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F. Fallo.
F.f.P. Farafiliorumpetri.
Fr. Francavilla al mare.
Fur. Furci.
G. Gessopalena.
Gamb- Gamberale.
L. Lanciano.
Latti. Lama dei peligni.
M. Montenerodomo.
M.O. Monteodorisio.
Moli. Mozzagrogna.
O. Òrtona a mare.
Ors. Orsogna.
Pag. Paganica.
PaL Palena.
Pese. Pescina.
Peti. Pettorano.
Pop. Popoli.
P.P. Poggiopicense.
P.%p Pescocostanzo.
Rip. Ripattone (Teramo).
Rocc. Roccascalegna.
Roccar. Roccaraso.
Ros. Rosello.
R. s. G. Rocca s. Giovanni.
S. Sulmona.
Se, Scontrone.
5. E. S. Eusanio del Sangro.
5. V. S. Vittorino (Caraman.).
T. Teramo.
Tom. Tornareccio.
Torr. Torricella peligna.
7>. Treglio.
V. Vasto.
V.m. Villamagna.
V. s. 9X. Villa s. a Maria.
c hL' < B. Quando non fo indicazione di luogo, vuol dire che la
credenza, l'uso ecc. sono comunissimi. Facendola ,. intendo sola-
mente di additare i luoghi dai quali ho ricavato le tradizioni, e
non già, com'è naturale, di dar queste come particolari dei luoghi
medesimi.
Qua e là, per riscontri , cito 1' altra mia pubblicazione : Cre-
dente, Usi e Costumi àbrw$esi t Voi. VII delle Curiosità popolari
tradizionali.
TRADIZIONI POPOLARI ABRUZZESI
La Casa.
I.
A casal Essa è il dolce e lepido nido
famiglia, l'oasi sospirata del riposo, della
: della liberta , il convegno pacifico di
più cara affezione, l'arca santa delle gioì
serene, delle memorie più soavi e dei sì
dolori; la casa è la vera officina delle virtù citta
è il cardine della nazione. C. Livi , La scrofe
Siena. Lezione popolare. Siena, 1867.
La casa fu, è e, malgrado gli anarchici, sarà
pre k il nido soave dei nostri figlioletti , il santi
della famiglia , il rifugio dai rumori e dalle pas
del mondo; quivi l' intimità delle dolci espansioi
segreto delle lagrime , le memorie dei dolori e
a vita... Quivi si nasce, si vive, si ama e si
il porto dal quale si parte e al quale si ri-
o le traversie dei giorni fortunosi ». A. Cac-
Novità dell'industria applicale alla vita dome-
ino, 1876.
ita forma si traducono il sentimento e la
he l'uomo colto moderno ha della casa. Chi
di conoscere la forma che lo stesso senti-
la stessa nozione ebbero nei primordi del
svilimento, oltreché nelle tradizioni popolari
le usanze tuttora superstiti, può rintracciarne
iti nell'istessa forma moderna, che rampollò
L. Infatti , nel secondo dei due bei brani di
riti, l'espressione santuario della famiglia, ora,
Itro, è una frase; ma fu tempo in cui ebbe
cato proprio. Le eulte a d' abord été per-
^mestique, celebre en famille par le pére en-
sa femme , de ses enfants et des ses servi-
!. Burnouf, La scìence des religions, pag. 212.
ut pas se représenter cene antique religion
>n domestique) cornine celles qui ont été
>lus tard dans 1' humanité.... Non seulement
rait pas à 1' adoration des hommes un dieu .
iais encore ses dieux n' acceptaient pas I' a-
ie tous les hommes... Chacque dieu ne pou- ',
adoré que par un famille. La religion etait
domestique.... La maison d' un Grec ou d' ;
n renfermait un autel; sur cet aurei il devait !
jujour un peu de cendre et des charbons al- ;
lumés.... Cet feu était quelque chose de dìvin; e
dorait, on lui rendait un veritable eulte. On lui
nait en offrande tout ce qu' on croyait pouvoi
agréable à un dieu.... On reclamait sa protect
Le feu du foyer etait.... la providence de la fam
La religion du feu sacre date de l'epoque lointa
obscure où il n' y avait ancore ni Grecs ni Ita
ni- Hindous , et où il n' y avait que des Aryas.
eulte du feu sacre et le eulte des morts sont
mème antìquité.... Foyer, Démons, Héros, dieux ]
tout cela étaìt confondu.... On peut donc pense
le foyer domestique n' a été à l'origine que le
bole du eulte des morts , que sous cette pier
foyer un ancétre reposaìt , que le feu y était a
pour l'honorer, e che ce feu semblait entretenir
en lui ou representait son àme toujour vigilanti
De Coulange, La Cile antique, pagg. 21 a 30.
Intorno a questo « piccolo mondo » della C
sarebbe da scrivere di molto. L' Archivio prelus
sue pubblicazioni appunto con un bello studio di
lomone-Marino sulla «vita domestica del contadi
aliano. Ma il mìo proposito è più limitato. I
appunti che seguono hanno principalmente lo
dì mostrare che, presso di noi, quel « religioso
timento , che è suscitato nei nostri animi dal
della Casa, non solamente ha ragione in un fati
turale di appartenenza umanitaria, ma nella cos
religiosa del nostro più remoto passato; di cui, sei
spesso, vuote di contenuto, molte forme sopravvi
3*
IL
i. «Casa», oltre ai significati comuni con l'italiano,
ne ha, nel nostro uso, uno che si avvicina all'antico
(Casa , lat., Capanna , Tugurio). Infatti , se il nostro
contadino, . per indicare abitazione, in genere, dice case
(anche : la case de lu rré , la reggia) , indicando in
ispecie la sua, dice sempre case; mentre V abitazione
di un signore , anche quando non ha nulla di gran-
dioso, è sempre 'nu palaie. — 'M mè%£ a la case, In
mezzo alla stanza. Nella quale maniera, il significato
etimologico è evidente. La Capanna non può avere
più stanze.
Anche attinente al lat. aedes è il nostro modo al
plur.: le case de la Tèrre — ora, per voga megalomane,
anche nei comunelli, « palazzo municipale » — , corri-
spondente al tose, «le case (dei Bardi, dei Mozzi ecc.) ».
2. Delle antiche aggregazioni di case, formanti bor-
gate, restano i nomi a molte nostre contrade. Infatti
(da *fc°G, vicus; vicinià): Vicemta (Gamb., Borr., G.),
Vicenne (Ros., R., Coli., R, Rocc, G., Cas., Ors., Cr.,
Tr., Mozz., R. s. G.), Vicetto (V. a s. a M. a ) , Vicinato
di me%zp (Tr.). E cosi, nel resto dell'Abruzzo.
3. Cambre, Camera, è più comune e meno preten-
sioso di Stantie. Del pian terreno: Ter rate, sf., Basse,
sm. (G.); Slittane, sf. e Desbtte, sf. (L.), Di piano su-
periore, Pisele, sm. (G.).
La cucina (in molti luoghi:, la cambre de lu fòche), ^
- 8 —
di regoli, è a pian terreno, all' entrata della casa
« In primis ingressibus domorum , vestae, id est ar
et foci solent haberi». Non. Marc. — Spesso, è tui
la casa; sempre, n'è il centro. Quivi la donna, a s
volta centro della famiglia ed assidua vestale , pas
in faccende la sua giornata se, per a tempo, altri i
fici non ne l'allontanino. Quivi, anche in molte ca
civili, durante l'inverno, si desina e si cena, e intori
al focolare uomini e donne si raccolgono , non sol
mente per iscaldarsi , ma per conversare anche a
estranei. — « NcllVttrittM.,,. stava l'altare dei Lari <
fuoco sacro e il telaio della padrona e delle schìa\
Era esso, secondo il costume del buon tempo amie
il luogo di riunione della famiglia; quivi imbandivi
la mensa domestica; quivi il cliente aveva udienza (
padrone; quivi la onesta e severa madre imperava
fanciulli e alle ancelle che le facevano corona a. Kop
Moreschi, Ani. rum., pag. 18.
In alcuni nostri piccoli comuni ' , anche oggi
sono case nelle quali il focolare non è provvisto
cappa e di canna pel fumo; e nella parlata di Aqu
vive tuttora una parola che ricorda il tempo anterio
all' uso delle cappe e dei camini (sfulinà", togliere
polvere dalle mura e dal palco con un cencio lega
in cima a una canna), e nel quale il fumo, spande
dosi per la stanza, copriva le pareti di filìggìne. G
ita. Relazione generale. Tav. XXVII
neralmente poi le cappe dei camini sono ampie ed
alte, da parere , più che all' aspirazione dei prodotti
della combustione , fatte per coprire la famiglia rac-
colta intorno al focolare. Questo, inoltre, vedesi molto
spesso come chiuso nei lati da due grossi banchi con
alte spalliere, detti casciabbanghe (Z,.), arcebbanghe ((?.).
Formasi cosi un recinto aperto in avanti, che potrebbe
essere un ricordo del recinto in cui una volta era
collocata Tara domestica. — «Le foyer n J etait jamais
place ni hors de la maison ni mème près de la porte
esterieure , où 1' étranger V aurait trop bien vu. Le
Grecs le pla^aient toujours dans une enceinte qui le
protegeait contre le contact et méme le regard des
profanes. Les Romaines le c^chaient au milieu de leur
maison». De C, Op. cit., pag. 36.
4. Immediata alla « stanza del fuoco», è, quando
ci è, la cambre de lu lètte. Questa* è veramente il sa-
crariutn della famiglia, e lascia subito a notare due cose:
il letto nuziale alto o altissimo , con intorno grandi
casse , contenenti biancherie ed abiti ; e di sotto , un
vero ripostiglio di generi diversi; la parete a capo del
letto tutta coperta d'immagini sacre, palme benedette,
candele della Candelaia e simili. Spesso, nella stessa
camera, innanzi air immagine del santo o della santa
tutelare, arde di continuo una lampadina. — « La re-
ligion ne residait par dans le temples , mais dans la
maison; chacun avait ses dieux ». De C, Op. cit.,
pag. 37.
io —
Dell' antichissima religione domestica , la quale
riassumeva nel culto dei Penati (Lares), ossia del fuoc
sacro, che era come la sensibile veste delle loro animi
ancora altre notevoli tracce nelle credenze e negli u:
del nostro popolo.
5. Come nel senso antico , Fòche è comunemen
sinonimo di Case; (Une pe' fòche, Uno per casa —
ffóc" a ffóche, o Fòche pe' fòche, Casa per casa, Tui
del paese. — Sacce j? addò fa In fòche ?, Non so doi
abita) ; e di famiglia. {Vù fa'' 'rmurì' In fòche ?, Ne
vuoi ammogliarti ?, Vuoi far « estinguere » la famigli:
— Ha 'rmbrle Ih fòche , È morto ultimo della cas
senza discendenti. — È remasi 1 a ffóc aremmbrt' e llut.
slutate, E rimasto deserto: È caduto nella estrema m
seria). — « Le feu ne cessait de briller sur l'autel qi
lorsque la famille avait peri tout entiere; foyer étein
famille éteinte, étaicnt des expressions synorùmes chi
les anciens ». De C, Op. cit., pag. 21.
6. II fuoco è come qualcosa di animato: è allegri
languido, vivo, morto; lingueggia, si alimenta, respii
(la lum' a cquand' anetéjje, il lume alita appena. L.
Quando, soffia e risoffia, e non si accende; ovven
quando, infastiditi dal soffiare, sì smette, e subito dop
quello si accende da sé , dicesi : hi fòche è ecurrevós
o è suspellose (dispettoso). Inoltre: quandi In fòche n'
%e va' ppiccià', vo le magale; e col soffione si dànn
tizzi; il che potrebbe tenere all'antica pratica
.rio mediante Io sfregamento.
uoco non sì spenge mai. Uno dei sensi del
overbio: Ji la case n'n %e }a ma' scure, forse
vo, è il letterale: Nella casa non é mai buio,
a famiglia va a dormire, il fuoco si rammonta,
di cenere, s'arebbèle, ma non si spenge. — « C
oblìgation sacrée pour le maitre de chaque
'entretenir le feu jour et nuit... . Chaque soìr
ait les charbons de cendre pour les empècher
isumer entierement». De C, Op. cit., pag. 21.
sta pratica e delle non meno antiche « invo-
al fuoco, come « provvidenza della famiglia » ,
tigio nella seguente usanza : « La madre dì
specialmente se ha bambini, ogni sera, ram- ■
e coperto di cenere il fuoco, vi fa sopra una
cendo, nel fare il segno longitudinale : Ji' t' i
che; nel fare il trasversale; Ji' te 'ngatène, fó~ \
ilpendo nel centro con la paletta: Scambe la
itghe ssètle vicenate » (V.). ■
uoco è cosa sarra. Come tale, vi si giura su,
o o facendo l'atto di prendere la fiamma del
o di un lume tra l' Ìndice e il pollice della
stra; ovvero stendendo verso la fiamma il
on la mano aperta, e dicendo: "Pe' 'siti fòche,
: lume de Ddi I — E, modi di dire relativi: .'
ri le man' a In fòche! , Ci giurerei ! Nen gè
ighe se cce mettisse le man' a lu fòche !, Non i
neppure se lo giurassi ! t
&
\
Altrove (Credente, Usi e Costumi abrtugesi, Meteo-
rologia) ho dettu che i resti del fuoco sacro del Na-
tale, nonché le candele benedette nella Candelara, sono
accesi per scongiurare i danni delle tempeste, per far
prosperare i filugelli , ecc. ; e che le gocce del cero
pasquale colate sul fondo di un beretto sono un vero
talismano contro i fulmini.
Quando s'implora grazia da un santo, si offre del-
l'olio in chiesa per alimentare una lampada, ovvero si
accende una candela: quasi che la fiamma fosse mes-
saggtera di grazia e intermediaria tra il cielo e la
terra. — « Lorsque ce eulte (del fuoco) a été relégué
en second pian par Brahma et Zeus, le feu du foyer
( — chez les Hindous cette divineté du feu est sou-
vent appellée Agni — igttis — ) est reste ce qu' il avait
dans le divin de plus accessible à 1' homrae ; il a été
son intermediaire auprès des dieux de la nature phy-
sique; il s'est chargé de porter au ciel la prière... de
1' homme ». De C, Op. cit., pag. 29.
Sopra o acccanto ai depositi di danaro, i doviziosi
facevano ardere una lampada; e si citano esempi anche
recenti. II fuoco, che è cosa sacra, ritenevasi che va-
lesse a impedire al diavolo d' impossessarsene.
9. Il fuoco è puro e purificante. È atto empio spu-
tarci dentro : "HJie cchelu spute , Iti dìjavele ce scrive
(Cas.) : Chi sput' a jju fòche , fa la morie de jji cane
(Pese). Peggio ancora orinarvi o gettarvi lordure (Ch.).
Accendere il sigaro o la pipa al lume che arde in-
nanzi a un'immagine sacra, sarebbe profanazione. (L.).
/
»> 1 rr
— « Ce feu du foyer etait , corame en Grece, essen- •*
tiellement pur ; il était sévérement interdit au brah- )
mane d' y rien jeter de sale, et mème de s' y chauffer \
les pieds. Mème prescription dans la religion romaine: ;
pedem in focum non imponere». De C, Op. cit., pag. 26.
Gettare nel fuoco acqua o vino, fin e ppeccate (Ch.); )
come pure mettervi a bruciare qualsiasi materia ali- >
mentare inutile , nonché immagini sacre invecchiate,
lacere o altrimenti guaste. Cosi anche, nel mercoledì
santo, nel ripulire i fonti battesimali e le pilette del- jj
T acqua benedetta , se 1' acqua è poca , è gettata nel )
fuoco; se molta., in un pozzo (L.).
Far cadere del sale nel fuoco è atto empio. <r Chi
getta del sale nel fuoco, all'altro mondo dovrà rac- \
cattarlo con le palpebre , ghe le pennate de IV ùcchie ì
(L., Ch., O., V.). Per altro, vi sono dei casi speciali \
in cui pur si deve farlo per scongiurare pericoli e
danni. Per es., sognando serpi (At.). Per tener lon-
tane le streghe, la madre di famiglia ogni sabato la
sera, nel rammontare il fuoco, vi mette dentro qual-
che chicco di sale (Lam.).
Come il sale, anche il ferro vale a tener lontani o
ad elidere i malefizi della gente malevola, delle streghe,
e dei cattivi geni. Ma, all'infuori di questi casi, tanto
il sale quanto il ferro non trovansi a loro posto nel
fuoco, che è puro, casto, santo; e relative a questa
sono altre credenze : a) La catena del camino non
deve oscillare , che cosi oscillerebbero le teste dei \
morti, e se ne turberebbe il riposo; inoltre, dorrebbe >
d
ai'
— 14 —
*
i
<
t
?
il ventre ai giumenti che sono in istalla; e nella notte
il diavolo andrebbe per casa (Al.): b) La «pietra del
fulmine » , affinchè possa valere come potente tali-
smano , non deve esser tocca dal ferro. — « Pour se
procurer le feu nouveau , il y avait des rites qu 1 il
fallait scrupuleusemcnt observer. On devait surtout se
garder de se servir d' un caillou et le frappes avec le
ferre ». De C, Op. cil., pag. 22.
Non è indifferente alimentare il fuoco con qualsiasi
sorta di combustibile. Non si ha da mettervi il sambu-
co : legno maledetto, perchè a un sambuco si appiccò
Giuda; né il vischio, perchè la galline della casa ces-
serebbero dal fare le ova, se sféte (L.). — «Un' éjaìt
pas permìs d' alimenter le feu sacre avec tout sorte
de bois ; la religion distinguali, parmi les arbres , les
espèces qui pouvaient étre employées a cet usage et
celles dont il y avait impiété à se servir ». De C.,
Op. cit., pag. 2r.
Nella casa dov'è una puerpera, non si va per fuoco
fino a che il neonato non sìa battezzato.
io. Le scintille che schizzano quando i carboni o ì
tizzi sfavillano , quande lu fòche scrive , hanno varii
nomi:' Scrive, sm., Sgri&e (Ch.); Scrisse e SMftV, sm.
(G.); Vernice e Vernice, sf.; Vreciìe, sf. (Pese); Vru-
ciunijje, sf. (C. C.); Lucce (nel Teramano); Dira, Jura,
sf. (Aq.) ; Zecchine, sm. (L. e altrove); farinài (in
molti comuni della Marsica), "Parittde (Celi., C. s. A.).
Quest'ultimo nome molto espressivo di « Parenti fa
ripensare che, nella mente degli antichi nostri, Vesta,
/
Fuoco sacro, Lari, Penati, erano nomi e idee equivalenti. >
Se il fuoco sfavilla molto , è di buono augurio : è /
segno di provvidenza (Ch.).
ii. La fiamma brontola, i tizzi soffiano o cigolano ?
Qualcuno dice male della casa. Lo stridore dei tizzi e
il brontolio della fiamma sono la voce , T alito dei
maldicenti, che spira nel fuoco; e i presenti lanciano
subito qualche motto imprecativo: Cachèteve V iicchie ! \
(L.) : VaXt a 'nnèhe /, Va ad annegarti ! : Chi me nno- l
mene, ji se pò%( areterà' la lingue. (C. s. A.); e simili. ?
In questo solo caso, e in segno del massimo disprezzo,
si suole anche sputare nel fuoco.
Quando muore un cattivo arnese , o qualcuno da
cui si ricorda male, c'è chi, allargando la brace, suol
dire: Qua pò^a sta' ! (Pett.). i
12. Le pezze e le fasce dei neonati si ha da asciu-
garle preferibilmente al sole, spandendole sull* erba o
sulla fratta. Asciugarle al fuoco, come pure stenderle \
sulla ghiaia o sui sassi, non si deve, fuori che per \
necessità; perchè in tal caso produrrebbero bruciore
nella pelle dei bambini.
Similmente, le pezze o qualsiasi panno lino bagnato
del latte rigettato da un neonato , s* hanno ad asciu-
gare air aria o al sole. Rasciugati al fuoco , il seno
della nutrice si seccherebbe (Torr.). >
IV. (
« Le repas était T acte religieux par excellence. Le
Dieu y présidait. C était lui (le feu sacre) qui avait
*
- 16 -
ifbttfb
e*
cuit le pain et preparé les aliments : aussi lui devait-
on une prière au commencement et à la fin du re-
pas ». De C, Op. cit., pag. 24.
13. La tavola da pranzo, dai contadini di Gesso-
palena, latinamente, è chiamata la triènne. (Altrove, la
mése è il nome della madia).
Mentale, Mesale, Bangale, sono i nomi della coperta,
per lo più di lana , con cui per ornamento si copre
la tavola; e Mandile, sm. (lat. manlele) , dim. Man-
drìcchie, sf., quello della tovaglia.
Quando i contadini lavorano in campagna , man-
giano d'ordinario nel luogo stesso del lavoro, all' a-
perto; e, stesa la tovaglia per terra , gli uomini da
una parte, le donne e i ragazzi da un'altra, si sdra-
iano attorno, come già nei triclinii, l'uno tra le gambe
dell'altro. .
14. « I Romani, robusti e sobrii, facevano due pasti
al giorno, e. non quattro o anche cinque, cornei po-
poli settentrionali ... Il prandium aveva luogo verso il
mezzogiorno. Era una sorta di colazione , tanto fru-
gale che spesso facevasi in piedi. La coena si appa-
recchiava ultimate le faccende del giorno». Kopp-Mo-
reschi, Op. cit., pag. 50. Precisamente questo, anche
oggi , è il costume dei nostri contadini. Ma però , i
; due nomi di « pranzo » e di « cena » non sono punto
? del nostro uso popolare. Invece: Iti Magrtd 9 de la ma-
] fine, de la sére, il Desinare, la Cena; Ti mmagnd\ De-
) sina; Cena ; E jtf a mmagnà\ È andato a desinare, a
\ cenare. « Far colazione », Fa' 1 cuh{i6ne y ha per sino-
^
— 17 —
>c
£.
<
nimi: Sbéve e Sdijuna 1 . La Merenda, Merènne, dai più
volgari è detta Lembeme (L.), Limbèrne (Cam), ifew-
brènne (G.), Rembertnda (Pag.), Rembrènde (Pai.).
La minestra, in cui spesso consiste tutto il pasto, è
servita, tnenestrdte> in una grande scodella, va%(tje y sf.,
nella quale tutti mangiano.
Il vino , quando ce n' è , è contenuto in un fiasco
di legno a doghe, fiascóne, frascóne, o di terra cotta,
trùfele, truffele, in cui prima gli uomini, a cominciare
dal più anziano, poi le donne, successivamente be- \
vono.
15. Quando mangiano in casa, i contadini, prima >
di sedere a tavola, chiudono l'uscio di via ; e poiché (
questo, durante la giornata, suol essere sempre aperto, }
la chiusura vuol dire che la gente di casa, se non è (
assente , è a tavola. Se da fuori picchiano , è raro il
caso che aprano ; ma se s' insiste , o rispondono da
dentro , o qualcuno si fa alla finestra o anche alla /
porta, ma aprendola appena tanto da poter vedere chi
è fuori. E, anche in tempo di grandi faccende, man-
giano adagio, con una calma che ha del solenne, e \
in cui, se anche fossero affamati , è diffìcile scoprire ;
segni di avidità o d'ingordigia. Sogliono dire: Ouande ;i
se magne, rCn %e sta a ppatrone fighe nnigihne.
16. « Grazia di Dio » è ordinario sinonimo di «ali- ■)
mento », sia confezionato sia in forma greggia; e tutto •
ciò che è, atto a dar nutrimento è qualcosa di sacro. '
Ond'è che nello spezzare il pane si bada che non ca- ,
dano briciole per terra, che a calpestarle sarebbe pec-
— 18 —
^
>«.
cato, e nell'altro mondo si avrebbero a raccattare nghe
le perniale de //' ùccbic (Cli., T.). Cadendo del pane
di mano o dalla tavola, subito è raccolto, e, in segno
dì rispetto, baciato. Inoltre, in ogni pane si distingue
una superficie superiore, e un' altra inferiore, che ha
poggiato sul pavimento del forno. Se questa stesse
su, e l'altra sotto, direbbesi che il pane è capovolto;
e così non deve stare né sulla tavola né nella madia.
Posarlo a terra, sarebbe atto d'irriverenza; calpestarlo
a disegno, massima empietà. '
Se non è il caso di entrare in chiesa , di passare
avanti a un'immagine sacra o di salutare un signore,
i contadini non si scoprono mai; ma però, nel sedere
a mensa , prima di tutto si levano il cappello , né sì
ricoprono se non levati da tavola. Una volta , più
spesso di ora, molti usavano dì segnarsi e di baciare
la tavola prima di mangiare e dopo, nonché di mor-
morare qualche formula di ringraziamento, che raffer-
mava la religiosità dell' atto che si compiva. Ma , se
non con la parola, chi non ringrazia Dio almeno col
cuore ? Pure la ballin' arengra\ie Dd? ! (Nel bere, la
gallina ogni po' leva il becco in aria ; e ciò è inter-
pretato come segno di ringraziamento a Dio). Ed è
anche da notare che, durante il pasto contadinesco, il
silenzio è di regola ; e se pure si scambiano parole
tra i commensali, il chiacchierio non ha nulla di si-
mile a quello delle tavole civili.
17. Imbandita la tavola, s' ha da andare subito a
mangiare, e, finito il pasto, sparecchiare immani in enti:
,ru 3$
rfTTT
perchè gli angeli custodi, dacché la tovaglia è stesa,
assistono ginocchioni alla mensa, pregano e ci guar-
dano durante il pasto, e non possono levarsi fino a
che la tavola non sia sparecchiata. Se non si potesse
sparecchiare subito, basta, per segno , ripiegare sulla
tavola un lembo della tovaglia (Ar., S. E., T., C.s.A.,
Pese).
18. Bestemmiare, mentre si mangia, sarebbe empietà
doppia. Oltreché si ha davanti e tra mano « la grazia
di Dio » , stanne jf àngeV a tlavele (Pett.). Lu cchiit
^peccate gròss* è la bblastétrì a la tavele (C.s.A.).
Per la stessa ragione, rCn ^ à da nnumenà* « cosa
triste » (L.), non s à da nominare il diavolo.
V.
19. Quando un uomo esce di casa per andare lon-
tano e rimaner fuori molto tempo, una donna (la
moglie, la madre, la sorella) l'accompagna per qualche
miglio, portando in testa un paniere, 'na còscene, con
roba da mangiare. A un certo punto della strada,
fanno sosta, e seduti per terra mangiano insieme. Dopo
di che, ognuno va per la sua via. Tornata in dietro,
la donna, per otto giorni , si guarda dallo spazzare,
munnd\ la casa. Il contrario sarebbe di cattivo augu-
rio : perchè solamente quando ne esce un morto la
casa è spazzata e assettata al più presto (Pett.).
20. Altre credenze ed usi relativi alla casa e alla
economia domestica :
20 —
(
(
Battute le 21 ora, non si spazza la casaro* se mai,
le immondezze non s' ha da gettarle fuori , ma am-
montarle in un canto, s 9 a da 'ccurnicchià'; altrimenti,
( morrebbe il capo di casa (F.f.P.).
<> Spazzando dopo 1' avemmaria, nella notte andreb-
bero le streghe a ballare sulle immondezze (L., O.,
V., T.). Ma però, la casa dev'essere assettata; e ogni
buona madre di famiglia ha da farlo tutte. le sere a-
vanti di andare a letto; perchè la casa, come di giorno,
dev'essere in assetto per noi, così nelle notte per gli
spiriti buoni , che la visitano mentre dorrriiamo e ci
mandano il buon giorno (V.).
; Il pigionale , se non vuol fare cattivo augurio al
? padrone , ha da lasciare la casa non spazzata , per
> quanto sudicia dal tramenio dello sloggiamelo (L.,
\ O v Ch., V., T., S.).
' 21. Stando sulla soglia dell'uscio di casa, non sta
l bene allargare le braccia , toccando con le mani gli
> stipiti della porta. Quel darsi, cosi, la figura di una
< croce, significherebbe che questa dovesse entrare in
ì casa per la morte di qualcuno della famiglia. (O., S.
\ E., V.).
22. Tizzi trovati per via non si portano in casa;
) morrebbe il capo della famiglia (V., Ar.). Cfr. n.°-5.
( 23. Suonata Y avemmaria , né per prestito né per
altro motivo debbono uscir di casa il lievito o lo
staccio, se non vuol farsi cattivo augurio al padre di
> famiglia. Se in casa fossero bambini , andrebbero le
streghe a stregarli (O., S. E., V., Ar.). Ma però , il
— 21 —
ir
fatto non avrebbe conseguenze se quegli oggetti si
portassero coperti (T.).
24. Quando dal forno escono due pani appicciati,
vuol dire che a coppie nella raccolta verranno in casa
le some del grano (S. E.) : è ssigne de parendè^e , è
augurio di nozze (L.).
25. Se il romaiolo affonda da sé nclt' acqua della
cónca, forestieri sono per arrivare in casa (Ar., Pese.):
gli angeli sono andati a bere in quell 1 acqua (L., T.,
C.S.A., Pett.).
26. Hai a temere disgrazie se il lume ti cadrà di
mano, o se iti qualunque altro modo 1' olio si versa
per terra, specialmente se è un malato in casa o qual-
cuno della famiglia è morto da poco. E similmente,
se cadrà il sale. Invece, è di buono augurio' se si
versa del vino.
27. Il letto non ha da stare di contro all' uscio
della camera, in maniera die Ì piedi del giacente siano
in direzione di quello. Sarebbe di malo augurio, perchè
ì morti appunto si stendono coi piedi nella direzione
dell'uscio.
28. Guai alla donna che con la rocca entrasse fi-
lando nella casa in cui è un malato ! Toccare un rab-
per essa il minor male (T., S. V.). Per
1 da avere la discrezione di deporre la
:anza che precede la camera dov'è il m,i-
A.). Invece , la calza si può farla libe-
; sconocchiare a qualunque ora , anche
I tardissima, della sera die precede un d'i festivo,
> nnó, n'n arepóse le muori e (O.): le anime dei morti
> casa non potrebbero andare a messa il dì seguen
\ (L., G., V.): andrebbero i morti a terminare il lavoi
\ (L.): le streghe andrebbero ad arruffare il pennecch
I (ìb.): se nnó, la cunuccchie se 'ndumendisce, il penncccli
l affittirebbe (Pett.): se nnó, ce cache la vècchie (S.): e
> ìl d'i seguente fosse l'Epifania, la donna che non aves
j terminato il lavoro, 'in blinde de mòrte, se smaga
S (Pese).
/ La tela ungile (G.), giungile (Cs.A.), ossia legata
X licci con una corda — il che si fa quando lo stame
) in fine — non si ha da lasciarla cosi nella sera che pi
1 cede un dì festivo; morrebbe il capo di casa: andre
• ( bero le streghe a scompigliarla; e perciò s'ha da te
minarla.
jo. Stando in letto , si ha da serbare decenza ,
| soprattutto, guardarsi di starci nudo e scoperto: \
!> angeli custodi, disgustati, andrebbero via (L., V.).
( ji. Chi cambia quartiere suol ricevere !e vìsite de
j amici del quartiere in cui toma (L., S.).
\ 52. Casa fur' e ccas' arrenile , bbasle che n'n gè
\ mane che sse stiline. Ma se 1' oggetto smarrito non
; fosse verso di rinvenirlo, è d'uopo ricorrere al divi
( aiuto ; e prima ad essere invocata è S. Klena , san
l 'Léne, la quale rinvenne la croce di G. Cristo. Si
? tre Credo e i tre Pater che le si recitano vanno bei
; cioè senza interruzione, l'oggetto si ritroverà di cei
| (L., Aq.): terminata la preghiera, se si odono voc
i
VI.
^
cui si possa attribuire significato favorevole , quelle
sono de IV angele de la bbóna nove, che s. a Elena manda
per assicurare che la preghiera verrà esaudita.
Altri, in simile modo, si rivolgono a S. Antonio;
altri, alle « piaghe nascoste » di G. Cristo (Fr.); altri,
all'ombelico,, a In mijìcule, di G. Cristo (Ch.); altri a
s. a Anna.
33. Una donna che medita una cattiva azione; ha
un modo semplice per sapere se il disegno le riuscirà.
Quando è affatto sola in casa , si mette a mangiare <
una coppia d' ova al tegamino. Se in questo mentre
nessuno capita a sorprenderla in quell'atto, niciùne le
tòppe, le riuscirà il disegno; e al contrario (Ch.).
s
ì
34. « Casa », come si è detto, è anche sinonimo di \
« Famiglia » e di « Gente ». — « La gens (r*vog) etait v
la vraie famille ». De C, Op. cit., pag. né. — E, nel- \
l'uso volg., ha anche, nel vocativo, un significato par- \
ticolare: di « persona » forestiera di cui non si conosce }
il nome. Case de Langiane!, Ehi quell'uomo ! (di Lan- ?
ciano). <
Nei nostri contadi, fino a non molto addietro, fa- \
miglie quasi tribù erano frequenti. Ora, il caso è ra- \
rissimo; e i giovani, poiché la religione dell'avito fo- \
colare domestico è meno calda, e più precoce l'aspi-
razione a stato indipendente, pensano per tempo a
métte' cap* a vvivere. In cima ai loro desideri è di far
24 -
casa da sé, ammogliandosi. E la statistica, traducendo
in cifre questo fenomeno della nòstra vita sociale, ci
fa sapere che nell' Abruzzo il numero dei matrimoni
è superiore non solamente alla media del Regno, ma
a quella di tutte le altre Regioni italiane.
Nel comune linguaggio, anche qui il simbolismo del
Fuoco, come sinonimo di Casa, riappare; e suol dirsi,
per concludere alla necessità del matrimonio : Una
léne nen fa fòche, Un legno (un celibe) non fa, fuoco
(famiglia). E, alludendo ai travagli della vita: La mójje
V a' da pijjà\ pe l itene'* chi tassuche lu sudóre.
35. Qualcosa di notevole è nei nomi dei diversi
componenti della famiglia.
a) Il Capo di "casa , lu Cape de case (C.s.A. Ca-
pòcce), fig., è chiamato trave de case. Anche, Sedile di
botte: Cape de case, pòste de vascèlle, prov.
b) Il Nonno, in gener., lu Vècchie, Vjecchie, Vìe-
chie: tybre (L.), Qòre (C.s.A.), nel vocat., Qofió; Sire
(G.); Tata gròsse; Majure (M.); lìabbòcche (nella mon-
tagna teramana).
La Nonna, in gener., la Vècchie, Vjecchie, Vìcchie;
Nònne; Mamma grosse.
e) Il nome contadinesco di Padre è Tate, e nel
linguaggio fanciullesco, Tata. In città , comunemente,
Patre (L.).
Il nome della Madre , Mamme. Nelle case civili,
Mammà. Specialmente nel nominare il Padre, la Ma-
dre, il Nonno, si suole sopprimere il pronome poss.:
Tate, Patre, mio padre; Mamme, mia madre, ecc.; ma
— 25 —
1
se si esprime, in i. a e 2.® pers. sing., è sempre suf-
fisso, i
d) Indicando ad altri il proprio marito, la donna ',
volgare dice 'Maritane; e non di rado, /' Ùntene me, \
il mi' omo, e Esse, Lui; come, nel nominar la moglie, \
senti dal marito: Mójjeme; e, dai più volgari, Esse; la t
Patròne, e la Patròna mè\ <
e) In molti comuni (Borr., Torr., O., V.) , dai !
più volgari, Famijje è usato come sinonimo di Figlio.
Tè* cinghe — $ ha cinque figli. P' alleva le — , per alle-
vare i figli. (Cfr. lat. FiliuS'familias) .
f) Frate, fratello — Sóre, sorella — Zije e , meno
com., Zijdne, Zio, Zia; ed anche titolo che, in segno ]
di rispetto, si dà a chi è più innanzi negli anni ([an]- [
ziano). In questo secondo caso , in L., anche Qiòre >
(signore, seniore). j
g) Il celibe, o la nubile, anche avanti negli anni, \
ha il titolo di gióvene. E ggiòvene, È celibe; È nubile. I
h) Nome generico di neonato, o di bambino in s
fasce, e anche di fanciullo, Crijalurc , e anche Gitele. )
Dei più grandetti, Qtele, Cìttele, Citte (senese: Gito).
Fra i nomi vezzegg., Cicilte, Cicèlle, Cosarèlle, Varyjje,
Farcite (nel Cicolano); Caròcce (T.). Tra gli spregia- K .
tivi: Fetale (C. C), Frechine (T.); Mammòcce. \
Inoltre, nomi generici di Fanciullo, Ragazzo: Qua- )
frale, Quatrane ; Hardasce; Fandèlle (T.) ; e, in senso [
che ha dello spregiativo, Scacchiate. [Nel nostro uso, \
Cacchie vale Germoglio, Pollone ; e quindi, Scaccine,
staccare dal fusto un germoglio. Il bambino sarebbe s
— 26 —
quasi un pollone staccato dall'albero che lo produs:
« Trovandosi la credenza degli uomini nati dagli i
beri particolarmente diffusa nell' Alta Italia , sareb
forse il caso di supporre che essa provenga dalla Gì
mania; ma rimangono parecchie testimonianze di a
tori greci e latini, i quali ci mostrano 1' antichità
j questa tradizione sopra il suolo italiano. Presso Esiod
\ il padre Zeus crea gli uomini dai frassini... Presso l'i
> dell'Eneide, Virgilio ci parla di aborìgeni nati t
\ tronchi e dalla dura rovere.... ». De Gubernàtis, I
{ natalizi, pag. 124].
j i) Sarebbe curioso seguir la vicenda dei no
> propri di persona nei diversi tempi. Negli antichi pr<
; tocolli notarili se ne leggono molti ora affatto cadi
, di uso. Per saggio , dai registri parrocchiali di La
i ciano, del 173S , traggo alcuni nomi di donna, og
1 quasi tutti disusati: Laurcnzia, Laureta, Leandri, An
stasia, Casilda, Celidonia, Lucilla, Dea, Urania, Marzi
Ermenegilda, Desiata, Cornelia, Lucrezia, Eufrosin
, Innocenzia, Claudia, Faustina, Venere, Vènob, Porz :
> Cassandra, Lavinia, Berenice, Ippolita, Patrizia, Epif
5 nia, Córdola, Virgilia, Diega, Daria, VitilÌ3, Dionlsi
J Diana, Febronia, Agricola, Cinzia, Navilia , Adrian
J Domitìlda, Romilia, Delfina, Flora, Fiora, Leucadi
< Fabia, Concordia, Lelia, Deodata, ecc.
VII.
J jé. Alcuni proverbi relativi alla casa, all' econom
' domestica e al vicinato — Sono, quando non è alti
, nella parlata lancianese ; ma , salvo le
:tali, comuni a tutto l'Abruzzo.
tirèlle, la mi' t la cchiù bbèlle. E
, casarèlle , sèmbre la me" é la cchiù
etir' a fa lèche si'. (Lbche, Luogo: Casa;
si, vngnune fa quelle che jje par' a èsse. E
f rri, ala casa sé' (G.):
alle cani' a fa pollare si" :
• e PP'fì e ciitt^ijje; arrtndr' a la cas', e fa'
•eia cas' addò se pari' assd !
sic) de la casa le" rìn de mena bufare
e ccepóll' a la casa sé', che ppiqra dòvee
de II' èvetre.
I' arriggia (spazzatura, immondezze) mi',
jc de lì iddre (T.).
cas' è In paradise de sta mònne,
pale,' mòrta preparate. (Spesso, quando si
ere il frutto del proprio lavoro, sì muore).
de còpre; tèrre, quandi scopre. E
;' cquande cape ; camhagne , pe' cqnande
t, rròbba atmbòste. E
•ti', e rròbb' assiije.
lite, fimmen' adattóse (Pett.)-
atte, /immetta 'ngignàuse (V.).
s §
Casa strétte, fèmmena ''stute (G.).
Casa strétte, fèmmeri ar ideiate (Pai.).
Vale cchiù 'na casa scupuàte (spazzata), che 'nu fuse
filiate (filato — P.zo). E
La pule^ìje, sòl 9 a la saccòcce riti é bbóne.
Se vvu le pagnotte 'russe, fatte lu pari a la case.
Chi sa fa' fòche, sa fa case. E
Chi vo' manna' la cas' a ppicche, métte le léne pe'
rritte.
Casa 'narrate, ma' huèrr' à menate. E
Casa sèrre (o, 'n%èrre), no minine huèrre (C. C).
Chiave da jór\ e mmartine da dindre :
Chiave 'n génd', e mmartine davèndre (Ton\):
Quande se magri, e cquande se dònne , chiude la
porte.
Cari e ccafóne, nen ghinde ma' pur tane:
Cane , vellari e ffijje de pòrche , nen ghinde ma'
pòrte.
Casa serrate, fa bbóne vicenate (C. C).
Case nghe ddu pòrte, lu diavele se le porte.
Casa 'm biane, ce éndre lupe, hatt' e ccane. E
Casa 'w bian derrine, ce pisce pure le balline
(C. s. A.).
Chi vo' la casa nétte, ggènde d' avetre nen gè métte
(o, nen g -*- ammétte).
Halliri e ppersone de serviate, spòrche le case.
Chi me vo' bbéne, 9 n gasa me véne (viene).
Quande pióv' e mmale tèmbe fa , 9 n gasa d' èvetre é
mmale sta'.
Jì
- 29 -
Casa fur' e ccas* arrènne, bbaste che riti gè sia mane
che sse stènne (G.).
Quande mane riti ye stènne, la cas' 1 arrènne:
La cas* annascónne, ma rin arróbbe (O.). * >
Casa nave, hi prirri anri a le cane; hi secónd* a lu
nemmiche; lu tèr£ anri a V amiche; lu quai ? anri a lu
patròne.
Casa nòve, chi rin gè pòrte rin gè trave.
A ccasa vecchie, rin gè manghe ma' surge.
A ccasa fatte , rin %e pahe manghe V acque (Del
comprare).
Sparìe palaie, devènde condóne.
Fucine me, sprécchie me — {spricchiale me. V.).
Quande la parènde V a sapute, la veciri a currutc.
Chi te ju mmale vecine, te ju cattive inaline, e jji
.v' arróbbene le balline (P.zo).
Chi te sperante de la vecine, mmaje cucine (P.zo).
Chi tè' la spran^e de la vecine, se cóleche murmu-
rènne (S. E.).
Chi vó* 'ngannà i% lu vecine, prèste la sir* e pprèste
la piatine.
Chi se sparagne lu sóle, se sfrusce V ójje.
Chi cagne case lu vennardx, rin arriv a lu luneddì.
Usi nuziali.
i. L'estetica dell'amore si può raccogliere dai canti.
Qui prosasticamente, si farà nota dei diversi atti che,
movendo dall'amore, ed esplicandolo in forme sempre
30 —
n-
più concrete, riescono al coniugio. Inoltre, delle cre-
denze, degli usi e dei costumi relativi al medesimo.
\ 2. Le conoscenze, nei piccoli comuni , si fanno a-
> gevolmente e di lunga mano; e quando l'età ha ma-
turata la reciproca propensione tra due individui di
sesso diverso, le manifestazioni di affetto hanno facile
modo. La fontana , e la via che ad essa mena ; la
chiesa; i campi, nei quali si lavora insieme; l'aia o la
stanza terrena, dove, nelle sere di autunno, si scar-
toccia, sogliono essere il teatro dei primi amori, col
solito crescendo degli sguardi , dei saluti , dei canti,
delle dichiarazioni esplicite.
3. Quando il sentimento dell'amore comincia a vi-
brare nel cuore della . giovane , quasi che la natura
fosse depositaria del suo segreto, e fattrice del vincolo
che di due anime fa una sola, ella chiede alla natura
la rivelazione dei mistero, e da diversi segui crede di
intenderne il linguaggio.
Ved. neir Epifania e nel s. Giovanni. — Inoltre ,
nella mattina di s. Valentino, 14 febb., le ragazze,
dopo lavata la faccia, buttano l'acqua sulla strada, di-
cendo: Sande Valendine,f anime vede" qua! a sòrte me esce
starnatine, e stanno a spiare chi passa primo su quel
fradicio, per argomentarne la qualità dello sposo (Ch.).
Nunzia di amore è la « coccinella ». Ved. nei Canti ',
n.° io.
Dando un soffio ai pappi delle cardacee, le giova-
1 'i
Tradizioni popolari abruzzesi, voi. IL
- 31 —
nette ne seguono con lo sguardo la direzione, per ]
arguirne il luogo dov' è il giovane che chiederà di $
loro (Aq.).
Aggomitolata dell' erba, e tenutala prima in bocca
e poi in petto , guardano poi se si svolpe presto o
lentamente. Se presto, saranno amate e davvero; al
contrario, l'amore sarà tiepido o finto (Ci.).
Canda la trùvele casche, lu spóse passe (C.s.A.J. Quando,
nel tessere, casca la spola, una ragazza non deve tras-
curare di farsi alla finestra o all' uscio per vedere o
avere indizio del futuro sposo.
4. Tra i popolani, di regola, il matrimonio non è
una caccia alla dote. Quando P età è più fervida , il
fiore sente di dover portare il frutto. Lu bbèlle fa'
V amor* a le vind' anne ! Bbellè^e nghe bbellè^e se cuti-
fanne. Ed è rarissimo che , di parecchi fratelli , uno
solo si ammogli , e gli altri , per non dividere il pa-
trimonio domestico, rimangano celibi.
Le qualità fisiche e i pregi morali della donna sono
soprattutto ricercati; e i genitori non trascurano mai
d' inculcare che la giovane sia valida , onesta e « di
casa »; perchè dicono: La fémmene rCn a da purtà\ ma
ha da vale 9 cinde ducate. E : La dònn' d da tene* le
dòdi" e nno la dote. E ancora : Pijje chi le vale , nnó
echi le pòrte. — La fammene che sse marète, ha da purtà'
la dòC a le mane (C.s.A.). « Una donna era da molto
in letto per grave infermità. Intanto, il figliolo , che
era 11 11 per prender moglie, aveva fatta la sua scelta.
