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MARY P. C NASH
IN MEMORY OF HER HUSBAND
BENNETT HUBBARD NASH
Instnictor and Pkof«Mor of Italian and Spanùh
1866-1894
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VERSI EDITI ED INEDITI
GIUSEPPE GIUSTI
Ultima edmone completa
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BRUXELLES
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Al LETTORI
Era nostra mente di pubblicare una Biogra&a
dell'illustre poeta espressamente scritta per tjue-
sta raccolta^ quando ci tomarono sotl' occhio i
Cenni sopra la sua vita pubblicati nel Costituzio-
nale di Firenze e poi stampati a parte nella stessa
( ittà. Ci sembrò rileggeodoli die questi sodisfa-
cessero al nostro scopo e perchè liberamente det-
tati e perchè^' usciti dalla penna di un amico del
Giusti , r krv. LeopoUìo Cenipini. Ci decidemmo
quindi di ristamparli, aggiungendovi a modo di
appendice altre notizie relative ai suoi scritti /e
alcune parole sul funebre monumento che gli venne
inalzato dal padre neJIa chiesa del Monte presso
Firenze, come pure di altre poesie inedite, che
ebbero vita nei successivi tempi. Osiamo sperare
prendendo nel 4846 a scriver* un discorso sulla vita e le opere
di Parini, Giuseppe Giiati comipeiava cosi :
- Chi si dà a tesser vile oggigiorno, pare che le lessa col Lu-
nario alla mano, tenendo iMetro ai paMl che fece, ai peli che ebbe
nella barba P Eroe, quasi che H sodo della facoenda stesse in queste
mifNitagtie, o avesse preso dai passaporti il modo di designare alla
posterità gì' iHusiri viandanti di questa terra. Da un modo di con-
siderare uoaiDi 'e cose» largo, pieno e parco a un lempo niedeshano,
siamo cascati al lavori d'Intarsio^ aUi? sftìiouszaliire, a queste gret-
tezze lussureggianti, e la peana or' ora divenla un ooltello anatomi-
co. 5' osa fMrimeDte dai facitori di Saggi sopra U icrkti del tale o
del lai altro, non di trar feori dagli scritti medeaimi quel taato che
V' é, ma di rovesciare se stessi sul povero scrittore, che ne resta
soffocato e sepolto. Sebbene io non mi tenga da tanto da sapermi
scansare da questi due scogli, farò 11 possibile di riuscirvi ; e vedrò di
passar «opra alle minuzie, di dire ciò cbe importa piuttosto che dif
lutto, di dartelo in carne e in essa Id hiego d' una figura di mia io-
venzioae. Ma ricordati, lettore, che per quaolo mi possa slodiare di
spogliarmi dei miei per entrare nel panni ' d' un' altro, il recitante
sarò sempre io ad ogpi modo. »
— Accingendomi oggi a rendere un pubblico omaggio di lode,
di compiamo e di desiderio a gidsbppb Girsn creatore e re della
inoderaa satira itMIana, non ho saputo come meglio far precedere
le mie povere parole, ebe da quelle slesse ebe esso scriveva or com-
piofi quattro' anni, imprendendo a stender la vita di quel grande il
quafe, sul cadere d' un saeola per \' Italia pregno di viltà e d'abié*
ziofli, osava primo levare un* voce flberg che suonasse scherno ai
codardi, agli inerii rimprovero, ai dobitesi conforto.
ro non pretendo dire del Giusti lotto queUo cbe se ne potrebbe
dire, specialmente quando gli seriul suoi si ponessero a confronto
cogli nomini fra i quali dovè vivere. Altro ingegno cbe il mio si richie-
derebbe a tant'uopo. intenzion mia soltanto si è quella di dellneare
^io un breve quadro la vita ed 1 pregi di un uomo che precorse 1 tempi,
e li preparò, e collaix>tcnEa di qneilFiAgegno di cui la natura l'ave-
va dotato, colla forza «Ma parola di oil lo studio lo aveva arric-
ch'ito, comiocid l'opera della dislruzione, prima oecessaria quando
vogliasi eletare un edificio saldo e durevole dì liberUi^ e gettò cosi
i semi di uo avvenire fecondo e durevole. Quale esso si fosse, come
influisse sul presente, come dell'opera sua lo fimerltassero i contem-
poranei, e come troppo presto sul fiore degli aoiM lo rapisse una
morte precoce, questo è qnel tanto cbe Incendo dire in brevi pa-
role. Quanti amarono il Giusti^ e, lui ^ivo, ne ammirarono l'inge-
gno e il buon senso politico, mi sapran grada dell' intenzione anco
se verrò meno all' intento.
1.
Sul cadere del iS¥l veniva^alla luce in Firenze un piccolo volume
di poesie che era avidamente letto da tutti, cbe l' uo I' altro si strap-
pava dalle mani, perchè con esso finalmente il nome d' uonoo amalo,
venerato, ammirato, (ma per così dire di sotterfugio) vedeva per la
prima volta la chiara luce del sole e veniva a guardarsi quell' ìocobm>-
do velo di mistero che, per oeeessilà delle cose e dei tempii aveva do-
vuto per dieci anni coprire il nome del poeta i cui versi slavitoo nei
core e sulle labbra di tutti gli Italiani. — Ma 11 poeta a quel primo
rivelarsi in persona univa una specie di minaccia, che (u diversa-
meoie interpretata dai molti che amavano la forte e virile espressione
della sua musa, la quale uccideva col lampo d' un sorriso, e fulmi-
nava colla potenza d' una parola, il poeta scriveva così :
M Sento che questo modo di poesia comincia a essere uà frutto
fuor di stagione, e vorrei elevarmi all' altezza delle cosai nuove che si
svolgono davanti ai nostri occhi con tanta maestà d'andamenlo; ma
l'ingegno avvezzo a circoscriversi nel cerchio ristretto del no chi mi
dice cbe abbia tanto vigore da rompere la vecchia pastoja e spaziare
in un campo più largo e più ubertoso ? Semi darà l' animo di poterlo
tentare, certo non me ne starò ; se poi non mi sentissi d» tanto, non
avrò la caponeria d' ostinarmi a suonare a morto^ in un tempo ohe tutti *
suonano a battesimo. »
Queste parole del poeta erano diversamente interpretate. Chi vi
leggeva il suo silenzio per l' avvenire ; chi al contrario scorgeva la
esse che una promessa e sperava che l' uomo 11 quale aveva con mano
cosi polente demolito il barocco edifizio del passato, coprendo gli uo^
mini, e più che gli uomini gli abusi, col nranto d' un ridicolo immor-
tale, avrebbe^ nei giorni nuovi che spuntavano sull' orizzonte, gettate
le basi del nuovo edificio cbe s'Imprendeva a costruire. E con questi
diversi criteri!, se vi fu chi gii mosse rimprovero e lamentò quelle pa-
role, vi fu chi invece ne prese coofortoi lo non credo che esse avessero
tutta quella importanza ciie loro s'attribuiva; soa persuaso che in quel
raomenio nel quale un paese addormentato per secoli e secoli nel di-
X9X
«poliamo, slrbveglìava per te prliM ToHa aia llberlA^ e d««eva natu-
ralmente trovarsi come ti prigioDiero ebe dopo luoghi anni mula lo le-
Mfbre della prigione nel vivo raggk» del aole, iocerto e vaeìttaoto 11
poeta scrivesse quelle parole più per isliolo die per riflessione, più ri-
))eo8aodo ad* opera saa ciie eoi tempi nuovi credeva compiuta, aoiietaè
mMitaotfo, e rendendosi comò di un'opera nuova che fofie dovere e
voloniAper lui I* Intraprendere. Spcoebio del paese che aveva per tanti
anni rappresentalo col canto, i» quel momento che non eblM e non
avrà uguali, pia sentiva di quel che non meditasse, e quelle sue parole
non «rano né' una promassa, nò un abdicaxtene. Era r uomo che ve-
deva i tempi mutati e dilbHava che a nuovi tempi ai richiedessero nuovi
modi. Questa oscitanza in un momento in cui esso più di tutti pelea
vantarsi di veder ridotta all' alto l' aspirazione e l' opera di dieci anni
di lavoro e di fatiche, mentre crollavano gli ordini anlicbi da lui cosi
acerbamante combattuil e minali, questa oscitanza nel punto atesso in
cui coglieva I fruui della vUiaria, questo avvedersi cheaiF epoca nuova
4ci costruire forse mal s' addicevano i modi adoperati eoo ik booù riu-
scita per demolire, quesl' abnegazione di se stesso lo quei primi no-
menli, A a parer mio una dèlie ciMe che più l'onora. Esso pelea sbacar
fuori e dire a fronte alta: quesl' opera a cui plaudite ò in gran parte
opera mia* E Invece dubitoso scriveva : forse il mio giorno è trascorso,
forse io che distrussi il passato dovrò ooodannarml al ailenzio oggi che
quel passalo è sepolto.
Qual' era questo passato che tramontava ? quaP era quesl' avve-
nire di 'Cui spuntava la prim'alba nel oieloT Perche, a dirlo colle
stesse parole del poeta, fino al iS4l era stato necessario tuonare a
morto e in quell'anno si poteva cominciare a tuonare a battetimo f
' Tutto questo credo sia necessario d'esporre prima d'entrare a par-
IdfT di lui ; credo che sia cosa inevitabile tracciar questo quadro nel
quale soltanto può campeggiare Intera o spiccata la sua nobile ima*
glAe : e tenterò di farlo alla lesta in poche parole.
Quando ai monarchi d'Europa fu dato dMncatenare la rivoluzione
pèrsoniicaia nel colosso immenso di Napoleone, come jene si divisero
la preda ; e quella divisione falla a occhi e croce fu chiamata irau
tato del itf. Nell'ebbrezza della vittoria dimenticarono la lezione, che
pure avrebbe dovuto portar qualebe fruito per essi, ove fossero stati
dolali dt senno, se non di virtù. Per un momento il cielo in appa-
renza sereno, crederono ritornali I bei tempi di regnar per la grazia
di Dio e dietro questo principio ai divisero II mondo e gli esseri ra-
gionevoli che l'abitano, nò più nò meno che se il primo fosse un po-
dere e i secondi una mandra di pecore. 1 riguardi dovuti al giusti
reclami della oaziOBiMià che risvegliata da vent'annl di guerra aveva
ormai alzata e per sempre la lesta, le dimando d'una giusta misura
X «>x
di libertà che i lampi iniperiOflaoEMirte reelaaiavaoo, furooo dUprez-
aaie, come se altro noa fossero cbe sogni di memi esaltate, da quei
pochi dlploroaUci che raooolU a banctiette nella capitale dellf mpeiìo,
discutevaDO fra il cozzar dei biocbieri i deslioi d^ Europa, e si divi-
devano alle frutte gii Stati e i loro abitami. La rivoluzione fu rinne-
gata; e neeessariamenle questa stolida dimenticanza sparse» in una
paoe momentaneamenle suffuUa dalle baionette, I semi d'una nuova
rivoluzione. Oosì son fatti i potenti; quando l'oragtno della libertà
imperversa, si gettano in ginocebioni e lo scongiurano coUe promes-
se; quando per un momenlo rallenta, le promesse divengono eooM)
i giuramenti dei marinai e le infrangono e te obliano, e tìsìo che il
cielo è sereno non credono, inebriati dalle loro aasoluiiste velleilà
che possa un giorno tornare a Oscurarsi. — Cod operando • disco-
noscendo i bisogni veri e sentiti del popoli, preparò la nuova rivo-
luzione il trattato del iH.
Allora, come ora, come sempre, lievi concessioni, che promettes-
sero un aodamento progressivo nel bene, che aeceliando io massima
la Nbertà e i diritti dei popoli, si riserbassero ad attuarli mano a
mano die ne diverrebbero capaci, prendendosi intanto la scesa di
testa di renderli tali colla educazione saviamente spartita fra tutte
le classi delia società, insegnando gradatamente cbe a ogni dhritto
corrisponde un dovere, avrtbbero incatenata la rivoluzione e forse
a quest'ora l'Europa godrebbe una pece vera, senza esagerali timori
e senza esagerale speranze. Se protenderete di parlare a un popolo
soKanio di doveri, il giorno in cui s'avvedrà d'aver anche del diritti
dimenticherà tanto i doveri da non credere d'averne più alcuno; e
l'anarchia sarà colpa più delle stolide pretese dei rinsorchialori che
delie dottrine degli utopisti, se i primlnon parleranno che di doveri,
i secondi non parieranno che di diritti : e il mondo, invece di ripo-
sarsi tranquillo in seno a governi che sodisfino aUa giustizia e aUa
libertà, non sarà che una perpetua altalena fra la tirannide e la de-
magogia. E questi pericoli anziché diminuire accrebbe il trattato del 18.
volendo tofacare i germi funesti che si chiudevano nei seno della
rivoluzione, ne soOocò spenéieraUnienle anche i germi onesti che in*
vano la prepotenza t^Ueala a recidere, perchè Dio. li fecce li volle
eterni, così nei conato di sclilacciar questi ultimi preparò la resur-
rezione dei primi. Quando poi venne il gtomo che, riscossi e fortifi-
cati dalla preasiooe su loro tirannicamente esercitata, rilevarono la
lesta; quando i popoli oppressi alzandosi contro gii oppressori di-
menticanooo in quel nuovo svegliami i confini deNa giusUxia e usci-
roio dai limiti della Uberlà, «liora aopraflhui dalla reakà delle cose,
ma non Illuminati e resi saffi delta ragione, anziché riconoscere il lliUo
loro, cominciarono di nuovo a maitdire la rivoiualioe che e«i soli ave-
"^o preparata. La maledizione fu l'unica parola che suonasse sulle
X " X
toro labbra, memip devevaso avvederti, die dei danni loro preaen-
0, e delie tveiuure di luiU eraoo stali Gagiose essi self . Eppurt, pec-
catori impenileoU, osanono gridare anaUnta qtaodo noo d^veao gri-
dar che mea culpa.
Ka di qaeslo pasto precorrerei i teoopi ; tomo all' Italia* -
lo Italia come per luUo^ forte più ebe per tulio, esislevaoo i germi
delia rivoluzioiie, ^e il trattato del itf, aosicbòcoa saviiprovvedimeoti
distruggere, avea preleso estirpare eoo kilolleraote violena. E se dissi
così, fu perché nella penisola più obe dovunque si erano disconosciuti
I prioclpii deUa nazionalitA e se n* eran fatte le divise^ come della veste
del Cristo, giocandola ai dadi. Se aggiungi a questostrariodiplOBBatico
il carattere degli abitanti ardente per natura e per clima, e la nessuna
educazione politica, avrai tutti gli eleroeoli cbe ci vogliono percbè,
prima o poi, scoppii la tempesta della rivoluzloon. A qualcuno potrù
lorse parere un paradosso quanto dice, e ripensando ai sonni ormai
proverbiali che dornU Italia a quel tempo, e al nluo desiderio o scienza
di vUa pubblica, negherà quanto per me viene affermalo. Ma a chi in
4ai modo mi parli mi permetterà rammentare cbe quanto appunto é
più profondo il sonno dei moAi, laem più il •eatlflaenio d' essere svegli
e vivo io quei pochi che realmente lo sono, e «he, volgendo lo sguardo
sugli assopiti, credono neeessarii e adoperano violemlrimedli a riscuo-
terli. Tali, cbe in un paese nel quale la libertà fosse un diritto rioono-
sciulo di lutti, e non un aspiraaone compressa di pochi, nell'urlo
della vita pubblica sarebbero eccellenti e utili ciltadloi, rimasti pochi
e soli a vegliare in un campo d^ addormentati, che paion mortlj errano
nella sceila dei mezzi e, d' ouimi elementi d' ordine che erano o potè-
van essere, divengono ^e non per colpa loro) eleroeoli di disordine
e di rivoluzione. La mancanza poi di educazione politica, con*
segueoga necessaria della mancanza di vita pubblica, è causa prima
di (auto flagello. Perdiè quando è l* ora dello svegliarsi, accade che un
popolo, nuovo del tulio alla voce della libertà, la sbagli e la confonda
coli' anarchia, e in un ebt>rezza prima non la creda possibile se noo
quando si ravvolga nei eeoci del trivio e si melU sulla testa il berretto
frigio* L'abbiamo visto col fatto. Se ii iratiato del Ijt, invece di soif»-
care nazionaiità e Hbenà, invece 4k dividere le misere membra di que^
sta povera Italia, come i furibondi cavalli del circo squartavano i rei
n^ pia barbari secoli di Roma, avesse messo su un sistema basato sul
vero e tal giusto, avesse promessa e compiuta ia sua educazione po-
litica, oggi forse l' Italia sarebbe lìbera e tranquilla, la Aivoiuzione
oon avreìQbe nemmeno incominciala,! mille «rrori di coi tardi e va-
namente piaogianao non sarebbero «tati commessi. — Ma que* di
Viemia in allora despoti del momento, imi la pensarea cosi, e an-
ch' adesso, noi»«ootentl d*uoa prima lesione, ci par di vedere che
pendano a ricascar nell'errore madornale, e anzidiè coHivare, ab-
X *2 X
biano in mente di soffocare o^i germe di vita pubblica ripreparàndo
per tal modo la rivolualone. Per buona sorte siam giunti a taie che
questo sproposito (per non darli un peggio nome) non è più possi-
bile, ftp la lezione fu inutile per quei cancrenali che tengono alla
giornata le redini in mano, (u proOcua pel popoli che impararono a
loro spese ; e per questa volta le male arte e 1 tenebrosi disegni ri*
marranno frustrati. Nata una volta la vita pubblica non s'estingue;
e fra noi la vita pubblica è nata.
Né questi elemeoii tardarono a svilupparsi. Alia vita pubblica
soffocala dalie iroprovide disposizioni prese nel Congresso di Vien-
na, tennero dietro le tenebrose mene della carboneria, della quale
furono un saggio infelice 1 moti del 31 , Quella forza costretta a starsi
nascosta nell'ombra falli al proprio intento quando, vittoriosa per un
oiomeoto, dovè lavorare alia splendida luoe del spie. — Ma tali av-
venimenti son troppo noli perchè mi «la d'uopo tornarvi su. Soltanto
accennerò infin da questo momento come il danno e il pericolo delle
società segrete appunto in ciò consiste, che, anche trionCanti, nel
giorno del trionfo si trovano, costrette che sono a uscire dal mistero
dov'eran naie e che abitualmente le circondava. Inette a governare
del pari che ad essere governale.
Gli avvenimenti del 31 avrebbero dovuto rendere intesi i rettori
della cosa pubblica che il sistema del 4S non era giunto a soffocare
tutti i semi della rivoluzione come fórse avean potuto credere In un
momento d' ebbrezza . E di ciò falli accorti avrebbero dovuto i go-
verni cercare e porre in pratica i convenienti rimedii mentre era
ancor tempo. Essi uscirono da quella prova come s'esce da un so-
gno penoso che si dimentica sullo svegliarsi, e anche quella lezione
fu perduta per loro. Dieci anni di sonno, anzi di letargo che ten-
ner dietro a quei primi ed infelici conati, parve sulle prime che
dasser loro ragione. Render questo sonno tranquillo sembrò loro il
non plus ultra dell'accorgimento politico. — Ma in capo a 40 anni
venne il SI a riscuoterli da quell'arcadica illusione.
B in questi dieci anni sicuri come si credevano, non dirò che
ralleniasser la briglia, lo che affermando uscirei fuor del vero, ma dirò
che non furon bastantemente guardinghi, come la falsa loro posizione
l'avrebbe richiesto, nell' impedire che una opinione forte e lik>erale
bì formasse e prendesse piede in paese, credevan d' aver ormai as*
stcurato ai sudditi un sonno secolare, e in questa persuasione quasi
s' addormenlarono anch' essi.
Ma intanto i desiderli di libertà si estendevano ogni dì più e la
fede dei pochi cominciava a essere aspirazione dei molti. La lette-
ratura assumeva via via un aspetto civile fratte nobili mani di Man-
zoni e di Niceolini : I' uomo inoomiociava. a sentirsi uomo : quel-
l' educazione politica che i governi, ove avessero voluto (e l'avrebber
X « X
dovalo^ potefan dar al popolo in bre?« volger di tempo, lentamente
i più eletti clttadiDi si apprestavano a darfa in un luogo giro di anni,
a poco a poco, a sorsi a sorsi, pelcliè non bisognava amrolnisirarla
io dosi da insospetflre 1 governi ormai nemici giurati di qualunque
libertà. — E intanto le società segrete continuavano a lavorare.
Forse la lenta educazione che uomini eminenti Intendevano di
porgere mano alPllalia per ri trarla dal fondo in cui si giaceva, avrebbe
portato I suol frutti se gli eventi non avessero precipitato. In tre
giorni Parigi rovesciava una dinastia che dominava da IO seooii e
consacrava nella costituslone di luglio lllieri prlncipll che non pote-
vano fermarsi alla frontiera dell'Alpi e del Reno.
Né vi si fermarono. Hel Sf l'Italia insorse, ma con moti parziali
che furon ben presto domati dalla forza. Per quanto generosi fos-
sero quei moti erano anch'essi opera di setta e sparirono lasciando,
specialmente nella pomata, traccia funeste di sangue e d' estermi-
nio, con un' uomo debole alla testa del governo. In quei paese s'andò
ano all'ultimo limile della reazione; s'empleroh lo carceri, ai alzò
come Ancora unica di salvezza II patibolo e nel patibolo si sperò,
come tutte le armi a due tagli quel mezzo violento più che a quei
che n'eran vittima nocque a chi 1* adoperava. Ma in un modo o in
un altro in Romagna e altrove venne rimpastato uno ntatu quo che
aveva l'apparenza di pace; e secondo il solito la lezione andrà per-
duta; ancora per una volta 1 governi si rimessero a far peggio di
prima.
Da quest'epoca in poi però la faccenda mutò d'aspetto in Italia.
Parve pace, era tregua, interrotta talvolta da sforzi Inutili perchè isolati
perchè secondo il solito ristretti nel li «aite angusto di conati di sella.
Ma i due campi ormai stavan di fronte eran tracciati e confinati chia-
ramente. Da un lato i partigiani dei governi quali erano, tulli affezio-
nati a loro per interesse, nessuno o pochissimi per convinzione. Dal-
l'altro i liberali che Onalmcnte usciti in gran parte dalle tenebre, ave-
vano assunta una bandiera e cominciavano arditamente a sventolarla.
Fino Allora i desideri si erano ristretti nella angusta sfera della libertà;
a quei giorni cominciarono a estendersi nel campo dell'indipendenza.
Jn casa nostra padroni noi j chi non ci ha che far se ne vada» Questa
idea più concreta fu meglio intesa dai popoli e proseliti del partito li-
berale andarono ogni giorno ccescendo di forze e di numero.
Intanto però gravi flagelli itflliggevan gli stati; chi sopr' essi avesse
gettato cosi alla prima uno sguardo non avrebbe potuto ri trarlo che inor-
ridito. Quasi per tutto (In Romagna era anche peggioj un diluvio d'im-
piegati, falange devota all' ozio, divorava le rendila dello slato; la spia
e il birro, antemurali dell' assolutismo dominavano da un capo al-
l' altro della penisola. Pagare e dormire eran gli articoli del diritto
pubblico degli Italiani. Nessuna fede politica pareva che domioasfe.
X i* X
non dirò i governali ma nemmeno i gorernaoU, i qiKiH vivevano àiu
giornata e ai quali ogni ora fli potere {rarevafOenoe suol dirsi, trovata.
Tale era il presente ^e a questo presente soprastava la memoria di tre
secoli di viltà, che pur si volean far passare per secoli modello. Stando
le cose come stavano bisognava cominciar dal disirug^fere. Con ogni
arte, con ogni maniera bisognava minar le fondamenta di questo go-
tico ediflzio che ormai slava ritto più per veccliia abitudine, ctie |ier
forza propria. Ridurlo in cenere doveva essere il primo pensiero dl'etki
architettava elevare un ediflzio maestoso e durevole di libertà, vedremo
poi come GiD^t fosse il primo e più potente rovesciatore di queftia
mole, che al tempo stesso era grottesca e terribile, che al .tempo stesso
aveva qualcosa, che somigliava a un casotto da boraltini e qualcosa che
rammentava le torri d' una Bastiglia.
L' idee iniani9 di libertà, e più di tulle l' idea madre d' indipen-
denza, facevano ogni giorno cammino. Esse non eran più nel domi»
nio di pochi iniziatori che ne facessero un mistero agli adepU, ma
s' agitavano, si dìMutevano da molli e dovunque. 1 Congressi scien-
tifici le spandevano da un capo all'altro d'Italia e gli echi dell'Alpi
ripetevano il suono delle nobili parole, pronunziate prima sull' Arno,
poi sul Sebeto e sul Po. il sono profondo cominciava a essere un
dormiveglia. Né molto andò chela stampa s'impadronì dell'ardue
({uestioni e che (siamo al 45) i nomi di Balbo, di Gioberii, d' Aze-
glio corsero benedetti e venerati l'Italia. Un gran passo era fatto.
Le idee di libertà e d' indipendenza eran divenute popolari tanto che
non si parlava ormai più del cAe, ma ak discuteva del come, li sistema
del 4!$ era ridotto uno scheletro nella coscienza di tolti, un soffio do-
vea bastare per Carne un muochio di polvere.
Quando i tempi son giunti basta una favilla per produrre un in*
cendio. un atto di perdono, generoso ma indispensabile, mosso dal
Vaticano, fu il segno del risvegliamento italiano. Da Torino a Pa-
lermo la libertà fu chiesta a una voce nel nome di cristo, e non una
libertà gretta, egoista, di municipio, ma alleata colla indipendeoxa
che soia poteva renderla intera, durevole e non illusoria.
E allora cominciò a svolgersi una magnifica scena, qual mai non
ne offrì agli occhi nostri la stòria. Una rivoluzione inaugurala dal
perdono, una rivoluzione, da cui ogni vendella è proscriiia, da cui
gli antichi dolori sono obliati nel calore delle speranze nuove, in cui
tutti s'abbracciano come fratelli quei che poco fa si guardavano in
cagnesco come oppressi e oppressori non più rancori cupamente co-
vati nel petto, non più ire per lunghi anni nutrite, ma uno slancio
nobile e unanime d' una intera nazione verso la libertà, alla quale
col plauso, colle dimostrazioni d'affetto conducevano i Piiaoipi che
fino allora l'avea'no avversata, e che adesso, vedendola In faccia,
prendevano o parca prendessero anch' e?si ad amarla. A questo speli
tieolo, uoico piuttoMo ebe raro, attiftiemmo uilU nella Mconda mela
del 47, e qaei giorni d>ebbreue inDOcenie Hanio a tutti tcrltl Del
core. 11 passato era estinto, una nuova ìrita nasceva ; era l'ora, come
esprJmevasi il giusti, di tuonare a batieiimo.
se vi fosse cbi mentiva in quei roonMntl soleeoi la storia dirà,
cercare se le sventure d'^oggi fossero ipeditale e prepaitte fln d'al-
lora, o non piuttosto l' ettetU) d' avvenimenti iDaspetlati, di errori
comuni, di desideri! sfrenati, a me qui non si aspetta.' — Il breve
quadro dell' epoca, sulla quale specialmente agitò il suo Oagello la
potente mano di Giusti, ò tracciato, e posso aetaf altro entrare a
dire quale esso si fosse, e che via tenesse per compir Popera a cui
lo riserbava il suo genio. —
li»
U» castello io vai di Nievole, posto sulla sinistra della via che
conduce dà Firenze a Peseta, vide nascere 11 GiusTi. Esso, figlio del
cav. Domenico, apriva gli occhi alla luce in Monsummaoo nel mag*
gio del 4809. La famiglia da cui nasceva, era gna ricca famiglia di
pescla^ cbe. aveva coniato sempre nel suo seno uomini di chiara ed
intemerata fama. Giuseppe Giusti, avo plicarno del nostre poeta, era
stato ministro, e più che ministro amleo del primo Leopoldo, a cui
col consiglio e coli' opera avea agevolata la via di quelle riforme
ctae ne resero il nome immortale ; e il suo zio Luigi, a profonde
cognizioni legali accoppiava uà' amore sviscerato per le lettere.
Dalie iDOlte notizie che mi vennero comunicate sulla sua
infanzia e sui primi anni della sua adolescenza, potrei a scelta mia
estrarre aneddoti che ne mostrerebbero fio da quell' epoca la viva-
cità del carattere e la svegliatezza della mente. Ma me ne risto, per-
ché non ebbi- mai troppa fede nei miracoli dei bambini che, un
pe^più un po' meno, credo tutti d'un conio e d' una pasta. Ameno
che non sia ebete affetto, credo ogni ragazzo capace di diventare
uomo in tutta Pesiensloo del termine, quando un' educaaione accu-
rata e savia sviluppi la esso 1 germi dell'Ingegno e della volontà, i
l)ambini portentosi li meftio, per parte mia, fralle leggende fantasti-
che, perchò mi aùn dovuto accorrere come (lo dirò colle slesse pa-
role OlÓBTl),
Spesso d'uo Socrate
Adolescente
»' esce un decrepilo
Birba demente.
Mi ristringerò dunque a dire, che On dai più tenerr anni esso
era un bel ragazzino, di carnagioiie colorita e sana, d' indole viva-
X *6 X
cUsima e qoasi indomabile, con bellisiv'ini capelli e occhi neri fiimìit
a qullli della madw, doona per'qufti luoghi e peri|uei lempi ba-
slantemenle fslruila. * -
Ricevute che ebbe in fsimiglia le cure infantili, fu mandato in
Collegio nella vicina Pistoia e là ebbe la primissioia educazione. Né
voglio tralaflUBlar qui di accennare una notevolissima coincidenza , e
si è quella, ohe il Gollogid, nel quale veniva da prima invialo il
GIUSTI, era quello stesso in cui compiva I suoi studii Filippo Pa-
nanti, poeta per mille conti popolare e pregevolissimo per ingegno
e per siile; che 9e non seppe strigarsi dai ceppi della facnja, e le-
varsi all'altezsa delta satira p^Rtica^deve ascriversene la colpa più
ai tempi che a lui.
Non corse gran fatto che il padre di Giuseppe por averlo più
prossimo lo tolse ancor fanciiiìlo da Pistoia, e Io traslocò nel Colle-
gio di Lucca.
Di spirito irrequieto e vivace, ipal piegavasi alla fatica dello stu-
dio, a «ui probabilmente anche esso, per. vizio degli uomini e dei
metodi, sarà stato iniziato per una tia se cui la mente fanciullesca
trova più triboli e spine di quel che non adescamento e diletto. E
negti anni adulti si doleva poi, come V AlOerì, di non aver basle-
volmenie- studiali 1 Classici Latini e di non aver voluto saper altro
d<fl Greco dopo averne lelio l' alfabeto.
usci dal Collegio per andare al l' uni vertilà di Pisa e dedicarvlsi,
secondo volle suo padre, agli studii legali. Amalissimo là da quanti
lo conoscevano, divideva eoi suoi coetanei, sia detto a lode dei vero,
più I divertimenti proprii dell'età sua giovanile, che i severi studii
della giurisprudenza. Anche pbr esso, come per tutti i poeti, fu ima
guerra terribile quella che dovè combailere colle Istituzioni e colle
Pandette. Forse fino da quei primi momenti nel quali, uscito datìe
pastoie del Collegio, gli era dato respirare le libere aure della vita
scolaresca, intravedeva per intuito che, anche al di fuori dei prf
scrini dal Regolamento universitario, *i erano degli studii e dei gravi
studii da fare sugli uomini e sulle cose. 'La pagina* della vita fin da
quel momento gli parve degna d' esser meditala forse più delie
morte dottrine dei Codici polverosi; s'avvide ch« il mondo è un
libro vivente wel quale, pur di sapervi leggere addentro, v' è da
imparare quanto in ogni altro. E questo libro cominciò a •to^iarc
(In da quei primi» anni ; le stesse apparenti leggerezze di..giovtn«ù
furon per lui la prima pietra sulla quale .si foftdò poi l'edJft^ del
suo ingegno. La profonda conoscenza degli uomini che ebbe luogo
dì mostrar nell'opere siift« la deve forse a quei quaUr» anni sfumati
in libera gioia, nei quali, coro' ess» a^esprime, sepolti i soliti libri
io un canlo apri, compilò e laolo gli piacque il libro delia vita, se
si fosse piegato agli sIulIU de! Dirtelo non sarebbe riuscHQ forse che
X " X
uo mediocre leguleio; dalo invece libero TOk> aUMogegnoj divenne
poela.
E quando già i primi saggi della sua musa correvano intera
l' ilaiia, avidamenle leu! e imparati a memoria e ripetuti da lutti,
esso godeva, ritornando sul passato^ di raromenure quegli anni pri-
mi^ e il consacrava in una delle sue più spontanee poesie, le Mlemo'
rie di PUa,
IO per me venero
se ci t'impara
Tanto la cattedra
che la bambàra -,
esclamava il poela ripensando ai giorni trascorsi, nei quali sentiva
di avere imparato forse più sulle panctie dell' Ussero cbe sotto le
volte di Sapienza. E con un ardente desiderio ricordava quei tempi.
Quando burlandosi
Dei due Diritti
senza riflettere
Punto al Bescritti
Cantammo I cori
Dei tre colori.
Ma non si creda però cbe se io quello slancio di buon umore, nel
quale tornava verso un epoca di celie^ di scapataggini innocenti che,
tulli quelli i quali
Adesso sbraciano
Gonfi e riunti
Ma in bieca e itterica
ViU defunti.
forse sotto sotlo, malgrado la scimmiata austerità presente, rammen-
tano con desiderio; se io quello slancio il nostro poeta portò innanzi
senza tanti coraplimenli la massima
Bevi lo scibile
Tomo per tomo
sarai chiarissimo
senz'esser uomo;
se cliiamò quelle tabule rase che lianno lutlo I» ingegno nella grop-
pa, sgobboni ciuchi e birboni j disprezzasse per questo chi veramente
si nutriva di sludll severi la mente, e chi alle pure sorgenii delta
sapienza passata cercava di fare abbeve»are l'ingegno moderne.
2
X *8 X
pochi forse commesso oercarooo invece i priocipli di um (bmra
nuova nello studio religioso delia forma antica.
Per quello spirilo di rensione al iMMsaio, le cui tante colpe pe-
saTano sui presente, e* disse maleUlTÒita dell'istruzione antica, ma
soltanto di quella parte viziosa cke diiude in se, e non ò poca, in-
fatti se la prese spesso cogli sgotiboui, col pedanti, ma non mai coi
veri studiosi ciie seppe sempre distinguer da costoro, e onorare «
imitare. Mi pare in questo clie potrebbe benissimo paragonarsi a Bar-
lolini il quale, mentre non se ne slava mar dai dir male delle sta-
tue greche, fu appunto a forza di dirne male che arrivò a farne delle
simili. Cheanzi, se ben vi si badi, mentre il Giusti diceva plagas de-
gli sgobboni, per conio suo poi sgobbava moltissimo, sia nello stu-
diare la scena del mondo che svolgeva sotto i suoi occhi, sia nel ri-
fare da cima a fondo, rome rifece, tutti gli studi sui classici. Alfieri
e altri grandi poeti avevan fatto alirellanto. E tra i classici amò in
pariicolar modo Virgilio dei cui poemi sapeva lunghissimi brani a
inetiioria ; dopo Virgilio gli fu simpatico Orazio del quale, mentre
compiangeva le servilità cortigianesche, adorava la finezza dei con-
cetti e la perfezione della frase. Dopo questi due classici il poeta ,
per cui nutriva una specie di venerazione e sul quale aveva in lun-
ghi e profondi studii vegliale molte notti, era Dante. La canzone ,
«luasi tutta tessuta di versi della Divina commedia, che esso in se-
guito compose allorché venne scoperto il bel ritratto fatto da Giotto
al fiero Ghibellino, ci attesta il lungo studio e il grande amore cui
(|uale aveva cercato II suo volume iramorlale;
Di questi studii positivi nutriva la mente, mentre più lieto di
tutti nei lieti convegni degli amici d' università,
Fra il pwnchy il sigaro.
Qualche attro sfogo.
Uno sproposito
A tempo e luogo,
beccava i' esame In quindici giorni e consacrava tutto il resto del suo
tempo a imparare il come si viveva In questo mondo.
Esso stesso mi l>a detto che fino dall'età di i3 anni aveva buttato
giù il suo primo saggio poelicu,€)ie consisteva io cqrte ottave sulla Torre
tU Babele, delle quali non serbava più né memoria, ne copiai e dopo
<|uelle ottave aveva composti a più riprese dei versi satirici in ver-
nacolo Lucchese. Mentre era all' Università dette il primo cenno del
suo ingegno poetico In poche strofe burlesche dirette all'impresario
che a quel tempo teneva il Teatro di Pisa, strofe che ci soo rima-
ste, e nelle quali, se non si trova quella perfezione di stile e di for-
ma che poi lo doveva rendere meraviglioso,si trova pur non osiaolc
un fere tutto suo ciie ci spiega lo strepilo che fecero a quell'epoca.
Altre cose di tknW genere «ctIìm in quei lomo; tna in nesMioa dì
-esse toccava ancora la corda poHlica.
