian-
» nis Rodulfi predicti, notarii Malhei Priori de Vinli-
» milio , et domini Rostagni de Majrono regio Pede-
» montis procuratore, testium ad hoc specialiler voca-
)) torum et rogatorum.
)► Et ego Nicolaus de Rocca Cnsalis puhilcus aucto-
)) ritate regia comitatus Pedemontis nolarius hoc instru-
» mentum iussus et requisitus scripsi , puhlicavi et meo
» signo signavi.
Ora, come è chiaro, in vigore dell'esposta convenzione,
gli appaltatori di quella zecca, la quale, senza duhhio,
doveva essere in Cuneo , erano tenuti a fabbricare due
maniere di moneta; una grossa, che è quanto dire di
fine argento, conforme a quella che era già stata battuta
in Francia dal re san Lodovico, restauratore della mo-
neta in quel regno; l'altra di bassa lega.
Oltre a ciò quella moneta grossa doveva essere di
due qualità. Una di tanto peso che ciascun suo denaro
pareggiasse il valore corrente di due soldi e mezzo di
denari minuti astigiani. L'altra, di peso e bontà assai
minore , non dovea valere che una quinta parte del
denaro grosso suddetto , cioè non più di sei denari
minuti della stessa zecca di Asti.
La lira ed il soldo erano in que' tempi monete pura-
mente ideali , ossia di conto; le sole monete reali che
erano in corso in questi paesi erano i fiorini d'oro, ed
34
554
il denaro d'argento con tutte le sue frazioni di vario peso
e di varia lega , distinto esso denaro con cento nomi
diversi secondo le varie province. L'elemento priqnodi ogni
somma, e di ogni conteggio era il denaro piccolo ossia
minuto , quindi frequentissime s' incontrano nelle scrit-
ture di que' giorni le partite di lire di piccioli , di soldi
di piccioli ecc.
La moneta minuta poi, che que* conduttori dovevano
battere, dovea essere fatta di peso così tenue, di lega così
bassa, che il suo valore dovea stare al valore del denaro
grosso nella proporzione di uno a venti. Proporzione che,
due secoli dopo , quando , mutato universalmente il si-
stema monetale, al fiorino di conto, ed al denaro fu
sostituita la lira, continuò a sussistere fra la lira medesima
ed il soldo , come sussiste anch'oggi in moltissimi luoghi.
In tal guisa , .con ottimo consiglio , si veniva a pre-
scrivere che la moneta da fabbricarsi non fosse inferiore
nella bontà del suo titolo a quella che era, a que' dì,
in maggiore estimazione , cioè al grosso tornese del re
san Lodovico; e che in quanto al suo valore non do-
vesse discostarsi da quello della moneta , che era allora
e più frequente, e più ricercata nel rimanente del Pie-
monte , cioè l'Astigiana.
L'intelligenza di tutti questi particolari , nella maniera
in cui per solito sono esposti nelle pergamene di quei
secoli, non è veramente senza qualche difficoltà per chi
jion ha fatti molti studi;, ed accurate ricerche intorno
al valsente della pecunia, e delle altre cose in quella età.
Io potrei forse gettare qualche luce su questo spinoso
argomento, ma noi consente la brevità di questo scritto.
Dirò solo che, per un documento del iSaS publi-
pato dai eh. Muletti nella loro Storia diplomatica del
^Marchesato di Saluzzo , II i4o, si viene a sapere come
Ja lira degli Astigiani , corrente in Piemonte in quegli
555
anni , si pareggiava nel valore all'ottava parte di unn
marca di otto once di fine argento ; che è quanto dire
alla quantità delTargento contenuto in una moderna pia-
stra di Spagna dalle colonne, od a poco meno.
Quindi due soldi e mezzo di piccioli astigiani, ottava
parte della lira , dovevano corrispondere all'ottava parte
della piastra suddetta , cioè a cinquantadue grani circi
di fine argento. E sarà questo appunto il valore del lot
equivalente , cioè il denaro grosso che dovea battersi
nella nuova officina dei conti di Provenza in Cuneo.
Valore a que' tempi assai più elevato nel comune com-
mercio che non è di presente , perchè allora il pregio
in cui erano tenuti i metalli nobili a fronte del valore
della fatica dell' uomo , e delle cose più necessarie alla
sua esistenza , era assai maggiore che non fu poi nelle
età susseguenti.
I patti consentiti nel mentovato istruraento, dell'ulti-
mo di marzo i3o7, ebbero senza fallo il loro effetto, pe-
rocché rimangono tuttora monete d'argento del peso ap-
punto , e della bontà prescritta in quella convenzione ,
sulle quali il re Carlo II, non mostrandosi fregiato di
altro titolo se non di quello di conte del Piemonte, è
da credere che in questi suoi dominii subalpini, e
non altrove , sieno state quelle fabbricate ; né diver-
samente egli soleva adoperare nelle altre sue zecche.
Di fatto sulle monete battute da lui in Provenza , tra-
lasciate tutte le altre sue qualificazioni d'onore, non
volle essere distinto se non con quella di conte di quella
contrada : COMES PROVINCIE. Parimente su quelle che in
suo nome si stampavano allora nel regno delle due
Sicilie , sulle quali , ommesse le altre sue minori di-
gnità, fu contento della regale: JERUSALEM. ET. SICILIE. REX.
Dopo di ciò potremo noi dubitare che non apparten-
gano al solo Piemonte quelle sulle quali è detto sola-
mente : COMES PEDEMONTIS ?
556
Le mentovate monete non sono veramente del peso
che, come si è notato, dovea avere il denaro grosso
che era da stamparsi in Cuneo : ma pesano precisa-
mente quanto la sua metà. Convien dire perciò che, per
quanto non se ne faccia parola nella divisata scrittura
di locazione, sia stato conlato in quella officina non il
solo denaro grosso, ma, forse in maggior copia, anche
il mezzo denaro, come si praticava appunto nelle altre
zecche degli Angioini.
Altri grossi e mezzi grossi dello stesso peso , e presso
a poco della medesima bontà si coniavano pure a que'
giorni in Asti colla leggenda : Conradus II rex ) ( Asten-
sisj altri ne furono battuti poco dopo in Torino, im-
prontati del nome del loro autore: Philippus Princeps )(
de Sabaudia; ed altri finalmente se ne fabbricavano
nelle diverse zecche de' conti di Savoia, tanto di qua
come di là delle Alpi ; tutti fatti in conformità dei grossi
tornesi di Francia. Così il Piemonte , sul cominciare del
secolo decimoquarto, godeva già dell'insigne vantaggio
di avere una moneta uniforme ed eccellente; la quale
non sarebbe certamente venuta meno così tosto, se nei
due secoli susseguenti, quivi, come per tutto altrove,
ogni libero comune, ogni piccolo barone, ogni prelato
non avesse voluto avere una propria zecca, dove le buone
monete altrui si contraifacevano , si adulteravano impu-
nemente.
Io posseggo due di que' mezzi grossi battuti in Cuneo
simili fra loro. Non sono però frequenti anche fra di
noi tali monete , come generalmente non Io sono tutte
quelle di buona lega che verso quel tempo furono bat-
tute nei diversi stati o città del Piemonte, quelle sole
d'Asti eccettuate. Ne di ciò è da far meraviglia , per-
chè, siccome quelle che erano di finissimo argento , non
conosciute peranco , non curate, non ricercate, tutte
rru.'ic» '1'^''""ttero nassarc nel crof^iuolo.
557
Per tutto altrove poi sono rarissime ; nel lungo corso
del viver mio , e nelle mie frequenti peregrinazioni non
più che cinque soli esemplari di quelle monete mi è ve-
nuto fatto di vedere, e questi pure erano metà del de-
naro, nulla o ben poco differenti 1' uno dall' altro, E
vuoisi notare che tutte le ho vedute in Italia.
In Francia somiglianti monete sono finora intieramente
sconosciute. Nessuno di que' scrittori ne ha fatta men-
zione j ed io stesso le ho cercate invano nei primari
musei di Parigi, di Lione e della Provenza. Nuovo ar-
gomento per dover credere che non sono opera di quelle
officine.
Tengo presso di me l'impronta di quelle che ho os-
servate, e le puhlicherò quando che sia con altre che
già tengo in pronto attenenti pure al Piemonte : ecco in-
tanto la descrizione di quella fra quelle tre cIir era la me-
glio conservata. = Mezzo denaro grosso gigliato d' ar-
gento, alla bontà di denari undici e mezzo circa j del peso
di grani torinesi , o vogliam dire parigini del marco,
ventuno, ma, essendo la moneta non del tutto ben con-
servata , ne dovea forse pesare da ventitre o ventiquat-
tro, quando tutta nuova usciva di zecca. Sulla sua faccia
diritta , nel campo, è una croce semplice senza orna-
menti, intorno alla quale sta scritto: 4* K.AROLUS. SCL. rex.
Sulla parte rovescia poi il campo è occupato dallo stem-
ma dei duchi d'Anjou portante tre gigli d'oro in campo
azzurro, sotto un lambello a tre pendenti, colla leggenda
attorno: 4* COMES PEDMONTIS ^ scritta in caratteri detti
semigotici propri appunto di quella età.
Se poi , dopo la morte di Carlo II, nel iSoq, regnando
Roberto suo figlio e successore, la nuova zecca dei conti
di Provenza in Piemonte abbia continuato a lavorare,
non ne siamo finora fatti sicuri per alcuna moneta o
documento. Non pare però che se ne possa dubitare ; in
558
primo luogo perchè, essendo stata quella officina aflìdata
a Tommaso Riha e compagni nel 1807 , la locazione non
poteva ancora essere giunta al suo termine due anni dopo,
quando cessava di vivere il suo fondatore. Abbiamo in
secondo luogo una moneta dello stesso re Roberto sulla
quale egli pure, ad imitazione del padre, tralasciati gli
altri suoi titoli consueti di Provenza e di Forcalchieri ,
assume quello soltanto di conte del Piemonte.
Il primo a dare un cenno di questa moneta è stato
il Bouche nella sua Storia cronologica della Provenza,
II. 357. La diede poi in disegno il sig. Fauris de Saint
Vincent 3 e nuovamente dopo di lui il Duby nei sup-
plimenti all'insigne sua opera sulle monete dei baroni di
Francia, II. 2 11. Eccola quale si vede da lui rappresen-
tata. Sulla parte diritta, nell'area, il re, sedente sopra
un trono retto da due leoni , stringe nella destra uno
scettro gigliato, ed ha nella sinistra il globo crucigero,
intorno si legge : >fy ROBERTUS. JERUSALEM. ET. SICILIE. REX.
Sul rovescio è nel campo una croce fiorita (fleuronnèe),
accostata negli angoli da quattro fiordalisi , non diversa
da quella che si vede nella maggior parte delle monete
battute da quel principe j ed intorno si legge: *j* COMES
PEDEMOKTIS.
Pare che il Duby abbia avuta la moneta stessa nelle
mani, perocché dopo averla descritta soggiunge: cette
pièce est un demi Ijs , cioè un carlino gigliato d'argento
di Napoli , yà^Ti^wee pour le Piémont en i33o^ du
poids de vingt grains _, et au tnénie iitre que les carlins",
vale a dire alla bontà di undici denari , e grani quattro
o cinque al più.
Ora essendo questa la sola moneta che sia stata fi-
nora conosciuta in Francia _, sulla quale si veda il sag-
gio re Roberto intitolarsi conte del Piemonte, non può
quella essere argomento sufiiciente per dire che sia stala
coniata piuttosto colà che al di qua delle Alpi.
559
La potenza dei Provenzali in Piemonte , la quale ,
regnando ancora Roberto, già aveva incominciato a de-
clinare, precipitò, e si spense poi intieramente poco
dopo la metà di quel secolo , ai tempi della regina Gio-
vanna sua figlia. Non si sono vedute finora monete di
questa principessa, le quali si possa credere essere state
coniate in queste contrade subalpine. Di troppi altri affari
e più rilevanti e diversi ebbe ad occuparsi questa infelice
principessa, durante il suo regno burrascoso sempre ed
inquieto.
Né il mentovato contratto del 1807 intorno alla mo=
neta è il solo documento spettante al Piemonte, che si
sia conservato negli archivi degli antichi conti della Pro-
venza. Altri ben molti ve n' hanno , tutti più o meno
importanti e preziosi per la storia, tutti degni per ogni
rispetto di essere conosciuti. Tanta luce essi tramandano
sulla condizione politica, e sulle vicende di questi paesi,
nei due secoli decimoterzo e decìmoquarto ^ che è me-
ravìglia come, essendo già stati quegli archivi, dal 1761
a questa parte, per ben quattro volte visitati da uomini
eruditi , cultori delle cose patrie , non vi sia mai stato
finora , non dirò chi li abbia publicati , ma chi ne ab-
bia pur dato un cenno qualunque.
Col consenso, e coli' assistenza del eh. sig. P. Ricard,
dotto e cortesissimo prefetto dell'archivio di Marsiglia ,
dove quelle carte ora si custodiscono , io le ho poco fa
in gran parte esaminate, traendone quelle notizie che
potevano coadiuvare in qualche modo ai miei studi ge-
niali. Mi applicai pure a stenderne un indice ; e per
giovare in qualche modo anche ad altri , come appen-
dice lo unirò a questo scritto j per quanto la giunta riu-
scir possa maggiore della derrata , colla fiducia che ,
quando l' esistenza ed il pregio di que' documenti ver-
ranno ad essere conosciuti , non mancherà , fra questi
560
nostri benemeriti promotori della storia patria , chi ,
avendo agio, mezzi e zelo maggiore che io non ho,
vorrà accingersi al non lieve, non facile manuale lavoro
di pigliarne copia, e publicarli.
Ne tema questi di dover incappare in alcuna di quelle
scritture, le quali, immaginate da non so quale falsa-
rio , or saranno sessant'anni , per dar sembianza di ve-
rità alla supposta discendenza aleramica del marchese
Bonifazio figlio di Tete , furono accolte senza esame, e
come genuine fatte publiche in più d" un libro dai no-
stri scrittori , siccome quelle che si dicevano ricavate
dagli originali che erano negli archivi camerali d'Aix in
Provenza.
Ma è verità che carte sì fatte non sono, e non sono
state mai in quegli archivi. Questa cosa io asseriva sem-
plicemente, senza addurne prova, in un ragionamunto
che ha per titolo: Delfinstituzìone delle zecche già pos-
sedute dal marchesi di Saluzzo in Piemonte , stampato,
ora è un anno, negli atti della R. Accademia di Lucca.
Oggi però per soddisfare anche a coloro cui non piacesse
onorare di un'intiera confidenza quelle mie parole, poi-
ché l'occasione mi si presenta favorevole , comunicherò
loro e le domande che, per accertarmi di un tal fatto,
io porgeva, fin dal i834 , al prelodato archivista sig.
Ricard, e le risposte che dalla sua gentilezza io ne ot-
teneva. Io a lui domandava se fra gli antichi docu-
menti del suo archivio, i quali facevano parte altre volte
dell'archivio della Regia Camera in Aix , nell' armadio
Piemonte j fosse: i." un manuscritto intitolato: Acta
capitularia monasterii Sancti Dalmatii de Pedona.
•2.P Una promessa di matrimonio fra il marchese Tete
figlio di Anselmo marchese della Liguria e Teodolinda
sorella del re d'Ungheria. Actum apud Tlhiscum anno
Mxxji , ind. xiii , die 24 Jebruarj,
561
3." Atto della fondazione del monastero del Wasto in
Liguria fatta dallo stesso marchese. Dell'anno mxxvii ,
y di maggio.