La giovane va a visitare la futura suocera. Doman-
— 32 —
pU
dato alla vecchia come andava la salute, e fatte altre
due chiacchiere , va via. La donna disse al figliolo :
« Quella non fa per te. Non è di casa ». Il giovane
ne sceglie un'altra; ma su per giù, come l'altra; e la
madre trovò a notare lo stesso. Il figlio , sceglie e
sceglie ancora. L'ultima, che fu la nona, va a visitare
la vecchia ; e, dopo salutatala , e chiesto della salute,
fece : « Poverina ! Siete in letto , e non potete far
nulla per casa ». Senza sprecar tempo a cicalare,
spazza, assetta, cucina; poi, pettinata la vecchia, va via.
— Questa fu la prescelta » (G.).
5. La formale richiesta della giovane ai genitori è,
in alcuni luoghi, preceduta da qualche rito per assi-
curare che la domanda sia bene accolta.
Le seguenti due usanze, ora in decadenza, pratica-
vansi, fino a non molto fa , piuttosto con frequenza.
a) Lo sposo metteva nella notte un ciocco adorno di
nastri presso l'uscio di casa della giovane. Nella mat-
tina, uno dei genitori della giovane domandava ai vi-
cini : Chi ha 'ndicchiate la fijja me ? (Se, 'ngeppale).
Non mancava qualcuno, incaricato dal giovane, a farne
il nome. Se il ceppo era tirato dentro l'uscio, signi- {
ficava che la proposta era gradita; e al contrario, se
il ceppo era lasciato lì (Tom. , Gamb., P.zo , Se).
b) Sradicata una pianta di ciliegio con le frutta , il
giovane nella notte, va a f piantarlo accanto all'uscio di
via della giovane, e resta lì fino all'alba, a guardia del-
l'albero. Se la richiesta è gradita, l'albero rimane li ad
ornamento; al contrario è buttato giù per terra (Tom.).
— 33 —
Tuttora in uso è P ambasceria « della torcia ». In
una delle feste principali del paese, dopo 1' evangelo,
il celebrante, che è P arciprete, insieme con gli assi-
stenti , va a sedere presso la balaustrata delP altare
maggiore, rivolto al popolo, mentre la musica suona
allegramente. Allora , due persone addette al servizio
della chiesa o della festa, ciascuna con una torcia a-
dorna di nastri rossi, comincia a fare il giro della
chiesa. Il giovane che vuol mandare l'imbasciata, toc-
cata la mano all'un dei due, sussurra all'orecchio del
medesimo il nome della giovane del cui consenso è
sicuro; e quegli, facendosi via tra la folla, va alla sua
volta a sussurrare il nome del giovane all' orecchio
della giovane designata. Se, come suole , questa gra-
disce il suo amore, esprime l'accettazione con un pu-
dico sorriso ; al contrario , respinge P imbasciatore
(Tom.). [Nel nostro uso comune, Tene* la tòrce, Reg-
gere il lume, è anche un modo che ricorda la « teda
nuziale »].
6. Se la richiesta di matrimonio (fatta da In 'mba-
sciatòré) è accolta dai genitori, la prima visita che fa
lo sposo alla sposa ha qualcosa di solenne, perchè il
giovane suol essere accompagnato dai suoi più intimi
parenti, e agi' intervenuti sono offerti, secondo le fa- \
colta della casa, dolci, vino, o una cena o un desi-
nare, s
Questa prima visita ^ndtalure , sf. A.) , in G., più !
che una semplice cerimonia, ha il valore di un rito,
che consacra la fatta promessa. Il giovane presenta
— 34-
ani
alla giovane un anello. Métte' V aniile è quanto dire:
a Fare la prima visita » , nella quale si sanziona la
promessa, ossia « Sposarsi ». Dopo di ciò, non riman-
gono se non le formalità del rito religioso e civile. —
« Precedeva il matrimonio una formale promessa (spon-
salìa, da spandere), nella quale lo sposo, come pegno
della sua fede, offriva alla fidanzata un anello».
Kopp, Amichila romane, pag. 98.
7. La giovane è ben raro che osi contrariare la
volontà dei genitori sul suo collocamento. Ma se il
suo cuore fosse già preso da altro affetto, e gli sforzi
per rifiutare il partito proposto non riuscissero , in
molti luoghi di Abruzzo, ma specialmente in Lanciano
e nei vicini comuni, 4a questione si risolve dagli sposi
facilmente: con una fuga (nghe la scappa'). E bisogna
pur dire che, alle volte, lo sposo concerta una fuga,
per sottrarsi al dispendio della festa di nozze; perchè,
dopo quel fatto compiuto, il matrimonio si fa quasi
alla chetichella, senza apparato di sorta.
8. Invece, quando il giovane, rifiutato dalla giovane
e dai suoi genitori, non desiste dal proposito, alcune
volte, per mandarlo ad effetto , ricorre alla violenza.
E di questa , le forme sono varie. Non infrequente,
tra i più plebei, è il ratto. In alcuni comunelli , non
mancano audaci che, in pubblico, o baciano la giovane,
o le strappano il fazzoletto con cui si copre il capo, o
le mozzano una ciocca di capelli. E sono questi degli :
atti di massimo sfregio , che spesso sono pagati col <
sangue. Altri, meno arditi, ricorrono alle fattucchierie.
9- Fatta la promessa (mésse la 'nelle. G.) , il fidan-
zato è accolto nella casa della sposa , quasi fosse un
parente. Oltre a visitare, e andare a veglia, specie il
sabato a sera, va ad aiutare nei lavori campestri.
io. Oltre ai doni di valore, che il fidanzato fa alla
sposa, questa ne riceve e da lui e dai più intimi pa-
renti e amici, a semplice dimostrazione di affetto, in
diverse occasioni.
3 Febbraio, s. Biagio : dono di una ciambella (ta-
rulle; prima, piccellate, buccellato), che la sposa, nella
Pasqua, ricambia con un cuore, core; i.° Settembre, s.
Egidio : un panierino , cestarèlle, sf., di frutta e fiori ;
i.° Novembre, Tutti i morti: stiacciata con acciughe,
PKK? n $e le sardelle; 6 Dicembre, s. Nicola: castagne;
13 Dicembre, s. a Lucia: un veggio, scaldine, e casta-
gne (L.).
Inoltre, nelle varie stagioni, le primizie dei campi.
Il dono di alcuni arnesi, come forbici, agorai, col-
tellini , è ordinario (L., G., C.s.A.). Ma però , se la
sposa non fosse una ragazza di primo sboccio, il dono
sarebbe di cattivo augurio; e la donna che sa se , lo
rifiuta (V.). — In altri luoghi, il donare alla sposa ar-
nesi taglienti sarebbe di cattivo augurio — segno di
liti. T. — (S. E., F.f.R).
11. Durante il tempo degli amori, i contadini so-
gliono portar serenate alle loro belle, jt a ccandi' a
la spóse. In V. il canto è accompagnato dalla corna-
musa (scupine); in L. dal violino e dalla chitarra; in
Car. dal colascione e dal cembalo; in molti altri luo-
-36-
r*
ghi , le voci non hanno accompagnamento di stru-
menti.
I canti sono sempre qualcosa d'imparaticcio. Carat-
teristiche e schiettamente popolari, sogliono essere le
« partenze »: un distico che si aggiunge, come finale*
alla strofa. P. e. :
Quéste le cande sótt' a 'nu péde de ggijje :
BbÓLi' e Ja case; cchiù bbón' é la fijje. (L.).
De bbóna sére te ne lasse tande
Pe* cquanda frónne trétteche lu uènde (Car.).
A siffatte « partenze » si fissa 1' attenzione di coloro
che da vicino o da lontano stanno ad ascoltare ; e
senti : Ècche , mó > ve la partente ! Oh ceke bbèlla par-
tfin^ à fati 1 a cchela ggióvine ! (L.).
12. Dopo che se ne sono detti in chiesa, dbppe
sgredaf a la cchièse : d'ut* a la e chiese: ditte 'n %ènde,
il giorno degli sponsali segue al più presto.
Qualche giorno prima, è fatto l'assegno della dote,
le capìtre, L., la quale, nella più dei casi, consiste nel
corredo della sposa, nel letto nuziale , e in arredi di
uso domestico. (Nei nostri protocolli notarili antichi,
può, chi ne ha vaghezza, leggere le descrizioni delle
doti, fatte d'ordinario coi vocaboli vernacoli correnti
nei diversi tempi. In alcuni, vedesi che parte del cor-
redo era altresì tutto ciò che la sposa indossava nel
momento dell' assegno. 11 che si esprimeva in queste
maniere curiose : In primis , detta Saveria %ita calcata
e vestita come si trova (M. 1632): In primis, la donna
calcata e vestita come si trova (V. 1735).
~ 57 -
A
Quando si assegna la dote , se è il caso di dover
spiegare qualche oggetto del corredo, non s'ha poi da
ripiegare nella casa stessa della sposa ; ma bensì in
quella dello sposo; che, a! contrario, sarebbe di cat-
tivo augurio per la sposa: che morrebbe presto: che
va di mala voglia a nozze (G.).
Se il corredo di letto è spiegato , una muM , *na
mutande, dev'essere ripiegata dallo sposo.
13. Nella sera che precede il di delle nozze, in
molti luoghi lo sposo , con un coro di cantori e di
sonatori, va a portare una serenata, detta la partente,
sotto la finestra della sposa.
In Casacanditella e comuni vicini , lo sposo , finita
la musica, picchia all' uscio di via della sposa. Qual-
cuno di coloro che sono dentro , domanda : « Chi è
là ? » — « Un povero viandante che vuol ricetto. » —
«Non c'è da ricettare alcuno; andate con Dio». Lo
sposto insiste. — « Se vuoi ricetto, hai da darmi una
forma di cacio ». — Lo sposo, per via dell'uscio aperto
un taniino , dà il cacio. Presa la forma , quei che è
dentro comincia sofisticare : che quella forma è pic-
cola, storta, sudicia ecc. ; e che ce ne vuole almeno
un' altra. Poi , che il solo cacio non basta ; e vuole
anche un coscetto di agnello. Per finire il piato , lo
sposo minaccia di entrare con la violenza ; e si fa
mostra di resistere. In fine, lo sposo, in compagnia
del padre, e seguito dai musici, entra, saluta la sposa ;
e i parenti , e tutti siedono alla tavola già imban- ,;
dita. >
imi
- 38-
Delle tante varianti delle « partenze », diamo quella
della stessa Casacanditella:
Signóra spós', accungete li panne,
Ca ha vinute i' óre de la partenze.
Signóra spóse, licìnziete nghe 'ssa ffenèstre,
Pe' cquanda vote ci si cacciate la tèste.
Signóra spóse licìnziete nghe 'ssa candine,
Pe 1 cquanda vote ci si cacciate lu vine.
Signóra spòse, lfcìnziete nghe 'ssu capescale,
Pe' cquanda vote ci si fatte lu sajj' e ccale.
Signóra spóse, licìnziete nghe 'ssu fuculare,
Pe' cquanda vote ci si cucenate.
Signóra spós', arcummànnet' a ssande Dunate:
Stasére durme sòl', e dduman' accumbagnate.
Signóra spós', arcummànnet' a ssande Salvatore:
'Na nianinV e 'nu patre liss', e 'na mamm' e 'nu patre tróve.
Orche perdón' a ttutte lu vicenate,
Ca nin zi state 'na fìjjóla 'ngrate. Ecc.
14. La mattina del di delle nozze, lo sposo e i pa-
renti vanno a casa della sposa. In quel momento,
T uscio è chiuso. Si picchia, e nessuno si fa vivo da
dentro. In ultimo, si tenta di forzare l'imposta. Allora,
si fanno alle finestre i parenti della sposa e fanno le
viste di respingere i venuti, scagliando confetti e anche
aranci. La zuffa, più o meno a lungo, s'impegna dalle
due parti ; finché lo sposo dà la scalata. Entrato , va
ad aprire l'uscio di via; entrano i parenti, e in mezzo
a grida trionfali e di gioia, abbracci e baci tra i ve-
nuti e trovati. — L'usanza non è generale, ma tuttora
viva tra il popolino (A., Bucc). Cfr. n. 13 e 18. —
« A Sparta la cerimonia nuziale era un vero rapimento,
— 39 —
che lo sposo faceva d'accordo coi parenti; e Dionigi
d'AIicarnasso chiama quest'uso greco ed aulico. Nel rito
romano, ai tempi di Catullo, il marito fingeva di ra-
pire dalle braccia della madre la sposa. La stessa fin-
zione nelP uso nuziale sardo; a Casalvieri, neh" Arpi-
nate... nell'uso turanico: nell'Ungheria, nella Turchia: '
presso i finni...». De Gubernatis, Usi nuziali, pag. iSr. <
Nello stesso comune, vige quest'altra usanza: Nel- )
Y andare a prendere la sposa, lo sposo, all' uscio di {
casa , deve offrire al padre della giovane una ciam- \
bella, laralle, una forma di cacio, una gallina e un 5
fiasco di vino. Se non andasse fornito di tali oggetti, <
non è lasciato passare, finche non torni da casa coi J
medesimi. Cfr. n. 25 f) e n. 29. — « Nell'odierna Italia, ?
il contado di Atri mi sembra conservare traccie del- 5
1' uso di comprar la sposa dal capo di famiglia ; il \
quale non lascia menar via la figlia, se prima non gli )
vengano consegnati in dono uno o più polli ». De j
Gumrnatis, Op. cit., pag. 126. — « Les familles pie- \
beienncs ne pratiquaient pas le mariage sacre... Nulle j
formalità civile ni religieuse n' était accomplie... C é- \
tait un sìtuation qui ne pouvait plus durer... On eut j
recours, comme pour le testament, à une vente fic- J
tive. La femmc fut achetée par le mari (coemptio); dès j
lors elle fut reconnue en droit comme faisant panie \
de sì propriété (famìlìa), elle (ut dans sa mairi, et eut ';
rang de filie a son regard , absolument comme si la \
cirimonie religieuse evait été accomplie ». De C, Op. j
cit., pag. 368. \
w
e 3
15. Sposare, Sposalizio, Anello nuziale, hanno co-
munemente presso di noi gli equivalenti di %Affedà\
Affide, Fède, sf.
Specialmente nei piccoli comuni, il rito religioso va,
di regola , congiunto con quello civile, e lo precede.
Nell'andare a sposare in chiesa, la sposa va a capo
del corteo; a sinistra ha il compare, a destra la co-
mare (la camberlénghe. L., lat. pronuba) ; ed è seguita
immediatamente dai suoi parenti. Invece, nell'uscir di
chiesa, è seguita dai parenti dello sposo.
Il padre e la madre, non fanno mai parte del cor-
teo, sia nell'andare in chiesa, sia nell'uffizio municipale.
In C.s.A. , il padre accompagna la figlia tanto a
chiesa che alla casa municipale. La madre non esce
di casa, prima dell'ottavo giorno dal matrimonio, se
non per accompagnare la figlia a messa.
Durante il tragitto del corteo dalla chiesa alla casa,
in molti piccoli comuni, lo sposo e i suoi più stretti
parenti, che ne han piene le tasche, gettano alla folla
confetti a più riprese. In S.E., i monelli, per invitare
a gettare, gridano: Carmine, carvune ! (« carboni, car-
boni ». Spiegano: Rimanendo in tasca, diventino car-
boni !).
Spari, più o meno fragorosi e protratti, accompa-
gnano il corteo, e ad intervalli si ripetono durante
il pranzo di nozze.
16. L'abbigliamento della sposa popolana non è
mai di bianco , né è usato il velo. La giovane suol
vestire il migliore abito donatole dai genitori, e or-
— 41 —
a
narsi degli oggetti d' oro regalatile dallo sposo. In
molti luoghi, si orna altresì di una corona di fiori.
17. Durante la messa e la benedizione nuziale , se
cadesse qualcuna delle candele che ardono nell'altare,
sarebbe augurio buono — come in tutti i casi che da
Dio e dai santi si chiede qualche grazia (Ch.).
Inginocchiandosi all' altare , nel momento della be-
nedizione, lo sposo deve poggiare un ginocchio sopra
una piega della veste della sposa (L., Car., e altrove):
—Se lo sposo trascurasse di fare quest'atto, il sagre-
stano non mancherebbe di avvertirlo che si « sbaglia »
(Av.): — È la sposa che stende un lembo del suo grem-
biule sotto il ginocchio dello sposo in segno di fe-
deltà e soggezione (C.fr.) : — Lo sposo, col premere
un lembo del grembiule della sposa, la lega a sé per
modo che non possa amare altri (Ch.). È come una
malia innestata a un sacramento; e perciò alcuni cu-
rati, che sanno il gioco , avvedendosene , riprendono
lo sposo dell'atto e della intenzione profana.
18. Nel partire dalla casa paterna la sposa, con lo
sposo a fianco , s' inginocchia innanzi ai genitori per
averne la benedizione. Questi sono seduti su due seg-
giole, poste sulla cappa dello sposo stesa sul pavi-
mento (Se lo sposo non V avesse , ha da portare da
casa sua una coperta per la cerimonia). Dopo che gli
sposi hanno baciato ai genitori il piede, il ginocchio
e la mano, ne hanno , coi più affettuosi consigli , ri-
cordi ed auguri, la benedizione, soffocata dalle lacrime
e suggellata da abbracci e baci; e nel dividersi: Lasse
— 42 —
In vìfie de la casa tè\ e ppijje quelle de la cas y addò
vaje! — Tu^a purtà* la pac -/- a cchela case! — Pu^a
truvd' land' amóre pe' cquande te rC à valute patref e
mmàmmele l (L.).
Né il padre né la madre sogliono accompagnare la
figliuola che va a casa dello sposo. — Ved. n.° 15. —
In V., si. Le sorelline della sposa, se ce n' è, prece-
dono il corteo; le sorelle nubili rimangono in casa.
19. In molti luoghi, il corteo suol essere preceduto
da musiche : chitarra , violino , flauto (C.s.A. e com.
vie), e salutato da spari più o meno protratti e fra-
gorosi. Durante il tragitto , il solito getto di confetti
alla folla. Nei matrimoni degli agiati , si getta anche
danaro.
La sposa, a capo del corteo, ha lo sposo a destra
e a sinistra il « compare » , che le dà il braccio. Il
compare si suole scegliere fuori la parentela, e spesso,
oltre ad essere amico di famiglia , è un notabile del
paese.
In alcuni luoghi, oltre alla corona di fiori, la sposa
porta una corona di argento , che per pochi soldi si
prende in prestito da qualche chiesa; ed è quella por-
tata da una immagine sacra di Madonna o di santa.
La corona d 1 argento può essere portata dalla sposa
fino al tramonto del sole. Se il corteo fosse per via
ì mentre il sole tramonta, la corona di argento è tolta
? ( in quel momento. Invece, la corona di fiori resta in
capo della sposa fino a che non entra in camera per
dormire (Ce).
Sila
- 43 -
W 1
20. In Ari , detta la messa , e fatta la benedizione
nuziale, il corteo si avvia alla casa dello sposo, e pro-
cede in ordine fino a un certo punto. Ma , giunti a
un crocicchio o allo sbocco di una via laterale, co-
mincia una colluttazione. I parenti della sposa fanno
le viste di rimenar questa in casa sua , prendendola
pel braccio destro. Il compare, che tiene il sinistro,
lo sposo e i suoi parenti si oppongono, e ha luogo
un parapiglia, che a volte diviene cosa seria , perchè
si dà bene il caso che, nell'abbaruffio, la sposa, tirata
di qua, spinta di là, si stracolli un braccio, e i con-
tendenti si arrivino con pugni e ceffoni. Questa zuffa
ha il nome speciale di struscine; dopo del quale, come
nulla fosse stato, il corteo ripiglia il corso per la casa
dello sposo.
21. A Car., una ragazza, che segue immediatamente
la sposa, porta in mano un paniere , palmendiere, nel
quale sono gli oggetti che dalla sposa saranno donati
ai parenti dello sposo.
Nel comune istesso, lo sposo porta la seggiola della
sposa.
22. Vige tuttavia, in molti piccoli comuni, l'usanza
di opporre impedimenti l al corteo , specialmente se
la sposa va fuori del comune, ovvero se da fuori vi
arriva, o se vi è soltanto di passaggio. Siffatti impe-
dimenti, nei vari luoghi, hanno diversi nomi: Fettucce,
fettuccia, nastro (Av., Cel.); Fasce, fascia (O.); Caténe,
1 Tose. « Far serraglio ».
44 —
catena (Pai.); Fratte , fratta (nel Vastese) ; 'Ndravate,
« intravata » (Car.); Apparate, parata (Pett.); la y mbare y
impedimento (Alf.). Due persone, tendono un nastro,
una fascia, qualche volta una corda, per impedire che
il corteo proceda; e non smettono se non quando lo
sposo. regala agPimpeditori confetti o danaro. Nel Va-
stese, se un corteo forestiere passa pel paese, sogliono
anche mettere degli sterpi sulla via, per sbarrarla; ov-
vero, più persone, tenendosi per mano, in catena, im-
pediscono il passo finche non ricevono regali. In Av.,
le fittucce si tendono solamente allorché una giovane
va a marito fuori del paese, quasi per impedirne l'al-
lontanamento; e dopo una prova, altre ed altre, finché
il corteo non giunga alle porte della città.
23. Nella campagna, quando il corteo si avvicina
alla casa maritale, le più prossime parenti dello sposo
vanno a incontrare la sposa, offrendole ciascuna una
rocca inconocchiata (L.).
24. Se piove sul corteo, vuol dire che la sposa è
lecchine, golosa, leccona. Onde, per ischerzo, a una
ragazza che prende dal tegame e mangia, si suol dire:
Piòve quande spase ! (L.). E, quando sul corteo piove,
alludendo alla sposa : Cand* a fatte la pulènd', a lec-
cate In lapijje (V.).
25. All'arrivo del corteo, i genitori dello sposo si
lasciano trovare all'uscio di casa: a) La sposa, ingi-
nocchiata , bacia i piedi della suocera ; la quale , nel
rialzarla, la bacia e le dice: Pu^a purlà* la palme de
la pac -i- a la casa mè\ e ite puigo, bude 'sta fijje nghe
- 45 -
v 9
f na bbóna salute l (Ce, A.): b) La sposa, inginocchiata,
bacia le mani ai genitori dello sposo, i quali, nel rial-
zarla e baciarla, le dicono commossi: Che puo^a èsse*
9 na bbóna fijjeh e) La madre dello sposo, all'uscio di
casa, riceve la sposa tenendo in mano un pugno di
confetti. Presone uno , e mettendolo in bocca della
sposa, esclama: Putf tue dblge cóme 'stu cumbètte!
(F.f.P.) : d) La suocera , dopo aver fatto imboccare
alla nuora un cucchiaino di confetti, la prende per le
mani, e la fa entrare di salto in casa, senza toccare
la soglia (Cel.) : e) La sposa ha da scumbassd 1 ', acca-
valcare, la soglia dell' uscio di casa dello sposo; ma
non tutte badano a farlo (Ch.): f) Il corteo si ferma
avanti l'uscio della casa maritale, dov'è la madre dello
sposo. Allora, il padre della sposa (o, se questa non
Tha più, il fratello o altro prossimo parente), prende
sotto braccio la figlia, e dice alla suocera: « Se ho da
darti mia figlia, che cosa dai tu a me? ». Quella va
a prendere un piatto, coperto da un altro piatto, in
cui è qualcosa da mangiare. Il padre della sposa non
se ne contenta, e chiede altro. La suocera va a pren-
dere una resta, grèsta, d' agli ; poi , degli « uccelli di
massa », specie di dolciume casalingo ; poi, una bot-
tiglia di vino; e intanto, la folla ride, applaude e dà
segni di gioia. Infine, la donna torna con un paio di
galline o di capponi, con un tacchino, di che il padre
della sposa si contenta e lascia passare la figliuola
(C.s.A.).
26. Giunto il corteo in casa — di regola, dopo 1' a-
-46-
> vemmaria — nella stanza in cui i parenti e gl'invitat
5 hanno preso posto in giro, gli sposi s'inginocchiam
. su di una coperta bhnca, stesa nello spazio che ri
\ mane in mezzo. Il compare, girando tre volte intorni
j alla coppia genuflessa, interroga* altrettante la sposa s>
i l'accetta per compare. Avutone che sì, dopo un brevi
| e affettuoso sermonrino, le toglie il fiore bianco da
l capelli, e conchiude augurando alta coppia felice ogn
; sorta di beni. Compiuto questo rito, sono serviti de
! rinfreschi. Dopo di che, rimangono Ì soli parenti
■> il compare per la cena (L.).
j D' onde : Lttvà' lit fióre è uno dei modi di formar
■ il comparatico.
t 27. Fra i doni che le parenti e le amiche offront
i alla sposa, principale, e quasi dì rito, è la rocca iiv
; conocchiata. Ma però l'uso, nelle città, è quasi affattt
ì caduto, e rimane nei piccoli comuni, specialmente d
i montagna. Sulle some del corredo , una volta se n<
5 vedevano a fasci, tutte ornate di nastri; e s'intendevi
l che la sposa portasse con esse, nella casa del marito
l il lavoro e l'abbondanza.
t Come si è accennato, n." 2r, una ragazza, nel cortei
nuziale, segue immediatamente la sposa , portando ii
mano un paniere, pahnendtere, in cui sono gli oggctt
che la sposa offre in dono ai parenti dello sposo: ca
mice, fazzoletti, legaccioli da calze, ecc., e un « ve
letto » ' per la suocera, la quale, per mostrare di gra
1 Di cotesti veleni, spesso ricorre il nome nei protocolli no
dirlo, se ne copre il capo sul momento. Siffatti doni,
dopo il pranzo, sono distribuiti da una persona desi-
gnata dalla sposa. Nel riceverlo, ciascuno ricambia il
dono a suo modo; anche in danaro; e chi non può
immediatamente, fa scrivere, pel tempo d eli .1 raccolta,
la promessa degli oggetti più disparati: danaro, un ro-
maiolo , una pecora , e cosi vìa. Ma però , questa u-
sanza, tanto comune una volta nei nostri paesi di
montagna , è in decadenza , e in molti luoghi , ces-
sata (Car.).
In Cs.A., una o due ragazze, con in testa un pa-
niere contenente i doni della sposa , vanno in casa
dello sposo insieme con quelli che trasportano la dote.
Dopo che ai componenti il corteo sono stati ser-
i i soliti rinfreschi, in un vassoio o in un paniere
nuovo, posto su di un tavolino dietro al quale siedono
gli sposi , chi vuole va a deporre il suo dono. Le
donne baciano prima la sposa, e poi le offrono og-
getti, per lo più di vestiario. Gli uomini offrono da- j
narOj oggetti d' oro o altro. Alla sua volta , finito il ;
pranzo, e messo sulla tavola, su cui non rimane che l
la tovaglia, il paniere dei suoi doni, la sposa li fa dì- ì
stribuire, secondo le indicazioni che essa dà via via, >
dalla sua più prossima parente. J
28. Nella più dei luoghi, il trasporto della dote suol *
tarili antichi ; e sembrano originari de! Sulrnontino, dove se e
conserva l'uso — Uno veletto sulmenlino. G. 1580. Dui velelti, ui
bianco ti Tallio listalo dì diverti (sic). V. 1573.
5
?
precedere di poco l'andata della sposa in casa del ma-
rito. Siffatto trasporto ha sempre dello spettacoloso.
\ Processionalmente, donne vestite di gala; ovvero, bestie
da soma, con nastri, bubboliere e un fazzoletto a vivi
colori (dono della sposa ai vetturali) , appeso all' un >
l dei lati della testiera; o , dove sono strade comode,
l un carro adorno di fazzoletti, tratto da buoi con nastri
avvolti nelle corna, trasportano gli oggetti del corredo
e le masserizie assegnate in dote. Spesso, in L. e nei
comuni vicini, si vede il letto nuziale, composto, sul
dorso di un giumento o su di un carro. Come si è
detto , tra gli oggetti del corredo , non mancano le
rocche con conocchie di lino o di canape , ciascuna
col rispettivo fuso.
La dote, in alcuni luoghi, non è consegnata senza
apparenza di contrasto. Un fratello o un vicino pa-
rente della sposa , siede sull' oggetto (cassa, materas-
se, ecc.) a cui lo sposo vorrebbe dar di piglio per
portarlo in casa , e protesta di non cedere le robe
della sposa se prima non riceve un dono sodisfa-
cente (A.) : d' ordinario , una camicia o un paio di
scarpe (Ch.) : non riuscendo a contentare con ciam-
belle e vino, e poi con un fazzoletto, lo sposo offre
una gallina, e cosi finalmente ottiene la roba (C.S.A.).
29. Nel pranzo di nozze, il posto più onorevole è
occupato dalla sposa, la quale ha il compare a destra,
e uno dei suoi più prossimi parenti a sinistra (L.).
Vi è pranzo in casa della sposa, e pranzo in casa
dello sposo; e per questo i parenti della sposa e dello
— 49 ~
' ?
sposo sogliono portare nelle rispettive case dei pre- <
senti: gli uomini, per lo più, carne; le donne, secchie )
di vino con sopra ciambelle , tardile , grandi in ma- \
niera da far da coperchi alle secchie , e formate di ; .
pasta di frumento finamente lavorata, con uccelletti e ;
palombelle della stessa pasta * (Ce). '•
Il numero delle vivande, in siffatti pranzi, suol es-
sere interminabile. Si sta a tavola per delle ore; e bi- ;
sogna vedere il dimenio delle ganasce !
Quando la sposa rimane nel paese, i genitori non
1' accompagnano nella casa dello sposo; ma sogliono
andare poi a tempo per prender parte al pranzo di
nozze. — In Atessa, i genitori rimangono in casa; dove,
come per causa di lutto, in quel giorno non si cu- |
cina; e perciò si manda loro una parte delle vivande. — ì
In Chieti, parte delle migliori vivande la sposa suol ;
mandare alla sua comare di cresima. S
Durante il pranzo , dacché il brio della tavola in- '
mincia, sogliono, or dall'uscio or dalla finestra, buttar J
fuori qualche stoviglia; e qualche volta lo sposo, per '
non essere da meno, alza un lembo della tovaglia, e ■;
manda giù quanto è sopra: poiché le rotture e il ver - ;
samento del vino, in un banchetto di nozze, sono di ';
buono augurio. \
Verso la fine del pranzo , i sonatori (di chitarra e )
violino) danno la stura ai brindisi, cominciando dagli ''
sposi e continuando via. Chi è salutato con un brin-
1 Tose. Berlingozzi.
i
l disi, mette in un vassoio, che sta sulla tavola, qualche
^ soldo (A. e altrove). — In C.s.A., il canto, accompa-
\ gnato da chitarra (catarre) e violino ; ha il nome di
furlunghine.
Terminato il pranzo , i parenti della sposa comin-
ciano a protestare che il pranzo non è stato di loro
sodisfazione, che s' ha da far a tavola nova », e che,
se non e' è altro , la sposa la ricondurranno via. Lo
sposo fa venire altra roba ; e finalmente una gallina
attaccata a una grossa ciambella, che starebbe a rap-
presentare il carro trionfale. Ma quelli gridano che un
carro, con una sola ruota, non s' è mai visto, e che
ce ne vuole un'altra. Venuta l'altra ciambellona, tutti
sono contenti e sodisfatti. Allora , il compare si alza
pel primo da tavola, toglie la corona dal capo della
sposa , intuona le litanie , a cui tutti i convitati ri-
spondono; e con ciò finisce la festa (A.): — Finito il
pranzo o il ballo, un parente della sposa prende questa
pel braccio o per la vita , e rivolto allo sposo, dice :
« E ora credi di averla pel pranzo che ci hai dato ?
Se deve esser tua, doni ci vogliono; se no, la ricon-
durremo in casa ». L'allegria del momento e l'eccita-
zione del vino sogliono rendere briosa e comica la
scena. Si domanda: Un carro con i bovi che lo tirino;
una chioccia con tanti pulcini, ecc. E lo sposo dà delle
paste, che figurano carri, bovi, galline, pulcini. Ma,
spesso, chi tiene prigioniera la sposa non è discreto,
e non si contenta di quel che ha chiesto ed ottenuto,
e ripiglia: « Un carro vuoto ? Una gallina senza ovi ?
— 51 —
T* J
111 ì\
U U '
Il cacio senza pane ?...». Se non si va oltre i limiti
dello scherzo, tutto finisce in riso; ma non mancano
dei casi che lo sposo , imbizzito , e impaziente di fi-
nirla, dà invece di doni, parole dispettose, che tirano
in mezzo anche i pugni (L., Ce. e altrove): — Dopo
il pranzo di nozze, i parenti della sposa hanno il di-
ritto di andare a scegliere nel pollaio dello sposo la
migliore gallina, per portarla alla madre della sposa
(V.m.).
Finito il pranzo , la suocera mette sulla tavola un
vassoio, nel quale i convitati depongono i doni per
k sposa (T., C.s.A.).
30. Il letto nuziale dev'essere preparato da due sole
persone. Sarebbe di cattivo augurio agli sposi se fos-
sero in più (G.).
La parente più stretta dello sposo accompagna la
sposa nella camera nuziale (T., C. C): — La sposa è
introdotta nella camera nuziale dalla madre dello
sposo (Ch.).
Quello dei due sposi che, nella prima notte, spenge
il lume, morrà per primo (G.). — Per non fare cattivo
augurio a nessuno dei due, il lume non s' ha da spen-
gere (O.). — Dei due sposi, morrà prima quello che,
dopo la benedizione del parroco, si è levato prima in
piedi (Ch.). — Morrà prima quello che ha minor nu-
mero di lettere nel nome (Ch.): — Morrà prima quello
che ha più corto il secondo dito del piede (At.).
La moglie non ha da tirare le calze al marito, né
questo a quella; che sarebbe augurio di morte (S.E.).
ntp
ffren
— 52 —
» ?
3i. La mattina seguente la prima notte, la madre '
; dello sposo entra nella camera nuziale, portando una ■
frittata, che la coppia felice ha da mangiare in letto :
: (s. e., e. e.).
> t 32. Nella mattina che segue il di delle nozze , lo
] sposo, il più presto che può, deve andare in casa della
1 suocera a baciarle la mano e a darle U saluto della
; figliuola (L.).
! 33. Solamente la madre dello sposo può entrare in
> camera , dopo levati gli sposi , e rifare il letto (Ch.,
' V., C.s-A., C. C): — Il letto degli sposi, dopo la prima
> notte, non può esser rifatto se non dalla madre dello
> sposo, accompagnata da una stretta parente (O., T.):
( — La madre dello sposo è sempre accompagnata da
| una parente o da un' amica , per avere chi faccia te-
l stimonianza dell' « onore » della sposa (Pese).
< 34. Per otto giorni, la sposa non deve pettinarsi,
j né mettersi il fazzoletto in testa; non deve scendere
S o salire le scale , né deve uscir di casa. Dopo otto
■ giorni, esce con pompa, per andare in chiesa, accom-
; pagnata dai parenti. Dopo quindici giorni, può andare
> a visitare i genitori (Ce): — Per otto giorni, la sposa
! sia in casa senza far nulla (T., C. C): — Prima di otto
] giorni, la sposa non deve toccare acqua, « per non
! guastare la fide » (l'anello nuziale), né uscire di casa,
ì né fare lavori di forza (C.S.A.): — La sposa, per otto
\ giorni, n'n A da fa' nìènde. « Una volta, era una sposa,
> negli otto giorni, vicino al fuoco. Va il gatto e tira
( fuori il pollo che bolliva nella pentola. Disse la gio-
"- f .a fortuna tua è che « sto facendo la sposa»,
; toccheresti tra capo e collo ! — Torna in
suocera e vede che, sotto gli occhi della nuora,
mangiava il pollo. Non si domanda se , da
mento, cominciassero le questioni (L.): — Una
sposa stava in casa otto giorni senza far nulla;
fa quel che vuole, ed esce quando le pare e
(Ch.).
Ila giovane, appena maritata, si costumava di
i capelli ; e da ciò le nubili si distinguevano
ritate. In qualche comune dell'Aquilano, sento
)stume sia tuttora vivo. Nei protocolli nota-
hi , accennandosi a questa usanza , troviamo
, nel nominare una nubile : « Vergine in ce-
liando si vuol evitare un ratto, o ìl corredo
conto, o lo sposo dev'essere assente per molto
i celebra il matrimonio, ma il trasporto della
Ila casa del marito avviene più o men lungo
spo (M.).
matrimonio dei vedovi, in alcuni comuni, è
;no a manifestazioni di dileggìo. Siano pure
ìovani, gli sposi hanno da aspettarsi un //Vin-
ata con campauacci (Av., Ce!.). E il chiasso
i a otto sere di seguito (B.). — Specialmente
degli sposi non è in buon odore presso il
oltre alla musica delle padelle, ' delle palette
che si va a fare sotto le finestre a sera ìnoi-
coppia deve aspettarsi dietro la rottura dì ,
qualche vecchio coccio (Ch.), o il tiro di frutta gua- '
ste (V.). — Inoltre, dei dispetti : Di trovar cuciti per
lungo le lenzuola in mezzo al letto (Aie.) : Dì sen-
tire, per via della gattaiola, una fumicazione di pepe-
roni forti, che li fa tossire stizzosamente e correre ad
aprir le finestre, ecc.
38. Nelle tradizioni popolari nostre, è memoria del
, Jus prìmae noctis , e molti sono gli aneddoti relativi.
« Ma 1' uso fu abolito da Ggiacchine , da Gioacchino
Miirat » (C. C).
39. Non infrequenti sono, presso i popolani, i viaggi
di nozze; fatti, di regola, in comuni più o meno vi-
cini, specialmente in occasione di feste. Nel dì di san
Silvestro , nessuna novella coppia suol mancare alla
Scorciosa (villaggio aggregato a Lanciano), dove si va
a mangiare « carne col pelo » (carne di maiale) , ac-
compagnata da molto vino (L.). Da Avezzano, vanno
a Valdipietra, presso Subiaco, nel di della Trinità; alla
Madonna di Gennazzano, io giugno, ecc.
40. Se muore il marito e la moglie torna a casa
propria, le casse del corredo si trasportano capovolte
(L., O., Ch.).
41. Delle zitellone, si suol dire: É remaste pe' cca-
pefóche o, pe' ccannbneche, a la case (L.). — Se poi la
giovane non trova marito perchè ha lasciato dire dei
fatti suoi: C -t- d eandate la cuculel Ovvero: C -i- à
candate In cucule; sbrta me' è pperdute.
.~v
Usi natalizi.
r D' onde viene il lampo della nostra esistenza, e
in quale notte va ad estinguersi ? ».
Chateaubriand.
i. In alcune delle risposte che sogliono darsi ai
bambini, curiosi di sapere in che guisa un nuovo es-
sere umano venga al mondo, è il ricordo di antichis-
sime credenze. Altre sono fatte per sodisfare in modo
innocente alla loro curiosità indiscreta, a) Del mito
dell'albero, simboleggi ante l'Umanità, pare sia un ac-
cenno nel nostro nome vernacolo di « ragazzo »: Scoc-
chiate, che ha dello spregiativo; quasi: «Staccato dal
tronco ». Abbiamo infatti: Scacchià\ Staccare un ramo
dal tronco ; e Càcchi* , Pollone , Virgulto, b) Inoltre,
questo modo : Qt naf a 'nu cupole de cérche ? (A.), .
Sei nato nel cavo di una quercia ? , Sei uno zotico,
un massiccione, un « uomo primitivo »: e) Uàje tra-
vate 3 tn mètf a 'na fratte ; e V àje travate sott 1 a
'ri àrbere (C.s.A., Pese): d) Hajje jif a Ccastèllenóve,
e IV àjje truvate dèndr' a 'na racciàppela d 1 uve (L.) : '
e) Je cicitte /' à prése cande Fucine (Av.), Il cittino l'ha
preso (sott. la mamma) alla riva del Fucino; e : V à )
prése déndr y a la cocóccia, L' ha preso da dentro una <
zucca (Ib.) : f) È venuto giù dalla canna del camino
(S.V.): g) V ha portato la Madonna— o, s. Giuseppe— ì
(T., S.V., Cel.) : h) V ha portato la comare (Aq.) : <
i) 1/ ha portato un poverello , perchè gli si dia il j
- S 6-
latte (L.): I) U à putiate lu mònece dìnàr' a la vesacce
(L.). E, per impaurire i bambini beloni, si suol dire
in tono di minaccia: Zitte ! T' aremélte déndr' a la ve-
sacce de lu mònece !: m) E 'scile da J na cosse de la mamme
(C.s.A): n) É 'scile da lu dettile de la mamme (G.), e
si accenna all'ascella sinistra. Forse, ricordo della for-
mazione di Eva : o) L àjf accattate (A.), L' ho com-
prato. E : Pàtref à Scattate 'nu bbèlle cltele ! — V àjje
jif a 'ccattà' a Llangiane (Rocc).
2. Cènde gravedanqe, cènde mutande (L., O v Ch.). I
fenomeni della gravidanza sono sempre vari , e cia-
scuna reca i suoi incomodi ; onde 1' altro proverbio:
Cènde prenè^e , cènde fri^e , frecce. Oltre a ciò, la
donna gravida è molto sensibile a tutte le impressioni,
e cura speciamente freddo; da che, l'altro comunis-
simo proverbio: La fémmena préne, sótf a lu manbppre
se jele 1 .
La donna gravida : a) pòrte la calamite (C.C.) ; ha
/ virtù di fermare i serpi ; i quali , se ella volesse , ri-
marrebbero incantati, senza potersi più movere.
b) Se mangia della ruta, fa il sangue amaro, e
cosi il feto resta immune dai malefizi (S. V.). — Per
evitare i malefizi delle streghe , le scundrature , ha da
1 Grauedanze, gravidanza. Non com., Prenéqp. — Gràvede, volg.
Préne, gravida. — 'Mbicciarse, divenir gravida. — Arembicciarse, A-
rengignarse (G.), Esser gravida di nuovo. — Mo. pleb. Ha quajate,
È gravida. — Sgravedarse, e più com., Fijjarse, Partorire. — Sborte,
(L.), Aborto.
— 57 —
mangiare nove cime di ruta: tre a capo dei tre mesi,
tre a capo dei sei, e tre a capo dei nove (O.). — Le <j
streghe non mancano di visitare il neonato; ma tro- )
vando che nel ventre della madre ha mangiato (sic) la \
ruta, deluse esclamano: Fiijje, fèijje, quande ci state 'state \
1 stute! 'N gbrpe de mammete gite magnète la rute (Fr.). \
e) Camminando per la casa o fuori , non deve )
passar sopra un oggetto qualsiasi posto di traverso:
Non ha da passare sotto i fili di una tela: Né sopra
una fune : Non deve intrecciare fili , né metterseli in
collo; e parimenti, se ella è seduta o sdraiata per terra,
non dev' essere scavalcata , ma sibbene si ha da pas-
sarle di lato o d'avanti o da dietro; altrimenti, in tutti
siffatti casi, il funicello ombelicale si avvolgerebbe, nel
parto , al collo del feto : se tino, la crìature nasce 'n-
drecciate.
Per lo stesso scopo di tener lontane sinistre in-
fluenze sul feto, nell'utero e nel momento del parto,
la donna gravida :
d) Non deve mangiar carne di animale sbranato
da un lupo , se non vuole partorire un figliolo vo-
race (S.V.). \
e) Deve schivare di guardare il muso di una lepre,
o chi ha il labbro leporino ; come pure , persone in
un modo o nell' altro deformi : scimmie , saltimban-
chi, ecc. ; e, in ogni caso, trattandosi di difetti fisici,
naturali, ha da sclamare: Pite fi, e ggabbe no !
f) Non deve usare medicamenti di sorta, né in- \
terni né esterni. Farebbero male alla creatura (Car.):
D
- 58-
<
Invece di diminuire, il male crescerebbe a modo che
cresce il feto (L.).
g) Non deve fare scongiuri contro le malattie.
(Me despiace ca so' ggravede ! Le 'ngandarré ji — una
resipola — , sentii dire da una donna);
h) Né deve giurare, se vuol avere parto felice
\ (Ch., S.V., Pese).
i) A tutti i costi, deve evitare di metter piede su
terreno lordo di sangue.
3. Tutto ciò che una donna gravida semina o pianta
( viene di certo, a maraviglia, e cresce come cresce il
> feto nel suo ventre (Ch.).
< 4. Le « voglie » , vnlìje (L.) , sono del feto , de la
\ crìature (T.). Non sodisfarle è a pericolo di aborto;
ma bisogna pur dire che non si dà quasi mai il caso
che alcuno si rifiuti di appagarle. Se per avventura
< 1* °gg ett o desiderato fosse impossibile ottenerlo, la
\ donna gravida, per evitare il danno che potrebbe se-
> guirne, deve far girare attorno al dito la fède, l'anello
\ nuziale (Ch., C.s.A.); ovvero , toccar la terra con la
l mano (T., Ch., Aq., Av.). Se fosse negato, ella può
ì vendicarsi dello scortese , facendogli venir V orzaiolo;
i per il che basta che alzi un po' il lembo del suo
] grembiule. Ma però, come si è detto, il caso è raro;
\ perchè del diniego può esser conseguenza l'aborto, e
nessuno buon cristiano si espone a gravarsi la coscienza
con questo peccato (C.s.A.). In ogni modo, la donna
gestante, che concepisce una voglia, deve guardarsi in
quel momento di toccare alcuna parte del suo corpo,
QXv
~ 59 —
■à'**w:
4'
1 In Vasto, si crede l'opposto.
p
perchè la parte corrispondente del corpo del feto po-
trebbe portare indelebilmente la forma o il colore
dell'oggetto desiderato. )
5. Altre cause di aborto sogliono essere i dispia-
ceri, l'ira, le cadute, le percosse. Parimenti, una donna
può abortire se tocca il sangue mestruale di un'altra
donna; e, se mai con la lingua, potrebbe anche mo-
rirne (Cel.).