I quattro anni d'uoiveraMà iraacorsero e, oom' ci Ace, comprò
dhita é* eeceileMiuimo, ti addeHorò> Dovè forae essere un doloroso
staccarsi quello in <Mi, saldalo il veecMe «onio dell' CTsmto (1),
montò io carrotzà lasciando una cillà e una vita che aveva tanto
amato. Esso slesso eonfessava qualche anno dopo d'esser partilo da
Pisa col muso basso e coofoso; lasciava sospirando le abitudini sne
predilette, i luoghi che erano stati tesHnioni dei suol primi passi nel
'Cammino della viia. •Quanti sono alali all' unlversilà intenderanno
quest'amaro che si cliiude nel giorno della .partenza dalla ciiià in
cui si vissero i primi quaiiro anni di vfla^ e die per quattro anni
fu come un cercliio fiatale oltre il quale la ineme dei giovane ancora
inesperto non nutre né speranae, nò desideril. Al di tt di quelle
porle par che il moAdo sia chiuso. E quell'inganno giovanile non è
poi un inganno io lutto e |)er tulio, che per lo pia le gioie sincere.
le letisie speosierataraenie iranquiUe -di rado seguono il dottore ai
di là delia soglia della UoHrersiià.
II Giusti lasciata Pisa venne a Firenee a far le 4>raliciie iter
ravvocatura e si pose nello studio di capoquadri, avvocalo a quel-
•fepoca in gran voga, poi MOniatro di Orazia e Oiustisla. Anche nel
corso per<» delle pratiche legali, più dei decidenti e dei repeienti,
più del Bariola e «ordo» cercò i predileui studi della letieralwa che
-con alacriiA maggior del solile eootlmiò. Pu su queU' epoca che
scrisse alcune lìriche le quali Itaiidaascnte leggeva ai stfoi «nici d'al-
lora, Tonti e Montanelli.
Cosi GiiisTi avea trascorsi (Mi ^abì suoi iirlroi, ed era ghmlo
a quella eli nella quale, volere o non volere bisogna che ognuno
si scelga una via per Urare a tee il peilegriaaggio di questo mondo.
Quella della legge sulla quale il padi« oonai l' avea avviarlo, non pa-
reva Dò a lui, né a chi lo conosceva che s' addicesse al suo genio,
alle sue tendenze; non era né il primo né l'ultkno che dopo aver
<)ovulo, per amore o per forza, passar sotto la forca caudina degli
studii legali, venuto poi un bel giorno voltò loro le spalle per segui-
larc altra via, dove meno -guadagno ma pia gloria v' era da cogliere.
A nelle di Tasso vi fa chi volle per forza fare un procuratore; esso
strappò la cavezza e divenne il poeta delle Crociate.
Iniauio e negli anni vissuti In Pisa e nel primi passati In Firen-
ze, il nostro "Giuseppe aveva, investigatore com'era per natura, dallo
studio degli uomini che si cbiaman sudditi, alzato l'occhio su quelli
•che si chiaman padroni. E al primo sguardo il confronto non gli era
^^nndato a genio, e sulle spalle di quesi' ultimi, benché le coprisse un
(1) caffè (li Pisa rre<i!ientato dalla scolaresca.
*••«. *** x\
baluardo dt titoli e di ricami, gli era pano che dOTCìte ricadere quer
biasimo clie Hcniiva gii risuonare iDdefiallo allMplomo. Ei non si
rendeva conto per anco di quel cbe provava in questo ooofroolo,
ma gli pareva cosi alla prima cbe una colpa vi fosse, e che li peso
di quella colpa piuttosto cbe sui meschini che urlavano, dovesse gra-
vare su quelli li faceva urlare. In poche parole, appena si voltò <i
contemplare la topografia politica di questo mondo, gli parve che gli
oppressi avessero mille ragioni, e mille torti gli oppressori.
Fin dai beali ozii di Pisa, quesl' idea prima aveva cominciato a
dominarlo ; fin d' allora aveva presentito che altri destini, diversi
dal presenti miserìssimi, aspettavano li suo paese; e rapito da
quelle convinzioni e da quelle speranze, aveva fino da Pisa, incomin-
ciato ad amare nei simbolo dei tre colori la libertà e V indipendenza.
In quella età calda e facile a ricevere le impressioni, egli vergine an-
cora d'animo e di mente assistè agli infelici sforzi dell'Italia, per
conquistare la libertà, e il nome d' Italia gli si scrisse indelebilmente
nel core. Nella fantasia giovanile vide che la faccenda non poteva alla
lunga andar come andava, perchè mancavano al governi le solide
Iiasi della giustizia ; e indovinò non lontano il momento nel quale lo
stupido archileo, che si voleva far passare per ragione di Stato, sa-
rebbe cascato giù f ralle fischiate degli spettatori.
Non appena si fu reso conto di questa sua impressione politica,
non appena si fu detto sottovoce: co^ non pud durare, lo spirito sua
cominciò a rifletter meglio sul male esistente, sul bene possibile, e
cercò di concretare In un completo sistema quelle idee che cosi sparse
e slegale gli eran l)alenate alla mente.
E a quell'ingegno potente fu facile II concretarle. Non appena
ebbe veduto che l' uomo aveva, fra gli altri, del doveri politici verso
il proprio paese, s' accorse subito che questi doveri in fondo lo fondo
si riduoevano a due: purgarlo dalla lue inveterata delie catene Inter-
ne, e spazzarlo da chi s' ostinava a starvi dentro benché non ci a-
vesse nulla che fare. I cosi delti trattati e il cosi detto diritto divino,
gli apparvero subito scuse magre, colle quali si tentava invano san-
zionare l'oppressione o l'usurpazione. Per dirla in meno parole,
l' indipendenza dallo straniero e i' interna libertà gii parvero fin da
quei momento due desìdcrli giusii e santi, e senza l'avveramento
dei quali una nazione è condannala a giacersi nel fango, fatta man-
cipio degli stranieri, indipendenza e libertà eran due condizioni ne-
cessarie all' Italia ; il mezzo di raggiungerle, di sodisfarle, non era
ancora ben chiaro nella mente del giovane; il tempo avrebbe dato
consiglio. Ma era già molto l' avere in lesta certo e chiaramente de-
finito lo scopo.
Allora, appena gii fu palese il dove bisognava arrivare, sì delle
a guardar d'nloroo, perchè non vi si fosse fino a quel momenio ar-
Xa< X
• rivali^ percbè queste due idee le più semplici del mondo foasero an-
cora fr;i noi allo sialo speculativo anziché aii'allo pratico. Né que-
sta seconda ricerca, necessaria conseguenza delia prima, costò mollo
sforzo a uno spirito acuto come era li suo. Non durò fatica ad av-
vedersi, che lutto il male dipendeva più cbe altro dalle istituzioni
vecchie, cbe erao rimaste, le stesse, mentre col volger degli anni a -
vevan mutato gli uomini e le circostanze : non tardò ad avvedersi
€he i pochi, 1 quali, per interessi egoisti, s'arrabattavano a tenerle
su ad onta dei tempi cangiali, avean crealo fra loro una specie d'in-
teresse di casta,, cbe separava i bisogni del governo dai bisogni -dei
popolo.
ESSO aveva ormai veduto lo scopo a coi dovean tender gli sfòrzi
di tutti gr Italiani, l' indipendenza e la libertà; avea veduto con-
sister gii ostacoli, che si opponevano al nobile intento, nelle fornu^
imporrate e nei più imporrali uomini del governo. Il male da di-
struggersi e il bene da ricercarsi erano nettamente scolpiti nel suo
animo, quando da Pisa venne a Firenze. La questione era ormai po-
sata con tutta chiarezza.
Né queste sue convinzioni cercava nascondere; die anzi tanto
alto fin d'allora le esprimeva, che ebbe a ricevere come portavano
i lempi, una ripassata severa da un commissario ; lo che «>oi gli fii
4)ccasiooe d*una poesia, io cui fece scontar cara la reprimesda al
birre che in riga di patema cura l' aveva coperto dì contumelia.
Questa mole crollante che si opponeva sola alP inalzamento del-
l' edifizio nuovo, che era ormai il sogno della sua fantasia, bisognava
iorla di mezzo. Non avrebbe potuto servire all'intento anche quel-
l'aura di poesia che si sentiva fremer nel peUo, e gli dettava quei
canti che amici imparziali avevano imparzialmente applauditi ? Tal
dimanda volse a se stesso Giuseppe, e la coscenssa gli rispose di si.
Non vi voleva che il coraggio di affrontar la pubblicità (non la pub-
blicità per via di stampa, la quaie a que' tempi era ancora sotto la
tutela dei reali castrapensieri) ma la pubblicità che non manca mai
quando si voglia, e che dai crocchio via via va stendendosi ed allar-
gandosi fino alla sfera della parte eletta della città. Questo coraggio
abbisognava a Giusti per dar mano all'opera ormai immaginata, e
questo coraggio non gli mancò.
HI.
I primi versi di Giusti, die eoo questa specie di pubblicità clan-
destina, quale la concedevano i tempi, usdrooo dal circolo rislreiio
liegli inlimi amici del poeta, furono quelli m Morte dell' imperatore
X «2 X
Fraiicetco /. Ove si consideriDO oggi <^ei veràì, ponendoli a con-
frooto coD qaanii ne usdroDo in appresso da quella menle e da quella.
penna» essi possono riguardarsi come dei meno felici, benclié pieni
sieno di nuovi U e di brio. Ma quando apparvero come primogeoiii
d'una musa cbe era riserbaia a sì alio volo, essi destarono una spe-
cie di stupore, in qiuel sonno d'allora, nessuno si sapeva capacitare
sul tuono di parola di quest'uomo che parlava da sveglio; in quel
manierismo letterario, che malgrado gH sforzi di molli egregi, pure
teneva il disopra, nessuno si sapeva raccapezzare cosa fosse questo
nuovo modo di scrivere che vcsiiva alti o potenti concetti coli' umil
veste della lingua paesana, tenuta quasi a vile fin 1)^ e schlzzignosa-
menie scansala che oggi a un tratto saiuva per opera sua dai trivio sul
trìpode. Ma questa speoie di stupore che deslava il comparir di quei
versi, non fece che roelierli in voga. Copiati e ricopiali, corsero i
Caffé e le Saie, furon ripetuti e gustali in tulle le conversazioni, in
tulli i crocchii. vi fu ehi rise e chi messe muso leggendoli, secondo
Ja poaizion sociale in cui si trovava ; ma nessuno ebbe l'ardire di
dirne male, e molti ebbero invece quello di dime bene.
Questo buon viso fatto dal pubblico a un auiorc ancora scono>
soluto, e che aveva avuto a un tempo il coraggio di rompere le pa-
stoie di un'arte falsala, e invadere il campo politico; queste lodi-
date all' incognito, spesso anche in presenza sua, dettero coraggio a
GIUSTI per continuare nella via, sulla quale ormai aveva moeso il
primo passo, col Diet Jrae aveva, come suoi dirsi^ rodo il diaccio ;
non mancava ora cbe andare avanti. — Un'intuito d' apatia, compo-
nimento breve e leggiero, ma dove regna una facilità da far sbakir- '
dire, tenne dietro a quel primo, e insieihe con esso, altri dello stesso
conio, vennero a fortificare il buon esito del coraggioso lenlativu.
Qui però mi sia permessa una digressione. —
Mentre Giusti tentava di muover l'orme nella nuova via, e creare
un genere di poesia cbe fosse lutto suo, rapito nell'estasi di un^a-
more corrisposto non poteva fare s meno di dettare versi d' indolo
ben distinta da quelli di cui ho tenuto parola. Questi versi pur no»
ostante chiudono in se tali pregi da meritare che il biografo yI al
fermi un momento su. Di questi d' un genere loti' affollo differente
da quei che lo dovean rendere immortale, benché scpllti in epoche
l'una distante dall'altra parlerò qui luti' assieme, onde non esser poi
coslreiio a tornarvi sopra. L'ordine cronologico vorrebbe altrimenti^
ma l'ordine logico mi par che rlcbiegga cosi, e a me la logica sem-
bra che debba aver la diritta sulla cronologia, tanto più che questa
digressione servirà a far conoscere viemaggiormente fin d'ora la bontà
d* animo e la geolilesia di seotiro di quest' uomo, cbe non mancò chi
"^^messe cinico perché ebbe II coraggio di appiccicar le frustate a
se le meritava.
Da anni e anni egli era preso d' amore per tal persona, a cui
correva F obbligo di non snoentire un affetto dal quale nessuno dei
due poteva trarsi indietro. Nel luglio del 1836 dettava la canzone
atl* Jmica lontana, componimento dei più gentili cbc uscissero dalla
sua penna e da Cui si raccolgono alcune particolarità spettanti a
«lueslo tenero amore. Lo scioglimento di quei legami avvenuto al-
cune settimane dop»^ gii cagionò tanto dolore ed operò nel suo co-
re, così schiettamente sensibile» un tale rivoiglòienio, ette può
dirsi senza timore di errare, cbe ébbb una grande influenza in quel
nuovo giro che presero poscia i suoi pensieri e il suo stile.
Mei decembre dell' anno slesso, mentre sanguinava ancora quella
piaga d' amore, gli occorse di vedere la meravigliosa statua di Bar-
tolini la Fiducia in Dio, Davanti a quella creazione del genio provò
una specie di rapimento, d'estasi Indeflnita, e dettò quei sonetto
inimitabile clie, com'è! diceva, gli era uicito dal proprio core.
Era trascorso un anno da quel momento per lui cosi acerbo; i
l)iù acuti lormeuti cessati, ma gli restava ancora la memoria del
colpo terribile, e quasi a consolarsi delle pene die lo afOiggevano,
errando nei campi tranquilli di una sublime melanconia, scriveva
in quell'anniversario gli affetti di una Madre.
Sembra però cbe l'amore lo avesse io seguito fatto ravvicinare
alla donoa, che era slata sorgeste' per esso di unti inlimi dolori, e
sprone al' tempo stesso a lenure la via della gloria. Oh non è ulti-
mo fra i miracoli dell'amore quella forza di volontà die ti porge,
che ti rende gigante a combattere tuUi gli ostacoli, pur di raggiun-
gere uno scopo lontano ov' è la gloria e la grandezza, la quale non
per se egoisticamente perseguila l'uomo d'ingegno» ma per deporta
al piedi di quella che gli sta scritta indelebilmente nei petto. Ma
nel 1841 quest'anK>re fu a lui cagione di nuovi dolori; anco una
volta la donna cui esso aveva consacrato vita ed ingegno, lo percuo-
teva nel più vivo del core. E nella primavera di quest'anno sfogava
la cupa tristezza che l'affliggeva, scrivendo i bellissimi versi a/i'^mico.
In quell' intimo sfogo, additando al giovinetto Roberto le gioie e i
perigli d' un amore profondo, così mestamente dipingeva gli affanni
a cui era stato condotto :
Forse da cara aisno a te la vita,
A te d) frodi Ignaro,
«ara cosparsa di veleno amaro
sgomento grave al cor ti sentirai
Quando svanire intorno
Vedrai 1» auree speranze e i sogni gai ;
Quando agi' idoli tuoi cadranno un giorno
Le tMnde toninose
CIMI la tua BUBO islessa a tor compose.
X «* X
Mei tuo pensiero di dolor oonfuco
con inquieU piuma
volgendosi e gemendo amor deluso, -
Qual dell* aere clie intorno a se consuma
S* alimenta la fiamma.
Ti struggerà la vita a dramma a dramma.
À cosi tremende delusioni lo aveva oondoilo colei cui volgen-
dosi cinque anni Innanzi in tutta la piena d' un amore infinito, avea
scritto :
Il sai, d'uopo ho di te; sovente al vero
Di cari sogni io mi formava inganno ;
E omai I* occhio, il pensiero
Altre sembianze vagheggiar non sanno ;
Ogni più dolce cosa
Fugge 1* animo stanco e in te si posa.
Che dilTerenza confrontando queste parole, nelle quali tralucc
tutta 1' ebbrezza d'un affetto corrisposto, còlle altre ripiene di quanta
tristezza può erompere da una anima crudelmente iradltaJ
1 versi a un Jmico sembra a me che sian degni di speciale con-
liìderazione, appunto per la circostanza In cui furono scritti. L'uo-
mo che non aveva eguali nel ruotare il tenibile flagello della satira,
abbandonato da colei a cui aveva affidato ir tesoro degli efTcltT suoi
primi, avrebbe potuto intingendo la penna nel fiele, fare scontare
Alla disleale 11 fio del suo tradimento. E invece per la nobiltà, per
l' Innata gentilezza dell' anima sua, altro non trovava nel suoi dolori
che un mesto desiderio e un sommesso lamento, e in luogo dMra o
di sdegno, ammaestrato dalla sveptura traeva dal proprii affanni un
consiglio per un tenero amico onde potesse evitare, nella vita lo
cui stava per entrare, le pene che egli vi aveva incontrale. Que-
ll'esempio e molli altri che potrei, e che forse avrò luogo di porvi
soli* occhio, rivelano tutta la soavità che si chiudeva nelH anima di
quell' uomo il ,quale diveniva poi sì terribile quando temprava le
corde dello sdegno e atteggiava le labbra al sorriso deli' ironia. Esso
soleva ripeter sovente: Crtdo di' non aver mai derisa la virtù, né
Imrtati gli affetti gentili i E queste parole racchiudevano in se il se-
greto Intero dei suoi canti, i quali eran canti d' un amore infinito
nnclie quando tuonavano pregni d'Ira e di maledizione. Quell'ana-
tema versato sul capo dei pochi che si strisciavano nel fango del vi-
zio, era il cullo più sacro che il poeta rendeva al bello, al buono,
alla virtù.
Nello slesso anno 1841 menò a termine il Sospiro dell'anima
v.he aveva cominciato nel 1839. Parlando di quesll suoi versi esso
X « X
«Kceva parergli cbe vi foste dentro ha non to che di troppo aereo
e d'iodefloito, di cui non era ooDtemo} ma tuttavia eemtMrava die
. portasse loro un afièlio particolare e, anclie vari! aooi dopo si oem-
piaceva ripeterli passeggiando in compagnia dei suoi amici.
Finalmente, nei i843, nacquero l versi ad una giovinetta, della
quale favellando soleva dire» esser per lui ima Umiana reminéscema^
unzi quasi un sogno.
Anticipando cosi i tempi volli qui riunire, Pona accanto «IFaltra,
tatto quelle poesie che uscirono dall' anioM) di GrosTi, ispirate più
meno direttamente dalPaffeUe e dall' amore. Questi versi mi sem-
branooo tanto differenti dagli altri pei quali sali poi all' apice della
sua fama, clie volli, piuttosto che mescolarli nella storia e nel giudi-
zio di quelli, separarli e parlarne tult' assieme Cosi mi parve che
meglio mi sarebbe dato pronunziare in una sola volta la mia opi-
nione sopra di essi, e che quando dovrò affìrontare fra momenti il
difficile incarico di parlar dei suoi versi satirici, non sarò costretto a
interrompermi ogni tanto per rìlomare a questi che ho I' un col-
l'altro accumulali. Meglio a parer mio una lunga digressione tutt'a
un tratto, cbe molte brevi, ma spesse.
Questi versi usciti dal core del nostro poeta e dettali veramente
da un affetto profondo e sentilo, mi sembran tali, e per la. forma e
per le idee che racchiudono, da far si che chi non avesse scritto
altro che quelli meriterebbe puc non ostante di aspirare al nome di
sommo poeta. Se la poesia consiste nella finezza e nella semplicità
dei concetti, vestila di una forma elegante e, come suoi dirsi, tor-
nita, quei versi bastano a far conoscere e indovinare il vero poeta.
1 pensieri che vi son racchiusi son gemili e soavi come una foglia di
rosa che cade divella dai vento sulla fronte d* una fanciulla innamo-
rata e melanconici talora per' modo da strappar le lacrime dal ci-
glio più orido. Quanto alia forma poi, eMa è limpida e semplice co-
me può desiderarla il più schifiltoso purista, e raromenia sovente le
canzoni di Petrarca e quelle di Dante nell' aureo libretto de)ia Vita
Nuova. Questi versi sono anzi il testimonio più vivo del lungo studio
che il GIUSTI avea fatto sui nostri antichi poeti. Chi scriveva con
quella dolce melanconia, con quella serena mestizia doveva posse-
dere un anima eminentemente educata al bello ed al buono. E tale
era l' anima di Giusti. Che pochi adorarono come esso la virtù
con uguale religione, pochi com' esso maledissero con eguale bile al
vizio e alla viltà, in quell' anima nobile questi due sentimenti, d'a-
more e di sdegno, si legavano e si conftmdevaoo Insieme, e l' uno
era la necessaria conseguenza dell'altro.
Sotto qualunque forma si manifestasse il suo ingegno, esso non
era che l' aspirasione di un amore Infinito.
Dopo questa digressione, un po' Innga ma neaessaria, tomo a
riprcndefo il poeia al raanmto io eui, aveva c«Uo le prime fraatfc
d' allore sulla via ch« voleva percorrer da solo, al «loroenlo in cui
eoaleatodegltaforelsuoi primiya'apparecdiiava aieniamedei maggiori.
A quel primi versi sailriei del quali mossi pocosopra parola, tenne
dielro il Girella, che al sue comparire sembrò il non pio» «Nra delia
satira politica. Questo oomponiinento» varcati ben presto gli angu-
sti confini della Toscana, corse eolia celerilà del fulmine i pia re-
moti angoli delF Italia. Serìvendo quei versi il poeta usciva Qnal-
menie daiP indefinito, dalle geoeralità e eonHoeiava a colpire diret-
tamente I difèui ftd i vidi che ammorbavano e isterflivoo»il8uedf>
letto paese, il Girerà era la prima pietra che esso con «otcienni dei
dove colpiva, scagliava contro le vlUà presenti, le qaali eran mlMle
e profondameme eorrultriei. Parve a Givsti che mal fossa dato spe-
rare noli' avvenire d** un popolo, quando esso non ha fermezaa di
fede politica e le convinzioni sue locerie e vaganti si mutano ad ognv
somo di vento. Questa piaga die tre secoli di servitù e di sonno-
avevan ridotta allo stalo di cancrena nelle misere membra della mi-
serissima Italia, fu quella che, come la più letale, voile curar per la
prima scrivendo il Girella, il cui scopo si era di fulminare le aposta-
sie politiche. Se oggi il poeta vivesse potrebbe vedere 11 fruito del-
l' opiera. sua; che nella generazione nuova, educata sotto l'Influsso di
quel versi potesti, ritroverebbe pia radicala la fede,più profonda la
convinzione politica, meo frequenti, le apostasie. E* se an(iie nel fitta
trovasse del Girella, non tarderebbe ad accorgersi che sono un po'in-
veecbiall, ma sempre quelli stessi i quali apostasiaroao dopo il 31 ; e
che educati ormai alla vecchia scuola dello scetticismo politico, fin-
ché la morte per V utile comune non gli levi da questo mondo, sa-
ran veduti abbracciare ogni fede per poi rinnegarle tutte, appuntarsi
sul petto qualunque coccarda per pof calpestarla nel fango appena
V interesse lo chieda, e appena U vento ehe spirava da levaMe spiri
invece da setlenlrione.
Sarebbe difficile descrivere l'iiopntsiiiuiìc die produssero quei
versi al loro apparire. La verità dei eoocetli, la nuoviia della forma,
ia robustezza delta frase, P acerba potenza del ridicolo che fino allora
era staio un quissimile di triviale e che ora diveniava sinonimo 4t
sHbllme, faceva stupire. ] lettori Italiani assisterono sbalorditi a i|oe-
sia lotta a cui gP invitava il poeta. Essi lo vedevano creare colla po-
tente fantasia una figura che tutto incarnasse io se steaso un vizio,
o una viUà da combattere. E appena creato questo nemieo» appena
l'aveva fatto sorgere davanti a se, lo vedevano geiurgllsi addosso «,
stringendolo fra quelle braccia potenti che l' aveano creato, altllolarlo
e tttrlo in brani e disperderne sorridendo ai venti i resti del cada-
vere disonorato. Al nuovo o meraviglioao spettacolo entusiasti 1 let-
tori Italiani gridavan bravo e battevan le roani. — Da quel momento
resilo dt quei versi fu assicurato e quel prino tipo the in essi aveva
crealo ti poeta direnoe popolare ; prava la più grande del meriio
vero delia sua creaziODe, irloofò il più bello ai qoal^ possa aspirare
un' autore. Quando il popolo acceUa come sua la creaiiooe d' un In-
dividuo, esso gli decreto al lenpo stesso ud diploma di Ingegno e di
lode. Glie è roaggiore di qualunque altro elogio che possa conseguire
e desiderare.
incoraggilo da questo primo trionfo. Giusti si pose senta met-
ter tempo in mezzo a continuare t'op»a con sì lieti auspicii inco-
minciata. Né fu a caso che io dissi f^peraj poiché, in quel votOme
di poesie, lulte di forma e di soggetto diverse, F una dall'altra ap-
. parentemente disparale, slegate a priBia vista fra loro, sembra a me
di travedere una magnifica unili di conoelto e di scopo, una conca-
tenazione necessaria fra l' una e V allra ; quei volume apparisce agli
ocelli miei come un vasto edifizio le cui parti, per quanto distinte,
tendon luUe all'armonia dell' IflSieme. Per me il libro del Gicsti é
un poema -, e ognun dei suoi canti moltiplica »^\ occhi miei di va-
lore e di pregio, appunto allorcbé si considera come unito e connesso
cogli altri. Ognun di quei conti è una noia, eh' è armoniosa di per
se stessa anche udita da se sola ; ma che diviene poi sorgente di
melodie meravigliose quando ad altre note diverse e oonoordi si
leghi e si osisca. IV uomioi di atti diversi e concrarii si compone
la pagina della vita che ogni giorno si svolge sotto 1 nostri occhi, il
libro del Gicsti altro non è appunto che uno specchio fedele di que-
sta vita, la quale non cessa d' essere una, benché ad ogni istante
svariala, assuma e rivesta forme differenti e dlslinte» Che anzi questa
unità desunta dal vero, e di tanto superiore alle convenute unità
reuoriclie di quanto la realtà sovrasta all'arte grolla e compassata,
è queHa che a senso mio informa meravigliosamente da un capo all'al-
tro il volume di Giusti e fa un poema d'una collana di perle slegate.
Più lardi m' occorrerà di parlare delle bellezze inflnile che l'in-
gegno di GIUSTI spargeva con prodiga mano nei suoi versi; qui, ad
aflorzare il concetto espresso di sopra, non devo che accennare quOI
legame misterioso e indeclinabile come la necessità, che gli ani agli
nitri collega. Dopo aver col Girefia comtMiUuto r apostasia di chi
rinnegava la fede altra volta, se non nutrita almeno spacciata, con-
sacrava nello Stivale e nella Mncerotmtàone il sentimento della /ndi-
penaema Nazionaie, soia formula di fede politica che fosse adattau
a ritemprare l' Invilita Italia. La corruzione della Socielà nostra,
scimala perpetua d'esotici costoni, percuoteva nel IMIòy nella
ScrHtOi nel JR^ama d' un eamame, nel BrtndM. Le tarpi ambiatooi
te stolide albagie netta FeMitiome di tataHeré: le stolte utopie di
BOgnaiarl innocenti forse, ma ubriachi per certo, negli VmaxAWfH
e negli immoMIi e smaveaii. La lebbra della burocrazia, che tanto
afflìggeva e snervava specialmente la Toscana, nella Legge sugi' im-
piegati, l vizi! tutu le viltà ambiziose e le ambizioni vili, le stupide
tirannie dei governi, e gii avanzi delle incadaverite usanze passate
che soffocavano coli' alito impuro i nuovi bisogni, stigmatizzava sem-
pre e da per tutto. E traverso alla sua tremenda ironia alzava di
tanto in tanto una parola ineffabile di speranza, confortava i dubbiosi
e pur volenti e anelanti dei bene, con parole sublimi come quelle
che gli uscivan dal labbro nella terra dei Morti.
Intanto le idee e i desiderii di libertà irrompevano da ogni parte,
.< e giorno per giorno facean possi da gigante. E il nome del poeta
che ruotando il flagello precedeva il carro delta libertà, distruggendo
il passato e spazzando la via degli ostacoli accumulali da tanti se-
coli di servitù, cresceva ogni giorno di splendore e di potenza. Ogni
giorno i versi dell' anonimo Toscano acquistavano quella popolarità
. che al loro merito intrinseco si conveniva. Esempio nuovo e raro :
Il pubblico rendeva imparzial giustizia a un autore; e un uomo ve-
deva vivente sorgere per esso la posterità.
A tanta fama eran salite le poesie di giusti malgrado i mille osta-
coli che le censore e le polizie opponevano alla loro diffusione. Esse
superavano 1 loro rigori correndo l' Italia o manoscritte, o ripetute
a memoria; e può dirsi senza esagerazione cbe dì niun libro a slampa
esistevano tante copie, come di questo cbe non era stampato. Il no-
me intanto dell' autore avea trapelato di sotto ai velo del quale
aveva dovuto per necessità ricoprirsi, e ormai si sapeva da tutti che
quest'anonimo poeta si chiamava Giuseppe Giusti. Dopo questa ri-
velazione i più potenti ingegni d' Italia si legarono con esso in ami-
cizia sentita e sincera, e fra questi specialmente Aiessandro Man-
zoni, che in seguito Giusti andò a visitare Milano, e Massimo d'Aze-
glio, e più di tutti l'ottimo nostro Gino Capponi nella cui casa ospitale
doveva prendere in seguito il poeta quasi abituai domicilio, e tro-
vare il letto di morte.
Ma la salute del corpo non corrispondeva alla fortezza dell'animo
e alla robustezza dell'Ingegno, chi avesse parlalo con esso io allora,
del pari che pochi giorni avanti la sua roorte^ avrebbe visto un uomo
allo di statura e aipparenteroente ben conformato, con fisonomia vi-
vace e sentila, con occhi, capelli e baffi neri, e a prima vista l'a-
vrebbe giudicato creato, come suol dirsi, per l'eternità ; ma ove me-
glio avesse considerato il suo aspetto vi avrebbe riscontrata una tinta
giallognola come di chi è affetto di fegato, e soprallntio un* ombra
di profonda melanconia, che velava fin anco il suo sorriso e spàn-
deva intorno a lui un' aura indefinita di mestizia e di sofferenza.
Nell'estate del 1844, anno jbI quale son giunlo colla mia narra-
zione, esso si recava a Livorno per esperìmen larvi il clima e le acque
del mare. Ai paliraenli del corpo che allora lo travagliavano si ag-
giunse in quei lempo. la lorlnra morale di Teder venir fuori a suo
danno una sconcia ed apocrifa pubblicazione delle sue poesie Inliio-
lale POESIE Italiane iratie da un lesto a penna. Questa edizione
nella quale gli venivano auribulli versi non suoi, e che brillava spe-
cialmente per gIMnnumerevoll errori cbe v'eran dentro a rilàscio,
dispiacque moliissinae al poèta.
Egli ne fu profondamente afflitto e indignato; e da prima per
trarne occasione ad una protesta, riunì e diede alle stampe I suoi
versi d'indole seria, indirizzandoli all'egregia donna, la Marchesa
Luisa D'Azeglio, con una lettera del 3 agosto, in cui alludendo a quella
edizione piratica, diceva: « Chi si sia preso questa scesa di testa
di accodare gii scritti dati fuori col mio nome, a un guazza-
buglio di versi o bastardi o storpiati, io non IO so; ma se debbo giu-
dicare dall' apparenza, quel misce di rime accozzate alla rinfusa, de-
v' essere un raro prodotto dell'asinaggine e della trappoleria d'uno
stampatore sfrontato e disonesto. Ma a questo penserà il pubblico
messo in mezzo e forse a suo tempo, il Poeta derubato e sfigura-
to. ^ — E ben vi pensava il poeta che da quel punto senti non es-
servi per esso altro da fare, che di dare egli stesso animosamente
alla luce le opere proprie; ma non meno senti che prima di farlo,
doveva di nuovo sottoporle alla propria rigorosa critica^ e dar loro
quell' ultimo pulimento^ che le dichiarasse da quel momento in poi
uscite, e non più sottratte dalla mano dell'artefice. — Or chi co-
nosce quanto li Giusti fosse difficile a contentarsi delle cose proprie,
e quanto lavoro gli costasse quel che'i più stimavano In lui mara-
vigliosa facililà di comporre, potrà immaginare quale studio scrupo-
loso egli adoprasse in far cosa, di cui sentiva tutta la responsabili là.
Fu lunga e mtnuia fatica, durala tutta in quell'epoca, in mezzo aite
noie e ai dolori.
La cura dei bagni di mare non portando l' effetto desiderato e,
anziché migliorare deteriorando esso ogni giorno, cedendo alle ami-
chevoli premure del medico Ortandini, si recò nei settembre presso
di lui a Colle di vai d' Elsa per provare se in quella provincia l' aria
e la tranquillità avessero pMuto porgere un sollievo ai mali che lo af-
fliggevano. Fino d' allora ali' occhio esperto del medico balenavano
i lampi di quella terribile malattia, che poi lo condusse alla tomba.
Partendo da Livorno il poeta lasciava compito nelle mani del
suo tenero amico Enrico Mayer il manoscritto di quanto voleva ri-
conoscer per suo. Questo manoscritto contenente 28 componimenti
venne alla luce nell'anno dopo in Bastia sotto il semplice titolo di
VERSI.
Le cure dell' amicizia e un sistema' di vita parco, semplice, e a
quando a quando alternato con lunghe passeggiate a cavallo, lo fe-
cero migliorare; e subito si rimesse ai suoi prediletti lavori scrivendo
allora f Amor pacificò quasi a mo'di aaggto, quasi per prosare a se
stesso che 1 dolori flsid noa gli avevan tolta la potenza morale e
l' aliitudioe di far veraL L' Jmot pacifico seri Ilo in queil' epoca è
specialmente notefole per questo, ctie gli rese la coscienza della pro-
pria forza. Fu uo* specie di resurrezione per lui. Appena ebbe di
nuovo sentilo se stesso, malgrado lo scoraggiamento die sovente lo
assaliva e Io faceva disperare delia guarigione, si dette a imaginare
un lavoro più vasto^ e quel lavoro fu 11 CingUUno che terminò poi
più tardi. Tre giorni interi s' atfoilcO la mente per trovare un nome
conveniente ai suo eroe, e poi gli die quello pspriroenllssimo che
doveva anch'esso divenlare un tipo com'era diventato il Giretla.
Giuolo il novembre, malgrado II freddo crescerne, Io sialo suo
dj salute andava sensibitmente migliorando, poteva applicarsi di più
e s' applicava specialmente alla lettura dei poeti Ialini e a scriven;
alcune scene di una Commedia che aveva da poco roediiata. Ma il
freddo sempre più incalzando io cosCringeva a lasciare la casa ospi-
tale dell' OrkauHni per passar 1» Inverno a Pescia. Là continuò più
alacremente che mai i suoi lavori e akeraò io seguito il soggiorno
fra Pescia Pisa e Firenze.
Fu verso qMest' epoca che colla solila pubblicilà clandestina
venne foori il GingUlino, da lui„ come tM accennato, imaginaio in
vai d' Elsa negli oaii di convalescente.
A questo nuovo figlio della Musa del giusti era riserbala la
stessa celebrila che ai suoi maggiori fratelli e fors' anco una più
vasta e piò estesa messe di lode. E veramente qiiei versi meritavano
questa specie di preferenza : olié mai l'abbondanza delle imagini, la
semplice castità dello stile, la varietà delle tinte avevan brillato come
in questo componimento, mai s' era veduto con tanta maestria bal-
zare il poeta dal più pungente ridicolo al più alto volo delia lirica,
mai s' era veduto stringere il nemico che combatteva in un cerchio
terribile dal quale gli fosse impossibile uscire a bene, come ve lo
stringeva questa volta. Ho accennalo di sopra come già avesse in
altri suoi lavori mosso guerra a quella marmaglia d' Impiegali su-
balterni che, specialoieole in Toscana, p«l numero e per I' esigente
avidità socchiavano le flnànae dello Slato e demorallzzavaDo la So-
cietà, oziosi e servili ; ma quanto aveva già detto contro questa
Dicasterica peste arciplebea
che ci rode, ci guasta» e ci tormenta
dovea rimanere un nulla, posto al confronto con quanto era por
dirne nel GingiUino. In esso il poeta prende il suo eroe nella culla.
Io conduce per mano all' università dove riceve r educazione
X Si X
sempre abbasMiido la rAgkiae e Pettro, ^
sempre peosando a modo del maestro;
te lo addila
Dai sacri canoni
Dalle Tandelte
Tassato al codice
Delle manette.
misto a un' infame compagnia df rabule, di spie, di birri, ascoltare
-da una femmina scahra e mae^ra P ultima lezione per esser preso
col hraoco, lezione cbe è un quadro schifosamente sublime d' able-
zionij di scelleragglnl, quadro ahi troppo fedehnenie studiato e imi-
tato dal vero. E 'GintfUnno posti in pratica i consigli della t<A\ìc vcc-
ctiia, riceve finalmente in premio
La grazia regia
Col regio -bollo,
*€ davanti n (|uc9ln ogni mnltina inginocchiato recita la sua profes-
sione di fede, che è da chiamarsi la quìnt' essenza dell'egoismo e
della servilità ridotti a sislema. "L* impressione che dovea produrre
sugli animi questo quadro, toccato con mano maestra, non poteva
non essere immensa; e lo fu.