4.° Istruraento di donazione fatta dal medesimo mar-
chese Tete ai monaci di Monbasilio. Actum in carni'
nata castri Ceve, anno Dom. incar. mliXj ind. xii , die
penultima mensis mady.
Io gli chiedeva finalmente se trovandosi in quell'ar-
chivio i mentovati documenti , presentassero questi i
caratteri di una originale sincerità.
Ed ecco le stesse parole colle quali il cortese sig. Ri-
card avea la compiacenza di soddisfare alle mie in-
chieste, il dì 5 aprile del i834.
Au regu de votre lettre du premier de ce mois j'ai
recherché dans nos archives le cartulaire des actes ca-
pitulaires du Monastèro de S. Dalmas; ce registro n'e-
xiste pas , et aucun ancien inventaire n'annonce qu'il
y ait existé.
Les actes que vous m^indiquez n'existent pas non plus
parrai les titres de la chambre des comptes. Armoire Q,
case Piémont. Vous trouverez ci-après la nomenclature
de ceux qui s'y trouvent , et qui sont relatifs au mona-
stèro de S. Dalmas du Boug. Aucun de ces titres ne re-
monte aux e'poques désigne'es dans votre lettre.
En i-jGi on remit aux commissaires du Roi de Sar-
daigne divers titres relatifs à des pays qui lui avaient
eté cédes par la Franco j l'inventaire de cette remisene
fait nuUement raention des trois titres que vous me
demandez. Dernierement lorsque M. M. Cibrario et Pro-
» mis sont venus compulser les archives ils n'ont rien
» note do relatif à S. Dalmas. »
Una copia di questa lettera , diretta all'amico che a-
veva inoltrate le dette domande in nome mio, è presso
di me. In fondo di essa, accanto al sigillo dell'archi-
562
vio , si legge : certijié conforme aiix lettrcs orìgìnales
— P. Ricard archiviste de la Préfecture.
Le carte spettanti all'accennato monastero di S. Dal-
xnazzo del Borgo, delle quali fa parola lo stesso sig.
Ricard , sono tre , e si troveranno descritte colle altre
nell'indice che segue. La più antica porta la data del
1258.
Intanto piacesse al cielo che fossero queste le sole scrit-
ture apocrife che offuscano, e deturpano tuttavia la ve-
rità dalle nostre storie; e che tutte andassero immuni
da sì fatte brutture le varie raccolte di antichi docu-
menti, che, per favorirle e servir loro di buon fon-
damento, sono stale fino al dì d'oggi fra di noi publicate.
DESCRIZIONE DELLE PERGASIEINE
Dei secoli XIII e XIV risguardanti al Piemonte ,
le quali si conservano nel publico Archivio di Marsiglia.
Ai'madio Q , casella Piemonte.
MAZZO A.
Doc. I. VII kal, iunii 1210. Privilegio di Ottone IV imp. dato
in favore della città di Alessandria in Lombardia.
2 iulii 1240. Lettere di generale perdono concesse dallo
imp. Federico II ai cittadini di Alessandria predetta.
Questi due diplomi non si trovano nel Codice dipi. ital. del Lu-
nìg; mancano pure presso il Ghilini , e presso gli altri scrittori
delle storie di Alessandria.
3. XIV sept. 1358. Atto capitolare dei monaci di S. Dalmazzo del
Borgo , col quale danno gli opportuni poteri al loro abate Tommaso,
a ciò che , recandosi egli in corte di Roma , e presso altri princi-
pi , fosse in grado di protestare contro gli attentati , ordini e sta-
563
tuti emanati dal comune di Cuneo contrari ai diritti e privikgi del
loro monastero.
Questa scrittura munita di due sigilli in cera assai mal ridotti^
poiché si trova negli archivi che furono dei conti di Provenza, di-
mostra che a (questi avea avuto ricorso l'abate Tommaso onde ot-
tenere protezione. Le carte che seguono fanno vedere qual sia stato
il successo delle sue istanze.
4- X iulii i25g. Convenzione per la quale il comune di Cuneo,
conservando gran parte delle sue libertà e privilegi, si sottomette
all'ubbidienza di Carlo I d'Anjou , conte di Provenza.
5. XXIV iulii i25g. La città di Cuneo prèsta omaggio di fedeltà
al conte suddetto.
Questi documenti, come pure tutti gli altri che vengono dopo ,
aventi relazione col comune di Cuneo, non si trovano neppur men-
tovati nelle storie di quella città scritte dal Partenio e dal Saint
Simon.
6 aug. laSg. Tommaso abate del mon. di S. Dalmazzo
di Pedona, ossia del Borgo, fa donazione al conte di Pi'ovenza di tutti
i beni e diritti che il suo monastero aveva nella città di Cuneo.
7. IX aug. I25g. Ordinato del consìglio generale della città d'Alba
in Piemonte , col quale dà potere ai suoi deputati di sottoporre la
detta città all'ubbidienza del conte di Provenza , coi patti e condi-
zioni da combinarsi.
8. XXIV aug. laSg. Procura rilasciata dai cittadini di Cberasco
ai loro deputati pei- l'effetto di cui nell'ordinato precedente.
9. VII sept. i25g. Il consiglio della città d'Alba manda al conte
Carlo I un suo ordinato contenente la promessa di confermare tutto-
ciò che sarebbe stato operato e promesso dai loro deputati.
A piedi di quest'atto sono registrati i nomi di tutti i consiglieri
che avevano sottoscritta la predetta deliberazione del IX agosto di
quest'anno medesimo. Fra que' consiglieri, che sono moltissimi, pia-
cemi accennare i seguenti : Franciscus de Braida , Ogerius de Ne-
veis , Rollandus de Somano , Jacobus Pelletta , Theobaldus de For-
xano , Jacobus de Rodello , Thomas Canaverus , Petrus de PuteOy
Ogerius Marone , Jacobus de Novello , Rollandus de Leona , Phi-
lippus Corderius , Dominicus de Raconixio , Thomas Cacheranus^
Jacobus Pautrieri etc.
10. XVIII oct. laSg. Le città d'Alba e di Cherasco di comune
accordo eleggono deputati per concertare le condizioni colle quali
si sarebbero sottoposte alla signoria del conte di Provenza.
564
M. (senza data). Privilegi concessi dallo stesso conte di Provenza
alle due città d'Alba e di Cherasco quando riconobbero la sua sof
vranità.
12. X decem. laSg, et XXII febr. 1260. Le stesse città d'Alba
e di Cherasco confermano gli accordi intesi fra il conte di Provenza
ed i loro procuratori.
i3. Ili febr. ia6o. Atto d'omaggio prestato dalla città d'Alba al
conte Carlo di Provenza.
14. VI martii 1260. Lettere colle quali sono confermate le con-
venzioni fatte già fra Carlo d'Anjou conte di Provenza , figlio di
Francia , ed il monastero di S. Dalmazzo del Borgo , intorno ai diritti
che questo aveva sopra la città di Cuneo.
i5. XXIII apr. 1260. Manuele conte di Blandra te presta omaggio
al conte Carlo di Provenza per la signoria di Santo Stefano d'Asti ,
la quale dovea essere tenuta da Manuele colle stesse condizioni colle
quali ne era già prima stato investito il comune d'Alba.
16. XV sept. 1260. Liberazione data al clavarie di Cuneo in nome
del conte di Provenza , come signore di quella città , per tutto ciò
che poteva essere stato dovuto a diverse persone quivi nominate.
17. XIII ineunte ianuario 1261. Trattato di pace fra il marchese
di Clavesana e Guglielmo Treo di Garessio.
18. XXIII ianuar. 1264. Tiattato di confederazione e d'alleanza
fra il conte Carlo di Provenza e le città lombarde di Milano , Ber-
gamo , Lodi ecc. ; nel quale trattato sono registrati i poteri dati
agli ambasciatori onde intendere simili accordi.
Questa membrana è di lezione assai diffìcile pel cattivo stato in
cui si trova ridotta.
19. XX maii 1270. Il consiglio generale del comune di Alessan-
dria nomina suoi deputati per trattare delle condizioni , colle quali
quella città dovea riconoscere la signoria del conte Carlo I di Pro-
venza , re di Sicilia. Seguono quivi i nomi di tutti i consiglieri sot-
toscritti.
20. XX maii 1270. Trattato conchiuso fra il detto re Carlo I ed
i deputati di Alessandria , dove sono enumerate le condizioni , ed
i patti reciprocamente convenuti.
Questa carta era da prima munita di otto sigilli ; ora ne rimari-
gono tre soli , anche assai mal conservati. Sopra uno di ijuesti è
rappresentato un dottore sedente in cattedra, in atto , per quanto
pare , di leggere o commentare un codice aperto avanti di lui. La
leggenda del sigillo è pure quasi al tutto perduta.
565
21. VI iunii 1270. Conrado ed Enrico de Carretto vendono a Ro-
berto de Laverio tutti i loro diritti nei luoghi , signorie e territori
di Garessio , Mursecco , ed altii villaggi colà vicini.
Questo Roberto era probabilmente padre ovvero fratello di quel
Filippo de Laveria^ il quale, come grande Siniscalco di Provenza ^
riceveva , nel 1 285 , gli omaggi delle città del Piemonte pel re Carlo
Il , quando questi , morto il padre , saliva al trono.
22. I iulii 1270. Altra vendita fatta allo stesso Roberto di un
forno situato nel luogo di Garessio.
23. Vili sept. 1270. Il marchese di Clavesana cede allo stesso
Roberto la terra e signoria di Ormea ( Ulmete) , con altri luoghi
tenuti allora dal Marchese di Ceva ; ed a lui ne dà investitura.
24. Vili octob. 1270. Il marchese di Clavesana cede al re Carlo I
i diritti che si era riservati sopra i luoghi predetti di Garessio ,
Ormea ed altri , quando li dava in feudo a Roberto de Laverio.
35. XXX sept. 1272. Roberto de Laverio investito dei diritti del
marchese di Clavesana , viene a transazione col marchese di Ceva
sulle vertenze insorte intorno al luogo di Gai'essio , ed altri ivi no-
minati.
26. VII! oct. 1273. Alcuni nobili promettono di costringere i si-
gnori d' Ormea a rimanere nella fedeltà del re Carlo , ovvero ad
abbandonare il paese.
MAZZO B.
Doc. I. XXVIII novemb. i3o5. La città d'Alba presta nuova-
mente omaggio all'autorità del re Carlo II , conte di Provenza e di
Piemonte.
2. XXXImartii 1307. Accordi firmati fi^ il siniscalco di Piemonte
Rinaldo de Lecto , in nome del re Carlo II , e Tommaso Riha da
Cuneo e compagni , acciò facciano questi moneta grossa e minuta
in nome dello stesso re , aUa bontà medesima di quella che si bat-
teva in Francia ai tempi del re san Lodovico.
3. XVI aprilis 1307. Procura spedita dal re Carlo II, conte di
Provenza, di Forcalchierl e di Piemonte, per accettare la donazione,
566
che gli era offerta da Manfredo marchese di Saluzzo , di tutti i suoi
diritti sopra il marchesato del Monferrato.
4. VI mali 1307. Donazione della signoria di Possano fatta dal
detto marchese di Saluzzo al re Carlo IL
Da questo rotolo pendevano altre volte due sigilli in piombo.
5. VI maii iSoy. Manfredo marchese di Saluzzo fa omaggio al
re Carlo II di tutte le sue ragioni sopra il marchesato del Monferrato.
6. VI madii 1307. Filippo di Savoia principe d'Acaia nomina pro-
curatori per trattare col re Carlo li, e con Roberto duca di Cala-
bria suo figlio , e ricevere da essi l'investitura della contea d'Alba
negli Abbruzzi , che gli era stata promessa.
7. XV octob. 1307. Il re Carlo II dà investitura al detto Filippo
d'Acaia della contea d'Alba or mentovata , e questi gli presta l'o-
maggio di fedeltà richiesto dalla stessa investitura.
8. XVII febr. i3og. Carlo II cede la contea di Piemonte a Ro-
berto duca di Calabria suo figlio ; questi ne prende il possesso , e
riceve il giuramento di fedeltà dal comune di Cuneo, e dalla nobiltà
del paese.
9. XX Vili iulii 1 3 IO. Trattato d'alleanza conchiuso fra il siniscalco
di Provenza Raimondo de Baux ( de Baucio ) , in nome del re Ro-
berto, ed i sindaci del comune d'Asti.
Questo Raimondo doveva essere anzi il nipote che il fratello della
bella Cecilia de Baux rimasta vedova di Amedeo IV conte di Sa-
voia nel 1253.
10. (senza data). Convenzione fra Roberto re di Sicilia, conte di
Provenza ecc. ed il comune di Alessandria , dove sono descritti i
patti coi quali il detto comvme si costituisce sotto l'ubbidienza di lui.
11. VII aug. i3i5. Accordo fra il comandante all'esercito delre
Roberto , e gli abitanti di Lucerna ( ? ) , e di altri luoghi , col quale
quegli uomini promettono riconoscere la signoria del re , tosto che
egli si sarà reso padrone di Drenerò e della sua rocca -, ed intanto
promettono pagargli cento marche d'argento.
12. XXXI iulii 1329. Filippo di Savoia principe d'Acaia riconosce
da Filippo de Valois , comandante alle armi del re Roberto in Pie-
monte , la città di Savigliano , Era ed altre terre , colle condizioni
quivi descritte. Questa pergamena è munita di sigillo in cera.
i3. XX sept. i322. Il castellano della città e castello di Busca
consegna la detta città e suo castello a Bernaido de Monfrain , in
ubbidienza agli ordini dati su tal particolare dal re Roberto il di
tre del luglio precedente.
567
i4. XV aprilis i324' Poteri dati dal re Roberto a Giovanni Ca-
bassole, giudice maggiore nella contea di Forcalchieri, onde trattare
di pace con Filippo principe d'Acaia.
Né questa carta né le precedenti , nelle quali è fatta menzione
di Filippo d'Acaia , si trovano fra i numerosi documenti coi quali
l'egregio cav. Datta ha opportunamente corredata la sua storia di
quel ramo dei conti di Savoia.
i5. Vili aug. 1824. Altri poteri dati dallo stesso re Roberto a
fine di terminare le controversie vertenti fra di lui , gli Astigiani ed
altri.
La pergamena originale è munita di sigillo in cera , sul quale il
re è rappresentato sedente in maestà, come sulle sue monete gene-
ralmente.
16. Ili martii i34o. Atto con cui il re Roberto cede a Manfredo
maixhese di Saluzzo il castello di Migliabruna colle sue dipendenze
( castrum et fortiam Moglebrune ) , affinchè lo tenesse come gover-
natore in nome del re , fino a tanto che a lui piacesse, gli fosse re-
stituito. Actum Cherii in churte Sancii Antonini.
17. XVIII martii 1342. Trattato fra Tommaso marchese di Saluzzo
e Bertrando de Baux siniscalco di Provenza , col quale il detto mar-
chese promette al re Roberto di porre in deposito fra le mani del
siniscalco medesimo la città e fortezza di Drenerò ; le quali il detto
sig. de Baux dovrebbe ricevere in suo proprio nome , e non già
nella sua qualità di siniscalco.
18. XII iulii 1342. Procura del siniscalco Bertrando de Baux ac-
ciocché si prendesse possesso in nome suo della città e fortezza di
Drenerò.
Questo documento , e tutti gli altri summentovati , nei quali si
tratta d'affari fra i marchesi di Saluzzo ed i conti di Provenza ,
mancano nella pregevole storia diplomatica del marchesato di Sa-
luzzo scritta dai chiar. sigg. Muletti. Quanto più cortese e generoso
si sarebbe dimostrato verso di loro lo Sciavo se , invece delle sue
amene favolette sulla Teodolinda , e sui marchesi della Liguria ,
avesse loro recato dagli archivi d' Aix questi veri e limpidissimi
fonti della storia.