Inoltre, sono ritenute come abortive alcune piante:
la sabina , il dittamo , la valeriana e la salvia (Ch., )
\ S.V., Cel.). \
6. In generale, sono desiderati più i maschi che le
femmine, e gli auguri sono sempre per la nascita di <
un « bel maschietto ». C'è anzi questo modo : La \
minala nuttate , la fijja ferrimene ! Dopo una cattiva <
notte, una figlia; per dire: Dopo un guaio, un altro; l
Dopo un male, il malanno e l'uscio addosso. Senonchè, \
il sesso è determinato da influenze superiori alla vo- '
lontà dell'uomo, a) Se il concepimento avviene a luna <
crescente , a la crescènte , nascerà una femmina ; se a i
luna scema, a la mmangan^e, un maschio (L.) 4 : b) Se <,
nel momento del concepimento spira il libeccio, na- <
scerà un maschio ; se il tramontano , una femmina
(S.E., Av.).
7. A gravidanza inoltrata, il sesso del feto s' indo-
vina ponendo mente a vari indizi , o al risultato di
alcuni esperimenti:
— 60 —
XP
a) Se la donna gravida ha il viso appassito, fàccia
revévete, partorirà una femmina. D'onde il proverbio,
Fàccia revèvete, femmena^e. Se è paffuta e rubiconda,
partorirà un maschio (V.).
b) Patina piatite, vertècch -i- e fuse; Pan^a tbnne,
bbèir ónte pe 9 bburlà* le dònne. Pancia a punta, fusaiolo
e fuso; Pancia tonda, beli' uomo per burlar le donne
(Ch.). — Al contrario: Pancia a punta, piccola, e mam-
melle poco sviluppate , danno indizio di maschio :
Pancia grande, slargata ai fianchi, e mammelle grosse,
danno indizio di femmina (F.f.P., Pett.): e Pan^a pu%-
%uta, màschie; Patina tanna, fémmena (Av.).
e) Se la gravidanza è di un maschio , il feto si
move dopo 40 giorni; se di una femmina, dopo tre
mesi (Cel.).
d) Se il feto si move , se vùleche , presto , e a
destra, è un maschio; se tardi, e a sinistra, è fem-
mina (V., F.f.P., C.s.A.).
e) A la crescènte, le jérnmeri ammangV e IVumem
cresce; e viceversa (Ch.): A luna crescente, il volume
del ventre diminuisce, se il feto è di sesso femminile;
e cresce, se di genere maschile; e al contrario.
f) Se alla donna gravida piacciono le mele e i
fagiolini; ovvero, se si gratta l'orecchio con la mano
sinistra, farà un maschio (At.).
g) Se la donna gravida, che siede o è in ginocchi
sul suolo , nel rizzarsi poggia la mano destra , farà
maschio; se la sinistra, femmina (O.).
b) Domandando bruscamente a una donna incinta:
*ftfp
— 61
Che hai in codesta mano?, Che cce gifatf a 'ssa mane ?,
se quella, nel rispondere che non ci ha nulla di male,
mostra il dorso della mano istessa, partorirà un ma-
schio; se la palma, una femmina (Ch.).
i) La donna gravida che trova un ago, partorirà
una femmina; se trova uno spilletto, farà un maschio
(L., O., V., C.s.A.). Onde una ragazza che trova un
ago, suol dire scherzando : Facce ferrimene quande me
matite! (Pett.).
I) Nel momento che cade la bacchetta da cui
1' ordito è fermato sul subbio, se la donna incinta si <
fa alla finestra , vedendo passare un uomo , potrà ri- J
tenere che partorirà un maschio; se una donna, darà ì
alla luce una femmina (At., C.s.A., T.). \
m) Gettando un gnocco nell' acqua bollente, se i
verrà a galla diritto, sarà un maschio; se orizzontal-
mente, ppe 3 ppiane, una femmina (V.). 5
n) Sulla pietra rovente del focolare si posa una \
pallottola di pasta di frumento. Se , nel cocersi , si >
allunga, nascerà un maschio; se resta tonda o si spacca,
una femmina (G.).
o) Comune anche presso di noi l'esperimento con ;
la forcella di un pollo.
8. Il vomito comincia a molestare la donna gravida
quando il feto comincia a mettere i capelli (F.f.P.). \
9. Il momento del parto, sia pel maschio , sia per
la femmina, è determinato dal compiersi di nove lune.
Se il parto avviene prima o dopo , non è regolare
(S.V., F.f.P).
;
- 62 -
w
Ma, d' ordinario , compito il periodo della gesta-
zione , il parto suol ritardare di alcuni giorni ; e sif-
fatto ritardo è maggiore per le femmine che non pei
maschi: la ferrimene terté de cchiù, ca è cchiù ppelleiróne
(L. e altrove), La femmina trattiene di più, perchè è
più poltrona.
Inoltre, nasce più facilmente il maschio, perchè più
forte; e maggiori doglie ha da soffrire la madre per
femmina, la quale è più vile (T., Pese, Av.).
In generale poi, Chi stenda a rinascere, sténd 9 a mmurV
(Av., Cel.).
io. Il parto è imminente. La solennità del momento
è sentita da tutti, e un'aura religiosa circonda la donna
in cui si compie il mistero di una vita accesa da
un' altra vita. Specialmente dalle primipare , oltre al
divino aiuto, è invocata sempre l'assistenza della pro-
pria madre, o, in .mancanza, della donna a lei più cara.
Si accendono più lampade a s. a Anna, protettrice delle
partorienti, e ai santi protettori della famiglia. Chi ha
immagini sacre, reliquie, amuleti, li cede volentieri, se
richiesti per una partoriente , anche poco conosciuta,
e si mettono sulla persona o su di un tavolino della
camera, tra candele accese.
il. Al primo indizio delle doglie, la donna si pet-
tina o si fa pettinare. Conforme si sciolgono le trecce
e si strigano i capelli, si striga, se strécce, la creatura
(O.). — Si toglie la collana, si sciolgono le trecce e si
mettono da parte le forcine , le ferritte , perchè « il
ferro è contrario al parto » (F.f.P.).
63-
12. Cominciato il travaglio del parto, quelli della
famiglia che nulla possono fare in camera , sono , in
altra stanza, raccolti in penosa aspettativa. Special-
mente le nubili sono escluse dall' assistere la parto-
riente; ed è cosa rara, eccezionale, in alcuni luoghi,
che il marito assista al parto (Av.). — Il marito non
va presso la partoriente, se non chiamato (Ch.).
Durante il parto, la levatrice, la mammine, e le donne
che assistono, invocano di frequente, specialmente al
rinnovarsi delle doglie, e incalzando, a seconda che il
parto procede al termine:
a) S. B Anna, protettrice delle partorienti:
b) S. Tommaso , che fece la grazia di un parto
felice alla sorella (L.) :
e) S. Leonardo , affinchè « scateni » la crea-
tura (G.):
d) S. Bernardo, il quale volle soffrir lui i dolori
che avrebbe dovuto sentire la cognati (V.).
e) Messe in petto alla partoriente la « lettera di
G. Cristo » e l' immagine dì s." Anna, s* invoca in- ■
nanzi tutto la Madonna:
O uérgena Marije, uérgena perfètte, ■
Uijete {beato) chi le sèru' e echi l' adóre.
Uice (vienci), Madonna mi', ca ji' t' aspètte, 1
Ut (vieni) a llevà j' affann' e jje dulóre.
Poi, sul ventre della partoriente si fanno tre croci, .
dicendo : ■.
Ji' le ségo' e jji' te sane, ;
'N nóme de la sandissiroa Teruetd.
Poi , litanie , pater e gloria a s.» Anna e a s. Leo-
nardo (S.V.).
Io quei momenti, qualunque donna, anche estranea,
chiamata in casa per prestare comecchessia la sua opera,
accorre tosto e volentieri, lasciando il letto, la tavola,
e qualsiasi lavoro. Al proposito, si dice : F ajutà' la
/immetta parturinde , se passe lu fóc' ardbtde (G.). E :
Lassa /oc 1 ardbide, e ccurr' a pparturittde (Av., Pese).
ij. Per evitare che gli sforzi del parto abbiano ad
esser causa di gozzo, la levatrice ricorda, a ogni nuova
doglia, di piegare avanti il capo. — Il mezzo più si-
curo per tenere il mento fermo sul petto, è quello di
far stringere coi denti il lembo superiore del busto (V.).
14. Fra le immagini sacre e gli amuleti , ai quali ,
durante il parto, si fa l' onore dei lumi, non suol man-
care la « rosa della Madonna » , che i frati minori por-
tano da Gerusalemme. È secca e chiusa. Messa nell'acqua,
rinverdisce e si apre; e dal modo più o men rapido
come questo avviene, si trae indizio del modo come
I' utero si apre.
15. Ma se il parto è difficile, (cugnóse, L.; curtuse,
Av.), va in lungo, e manca — pur troppo, suol man-
care ! — 1' aiuto ostetrico, a) Si domanda alla parto-
riente se mai avesse cucito in d'i festivo; e nell'affer-
mativa, della gonnella che ha in dosso scuciono subito
un buon tratto di pedana (S.V.) : b) Sul letto della
partoriente si svolge una fascia : e) Si sciolgono le
trecce alla donna , ed una le si mette tra i denti af-
finchè la morda a ogni nuova doglia: d) Alla parto-
riente si mette il cappello del marito (L., O., Car.^ V.)*
Mettono il cappello e la cappa del marito, e, sotto i ;
piedi, una scure (Ch.): e) Il marito va alla chiesa par- !
rocchiale , e, presa coi denti la fune , suona la cani- ;
pana (G.). j
16. Chi fa la pritrC e nnen fa la secónde, mòre de )
parte. {
Per facilitare il secondamento , la levatrice mette '
alla partoriente il cappello del marito (Can.).
17. Alla donna che partorisce apronsi tutti i canali \
(refiatalóre, del respiro; e battetbre, della circolazione), '
meno quelli del naso. Se anche questi si aprissero, ]
morrebbe (S.E.). [È ritenuta per segno infausto Tepi- }
stassi].
18. Se la donna è primipara, subito dopo T espul-
sione della seconda, due persone, sollevandola per le
ascelle, P agitano, per farla purgare bene, e per far
tornare in buon sesto la vita (S.E): — Messa in letto
la puerpera, la levatrice le stira i piedi e le mani, per
rimettere in buon sesto le membra contratte negli
spasimi del parto (O.).
19. Appena avvenuto lo sgravo, chiudonsi non so-
lamente usci e finestre, ma anche le fenditure; perchè
uno spiffero può portare aria alla « natura », enfiarla,
ed esser causa di morte (S.V., Av.). {
Anche la luce è dannosa alla donna di parto; e per )
questo , non solamente la camera è tenuta quasi al \
buio, ma, essendovi specchi, si ha da velarli.
20. Avvenuto lo sgravo, una persona delle più fa-
— 66 —
£ miliari suol essere mandata a portare la buona rr"" T ~ '
> ai parenti e agli amici più Ìntimi , i quali reg;
> all'aruiunziatore qualche moneta (L. e altrove).
\ 21. Affinchè il bambino venga robusto, fur%
5 comunemente , come già io Grecia e in Roma ,
^ lavato col vino. — Ma, quando si temono e vogl
J evitare malefici, si ha da lavarlo con decotto di
s (S.V.). — Nel vino, sogliono far bollire erbe art
ì tkhe (T.).
< Se il bambino ha sofferto durante il parto, e si
> stra svigorito o addirittura asfittico , gli si alil
5 bocca: gli si soffia alle orecchie: gli si mette 1' :
l sotto il naso, e, come ultima ratio, gli s' intro
l nell'ano il becco di una gallina nera, facendovek
ì manere fino a che non dia segno di rianimarsi.
5 II neonato è messo in una secchia , congolìna
j acqua tiepida, nella quale è sciolto un rosso d'
s e mentre la levatrice lo lava, i parenti gettano df
> in quell'acqua (Av.).
ì La levatrice, dopo ripulito , presenta nudo il t
S bino al padre, il quale nell'acqua del bagno metti
danaro (C.s.A.).
Nel compiere la toletta di una neonata, la leva
inette tra le pudende dello zucchero , affinchè sìa
surtate, assortita (T.).
AI neonato non si mette camicia. Non 1' ebbi
Cristo nel presepe (S.E., A.).
Avvolto in un panno lano, il neonato si posa
poco sul piano del focolare, per fargli indurir
IP
ossa (L., S.E., C.C.): — Basta posarlo per poco su di
un panno lano steso per terra (O., C.s.A.).
Lavato e infasciato il neonato, la levatrice lo posa
in terra. Chi lo raccoglie (di regola , è il padre) , fa
un regalo alla levatrice (Car., F.f.P.): — Prima che ad
altri, il neonato è presentato al padre; il quale però
non lo bacia, perchè non ancora battezzato (T.).
L'acqua servita per lavare un maschio si suol get-
tare sulla strada; e quella con cui è stata lavata una
femmina, nel cesso (Ch.).
Le piccole irregolarità di forma, specialmente del
viso , si correggono pigiando , strizzando e lisciando
con le dita. Nei primi momenti, la carne di un neo-
nato è simile alla cera, e facilmente riceve qualunque
impressione.
22. Messa in letto la puerpera, mentre la levatrice
ha cura del neonato, primo pensiero della suocera è
di ammazzare la migliore gallina pel brodo alla fijjate.
Le nostre popolane non cominciano il puerperio, come
le signore , con un più o men lungo e sempre rigo-
roso digiuno. Tutt'altro ! In montagna, la stanchezza
della donna di parto si ristora con maccheroni e vino
« cotto ». In pianura, si largheggia in minestre di la-
sagne sul brodo e in lesso di gallinai
23. Per facilitare i lochi, si fa largo uso di decotti
di camomilla, e più specialmente di capelvenere, « che
è meno riscaldante». — Per alcuni giorni di seguito,
si fa odorare spesso alla puerpera la matricaria (B.).
24. Una donna fresca di parto , che per prima bi-
S
- 68 —
bita prendesse un decotto di tre cime di rovo, non
farebbe più figli (V.).
2j. Tri collature de sòie ce vo' p' arecalà' In latte
(C.S.A.). Ma , se a capo dei tre giorni il latte non
venisse, o fosse scarso, per farlo venire, pe' ffa' recala'
In latte, e in abbondanza, si fa bollire nel brodo, senza
che la puerpera lo sappia, un pezzettino della seconda.
Di quel brodo, possono usare con profitto anche altre
donne, che scarseggiassero di latte (Ch., V.).
Salvo ad usarne per questo caso, si ha da aver cura
di sotterrarre o di gettare in luogo profondo la seconda
(secónde, L., Ch. , V., Cs.A. , Av. ; meneture,G.; ta-
scucce, Pett.) ; perchè se Ì cani la mangiassero, alla puer-
pera verrebbe meno il latte.
Per altre credenze e pratiche relative al latte, ved.
Medicina.
26. Sotto i guanciali della puerpera, per evitare i
malefizi delle streghe, si mettono oggetti sacri; e an-
che qualche pezzo di ferro; d'ordinario, una chiave:
un osso di morto: del sale (Gel.): del miglio, chiuso
in un sacchettìno : e, dietro l'uscio di via, una gra-
nata (Ch.) : uno spicchio di aglio , per tener lontani
i serpi (Cs.A.): un pezzo di stola e la pelle di tasso,
per scongiurare le streghe (Av.).
Per la stessa ragione, e con gli stessi mezzi si pre-
munisce il neonato in culli. Inoltre, gli si bagna la pelle
con del succo dì ruta ; e giova mettergliene un tantino
anche nella bocca, per tener lontane le streghe (S. V.):
— Sotto il guancialino, pel medesimo fine, sì mette un
I *■
pezzetto di rete da pesca e un brandello di panno >
rosso (C.s.A.). \
27. Il moncone del cordone ombelicale, che dopo ( .
alcuni giorni da sé si stacca, non vuol essere gettato ì
dove che sia ; ma si ha da metterlo nel fuoco. Se per < t
digrazia un gatto lo mangiasse, il bambino, a suo tempo, ,•
sarebbe un gran ladro (O.): — Se quel moncone si get- l
tasse nel fuoco, mentre si sta a tavola a desinare, il <
neonato, fatto grande, non mancherà mai di essere in )
casa nell'ora del desinare (Ch.). v
28. Chi nasce « vestito », cioè involto nel sacco am-
niotico, sarà assortito, e anche virtuoso; ma però, di
quella membrana , disseccata, s' ha da fare un breve, \
che il neonato deve portare al collo per tutta la vita
(S. E.):— Chi nasce « vestito », è assortato, se la mem-
brana è bianca; ma, se è rossa, sarà strega o stregone,
fiuróne (O.).
29. Chi nasce de sètte mife. ve svèlde (L., O., Pett., ì
Pese); ma quasi sempre porta su qualche difetto: zop-
paggine, balbuzie, ecc. (O.).
30. I padri robusti generano maschi; i deboli, fem-
mine (Ch.).
31. I figli di padri attempati sogliono essere d' in-
gegno svegliato, di umor gaio, e bonarii (Ch.).
32. Gennaio, Aprile e Maggio sono i mesi più fa-
vorevoli alla nascita. Cattivo è Marzo; peggiore, Ot-
tobre (Ch.). — Chi nasce di Marzo, è bisbetico, lunàrie:
di Aprile, è canterino e risancione, candarine e rida-
rèlle ; ma anche sollazzevole e piagnucolone, pa%(ta-
— 70 -
r.
ir
> ralle e piagnute: di Maggio, è poverello (L.): di Giu-
l gno, è cattivo (T.): di Luglio, è forte: di Agosto, è
> caloroso, callóse; « tira all'acqua »; inoltre, è altezzoso:
$ di Dicembre, è freddoloso; fermo nei propositi e leale.
53. Chi nasce ai 17, di qualsiasi mese, è disgra-
ziato: — Nascere ai 13 del mese, è anche di cattivo
augurio (Cel.): — Nascere ai 13 del mese, è cosa in-
differente ; purché non si tratti di Giugno , perchè il
13 di questo mese è «punto di stella» (Ch.).
34. Nascere di mercoledì, di sabato o di domenica,
è di buono augurio*. Chi nasce di giovedì, sarà di ta-
lento: di lunedì, lunatico, lunarie: di martedì, rissoso
(Ch.): di venerdì, piagnucoloso (Ch.); se il venerdì è
di Marzo, sarà fortunato (T.).
35. Chi nasce di notte, ha il lobulo dell'orecchio
aderente; chi nasce di giorno, lo ha libero (L.).
36. I figli per lo più matrizzano; e viceversa (Ch.).
37. Come si è detto, n.° 6, sono più desiderati e
> festeggiati i maschi che le femmine. Tuttavia, si dice:
> La fijja femmenèlle è bbone pe la puverèlle (Ch.).
' 38. Quando nasce un maschio, cresce l'amore della
moglie pel marito; e viceversa (L., O.).
39. Se il neonato ritira dal padre, è segno che l'a-
more della moglie pel marito è più intenso dell'amore
di questo per quella; e all'opposto (Ch.).
40. Se il parto avviene a luna crescente, a la cere-
) scinde, nascerà nel successivo una creatura dello stesso
\ sesso. Se a luna scema, a la mmangan%e, sarà di sesso
diverso (L.).
- 71 —
4L Se un neonato ha sulla nuca i capelli a cod$ { ,
di rondine, sarà l'ultimo nato: la madre non ne con-
cepirà altri (L.): — Se una neonata ha i capelli che si ;
uniscono in punta sulla nuca, iS la cudarille, dopo di j
lei nascerà un maschio (V., Av.). \
42. Per sapere quanti figli partorirà una donna , si )
si contano i nodi del cordone ombelicale del primo \
nato (S. E.). \
43. Una donna che partorisce nel suo trentesimo \
anno , non concepirà più figli (L.). — Se una donna >
partorisce nel suo quarantesimo anno, non avrà più ì
figlioli. Ma, se partorirà dopo compiti i 40 anni, potrà <
averne fino ai 50 (V.).
44. 'Nu tndscuT e *na f immene, s accumbagne: Du 9
màscuV e. ddu 9 f immene , se scutnbagne (Ch.) ; nei parti
gemelli, se nascono un maschio e una femmina, vi- ;
vono entrambi. Se sono di coppia due maschi o due \
femmine, V un dei due suol morire (Ch.). ]
45. Le mostruosità dipendono dal gabbo. Per que-
sto, ogni donna maritata, nel vedere una brutta figura
d'uomo o di bestia, facendo tre croci sul ventre , ha
da dire : Ne 9 scià pe ggabbe , ce sta nen gè sta l
Dipendono anche dalle voglie, culìje (Av.).
46. Il neonato non si bacia , perchè non è ancora
cristiano (Pett.) ; e e' è chi si guarda dal baciare il
« pagano », ritenendo con ciò di commettere un pec-
cato (S. V.). Oltre a ciò, non si va per fuoco in una
casa finché vi è un bambino non ancora battezzato
(G., S. V., Cel.). Per la stessa ragione, fino a che
— 72 —
non sia battezzato , la madre non porge la poppa al
suo bambino (Pese). Senonchè, chi bacia il neonato
non ancora battezzato, (lu pabane, F.f.P., Car., Av.; lu
turche, G.), acquista immunità dal dolore di denti ; e
per questo molti lo fanno (Ch., L., O., V., Pese).
47. Per preservare dai malefizì il neonato che si
manda a battesimo, gli si mette addosso un breve con
del sale, midolla di pane e chicchi di grano (S. V.).
Ovvero, si fa tenere a battesimo dal primo che s'in-
contra nell'andare in chiesa (Ib.).
48. I neonati che si mandano a battesimo con un
ovo di gallina in un' ascella, saranno fortunati (L.). —
Se vanno a battesimo con un lupino stretto in pugno,
acquistano il potere di curare a suo tempo il « lu-
pus », fal%e lupine (A.). — Altri , per buono augurio,
gli mettono in pugno qualcosa relativa alla profes-
sione, all'arte o al mestiere in cui si desidera che rie-
scano valenti. Una penna , è augurio di dottrina ; un
ago, di valentia nell'arte del sarto, ecc. (Ib.).
49. Il battesimo , fatto nel giorno stesso della na-
scita , libera un' anima dal Purgatorio (Ch. , T. ,
Av.).
50. Il compare e la comare accompagnano il neo-
nato dalla casa alla chiesa, e dalla chiesa in casa.
Quando va a battesimo un maschio, la levatrice,
sempre tutta rinfronzolita, lo porta sul braccio destro;
quando una femmina, sul sinistro.
Se il compare o la comare sbagliassero nel dire il
Credo, la creatura verrebbe su di mala condotta, e
- 73 —
paurosa delle ombre e degli spiriti (Ch.) : — Sarebbe
balbuziente, esce ciavajje (C.s.A.).
L'acqua benedetta di Pàsqua di rose, ^Pasqua rusate>
di Sabato santo, e di s. Pietro martire, è la migliore
per battezzare, pecche nn g -i- appo nulla scundrature
(O.), perchè non vi può contro nessuno spirito ma-
ligno.
Di mercoledì santo, nelle chiese parrocchiali, si ri-
. pulisce il fonte battesimale , che rimane asciutto fino
al sabato santo. Nessuno vorrebbe essere il primo a
far battezzare con la nuova acqua; perchè quel primo
sarebbe uno struscione, 'nu straccióne (L.): — Ciò è da s
temere soltanto in quel dì di sabato; che, nei succes- S
sivi, è indifferente essere il primo (Ib.): — Chi primo
è battezzato con Y acqua rinnovata nel sabato santo,
sarà uno struscione perchè « ha rotto la fonte » (L.,
«3. Y •, v^.5.«\. I. S
Si mettono, d* ordinario, i nomi degli antenati. ;
51. I bambini, battezzati, sono « angeli »: cosa sacra;
e una delle forme di giurare è, toccando il capo di un
bambino in fasce, l'esclamare: Té* \tf' ànema de I)dije!
(Pett., C.s.A.).
52. La cuffia tenuta dal neonato a battesimo deve
esser lavata, arlavate, da una ragazza, la quale in tal
modo diviene madrina del medesimo (C.s.A).
53. Rientrato il «cristiano» in casa, la levatrice lo
porta a baciare prima alla madre, poi al padre, poi ai
parenti e agli amici intervenuti alla festa , ricevendo )
a mano a mano un regalo in danaro. In tale circo- ;
(
s
- 74 —
stanza, la puerpera, ravviata col maggior gusto, siede
sul letto, clie ha la pompa del dì delle nozze, e ri-
ceve le congratulazioni e gli auguri degl' intervenuti,
ai quali, secondo 1' entità della casa, sono serviti dei
rinfreschi (L.):— Tra Ì soliti dolci, sono di rito le fi-
cara rosale (P.zo) , le fica rosate (C.d.S.), (Fichi cotti
nel miele con aromi).
54. Dal di del battesimo, per alcuni giorni di se-
\ guito, in molti luoghi, la puerpera riceve, dai parenti
ì e dalle persone più familiari, doni consistenti in ova
s (in numero dispari se ha partorito un maschio; pari,
j se una femmina) e in piccioni— le colombe, sacre a
\ Venere — sempre in numero pari. Oltre a siffatti doni
l dì rito, si suole aggiungere, secondo il potere, zuc-
S chero, paste da minestra, galline, capponi. — Tra i doni
| della comare alla puerpera, sogliono essere: una ciocca
' di peli di tasso , chiusi in un picciuolo di oro ; una
) rana di argento; una chiavetta e un s. Nicola d' ar-
j gemo; un corno di corallo; un dente di lupo, e si-
! mili amuleti contro le malie. Le persone povere, che
) non possono offrire piccioni né galline, mandano della
carne (A,.).
Nella domenica seguente il dì del battesimo, sono
convitati il compare e gli amici che hanno mandato
doni alla puerpera (A.).
55. Per avere il latte, ved. n. 25, e darlo la prima
volta al neonato , si ha da aspettare tré ccalature de
sòie (C.s.A.). Intanto, puppattole di zucchero, decotti,
sciroppo di cicorie e rabarbaro , e magari il latte di
v « "H
altra donna; ma, prima dei tre giorni, la madre non
deve accostare il bambino al suo seno. (Av.).
56. Quella patina di sudiciume, che suol formarsi
sul capo dei neonati, è chiamata la Bbenedélte (G., Bo.,
Gissi, e altrove), la Panètle (L.) la Crbside (A.) lu Ore- j>
scemònìe e la Crescembnìe (Ch., T.), la Crescemógne (Car., ^
Pop.), la CresciarHle (Pag., C. C.), lu Crisce (F.f.P.), la \
Caròccia (CeL, P. P.), la Co^a e la Codétta (Pese), <
lu Core (coio) pahane (Av.).
Non si deve far prova di toglierla comecchessia, che
i capelli verrebbero corti e deboli (G.) : — Non si
tocca, perchè potrebbesi sfondare la « memoria » (Ch.,):
— La « memoria » non si tocca, perchè ne soffrireb-
bero gli occhi (C.s.A.) : — Prima dei due mesi, ju core
pahane non si ha da far nulla per ripulirlo, sia perchè
si ha da dar tempo alla « memoria » d'indurire; e poi
per evitare la tigna (Av.).
57. I bambini non s'ha da baciarli mai sulla bocca,
perchè avrebbero i bachi ; ma bens) sulla fronte , di-
cendo : Crisce capammónde ! Cresci in su ! (Pett., C.s. A.).
Per la stessa ragione di evitare i bachi, non si deve
dar mai ai medesimi del pane masticato (C.S.A.).
58. Ai bambini in fasce non si ha a metter mai
fiori in mano : sarebbe augurio di morte (Ch. , L.,
C.d.S.).
Per lo stesso motivo : Non si deve posare un bam-
bino in fasce supino su di una tavola : Né si deve
baciarlo mentre dorme (L., O.).
59. Quando la culla è vuota, non si deve dondo-
-76
"U
larla; dorrebbe il ventre alla creatura (T., C.s.A.) : la
creatura ammalerebbe (Ch.).
60. I bambini che portano una collana, sono im-
muni dal pericolo di annegare (S. E.).
La collona rossa, di coralli, preserva dal mal d'oc-
chio (F.f.P.).
Ai bambini non s'ha da mettere collane; verrebbero
paurosi. Alle bambine, sì (O.).
Se un bambino portasse una collana rossa, venuto
in età, non potrebbe tragittare un corso d'acqua senza
pericolo di cadervi, perchè lu ròsee pijje la viste. E per
questo bisogna usare collane bianche o variopinte (L.).
La collana serve per non far scaldare, né tagliare,
il collo dei piccoli bambini; e perciò è indifferente che
sia di qualsiasi materia e colore (O., Pett., Car.).
61. Non si deve portare un bambino alle fasce in-
nanzi allo specchio, perchè impaurirebbe, ca se 'mbahure,
e avrebbe i bachi (C.s.A.).
62. Se un bambino, sia desto sia nel sonno, com-
pone le manine l'una sull'altra, sarà longevo (L.).
63. Quando un bambino sorride nel sonno, ride
nghe Wàngele (L.).
64. Le bambine possono piangere fin che vogliono,
senza correre alcun pericolo; ma non già i bambini,
che diverrebbero erniosi, ca se sbènde (C.s.A.).
65. Se un bambino è insaziabile, vorace, piagnone,
e fa disperare la madre, questa lo mette a giacere sulla
massa (pasta per il pane) , e dice tre volte : Saziati !
(S. V.) : — Messo il bambino sulla massa, che cresce
— 77 -
nella madia, la madre ve Io rie
^A ccòma crésce 'stu pane (quietai
criature ! A ccóirì è bbóne 'stu p,
'stu fijje ! (O.).
66. Due bambini, che non pa
bono stare a contatto, perchè i
per lo meno scilinguati (At.).
67. Dona tre oggetti simili a
comincerà a dormire (At.).
68. L'orina dei bambini alle
i dolori.
69. La biancheria dei bambin
non si ha da sbattere , che cos
ventre ; non si deve lavarla in
biano bevuto cavalli, perchè :
del bambino (Cb.) : né si deve a
non ne usava la Madonna nel 1
Bambino (A.).
Il meglio è poi di rasciuga
« cuoce » le carni. E non si di
perchè del pari irriterebbe la pe
fratta (Ch-, T., C.S.A.).
70. A ogni bambino, per pre
attaccano avanti la spalla sinisti
leti consistenti più o meno neg
cari. Ved. n. 54 — Alcune mad
siffatti amuleti, li fanno benedir
una messa alle anime del Purga
71. Quando il bambino cor
madre (circa il 4. mese), a questa, fosse pur giova-
nissima, cominciano a cadere 1 capelli (Ch., T.).
72. Prima die il bambino compia i sei mesi , non
gli si tagliano le unghie , cbè diverrebbe ladro ; né
prima di un anno, i capelli — La prima volta che si
tagliano le unghie ai bambini (abbiano pure un mese),
non s'ha da adoperar forbici, ma si deve roderle coi
denti , se vuoisi che non abbiano ad esser ladri (O.)
— Dopo il 6." mese , sì può senza scrupoli adoperar
le forbici (S. V.).
73. Se un bambino ha le articolazioni delle ginoc-
chia e dei polsi proporzionate alla grossezza e alla
lunghezza delle membra , avrà statura piccola ; ma,
se , al paragone , saranno grandi , la statura 1' avrà
grande (G.).
74. Per svezzare la creatura , si frega il capezzolo
con fiele di bove (T.).
74. Chi prime , o prèste , smamme , prime , o prèste,
j' arembicce (L.) , Chi prima slatta , prima ringravida.
Per questo, non di rado, vedi bambini fin di 30 mesi
attaccati alla mammella.
75. Se la prima calzatura di un bambino si fa di
pelle d'orso, quello, messo a cavallo a una bestia, che
ha dolori di ventre, la guarisce (V.).
76. Non si deve mai accavalcare, accavalla' , scum-
bassà', una creatura sdraiata o seduta per terra. Non
si eleverebbe che poco o punto di statura. Se, in qua-
lunque modo siasi accavalcata , gli si dice : Sptite '«
dèrre , se nno neri grisce echiù ! (Pett.) : — Per disfare
il mal fatto, s' d da rescumbassà? in senso inverso, ac-
cavalcarla con l'altra gamba, dal lato opposto (L.).
77. Nel giorno che compirà il terzo anno , la sta-
tura del bambino o della bambina sarà giusto la metà
di quella che avrà a sviluppo completo (G.).
78. Se nel primo anno di matrimonio nasce una
bambina, il padre, nel dì di s. Rocco, 16 agosto, a \
cavallo a un . ciuco ben bardato , con la figliolina in
braccio, fa il giro del paese , tra suonatori di pive e
tamburi (Roccar.).
79. Quando nasce un figliolo dopo molti anni di
matrimonio infecondo, il volgo corre subito a pensar
male della donna ; e senti : Ha cagnade sumènde ! Ha
cagnaie le càu%c ! Poi, per dileggio, il figliolo tardiva-
mente nato lo chiamano ìu quapìerchie (G.) — capreolus,
« caperculus » — : hi curdische (Av.), e anche / *andi-
criste (Ib.). [Curdescbe , agg. e più com. sost. — lat.
Chordus, Tardivo — nel nostro uso , come nel senese,
vale : Agnello tardivo, di seconda figliatura].
80. I genitori infecondi sono chiamati lunari (Av,)
— Di una donna che non fa figli, suol dirsi : È 'sette
mdscule ! (L.). — Se ha figli, passando a seconde nozze:
Ha cagnaie sumènde!,. (Ib.).
81. Fin dal primo giorno del puerperio, la donna
si lava mani e faccia con acqua tiepida e aceto (L.) :
— Le signore si lavano subito. Le contadine , dopo
molti giorni, per timore dei granchi, ragne, alle mani,
con acqua tiepida e vino (Pett.) : — Durante il puer-
perio, 40 giorni, la donna non deve lavarsi né mani
- 80 -
i né viso; e la prima volta,prende brodo dì cappone(S. E.).
; 82. Quando la donna di parto sì pettina la prima
■ volta (mai prima di 8 giorni) ha da avere sotto i piedi
un ferro qualunque : uno spiede, una zappa, una scure...,
se non vuol perdere 1 capelli (F.f.P.): — Affinchè non
le cadano i capelli , basta che abbia sotto i piedi un
ferro scaldato (Cb.).
83. Per 30 giorni, se ha partorito un maschio; e
per 60, se una femmina, la donna è « impura », e non
può concepire di nuovo (L.).
84. La dònna stravedale , 40 ggiòrne sta 'mmalate
(Pett.). Ma però le nostre popolane presto lasciano il
letto e riprendono le occupazioni domestiche.
85. Come si è detto, n. 83, la donna di parto è
« impura ». Prima di riuscire di casa, ella fa chiamare
un prete da cui si fa benedire (Av.): — Finito il puer-
perio, la donna areindre 'n %anàe, va in chiesa per farsi
« ribenedire » dal parroco, al quale offre una candela,
e da cui fa leggere il vangelo sul capo del neonato.
Prima di « rientrare in santo », n'n à da vede cele,
non deve uscire all'aperto e andare dovecchessia (L.).
Se facesse visite , prima . di andare in chiesa , queste
sarebbero di malo augurio (Cb., O.) : — Nel « rien-
trare in santo , la donna porta seco la levatrice , la'
quale tiene in braccio la creatura. Il prete la riceve
alla porta della chiesa; e, accesa la candela offerta dalla
puerpera, la precede tino all'altare; dove, secondo la
possibilità della donna , recita una litania o dice una
messa (Ch., Car.).
Jottv— — ~-~ —
Morte — Usi funebri.
La vita cosmica , nella maestà dell' ordine e nella
andiosità dei fenomeni, è il primo noto. Il paragone
t la caducità umana e la stabilità delle manifesta-
ani naturali, fa, nella coscienza volgare, la persua-
de della sua inferiorità; la quale perdura finché nella
iscienza colta quella non sia mutata nell' altra : che
Natura attinge la massima sua espressione non nella
imensità dello spazio e del tempo, ma nell'assorgere
« vita umana », la cui maggiore potenza è il « sa-
:rsi » — la mentalità — .
Questo ritmo dell' Essere, presentito e vagheggiato
ili' Arte; sentito e riconosciuto dalla Religione; sa-
ito e rivelato dalla scienza , è il quid divinum , che
:lla fantasia , nel sentimento e nel pensiero brilla
mie ideale della vita e dell' azione , e , sostrato del
isso infinito delle forme, è ciò che si manifesta, ma
m passa, con la vita dell'individuo. Brilla, nella co-
ienza colta; balugina, nella volgare.
1.
Per le prosopopee della Morte, ved. Vocab. dell'uso
tr. } 299 ; Arch. tradi%. popol., voi. IV , pag. 487 , e
)1. V, pag. 203 ; Credente, Usi e Costumi abruzzesi :
'ult' i morti.
1, « Cosa terribile è il morire. Una donna , morta
<
'flftftf
non battezzata, perchè raccolta nella ròta , apparve ai
figli. Smaniava e urlava. Un prete, chiamato, le disse:
— Vuoi che io ti battezzi ? — No. — Vorresti tornare
a vivere ? — No. Vorrei piuttosto che un bove avesse
a passarmi per la bocca, che tornare a vivere; perchè
nessuna cosa è più terribile della morte (Ch.).
2. A 21 ora mori G. Cristo. Se in quell'ora cam-
pana e orologio battono contemporaneamente, qual-
cuno ha da morire (G. , F.f.P.) : la morte chiame
(Pese).
Se F orologio batte quando la campana annunzia
un' agonia , quande sòrte la santa d 9 alme, morranno
presto sette capi di casa (V.).
Se orologio e campana s'incontrano a sonare men-
tre un morto va ad essere seppellito , morranno fra
breve tante persone quanti saranno i tocchi battuti
dall'orologio (Fur.). Semprechè batta Forologio quando
le campane sonano a morto, è segno che altri ha da
morire (Pett.).
3. Quando il caso di un infermo comincia a esser
\ grave, una donna, accompagnata da verginelle, si manda
in chiesa a pregare la Madonna per la salute del ma-
lato (Tom.) : Si va a pregare la Madonna de Vènere
(Pese).
Si bada se la fiaccola della lampada fatta accendere
per questo sia tranquilla o agitata, traendo buon au-
gurio nel primo caso, e cattivo nel secondo.
4. Nel cominciare l 1 agonia , il morente è visitato
dalle anime dei suoi morti; i quali, sfilandogli accanto,
-83 -
dogli dell' « amico » (G.). Un uomo )
fin dì vita , rammentava bene che i ?
a lo avevano visitato (L.). j
: dei morti sono allevolte visibili sorto j
; sicché possono essere viste da chiun- j
; ha viste in copia, gné 'na vrueeanne \
me una folata dì farfalle, (G.). — Ma, !
uesto caso, se ne vedono. Delle far- ;
he svolazzano, nelle sere di estare, in- \
si deve aver compassione appunto 5
nime del purgatorio » (L., G., V.). <
le bianche , sono anime del purgato- ]
dano dei loro cari e vanno a visitarli >
si posano sulla persona, è buono au- \
a Toscana, chiamate « Fortune »]. 5
l'agonia di chi in sua vita abbia vio- <
o bruciato un giogo, o tolto il buon \
'tifarne, a una persona. Per alleviarla, \
e sotto il capezzale del morente una J
e un ghiaiottolo, 'na bbrècche (F.f.R); \
:aso, un giogo nuovo (S. E., Pett.). <
in agonia da più giorni. Si sospettò \
ato un giogo, jóve; e in fatti, messo ;
) sotto il guanciale, quella spirò (L.). i
.intuenti stentata, penosa: Quando il ?
jt lume di intelligenza da pensare ai ]
i a uno stretto congiunto, che è lon- i
a moglie e i figli non si allontanano e
te (F.f.P., Pese). \
Del resto, l'agonia è sempre penosa: pei ricchi, ai ì
quali incresce di lasciar la roba; ai poveri, pel pen-
siero di lasciare senza aiuto i propri cari; ai giovani,
pel dolore di lasciar la vita (C.s.A.). Né l'agonia dei
bambini fa eccezione, « perchè pei grandi , che sono
peccatori, patiscono i bambini, anime innocenti » (Ch.).
6. Allorché qualcuno muore , se qualche maligno ,
ànema nére, che è presente, raccoglie la lacrima che
si mostra nell' occhio del moribondo , e la frega sui
propri, quello a cui la lacrima fu tolta andrà cieco
nell'altro mondo, d'onde ne farà continuo rimprovero
all'uomo perverso. Nella sera di Ognissanti, se questo
si farà alla finestra, vedrà passare i morti per via; ma,
se alla vista di qualche « brutto morto », o ucciso o
altrimenti morto senza Sacramenti , preso da terrore,
volesse farsi in dietro, gli sarà impossibile , che una
forza segreta e irresistibile lo tratterrà al suo posto
(F.S.M.).
« Una persona fregò sul proprio occhio la lacrima
di un agonizzante. In quel momento , vide sfilare i
morti accorsi a visitare il moribondo. Dalla paura, fu
per morirne; e del peccato andò a confessarsi a Ro-
ma » (Pese).
Chi soffre di dolor di capo, se frega sulle sue tempia
e sulla fronte la lacrima di un moribondo , rimarrà
libero del male (Av.).
7. Se ad un agonizzante reciti all'orecchio il « Credo
doppio », devi essere sicuro di esser poi visitato dallo
spirito del morente » (O., S. E.).
Itov
-85-
una persona in fin di vita, i
ecchio: « Vieni a dirmi che <
sarà di cerco visitato dallo ì
irà una pena per questo, ce )
non vuole queste cose , e j
a all'anima che fu « precet- j
: assiste un moribondo deve |
:ener lontane da quello le ì
bocca di un morente, specie ?
olta gli chiede i numeri del i
o, prelibate, a chiedere a Dio 5
me , in sogno , andrà poi a <
dente (L., P.zo). \
fu un poco di buono , V >
me lontani, il più che si può, 5
mima, l'afe, potrebbe entrare j
più vicini (O.). !
IL I
cadavere suol essere lavato ;
ad acqua : — Si lava , con S
(C. C).
è vestito dei suoi abiti mi- '
più decentemente che si può, >
• , \
essi , le mani , portanti un >
i congiungono sul seno. \
• I bambini, vestiti «da angeli», con ghirlanda
< mazzolino di fiori in mano, e a piedi scalzi.
| Ai giovanetti e alle ragazze si mette in una n
j una crocina fatta con candela della Candelaia, e
l'altra un fiore (Ch.). — Ai celibi e alle nubili, s
; pure di età avanzata, si mette in mano un ramos<
f 'na palme, di olivo (L., V., Pese.)- — Le ragazze
] bili sono vestite con pompa nuziale: abito bia
) ghirlanda di fiori , mazzolino di fiorì in mano ,
| nelle o stivalini bianchi, ovvero a piedi vestiti da
5 calze bianche. — Le maritate sono vestite con la v
i nuziale (T-, C.S.A., C. C), e portano 1' anello b
l detto, la fide. — Le donne morte di parto sono lasi
\ coi capelli sciolti (S. E.).
> Gli orecchi del morto si turano con cotone ,
< ritardare la formazione dei vermi.
) Ai morti di condizione civile mettono in una t
S una boccetta di odori , e nel!' altra un fazzoletto
( le iniziali del defunto (C.S.A.).
5 Al morto si mette una moneta in tasca: per pa :
? il tragitto del fiume Giordano (Tom.): della Vali
( Giosafat (Ate.) : pel viaggio a s. Giacomo di Ga
( (Rocc, Ar., S. E., Cas.). — « In manchen Geger
£ erhielt sich diese Sitte (del mettere una moneta i
l bocca del morto) bis in die Zeit des Christenthum
ì des Mittelahers ». J. Marquardt, Handbucb der -.
ì Alterlh., pag. 349.
J li. Quando si veste il morto, e quando si col
? nella cassa, è d'uopo fare con esso come con per;
viva ; e, a ogni movimento , invitarlo ad aiutare, di-
cendo, anche mentalmente: Fai questo, Mettiti questo,
che vogliamo andare in chiesa, a messa. Chi è scal-
trito, facendo di questi inviti, move, solleva, veste il
morto facilissimamente; ma chi non sa il segreto, risica
di scoppiare dagli sforzi, perchè il mono impunta, se
'tnbónde, (V.) ; divien grave , s 9 aggravandisce, quanto
mai (Ch., F.p.F., Pese). Cfr. nn. 17' e 26.
12. Per memoria, si suol conservare del morto,
specialmente delle ragazze , una ciocca , /&{&, (L.),
létnbe (C.S.A.) di capelli.
13. Avvenuta la morte: Da una finestra che dà sulla
strada si suol gettare, in segno di pianto, un catino
d'acqua (L.): Si apre l'uscio di via per dare adito alle
anime degli antenati del morto (Pese.) : Si aprono le
finestre , per dare il passo agli angeli , che hanno da
trasportare in cielo l'anima del defunto (V.),
L' uscio di via ha da rimanere aperto per tutto il v
tempo che il cadavere rimane in casa, per non impe- {
dire F entrata alle anime dei suoi antenati , che arri- ;
vano per benedirlo e per accompagnarlo in chiesa )
(Ch., G., V., C. C, Pett., Pese). \
14. Se il morto resta in casa la notte, oltre ai ceri /
che ardono a capo e a piedi del letto funebre, in ]
tutte le stanze della casa si lascia ardere un lume: e, '»
ì
se non ce ne fossero abbastanza, si chiedono in pre- £
stito dai parenti o dagli amici (Rocc).
Il lume che fu acceso vicino all'agonizzante, ha da
rimanere acceso fino a che il morto non sia sotterrato;
— 88 -
e per questo ci si rifonde olio ogni unto, finché poi
si spenga da sé (C.s.A., C, At.).
Quando il morto resta in casa la notte, oltre a un
lume nella camera , mettono vicino al cadavere una
bacinella con acqua , uno sciuganuno e un pettine
(Roccar.).