Intanto il fuoco, che ardeva nelle vene degli Italiani, cresceva
•ogni giorno. 1 versi di Giusti erano stali un sdffio potente ad esten-
derlo, la nobile voce di Gioberti, di Ualbo, rf» Azeglio, che promet-
tevano un migliore avvenire aTI* Itaiia e le addilavan la via per rag-
giungerlo, era avidamcme ascoltata da tutte le orecchie liaiiane. Né
«loesio procedere verso l* indipendenza e la libertà era molo d'i con-
(jiure, ma moto di riforma, che a visiera alzata entrava coraggiosa-
mente nello steccato forte deHe necessità dei tempi, e dei bisogni
dei popoli. A quanto poteva ancora rimanere in vita di segretume
di setta, facevano anzi guerra a morte i<!api «del movimenlollatiano,
e ne additavano a chiare noie I pericoli. E II nostro poeta univa an-
■eh» esso alla loro voce il polente suo verso e scriveva :
I sordi tramenìi delle congiure,
II far da Gracco e da Robespierrino,
k roha smossa^ solite imposture
Di birri che ne fanno un botteghino :
Oggi si traila d' una certa razza
Che vuole storia e ohe le dice in piazza.
X 38 X
Ahi perchè gPllaliani non seppero «radicare questa mala pianta, non
seppero lasciare una via, per la quale si giunge forse a distruggere,
ma non mai a edificare, una formula che non può essere che una
continua negazione! I tramenìi delle sette fecero alwriire una rivo-
luzione, che non avrebbe avuto uguale nelle pagine della storia ;
senza di esse oggi l' Italia sarebbe, e non piangeremmo il martirio
d' un Re, grande e valoroso campione, che moriva lontano dalla pa-
tria, vittima espiatoria per le colpe di tulli l
Il movimento italiano non tardò a prender forma netta e deci-
cisa. un Pontefice, perdonando al vaticano parve consacrasse il prin-
cipio della indipendenza e della libertà ; e a quel pontefice risposero
i popoli tutti, non d' Italia sola, ma dell' intera Europa, benedicendo
e glorificandone il nome, come d' un predestinalo a riporre sul trono
di Piero quella evangelica carità che lunghi secoli di mondane am-
bizioni ne avevan bandita. Fu uno slancio unanime quello, che mos-
sero le popolazioni Italiane verso la libertà quando la videro alleala
della Croce, quando contemplarono 11 nuovo e mirando . spettacolo
della religione che, riponendosi alla testa del progresso civile, pa- •
reva promettesse di avverar I' evangelio, le cui pagine erano stale
per lunghi secoli o falsale o dimenticate.
I Principi tutti d' Italia non tentarono nemmeno resistere alla
forza della pacifica corrente che fra gli applausi li trascinava alle
riforme. Imitando tutti V esempio mosso da Roma, aderirono ai de-
siderii e alle necessità popolari, e furon visti allora spuntare quei
giorni d» ebbrezza serena che faranno del 47 un anno senza esempio
nella storia Ilatiana.
L» anima di Giusti profondamente sensibile, pianse lacrime di
dolcezza ineffabile a quello spettacolo che cominciava ad avverare le
sue speranze, a ridurre in fatto 'il lungo sogno della sna vita. Rima-
neva ritta ancora e oltracotante una. vecchia polizia antico avanzo
della inquisizione -, la coml)atlè col Congresso dei Bini : e fu così
potente quel colpo, che nell'anno stesso quella macchina d? iniquità
cadde sotto la indignazione popolare, scrisse anche in quel lorno l'ode
a Leopoldo Secondo nella quale, il pi)eta ci)e aveva punto acremente
il principe assoluto, veniva francamente a riconciliarsi col prìncipe
riformatore; e parlandogli del nuovo patto d'amore e di fede che
stringeva allora principe .e popolo, esclamava in un momento d' en-
tusiasmo :
ogni altro patto vincerà d' assai
Mille volte giurato e mille infranto j
Signor, pensa qu,el dì I versasti mai
Più dolce pianto ?
E noi piangemmo, e lacrime d* amore
padre si ricambiar ngli e fratelli :
Quel pianto che flnì tanM> dolore
Nessun cancelli.
O impeDelrabili misteri dell'avveoirel
Ma in quelF ebbrezza sincera^ che faceva palpitare i cuori di lutti,
anche di coloro che oggi son ritornali al solilo niesliere di rinculare
il secolo, e di riportare sfaccialamenle sulla scena i bei tempi (cosi
lì chiamano) del diritto divino facendosi grotteschi paladini della do-*
minazione straniera, in quell'ebbrezza io dico, una idea baleno alla
acuia fantasia del poeta Fino da quei primordi! travide, senza ren-
dersene nemmeno un conto preciso, sorgere fra gli amplessi fraterni
il mal seme della smoderata demagogia dai desiderii impronti e fu-
nesti : e quasi intuitivamente presenti lutto il danno, che queste scim-
mie di Gracchi potevano fare al suo paese. Lo presenti e lo cantò.
Primo e forse unico a ^uei tempo a scorgere il verme che doveva
rodere e fare intristire la bella pianta, appena sbucati fuori gli agi-
latori da dozzina, col suo acuto sguardo gli scopri in mezzo alla folla
e gli accennò neli' ode agli spettri del 4 settembre, ode che fu pub-
blicata sul Giornale l' Italia, Adesso che quella feccia di pseudo-de-
mocratici ci ha trascinali nel fondo d'ogni miseria, rileggendo quei
versi ne sentiamo tutta la verità e non possiamo fare a meno di pro-
stenarci davanti all'uomo che fin d'allora indovinò la demagogia mentre
tutti noi non ne sospettavamo nemmeno resistenza o la possibilità, e
cj gettò il primo grido d'allarme avvisandoci della presènza di que-
sto nuovo tipo di tribuno della plebe, e dipingendone, colle seguenti
parole, un ritratto, schifoso si ma somigliante come un dagherrotipo :
Già già con piglio d* orator baccante
sta d*un caffè tiranno alla tribuna.
Già ia canèa dei botoli arrogante
Scioglie e raguna.
Briaco di gazzette improvvisate,
Pazzi assiomi di governo sputa
snlle attonite zucche, erba d' estate
Che il verno muta.
•< Diverse Itngue orribili favelle *»
scoppiano Intorno; e altèra i baffi sconci
succhia la patriottica Bal>elle
Sigari e ponci.
Chi oggi scrivesse queste parole non scriverebbe che una sero-
piice pagina di storia; cM le scriveva allora merita d'esser cbiaoMfo
profeta, e vuol giustizia che ne sia ammirata come un portènto la
5
X 54 X
giuslezza del senso polilico. mia raenire il' poeta volgeva queste tape
Immagini nella tesu e .delincava questi nuovi tipi letali alla causa
della libertà quanto quelli dei Girella e del GitigilUni, il suo cuore
leale e generoso Éper^^B sempre che V Italia non sareblìe caduta nel
laccio e non avrebbe stuprato cogli eccessi e colle baccanti impron*
titudini il giorno verginale e sereno cbe sorgeva per lei sull'orizzonte.
In quelli stessi versi, nei quali- piimo di tutti aveva accennato al
iiiale^ esso sclamava:
.. se v'ha talnn cbe qui rinnuova
L' orgie scomposte di confusa Tebe,
popol non è che sorge a vita nuova
È poca plebe.
È poca plebe : e d' oro e «li penuria
sorge al palio dei. cenci o del gallone ;
censo e Banca ne Uà Parnaso e curia
^ Trivio e Blasone.
È poca plebe ; e prode di garrito,
prode di boria, d* ozio e d'ogni lezzo
Il maestoso italico convito
Desta a ribrezzo.
invano, invano in lei pone speranza
La sconsolata gelosia del Norde,
Di veri prodi eletta figliolanza
sorge concorde 1
Da queste parole sublimi noi vediamo che esso, quantunque gli
fosse già balenata al pensiero la sordida figura dei Bruti da trivio,
pure pieno di fede e rapito dall' incanto dello spettacolo die si svol-
geva sotto i suoi ocdìi, sperava cbe U senno italiano avrebbe sapulo
evitare lo scoglio fatale. Lo sperava anzi tanto, vedendo proceder
V Italia con passo lento ma maestoso sulla via delle Riforme, che
nel cadere del 47, stampando alcune delle sue ultime podsìe, si mo-
strava convinto che fosse ormai compiuta l' opera sua e quelle poe-
sie faceva precedere dalle memorabili parole che ho riportale in
principio, ma che non credo qui inulil cosa ripetere: non avrò la
caponeria d* ostinarmi a suonare a morto in un tempo che tutti suo-
nano a battesimo. ~
IV.
Non corse gran tempo che il movimento riformista divenne costi-
tuzionale ; e costituzionali divennero in Italia tulli i governi che ave-
vano accettala la riforma. Sarebbe stato forse meglio per la penisola,
se questo passo veniva mosso più lentamente, se questa trasforma-
rione, oeeettaria con' era, "veaiva compiuta i^lo allorquando I germi
della Tiia politica fòisero gli siati feeoadaii da qaelFediicasloiie
alla vita pubUtca^ttie gradataaente aodavaoo operando le rtlòrne.
Dopo unti secoli di servUù wvébbe sialo forse meglio non saliar di
ponto in bianco a una completa liberti ; ma arrivarci su su, passo
passo, preparandosi a riceverla rellgiosamenie come merita quella
saora cosa di' eli' é. La libertà polr^Dbe dirsi simile a un- liquore
che ristora ed accresce le forse dei corpo, ove sia bevuto da per-
sona aweua e in giiisle dosi ; ma che rischia di dare alla lesta e Ine-
briando prostrar le forze di cbi, non avendone mal gustalo, v'acco-
sti spensieratamente le labbra e ne trangugi più del dovere.
Era slato appumo per questo riflesao cbe i Costiluzionali in al-
lora avevano inalzalo il grido. della riforma. Invece di proclamar su-,
bito 11 Governo rappresentativo, che slava in cima dei loro desideri;,
ma che, apponto perché volevano sorgesse forte e indlslrutlibile, In-
leodevano venisse preparato da un breve stadio di vita politica che
fosse un quid medium fra P assolutismo dal quale s' usciva, e la li-
berla nella quale si voleva entrare. Era savio aceorgiroento, che
avrebbe per certo prodotto un gran bene all' Italia e scansale, gran
parte di quelle svenlure cbe nacquero dalle esorbitanze demagogiche.
Ma non sempre quanto gli uomini vorrebbero, la forza degli avve-
niroenli permeile ; sovente un consiglio da lunga roano meditato e
che sarebbe il migliore» riesce a vuoto per F errore di taluno che
non volle picgarvisi quando la prudenza e Potile comune lo richie-
devano. E questo accadde in Italia, il governo di Napoli, che non
aveva voluto abbracciar la riforma, dovè gettarsi d' un salto alla Co-
siituzione, come ad unica àncora di salveaza IrascioaBdosI dietro tulli
i governi d' Iialia. lo due mesi appena, guanti Stati erano governati
da principi Italiani, modellavano li loro Ptggìroeolo su quello del
Belgio e della Francia non per anco divenuta repubblica, il regime
rappresentativo, cbe ammellsva i popoli aHo pertecipozione delia
sovranità veniva sancHo fra noi, e delPaasotutismo, a meno cbe nella
sempre piùi angariala Lombardia spariva nel resto d'Italia ftn l'ombra.
I costituzionali, ed erano I più, benché forse avessero desideralo
di giungere per una via più lunga ma più sicura a questa forma di
politico reggimento, pure l'accettavano giubilanti come quella, alla
quale nel fondo tendevano tutti gli sforzi loro, ripuiandola la più
.-Klatta a portare e mantenere nella pul^lica oosa^qoelP equilibrio di
poteri, che solo può renderla prospera, perchè basata sui principii
eterni della giustizia. Il gra» passo dall' assolutismo alia libertà era
latto. Dall' essere anticipalo non aliro nasceva nei veri amici dei
proprio paese, che il dovere di attendere più alacremente aU' opera
generosa, e supplire con nobile fatica a quanto ancora mancava ne-
gli ualiani di altUudine alla vita pubblica, l costituzionali accettavano
X 36 X
di buon grado il difficile ma glorioso iocarico, e fermi nella ria ctie
calcavaDo salutarono plaudenti quel giorno, net quale i Principi,
consacrando volontariamente gì* imprescrlillbili diiilti dei popoli, ri-
paravano l' oltraggio di tre secoli di servitù.
E a quella gioia universale uni Giusti la sua. Esso pure appar-
teneva alla schiera di quelli onesti, che sulla loro bandiera avevano
scritto, indipendenza dallo straniero, e libertà regolala da leggi con-
sentite dai rappresentanti della nazione. Non è mancato chi abbia
voluto far del Giusti un repubblicano se non un demagogo; chi
spropositando a proprie modo sul!' interpetrazione da dare ai suoi
versi, abbia gridato poi al traditore quando T ha veduto rifuggir
sempre dagli eccessi, e fulminare colla parola e col voto nell' as-
semblea, le improntitudini pseudo-democratiche.
Ma se costoro fossero di buona fede, si cheterebbero leggendo
soltanto le ottave che han per titolo il Detenda Cartago. Ninna pro-
fessione di fede politica più esplicita di quella, mai aveva fatta né
fece li poeta. L' ultima ottava di quei componimento, manifesta chia-
ramente quali fossero i suoi desiderii :
scriva; vogliam che ogni Aglio d* Adamo
Conti per uomo, e non vogliam Tedeschi ;
Vogliamo i capi col capo; vogliamo
Leggi e Governi, e non vogliam Tedeschi,
scriva, vogliamo lutti quanti siamo
L* lUlla, Italia, e non vogliam Tedeschi :
vogliam pagar di borsa e di cervello,
K non vogliam Tedeschi: arrivedello.
È impossibile trovare una dichiarazione di principii più precisa e
più generosa, la quale invano tenterebbe la schiera di coloro che
tende a mostrar Giusti come arruolato sotto la bandiera della dema-
gogia stiracchiare o intorbidare. Eppure questi versi sono scritti nel
4846 quando le improntitudini demagogiche neppure si sospettavano.
Egli voleva che ogni uomo contasse per uomo, e che senno e
rettitudine distinguesse coloro 1 quali stavano alla testa della cosa
pubblica ; che cessasse l'Egioca .Arcadica dei regime paterno, e sol-
lentrassero leggi e governi j voleva F Italia Italia, e via lo straniero.
Ma a raggiungere questo nobile scopo luti' altro che, come necessa-
rio teneva il rovesciamento della forma monarchica ; che anzi se-
condo lui i padroni atiuaii non eran poi il demonio, purché venis-
sero> come diceva, un po'iarpail* La Costituzione aveva appunto per
iscopo quello di tarpar Ut ed altamente perciò si professava costituzionale.
Non andò guari, che la guerra dell' indipendenza scoppiò. Ine-
vitabile, ma anch' essa forse affrettata dagli avvenimenti di Parigi e
di Vienna, e non per questo men salutata con entusiasmo dai popoli
della penisola intera. Oh così a quell'entusiasmo avesse risposto l'opera
xwx
di luUU oh cosi fossero volali sul campo di Lombardia quanti spreca-
van la voce a urlar ne' caffé, vestiti alP Italiana, colla morte rica-
mau sul petto. Carlo Alberto scese in campo e si pose alla lesta
della santa Crociata, esponendo la sua viu e quella dei suoi Agli. Il
poeta, a cui mancavano le forze per prender parte come volontario
alla guerra, seguiva col desiderio le valorose gesta dell' esercito su-
balpino, e, addoloralo d' avere in aitri tempi ferito 11 principe che
credeva <e allora lo credevan tutti) un apostata della fede Italiana,
lo ammirava sul campo, e lo diceva primo cittadino d* Italia. E ve-
dendo da una torma di manigoldi spargere per le vie di Milano odi i
e diffidenze contro lui che solo stava in campo per tutti, gii sangui-
nava acerbamente il core ; che finalmente gii si mostravano in tutta
la loro sctiifezza scesi sulla scena politica gli spettri da lui indovinali
colla fantasia nel A Settembre, e già presentiva l'abisso, nel quale le ri-
sorte e inasprite invidie d'una setta buona soltanto a distruggere, avreb-
bero trascinato il paese già cosi bene avviato sulla via del riscatto.
Procedeva la Guerra Italiana lenla ma fortunata. La giornata del
30 Maggio aveva coperto di gloria il vessillo tricolore, vincitore ad
un tempo a Goito e a peschiera. Il completo trionfo non pareva or-
mai che questione di tempo.
intanto si avvicinava in Toscana I' epoca prefissa all' apertura
delle Assemblee. Le elezioni incominciavano libere da qualunque in-
fluenza governativa (cosa rara ma vera), e non andò molto che il
<:oilegio del Borgo a Buggiano in Val di Nievole, nominò a un im-
mensa maggiorità di suffragi i, il GivsTi a suo deputato. Era la terra
Datale che pregiava coi mandato delia fiducia 11 suo figlio più degno.
Sedè neli' Assemblea, non vi sedè oratore importuno, che poco
parlò e quando parlò fu sempre breve e conciso, ristringendo in po-
che parole quel mollo che aveva in mente di dire. Non s'impegnò
mai in discussioni che riputasse al di fuori di quella sfera di cogni-
zioni e, per cosi dire, di vita nella fluale abitualmente si aggirava ;
parlar fuor di luogo non gli pareva cosa da lui, e quelle effimere
sodisfazioni di più meschine ambizioni, lasciò senza sacrifizio, a chi
voleva farsi della tribuna una palestra di lodi. Seduto sul suo scanno
di deputato ascoltava attentamente, osservava con quel solito acume
che gli era proprio e poi senza preoccupazioni di partito dava il voto
secondo che dettava coscenza.
Quantunque avesse preso posto alia sinistra votò sempre per il
Ministero al quale presiedeva Ridolfi, le cui intenzioni rette e one-
stamente liberali gli eran note da lungo tempo. Caduto Ridolfi votò
per Capponi. E non già per quel vincolo d'amicizia che lo rogava
al venerando vecchio, ma perchè gli sembrava che la via seguita da
quei ministero fosse in quel momeato la sola da seguirsi.
Talora però il poeta trapelava nel deputato, e uscendo da una
X38X
Mdula che foste stala ripiena «oliaolo di vaoUoquIi, soleva recitare
agli amici che io aspettavano alla porla per aoconpagnarsi eoo lui,
sempre qualche strofa o qualche sonetto, Catto in quel tempo. Fhi
questi è da anooverarsi per esempio il roagoiaoasoaetto sulle Mas-
qiùfkà^ da lui scriuo oel giorno in cui, a RMolfl che abbandonava
il portafoglio astrettovi da una minorità turbolenta, rimproverava
questo abbandono il Deputalo ifaazoni che pure era una delle co-
lonne di quella fatioea minorità ; e quello che fu pubblicato sotto il
titolo V Jnuffa*Popottf e altri molti- che io stesso udii dalle sue
labbra e che adesso forse andaroo perduti. Per il solilo eran riiraui
di deputati, o di giornalisti, o di tribuni che allora cominciavano a
metter fuori le corna, tracciati con quella maestria di stile e di con-
cetto che possedeva esso solo- Eran gingilli nati li per li, ai quali
non annetteva la minima importanza e dei quali forse non serbò
copia nemmeno.
Intanto però il mal seme della discordia aveva portalo i suoi
frulli in Lombardia. Milano era di nuovo occupata dagli Austriaci, e
il nome del magnanimo Cablo Alberto risuooava, congiunto al-
l' epiteto di traditore sulle labbra di tali, che non conienti di non
avere mai sentito neppure da lontano il fischio d'una palla, o il tuono
del cannone, osavano di maledire il re generoso^ delle cui sveniure
eran causa prima, e sto per dir soia. Tanta e cosi stolida logratHu^
dine acerbamente addolorava il cuore di giusti, che più che mai
ammirava ed amava il Re appunto perchè sventurato ; e sempre più
si convinceva che in esso soltanto era da nutrire speranza ove si
bramasse compiuto, quando che fosse, il conquisto delia indipendenza.
E qui comincia quella catena di colpe, di viltà, di delilli che de-
turpò la storia della nostra rivoluzione. Qui cominciano a uscir fuori
dai guscio quegli spettri che il poeta aveva traveduti fino dal set-
tembre dell'anno antecedente, e che comparivano spargendo a larga
mano dai trivil le massime e i. desiderii dell'anarchia, abusando^
come fan sempre costoro, del santo nome di libertà. La scena po«
litica divenne allora un pandemonio in mezzo al quale era Impoesl-
bile raccapezzarsi. Le Idee più matte, i desiderii più sfrenati, salta-
van su mescolati e confusi ; e più irovavan favore nelle menti dei
pochi energumeni quanto più erano strani ed immoderati. Sia detto
qui a lode del vero ; la maggiorità composta degli onesti cosUtuzIo»
naii non oppose a questo torrente un argine forte e compatto come
avrebbe dovuto, non fece quand' era ancor tempo, nessun di quegR
atti di risoluta energia che bastano a salvare un paese, a far ricre-
dere gì' Illusi, e a costringere al silenzio chi agita la piazza col solo
scopo di pescare nel torbido. I costituzionali si mostraron in quel
supremo momento deboli e la loro debelecza formò la forza del par-
tito contrario, che oelH ottobre assnnse le redini del governo.
La sttmpa anch' esra aveva Witanto rotto ogni rilegno, perduto
ogni pudore. CoaUouavaoe è vero da un lato i gtornali onesti a
oonnpiere ooraggiosainente il, loro dovere. Ma ósAV altra era una
piena d'ingiurie, J' insulti, di contumelie gettato ogni giorno sul
volto degli uooìini più intomerati. Nulla vi era per essi di sacro : le
riputazioni meriiameate acquistato^ i nomi ilkistri per antichi e re-
centi saerifizii fatti alla causa della liberti, venivano vilipesi e trasci-
nati nel fango. Né quello di Ginri rimase illeso in tanta tempesto,
uomini sconosciuti, o celebri solo per fama infame, nel Cakantrone,
nel Popolano, nella Frusta Repubblicana, ebbero l' impudenza di
chiamarlo rinnegato e venduto, e di straziare coir arme del ridicolo
il suo nome, cosi benemerito dell' Italia.
Addoloralo il poeta per tanto acciecamento di spiriti, inorridito
nel contemplare quest' orgia politica, e palpitante pei danni che
vedeva nascerne alla causa Italiana, poco curava gì' insulti che feri-
van lui solo e sorridendo diceva agli amici suoi: qaesii cbe m'insul-
tano potrebbero rammeniarsi che^ quméo paaiavo io, gli altri sta-
vano tutti zitti.
Venne allora io Idea ad alcuni gloTaiii di fondare un giornaletto
umoristico che servisse in qualche modo a contrabilanciar la fune-
sta influenza di tanti gforaalt di slmil genere che stovano fralle
mani del partito esagerato. Ne parlarono a Giusti pfoponeodogil di
assumerne la diretfone; esso dette una mesza promessa di accettare ;
scelse anche il titolo col quate dovea il nuovo periodico veder la
luce e fu quello di Pievatèo Arlotto, La scelta del nome del buono,
gaio e tranquillo prete fiorentino nM»trava da per se l' indole che
doveva avere quel gtornale, accennava che in esso la CMcaia non
sarebbe mai stata avvelenata, il riso no» avrebbe mal celalo il
pugnale.
Ma questo^ suoeedersl di avvenimenti cosi funesti per la causa
italiaDa aveva indebolita pia che mal la mai ferma salute di Givsti:
esso era stato costretto a cercare un leoimeoto ai mali che lo af-
fliggevano nel respiro dell' aria nativa e si era recato in Pescia, da
do^e in quel torno scriveva, a un amico che doveva aver parto net
nuovo giornale, due lettere delle quali credo uUI cosa riportar qui
qualche brano, perché mi sembra che In esse egli tracci di propria
lìfiano un quadro del suo stato morale lo quel momento, e credo
che vi delinei nettamente 11 corso die seguivano le sue convinzioni
politiche fra tanto cozzo d' uomini e di cose.
Egli scriveva da Pescia :
- A mala pena tio forza di reggere il capo sul collo, tanto è
stato forte un rabbuffo di bile che he avuto questi giorni passati;
nondimeno mi fo a scriverti alla meglio per pregarti d'occuparti
invece mia del Pievmo Jrtotto, che sarebbe bene mandlir f^ori
X40X
presto e a garbo, lo mi aooo assunto TOleolieri l' Impegno di vigi-
larne la pubblicazione, ma è necessario die trovino chi lo meda in-
sieme, perchè io la Talica di comporlo^ non la posso e non la voglio
durare. »
« Se \* aria «perla non m* assiste, sarò oostrello di dare la mia
renunzia al grado di Deputato, dal quale non ho avuto altro che di-
spiaceri. I ciuchi tagliati a rinculare, ci hanno raglialo dietre come
a tanti usurpatori del potere del Principe, e i ciuchi che fanno le
viste d' andar di carriera, ci hanno ragliato davanti come a gente
restia, incarognita, comprata, e via discorrendo. Bel mestiere, lavare
il capo a tutti questi Asini I Ma lasciamo stare che il tempo è buon
testimone. -
Non molto dopo scriveva allo stesso amico quest* altra lettera
nella quale, alludendo agii Insulti che i giornali pseudo-demoeraiici
lanciavano contro di lui, diceva:
« Hanno fatto bene a cantarmi II Dies If'ae, perchè davvero son
più morto che vivo. Avendo riso degli altri, è giusta che gH altri ri-
dano di me, ma non so di dove si siano cavati quelli del Catam-
brone, che lo ho suscitati tumulti per poi rovesciarne la colpa sul
popolo, che lo dalla tribuna non ho mai aperto bocca senza dir male
del popolo, e cosi via discorrendo, fino a mettere In dubbio se io
mi sia venduto. Mi rammento di aVer parlato una volta, contro i
cavalieri di Santo Stefano; ma puè essere che sia appunto un ca-
valiere di santo Stefano, o uno che si merita la croce, quello che
improvvisa queste facezie sul conto mio. Ordine e libertà quanta ce
ne cape, ecco la mia bandiera. E quando dico ordine, non intendo
l'ordine cadaverico del Maresciallo Sebastiani, cagnotto di Luigi Fi-
lippo, e nemmeno l' ordinalo disordine che vagheggiano i cervelli
arruffati. Io sdegno alla pari i timidi e gli avventali, chi rincula e
chi si precipita, chi piscia a gocciole e chi è diabetico. Ecco II vero
modo di farsi legnare di qua e di là; non ti pareY Ebbene, piglia-
mole ne vada la pelle, purché io non m' Imbratti né di licenza né
di serviliià. E anco quel Periodico che vorrebbero pubblicare e del
quale non so come fare a addossarmi la direzione, vorrei che uscisse
fuori e si mantenesse fino in fondo, lìbero e netto da queste mac-
chie, vorrei che scansasse i pe\tegolezti, il puntiglio, il ripicco; che
badasse al principio e non alle persone : che non adulasse e non
prendesse a flagellar l' opinione tale o la tal' altra. Prefiggersi l' o-
neslà per Iscopo e tirar via a diritto. Anco quanto al modo di scri-
verlo avrei le mie fisime. Non lo vorrei né rabbioso, né untuoso; né
vizzo, né gonfio; non lisciato e non bettolante; inaomma, cerco la
pietra filosofale. •
Le frasi di quest' ultima leltera speciaknentc esprimono intero
il pensiero polilico di Gitoti, sia «olle vioeoée d' allora, «ia sul «i*
stema da tenersi per opporvisi. Quel Periodico del quale è <|ue-
sifone 000 vide poi mai la luce, un po' per le sempre cresoeoU tìo-
lenze contro la stampa che si manteneva moderata, e un po' perché
la salute del poeta non gli permise mai di vegliarne, come aveva
promesso la pubblicazione.
Intanto un decreto del nuovo Ministero scioglieva la prima As-
semblea Legislativa Toscana, convocando immediatamente i collegi i
elettorali. Quei governo nato dai disordine e appoggiato da una mi-
norità, ardita si, ma sproporzionata, vedeva una nemica invincibile
in quelf Assemblea che, liberamente eletta sotto li Ministero Ridolfi,
esprimeva veramente r opinione della ix>8cana. Esso sperava che
una nuova elezione influita e diretta da lui, avrebbe inalzata la scom-
posta minorità del trivio al grado di maggiorità parlamentaria. Lo
sperò e la sciolse. Cosi ebbe fine la prima iegislatuiHi, la coi memo-
ria sarà sempre prediletta ai toscani, perchè nel breve suo eorso,
a differenza di moli* altre Assemblee Italiane ed estere d' allora,
mostrossi operosa, assennata^ libera, prudente, animata di vero e
sentito affetto Italiano. Cosi si fosse mostrata più energica contro il
torrente dell' anarchia che irrompeva i —
All' avvicinarsi delle nuove elezioni Giusti si raccomandò ad al-
cuni amici suoi, che appartenevano al Collegio elettorale, dal quale
era stato nominalo la prima volta, perchè portassero un' altro can-
didalo. £i vedeva ormai comesi meitevao lecose^ e n* aveva tanto
ribrezzo che, come era solito dire, desiderava di stare in platea, e
non d'esser mandalo sul palco scenico. Corse voce là nel paese del-
l' intenzione sua di rinunziare anche quando venisse eletto ; e a chi
di là k> interpellò in proposilo rispose : « £ verissimo che ho rinun-
ziato la candidatura. Ho rinunziato perchè ho poca salute, ho rinun-
ziato perchè mi sento mollò al di sello del posto di Deputato, e non lo
dico per modestia ma per esperienza fatta; e analmente ho rinun-
ziato perchè sapevo le brighe di . . . coi quali non voglio esser me-
scolalo nemmeno per un momento. Serberò memoria deli' affetto e
della benevolenza che mi hanno dimostrato i buoni Poniigiani, e
prego te a volerli ringraziare da parte mia. » —
Malgrado però queste istanze sue, malgrado gP Intrighi, che ve-
ramente esistevano, perchè fosse eletto in quel collegio un tale de-
voto al governo, e a cui era stato a tale scopo formato un censo
fittizio ; 1 suoi elettóri, in gran parte contadini^ abbandonavano nel
giorno solenne la marra per correre in fretta al Collegio a deposi-
tare nell' urna il nome dell' uomo, pel quale nutrivano una ventra-
zione mista d' affetto profondo e sincero.
Si rassegnava il poeta al pubblico e difficile uffizio, e scriveva
a qualcuno di là : « Ringrazio codesta buona gente dell' affezione
die mi dimostrano e eira io vorrei aver mertlata eoo qualcosa fistia
a loro vantaggio. Mi duole amaramente l' avvenimeDlo, ma alnneno
mi focciaoo testimonianza che mi sono adoperalo per rimanere a
casa, m ogni modo sento cbe corrisponderò malissimo all' espetta-
liva concepita di me, parte per l' ingegno non esperto alle pubbliche
faccende, parte per la salute che non mi serve punto a mio modo.
L' inverno a Firenze mi è stato sempre dannosissimo ; ma fiat voltm-
lai vestrà,
G06Ì con mesta rassegnazione modestamente accettava dai suoi
etenori quel mandato , del quaJe era andato altero la prima volta ,
e di cui gli aveva allora ringraziali in persona nella modesta sala
d' una casa di quel villaggio, sulla cui porta (sia deuo a mo' di pa^
rentesi) sarà dai buoni Ponliglani poeta quanto prima un lapide che
ne attesti il cordoglio per la perdita irreparabtte. E i tempi erano
in Catti cambiari : la prima volta il deputato, altero del proprio uffi-
cio correva a Firenxe, certo di poter là col senno e colla coscienza
cooperare alla salute detta patria comune; adesso vi andava di ma*
lincuore, simile a una vittima che muova all'altare ben accorgendo-
si, se onesto, come la tirannia della licenza, tirannia più territiite di
tutte, si preparasse a violare le sacre libertà della parola e del voto.
Accettare in quel momento il mandato era un sacrifizio; GmsTi,,
avvezzo da lunga mano ai sacrifizi!, 1' accettò.
Malgrado gì' intrighi d' un governo, che, por di giungere allo
scopo, non era poi scrupoloso nella scelta dei mezzi, usci dalle urne
toscane, violale e rovesciale a Signa, a Pisa e a Firenze un assem-
blea che esprimeva, come la prima, V opinione sincera del paese, e
in cui i costituzionali avevano di nuovo la maggiorità. Era ostile per
conseguenza al governo, cbe di costituzionale aveva il nome non le
intenzioni^ come el>bo luogo di chiarire in appresso. I mtaistri però,
che erano saliti al potere coH^ unico appoggio di una minorità fa-
ziosa, non si sgomentarono^ ma si apprestarono invece a governare
colla nuova mioorilà. Avevan dofhata colle violenze la prima assem-
blea ; colle violenze esercitate fin dentro lo stesso recioto si appa-
recct^vano a domar la seconda. Questa breve legi^atura non fu
che un continuo e infruttuoso combattimento della maggiorila con-
tro la pressione delle tribune, stipate di compri tumuHuaoti, i quali
coprivano con urli e fischi la voce di qualunque deputato sor^eaae
a pronunziare una parola coraggiosa e rivendicatrice di quella vera
libertà che, io nome del popolo, si violava ogni giorno. Eran troppo
abbattute le forze di gedsti perchè potesse prender parte a questa
lotta. Bi vi aasUteva mulo e sfiduciato.
Né la lotta fu lunga. La partenza del principe Oa storia lo giu-
dicberà nelle cause e nelle ooosegueoae) lasciò seoaa ostacoli il
campo alla fazione ; una mano di forsennati violò la mattina del di
X 45 X
8 Febbraio il recioto dell' ataemblea» e la GoaiUiizk«e dello sialo
fu rovesciala ; venne abolito il Senato e il Ooosiglio generale per
convocare una camera unica, coslUueote, uscita dal snffiragio univer-
sale. E intanto la piaaza divenne più che mai teatro di disordini
continui, proletti o tollerali dal governo : 1 cirooi commossero vio-
lenze ed eccessi d' ogni aorta e vollero, come è naturale, dirigere
dominare gli uomini ebe erano stati levali al potere soliamo dalla
loro influensa. V anarchia era al colmo. Ridolfi, Salvagnoli, Corsini
e altri deputati e cittadini, conosduli per luogo affetto aUa causa
della libertA, avevan dovuto espatriare, altri celarsi, o ritirarsi noBl
sicuri nelle campagne. Che se quell'anarchia non fu macchiala di san-
gue, dò si deve alla mite natura del popolo toscano, non alla vo-
lontà dei governaflli, i quali si erano affrettati a nominare In Firenae
una commissione stauria. Non trovarono peK» chi volesse seder
giudice In quel tribunale liberticida, ad eccezione d' un solo di ctH
taccio il nome perchè preme oggi la terra d' esilio.
Giusti solitario e addolorato contemplava plaogendo le Insanie
e le colpe di questi agitatori da trivio. Vedeva pur troppo che la
cosa non avrebbe potuto andare In lungo, e sapeva come l'anarcMa
porli in se stessa 11 verme che prima o poi la divora. Ma gli doleva
dei danni che nelF uscir da quel baratro sarebbero toccati atta pa-
tria prevedeva fln d' allora 1' onta suprema a cui la sua dHetta To-
scana sarebbe condotta. E gli straziava l'anima il vedere Ohe, men-
tre CARLO ALBERTO s* apparecchiava a tornare in campo per l'In-
dipendenza di tutu, m» un uooao gli veniva spedilo In soccorso da
quei governi, che pomposamente si proclamavano destinati a salvare
l' Italia. Quando gli giunse la fatale notizia della rotta di Kovara
fu questa per esso un colpo terribile, ma non inaspettalo.
Frattanto si era proceduto alle elezioni per la costituente. Il voto
universale tanto vsataio, era riuscito mia menzogna per l' Inflneoaa
che il governo e i circoli senza guardare ai mezzi e abusando deUe
eiroostanze, vollero violentemente esercitare sulla coscienza degli e-
lettori. Quel di Borgo a Buggiano però, fedeli ai loro princlpll e alle
loro eonvinzioDt, malgrado gl'hitrighi e le mhiaocie, dettero uoanl-
né H voto all' uomo che sopra ogni altro stimavano e amavano.
GIUSTI fti eletto per la terza volta n Deputato, com' é da credersi,
non messe mai il piede in quella Babele parlamentarla.
V.
Nel giorno i3 aprile II popolo vero messe fuori la testa, e la fa-
zione fu dispersa e rovesciata con pochi colpi di focile ; non par-
lerò a lungo di una guerra fraterna anche se non costò che poche
geode di sangue. Ma quel movimento popolare die ristabUtva In To-
X A* X
scana la dinaslla Loreoese, che inviava fino a -Gaeta in dont^ uno
scellro e una corona abbandonata, era movimento eMeozialmente
costituzionale e nasionate, li programma della commissione Gover-
nativa era esplicito e chiaro; rendere al principe il trono perchè lo
circondasse di stabili e sincere istituzioni popolari, e risparmiare al
paese l'onta suprema d'un occupazione straniera, che necessaria-
mente sarebbe slata una conquista, serbando per tal modo Italiana una
provincia d'Italia. U popolo vero salutò con entusiasmo questo nobile
programma, quando gli venne bandito dalla ringhiera di Palazzo Vec-
chio; con entusiasmo salutò il vessillo tricolore che lo simboleggiava.