19. XVII oct. i363. Picono Marchcsano è messo in possesso della
signoria di Roccasparvera , che a lui , ai suoi eredi e successori era
stata venduta dal siniscalco con istrumento del 26 febbraio i358.
20. V iuUi i365. Folco d'Agoult siniscalco di Provenza vende al
nobile Giorgio di Moutomalc da Cuneo tutti i beni e diritti che la
568
r^lna Giovanna aveva nella terra di Demonte e suo distretto , pel
prezzo convenuto di cinquecento fiorini d'oro.
21. XXXI iulii i365. Ordine di Folco d'Agoult predetto di pa-
gare a Giorgio di Montemale , castellano di Demonte , le somme che
egli aveva impiegate nelle fortificazioni del detto luogo.
L'originale di questa scrittura è uno di quelli che nel j-6i ju-
rono rimessi alla real corte di Sardegna.
11. X novemb. i375. Giuramento prestato da Girardino marchese
di Ceva , per sé e per gli altri marchesi suoi consorti , di custodire
e difendere il luogo e bastia di Carassone , in nome della regina
Giovanna : ma di doverglielo restituire qualora ella volesse rendere
al detto marchese mille fiorini imprestati da lui alla corte.
Oltre i documenti fin qui accennati , nello stesso armadio Q, molti
e molti altri se ne trovano ancora nei mazzi D , E , F , G , tutti
concernenti le relazioni che sì passavano , a que' tempi , fra i conti
di Provenza e le diverse città e stati d'Italia , come Parma, Piacenza,
Bergamo ecc., colla republica di Genova , col Ballìo di Ventimi-
glia , ma soprattutto colla città di Nizza ; i quali documenti origi-
nali, essendo ben preziosi anch'essi per l'attenenza che hanno colla
storia del Piemonte , dovranno pure essere consultati da chi volesse
accingersi all'ardua impresa di scrivere quella storia con tutti i suoi
particolari.
Tre altre carte , tolte da quello stesso archivio , sono state pu-
blicate poco fa dai chiar. sigg. Cibrario e Promis fra i Documenti
appartenenti alla storia della monarchia di Savoia. Di questi io
non farò qui parola , e perchè già noti , e perchè estranei alla storia
del Piemonte. Di fatto nell'archivio di Marsiglia sono collocati in
armadio diverso da quello dove stanno le carte spettanti al Piemonte
medesimo.
Torino, questo di 20 agosto 1837.
Giulio di San Qriwnso.
569
RIVISTA CRITICA
Di alcune traduzioni dall'inglese e in particolare del Pellegrinaggio
del Giovine Aroldo, recato in italiano da Giuseppe Gaz^ino.
(Genova, i836. i. voi. ia-t) ).
• >: Un dottoruzzo fisico, di nome italiano ma inglese di nascila,
il quale, essendo agli stipendi di Lord Byron , lo accompagnava
ne' suoi viaggi lungo il Reno, e gli fu sorgente di vessazioni e
molestie infinite , spinto da inconcepibile vanità ebbe un giorno
r ardimento di rivolgersi al poeta e di dirgli : « insomma che
sapete far voi che non sappia e non possa fare ancor io ? —
Poiché mi costringete a rispondervi, disse Byron ^ io credo di
poter fare tre cose che voi non potete. — E quali ? chiese
r arrogante giovinotto. — Queste , ripigliò Byron 5 passare da
una sponda all'altra di questo fiume nuotando: — smoccolare
una candela con un colpo di pistola a venti passi di distanza:
— e scrivere un poema di cui si sono venduti quattordici
mila esemplari in un giorno. » — Il dottorino ammutolì, ma
non si corresse e simile alla rana della favola che 'si provò a
voler acquistare la vasta mole del bue, egli osò scrivere versi
e prose nella casa medesima e sotto gli occhi di colui di cui
non avrebbe dovuto tastare il polso senza tremare.
i ; A me pare che coloro i quali , senza ben comprendere quanta
sia r altezza del genio di Byron e conoscere Je loro forze , rai-
35
570
surano se stessi con quei grande , e tentano di trasportarne
gli altissimi e spesso misteriosi concetti nel loro linguaggio ,
possano essere giustamente paragonati al giovin dottore di cui
ho fatto cenno, o veramente ad un prosontuoso pigmeo che
osi lottare contro un gigante , confidando forse di poterlo vin-
cere con qualche astuzia o con destro artifizio atterrare. —
Se consideriamo come la lingua italiana sia stata per l'addietro
poco felicemente adoperata a voltare gli autori inglesi che più
s' accostano al genere classico , talché dalle versioni dello Sce~
lino Lampante e del Sidro di JoJin Philips fatte dal Maga-
lotti , sino air ultima traduzione del Paradiso perduto del So-
relli, appena la letteratura nostra si può con qualche ragione
vantare del volgarizzamento del Papi, il quale tuttavia non
arriva alla Miltoniana maestà , non potremo maravigliarci ab-
bastanza come parecchi de' nostri contemporanei si siano ar-
rischiati ad ingolfarsi ne' poemi di Lord Bjròn , i quali ( se
se ne eccettuino i soli drammi di Shahspeare ) sono a cento
doppi più difficili a recarsi in altra lìngua che non quelli de'
suoi predecessori, e come abbiano potuto cosi presumere delle
proprie forze , da persuadersi di esser da tanto per far gustare
air Italia le bellezze al tutto singolari di quel sommo poeta. —
Per poco che uno sia versato nella letteratura inglese, egli è
facile lo scoprire, che i maggiori poeti di questo secolo e quelli
dei due precedenti sono in generale tra loro cosi diversi nelle
ispirazioni, nel modo di trattare e di adornare i soggetti, e
soventi volte persino nella forma estrinseca de' loro poemi, che
sì direbbero non solo appartenere a scuole intieramente oppo-
ste, ma quasi a due nazioni, che in poesia (fatta astrazione
della lingua ) seguano due strade affatto divergenti. Si parago-
nino Bjron , Scott e Moore con Millon, Drjden e Pope, non
nel merito poetico, sul quale spetta alla posterità e non a noi
a pronunziare, ma in ciò che chiameremo la loro maniera, e
si vedrà che a questi si potrebbe quasi dare il nome di clas-
sici, come noi l'intendiamo, cioè allevati alla scuola degli an-
tichi e in qualche parte ritraenti da essi le loro concezioni ,
r andamento delle idee e le medesime bellezze , invece che gli
altri sembrano, almeno apparentemente , avere assai poco di
571
comune coi gran maestri dell' antichità , e meritare la mo-
derna denominazione dì romantici , se non che alcuni di essi
la sdegnano, forse perchè principalmente si pregiano di ^ESsere
originali. — Ora se noi Italiani , ricchi come siamo di tradu-
zioni dal greco e dal latino che sono riputate vicine alla per-
fezione , non siamo ancora giunti a voltare un poeta inglese
della vecchia scuola in un modo che sia appieno soddisfacente ,
ad onta che lo stesso linguaggio solenne e per così dire di
convenzione , di cui ci siamo serviti pei classici antichi , possa
in gran parte essere in simili traduzioni impiegato, come po-
tremo sperare di vincere le difficoltà che in folla si presen-
tano voltando le opere dei moderni , le quali tanto si scostano
dal nostro genere e per la natura delle cose narrate e per la
varietà delle descritte e per la novità del sentire che in esse
s' incontrano ? — Io non dico che sia impossibile il far passare
dalla lingua inglese nell' italiana né gli scritti di Milton o di
Pope, né quelli di Moore o di Bjron, ma asserisco che, qua-
lunque ne sia la cagione o la poca analogia delle due lingue
o il poco studio e non bastantemente profondo che si fa presso
di noi della letteratura inglese , oppure la non sufficiente pe-
rizia dei traduttori nei due idiomi che maneggiano , il fatto è
che, tranne il Paradiso perduto del Papi, appena v'ha una
traduzione dall' inglese di qualche momento , la quale possa,
non dirò esser messa accanto all' Iliade del Monti o ?\V Eneide
del Caro per merito di volgarizzamento , ma soddisfare un let-
tore che abbia alquanto gustato il poeta nella sua lingua na-
tiva. Forse il principale ostacolo ad ottenere buone traduzioni
delle opere di cui parlo , proviene dal poco credito in cui og-
gidì un traduttore è generalmente tenuto, il che fa che rara-
mente veggiamo consecrarsi alla fatica del tradurre coloro che
per dottrina e per genio sarebbero più atti a riprodurre fra
noi le bellezze dei poeti esotici 5 e fors' anche non è ultima
cagione della povertà nostra di buone versioni dalle lingue vi-
venti quello spirito che con moderno vocabolo si chiama spe-
culatore , pel quale si suol tradurre con una condannevole ra-
pidità e spesso si tralascia di ricorrere alla sorgente per arre-
starsi ad una versione francese , già frutto di un' altra specu-
572
lazione , in cui il povero autore è stato miseramente mano-
messo e mutilato. — So che molti stimeranno questo giudizio
troppo severo , e particolarmente coloro che non essendo ini-
ziati nella lingua inglese o non essendo giunti a gustarne a
fondo le bellezze e ad intenderne 1' armonia dei versi, hanno
fermata la loro opinione sul valor poetico di Lord Byron e de-
gli altri sommi Britanni, o su traduzioni francesi o sovra quelle
che vanno di quando in quando nella nostra Italia comparendo,
per lo più compilate nell'eterno verso sciolto, troppo difficile
e troppo facile a un tempo secondo la maggiore o minore at-
titudine di chi lo tratta. Ma se dieci anni di continuato sog-
giorno in una delle più colte città della Gran Brettagna, e di
assiduo studio della lingua e della letteratura inglese , possono
dare ad alcuno il diritto di proferire un' opinione sulle tra-
duzioni degli autori di quella nazione che vanno attorno fra
noi , mi sia lecito il dire con qualche confidenza che finora
chi non ha potuto attingere alla fonte non può non avere un*
idea assai inesatta del genio di Lord B3Ton , e di quei pochi
che con lui formano quella magnifica costellazione che nella
gioventù nostra abbiamo veduta splendere e che tuttora splende
con le altre lucidissima sul Parnaso brìttannico.
E prima eh' io venga a parlare più particolarmente dei tra-
duttori di Byron , mi si conceda che mi fermi alquanto su di
uno che avendo animosamente intrapreso di voltare nella no-
stra lingua ciò che v' ha di più grande in tutta la letteratura
dell' Inghilterra , è giunto, Dio sa come , ad acquistar fama di
egregio traduttore, e a far credere all' Italia che nulla più le
manca per portare un fondato giudizio sulle immortali produ-
zioni di Shakspeare. — Intendo parlare di Michele Leoni, il
quale recò parte in versi e parte in prosa i drammi di quel
gran tragico, ed ebbe la fortuna di essere creduto degno inter-
prete di un tanto genio, cosa che ni uno avendo pubblicamente,
eh' io sappia , rivocata in dubbio , è passata ora per così dire
in giudicato con vera nostra mistì/ìcazione ( mi si perdoni que-
sto espressivo neologismo ) , non che a danno della riputazione
del poeta presso gli Italiani e a trionfo dei nemici del teatro
romantico. Non è questo il luogo di entrare in un minuto
573
esame della traduzione del Leoni confrontandola col testo , al
che fare si richiederebbero volumi, ma poiché io non ho certa-
mente il diritto e non pretendo di essere creduto sulla mia
parola quando dico che Shakspeare non è slato tradotto ma
tradito e straziato, il lettore che sappia tanto d'inglese da poter
fare questo paragone , sia contento di esaminare con diligenza
alcune scene della Tempesta e del Re Lear, la prima voltata
in versi, e il secondo (come assicura il Leoni) fedelissimamente
in prosa, e dica se 1' Italia non è sin qui vivuta nell'inganno,
e se si possa con giustizia pronunziare del merito di Shakspeare
da una interpretazione cosi mutilata , così priva della vivacità ,
della naturalezza e dei finissimi sali che cotanto sì ammirano
in quel poeta. La prima scena della Tempesta basta da se sola
per dare un saggio del fare dell'autore e di quello dell'inter-
prete. Una nave è in procinto di far naufragio. Il capitano, i
marinari e i passeggieri sano sulla tolda e aspettano ad ogni
istante di essere ingoiati dalle acque o spinti dal vento a fran-
gersi contro gli scogli. Il poeta fa parlare i suoi interlocutori in
quel modo con cui si parlerebbe in un vero pericolo di naufra-
gio, e vi mette sotl'occhio un quadro pieno di verità e di vita.
Ma ciò non piace al traduttore al quale il parlare conciso,
marinaresco e tolto dalla natura, impiegato da Shakspeare,
non può andare a genio , perchè si scosta dal linguaggio con-
venzionale e solenne del dramma. Quindi per far la carità al
suo autore di salvarlo dal basso e dal triviale , egli dà una di-
gnità eroica alle sue espressioni e ne fa una caricatura di cui
non si può vedere la più ridicola. Questa carità che il Leoni
fa a quel poveraccio di Shakspeare è spinta così oltre nei drammi
recati in versi che lo sciagurato poeta non può più compor-
tarsi a suo talento , ma debbe celare la sua propensione al
riso sotto il grave aspetto di un Senocrate , cosicché quel fi-
gliuolo della natura il quale suole nella sua lingua ridere, pian-
gere, arrovellarsi né più né meno che rìdono, piangono, e si
arrovellano gli uomini di passioni ardentissime e d'immagina-
zione esaltata, divenuto fantoccio dell'arte, cammina sui tram-
poli con tutto il decoro , la freddezza e la convenienza tea-
trale che è piaciuto al Leoni di trasportare dal teatro italiano,
574
ossia dal greco , sulle libere scene dell' Inghilterra. Né questo
è il solo favore che l' egregio interprete fa al suo poeta ogni
qualvolta ne rende in versi non solamente i versi, ma pur an-
che la medesima prosa. Fermandoci alla Tempesta io inviterò il
lettore a por mente a quel mostro chiamato Caliban, il quale,
partecipan^lo quasi della natura umana e della ferina, parla un
linguaggio convenientissimo a quelle , ed è perciò considerato
come una delle creazioni più maravigliose della mente di Shak-
speare , in questo specialmente lodata che abbia partorito ad
un tempo quell' aborto d' uomo e quell' aborto di lìngua. Le
idee del traduttore non potevano adattarsi a una tanta inde-
gnità. Epperò veggiamo che la sua tenerezza per 1' onore del
poeta lo indusse a rendere quanto più regolare ha potuto il
linguaggio di Caliban , e a mettere in bocca a quel selvaggio
i fiori del bel parlare acciò potesse decentemente comparire in
mezzo alla gente coturnata , poco curando che il concetto dell
autore ne rimanesse viziato e disfatto. Ma, dirà taluno e forse
il Leoni medesimo se ancor vive ( nel qual caso gli preghiamo
lunga vita acciò possa pentirsi de' suoi trascorsi letterari e far
la dovuta riparazione all' autore che ha malmenato ) , ma que-
sto è un male inevitabile allor quando si traduce in versi ,
perchè la lingua poetica di ciascun paese ha la propria fisio-
nomia e il proprio carattere, e quando uno è ristretto dal nu-
mero delle sillabe > egli non può né saltare , né correre come
altri vorrebbe. — Dato anche che la lingua poetica italiana
non potesse rendere tutto ciò che l'inglese, o per dir meglio
quella di Shakspeare , ha potuto esprimere, cosa che io nego e
che niun italiano vorrà concedere , chi obbligava il Leoni a
trasportare in versi ciò che sapeva non potersi trattare se non
in prosa ? E perchè ha egli aspettato a prendere la buona ri-
soluzione di voltare quei drammi in prosa allorquando già
molli di essi erano stati per lui raffazzonati in versi , in tale
maniera che più non li riconoscerebbe colui medesimo che gli ha
dati alla luce? — Sebbene, a dir vero, il Leoni non ha occasione di
vantarsi nemmeno di quelli eh' egli ha esposti in prosa , e ne
sia testimonio il citato Jie Lear, in cui non so se più sia da
condannarsi la negligenza della lingua e dello stile , che quasi
575
nulla rammenta della naturale eleganza e del brio del poeta,
o il numero dei granchi, davvero incredibile, cbe ad ogni pie
sospinto il traduttore ha saputo prendere, anche là dove
pareva fosse impossibile di pescarne. — Tutte le volte cbe leg-
gendo Shakspeare o vedendone rappresentare i capo -lavori dal
Carlo Keinblej dal IToungj dal Kean e dal Macready^ io mi
sono posto a meditare sul modo in cui si potrebbe far cono-
scere quel sommo ingegno all'Italia, non una sola, io credo,
ho potuto fermarmi sull' idea che se ne dovesse fare una tra-
duzione in versi , convinto come io era , che quanto v' ba di
naturale , passando nel metro italiano diverrebbe affettato ,
che quella giacitura di parole ciascuna delle quali si trova a
suo luogo senza sforzo e senza contorsione , diverrebbe tutta
stravolta donde nascerebbe un parlare misurato con le seste , e
che i motti festivi , i sali e i lampi dell' ingegno o più non
si mostrerebbero o sarebbero cosi stravisati da comparire piut-
tosto fuochi fatui e fuggitivi, privi di corpo , di calore e di vita.