15. I parenti e gli amici , entrando nella camera
dove giace 1' estinto, con 1' aspersorio, o con un ra-
moscello dì olivo, posto nella secchiolina dell* acqua
benedetta che è a piedi del morto, aspergono tre
volte, in croce, il cadavere, mormorando qualche pia
o affettuosa espressione ; p. e. Ce le pò^a rijittà' da
70 deh ! (C. C.) ; il che è notato con compiacenza
dai superstiti (Pai., V., C.s.A., Roccar.).
Anche in chiesa la secchiolina dell' acqua benedetta
è messa, per lo stesso fine, a piedi del morto (Roccar.).
Nella chiesa della « Madonna della Cona », presso
Atri, vi è una fossa comune, dove anche oggi sono
messi i morti della contrada. I contadini, entrando per
la messa, nei dì festivi, segnatisi con 1' acqui bene-
detta , poi la spargono, facendo il segno della croce,
sul chiusino di quella sepoltura (C.S.A.).
16. In molti luoghi, acconciato il cadavere sul letto,
le persone di famiglia , i parenti e gli amici siedono
all'intorno e fanno un lungo piagnisteo. In quei mo-
menti , la donna più attaccata per vincoli di sangue
all'estinto, suole intonare una nenia; il che, nelle di-
verse parlate, dìcesi arepetà', arpetà' (L-), areputd' (G.),
Tappeta' (Av.), arpèie' (C.S.A.), archìamS (O.), piagne'
-JW
ju mùorte (Pai), piagne' fu «mine. (Pett.). Per saggio,
diamo questa di una madre, che piange la sua bam-
bina: Oh, core de la mamme, cére de la mamme! — E,
ccbèje (cbi) te /' avesse diti' a ttajjc (te) , care ' de la
mamme ? — Dond' (ove) è (hai = sei) jite, angele d' ju
paradise, angele d' ju paradise ? — E cchèje mi chiam' a
mmé, core de la mamme ? — Dónd 1 è jile la lèttere (ron-
dine) de la mamme, core de la mamme ? — Quandi ère
fijja vèuve (buona) , core de la mamme I — E ccheje %e
la credè, core de la mamme ? — Chèje %e la pen^è de fa'
'sta can^àune, core de la mamme ì (Pai.). E questo fram-
mento di nenia della moglie al marito : Oh, ca se «' i
ccascate lu trave de la case! — Addò se n' è jbtte (ito)
lu prucacdande de la case ì — Oh, ca s' è scurite lu sòie
mi, lu sóle me' ! (Rocc).
Queste e simili nenie non sono niente d' impara-
ticcio. Caso per caso il dolore detta !e più patetiche
espressioni, vestite della forma più immaginosa.
Senonchè, il ridicolo s'infiltra anche nella cosa più
seria, qual'è la mone; e cosi, p. e., a una madre, che
piangeva il suo neonato, si fa dire : A cquand' à 'vule
tèmbededì'; « Mamma mC , sfatte bbónel». E a un'altra:
Ne' mm' à date nefiùnc despiacère! Ne' mm' à fatte ma'
'na mmala respbstel
17. Avvolto il cadavere in un lenzolo, non lasciando
scoperta se non la faccia, lo collocano su di una ta-
vola. I vicini, i parenti e gli amici, vanno a visitarlo,
portando ognuno una lucerna o una candela , che si
accende al morta Durante 24 ore , è un viavai di
persone che, inginocchio™ intorno al morto, pregano
per lui, e piangendo ne richiamano la vita (B.cX).
Nel fare la veglia al morto , in alcuni comuni vi-
cino Aquila, le persone accorse novellano, propongono
indovinelli e tengouo discorsi , anche gai, per fugare
il sonno.
Di notte , nen £ à da piagne ju muèrte , perchè se
ne disturberebbe il riposo, con compiacenza degli spi-
riti maligni (Pett.).
Il cadavere si ha da lasciare solo nella stanza per
qualche tempo, per dare luogo agli spiriti buoni che
vanno a visitarlo (L.).
17'. Il piamo molto protratto fa penare l'anima del
morto (T., Av.): Le molte lacrime bagnano la camicia
del morto, e lo impacciano di andare spedito nella
sua via (Ch.): Le troppe lacrime rendono sdrucciole-
vole la strada che il defunto. ha da fare per essere al
luogo del suo riposo (C.S.A.). « Se non si smene dal
piangere, l'anima dell' estinto non può trovar riposo;
e infatti, un giovane mori ammazzato, ed era portato
al camposanto. La madre e la sorella, che dalla finestra
vedevano portar via il morto, ricominciarono i pianti
e le grida, chiamando il povero estinto. Il feretro si
rese cosi grave, che convenne posarlo a terra. Cessati
i pianti, ridivenne leggiero, e fu facile portarlo a sep-
pellire. Quel peso enorme indicava che il morto pe-
nava finche duravano quei pianti della madre e della
sorella » (C.d.S.).
18. Appena che in una casa muore un indivìduo,
e non è riacceso prima di due a
e è in casa, non si spazza; non si
sarebbe di malo augurio (Ch.); le
ìano; gli uomini non si radono.
III.
idavere ha da essere trasportato in
collocato in una cassa foderata di
iecondo l'età del defunto, con co-
volte è tappezzato d' immagini di >
nostri piccoli comuni , le famiglie 5
;nano il cadavere dalla casa alla <
està al camposanto, seguite dai pa- {
Le donne, specie la più prossima (
o, durante il tragitto, in chiesa, e \
anno un piagnisteo, che ha tregua !
i messa. (L'usanza è antica, e regge ;
echi e nuovi. Nello « Stat. munic. ì
gge : Che sia tolto e proibito l'antico <
nare i morti le donne piangendo, ni 5
antilene piagnolenti nel portarsi in j
n saprei da quando; ma qui l'usanza ■>
enti del morto, nei loro abiti mi- \
;uro, che sono quelli di lana, vanno ,
Ì. In alcuni nostri comuni, specie i
? nei montuosi, indossano, sia pure nel soilione, le caj
j Le donne coprono il capo con un fazzoletto ne
> col solito bianco a cui è soprapposto un velo t
/ In molti luoghi , durante il trasporto del cad
< di una ragazza dalla casa alla chiesa, sogliono,
' nelle pompe nuziali, gettare alla folla confetti e da
) Fino a pochi anni fa, in Casoli, anche all' eleva
' della messa, in chiesa. In Roccaraso, anche dura
> tragitto dalla chiesa al camposanto.
j 2i. Portato via il mono dalla casa : Si ha da 1
\ via tutta l'acqua che ivi si trovasse; perchè in
i l'acqua hanno bevuto i morti. Ved. nn. 4 e 13 1
j SÌ deve lavare tutto ciò che è stato in contane
] morto; altrimenti l'estrema unzione non gli giovet
{ e non potrebbe avere requie {V. , C.S.A.) : Si s
i la casa e si assetta (Pett.) : Non prima di tre g
? si ha da spazzare, se non vuoisi fare cattivo au
■' ai superstiti (Bucc).
) 22. Nella più dei comuni, per un morto le can
j sonano facendo , ogni volta , due pause ; per
■j donna, una.
; In Lanciano e dintorni, due pause per l'uomo
j per la donna.
s In Roccar., sia per uomo sia per donna, una f
/ In V., sette per l'uomo, otto per la donna, 11 p
S ' Nella processione di S. Giovanni {24 giugno) , le
J di Orsogaa indossano i gravi scialli di lana rossa , che
i una costola più dell'uomo », a cui fu tolta. ;
lo lo scampanamene è lungo , celiando , si \
■t mòri' 1 a da risse' '«« riccb', o Iti parènde de i
ane. \
nbini, da sene anni in giù , le campane so- ',
sta : a mmurtecìelle (Roccar.) : a 'ttegritfe (G.) : l
L). j
ragazze, da venti anni in sotto, le campane j
sempre a festa, ad allegrile (C. C.) '.
IV.
rminato 1' uffizio funebre e rientrato in casa ,
, dopo un certo tempo che tutti sono stati \
senza dir motto, i parenti e gli amici vanno ,
nendo solo qualche più intimo, dalla cui casa •
o in quella del morto il desinare funebre : <
L, Pett., Pese), Cbr^ele (T.), On^ulu (Aq.), .
Pai., C. C), Recùtt^ek {$.), Recòn^ere (Torr.), '
G.), Lu stare (Ate.). *
età agape funebre non prendono parte se non >
i parenti che la mandano, o l'amico.
iti più stretti , successivamente , portano ;u
. volte , questi desinari sì ripetono per tutta
nana (C.S.A.).
di cominciare il pasto , si recita il Rosario,
ingia , e si finisce col rammentare la vita e
lei trapassato (C.S.A.).
) si manda il desinare , la tovaglia con cui
si copre il canestro non dev'essere rincalzata, ma pen-
dere tutt' all' intorno; e quando si riportano a casa le
stoviglie , vuote e non lavate , proprio come furono
tolte di tavola, la tovaglia non dev'essere ripiegata né
deve coprire il canestro , ma , avvoltolata , si ha da
metterla accanto alle stoviglie ; che , facendo al con-
trario, sarebbe di cattivo augurio per chi manda il
desinare (F.f.P., Pese).
Niente di ciò che avanza a tavola ha da tornare in
dietro ; ma deve esser consumato dai servi e da- chi
ha preso parte agli apparecchi del funerale. Né le sto-
viglie debbono lavarsi , ma rimandarsi in dietro per
essere rigovernate in casa di chi ha fatto il desinare.
Dal pasto funebre sono assolutamente esclusi i mac-
cheroni, i quali sono cibo di nozze. — Nella casa del
morto, spesso per tutto un mese, « non si maneggia
pasta », non s'intride farina, e il pane è comprato (Av.).
Il pasto funebre si fa in una stanza diversa dalla
solita (Av.).
V.
« Das Grab ist uberhaupt nach der ùbereinstimmenden
Ansicht des Alterthums eine Wohnung, in welche der
Verstorbene einzieht , um dort eine andere und bes-
sere, aber doch seinem frùherem Leben entsprechende
Existenz zu beginnen ; es hat daher Charakter eines
Hauses , welches sowohl fùr den Todten einer be-
stimmtent Einrichtung bedarf. Daher werden dem Todten
Kleider } Geld , Schmuch , ein Ameublement, Lebens-
- 95
J
■ss-und Trinkgeschirre mitgegeben , den
Waffen, den Handwerker oder Kunstler ;
kszeug , der Frau ihre Toilettengegen- t
K'mdc sein Spietzeug; die ganze Masse
nden des hauslichen Lebeos, welche ud- '
)ewahren, statnmt zum grossen Theìle )
ìr ». J. Marquardt, Rom. *AUerth , VII >
Theil, S. 365-367.
denze ed usi, con poche alterazioni, sono ;
;rso i secoli , e arrivati rimo a noi ; e \
fa costruire pei suoi morti una tomba,
untuosa, nella quale, senza mistione di
cassati hanno dimora. Ma pesò, U volgo, ;
jer meglio inteso il significato del Me- 1
n'd pulvis es, et in pulverem reverteris, si .'■
dere inghiottite da un solco le spoglie i
oi cari, molte volte ravvolte a un seni- ■
e solamente una rozza croce sta ad in- ■
a in cui un essere umano rientrò per {
no della gran Madre. ',
:hiesta sulle condizioni igieniche e sani- -
ini del Regno, 1886 », constatò che, in
11' Abruzzo, l'uso di sepppellire i morti, j
i in una cassa (affatto sconosciuto nel- ■
più o meno superstite in tutto il resto >
isiste tuttavia. {
to in cui riposano i morti, è sacro. L'erba J
cimiteri o nei pressi immediati, sia pure \
di bellissimo aspetto, nonché mangiarla, {
non si ha neppure a toccarla (G., Car., Roccar.):-
fiorì si può ben coglierli, ma « per devozione», e p
offrirli ai santi di cui si hanno immagini in casa (L
Violare le tombe , per cercarvi oggetti preziosi ,
poi atto sommamente sacrilego. « Anni or sono ,
tale Marchetti frugava nei sepolcri della diruta chie
di s. Ippolito. Era di agosto e si trebbiava il gran
Insorse un temporale che mandò all'aria grano e pagi:
Mentre i contadini facevano il loro meglio per m
tere in salvo qualche cosa, seppero che il M. sta
frugando nelle sepolture di s. Ippolito. Senza voler
' altro, accorsero sul luogo armati di forche e pale ,
; diedero al M. tale ricordo , da portarne i segni p
tutta la vita » (Roccar.),
Una volta, chi moriva in peccato, senza sacramen
non aveva sepoltura in luogo sacro; ma fuori, pres:
le mura della chiesa, e precisamente sotto le grondai
sóW a le canale. Donde il modo di dire : A Uè te
óm' orbile sótt' a le cantile!, Sei un empio! E tutto:
scavando vicino alle mura delle chiese antiche , vei
gono fuori delle ossa umane (L.).
26. Nel portare un cadavere al camposanto , se
portatori avvertono che la salma si fa via via più p
sante, credono che le anime del Purgatorio vanno il
contro al morto, e si posano sul feretro (Ch.).
> Nel momento che il morto passa su di un corso 1
j acqua , diviene più pesante , j' aggravandisce (L.) ,
l 'mbeselisce (Car.). Per impedire questo effetto, quel
t che lo portano, prima di metter piede sul ponte, hann
e
irlo a nome (Ch., Car., O-, S., Pese). « Una ;
e non sapeva il segreto , passando con un
in testa sul ponte , sentì tale peso che le
reme essere schiacciata » (F.f.P.).
nono ha bisogno di un fanciullo che gli dia
i lo aiuti a passare il fiume Giordano (P.zo) : ]
Ì Giosaffatte (O.). Quando si battezza o si ■
n bambino , interviene sempre un compara- ;
1 bambino premuore at compare, questo, al- j
:à la sua volta , troverà quell' angelo sulla
l* altro mondo; e se, com' è più naturale, il
muore prima del bambino, l'angelo custode
gli andrà incontro alle porte dell'altro mondo.
, come s'intende, sarà dei genitori. Onde per
della perdita di qualche figlioletto , si suol
n angele che we ve' 'sci' 'nqòndre, da equa a
«/(p«t.).
tri i moni debbono andare a s. Giacomo di
>' onde il detto comunissimo : Ji ssan Già-
'ialì^te, chi rìn gè va vive ce va mòrte.
o arriva a s. G. di G. in 24 ore, nello stesso
in cui spirò (Ch.).
acomo sì doleva che nessuno andasse alla sua
, è tanto lontana la Galizia ! Solamente s.
so fare quel viaggio. Per consolarlo, gli disse
: « Sta buono, Giacomo. Chi non ti visiterà j
■siterà morto. D' allora, una portelli , che è !
mio, batte ogni momento, e nessuno la tocca : i
orti che continuamente entrano ed escono. ■:
— Per quella stessa portella entrano tutte le rondini
del mondo; e ciascuna porta a s. Giacomo un chicco
di uliva. Cosi, olio non manca mai per le innumere-
voli lampade che colà ardono dì e notte » (V.).
« Due persone facevano il viaggio della Galizia. Du-
rante il tragitto, uno dei due mori. Il compagno
pejnsò : Tanto, è lo stesso ; perchè a S. Giacomo chi
non va vivo, va morto; e, messo il compagno in un
sacco, prosegui il viaggio. Nelle osteria, pagava sempre
da mangiare per due, ma raccomandando che una delle
due parti glie la serbassero pel ritorno. Giunto in Ga-
lizia, il santo fece rivivere il morto, il quale nel tor-
$ nare in * dietro , mangiò via via le parti che il com-
? pagno gli aveva fatto serbare » (Ch.).
VI.
Altre credenze ed usi relativi alla morte e ai morti.
29. Se la civetta canta sulla casa dov'è un malato,
questo è spacciato. — Se canta sul tetto di una casa
vicina, saranno disgrazie.
30» Nel momento che qualcuno muore, se tira vento,
è cattivo segno per lianima del morente. Se P aria è
tranquilla , vuol dire che l'anima va in luogo buono.
31. Se muore un uomo addottorato, appriveleggtate,
o un prete, si tira dietro sette capi di casa (G., V.).
— Parimenti, se muore una ragazza (gióvene, nubile),
se ne tira dietro altre sette (L.).
32. Chi muore di venerdì, sarà seguito da altre sette
persone del vicinato (Ch.).
— 99 -
i
e coperte sulle quali il cadavere è messo in
m intignano, rìn %t tarli, mai; sicché , anche ;
sto, all'uopo si adoperano le migliori (G.). ,
Tel trasporto del cadavere in chiesa, se a questo -,
il capo , altri gli andranno dietro fra non ,
Ch., V., L-). Peggio, se il morto era capo di ì
. Ne morranno altri sette (Rocc). — Se il morto j
, se catamèna, nella cassa, vuole altri dopo (Pese). ■
e piove sul morto che va in chiesa , pioverà <
imi di seguito; ma però , il sabato fa sempre \
ie (G.) : Pioverà per 40 giorni (Ch.): Piover! i
e mesi (V.). j
overà su di una « giovane » (nubile), pioverà j
giorni (L.)- \
lei tempo che un cadavere è in chiesa, non si '<
aetter pettine in testa ; si genererebbe del fa- '
5. E.). * j
-e sonano le campane a morto, le donne che \
lasserò perderebbero Ì capelli (L-). <
'erminate le esequie , si raccoglie il colaticcio >
ndele accese intorno al feretro, e se ne forma S
celta, che si pone in pgjfo al morto (Rocc). \
.a catena non deve dondolare nel camino; che S
filerebbero le teste dei morti in sepoltura , e j
irberebbe il riposo (L., G. , V., C. C.)- — Si ;
:he : Perchè farebbe dolere il ventre ai ragazzi \
.) : ai giumenti che sono nella stalla di casa ;
tove fu ammazzato un uomo , usa in alcuni \
luoghi gettare dai passanti un sasso , e , ne
istesso , recitare un Requiem. — « I Tartari e
tanti della Piccola Russia credono che il viai
assicuri un viaggio felice quando, incontrand'
un monticello di pietre, che copre alcuna to
aggiunge di suo una pietra... Usi somiglianti
vano tra i Germani... gl'Indiani... e altri pop
amichi Greci... e gli abitanti dell'Italia meridio
vano un uso somigliante ». De Gubernàtis, Mit
pagg. 102-3.
40. Commesso un omicìdio, e non conosc
l'autore, il cadavere è messo in mezzo alla
'm mè^x' a la case, e tutti coloro che furono
al fatto , successivamente , girano intorno al
poi lo baciano. Se tra gli astanti fosse il
la ferita, spicciando sangue, lo scoprirebbe (
41. Chi ha commesso un omicìdio deve lan
sull' arma , sia sulla terra , ì! sangue della vi
gettare l'arma micidiale in direzione opposta
per la quale vuol fuggire; al contrario, non
fuggire (Roccar., S. E.): non potrebbe passa
di un fiume o di un torrente (L., O., V., C.S.A
41'. (Patto di sangue. — Due persone che
legarsi per la vita e per la morte, debbono ;
inocularsi il proprio sangue).
42. Non mancano evocatori di morti. Nel
di Filetto , forse vive tuttora uno di coston
più reputati.
A Roccar. credesi che i morti possano es;
me innocenti; e mi fu narrato di una ra-
na ragazzo, che in alcune ore del giorno
i assopimento tale da parere come morti.
fermamente che, durante quello stato, le
;uei ragazzi viaggiassero, in compagnia di
pel regno dei morti. Alto svegliare i, erano
dalle persone interessate ; e quelli , a. loro
ano conto di ciò che avevano visto e udito.
iC
r
Oltre tomba.
43. La morte naturale è da Dio, ed apre le porte o
del Paradiso o del Purgatorio o dell'Inferno. La morte
accidentale avviene o per disgrazia (caduta , annega-
mento ecc.) o per omicidio , o per gastigo di Dio
(fulminazione -, terremoto ecc.). Le anime di coloro
che non moiono di morte naturale non trovano luogo,
rCn d lóche , nert dróve lócbe , (il luogo delle anime è
il Par., il Purg. o l'Inf.) perchè non « chiamate » da
Dio; e perciò. sono costrette ad andare errando, ;T
spèrse, per la terra.
44. I morti per violenza, senza gli ordinari riti fu-
nebri , sono malefici e nemici dichiarati deir uomo.
(Ved. T altro voi., pag. 6). Se si passa per un luogo
in cui un uomo fu ammazzato, lo spirito dell' ucciso
dà segni di sé, ora con gemiti, ora con fracasso; ov-
vero si manifesta in forma di vortice, che insegue o
trasporta ; ora di grosso gatto ecc. Anche le bestie
sentono la presenza dello spirito , e impauriscono o
si danno alla fuga. —Ma però, le apparizioni non av-
vengono quando il viandante sa e pensa il fatto di
quel dato luogo (Roccar.).
Oltre a prendere quelle forme che a loro piace, gli
spiriti, nella immaginativa popolare, hanno altresì forma
umana, e parlano, camminano; operano.
45. Questi spiriti errabondi, àneme spòrge, vanno ad
assistere alla « messa dei morti», che, nella notte del
103 -
,\ì
2 novembre, si recita nelle chiese da preti anch'essi
morti ; ma non possono entrare in chiesa , e riman-
gono fuori inginocchiati (Roccar.). (Ved. l'altro voi.,
pag. 184).
46. Uno spirito non può aver requie se non nel
giorno in cui , per volontà di Dio , avrebbe dovuto
lasciar questo mondo (Roccar.).
Gli aneddoti relativi alla credenza negli Spiriti sono
senza fine. Do qualche saggio, avvertendo che non ve
n'è uno solo per cui non si facciano nomi di luoghi,
di tempo e di persone.
47. a) Una vedova, da alcune notti, sentiva bron-
tolare e sbuffare sotto il letto. Una delle volte, fattasi
coraggio, accese il lume, si levò, e vide 11 sotto un
cane. Scacciatolo di casa , chiavò V uscio per bene e
rientrò in letto. Poco dopo , di nuovo gli stessi ru-
mori. Certa di aver a fare con uno spirito, col Cro-
cifisso in mano e a voce alta, recita il credo. Ma, questo
non fece nulla. Si rialza, riscaccia il cane, e si mette
lì ad aspettare il giorno. La mattina, racconta il fatto
della notte alle vicine. Queste , a una voce, P assicu-
rano che il cane non poteva esser altri che il ma-
rito (!..); il quale, trovandosi in Purgatorio, andava a
ricordarsele per averne suffragi (V.).
b) Un signore (di casa Ricci) era insidiato da un
poco di buono , che voleva fargli la festa. Sapendo
che quel signore, nelle sere d'inverno, andava in con-
versazione nel palazzo del Duca, si appostava sotto
un arco, per cui quel tale doveva passare. Senonchè,
D
— 104 —
p
dalla prima volta, vide che quel signore, anziché
come per solito, era scortato da una buona mai
armigeri. Ma, chi erano quegli armati, se nel
non ce n'erano punto? Certamente, le anime del
gatorio , che sotto quella forma proteggevano 1
signata vittima. Primo a convincersene fu lo
malvivente; il quale confessò il fatto , e amarai
pianse la sua colpa (Cas.).
e) Una donna (Maria Suriani) andò di noi
chiesa per udir la messa dei morti. Una comari
morta, le si avvicinò e le disse : « Va, questa
non è per te, ma per noialtri morti. La dice un
che non l'aveva detta in vita; e la sentono coloi
non 1' hanno sentita quando erano vivi. Se rìm
qui mentre il prete dirà il primo Dominus vob
cadresti stecchita ». La donna non udì a sordo, e
via a gambe (V.).
d) « 'Nu bbaigariòUc (un uomo di vita licenz
girellando una notte per la città, trasse all' « Ar<
Purgatorio a , dove sentiva ballare e batter le
Uno dei danzatori gli disse: Se ttu abbaile, non g;
forte , Cb' a equa c-i-abbalte l' alni' e ano le eòi
malcapitato riprese subito la via di casa , dicerie
sé : Se àia 'sui panie me pò$rc scambà', Nerìutu
me vujje echj a%rd' (più alzare). Ma, dalla paura
malo e mori. Sepolto in luogo sacro, ogni notte
colà grandi rumori. Il morto andò in sogno ali
prete e gli disse: « Levatemi di li, che io sonc
nato ». Tolto, infatti, i rumori cessarono (V.).
iorni di Ceppo, una ragazza, in compagnia j
andava a Cliieri. Era ancor notte , ma ,
urne di luna. A un certo punto, dove già ,
mmazzato, la giovanetti, voltasi in dietro, ì
,no un uomo a cavallo , che veniva alla j
: le parve che quel!* uomo ne avesse un
i. Aspettarono che arrivasse , per confi-
da insieme; ma quello, nel vedersi guar-
ita vicino a un tronco d'albero, né più si
le donne ripresero il cammino. Poco sta,
che una donna, tutta chiusa in una man- )
pareva senza testa, le seguiva. Credet- j
oscere in quella una donna che soleva '
dere i maccheroni a Pescara; e la ragazza, '>
io, le diede con la mano sulla spalla, di- ;,
i fé , fame ; jatri aveunit' a Ppescare ! Ma
spose sillaba ; e intanto , assieme, anda-
Giunte presso un bosco, la donna miste-
rve tra gli alberi , e un rumore terribile
ente la sparizione (Fr.).
mtadino, passando di notte, a cavallo a un
al camposanto, vide un uomo che, aperto
andatogli incontro, lo fermò dicendo : s
a andare a cavallo io !» Il contadino rifiutò.
lo stramazzò, e nel tempo istesso un lampo ì.
tccompagnarono la sparizione dell' uomo ì
Quando il contadino tornò in sjnsi, non \
ico da vicino; ma, giunto a casa, lo trovò, ,
afelato, innanzi all'uscio della stalla (V.). j
g) Nel territorio di Vasto è un vallone detto
« della paurosa ». L' origine del nome è questa : Un
giovane che di notte vi andava a frugnolo , ngbe la
cruciate, miseramente vi perì, precipitando nel vallone.
La madre desolata andò per cercarvi il cadavere del
figliuolo; ma invano, e una tempesta si scatenò, che
pareva il finimondo. In mezzo al nembo , la povera
donna vide un prete vestito di rosso; e dalla paura
ne morì (V.).
h) Alle « Quercette », c'è una capanna. Colà, anni
or sono, fu assassinato un uomo , che cavalcava un
\ cavallo bianco. Un tale, soprannominato « il Pazzo »,
che nel momento del misfatto passava 11 presso , an-
ziché accorrere, temendo per sé, prese il largo. Dopo
qualche tempo, ripassando per quel luogo , lo spirito
dell'ucciso, a cavallo a un cavallo bianco, gli va in-
contro e gli dice : « Come ! Vedesti che mi ammaz-
zavano; udisti le mie grida, e non accorresti per sal-
varmi ? Bada a te !... » Quello stesso spirito è apparso
anche ad altre persone (Fr.).
i) Una giovane andava a Chieti insieme con altre
persone. Fermatasi a un certo punto della strada, per
una faccenda, mentre i compagni procedevano, si vide
avanti un animale , della forma di una lepre , ma
più grossa assai. Le còse triste cumbarisce de cènde ma- \
nèirel Avrebbe voluto chiamare in soccorso i com-
pagni, ma parlare non poteva; e l'animale stava 11 im-
mobile a fissarla. Finalmente , con un lancio, si leva
di li e raggiunge la compagnia, a cui disse dello strano
è.
i
\
Ì$TL-
— 107
i
animale. Fecero tutto per trovarlo, ma invano. La
madre, a cui poscia la ragazza narrò il caso, le disse:
« Proprio, jusie, tu avevi a capitarci? Là fu ammaz-
zato un uomo, e ci si sente, e In spirete c-i-areèsce (Fr.).
I) Due pesciaioli dovevano andare a Ottona per
pesce. Era ancora notte. Uno dei due stava giù alla
marina; l'altro usciva dal paese. Giunto alla « Loggia
dei pesciaioli », questo si vede avanti una persona di
smisurata altezza, con occhi di brace. Non poteva esser
altri che il diavolo; e provò di fare il segno della
croce; ma la mano non l'ubbidiva. Voleva gridare al
soccorso; ma la lingua era paralizzata. Tuttavia, con- \
tinuò ad andare avanti; e l'uomo smisuratamente alto
avanti anche lui , camminando a ritroso. Giunto alla
marina, indicava lo spettro al compagno, ma non pò- \
teva dire altro che: « il diavolo ! » Il compagno, che
non vedeva nulla, quasi per beffarlo, alla sua volta gli
diceva di non vedere altro se non i cocomeri che la
piena dell' Alento aveva gettato sui greti. Il fatto è che
quel pover omo , dalla paura , giacque sette mesi in
un fondo di letto (Fr.).
m) Un giovane contadino dormiva in campagna
per guardare i cocomeri ; e sognò una certa Rosina, \
che le disse: «Andiamo, che buon per te». Il conta- <
dino non volle seguirla. La mattina, svegliatosi, non
trovò la camicia. Il padre del giovane , che lavorava
nel podere, vide che la camicia del figliolo, a grande
distanza, spenzolava da un albero. Il figlio andò, e trovò /
la camicia lavata, insaldata e stirata (Fr.). I
$
ì
108 —
n) Molti anni or sono , in una casa che io
nosco, si udiva di notte, in soffitta, un certo ruir
indistinto. La famiglia dapprima sospettò , poscia
tenne per fermo, che spiriti avessero ad essere e
altro. Fecero dir messe .alle anime del purgatorie
in fine chiamarono un prete per gli scongiuri. Il p
non ebbe il coraggio di recitare lo scongiuro s
faccia del luogo; ma fece del suo meglio nella can
sottostante. Come se nulla fosse stato, i rumori t
tinuavano sempre. Finalmente, alcuni coraggiosi
posero di andar su a perlustrare la soffitta. Andar
infatti, e trovarono, di contra a un finestrino, ut
latoio, che mosso dall'aria rendeva un minorino,
di notte, nella fantasia di quella gente passava
brontolio degli spiriti (Gas.).
\ 48. Quando ci si accorge della presenza di uno
\ rito, e se n' ha il coraggio, per sapere chi egli s
\ che cosa voglia, s' ha da piantare un coltello in t
\ e dire: « Da parte di Dio, dimmi chi sei !» A que
lo spirito non può a meno di rispondere, e solam
dopo che ha risposto può andar via (M.O.).
Si ha da ammettere che ci siano persone contr
quali a preferenza gli Spiriti ci possono, a cebi c-i-i
le spirde. Costoro, se vogliono premunirsi, debbe
nell'uscir di casa, fare il segno della croce, e poi
petere questa orazione: Ji' me facce 'sta signe — qtu
Marìf a fatte hi fijje — Scambe d' afe, pandàfecb' (
tasmi) e spirde maligne - Va ccunde quanda stélle stt
cele — quandi file de réne sta 'la marine — q
Mondo fantastico.
Fra natura e oltre natura, realtà e immaginazione,
ignoranza e scienza, restiamo ancora un poco, non già
per dir cose nuove , ma per completare l' inventario.
i. II Folletto, lu Ma^tmarèlle , è un essere tra il
bambino e il ragazzo ; col berretto di seta infiorato
(O.); con le nacchere sempre ili mano ; sollazzevole;
\ che picchia alle pareti, alle asserelle del letto, al sof-
i fitto; e che alle volte, non solamente si permette dei
5 giochi arrischiati , ma, in forma di vortice , può fare
£ anche dei tiri birboni. Dopo tutto,/««e fa fenì' appa%- ■
i <!/, (O.).
/ 2. Le Fate sono esseri benefici. Senonchè , hanno :
( pure, come tutte le donne, capricci , simpatie e anti-
'. patie. SÌ fìngono dotate di grande bellezza e di magico
f potere; onde, di donna bellissima, e più spesso, esper-
/ tissima in un dato genere di lavoro, suol dirsi: È, pare,
, 'tta fate ! — A loro genio, assumono tante forme; ta-
lora si rendono invisibili, e, a guisa di spiriti, si mo-
vono nello spazio rapide come il pensiero. — « Lamòjje
! de Surdìccbie era una fata. Stava alla finestra, e il telaio
t lesse sóla èsse; la mattina metteva su la tela, e la sera era
j beli' e tessuta. Ma , di codeste fate , ma' pòche \e ne
'i sènde eebiit ». — Anche alcuni uomini hanno della fata.
i Agricoltori, lavorano la terra in modo da averne prò-
< dotti mirabili. Artieri, hanno ale mani d'oro», e non
! c'è cosa che non sappiano fare a perfezione. Uomini
di lettere, non c'è niente che essi non sappiano (O.).
«r Quando , di estate , si passa o si rimane sotto
l'ombra di un albero, s' ha da dire mentalmente, specie
nel mezzogiorno o nelle ore vicine : libati giòrn' a le
fate! ; perchè può ben darsi che in quell'ombra, stiano,
invisibili, delle tate a meriggiare o a desinare. Tanto
vero, che alle volte, in queir ombra, s' è trovato per
terra qualche involtino di cibi. Parimenti, se in quel-
l'ombra è una fonte, dove ben potrebbero essere fate
a dissetarsi. Onde, per non essere scortesi e, più che
altro, per non tirarsi dei guai addosso, non si ha da
raccattare cibi per terra , né bere o attingere senza
aver detto prima : « Buon giorno ! Si può bere ? , at-
tingere?». Una donna che non sapeva queste cose,
trovò, all' ombra di un fico, un piccolissimo involto,
con pezzettini di cibi diversi. (Ognuno di quei fram-
menti era, diciamo cosi , il rappresentante di una vi-
vanda; perchè anche il cibo delle fate è tutto o in gran
parte invisibile). Supponendo che quei micolini di cibo
fossero 1' avanzuglio del pasto di un cacciatore , con
un boccone ingollò tutto; e poscia salì su di un fico
per fare una scorpacciata di quelle frutta ; ma, prima
che ne avesse toccato, ruzzolò e si fracassò le ossa.
Una comare che seppe per filo come l'era andata, la
confortò col dirle : « Poteva esser peggio ! Intanto, va
•
dalla capa- fate & scusarti ». E andò ; ma questa non si
placò facilmente, perchè, per colpa di quella ghiottona,
essa e le compagne in quel giorno rimasero senza de-
sinare » (V.).
— JÌStS
— 112 —
) 3. La Pandafeche, il Fantasma, l'Incubo, non fa altro
| che stendersi pian piano sopra chi dorme e suggergli
il fiato. Dopo avere oppresso più o meno lungamente
chi è addormentato, va via.
Un giovane raccontava che una volta , dormendo,
senti un peso enorme sulla persona, e sulla faccia il
contatto di un viso diaccio. Fece ogni suo meglio per
liberarsene, ma invano. Da ultimo gli riuscì di svin-
colare un braccio; die di piglio alla pistola; col calcio
di questa battè forte sul dorso dì chi era sopra , e
nell'istante si senti libero. Acceso il lume, si diede a
frugare per la camera ; ma , ebbe un bel cercare !
(Rocc).
L'Incubo è maschio o femmina. Chi vuol coglierlo
Dell' atto deve afferrarlo pei capelli ; e se domanda :
« Compare, che hai in mano?», rispondere non già
ì « capelli », che sfuggirebbe, ma : « crini di cavallo ».
\ Chi poi non solamente vuol liberarsene per sempre, '
e ma o far opera buona », ha da ferirlo leggermente, in
' modo che dalla ferita vengano giù almeno 9 gocce di
; sangue (O.).
' 4. Lu Lópe menare, il Lupo mannaro, nella notte di
> Natale, va in giro, urlando; specialmente, se arriva a
; un crocicchio, eapecróce, dove si suole attaccare le cro-
j cine di cera nella processione dell'Ascensione (Roccar.).
> 5. Li Scìjjune, i Sifoni, sono maschi o femmine,
< come gli altri * cristiani », e solamente allorché eser-
■ citano i loro malefici prendono quella strana forma.
i 6. Anche le Streghe e gli Stregoni sono esseri u-
tfl/w
r^
Igiene — Medicina — '
La vita , la salute , la malattia ,
della loro misteriosa natura, banix
sente e riflette , attratta la sua at
obbietto di continua indagine, stin
brama di tutelare la propria salute
per ricuperarla quando vien meno. ì
dunque una storia, che ne rispeccr
le varie forme delle credenze e del
i documenti. Non parrebbe vero e
giudizi si accasino in mente uman;
secoli di nuova vita civile, tradizior
sempre vive nella più di coloro eh
a noi, se non fosse altrettanto noi
di un tempo anche maggiore, non
bia ben poco intaccata l' invoglia i
coscienza volgare: la parola; talché
nella bocca del nostro popolo, fon
fologicamente , più vicina al tipo
la nazionale, moderna. Ma, chi n
bìente civile non immagina facilrr
reale del volgo , specie in campa^
quella di un tempo in cui l'isolani
delle famiglie confinava con la b;
adesso, dal popolino l'opera del ir
cata se non tardi, nei casi più gn
quando già si è trovata inefficace
**1
superstiziosi o empirici, si pensi quando 1' assistenza
medica era meno facile, più costosi i medicamenti, e
tra medico e malato era di mezzo il mistero di una
patologia sibillina, con una nomenclatura strana e delle
formule latine indicanti, il più spesso, preparati gale-
nici. V* ha inoltre che , normalmente, senza badare a
scelta, il volgo raccatta via via tutto ciò che crede
possa mai essere il fatto suo; e accanto all'antico mette
il nuovo, come una volta faceva degli Dei. Naturale
depositario di tutto ciò che, più grossolano ed etero-
geneo, cade come scoria delle idee di ciascun tempo,
esso raccoglie altresì il peggio che le dottrine medi-
che nella loro evoluzione storica rifiutano ; e a .tutto
questo aggiunge e mescola ciò che attinge dalle fonti
sempre vive della fantasia e della superstizione: mentre
l'affinità concettuale tra il mistero della vita e quello
della malattia e del rimedio dà facile aire alla sua ten-
denza mistica e alla credulità.
Pertanto, il raccogliere ciò che è opinione o credenza
o semplice erudizione del popolo in fatto di medicina
preventiva o curativa, vale non solo , come per altri
documenti, a determinare il grado presente della sua
cultura e ad appurare quanto sia la parte tuttora viva
delle nozioni più antiche nella eredità delle sue tra-
dizioni, ma , per le indagini demopsicologiche , a fis-
sare le forme che il pensiero ha successivamente ri-
vestito intorno alla subbietta materia. La storia , fino
a poco fa, doveva in buona parte supporre o divinare
le forme del remoto principio della scienza. Le ricerche
JSfefL
S
— n6 —
tradizionali ne vanno scoprendo i documenti
mezzo al popolo.
Della nozione dei morbi e degli espedienti ■
oltre alla nomenclatura volgare, do prima le
più superstiziose, cioè logicamente prime o
niente più antiche; poi quelle che, più vicine alla
o alla semiscienza, possono ritenersi più modi
Oltre a cinque lustri di esercizio medico
messo a contatto col volgo di molti comuni dell
Regione, e dato modo di attingere dalla viv.
ciò che qui riferisco, adempiendo la promessa t
pubblicare un saggio della nostra Botanica p
(Jhcbiv. trad. popd. l . Voi. Vili, anno 18S9J
questo capitolo è un complemento.
Per comodità di chi avrà ad esporre e il
quandochessia la Medicina popolare italiana, de
desto mio contributo in serie alfabetica.
In appendice, pubblico un curioso documenta
minori erano, tra noi come altrove, i princip;
tinuatori di quella dottrina esoterica, che nei te
moti comprendeva ogni genere di disciplina,
caso strano , son venuto in possesso di uno
zibaldoni frateschi , nei quali 1' empirico si ca
da scienziato. Da qualche indizio , non parmi
■ Non conosco l'ultima pubblicazione sulla stessa mati
dal De Nino; il quale, questa volta, mi ha privato del ;
leggerla. Sicuro che la non possa esser meno pregevole e
sue, sarei contento che questa, di un medico, confermasse
ciò che da un non medico è stato esposto.
picciare fortemente i carpi, finché la pelle sia molto
arrossita; e ciò pe 9 squajjà? le gajjune. [Per una strana
idea, si crede che i ganglii, gajjune, dei polsi ingros-
sino nel tempo istesso che quei della gola ; e che
questi scompaiano a seconda che con lo strofinio si
riesce a sciogliere, squajjd\ quelli]. — Giova accompa-
gnare la manovra con questa « orazione » :
Sande Bbia^e, de nòve fratielle,
Da nóv* à rmast' a òtte;
Da òtt' é rmast' a ssètte;
Da sètt' é rmast' a ssie;
Da sìe é rmast* a ccinghe;
Da cingh' é rmast 1 a cquattre;
Da quattr' é rmast' a ttré;
Da tré é rmast' a ddu';
Da du' é rmast' a une :
Sande Boiate, squajje 'sti hajjune (O.).
Efficacissima Funzione del collo con grasso di lupo
o di gallina nera (Cel.): — Stesi l'indice e il pollice,
in modo che tra le due punte rimanga il maggiore
spazio, si deve più volte al giorno aprire la bocca, sfor-
zandosi affinchè l'apertura uguagli quell'intervallo (Pett.).
Giovano i gargarismi fatti con decotto di orzo e
aceto. Inoltre , le unzioni con ójje de la lume, o con
olio ferrato, seguite da applicazione di stoppa, o di
sacchettini di cenere calda.
NelPANGiNA ulcerosa, y Ngina maligne, sono utili i
gargarismi fatti con scottatura d'iperico, la bbal^amine y
o scaccia-detnònìe : cosi detto perchè ha virtù contro le
« fatture » (M. C.).
n. ^
— 120 —
/>--.
Artrite. Reumatismo articolare acuto e cronico.
(Dulure, sm. pi. Lu rèume. Rumdtecbe, sm.). — Si scon-
giura con la seguente formula, tiratone:
Sópr' a 'nu pundecélle
Stave 'nu vicchiarèlle.
Arav' e renfurcave
Nghe 'nu pundélle d' argènde.
) 'N nóme de Ddij' e dde sanda Mari j e,
Lu rumàteche se ne pózza jìje — (Rocc, L".).
Ordinaria causa dei dolori artritici ritenendosi essere
lu sudar* arendrate, si procura di risudare, p y arecaccid 1 *
lu sudore, usando pediluvi con cenere, decotti caldi di
fiori di sambuco o di limone (L.), e poi, molti panni
a letto.
Se 1' artrite è limitata : a) fomenta con 1' orina di
cìtela f immene: b) con decotto di ebbio, samuchèlle, o
samuca ferrimene (G.): e) con decotto di erbe aroma-
tiche , jèrv' addurrne , nel vino generoso : d) frizioni
con midollo di prosciutto : e) con aceto dei quattro
ladri, o: con olio di giusquiamo (M. C).
\ Quando la malattia va in lungo , s' ha da andare,
\ in votivo pellegrinaggio, a s. Mauro o a s. Mariano,
santi padroni del reuma; e bisogna pur dire, che queste
gite spesso producono eccellenti effetti.
Ascesso. ( Scèsse, 'Ccèsse, sf., e più com., Pòste, Pu-
sléme e Screziane , L.). — Per accelerarne la matura-
zione, a) comunemente è usato il cataplasma di malva
o sugna rancida, y n\bgna fracede. Inoltre, il cataplasma
di malva , sugna e latte d 1 asina (L.) : b) di cipolla
<s
-i
e sì tuffa nella prodigiosa acqua ròsee. — 01
dolori, in genere, 1' « acqua rossa » è ritent
per la cura dell'asma, pàseme, tire de pèlle, sp>
dei cavalli e dei bovi; i quali, se affetti da re
riscono sicuramente ; se da asma , ritraggo
meno gran giovamento (Ate).
Anche le acque del Pescara si tingono
J Che cosa è quel rosso? « La Pescara è fer
< ha ì suoi mestrui, come ogni donna. Ma è
j non e' è da fare a fidanza con essa. Se u
ì mestruante va a bagnarsi nella Pescara , o
< guado, o altrimenti si bagna in quell' acqu:
ì è limpida , la 'Pescare ji si pijje lu mése. Pe
\ quella donna deve andare a ribagnarvisi qua
\ scare ti' lu mése sè\ quando l'acqua è rosss
S Afe* che sso' repassate, aredamtne le 'ngbmedt
ì ti si rrubbaie» (Cb.).
) [Il fenomeno del coloramento in rossa
? acque dei due fiumi, dovuto ad acquazzoni
; nelle alte valli dei medesimi sciolgono ema
j aveva dato luogo a credenze superstiziose
5 tempi dei romani. Nel Pescara , il colorar
< viene se ingrossa il torrente che discende, p
) lina, da Castelvecchìo Subequo. Onde dico
i state , se piove nella vallata dì Aquila , 1'
J Pescara è bianca; se piove in quella di Sulr
) qua è rossa]. (C. C).
j Presso Collediinacine , è un vallóne , la i
| dopo il solstizio estivo, a volte, sente di zc
che allora contenga del mercurio; ond' è molto {
rcata per bagni. J
i Avezzano, molti vanno a prendere il bagno nel '
accio, a Ila refóta , del molino Colonna , già co- J
lille, dove l'acqua è limpidissima. e
i laghi e alle fonti minerali, parimenti accorrono ;
;ran numero i nostri popolani, Ì quali , per seco- \
esperienza, ne conoscono le virtù e a, preferenza \
signori , mostrano di avere in pregio la roba di >
propria. ?