I nomi dei componenti la commissione erano una guarentigia
delle loro oneste e libere opinioni. Dopo sette mesi di inutile e fe-
brlle agitazione, il popolo toscano finalmente riposava tranquillo e
confidente in qucll' avvenire, che esso stesso àvea per se conquistate.
Forse la confidenza fu troppa e troppo spinta; se la Commissione go-
vernativa avesse convocate immediatamente le Camere, illegalmente
disciolte non distrutte dal Governo provvisorio, la Costituzione non
avrebbe, nemmeno per un momento, cessato d' esaere una verità.
Ma tanta in quell'istante, era la fiducia che questo pensiero non ba-
lenò forse nemmeno alla mente del Municipio. Né possiamo rimpro-
verarlo. L' uomo onesto ha l'abitudine di creder tutti onesti ; chi po-
trebbe ascrivergli a debito se in questo generoso giudizio s'inganna ?
GIUSTI anch' esso si rallegrò di quel fatto, che mettendo un ter-
mine all' anarchia demagogica pareva dovesse, mantenendo alla To-
scana l'indipendenza e la libertà, avvantaggiare la comun causa d'Ita-
lia, che sopra ogni altra gli stava a core, e rimediare, o attenuare
almeno il peso delle sventure che, dopo la infausta giornata di No-
vara, ci gravavan sul collo. I suoi voti, come quelli della intera To-
scana, tennero dietro alla Deputazione che si recava a Gaeta per ri-
porre sul capo d' un Principe una corona riconquistata dal generoso
slancio d' un popolo intero.
Quando lo storico dovrà giudicare P importanza politica di que-
sti giorni, si troverà naturalmente perplesso, ondeggiante fra I tanti
e tanti criterii coi quali venne considerato fin qui ; portalo dagli uni
alle stelle come una redenzione civile, trascinato dagli altri nel fango
come una restaurazione della barbarie. I ristretti limiti nei quali
mi debbo mantenere, non mi permettono di dire intero il pater mio su
questo memorando avvenimento : ma tenterò ad ogni modo d' accen-
narlo per sommi capi. Il movimenta del 43 Aprile fu così spontaneo, co-
si leale, così schiettamente costituzionale e italiano, e lanto nuovo nella
storia moderna, (la quale mentre offre l'esempio di cento Re spo-
destati dai popoli , non ci offra quello d' un solo re rimesso sul
trono per opera loro ) che non potè non meritare una specie di ri-
conoscenza, non p0lè» almeno apparentemente, non estere accettato
X4tf X
dagli uomiDl di Gaela. Ma se ben si riguardi alla combriccola che do*
mioava colà P animo del principe e le sorti del paese, dovrà con-
fessarsi che, all' iniquo fine clie s' era proposta, non poteva opporsi
un* ostacolo più tremendo di quella spontanea e popolare restaura-
zione.
vinta ormai dall' Austria la giornata di Novara, le sorti delia To-
scana eran già stabilite a Gaeta. Un corpo d' armata avrebbe facil-
mente varcato i confini, mal difesi dal Governo insurrezionale. Dalla
Magra al chiarone sarebbe stala la conquista del paese una facii con-
quista; e i conquistatori vi avrebbero ristabilito a lor agio nello e
pretto l'assolutismo senza veli, senza maschere; avrebbero rimessa
su la baracca come stava nel 1946, con più un po' di ferocia Napo-
letana e il gravame economico dell' occupazione. A questo disegno ,
che sorrideva nella mente dei diplomatici di Gaeta, venne a porsi
davanti inaspettata ed invisa la giornata del i3 Aprile, e l'arrivo della
Deputazione che avea mosso da Firenze dopo quel fatto.
Le condizioni erano mutate; non si trattava più d'un sovrano
che tornasse negli stati suoi alla testa d' un' armala conquistatrice
e che forte delle spade trionranti dell'allealo straniero^ vi si assi-
desse assoluto; ma si trattava d' un popolo che inviava una eletta
di cittadini a deporre sulla testa d' un sovrano quella stessa corona
che esso aveva abbandonato fuggente. Nel primo caso il principe
conquistando poteva fare quello che meglio gii paresse appoggialo
alla forza ultima ratio regnmj nel secondo doveva almeno in parte
accettare i princlpii che avevano animato il suo popolo nel di del ri-
scatto, per non assumere nella storia il marchio incancellabile di fe-
difrago e d' ingrato. Tali erano le condizioni nelle quali gli uomini
di Gaeta venivan posti dall'avvenimento del 13 Aprile.
Ormai però eran troppo avanzate le pratiche loro coirAustrìa e
troppo avevan nell'anima sgomento e paura, perchè, secondando il
volo unanime della Toscana, coraggiosamente e chiaramente espresso
dalla deputazione florenlina, declinassero dal pattuito intervento. Ma
se non vollero piegare, come l'avrebber dovuto per l'interesse dei
paese e per la dignità del principe ; se la paura, eterna rovioatrice
degli Stati, allignò tanto nell'animo di quei tremembondi e stolidi
consiglieri da far si che violassero quell' indipendenza che al paese
era i*ara quanto e più della lil)ertà, fu pur gioco forza per essi, prò*
nunziare a denti stretli il nome di Costituzione. Questa parola, che
bruciava loro le labbra e che fidavano di cancellare dal dizionario
del nostro diritto pubblico, fu dopo'quel giorno necessario riporvela.
Poiché il non averlo fatto sarebbe stato lo stesso che lodarsi davanti
alla istoria di macchia tale che secoli e secoli non sarebbero basta-
ti a lavare. Questa conseguenza salutare si è quella che deve a pa-
rer mio servir di base allo storico per giudl^jare il 12 Aprile. Quel
:=< -«6 X
giorno fu qutilo che neeenilò ti (MroinincUMM di nuovo la parola Co-
stiiuzione, la quale forse altrlmenli tarebbe stata canoeilaia con nòno
ardila e sacrUega ; quel giorno fu queik) che, rencteDdo la interven-
zione straniera inotile e superflua, le rese ingiustificabile e per con-
seguenza più debole e meno diuturna, .come tutte quelle violazioni
del principio di nazionalità le quali» oltre al non aver base nel di-
ritto, si trovano a non averta nemmeno nella necessiià.
Molti geoerosi più che savii, oggi che veggono la Costituzione
ridotta allo stato di larva dall' impuro contatto di governanti che
liran via come se fossero padroni assoluti, e che dolenti dovettero
assistere a un atto simile a quello de' sa aprile iSSO, si sdegnano
col 43 aprile del 49 e, inconsideratamente, lo chiamano cagione
prima d' ogni male nostro presente, costoro però sono in errore.
Se il 13 aprile non fosse spuntalo in Toscana le nostre condizioni
attuali sarebbero più lacrimevoli di quel cbe non sono.
E vero cbe oggi una mano faziosa d' ao«rchici assolutisti sogna
un poetico e violento ritorno al passato, e fa di tutto per riportare
il paese a condizioni e a sistemi turpemente sovvertitori dell'ordine
pubblico, rimettendo su quanto di corrotto e di corruttore esisteva
in fatto o in germe nell' iniqua forma del governo assoluto. Ma co-
tesloro tentano opera impossibile. Il fantasma, il nome solo della
costituzione che pur doverono pronunziare a Gaeta, turba la loro
orgia burocratica come lo spettro di Banquo. Quella parola, e lo
sanno, è una di quelle colle quali non si scherza impunemente, per-
che significa libertà; e la libertà coRa forza brutale non si uccide.
Punisce Iddio adesso gli errori nostri, lasciandoci per brevi giorni
alle mani di quella fazione di retrogradi gallonati; ma quando le
co Ipe saranno espiate, essi cadranno sotto II peso di quella parola
che diverrà un fatto. Il disprezzo più che l'odio sarà la loro con-
danna, perché un popolo ha generosi Istinti e perdona. E quanto
dissi della libertà, può dirsi della indipendenza, un atto illegale, sì
chiami pur convenzione, il quale pretenda consacrare la dipendenza
nostra, non per necessità dello stalo, ma per l' interesse egoistico
di pochi individui, che stanno attaccali ai loro portafogli come F o>
strica allo scoglio, è atto che non ha garanzia di durata, e ette deve
necessariamente perder la propria efficacia appena cadono un siete-
ma, che basato sul falso, non può esser se non effimero. La dipen-
denza d'uno stalo è condizione anormale; la necessità soltanto può
talvolta, giuslificahdola in qualche modo, renderla possibile e dure-
vole, facendone una condizione della esistenza dallo stato istesso.
Ora senza il 42 aprile, 1* assolutismo e la dipendenza della To-
scana dall' Austria sarebbero state basate sulta necessità. Quel giorno
fu quello che ridusse gii atti che le sanzionavano, alla sfera di poli-
- lica di partito, anzi di persone ; e con questa restrizione, rese am-
X « X
bedne quei folti anorniftU» e perctiò aaoriMK, imponibili e mliaBlo
momeDtaoeL A quel storno pere . deve liooenuiieDte benedirsi da
Gbiunque ami daYvero il paese, cbè per certo gli asaolutlsti e gli ol-
tramoalani^ se Aogono di esaltarne con pubbliche pompe l'anniver-
sario, lo maledicoDO poi oordialmenle io segreto <i).
Perdoni il lettore la digressione lunga si, ma non inutile. —
Tanto era giusti convinto delle verità cbe qui sviluppai, che sempre
soleva dire; ne$9uno ormai potrà togUerci ienoHre libertà eoMittaio-
nati. Ma questa lieta speranza, profondaineoce radicata nel!' animo
suo^ non toglieva cbe aoer t>amente non l' addolorassero e la pre-
senza deli' armata occupante e lo spettacolo delFanarchia nuota che,
cogli uomini del governo restaurato si assideva travestita da ordine,
in Palazzo vecchio, un giorno, fu 1' ultimo eh' io lo vidi, mi parlò
a lungo delle condizioni presenti d' Italia e dei nostri falli passati e
delle speranze avvenire; e pensando all'alba serena della nostra
rivoluzione e all'oscurità presente del nostro orizsonte politico,
esclamò sospirando:
o iHion principio
Anche vii Oae coavien che tu caschi !
voglia Iddio, soggiungeva, che almeno la lezione sia stala proficua.
Io non vi sarò più quando i tempi saranno di nuovo maturi ; ma
voi giovani, cbe ci sarete e che vedeste le cause del male, gridatele
a viso aperto e state uniti. A questo patto soltanto l' Italia può rial-
zarsi, e presto.
L' aria marittima di Viareggio rese migliore alquanto, nell'estate
del 1849, le condizioni della sua salute, ma fu breve il miglioramen-
to : infatti una tremenda miliare Io assalì dopo tornato in Firenze.
Superò anche questa malatUa, che però lasciò in esso Straccie cosi
profonde, che i medici ormai non s' Illusero più sulla prossima fine
del poeta. Nel crudissimo inverno del ISSO stette chiuso quasi sem-
pre nel palazzo ospitale di G\ìì9 Capponi, cbe l'aveva sempre amato
con affetto di padre. La malattia faceva in tanto dei rapidi progres-
si ; gli spurghi sanguigni eran divenuti sempre più frequenti e al-
ci) Questa specie di previsione sulle conseguenze che avrebtiealia
Toscana portate la spontanea restaurazione del 19 Aprile non furono
pieoamente gtustiflcate dagli avvenimenti posteriori. Dopo tre anni di
sospensione. la costituzione Toscana venne abolita nel 1052. se in que-
sta parte andò fallita la speranza dello scrittore, si avverò in quanro
riguardava la durata della occupazione straniera, poiché nel 1856 le
truppe Austriache sgombrarono la Toscana, dove forse la loro presenza
avrebbe avuta ben altra durata ove con diversi e sotto diversi auspicii
fosse avvenuta 1» restaurazione.
NOTA DZLL'EDITOBB.
X «x
tarmami, un suo amico visitandolo il SS di marzo, lo trovò tranquillo
e lieto ma pieno dei presentimento della sua prossima Roe; Giusti
gli parlò con faccia serena della sua morte vicina e, a lui clie voleva
con amichevoli conforti scacciare quel cupo pensiero, accennò con
un sorriso la sputacchiera piena di «angue. Sei giorni dopo nelle ore
pomeridiane del M marzo, lo assali un improvviso insulto d'emot-
tisi; ebbe appena il tempo di gettarsi sul letto dove spirò soffocato
da un getto di sangue, prima che i medici giungessero ad appre-
starli i soccorsi deir arte. —
Corse come un lampo la voce delia perdila irreparabile della
città; e fu un dolore profondo e sincero quello che seguitò aldi là
della vita il poeta civile. Si volle rendergli gli ultimi onori; ma non
fu che dopo lunghe premure e iocredibili ostacoli per parte del go-
verno, che gli amici ottennero il permesso d' accompagnarlo con
pubblica pompa ai sepolcro. Le vanità ferite, le turpitudini smasche-
rale, serbavano rancore anche al di là della tomba. ^ La sera del
primo d' aprile gli addolorali amici seguitavano in folla la bara del
poeta; Ora 1 suoi resti mortali dormono io pace nella chiesa che
corona la eollina di S. Miniato e la pietra che lo ricuopre e falla
segno di pio pellegrinaggio a quanti Io amarono in vita. —
E lo amarono quanti lo conobbero. Che tralasciato qui anche
Piogeno suo, e la sua ammirabile sagacilà e fermezza politica, esso
fu nel conversare domestico di modi gentili tanto e d'indole così
mite ed ingenua, sicché fosse impossibile non amarlo dopo averlo
anche per una sola volta avvicinato. Mesto per natura e per abitu-
dine, ma sereno e tranquillo nella sua mestìzia, aveva V anima aperta
ad ogni sentimento che fosse nobile ed elevato. Piuttosto taciturno,
t' incantava però allorquando In un raro momento d' ilarilà lasciava
libero il corso al sorriso, idolatra del bello e del buono la virtù
adorava, e tanto aborriva da vizii che lordavano la società in mezzo
alia quale era nato, che in quest' orrore appunto attinse la volontà
e la forza d'esser poeta. Costante nell'amicizia, non curante di quelle
olTcse che non ferivan che lui, buono, soccorrevole, modesto, senza
invidie e senza ambizioni, senza orpello e senza vernice, sarebbe
stalo un modello di cittadino per i privali suoi meriti, quand* anco il
suo ingegno non I' avesse sollevato all' altezza che raggiunse come
poela. —
VL
Dopo aver parlalo di Giusti nella vita domestica e nella vita po-
litica, credo necessario, per compiere come che sia l' assunto da me
intrapreso, considerarlo brevemente nella vita letteraria. — Basta get-
tare uno sguardo sopra { versi del nostro poeta, per distinguere in
X *9 X
essi quel suggello d'<»rlgiiiarnà onde sono improntali^ e mtairare
loilo intiero lo spazio cbe lo divide da quanti lo precedettero, giusti
non somiglia a nessobo. Questo é al tempo slesso l'elogio più grande
die possa tributarsi al poeta, e la verilà più schietta che possa pro-
nunziarsi dal crillco. Non mancò cbi parlando di lui si almanaccasse,
la testa per cercar del modelli al suo stile e al suo genere, e, non
trovandone In Italia, andasse a scavarli al di fuori, paragonandolo a
Beranger. A parer itile però non v'è altro bisognoche quello di porre
per un momento solo a eoofrooio 1 canti popolari del poeta francese
con quelli del nostro, per accorgersi della differenza immensa che
passa fra loro due. Un tal ravvicinamento a senso mio è puramente
immaginario, e coloro che lo fecero o dovettero non aver, letto He-
ranger j o non aver compreso Giusti. Mostrar la diversità che in-
tercede, fra quei due generi di poesia politica, sarebbe la cosa più
facile di questo mondo, e lo farei se mi fossf preso F assunto di
scrìvere un Saggio suUe opere di Giusti ; ma questo confronto mi
porterebbe fuori dei limili che son prescritti a dei semplici Ceimf,
Non voglio però tralasciare qui di notare come, secondo me, un
Saggio che sviscerasse il concetto di tutte e singole quelle poesie,
che rivelasse agli Italiani tutte le profonde bellezze cbe si racchiu-
dono in qnell' aureo volume, te quali come le gemme d' un tesoro
inesaaribile non fanno che moltiplicare quanto più vi si fruga den-
tro, quando venisse scritto con coscienza e con amore, sarebbe opera
tale da onorare non solo chi vi si accingesse, ma da giovare immen-
samente e alla letteratara patria, e alla educazione politica degli Ita-
liani.
Esaminando il libro del giusti e gustando 6n dalla prima lettura
ì pregii d'un' originalità che vi rapisce e vi meraviglia, la prima di-
manda che fa il lettore a se stesso d questa semplicissima e natura-
le : donde trasse il poeta l' ispirazione ? qual fu il sentimento che,
domioandolo, lo trascinò a creare un genere di poesia il quale co-
me non ebt>e modelli cosi forse non avrà imitatori T — Quanto però
è naturale che lei dimanda s' alfacd alla mente, alirellanto è diflBcile
la risposta per chi s* accinga a darla, e non sia andato in quella
lettura al di là della corteccia. Può benissimo accadere che un let-
tore superficiale giudichi Giusti piuttosto secondo il proprio caratte-
re o H indole propria, anziché a norma di quanto in esso veramente
si contiene; per modo che se buontempone e tranquillamente gio-
viale, non vegga nel poeta che un gaio uomo, il quale ama di ri-
dere e di scherzare e creda cosi die dal riso attìnga le sue ispira-
zioni. Se per lo coolrario è un di quei malcontenti che si fanno un
sistema del brontolare, nulla dì più facile che in esse ravvisi un
atrabiliare cbe soffocalo dal malumore mena a diritta e a sinistra il
suo flagello, e nella bile allioge la forza della sua creazione. Ma chi,
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basandoli sopra odo studio profondo, e col solo acopo di cercar nella
poesia 1* anima del poeu, si spinge più addentro nel segreto di quello
stile, chi medita freddamente quel sorriso al quale atteggia le lab-'
bra, ben altra riconosce esser la fonte da cui attinse le ispirasiooi
polenti ; e traverso alla fantasmagoria che il suo verso & passare
davanti allo sguardo, indovina nel dolore soltanto la musa che lo
ispirò* Non paia strano a taluni se io vengo oggi francamente ad af-
fermare che quei versi, I quali tante e tante volte risvegliarono il
loro sorriso, hanno nel dolore soltanto il loro principio e la loro ragione.
Io prima di tutto vorrei potere scendere nell'anima di quanti leg-
gendo le poesie di giusti sorridono insiem con lui, e son certo che
vi scorgerei insieme una lacrima involontaria e forse ignorau anche
da chi la versa, cadere olocausto segreto sul!' aliare della virtù. Ma
anche tralasciato questo fenomeno psicologico un po' difficile a co-
statare, mi sembra faeiie cosa il mostrare la verità di quanto asseri-
sco. Giusti ride; ride In modo così potenle, che guai per chi è fe-
rito da quel suo riso immortale; ma in mezzo alla canzone vestila
a festa che sgorga dall'anima del poeta, sovente una parola profon-
damente melanconica esce Involontaria dalle corde della sua lira e
adombra per modo col tenue velo della mestizia il lampo del suo sor-
riso, che l'animo del lettore si perde nel sentimento nuovo che prova
e non sa spiegare a se stesso, tanto da esclamare inebriato : é «u-
btim$. Giusti piange e ride ad un tempo, e il suo sorriso è figlio
della sua melanconia^ e per essa sola si spiega e si rende intelligi-
bile e chiaro. Il culto, l'Idolatrìa per quanto v' ha di bello e di buono,
per la virtù e per la liberlà, domina l' anima, del poeta. Esso
vede però la virtù soffocala dal vizio che irrompe trionfante,
la libertà uccisa o minacciata dall'errore, dal costume, dalla tiran-
nide. Allora si sdegna col destino e cogli uomini, e maledice in cuore
alle turpitudini che son ragione unica e fatale dell'indegno spettacolo.
Ma la sua mente, alla quale è dato di spaziare con più alto volo,
travede come sien deboli le basi quali s'appoggia quell'edifizio, il
cui aspetto tanto lo afQigge, quanto quel trionfo del vizio sia effi-
mero e vano, come esso chiuda in se stesso il germe della propria
distruzione, come quell'orgia sia degna più d'un sorriso di commi-
serazione, che dello sdegno e dell' ira. E allora il suo sdegno si
scioglie in riso; in un riso più pungente della lacrima, in un riso
che non passa alla midolla, e fa sì che si senta, com' esso dice.
Simile al saltimbanoo
Che rouor di fame e in viso ilare e franco
Trattien la folla.
E la melanconia, che pur gii resta nell'anima^ non può nasoon-
* r poi tanto che talvolta non trasparisca e non veli la galvanizzata
x«tx
letteia della tua voce, eonae mi miv«Io leggefo vela la Iì8eac«ce»ie
di OD orizaODte InAiocato.
k qaetlo giudizio il Mio die debte pronaiiziarti dopo mia at-
tenta lettura dei veni di oiiTnr. E percM non si creda oogltidiiio
immaginario o fantaatieo acoenoerò come abbia un appoggio e una
gioaCIficazione nella sua steasa parola, nella prefazione infaUI pre-
messa da Itti alla prima edizione di Bastia, esso dice cblaramenie ai
lettore; • se tu sei tagliato unicamente a spassarti non andare più
» lo là di quesu pagina, percliò un riso nato di malinconia potrebbe
» farti nodo alla gola, e me ne dispiacerebbe per te e per me. • — Né
altrove sfogandosi col suo venerabile amico Gino Capjfom^ tralascia
di esclamare :
ID quanta guerra di pansler mi pooe
Questo cli« par sorriso ed è dolore !
Più olire vagheggiando colla meole IMstante nel quale, cessale
tanle turpitudini, e venuto finalmente «il regno della virtù, della li*
berli, della legge, si compiano I nobili desiderll pei quali pianse e
sperando cantò, con aspirazione sublime affrettando quel tempi mi-
gliori ripete:
Beate me se un di potrò la mente
Posar quTeta in piò sereni obietu
E sparger fiori e ricambiare affetti
soavemente (
Basterebbero queste sole citazioni per rivelare intero il concetto
delle creazioni di GrosTi e farci assistere all' intimo combattimento
t^e queil' anima infiammata d' affetti n(d>ili e generosi durava ogni
giorno, e dal quale emergeva il suo carme; ma questo segreto delle
sue poesie è anco più ciiiararoente rivelato da queste strofe malin-
coniche e gentili nelle quali si mostra a nudo e cbe non lasciano più
dubbio di sorta suli' indole sua :
Alla virtù mirando
Move senza sgomento
Rimprovero e lamento — il mio dolore,
se con sicuro viso
Tentai piagge profonde.
Di carità nell'onde
Temprai r ardito ingegno
E trassi dallo sdegno — Il mesto riso.
Da queste parole è rivelalo intero il processo intemo, col quale
il poeta giungeva, o meglio era spipto alle sue creazioni. Innamo-
ralo della virtù sentiva acerbo dolore in vederla calpestata soccom-
XMX
bere in mezzo all'orgie del vizio trionfàote ; aliora un nobile sdegno*'
kU fremeva nell' anima amante e nasceva quel sorriso terrìbile e me>
sto ad un tempo che, come un dardo avvelenato, uccideva qualun-
que ne venisse ferito, fosse pur d' una semplice sca16itura.
in questo arcano nodo fra il sorriso e il dolore è tutto il segreto
dell'originalità del nostro poeta. Questo dolore profondo non esa-
lava dalla sua bocca in vani lamenti, in perpetui singulti, che a Inngo-
andare rischiarassero per necessità di inciampare nei galvanizzato, e
in quell' affettato romanticismo sonoro di parole e vuoto d'idee, dal
quale tanto aborriva; quel suo riso tremendo, ma non maligno, non
usciva dalle sue labbra spensierato o imprudente, come dalie
labbra di certi classicisti a tuli' oltranza^ il cui scetticismo esso di-
sprezzava quanto e più dei vaniloqui romantici, prima di lui arcadi
poeti avevano riso per ridere : esso, con nuovo e portentoso inge-
gno (mi si passi la stranezza deli' espressione in grazia della verità
del concetto) rideva per piangere.
L'arpa meravigliosa di questo poeta, che lambita dal soffio del
dolore tramandava concenti terribilmente lieti, doveva necessariamente
esser composta di corde nuove, come ne era nuovo 1' elTetto, con-
sideralo di fronte alla causa che lo produceva. Questo poeta, che
non aveva modelli nel passato, doveva necessariamente servirsi dr
mezzi sconosciuti per raggiungere quello scopo chele rendeva tanto
ammirato ed originale. E questi consisterono sopratulto nello stile
e nei concetti, o meglio nella veste colla quale li ravvolgeva, nelle
tinte che adoperava per colorire i suoi quadri. — Toccherò in po-
che parole di questi due mezzi artìstici che così mirabilmente servi-
rono a rivelare la potenza di quel mirabile ingegno. —
Lo^ stile di Giusti per chi la prima volta vi getti sopra lo sguardo
apparis'ce nuovo cosi e inusitato, che a mala pena uno se ne può
render ragione. E la cosa è naturale; I' orecchio avvezzo da anni e
anni ai suono mellifluo d'unn lingua mescolata di frasi e<di parole
imbastardite, si trova come in un paese nuovo, quando sta davanti
a una maniera di scrivere nobilmente e veramente volgare. Non
posso, né debbo far l'onta ai poeti, che precedettero Giusti, di chia-
marii. mettendoli tutti in un mazzo^ stupidamente imitatori del far
d» oltremonte, e affermarti rovinatori della nostra favella. Quel che
guastò la lingua non fu V opera loro, ma la lunga abitudine di ser-
vilità, alla quale le politiche condizioni condussero i cittadini. Se però
la maggior parte di essi non può venire incolpala di tanto peccato,
può addebitarsi d' aver colpevolmente contribuite alla decadenza
della favella italiana, per la compiacenza servile colla quale seconda-
rono quella illuvie straniera, a cui potean pur far argine, e adope-
rarono gì' illegittimi modi malamente introdotti dall' uso. E questa
maggiorità fu quella che si compone di quel ceto di pseudo-lelte-
rati , che imbotiUa la testa di dtaatoDl, dod fanoo altro che strasci-
car 1'* estro sulla falsariga. Anche 1 migliori però I quali, al momento
in cui Giusti cominciò a meditare sul modus teltendi per trarre al-
l' atto P opera sua, vollero attenersi fedèimente alla lingua sana e
verace, per lo stesso genere elevato che trattarono, necessariamente
dovettero rimanersi in una sfera di linguaggio puro si, ma sovente
•convenzionale. Giusti impaziente d' ogni pastoja la ruppe con tutto
quel che sapesse d' oltramootaoo o di convenzionale; e dopo essersi
fallo un giusto criterio delia lingua nostra negli aurei modelli anti-
chi e specialmenle in Dante^ senza cercar più oltre studiò la lingua
nella lingua viva del popolo, in quella che semplice, pittoresca, pu-
ra. Incontaminata, suona ancora sulle labbra del nostro volgo, te-
soro tramandato da padre In figlio senza volerlo, senza saperlo, e
tanto più' ricco ed Inesauribile, quanto meno apprezzato da chi lo
possiede.
Né- poteva fiw« aitilmenii. Esso volea riflettere nei suoi versi in-
cera e palpitante la tila qual'era. Li avrebbe tentato invano, ove fosse
ito a cercar lo strumento in una lingua bastarda e adulterala, la
<]uale teneva di tutte ie lingue senza appartenere veramente a nes-
^■suna. Per dipinger la vita abbisognava d'una lingua veramente vi-
vente; e questa non era e non poteva esser che la lingua dei popolo
tradizionalmente conservala. Da questa lingua paesana, che esso volle
e seppe adoprare, sceverandone quanto potea contenere di corrotto
e conservandone quanto racchiudeva di prezioso, el giunse a levar
fuori uno stile che comparve nuovo appunto perchè era antico, e
perchè da lunghi e lunghi anni era staio lasciato da banda dagli seri-
•vacchiatori d' ogni maniera.
Da questo ritorno ai modi del popolo, che è sola fonte e solo
•giudice io fatto di lingua, esso ottenne una esattezza nelle espres-
sioni, una giustezza negli epiteti, una profondità nella parola, una venu-
stà nella frase, una certa aura d'antico, che Io reodano e lo renderanno
sempre un modello a quanti abbiano l'ambizione, accozzando quattro
parole, di averle scritte in Italiano e non in gergo poliglotta. <^ues(o
adoperare per il primo dopo tanti e tanti la vera lingua voigare questa
«peeie di riabilitazione, oltre all' aver servito* maravigliosamente al
poeta, che Invano avrebbe in una lingua adulterata cercato modi
adatti ad esprimere I suoi concetti, deve conciliarli la gratitudine
dell' intera Italia, che quest' ardimento filologico è in obbligo di
considerare come opera di carità patria. L* indipendenza della lin-
gua è il primo elemento della nazionalità. Se Giusti a questa indi-
pendenza contribuisse non m' è d'uopo provare. Almeno gli serlttori
che verranno dopo di lui imitino quell' esemplo, e scansando con
savio accorgimento il vietume consacrato in codici polverosi e
ie nuovità introdotte da scrìvacchiatori impudenti, studino e adope-
lino la liDgua come sta tulle labbra del popolo. Giusti ne porse
l' esempio s il suo libro rimarrà eterno documento del oomepariava
il popolo d' Italia nella prima metà del secolo XIX.
U segreto dello stile di Giusti si racchiude^ a parer mio, in
una sentenza che sovente solca proaunzlare, quando qualcuno si mo-
strava meravigliato del suo modo di scrivere; e gli chiedeva dei co-
me. Esso diceva : « quando mi metto a scrivere mi spoglio della
n giubba signorile e mi vesto della giornea paesana. Faccio a rove-
• scio degli altri che s' Infilano invece la giubba co* gallooi. » Impa-
rino il fadi segreto I giovani che s' accingono a scrìvere ; gettin
l' orpello ed i fronzoli, e cercbin la lingua nel popolo, il come ado-
perarla nel Giusti, e allora l' Italia, che ha In casa sua tanti barbari,
ne avrà meno se non altro nella caterva d^ll scrittori.
Una volta che Giusti ebbe col suo studio profondo degli scrìt-
tori antichi, e del moderno ma puro favellare del popolo, ritrovato
questo stile adornò di bellezze peregrine e dolalo d^ una forza,
d'una esattezza, d' una concisione, alla quale erano disavvezze
da lungo tempo le snervale orecchie italiane; forte di quest'arme
potente si apparecchiò a rivestire della parca e splendida veste i con-
cetti che, peregrini quanto lo stile, gli balenavano nella mente. Né
questi concelti ritennero meno dell' aurea semplicità dei suo siile.
Lontano dei pari dalla nebbia cosi detu romantica, e dal veocblame
arcadico, esso si basò sopra tutto nella verità, e fece di quella il fon-
damento alla sua forma. Volle e seppe parlar in lingua paesana, e
a dir quello che gli veniva naturale alia mente e nulla più : rlfiig-
gendo da quanto potesse saper di lambiccato e di arzigogolato. Non
si fece mai dell'arte un prisma fallace, che Iradncendo 1 suoi con-
celti gli rendesse svistl; né volle mai nei cooceUi falsificar l'indole
propria. Cercò di mostrarsi lai qual'era, di dir le cose come le pen-
sava, e cosi facendo vedere^ardllameote la sua flsonomia, seppe riu-
scire nel tempo stesso semplice e sublime. Messe fuori francamente
la faccia senza imbellettarla e invernidarla mai, e trovò modo d'unire
alla schiettezza dei suoi pensieri la profondità. Sovente, anzi sem-
pre, (tralascio gli esempii che mi porterebbero chi sa dove) dà sto
per dir la vergine tutta l' ampiezza che prende nella meote del
lettore una semplicissima idea, espressa patriarcalmente dal poeta nel
suo solito volgare.
Nò con questo intendo dire che giusti non adoperasse scrivendo
un arte profonda; che anzi dovettero quei modi costarli, come gli co-
starono, enormi fatiche. Ma appunto la epceilenza dell* arte sua in
questo più altro consiste, che seppe rendersi invisibile, il suo con-
cetto e la sua parola sembrò senapre, anziché il frutto di lunga e
stentata elaborazione, la spontanea e facile espressione d'uo'ldes,
vestiu alla buona appena balenata alla mente. Quest'arte, tanto più
Xfi»X
meravigUoea quanto meoo posta la evideoza, arriechi le sue poesie
di effetti, piuttosto unict che fari, e le vestì di tale ud origioalltà da
renderle veramente un tipo. E fra tanti pregi, uno di quelli che non
posso passar sotto silenzio si è l'abilità, la disinvoltura di certi su-
bitanei passaggi dal mesto al lieto, abilita che esso solo possiede. Non
appena ha finito di forvi scorrer sottocchio una scena che sveglia
il vostro sorriso, ecco che con un saito gigantesco e improvviso vi
trasporta a sua voglia al pianto, allo sdegno, alla melanconia. Voi
non giungete a spiegarvi 11 come, ma le vostre labbra non son più
contratte dal riso, e il voatro ciglio ò Invece bagnato da una lacrima
pia, il vostro cuore balle d* un' ira geoerosa.
Dall' unione di quel semplice stile e di quei semplici e al tempo
stesso profondi concetti, nasce l'insieme d'una forma piena, casti-
gata, fluida armoniosa, che merita e riscuole a buon diritto l' ammi-
razione e la simpatia d'una intera nazione. 11 lettore si sente come
da una forza ignota ed irresistibile trasportalo verso il poeta, che
con si nuovo modo pensa e scrive in Italiano. Qualcuno forse non
capirà questa fra«e; tanto peggio per lui.
k questi pregi del Giusti deve aggiungersene un altro non meoo
emioenie, la fedeltà storica. Esso ebbe in sommo grado il genio del-
l' opportunità, e mal non gii avvenne di ridere fuori di tempo o più
del dovere. Guidato da un meraviglioso senno politico e dall'Istinto
del core, fu l'eco dei bisogni veri del proprio paese. e non inOisse
il marchio incancellabile della sua satira, se non quando era neces-
«tà vera esentila da tutti l'infliggerlo, cosi divenne lo specchio
della società fra cui visse, e che volle rendere, e in gran parte riu-
scì a render migliore. |«è questa fedeltà storica e questo pregio del-
l' opportunità, lo ritenne dentro confini angusti cosi, da dovere spa-
rire di sulla scena appena qnelie necessità fossero trascorse» quel-
l' opportunità svanita. Egli seppe, nel tempo atesso che colpiva di
fronte un epoca e una società determinala, essere universale, di
tulli ì tempi, di tulli i luoghi.
Giusti come è il poeta d' oggi, cosi sarà il poeta di domani.
Infatti mentre flagella le colpe d' una generazione snervata dall' as-
solutismo, mentre quella, sto per dir praiicaménte, trascina a meglio
operare e a conquistar quaolo le manca di libertà e di virtù, onde
potersi nella storia procacciare una sede non inonorata, nutre in
questo combatlimeoto una forza che chiamerò astraila, la quale ri-
marrà sempre necessaria in ogni tempo e in ogni luogo, finché duri
la lolla eterna fra il beoe^ ^ il male, fra la virtù e il vizio, fra Sa-
tana e Dio.
Ma anche considerandolo sotto un punto di vista meno esteso e
puramente ristriogendoei alla sfera d' azione, che esso esercitò ed
ei^rcita sulla società attuale (e per aiiuate intendo la società finché
rimarrà 'punlellaui sulle fate ImsI polUlche tulle qoali oggi si ap-
poggia), quei versi producono ima doppia utiilià. Hanno una ulilllà
immediata che consiste nelP educazione^ io quen* amore die c'Ispira
per quanlo V tia di grande, di nobile, di virtuoso, nell'aborrimento
elle ci fa concepire pel vizio e per la viltà, rivelandola nel suo più
sozzo aspetto. Hanno una utilità mediata, che sta riposta nella^ltlura
storica che esso ci traccia dell' epoca, pittura più di ogni altra so-
migliante e fedele. Che anzi chiunque impreaderà a scrivere in se-
guilo la storia dell' italiana società dal eo al 48, difflcilmente potrà
per tracciarla avvantaggiarsi di documenti che più di quei versi la
contengano e la riproducano intiera.
L' originalità di siile e di forma che brilla nella poesia di Giusti,
si riscontra del pari nella sua prosa. Sventuratamente la sua morte
precoce fu cagione che un saggio soltanto ci resti in lui in questo
diverso arringo, nel discorso su Parini stampalo nel 4^ da Lemon-
nier. Ma questo saggio basla per mostrare, come anche nella prosa,
detestando lo smaccato dei novatori al pari dello stentato dei pedan-
ti volesse viviBcare la lingua scritta coi modi schietti e plttorescbi
delia lingua parlala. A quella prosa, se potesse cercarsi un modello,
sarebbe forse negli aurei serial del Lasca. Mi dirà qui taluno che
al Air ini scrittore solenolsslmo conveniva un elogio dettato in più
solenne linguaggio. Io non condannerò assolutamente questa opinio-
ne, né mi vi uniformerò ciecamente. Converrò che forse talvolta pecca
di soverchia spezzatura quello stile, ove si rifletta che è un lavoro
di critica, alla quale non sempre s' addice quel tono perpetuo d'epi-
gramma che era naturale e dirò inevitabile e inimiUiblle nella penna
di Giusti, e che talora rischia di togliere la gravità che è necessaria
ai giudizi artistici.