Il tradurre i drammi di Shakspeare in versi è pertanto a
mio avviso più impossibile che difficile , e se i Tedeschi si
vantano di una versione che riproduce, a quel che dicono, nella
stessa forma tutte le bellezze e persino le menorae idee dell'
originale, ciò vuol essere attribuito alla natura della loro lingua
più omogenea all'inglese, siccome quella che è nata dalla stessa
madre, ed alla facoltà di crear parole composte con le quali
senza slombare i pensieri con lunghe circonlocuzioni si dice
appuntino la cosa nella stessa maniera in cui fu concepita. —
Epperò il Leoni non è del tutto senza scusa se , avendo deli-
berato di far italiano il tragico inglese e di vestirlo con la
pompa del nostro verso , egli si vide svaporare per le mani ciò
che , dopo la grandezza e la sublimità delle idee e dopo il
dilicato e profondo sentire, ne forma per avventura uno dei
pregi maggiori, voglio dire la festività, la vaghezza del dire
e ciò che i francesi chiamano spirito ; ma egli è pur sempre
da biasimare di aver voluto far uso dello stile solenne dove il
poeta si contenta di uno stile pedestre , e di non aver suffi-
ciente cognizione della lingua peculiare e dei modi del suo
autore, e delle allusioni, cbe certamente per uno straniero sono
576
Jl una difficoltà immensa ad intendersi , cosiccliè ne avvenne
che il suo lavoro , in molte parti imperfetto , se ne rimase
quasi senz'anima e come una mera ombra dell'originale , tutta
floscia , tutta languida e tutta scolorita.
Limitiamoci adunque a sperare che 1' Italia possa avere un
giorno una vera e fedele traduzione in prosa di quel tragico,
ed auguriamoci che il futuro traduttore non sia semplicemente
perito nella lingua e nella letteratura inglese , ma abbia sor-
tito dalla natura un leggiadro ingegno come quello del Cai'.
Andrea Mqffeì, le cui versioni dal Tedesco possono essere pro-
poste come modello , e sia dotato di una diligenza instan-
cabile, pari a quella di cui, non è molto, ha dato saggio Giovila
Scalcini nel ponderato suo volgarizzamento del Fausto di Goethe.
Se la traduzione dì Shakspeare è onninamente da rifarsi ,
sono pure da rinnovarsi quasi tutte quelle che abbiamo di
Moore,, di Tf alter Scott e di Byron. Il Lalla Hook del primo,
benché bellissimo poema, non è più cosa di cui si possa sop-
portare la lettura nella versione fattane da un nostro Piemon-
tese sotto il nome anagrammatico di Tito Pouirio Catti. La
Donna del Lago del secondo è sfiorata nei versi di un dottor
Siciliano di nome infelice ; e fra i poemi del Byron pochi sono
quelli che tradotti ci destino ancora quelle sensazioni che in
leggendo gli originali così potenti si provano. — L' Isola ha
pur troppo spesa indarno la sua fatica. Nelle sue mani il poeta
non è più poeta ; i racconti così vivaci , immaginosi e passio-
nati, ì voli pieni d'ardire, le riflessioni sovente così acute, fìlor
sofiche e profonde , la violenza delle passioni , l'ebbrezza del-
l'amore , il patetico e il sentimentftle , tutlociò insomma per
cui le produzioni del bardo inglese cotanto si distinguono, riesce
sbiadato e freddamente detto con uno stesso tuono e con una
stessa fraseologia , da non appagare se non un lettore novizio,
ignaro affatto della potenza di ciò che è uscito dalla mente
creatrice dell' autore. Il nmprovero ch'io fo aìV Isola si vuol
fare in generale agli altri traduttori dello stesso poeta j per la
qual cosa si può francamente asserire, che se i poemi di cui
parlo, fossero comparsi in origine vestiti all'italiana quali oggi
li veggiamo , Lord Byron che soleva dire di essersi svegliato
577
una mattina e trovato famoso , non sì sarebbe mai vantato ,
che quattordici mila esemplari del Corsaro fossero stati ven-
duti in un sol giorno ; né certamente il Pellegrinaggio d'Aroldo,
la Sposa di Ahido e V Assedio di Corinto sarebbero stati strappati
dalle mani de' librai , come sappiamo essere avvenuto, con un
entusiasmo di cui non si ba altro esempio se non nella vita
letteraria del gran Novellatore Scozzese. — Quella malia di
stile , quei vezzi di lingua , quella vivezza di descrizioni e
d'imagini, che rendono così allettatrici le poesie di Byron, sono
certamente cose che a pochissimi sarebbe dato di conservare
traducendo , ma perchè non si fanno almeno tutti gli sforzi
per adattarsi alla maniera dell'autore, e prima di tutto per in-
tenderne bene i concetti ? Perchè non si tenta di assimilare
per quanto si può il metro italiano al metro dell'originale , la
verseggiatura del traduttore a quella del poeta ? — Questi scri-
veva ad un amico di aver cercato d'introdurre la maggior va-
rietà ne' suoi poemi anche nella forma esteriore , acciò 1' uno
dall' altro in tutto e per tutto differissero. « La verseggiatura
del Corsaro , diceva , non è quella di Lara , né il metro del
Giaurro è simile a quello della Sposa d' Ahido ; Childe Ha-
rold è diverso da tutti questi , ed ho tentato di fare che VAS'
sedio di Corinto non somigliasse ad alcuno dei precedenti. »
— Infatti , per non parlare di tutti , il Corsaro e 1' Aroldo
principalissimi , con Don Juan , fra i poemi di Bjron , sono
scritti , con griudissirao artifizio, il primo nel distico eroico
(^couplet'), tanto difficile e tanto lodato per l'eleganza negli
scritti di Dryden e di Pope , e il secondo nella Stanza Spen-
seriana difficilissima anch'essa , che nella poesia inglese può
dirsi corrispondente per l'ufficio e per la maestà della forma
alla nostra ottava italiana. — Il genio di Lord Byron era troppo
libero e quasi sfrenalo perchè potesse assoggettarsi ad una ma-
niera unica di verseggiare; quindi è che negli stessi poemi nei
quali ha più costantemente seguitata una sola forma , egli non
si può di quando in quando trattenere dall' introdurre pezzi
lirici di un metro diverso , seguendo l'impulso della passione
e dell'estro , appunto come Shakspeare passa sovente ne' suoi
drammi , non solo dal grave al faceto, dal basso al sublime ,
578
ma dalla prosa al verso e dal verso sciolto al rimato , secondo
che è indotto dalla natura delle situazioni in cui i suoi per-
sonaggi sono posti, dalla elevazione dei loro sentimenti, e dal
linguaggio che debbono tenere. — Eppure i nostri traduttori
ricorrono quasi sempre al verso sciolto , e il distico eroico ,
la stanza di Spencer e il verso di otto sillabe sì comune nei
poeti inglesi moderni , sono per lo più trasformati nell' ende-
cassillabo nudo , a sostenere il quale ci vorrebbe il genio e
l'abilità dei Parini, dei Monti ^ dei Foscoli , e dei Manzoni. Io
credo veramente che questo metodo , oltre alle cause già nar-
rate , sia uno dei motivi per cui le traduzioni dei grandi au-
tori inglesi non diventano presso noi popolari. La rima è di
un grandissimo aiuto a chi scrive, uou meno che a chi legge.
Il primo corre minor rischio di cadere nella monotonia e può
yidare in parte la debolezza dello stile ,• l'altro si ricrea col
ritoVno de' medesimi suoni e , invece di essere stancato da
quella non interrotta applicazione di mente che lo sciolto ri-
chiede , si riposa al finire d'ogni stanza e può così proseguire
più lungamente nella lettura. Supponiamo che la Gerusalemme
e il Furioso fossero scritti in versi sciolti invece di ottave, chi
potrebbe , a malgrado di tutta la perfezione del verso , durare
a leggerne più d'un canto in un tratto ? — Per me io credo
sinceramente che se il Corsaro fosse trasportato in ottava rima
invece che l'abbiamo soltanto tradotto in prosa o in isciolti ,
per poco che la traduzione fosse elegante e fedele, non vi sa-
rebbe persona mediocremente colta che più d'una fiata non lo
leggesse avidamente. — Però non si maravigli Giuseppe Nicolini
se , a dispetto della sufficiente sua esattezza nel rendere il
senso , del quasi sempre lodevole suo verseggiare e del non
eccessivo stemperamento dei pensieri dell' autore , le sue tra-
duzioni non potranno essere riguardate come modelli da imi-
tarsi , non godranno della desiderata popolarità , né saranno
in quel pregio in cui sott'altra forma sarebbero forse tenute.
— La colpa è in parte sua ,• con un metro che maggiormente
allettasse , il suo lavoro sarebbe più conosciuto e più onorato
e non lascerebbe desiderare che altri si accinga alla medesima
impresa. — Il Nicolini ha sentita la necessità di alternare vari
579
metri nel Giaurro , forse ad imitazione di ciò che vide prati-
cato nella versione dello stesso poemetto già data da quel chiaro
ingegno di Pellegrino Bossi, il quale , se non fosse stalo di-
stolto da più severi studi , pareva riunire tutte le qualità che
si richieggono in un traduttore di Byron 5 ma egli ha poi ab-
bandonata la buona strada appena entratovi e , sedotto dalla
apparente facilità del verso sciolto , non ha badato che non
potrebbe evitare una monotonia fatale al lettore , al poeta e
alla sua stessa riputazione. Vi sono dei tratti nei poemi di By-
ron che dovrebbero far forza al traduttore e , a malgrado della
diversità delle lingue e del loro modo di verseggiare , sugge-
rirgli certi metri come inevitabili. — Ne sia d'esempio quello
splendido principio della Fidanzata o Sposa d' Abido , ( che
a dir vero non è né fidanzata né sposa ) in cui il poeta imi-
tando i pensieri e il metro di Goethe, adopera un verso che
manifestamente chiama di essere tradotto col dodecassillabo, di
cui Manzoni ci diede un bellissimo saggio in uno de' cori dell'
Adelchi. Pare impossibile che al Nicolini sia sfuggito essere
tale la misura del verso inglese da richiedere assolutamente
in questo luogo il metro che abbiamo accennato , e eh' egli
abbia potuto preferirgli lo sciolto che toglie a quel pezzo una
gran parte della sua lirica bellezza. Né é da dire che il tra-
duttore non fosse esperto in questo genere di verso poiché si
vede che in certi frammenti del Childe Harold egli ha recato
in dodecasillabi il canto marziale degli Albanesi ,
« Tamburgi! Tamburgi ! col rombo di guerra »
siccome il verso inglese suggeriva di fare.
A maggiore spiegazione di queste mie riflessioni sulla scelta
del metro io non mi posso trattenere dal qui riferire il prin-
cipio della Sposa d' Abido siccome è stato tradotto dal Nicolini
e quale lo trovo in un manoscritto inedito di persona che , or
sono più di dieci anni, tentò di voltare liberamente lo stesso
poema, ma poi abbandonò l'impresa disperando di poter riu-
scire a buon porto. — Comincerò dal Nicolini il quale ha senza
dubbio sopra dell'anoniaio il merito della fedeltà e cui , toltane
580
una tal quale debolezza, io non fo altro rimprovero se non di
aver trascurato di trarre un conveniente partito del verso
lirico.
I.
Conosci i climi ove il cipresso e il mirto
Sono emblemi de' fatti end' ei fur scena?
Ove il duol della tortore, o la rabbia
De l'avoltoio sfogasi nel sangue
0 in gemiti d'amor ? Conosci i climi
De la viglia e del cedro , ove le piagge
Fioriscon sempre e sempre fulge il sole ?
Ove l'ale di balsami imbevute
Cala zefiro stanche in sui rosai ,
E l'arancio più indora , e più s'abbronza
L'ulivo , e l'usignuol mai non è muto ?
Ove , pari in beltà , varie in colori
De la terra e del ciel ridon le tinte ,
E sue porpore il mar spiega più ardenti ?
Ove sono le vergini più molli
De le rose che intrecciano , ove , tranne
Lo spinto de 1' uom , tutto è divino ì
Son la culla del sol , sono i suoi regni :
Deh può il sole brillar sovra misfatti
Pari a quei de' suoi figli ? ahi che funesti
Come addio d'amator sono i lor cuori ,
Sono le istorie di ch'ei fan ricordo !
II.
Cinto da turbe di leggiadri schiavi
In arnese da guerra e intenti al cenno
Del comune Signor , sia ch'egli imponga
Seguir suoi passi o vigilar sua stanza ,
Siede il vecchio Giaffir nel suo divano.
Grave una cura nel suo sguardo è impressa
E tuttoché d'un Mussulmano il volto
Troppo sua mente trapelar non lasci ,
Tutto esperto a coprir , tranne l'orgoglio ,
581
Il pensoso sembiante e l'accigliata
Fronte or più svelan ch'ei svelar non soglia.
m.
« Si sbarazzi la stanza. » Ognuno sgombra.
« Il Capo-guardia del serraglio venga. »
Ora si ponga mente come una versione assai più imperfetta
che non è questa del Nicolini, anzi un semplice abbozzo, possa
per avventura dar maggior risalto ai pensieri e produrre un ef-
fetto più gradito , pel solo lenocinio della rima e per l'aiuto di
un metro meglio adattato a quello cui l'autore ha stimato di
dover dare la preferenza.
I-
Vedeste la terra che il mirto e il cipresso
Nutrica quai segni dell'opre de' figli ?
Là dove il furore si rapido spesso
A tenero affetto succede nel sen ?
Vedeste la terra de' cedri e de' gigli ,
Dai poggi fioriti , dal cielo seren ?
Là zefiro lieve con ali odorose
Di grati profumi , sugli orti passeggia
Ve '1 seno vermiglio dispiegan le rose ,
E aranci ed ulivi ricoprono il suol.