1 singolare virtù è il bagno che si prende la raat- (
di s. Giovanni, allo spuntare del sole. Vedi l'altro >
, pag. 158. |
albuzie. — Sono balbuzienti, ciavajje, caccajje, G., \
irò ai quali , appena nati , la levatrice trascurò di ;
are col dito il frenulo, Iti fetélle , della lingua. — \
pari, colóro il cui compare o la comare, nel le- >
i dal fonte battesimale, sbagliarono nel dire il Creda. 5
arba. (La varve).—l bambini che mangiano l'ovo \
guscio tenero, l'àv' amàbbele (L.), non metteranno v
»(L.). |
er far crescere la barba, s' ha da ungere il viso '{
unguento di sterco di piccione, sìcupìje (V.m.). i
[.EMORRAGIA. BLENORREA. (Scòli, Snl., Scula^iotie, sf.). (
on manca tra noi la malvagia credenza che l'uomo <
a guarirne col defiorare una bambina, e, non meno {
;io! I
iova il decotto di ellera , lètteci — cime di rovo, \
e de ruve — gemme, pappe, di ulivo gentile, che >
non ha menato ancora frutto — radiche di liquirizia,
recidile — parietaria , jèrva murène — e malva. Fatte
bollire codeste erbe in 4 boccali d' acqua, finché più
di mezza evapori , se ne prende un bicchiere la mat-
tina (O.).
Calce. — In riguardo alle sue applicazioni igieniche,
abbiamo il prov. La càìggia bbenedètte , lève ugne dde-
fètte (G.).
Calli. — Per 24 ore, si applica sul callo la pròpoli
delle api, lu strabbe de lape ; dopo di che, è facile e-
nuclearlo (L.) : — Fatto un pediluvio in acqua calda
con cenere, si applica un pezzetto di cipolla o di carne
pesta, e si ottiene lo stesso effetto : — Usa anche di
applicarvi su una crassulacea, detta appunto « erba dei
calli » : ovvero V euforbio ; o la polvere delle bacche
intrisa con aceto (M. C). — Giova inoltre , ungerli
spesso con sego.
Cancrena. (Cangaréne,L.). — Si applicano le foglie
di tasso verbasco, rinnovandole a seconda che si dis-
seccano, fino a che cada la parte cancrenata (M. C).
Cancro. — Il cancro nella bocca viene ai maldi-
centi (L.).
Capelli. — Una folta, nera e lunga capigliatura, è
sempre il desiderato delle mamme pei loro figlioli, e
specialmente per le ragazze. Per questo, si guardano
dal tagliare i capelli ai loro bambini prima che com-
piano il primo anno : — Nel momento che le cam-
pane « si sciolgono » per annunziare, nei Sabato santo,
TTip
— 125 —
I
le donne prestamente snodano le loro
no i loro bambini, perchè il pettinarsi
quel momento ritengono favorevole
i capelli (V.) : — Come pure il pet-
vuta sul capo la rugiada di s. Gio-
ìtro voi., pagg. 125 e 157: — La-
in l'orina ancor calda di un bove, i
lunghi e fitti come il pelo di bove
Jna ragazza che sì lava il capo con
1 risciacquato il pannolino tinto del
estruale, ha capelli che sono una ma-
la altri potrebbe esser risentito l'effetto
■odigiosa; ma, chi te la dà ? È tanto
! (V.) ; — L'olio in cui fu fritto un
è mirabile per far crescere i capelli
azza che desidera una lunga capiglia-
;ere un po', a capo scoperto, sotto la
nevate, non si ha da tagliare ne ca-
se mio, se tritteche la còcce (L.).
;iòie micèlle, fortifica e fa crescere Ì
Per fortificare i capelli, e per far ri-
duti, si deve bagnare il capo con de-
gerlo con olio, di abrotano, ^Artemisia
(M. C).
'Ndrace, sf. 'Ndràfia maligne). — Sì
te malata un anello da cucire, 'na de-
imento simultaneo di pressione e ro-
essa un cerchio cruento, «che isola
il male ». Poscia, su tutta la parte infiam
plica uu cataplasma formato di uva secca
bruciata e finamente polverizzata — fior
latte e rosso d' ovo (L.) : — Nel catapla;
liente si mettono delle foglie di giusquiar
Catarro gastrico cronico. (Véne stumi
cale). — Non c'è migliore rimedio delle :
V ano.
Couca. Ved. Dolori di ventre.
Contusione. (' Mmaccature; Schìaffature.
stato risentito da uno o più ossa, ma ser
ecchimosi della pelle, 'Ndunaturé). — Co
sulla parte contusa, applicano una chiarata.
5 ficacia ha 1' applicazione dalla resina di fa
< sulla parte contusa. I contadini che vann
5 in montagna non mancano di provvedersi
5 Convulsioni dei bambini. (Bandìóle , L.
< Cs.A. Vendajjóle,Cm. 'Mbandìble, At. 'JV/an
) — Si fa stringere in pugno dal bambino m
) come l'ha in pugno s. Donato. (Una chis
| gemo fa pane degli amuleti che si attacc
ì bini). — Se le convulsioni fossero gravi
in lungo , si pesa il bambino e vi vota a
t se farà la grazia di liberarlo, un peso eg u
\ CW.P.).
; Corizza (Afflussióne, Flussióne; Clamóre, 't
— Comunemente, si applica il cerato di G
'. ojje, nell'interno delle narici:— In uso altre
; zioni di erbe aromatiche : — nonché il decot
ben caldo, per sudare : — Giova avvolgere il capo in
un panno lano esposto al fumo di erbe aromatiche ;
(Lam.).
Nella rinite cronica e nelle lente irritazioni delle
i
ì
narici, sono utili le unzioni di olio d'iperico (M. C).
Costipazione di ventre. (' Ngagnamènde de viscere, L.). £
— Se la stitichezza non è abituale, ma effetto di even- l
tuale stato morboso delle intestina , oltre a qualche *>
purgante, si suol usare la tnerculèlìe (mercurialis annua), l
in decotto; e, quando vuoisi effetto più energico, da
mangiare condita.
Crusca, macchioline che vengono sul viso dei biondi
(Vrènne , L. La linde , C.s.A.). — Le lentiggini ven-
gono ad alcune donne nella prima gravidanza; e per-
tanto sono ritenute come un segno dell'avvenuto con-
cepimento (L.).
Debolezza degli arti. — Se un bambino tarda a reg-
gersi in piedi e a dare i primi passi, a) nel momento
che le campane, nel Sabato santo, annunziano la ri- \
surrezione, si lascia per un istante (T.), ovvero si fa
camminare sorreggendolo (C.s.A.), e ciò basta perchè >
abbia presto facile il movimento : b) gli si suona il \
campanello , usato nella messa , accanto alle articola- *,
zioni delle membra inferiori ; ed è rimedio di speri-
mentata efficacia (L.). ì.
Denti. — Per far spuntare , schiatta' , facilmente i
denti, si druscia, se struse, sulle gengive dei bambini
un dito intriso di fiele di maiale , o di cervello di
i
— 128 —
sxxx*
lepre. (Conservano, anche secchi, l'uno e l'altro, p
toccare in ogni tempo l'orlo gengivale) : — Si fa ni
sticare ai bambini un pezzo di prosciutto (Ch., C.s.A,
I denti di latte, secondo che cadono, si fanno mt
tere dai bambini in una buca, dove, si dà a credei
che poi troveranno un soldo (O.). — Lu mammari
se le Ibjj', e cce métte 'nu sòlde (V.)- — Mìnele sópr'
lu tétte, ca t' arnasce le dètid' a sacchétte. Mìnele :
mhtf a la fòche, t' arnasce lu dènde ttore (C.S.A J. — (
Téli', e ssbpr' a nètte, famm' arenasce' 'nu dènde mi)
de quéste. — O : Tétte mije , tétte, ècchete ji chibrt' (
storto) e redamme ju ritte (Pese).
Per preservare i denti dalla carie e per fortificar
giova fregarli con la filiggine, falli na (Cel.) — ovver
risciacquarli spesso con decotto di angelica, Archang
> Uca officinalis, Linn. (M. C).
i Chi, in non so qual mese dell'anno, ammazza ui
• lucertola, schiacciandone la testa tra le estremità de
) l' indice e del pollice della mano destra , acquista
ì virtù di far cessare in chi si sia il dolore di deni
toccando con 1' estremità di quelle dita il dente ci
; duole (L.).
{ La terapia del dolor di denti è delle più ricche. li
nanzi tutto, si scongiura il dolore, invocando s.» P
Quande sgrida Bbdlònij' a lu mare seiitv
La man' a la mascèlle se le tenéve.
Passe Jesii Criste : — Bbellònìe, che haje?-
— l'éoghe 'nu delóre de dleode,
iune me dice mende —
ice la mai» sande :
ìe d' lu Patre, A' lu Fijj' e dd' lu Spireie Sande
(Rote),
nche s. Lorenzo :
ide jave (andava) pe' lu mare Jesu Criste,
re sande Lurènze. — Lurèrtze, eh' è fatle ?
che {con) 'mi contile tajjende.
ide se ne pózza cadi e' ,
iónge {verme) se pózza morie' (lb.).
.rdo :
e Lenarde pe' lu mare jéve (andava) •
"gena Marije le scundrève,
d è (hai), Lenarde, che vvade (vai) piangèride? —
, Matra Marije, ca me dóle lu dènde —
lu delóre, ze ne pozza ji' ;
lu vèrme, ze pózza muri' —
ìe la Vérgena Marije,
i delóre de dènde ze ne vade vije (O.).
la seconda e terza formula si rileva , il
uè il semplice dolore da quello causato
i quale ritien predotta da un baco. Con
:e dolore , sono adoperati , fra ì tanti , i
edi : a) Si tostano delle noci in numero
fanno bollire nel vino bianco. Di questo
nno sorsate da tenere sulla parte dolente
iacquature con decotto di salvia : o , di
juiamo (M. C.) ; e) con decotto di radici
): d) ovvero, di malva, camomilla e cor-
logranato (L.) : e) o , con vino caldo in
cui siano infuse delle schegge, in nu
mattone non adoperato per murare
il dolore è sostenuto da carie : a) Si
cariato, o nel buco formato dalla cai
noci brustolile (L.) : b), o un chicco
e) o, un chicco di sale (C.S.A.) : d)
di garofano (Ib.) : e) o, della polveri
/) o, un chicco di allume di rocca (
Diarrea. (Sciujjimèndt. La jite. La 's
dei bambini , specie quella epidemica
suol ricorrere nell* estate, e in queste
dìonali fa tante vittime, è d'ordinarie
mamme volgari; le quali, se non a
male sia prodotto da « latte scaldato
? corpo riscaldato o in sudore, lo attrìb
tizione — come se in luglio e in ag(
mettessero i denti ! — , e non consu
se prima le creaturine non siano rido
Il cacio marzolino, lu cafe marcale
quello fatto net primo venerdì di ma
guarire dalla diarrea i fanciulli che ne
Il riso, in minestra , e le ova sodi
Nelle diarree che vanno in lungo,
dì bistorta, verbena , corteccia di que
gine (M.C.).
Difficoltà di respiro. {Affatine, Bett
B'titeme , Bettemìere , G. Sanetére, L. 5
La gente non distingue se dipenda da
/
della glottide , bronchite diffusa o capillare ecc. , e
perciò adotta, per tutti i casi, l'espressione generica
di « affanno » ecc.
a) La malattia è più temibile nei bambini, e per
questi s'invoca l'aiuto di S. Biagio.
O sande Bbia^e, rauovet' a ppiatà !
Se nnó, 'stu puverèlle com' a da fa' ?
) Cu* lu ségne de la crocia bbenedétte,
\ Aredajje la salut' a 'stu puverétte (Rocc).
<
<
<
(
<
(
b) Si mette del pane in una madia e si accosta alla
medesima il bambino infermo; il quale, intanto, dovrà
\ avere la bocca aperta. Aprendo e chiudendo il co-
perchio della madia per nove volte , in modo che il <
fanciullo possa ricevere in bocca quelle ventate, si ha
da dire ogni volta :
Fuje, fuje, bbettemére,
Ca P arca me' é ppréne. \
(O : Ca T arche de lu pan' é ppréne).
Ciò fatto, quel pane si dà a mangiare a un cane (L.). S>
Altri dice che il pane non sia necessario, bastando
il solo ventare col coperchio della madia. $
e) Due fette di pane immollate nel vino « cotto », j
con sopra polvere di cannella, si applicano una sullo
stomaco e una sulle reni del bambino , tenendole in
sito con una fascia (F.f.P.).
d) Ai fanciulli che soffrono sovente o abitualmente
di affanno, si ha da far mangiare uno o più topolini
fritti; avvertendo che giovano solamente quelli da poco
— 132 —
nati, àf angore métte li cartelle, che ;
ì primi peli (O.). Ved, Asma.
Dissenteria. {Sprème, L. Spriemie, I
stanghe, Prèmtj' a ssangue, C.S.A.). —
mime, le ova sode.
Distrazione muscolare o tendinea
(Nèrve 'ngalvecate o cumbbste, L. Nèrve .
— Nelle distorsioni, giovano innanzi ti
Eccone delle formule :
a) A In còlle de sande Jènne (C
C é nnate 'nu bbèlle jènghe (giovi
Lu jènghe ca s' £ milióne,
E lu nèrve ca s' e ccumbòste.
Prehéme Ddi' e la «lidissima Tern>
Ca lu nèrv' a lu lóche sé' se n' ar
E si fanno , sulla parte dolente ,
1' a olio della luma ».
a 1 ) San Giuseppe cam enave,
E la Madonne s' arevuddave.
— Clied aje, GgiusÈppe, ca nin (no
— Lu dulòr' a equi m' a dare.
Nin iacee se è ddulòre
O è nnerve 'ngalvecate —
— Facce la cróce, GgiusÈppe mije,
Ca lu dulóre se ne va vije,
A nnóme de la Vérgena Marije (V
a") Tre ragazze, ciascuna con i
dicono :
Nu' Ire zzetèlle séme;
Tré aste ma ti detieni e.
'N nóme de Ddij' e dde sanda Marije,
'N nome de Ddij' e dde tutte le sande,
Lu dulóre se ne pozza ji' 'rréle, e Diteci bòa
Queste parole si ripetono ire volte, face
il segno della croce sulla fronte.
In L., per lo passato, c'era chi possede\
de sande Salvistre : un nastro rosso, che s
torno alle tempia di chi soffriva dolor di
a') Facendo una croce sulla fronte, a
si dice :
Sóle me lagn' (sic), e acque de Spagne
Nghe lu nóme de Ddij' e da sanda Marij
'Sta dulènzie se ne pozza ji' (S.E.).
a") Il dolore di capo è quasi sempre
malucchiature. Si scongiura con la seguen
mentre chi scongiura lambisce la fronte d
Vaccarelle, cu vva pc' gghiu mtmne.
Li ce ut u gghiu figghiu té' 'ni b ronde.
Ltccutu gghiu figghiu me';
Scambugghiu da gghj occhili rè (S.V.).
[Trad. Vaccherella, che vai pel mondo
figlio tuo in fronte. — Leccati il figlio m
palo dagli occhi rei].
Lo stesso scongiuro è efficace anche pt
domestiche. Quando il male è prodotto e
chiamra », la lingua di chi lambisce la fre
ferente sente qualcosa di salso (Ib.).
b) Le persone che soffrono mal di e
a raccogliere la lacrima di un moribondo , e quella
fregano sulla fronte (Av.).
e) Se il dolore dipende da insolazione, giova a U
solata », la sulate. Si fa bollire dell'acqua in un pen-
tolo nuovo , a 'na pignata nòve; poi , messovi dentro
un pettine nero e un fusaiolo , si posa sul capo del-
l' infermo, il quale deve sostenerlo , mentre per nove
volte si ripete uno scongiuro (L.) : — Si mette in un
catino, a y na va^ìje , dell' acqua bollita ; e quella sul
capo del paziente, dopo capovoltovi un pignatte Mentre
una donna « dice » al dolore (lo scongiura) facendo
croci sulla fronte dell'infermo , se V acqua del catino
entra nel pignatto, si tratta d'insolazione; se non entra,
si conchiude che diversa è la causa del male (F.f.P.).
d) L'uscita di sangue dal naso è utilissima per al-
leviare o togliere il dolor di capo; e quando una spon-
tanea epistassi non viene all'uopo, lo scolo del sangue
è provocato , stuzzicando le narici con una cima di
gramigna, e dicendo :
Sangh' e ssangaróle,
Cacce lu trist' e mraicce lu bbóne (O., C.S.A.).
Ovvero: Mèrtn' e mmermaróle (?),
Cacce lu trist', e mmicce le vuone (Lara.).
Tremendina, treraendine,
Cacce sangh' e mitte lu vine (G.,L.,F.f.P.).
Lappa, lappe de san Giuuanne,
Famnie 'sa 'na carrafe de sangue (Pett.),
e, cosi dicendo, si mastica il fiore spinoso di un cardo,
che fa sputare del sangue.
O:
Anche :
*
i
- ij6-
•**■
e) Nei casi più gravi e particolarmente nei t
di capo che accompagnano i febbriconi dei bau
giova legare sulla fronte una rana viva (L., F.f.P., (
—una rana scorticata (S.E.) : — Si spacca per lo 1
una gallina nera ancor viva , e le due parti si ;
cano a mo' di cataplasma sul capo (L.) : — Si
tono sul capo dei porcellini di s. Antonio, purch
sana' lAndbnìe (Oniscus murarius); ovvero un
plasma fatto di una radice pesta, che chiamano k
le&je (Car., S.V.).
/) Se il dolore è effetto di raffreddore, giov
prìre il capo con una padella, fervóre, ben risai
(Pai., Ch., Cs.A.).
g) Qualunque sia la causa del dolore, giova ;
care, sulla fronte e sulle tempie, le foglie di vei
o di portulaca. Inoltre , far le pezzette fredde ,
« aceto dei quattro ladri » (M.C.).
Dolore intercostale. (Zinne calate, L. Zenttétte e
Cs.A.), — Quando non è da pleurite, dipende d
bassamento, caduta, delle mammelle, \lnnt, sì nell'i
che nella donna ; e ci sono degli espeni a rime
in sito, a fari' aresajje' , stropicciando prima sot
mammelle, con olio de la lume, e poi spìngendo
in su le costole.
Come negli altri dolori, giova applicare lu cup.
calle.
Ma , se questi rimedi non giovassero , bisogn:
dare a fregar le reni al muro della casa comi
dicendo :
Cu minime sue (j/oi — sa) frabbecate,
me che mme ita'i ccaUie (S.E., O.).
mattine di seguito, si va sotto un
cura renecSU; e, afferrato un ramo
enzolarvisì, levando i piedi da terra,
tornare in casa per via diversa da
are (L.): — Per tre sere di seguito,
no , si va a sospendersi e dondo-
jffle, a un fico a nericello » (F.f.P) :
i dovecchessia, purché il sostegno
travicellino) sia abbastanza elevato
t tre sere , dopo il tramonto , e
ne, la persona pratica di far risa-
i 1' operazione , applica sulla parte
di cavolo, 'na frórma de cóle, unta
aa nera. La terza sera, dopo la mc-
iere il paziente a una corda racco
re (CsA).
tE. — Gran parte di ciò che segue
>ia dei bambini.
e si prevengono a) : facendo roto-
terra , quando si sentono i primi
b) sul pavimento di una chiesa, nel
.inpane suonano a festa, nel Sabato
are la risurrezione di Cristo. Vedi
124 e 162.
i di efficacia preventiva il portare
sacchettino, un pezzetto di budello
\f
<>
I dolori di ventre sono causati, principalmente, da
intrigo delle budella , tòrcevedèlle ; da materie insolite,
l contenute nelle medesime ; e dal mal dei bachi , Ver-
menare, sf. G. Vermenache, sf. L. Vedi Vermi.
a) Se il dolore dipende da intrigo delle budella,
si fa sdraiare supino il paziente per terra; e la donna,
che fa lo scongiuro , appuntato l' indice della mano
destra sulP ombelico del -medesimo , gira intorno , di-
cendo :
Sande Martine, che viene da Franze,
Viene de punde, cóme llanze {lancia).
Jacce 'nfusse {giaciglio bagnato) e ppajja d' are {aia) :
Marite dóigg', e mmójj' amare.
Lu delóre de la vèndre,
Donne {da dove) s' é ppartute se pòzz' areturnà' (G.).
I due ultimi versi, in O., variano così :
Sande Martine va pe' la vije :
'Stu delóre de panze se ne vade vije.
Come c'entri s. Martino nello scongiuro, apparisce
da questa leggendola : — S. Martino, in viaggio, chiese
ricetto a un contadino ; il quale , nonostante che la
moglie non volesse, glielo concesse di cuore. Ma, la
donna dispettosa, per fargli venire un reuma, bagnò
il lettuccio del povero viandante. Il dì seguente , il
pellegrino partì e la moglie deir ospite fu presa da
atroce dolor di ventre. Il marito corse a raggiungere
il santo uomo, pregandolo di aiutarlo a soccorrere la
moglie. S. Martino, tornato in dietro, recitò sulla donna
1' « orazione » qui riferita, e subito quella guarì (O.).
— 139 —
"™- -^ — — — ~~ i
Altra « orazione » per iscongiurare il dolor di
e :
*N gira' a 'du mundarèlk-,
Chi arav' e echi sumendaw ;
Tré ccaròfeue ci piandovi-.
Passe 'nu vicchiarèlle.
— Vicchiarèlle, che bbaje facènne?
SknJo ; ténghe 'nu dulóre de vèadre,
E cniciùne me dice niènde. —
— Vaitene 'ra batadise ;
C* é la lambe de 11" ojj' accése :
Ugnateli pe' la vèndre,
E sse ne passe lu dulóre de la vèndre — (Race),
i") Per gnarire del tbrcemijjìcule il suo bambino,
idre lo prende per un piede , e cosi spenzoloni,
a testa in giù, lo gira tre volte, le vote tré wóte
(F.fJ>.).
V) Facendo dondolare la catena del camino , si
a il dolor di ventre (V.m.).
r sedare il dolore, e per agevolare l'uscita dei gas
materiali dall'intestino, sono rimedi più comuni:
i) Tre gocce di « olio di lume » in un cucchiaio
te (S.E.) :
») Fiele di piccione, tostato e poi stemperato nel
(Ib.):
:) Fiele di riccio, sciolto nell'acqua (O.) :
i) Vino in cui sia spento un carbone acceso (Ib.) :
) Decotto di pennacchio, bentrt, sf., di granturco
; e , in mancanza , di chicchi di granturco
(L.):
( J) Decotto di foglie di arancio non innes
■ cetràngule (Ib.) ; alcuni ci aggiungono foglie di
; canfora :
' g) Vino generoso, in cui, per mezz'ora, sia;
! fuso del pepe (G., Pai.) :
h) Olio in cui vennero fritti degli spicci:
; aglio (Pai.) :
' i) Decotto di verbena (M.C.) : di assenzio (S.
< f) Se il dolore dipende dai bachi , giova
i qualche sorsatina di petrolio, di quello greggio, <
> miniera (S.V.).
j m) Si copre il ventre , a mo' di cataplasma
; fiori di ginestra (V.).
5 Eczema. Ved. Sfogo.
i Efelidi. Ved. Crusca.
tj Emorragia. ('Muraggije. Muraggije de sangbe, L.
J a) L'epistassi, sangbe da lu nase, moderata , si rii
• benefica. Se profusa, infrenabile, si scongiura con qi
< formula :
( O sangue, sangue, eh' abbagniste (bagnasti) l'Arte,
; Prime che Ggesù Criste fusse mòrte,
< Ji' te cunimann', a nnonie de lu 'Terne Patre,
; Ch' aiepijje subbete la tua strale (Rocc).
; Ciò detto, disserrando le mani in viso al soffen
£ e accompagnando l'atto con un grido di minacci;
? rivolgono gli occhi al cielo.
\ Altri mezzi , più comuni , pé ffa' stagna' lu sa,
| da lu nase : Legare strettamente la base del dito
o della mano corrispondente Illa narice che san- ;
a : — Spruzzare all'improvviso acqua fredda sulla i
; o, applicarvi una complessa fredda, o anche un
io (Ar.) : — Masticare pallottole di carta bianca
i.) : — Annusare della polvere di fave tostate (L.) :
', di millefoglio (M.C.).
b) Per stagnare il sangue delle ferite, comunemente
i adoperati : la tela di ragno : — la rasura di panno
— la filiggine : — la polvere di sorbe secche o di
neri: — il succo di piantaggine, la cìnghenirve, L.;
tidenterve, G. Ved. Ferite, a),
è) Nella menorragia , fiusse de sanghe , giova far
il succo di ortica fresca (L.) : — e il decotto di
:i di bistorta (M.C.)- \
d) Nella metrorragia puerperale, con un nastrino i
ita rossa si legano le basi delle dita delle mani e <
jiedi, nonché il mezzo delle cosce e delle braccia. ì
chi aggiunge che, fatta l'operazione, alla puerpera {
i da far bere del brodo con un ovo sbattuto , e ?
juale sia finamente tagliuzzato un pezzetto dello (
o nastrino rosso. )
e) Contro l'emottisi, spate de sangue, sangue da lu l
sbruffe de sangue, il volgo ritiene che poca o nes- j
efficacia abbiano i rimedi; e che, quando questi ?
ino, più che altro, si tratti di sangue de véne, che ;
iene dallo stomaco. D'onde i proverbi : La bban- \
rosee, è ssègne de huèrre — Lu male di W èteche, )
arisce la prèta quatre (il sepolcro). \
cuni credono che giovi prendere per molto tempo J
anee. Ved. Sfogo.
Tisi.
re, Fréve, L. Frème, G). — I. Nei bam-
uente di febbre è il « malocchio», ved.
lesto, a ogni buon fine, innanzi tutto,
: 'nganda', L. ; a ffareje di', G. ; a ffa'
lìdie, C-s-A. La febbre da a malocchio »
iera, é 'nu febbrone. [Febbrone, Febbrone,
di Febbre : e, Febbre efimera; perchè,
rda].
gagliarda e accompagnata da dolor di
risoluzione di forze, qualunque ne sia
lata /èbbra maligne, L.; fèbbra mmala-
le rincontro , si prendono due o più
vivi, si stringono con una fascia sulla
:mpie. Morti i primi, se ne mettono
cessi la febbre, o almeno il dolor di
iù forte è la febbre, più ranocchi am-
ontamente. In mancanza di ranocchi,
, a mo' di cataplasma, si applicano sulla
ccioline bianche, molto comuni presso
chèìle bbiangbe (G.). — Contro la fèbbra
io eroico l'ingollare delle cimici vive,
torlo d'ovo (S. V.).
i la natura della febbre, giova sempre
■ delle mani e dei piedi, le narici e le
citante con fiele di maiale, pòrche ma-
III. La febbre intermittente
frèse, pi.; la fèbbra stralunale
ìsch., la cummare), a scorno di
avuto ed .hanno il mestolo nella
la peste indigena di molti nost
L'uso del chinino, la cunine,
cura della febbre da malaria, è
più si crede in una febbre, più o
la presa del rimedio, detta « /e
poiché, d'ordinario, la breve
persistente azione della causa m<
la virtù del rimedio, e l'infezioi
pre motivo di battere la febbre
empirici, di cui sterminato è il
alcuni.
a) Si mette un granchio n
finché muoia (O.).
b) Spaccata una noce, vi si .
chio, assai moschivoro, detto la -,
con un filo, si cala in una bor:
breve, si porta al collo per tre
e) In una pezza di lino si
pioni , ma^adéte , e sì pigiano,
questo si allunga con acqua, ci
sereno, si prende in tre mattine
Ìd cui siano fritti degli scorpioi
dai giovani, per far enfiare cene
esimersi dal servizio militare O
d) La pellicola che si stacca
ftflp
M
<
(
del ventriglio, vrefile, di una gallina nera, secca e pol-
verizzata, si ha a bere nel vino (L.).
e) Chi ne ha il coraggio, beve la mattina, a di-
giuno, la propria orina. Meglio, se stata una notte al
sereno (L., G., V., Cel.). * {
f) La gromma formata nei camini dalla filiggine,
sottilmente polverizzata, si prende la mattina, a di-
giuno, avvolta in ostia o in pillole (L., V.).
g) Sulla superficie interna di un avambraccio , si
mette e tiene fasciato, per 24 ore, un buon pizzico di
polvere da sparo.
h) Nei cavi ascellari, sugli avambracci e sui polsi,
si applicano dei piccoli cataplasmi di agli pesti e zaf-
ferano : ovvero , di menta e ortica immollate nell' a-
ceto (S. E.).
i) Molto usati i decotti amari; nonché il vino in
cui furono infuse erbe amare ed aromatiche, specie la
menta, e nel quale alcuni mettono anche dei chiodi
rugginosi — La verbena, la purcètte, o la purcèlla mà-
scule, Lam. (Verbena offic), l'erba sacra e di occulte
virtù medicinali presso i teutoni, i greci e i latini, è
usata, pé 1 ddéndr' e ffóre, in alcuni comuni della nostra
montagna.
I) li prezzemolo , /' erbétta , che si raccoglie nei
luoghi aridi, si mette in infusione insieme col came-
drio , e tale infuso si fa prendere a digiuno (Aq.).
[L' Apiolo è stato raccomandato da poco contro le
febbri intermittenti].
Quando il caso è ribelle ai rimedi enumerati, e so-
— 146 —
migliami, si tentano le prove estreme con questi alt '
m) D' improvviso, senza dir parola, si scioglie
grembiule dalla cintola di una donna per la prie
volta gravida , e con quello si copre il malato (At
ri) St va a battere la ginestra, e poi si getta diet
le spalle il bastone (Ib., L.).
ó) Si va a mettere del pane su di un termine (L
ovvero su tre limiti di un podere vicino (At.), e
torna in casa per via diversa da quella fatta nell' andai
p) Colte tre cime di rovo, si gettano, senza gua
darle, dietro di sé (At.).
q) Si fa una scorpacciata di carne di maiale «
peperoni piccanti, bevendo del vino generoso quan
ne va. — Ovvero : Si mangia a sazietà di una frìttat
fatta con 17 ova accanate avute in dono da a
frettante famiglie , con molto peperone , e accorap;
gnamento di vino spillato da sette botti. (Cai.).
r) Al cominciare della febbre , l' infermo ha (
scagliare , il più che può lontano , un ovo dì gallit
nera (L.).
s) Nella valle dell'Aleuto, sotto il camposanto,
la chiesa della « Madonna del freddo ». I sofferenti <
febbre intermittente vanno a raschiare le pareti del
chiesetta, e ingollano di quella polvere involta in osti
o nell'acqua (Ch.): — Chi soffre o ha sofferto la febbi
intemittente, va ad appendere un ghiaiottolo all'intern
della porta della chiesetta rurale di s. Egidio abat
ritenuto padrone di siffatta febbre {!..).
t) SÌ mettono in croce , facendone alcuni suol
i crusca un calzino, e il malato vi o-
ollarlo che sia colante. Poi, attacca
nino, dove starà a rasciugarsi
entra in letto , e una donna , che
da lontano, fa la scala ansando, con
o. Quando è al letto dell' infermo,
la scure, quegli le domanda : « Che
* La milza » — « Ebbene , tagliala ,
e la donna, con la scure, fa tre volte,
, il segno della croce sulla milza.
, questa operazione s' ha da ripetere
rescente, e tre a luna scema (L, O.,
roce sulla milza due strisce di carta
stra dì tagliare nella direzione delle
)i, ridotte a pezzettini, sono gettate
numero dispari , delle foglie di ci-
scema, si stropicciano tre volte, io
sceme, sul fianco sinistro, ogni volta
iii) l.i bbemnieoute, luna zite !
: 'stu 'mmiveiite,
inde ne pò 1j vite (L.).
e a speranza dì espedienti magici,
irsi dall' « ostruzione » ha da man-
) abbondantemente con olio (Pai.).
è il rimedio migliore per guarire
nella f èbbra 'stru^tunale , giova a-
doperarla déndr' e fióre. D' ordinario , si
fianco sinistro, in forma di cataplasma, che
di verbena pesta, farina di orzo e bianco
fa rimanere in sito non meno di 24 ore. Ve
efficace, pe' ttera' tu sanghc da fóre, si aggi
pasta : gusci d'ovo triturati, l'artanita, la s t
e il miele (M. C).
IV. Due malattie acute, di rapido corse
in febbre eretistica , che accompagna un;
del cuoio capelluto e del collo, o delle pa
sottomascellari del medesimo, sono denoti]
la 'Scise (G.), le Tufìelle (Cas.), sm. pi. La \
pria delle donne che molto trascurano la
capo; la seconda, dei bambini. [Potrebbero
della « Febbre glandulare » di cui parla
nel giorn. il Morgagni, anno j2. mD , Parte 2
Ferite — a) Qualunque sia il modo in
vien tagliata o squarciata , la prima cura
( , ravvicinare i margini della ferita, sia con
ì con una fasciatura; e di arrestare l'emorr
l più comunemente adoperati per impedire
: sangue, sono : i ragnateli : la filiggine : 1;
l di un cappello di feltro : una fetta di « le
* (fungo ripieno di un polviscolo simile 2
\ Pai.) : la sostanza setosa contenuta in al
! campestri : la pellicola a forma di disco,
\ i boccioli delle canne. — Mezzi atti a fa
\ sangue e più specialmente a favorire la ci
( sono ; le frónne de lu tajje, le foglie di v.
rriffifV ■"— - — ■
j.) : le foglie dì tasso barbasso (S. V.):
, /' uojje 'nfulfanale (preparato col far
>lfo nell' olio) ; di cui si fanno cadere
, ancora caldissime , sulla ferita (O.) :
«ottante : olio e filiggine : olio e vino
olio o vino di s. Giovanni (fatto con
■e e fiori aromatici, colti la mattina di
'orina calda, specialmente se di un fan-
ledicatura delle ferite, bisogna guardarsi
ezze o fasce di biancheria non appar-
ilo ; e che non siano di puro lino. Il
la parte ferita non deve toccare acqua;
blamente irrita, desdégne,m& infiamma,
dùce, fa 'ndumedì' la ferita. [Vuol dire
:que non sono mai state asettiche],
rite di punta si fa speciale governo —
, sul bucherellino si ha da spalmare j
•.acche de le rècchie. Cos'i pure se la fé- \
da un ago. Turato in questo modo \
e soffre impunemente il contatto del-
; altrimenti, come si è detto , sarebbe j
lazione, 'ngupeture. ■
la suppurazione va in lungo, non c'è i
pplicare sulla ferita le foglie di rovo, '
'ita è qualcosa di serio , non s' ha da \
igiurarla, de farle 'ngattdd', defareje di', i
Facendo sempre sulla ferita il segno del
tre volte si ripete :
Férre, da sande Lazzere rninisie (venti
Passiate lu (òàl', e n'n di; 'in tinelli sic,
S Passista 1' acqu', e n'n de ' ni b min iste,
> Fèrre da sande La*zere ministe (At.).
) f) Sulla ferita, si ripete la seguente
Ce jéve (Strano) ddu' frate
t Bbén ferii' e bbén dajjate.
J L' affrónde la Madonne :
— Ddo' jare (dove andate), fratfell' air
( — Jam' a ccbela roundagn' Albane,
\ Addò sta cheli' Èrba 'ngelecate,
' Che ssane ferii* e ppiahe —
— Mine òjje, fijju mi',
Ca sanghe nen fa, marce n' n accòjje.
; Pabe nem bijjate,
■ Ca la piahe s'è ssanate (G.).
\ Poi, si unge la ferita con a olio della
i fanno nove croci.
f) Siccome il prevenire è meglio d(
J vuol essere immune dalle offese di un'arrt
l garla », facendo questo scongiuro:
! Ih nóme de Ggesii e dde Marije,
', Sópr' a ssaie, non g' è ssapóre;
', Sópr' a Ccriste, non g' é ssignore.
Crisi* a un' àoeni' (sic) é nnate :
' Férmcte arme, ca t' ó llehate. (C. C.)
', Flati. Quando dipendono da catarro g
i nico , quand' è 'ffètte de véne stumacale , r
facile il liberarsene; ma, in ogni modo, sono un in-
comodo sopportabile. Il male è quando l'aria, invece
di sprigionarsi coi rutti , s* incarcera, e forma il fia-
tóne; il quale, oltre a molestare lo stomaco, produce
dolori alla base del petto e tra le costole. D'ordinario,
per curarlo, si adoperano decotti di camomilla, anici,
e simili.
Foruncolo. (VruQtlt> L. Vrògne, O. Cècule, G., Ch.
Se molto piccolo , Pedecélle , G. ). — I foruncoli
danno sempre indizio di « sangue guasto ». Vengono
altresì a chi mangia cibi alterati, o beve vino troppo
recente. Per favorirne la maturazione, si applicano sui
medesimi : la bava della ciammajica (chiocciola) nére
(O.): un impiastro di sirabbe (sterco) de picciórì e ssógna
vècchie (X.) : tolti i vinaccioli, si applicano uno o più <
chicchi di uva secca, ciciapasse, con sopra della triaca
(Ch.) : una paniccia di grano masticato (L.) : il cerume
delle orecchie, cacche de 'récchie, G., e certa gente suole ì
averne abbastanza per farne cataplasmi !... : strutto me- ^
scolato con bianco d'ovo (L.) : cataplasma di foglie di >
tussillagine : di malva e 'ntfgna fràcede : di foglie di >
giusquiamo, ^ambugnìje (la %ambugnlf é ccósa sande pe \
le vrùfele. L., M. C.). )
Avvenuta la suppurazione, la puntura per dare esito \
alla marcia non deve farsi con un ago, pecche V acV
è welenóse, ma con uno spilletto d'oro, o, meglio, di
argento. Meglio di tutto, il pungere con una foglia di
« palma benedetta » (della Domenica delle palme).
Per medicare, dopo avviata la suppurazione, giovano
tJJB
«STI
— 154 —
; le foglie di rovo, e anche di piantaggine, cinghenirve, L.
| Se non esce il cencio, lu rettacene, ÌI foruncolo non
cicatrizza, e si può riprodurre all' intorno : '' — rt ""
Geloni. — I geloni, ggtlune, vengono da
e dda la reffreddate delle mani (L.). Per 1
a) si va agli usci di tre vecchie, e si buss
la vecchia domanda : « Chi è ? » , prestar
alta voce s' ha da dire :
Ggelón', a mine se ne pizia ji',
E a ite se ne pozza meni' ! (Rocc).
Ciò detto, via di corsa ; e si va dire lo st
chìando ad altre due case:
b) Giova fregarli con la neve di man
bagnarli con orina (Ch., Cel.) : d) ungerli
scaldato al fuoco (C.s.A.): e) lavarli, speda
pena si mostrano , con acqua in cui furor
rape (O., Cel., C.S.A.) : f) o le castagne |
g) o i sedani (L.) : h) stropicciarli con crusc
'ngolte (F.f.P.).
i) Quando suppurano, non e' è di meg
dicar le ferite con la filiggine, refclime (L
Gozzo. (Còlle crepate, L. Cavacce). — Il i
demico in alcuni comuni dell' alte valli de
dell'Aventino. D'onde i motti : Cavacciute,
Mondeferrandc : Cavacclune de Tornarécce :
de Lillepaléne.
Il gozzo viene alle donne per gli sforzi
dropisia. — Chi soffre di raccolta sierosa net venire,
■si che s' è 'bbultale; o che tP l'acqua a la paride; o
■uppesìje, L. Per guarire dal male, si accattano delle
: in sette case diverse. Lesse, s' infilano, e la filza
«acca al camino, recitando non so che « orazione ».
mera 1' acqua nel ventre a seconda che le fave si
eccano (L.).
Ì bevono decotti di uva orsina : di bonagra, jirma-
•■: solano spinoso: ive artetico: rusco: sparagio, e
. (M. C). Utile il cataplasma, sul ventre, di ci-
a cotta.
k'U' idrocele dei bambini : una pianticeli.! dì quer-
svelta d'allora, s'appende al camino, e l'idropisia
lira secondo che quella pianticella sarà disseccata
calore del fuoco (S. E.).
teli' idrocele degli adulti : -l' infermo ha da sedere
li un vaso in cui sia versata una scottatura di fave.
■apore eccita in quella parte copioso sudore , che
ce benefico; ma l'effetto non segue prima di aver
tuta la prova cinque volte (C.fr.).
sbarazzo. — L'imbarazzo di stomaco non ha rime-
migliore del vomito. Ved. Vomito. — Se un bam-
i ha la lingua sudicia, certo segno d'imbarazzo di
naco, una zia carnale ha da fregargliela col lembo
:eriore, nghe la pannllle, della camicia (S.E.) : — la
licia dev' essere del padre, e lo strofinamento può
■r fatto da chiunque (L.).
.' imbarazzo degl' intestini si cura col purgante,
ve, L. Di uso più comune : il solfato di magnesia,
Acque de sanda 'Gnése, )
Acque di sande Stèfene, <
Huarisce la Vpresature >
A 'sta pòvera bbèstie (G.).
Quindi si fanno manipolazioni e strofinazioni nghe 'nu
capile de crine.
Insolazione — Si teme molto il sole di marzo. D'onde
i proverbi : Lu sóle de tnar^, ammode. Lu sóle de
mar^ antinave la dònne déndr' a lu palaie. — Si narra
di un medico « Milone » , il quale , nel marzo , non
solamente non andava fuori, ma chiudeva le imposte
per non far penecrare in casa il sole di marzo. — Per \
preservarsene, all'entrare del mese, s'ha da legare in- j
torno ai polsi un filo di lana rossa (S. V.). I fili ado- ;
perati per questo sono detti marzaiuole (C.s.A.).
Iscuria. Vedi Orina.
Itterizia. (La 'feriate, e, più comunemente, lu GgiaU
lume, L. La Malingunìje, Av. Ju male de jf arche, Pett.).
— Si crede prodotta da ira, e da gravi dispiaceri. — È
anche comunicata da un insetto, una specie di cala-
brone, %{6ne 9 chiamato f arche (Pett.). — Se un rospo
è molestato, piscia in faccia all' incauto, e gli attacca
il « giallume » (L., V.). — Cura: a) Si accattano, se cér-
che pe' ccaretày tre pezzetti, mùccecbe, di pane, del vino
e un filo, 'nu cape, di seta nera, uno di seta gialla,
uno verde, uno bianco e uno rosso. Messi quei fili
sul collo, a ccavalV a lu còlle, coi tre pezzi di pane in
un piatto, e il vino in un fiaschetto , si va a s. Fele
(contrada in cui sono i ruderi di una chiesetta. Seduto l
ns§§
- i$8-
- I
su una pietra della diruta chiesa, chi soffre d'it
mangia i tre pezzetti di pane, dicendo per ogn
Sande Féle mi'
La s.ilnt' a ni mi-,
Lu pan' a (té',
e mette di ciascun pezzo di pane una piccola
sopra tre pietre diverse. Poi, vicino a quei fran
di pane, mettendo it filo di seta gialla, dice :
Lu ggiall* a tui,
Lu ròse -i- a mmé.
Poi, mettendo il filo nero:
Lu nér' a Ite,
Lu bbiang' a mmé.
E, mettendo il filo verde :
Sande Féle me
xhete pure 'stu
vérde,
1 la mmalatija 1
né' se pèrde.
Ciò fatto, si beve il vino e si getta il fiaschette
che il piatto nel quale si portò il pane. Ecco
in quel luogo è grande quantità di cocci. Vi
rono anche del Teramano (Ch.). [Féle, Féne (I
nostro uso, Fiele].
b) Per" guarire dal giallume, si ha da orins
pedale di un melogranato, dopo legato attorno
sto un filo di lana rossa ed uno di lana giall
rando tre volte intorno alla pianta, si dice, orii
Mila granate, melagrana le,
A ne In ggiallum', a mmé lu 'ngarnate.
A ite lu ggiallimi', a mmé In 'ngariiate, ,
M Èia grana te, ni èia grana te.
Quindi si torna in casa per via diversa da quella già ',
fatta. Se il di seguente si troverà la pianta verdeg- \
giante, vuol dire che non è il « giallume » la malattia. «
Se sarà avvizzita, di giallume si tratta, e il male andrà [
via (L., O., Rocc, S. E.}.
e) Dopo legate le principali giunture del corpo \
con fili di lana rossi e gialli, s' ha da orinare in una \
cesta, nella quale sia posta della parietaria sotto uno {
strato di arena (Can.). \
d) L'infermo deve passare sotto tre archi, sia di \
chiesa, sia di qualunque altro luogo, e, finché viva, <
non ha da ripassarvi più sotto (C.s.A).
e) I malati di malinguràja (e anche di risipela) j
vanno a farsi toccare con un anello {che dicono ap- j
partenuto a s. Berardino) in casa Colelli. Mentre si j
tocca, recitano un' orazione ; e il male va via presto
(Av.). j
f) L' infermo fa dire una messa alla « Madonna >
del giallume », di cui è un'immagine nella cattedrale. >
— Per consolazione dei preti, 1' uso è sempre vivis- J
simo (L.). ì
g) Bere, in un ovo , delle cimici (Pai.) : o, uno j
scorpione: o, dei porcellini di s. Antonio (onisctts tnu- \
rarius), L. i
h) Si strizza sotto le narici una cassula di elate- j
rio, cucuccìòla saivàlecbe, cucùmmer' menine, il cui succo J
irritante fa scolare un umore col quale vien fuori an- f
che il male (L., O.). Si può usare anche il frutto secco
e polverizzato , da annusare come tabacco. « Quella
polvere o quel succo va a retruvd' il sangue guasto,
e lo tira fuori per la via del naso (Car.).
ì) Si applica sotto i piedi della matricaria pesta,
tenendovela legata fino a che sia secca (G., L., O.).
/) Il decotto di genziana maggiore, molto con-
centrato, è il rimedio più efficace, véng -/- a ttutte; e
se ne prende un mezzo bicchiere, per tre a sei mat-
tine a digiuno; ma anche il decotto di gramigna e
marrobio è ggiuvative (M. C).
Latte. — Per giunta a quel che si è detto negli Usi
natalizi , n.° 25 , qui diremo , più diffusamente , del
Latte.