Ma ad ogni modo quello scritto è pieno del più squisito buon
senso; e nessuno prima di giusti aveva detto del gran satirico lom-
bardo le verità che egli disse con tanto acume. I suol giudizii son
sempre, nella loro veste paesana, più pieni di sostanza, di quel che
non siano le aeree specuiazioni dei cosi detti scrittori di estetica,
che esso aborriva, manifestando a tante di lettere -di voler tenersi
lontano dai loro gineprai come da un luogo appestato. Nessuno poi
vorrà dubitare che Giusti fosse il miglior giudice che potesse mai
scegliersi per adeguatamente sentenziar di Parini, Allo stile vibrato,
pieno, conciso, che esso adoperò in questa prosa, corrisponde, se
anche non lo supera, lo stile familiare delle molte lettere che m» è
venuto fatto d' aver sott' occhio le quali, unitamente ad altre molte
di cui mi è nota l' esistenza, è da sperare sieno date alla luce per
cura di chi ebbe il prezioso deposito delie carte del defunto poeta.
Molto s'è parlato d'opere complete o qvail complete da lui la-
sciale morendo. Bla nel!' asserirne l' eslslentf , il oMìt desiderio è
X in X
irateorso lungi dal vero. Io mi credo Bel caso di poter dir qual-
cora di più preciso in proposito. Tra I molti fogli cti« egli ha lasdaCo
vi sono appunti, i qvali mostrano com'esso pensasse a seiivere le
memorie de' suoi tempi, facendo in esse giudizio degli avTeoiineoti
e degli uomini. Ma questi come gli altri scritti rimasti di hil, altro
non sono ciie brani spezzati da cui è Impossibile ricavare no iosieoie
ordinato e ordinabile. Si vede chiaro ebe esso aveva molti lavori in-
bastiti, ma tranne una raccolta di proverbi colla dichiarazione a pochi
di essi, il rimanente non serve che ad ac<«nnare quel mollo che egli
voleva fare anche io prosa, se la vita gii bastava. Un {7omiiieni« alla
Divina Commedia era il lavoro suo prediletto, e cerio per lo studio
incredibile che ne aveva fatto, e per la sua acutezza dMogegoo, sa-
rebbe stala cosa notabile e vantaggiosa ; oggi però altro non è che
>una gran massa di studii e di frammenti da non cavarne costruito.
Parimente certi appunti lasciali sulla sua vita non sono altro che date
e parole, delle quali! è a dirsi che egli solo avesse la chiave ; e poi
veramente la sua vita sta tutta ne' suoi scritti e nel privalo conver-
sare che ebbe cogli amici. Quanto poi a poesie, mentre è grande il
fiumero dei frammeati e delle cose locomlndate^ una sola o due ne
restano «empite io modo, da poter venir rese di pubblica ragione.
Cosi nella vita letteraria Gmtsti, fedele a se stesso, compi un o-
pera simile a quella che aveva assunta nella vita politica. Fulmina-
tore d'abusi 'io questa come in quella, in questa come in quella
geloso della indipendenza , adoratore del bello e del vero» nemico
-di chi mentiva sé stesso, iniziò una rifonna che camminava di pari
passo colia riforma politica, e che era io certo modo un comple-
mento di quella. Mentre voile I* Italia sua Indipendente dalla domi-
nazione straniera e suddita solo di leggi informate da sapienza e
virtù, dette opera perchò al momento In cui la nazione avesse rag-
{,'iuoto il magnanimo scopo, possedesse un linguaggio veramente na-
ztonale, una forma sottoposta soltanto alle eterne leggi della bellezza
e delia verità. Cosi soltanto l^ indipendenza era da tenersi completa,
4:osì soltanto poteaei avere un' Italia veramente e interamente italiana.
Giunto al termine <lel mio tenue lavoro non immagini il lettore
cheto voglia suggeilarto con una tinaia retlorica e pomposa d' elo-
gto per l' estinte poeta. D' etogio non abbisogna il suo merito, e troppo
palesemente dalle postume apoteosi aborri, mentre visse. Mi par-
rebbe d' offender la sua memoria disconoscendo così il suo deside-
derio. Non sarò io quel biografo che,com'ei diceva, lo faccia meti*
tire dall' urna funebre e imbrogliare il pubblico dal cataletto.
Rammenterò invece agli lUliani che, se una morte precoce ci
tolse il Giusti sul fior dell' etii, esso non scese intero sotterra, il
suo volume ci resta. A quel volume rivolgano studiosa la meùie in
i|>ecial modo i giovani nostri S' iiipirino del ool^Ui desideri! che tutto
X 09 X
l'informaDo; amipo la patrta come P amava il poeta, ardeniemenie,
sapieotemenle ; imparino F odio pel vizio e per la viltà, l'affeuo sin-
cero per la virlù e per l'ODeslà politica; formio^ su quel lit>ro l' edu-
cazione della mente e del core ; e l'Italia avrà io loro dei cittadini
cbe non falliranno alla prova della sventura, ai cimenti della pugna,
^, come seppero da forti soffrire e comt>attere, sapranno del pari
resistere all' et>breua e ai pericoli della vittoria. —
Firenze Luglio 4850.
snL' sorsiom dklle opsrs di gì viti dopo la sua iiortb.
Quanto ?enDe dello dal Sig. Cem^iM drca gli aerini che gioiti
lasciava dopo la Mia morie è stato dimoetrato dal fatto eaaer la ve-
rità e che mal 8' apponevano eoloro I qoaH andavano vocireraodo
V eaistenza di numerose opere postarne, il prezioso deposito delle
carte lasciate dall' estinto poeta venne affidato all' Avv. Morto Ta-
barri già direttore del Giornale Lo Statuto, e suo amicissimo. Il
quale assunse l' incarico di ordinarle per dar poi alla stampa tutto
quel più Gbe fosse possibile sì di versi come di pnMe.
▲ecolse U Tabarrifa V incarico, ed accettò le proposixioni del
solerle editore J^. Le MmmUr il quale staMII di fisfe una edizione
completa che doveva comporsi d' un volume di Potste, & un volu-
me di prose e Lettere familiari, e finalmente di un volume di pro-
verbi toscani illustrati. Questa edizione, nel primitivo concetto, do-
veva esser preceduU dalla Fifa del poeta scritu dal Tabarrini, e
seguita da una specie di JDitionario esplicativo delle frasi tratte dalla
lingua parlala, la cui intelligenza avesse potuto essere di qualche
difficoltà specialmente pei non toscani.
Era però destinato che questo concetto noa dovesse essere lotte-
rameate atlqalo. Mei i859 riusciva finalmente al Le Momier d'aver
completo il volume delle Poetàe non che il Dizionario delle frasi,
compilalo dal Tabarrini^ ma Inutilmeate affrettava qnest' oitlnio a
Gonsegnaiii la VHa del poeta come aveva promesso. Sicché vedendo
che gì' indugi lo avrebbero portato troppo in lungo si decise a pub-
blicare nel di 4 Maggio 48SS il volume delie Poetie senza la Vita.
Questo volume contiene tutte le poesie da lui edile e riconosciute,
coir aggiunta dì ^alcuni oompeofmenti scritti dal gitoti In età gio-
vanile, parte glà'stampate per diverse occasiool parte tuttora inediti.
Furono bandite da questa collesiooe quelle poesie che, quantunque
uscite dalla sua penna, pure non avieva osai voluto rìoonosoere, e
che avevano corso l' Italia sotto il nome di Apocrife,
La pubblicazione di questo volume svegliò la suscettività del Mi-
nistero pubblico il quale promosse contro il Le Moimier V azione
penale per delitto di stampa. Addueeva a propala difesa il Le Man-
néer la sua buona fede, dicendo che non aveva potuto Imaginareche
fosse delitto il pubblicare dei verflC già anteriormente stampati in
Xeox
Toscana^ senza che II Mlotolro pubblico avesse nulla trovato da ri-
prendervi. Questa discolpa fu aoooila dalla Camera delle Accuse che,
In vista della sua buona fede, disse non esser luogo a procedere
contro il Le Monnier,
Questa procedura però scemò alquanto il coraggio del nostro
editore, e lo decise ad aggiornare indefioitivaroente la pubblicazione
delle proti e tenere, nelle qual^ forse 11 Ministero pubblico avrebbe
nuovamente trovalo da ridire. ConUniiò però ad attendere alla stam-
pa dei Proverbi illustrati, che videro la luce nel i3 Ottobre 4845.
Anche questo volume però manca della Fita tante volle promessa
e con si lungo desiderio aspettala. Noi non vogliamo ricercare le
cagioni per le quali il Tabarrini si astenne da render questo pio
tributo all' amico estinto, noa non possiamo fare a meno di lamen-
tare questo silenzio, poiché e il molto ingegno dei Tabarrini, e
V aver esso avolo agio di esaminare tulle le più intime carte del
Giusti, davan fondala speranza di credere che una vita scritta da
lui avrebbe potuto portar moita luce sul segreto di quei meravi-
glioso ingegno. Egli però, ove io voglia, ò sempre io tempo a rime-
diare alla sua omissione, e lo scongiuriamo a compiere animoso que-
sl' opera di patria carità.
II.
LA TOMBA DI GIUSTI
La Slima, il compianto e l' affetto dei posteri sono il più bel
monumento dei grandi! che coHe proprie opere illustrarono la pa-
tria. — li desolato padre del poeta volle però che una marmorea
tomba sorgesse là dove ne posano le ceneri, onde i posteri cono-
scessero il luogo della sua ultima dimora.
commise F incarico di scolpirlo al giovane scultore Reginaldo
Bilancini di Poscia il quale lo condusse a fine nel i8SS con non co-
mune perizia ed abilità, venne questo ooltocato nella antica Basilica
di S. Minialo al Monte a poca distanza da Firenze, e crediamo che
non sarà discaro ai lettori i quali non possano, compiendo un pio
pellegrinaggio, visitare quella tomba cara e gloriosa, se ne diamo
loro una idea riproducendo la descrizione che, al momento in cui
fu collocalo, die di quel monumento un giornale fiorentino, i* JUu-
straziane^
M Sopra uno zoccolo che separa il totale del monumento dal
suolo, s'inalza il baaamenlo, nel mezzo del quale, si vede scolpito
lo slemma della famiglia ^hjsti in questa parte più bassa locato,
come quello che ricorda la infima delle aue glorie^ la nobiltà della
X 6* X
nasdtt. Quauro piccole meoiole sosiengonp F uroa elevanleti al-
quaoto dal basameDto, e io mezzo a quella si legge la semplice ed
elegante Iscrìzione, degna di coiai cbe lovocafa una lapide non men-
sognerà. — Essa dice coti :
QUI BIPOSA IN DIO LA MOBTALE SPOGLIA
DI GIUSEPPE GIUSTI
CHE DALLE GIAZIE DEL VIVO IfOSTBO IDIOMA
TRASSE UHA FORMA DI POESIA
PRIMA DI LUI HON TENTATA
£ CON ARGUTO STILE CASTIGANDO I VIZI
SENZA TOGLIER FEDE E VIRTÙ*
INALZO' GLI UOMINI AL CULTO DEI NOBILI AFFETTI
E DELLE OPERE GENEBOSE
ONDE EBBE DALL' ITALIA ONOBB E COMPIANTO
QUANDO NEL FIOBE DELLA VIBILITA*
LE FU BAPITO DA INSIDIOSO MOBBO
NACQUE IN MONSUMMANO IL IX MAGGIO MDCCCIX
MOBI' IN FIRENZE IL XXXI MARZO MDCCCL.
IL GAY. DOMENICO GIUSTI PaDBE INFELICISSIMO
DEPONEVA IN QUESTO SEPOLCRO
V UNICO FIGLIO MASCHIO
SOSTEGNO E GLOBI A DEL SUO NOME
Al disopra dell'urna, come in una nicchia, si eleva in dimen-
sioni Olire U naturale, la flgura del Giusti scolpila d'alto rilievo.
Tiene nella destra mano elevata a mezzo 11 petto ed atteggiata allo
scrivere meditando, uno stile, mentre colla sinistra svolge una per-
gamena ove sta per tracciare le ispirazioni del suo genio. La faccia
levata al cielo, donde scende Io spirito fecondatore delle sublimi idee,
si volge a quella fonte di luce con occhio teso ed animalo, e muove
leggermente il labbro a quell'amaro sorriso prodotto dalla osserva-
zione dei vizi! terreni, e delle umane fralezze. Il corpo ha quasi tutto
ravvolto in ampio manto, mostrando soltanto al nudo una parte del
petto, abbastanza difeso: —
n Sotto l' usbergo del sentirsi puro »
siccooie nudi ha i piedi, posati sicuramente sul suolo, con quella
noncuranza che V anima grande sente pel fango che egli dlsprezza e
calpesta.
« una larga cornice a stromiM), iolagUata neNa fasda di ornati
a bassorilievo circonda la nioebia. Altra più larga futAà, ricca di
variali marmi, racctiiude UiUo l'insieme del Mcaumenlo, formaiMlo
un arco che mirabilmente consuona colla architettura ed «vroamenti
circostanti alle porte della Basilica, e presenta l' aspetto quasi di un
altare ben adatto ad un sepolcro collocato in un Tempio spirante
dovunque severità, religione e raccoglimento. »
AVVERTENZA DELL'EDITORE
Nel pabblicare questa ediuone delle Poesie di Giuseppe
Giusti ci siamo prefissi due scopi : prino quello di dare alla
luce una edizione economica, ali* acquisto della quale potesse
arrivare anche la borsa dei meno aj^iati ; secondo quello di
raccogliere iu un volume non solo i versi tutti del medesimo
Autore, ma eziandio alcuni componimenti apocrifi che non
manca uo di qualche venustà, e ehe per lo stile si avvicinano
a quelli del Giusti.
Né con questo crediamo fare opera riprovevole, perchè
le apocrife non spacciamo per sue, itta le mettiamo in una
distinta categoria ed in fondo del libro^ aggiungendovi pure
altre poesie inedite che ebbero vita nei successivi tempi, e
che crediamo non far cosa discara di ofifrirle ai nostri lettori.
Per la disposizione delle Poesie noi seguiamo V ordine
adottato nella Edizione di Firenze del i85a; quindi le poe-
sie stesse vanno distinte in tre serie. Nella prima stanno tutti
i componimenti pubblicati dall'Autore dopo il 1843 disposti
neir ordine stesso già stabilito dall'autore nella edizione di
Bastia venuta in luce il 1845. La seconda serie comprende i
versi inediti scritti dal Giusti dopo il 184 7, cioè dopo la mala
riuscita del tentato risorgimento italiano.
Nella prefazione premessa alla citata edizione fiorentina
si avverte « tranne due o tre componimenti condotti a termi-
ne il resto sono frammenti che egli non avrebbe certamente
pubblicati senza condurli a quella rara perfezione di forme e
di concetti che sapeva dare a tutti i prodotti del suo splendido
ingegno. „
X 6* X
Nella terza sene si raccolsero alcuni componiaenti scrìtti
dal Giusti in' età giovanile» parte già stampati per diverse oc-
casioni, parte tuttora inediti. Nota la slessa Prefazione che i l
Giusti non faceva più caso di questi versi e ne sia segno di
averne ripetuti alcuni che più gli piacevano in altri compo-
nimenti scritti da poi.
Una quarta serie contiene questa Raccolta, e si compone
delle poesie, che sebbene non appartengano allo slesso autore,
pure dagli intelligenti si tengono in qualche pregio.
Crediamo utile finalmente riprodurre non solo le due
Prefazioni che 1* editore appose ali* edizioni di Bastia 1845, e
dì Firenze 1847, ma anco i frammenti di un'altra prefazione
che il Poeta apparecchiava per una compiuta ristampa delle '
sue Poesie.
Ecco r ordine con cui vengono riportate e le. parole da
cui vengono accompagnate neir ultima edizione fiorentina.
Cominciamo dalla Prefazione premessa dal Giusti al-
redizione di Basita del 1845.
M Lellore : se dovessi dirli come ini sia nata nella lesla quella,
maniera di scrivere» non saprei da clie parie rifarmi, tante sono siate
le corobinaziooi. La nalura, come di a ciascuno di noi un aspetto,
un andare, un fare lutto proprio, così vuole che ognuno mandi in giro
le sue opinioni vestile alia casalinga, lo non ho avuto mai altro par-
tilo che quello del mio paese; e freddo come un maono per luue
le sette, m'ha fallo compassione egualmente chi alza una bandiera
per calpestarlo» o chi 1' alza per farlo riavere senza cognizione di
causa e senza virtù. Se tu sai che cos'è popolo, e sai pensare col
popolo, li troverai d'amore e d' accordo con questi versi : se poi mi
vai nelle nuvole» mi caschi nel fango» come fanno parecchi» io non
islarò a combattere le lue opinioni, ma solamente ti tlirò che ci par-
leremo nudi là nella valle di Giosafai. Se mi domandi il fine che mi
sono proposto, nessun altro fine, ti risponderò^ che quello di fare
una prolesta : che lu non m' abbia a prendere per uno di quei clie
presumono di rimettere il mondo a balia.
« Se tagliato unicamente a spassarti, non andare più in là di
questa pagina» perchè im riso nato di malinconia potrebbe farti nodo
Ma gola, e me ne disfMacerebbe per te e per me. Se poi ti s' è d^io
il t»so di sct«>gMerii eoo una croliau di letu ilal penttero delle tue
fuiserie, vieni pure con me, e segiriia a crollarla amorevoliiiente
sulle miserie comuni. »
XìV Edizione dei Jfuen Ftrsi^ faUa in Firenxe dal Be-
lacchi nel 1847, il CKasti aveva apposto il aegnente avviso.
m Quando i miei scherzi giravano e» lege, parecobi tra stam-
patori e Librai fecero a confidenza col pubblico e om me, stampando
iu un fascio roba mia e non mia, lieti di potere accozEare un libro
pur che fosse, e di mandarlo fuori coi mio nome o espresso o sol-
Unleso. Da un lato, sento cbe mi corre FoMDligo d'esser grato a
questa, diro, impazienza, cbe solletica dolcemente II debole del
Poeta; dall'altro, l'amore di Padre s'è risentito più volte, vedendo
che taluno nel prendere in collo 'quo* poveri «orfani vagabondi, me
gli ha storpiati e tartassali senza garbo oè grazia. In questi tempi di
fratellanza, non farò rimprovero a nessuno : solamente, se fosse pos-
sibile, direi che da qui Innanzi ognuno stesse sol suo, e chi ha avuto
ha avuto.
« Non si abbiano a male gli Autori del coropoolmeoti attribuiti
a me, se k> protesto di non riconoscere peV cose mie altro che i
treotadue Scherzi, contenuti nell'edizione di Bastia, fatta dal Fabiani
nei 1845; quelle sei poesie stampale a Livorno dall' Aotonelli ; /' amor
pacifico pubblicalo da Le Mounier ; le due consorelle inserite nell'/io-
tiaj il CongrcMo de* Birri, e l'Ode a Leopotdo Secondo, stampati
dal Baracchi, successore del Piatti. Questo schiarimento é oeeessarfo
per essi e per me, perchè alcuni di que'lol*o componimenti essendo
siati lodati, non è giusta cbe essi li perdano, né che lo li guadagni.
« Questi cbe dO fuori adesso, sono stati messi Insieme in due
anni, e se a taluni paressero un po' serotini, parte n' ha colpa
la lima, parte l' infingardaggine, e parte certi ostacoli cbe ora gra-
zie a Dio non esistono più.
. m Sento che questo modo di poesia comincia a essere un frutto
fuor di stagione, e vorrei elevarmi all' altezza delle cose nuove che
si svolgono davanti ai nostri occhi con tanta maestà d'andamento;
ma t' ingegno, avvezzO' a cirooscri versi nel cerchio ristretto del No,
chi mi dice cbe abbia tanto vigore da rompere la vecchia pastoia e
spaziare In un campo più largo e più ubertoso r Se mi darikP animo
di poterlo tentare, certo non me ne starò : se poi non mi sentissi
da tanto, non avrò la caponeria d'ostinarmi a suonare a morto. In
UQ tempo che tutti suonano a battesimo.
A queste due Prefazioni lasciò scritta il Poeta maa giunta,
ciie non sarà discaro al lottore il vedere qai riferita.
X 66 X
« Da queste due PrerazioDi, che ho riloccaie nella dicitura guar'
dandomi di alterarne la sostanza, apparirà manifesto quale sia stato
l' animo mio anctie multi e molti anni prima del 4848. non ho altro
da aggiungere se non che lo, quanto alle opinioni manifestate, non
riliuto e non rifiuterò mai una sillaba di tutto ciò che ho scritto:
quanto poi a ciò che riguarda l' arte, bisof oerebt>e ciie io dessi dì
frego a parecchi di questi componimenti, e che sottoponessi lutti gli
altri a una lavanda generale e accuratissima. Questo genere di poe-
sia, giusto appunto perchè può avvantaggiarsi di tutta la lingua scritta
e di tutta la lingua parlata, se non è trattalo in modo schietto e a-
peno tanto per il lato del pensiero quanto per quello della parola,
fa 1' effètto ette suol fare uno che non sia ctilamaio a dire facezie, e
che voglia fare il lepido ad ogni costo. »
La Prefazione che il Giusti pensava di far precedere ad
nna compiota ristampa dei suoi versi, è la seguente, visibil-
mente scritta nell'aprile del 1848.
« Ecco la quarta la quinta edizione d*un libro il quale mesi sono
aveva del nuovo tuttavia, e che adesso parrà di certo un vecchiume,
così vanno le cose di questo mondo; e i libri, come gli uomini, oggi
ridono di gioventù e sono pieni dell' avvenire, domani s'afferrano al
presente che sfugge loro di mano,' più lardi non vivono che di sole
memorie. Io non mi pentirò d'avere scrini questi versi, perchè quando
gli scrissi, credo che bisognasse scriverli ; ma dirò schiettamente che
molti, uomini e lo stesso animo mio si sono migliorati sotto la penna;
ond' è che volendo fare le parti giuste e contentare la natura mi-
gliore che B* è riavuta in me, dovrei ora a parecchie punture por-
tare la mano carezzevole e spargervi sopra un qualche lenitivo di
lode. Non avendo odiato mai nessuno, perchè dovrei ostinarmi a stra-
ziare chi s*è corretto, se io appunto non desiderava altro che tutti
ci correggessimo 7 È vero che agli errori e ai vizi di tempo fa, sono
succeduti i \m e gli errori delle cose recenti ; ma io lieto di ve-
dere aperta la via del bene^ non ho più cuore di menare attorno la
frusta, e col mio paese ringiovinito ritorno anch' io ai sogni sereni
e alla fede benigna della primissima adolescenza E questa fede posso
dire non essersi spenta mai nell'animo mio; e il non aver derisa
la virtù, e la stessa mestizia del vero sdegnoso, spero che valga a
farmene larghissima testimonianza. Dirò di più, che essa, oltre al-
l' avermi salvato dal tacere e dal disperare obbrobriosamente, m' è
valsa più e più volte a precorrere gli eventi ; e di qui è nato che
molte delie mie visioni poetiche hanno preso carne e figura tra gli
«omini, dopo due, tre e quattro anni, che io me l' era fantasticato
tra me e. me. Ma l' amore dell' arte cbe ba potuto io me quailo Pa-
«nere del mio paese (peroccbè io oon so dividere ciò cbe la natura
ha uoilo, e il buono e il bello si leogooo per maoo e sono aozi uoa
«osa sola,) l'amore dell'arte^ diceva, m'ba tralleouto sul tavolino
parecchie di queste fantasie; alle quali se avessi dato il volo quando
avevano tuttavia i'l>ordoni, avrebbero i fatti vegnenti aonunaiati, come
le rondini annunziano la primavera e come le lucciole il granire della
messe. E ciò come non induce superbia In me, cosi non deve In-
durre maraviglia nel mio lettore : perocché» come nel corpo umano
il riprendere della salute si manifesta o per il colorito delle guancle,
o per la -vivezza dell' occhio, o per la speditezza dei passo, cosi il
risorgere d'una nazione apparisce a diversi segni nei -diversi indi-
vidui che la compongono. Io, scrivendo come ho scritto, non ho io-
venuto nulla, e non ci ho messo di mio altro che il vestito: l'ossa
e le polpe me le ha a date la nazione medesima -, e pensando e scri-
vendo, non he faHo alito che farmi loterpetre degli sdegni e delle
speranze «he mi fremevano d'intorno. E la mia nazione ha fatto
buon viso a' miei scritti, come a persona di conoscenza; e, com'è
solito fare chi vive nell' abbondanza y ha voluto con bella cortesia
<;hiamarmi ricco della sua slessa ricchezza. Ora cbe essa spande da ȏ
la larga vena dei suoi tesori, e cbe il popolo, etemo poeta, <d svolge
dinanzi la sua obaravigliosa epopea, noi miseri accozzatori di stro-
fe, bisogna guardare e stupire, astenendoci religiosamente -ó* immi-
schiarsi oltre nei solenni parlari di casa, l.' inno della vita nuova si
accoglie di già nel vostre petto animoso, o giovani, cbe accorrete nei
campi Lombardi a dare il sangue per quesla terra diletta. Ed io ne
sento il. preludio e nei>evo le note con tacita compiacenza. Toccò a noi
il misero ufficio di sterpare la via, tocca a voi quello di piantarvi i
lauri e le querele, all'ombra delle quali proseguiranno le generazioni
-che sorgono. Lasciate, o magnanimi, che un amico di questa li-
•bertà che vi inspira la impresa sanllssima, baci la fronte e il petto e
la mano 'di lutti voi. L' Italia adesso è coslà.'Ove si slenta, ove sicom-
tbatte, e ove convengono da ogni ia(o,quasi ai grembo della madre,
i figli non degeneri, 1 nostri. primogeniti ^eri. . ...»
11 manoscritto originale non dà compiuta questa Prefa-
zione; ma come conchiusione di quel più cbe il Giusti avreb-
be detto, sta bene di pubblicare le seguenti parole, le quali è
manifesto essere slate scritte da lui percbè fossero note al-
l' Italia. Da questa breve dichiarazione ispirala da un generoso
«degno, apparirà ifH>Itre il perchè siansi esclusi da questa
X « X
Raccolta certi compottiincnti che farono scritti dal Griustt»
e che andarono sotto il suo nome nelle diverse editionl
dei SQOi Tersi.
« Ecco le poche parole che avrei fatiti precedere ai miei Tersi,
risparmiando a me e al lettore le smorfie e le lungaggloi d' una
prefaxione; ma le gart>alesze fatte da due anni io qua a questi po-
veri scherzf da certa buona gente di Lagaoo mi sfortano ad ag*
giungere due altre righe di ringraziamenlo.
« Questi onesti tipografi raggranellarono di qua e di là tulio
quel po' che poterono, e appena messo insieme II quaderno, senza
badare se le cose raccolte erano o non erano mie, erano o non erano
corrette^ le pubblicarono a onore e gloria del mio signor ile ; e
rimettendoci un tanto di ta8C9« come hanno assicurato, e come tutu
credono fermamente. Per rimediare alle omissiofii (io direi spropo-
siti) della prima edizione, ne mandaron subito fuori un' altra, e il
rimedio fu peggiore del male, e il furto fu scontato col latrocinio,
protestando sempre che tutto era fatto per 11 mio decoro, per l'utile
del paese e per altre died belle cose di questo genere, colla tmona
fade die é dote speciale degli Stampatori, e segnatamente di quelli
che stanno sui confini, stanza prediletta di tutti t contrabbandieri.
Bopo un anno e più di respiro, eccoti fuori la terza edizione fatta
a Lugano come le altre sorellci, ma colla dala di Bruxelles, che si
potrebbe credere esservi stata messa per podere, se il pudore stesse
di casa col galantuomini che ho nominati di sopra, in questa come
nelle altre, sono le solite stroppialure, il solito miscuglio degU Etirei
coi Samaritani, manifesta insomma la somma perizia nell'arte • l'o-
nestà di ventiquattro carati che distingue 1' Editore e tutti coloro
che gli tennero II sacco. Ma tra gli altri regali che m' tainno fallo
questi Apostoli della mia fama, il più bello, il più onesto, Il più caro
di tutti è quello d' otto o dieci composizioni ohe ho rifiutate e d'al-
trettante che non sono mie per nulla. Le rifiutate sono : La Mamma
educatrice — Un intuito d* apatìa — Il mio nuovo amico — // Che-
iera — Professione di fede atte Donne — Tirata a Luigi Fltippo —
Ricolta — L'Jve Maria — e Parole d'un Comigliere al suo Prin-
Glpos — tutte scritte a diclott' anni, quando en> una mosca senza
capo più assai che non sono adesso.
« Quelle fatte da altri sono : Il Creatore e il suo mondo — //
Giardino — // faUimenio del Papa — Come vanno le cose ~ €0»-
sigli del mio nonno ^ Una Marchesa — Per la soppressione del-
l' Antologia, e finalmente poi un infame e miserabilissimo Soneiio
in onta di Pietro Gontruccl del quale mi compiaccio d'essere amico
A ««hie di certo non mi crede capace d' una tiassezza slmile.
« Avrei menato buono lutu> agli Editori Lugancti^ pcrcbè in
fondo una parte della colpa ^a m^, un po' per aver lasciati girare
gli Sclierzi, un po' per non averli pubblicali prima : ma queita d'at-
tribuirmi un* infamia come quel Sonetto, infamia di stile e di pen-
siero, senza sapere che contristavano a nome mio l' animo d' un
uomo al quale sono debitore di mille garbatezze e d'un' amicizia
fioo ismentiia mai, e che credo migliore di molti altri che gli gridano
la croce addosso, è un' ingiuria che non ho potuto comportare e
della quale intendo di reclamarmi al cospetto di tutta Italia, oel
resto
Kubino i ladri, -- è 11 lor dovere: il mio
à di scbernirli, ••
VERSI
PUBBLICATI dall'autore DOPO IL 1843.
I^ GUIGLIOTTINA ▲ VAPORE
Hanno fatto nella China
Una macchina a vapore
Per mandar la «oigitottlna:
Questa macchina in tre ore
Fa la testa a cento mila
Messi in aia.
L' islrumento ha fatto chiasso^
K quei preti han presagito
che il paese passo passo
Sarà presto incivilito.
Rimarrà come «n babbeo
L'Europeo.
L' imperante é un uomo onesto;
un pò* duro> un po' tirato,
un po'duco, ma del resto
Ama 1 sudditi e lo stato,
E proteggi; i begl' ingegni
De'sooi^ regni.
V'era un popolo ribelle
Che pagava a malincuore
I calasti e le gabelle.
II benigno imperatore
Ha provato in quel paese
Quest' arnese.
La virtù dell' istrumenio
Ha fruttato una pensione
A quel lM>ia di lalenio,
col brevetto d'invenzione,
E Fha fatto mandarino
Di Pechino. —
Grida un frate: oh bella cosai
Gli va dato anche il battesimo
Ahi perchè (dice al canosa
un Tiberio in diciottesimo)
Questo genio non mi è nato
Nel ducato i
RASSEGNAZIONE
X PBOPOKIMBKTO DI CAMBUR TITA
le non mi credo nato a buona luna,
E se dà questa dolorosa valle
Sane a Gesù riporterò le spalle.
Oh che fortuna I
In quanto al resto poi non mi confondo :
Faccia chi può con meco il prepotente,
lo me la rido, e sono iodiflbreole.
Rovini il mondo.
A quindici anni imaginava anch'Io
Che un uomo onesto, un povero minchione^
Potesse qualche volta aver ragione :
Furbo per Oìof
Non vidi allor che barattati i paoot
si fossero la frode e la giustizia :
Ah 1 veramente manca la malizia
A quindici anni!
Ma quando, in riga di paterna cura
un birro mi copri di contumelia,
conobbi i polli -^ e accorto della celia
Cangiai natura.
X "J* X
cangiai natura, e adesso le angiierìe
Mi sembrano sorbetti e gramolate :
credo santo il bargello, e ragazzate
Le prime ubbie.
Sùìì morto al noondo ; e se il padron lo vuole»
Al messo^ air esattore^ all' agozzioo
Fo di berretto, e spargo sul cammino
Rose e viole.
Suo morto al mondo ; e se novello insulto
Mi vien da commissari o colli-torti,
Dirò: cbe serve incrudelir coi mortif
Farce sepultot
Un diavoi che mi porti, o il lumeét CitrlMi
Aspetto per uscir, da questa bega.
Una maschera compro alla bottega
De' Sanfedisti.
La vita abujerò gioconda e lieta; •
Ma combinando il vizio e la decenza
Velalo di devota incontinenza
Dirò compieta.
Più non udrà Pallegra comitiva
La novelletta mia, la mia canzone;
Gole di frati al nuovo don Pirlone
Diranno Evviva.
In un cantone rimarrà la bella
Che agli scherzi corcar! òcchi m^'inflamma ,
E raglierò il sonetto e l'epigramma
A Pulcinella.
Rispetterò il casino, e sarò schiavo
Di pulpiti, di curie, e ciarlatani.
Alle gabelle batterò le mani,
E dirò , bravo l
Cosi sarò tranquillo^ e lunga vita
Vivrò scema di affanni e di molestie >
sarò de'bacchettonl e delle k)e8lie
La calamita.
Amica mi sarà la sagrestia,
La toga, durlindana, e il presidente).
Sarò un eletto, e dignitosamence
Farò la spìa.
Subito mi faranno cavaliere.
Mi troverò lisciato e salutato,
E si può dare ancor che aia crealo
. Gonfaloniere.
xwx
Allora, venire mio falli capanna ;
Maoderò chi mi burla in faiiabuja ;
Dunque s'inluoni agti asini Alleli^a
Glori», ed Osanna.
IL DIES I11A£
Jìfes trae / è morlo Cecco ;
Gli è venuto il Uro secco.
Ci levò Pincomodo.
Un ribelle mal di pollo
Te lo messe al calalello :
Sia lodalo il medico.
È di moda : fino il male
La pretende a liberale:
vanità del secolo 1
Ttflli i principi reali
E le altezze imperlali.
Le eccellenze etcetera,
Abbruniscono i cappelli :
Il bali Samroiniatelli
Bela il panegirico.
Già la corte, il ministero,
Il soldato, il birre, il clero
Manda il morto al diavolo
Liberali del momento
Per un altro giuramento
Tutti sono all'ordine.
Alle cene, ai desinari
(O cl»e birbe l) i carbonari
Rullano inni e brindisi.
Godi, o povero Polacco;
Un amico del Cosacco
Sconta le tue lagrime.
Ma silenzio! Odo il cannone:
Non è nulla: Altro Padrone
Habemm Poniificem.
Questo é ilo; al rimanente
Toccherà qualche accidente :
Dio non paga il sabbaio.
Ma lo Scila inospitale
Pianta l'occhio al funerale
Sllibondo ed avido ,
Come Jena del deserto,
Annosando a gozzo aperto
Il fratel cadavere.
Veglia il PrussOi e fa la spia,
E sospirano il Messia
L'Elba, il Reno e l'Oderà.
Rompe il Tago con Pircne
Le caltoticlie catene,
Brucia 1 frati e gongola.
Sir Jhon Bull propagatore
Delle macchine a vapore
Manda i Tory a rotoli.
Il chiappini si dispera
E grattandosi la pera
Pensa a Carlo Decimo.
Ride Italia al caso reo,
E dall* Alpi al Lilibeo
1 suoi re si purgano.
Non temete; lo stivale
Non può mettersi in gambale;
Dorme il calzolajo.
LEGGE PENALE PER GL* IMPIEGATI
Il nostro sapientissimo Padrone
Con venerato motuproprio impone.
Che da oggi in a^<anti ogni impiegato,
Per il ben dello Slato,
;< w X
(Per dir come si diee) ari diriuo ;
e in caso dMmperiiia o di delluo^
Le Yool poBlo scrupolosamente
CoSa legge seguente.
Se un real Segretario o Cameriere
Taglialo, puta il easo,< a barattiere,
Ficca, a furia di briglie, io tutu i buchi
Uo popolo di ciuchi)
Se un Cancellier devoto delia zecca
Sulle volture o sul catasto lecca
E attacca una tal qual voracità
Alla Comuoiti ;
se a caso un Ispeltor di polizia
Sganascia o lieoe II sacco, o se la spia
Inventa, p«r non perder la pensione.
Una rivoluzione:
Son piccoli trascorsi perdonabili.
Dall' umana natura inseparabili.
Né sopra questi allungiierd la mano
Il benigno Sovrano.
Ma nel delitto poi di peculato.
Posto il vuoto di cassa a sindacato.
Chi avrà rubato tanto da campare.
Sia lascialo svignare.
Chi avrà rubato poco, si perdoni,
E tanto più se porta testimoni
D' essersi a questi termini ridotto
Per il giuoco del Lotto;
Se uo reale ingegnere 9 uo Architetto
Ci munge fino ali' ultimo sacchetto,
per rimediare a questa baganella
Si cresca una gabella.
Se saremo coslretU a trapiantare
un Vicario bestiale o atrabiliare,
Tanto per dargli un saggio di rigore
Sarà fatto Auditore,
se un consigiier civile o criminale
Sbadiglierà sedendo io tribunale.
Visto che lo sbadiglio è contagioso.
Si condanni al riposo'.
Se poi barella, spinge la bilaocia
A traboccar dal lato della mancia,
GÌ' Infliggeremo io riga di galera
Congedo e paga intera.