Là presso all'amata costante gorgheggia
Con querule note l'acceso usignuol.
Di vario colore la terra ed il cielo
Han varia beltade , ma pregio simile.
Il mare più oscuro diffonde il suo velo
Tra '1 verde e l'azzurro che fangli confin. —
Al par della rosa la donna è gentile
E tranne l'uom solo v'è tutto divin.
Levante ella ha nome ; la terra è del sole.
Ahi puote egli ancora versarvi la luce,
Mirare i misfatti dell'empia sua prole !
D'amanti divisi qual fiero è il dolor ,
Qual tristo è l'addio , del popolo truce
Son crudi i racconti , son barbari i cor !
582
II.
Cinto ogni intorno da guerriero stuolo
Di schiavi armati , del Signor pensoso
Tutti pendenti e pronti a un cenno solo
A seguirlo o a vegliar sul suo riposo ,
I profondi pensier celando invano
Sedea il vecchio Giaffir nel suo divano.
E benché rado il Mussulman col volto
I segreti dell'alma altrui disvele ,
Dotto in tenere ogni pensier sepolto
Fuorché l'orgoglio indomito e crudele ,
La curva fronte e il rigido contegno
Dell'agitato cor davan pur segno.
t ra.
« Si sgombri , e dell' Harem tosto si chiame
U capo delle guardie » — In un baleno
Degli schiavi sparito ecco è lo sciame.
E questa non curanza di adattarsi il più che è possibile al
metro dell'autore è uno dei principali rimproveri che io fo pure
al Gazzino recente traduttore del Pellegrinaggio del Giovine
uiroldo. — Un poema siccome questo che non consiste in una
narrazione continuata , ma in osservazioni e in descrizioni per
lo più le une dalle altre staccate , poema che nell' originale è
divìso in tante Stanze Spenseriane composte ciascuna di otto
versi eroici e di un alessandrino che serve di chiusa , non po-
teva essere voltato in versi sciolti senza che perdesse il suo
carattere. Non solamente nell'originale quasi ogni stanza è una
cosa perfetta in se stessa e spesso , pei frequentissimi voli del
poeta , indipendente da quella che precede e dall'altra che segue,
ma il genio dell' autore ha molte fiate voluto esprimervi un
pensiero epigrammatico il quale , siccome avviene negli epi-
grammi , è preparato nei primi versi e viene , per cosi dire ,
a scoppiare precipitando e lampeggiando negli ultimi. — Ora
egli è impossibile che un poema ideato a questo modo non
583
iscapiti immensamente venendo ridotto in verso sciolto , col
quale vi si introduce una forma affatto diversa dalla sua pro-
pria, e gli si dà quasi un andamento connesso e continuo, con-
trario alla sua indole, il che fa che la mente più non vi trovi
quei luoghi di riposo nei quali era intenzione del poeta che
si fermasse a considerare un pensiero acuto, un sarcasmo od
una di quelle idee compendiate e concise che hanno d'uopo di
essere ponderate con qualche meditazione. Non dissimulerò
tuttavia che lo scegliere un metro adattato a quello deìV^roldo
è un problema di non facile risoluzione, h'otta^'n si presenta
a primo aspetto come la stanza più naturale e più accetta agli
Italiani; ma si vuol riflettere che otto versi inglesi di dieci
sillabe ed uno di dodici non possono senza un grave sforzo
essere compressi in soli otto dei nostri eroici , tanto più che
le parole monosillabiche, di cui abbonda la lingua inglese, esi-
gono qualche ampiezza dì spazio per essere allungate nei po-
lisillabi del nostro idioma.
L'ottava rima sarebbe dunque un letto di Procuste, in cui
un traduttore deW^roldo giacerebbe con grandissimo tormento,
«ebbene si abbiano esempi di stanze Spenseriane voltate e ri-
strette in ottave , uno dei quali ci venne dato dall'Inglese Ma-
tJiias, peritissimo della lingua italiana , che in un modo assai
lodevole per uno straniero trasportò non è molto dalla sua lingua
nella nostra un lungo episodio del gran poema di Spencer, in-
titolato la Regina della fate. 6e la troppa ristrettezza dell'ot-
tava potrebbe generare oscurità , cosa soprattutto da evitarsi
nel tradurre un poeta che talvolta non è de' più chiari , la
troppa libertà che nasce dal verseggiare scioltamente invita a
cadere in un altro difetto non meno grave , che è lo scriver
diffuso e per conseguenza l'indebolimento dei pensieri dell'autore.
Di questo vizio del Cazzino io verrò a parlare più sotto ,
dove avvertirò come egli abbia veramente ecceduto i limiti della
discrezione. Intanto vorrei pure indicare un qualche metodo
per mettere un futuro traduttore del poema di cui si tratta ,
in istato di servirsi della rima senza che sia costretto a muti-
lare le idee del suo autore per ristringerle dentro a troppo an-
gusti confini. — So che chiunque non abbia con la grandezza
584
dell' ingegno acquistato il dritto d' introdurre nuove regole in
letteratura, può meritamente essere tacciato di prosontuoso quando
si arrischi a mettere innanzi una sua novità. Tuttavia paren-
domi di aver già detto abbastanza perchè forse taluno ini giu-
dichi temerario , tanto vale eh' io spieghi chiaramente il mio
pensiero. E il mio pensiero , che sottopongo al giudizio del
lettore con la dovuta diffidenza di me stesso, non è altro se
non questo , che ciascuna stanza inglese dell'Aroldo possa es-
sere tradotta ia altra italiana di dieci versi , non già costruita
come quelle decime che all'imitazione delle ottave hanno due
rime alternate pei primi otto versi , mentre i due ultimi ri-
mano insieme (metro difficilissimo per le quattro e quattro
rime che si richieggono e spiacevole per la lena che tiene troppo
lungamente sospesa in chi legge ) , ma formata di tre terzine
e di un verso di chiusa , il che offre il vantaggio di più pause,
congiunto a una maggior varietà nel rimare. — Io sono tanto
persuaso che una buona scelta di metro è importantissima alla
buona riuscita di una traduzione , che ho voluto soffermarmi
a trattare di questa materia anche più a lungo che non avrei
dovuto e con rischio di mettere l'altrui pazienza alla prova. —
Passerò ora al secondo difetto che ravviso nel lavoro del Gaz-
Zino, il quale è gravissimo , siccome quello che alla brevità e
alla forza del dire di Byron sostituisce una lunghezza ed un
languore che fanno scomparire il più bel pregio del poema.
Ho già detto come questo sia diviso in tante stanze di nove
versi caduna, tranne quattro pezzi lirici di vario metro. — >■
Egli pare che se si concedesse al Gazzino di voltare in dodici
o al più tredici versi ciascuna stanza, egli non solamente non
si dovrebbe lagnare di troppa strettezza, ma avrebbe ragione di
riguardare questa latitudine come generosa. Che si dirà dunque
quando si sappia ch'egli sta rade volte dentro questi termini
e che il più sovente gli eccede stendendosi sino a quindici o
sedici versi ed anche a diciotto e diciannove? Il merito prin-
cipale di un traduttore , dopo la retta intelligenza del suo au-
tore , è quello di rendere con fedeltà , concisione , nerbo ed
eleganza le cose che intraprende a recare nella sua lingua.
Qual concisione e qual nerbo possa trovaxsi in una versione
585
così dilungata, che altri paragonerebbe alla lira sterlina cam-
biata in tante lire nostrali, io lascerò che ciascuno se lo ima-
gini , e dirò brevemente della eleganza e della fedeltà per ve-
nirne quanto prima ad una conclusione. — Per ciò che è della
eleganza pare veramente che si debba più lode che censura al
nostro traduttore , il quale mostra di entrare ben addentro nella
cognizione della propria lingua e nell'artifizio dello stile, come
pure in generale nella costruzione del verso , ma a quest'elogio
che mi stimo in debito di fargli, mi tocca con grave rincresci-
mento di contrapporre la dichiarazione che in fatto di fedeltà
il suo volgarizzamento è straordinariamente peccante. In un
poema in cui gì' Inglesi medesimi confessano di trovare non
poche difficoltà, non è maraviglia che talvolta un Italianp non
arrivi a dare una spiegazione che sia soddisfacente. Di questa
oscurità non voglio accusare il Gazzino , ma non posso non
attribuire a lui 1' esagerazione che s'incontra nel principio del
poema , là dove si parla dei bagordi d'^roWo , i quali sono
dipinti nell'italiano con una tinta assai più fosca che non nei
versi di Byrou. — Il poeta, che forse volle far allusione agli
errori della sua gioventù, aveva già fatta una confessione schietta
abbastanza senza che il traduttore si prendesse la libertà di
aggravare le colpe confessate , dando un'interpretazione sinistra
a parole che ne possono ricevere una più naturale e xpen rea *i.
Parimenti sono tutta colpa del Gazzino i frequenti scambi
che occorrono nel significato di parole e di frasi che Rer se
stesse non presentano alcuna difficoltà *a ; e colpa &u.a wno le
volontarie variazioni che va introducendo quasi ad innalzare i
*i Cosi nella prefazione la parola waiter vale seguace, scudiero e uon giovi-
nastro dedito al bagordo. — Cosi nella stanza IX del canto I il poeta dice che
niuno amò ArolJo , e non già che nullo potè mai amarlo , nel che il traduttore
sembra aver confuso il did col could , tra i quali passa una grandissima diversità.
— Nella medesima stanza repeller significa una persona che mangia e beve schia-
mazzando e non già un donzello bordelliere; e lemans corrisponde al fianccstf
maìtresses e non & fanciulle svergognale. — E questo basti per prova dell'esa-
gerazione che ho acccimata, di cui potrei citare altri esenjpi se l'amore di brevità
non m' inducesse a tralasciarli.
*-ì Le yaruìc oj' iitdijfvieut memory , nella prefazione, aiijuifKano di non lode-
vole memoria e nou ^^ià cui non monta il ricordare. — L'ultuiio verno dell»
36
586
pensieri del poeta e rivestirli di maggior decoro. — Qui non
posso stare che non riferisca una parte della stanza XXXVIII
del- IV canto , in cui il poeta dopo di aver inveito contro Al-
fonso d'Este pei mali trattamenti fatti soffrire all'infelice 2or-
quato , e di aver detto che « nato in altra condizione appena
3) sarebbe stato degno di essere lo schiavo della sua vittima: »
aggiunge pieno di santo sdegno: TU nato per mangiare ^ essere
disprezzato e- morire come muojono le bestie , tranne che avesti
un più splendido truogolo ed un pia ampio porcile. EGLI con
un aureola intorno alla froìite
Parole altamente sdegnose e piene di nobilissima bile, seb-
bene in apparenza triviali , che al traduttore è piaciuto di vol-
tare nel modo seguente :
» TU nato ai prandj e al vitupero ^ pari
» A' bruti cui coglie anzi tempo *i morte:
» Se non che l' esca più pregiata e avesti
» Più magnificò il tetto. EI glorioso
XIV stanza del primo canto è compiutamente sbagliato. Drizzano il corAt tra fer-
tili sponde dove tuttavia pochi contadini mietono : dice il poeta. Non cosi il tra-
duttore che volta:
E alle feroci ( feraci ? )
Contrade il drizza là 've copiosa
All'iiidustre colon messe risponde.
Nel canto II stanza XVII king-making victory vale vittoria creatrice di re e
non d' allori prodiga vittoria. — Canto IV stanza Vili ay è puramente un' af-
fermazione più energica e non ha niente che fare con ahi lasso. — Canto IV '
stanza XXVIII deep dyed applicato al fiume Brenta è allusivo alle sue acque
torbide , e non può tradui-si por alto /lutto. — Canto IV stanza LXII ciò che il
Cazzino traduce affretta alla solinga valle , prendendo sultry per solitary , vuol
dire letterahnente fumano per la soffocante pianura. — Canto IV stanza LXIII
il reeled away e tutto ciò che vi si dice del terremoto , ha una foi-za d' imagine
che è appena accennata nella traduzione. — Cauto IV stanza LXXII qucll' amore
che sta vegliando sulla demenza con volto inalterabile è tutt' altro che l'amor
che con sereno-occhio contempli la demenza e rida.
Alla pag. 277 squabble risponde bensì al francese querelle, ma non già all'ita-
liano querela ecc. ecc. — E di questi esempi potrei pure addurre non picciol nu-
mero tolto da tutti i canti , ma qui m' arresto per non ingrossare straordinaria-
mente questa nota.
*i Che cosa il Cazzino aljbia voluto dire con le parole anzi tempo, che ha
aggiunto del suo , io confesso di non saperlo comprendere. — lì poeta paragona
587
E qui pure nel leggere questi versi e nello scorgere trasfor-
mato il mangiare in prandj , il truogolo in esca , il porcile in
tetto, acciò il poeta parli più dignitosamente da par suo, mi
sembra di vedere Michele Leoni raddrizzare le gambe a Shàk-
speare , o veramente Irò far la limosina a Creso. Di queste
cose che mostrano un' eccessiva e mal intesa delicatezza nel
traduttore , e annunziano un sentire lontano dall' arditezza di
quello del poeta, il lettore attento e che abbia qualche perizia
dell' inglese troverà tanta copia nell' Araldo italiano da fargli
cadere il libro dalle mani , salvo non voglia leggere il Cazzino
e non si curi di conoscere Bjron.
10 non entrerò in maggiori particolari per dimostrare più
minutamente quanti siano gli sbagli del traduttore , ma non
voglio tralasciare di chiedergli perchè, traducendo in versi tutta
r opera , abbia voltate in prosa le poche e belle stanze della
dedica a lantlie : perchè le graziose romanze del canto I , l'ad-
dio alla patria e V altro a Inez , che era ovvio di recare in
versi anacreontici , siano state 1' una sagrificata all'amore degli
sciolti , r altra ridotta in endecasillabi rimati ? quartine : per-
chè finalmente là dove nel canto IV il poeta ci dà letteral-
mente in due stanze il celebre sonetto del Filicaìa Italia, Ita-
lia ! non introducendovi del suo che uno o due versi , non sia
nato nella mente del Cazzino il pensiero di restituirci le stesse
espressioni del poeta italiano, piuttosto che stemperarne le
idee in ventisei versi di suo conio. — Dopo tutto questo non
mi resta se non a conchiudere che il lavoro del Gazzino ben-
ché lodevole sotto qualche aspetto , non è tuttavia tale che
possa darci una giusta idea àoiV Araldo inglese, né far si che
non se ne debba desiderare un' altra versione.
11 sig. Cazzino non prenda in mala parte queste mie osser-
vazioni che il solo amore della verità mi ha dettate , ma da
solamente il vivere e il morire d'Alfonso a quello dei bruti , e poco importa che
questi muoiano innanzi tempo od in età matura. Forse il traduttore si ricordò di
quel lepido epitafio già fatto ad un tal Giovanni Vilelli , che lo scrittore racco-
mandava al cielo , dicendo :
Vituli misercre Johannis
Qucm moj's prievipicns non sinit esse bovcm.
588
saggio pensi di non aver fatto perora altro che uno studio su
Lord Byron per prepararsi ad un novello lavoro; ed io mi farò
premura di tributargli i dovuti encomii , allorché schivando i
difetti che ho in questo accennati , egli faccia una traduzione
degna di quell' ingegno che a più segui si vede essergli slato
dalla natura largamente compartito.
20 agosto iS3y.