Da quando il latte viene , arecale , fino a che dura
P allattamento, la donna ha da essere in continua vi-
gilanza per non vederlo scemato e per non perderlo.
a) Se gli avanzi del pasto di una puerpera li
mangiasse una gatta che ha i miccini , o una cagna
che ha i canini, la donna perderebbe il latte ; e, per
riaverlo, dovrebbe alla sua volta mangiare gli avanzi
di quelle bestie. Perciò , quel che si può serbare , si
serba; e ciò che non serve, come ossa e simili, s'ha
da gettare nel fuoco : — Non solamente una donna
fresca di parto , ma qualunque altra che allatti non
deve abbandonare, neppure alle mosche, i rilievi della
sua tavola (V.): — Nel caso, per riavere il latte, basta
mangiare gli avanzi di qualsiasi animale che allatti (L.).
— 161 —
)
Jto\i — — — —
?
f
; b) La quantità del latte dipende da quella dell'a-
\ limento. Chi allatta ha da avere buono stomaco, per- ,
> che : Lu latte ne 9 wé y da lu Ggésse (in G. dicesi : da
] la ' Tèsse); vP da lu magna 7 e dda lu vivere spésse (L.).
> E: Je latte tu? wP da bbisse (sic); ve' da Ile magnai e \
\ bbéve* spisse (Av.). Inoltre : L'uva nére fa crésce le sise; l
ed è detto anche alle ragazze. Ma però, s'ha da man-
giarla in ginocchioni, spiccando i chicchi dai grappoli,
posti per terra, con la bocca , senza toccarli con le
dita (O.).
e) Una donna che ha molto latte potrebbe ve-
derlo scemare per via di malie : « malocchio » ecc.
Per questo, se vuol rimanere immune, ha da portare
un chicco di sale in petto (S. E.).
\ d) Per evitare la diminuzione del latte : Non si )
) i_. j : : i_ rv>~„ n^ \. vtjl i : rn.A v l
)
ha da mangiare insalata (Rocc, Car.): Né legumi (Cel.)
— eccetto la cicerchia, chjchìerchie, la quale anzi ne fa \
venir molto (O.) — , e specialmente le lenticchie , le
quali dà pòche latf e ttriste (Av.) ; come pure la po-
lenda di granturco , perchè , come i legumi , brucia ,
abbrufe % e scema il latte (F.f.P.) : Né radicchio ; la J
cecóre 'ndurisce lu latte; ossia, ne rende scarsa la secre- )
zione, perchè è atturande (M. C).
e) Invece , la secrezione del latte aumenta : Se
mangiasi della lattuga a cesto, 'n%alat* a ccappucce, cotta
nel brodo, con un po' di finocchio e ova sbattute
(Ch.) : lasagne : cipolla cotta : patate (F.f.P.). La ci-
polla o la lattuga, cotte ed applicate come cataplasma
sulle mammelle, producono lo stesso effetto (L., O.).
— 162 —
-jftfrU-
' Inoltre, 1' anice e l' indivia, usati per cataplasi
( decotti, sono lattiggenose, e affine lu latte (M. C
) timo poi, per aver copia di latte, è il brodo
i campo, cavallucce de mare ; che una volta eri
\ usato, e ognuno di quei cosini, anche secchi
5 gava a caro prezzo {V.).
j /) Il latte può venir meno affatto : Se
i male qualunque, che allatta i suoi piccoli, bev^
j latte di donne versato a caso per terra o dovec
(L.) — : Se un'altra donna , che ha un bambi
fasce, succiasse il seno da una donna allattante
V., Cel.) — Due donne che allattano , non d
mangiare nella stessa scodella , né bere nello
bicchiere; perchè, in tal caso, quella che mangia:
timo boccone o bevesse l' ultimo sorso, attire
sé il latte dell'altra (L., O., Ch., V., Car.) — L
cheria bagnata del latte rigettato dai bambini, :
v'essere rasciugata al fuoco, perchè questo ascìu
non solamente quel latte, ma anche quello ch
seno della madre (Torr.) — Qualunque fiore o
romatica , che la donna allattante portasse il
farebbe svanire , scrijà\ il latte (Av.). Le don
debbono mettere in petto né fiori né erbe oi
perchè, se allattano, perdono il latte; e, se no
tano, le loro mammelle avvizziscono (V.). La
e, più, la ruta, « arrestano » il latte (Ch.). — La
allattante non può fare scongiuri per malattie;
rebbe il latte (come, se gravida, si sconcerebb
O., Ch.
g) Dato che, in un modo o nell'altro, manchi il
latte, la donna, per riaverlo, ha diversi mezzi:
Mangia per tre volte gli avanzi del pasto delle mo-
nache o dei monaci (At.) — : ha da jV pé ccaretà a
le fra o a le mòneche (O.) — Quando e' erano i cap-
puccini, le donne andavano da loro a chiedere per ca-
rità del pane e del prezzemolo. Quelli capivano subito
il motivo, e sodisfacevano volentieri la domanda, per-
chè s. Felice, cappuccino, è patrono dei bambini alle
fasce. Con quel pane si faceva una zuppa, condita col
prezzemolo, che faceva miracoli (Ch.)— La donna va
a chiedere per elemosina ai cappuccini un pezzo di
pane avanzato alla loro tavola, perchè s. Francesco è
padrone del latte, come s. a Agata delle malattie del
seno. Fattone pappa , questa si mangia senza sale né
altro. Ovvero va a bere Y « acqua di s. Francesco », ^
che scaturisce sotto il convento \ mettendo in quel- ì
l'acqua dei chicchi di grano o briciole di pane. Ov- \
vero, va da un beccaio, e, senza peritanza, chiede per <
carità un po' di carne per brodo. Se la carne si pa-
gasse, quel brodo non gioverebbe (Cel.) — : La donna
a cui è mancato il latte, deve accattare, in nove case,
dei pezzi di pane e delle cotenne, di cui fa pancotto
e brodo (O.) — : o, nove « pizzichi » di farina , per
farne bonifatali, frascartelle (S. E.).
Inoltre, va alla fonte di s. a Eufemia, con del grano
1 II convento dei Minori, a Falle verde, in Celano, fu fondato
nel 1225 da s. Francesco, il quale lo nominò «della Madonna ».
-164-
in petto, e portando una bottiglia di vino , che i
far votare dai primi che incontra per via. Arri
alla fonte, nel curvarsi per bere, il grano cade nell
qua; e il latte le crescerà a seconda che quei chic
nell' immollarsi, rigonfieranno. Poi, riempita di qi
l'acqua la bottiglia votata per via, la porta in
per beveria un pochino per volta per parecchi gic
— « Una donna dì Chieti, non potendo fare il viag
mandò una persona a prendere l'acqua di s.' Eufei
H messo, infido, empi la boccia con un' acqua e
lunque, e scroccò il viaggio; ma quell'acqua valse
pari, perchè la fede fa più dell'acqua » (Car.) — : E
fonte sì prendono, da tenere per devozione, anche
ghiaiottoli , bhrkcht , sf. p!. (F.f.P.) — : Il sagresi
della Madonna della Misericordia , dov' è la stata
s* Eufemia , sanda 'Fumìje , alle donne che vanr
chieder grazia alla santa, dà dei ceci, che quelle i
tono in una borsettina, e portano al collo, coms
breve, finché tornì il latte (Ch.).
[Nel nostro uso, sanda 'Fumìje o 'Fummìje, I
sinonimo di latte].
Per riavere il latte , la donna deve andare a
1' acqua della fontana di s.* Agata (fra Torricel
Gessopalena) , dove fu già una chiesetta rurale e
cata alla santa- Per via, o 11 presso, deve dare a qua
povero un pane o un soldo. Giunta alla fonte, h
, mettere nell' acqua dei chicchi di nove specie d
'■ gumi e una monetina. Nel tornare in dietro, deve
; tere una via diversa da quella fatta nell'andare, t
rivata nel paese, prima di rientrare in casa , deve ac- )
cattare un po' di farina in nove case diverse; fame ;
lasagne, e queste, senza condimento di sorta, far man-
giare ai poveri o anche ad altre persone, che passas-
sero avanti all'uscio di casa sua, riserbando per sé il
solo brodo (Rocc). — A s. a Agata, patrona delle nu-
trici, si suol fare questa orazione:
Sancì 1 Àhete, tu che ite faciste tajjà' le s£se pe' lu nóme de
la Segnore — Aredà lu latt' a 'sta puverèlle, ca se nnó
se mòre — Pienz' a 'stu cìtele, e vvide còma s 1 é fTatte
macre ! — Le pòrte de lu ciele àprej' a lu manghe — E S
ffalle pe' ccumbassióne de 'sta pòvera mamme (Rocc).
La donna che ha poco o punto latte : Va a bere
1' acqua di s. & Scolastica, Sculastre, sórta miracolosa-
mente dalle rovine di un' antica chiesa dedicata alla
santa; ma però, tanto nell'andare quanto nel tornare,
deve donare un pezzo di pane a chiunque incontra,
fosse anche un principe (Cam.) — : Va a bere l'acqua
della fonte de la Sàise (==zsése — sise, mammella). Dopo
bevuto, e recitate le litanie, si bagna un po' il petto
con quell'acqua (G.).
Per far « ricalare » il latte, è rimedio efficacissimo
(sic) lo sterco di topo , polverizzato con zucchero e
cannella, e fatto prendere, tre volte al giorno, nell'ac-
qua o nel brodo (Ch., L., O.).
h) Prescindendo dalle cause di diminuzione o
mancanza già indicate, il latte manca quando « va a
pascere».
Il latte va a pascere una volta la settimana. Non si
— 166 -
ffJTr
r
ì
il
3 . .
sa il giorno preciso; ma si arguisce quando, senz'altro
( motivo , la donna lo sente scemato (Car.) — : Va a
i pascere tre volte la settimana ; ma non si sa mai in
quali giorni. Per scongiurarlo a non allontanarsi, al-
l meno per molto tempo, le donne allattanti, ogni sera,
prima di addormentarsi, giunte le mani in croce sul
petto; lo apostrofano ; e quando lo sentono scemato, \
dicono:
Latte me', che sci jit' a ppasce',
Arvi a lu cìtele me', ca se mòre de fame (L.).
Anche :
Latte, che vva' pe' le Pujje,
A return' a le tu 1 funde.
\
E:
Latte me', che ssi jit' a lu prate,
Arvi a 'stu fijje (0, 'sta fijja) me', ca me paté (Ch.);
e, se, dopo questo, il latte non tornasse, si getta un
pezzo di pane a una capra , che passi per via , e si
mangia quel che avanza o cade dalla bocca della be-
stia , la quale perderà il latte , che passerà tutto nel
seno della donna. Ma, guai se il capraio se ne accor-
gesse ! E perciò questo estremo rimedio richiede in
chi l'adopera molto accorgimento.
Per invitare il bambino a smettere dal bere , suol
dirsi: libaste, ca se rì a da jV a ppasce' la sèise, che col
pascere si riempie (Pett.).
1) Il latte già raccolto nella mammella, che al
minimo sforzo di succiamento sgorga in copia, e tal-
>
>
Latte, che vva* pe' le piane, ;
Areturn' a le tu' fundane (O.).
;
— 167 —
I
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volta spontaneamente, è chiamato la 'rrenneture; e della \
mammella che getta quel primo latte, dicesi che s' ar-
renile.— Se una donna allattante è in campagna o al-
trove per faccende , e si avvede che le mammelle ,
molto piene di latte, ne versano, s y arrènne, arguiscono
che il bambino è desto, e che grida per avere il latte
(Pett.).
) /) L' ingorgo del latte (nella mastite puerperale) ;>
è chiamato pile, o pél 9 a la sise, e più che da altro, \
si fa dipendere da aria, colpo di freddo, che prendono <
le mammelle (L.). S
Quande cale lu piV a la sise, si applicano sulla mam- i
niella , in croci diritte e collaterali , 'n gròd e scróce : <
un pettine nero, foglie o radici di finocchio e una ga- £
nascia , ganghe , di riccio , tenendo tutto in sito con }
una fascia quanto maggior tempo si può, ma cam- (
biando le foglie di finocchio quando son vizze (F.f.P.): J.
— Giova applicare sulla mammella infiammata, per un ;
giorno o due : un pettine nero (V.) : un pettine di v
avorio (O., Car., C.s.A): —Basta applicarvi una chiave '
(Cel.) : — Le foglie di finocchio si coprono con un }
piattino da caffè (O.) : — Ottime le foglie di cavolo '
cappuccio , de cappucce (L.) : — Le foglie di sambuco
a si tirano l' infiammazione »; e per questo sono utili,
non altrimenti che in tutti i casi simili , specie nella (
risipela (Car.) : — Non ha pari il cataplasma di mi- *
dolla di pane; ma... di quello che casca dalla bocca !
di un gatto; e non deve essere intriso se non di quella
saliva (G.). Del resto , le donne che mangiano per
— i$8 -
r~ - "i
tempo gli avanzi del cibo di un gatto , vanno esenti
dal e pelo » (Roca),
Producendost l'ascesso, e stabilita la suppurazione,
chi vuol venirne subito a capo deve ungere la tasta
con unguento formato di rosso d'ovo, polvere di osso
di seppia e miele.
m) La secrezione e l'escrezione del latte possono
essere impacciate dalle erosioni od ulcerazioni, sfìure-
ture, L.; 'nettature, Cs.A.; tirchie, O.; sitale, Av., del
capezzolo.
Per curare le ragadi, è sicuro rimedio l'bjje d'ove:
un liquido empireumatico, che si ottiene col bruciare
delle ova scocciate in un tegamino di terra cotta (G.).
La nutrice a cui, per una causa qualunque, ammala
il petto, va accattando dei soldi, che poi gena in una
fonte chiamata dei Sassoni, a la fónde de le sassùrte (G.).
ti) Il latte « riscaldato » non s'ha da dar mai alle
creature, se non si vuole che ammalino. Per « rinfre-
scare » il latte, la donna, quando è sudata , deve ri-
; posare e sciorinarsi un bel poco. Buono se, anche non
'. riscaldata, berrà, prima di porgere la mammella, un bic-
chier d'acqua: — Basta mettere sulla mammella, che si
porge, una o più chiavi (Gel.).
o) Se una donna, perchè il bambino 1' è morto,
o per altro motivo, vuol stornare il latte, non ha che
ad ungere le mammelle con 1' a olio della luma di
ferro ». Ma, se a un nuovo pano vuol essere sicura
di riaverlo, ha da mangiare una minestra con lo stesso
olio (Ch.) — È da pensare però , che lo stornare il
latte non è mai senza pericolo: perchè il latte cVarevà
'rrète, quando s* e spediate, sparso, pe y la vite, produce,
per lo meno, dolori al dorso e intormentimento delie
braccia.
Lattime. (Ròffe, sf. La lattine. Pese. La caròcce, Cs.A.
Ju f rande, Aq.) — Si ritiene essere uno « sfogo di latte »;
e bisogna guardarsi dal farlo « rientrare »; ne verreb-
bero malattie gravi, pei <r depositi » che il male farebbe
nei diversi organi. I rimedi 1' « imbastardiscono » (Car.):
— Esso è uno sfogo delle « impurità del sangue » (Av.);
e, in ogni modo, la ròffe (come tutti gli altri sfoghi),
ha da sfucd* (L.). Poi, i bambini che ne soffrono, di
ordinario, vengono su belli e graniti (C.S.A.). Al più,
si può usare , nel suo trattamento, « la saliva a di-
giuno »; e il modo migliore di applicarla è di leccare la
parte malata ogni mattina (O.).
Lombaggine. (Dulóre de rine. Li lumme) —Chi vuol
guarire dalla lombaggine ha da fregare le reni contro
il muro di una casa del comune ; ovvero , contro un
termine, dicendo, per tre volte :
Tèrraene, che sti piandàte,
Famm' aresajje' 'sti lumme che mme se n' é ccalàte (A.).
Se il dolore non cessa, l'operazione si ripete per tre
volte : — Si ha da fregare le reni a quattro colonne,
in croce , di una chiesa , dicendo nel fregarsi a cia-
scuna :
'Cchiése, che dde prète forte sti frabbecate,
Aresàj jeme 'ste lumme che mme se n' à calate (L.): —
« Fuori della porta della chiesa di s. Getulio, Jessùrit,
s~' •" .• -.•"v •"«*'■ • * •-
— I70 —
; e' è un lastrone assai levigato, giacché il popolino crede
che lo strofinare le reni a quella pietra giovi alla lom-
baggine ». (G. Savini, Lessico teramano, pag. 149): —
Le reni si va a stropicciarle alle mura della città (V.):
— Basta fregarle a una colonna (Ch.) : — Chi soffre
il dolore deve stendersi bocconi per terra, e una donna,
che abbia avuto un parto gemello, *na duppranne, (che
abbia partorito due maschi di coppia, S. E.), (tenendo
un aspo in mano, O., L.), posato l'un dei piedi sulle
reni del paziente, passa dall'altra parte (G.) — Nell'ac-
cavalcare, la donna ha da tenere col paziente, che fa
: le parti del male, questo dialogo:
; — Lumme, pecche calaste ? —
— E ttu, pecche 'dduppiaste?
{ — A nnóme de Ddij' e dde sanda Marìje,
'Ste lumme se ne vade vije (O., L.).
* Ciò fatto si va a fregarsi, strufiar%e> a un muro della
', casa del comune (O.).
Di comune uso: il riposo, P applicazione di panni
; caldi aromatizzati, e le fregagioni con spirito canforato.
'. Lupus. (Fal%e lupine) — a) Hanno virtù di guarirlo
: coloro che nascono « vestiti » ; come pure quelli che
> furono mandati a battesimo con un lupino in pugno
\ (A.) : — b) Di sperimentata efficacia è il seguente scon-
\ giuro, che si ha da ripetere tre volte, tre a lun* cre-
scente, tre a luna scema, prima che sorga il sole, fa-
cendo sulla parte malata segni di croce :
Falze lupine, mmaldétta sije,
'Mbra {fra) la carne mòrt' e bbive !
- 171 —
XP
s
Deli* te huard', e Ccriste te sane,
'N nóme del Patre, de lu FijóF e ddc Ju Spirete Sande.
'N nóme de Ddij' e de Sanda Ma ri j e,
'Stu falze lupine se ne vade vije (L.).
c) Il malato va in casa di una persona qualunque,
dopo avvertitone il padrone , e mette nel fuoco un j
chicco., tócche, di sale. Se ha la buona sorte di fuggire \
così presto da non sentire lo scoppiettio del sale sui
carboni, la guarigione può ritenerla per sicura (O.) : ■
— d) Si bagna , tre volte a luna crescente e tre a \
luna scema, col sangue di una lucertolina (Ch.): — e) Si :
bagna ogni mattina con la saliva a digiuno (L., O.): '
— f) Vi si applica un impiastrino di fior di farina e l
latte di donna (S. V.): — g) Giova applicarvi 1' estratto
di giusquiamo nero (M. C).
Mal caduco. (Male de sande Duriate. Anche, assolu-
tamente , Male. Male de san Frangische , Av.). — Per
V origine di questo malore , vedi 1' altro voi., pag.
76 a). La luna , non è fuori causa. — Per guarirlo :
a) Al primo attacco del male, una persona qualunque,
con un ferro pur che sia, anche un ago, deve ferire
l'orecchio del paziente, in modo da farne uscire del
sangue. Cosi , il povero epilettico è « liberato » , e
dovrà dare il nome di compare, o comare, chi l'avrà \
curato in quella maniera (V., Car., Cel.) : — Il ferro \
dev* essere rovente , e con esso si ha da toccare la '>
nuca, la ciarfòlle, del paziente (Cs.A.): — Una persona {
non conosciuta dall' infermo deve mordere a questo {
— 172 —
un orecchio, per farne uscire un pò* di sangue (Ch.).
b) Appena cominciata la convulsione, si ha da
mettere prestamente in mano dell'epilettico un mazzo
di chiavi (O., CeL, C.S.A.). Ma , in mancanza , basta
anche un ferro qualunque (CeL).
e) Chi soffre del brutto male, ed anche chi vuol
preservarsene, la prima volta che vede la luna nuova,
ha da dire un Tattr, Ave e Gloria a s. Donato (L.):
— Per ottenere la grazia della guarigione, si vota a
s. Donato tanto grano per quanto pesa l'infermo (O.):
— Per voto fatto, Y infermo si veste a nuovo e va
nella chiesa del santo. Colà si spoglia di quegli abiti,
che dona al santo , e si riveste di altri abiti , che ha
portato seco (Cs.A.).
d) « Fino a un quindici anni fa , viveva in san
Leonardo, villaggio di Ortona, una giovane, la quale
per sette anni giacque su di un fascio di stipa. Con
le orazioni, guariva molte malattie, tra cui il a male
di s. Donato ». Morta, in odore di santità, restò per
tre giorni esposta in chiesa. Al terzo giorno , le ca-
varono sangue; e anche ora è intatta. Nacque e mori
nel giorno di s. Vincenzo » (L.).
e) Si ha da bere lungo tempo decotti di peonia,
fiori di tiglio e di melissa (M. C).
« Male di matre » (= male uterino). Dalle donne,
molti disturbi degli organi contenuti nel ventre sono
riferiti all'utero, che a volte ci ha che fare come la
luna coi granchi.
Malie. Fascino. Amuleti.
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£ftrv
— 173 —
r u
Vi sono persone sospette di questo malefizio. Ma,
)
(
I. Da malia, fatture, possono derivare malattie gravi,
come le convulsioni , la pazzia (Ate.) , e anche la
morte. ^
Dei segreti dei fattucchieri si sa poco. Dicono che
le « fatture applicate » possono essere disfatte ; ma
quelle « inghiottite » non han rimedio. \
Facendo passare un bambino alle fasce per le tre
porte di un convento (del convento , della chiesa e
della sagrestia), si riteneva preservato dalle malie. Pa-
rimenti, se si portava in giro tre volte intorno all'al-
tare maggiore, e poi si posava per poco sopra uno
dei due lati del medesimo. Inoltre: mettendo il barn- \
bino in braccio a una persona sospetta maliarda, af-
finchè lo vezzeggiasse e trastullasse sia pure per un
momento (S. V.).
IL II fascino, mmalùcchie; ucchiature, L., è causa di
febbri, di dolor di capo, di convulsioni, specialmente
nei bambini. È qualcosa di malefico, che per mezzo
dello sguardo passa e si attacca come malattia infet-
tiva. Per questo, è sinonimo di jettature. (Malatije che
ss 1 ajjette, Malattia che si attacca , malattia contagiosa,
infettiva). Inoltre, ha potere sugli animali; sulle ope-
razioni domestiche, e simili. Cosi, se un bove, all'im-
provviso, cessa di arare e si dimena per dolori di
ventre: se il pane o il sapone non riescono bene: se
« la macina del molino non va bene: se l'acqua di una
', fonte diminuisce, o manca (F.f.P.), e' è sempre qual-
) cuno che tutto ciò attribuisce al mal d'occhio.
ì
- 174 —
?
(
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<
<
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»
chi ha bevuto il latte di sette donne, anche non vo-
lendo , dà sicuramente , naturalmente , il mal d' oc-
chio (G.).
L' ammirazione e la lode sono seguite da male, se
non ci concorra il nome di Dio; e per questo il po-
polino non loda e non ammira mai senza aggiungere
un Tìdt V abbendiche !
Non mancano modi per mettere in chiaro, quando
si tratti di malattie, se queste derivino o no da « ma-
locchio ». In questi casi , se il male persiste , nono-
stante gli scongiuri, si conchiude o che malie non ci
siano per lo mezzo, ovvero che gli effetti delle me-
desime siano irremovibili senza rimedi , e si manda
pel medico.
. Per accertare se la febbre o il dolor di capo da cui
un bambino è stato preso derivi o no da mal d'occhio:
a) Sull'acqua messa in una bacinella, si lasciano
cadere due chicchi di grano. Dopo un po' di tempo,
se i due chicchi si avvicinano e si uniscono, %e ^ngac-
chie> c'è il mal d'occhio; se no, no (Pai., L.).
b) Sull'acqua di una bacinella si fanno prima tre
croci, e poi si lascia cadere nel mezzo una gocciola
d'olio. Se questo resta su 11' acqua, mal d' occhio non
c'è; se sparisce, sì (L.).
e) Un pezzetto di abito usato giornalmente si
mette su di una fascia del bambino, e questa si arro-
tola. Nello svolgerla, se il cencino rimane attaccato
alla parte interna della fascia, c'è il mal d'occhio; se
alla parte esterna, no (S.).
tJJd
— 175 —
i
Ciò detto, e fatte le croci, si tira una ciocca di ca-
pelli (S. E.).
b) Si tengono nella mano sinistra nove chicchi
di grano. Prendendone uno per volta, si gira intorno
al capo e si dice :
Tré uocchie t' à 'ducchiète;
Tré ssènde t' à 'jutète :
Lu Patre, Ju Fijjól' e Ju Spirete Sande.
Sande Salvèstre,
Patròne de lu delóre de tèste.
Sand' Angelistre,
Lu patre de Ggesù Criste.
Sóle, suléte; stélle, stelléte.
'Tèrne Patre, luvéte
*Stu delore de test' a 'sta cristiène (O.).
— 176 —
-~»
Per scongiurare il mal d'occhio, si ha da aspettare ;
che tramonti il sole. Prima, gli scongiuri non gio- } }
vano (O.). i
a) Una donna da ciò fa col pollice destro nove >
croci sulla fronte e nove sulla nuca del bambino in- {
fermo , ripetendo a ogni croce : Maluocch -*- e mma-
lucchielle — E ccecaltdV a Wùocchie — Schiatte lu 'mmldif
e ccrèpe lu mmalùocchie (G.). [Malocchio, malocchietto
— Accecati ! — Scoppii l'invidia ecc.]. Ovvero :
N. N. chi t' a Mucchiate ?
• Tré ssìende (santi) t 1 a 'jutate.
Se é uocchie de dunzèlle,
Se ne pózza casca' 'n dèrre.
Se é uocchie de maretate,
*N dèrre se n' é ccascate.
II che detto, si fa cadere quel chicco in uh piatto con
acqua.
Preso il secondo chicco , si dice : Quatt' nocchie ; e
così via. Finita l'operazione, si osserva se le granella
vanno a fondo facendo o non facendo bollicine. Nel
primo caso, è mal d'occhio; nel secondo, è un sem-
plice dolor di capo. — L'acqua coi chicchi di frumento
non s' ha da gettare per terra, che sarebbe dispregio
di una cosa sacra ; ma bensì nel fuoco (O.) : — Di
quell'acqua, una parte si adopera per bagnare la fronte
del malato; un' altra, gii si dà a bere; e il resto, coi
chicchi del frumento, si getta nel fuoco (Ate.).
e) Invece dei chicchi di frumento , si adoperano
i ceri , anche nel numero di nove , e con lo stesso
processo or ora detto. Le parole , alquanto diverse,
sono : ;
Ddu* ucchie t' a huardate, \
Tré ssande t' a 'jutate.
'N nome de Ddij' e dde Sanda Marije, 4
'N nome de Ddij' e dde tntte le sande,
La 'mmitìe se ne pozza jT 'rrét' e nno' 'va ride (At.).
Nel giro d' immersione di quei ceci, credesi poter
discernere la forma di un cappello o di un fazzoletto
da collo o da capo, favole, e in tal modo conoscere
il sesso della persona che ha dato il mal d'occhi.
Se, dopo immersi i nove ceci nell'acqua, su questa
si vedono due occhi, due bollicine, di mal d'occhi si
tratta (L.).
d) In un piatto con dell'acqua, si mettono chicchi
— 177 —
di frumento e penne di gallina nera. Dopo un certo
tempo, se i chicchi germinano, P infermo è spacciato
(Ar.).
e) Si va a pregare con garbo la persona sospetta,
affinchè visiti V infermo, o P animale malato , e dica: <
Ddi* V abbendiche 'stu cìtelé! ; ovvero, 'sta pover' ane- ]
male! (S. E., L.). \
Per evitare il mal d' occhi , oltre agli amuleti , ci J
sono alcune pratiche: a) Si stringe il pollice tra Pin- >
dice e il medio; ovvero, si fanno le corna con P in-
dice e il mignolo , dirigendole alla persona sospetta:
b) Mangiando tre grumoli di ruta, non s' ha a temere /
il mal d' occhi, perchè la ruC è ccòndr a la jettature:
e) Facendo bere ai bambini di quell'acqua che sta in
un orcioletto sull'altare, per P evenienza di una puri-
ficazione, le mamme credono di preservarli da qual-
siasi malia; e sogliono rubarla, anche a costo di es-
sere picchiate dal sagrestano (V.m.).
Per guarire le bestie, alle quali s' è dato il mal di
occhio, bisogna procacciare un pezzettino di abito
della persona sospetta, senza che questa se ne accorga,
e metterlo sull'animale. Con ciò, se è proprio il mal
d'occhio, la bestia guarisce in quattro e quattr' otto;
ma se è malattia che Dio la manda , pazienza ci
vuole (O.).
III. Ai propri luoghi abbiamo fatto e faremo men-
zione degli amuleti usati per scongiurare diversi mali.
Qui facciamo un cenno di quelli adoperati special-
mente per tener lontane le malie.
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- 178-
' >*• "S^ >*f '
a) Ai bambini si fanno portare addosso, attaccati
alla parte anteriore della spalla sinistra : un. corm
di corallo — una chiavetta dì argento — una ciani
lina di avorio — e un campanellino di argento. A q
stì, che sono i più comuni, qua o là si aggiunge
l'uno o l'altro di questi altri: una manina di cora
in ;,tto di far le corna — una pallina di corallo, et
di latte (L.) — una testina di morto , di avorio (
argento— un ranocchio di argento, o de marcùrìe (o
Cel. — una ciocca di peli di lupo o di riccio e
tasso, chiusi, per un' estremità, in un bocciolo d'
gemo , 'mbedecciate d' arginde (Pese.) — un denti
lupo — una ganascia di riccio — una « pietra del
mine »; ma è cosa rarissima, e fortunato chi I' ha ! (
b) Anche ai bambini, « per preservarli dai ladi
si mette addosso un breve con midolla di sambuc
aghi triturati — filiggine — capelli di una morta — £
ciole di sangue di un bambino — polvere di un oss>
morto — e un pezzettino di fune della campana (C.
Contro qualsiasi malefizio , si fa portare ai m<
simi un breve con tre chicchi di grano — tre
ciole di pane — e tre granelli di sale (Cel.).
e) Le corna bovine si mettono sugli usci di
e in altri luoghi della casa, per evitare le malie (
— Ma però, le corna buone sono le nere (O.).
d) Anche la Scilla, cepòlh de squijje , vale a ;
munire i bambini dalle malie, è bbòne pe' le scum
ture de le citte, e perciò si fa bene a tenerla in casa (i
e) Per preservare le bestie dalle malie : App
nate, se ne cinge il collo con un laccio di lana rossa — ;
Si attaccano alle corna dei bovini, e alla testiera degli
equini nappette, %ùllèlte, di lana rossa—: Nelle buche
laterali dell' uscio della stalla si mette una manata di
fieno di s. Rufino (del fieno segato nel di di s. Ru-
fino: uno dei primi vescovi della Marsica. Pese).
Mammelle. Vedi Latte.
Marasmo infantile. — D'ordinario, si sospetta che
ci siano malie di mezzo ; e per questo si mette loro
addosso della sabina , senza trascurare di portarli in
s chiesa, o in casa di un prete, che in queste cose è
reputato , per far « leggere il vangelo » sul capo del /
piccolo infermo. — I cappuccini, dopo letto il vangelo,
davano un ramoscello di una cert'erba, buona contro
le malie, che le mamme facevano portare addosso ai v
bambini (L.).
Giovano le bagnature di sangue vaccino ai piedi (V.).
Mastite puerperale. Vedi Latte.
Menorragia. Ved. Emorragia.
Mestruazione. (Lu mése. Le 'ngòtnede, pi. Lu cór^e,
Le fiure, pi. Nel gergo, lu marchése).— Virtù mirabili
si attribuiscono al primo sangue mestruale, e partico-
larmente a li prime fiure, alle prime gocciole di san-
gue, che annunziano in una ragazza il fiorire della sua
vita di donna. Ved. Capelli. — Il pannolino su cui
quel sangue è colato, se si applica sul petto, guarisce
la palpitazione di cuore : sui tumori, e non so quanti ?
altri mali, fa miracoli (Ch.). >
Ma, fuori di questo caso, come ai tempi di Plinio, ;
-tAW?
— 180 —
3 e
— -*
si crede che i mestrui abbiano virtù malefica — specie s
se la mestruazione comincia quando la donna è vicina
al fuoco (V.) : — Anche una gocciola di sangue me-
struale, che cadesse in una fonte, potrebbe seccarla, ;
è ccapace che le sécche (G.): — Un albero su cui salisse <
una donna mestruante, seccherebbe — : i fiori di un '
vaso, tocchi da lei , ingiallirebbero — : e in generale, ;
tutte le operazioni domestiche nelle quali una donna '
mestruante va a mesticciare , vanno a male : la con- '
serva, inacidisce; il mosto, si guasta; la carne di ma- >
iale da insaccare, irrancidisce o si baca. Tanto che a l
una donna cui un lavoro riesce male , senza che ciò )
possa attribuirsi a imperizia o mancanza di diligenza, \
suol dirsi, per ischerzo : Chèh ! Tinisse hi marchése?
(Ch.): — Quando si scava un pozzo, se tra le operaie >
fosse una donna mestruante, si avrebbe un bell'appro- \
fondare ! Di acqua non se ne troverebbe mai punto; >
ed è cosa provata Perciò , occorrendo donne , ra- ;
gazzine debbono essere, o. vecchie (G.) : — Se 'na fém- \
mene, che tté' hi mése 'ngòlle, va 'ccavallc, fa le merrise, >
guidaleschi , sótf a la sèlle (O.) : la bestia soffrirebbe \
(G.): si stanca presto (Av.): si storpia (V.). Parimenti: :
se va in carrozza, i cavalli facilmente si stancano. Ma ;
però, nelPun caso e nell'altro, c'è il rimedio: sotto la \
sella, o sotto i guarnimenti , si mette un pezzetto di ;
, ferro o una moneta. Del resto, le donne sagaci e di- <"
> screte, che si sanno « incomodate » , non trascurano,
; quando viaggiano a cavallo o in carrozza, di mettere -
\ una moneta dentro la scarpa (L.). ;
h e
w
~,v -i.
Durante la mestruazione , la donna deve guardarsi
dal toccare acqua , sia pure per lavarsi le mani e la
faccia (S. E.) ; e, molto più , dal mettere i piedi nel-
l'acqua. (Ved. Bagno). Inoltre, deve evitare d'impau-
rire, arrabbiarsi e simili , perchè non e' è male che
dalla soppressione del mestruo non possa venire.
Per richiamare i mestrui, giova mangiare i ceci rossi
o il granturco rosso; ovvero, beverne il decotto (Ch.):
— Per richiamarli, regolarizzarli, e per sedare i dolori
che a volte li accompagnano, comunemente sono usati
i decotti di camomilla o di capelvenere ; nonché di
dittamo (L.).
Morsicature. (Muccecature). — Del morso dei cani ar-
rabbiati, ho discorso neìYArcb. tradii popòl. Voi. VII,
pag. 199.
Il morso del gatto è sempre velenoso. Sulla ferita
bisogna applicare subito del pelo tolto. al gatto istesso,
e dell'aglio pesto (L.).
Il vero rimedio delle morsicature dei serpi sarebbe
P applicare sulla ferita un po' della pelle del serpe
istesso. Ma la questione è di averla; tanto più che il
serpe bisognerebbe chiapparlo vivo ! (Cel.). — Chi si
lasciò « focare » col ferro di s. Domenico può star
sicuro dal morso dei serpi.
Sulle morsicature dei granchi , prima si deve stro-
picciare e poi applicare dell'aglio (M. C).
Su quelle prodotte da scorpioni , vespe , zanzare e
altri insetti, comunemente si usa mettere del latte di
fico; e poi un cataplasma di erbe aromatiche, de jèrv*
•"»%. s ■«. .*~ s~- /"* ^^. - _^*s»x"*-- f\ .*">>. ' "v ""v s-*- s**- >~v *
- 182
addurrne; — Sulle morsicature delle api e vespe giova
in particolnr modo applicare .in pezzo di acciaio (S. E.):
o di ferro (L.): premere l'appi nz attira con la lama di
un coltello dal manico nero , ovvero con una pietra
viva (O.).
Rimedio pel morso di qualsiasi animale velenoso è
il vincetossico (M. C).
Per guarire le punture del gragnulètte (pesce che ha
la pelle dura e picchiettata, e una spina o pungiglione
sul dorso), della pastinaca (pesce simile alla razza) e
dello scrófano, il ferito dice al sanatore : « Fallo per
1' amore di Dio ! »; e il sanatore , stringendo fra le
labbra e succhiando la parte ferita, dice: .
Ggesù é m;at' a Bbettelèmme ;
É rumori' a Gerusalemme.
Pe' le cinghc pialle de tu Signore,
Vnjje che jje passe lu dulore (V);
e si fa seguire l'orazione da sette avemmarie.
Mughetto. (Ranarélle, sf. G., Ch., Mijjare, sf. Pese,
Pnnarécce , sf. Av.). — Si tiene fermo in braccio un
patto nero, e la punta delia coda si druscia per la
bocca del bambino, dicendo per tre volte :
Ranarélle, fati' arraize {«arano», lontano);
Nghe la cóJe de la halle ji' te sJell.me.
A nijóme de DJij" e dJc Sanda Marije,
La ranarélle se ne va vije (Ch.).
SÌ mettono dei pezzi dì zucchero nella bocca dot bam-
bino. Succhiando lo zucchero, il male è inghiottito e
\ 0f •-. %^- S. »- «.. - N^ ^ -*.-\,Nv.' - _ • _• V V 's-'v'* -'■■-' " ~X_'* /'N-- ^ _• <
a.
scompare (Av.). — Forse, per questa stessa ragione, è >
di uso comune anche il miele rosato.
Neo. (La néhe, Ch., L., O., C.s.A. La véne, Cel. Ju
puirre, Pett.). — Forse perchè si crede che dia grazia,
si dice : Chi te 'na neh' e nné* le vede , ha la sòrt' e
nne' le créde. Come pure : Néh y annascòste, sòrt' anna-
scbsle; néha vedute, sòrta vedute.
}
*
Occhi. — I. L'uso degli orecchini d'oro credesi che <
conferisca a conservare la "vista; e, specialmente nella >
valle del Sangro , è raro veder contadini senza quel )
barbarico ornamento. ,
(Forse per ischerzo, affermasi che il coito faccia lo
stesso ; e celiando , narrasi di un prete , il quale, nel
sentire in confessione un tale accusarsi in questa ma-
teria, replicasse: — Sciocchezze! Se fosse vero, io do-
vrei veder le mosche sulla montagna).
II. Col nome generico di « flussione », flussióne, af-
flussìóne, sono indicate le diverse affezioni acute della
congiuntiva palpebrale e riflessa, nonché della cornea
e delle parti interne. Nome più volgare, e che indica
non solamente tutte le affezioni acute, dalla semplice '*■
iperemia irritativa alla più grave oftalmia, ma anche
le croniche, è 'ngagnamènde. In alcuni luoghi , F ipe- '
remia iiritativa ha il nome particolare di gnòle, sf. (L., <
kJ.j \~>.s.A.j. '
Anche da noi si dice: Niente, è buono per gli oc-
chi: Gli occhi, si ha da toccarli col gomito, e: F a-
I Ili
- 184 —
k, •"N. "~ <r-N. S »
3
«
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rehuari V ucchie, ce vó "na curatile de % nu farnese (L.), ;
cioè: s' hanno a legare le mani; tuttavia, quando am- /
inalano, nessurio trascura di medicarli. Nelle congiun- <
tiviti leggiere: a) si attacca alla tempia corrispondente $
all'occhio malato, o a tutt' e due, con la saliva, un'o-
stia rossa, o un cotiledone di fava, o un pezzetto di
lievito; o, come mezzo più efficace, un impiastrino di ',
péce de scarpare: b) si frega sulle palpebre chiuse un ^
ovo, appena deposto, di gallina nera; ovvero, la pelle \
di talpa: e) si spalma di chiara montata tutto l'occhio,
serrate le palpebre, e si tiene così fino a che la chia-
rata non caschi da sé (L.): d) si lavano con decotto
di piantaggine , cinghenterve ; di malva ; di parietaria,
jèrva murane; di lattuga; ma, più che altro, le fomenta
di eufrasia e di ruta capraria sono còsa merabbelóse l
(M.C.): e) quando è il caso, è utile bagnarli con la ;
neve di marzo (L.): f) nell'interno dell' occhio, giova ;
instillare la mucillaggine di semi di cotogna ; ma, ri- )
medio più efficace è il succo che si spreme dai bor- ;
doni dei colombi domestici (Yr.):g) arrovesciate le pal-
pebre, si fregano con una foglia di parietaria; ovvero, \
si pungono con una foglia di palma benedetta , per >
farne sortire qualche goccia di sangue ; e questo si \
chiama curar la gnòle (L.): — Specialmente nelle con- ;
giunti viti croniche e nelle blefariti ciliari, bisogna la- ì
vare gli occhi con acqua in cui abbia bevuto un ca- \
vallo ; meglio , se vi bevvero molti cavalli. « Chi ha >
gli occhi afHussionati », li ha da lavare con 1' acqua X
de la pilóne (Pett.), dell'abbeveratoio.
;
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Se il caso è grave, prima di mandar pel medico, si
ha da ricorrere a s. a Lucia. Oltre ad andare in chiesa,
per pregare la santa, si suol fare uno scongiuro al
\ male in questo modo: Sull'occhio malato si mette un
anello nuziale , y na fède , o anche un oggetto di ar-
gento pur che sia, e facendo segni di croce, si dice:
San da Lucìje pe' lu mónn' andave ;
DdiT dunzèlle se purtave :
Vune nghe la nóce, Pàvetre nghe lu sangue.
Sanda Lucìje nghe la maria sande,
'N nómene Patre, Fijj' e Spirete Sande (L.).
III. Per liberare P occhio dà qualche bruscolo, che
il vento vi abbia portato, e lo fa dolere, s ha da ri-
petere per più volte questa orazione:
Sanda Lucìje, pàtela L mc\
Cacce la nóce * nghe IP aca té'.
Càccene du', càccene tré,
Sanda Lucìje, pàtela me' (G.).
Ovvero: Chiuso l'occhio che preme, si soffia il naso,
e si dice:
Sanda Luci, che vvi (vai) 'ccavalle,
Pijje la nuc,' e ppurtel' abbaile (^#«) (F.f.Pj.
IV. L'orzaiolo (ur^aróle, Rocc; ujaróle, L.; ujjaróle,
G.; jervaróle, O.; vernatole, Ch.; varvalóre , Cel.; var-
varóne, Av.; gargaròle, C.s.A.; raruole, P.zo; rijóle, T.)
viene a chi nega qualcosa, per lo più, da mangiare, a
1 Questo vocabolo non è dell'uso gessano. In Coìledime^p,
vale Madrina.
8 Nóce^ per .Vi/f*\ Bruscolo.
— ,86 - 7Tv
\>
una donna gravida , la quale , per vendicarsi in tal ì
modo, non ha che ad alzare un lembo del suo grem-
biule (L.). — La donna, che ha il rifiuto, deve dire:
Ji* me méne la mén" (mano) a lu jinùocchie :
Te pozza nas*.:e' F ujjaról a \Y ùocchie (G.).
Ovvero: ' t
JervaróF a la cavute, ■ \
MànneP a (N. M)„ che mie' I* à 'vute. •
Fajjele gross' e ffajjele tónne,
Gni (come) la còcce de 'nu cucómmere (O.). <
Per scongiurarlo : a) preso un ago , e volgendone >
la punta all'occhio malato, si dice : {
Che é cquèste, urzarole?
Chemmó (perchè) crisce urzarole?
Manga subbete, urzarole,
( A lu sóne d* la mia paróle ( Rocc). ì
) . \
] b) Si prende un ago col filo, e si presenta all'infermo. <
Questo dice: — Che ccugeì — . — CuQe Vujaròle — . — Mbè, \
cufele, e ccugele bbòne! — Ripetendo il dialogo per tre \
volte, si fa Tatto del cucire (L.). Similmente in Ch. S
e Ct.s.A. '
Si cura spalmandolo con cerume delle orecchie (L.). \
V. Il calazio si dilegua fregando sulle palpebre, per \
lungo tempo, la saliva a digiuno (L., O.). \
Olio. — L' « olio di luma », nella medicina popò- \
lare, è quasi una panacea. Ojje de lume , ògne mmale
stute (L.) , o consume (Av\). Basta che sia preso da
una lucerna a mano (che è, per lo più, di ferro) ac-
cesa; meglio se preso dalla lampada che arde innanzi
a
- ,87-
TT|M
a una sacra immagine; e, quando se ne vuole un* a-
zione più energica, si ha da spengervi prima un ferro
rovente. 1/ uso più frequente è nei dolori reumatici,
e di qualsiasi altra natura; nel principio delle infiam-
mazioni resipelatose e flemmonose della pelle; nonché
nelle adeniti.
Vi è poi una serie di olii, di diversi santi, parallela
a quella delle acque, adoperati con pia intenzione nei »
diversi mali. ;
Orecchi. — Le diverse forme di otite esterna , ed <
anche l'otite media, acuta, sono, per la gente, tutte ]
« flussioni » o « dolori » di orecchi, di cui ordinaria *
causa è V aria fredda ed umida. Lu latte de la cìtela ì
fammene (G.) o de lu cìtele mascule (Ch., L., O., C.s.A.),
ossia di donna che allatta una bambina, o un bambino, ;
è quasi una panacea in tutte le forme acute, special- {
mente se dolorose, di otite. — Usati anche: . l'orina di '-
un fanciullo (V.m.) : l'olio di ruta: il succo di pere, \
sia estive, sia vernine (Pai.): di crispignoli (sonebus
oleraceus), O. : il fumo di canna (L.).