X *" X
Se un Ministro riesce bd po' aoianle.
Siccome bazzicava il Principale,
TKoio avrà di Consigliere emerito
E la croce del merito.
ALL' AMICA LONTANA
Te solitaria pellegrina, il Udo
Tirreno e la salubre onda ritiene,
E un doloroso grido
Disiinio a te per tanto aere mm fieno.
Né il largo annro pianto
Tergi pietosa a quel che -t'ama tanto.
E tu conosci amore^ e sai per prova
Che nell'assenza dell'obietto amato.
Al cor misero giova
Interrogar di tutto il creato. *
Oli se gli affanni accheta
Questa di cose simpatia segreta;
Quando la luna in suo candMo velo
Ritorna a consolar ia notte estiva^
Se volgi gli occhi al cielo,
E un' amorosa lacrima furtiva
Bagna il viso pudico
Per la memoria del lontano amico.
'Quell'oocolta virtù che li richiama
Ai dolci e malinconici pensieri,
È di colui che t' ama
Un sospir, che per tadti sentieri
Giunge a te, donna mia,
E dell'anima tua trova la via.
Se il veocicel con leggerisslm' ala
Increspa l'onda che lieve t^ accoglie,
E sussurrando esala
Intorno a te del fiori e delle foglie
Il balsamo, rapito
Lungo ai pomarii dell'opposto Mto;
• X 18 X
Dirai : quesl' ornla che si laitna, e questo
Aere commosso da soave fiato,
un detto, un pcnsier mesto
Sarà del «io?Inelto tonamorato.
Cui deserta e sgradita
Non divisa con me fugge la vita.
Quando sull'onda II turbine Imperversa
Alti spingendo al lido i fluiti amari,
E oscurità si versa
Sull'ampia solitudine dei mari,
Guardando da lontano
L' ira e I perigli del ceruleo plano ;
Pensa, ocara, che In me rugge sovente
DI mille e mille affetti eguai procella :
Ma se raere fremerne
Raggio dirada di benigna stella,
E il tuo sereno aspetto
• che reca pace all' agitato petto.
Anch' io mesto vagando all' Arno In riva,
Teco parlo e deliro, e veder parmi
come persona viva
Te muover dolcemente a consolarmi:
Riscosso alia tua voce
Neil' imo petto il cor bftlza veloce.
Or flebile mi suona e par che dica
Nei dolenti sospiri : oh mio diletto,
All'infelice amica
Serba Intero 11 pensier, serba l'affetto;
Siccome amor la guida,
Essa In te si <:onsola. In te s'affida.
Or mi consigila, e da bugiardi amici
E da vane speranze a sé mi chiama,
Brevi giorni infelici
Avrai, mi dice, ma d' intatta fama ^
Dolce perpetuo raggio
Rischiarerà di tua vita il viaggio.
Conscio a te stesso, la letizia; il duolo
Premi e l'amor di me nel tuo secreto;
A me tacito e solo
Pensa, e del core ardente, irrequieto,
Aprì l'interna guerra,
A me <che sola amica hai sulla (erra.
XTOX
Torna la cara Immagine celeste
Tutia lieta al pensfer che la saluta,
E d' un Angelo Ycsle — -^
L' ali, e riede a sé stessa, e si trasmuta
Queir aereo portento,
Come una rosea nuvoletta al Yento.
cosi da lunge ricambiar tu puoi
Meco le tue dolcezze e le tue pene;
interpreti tra noi
Fien le cose superne e le terrene :
10 un pensiero unita
Sarà cosi la tua colla mia vita.
11 sai, d' uopo ho di te : sovente al vero
Di cari sogni io mi formava Inaanno;
E omai l'occhio il pensiero
Altre sembianze vagheggiar non sanno;
Ogni piiH dolce cosa
Fugge 1* animo stanco e in te si posa.
Ma cosi solo nel desio che m'arde
Virtù vien manco ai sensi e alP Intelletto,
E sconsolate e tarde
Si struggon l'ore che sperando affretto :
Ahimè, per mille affanni
Già declina il sentier de' miei begli annil
Forse mentr' io ti chiamo, e tu noi sai.
Giunge la vita afflitta all' ore estreme ;
Né ti vedrò più mai.
Né i nostri petti s' uniranno insieme :
Tu dell'amico intanto
Piangendo leggerai l' itllimo canto.
Se io spirito infermo e travaglialo
compirà sua giornata innanzi sera,
Non sia dimenticato
11 tuo misero amante: una preghiera
Dal labbro mesto e pio
Voli nel tuo dolore innanzi a Dìo.
Morremo e sciolti di quaggiù n' aspetta
Altro amore, altra sono ed altra stella.
Allora, o mia diletta.
La nostra vita si farà più bella ;
Ivi le nostre brame
vaghe saranno di miglior legame.
/
r
Di mondo io mondo ooìi sicuri voU
Àodrao l' alme, di Dio caodide figlie.
Negli spazii e oei soli
Numeraodo di Lui le maraYÌglie,
E la mente nell' onda
Dell'eterna armonia sari gioconda.
LO STIVALE.
ingegnati m puoi ener palese
IO non 8on della fiolita vacchetia,
Me sono uno stivai da conladioo;
E se pajo tagliato con l' accetta
chi lavorò non era un ciabattino :
Mi fece a doppie suola e alla scudiera
E per servir da bosco e da riviera.
Dalla coscia giù sino al tallone
sempre all'umido sto «enza marcire j
Son buono a caccia e per menar di sprone,
E molti ciuchi ve lo posson dire:
Tacconato di solida impuntura
Ho l'orlo io cima e in mezzo la costura.'
Ma l'infilarmi poi non è si facile.
Né portar mi potrebbe ogni arfasatto;
Anzi alTalico e stroppio un piede gracile,
E alta gamba dei più son disadatto;
Portarmi molto non potè nessuno ,
M'hanno sempre portato un pò per uno.
lo qui non vi farò la litania
Di quei che fur di me desiderosi;
Ma cosi "qua e là per bizzarria
Ne citerò soltanto i più famosi
Narrando come fui messo a soqquadro
E poi come passai di ladro in ladro.
Parrà cosa incredibile : una volta
Non 80 come da me presi il galoppo
E corsi tutto il mondo a briglia sciolta;
Ma camminar volendo un poco troppo
L'equilibro perduto, il proprio peso
In terra mi portò lungo e disleso.
XWX
allora vi soceeste un parapiglia ;
E geole d' ogni risma e d'ogni conio
PlOYeaoo di lontan le mille miglia
Per consiglio d'un prele o del demonio:
Clii mi prese al gambale e chi alla fiocca
Gridandosi fra lor bazza a chi tocca.
Yolle il prete^ a dispeilo della Fede
calzarmi coirajuto e da sé solo ;
Poi senti ébe non fui fatto al suo piede,
E allora qua e là mi dette a nolo:
Ora alle mani del primo occupante
Mi lascia, e per lo più fa da liranie.
Facea col prete a picca e le calcagna
volea piantarci un bravazcun tedesco.
Ma più volle scappare in Aleroagna
LO vidi sul cavai di san Francesco:
In seguito tornò; ci s'è spedato.
Ma tutto Gno a qiìi non mi ha infilato.
Per un «ecolo e più rimasto vuoto,
cinsi la gamba a un semplii% mercante ,
Mi riunse costui, mi tenne in molo
E seco mi portò fino in Levante,
Ruvido sì, ma non mancava un eue,
E di chiodi ferralo e di bollette.
11 mercante arricchì , credè decoro
Darmi un pò più di garbo e d'apparenza:
Ebbi lo sifrone, ebbi la nappa d'oro,
Ma un tanto scapitai di consistenza ;
E gira gira, veggo in conclusione
Che le prime bullette eran più buone.
in me non si vedea grinza' né spacco.
Quando giù di ponente un birichino
Da una galera mi saltò sul tacco,
E sf provò a ficcare anco il zampino;
Ma largo largo non vi stette mai.
Anzi un giorno a Palermo lo stroppiai.
Fra gli altri dilettanti oltramontani,
Per infilarmi un certo re di picche
Ci si messe col piedi e con le mani,
Ma poi rimase 11 come berlicche.
Quando un Cappon^ geloso del pollajo,
Gli minacciò di fare U campanajo.
Da bottega a compir la mia rovina
saltò fuori in quel tempo, o giù di lì,
un certo professor di medicioa,
Cbe per camparmi sulla buccia, ordì
Una tela di cabale e dMoganni,
Che fu tessuta poi per trecent'anni.
Mi lasciò, mi copri di bagattelle,
E a forza di ammollienit e d'impostura
Tanto raspò, che mi strappò ia pelle ;
E chi dopo di lui mi prese io cura.
Mi concia tuttavia colla ricetta
Di quella scuola iniqua e maledetta.
Ballottato cosi di mano in mano,
Da una fitta d'arpie preso di mira.
Ebbi a soffrire un gallo e un catalano.
Che si messero a fare a tira tira :
Alfio fu Don Chisciotte il fortunato,
Ma gli rimasi rollo e sbertucciato.
Chi mi ha veduto in piede a lui, mi dice
Cbe lo spagouolo mi portò malissimo :
M* insafardò di morchia e di vernice.
Chiarissimo fui detto ed llluslrissimo ;
Ma di sotlecche adoperò la lima
E mi lasciò più sbrendoli di prima.
A mezza gamba, di coior vermiglio.
Per segno di grandezza e per memoria,
M* era rimasto solamente un Gigtio :
Ma un Papa mulo, il Diavol l'abbia in gloria^
Ai Barbari lo die, con questo patio
Di farne una corona a un suo mulatto.
Da quel momento ognuno in santa pace
La lesina menando e la tanaglia.
Cascai dalia padella nella brace:
viceré, birri, e simile canaglia
Mi fecero angherie di nuova idea;
Ei diviseruni vestlmenta mea.
cosi passato d' una in altra zampa
ni animalacci zotici e sversali,
venne a mancare in me la vecchia stampa
Di quei piedi diritti e ben piantati,
co' quali, senza andar mai di traverso.
Il gran giro compiei dell'universo.
Oh povero stivale t ora oonfesio
Che mi ha gabbalo questa malta idea:
Quand'era tempo d*aodar da me sieaao.
Colle gambe degli altri andar volea;
Ed olire a ciò, la smania inopportuna
Di mutar piede per mutar fortuna.
Lo senio e lo coofesio; e nondimeno
Mi troto cosi lutto in Isconquasso^
Che par che sotto mi manchi il terreno
se mi provo ogni tanto a fare un passo ;
Che a forza di lasciarmi malmenare..
HO persa 1* abitudine di andare.
Ma il più gran male me l' ban fallo i Preti,
Razza maligna e senza discrezione;
E r ho con certi grulli di poeti.
Che in oggi si soo dati ai bacchettone :
BiOQ e* è Cristo che tenga, i Decretali
Vietano ai Preti di portar stivali.
£ intanto eccomi qui roso e negletto,
Sbrancicato da tutti, e tulio mota ;
E qualche gamba da gran tempo aspetto
Che mi levi di grinze e che mi scuola
non tedesca» s' intende, né francese.
Ma una gamba vorrei del mio paese.
Una già n' assaggiai d' un certo Sere^
Che se non mi faceva ii vagabondo,
In me potea vantar di possedere
li più forte stivai del Mappamondo :
Ah 1 una nevata in quelle corse strambe
A mezza strada gli gelò le gambe.
Rifallo allora sulle vecchie forme
E riportato allo scorticatolo.
Se fui di peso e di valore enorme.
Mi resta a mala pena il primo cuoio;
E per tapparmi i buchi nuovi e vecchi
Ci vuol altro che spago e piantastecchi.
La spesa è forte, e lunga è la fatica:
fiisogna ricucir brano per brano ;
Ripulir le pillacchere; all'antica
Piantar chiodi e bullette, e poi pian piarK>
Ringambalar la polpa ed il tomaio:
Ma per pietà badate al calzoloio i
X84X
E poi vedele un po' : qua loo lurcbioo,
Là roMo e bianco, e quassù giallo e nero ;
insomma a toppe come un arlecchino :
se volete rimellerml davvero^
Fatemi; con prudenza e con amore.
Tutto d' un pezzo e tutto d' un colore,
scavizzolate all' ultimo se v' è
un uomo purché sia, fuorché poltrone ;
E se quando a costui mi trovo in pie,
Si figurasse qualche buon padrone
Di far con meco 11 solilo mestiere.
Lo piglieremo a calci nel sedere.
LA. FIDUCIA IN DIO
STATUA. DI BARTOLIM
Cóme dicesse a Dio: d* altro non calme.
DAMTK, Purg.
Quasi obliando la corporea salma.
Rapita io Quel che volentier perdona.
Sulle ginocchia 11 bel corpo abbandona
Soavemente, e l' una e 1' altra palma,
un dolor stanco, una celeste calma
Le appar diffusa in tutta la persona.
Ma nella fronte che con Dio ragiona
Balena l' immorial raggio dell' alma ;
E par che dica : se ogni dolce cosa
M* inganna, e al tempo che sperai sereno
Fuggir mi sento la vita affannosa,
signor, fidando, al tuo paterno seno
L' anima mia ricorre, e si riposa
In un affetto che non è terreno.
A SAN GIOVANNI
In grazia della zecca fiorentina
Che vi pianta a sedere in un ruspone,
O San Giovanni, ogni fedel minchione
A voi s' inchina,
per voi sconvolto il mondo e indiavolato
S' agita come mare in gran burrasca :
Il vostro anreo vapor giù dalla lasca
Dello scapato.
Sgorga io pioggia oonlinaa, feconda
Al baro^ al sarto, a epicureo vivalo,
E 8' impaluda in man dell' oauraio
Peslifer' onda.
Dal lurbanle invocalo e dalla aiolà
Siete del pari ; ai santi, al biricbini,
Ai birri smessi quondam Giacobini
voi fate gola.
Gridano Jve spet unica io un coro
A voi scontisti, bindoli e sentali,
A voi per cui cancellan le cambiali
Il libro d' oro.
Vecchia e novizia deiiA, che il callo
Ha gii sul core e pudicizia ostenta,
Perde le rose e itterica doventa
Dei vostro giallo.
Il tribuno cbe tiene uo piede in Francia,
L' altro a Modena, e sta tra due sospeso,
Alza ed abbassa al vostro contrappeso
La rea bilancia,
voi, ridotto a trar sangue da una rapa,
Dal giorno cbe impegnò la navicella,
chiama al deserto della sua scarsella
Perfino il Papa.
Salve, bel conjo, al secolo mercante
Polare stella 1 Ippocrate, il Giornale,
E la monomania trascendenlale
Filosofante.
E prete Apollo in maschera (!he predica
Sempre pagano sull'arpa idumea,
Fidano in te, ponsando diarrea
Enciclopedica.
Oh mondo, mondo i oh gabbia d' armeggioni.
Di grulli, di sonnambuli e d' avaria
I pochi che per te fan de' lunari
Soo pur minchionil
Non delle sfere l'armonia li guida,
Ma il magnetico suon delle monete :
Francia s' arruffa Intanlo nella rete
Del birro Mida.
soslien I' amico con un laccio ai collo
Anglia con fede che la greca ecclissa;
Lacera il Belgio la volpina rissa
D' un protocollo.
X «6 >:;
in furor di Cannibali si caogia
LO scisma ilMro che sé stesso anniema ;
cannibale peggiore or lo fomenta,
Poi se lo mangia,
sognan d' Italia i popoli condotti
con sette fila in cieco laberinto :
Giocano i re per arte e pec istinto
Ai bussolotti.
Se i' i|) umana umanità si spolpa,
Se a conti fatti gli asini slam noi;
caro Giovanni, un Santo come voi
N' avrà la colpa l
colpa è di questi Agli del Demonio
che giran per le tasche a voi confusi
Di cui vedete le sentenze e i musi .
Brillar nel conio.
Colpa di moUitudine che anela
Far da leone col core impeoorìlo :
Falsificando il cuoio ed il ruggito
Sbadiglia e bela,
che dico mai r Di scettri e candelieri
A questa gente non imporla un ette:
Tribune invade e cattedre e gaziette
Fuori di zeri.
Guerra non è di popoli e sovrani,
È guerra di chi compra e di chi vende :
E il moralista addirizaar pretende
Le gambe ai cani ì
Ah ! predicar la' Bibbia o l' Alcorano,
San Giovanni mio caro, è tempo perso :
Mostrateci la borsa, e 1' universo
Sarà cristiano.
BRINDISI
Amici a crapula A diplomatica
Non ci ha chiamali Mensa non siamo
Uno dei solili D' un Giuda in carica
Ricchi annoiali, Che geli» V amo,
Che per grandigia E ira gì' intingoli
sprecando inviti, E ira i bicchieri
Gonfia agli applausi 'n prò de' vandali
De' parasili. Peschi i pensieri.
Ma un capo armoDìco,
Volendo a ceoa
una combriccola
Di gente ameoa^
S' è messo in animo
Di sceglier noi.
Di mezza taglia,
Compagni suoi:
Razza burlevole
Glie non dà retta
Ai gravi ninnoli
Deli' etichetta.
Difalli esilia
Da questa stanza
La parte mimica
Dell' eleganza ;
Né per mobilia
Si pianta allato
Tanto la seggiola
Che il convitato.
Non ci solletica
Con cibi strani,
si che lo stomaco
senta domani
Fastidio insolito
Di stare In briglia
Neil' ordinario
Della famiglia.
Non ci abbarbaglia
coir apparecchio
Perchè del pubblico
s'empia F orecchio
Sulle stoviglie
Sul vasellame,
D' un panegirico
Nato di fame.
Queste son misere
Ambizioncine
Di teste anomale
B piccinine,
che nel silenzio
D' un nome nullo.
Per Care strepilo
Fanno il Lucullo;
Sono ammennicoli
E spampanate
Di certe anonime
Birbe dorate.
Che tra noi ronzano
Alla gtomaia
come gli opuscoli
Di falsa data;
E cosi tentano
Turar la bocca
Sopra un'origine
Lercia o pitocca
Qppur son cabale
Da rifluiti.
Che alla vigilia
D' andar falliti.
Si danno l'aria
Dell' uomo grande.
Che ha V oro a stala.
Che spende e spande.
<2ui non si veggono
Fio sulla scala
Tappeti, fronzoli.
Livree di gaia;
Né di risparmio
Bizzarro impasto
Sotto i magnifici
Fumi del fasto,
immaginatevi
Passar via via
Lanterna magica
Di piatteria.
Per cui s'annosano
Arrosto e vino.
Mostrato in copia,
Dato a miccino.
Qui non ci decima
Sempre il migliore
li sotterfugio
D'un servitore,
Che d' oro luccichi
Le spalle e il petto,
E di panatica
Viva a stecchetto.
w X
Di qui non tornano
polli in cucina
Buoni a rifriggersi
per domatiioa;
Ma i pialli girano
Tre volle almeno ;
Non 8i pu6 muoYere
Chi non è pieno;
E lutti asciugano
Bottiglie a scialo,
senza battesimi
Né prese a cala,
Che vanno e vengono^
Sempre stappate,
E si licenziano •
capivoitale.
ECCO un'immagine
Pretta e reale
Del fare omerico.
Patriarcale;
Ecco la satira
Chiara e lampante
D' un pranzo funebre
Detto elegante.
Ove si cozzano
Piatti e bicchieri
In un mortorio
Di ghiotti seri;
E lì tra gli abili
E i complimenti,
L' imbroglio, il tedio
T'allega i denti;
O ti ci ficcano
Cosi pigiato.
Che senza gomili
Bevi impiccato.
A un tratto simile
Di cortesia.
Risponda un Brindisi
Pien d' allegria.
Ma schietto e libero.
Si che al padrone
Non mandi l'alito
Dello scroccone.
Adesso in circolo
Diamo un'occhiata.
Tastando il debole
Della brigata.
^iara tutti giovani
E grazie al cielo
in corpo e in anima
Tulli d'un pelo; ^
Tutti di lettere
Infarinali,
Tutti all' unisono
Per tulli i lati.
Se come Soc
Talun qui pensa
In Accademia
Mutar la mensa,
Siam tutti all' ordine.
Al suo comando.
Tagliati a ridere
Moralizzando.
Ma sulla cattedra
Resti ogni lite
Di metafisiche
Gare sciapi te;
Fuori il puntiglio.
Fuori il vanume,
Fuori il chiarissimo
Petlegolome.
Un basso strepilo
Si sa per prova
Che il tempo laiicia
Come io trova;
E in vii ricambio
Di fango incenso,
vi gioca a scapilo
Fama e buon senso.
Se poi V' accomoda,
O male o bene.
Dire in disordine
Quel che vien viene,
zitte le ciniche
Baie all' ingrosso.
Che a tulli trinciano
La giubba addossa;
X«9X
zitto l'equWooo
Da Stenterello^
Che sa di bettola
E di bordello.
Facciam repubblica
Seoza licenza j
Nessun ci addebiti
Di maldicenza;
E tra le celle
Del lieto umore^
Tutti si scottino.
Menò il pudore.
se nelle lepide
Gare d* ingegno
Tizio o Sempronio
Dà più nel segno.;
se a fin di tavola
E a naso rosso
una facezia -
y arriva alP osso;
Non fate broncio
Come taluno,
Cbe, se nel muoversi
Lo tocca un pruno,
soffia, s' inalbera
E si scoruccia,
E per cornaggine
Si rincantuccia.
È vero indizio
Di testa secca.
Quando la boria
Ti fa cilecca.
Buttarsi al serio
Dietro un ripicco
Nato da stimolo
Di fare spicco.
certa lunatica
Sliticheria
copra V invidia
Di vecchia arpia.
Che in mezzo secolo
Non 8' è cavala
Nemmen la smania
D' esser tentata ;
E nella noia
Di qaaltro mura
•Si tappa al Tizio
Cbe non la cura.
O giovi ai Satrapi
Che stanno io tuono,
E nel bisbetico
Cercano il buono.
Con dommi sinici
Da veri monchi.
La via a' impacciano
Di mille bronchi,
E si confiscano
I cinque sensi.
Vivendo a macchina
Come melensi.
Come? un ascetico
Di cuore eunuco,
lo dormiveglia
Tra II santo e il ciuco «
scomunicandoci
V umor giocondo,
vorrà rimettere
Le brache al mondo?
Oh, senza storie
Tanto noiose,
I savi cingono
Bontà di rose ;
E praticandola
Cortese e piana,
La fanno agevole
E popolana.
All' uomo ingenuo
Non fa lusinga
Certa selvatica
Virtù solinga.
Virtù da islrioe.
Che, stuzzicalo,
Si raggomitola
Di punte armato.
Lasciamo i ruvidi.
Che a grugno stufo
La gente scansano
Facendo il gufo.
: 90 :
cbiusi al contagio
Del mondo iofeilo
Di $è medesimi
Nel laszeretlo.
Noi nati a starcene
Fuor del deserto,
Tra i nostri gimlii
Col cuore aperto,
Tiriamo a vivere
Da buona gente
Raddiriziandoci
Piacevolmenie.
Qui l' amor proprio
Sia cieco e sordo ;
Qui puoziccbiamoci
Tutti d'accordo;
E senza collera
Né grinta tosta.
Facciamo a dircele,
Bolla e risposta.
Meglio alla libera
Buttarle fuori,
Che giù nel fegato
Covar rancori; .
Falsare un animo
Meschino o reo.
Sotto l'alchimia
nel Galateo.
Ai galantuomini
Non fa paura
Una reciproca
Gaia censura.
Air amichevole
Burlarsi un poco.
Fa prò, solletica.
Riesce un gioco ;
E quei sentirsele.
Dire in presenza,
prova l' orecchio
Della oosGlenia,
Ma già le snocciola
come le sente
Tanto la cameni
Che 11 presidente;
Già della cbiaochiera
L> estro s' ioOamma;
Sento l' aculeo
Dell' epigramma ;
Gli atleti. 8' armano
Tutu a duello :
Guai alle costole
Di questo e quello.
Bravi! la gioia
Che qui sfavilla
Del fluido elettrico
Par la scinti Uà,
Che d%l suo carcere
Appena mossa.
Il primo e l' ultimo
Sente la scossa.
Via, ricordiamoci
Di fare in modo
Che il dire e il bevere
Non faccia nodo.
E; se ci pencola
sotto il terreno
Rimanga in bilico
La testa almeno.
APOLOGIA DEL LOTTO
Don Luca^ uomo rotto,
Ma onesto Piovano,
Ha un odio col Lotto
Non troppo cristiano;
E roba da cani
Dicendo a chi gioca
Trastulla coli' oca
I suoi popolani.
9ì
Don Luca davvero
£ UD gran galaniomo,
Migliore del clero
Che bazzica lo Domo;
Ma è troppo esaltato^
E crede che (occhi
Ai preti aprir gli occhi
Al mondo gabbalo.
In oggi educare^
almeno far vista,
È moda; il collare
Dovenia utopista:
E ognuno si scapa
A far de' lunari,
Gaastando gU affari
Del Trono e del Papa.
Il giuoco io complesso
E un vizio bestiale
Ma il Lotto In sé slesso
Ha un che di morale;
ci avvezza indovini.
Pietosi di cuore;
Doventi un signore
con pochi quattrini.
Moltiplica i lumi.
Divaga la fame,
Pulisce i costumi
Del basso bestiame.
Di fatto lo stato,
Mon punto corrivo,
se fosse nocivo
L'avrebbe vietato.
Lasciale, balordi.
Che il Lotto si spando.
Che Roma gli accordi
La sua propaganda ;
si gridi per via :
Cristiani, un bel terno!
s' aiuti II governo
Neil' opera pia.
Di Grecia, di Roma
1 regi sapienti
Pianta van la soma
secondo le genti;
E a norma del vizio
Il morto o lo sprone ;
Che brave persone i
Che re di giudizio!
con aspri precelti
Licurgo severo
corresse i difetti
Del Grego leggiero
E Numa con arte
Di santa Impostura
La buccia un po' dura
Del popol di Marie.
O tisici servi
Dal cor di coniglio
un savio consiglio
Vi fodera 1 nervi ;
un tempo corrotto,
Perduta ogni fede,
E gala se crede
Mei giuoco del Lotto.
Lasciate giuocare,
Messer Galileo;
Al verbo pensare
Non v'è giubileo,
studiar l' InGnilo ?
che gusto imbecille !
Se fo le sibille
Non sono inquisito.
Un giuoco sì bello
Bilancia 11 Vangelo,
E mette a duello
L' Inferno col cielo;
Se il Diavolo è astrailo,
un' anima pia
Implora l' estratto
Coli' Jve Maria.
Per dote sperata
Da pigra quintina
La serva piccata
Fa vento In cucin»
La pappa condita
cogli ambi sognati
Sostenta la vita
Di mille affamati.
92 X
Se passa la bara.
Del morto ogni cosa
DomaodaDO a gara :
o gente pietosa l
Ehi un popol di sceltici
Non piange disgrazie.
Ma giuoca le crazie
Sui colpi apoplettici.
Se suonano a gogna.
Ci vedi la piena ;
Ma in quella vergogna
Si specchia e si frena?
Nel braccio ti dà
La donna vicina,
E dice: Berlina
che numero fa?
Ah I viva la legge
Che il Lotto mantiene:
11 capo dei gregge
ci vuole un gran bene ;
I mali, i bisogni
Degli asini vede,
E al fieno provvede
col Libro dei sogni.
chi trovasi al verde
L' ascriva a suo danno ;
LO Stato ci perde,
E tutti lo sanno.
LO slesso Piovano
in fondo. è convinto
che a volte ci ha vinto
Perfino il sovrano.
contento dei mio.
Né punto né poco.
Per grazia di Dio,
M' imporla del giuoco.
.Ma certo, se un giorno
Mi cresce la spesa.
Galoppo ali' impresa
E strappo uno storno.
hk VESTIZIONE
Quando s'aprì rivendita d^ onori,
E dì croci un diluvio universale
Allagò il trivio di Commendatori;
Quando nel nastro sMmbrogliaron l'ale
L'oche, l'aquile, i corvi e gli sparvieri;
O, per parlar più franco e naturale.
Quando si vider fatti cavalieri
Schiume d'avvocatucci e poetastri,
Birri Strozzini ed allri vituperi;
Tal che vedea la feccia andare agli astri.
Né un soldo sciupò mai per tentar l' ambo
Al gran lotto dei titoli e dei nastri.
Nel cervellaccio imbizzarrito e strambo
Sentì ronzar di versi una congerie:
E piccato di fare un ditirambo.
X 95 X
Senza legge di forme o di materie.
Le sacre mescolò colle profane
E le cose ridicole alle serie.
Parole abburattale e popolane,
Trivialità cucl^ oonvenleoii
A celebrar le gesta paesane,
E proruppe da matto in questi accenti,
Ai retori lasciando e a' burattini
Grammaticali ed altri coropllroenli.
Ròsa da nobiltà senza quattrini
Casca la veccttia Tavola, e la nuova
È una ladra genia di Paladini.
Tanta è la sua viltà che non ne giova:
E i bottegai decitoli lo sanno,
Ma tiran via percliè gatta ci cova.
Come di Corte riempir lo scanno
Che vuotan Conti tribolali? e come
Le forbici menar se manca il panno ?
Volle di Cavalier prendere il nome,
spazzaturaio d' anima, uq Droghiere :
Bécero si cblamò di sopannome.
In diebus ilUs girò col paniere
A raccattare i cenci per la via,
Da tanto ch'era nato Cavaliere.
Trovo che fece anco un slnsin la spia.
Poi, come non si sa, l' Ipotecario ;
Di questo passo apri la Drogheria.
E coir usura e facendo il falsario,
co' frodi e con bilancie adulterate.
Gli venne fatto d'esser milionario.
Volle, quand'ebbe i rusponi a palate.
Rubar fin la collollola al capestro,
E col nastro abbuiar le birbonate.
D' un Bali che di Corte è l' occhio destro
Dette di frego a un debito stanilo,
E quei l' accomodò col Gran Maestro.
Brillava a festa la casa d'Iddio
Tra il fumo degl'incensi e i lampadari :
D'organi e di campane un diavoiio
Chiamava a veder Bécero agli altari
A insudiciar il sacro ordin guerriero
Che un tempo combattè contro i corsari.
X94X
A lui d' iolOTBo il Nobilume e il clero
Le parole tofitandogli ed i gesti,
ID tulli lo ciurmavao CaTaliere.
Tra i Preti, tra i Taù (i) odo quelle vesti.
Alterar si senti la faoiasia,
Né gli pareaoo più quelli né questi ;
Ma n vedea mutar lisonomia,
E dair aitar discendere e svanire
Le immagini di cristo e di Maria.
Era la chiesa un .andare e venire
Di Aeri speltri e d'orribili larve,
con una romk» da farlo ammattire.
Crollò il ciborio, si divelse e sparve ;
E nel luogo di quello una figura
Magra e d' aspetto tisico gli apparve.
in mano ha la cambiai, dalla cintura
Di molli pegni un ordine pendea ;
La riconobbe testo per l' usura
Dalla pratica grande che n'avea:
Vide prender persona i candelieri,
E diventar di scrocchi un'assemblea.
Parean Nobili tutti e cavalieri,
E d'accordo gridavano al fantasma :
« Mamma, Pisa per voi dovenia Algeri. » (9>
com'uom clie per mefitico miasma
Anela e gronda d' un sudor gelato,
O come un gobbo che patisce d' asma.
Bécero si semi mozzare il fiato: .
Alzossi e per fuggir volse le spalle.
Ma gli ireman le gambe, e d' ogni lato
Dì strane torme era stipato 11 calle.
Grullo, contuso Cose d' inferno
Rimase lì ; t'oH' occhio interno
col manto il muso Della paura,
Si ricoprì. che non si tura.
Da quella faccia Anzi, raccoMo
Che lo minaccia in sé medesimo^
celarsi crede, si sentì l'animo
Ma sempre vede viepiù sconvolto.
(1) I Taù sono i catnerieri o scudieri dell' online.
(2) L' online di santo slcrano risiede in Tì^n.
E df più nere immaglDì Tosalo, esposto al popolo.
Gli si turbò la nieote : Ai tocchi d* un battaglio
sognò l'accusa, il carcere. L'abito nobilissimo
La corte, il Presidente ; cangiò colore e taglio:
In banco di vergogna * La croce sQgurata
Sedè coi malfattori ; Pareva un carteliaccio,
udì parlar di gogna. Lo sprone un catenaccio^
Di pubblici lavori. La spada una granala,
Poi vide un'alta macchina,
Un militar corteo;
Fantasticò d'ascendere
Su per uno scaleo;
E sotto, una gran folla;
Allato, un Cappuccino ;
Fu messo a capo chino:
£ udì scattar la molla. '
Parvegli a quello scatto
Sentire un certo crollo.
Ch'alzò le mani a un tratto
Per attastarsi il collo.
Ma fn quel punto una mano sceltrafa
Gli calò sulla testa nefaria:
Allo strano prodigio^ incantala
La mannaia rimase per aria,
viva, viva, gridava il buglione,
La giustizia del nostro Solone;
Se protegge chi ruba e chi gabba.
Muoia Cristo, si sciolga Barabba.
Di sotto la toga Un vortice, un misto
Che quasi l'affoga Di cose diverse.
La lesta levò ; Cosi del maialo
D'intorno girò Non bene svegliato,
Quegli occhi di falco; Col falso e col vero
E ailor gli s'offerse Combatte il pensiero,
D'Altare, di Palco, Guizzando nel laccio
D'Usura, di Cristo, pi qualche sognacelo.
E già la vision si disciogliea.
Quando da un lato della chiesa sente
Incominciare un canto, e gli parca
Superbo nel concetto e impertinente.
Si volta, e vede in aulica livrea ^
Gente che incoccia maledettamente
, D' esser di carne come tutti siamo,
E vorrebbe per babbo un altro Adamo.
X'9«X
vedea sbiadito 11 nastro degli occhielli,
E la fusciacca doventata bieca;
UDlformi ritinte^ e de* gioielli
Il bugiardo baglior che oon aocieca.
Else e crascià rlcoooscea'tra quelli,
E spallette tenute In ipoteca,
E Marchesi mandati in precipizio ;
E più visi di bue che di patrizio.
(Qui ci vuole un certo imbroglio—
Di sussiego e di miseria^
E il frasario dell' orgoglio
Adattato alla materia.
Fatto mantice, il polmone
Spiri vento di Blasone.
Ma di modi arcigni e tronfi
Non ho copia in casa mia
Né un bisnonno che mi gonO
Di fastosa idropisia,
E un linguaggio da strapazzo
Ascoltai fin da ragazzo.
se il poetico artifizio
Non m'aiuta a darmi l'aria
D' uno sbuffo gentilizio,
colpa d'anima ordinaria,
proverò se ci riesco.)
Lo squadravano in cagnesco
E diceano: un mercatino
Che il paese ha messo a rubba
Un vilissimo facchino
Si nobilita la giubba,
E dal banco salta fuori
A impancarsi co' Signori ?
Si vedrà dunque un figuro.
Nato ai fango e ai letamaio.
Intorbare il sangue puro
Coi suo sangue bottegaio?
E £arà questo plebeo
Tanto insulto al Galateo ?
Usurai crucesìgnati
Che si comprano di lei.
Tra i patrizi scavalcati
Passeranno in tiro a sei
A esalar l'anima ciuca
A sinistra del Granduca?
Rifiniti dal mestiere,
-C'è chi paga i Ciambellani
Con un calcio nel sedere;
E rifa di pelacani,
Che il delitto insignorì,
Il vivaio del Bali.
E di più, ridotlo a zero
Il patrizio è condannalo
A succhiarsi il vitupero
Di vestir chi l'ha spoglialo,
A ridursi sulla paglia
Per far largo alla canaglia.
Se vlen voglia al morti eroi.
Dell' avita abitazione.
Ormai, siccome noi
Si tornò tutti a pigione,
cerchi l'anima degli avi
Il birbon che -n' ha le chiavi.
Di questa antifona
L'onda sonora
Su per la cupola
Tremava ancora ;
V illustre l)indolo
A capo basso
parca Don Bartolo
fatto di sasso:
: s^
Quand'ecoo a aoooterlo
Dal suo stupore
uo Doofo strepilo,
Vo gran rumore,
come- piozochera
Che il mondo ingaaoa.
DI deoiro xaide.
Di fuor Susanna,
Si sogna i diavoli
Montati io furia.
Dopo la predica
Sulla lussuria;
così, coli' animo
Sempre alteralo
Tutto Camaldoii
Tulio Mercato,
Ycdea^
in osa lega,
Porlaodo l'alilo
Della boilega:
Sbraooali, in aoceoli,
E scalzi e sbrici^
e musi laidi
Di ▼eoebì amici ;
E Crezie e Calere.
E Bobi e Beco, (1)
So per le bettole
Cresduli seco.
QuesU eomlHioeola
Strana di genie
Agglomerandosi
Confusamente,
Lasciale le idee.
Le frasi ampollose,
Con urla plebee
Rincara la dose,
E lo striglia cosi nel suo vernacolo
Senza tanto rispello al Tid)ernacolo.
salute a Bécero,
viva il Droghiere;
Bellino, in maschera
Di Cavaliere !
O come domine*.
Se giorni sono
Vendevi Zenzero
Per pepe bono.
Oggi ci reciti
coi logo addosso
Questa commedia.
Del cencio rosso?