Risposta alle brevi riflessioni del Medico D-R. inserite nel fa-
scicolo d'agosto i83j del Subalpino, sull'articolo pubblicato
in quello di febbraio e marzo dello stesso Giornale, ed inti-
tolato : Esposizione ed esame critico del sistema frenologico
ecc. del Dott. L. Cerise.
Quando io pubblicai nel fascicolo di febbraio e marzo del
Subalpino una breve analisi dell' operetta del Dottore Cerise
sulla frenologia, n'ebbi a soffrire da alcuno acerbi rimproveri,
quasiché io avessi questo pubblicato coli' unico fine di deni-
grare la frenologia avanti agli occhi della gente dabbene. Io ri-
sposi allora che aveva creduta cosa utile di far conoscere que-
st' opera di recente uscita , e di cui i giornali forestieri avevano
parlato con elogio -, tanto più per essere questa , fatica di un
nostro compaesano : che se la dottrina frenologica era ferma-
mente stabilita sulle sue basi , sarebbe certamente riuscita vit-
toriosa nella lotta , e che io per mia parte erami astenuto dal
manifestare la mia opinione ^ appunto perchè era contraria a
589
quella dei frenologi , e non voleva acquistarmi la taccia di in-
j^iusto o parziale ; che del resto rimaneva a chiunque libero il
campo di rispondere.
Queste cose ho voluto qui premettere , affinchè si sappia che
io non entro nell' arringo di mia spontanea volontà , e se il
Medico D-R., facendo una critica ragionata dell'opera del Ce-
rlse , e ribattendo i di lui argomenti ad uno ad uno, mi avesse
lasciato in pace , come io lo desiderava , avrei io pure lasciata
la briga di rispondere all'autore della confutazione frenologica.
Siccome però il Medico D-R. mi proclama parziale , e sic-
come egli tenta solamente di fare un'apologia della frenologia,
senza confutare gli argomenti del Gerise , così mi veggo a-
stretto a prendere la penna , prima per quanto mi riguarda
personalmente , e quindi per dimostrare che finora egli noa
distrusse alcuna delle obbiezioni dell' avversario che si accinse
a combattere.
Comincierò adunque a parlare di me , perchè sono il primo a
cui il Dott. D-R. si rivolge, accusandomi di parzialità per avere
tentato di confutare la frenologia con argomenti metafisici ^ e
per aver detto che nelle dispute di frenologia si pecca da ambe
le parti per mancanza di buona fede.
Riguardo alla prima imputazione risponderò , che se il Me-
dico D-R. avesse letta attentamente l'opera del Gerise , ed il
sunto che io ne feci, veduto avrebbe facilmente che io no»
espriuio mai il mio modo di pensare in tutti quei fogli : che io
non aggiunsi un solo argomento a quelli arrecati dal Gerise, e
che riferii semplicemente le di lui opinioni in ristretto , non già
perchè temessi , o tema di far conoscere il mio modo di pensare
riguardo a questa questione , ma perchè non voleva prendere
ad impugnare né l'una, né 1' altra opinione. Giò ripeto ora a
bella posta perchè non voglio mai che mi sia attribuita cosa eh'
io non feci, quand'anche l'averla fatta fosse per me glorioso.
Quanto poi spetta alla seconda accusa del Medico D-R., ove
io abbia dimostrato apertamente esservi dei frenologi di mala
fede , spero che la taccia di parziale cesserà d' essermi appo-
sta ; ma di ciò parleremo in seguito. Vediamo ora in qual modo
il Dott. D-R. risponde agli argomenti del Gerise.
590
Egli comincia per dire che il Cerise si avvolge nelle astru-
serie metafisiche , e che non vi può esistere alcuna cognizione
positiva senza la perfetta conoscenza delle relazioni fra l'anima
ed il corpo. Né in ciò discorda dal Cerise , il quale dice che
la sola certezza assoluta è posta nella conoscenza delle relazioni
fra r attività umana ed il suo organismo. Finquì essi vanno
perfettamente d'accordo , ma dissentono però in ciò che il Me-
dico D-R. dice essere la sola scienza frenologica atta a darci
questa conoscenza , essendoché essa sola fa conoscere come
l' esercizio delle facoltà morali ed intellettuali si esercita per
mezzo di organi.
Questo però non è menomamente provato, perché in primo
luogo converrebbe dimostrare essere la frenologia una scienza,
la qual cosa viene contestata dal Cerise, e da infiniti altri 5 in
secondo luogo che la sola frenologia sia quella che fa cono-
scere esercitarsi le facoltà morali ed intellettuali per mezzo di
organi, essendo questa verità antica quanto la fisiologia, e
diffatti il Cerise dice che l'uomo è una attività servita da un
organismo. Ma ciò che separa Cerise dai frenologi si è , l'avere
essi stabilito , o a dir meglio supposto nel cervello tanti organi
particolari, ed il considerare questi organi come attivi da se
stessi o come tanti centri di attività , la qual cosa secondo il
Cerise conduce al materialismo.
Ad una tale imputazione risponde il Dott. D-R. colle se-
guenti parole : « non negarsi dai frenologi il principio attivo ,
)) r animo , ma questo esercitare le sue funzioni per mezzo di
» organi ,* questi essere strumenti o mezzi, ma non il princi-
M pio attivo il quale pensa, il quale induce a fare, o non fare
» una cosa : che gli organi sono attivi in quanto che per leggi
» dell' organismo possono agire sopra di loro j come possono
» essere posti in azione da altre cause 3 come da qualunque al-
» tra causa può spontaneamente prodursi in essi una muta-
» zione stimolante all' esercizio di quella facoltà j senza che vi
» sia assoluta necessità di tale esercizio. »
Il Dott. D-R. accusa Cerise d' ingolfarsi nelle astruserie me-
tafisiche , ma dimmi j o lettore, se tu comprendi questa con-
fusione di parole, perchè, a dirti il vero > io ne intendo poco.
591
Proviamoci però e cerchiamo d' illuminarci a vicenda. L'animo
esercita le sue funzioni per mezzo di organi : finqui va bene ,
se si eccettui il significato dato alla parola organi. Questi or-
gani sono strumenti, ma non il principio attivo il quale induce.
a fare o non fare una cosa. Né diversamente la intende il Ce-
rise , quando dice che 1' uomo è una attività servita da un or-
ganismo. Gli organi sono attivi in guanto che per leggi deW
organismo possono agire sopra di loro. Ma chi sono questi loro?
Forse gli organi stessi ? in tal caso avrebbe dovuto dire il D-R.
sopra di loro stessi , o sopra di se stessi , o gli uni sopra gli
altri reciprocamente. Ma se essi sono semplici strumenti, come
potranno operare di per sé. Adunque questi strumenti hanno
pure in se stessi una forza di azione non dipendente dall'animo 5
adunque non sono più semplici strumenti : ma proseguiamo.
Come possono essere posti in azione da altre cause. Ma da quali
cause, doveva almeno dircele il Medico D-R., perchè la prima
causa di azione è l'animo stesso , a suo dire , di cui essi organi
sono strumenti , i quali strumenti però non ubbidiscono sempre
all'animo, ma qualche volta operano da sé, ed altre volte ope-
rano per altre cause: ma seguitiamo. Come da qualunque altra,
causa può spontaneamente prodursi in essi una mutazione stimo-
lante all' esercizio di quella facoltà , senzadio vi sia assoluta ne-
cessitd di tale esercizio. Qui osserveremo primieramente che se
si produce una mutazione da qualsivoglia causa, questa non può
più succedere spontaneamente, perchè causa e spontaneità sono
due cose fra loro ripugnanti 5 quindi non sappiamo compren-
dere come questa mutazione induca soltanto tendenza e non
necessità di azione. Perocché è legge di frenologia che l'animo
non può nulla operare senza il ministero di quel dato organo,
e le sue operazioni sono sempre d' accordo collo sviluppo di
quel dato organo , cosi nessuno potrà essere poeta o pittore
senza l'organo dell'idealità, e nessuno potrà essere buon pa-
dre senza 1' organo della fìlogenitura. Nò vale il dire che que-
sti organi si possono sviluppare col mezzo dell'educazione, per-
chè a ciò fare è necessario quello dell' educabilità. Se Paolo
adunque non può avere inclinazioni virtuose e per conseguenza
eseguire azioni conformi alla virtù , perchè gli mancano gli or-
592
galli che portano a queste inclinazioni , e se per l'opposto sono
assai sviluppali in lui gli organi delle facoltà che portano al
vizio ed al delitto , allora bisognerà per forza che divenga un
birbante, giacché dice Spurzheim, «l'educazione non crea,
» tutta la sua influenza limitasi a coltivare le facoltà ed a di-
» rigere le azioni. »
Eppure il D-R. sostiene che i frenologi ammettono la libertà
nell' uomo.
Prima di tutto è necessario di sapere che cosa si intenda sotta
il nome di libertà.
Noi non possiamo intendere altro che la piena facoltà di
fare o non fare una cosa, qualunque sia il motivo che possa
renderci più piacevole il farla, o non farla; e perciò secondo
questa definizione il trionfo della volontà umana sopra le sue
passioni è il più allo grado in cui si esercii! la libertà, e per
conseguenza la volontà è tanto più forte in quanto che l'uomo
si sente più libero.
I frenologi invece cominciano per definire la volontà in que-
sti termini : « la volontà non è che il più alto grado del desi-
» derio , ed essa è tanto più forte , in quanto che gli impulsi
i) sono più violenti e meno riflessi , per conseguenza essa è in
)) ragione inversa della libertà. » Questa libertà poi, secondo
la loro opinione , non è che « il più alto grado che ha l'uomo
» di scegliere la determinazione che crede migliore dietro tutti
■» i motivi che trae dalla sua ragione. » Ma che cosa è que-
sta ragione ?
Secondo Gali, « essa non è che un modo rischiarato di
» azione dei sensi intercrauiani , e secondo Spurzheim , un
-» trionfo subitaneo dei sentimenti superiori sopra gli inferiori. »
Dal che si vede chiaramente che i frenologi confondono la
passione colla volontà: la ragione coli' impulso, e che la li-
bertà per essi non esiste.
DifFatti dice Gali: «quando si preconizza il libero arbitrio,
» r uomo è già suir orlo del precipizio , e se abusa della li-
» berta , lo fa perchè è spinto d^ un principio fatale ad abu-
» sarne. »
Altrove poi dice il medesimo autore : « 1' uomo finché è
593
» animale sarà forse governato da leggi organiche opposte a
» quelle che presiedono alle facoltà del cane , del cavallo , e
» della scimia? Le qualità ed i talenti particolarmente distinti
» sono dovuti alla medesima origine , il sentimento della be-
» nevolenza , le idee ed i sentimenti religiosi sono sempre l'ef-
» fetto di uno sviluppo favorevole , e dell' energia insolita di
» queste facoltà. »
Queste citazioni ho voluto ripetere acciocché si conosca quale
sia il principio che domina tutto il sistema. Io non niego frat-
tanto che sianvi frenologi che la pensano diversamente, ma è
forza di confessare con Cerise che questi si allontanano dai
principj fondamentali posati dai loro maestri.
Ma per non ingolfarci nella metafisica , lasciamo da parte
questo punto, esortando soltando il Medico D-R. a rileggere
attentamente l'opera del Cerise, ed a ribatterne gli argomenti,
perchè non basta il dire che i frenologi la pensano così , ma
bisogna provarlo.
Ora veniamo alla questione della verità o falsità della dot-
triua stessa riguardo agli organi.
Il Dott. Cerise cerca di provare che la frenologia è fon-
data sopra la cranioscopia, e che senza di questa non potrebbe
sussistere, dicendo che dimostrata la falsità della craniosco-
pia verrebbe a rovinare immediatamente tutto l'edifìzio freno-
logico.
Il Medico D-R. non combatte questa proposizione, ma si
contenta di proclamare l' infallibilità della cranioscopia. Ora fa
d'uopo di qui riportare le proposizioni del Dott. Cerise, colle
quali egli non impugna la cranioscopia e la cerebroscopia 5
quantunque esse sieno state già da noi pubblicate nel sunto
che facemmo della dì lui opera , affinchè i lettori possano giu-
dicare se il Dott. D-R, le abbia vittoriosamente confutate o no.
Prop. I.* « La superficie del cranio non riproduce la forma
della superficie corrispondente del cervello. »
A ciò il D-R. sì contenta dì rispondere che prima della vec-
chiezza , epoca in cui succedono nuove mutazioni nel cranio ,
questo , nei luoghi indicati da Gali quale sede degli organi ,
corrisponde nelle elevazioni e depressioni alle elevazioni e de-
594
pressioni del cervello, siccome le quotidiane osservazioni di
anatomia lo comprovano.
Se noi volessimo combattere questa proposizione posta con
tanta franchezza arrecando autorità di avversari alla frenologia ,
vana sarebbe la nostra opera , stantechè i soli frenologi sono
in questa materia di buona fede , e tutte le altre autorità deb-
bonsi rigettare come sospette.
Pertanto noi ci contenteremo di ricorrere ai frenologi stessi
accogliendone quelle modeste confessioni che loro sfuggono ,
come già fece il Cerise che le riferì nella sua opera.
Vediamo adunque quanto dice il frenologo Bailly in un ar-
ticolo inserito nel giornale della società frenologica di Parigi
intitolato: Saggio sui mezzi di far fare dei progressi alla fre-
nologia, f^anlaggi _, insufficienza ed abusi della cranioscopia.
Sono le di lui parole.
« Lo stesso sviluppo delle medesime parti del cranio , la
)) stessa dimensione di tutti i diametri diversi , le medesime di-
» stanze di tutti i diversi punti che si possono stabilire alla
» di lui superficie, possono coesistere collo sviluppo di facoltà
» affatto diverse in tutte queste differenze.
« Cosicché due teste esattamente e matematicamente simili
» per tutte le misure che si potranno prendere su tutti i punti
» della superficie , e in qualunque maniera ciò si faccia , po-
» tranno appartenere ad individui interamente diversi per la
» natura e l'energia delle facoltà. »
Ed inferiormente :
« La medesima porzione del cranio non corrispondendo mai
» alle medesime circonvoluzioni , ella è cosa evidente che tutte
• » le misure che dar si possono delle diverse porzioni della te-
» sta non potranno giammai avere importanza alcuna per dare
» una idea esatta dello sviluppo di facoltà diverse.
» Ella è adunque cosa evidente che quando una regione della
)) testa è uniformemente convessa e liscia, non esiste né nella
)) cranioscopia, né nella cefalometria alcun mezzo per accer-
» tare il vero stato del cervello che essa racchiude. »
A questa si aggiunge 1' autorità del D. Casimiro Broussais ,
autorità certamente non sospetta , il quale manifestò la propria
595
tìpinlone a questo riguardo nel congresso isterico del i835 in
un discorso apologetico della frenologia.
Egli confessa che i casi in cui le circonvoluzioni cerebrali
corrispondono alle elevazioni del cranio non giungono alla metà.
Se non si trattasse di due frenologi che non si possono tac-
ciare di mala fede , potremmo dubitare della verità di queste
asserzioni , ma per non meritarci dal Medico D-R. la taccia di
parziali, siamo astretti a credere sulla loro parola, lasciando
soltanto al suddetto di conciliare con essi la sua proposizione
affatto contraria. Conchiuderemo perciò col Dott. Cerise es-
sere la craniologia una dottrina fallace.
Prop. a." « Nell'immensa maggioranza dei casi in cui si osser-
» vano prominenze e depressioni , esse non hanno alcuna re-
M lazione colle facoltà che ad esse si pretendono corrispon-
» denti. »
A ciò risponde il Dott. D-R., che migliaia di fatti dimo-
strano la corrispondenza delle facoltà alle circonvoluzioni, e
che pochi fatti contrarli non bastano a distrurre questi mi-
gliaia.