Le malattie lente ed ostinate dell'orecchio, special- ;
mente in età avanzata, con disordini dell'udito, rumori, .
dolori, sordaggine, dipendono da « malattia del verme ,'
dell'orecchio ». In questi casi, giova istillare nel meato
<
auditivo i rimedi soliti ; e , più che altro , applicare , \
nell' interno del meato , dello strutto in cui vennero "
fritti i nòccioli di lauro (Car.) : il grasso delle qua- ^
glie (L.). Quando il male resistesse , non ci sarebbe <
di meglio che estrarre il verme malato; ma questa è \
r%
— 188 —
• »
operazione difficilissima; e perciò l'udito, la sendute, è
molto raro che si riabbia.
Orecchioni. (Ricchièle, L.; Ricchjm, F.f.P.; lu Cape-
balte, G.) — « Agli orecchioni, ci si scrive ». Con una
patina, intinta nell'inchiostro, si fanno delle croci sulla
parotide infiammata. — Meglio, scrivere i nomi di Gesù,
Giuseppe e Maria (L.): — Con la penna intinta nell'in-
chiostro, si ha da tracciare, sulla parte infiammata , il
seguo di Salomone (V.) : — Sull'enfiato, si ha da scri-
vere « RUcbjtie » (F.f.P.) : — Basta farvi su delle croci
col pollice (Pett.) : — Drusciando, si fanno croci con
un anello d'oro (Cel., Av\).
Orina — I. V urina travede, e bbóne pe lu mèdecbc,
l'urina chiar\ è bbone pe' lu 'mmalate (C.fr.). E: ^Piscia ?
chiar, e fa' la fic a lu mèdeche. )
II. Come rimedio, l'orina è adoperata nelle febbri \
intermittenti ostinate. Ved. Febbre , III , e). — Bevuta
dallo stesso malato, lo rinvigorisce (L.) — : se ha do-
lori di ventre, lo guarisce (Pett.) — Nelle contusioni,
giova farne fomenta. — Nei dolori reumatici, l'orina
dei bambini alle fasce è la man di Dio.
III. Chi soffre incontinenza di orina, chef è ddébbele
de rine, ha da mangiare, senza che lo sappia, un to- {
polino arrostito (Pai.).
IV. Nella ritenzione di orina, si beve il decotto di
parietaria : e si applicano cataplasmi di cipolla cotta }
sull'ipogastrio- Se l' infermo è anche sofferente di li-
tiasi urica, fa la réne, giovano i decotti di bacche di
rosa canina, caccavasce (G.): di granturco rosso o di
>
(
-■^. wv_ -^-
Vt
ceri rossi (L.) : di finocchio porcino, di spaccapietra ,
di uva orsina, di nasturzio aquatico e di veronica (M.C.).
Alle bestie, si dà a bere acqua nella quale si è fatta
macerare una sardella (L.).
Orzaiolo. Ved. Occhi, IV. •
Ostruzione. Ved. Febbre, III.
Palpitazione. (Talpete de core). — A chi softre pal-
pitazione di cuore si fa mangiare, a sua insaputa, una
talpa, "na tape, arrostita (Ch.) — Ved. Mestruazione.
Paralisi. — A chi è « impedito », giovano i bagni
parziali di vinaccia calda : le fomenta e le frizioni con
vino aromatico.
Patereccio. (La panarice, Rip.; la Pannarice, Ch.; ju
pannaricce, Pzo.; la pannarecce e la panaricce, L.; le pa-
narecce (Av.). Più comunemente, lu Tórnadète). — Da-
tóre de déte, è assaf e nnen %c créde! (L.).
Per evitare la suppurazione, il dito malato se 'ngóce
nghe W acque: si tuffa rapidamente, per tre volte, nel-
l'acqua bollente (L., O., Ch., V.). — Mezzo abortivo
è anche il cataplasma di foglie di giusquiamo (M. C).
Per sedare il dolore, giova tenere la punta del dito
infiammato immersa in un pomodoro (L.).
. Per facilitare la suppurazione e mitigare il dolore,
il migliore cataplasma è quello di chiocciole , ciam-
majlche, schiacciate insieme coi gusci; rinnovato fino
a che la suppurazione non venga (L.).
Altro cataplasma « maturativo » si fa con fior di
farina, acqua, olio, vino e sale (O.), — ovvero, con
C
?
— 190 —
fave masticate (Ar.). — Giova anche il latte di donna
che nutre un bambino (O.): una bambina (L.).
Piaghe. — Le foglie di bietola, di tussillagine, di el-
lera , ecc., fanno « curare » , suppurare , le piaghe, e
sono utili per lenirne Y irritazione e il dolore; ma,
quando si vuole che cicatrizzino presto, bisogna ado-
perare quelle di lattuga o, meglio, di rovo. Le foglie
di tasso barbasso sono poi incomparabili , e perciò
dette san' e ccure (S. V.).
Altri mezzi per favorire il rimarginamento: il « bal-
samo romano »: l'olio o il decotto d'iperico, e l'olio
di semi di giusquiamo (M. C, il quale riteneva que-
st' ultimo di grande efficacia nella « zoppia » dei bo-
vini) : e in fine , il far leccare la piaga da un cane;
perchè, in tal modo, il marciume e la carna triste sono
portati via (L.).
Nella medicatura delle piaghe , come delle ferite, >
non s'ha da adoperare se non pezze , taste , fasce, di \
biancheria appartenuta a un uomo , se vuoisi che la >
guarigione non vada in lungo. \
Pietra in vescica. {La prète). — Viene dal bere ac- ^
que selenitose, pesande; e dall'usare pane o paste nghe
lu renducche, che scrogiolano sotto i denti, perchè la
farina conteneva frammenti di selce staccati dalla ma-
cina. — Fa bene il bere decotti di sassifraga , spacca-
prète; di scolopendra, e di splenia (M. C).
Pleurite. Ved. Polmonite.
Podagra. (Tulacre , L.). — Non da scherzo si dice
che venga a chi ha dei quattrini , a cebi s* a fatte le
— 191 —
<
i
quatrine, e a chi mangia abitualmente carne di pollo.
— « L'unico rimedio è lo sciroppo delle 5 radici ape-
rienti. Inoltre, ci vuole un po' di regola nel mangiare
e nel bere » (M. C).
La tintura di colchico autunnale e il decotto di
camedrio, usati per lungo tempo nella podagra inve-
terata, si ritengono molto efficaci.
Polmonite, Pleurite, Pleuropolmonite, per la gente
meno colta, sono una sola malattia , che va sotto il
nome di « puntura ». Se il dolore nel petto ha corri-
spondenza nel dorso , ed è accompagnato da stimoli
di tosse, che l'esacerbano, e da febbre, la diagnosi è
beli' e fatta. È male temutissimo; e assai più quando
i medici non rifinivano dal salassare. Per questo, il di
festivo di s. Sebastiano (lu Fr ecaute , e, lu Cai anude,
L., perchè si figura coperto di frecce, e nudo) è os-
servato come la Pasqua. E s' invoca con questa ora-
zione :
Porri. — Se si contano le stelle, e nel tempo stesso
si pizzicano le mani qua e là, in quei punti vengono
i porri (O., S.). Parimenti, vengono nelle mani di co-
loro che chiappano le lucciole (L., O., Cel.). — Per
guarirne : a) Si gettano in un pozzo tanti ceci quanti
sono i porri, ovvero — b) 3 briciole di pane, 3 chicchi
di grano, e 3 granelli di sale (L.). — e) Per ciascun
Sande Sabbastìàne, che vvjene da Franze,
E cche ppurtiste 'ra roane spad' e llanze,
E cche *n déste l'avete 'na curóoe, <
Libbre (N. N) da 'sui gra' mmalóre (Rocc).
— 192 —
a/ 1
porro, si gettano nei pozzo tre ceci neri, dicendo ogni
volta: Tòrr' a Ite, eie -*- a mmè (Cel., V.). — d) Si
mettono in una pezza tanti ghiaiottoli quanti sono i
porri, ji puérre , e si lega. Quando suonano le cam-
pane a morto, si getta quel bel gruzzolo sulla strada.
Chi lo raccoglie , si avrà i porri ; e chi V ha buttato
giù ne rimarrà libero (Pett.). — e) Messi nel fuoco
tanti granelli di sale quanti sono i porri, si ha da
fuggire cosi prestamente da non sentire lo scoppiettio
di quel sale (C.d.S.). — f) Torcendo non so che pian-
ta, e pensando a una persona che ha i porri , questi
scompariranno a seconda che quella pianta seccherà
(Roccar.). — g) Toccandoli nel momento che fa la
luna nuova , vanno via senz' altro (Ch.). Ma , chi sa
quel momento preciso ? Pure, a volte, ciò avviene per
caso, anche nel sonno; e per questo si spiega come
talora sembra che i porri vadano via senza alcun ri-
medio (Car.). — h) Basta toccarli ogni dì durante la
luna scema (C.s.A). — i) Bisogna stropicciare le mani
e dire il Paternostro mentre il prete lo dice a messa
(F.f.P.). — l) Quando il prete, dicendo il Pater arriva
dWattendèrre (« sicut in coelo et in terra »), chi ha i ,
porri , facendo Y atto di prenderli e di getti rli per
terra, dice: pijje 'sti pur/ e mmìndele 'n derre (C.s.A.).
; — vi) Si devj far passare tre volte una lumaca , 'na
ciamtnajìca nude, sui porri, e poi schiacciarla (At.). —
• n) S' immerge la mano nell' acqua in cui si è tuffato
il fruciandolo (Ar.). — o) Si bagnano con succo di
; euforbio, o con latte di fico — p) o con acqua forte.
> «é
— 19? — l l
Z
p
( — q) Vi si applicano le foglie di belladonna, colte nel
\ mese di luglio (S. V.). — r) Messavi su della polvere
> di sai prunello , si fascia la parte finché i porri non
£ secchino (Av.). — 5) I porri, chi vuol guarirne, li ha
; da legare con fili di tela cruda (Cel.). — /) Si stro-
; piccia sui porri un bioccolo di lana tolta da un basto,
^ e poi si getta sulla strada; ma, in quel giorno, biso-
gna guardarsi di passare per la medesima , se non si
vuol ripigliarli (Ch.).
Pustola maligna. — Ved. Carbonchio. Il nome co-
mune di questa malattia è la 'Ndrafe. Se la bollic-
ciattola è più o meno bianca, la malattia è poco grave,
e si chiama 'ndràfia acquatole; se è nera, la malattia
è gravissima , e si chiama *ndràfia cattive o vialigni;
Pett., la Pule; e si ha da causticare, fucd\ subito.
Di questa e di simili gravi malattie della pelle è
padrone s. Sebastiano (Pett.).
Rabbia. Ved. Morsicature.
Rànula. (La ragne. La ranòcchie. La ranuccbiélle). —
Per guarirla , si prendono due chiavi , una maschia e
1' altra femmina , e si posano in terra. Poi, presa la
chiave femmina, si frega sotto la lingua, dicendo:
Abbass' a 'nu muiidecélle
Ce stave ddu* vuvecélle;
Vun' arav', e 'n atre squatrave;
La còcce de la ranòcchie le sqaacciave.
A nnóme de Ddij* e dde Sanda Marije,
La ranòcchie se ne vade vije (Ch.).
> Detto questo , si getta dietro le spalle la chiave
D
H+PJÌ - - '-- ----- —
— 194 —
_!*_
femmina; e, presa la chiave maschia, si ripete lo scon-
giuro, dopo del quale parimente quella si getta dietro
le spalle. L'operazione s' ha da ripetere per tre volte.
Il gettar le chiavi esprime Y atto di dar Y andata al
male.
Stropicciando la parte malata con la punta dell'in-
dice destro, si dice per tre volte:
Sópr* a 'nu culletèlle
Ce stéve tré vvuvecèlle: ',
Un 7 arèuue, une squatrèuue, .
E 'n àutre la ranòcchia ca pestèuue.
Recórr' a Ddij* e ssande Sanine; '
La ranòcchie su pózza succà' 'nna da le raducine (S. V.). I
Dopo di ciò, si fa l'atto di scacciare il male, toc- \
cando il tumoretto e scagliando la mano , mentre si
dice per tre volte:
' Ruvàtten 1 a gghje pandéne ! (Torna al pantano).
Resipola. (Resìpele , Resepéle , Restbbele , Restbbte). —
- Nelle menti più volgari, la resipola è qualcosa di vivo,
' come un maligno genio, che va a molestare la gente.
i [Il genio maligno, ora, sono gli streptococchi]. Perciò,
quando sulla pelle del viso si vede un arrossimento
un po' sospetto, né chi Y osserva né il paziente deb-
bono correre a pronunziare il nome di Resipola. Que-
sta, in tal caso, verrebbe di certo, perchè: Cosa triste
(il diavolo), numenat 9 è wiste (L.).
Venuta, i meno corrivi ai pregiudizi sogliono, per
pratica tradizionale , strisciare sulla parte infiammata
un cucchiaio d'argento. I poveri, la lama di una ron-
— i9S —
cola (Pai.). Ma il volgo , e ne ho trovato anche nei
palazzi, non mette tempo in mezzo a ffa' dV a la re-
sìbbele (G.) : a ffa "ngandd* la resepéle (L.).
Delle formule di scongiuri, ecco alcune varianti:
Quande Jesù Criste jave pe' Ju mare,
366 resìpele 'ngundrave.
— Resìpela mmalcdétte, dònna vaje ? —
— Vade pe' le medólle de le cristiane,
Pe' ffareP abbajàje cóme ccane —
— Àlzete, pastór', e 'mmazzele clu bbastóne! —
— Mahéstre, ne' ram' ammazza',
Ca 'nu bbèlle secréte te vòjje 'mbarà' :
Ojje de la vérda ulive ;
Sanghe de néra hall ine (Rocc).
Dopo di che , con una penna di gallina nera tuffata
nell'olio, si unge prima air intorno e poi in croce la
parte infiammata : — Fatta 1' unzione, con un ramu-
scello di olivo, la parte s' ha da bagnare con sangue
di una gallina nera (Cas.).
b) Con la medaglia o col crocifisso di argento di
una corona del rosario , si fanno , strisciando , delle
croci sulla resipola, mentre* si dice:
Matra Marije pe" la vije ca ]\\
Le cònde resìbbele le scundrì.
— Andónne vaje, resìbbele ? —
— Vajje sópr' a ÌY osse de lu cristiùnc;
Strili' e bbajjà' le facce cóme 'nu chéne —
— Curre, pastóre, gni (con) 'ssu gròsse bbastóne;
Pijje le cènde resìbbele,
E bbuttel' a llide de mère —
— No' mme ce jettét', e nno' mme ce bbuttiite,
TJrB
— 196 —
»<- ■»>-■>•_ -v. •»-
Ca mo' ve Je 'nzégne 'nu bbèlle secréte:
Pijje la lane de Ha pecurine,
L' òjje de la liv' amère,
Luce de Ddij' e dde sanda Marije,
Le cènde resibble ze ne va vije (O.).
Mentre cosi si dice , si unge con bambagia intrisa
dell'olio di una « luma di ferro », ovvero con un og-
getto di argento (S. E.).
e) Facendo segni di croce sulla -resipola con una
penna di gallina nera intinta nell'olio, « si dice » a la
resìbbie con una formula simile alla precedente (V.).
d) Si « dice » alla resipola facendovi su delle croci
con una medaglia che porta il « segno di Salomone »
(S. V.).
e) Dòppe che ss' e dditf a la resìbbele in questo
modo:
Da Róm' aremeniste;
Nòve 'ccétt' arepurtiste.
'Nghe Lluche, Ggiuuànn' e Bbattiste:
'N nómene Patre, Fijj' e Spirete Sande,
si unge con olio di « luma », e si fanno nove croci
con un coltello , il cui taglio sia rivolto alla parte
malata (G.).
f) Con un oggetto d'oro, p. e. un anello nuziale,
'na fède, si fanno sulla resipola nove croci , dicendo,
per ognuna :
Or' e argènde :
La resìbbele n'n é nnijènde.
Poi , con un oggetto di argento , p. e. un crocifisso,
altre nove croci, dicendo:
w s-- 'V
— »97 —
1!
Argènd' e óre :
La resìbbel' a 11' ora bbóue (F.f.P.).
Si è persuasi che la resipola nòve jurne crésce , e
nuòve jurn' ammanghe. Tuttavia, per limitarne l'esten-
sione e per mitigarne il dolore , si adoperano vari
mezzi: Si spolvera con fior di farina, vi si soprappone
un oggetto di argento, e si fascia (Pett.): — Si copre
con foglie di ebbio, samuchélle, samuca fèmmene (G.) :
Vi si fanno le fomenta di decotto di verbena (M.C.) :
— o d'infusione di fiori di sambuco (G.) : — Vi si ap-
plica un cataplasma di crispignoli , di quelli che cre-
scono sui muri, coQigne de mure (V.).
Reumatismo. Del reumatismo muscolare nessuno si
preoccupa molto , perchè i mezzi per curarlo sono
semplici e di pronta azione. Invece , del reumatismo
articolare si ha paura , e per guarirne si adoperano
svariati mezzi. Ved. Artrite.
Sangue. Ved. Emorragia. — Le idee « umorali », in
fiuto di sangue, sono sempre in vigore, specialmente
nelPassegnar la causa di molte dermatiti. Inoltre, vari
stati morbosi relativi al capo e ai nervi si ritengono
« effetti di sangue », 'ffèlte de sanghe.
Sbadiglio. (Jji alà\ Alamjnide. G.). — Quande une
ale, aie 'w addrc. Vice ca sagghiHle (C.s.A.). — Inoltre,
lo sbadiglio, a volte, non va per finire. Per farlo ces-
sare, nel momento che si « ala », s' hanno a fare sulla '
bocca , col police destro , tre croci (Ch.). — Nello
sbadigliare , potrebbe trovarsi a passare V « aria cat- '
— 198 —
n
199
tiva », lo spirito maligno, ed entrerebbe in corpo. Nei
luoghi deserti e remoti , scambagnale, ciò è più facile ;
che non in casa. Per questo, nello sbadigliare, s'hanno ]
a fare le croci sulla bocca (F.f.P.). — Chi ale, poche vale: l
Chi facilmente sbadiglia suol essere un dappoco. (
Scabbia. (Sgabbie. Com., %ògne) --La rógrì e tnma-
latije pé ddéndre, interna, che poi si manifesta al di ]
fuori (Pett.). Per questa credenza, molti sono persuasi
che la rogna non si debba curare presto, ma eh 9 a da
sfucà\ — Chi mangia molta roba gialla : granturco,
zucche vernine, melloni, e simili , vi è più facilmente
soggetto (G.).
Per guarirla, alcuni fanno uso del petrolio (G.): —
altri, delle lavande con decotto di caslagrì amerecane,
castagno d'India (L.). — M.C. commendava le frizioni
di polvere di elleboro stemperato nell'olio o nell'aceto.
Il rimedio è più attivo se si aggiunge del sale.
Sciatica. (Sciàteche. Sceràteche. Sciatterie). — È dei
mali reputati più gravi. Le solite applicazioni calde
fanno poco ; nelle fumicazioni di spigonardo e zuc-
chero si ha più fiducia (O.): come pure nelle bagna-
ture e nelle frizioni' fatte con vino aromatico caldo
(M.C.). — Per scongiurarla , P operatore , dopo fatta
una croce sulla parte dolente, dicendo : //' te ségn, e
Ddije te sane, dice :
— Sciàtteche, che vvìe da Mondesalvine,
Sciàttec 1 , andónna vù jì 1 ? — -
— Ji' vuojje ji' a Ile 'lemana mie;
Le vuojje fa' stride* nott' e jjuorne cóme ccane —
mm
~> -^ y • ~-
? — Va vije, sclàttec' a lu fónne de Ili mère,
) Ca gni (éow) mmé n'n gi fi bbéne.
Ji' tjcnghe ' a maria s.inde ;
< 'N nòmene Patro, Fijjiol' e Spirde Sande (0.).
Mentre dice queste parole , Y operatore con la mano
frega fortemente, e sempre da alto in basso, sul tra-
gitto del nervo dolente, « per far uscire la sciatica, il
dolore, dalla punta del piede ».
Scorbuto. — Per guarire lo scorbuto, lu strubbùteche,
«
bisogna risciacquare la bocca con vino in cui siasi
bollito della coclearia (Ch.) : Il succo di acetosella, ra-
fano, angelica, carlina, piantaggine, veronica, non ha
pari (M.C.).
Scottatura. (Lu còtte). — Le piccole scottature si
medicano fregandole con un po' di sapone: ovvero,
stropicciando la parte scottata coi capelli (Ch.). —
Quelle più gravi si coprono , il più presto possibile :
con cerato di Galeno , cer e ójje , spalm ndolo con
una penna di gallina nera (L.): con miele steso su di
una foglia fresca (Ib.) : con rosso d' ovo e olio stesi
su di una foglia di ciliegio (C.s.A.) : con polvere di
grano bruciato, stemperata nell'olio (L.): con meleco-
) togne cotte (Cel.) : col fango, co ji ciambane (Ib.) :
< con l'acqua di neve caduta in un venerdì di marzo, e
( serbata pel bisogno (O.): con olio mescolato alla neve
f caduta in un venerdì di marzo , e serbata per le oc-
correnze (Ch.): con foglie di sclarea, piantaggine, visco
quercino ; ovvero con polvere di gallozzole d' olmo,
de ciabbòtte cTulme (M.C.): con polvere di grano tostato
— 200
■IT
■*■-• ^-^ >.*• "S-» "N-^ ^-^- >.^ "*W
N. _• v^ N.y' - • *
(O.): con polvere formata dal deposito dell'orina nel-
l'orinale (Cel.). — Ma , se il caso è molto grave , si
ricorre allo scongiuro. Prima di recitare la formola,
si fa col pollice della destra un circolo intorno alla
piaga, dicendo :
'N nóme de '1 Patre, dlu Fijj' e d' lu Spirete Sande,
Lu còtte ne' vva cchiù 'vande.
Poi:
Criste nasci a Bbattalèmme,
E mmuri a Ggerusalèmrae.
Pe' lu meràcula su',
Lu còtte n'ii a da crésce' cchiù.
Ovvero :
Ce ère tré flfrate. Jave pe 7 la vije;
'Mgóndre Jesù, sand' Ann' e Mmarije.
Disse Jesù Criste: — Car»* frate, dònna jate ? —
— Ji* vad' a mmónd' arbate (sic).
Pe' còjje' arbre delecate,
pe' ddòjje'
marce n'n accòjje. —
— Celate 0110' le tenete;
Pahamènde mio' le p>jjéte.
Prehat* a ssanda 'Lgi'ede (sic),
'PpTede (a pie) a la Verbena Marije (Rocc.].
Scrofole. Ved. l'altro voi., pag. 145 b). — Chi na-
sce di sette mesi, de sètte lune, ha virtù di guarire
le scrofole con la semplice apposizione delle mani (O.):
— Rimedio che non ha pari è il fregare sui tumori
scrofolosi la mano di un prete morto ; e quando al-
cuno di questi è al lumicino , chi ne ha bisogno si
"v '■^.y-s *~
*■ v y * •"" s~\ v • *-
— 20I
ì tiene pronto ad accorrere, perchè l'effetto è tanto mag-
giore quanto più calda è la mano del morto ; e for-
tunati i più solleciti ! (Ch., L., O., V.).
Sfogo. (Sfóche). — Riserbando dei nomi speciali alle
malattie infettive con manifestazioni sulla pelle , qua-
lunque malattia cutanea o della parte visibile delle mu-
cose, scompagnata da febbre e, d'ordinario, di forma
vescicolare o pustolosa , è designata col nome gene-
rico di Sfogo ; salvo a dar nome speciale a ciascuna
secondo la creduta origine, la forma, la sede o altro
motivo. Senza rifiutare i criteri scientifici secondo i
quali le varie dermatiti sono classificate , e detto in
generale che le medesime sono ritenute come « effetti
di sangue », che crescono col crescere della luna e di-
minuiscano a luna scema, ne faremo un cenno a se-
conda della nomenclatura volgare.
I. La ròffe. Lu caròcce (C.s.A). Ju /rande (Aq.). La
lattine (Pese, Av.). — Dell'eczema impetigginoso, che
suol venire sul capo e sulla faccia dei bambini alle
fasce, si è già parlato. Ved. Lattime.
II. Lu duvecióre (L.) , è un eczema impetigginoso,
che viene ad alcuni bambini intorno alla bocca e al
mento. Qualche volta la dermatite è intensa, molesta,
accompagnata anche da febbre ; e in tal caso , ha il
nome di Fòche velate.
Mentre la prima forma suol lasciarsi decorrere senza
alcuna cura, la seconda non è trasandata; e il volgo
non manca di farla scongiurare. — Si prendono tre
cime di ortica , tre di rovo e tre di olivo, di cui si
Jau- , r ,
— 202 —
r,
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fa un mazzolino; quindi, s'immerge questo nell'acqua
« corrente » (di un fiume, di un ruscello, di una fonte)
messa in un piatto , e spruzzandone la parte malata,
si dice :
giuno.
V. Schiàfene, sm. e f. (L.) ; Schiavine, sf. (C.d.S.) ,
| , sono i nomi dell'erpete circinnato o irideo. — La sa-
liva a digiuno, se giova in tutte le forme di derma-
tite, in questa è ritenuta uno specifico. Può essere
, Orz' e llupe pe' lu bbòsche jéve; (
; Lu fòche volete 'm mècche le purtéve.
? Tré ccime de ruve e ttré de 'rtiche,
Acqua currènd', armóre 'stu fóc' ardènde (O.).
Ovvero : ;
Lópe, lópe, che dda la sélva 'sciste.
Lu fòche velate 'm mócche puniste,
jr ce córre righe 'st' acqua currènde,
/ P' armuri' 'stu fóc' ardè.ide (L.). ',
') III. Sfoche suol dirsi, per antonomasia, l'eczema più ;
\ o meno diffuso o generale. — In Pett. , la patine ; e '
; \ alla persona che ne soffre si suol dire: ci bbevute Vac- \
i • que cT ju Rije?, la quale è calda di estate e impura.
I — Se viene ai bambini, ed è ostinato, si pensa subito
che la madre, durante la gravidanza , abbia mangiato ;
di molti peperoni, pepedmif assaje (C.s.A.).
IV. Lu sfòche de fèbbre, o lu male, sono i nomi del-
l'erpete labi «le, che suol manifestarsi dopo alcune feb-
bri, specialmente efimere. È indizio sicuro di febbre
sofferta, anche se passata inavvertita. — D'ordinario
non si cura; o, al più, si bagna con la saliva a di-
— 203 —
X. _*f
ì
s
applicata anche da altra persona ; ma la migliore è
quella che vien dalla bocca di uno che abbia bevuto
dell'acqua di mare, o che da poco abbia fatto la ba-
gnatura (C.s.A.). — Altri rimedi: Bagnare ogni mattina
lo sfogo: con la rugiada caduta sulle erbe (V.m., C.s.A.):
— con l'aceto dell'insalata, tenuto nella notte al se-
reno (L.) : — col succo di tititmlo , o con succo di
rómice , rùmece (G.) : — Stropicciare la parte malata
con bava di chiocciola, ciamtnaruca (Cel.): — con una
lumaca , ciamnuijìca nude , fino a che questa non sia
diventata vizza e mencia; poi, s'infila a uno spino; e
l'erpete seccherà secondo che si disseccherà quella lu-
maca. Ma però , si ha da avvertire che questa non
dev'essere cercata a posta, ma trovata per caso (L.).
VI. Lacremónìe (L.) , Umóre sal^e , e anche Èrpete
sono i nomi dell'erpete facciale. Oltre ai mezzi indicati,
III , ritiensi che per curarlo s' abbia ad usarne altri
diretti a « purificare » il sangue: decotti di dulcamara,
fumaria , midolla di canne , osse de canne , gramigna ,
tarassacb, coclearia (M. C).
Singhiozzo. (Sijó%%e, L.; Sijjiw^e, G.; Stillile y Aq.;
Sollu%££> Av.). — Quando viene ai bambini, dopo che
han succiato, è cosa buona: è segno di crescenza, e
perciò detto crésciacbre (C.s.A.) : è segno che le bu-
della si stendono (L.). Ma però , se è forte o pro-
tratto, si dice :
Sijjózze, sijjózze,
Vatterf abbaile (già) pe' Ili pózze.
Se é ppe' bbéne, statte;
Se é ppe' mmale, vattene (L., Ch„ O., V., Gel.).
. j J?
— 20/j —
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1 J » * ''''''> ~S ^ -* -* ^ -v^-v.^ ^ •" y .•— _S ^*>*S**S V- -/-v^^^-X. -■»^~» l >'^^~ , ^-''' , ^*~^ ~* * ||
Quando viene agli adulti, vuol dire che chi ha il
singhiozzo da qualcuno è nominato. Per indovinare
chi sia quello , si fa il nome di molti. L J ultimo no-
minato, che ss' annumìne, V., è desso. E a tale pro-
posito si suol dire :
Sijjózza, jórevi (erba) de pózze ;
Sijjózza, jóreva de prate.
Chi m' arinomene, se dde bbéne, sécute;
Se dde male, scià (sia) sfratate (sfiatato).
Sande Bbia^e, Ggesù e Mmarije,
Lu sijjózze se n' à da jije (Rocc).
Ovvero :
Sijjàzze, sijjàzzc,
Vàtten' a lu pazze.
Lu pàzz e la fundane :
ArespunrT a echi te chiame (V.).
Sonno. — Nel linguaggio infantile, fra Ppàvele, (L.).
(É rruvale fra Ppavele, Sono arrivati i pisani). — Pur
troppo , fra le donne del volgo , è comune 1' uso di
procurare il sonno ai bambini col papavero. — Credesi
che la ricotta , mangiata calda , inebrii anche più del
vino, e concilii il sonno.
Sordità. Ved. Orecchi.
Stranguglioni. Ved. Angina tonsillare.
Sudore. Per guarire del sudore profuso delle mani,
si deve stropicciare tra le palme , in primavera , una
spoglia di serpe (O., S. E.) : Si ha da fregarle alle
pareti di una casa in cui non siasi mai stato (L.) :
ovvero, alle piante dei piedi di un morticino (Ib.j.
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Tigna. (Tigne. Zéllé). — Fino a memoria nostra ,
come non si aveva ritegno di farsi mozzare le due
ultime falangi dell'indice destro, per esimersi dal ser-
vizio militare, molti giovani non rifuggivano dal farsi
inoculare, per lo stesso motivo, la tigna.
Fino ai 15 anni, è pericoloso il curarla (L.).
Guarisce : Con le frizioni di olio in cui siasi fritto
un ramarro, ràchene, ancor vivo. La frittura dev'essere
protratta, fino a che il rettile si disfaccia. Quindi, l'o-
lio, freddato, si serba per l'uso (O.): — Fregandola con
olio in cui siansi fritti molti peperoni dei più piccanti,
cucinde (L.): — Lavandola con decotto di radice di bar-
dana, e poi ungendola con olio di sabina (M. C).
Timpanite. — Nell'uomo, si cura col decotto di a-
nici.
Quande s' abbàtte 'na vaccine, si deve forare con un
succhiello, o pungere con un ferro aguzzo, l'estremità
di una delle corna della bestia ; e si crede che V aria
abbia esito da quel foro (L.).
Tisi polmonare. (Male de IV èteche, L. Per attenua-
zione della brutta parola : Maiali] a llònghe). — Ved.
Emorragia, e).
A un medico antico si attribuisce questo « efficace »
rimedio: Seccato al sole un polmone di volpe, si pol-
verizza e si stempera in una caraffa di vino generoso,
che si fa bollire fino a che sia ridotto a un terzo. Di
questo l'infermo ha da bere un bicchierino la mattina,
in tre volte (L.) : — Dicesi che l'orina dell'asino abbia
potere contro la tisi; e se à qualcuno il senso di quel-
— 206 —
1' orina va a grado , si argomenta che andrà a finire
: tisico. Inoltre, quando un pover omo mostra di dare
in tisico, suol dirsi, celiando: Cussù ha da vévere lu
• pisce de IV asene ! (L.): — Contro la tisi, l'unico rimedio
che si sappia è il decotto di lichene cannulato (M. C).
Tonsillite. Ved. Angina tonsillare.
Tosse (Tósce , e più comunemente, Catarre. Non
\ comunemente, Pandòre, Tossicone). — I decotti di mal*
> va, di bismalva, di orzo, di radiche di ortica (special-
mente in primo tempo, quando si crede utile curare
l' infreddatura col sudore, G.), di fichi secchi, sono i
rimedii più comunemente usati. Del resto, poiché non
è malattia molto temuta, e i mezzi adatti a mandarla
via presto sono d' ordinario trascurati, i più si rasse-
gnano ad avervi pazienza; e suole anche dirsi celiando:
Pe' gguarV la tósce, ce va quaranda fave, G., da man-
<
\
giarne una al giorno.
(
Tumore. (Nascemènde). — Comunemente , si dà il ;
nome di « nascimento » tanto al tumore formato da 5
ascesso quanto a quello di benigna o malina natura,
\ che viene in qualche parte del corpo. Quelli della se-
\ conda specie credesi che crescano a luna crescente, e
decrescano a luna scema.
Tumor bianco. — Se si manifesta nel mese in cui
l'infermo è nato, guarisce con le fomenta di decotto
di sorgo, siine (L).
Tumore di milza. Ved. Febbre, III.
Ulcere. (JJcere, L.) — Le ulcere della bocca guari- <
— 207 —
I*> —
;
r Ul
l scono coi risciacquamenti di decotto di verbena (M.C.)
— Quelle di natura venerea o sifilitica sono chiamate
vache d'ùcere (Pache, Chicco); e dagli empirici varia-
mente curate.
Unghie. (Ogne) — Sul tempo che s' ha da comin-
ciare a tagliarle, vedi Usi natalizi, n. 72. — Per fare
che non si sfoglino e che non cresca sulla radice il
bordo cutaneo , non si deve tagliarle in giorni « er-
rati ». — Ai bambini si dà a credere che le macchio-
line bianche, che a volte si vedono sulle unghie, de-
nunzino le bugie da loro dette.
Vaiolo. (Le mascalubbre, sm. pi. Li mascarille, sm.
V
pi., T. Le vrùfele, sm. pi., Pett. La vrifele, sf., V. Le [
nife, sf. pi., Av.). — Al principio della malattia, prima •
che l'eruzione cominci, si ha da passare, carpone, tre
volte sotto una madia — e chi non l'avesse può ac-
cattarla da chicchessia — , dicendo ogni volta: ,;
>
Ji' passe sótt* a \Y arche ; )
v Le mascalubbre ne' rinasce, )
/ Ne ddu' ne cquattre (L., O.). )
) [ « Arca » è il nome della madia in molti comuni
abruzzesi; ma ora, in Lanciano, è meno com. di mése:
lat. mensa], — « L' autel chrétien est un torabeau ; il
couvre ou est cencé couvrir des reliques, les os d* un
saint. Dans les Rapports (analogues aux pardons de la
Bretagne) , des processions d' hommes et d' animaux
passent encore soit sous des chàsses soit sous un autel
célèbre par ses vertus curatives... Ainsi quelque sou-
— 208
fyw
venir... du paganisme gaulois , s' insinuent dans les
croyances e les cérémonies chretiennes ». %tuue des
trad. popul. Voi- IV, pag. 565.
Oltre a coprire per bene il malato , gli si dà , per
farlo sudare, il decotto di fiori di sambuco, perchè ere-
desi utile a trar fuori, col sudore, i cattivi umori (L.).
Ma il rimedio veramente specifico del vaiolo è
l' assenzio , la ' seènne. Se ne mette sul letto e sulle
lenzuola dell'infermo; gli si fa odorare; e con un maz-
zolino delle foglie gli si frega la parte dov' egli sente
prurito. Lu vèrme de le mascalubbre sinde V amare de
la 'srìn%\ e sse mòre (L.) : — Nel vaiolo nero, si bagna
l'assenzio nell'acqua, e si stropiccia sulle pustole (V.):
— E giova prenderne l'infuso fatto a la seréne (S.V.):
— Anche dopo finita la malattia , giova stropicciarlo
sulla pelle, per evitare le cicatrici delle pustole (L.).
Ma si avverta che, per tutti questi usi, l'assenzio mi-
gliore, cchiù pparteculare , è quello portato nella pro-
cessione dell'Ascensione: — Per evitare la formazione
dei butteri, le pustole s' hanno a lavare con orina del
malato istesso (Cel.).
Vermi. — La verminazione , comune e abbondante
nelle persone che malamente si nutrono , doveva es-
sere qualcosa di serio quando 1' igiene era anche più
trascurata d'adesso. Comunque sia, l'aspetto dei vermi
richiama l'idea della corruzione; e perciò non è ma-
raviglia se, a tenerli lontani, si argomenti che ogni
arma sia buona; tanto più che ad essi credesi dover
riferire gran parte delle malattie dell' infanzia , della
fSSn
— 209 —
puerizia e alcune dell'età adulta.
Per preservare i bambini dai vermi , quando sono
alle fàsce non s' hanno a baciare sulla bocca : — Per
lo stesso scopo, giova che portino addosso un breve,
in cui si mettono: raschiatura di midolla di sambuco
e un pezzettino di osso di morto. Neil' attaccare il
breve, si recitano 3 Credo, 3 Ave e 3 Gloria (C. C): —
Inoltre, chi vuol preservarsi dai vermi, nel di dell'A-
scensione non deve mangiar erbaggi.
Per fugare i bachi, quando sono già venuti: S 1 in-
fondono nell'acqua i fiori della Pentecoste, serbati per
devozione , e di queir acqua si dà a bere ai bambini
(L.): — Il semesanto e la corallina , in decotto o in
frittelle, sono i rimedi più comuni: — Poi , usa man-
giare un pezzetto di cipolla cruda , a digiuno, sopra-
bevendovi un po' di vino : — mangiare della menta
con l'insalata : — fregare sul pane, da mangiare a co-
lazione, Taglio o la cipolla cruda; — applicare sul ventre,
a mo' di cataplasma, la cipolla, Taglio e l'assenzio: — ;
bere un po' di petrolio greggio , di quello che viene ]
dalla sorgente (S.V.) : — La ruta , T eupatorio , T o-
smunda reale, l'artemisia montana, sono anche eccel-
lenti vermifughi (M. C).
Per dare lo sfratto al verme solitario, si ha da bere
un decotto di felce maschia, corteccia di melogranato
salvatico, ruta capraria, artemisia protino bianco, ar-
temisia montaua e corallina. Prima di prendere il de-
cotto , s ha da inghiottire qualche pezzetto , tassèlle ,
di presciutto senza punto grasso (M. C). >
)
— 210 —
'UU
D
1
) Marteddi lu Carne ve le;
\ Ggiuveddì la 'Scenzióne;
De duméneche ve' la Pasque,
E le vìerme 'n dèrra casche (O.).
Mentre ciò si dice, si fanno croci, col pollice destro,
sulla pancia del paziente. Simile formula in V.
b) Sande Ggiobbe che wlene de Uà dda lu mare,
'Na mucchie de vìerme 'nniende le purtave.
Luneddì ssande, Marteddi ssande, Carraene sande,
) Ggiuveddì ssande, Vennardi ssande, Sabbete sande,
) Duménech' é la Pasqne :
< Le vìerme 'n dèrra casche (Rocc).
\ Questa a orazione » s ha da dire la mattina, prima
\ che spunti il sole; e la sera, dopo il tramonto.
e) Sande Ggiobb' à fatte le vìerme;
L' à fatte 'ruoss' (grossi) e ppizzutielle (sottilini).
Sand' Andònij' accucì ccummanne.
Nen dòcche né ccóre, né ffétteche, né ccarne;
'Ccuc,i ccumanne Ddi' e la Vérgena Marije.
1 Pare dal lat. Eruca.
— /
— 211 —
Ma, se i vermi fossero sospetti di una grave infer- )
mità in un bambino (convulsioni, dolori di ventre ecc.),
non s' ha da trascurare di scongiurarli. Ed ecco qualche
formula. >
a) Merucca, merucche (sic) l
'N dèrra fuste néte (fosti nata, nascesti);
Lu còrpe de 'sta crìatura fu ttucchète.
Prehéme Ddi\ sande Spiret' e ssanda Marije,
Che 'stu vèrme ze ne vade vije.
Tutte juorne ve' Natele;
i
Vi
Ripetuto nove volte questo scongiuro, si aggiunge:
Sam Bìetre jave pe' rumare.
— Che waje facènne, Martine ?
— Me dóle la vèndre —
— Se é v vèndre (sic), se ne passe;
Se é wèrme, se ne casche (S.E.).
Anche ciò ripetuto per nove volte, si fanno 9 croci
sul ventre.
Vertigine. (Vótamónne , L. Votartele, G.). — Il più
delle volte dipende dalle « vene stomacali ». Ved. Ca-
tarro GASTRICO CRONICO.
Voglia. (Gulìje, Vulije). — Ved. Usi natalizi, n. 4.
Per far sparire una « voglia » dalla pelle, una per-
sona che si vede per la prima volta deve fregarla,
sempre per lo stesso verso, con l'estremità di un dito
dianzi stropicciato sul fondo di un paiolo , o di una
padella, o sulla filiggine (Ch.).
Vomito. (Fbmete, Vòmeche). — Il vomito moderato,
nei bambini, è creduto salutare, perchè libera lo sto-
maco dall'eccesso del latte. Ma se il vomito è abituale
e i bambini vanno a male , bisogna curarlo. Il bam-
bino guarisce : Se riceve in dono dalla comare una
collana (S.E.) : - Se una zia gli attacca , nella parte
della camicetta o della vestina corrispondente alla
spalla, una moneta di rame (L.): — Se un zio o una
zia, tra gli amuleti che il bambino porta nella spalla,
attacca , a mo' di medaglia , un soldo (F.f.P.) : — Il
soldo da attaccare al bambino dev' essere chiesto in
elemosina , pe' ccaretd (C.s.A.) : — Se sullo stomaco
— 21? —
i/wff
del bambino si mette una pezza di lana color scar-
latto (L.).
Quando si ha bisogno di vomitare abbondantemente,
i contadini usano d'inghiottire vivo l'insetto del gelso,
la satrdapKge, che puzza più di una cimice; e credono
sia rimedio eroico (I..).
t-/"* / V. '^^- * ., V-r \, *S^ "N*.
)
1
APPENDICE
(Vedi il proemio di questo capitolo. — Il ms. è co- ,
piato fedelmente, senza alcuna correzione degli errori
ortografici).
i. xAcqua per la pontura. — Fiorì di papaveri salvatici secchi
man: uno, coralli rossi preparati, scorze mezane di nochie rosse, ,
o a velane di ciasch. onc. i; si mette tutto in infusione in acqua
di papaveri salvatici , e di cardo santo di ciascheduno libra
per ore 24 , di poi si distilla ; la dose é once 3 con una dram:
di polvere di papaveri salvatici : cavate prima sangue sotto la
lingua. I
2. 'Bellissimo rimedio per la pontura. — Oglio comune dolce <'
onc: 4, bolla in onc: 8 d'acqua comune , ma meglio di cardo -
santo se si può avere: fino alla consumazione dell' acqua, e te- ;
pido si beve, 1' ho provato più volte con felice riuscita.
3. Ut medio facile per la pontura. — Un mello appio, o appione \
rosso, ovvero catogno, falli una concavità che leve tutto il seme \
riempendolo d' incenzo maschio; di poi falli cuocere benissimo '
alla cenere, il che fatto, lo darai a mangiare al l'in termo, che in ì
due volte guarirà senz' altro , ma cavali prima sangue sotto la
lingua.
4. Mirabile vomitivo per chi fosse avvelenato. — Fiori di ginestra
mani : una radica d' assora , o soldanella dram: 2, si faccia de*
cotto in libra 1 d'acqua comune, e consumi due terzi nella co-
latura aggiungi oximel semplice onc: 4, e si dia a bere tiepido
al paziente, che vedrai mirabile effetto.
5. Polvere per lo stomaco delle donne. — Radiche di bistorta
— 214 —
fanne polvere sottile della quale darai dram: t in malvasia ci
presto vedrai l'effetto, e si da a stomaco digiuno.
6. "Polvere per quii che hanno inappetenza del cibo. — Origan
zuccaro candido , zuccaro lino di CÌasch: parti eguali si facci
polvere sottile, della quale ne piglierà sera, e Martina, e per a.
curii giorni once , che in breve ricupererà 1' appetito : l" li
provato più volte con felice successi.
7. Per ti mal caduco, e per la madre, e provoca Forino. — .'
grafico dram: 10, turbiti dram, t, -misi dram: J, ruta dram:
radiche d' oppio dram: 5 , radiche di gìgli pavonazzi dram:
mastici dram: 1, radiche di peonia Jrjrn: 7, fa decotto il libre
d'acqua, che consumi la meta e sarà fatto la dose è once mez;
8. Polvere capitale che purga la lesta per il naso. —Piretro, t
lebboro bianco, bet tonica, anisi, seme di fumario, di cìasch: pai
eguali, fanne polvere, e per ogni oncia N grani dì ambra grisa,
usala come il tabacco sera, e manina.
9. ^Acqua mirabile per i dolori colici. — Acqua distillata di fii
di noce, e di camomilla , di ciasch: libre 4 infondici dentro fi'
di camomilla, e di sambuco, di ciasch: mani 6 per i giorni {si
in bagoo maria, o altro luogo caldo, dipoi si ricolino e ci si 1
menino altri li iti come sopra, aggiungendovi in questa secoiu
infusione Seme di finocchio, anisi , bache di lauro onc: I ,
Z
cannella dram: 6 minta secca man: 1 ai mettano in infusione r
bagno maria per due giorni, dipoi si distilli, la dose è da 2 01
a ] ed e cosa miracolosa, poiché con quest'acqua ho fatto moi
volte belle cure.
io. "Rimedio più facile per V istesso mate. — Un piccione d
mestico vivo di quelli che stanno ancora nel nido, e soffocai
cosi in cinque libre di vino bianco posio in una pignatta vitrea
fino che sia morto, dipoi fallo bollire che consumi la metà i
vino, il che latto, fanne forte espressione, di questo decotto
\^"^^ >».• -v.^ w v^rv 1 v*,"^ •" v. *"^f+
-"Oi
e;
darai un biechi ero tepido al paziente e gli sarai un cristiano (sic.