Ab, tra lo zucchero,
col tuo pestello.
Eri io carattere.
Eri più t>ello )
Or tra lo strascico,
E l'albagìa
un chiappanuvoli
Par che tu sia.
Eh toma Bécero,
Torna Droghiere,
Leva la maschera
Di Cavaliere.
Se per il solilo
Quando ragioni
Dici spropositi
Da can barboni.
Come discorrere
Potrai con gente
Che saprà leggere
Sicuramente T
Ah torna Bécero,
Torna Droghiere,
Leva la maschera
Di Cavaliere.
Se schifo ai nobili
Non fa la loia
Di certi ciaccberi
Scappali al boia ;
<I) Diminnttvi popolari di Lucrezia, Caterina, Zanobi e Domenico.
Se i Preti a crederli
son tanto bovi, .
CoD codesi'aoima
Che li ritrovi;
Se per lo scandalo
di questa festa
non li precipita
La Chiesa in testa.
O io oggi ha credilo
Lo sbarazzino,
O Santo Stefano
Tira al quattrino.
Ma noi che fécemo (1)
Teco il mestiere,
S' ha a dir lusirissimo ?
L'aresLi a avere!
Tieniene, Bécero;
Gonfia, Droghiere:
Se' belio in maschera
Di cavaliere 1
Tacquero : e gli parea che ad una voce
Ripigliasser le genti ivi afTollate:
— se dalla forca ti salvò la croce,
Non ti potrà salvar dalle frustate, — -
Indi ogni larva se n' andò veloce.
Fini la ceremonia e te fischiale;
E su in ciel Santo Stefano si lagna
Di vedere un Pirata in Cappamagna.
Un rivendugliolo
RimpaoDucciato
ci ha a stare io aria?
va via sguajaloi
va colle logiche, (SH
va pure assieme;
Che tu ci bazsichi
Non ce ne preme.
Ma se da ridere.
Po' poi, ci scappa
Di le, del ciondolo
E della cappa,
Non te ne prendere.
Non far cipiglio;
sai di garofani
Lontano un miglio.
IL PRETERITO Pili' CHE PERFETTO
DEL VERBO PENSARE
Il mondo peggiora
(Gridan parecchi).
Il mondo peggiora :
I nostri vecchi
Di rispettabile.
D'aurea memoria,
Quelli erao uomini t
Dio gli abbia in gloria.
E vero; i posteri:
Troppo arrogami.
Per questa furia
D'andar avanti,
All'uman genere
Ruppero il sonno,
E profanarono
Le idee del nonno.
(I) Idiotismo invece di facemmo.
•-*' Il popolo chiama logiea uno che faccia l'elegante.
io ilio tempore
Quando i moruK
Se la dormWano
Fra due guancialls
Quand'era canone
Di gaiateo
mtiU Oe principe^
JParum de Deoj
Ob età pacifiche,
Oh benedette I
Non e' impestavano
Libri e gazzette;
Toccava all'indice
A dire : io penso;
Non era in auge
Questo buon senso ,
Questi filosofi
Guastamestieri,
Che i dotti ficcano
Fra i cavalieri.
Pare impossibile!
La Croce è offésa
Per fin su gli abiti i
(Pazienza in Cblesal)
E prima i popoli
Sopra un occhiello
. ci si sciupavano
Proprio il cappello. •
Per questo canchero
Dell' eguaglianza
Non v' era requie
Né tolleranza;
Non era un martire
Ogni armeggione
Dato al patibolo
Per la ragione.
Tutti serbavano
La trippa ai fichi :
O venerabili
Sistemi antichi l
Per viver liberi
Buscar la morte?
E meglio in gabbia,
E andare a Corte.
Là servo e loddilo
Di regio bslOy
Leccava il nobile
caveza e basto;
E poi dell'aulica
Frusta, prendea
La sua rivincita
Sulla livrea.
Ma colle borie
Repubblicane
Non domi un asino
Neppur col pane ;
E in oggi a titolo
Di galantomo
Anche lo sguattero
Pretende a omo.
Prima trattandosi
D'illustri razze,
A onore e gloria
Delle ragazze. *
Le mamme pratiche
E tutte zelo,
voleaoo il genero
con il -trapelo.
Del matrimonio
Finiti i pesi
Nel primo incomodo
Di nove mesi,
si rimettevano
Mogli e mariti
L'uggia reciproca
Di star cuciti; \
E l'orco e i magici
sogni ai bambini
Eran gli articoli
Del Lambruschini.
Oggi si predica
E si ripiglia
La santimonia
Della famiglia ;
i figH, dicono.
Non basta farli ;
V è la seccaggine
f>eir educarli.
«oa V
K in caia II Cenerò
Babbo uppalo,
cava gif scrupoli
Uel proprio staio;
fi le Penelopi
Muove d'Italia,
La bega arcadica
Di far la balla;
Oh tempi barbari i
Nessun più stima
Quel vero merito
Di nascer prima.
Dolce solletico
D'un padre al cuore :
Ah l'amor proprio
È il vero amore t
Tu, lu, santissimo
Fide-commesso
Da questi vandali
Distrutto adesso,
Nel primogenito
serbasti unito
L'onor blasonico.
Il censo avito,
E in retta linea
D'etA In eia
Ereditarla
L'asinità.
Ora alla libera
vede un signore
portarsi l'albero
Dal creditore ;
L'usura, II codice,
Ne ròse i frutti;
11 Messo e l'Estimo
Pareggia tutti;
Chi non sa leggere
Si chiama un ciuco,
E inciampi cattedre
Per ogni buco
Per gl'illasCrisaimi,
Funi e galere
Un giorno c'erano
Per darla a bere^
Ila in questo secolo
Di confusione
si pianta in carcere
Anco un barone;
E s'aboliscono
Senza giqdizio
La corda, il b^ia,
E il sant'uffizio.
Il vecchio all'ultimo,
saldando ai frati
Quel po'di debito
Pe' suoi peccati,
I figli poveri
Lasciava, e pio
Metiea le rendile
In man di Dio.
Oggi ripiantano
L'a ufo in Cielo,
E a'pescivendoli
Torna il Vangelo.
E se il Pontefice
Fu Roma e Toma,
Or non dev'essere
Nemmanco Ronna:
E si scavizzola.
Si stilla tanto
Che adesso un chimico
Rovina un santo.
Prima il battesimo
Ci dava i re.
In oggi il popolo
Gli unge da se :
E se pretendono
Far da padrone
Colle teoriche
Del re Leone,
Te li rimandano
Quasi per ladri:
Beata Tepoca
De* nostri padri f
AFFETTI D' UNA MADRE
Presso alla culla io dolce aUo d' amore.
Che intendere non può chi non è madre.
Tacila siede e immobile; ma il ▼otto
Nel suo veizoso bambinel rapito.
Arde si turba e rasserena in questi
Pensieri della mente inebriata.
Teco vegliar m*è caro.
Gioir, pianger con te : beata e pura
si fa r anima mia di cura In cura ;
in ogiìi pena un nuovo affetto imparo.
EsuUa, alia materna ombra fidato,
Beilissiròo innocente 1
Se venga il di che amor soavemente
Nel nome mio ti sciolga il labbro amalo ;
Come l' ingenua gota e le infantili
Labbra t' adorna di bellezza il flore,
A te cosi nel core
AfTetti educherò tuUi gentili
^ €osl piena e compila
Avrò l'opra che vuol da me natura;
sarò dell' amor tuo lieta e sicura,
come data l'avessi un'altra vita.
Goder d'ogni mio bene,
D' ogni mia conlentezza il Ciel ti dia i
10 della vita nella dubbia via
11 peso porterò delle tue pene.
Oh, se per nuovo obietto
Un di l' affanna giovenil desio.
Ti rlsovvenga del materno affello i
Nessun mai l'amerà dell'amor mio.
£ tu nel lue dolor solo e pensoso
Ricercherai la quadre, e in queste braccia
Asconderai la faccia;
Nel sen che mai non cangia avrai riposo.
PER IL PRIMO CONGRESSO DEI DOTTI
TBKUTO IN PISA NEL 1839.
l>i Sì nobile Congresso Tra i Potenti della penna
Si rallegra con se stesso Non si traila, come a Vienna,
Tuuo 1' uman genere. D' allottare i popoli
iOS]
E per questo an TiraoneMo
Da qualtordici al duetto
Grida: oh che spropositi!
Questo principe toscano, •
Per tedesco e per soTrano.
Ciurla un po'ocl manico.
Lasciar fare a chi fa bene ì
Ma t)adale se conviene !
Via, non è da Principe.
Inter nos, la tolleranza
E una vera sconcordanza,
Cosa che dà scandalo.
Non Siam re mica in Siberia:
Dio '1 volessei Oh che miseria
cavalcar l' dalia l
Qui, Dell' aria, nel terreno.
Chi Iosa? c'è del veleno:
Buscherato il genio i
un' Altezza di talento
Questo bel ragionamento
Faccia a sé medesimo :
Se la stessa teoria
Segue, salvo l'eresia,
11 morale e il fisico»
Anco il lume di ragione,
Per virtù di riflessione.
Cresce e si moltiplica
£ siccome a chi governa
È nemica la lanterna
Che portò DKogene.
Dal Orio stato felicissimo
(Che per grazia dell'Altissima
Serbo nelle tenebre)
imporrò con un decreto
Cile chi puzza d'alfabeto
• Torni Indietro subito ;
E proseguano 11 viaggio.
Purché paghino il pedaggio,
solamente gli asini.
Ma quel matto di Granduca
DI tener la gente ciuca
Mon conosce il bandolo.
Qualche birba lo consiglia ;
O il mestare édi famiglia
vizio ereditario.
Guardi me che so il mestiere^
E che faccio il mio dovere
Propagandò gii ebeti.
Per antidolo al progresso,
AI mio popolo ho concesso
Di non saper leggere.
Educato all'ignoranza.
Serva, paghi, e me n'avanzar
Regnerò con comodo..
Sì> son vandoio d'origine,
E proteggo la caligine,
E rinculo il secolo.
Maledetto l'Ateneo
Che festeggia 11 Galileo,
Benedetto l'indice.
IL BRINDISI DI GIRELLA
DEDICATO AL SIGHOR DI TALLEYRABD BUON ANIMA SUA
Girella (emerito
Di molto merito)
Sbrigliando a tavola
L'umor faceto;
Perde la bussola
E l'alfabeto;
E nel trincare
Cantando un brindisi»
Della sua cronaca
Particolare
Gli uscì di bocca
La filastrocca
X ^03 '.
Viva irleccbiDi
E burattint
crossi e piccina ;
Viva le maschere
D'ogni paese; (Chiede.
Le giunte, i club, i Principi e le
E lutti questi
Con mezzi onesti
Barcamenandomi
Tra il vecchio e il nuovo.
Buscai da vivere,
Da farmi ii covo.
La gente ferma.
Piena di scrupoli ^
Non sa coli' anima
oiocar di scherma;
Non ha pietanza
Dalla Finanza.
Viva Arlecchini
£ burattini;
viva i quattrini 1
vìva le maschere
D'ogni paese, (mese.
Le imposizioni é V ultimo del
lo, nelle scosse
Delle sommosse.
Tenni per àncora
D' ogni burrasca.
Da dieci o dodici
Coccarde in tasca.
se cadde U Prete,
Jo feci rateo.
Rubando lampade,
cristi e pianete.
Case e poderi
Di monasteri.
viva Arlecchini
E burattini,
E Giacobini;
viva le maschere
D'ogni paese,
Loreto e la Repubblioa francese.
$e poi la coda
Torno di moda.
Ligio al Ponteflce
E Al mio Sovrano,
Alzai patiboli
Da buon crisiiaRO.
La roba presa
Non fece ostacolo;
Cbò col difendere
Corona e Chiesa,
Non resi mai
Quel che rubai.
Viva Arlecchini
E burattini,
E birichini ;
Briganti e maschere
D'ogni paese, (rese
Chi processò, chi prese e chi non
Quando ho stampato.
Ho celebrale,
E troni e popoli,
E paci e guerre;
Luigi, l' Albero,
Pili, Robespierre,
Napoleone,
Pio sesto e settimo,
Murai, Fra Diavolo,
11 Re Nasone,
Mosca e Marengo
E me ne tengo.
Viva Arlecchini
E burattini,
E Ghibellini,
E Guelfi, e maschere
D' ogni paese ;
Evviva chi sali, viva chi scese.
Quando tornò
Lo slalu quoj
Feci baldorie.
Staccai cavalli.
Mutai le statue
Sul piedistalli.
E adagio adagio
Tra l'onde e i vortici,
Su queste tavole
Dal gran naufragio,
X <04
Gridando evviva
Chiappai la riva.
Viva Arlecchini
E buraitini;
Viva gì' inchini,
viva le maschere
D' ogni paese, (Finlese.
viva il gergo d'allora e chi
Quando volea
(Che bell'idéal)
Uscito il secolo
Fuor de' minori,
Levar l' incomodo
Ài suoi tulori.
Frullò il carbone.
Sapulo vendere.
Al cor di Cesare
D' un mio padrone
Titol di Re,
£ il nastro a me.
viva Arlecchini
E buralUnì
E pasilccini;
viva le masciiere
D' ogni paese, (l'accese.
La candela di sego e citi
Dal irenta io poi,
A dirla a voi.
Alzo alle nuvole
Le ire giornale.
Lodo di Modena
Le spacconate ;
Leggo Giornali
Di tulli i generi ;
Piango r Italia
coi liberali
E se mi torna
Ne dico corna.
Viva Arlecchini
E burattini,
È il Re cbiappiDl,
viva le maschere
D'ogni paese^ (ioeiae.
La Carla, i tre colori e il erimen
Or son vecchio
Ma coli' orecchio
Per abitudine
E per trastullo,
certi vocaboli
Pigliando a fruito.
Placidamente
Qua e là m' esercito ;
E sotto l' egida
Del Presidente
Godo il papaio
Di pensionato,
viva Arlecchini
E burattini,
E teste ani
viva le maschere
D' ogni paese.
Viva chi sa tener {'orecchie lese.
Quante cadute
si son vedute l
Chi perse il credito.
Chi p^rse il fiato.
Chi la collottola, .
E chi lo stalo.
Ma capofili
cascaron gli asini;;
Noi valentuomini
Siam sempre ritti.
Mangiando i fruiti
Del mal di tutti.
Viva Arlecchini
E burattini,
E gì' indovini ;
Viva le maschere
D'ogni paese.
Viva Brighella che ci fa le spese.
IL SOSPIRO DELL'AMIMI
Ciascun oonfiiMmente un bene apprende
nel qua! si quieti l* animo.
DAVTi, Purg.
Suonar nel mio segreto odd ^na voce
Che a se mi tiene dubitando tnteao,
E non sento 1' età fuggir veloce
in quella nota attonito e sospeso.
Cosi rapito scorre e inavvertito
li libro, quando, per diversa cura,
10 se fermato l' animo e rapito.
Non procede coli' occhio alla lettura.
Gin sei che parli si pietoso e umile?
Un lieto sogno dellg mente ? O sei
Misterioso spirilo gentile.
Che ti compiangi degli affanni miei ?
Nciia mestizia pii^ benigno sorge
£ tesori di gioie a ai» rivela ;
A me dubbioso e stanco aita porge^
E cosi meco parla e si querela.
« Perché si pronto sai per il. cammino
Soave che per grazia il del ti diede,
E sei fatto simile al pellegrino
^Gbe per umida valle affretta il piede?
No, no, questa non ò terra di pianto,
E giardino di fiori e d' acque ameno ;
Sofferma il passo, ah I non t' incresca tanto
11 tuo gentile italico terreno.
•• Ma un sentier che la pace ha per confine.
Laghi, perenni fonti, aure beate.
Pianure interminabili e colline
Di perpetua verdui** inghirlandate.
Sempre innanzi alla mente desiosa
siccome sogni ricordati stanno,
E il forte immaginar che non ha posa
Di stupor t' empie e di segreto affanno.
- Qui 1' avida pupilla non s' appaga
Nelle bellezze della donna amala,
Né tu vedesti mai cosa più vaga.
Né mai diversa donna hai desiala $
O non ravvisi in lei 1' Angelo vero
Così velato di corporea forma,
O quella che amoreggia il tuo pensiero
sopra i fior di quaggiù non posa l'orma.
X «06 X
« vegliando Inconlro ai bei sogni ridenti^
Ogni più chi UBO albergo apre al dolore ;
E quasi armalo di sé stesso, il core
Vigor si fa degi' inlimi lormenti.
Dì cosa lieve pueril (alenlo
Mai noi travorge seco in lungo oblio,
E mai non seppe abbandonarsi, lento
seguendo inerzia, a lubrico pendio.
« Virlù d' amor non lieve e non mentita
come gemaa derisa asconde e serba;
La sua non terge per l' altrui ferita.
Ma del comun gioir si disacerba ;
Non corre a maledir con fecii piede
se il fatto non risponde ali' alta idea,
vagheggia in sé coli' occhio della fede
secoli di viriude, e là si bea.
« Però la mente tua, quando si cessa
Dall'opre e dalle cure aspre del giorno.
Ama, tutto tacendo a lei d'intorno.
In quel silenzio ricercar sé stessa.
E air azzurro sereno, al puro lume
Degli astri intendi l' occhio lagrimoso,
come augelletto dall' inferme piume
' Appiè dell' arboscel del suo riposo.
« 9uesi' ardito desio, vago, indistinto,
È una parte di te, di te migliore,
Che sdegnando dei sensi il laberfnto,
Anela un filo a uscir di breve errore ;
Come germe che innanzi primavera
Deli' involucro suo tenta la scorza.
Impaziente s'agita, e la vera
sentita patria conseguir si sforza.
» Però l' incresce il dolce aere e la terra
Ch' ogni mortai vaghezza addietro lassa,
E raro spunta dall'interna guerra
Riso che sfiora il labbro e ai cor non passa.
Gli aspetti di quaggiù perdon virtule
Delie pensale cose al paragone,
E Dio, centro di luce e di salute.
Ne rlsospinge a eè con questo sprone.
« Onde gì' inni di lode e il fiero scherno
Che del vizio si fa ludibrio e scena,
Muovon da occulta idea del bello eterno
Come due rivi d' una stessa vena.
Questo drizzar la Tela a ignota riva,
Questo adirarsi d' una vita otcora
E la lieta virtù cbe ne deriva,
SOD larve, di lor vero arra e figura. •
Ila quasi stretto da tenace freno
Dire II labbro non pud quel cbe il cor tenie;
E più dolce, più nobile, più pieno
MI resta il mio concetto entro la niente.
E gareggiando colla fantasia,
Lo stile è vinto al paragon dell'ale,
E suona all' intelletlo un'armonia
Cbe non raggiunse mai corda mortale.
Ab si lungo da noi, fuor della sfera
Oltre la qual non- cerchia uman compasso,
vive una vita che non è men vera
Perchè comprender non si può qui basso.
Cinta d' alto mistero arde una pura
Fiammella in mar d' eterna luce accesa.
Da questo corpo che le fa misura .
variamente sentita, e non Intesa.
come Entropio, che. l' antica mente
Fingea Ninfa mutala in fior gentil^
Segue del sole il raggio onnipotente.
Del sol che più tra gli astri è a Dio simile.
Continuando la terrena via.
Rivolta sempre al lume che sospira, ^
Seguirà, seguirà l' anima mia
Questo laccio d' amor che a sé la tira.
Ahi misero colui che circoscrive
Sé di questi anni nel!' angusto giro,
E tremante dell' ore fuggitive
Tolge solo al passalo il suo sospiro i
Principio e fine a noi d' ogni dimora
Neil' esser, crede il feretro e la culla ;
Simili a bolla cbe da morta gora
Pullula un tratto e si risolve io nulla.
L' INCORONAZIONE
Al Re dei Re cbe schiavi ci conserva.
Mantenga Dio Io stomaco e gli artigli .
Di coronate volpi e di Conigli
Minor caterva
X J08 X .
Inioroo a lui s' aggiornerai e le cbibme
porgendo» grida al tOBalor sovrano :
Noi toseremo di seconda mano,
Babbo j lo luo nome,
vedi i ginocchi insudiciar primiero
Il savoiardo di rimorsi giallo,
Quei che purgò di gloria un breve fallo
Al Trocadero.
O Carbonari» è il Duca vostro» è desso
Che al palco e al duro carcere V ha traili ;
Ei regalmente del ventuno i patti
Mantiene adesso,
colla clamide il suol dietro gli spazza
li Lazzarone paladino infermo:
Non volge V anno» in lui sentì Palermo
La vecchia razza.
Di tannarmi che fai» re Sacripante?
Sfondar ti pensi il .cielo con un pugno?
smetti» scimmia d' eroi; t'accasa il grugno
Di Zoccolante.
11 Toscano Morfeo vien lemme lemm«r
Di papaveri cinto e di lattuga,
Che per la smania d' eternarsi asciuga
Tasche e Maremme,
co' Tribunali e co' Catasti annaspa ;
£ benché snervi i popoli col sonno.
Quando si sogna d' imitare il nonno»
Qualcosa raspa,
sfacciatamente degradata torna
Alle fischiate di si reo concorso»
Lei che l'esilio consolò del Còrso
D'austriache corna.
Ilare in tanta serietà si mesce
Di Lucca II protestante Don Giovanni,
che non è nella lista de' tiranni
Carne né pesce.
Né il Reganlin di Modena vi manca»
Che avendo a trono un guscio di castagna»
Come se fosse il Conte di Culagna,
Tra i Re s' imbranca.
Roghi e mannaie macchinando» vuole
con derise polemiche indigeste,
Sguaiato Giosuè di casa d' Este,
Fei^mare il sole.
X *09X
solo a Roma rtmao Papa Gregorio,
Fatto zimbello delle genti ausonie.
Il turbin dell' età^ nelle colonie
Del Purgatorio^
Dell' indulgenze insterìll la zolla *
Gbe già produsse It fior dello zecchino :
Or la -bara infruttifera il becchino
Neppur satolla.
D' Arpie poi scese una diversa péste
Nel santuario a dar 1' ultimo sacco :
vendetta d' Iddio i pesta il Cosaoco
di Pier la veste.
O destinato a mantener vivace
Dell' albero di Cristo il santo 8telo>
La ricca povertà dell' Evangelo
Riprendi in pace,
strazi! altri il corpo; non voler tu l'alma
calcarci a terra col tuo doppio giogo:
se muor la speme che al di là del rogo
S'affisa in calma,
vedi sgomento ruioare al fondo
D* ogni miseria 1' uom cb^ più non crede ;
Ahi vedi in traccia di novella fede
Smarrirsi il mondo.
TU sotto l' ombra di modesti panni
1 dubitanti miseri raccogli
Prima a te slesso la maschera logli.
Quindi ai tiranni,
che se pur badi a vender 1* anatema,
E il labbro accosti al vaso dei potenti.
Ben altra voce alle affollate genti :
« Quel diadema
« Non è, non ^ (dirà) de' santi chiodi,
« Come diffuse popolar delirio;
« cristo l' armi non dà del suo martirio
« Per tesser frodi.
« Del vomere non è per cui rìsuooa
« Alta la fama degli antichi Padri :
«f È settentrlonal spada di ladri
•* Tòrta in corona.
<« O latin seme, a citi stai genuflesso 7
« ^uel che ti schiaccia è di color l'eredi
« È la catena che ti suona ai piede
" Del ferro islesso.
X ««2 X
or tu ifida doreDll ìd uoa Dolte;
E via portato da veloce ruota,
sorridi a lui che lascia nelta mota
Le scarpe rotte :
Ed ei lieto risponde al tuo sorriso^
E P antica amistà sente nel seno
Glie a le lo ravvicina, a te ctie almeno
Lo guardi in viso,
vedit passa e calpesU H Galateo
Lindoro, amor d* inverniciate dame,
E d' elegante anoninoo bestiame
Tisico Orfeo.
Eccolo: ognun si scansa, ognun trattiene
L' alito, e schianta ansando dafìa tosse ;
* E creste ali* aria e seggiole commosse....
Ei viene, ei viene.
Svenevole s' inoltra e sdolcinato ;
Gira, ciarla, s' inchina, e T occhio pesto
Languidamente volge, e fa il modesto
E lo svogliato.
Pregato e ripregato, ecco sorride
In atto di far grazia ai supplicanti ;
I baffi arriccia in ju, si tira t guanti,
E poi si asside.
La giovinetta convulsa e sbiadita
TréS'bien gorgoglia con squarrala. voce,
Mentr' ei tartassa il cembalo, e veloce
Mena le dita ;
E nelle orecchie imbriacate muore
Seraifrancese lambiccato gergo
Di frollo Adoo che le improvvisa a tergo
Frizzi d* amore.
Piange intanto il filosofo imbecille,
E dietro l' arte tua chiama sprecato
L'oro che può lo stomaco aggrinzato
Spianare a mille.
Piange di Homagnosi, che colf ale
Dell* atto ingegno a tanti andò di sopra ^
E i giorni estremi sostentò coli' opra
D* un manovale.
Pianto sguaiato, che dei mondo vecchio
In noi 1' uggia trapianta e il malumore i
Purché la pancia il cuoco, ed un tenore
c> empia l' orecchio.
0ne importa a noi del nobile ioteltetto
Gbe per 1' utile oostro anela e stenta,
Del Poeta ebe bela e ci sgomenta
Con un sonetto t
Dell' ugola il tesoro e dei registri
Di noi stuccati gli sbadigli appaga :
Torni Dante, tre paoli; a ie, la paga
Di sei Ministri.
Signori TU che alia pecora tosata
Volgi in aprile il mese di gennaio,
E secondo il mantel tarpi a rovaio
L' ala gelata,
salva 1' educatrice arte del canto ;
A te gridano i palchi e la platea:
MUerere, Signor, d' una trachea
Che costa laoio.
Anzi del cranio rattrappiti e monchi
Grli organi lascia che non danno pane,
E la poca virtù che vi rimane
Gali ne' bronchi.
S' usa educar, lo so, ma è pur corbello.
Bimbi, chi spende per tenervi a scuola (
Gola e orecchi ci vuole, orecchi e gola ;
Péste al cervello I
GLI UMANITARI
ECCO il Genio Umanitario
Che del mondo stazionario
Unge le carrucole.
per finir la vecchia lite
Tra noi, bestie incivilite
sempre un po'selvatiche,
coli' idea d' essere Orfeo
vuol mestare in un cibreo
L' universo e retiqua.
Al ronzio di quella lira
ci uniremo; gira gira.
Tutti in un gomitolo.
varietà d'usi e di clima
Le 9on fisime di prima ;
È mutata l'aria.
I deserti, i monti, i mari,
Son confini da Lunari,
Sogni di geografi.
Gol vapore e coi palloni
Troveremo gli scorcioni
Anco nelle nuvole :
Ogni tanto, se ci pare.
Scapperemo a desinare
Sotto, qui agli Antipodi;
E ne' gemini emisferi
Ci uniremo bianchi e neri :
Bene i che bei posteri i
Nascerà di cani e gatti
Una razza di Mulatti
Proprio in corpo e in anima.
8
X*ux
La scacchiera d' Arleocbioo
sarà il Doslro figurino.
Simbolo dell' iodole.
(Già per questo il Gran Sultano
Fé la giubba al Mussulmano
A coda di rondine 1)
Boi gabbione dì fratelli t
Dì tirarci pe' capelli
smetteremo all' ultimo,
sarà inutile il cannone ;
Morirem d' indigestione.
Anzi di nullaggine.
La fiaccona generale
Per la storia universale
Farà molto comodo.
10 non so se ii regno umano
Deve aver Papa e Sovrano;
Ma se ci hanno a essere,
11 Monarca sarà probo
E discreto: un re del globo
saprà star ne' limiti.
Ed il capo della Fede?
consoliamoci si crede
Che sarà Cattolico.
Finirà, se Dio vuole,
Questa guerra di parole,
Guerra da pettegoli.
Finirà: sarà parlala
Una lingua mescolata.
Tutta frasi aeree;
E già già da certi tali
Nei poemi e nei giornali
Si comincia a scrivere.
Il puntiglio discortese
Di tener dal suo paese.
Sparirà tra gli uomini.
Lo chez'twus à* un vagabondo
vorrà dire in questo mondo,
Non a casa al diavolo,
Tu^ gelosa ipocondria,
che m' inchiodi a casa mia,
Esdrol dal fegato;
E tu pur chetati, o Musa,
Che mi secebi colla scusa
Dell' amor di Patria.
Son flgliuol dell' universo,
E mi sembra tempo perso
Scriver per l'Italia.
Cari miei concittadini,
Non prendiamo per confini
L' Alpi e la Sicilia.
S' ha da star qui rattrappiti
Sul lerren che ci ba nutriti?
O che siamo cavoli ?
Qua o là nascere adesso,
Figuratevi, è lo stesso :
Io mi credo Taruro.
Perchè far razza tra noi ?
Non è scrupolo da voi :
Abbracciamo i Barbari
un pensier cosmopolita
Ci molUplichi la vita»
E ci slarghi il cranio-
li cuor nostro accartocciato.
Nel sentirsi dilatato,
cesserà di battere.
Così sia : certe battute
Fanno male alla salute ;
Ci è da dare io tisico.
Su venite, io sto per uno ;
Son di tutti e di nessuno ;
Non mi vo' confondere.
Nella gran cittadinanza.
Picchia e mena, ho la speranza
Di veder le scimmie.
Sì sì, lutto un zibaldone :
Alla barba di Platone
Ecco la Repubblica l
A GIROLAMO TOMMASI
«WGIHB DB GLI 9CBBBZI
Girolamo, il mestier facile e piano
Che gì' iDsegnò Datura ognun rinnega,
E vuol nei ferri deli» altrui bottega
Spellar la mano.
Ognuno in gergo a scrìvaccbiar s' è messo
sogni accattali, affetti che non sente.
Settario adulator della corrente,
, ^ O di sé slesso.
Io due scuole vaneggia il popol dotto:
La vecchia, al vero il tortoo occhio rifiuta ;
La nuova, il letterario abito mula
Come il panciotto.
Di qua, cervel digiuno io una lesta
Di sloppa enciclopedica imbottila,
D' uscir del guscio e d' ingollar la vita
Furia indigesta:
calvo Apollo di là trotta alla 2uffa
Sul Pegaso arrembato e co* frasconi:
copre liuti e cetre e colascioni
Vernice o muffa.
Aggiungi a questo un tirar giù di lerci
Sonniferi che il torchio transalpino
Vomita addosso a noi, del Plgurino.
Bastardi guerci ;
E tosto intenderai come dal verme
Di bavose letture allumacaio.
Del genio paesano appena nato
Raggrinza il germe,
Mon tutti II vento forestiero intasa;
V* ha chi bee le native aure vitali :
Ma non è già chi spolvera scaffali
Tappalo in casa;
E sol perche di Cronache e Leggende
E di scene cucite un sudiciume.
Per carestia, per noia e per costume
SI compra e vende,
Ponsa e «'allenta in puerii conato
Di storia o d'Epopea, tisico a tanio,
O Botto il peso di tragico manto
Casca sfilato ;
V H6 V.
o briaco di sé sfiapsa la genie,
E per il lago del cervello oscure
peicando nel passato e nel futuro
Perde 11 presente :
Ma quei cui non (ano' ombra all'iatellett»
La paga, il bpia e gii altri spauracchi;
che si misura sens'alz«re i tacchi
coi suo subieito ;
Che benedice alla pativa aolla,
Né baratta sapore o si tiep basso;
Se, Dio volendo, invece d'ananasso
Nacque cipolla,
varian le braccia in noi, varia l' ingegno
A diversi bisogni aooomodato :
E irono e forca e seggiola e éteccato
Non fai d' un legno.
Toramasi, l'umor mio tra mesto e lieto
Sgorga in versi balzani e semiseri;
Né so piallar la crosta ai miei pensieri.
Né so star cheto.
Anch'io sbagliai me stesso, e nei bollore
Degli anni feci il bravo e l' ispiralo,
E pagando al Petrarca il noviziato
Belai d'amore;
Ma una voce segreta ogni momento.
Giù dai fondacci della cosdtenza,
Mi brontolava in tutta confidenza :
m Mula slrumento.
» Perchè (eroi mostrar la tua figura,
« se nella giubba altrui non V hai contratta ?
« Dell'ombra propria, come l)esiia malia,
m Ti fai paura.
*• I tuoi concelti, per tradur te stesso,
« Rendi svisali nel prisma dell' arte,
u E di secondo lume in sulle carte
u Torbo reOesso.
<« L' indole tua così falsificando,
« se fai d'alchimia intonaco alla pelle,
« del tempo passerai dalle gabelle
M Di contrabbando?
<< Scimmia, se gabberai le genti grosse,
M Temi l» orecchio spalancalo al vero
« Ch€ ne' tuoi sforzi dell'inno guerriero
» Sente 1» tosse.
X "T X
« €hi nacque al passo, e cbi nacque alla fuga :
« Invano invano a volgere il molino
<« sforzi la zebra, o a foni li procaccino
« La tartaruga.
« Lascia la tromba e il flauto al polmone
I* Di chi c'è nato, o se Tè fitto in testa ;
<i TU de' pagliacci all' odierna festa
« Fisctiia il trescone. »
£d ecco a rompicollo e di sghimbescio
svanir le larve della fantasia,
E il medaglione dell' ipocrisia
volto a rovescio*
come preso ali' amor d' una devota.
Se casca il velo rabeschilo in coro,
vedi l' idolo tuo creduto d' oro
Farsi di mota.
Veggo un Michel di Landò, un Masaniello
Bere al fiasco di Giuda e perder V erre ;
Bruto Commendatore, e Robespierre
Frate e Bargello.
Mirare a tutto e non avere un segno ;
Superbia in riga d' Angelo Custode;
con convulsa agonia d' oro e di lode
Spennalo ingegno ;
Vo palleggiar di lodi inverecondo ;
Atei-Salmisti, Tirici eoli' affanno
E le grinze nel core a ventunanno.
Lordare il mondo.
Restai di sasso ^ barattare il viso
volli e celare l tratti di famiglia :
Ma poi r ira, il dolor, la maraviglia
Si sciolse in riso;
Ah, in riso che non passa alia midolla !
E mi sento simile al saltambanco,
che muor di fame, e In vista ilare e franco
Traltien la folla.
Beato me, se mal potrò la mente
Posar quieta in più sereni obietti,
E sparger fiori e ricambiare affetti
soavemente.
Cessi il mercato reo, cessi la frode,
sola cagion di spregio e dì rampogna ;
E II cor rifiuta di comun vergogna
Misera lode-
X ««X
Ma fino a Unto che ci sU sul collo,
sorga air infamia dalla nostra voce»
Di scberoo armata e libero e feroce,
protesta e bollo,
come se corri per le gallerie
vedi in confuso un barbaglio di quadri,
così falsi profeti o bali ladri,
Màrliri spie.
Mercanti e tnrri in barba liberale.
Mi frullan per la testa a schiera a schiera :
Tommasi, mi ci par I* ultima sera
Di carnevale.
Ecco i miei personaggi, ecco le scene,
E degli scherzi la sorgente prima :
se poi m' è dato d' Infilar la rima
O male, o bene.
Scrivo per me, scemandomi la noia
Di questa vita grulla e inconcludente.
Torpido per natura, e impaziente
D' ogni pastoia.
Chi mira ai fumo, o a quello che si conia.
Dalle gazzette insegnamenti attinga,
E là si stroppi li cranio, o nella stringa
Del De Colonia,
centoni, Fantasie scriva a giornata ;
Venda la bile, il Credo e la parola.
Mentre gli pianta il compilo alla gola
Libraio Pirata,
Che avaro e buono a nulla, esige mondi
Da te che mostri un'oncia di valore;
E co' romanzi galvanizza il core
De' vagabondi,
io no: non porterò di Tizio o Caio
Oltramontane o arcadiche livree.
Me per lisciarle affogherò i' idee
Nel calamio.
Non sarò vislo volontario eunuco
Recidermi il cervel, perch' io disperi
La firma d* un Real Castrapensieri
Birbone e ciuco.
Se posso, al foglio non darò rimate
Frasi di spugna, o copie o ipocrisie ;
Né per censura pubblica le mie
Stizze private.
X <w X
Ma scrivendo là là quando mi pare
Sulle farse vedute a tempo mio,
Qualcosa annasperò, se piace a Dio,
Nel mio volgare.
Laudato sempre sia chi nella bara
Dal mondo se ne va col suo vestito:
Muoia pur bestia ; se non ba mentito,
Cbe bestia raral
ALL' AMICO
Nella Primavera del 4841
Già prevenendo il tempo> al colle aprico
Il mandorlo è fiorilo,
A te simile, o giovinetto amico,
Che impaziente al periglioso invito
Corri delia beltade.
Coi primi passi della prima etade.
Godi Roberto mio godi nei riso
Breve di giovinezza :
E se il raggio vedrai d' un caro viso
Che li cor l'inondi di mesta dolcezza ^
Apri l' ingenuo petto
Alla soavità d' un primo affetto.
Possa la donna tua farli bealo
Coi lieti occhi amorosi ;
À le fidala consigliera allato
in atto di benigno Angelo posi
E nell'amor ti sia
Come perpetuo lume in dubbia via ;
Non II seduca dei vani diletti
La scena ailettalrice ;
Leggier desìo diviso in molti obietti
Ti prostra l' alma e non li fa felice ;
Sente bennato cuore
Fiorir gioia e virlù d' un solo amore.