Però se fosse permesso di addurre autorità antifrenologiche
questi migliaia di fatti sarebbero ridotti d'assai, e questi po-
chi di alcune centinaia accresciuti *i. Per esempio riguardo al
cervelletto specialmente, ove vien posta la sede dell' amati-
vita , potremmo addurre l'autorità di Bouillaud , il quale con-
fessa che da caldo settatore di Gali, qual egli era, fu poi in-
dotto a dubitare della dottrina del frenologo tedesco dalle con-
vincenti sperienze di Flourens, e dietro le proprie ebbe a con-
chiudere quanto segue:
<t i." Le sperienze sugli animali , e le osservazioni raccolte
» fra gli uomini non ci autorizzano a seguitare 1' opinione di
» Gali sulle funzioni del cervelletto.
« 2." Queste sperienze si potrebbero piuttosto indurre a pen-
» sare che il cervelletto sia il centro legislativo dei moti di
» equilibrio e di locomozione. »
*i Vedi la lettera del Cav. Speranza al Dott. Finella , inserita nelle Efl'emc-
ridi di Fantonetti, fascicolo di maggio iSÒ-j.
596
Siccome però 1' autorità di Bouillaud è sospetta perchè di-
sertò le bandiere della frenologia , ci appelleremo ai frenologi
medesimi. L' ottimo nostro collega il Dott. Bonacossa , quan-
tunque egli stesso frenologo , nella sua statistica del Regio Ma-
nicomio Torinese , già da noi lodata in questo medesimo Gior-
nale , confessa ingenuamente che spesso non havvi differenza
fra il cervello di un sapiente e quello di un idiota *i. Avver-
tiamo poi che molti di questi fatti di cui parla il D-R. sono
fondati sulla cranioscopia dimostrata fallace. Inferiormente di-
mostreremo poscia ad evidenza con fatti citati dai frenologi
stessi , come possano esservi circonvoluzioui svilupatissime e
mancanza di facoltà e viceversa.
E bensì vero che il Medico D-R. soggiunge che alcuni fatti
contrarii non possono distrurne migliaia , ma se vogliamo es-
sere di buona fede , rimarrà provatissimo doversi credere falsa
la teoria degli organi , ove abbiavi facoltà alcuna manifesta con
mancanza dell'organo da cui si fa derivare; poiché dovremo
allora credere non essere questo l'organo di detta facoltà; giac-
ché nissuuo finora potè vedere senza occhi , o fece qualche
moto senza 1' oi-gano che a quello presiede, e così se havvi
Tin organo sviluppatissimo con deficienza della facoltà cui esso si
fa presiedere, potremo conchiudere almeno che i sensi non
possono mai accertarci dello stato dell'organo cbe favorisce lo
sviluppo di queste facoltà.
Per altra parte lo stesso Casimiro Broussais nel rendiconto
per gli anni i833 e 34, stampato nel numero di aprile i835
del giornale della società frenologica di Parigi, dice chiaramente:
« Portateci una sola testa di qualunque individuo eminente
» per qualsivoglia facoltà , il di cui organo corrispondente sia
» depresso, e noi ci confesseremo vinti. » Parole ben diverse
da quelle del Medico D-R.
Prop. 3.* « Molte circonvoluzioni cerebrali sono inaccessibili
» all' osservazione. »
A questa il Medico D-R. risponde così :
« Niun ragionevole frenologo vorrà stabilire essere finora co-
*i Vedi in oltre il N. 3^ della Gazzetta Medicale, iSS;.
597
» gnite le funzioni di circonvoluzioni cerebrali inaccessibili,
)» ma se vuoisi parlare da senno , il sig. Cerise medesimo noa
» sosterrà che questa obbiezione distrugga quello che è co-
» gnito ,• rimasero a noi e rimarranno ai nostri nipoti nuove
» verità a scoprire , ma queste non annienteranno quelle già
» trovate. »
Ma prosiegue il Cerise : « come volete che vi resti ancora
)) qualche cosa a scoprire in queste circonvoluzioni , quando
» voi avete già trentacinque o trentasei attitudini tutte situate
» air esterno ? Che cosa potete ancora aggiungere in fatto di
» attitudini di abilità ad una scienza che ha già decretata alla
» superficie cerebrale l'esistenza degli organi della circospezione,
» dell' astuzia , della secretività ? Che cosa potete aggiungere
» riguardo agli istinti animali ad una scienza che ha già tro-
» vati gli organi dell'amor fisico, della filogenitura , della com-
» battività, della distruttività, dell'adesività, dell' acquisi vita,
» dell' imitati vita ? Che cosa volete aggiungere riguardo alle at-
» titudini intellettuali ad una scienza che possiede già gli oc-
« galli della configurazione , dell' estensione , del colorito , del
» tempo, della melodia, del linguaggio naturale ed artifiziale,
)) dei numeri, della località, dell'eventualità, della causalità,
» del paragone ecc. ? L' idealità , la speranza , 1' amore di sé ,
» l'orgoglio, r approbativilà , la perseveranza , la benevolenza,
)) r ambizione , la gajezza , ed altre facoltà hanno già i loro
)) organi 5 che cosa faremo adunque delle tante circonvoluzioni
» che rimangono all' interno ? » Per certo di due cose 1' una :
o converrà spostare diversi organi , o lasciare delle circonvo-
luzioni inerti. Sia nel primo, che nel secondo caso conviene ro-
vesciare la scienza, e dichiararla fallace, eppure qui non v' ha
via di mezzo , giacché sfido il più grande psicologo a trovare
delle altre attitudini, perchè se esaminiamo la dottrina psi-
cologica di Gali , vediamo nascere dalle attitudini da lui tro-
vate assieme combinate tutte le facoltà e disposizioni umane ,
come dalle ventiquattro lettere dell'alfabeto la Gerusalemme
del Tasso.
Prop. /^.^ « Le circonvoluzioni cerebrali , le di cui prorai-
)) uenze sono presentate quale espressione esterna degli organi.
598
» non possono essere esplorate che dopo la morie dell' Indivi-
» duo , la qual cosa rende le osservazioni esatte , rare e dif-
» ficili. »
Proposizione questa a cui nulla si può ridire, ed a coi il
Medico D-R. non ebbe ad opporre altro che la certezza della
cranioscopia , certezza dimostrata nulla per confessione dei fre-
nologi medesimi. Perciò i migliaia di fatti accennati dal D-R.
restano così ridotti a ben scarso numero.
Prop. 5.* « Non havvi misura esatta per misurare queste cir-
» convoluzioni , ed è impossibile di stabilirla in anatomia. »
A questa proposizione che è un corollario della precedente il
Dott. D-R. risponde proponendo il craniometro del nostro par-
roco Giacoma. Ma questa misura varrebbe soltanto ove la cra-
niologia fosse accertata , e non può servire , essendo essa dimo-
strata infedele , come anche per la proposizione seguente.
Prop. 6.* « L' energia delle facoltà non è in ragione diretta
» dello sviluppo delle circonvoluzioni. »
Verità questa antica quanto fisiologia, giacché nissun fisio-
logo ha mai preteso di stabilire che V energia di un organo
fosse in ragione della sua mole. Chi è che giudicherà dell'acu-
tezza della vista dalla grossezza dell'occhio, della forza di un
ballerino dalla grossezza delle di lui gambe, della forza di un
atleta dalla grossezza delle di lui braccia ? Non neghiamo che
ciò accada qualche volta, ma infinite sono le osservazioni con-
trarie , anzi se questa può essere un' induzione qualche volta
fondata per quanto riguarda il sistema muscolare, è quasi sem-
pre fallace per quanto spetta al sistema nervoso di cui ora si
tratta. Inoltre questa energia cresce o diminuisce in ragione
del temperamento, della nutrizione, dell'educazione, e perciò
a che cosa si riduce la cerebroscopia ? Se nissuna misura può
valutare il grado di energia di un organo, bisogna confessare
che non si trova e non si troverà giammai un mezzo per giu-
dicare frenologicamente delle facoltà di un uomo. A che cosa
si riducono adunque i migliaia di fatti del Medico D-R. ?
Prop. 7.* « Le circonvoluzioni medesime , secondo i lavori
» di Gali , non sono che forme esterne , ossia estremità di or-
» gani. »
599
Da dò si vede che, volendo anche ammettere l'esistenza di
questi organi , non fornirebbe né la cranioscopia, né la cerebro-
scopia alcun mezzo per calcolarne lo sviluppo e l'energia, giac-
ché queste mal si possono conoscere dalla forma esterna. Su
questa obbiezione il Dott. D-B.. passa sopra come fece sulle al-
tre , e perciò egli ci permetterà di dire che esse ancora sussi-
stono in tutta la loro integrità.
Prop. 8.* «Molte circonvoluzioni essendo egualmente svilup-
» paté, impediscono di distinguere quale di essa predomini, e
» da quale dipenda una facoltà piuttosto che un' altra.
Che questa obbiezione sia di peso lo concede il D-R. me-
desimo , ma egli dice che questo è un difetto del frenologo ,
piuttosto che della scienza. Ma io soggiungo che un tale difetto ,
quantunque dipendente dall'imperfezione dei nostri mezzi esplo-
ratori , è tale, unito agli altri già rammentati, da impedire
alla frenologia di stabilirsi sopra basi certe, e da condannarla a
rimanere una semplice ipotesi quale essa è presentemente. Il
Medico D-R. dice che facoltà eminenti scoperte in diversi uo-
mini grandi e coesistenti con una circonvoluzione determinata
bastarono a stabilire essere questo o quello 1' organo di quella
data facoltà. Ma vediamo quali siano questi fondamenti su cui
si appoggiò la frenologia. Siccome Gali non aveva alcuna base
onde fondare il suo imnaaginato sistema , cominciò a disporre
su questa o quella parte del cranio umano gli organi delle
varie facoltà umane j divise il cranio e per conseguenza il cer-
vello in tanti compartimenti come fecero i geografi del globo
terraqueo ; quindi spaziando nel campo della storia, rimodellò
i cranii di tanti uomini famosi per virtù e per vizi , i quali
cranii però non aveva mai veduti , e passando da un suppo-
sto air altro diede il nome pomposo di scienza alla propria
teoria. Diffatti mediante il suo ingegno e quello de' suoi se-
guaci si trovarono gli oi'gani cerebrali di Socrate, Platone,
Aristotile , Ippocrate , Alessandro Magno , Nerone , Roberto
Bruce, Dugnescliu, L' Hopital, Sterne, Wandick, Kant, Ba-
cone , San Brunone ecc. 5 quantunque nissuno abbia mai po-
tuto vedere i loro cranii , e da questi discendendo agli altri ,
e viceversa dagli altri crauii comuni ascendendo a questi, sta-
600
bilirono un circolo vizioso simile a quello dei Rasoriani ia
patologia.
Che se voi ad essi presentate cranii o cervelli d'uomini, le
di cui cirvonvoluzioni non corrispondano alle qualità morali od
intellettuali , in essi già conosciute, non temete punto che essi
restino imbrogliati, che tosto vi sanno trovare altre circonvo-
luzioni che poterono fare le veci di quelle che in essi man-
cavano, o neutralizzare quelle che erano svilupatissime. Basta
a convincersi di questo il leggere la discussione fra la gazzetta
medica ed il giornale di frenologia , riguardo ai cranii di Na-
poleone *i , Lacenaire ed Avril. E quando essi non seppero più
che dire contro i fatti desunti dal modello in gesso del cranio
del conquistatore , tacciarono di falsità questo gesso medesimo
presentato da Antomarchi. E tutto ciò colla più grande buona
fede di questo mondo.
Prop. 9.* « I fatti patologici non presentano mai, o quasi mai
» lesioni di una sola circonvoluzione, né si è osservato che la
» lesione di un gruppo di circonvoluzioni sia stata accompa-
» guata da una alterazione costante nelle facoltà che da que-
)> sto gruppo si fanno dipendere. »
Ad essa risponde il Medico D-R. rimandandoci alle osserva-
zioni fatte da Larrey riguardo all' organo della memoria.
Noi non conosciamo le osservazioni particolari di Larrey, ma
rispondiamo essere osservazione costante che la memoria è sem-
pre la prima alterata in tutte le malattie che attaccano il cer-
vello, qualunque sia la parte di esso che rimanga affetta. Dif-
fatti nei tifi ed in tutte le malattie che direttamente assalgono
il sistema nervoso, vediamo alterarsi o perdersi la memoria ,
quantunque non siavi stata veruna lesione parziale organica ,
come lo prova in seguito il riacquistarsi della medesima , to-
stochè il convalescente riacquista forza e vigore.
Infatti né le osservazioni fatte dal Dott. Voisin e riferite
nella sua opera delle cause delle malattie mentali valgono a
provare gran cosa in favore della frenologia , né sono più con-
chiudenti gli scritti sulla pazzia dei Dott. Broussais e Spur-
*i Vedi la Gaiietta Medicale N. 3; f 38 , 183;.
601
zheim , e se le osservazioni del Dott. Gombes sembrano più
favorevoli alla cranioscopia , dobbiamo avvertire essere le mede-
sime contraddette dal Medico del Manicomio di Richemond ,
ove il detto autore fece le sue osservazioni , eppure il Dott.
Combes è un frenologo, ed i frenologi sono di buona fede.
Anche le osservazioni di Lallemand, Bayle, Calmeil, Rostan,
Georget, Esquirol, Bouillaud, Abercombie, Lelut sono contra-
rie alla frenologia. Wè le osservazioni dell' ottimo collega no-
stro Bonacossa provano gran fatto in favore degli organi cere-
brali, rifei'endo egli un solo fatto favorevole in parte alla dot-
trina da lui professata , su seimila e più ammalati.
Ma il Medico D-R. trae un argomento di conferma della
dottrina frenologica dall' essere la medesima in quanto alla clas-
sificazione degli organi in armonia colla credenza de' sublimi
pensatori. A questo però risponderemo che tutte le teorie in-
gegnose benché in seguito siano slate dimostrate false, furono
da uomini d'ingegno seguitate; che gli argomenti dedotti dall'
autorità sono ai giorni nostri di nessuna importanza , che altri
sublimi pensatori niegano questa classificazione , altri dubitano
della di lei esattezza, e che si disputò seriamente dai mede-
simi frenologi sopra 1' esistenza di questo o di quell' organo.
Ecco quanto riferisce il Gerise a questo riguardo. « Si disse
)) che r astuzia ( la ruse ) era una facoltà primitiva , e se ne
» trovò immediatamente l'organo. Poco dopo si riconobbe die-
» tro più mature riflessioni che l' astuzia non è facoltà fonda-
» mentale , giacché sonvi uomini astuti per soddisfare ad un
» loro istinto, e stupidi quanto al rimanente. Allora si can-
» celiò e si decretò l'abolizione dell'organo dell'astuzia, che ri-
» sorse però qualche tempo dopo ed espulse il rivale che aveva
)) preso il suo posto. Lo stesso accadde riguardo all'organo della
» secretività. » E cosi i frenologi vanno mutando la sede degli
organi e gli organi stessi a loro talento , siccome fecero Spur-
zheira, Broussais, Gombes, Dumoutiers , Voisin ecc. Benché
quanto alle basi si attengano alla dottrina di Gali, perchè veg-
gono benissimo che senza di una base qualunque distrutto sa-
rebbe il loro sistema.
La polemica fra Gali e Spurzheim non prova nulla secondo
*-66
602
il D-R., ma a me pare che provi moltissimo , perchè dalle se-
guenti parole di quest'ultimo possiamo scorgere quali sieno ì
reali fondamenti della frenologia.