Pare: tr e gli farai un clistere *). t
il. Rimedio per dolori colici che precedono (sic) da renella, —
Spirito di trementina dram: i acqua vita fi.ia, o malvasia onc. 2
si beva tepido per tre mattine; ciò è provato più volte.
12. Altro rimedio per dolori colici. — Radiche di ver baso con-
solida minore di ciasch: parti eguali pistate, ed infondile per 12
ore in buon vino, dipoi fanne colatura, e di essa pigliane dram: ''
6 per 2, o 3 mattine, che non sentirai più tal male.
13. Per far un'acqua odorifera. — Acqua rosa, di merangoli, e
di tribuli, di ciasch: libr: 1 , musco fino grani 16 garofani onc
mezza mescola insieme, e distilla per bagno maria, e l'acqua che
n'escerà falla purificare al sole, che di soavissimo odore. >
14. Rimedio pel male degli occhi. — Vino greco, o malvasia, o >
§
altro vino bianco potente libre 5 , infondici dentro cime di ruta :
fresca num: 8, o io scorze mezane del totzo del cavolo verde /
o nero, e della sua midolla di ciasch: onc: 1 tutia preparata t
1
onc: , si lasci in infusione per 24 ore, dipoi si coli e lasci *
2 >
chiarire conservandola poscia in ampola di vero (sic) ben serrata
si adopra come l'altra si sopra (sic),
1 5. Rimedio per lagrima^ione degli occhi. — Chiara d'ova sbat-
tila bene che sia tutta spuma, e di essa metti dentro gli occhi,
che li guarirà sebbene fossero arsi.
16. Polvere per preservarsi dalla podagra. — Sena orientale, ere- ',
more di tartaro, di ciasch: oncia , anisi scrop: 1 annodatali K
dram: 2 , salsa parilia dram: 1 iva artitica manip: facci polvere ;
sottile, e se ne piglia dram: 2 per volta con brodo una volta al
mese in tempo che non ha podagra.
17. KJmedìo per acquietare il dolore della podagra. — Laudano,
o nepente scritto nel terzo libro dram: 1 unguento populeon, od
oglio di nenufari dram: mezza , mescola assieme , e con esso J
onta il male cosi freddo che in due, o tre volte leverà il dolore }
senza pericolo.
— 216 -
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"V.- • >.
'■-•»'■". ». V .•■«->.'*•.
18. Rimedio provato da me a Spoleto ad Frate che pativa di
pietra. — Di quelle petruzzole che si trovano dentro il ventricolo
delle palombelle fanne polvere , e con cannella e fiori di sam-
buco di tutti parti eguali ne darai una dram: per volta con ac-
qua di ononide, o di sassifraga, e col vino bianco, e credi alla
esperienza che questo è un secreto miracoloso per renella, e per
la pietra, pigliandola più volte.
19. Tresti 'votivo mirabile per la peste. — Aloè sucrotrino, ca-
nella, mirra, di ciasch: dram: 3 garofali macis legno aloè, ma-
stici boloarmeno di ciasch: dram: fanne polvere sottile della
2 r
quale piglierai ogni mattina dram: 2 con vino temperato, e non
t' appesterai affatto per sempre. Ciò è anche provato.
20. Rimedio provato per i premiti. — Un mattone nuovo info-
cato e mettilo dentro la cassetta dove si va di corpo, e gettale
sopra trementina onc: una, e subito facci seder sopra il paziente,
acciò ne ricevi il fumo dal basso, e facci cosi per tre volte, che
sicuro sarà liberato.
21. Acqua per mal di fianco che procede da Renella. — Fior di
sambuchi freschi lib: 2 anime di ossa di persico lib: 1, d'ossa di
cerasi, o morasche onc: 6 si mette tutto in orinai di vetro, e si
distilli per bagno, la dose è onc: 4, ed è mirabile.
22. Rimedio per ammalare i vermi de* denti. — Cenere di ros-
marino frega con essa li denti guasti, e li t'arai bianchi, ed am-
mazzerai li vermi, e ne leverai il dolore.
23. Per far cascar li denti guasti da per se. — Farina di grano
imbastalo con sugo di tintimalo, o di celidonia, e di quella em-
pie il buco del dente guasto , che fra poco tempo cascherà da
se, ma guardi che non tocchi altri.
24. Rimedio per far nascere i denti ai putti senio, dolore. — Un
gallo vecchio tagliagli la cresta, e con il sangue che cola ungi
le gengive al putto, che non li doleranuo più.
25. Rimedio per Vidropesia. — Radiche di spatula fetida onc: 1
mondila, e dalla a mangiare cosi fresca, e subito dopo beva uua
j * 1 p
- 217 -
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\
( mezza scudctla di brodo, e se la piglia 2 almeno volte la setti- S
( mana fa vomitare ed andar da corpo, 1' istesso fa un scrop: di
< polvere di laureola preparata, o di gratiola.
26. Ciroto mirabile p*r ogni sorte di piaghe, dove sia bisogno
d'incarnare, disseccare, e corrodere. — Lìtargirio d'oro lavato onc:
4, cerusa onc: 2 antimonio crudo onc: 1, tullia preparata onc: j
oglio di cammomilla, rosato, e u'hipericon di ciasch: onc: 4 cera [
K
bianca onc: 3 sevo di becco, rosa di pino, mastici, incenzo, mirra <
di ciasch: onc: 1 canfora onc: — , si facci ceroto secondo l'arte, \
2 ' c
e ciò è mirabile.
27. Per far venire le purghe alle donne. - Cime teneri di me-
rangoli, cinque, o sei dalle a mangiare per ;, 04 mattine con
pane, e cosi avrai l'intento. ì
28. Per provocare il mestruo alle donne. — Matricaria, sabina di l
ciasch: onc: 1 zaffa rano dram: 2 inceuzo scrop: 1 sangue di pie- \
clone secco dram: 3 fa del tutto ^polvere la dose dram: mezza <
con vino; ed è unico. <
29. Pillole per la voce. — Sugo di regolizia , draganti , ireos,
hisopo di ciasch: parti eguali, con miele fanne pillole, o elet- ì
tuario che si conserva più morbido.
30. Rimedio pel catarro.— Cinque capi d'aglio cotti sotto la ce-
\ nere applicati sopra il petto che non tocchino la bocca dello
stomaco.
31. Unguento per la rogna. —Argento vivo, solimato di ciasch:
onc: 2 trementina onc: 3 cerusa onc: 7 oglio comune libr: 1 e
mezza , cera bianca , assongia di porco di ciasc: onc: 5 si tacci
unguento secondo l'arte, si Ontano le giunture, e in tre sere sarai
libero; ma non toccare le parti genitali.
32. Rimedio pel morso di cane arrabbiato. — Cenere di granci
di fiume parti io , gentiana parti 7 , incenzo parte 1 facci del
tutto polvere, e se ne pigli ogni mattina dram: 3 con acqua per
40 giorni, e sopra il morsico si applica intrascntto impiastro, ciò
vale anco al morso delle vipere.
218 -
i/irei
>. x ~. V Vv. •»_.'
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c
33. Rimedio per chi fosse morsicato da vipere, o da altri vele-
nosi. — F rondi di frassino pistato e fanne impiastro ed applicalo
sopra il male mutandolo spesso che sarai guarito.
34. Rimedio per le %jnne delle donne. — Oglio d'amandole dolci,
o vero violato cera bianca incenzo maschio , di ciasch: dram; 2
fanne unguento.
35. Per far risolvere il latte alle donne. — Menta pistata, e fanue
impiastro, ed applicalo sopra le zinne per otto giorni mutandolo
ogni di, ed in detto tempo bevi ogni mattina una dram; di seme
di aneto con vino, o brodo. >
36. Himedio per la sordità. — Grasso di anguilla , acqua vita, >
fiele di toro, di ciasch: parti eguali, mescola insieme, e mettine ;
dentro l'orecchia che ne sentirai giovamento. s
37. HJmedìo mirabile per catarro freddo. — Marubio bianco )
manip: 2 fanne decotto in acqua comune e poi colalo, e quando ;
vai a letto bevine una buona scodella ben calda , poi copriti )
bene, che in due, o tre volte ti sanerai. ;
38. «AlV istesso male. — Sugo di cavoli purificato lib: 3 mele ,
lib. 2 falli cuocere, e di esso piglia sera e mattina quanto una
noce, ed avrai l'intento.
39. Rimedio per li putti che non possono respirare per grassona.
Seme d'ortica onc: 1 macinala sottilmente sopra il porfido, ed ;
incorporala con onc: 4 di mele, e danne un cocchiaio per volta >
ai piccoli putti, e due alli grandi, ciò è ammirabile. ;
40. Bellissimo... (il resto è cancellato) — Testicoli di vetro (sic)
che sia della prima figliata della scrofa secchi all'ombra al forno,
e distemperati con (anche qui la scrittura è cancellata in modo da
non potersi leggere)... di gallo vecchio, e ne beve per alcune mat-
tine che in breve, s'ingrandirà, se viene il suo male viene da fri-
gidità.
41. Rimedio per le scrofole — Rjgani vivi uum: 6 mettili dentro
lib: 2 d'oglio comune in una pignata nuova vitrìola che resista
al fuoco, e fa bollire a sino che l'oglio è tutto consumato, dipoi
si dii il fuoco di riverbero .sino che li ragani sono diventati i.i
y-v ^-^j»-N *
— 219 ~
V * **- "%»**N^ K.' ^- -*~> N- *-*■"*. - -V*" ^.'
)
calce bianca, allora fanne polvere sottile, e quando la vuoi a do- >
pera re scarifica la scrofola, e come esce il sangue mettici sopra ;
di questa polvere come se fosse tale, e sopra uni pe/.z\ bagnata .<
in liscia che presto caderà il radicone, dipoi medica Col cerotto
detto di sapra. N. 26.
42. Rimedio per scottatura di fuoco d' acqua — Cauli verd\ .'>
pistali benissimo, e mettili sopra la scottatura, che subito leverà
via il dolore, e non alzerà vessici , mutalo spesso, che presto
guarirai.
45. Rimedio per le crepature delle mani , e della bocca — Una
rapa grande, fa in essa una concavità, come una sbudella, e riem-
pila d' oglio rosato , e comune , e u.i poco di cera bianca, e fa
cuocere la rapa sopra la cenere, e come sarà cotta levala , e con-
serva l'unguento, il quale miracoli in questo male.
44. Ter far uscire la creatura morta nel corpo materno -Seme
di bardana, o lappa maggiore, dram: 1 fanne polvere, e dalle a
bere alia donna, che uscirà la creatura, il simile fa 1 dram: di
seme di viole gialle , come anche dram : 1 di trocisci di mirra
fatti di fresco.
— 220 —
t »
V
)
Pregiudizi diversi.
j
i. Chi pianta un noce, ha vita breve (V.).
> 2. Come cresce il pedale, lu piticàune, dei noce, così (
\ cresce la testa di chi lo ha piantato, /' d remésse (Ar.). /
; 3. Quando il giro del pedale di un noce uguaglia
l quello del capo di chi ha piantato P albero , questi
• muore. Perciò nessuno vuol piantare noci , e si la-
; sciano crescere le piante sol da sé nate: ovvero, si fan
>
> piantare dai vecchi. C'è anche chi va a recidere, anche
> su podere non suo, l' albero piantato da lui , quando
: - sospetta che sia per raggiungere la misura malaugu-
\ rosa (L., Cel.).
> Del resto , il noce è albero molto pregiato ; e un
l prov. dice : Chi piande 'na nuce, piande 'na case (Torr.).
( t 4. Per sapere quanti anni avrà ancora a vivere una
\ persona, si contano le rughe, che si formano quando
> increspa la fronte ; ovvero , quelle della palma della
\ mano semichiusa (S.E., V.).
5. Quando il solco mediano della palma della mano
giunge fino al lato esterno, quande sfanne, la morte è >
vicina (L., V.) # \
6. Se una persona è visala x nell'istesso tempo da
> due altre, morrà tra breve (L., Pese).
J 7. Una donna maritata deve guardarsi dal farsi pet-
tinare nel tempo istesso da due altre donne. Le mor-
> rebbe presto il marito (S.E.).
I l Vesf, Ricercare tra i capelli, per liberare il capo dal fastidio.
£
— 12*
ì
8. Una ragazza che mettesse nel suo dito l'anello
nuziale, la fède, di una maritata, tanti anni starebbe a
trovar marito quanti occhi la vedessero con queir a-
nello nel dito ; e , maritata , il suo uomo morrebbe
presto (Pett.).
9. Se batte l'occhio sinistro, è indizio di prossima
disgrazia. Secondo altri: Occhie ritte, cor' afflitte; occhie
tnanghe, core franghe, o bbòna sperante.
io. A cui fischiano gli orecchi, qualcuno dice male
(L., V., At.). — Mordendo la manica dell'abito, si dice
in tal caso: « Chi mi dice male, cosi s' abbia a mor-
dere la lingua » (Ch.). Ovvero , facendo corna con
T indice e col mignolo , si dirigono ali 1 orecchio che
fischia (L.).
11. Se ti duole il dente, hai cattivo parente (G.,V.).
12. Sedendo vicino, a qualcuno , bisogna mettersi
sempre di lato. Si mette d' avanti chi vuol fare la
« iettatura » (Ar.).
13. Chi si specchia di notte, vede il diavolo nello
specchio (L., V.). — Alludendosi forse alla vanità di
chi si specchia, dice anche : Lu spjecchie è die hi de-
mónte (O.).
14. In letto, non s' ha da stare mai scoperti , mo-
strando la propria nudità, ca se nnó> scappe V àngde (L.).
15. Quando sono in campagna, per sapere se la
mamma ha cucinato, le ragazze con un soffio danno il
volo ai pappi delle cardacee. Se prendono la via di
casa, il segno è affermativo ; e al contrario. — Fanno
lo stesso per sapere dov' è il futuro sposo (Aq.).
s>
au%V
-*- 222 —
i6. In viaggio, incontrare preti o frati non è buono j
augurio. {
17. Sognare acqua, specialmente torbida; pioggia, fiu- '•
mi: è avviso di disgrazie -; serpi, galline: di male lingue ;
e dì liti — ; molta neve; capre, cavalli: di questioni — ; '
fichi neri, pannocchie di granturco, uva, maccheroni: di
lacrime, di morte—; ova rotte: di disgrazie — carne: di
morte — caduta o cavata di un dente: morte del compare
o di un parente — ; specchiarsi, ballare : di tentazioni.
Al contrario, sognare vacche, asini, maiali; mensa ;
imbandita; spighe di grano; pioggia addosso; acqua 1
chiara: è segno di abbondanza. (Anche il pesce. Ma,
e' è dove dicono il contrario : Lu pisce 'ngrtsce). — ;
Inoltre : la messa, è buon augurio—; neve poca, bona !
nova — ; fichi bianchi, grazia — ; ova intere, sane, alie- ;
grezza — ; pannocchie di granturco e spighe di fru- i
mento, buon' annata — ; scarpe, viaggio.
18. Facendo camminare una lucertola a due code j
sul pavimento in cui siasi fatta una fiorita di crusca, -
se si riuscirà dai ghirigori della bestìolina a ricavare »
dei numeri pel lotto, la vincita sarà sicura (S. V.). \
19. Per impedire che una quercia sia nuovamente <
fulminata , se ne stacca un ramoscello e si scaglia il :
più che si può lontano da essa (S. V.). •
20. Se dopo lunga siccità, piove, non si deve rac- ;
cogliere acqua della grondaia, che smetterebbe su-
bito (L., O., V.). j
21. Nel primo giorno della settimana, esigere è ,
buono augurio; pagare, cattivo (O.). {
11 11»
22. Chi giura il falso , può star bene in coscienza
se, nel tempo istesso che la mano destra, alza un po'
la punta del piede sinistro. — Similmente, se l'estremità
della mano non va al di sopra dell' orecchio.
23. Chi annega , non torna su prima che la vesci-
chetta del fiele gli scoppi: Chi va 'fanne, rCn arcui % s-
sopre se nru? je scatte lu fine (L.). ;>
24. Chi viene dal molino con la farina, non deve ;
sciogliere il sacco per prestarne, senza prima averne ',
presa parte per la casa; se tino, subbete scórte, tosto fi- >
nisce (L., O., V.).
25. Prima di spianare, si ha da fare il lievito, per
evitare le malie. A una strega, che andasse in una casa,
dove la maire di famiglia non trascura di fare il lie-
vito prima del pane, toccherebbe di tornare in dietro
scornata (V.).
26. Prima che il pane sia tornato dal forno, non è
bene, i mmalaminde , prestare il lievito. Il pane non
crescerebbe (L., O., P.zo).
27. Quando «si fa cosa nova», cioè si mangia un
frutto novello, si suol dire: Còsa nòve, 'm bòna salute [
ce tróve ! O : Còsa nòve, ne y mmóre cchiù; vuol dire: per
questo anno, l'ho assicurata. Ovvero : Còsa nòve: Chi
me vó mal 9 a mmi> rìn %e pò^a truvét manghe "nu 'ccóne l \
— Quando si mangia un frutto novello e quando fa il >
plenilunio, si ha da dire un Pater, %Ave e Gloria a s.
Donato (Ch.).
28. Il .suono della campana è « voce di Dio ». —
Perciò, all'avvicinarsi dei temporali, si suonano le cam-
— 224 —
paAe *. — Nel sentir battere l'orologio o la campana
a 21 ora, senti: Vóce de Tidi ! O: Vóce de Ddi\vóce
de meserecòrdìe!. E se, affermata qualche cosa, si sente
battere l'orologio o sonare una campana, quasi a con-
ferma del detto : Vóce de T)di y c-i- arespónne !
29. Altre formule pie sono di continuo in bocca del
popolo. NelPesprimere desiderio, facendo conto sul fu-
turo, non si trascura mai dal soggiungere: Se Ddì* vó;
Se <Ddia vói
Quando si esprime ammirazione, per dimostrare
compiacenza sincera, scevra d' invidia : DdV le Mendi-
che ! Nominando un santo: Scià laudate! Un morto :
BbófC ànime ! Il morire : Saluf a nnu 9 ! Nei nominare
« cose tristi », il diavolo, si soggiunge subito : L an-
gele scià nghe nnu' I O, più volgarmente, Scià liegnef
Ovvero, nel tempo istesso, bisogna mettere i piedi in
croce; perchè : Còsa triste, numenat\ é wiste; ma cosi
facendo, « quelli » non sentono e non intervengono.
Nel parlare di malattie gravi o letali : AP n salute /,
o ?SC laluV a nnu'l
30. Se si perde il breve, non s'ha da cercarlo (Rocc).
31. Chi si è confessato e comunicato, se subito dopo
si rade, deve badare più che mai di non intaccarsi.
Anche una sola gocciola di sangue che venisse fuori
« guasterebbe la comunione » (L.).
32. Il numero 13 è maledetto, perchè Giuda fu il
1 Meno piamente , ritiensi altresì che il ferro e il suono del
ferro abbiano potere contro ogni « cosa triste »; e, tanto in que-
sto scrìtto, quanto nell'altro, passim ne sono esempi.
— 2*s -
\
e
tredicesimo apostolo. Le persone pie non debbouo nep- {
pur nominarlo; e, contando, s' ha da dire 12, 12 JJ2,
14 — Facendo al tocco, se il numero è 13, si dice :
Tridece neri gónde , e si rifa daccapo — Ogni cosa in
13 riuscirebbe male. '
33. Chi, nell'entrare in chiesa, si segna con l'acqua \
benedetta, acqua scinde, lascia lì tutti i peccati, ma, se j
nell'uscire si risegnasse, li riprenderebbe (S. E.).
34. Stando in chiesa a sentire la messa, voltarsi in
dietro, per vedere chi entra, è peccato (Ib.).
35. I fiori da offrire ai santi non si deve odorarli.
Cosi perderebbero ogni pregio (L.).
36. I semi destinati alla riproduzione non s' ha da
posarli sopra tavole. Imbastardirebbero (L.).
37. Finché i pampani sono attaccati alla vite, le
<: macchie di uva, di mosto o di vino , per lavare che
; si faccia, non vanno via (L.).
38. La ruta è sempre buono averla in casa. Ha po-
tere contro le « cose tristi », in generale (O., Cel.) ;
J; specie contro le streghe. Onde , di chi non ne soffra
<! l'odore, suol dirsi: Nem bó sendV la pw&e de la rute, còme
} le sirihe (V.) : — La ruta è bene tenerla in casa per
) via dei topi (Ar.) ; — Colta prima che spunti il sole,
( ha mirabili virtù medicinali (Cel). La rute, ride (L.),
\ rode, divora il male. Giova applicarla in tutte le in-
\ fiammazioni di qualsiasi parte del corpo, per far di-
minuire o cessare il gonfiore e la dolenza (Car.).
39. L'assenzio, 'scinde, è un'altra specie di panacea.
i
— 226 —
Infuso dell'acqui che si tiene una notte al sereno, que- 5
su nella mattina si fa bere a chi è malato di vaiolo, <
di febbri, di dolor di ventre ecc. (S. V.). S
40. La menta è quasi un'erba sacra. Morto G. Cristo, j
la Madonna, per molti giorni, non si cibò d'altro che j
di menta. Mangiata , fa tanto bene perchè ritenuta i
vermìcida e antiputrida — * Chi vide la mendace' e nne' \
le salute, nen dróve neciunt sande che l'ajute (L.)- \
41. La valeriana, vallarìane, messa nel buco della j
toppa o dietro l' uscio di casa , preserva dalle stre- ì
ghe (F.f.P.).
42. Il sambuco, che nasce sulla quercia (caso ra- ;
; rissimo), si serba; ed è la man di Dio contro le stre- '<
| ghe (Car., Cd.). <
43. La felce ha virtù magiche. Ved. 1* altro voi., j
> pag. 161. i
l 44. La mmaleve, segnlfeche : Male, va! (LJ. j
5 45. C'è un erba, che, anche a distanza, attrae gli l
'■-. umori, sarpe. Anche 1' uomo può soggiacere alla sua \
5 azione; ma il caso più comune è delle bestie. Una capra )
\ fu trovata innanzi a quell'erba. Quando si andò a ve- ì
ì dere , era solamente pelle: tutto l'interno era stato J
l attirato (S. V.). 5
46. Quando i fagioli cominciano a fiorire, se latri- <
peggia di notte non vengono bene (Aq.). ì
! 47. La gallina nera ha virtù misteriose, di cui nella \
; Terapia sovente si parla. Fa molte ova, è ffetarèlle; i
[ e dà il migliore brodo pei malati e per le puerpere j
(Pese.) — La gallina rossa è di buono augurio per la
casa (Rocc, V., Pese). Dà un discreto numero di ova ,
— La gallina bianca fa poche ova, è sf etate, é ide pòca <
fàe (V.).
48. La gallina che canta a mo' di gallo, che Uè la ]
vocia spirdógne, si deve ucciderla subito. Se si lasciasse .
vivere, il capo della casa morrebbe tra breve, o t per ;
lo meno, altre disgrazie avverrebbero in famiglia (O.). \
49. HaUine che ffét' e ccande, è huadagne (L). — E:
Se la balline catuT e fféte, la case va nnènde , ne 1 ixua
'rréte; ma: se la balline cani e nnen file, la case va <
'rràe (O.). [Cfr. coi prov. tose. : « In quella casa è j
poca pace, dove gallina canta e gallo tace »]. ;
50. Nel cantare, se la gallina si volge alla marina, ;
è rovina; se alla montagna, è guadagno (V.). '
51. Se due galline si fissano di rincontro, coi bec- )
chi avvicinati, è cattivo segno. O moiono, o qualche
disgrazia è per avvenire in casa (At.).
52. Una gallina che pena a far l'ovo, s' involge in ;
un par di mutande da uomo (V.) , in un grembiule \
(L., O.), in una calza (At.), e per tre volte gli si fa >
ruzzolare là scala. <
53. Se una gallina ha il mal vezzo di mangiar l'ova ;
che fa, nella crusca gli si mette una pelle d'ovo molle (
seccata al camino e poi polverizzata (L.). >
54. Una gallina che fa l'ova col guscio molle, V&u
aniàbbtle, L.; p ùove 9 m bèlle, Pett., si guarisce con lo
appendere uno di tali ovi al camino. A seconda che
tftfSft-
<
s
é
\
il guscio di quell'ovo indurirà col disseccarsi, la gal- ì
é
— 228 —
1 (" f\ I
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lina comincerà a fare ova col guscio duro (L. f O.,
; Car.): — Ma però è anche necessario mettere nel tempo
istesso del sale nella cloaca , a IV itlere , della gallina
\ (V.): —Il difetto non ha rimedio; e perciò la gallina
si ha da ammazzarla o venderla (Pett.).
) 55. Chi mangia /W amàbbele, non mette barba (L.).
\ 56. Se si vuol far passare a una gallina la voglia
di covare, se sse vó sbruccà' (o fa' sbracci) 'na balline,
|> si deve bagnare con V acqua fredda, e cosi fradicia farla
stare per qualche giorno sotto un paniere. — Vale del
pari attraversargli una penna della coda nelle narici (L.).
57. Le ova da mettere a covare debbono essere
sempre in numero dispari.
58. Non si ha da mettere a covare ova che ab-
biano « passata l'acqua ». Andrebbero a male, se nno,
> esce fiascune (O.). Ma però , si può rimediare , met-
: tendo tra esse una chiave (F.f.P.).
\ 59. La chioccia non si deve porre al cominciare
{ della luna crescente o scema , ma bensì dopo alcuni
; giorni dal cominciamento dell' una o dell 1 altra; altri-
i menti, i pulcini soffrirebbero il torcicollo, e l'un dopo
; l'altro morrebbero (S.E., Pese.) : — La chioccia s' ha
\ da porre a luna crescente, non già a luna scema (Pett.).
60. Bisogna guardarsi dal porre la chioccia nel mo-
mento che fa la luna. Le ova che si avessero in mano
in quell'istante andrebbero a male (L., V.).
: 61. Il meglio metter le ova è di domenica o di
♦■ giovedì, quando non sia principio di luna crescente o
\ scema (Pese).
— 229 —
vv-V^ ••■r
*[&
62. Se gli ovi son freschi , nasceranno galletti ; se
stantii, « pollastre » (V.).
63. Gli ovi di. forma allungata, danno pulcini ma-
schi; quelli di forma tondeggiante, femmine (V.).
64. Gli ovi messi con la mano destra , danno pol-
lastrèlle; quelli messi con la sinistra, pollaslrèjji (Pese).
65. Gli ovi boni per la riproduzione sono quelli
che, sperati al sole, lasciano vedere la « gallatura ».
66» È bene metter sempre un chiodo in mezzo al-
l' ova, per assicurare che la covata non vada a male
per via delle malie, scundrature (O.).
67. Anche per assicurare il buon esito della cova-
tura, è bene che le ova siano portate nel nido in un
cappello di uomo né vecchio né ragazzo (S. E.).
68. Quando si vogliono pulcini maschi, le ova, in
un cappello da uomo, debbono esser poste nel nido
da un uomo (G., L.).
69. Le ova poste nella Settimana Santa, nei giorni
che si canta il Tassio , non schiudono, esce fiascune
(S. E.): — danno pollastre, senza alcun galletto (V.):
— Se cova la chioccia quando si canta il Tassio, s' ha
da mettere tra le ova un pezzetto di ferro; altrimenti,
i pulcini morrebbero tutti (G., L., V.).
70. Se nel tempo della covatura rifa la luna, se cce
còjje ddu lune, per esser le ova di buccia dura , cu-
gnuse , i pulcini vengono deboli , intristiti. Per rime-
diare, appena nati, si prendono un per uno, e, pas-
sandoli sul vapore dell'olio bollente, si dice: 'Piiggine,
che sci nate nghe ddu lune — te frijp a la fer^àur
i
TTJW
Srefi/
— 230 —
| a un' a une (G.). Ovvero: Pigginille nghe adi lu,
l ji' te frijj' a un a une (V). Così la covata si i
\ gorisce e può vivere.
S 71. Per far crescere vigorosi i pulcini, si deve
' beccare a ciascuno, a seconda che nascono, un chic
< pepe; e poi nutrirli con pane immollato col vino (
5 72. Il piccione, dicesi, non ha fiele. Onde, di
sona bonaria, che non mostra giammai risemini
: suol dirsi: É ccòme lu piccióne, che nen de" file.
73. I piccioni e i polli nitì in agosto, si alle
■ perchè sono i più prolifici. Ahustenitie, fetariUe (
( 74. Per rendersi fedele e affezionato un cane,
) da pisciargli in un orecchio e sputargli in bocca (!
75. Un cane si rende fedele ai padrone e c«
J con gli estranei, se, ancora piccolo, gli si spunta
; orecchie e la coda, e, fritti quei ritagli gli si dar
< mangiare (S.E., L.). — Per lo stesso scopo, con
)■ scheggia di canna, gli si spunta la coda; e gli si p
> un orecchio, per fame colare del sangue; e poi
5 nove volte, gli si dà a mangiare del cibo masticato
) 76. Il cane diventa rabbioso se beve sangue un
| o se mangia di quel che una donna dà fuori de
j parto (L., Pese).
77. Per preservare un cane dalla rabbia , sì I
■ bollarlo, con un ferro rovente, nel di di s, Vito
■ di s. Domenico di Cocnllo (O., Pese).
78. Nessuno passa li dove due cani si sono
piati. Le madri , se mai , prendono in braccio i
i bambini, pel timore che incautamente aSbiano a
darsi ; perchè quell' umore che cola dai genitali dei
cani, la scacchiatnre, è irritantissimo, infettivo, e pro-
duce malattie di pelle; ond' è schivato come peste (V.).
— A chi camminasse scalzo, il lordarsi i piedi di umor
genitale, 'ngacebiatura, sia di cani, sia di serpi, sia di
uccelli, produrrebbe infiammazione e fieri dolori (Pese).
79. La batte té" siile spitele.— E, per ischerzo, si dice
lo stesso della donna. Anche: É.giU la batte de Tu-
macine (per « Masino ». Tomasini è casato lancianese),
la sér' é mmòrf e la matin' i vulve (L.).
80. Per far crescere i gatti, si crede indispensabile
dover trarre fuori , coi denti , il filo di midolla che
hanno nella coda : il che si chiama « togliere la lu-
certola », leva', o caccia' la Incèrte — o ... si quadrage-
simo die quum sit natus castretur raorsu cauda, sum-
musque ejus articulus auferatur, sequenti nervo exem-
pto , nec caudam crescere, nec canes rabidos fieri».
Plin., Hist. vat. Lib. Vili, cap. XLI — .
81. Per addomesticare il gatto, gli si sputa sul
muso (S. E.) — : gli si fa mangiare del cacio in una
scarpa, e poi, tenendolo tra le mani, per tre volte si
gira intorno alla catena del camino (L., O., V.),
82. Il gatto, perchè riesca buono, non s' ha da ac-
quistare né per danaro né per dono; ma dev' essere
rubato (L.).
83. Un gatto perduto e poi ritrovato, non abban-
donerà più la casa se per Ere volte lo giri intorno
alla catena del focolare (L., O.).
84. Per sapere i numeri del lotto, o dov' è nasco-
sto un tesoro, bisogna mettere un gatto nero , senza
neppure un pelo bianco, in una caldaia senz'acqua.
Messo il coperchio, si dà fuoco da sotto, fino a che
il gatto non sia incenerito. Quando si è a tal punto,
dai restì del corpo della bestia si sente parlare uno
spirito, che dice Ì numeri , o rivela il luogo in cui
giace il tesoro (S. E.)- Ma, la questione è di trovare
chi tenti la prova; perchè :
85. Chi 'ccide 'na hall', ha sètte mmale disgràzie , o
ha sètt' arme de mmale desgra^U (L.)-
86. Il maiale si avvezza a seguire il padrone , se
questo orina in un orecchio della bestia (L.) — : ad-
dosso (O.) — : sulla testa (V.).
87. Il sangue del maiale ha virtù di far scoprire le
streghe nella notte di Natale. Ved. 1' altro voi., pag.
79. ah
88. Se una vacca è restia a farsi mungere , ntn £
arrèntte , il vaccaio deve posare il suo cappello sulla
groppa della bestia. — Ovvero, un'altra persona deve
introdurre una mano, a pugno chiuso, nelle partì ses-
suali della vacca (S. V.).
89. L' ape, che ronza intorno a una persona, è di
buono augurio. « Era malata la mamma di tutti gl'in-
setti. Per essere assistita, mandò per la Formica; ma
questa si scusò coi dire che era occupata a riempire
di grano la sua « torre 0. M.indó per la Cicala ; e
questa si scusò, dicendo che aveva da cantare ai mie-
titori. Mandò per 1' Ape , e questa andò li per li. La
mamma di tutti gì' insetti, vicina a morte , disse : Io
m\>
A/Vv'\A/\.'*^^'y'v/V/V- --V^-~/"
S
maledico la Formica. Suderà sangue a raccogliere
grano ; ma , andrà la troia e farà un boccone delle
sue provviste. (Tuiga fatijd\ falijd\ e nnem bu^a ma'
huadagnd'. L.). Maledico la Cicala. Dopo sfogatasi a
cantare , creperà. (Pu^a candd' , candd' , e a IV uleme
puigci scattd\ L.). Benedico 1' Ape. Questa sarà utile \
all' uomo vivo, col miele; e all' uomo morto, con la
cera (S. E., L.).
90. Se uno sciame non vuol entrare, o restare, nel-
P arnia , vuol dire che su questa si sarà seduta una
donna. In tal caso, basterà stropicciare, dentro e fuori
della cassetta, le mutande rovesciate di un uomo (S. V.).
91. Una formica, addosso a una persona, è segno
di abbondanza. — Parimente, uno sciame di formiche
presso o dentro una casa.
92. Se un grillo ti salta addosso, è buono augurio.
Segno di ricchezza.
93. I grilli hanno i numeri del lotto scritti sotto
le ali.
94. 'Nu póce, una pulce, sópr' a la mane, 'nu riale
*na magale (L.). O: 'Nu pòvec -/- a la mane, 'nu
còrn* y nu riale (Ib.). — 'Nu piagge dèndr' a la mane:
ha' da 've 'nu scarne (G.).
95. Molte pulci: segno di buona annata (L., Pett.).
96. Molte pulci, molte mosche, molti uccelli: segno
di buon' aria. Cosi pure , se le mosche corrono ai
morti (V.).
97. Formiche e mosche: segno di abbondanza (Pett.).
98. Se un calabrone verde, ^araùlle, ronza attorno
■.<">-' *. -v •-
— 234
o si posa addosso a una persona , è buono augurio
(S. E.) — : è segno di nozze (S.). Invece:
99. Il calabrone nero è di cattivo augurio.
100. Se un tafano , lavane , punge il sedere di chi
sta scaricando il ventre, a questi, in là con gli anni,
verri la gobba (L.).
lor. Le farfalle notturne, bianche, che di sera si
vedono svolazzar nelle case, sono « anime del Purga-
torio « , che vanno a visitare i loro cari , e sarebbe
empietà farle prigioniere o ammazzarle: — L'agnetèlla,
la farfalle»» notturna, che viene la sera a svolazzarci
vicino o a posarcisi addosso, è segno di buono au-
gurio e di buone nuove (Aq.) *.
102. Le rondini sono dì buono augurio.
103. Se si desidera che un fanciullo divenga dotto,
sagace, gli si fa inghiottire il cuore strappato da una
rondine viva. Onde, di un fanciullo, che è proprio un
sennino, suol dirsi : Pare eh* a magnale ju core de la
nudatile ! (Peti.).
104. La ciauèlf è lu cèlle de hi minai' abiìrie, o de la
rumala nòve. — Ma però, La navétte, vi/at' andò %e póse,
e minar' andò %e vote (O.): è di buono augurio per la
casa su cui si posa; di cattivo per quella a cui si volge.
105. La spuma che qua e là si trova sui baccelli
delle fave , sull' indivia e su altre erbe , è saliva del
cuculo; e da quella saliva nascono le cicale.
106. Il vìschio nasce in quelle partì dell' albero su
1 Tose. « Fortune », Farfallette che svolazzano la sera incorno
t
< cui cade lo sterco della tordela , tur dèe. Se quello
< sterco si dilata o cade, per via della pioggia, su altri
^ punti, in corrispondenza, si dilaterà anche quella pianta
\ parassita (L.).
\ 107. Il pipistrello tende a far male agli occhi , e
| per questo si deve scacciarlo dalle case (Pett.).
\ 108. Le lumache più grandi hanno sulla parte su-
( periore del dosso un corpicciolo duro, della grossezza
; di un piccolo dente, bianco e liscio, fiòtte gioite, detto
\ la prite de la ciammajìca nude. Quella « pietra » è pro-
' prio una calamita della fortuna , e beato chi può a-
s verla. Portata addosso, in un anello, in un ciondolo,
) fa vincere al gioco, fa riuscire a bene ogni cosa. In-
castonata, si mette tra gli amuleti che si attaccano ai
bambini (O.): — La lumaca, la ciammajìca nute, ha in
ì corpo una pietruzza bianca, in cui è Pimmagine della
[ Concezione. Per prendere quella pietruzza, la lumaca
; dev'essere ammazzata alla sprovvista, a la 'ndrasatte;
> perchè se si accorgesse di essere insidiata, ritirandosi
; o racchiocciolandosi, in un attimo la divorerebbe (L.).
■; 109. Chi ammazza un ramarro, % nu ràchcne, sconta
; sette anni di peccati mortali. Al contrario, ammazzare
> una lucertola vale a mettersene altrettanti sulla co-
] scienza (Ate., F.f.P.).
rio. La lucertola non si deve ammazzare, perchè
; cavò le spine dal capo di G. Cristo (G. , O., F.f.P.,
( Car.) : — dai piedi della Madonna (L. , Pese.) : — il
> serpe mise la spina al piede di G. Cristo, e la lucer-
li tola la cavò (V.).
- 236 —
in. Chi porta addosso una lucertola con i
vince sempre al gioco. Onde, di chi nel gi
sempre fortuna, si dice: Tè' la lufèrt' a ddu'
La lucertola si portò in un bocciolo di ca
appena morta , la fortuna cessa (V.) : — Tre
meri pel lotto. Ved. n.° 18.
112. La sèrpe fa la calamitr' a le 'delle ((
sètp' accalamelrèjje tutta sòrte d 'alternale (L.): -
è ccalametòse (V.). — Ma però, non tutte le ser
la « calamita »; la quale è un corpicciolo du
quello che hanno le lumache grosse, ved. n.
la portano sulla testa. Chi può averla , è f
perchè fuga ogni malanno dalla persona, da!
dai campi. Anche le lucertole grosse e ve-
sono provviste (O.).
I r 3 . La sèrpe, fa a l'amóre ttgbe le fémmet
114. La sèrpe, tir' a tu latte.— «Una dont
sempre, nella notte, gridare il suo bambino
ceva dormire nel proprio letto. Una volta,
vide che un serpe , mentre suggeva la mog
teva la coda in bocca al bambino, il quale e
un bel succhiare ! » (L.)-
115. Il serpe si deve ammazzarlo con u
verde. (Si crede che le ferite prodotte da si
canna verde siano velenose).
116. Se vuoisi ammazzare il serpe col fucil
tirargli prima che si rivolti ; perchè , se gu;
fucile, « gli farebbe la calamita », e l'arma, 1
rare, scopperebbe (L.).
117. I tuoni di marzo fanno crepare i serpi (Aq.).
118. Quando le galline covano, non si deve nomi-
nar le ova; ma, invece, dir « sassi » o « brecce ». Per
es., la covata è di.... sassi o « brecce ». Se ddice ave,
la sèrpe V aretróve. Se ddice vrécce , la sèrpe se ce '«-
drécce (L.).
119. Il serpe può essere calamitato, accalametate, dal
rospo, se questo è primo a vederlo, e lo fa gemere
lungamente (V.).
120. Se il rospo salta addosso a una persona, que-
sta morrà fra breve (Car.).
121. Il rospo o non s'ha da toccare o si deve uc-
ciderlo : — Il rospo piscia in faccia a chi lo molesta,
e gli attacca V itterizia (L., V.) : — gli spruzza una
«f farinella » (G.): — Se si ferisce solamente, il feritore
sarà malato per tanto tempo quanto quello penerà a
morire (L., O., V.); e, morendo, dirà male di chi lo
avrà ucciso (S. E.): — Chi vatte lu ròsp\ e nne 1 Facctde,
se ciùonghe, si storpia (G.).
122. Il rospo si deve ammazzarlo con una vite. Vù
y ecidi la sèrpe ? Pijje la canne: Vù y ecidi lu raspe ? Pijje
la vite (L.). — Il rospo s' ha da infilare : Lu raspe s' d
da 'mbalà' (F.f.P.), in modo opposto a quel che fa-
cevano i Turchi. — Il rospo , anche a ferirlo con la
scure, non morrebbe. L'unico modo di fargli la festa >
è d'infilarlo con una canna o con un paletto aguzzo, ì
che entrando per la bocca esca da dietro; e poi di )
piantare quel trofeo in terra (Car.). )
123. La forma di rospo è la prediletta dagli stre- \
iSovfe
e
goni. Possono assumere anche quella di serpe , di
cane, ecc., ma quella è più ordinaria (S. E., V.): — di-
pende dal a destino » che dà la « caporala » (V.).
124. Tutti gli animali che sono in terra , vivono,
con forme modificate , anche nel mare. Quand 9 atte-
ntale sta sópre ttèrre y tande ne sia sótt 9 acque (L.). Perciò
i nomi si rincontrano.
125. Le triglie, li rusciuole, sono grasse in settem-
bre, perchè escono dal mare e vanno per le vigne a
mangiar l'uva.
126. Il merluzzo è il pesce dei malati. — Nell'in-
terno della testa ha due ossicini liberi, come due la- \
melle, in cui si vede l'immagine della Concezione.
127. I polipi nell'utero vengono alle donne che ab-
biano mangiato dei polipi, pulpe (G.).
128. L'ippocampo, lu cavallucce dentare, una volta
era molto ricercato e si pagava a caro prezzo , per <
farne brodo alle puerpere, credendosi utile per far ve- j
nire o tornare il latte. <
129. Il delfino è molto temuto dai pescatori; i quali, \
accorgendosi che è vicino o dentro la rete , credono [
di poterlo spaurire e metterlo in fuga, gridando: Fare ]
lu tale/ine, fare ! \
130. Di stanza freddissima, si dice : Ce s y arvive le <
'nguille ! — «.... Durant et sine aqua senis diebus, aqui- <
Ione spirante; austro , paucioribus ». Plin., Hist. nat.
Lib. IX, cap. XXI.
Fine.
.•"V.^ "^'-v.,
- 239 —
INDICE.
Usi nuziali ,
Usi natalizi.
Morte — Usi lunebri ,
Oltre tomba
Mondo fantastico
Igiene — Medicina — Terapia
Appendice ....
Pregiudizi diversi ;
•' . r^v* 1 *?!?
bb"
PALERMO - CARLO CLAUSENT - TORINO
GIUSEPPE PITRÈ.
CDRIOSITÀ POPOLARI TRADIZIONALI
Edizione di soli 200 esemplari numerati.
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/
Voi. I. Usi e Pregiudizi dei contadini delle Romagne di <
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G. PITRiv, di pag. XIX-215, 1885 . . . . L. 5 - <
Voi. II. Avvenimenti faceti raccolti da un anonimo sici- <
liano nella prima metà del sec. XVIII e pubblicati per >
cura di G. PITRE; di pag. 119, 1885 ... L. 3 - >
Voi. III. Superstizioni, Usi e Proverbi Monferrini, raccolti
ed illustrati da G. FERRARO; di pag. 103, 1886. L. 3 - \
\ r ol. IV. Zoologia popolare Veneta specialmente Bel- ;
lunese. Gredenze, leggende e tradizioni varie, raccolte ed
illustrate da ANGELA NARDO GIRELE; di pag. XI-168,
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Voi. V. Canti popolari del Basso Monferrato, raccolti ed
annotati da G. FERRARO : di pag. XVIII- 104 . 1888.
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Voi. VI. Usi, Credenze e Pregiudizi del Canavese, spigolati
ed ordinati da GAETANO DI GIOVANNI; di pag. XII-
176, 18*9 L. 5 - \
é
Voi. VII. Credenze, Usi e Costumi Abruzzesi raccolti da
GENNARO FIN AMORE; di pag. 196, 1890 . L. 5 — ;
Voi. Vili. Tradizioni ed Usi nella Penisola Sorrentina de- <
scritti da G. AMALFI; di pag. Vil-210 , 1890. L. 5 — \
Voi IX. Novelline popolari Sarde , raccolte da FRANGE- {
SCO MANGO; di pag. 144, 1890 L. 4 -
Voi. X. Saggio di Novelline, Canti ed Usanze popolari )
della Ciociaria per cura del Dott. G. TARGIONI TOZ-
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Voi. XI. Canti popolari Sardi, raccolti ed illustrati da VIT- <
TORIO GIAN e PIETRO NURRA. Parte I; di pag. XIII- 5
25L 1893 L. 6 j
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■v y s*. *-^. ^-s. .
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\ PALERMO - CARLO CLAUSEN - TORINO
GIUSEPPE PITRÈ.
BIBLIOTECA
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Voi. MI. Canti popolari siciliani raccolti ed illustrati, pre-
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Voi. XIV-XV-XVI-XVII. Usi e Costumi, Credenze e Preeiu-
dizi del popolo siciliano, raccolti ed illustrati. Voi. I,
p. XVII-469, con 3 pag. di musica, Voi II, 426 , Voi. Ili,
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Voi. XVIII. Fiabe e Leggende popolari siciliane, di p. XIII-
482, 1888 L. 5 —
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Voi. XIX. Medicina popolare siciliana.
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