« Egli parrebbe , dice Spurzheim , dal modo con cui Gali
» si esprime, che esso non parli mai di un organo senza es-
» seme prima pienamente certo , ma bene spesso accade il
» contrario. Ogni indicazione di organi non fu da bel princi-
» pio che congetturale , e non fu dimostrata che dietro a spe-
» rimenti Non biasimi adunque la mia maniera di stabilire
» questi organi perchè è simile alla sua. »
Ed in seguito :
« Altre volte Gali disse e pubblicò che l'organo della reli-
» gione e della morale è un solo; poco dopo non fu più così.,.„
» Ma perchè non contentossi egli di tenere perse la sua idea,
» finché la cosa non fosse provata da un buon numero di os-
» servazioni esatte? Perchè pubblicò egli il cangiamento della
» sua opinione ? Ha egli un numero sufficiente di osservazioni
» esatte per ciò fare ? Io non esito a rigettare questa sua seconda
)) opinione. » Tralasciamo molte altre cose che questi due capi-
scuola si scrissero vicendevolmente , le quali provano che la
supposta certezza di questa dottrina si riduce ad una chimera.
Io non ho letto l'opera di Vimont sulla frenologia compa-
rata , ma quand'anche 1' avessi letta non ne sarei maggiormente
persuaso , perchè bisogna prima di tutto che tali osservazioni
sieno ripetute da diversi , e le osservazioni contrarie di Bouil-
laud riguardo al cervelletto distruggono in parte questa teoria.
Siccome però il Medico D-R. mi esorta a convertirmi alla
frenologia dietro l'esempio citato nel Repertorio Medico -Chi-
rurgico del i835, pag. i85 , così sarà bene che esaminiamo
questo fatto.
Nello sciagurato di cui si parla nel Repertorio trovaronsi
mancanti gli organi della teosofia, della benevolenza e dell' edu-
cabilità 5 prominenti invece gli organi dell' astuzia , della di-
struttività e del furto. Mancavano pure gli organi della filoge-
nitura, dell' affezionatività e dell'amatività , ossia erotismo, od
amor fisico.
Quest'uomo doveva necessariamente essere un birbante perchè
603
è imposssibile di manifestare una buona inclinazione senza averne
l'organo corrispondente , e questo è un fondamento della dot'
trina Galliana ^ e perciò non poteva essere questo sciagurato
né buon cittadino j né buon marito, né uomo religioso; né mi
si dica die 1' educazione poteva in lui correggere le mancanze
dell'organismo, perchè in primo luogo l'educazione nulla crea,
in secondo luogo non si può far luogo ad educazione alcuna
senza 1' organo dell' educabilità. Dove era dunque in costui il
libero arbitrio? Dove la buona fede dei frenologi, i quali di-
cono che r organo della teosofia non manca mai ?
Eppure quest' uomo non fu mai conosciuto per ateo , quan-
tunque scelleratissimo ; e prima di morire manifestò sentimenti
religiosi. Dirassi forse che egli fingeva e simulava sino all' e-
stremo momento ?
Inoltre se non havvi inclinazione senza l'organo corrispon-
dente , quest' nomo non avrebbe mai dovuta manifestare alcuna
inclinazione all' altro sesso , perchè mancava affatto in lui l'or-
gano dell' amor fisico. Eppure i suoi principali delitti indicano
il contrario ; risultando dalla sentenza contro di lui emanata
aver egli per ben quattro volte commessi stupri con violenza ,
senza calcolare i delitti di tal genere che non vennero provati.
Ma l'autoi'e della memoria inserita nel Repertorio con tutta
semplicità e buona fede ci dice che egli commise questi delitti
perchè era portato alla carnificina , ed alla distruzione. Ve-
diamolo adunque.
Il primo delitto fu da lui tentato nel iSaS, ed allora egli
non uccise 1' oggetto della sua libidine e ne fu condannato al
carcere.
Gli altri furono da lui commessi in seguito , e per sottrarsi
al meritato castigo uccideva egli quelle misere fanciulle , e le
sotterrava e ne disperdeva i cadaveri fatti in brani perchè non.
si sapesse chi le avesse uccise. Egli non uccise mai veruna
altra persona di diverso sesso , né anche al di sotto dell'adole-
scenza, secondo la sentenza contro lui emanata, la qual cosa
non sarebbegli slata più difficile che l'uccidere queste fanciulle.
Eppure r erotismo , la libidine non erano le sue inclinazioni.
Vedi conclusione logica ? Vedi eccesso di buona fede ? Ecco i
604
fatti su cui si appoggia la frenologia ? Ecco le fonti a cui bi-
sogna ricorrere -per mutare d'opinione? Conchìucliamo.
Se adunque la frenologia si appoggia alla cranioscopia ; se
la cranioscopia , a confessione dei frenologi medesimi , è un
mezzo di esplorazione insufficiente, perchè le protuberanze del
cranio non corrispondono costantemente alle circonvoluzioni ce-
rebrali , dobbiamo eliminare tutti i fatti che si appoggiano uni-
camente sulla cranioscopia. Se la cerebroscopia non è gran fatto
più certa, perchè un organo può essere sviluppatissimo e senza
energia, o viceversa, dobbiamo confessare che possiamo anche
valutare pochissimo le osservazioni cerebroscopiche , e perciò
molti altri fatti debbono essere rivocati in dubbio.
Se finalmente i frenologi medesimi ci arrecano fatti contrad-
dittorii benché cerchino poi d' interpretarli secondo la loro
idea , dobbiamo dire che possiamo calcolare quasi niente sui
fatti per potere stabilire le basi di questa dottrina. Ma sic-
come questa dottrina si appoggia unicamente su tali fatti, così
dobbiamo dire con Gerise cbe essa non ha alcuna base certa,
od almeno che il Medico D-R. non arrecò finora argomenti
che valgano a convincerci del contrario.
Med. Coli. Maffoni.
Dizionario Biografico di Magistrati e Giureconsulti insignì
della Monarchia di Savoia di G. M. Regis.
( Torino , presso Bellatore. i837 ).
Prova non dubbia d'ingegno operoso, e di animo tenero
verso la patria danno coloro che cercano ogni via per accre-
scerle fama e splendore. Non ultima fra queste vie si è certa-
mente quella di raccogliere il nome di quegli illustri che spe-
sero le loro veglie negli studii e negli ufficii che furono utili
alla patria, e che se vissero tempi lontani dai nostri, abita-
605
rono però gli stessi luoghi che noi abitiamo , e respirarono le
stesse aure che noi respiriamo , e coi loro scritti o coi loro
esempi ci furono custodi e trasmettitori del sapere e della ci-
viltà di che ora sentiamo i benefizj.
Ella è appunto questa via e questa prova che in oggi ricalca
in Piemonte il sig. G. JVI. Regis , nome chiaro presso noi per
varie pregiate opere forensi e di lunga lena già da lui compi-
late. Egli ora col Dizionario Biografico che ha intrapreso ci pro-
mette un'opera non minore di polso e di vantaggio. Ed una
simil opera coll'ordine ed estensione che il Regis propone di
darle, mancava tuttavia a noi Piemontesi , come manca tuttora
all'intiera Italia un compiuto Dizionario di tutti gl'illustri Ita-
liani 5 ed è questa una delle nostre miserie e vergogne nostre,
il dover cercare in libri francesi e sotto forme digiune del sen-
timento italiano il nome e le vicende dei grandi uomini italiani.
Quanto a quelli che negli Stati di terra ferma del Re di
Sardegna si applicarono, lasciando qualche orma distinta, alle
patrie magistrature ed allo studio delle cose legali, l'annun-
ziata opera del Regis ci sta ora provvedendo. Sarà per essa che
molti nomi che giacevano sinora obbliati rivedranno la luce ,
e gli spiriti di coloro che li portarono vivendo gusteranno
il piacere della gloria e della riconoscenza che forse vivi non
avevano ancor assaggiato.
La pubblicazione di quest'opera fino dal suo primo momento
parve a noi opportunissima , e quindi ben scelta l' occasione
del comporla 5 imperocché la storia di coloro che trattarono
le discipline legali e coprirono le cariche del foro durante l'an-
tica e varia giurisprudenza piemontese, chiuderà degnamente
il periodo della sua vita , e sarà come un termine di divi-
sione tra essa e quella della novella legislazione. E sotto l'im-
pero poi di quest'ultima egli è da sperare che sorgeranno nomi
non meno chiari di quelli che illustrarono l' antica ; e presso
i posteri poi non mancherà neppure una penna che venga pie-
tosa, come quella del Regis , a salvarli da un silenzio che senza
di lui pei nostri antenati in magistratura e in giurisprudenza ,
minacciava di trasformarsi in perpetua dimenticanza.
Dal sig. Regis per l'indole de' suoi studii e per gli ufficii che
606
sostiene , dobbiamo più che da qualunque altro riprometterci
un' opera di questo genere compiuta ed interessante. Altri illu-
stri piemontesi già lo precedettero nell' onorevole arringo , e
specialmente fra i meno antichi può essergli di guida e di
conforto alla fatica l' ottimo Tenivelli , maestro così caro al
Botta. Fra i viventi poi, senza né anco parlare di Camillo
Ugoni , e di Renieri , bello sarebbe per il Regis lo avere a mo-
dello quei nostri egregj che prestano la lor opera come il Pa-
ravia ed il Manno nella biografia che si pubblica in Venezia.
L'amore del Piemonte consigliò al Regis questo suo nuovo
lavoro , ma egli poi lo proseguisce con maggior tenerezza sem-
pre quando può riferire qualche celebrità della propria pro-
vìncia : la provincia d' Ivrea paese ricco per lui di care e nobili
reminiscenze. Veggiamo infatti nella prima dispensa del suo
Dizionario com' egli riporti con sìngolar compiacenza un brano
dì una orazione latina di Carlo Giulio , compaesano e collega
del Botta , e che per qualche tempo ebbe comuni con lui le
vicende e la fama , e che nell' eloquenza spontanea ed im-
provvisa , come r altro nella gravità delle sentenze e nello
stile della storia, fu piuttosto, come udimmo dalla bocca del
conte Prospero Balbo , un prodigio che una rarità.
In questa orazione che ora il Regis ci ricorda, il Giulio dis-
corre delle celebrità letterarie che onorano la terra canavesana,
contro un opuscolo allora recente del Denina, il quale imme-
more forse di averla nella sua Italia occidentale salutata come
terra ferace di grandi ingegni , aveva poi osato di scrivere che
— cette ville (Ivrée) qui a donne d l'Italie des rois et des ri-
vaux aux empereurs, rCa jamais étè illustrée par aucun auteur,
ni homme célèbre d'aucune classe. — Ma per buona sorte i
nostri lettori si ricordano che quest' opuscolo del Denina usci
contemporaneo a quelli della sua vecchiezza , e che fu uno di
quei tanti parti infelici che sono destinati a segnare il tra-
monto della gloria letteraria dei loro autori.
Frattanto tutti troveranno ottimo il consiglio del Regis di
richiamare alla memoria dei posteri le illustrazioni del foro
piemontese , come quelle che possono da un canto far tacere
la calunnia nazionale e straniera , e dall' altro servire di stl-
607
molo alle giovani emulazioni. Infatti chi sa quanti giovani stu-
diosi veggendo come o tosto o tai'di venga rivendicato dall'ob-
blio il nome di coloro che con qualche distinzione fecero prove
delle loro virtù e dei loro studj sostenendo pubblici ufficii, o
scrivendo qualche utile dettato , si sentiranno infiammarsi a
seguirne il generoso esempio ?
« A egregie cose il forte animo accendono
« L' unic de' forti
scriveva Foscolo celebrando i più famosi Italiani estinti e gli
eroi di Omero ; e noi lo ripetiamo colle voci stesse parlando
della biografia di magistrati e di giureconsulti piemontesi, quando
pure questa biografia non sia una squallida raccolta di sche-
letri , ma bensì una galleria di ritratti animati e parlanti.
Imperciocché noi stimiamo non albergare soltanto il forte sen-
tire e r amor della patria ne' petti guerrieri e in quello dei
poeti , ma ardere pur anche in chi si consacra agli studj più
miti ed alle cure civili. La storia civile dei popoli ci mostra
come la toga abbia anch'essa, come la spada e l'alloro, la sua
forza , il suo coraggio , la sua gloria.
Mentre scriviamo queste cose in lode dell' opera che an-
nunziamo ed a conforto del suo autore , noi tradiremmo la voce
dell'intimo sentimento e la missione della letteratura periodica,
se tacessimo sopra alcune condizioni che una biografia della
sorta di quella intrapresa dal Regis dovrebbe riempire , e che
noi speriamo di vedere in essa riempite.
Primieramente nello scrivere questo Dizionario noi vorremmo
ad ogni tratto interrogata assieme alla storia dei tempi quella
pur anche privata di ciascun magistrato o giureconsulto di
cui si vuol sbozzare la biografia , e che poi questa col racconto
talvolta di qualche fatto curioso desse agli odierni leggitori
quasi vivo il ritratto di quei personaggi, senza farcene soltanto
conoscere l'esistenza, e senza soggiungere neppure un segno
che li distingua dalle infinite esistenze di qualunque altro uomo
che abbia oscuramente vissuto.
In secondo luogo non dovrebbe lasciarsi d'indagare nella sto-
ria contemporanea politica , civile e letteraria quali fossero le
608
dottrine, le leggi, i costumi , le pratiche forensi, e quali
principii se feudali o monarchici o municipali od ecclesiastici
prevalessero nell'epoca in che visse questo o quell'altro ma-
gistrato o giureconsulto, e quali insomma siano state le qui-
stioni più agitate e più vitali di quell'epoca stessa. Egli è sol-
tanto col sussidio di siffatte indagini che si potrebbe apprendere
qual parte i magistrati ed i giureconsulti , di cui si legge la sto-
ria, abbiano avuta in quelle quistioni, e di quale guarentigia
od insegnamento i posteri lor deggiano essere debitori o nell'
esercizio dei loro ufficj , o nel dettare le loro scritture.
In questo modo soltanto la biografia può venire in aiuto
della storia , e quindi potrebbe farci disceruere nelle varie epo-
che lo stato della giurisprudenza , e delle sociali relazioni j
quali elementi siansi introdotti , e quali spariti nella civil so-
cietà, se in quella data epoca la scienza, il diritto, e la mo-
ralità fossero retrograde od in progresso , quali di questa vi-
cenda ne fossero le cagioni e quale insomma sia stata l'influenza
che sopra tutte queste cose vi hanno esercitata quegli uomini
di cui si vuol scrivere la biografia.
Allora si che una biografia si vedrebbe toccare al sommo
de' suoi pregi, e se pure avvenisse che essa troppo indulgente
traesse alla luce qualche nome che per se slesso non ne fosse
molto meritevole , il diverrebbe però almeno per le cose con-
temporanee di cui egli assieme alle generazioni che seco lui
si volgevano, fu attivo o passivo elemento.
Se pertanto il Dizionario del Regis , come portiamo fidu-
cia, verrà adempiendo a queste condizioni , e se lo vedremo di
quando in quando arricchirsi di alcuna delle avanti discorse
notizie , questo Dizionario assumerà senza dubbio un carattere
storico e ben altramente importante di quello che a prima
giunta possa apparire, e noi gli possiamo sin d' ora promet-
tere eh' esso sopravvanzerà di gran tratto tutte quelle altre
opere che col titolo promettente di dizionari! , non sono poi
altro in sostanza che magri cataloghi di nomi , di date , e di
luoghi. S. Battaglione.
STAMPERIA GHIRINGHELLO E lìOMP.
con permissione.