Soave cosa un' adorala immago
Sempre vedersi innante,
E serenare in lei l' animo pago.
In lei bearsi riamato amante,
E di sé neli' oblio
Viver per altri io uo gentil desio.
X *9»X
oh ! mi Bovvieoe an tempo a cui sospiro
sempre dal eor profondo :
Or che degli anni miei declina il giro
E agli occbl stanchi si scolora il mondo^
Passa la mia giornata
Dalla stella d' amor non consolala.
Pure a quel tempo ripensando, parrai
Gustar di quella pace
£ alle speranze antiche abbandonarmi.
Così se cessa il canto e r arpa tace,
senti per V aere ancora
vagare e nK>rmorar l'onda Sonora.
Non farò come quei che al pellegrino
Fonti e riposi addila.
Tacendo i mali e i dubbi del cammino :
Forse da cara mano a te la vi la,
Di basse frodi Ignaro,
sarà cosparsa di veleno amaro.
Sgomento grave al cor ti senHrai
Quando svanire intorno
vedrai l' auree speranze e i sogni gai -,
Quando agi' idoli tuoi cadranno un giorno
Le bende luminose
che la tua mano islessa a lor compose.
Nel tuo pensiero di dolor confuso
con inquieta piuma
volgendosi e gemendo amor deluso,
Qual dell' aere che intorno a sé consuma
s' alimenta la fiamma.
Ti struggerà la vita a dramma a dramma.
Ma che? se di viltà non ti rampogna
Rea coscienza oscura.
Lascia dar lode altrui della menzogna.
seduto io dignità nella sventura
sprezza i superbi ingrati
Che nome hanno d' accorti e di beali .
Tu nel dolore interroga te stesso
Conoe in sicuro speglio;
Fortificando, il mite animo oppresso
Per via d' affanni li conduci al meglio,
E con fronte serena
I carnefici tuoi conturba e frena.
Risorgerai dalle pugne segrete
Del core e della meo le
Saggio e composto a nobile quiete,
vedi? passò la bruma, e alla tepeote
Feconda aura d* aprile
Ti dà l'acuta spina un fior gentile.
hk CHIOCCIOLA
viva la Gbiocciola,
viva una bestia •
Cbe unisce il merito
Alla modestia.
Essa all' astronomo
E all' architetto
Forse nell' animo
Destò il coneeilo
Del canocchiale
E delle scale :
Viva la Chiocciola
caro animale.
conlenta ai comodi
Che Dio le fece,
Può dirai il Diogene
Della sua spece.
Per prender aria
Non passa V uscio ;
Nelle abitudini
Del proprio guscio
sta persuasa,
E non intasa:
Viva la Chiocciola
Bestia da casa.
Di cibi estranei
Acre prurito
Svegli uno stomaco
senza appetito:
Essa sentendosi
Bene in arnese.
Ha gusto a rodere
Del suo paese
Tranquillamente
L' erba nascente :
viva la Chiocciola
Bestia astinente.
Nessun procedere
sa colle buone,
E più d' un asino
Fa da leone.
Essa al contrario.
Bestia com' è.
Tira a proposilo
Le corna a sé.
Non fa l'audace
Ma frigge e tace :
Viva la Chiocciola
Bestia di pace.
Natura, varia
Ne' suoi portenti.
La privilegia
sopra i viventi.
Perchè (carnefici
Sentite questa)
Le fa rinascere
Per6n la testa;
cosa mirabile
Ma indubitabile
Viva la Chiocciola
Bestia invidiabile.
Gufi dottissimi.
Che predicate
E al vostro simile
Nulla insegnate,
E voi, girovaghi.
Ghiotti, scapati.
Padroni Idrofobi,
servi arrembati.
Prego a cantare
V intercalare :
Viva la Chioocioto
Bestia esemplare
IL BALLO
P ABTB PR 1 MA
la una Slorica
casa afiBiaia
Da certi posteri
Di Farinata,
A scelto e splendido
Ballo e' invita
CMiosca, gotica
Beltà sbiadita.
GooQie per magico
Vetro all'oscuro.
Folletti e dìavoH
Passar sul muro.
Maravigliandosi,
vede il villano
Che corre al cerartelo
Del ciarlatano;
Tali per l' intime
Stanze in confuso,
Cento s'affollano
Sporgendo il muso.
Baroni, Principe,
Ducili Eocelleoze,
E inchini strisciano
E reverenze.
Un servo i ciondoli
Tieo d' occhio, e al eentro
Le borie anticipa
Di chi vien dentro.
Fra tanti titoli
Nudo il mio nome.
Strazia inarmonico
Gli orecchi, come
In una musica
solenne e grave.
Un corno, un òboe
Fuori di chiave,
con un olimpico
Cenno di tesla^
La tozza e burbera
Dea della fesu>
Benedicendoci
Dai suo divano.
C'insacca al circolo
A mano mano.
In brevi, rauchi.
Scipiti accenti.
Pagato il dazio
De' complimenti^
Stretto per l' andito
Sfila il bon ton ;
Si stroppia, e brontola
ParUon, pardon,
O quadri e statue,
O sante travi,
Che del vernacolo
Rozzo degli avi
Per cinque secoli
Nauseate,
Coli' appigionati
Vi compensate.
Soffrile l' alito
D'un paesano
Che per buaggine
Parla italiano.
Là là inoltrandomi
Pigiato e lardo,
Fra ciuffi e rìccioli
M' allungo, e guardo ,
Ove mefitici
Miasmi esala
Una caldaia
Chiamata sala.
Come, per muoversi
D' occulto ingegno.
Girano e saltano
Gruppi di legno
Su questi ninnoli
Della Germania,
Così parevano
Presi alla pania ;
x<«x
Goti scatlavaoo
Duri, impiccali.
Fantasmi e scheleiri
inamidati.
Ivi 000 gioia.
Non allegria.
Ma etegaotìMima
Musoneria ;
Turate l'anime
Slargati i pori
A «norti brividi
Di flosci amori ;
Gergo di stilica
Boria decente,
ciarik) continuo
Che dice niente.
Ecco si rompono
Partite e danze:
S' urta, precipita
Neil' altre stanze
La folla, e assaltano
Dame e Signori
Bottiglie, intingoli
E servitori.
Per tutto un jcbiedere
Per tutto un dare.
Slappare, mescere,
E ristappare;
Un moto, un vortice
Di mani impronte,
E piatti e tavole
Tutte in un monte.
Oltre lo stomaco.
Da quella cena
Molti riportano
La tasca piena,
E nel disordine,
Nel gran viavai.
Spesso ci scappano
Anco i cucchiai.
PARTS SECONDA
Li tra le giovani
Nuore slombate
E tra le suocere
Rintonacale;
Tra diploroaiìche
Giubbe a rabesclti,
E croci e dondoli
Ciarlataneschi ;
Veggo l' antitesi
Di quattro o sei
Eierogenei
Grugni plebei.
A me che ho reproba
La fantasia
Per democratica
Monomania,
Piacque lo scandalo
Dei dommi infranti
In quel blasonico
santo dei Santi;
'Ma poi ficcandomi
Là tra le spinte,
Mi stomacarono
Tre laide grinte.
Una è crisalide
D' un quondam frate :
Oggi per celi:»
Si chiama abate,
Ma non ha cberica,
Non ha collare;
Devoto al pentolo
Più che all' alUre
Caro ai gastronomi
Per dotta fame.
Temuto e celebre
Per fama infame.
Narrando cronache
E faitarelli,
Magagne e debili
Di questi e quelli.
X 424 >•
Compra se biasima,
vende se loda,
E per salario
Lecca la broda.
Gratificandosi
Fanciulle e spose
Gioca per comodo ;
E mamme uggiose
E paralìiici
irchi divaga:
Ruba, fa ridere, '
Perde e non paga.
E l'altro un nobile
Tinto d' ieri.
Re cristianissimo
Dei re banchieri.
Scansando il facile
Prete e la scure,
Già dilettavasi
Di basse usure ;
Oggi sollecito
D» illustri prese.
Sdegnando P obolo
camaldolese.
Nel nobtl etere
sorse veloce,
E al paretaio
Piantò la croce.
come putredine
Che lenta lenta
strugge il cadavere
Che l' alimenta,
E propagandosi
Dai corpi infermi
Par che nel rodere
S» attacchi ai vermi ;
cosi la rancida
Muffa Patricia,
Da illustri costole
Senza camicia
Spìnte dar debito
Allo spedale,
S' attacca all' ordine
"^ella cambiale;
E già ripopola
corti e casini
una colDDìa
Di scortichini.
Di quei Lustrìssimi
L' odio sommesso
LO scansa e iochinast
Nel tempo istesso.
Ed ei burlandosi
D'odii e d'onori,
conta e girondola
Tra i debitori.
Il terzo è un profugo,
Perseguitato
Peggio d' un utile
Libro, stampalo
senza le barbare
Al birre e al clero
Gabelle e decime
sopra il pensiero.
Ferito a Rimini,
Quest'infelice
scappò dì carcere
(Alraen lo dice) j
Errò fameiico,
Strappato ed egro ;
Si sogna il boia.
Ma dorme allegro.
O della patria
Sinceri figli.
Degni d' un secolo
Che non. sbadigli 1
con voi magnanimi
Non entri in lega
Chi del patibolo
Si fa bottega.
come Alcibiade
Variando norme,
Questo girovago
Proteiforme,
- Trasfigurandosi
Tende la rete:
A Londra è un esule,
A Roma é prete.
Briaco a tavola
Co* ciacnbeliaoi
Ai Re fa brindìBi
Oggi; domani
438
vien meco, e recila
O Jialia.miai
Le birbe inventano
Cile fa la tpia.
PARTE TERZA
Ad una tisica
Larva sdentala,
Ritinto giovane
Di veoetaia dala,
Che slava in bilico
Biasciando In messo»
Di quel miacaglio
Mostrai ribrezzo.
Oggi che a miseri
Nomi ha giovato
La trascuraggine
Del tempo andato;
E si perpetua
Ogni genia
Per gran delirio
D' epigrafia ;
Mi scusi l' epoca .
Se anch' io m' induco
Al panegirico
Di questo, ciuco.
Nacque anni domini
Ricco e quartato ;
Morto di noia
Dov'era nato.
Per cootrostimolo
Corse oltremonte -.
Di là^ versatile
camaleonte.
Tornò mirabile
Di pellegrini
Colori, e al solito
Fini i quattrini.
E adesso ai Tartari
cresi cacito.
Ombra patrizia
Tutta appetito.
Rtpappa gli utili
Nel piatto altrui
Del patrimonio
Pappato a lui.
costui negli abiti
strizzato e monco.
Si slira, 8'agl(a«
si volta in tronco
E con ironica
Grazia scortese.
Nel suo frasario
Mezzo fraaeese.
Disse : — eh goffaggini t
state a vedere,
E divertitevi:
Gol forestiere
Che spende, e io seguir'^
ci rece addosso.
Bisogna mungere
E bever grosso.
Po' poi le nenie
Messe da banda,
cos'è l'Italia 7
E una Locanda.
L' oste non s' occupa
Di far confronti;
I galantuomini
Gli tasta ai conti:
E fama, credito.
Onore Insomma,
Son cose elastiche
Come la gomma.
Cerio le topiche
zucche alla grossr
col mal di patria
Fitto nell'ossa;
■ **6X
Un malinooolcDy
Legato al fare
fi alfa grammaiica
Della comare,
vi cita il Genio^
L' Arti la Storia . . .
Tutti cadaveri
Buona memoria,
lo tiro all'ostriche,
Né mi confondo.
Sapete il conio
che corre al mondo T
Franchezza, spirito,
E tirar via :
il resto, è classica
Pedanteria. —
lo, che spessissimo
Mi fo melare
Per vizio inutile
Di predicare,
Punto nel tenero,
Risposi: — è vero,
Questo è l' ergastolo'
Del globo intero.
Se togli un numero
Di pochi onesti
Che vanno e vengono
Senza pretesti.
Nella Penisola
Tira a sboccare
Continuo vomito
D'alpe e di mare.
Piovono e comprano
Gli ossequi istessi
Banditi anonimi.
Serve e Re smessi,
A cui confondersi
col canagliume.
Non è che un cambio
Di sudiciume.
A questa laida
Orda e marame
Di Conti aerei.
D'ambigue dame,
irte d' esotica
Prosopopea,
Noi vili e stupidi
Facciam platea,
E un nome vandalo
In offo o in iffe.
ci compra l'anima
con un rosbifle. —
Eh via, son fisime
Di testa astratta.
Riprese il martire
Della cravatta;
Son frasi itteriche
Del pregiudizio:
Bella 1 ha gli scrupoli!
Ohi addio novizio. —
E presa l'aria
Dell' uomo avvezzo,
Andelle a bevere
Tulio d'un pezzo.
LE MEMORIE DI FISA
Sempre nell' anima
Mi sia quel giorno
che con un nuvolo
D' amici intorno,
D' Eccellentìssimo
Compr.ii divisa,
K malinconico
Lasciai di Pisa
La baraonda
Tanto gioconda.
Entrai nell' Ussero
stanco, affollato,
E a venti 1' ultimo
caffè pagato.
Saldai sei paoli
D' un vecchio conto,
E poi sul trespolo
Li fuori pronto,
Partii col muso
Basso e confuso.
X <«i y
Quattro anni io lìbera
Gioja volali
col senno Ingenito
Agli scapati 1
sepolti i soliti
Libri in un canto^
S' apre, si compila
E piace tanto
Di prima uscita
Quel della vita i
Bevi lo scibile
Tomo per tomo,
Sarai chiarissimo
Senz'esser uomo.
se in casa eserciti
soltanto il passo,
Quand' esci sdruccioli
Sul primo sasso.
Dal fare al dire
Oh v' è che ire !
scusate, io venero
se ci s' impara,
Tanto la cattedra
Che la bambara;
Se fa conoscere
Le vie del mondo.
Oh buono un briciolo
Di vagabondo,
Oh che sapienza
La negligenza 1
E poi queli' abito
Roso e scucito ;
Quei tu alia Quacchera
Di primo acchito
virtù di vergine
Labbro io quegli anni,
Che poi stuprandosi
Co' disinganni.
Mentisce armato
D' un tei gelato.
in questo secolo
Vano e banchiere
Che più dell' essere
conta il parere.
Quel gusto cinico
Che ayea ciascuno
Di farsi povero,
Trito e digiuno
Senza vergogna.
Chi se lo sogna ?
O giorni, o placide
Sere sfumate
m risa, in celie
Continuate i
Che prò, che gioia
Reca una vita
D'epoca in epoca
Non mai mentita l
Sempre i cervelli
come 1 capelli i ■
Spesso d' un Socrate
Adolescente,
N' esce un decrepito
Birba o demente :
Da sano, è ascetico,
Coi romatismi
pretende a salirò.
Che anacronismi i
Dal farle tardi
Cristo ti guardi.
Ceda lo studio
All'allegria
Come alla pratica
La teoria ;
O al più s' alternino
Libri e mattie
senza le stupide.
Vigliaccherie
Di certi duri
Ghiotti e figuri.
Col capo in cembali
Chi pensa al modo
Di farsi credito
col grugno sodo ?
Via dalle viscere
L' avaro scirro
Di vender P anima.
Di darsi al bìrro.
Ì9»
Di far la robba
,A suoo di gobba.
Ma il punch il sigaro,
Qualche altro sfogo,
Udo sproposito
A tempo e iuogo;
Beccarsi io quindici
Giorni V esame.
In barba all'etite
Servitorame
Degli sgobboni
ciuchi e birboni;
Ecco, o purissimi.
Le colpe, i fasti.
Dei messi all' indice
Per capì guasti
La scapataggine
È un gran criterio
Quando una maschera
Di bimbo serio.
Pianta gli scaltri
sul collo agli altri.
Quanta letizia
Ravviva in mente
Quella marmorea
Torre pendente,
Se rivedendola
Moit' anni appresso.
Puoi compiacendoti
Dire a te slesso :
Non ho piegalo
Né pencolato i
Tali che vissero
Fuor del bagordo,
E che ci tesero
L'orecchio ingordo,
Quando burlandoci
Dei due Diritti
Senza riflettere
punto ai Rescritti,
Cantammo i cori
De* tre colori ;
Adesso sbraciano
GonG e riunti.
Ma in bieca e itterica
Vita defunti.
E noi (clie discoli
senza giudizio 1 )
Siam qui tra i reprobi
Fuor di servizio,
Sempre sereni
E capi ameni.
A quelli il popolo
Che teme un morso,
Fa largo e subito
Muta discorso
A noi repubblica
Di lieto umore.
Tutti spalancano
Le braccia e il cuore ;
A conti Falli
Beali i malli I
rLA TERRA DEI MQRTI
A noi larve d' Italia
Mummie dalla matrice,
È becchino la balia
Anzi la levatrice;
Con noi sciupa il Priore
L' acqua battesimale,
' E quando si rimuore
ci ruba il funerale.
Eccoci qui confitti
coli' efiìgie d' Adamo,
Si par di carne e siamo
costole e stinchi ritti.
O anime ingannate,
Che ci fate quassù?
Rassegnatevi, andate
Nel numero dei più,
Ah d' una gente morta
Non si giova la Storiai
Di Libertà, di Gloria,
Scheletri, che v'importa?
A che serve un' esequie
Di ghirlande o di torsi ?
Brontoliamoci un requie
senza tanti discorsi.
Ecco, su tutti i punti
Della tomba funesta
vagar di testa in testa
Ai miseri defunti
11 pensiero abbrunato
D' un panno mortuario,
L' artistico, il togato,
Il regno letterario.
È tutto una moria
Niccolini è spedito,
Manzoni è seppellito
Co' morti in libreria.
E tu giunto a compieta
Lorenzo, come mai
infondi nella creta
La vita che non hai?
Cos' era Romagnosi ?
un' ombra cbe pensava
E i vivi sgomentava
Dagli eterni riposi ,
Per morto era una cima.
Ma per vìvo era corto ,
Difatto dopo morto
E più vivo di prima.
Dei morti nuovi e vecchi
L' eredità giacenti
Arricchiron parecchi
m terra di viventi,
campando in buona fede
Sull'asse ereditario.
Lo scrupoloso erede
Ci fa l'anniversario.
con che forza si campa
In quelle parti lai
La gran vitalità
Si vede dalla stampa,
scrivi, scrivi e riscrivi.
Que' Geni moriranno
Dodici volte l'anno
E son li sempre vivi.
O voi genti piovute
Di ià dai vivi, dite.
Con che faccia venite
Tra i morti per salute ?
Sentile, o prima o poi
Quesi' aria vi fa male,
<^uesl' aria anco per voi
E un^ aria sepolcrale.
O frati soprastanti,
O birri inquisitori.
Posate di censori
Le forbici ignoranti
Proprio de'morti, o ciuchi
È il ben dell'intelletto.
Perchè volerci eunuchi
Anco nel cataletto ?
9
FcrdK o i
E s'oBgOQO a 4
Le nordicte kantteT
Gooiei gnir d i i r i i
eoa lanlagelosaT
suHfiaie aoaioan
Che il dlnolD vi porti;
Ma il libro di aaiwa
uà l'entrala e Futdta,
Tocca a loro la vìu
E a noi la sepokara.
E poi se lo 4
lafoosa^
me il soie
E fi da ionia a Tento:
Le rose, le viole,
1 panpaai, gli olivi^
SOD SiiBboli di piaoio
Oli die bd ramponali to
Da fwe lovidia ai vivi !
radaverì, alle corte
Gioo, ermmo grandi
E là ooo erao nati.
O mura dnadioe
Sepolcri maestosi.
Fin le vostre ruìne
Sono un* apoteosi
IL
se ti dà l'animo
D* andar pei chiostri
Cantando i tumuli
Degli avi nostri,
vedrai F immagine
DI quattro o sei.
Chiusi per grazia
MC Mausolei.
Oggi cMosaoca
La carne a macca :
m laide maschere
Fidia si stracca.
Largo ai pettegoli
Nani pomposi
Che si scialacquano
L'apoteosi.
Non crepa un asìoo
che sia padrone
D'andare al diavolo
Senza iscrizione:
Dietro l'avello
Di Macchiavello
Dorme lo scheletro
'3i Slcnlerello.
E vediam questa morte
Dov'anderà a cascare.
Tra i salmi dell' uffizio
C é anco il DUs irae :
O che non ha a venire
Il giorno del giodizioT
MEMENTOMO
commercio libero :
suoni il quathrino,
E poi s'avvallano
Chiesa e Casino,
si cola il merito
A tutto staccio;
Galloni e Panteon
Sei Grazie il braccio,
scappa di Domo
un pover'omo
Che sente i brividi
Di galantoroo,
O mangiamoccoli,
Ct)e a fare un Santo
Date ad intendere
Di starci tanto 1
E poi nell'aula
Devota al salmo
L' infamia sdraiasi
Di palmo io palmo t
Ah l' aspersorio
Per un mortorio
Slarga al postribolo
Anco il ciborio I
Kì
iLa bara, dioooo,
ci porta al vero :
Oh ^, fidatevi •
D'un CHnitcrot
Ud giorno i posteri
eoo labbra pie
Biasdando il lastrico
DeRe bugie.
Diranno : ob gli avi
Com' eran bravi 1
Ctie spose ingenue,
che babbi savi i
Un dotto, tranteat^
Ma no' sceelleoaa
Tapparlo a povero,
certo è indecenza t
Ribolla in lurida
Fogna plebea
Del basso popolo
La fricassea ,
spalanca, o Morte,
Vetrate e porte :
Aria a un cadavere
Che andava a corte.
così la postuma
Boria si placa :
E molti a immagine
Della lumaca,
Dietro si lasciano
Sul pavimento
impura striscia,
che pare argento.
Ecco gli eroi
FaMi per voi,
Che a suon dichiacebere
Gabbate il poi
Ma dall' elogio
Chi t'assicura,
O nato a vivere
Seoxa impostura t
Morto, e al biografo
cascato in mano,
Nell'asma funebre
D'un ciarlatano
Menti costretto..
E a tuo dispetto
Imbrogli il pubblico
Dal cataletto.
Perdio, la lapida
Mi fa spavento i
Yo' fare un lascito
Nel testamento
D'andar tra' cavoli
Senza il qui giace
Lasciale il prossimo
Marcire in pace,
O parolai,
O Eplgrafaì^
O vendi-Iacrime,
Sciupa-solaì.
IL RE TRAVICELLO
Al Re Travicello
Piovuto ai ranocchi.
Mi levo il cappello
"E piego i ginocchi ;
LO predico anch' io
cascalo da Dio :
Oh comodo ho bello
Un Re Travicello i
«39 V
Calò nel suo regno
con mollo fracasso ;
Le teste di legno
Fan sempre del chiasso :
Ma suMto tacque.
E al sommo dell' acque
Rimase un corbello
Il Re Travicello.
Da tutto il pantano
veduto quel coso,
« È questo il Sovrano
" cosi rumoroso?
(S' udì gracidare)
« Per farsi fischiare
« Fa tanto bordello
- Un Re Travicello l
** un tronco piallato
" Avrà la corona 7
*• O Giove ha sbagliato,
« Oppur ci minchiona :
» Sia dato lo sfratto
» Al Re mentecatto,
» Si mandi in appello
« Il Re Travicello. »
Tacete^ tacete;
Lasciate il reame,
O bestie che siete,
A un Re di legname.
Non tira a pelare,
vi lascia cantare?
Non apre macello
un Re Travicello.
Là là per la reggia
Dal vento portato^
Tentenna, galleggia,
E mai dello Stato
Non pesca nel fondo :
Che scenza di mondo t
Che Re di cervello
È un Re Travicello t
Se a caso s' adopra
D 'intingere il capo,
vedete ? di sopra
Lo porta daccapo
La sua leggeresza.
Chiamatelo Altezta,
Che torna a cappello
A un Re Travicello:
volete il serpente
Che il sonno vi scuota 7
Dormite contente
Costì nella mota,.
O bestie impotenti -.
Per chi non a denti,
È fatto a pennello
un Re Travicello i
Un popolo pieno
Di tante fortune,
PUÒ farne di meno
Del senso comune:
Che popolo ammodo.
Che Principe sodo.
Che santo modello
un Re Travicello!
NELL' OCCASIONE CHE FU SCOPERTO A FIRENZE IL VERO
RITRATTO DI DANTE FATTO DA GIOTTO-
Qual grazia a noi ti mostra,
O prima gloria italica, per cui
Mostrò ciò che potea la lingua nostra?
come degnasti di volgerti a nul
Dal punto ove s' acqueta ogni desio ?
Tanto il loco natio
Nel cor li sta, che di tornar t' è caro
Ancor nel mondo senza fine amaro ?
X *33 X
Ma da seggio immortale
Ben puoi rieder quaggiù dove si piaoge ;
Tu set fallo da Dio, sua mercè, tale,
Cbe la nostra miseria non ti tange,
Soluto hai nelle menti on dubbio grave,
E quel desio soave
Che lungamente n' ha tenuti io fame.
Di mirar gH occhi tuoi senza velame.
Mei mirabile aspello
Arde e sfavilla un non so che divino
Che a noi ti rende nel vero concetto:
A le dinanzi, come il pellegrino
Nel tempio del suo volo rimirando.
Tacilo sospirando,
sento l'anima mia che tutta lieta
Mi dice : or cbe non parli al tuo Poeta r
Diffusa una serena
Mestizia arde per gli occhi e per le gene,
E grave il guardo e vivido balena
come a tanto Intelletto si conviene;
E nello specchio della fronte austera,
Qual sole in acqua mera,
splende V ingegno e r anima, sicura
sotto i' usbergo del sentirsi pura.
Tal nella vita nuova
Fosti, e benigne sleUe ti levare
Di cortesia, é* ingegno in bella prova,
E di valor, che allora invan del paro,
così poi ti lasciò la tua diletta.
La bella giovinetta.
Nella selva selvaggia incerto e solo.
Armandoti le penne a tanto volo.
Così fermo e virile
Frenar tentasti il tuo popolo ingiusto ;
così cacciato poi del bello ovile.
Mendicasti la vita a frusto a frusio,
Ben tetragono ai colpi di ventura ;
£ della tua sclagara
Virtù ti crebbe^ e potè meglio il verso
Descrìver fondo a lituo 1' Universo*.
Solingo e senza parte
Librasti in equa lance il bene e il male,
E nell' angusto circolo dell' arie
come in libero elei spiegasti r ale.
>. 154 X
Slovena Musa li mostrava I* Orse,
E fino a Dio li scène
Per lo grau mar dell' essere l' aoieona.
Che Doo raggiuDse mai Itaigua oè penna.
Sempre più e' innamora
Tua vision clie poggia a tao la altezza:
Nessun la vide tante volle ancora,
Cile non tvevasse in lei nuova bellezza.
Ben gusta il frutto della nuova pianta
chi la sa tutta quanta ;
In lei si specchia cui di ben far giova.
Per esempio di lei Beltà si prova.
l Forse intera non vedo
La bellezza eh' io dico, e si trasmoda
Non pur di là da noi ;. ma cerio io cred»
Gbe solo il suo Fattpr tutta la goda.
E così cela lei P esser profonda :
E r occhio che per P onda
Di lei s' immerge prova il suo valore ;
Tanto si da quanto trova d' ardore.
Per mille penne è tèria
La sua semenza; e cbl là entro pesca.
Per gran sete d'auingere vi porta
Ambagi e sogni onde i semplici invesca.
Uno la fugge, un*^ altro là coarta,
O va di carta in carta
Tessendo enimmi, e sforza la scrittura
D' un tempo che delira alla misura.
Per arte e per inganno
Di lai cui sol diletta il pappo e il dindin
Mille siflatte favole per anno
Di cattedra si gridan quinci e quindi :
O di le stesso guida e fondamento,
Ai pasciuti di vento
Dirai che indarno da riva si parte
Chi cerca per lo vero e non ha 1* arte.
Ben Y' ha chi sente danno,
E chi si stringe a te, ma soo si pochi
Che le cappe fornisce poco panno :
Padre, perdona agi' InteileUi fiochi,
se lardo orecchio ancor non ha sentilo
Tuo nobile ruggito;
se fraude spìuma, se iattanza vesle-
u' ali di struzzo V aquila ceiosie^
X *3S X
IO, che laudarti intendo
Veracemente, con ardito innesto,
Tremando all'opra e diffidando, prendo
La tua loquela a farti manifesto.
Se troppa libertà m' allarga il freno.
Il dir non mi vien meno :
Lascia cti' io venga in piccioietta barca
Dietro il tuo legno cbe cantando varca.
O Maestro, o signore.
O degli altri poeti onore e lume.
Vagliami il lungo studio e il grande amore
Che m' ban fatto cercar lo tuo volunoe.
lo ho veduto quel cbe s' io ridico.
Del ver libero amico.
Da molti mi verrà noia e rampogna,
O per la propria o per 1' altrui vergogna.
Tantalo a lauta mensa
D' ogni saper vegg* io scarno e digiuno.
Che soede e prose e poesie dispensa,
E scrivendo non è né due né uno.
Oimè, Filosofla, come ti muti.
Se per viltà rifiuti
De* padri nostri il senno, e mostri a dito
il setlentrional povero sitoi
Qui r asino s' iodraca
stolidamente, e con delirio alterno
Vista la greppia poi raglia, si placa,
E muta basto dalla state al verno.
Libertà va gridando eh' è si cara
Ciurma oziosa, ignara,
E chi per barattare ha l'occhio aguzzo;
Né basta Giuda a sostenerne il puzzo.
U antica gloria è spenta,
E le terre d' Italia tutte piene
son di tiranni, e un martire doventa
Ogni villan cbe parteggiando viene.
Pasciuto in vita di rimorsi e d' onte.
Dai gioghi di Piemonte,
E per \* antiche e per le nuove offénse
Caina attende chi vita ci spense.
Oggi mutata al certo
La mente tua s' adira e si compiagne
Che il Giardin dell' imperio abbia sofferto
Cesare armato con l' unghie grifagne.
X *36 X
La mala sigooria cbe lutti accor»
vedi come divora
E la lombarda e la veneta gente,
E Modena con Parma n' è dolente.
volge e rinnova membro
Fiorenza^ e larve di virtù profila
Bfai colorando, che a mezzo novembre
Non giunge qnello che d' ottobre fila.
Qual è de* figli suoi che in ooor l'ama,
A gente senza fama
Soggiace, e i vermi di Giustiniano
Hanno fatto il suo fior sudicio e vano.
Basso e feccioso sgorga
Nel Serchio il bulicame di Borbone,
E in quel corno d' Ausonia cbe s' imboFga
Di Bari, di Gaeta e di Crotone,
£ la beila Trinacila consuma.
Che là dov' arde e fuma
Dall' alto monte vede ad ora ad ora
MOSSO Palermo a gridar — mora, mora !
Al basso della ruota
La vendetta di Dio volge la chierca :
La gente che dovrebbe esser devota.
Là dove Cristo tutto dì si merca,
Putlaoeggiar co' regi al mondo è vista ;
Che di farla più trista
In dubbio avidi stanno, e l'assicura
Di fede invece la comun paura.
Del par colla papale
Già l' ottomanna tirannia si sciolse.
Là dove Gabriello aperse l' ale,
E dove Costantin l'aquila volse.
Forse Roma, Sionne e Nazarene,
E l'altre parli elette.
Il gran decreto, che da sé è vero.
Libere a un tempo vuol dall'adultero.
Europa, Affrica e vaga
Della doppia ruina; e le sta sopra
Il Barbaro, venendo da tal piaga
Che tutto giorno d' Elice sì cuopra,
E l' angla nave all' oriente accenna :
Ma, lenta, della Senna
Turba con rete le volubili acque
X3 volpe che mal regna e che mal nacque^.
X «T X
E palpitaado liene
L'occhio per mille frodi esercitato
All'opposito scoglio di Pireoe
Delle libere fiamme ioghirlandaio.
Temendo sempre alle propinque ville
KOD volin le fatine
Di spenta libertà sopra i vestigi,
E d' uno stesso incendio arda Parigi.
itfa del corporeo velo
Scaroo, e da tutte queste cose sciolto,
con Beatrice tua suso nel Cielo
cotanto gloriosamente accolto.
La vita intera d' amore e di pace
Del secolo verace
Ti svia di questa nostra inferma e vile ;
Si è dolce miracolo e gentile.
E bealo mirando
Mei volume lassù triplice ed uno.
Ove si appunta ogni ubi ed ogni quando^
V non si muta mai bianco né bruno,
sai che per via d'a£Eànnl e di ruine
Nostre terre latine
Rinnoverà, come piante novelle,
L' Amor che muove il Soie e l'altre stelle.
LA SCRITTA
PARTE PRIMA
Pesa i vecchi diplomi e quei d'ieri.
Di schietta nobiltà v' è carestia :
Dacché la fame entrò ne' cavalieri,
La tasca si ribella all' albagia.
Ma nuovi sarti e nuovf rigattieri -
A spogliare e vestir la signoria
Manda la Banca, e 4e raschiate mura
Ripiglian l' oro della raschiatura.
POCO preme l'onor, meno il decoro ;
E al più s' abbada a insudiciare il grado ;
che se grandi e plebei calan tra loro
A consorzio d' uffici o a parentado.
Necessità gli accozza a concistoro
O a patto coniugai^ ma avvien di rado
che non rimangan gii animi distanti,
£ la mano del cor si dà co' guanti.
-■-. «« X
uo de' nostri usurai messe uoa volu
L' unica flgiia lo veodita per moglie.
Dando al pairizìo che l'avesse tolu
Delle fraterne ¥iuime le spoglie.
Purché negli osci titolati accolla
Venisse, a costo di rifar le soglie,
E colle nozze sue l'opere ladre
Nobilitasse del tenero padre.
Era quella fanciulla uno sgomento;
Gobba; sbilenca, colle tempie vuote ;
Un muso tutto naso e tutto mento.
Che litigava il giallo aHe carote; |
Ma per vera bellezza un ottocento ^
Di mila scudi avea tra censo e dote; ■
Per questo agli occhi ancor d' un gentiluomo i
Parca leggiadra, e il babbo un galantuomo. ^
Non ebbe questi da dorar fatica.
Né bisognò cercar colla lanterna '
un genero, che in sé pari all' antica
Boria covasse povertà moderna ;
Anzi gli si mostrò la sorte amica
Tanto, che intorno a casa era un'eterna
Folla d'illustri poveri di razza, i
Che incrociarsi Tolean colla ragazza.
Di venti che ne scrisse al taccuino
A certi babbi-morti dirimpetto.
Un ve ne fu prescelto dal destino
A umiliare il titolo al sacchetto.
L' albero lo dicea sangue latino
Colato in lui si limpido e si pretto
Che dalla cute trapelava, e vuoisi
Che lo sentisse il medico da' polsi.
La scritta si flssò 11 sul tamburo:
E il quattrinaio, a cui la cosa tocca.
Dei parenti del genero futuro
Tutta quanta invitò la filastrocca.
Coi propri, o scelse, o stette a muso duro,
O disse per la strada a mezza bocca :
Se vi pare veniteci, ma poi
Non vi costringo... in somma fate voi.
un gran tempestio con Ul mormorio
. S' udiva una sera Lontana bufera
Di zampe e di ruote: Gli orecchi percuote.
Gran folla di gente,
saputa la. cosa,
Al aiiooo aecorrea,
E luita lucente
Brillar della sposa
La casa vedea.
La fila de' cocchi
Solcava la strada
A perdita d'oochi:
Per quella contrada
Un ite e venite
Di turbe infinite;
continuo lo strano
vociar de* cocchieri ;
E in mezzo al baccano.
Tra torce e staffieri,
La ciurnaa diversa.
Plebea e signora,
Neil' atrio si versa
10 duplice gora.
Là smonta la Dama,
E qua la pedina
Che adesso si chiama
O zia, o cugina ;
11 gran ciambellano
V'arriva da Corte,
E dietro un tarpano
Da fare il panforte.
Per lunghi andirivieni
Di stanze scompagnate
E di stambugi pieni
D' anticaglie volate.
Tra le livree di gala
S'imbocca in una sala^
A cera illuminata
Da mille candelieri.
Di mobili stivala
Nostrali e forestieri,
E carica d' arazzi
Vermigli e paonazzi;
Ricca d' oro e di molla
Varietà di tappeti^
Dipinta era la volta,
Dipinte le pareti
Di storie e di persone
Analoghe al padrone.
Era in quella pittura
Colla mitologia
confusa la scr\ilora :
La ccripa non è mia
Se troverai descritte
cose fritte e rifritte.
l>agato tardi e poco
L' artista, e messo al punto.
Pensò di fare un gioco
A quel ciuco riunto,
E li sotto coperta
Gli potè dar la berta.
Da un lato, un gran carname
Erisi ione ingoia,
E dall' aride cuoia
conosci che la fame
coli' intimo bruciore
Rimangia il mangiatore.
Giacobbe un po' più giù,
D' Erisitone a destra.
Al povero Esaù
Rincara la minestra;
Santa massima eterna
Di carità fraterna.
Ma dall' opposto lato
Luccica la parete
Di Giove, trasmutato
In pioggia di monete.
Che scende a Danae in braccio
Ad onta del chiavaccio.
Di là da Danae l' empio
Eliodoro è sleso
Sulla soglia del tempio;
E un cavalier, disceso
Dal elei, pesta il birbante
colle legnate sante.
Nel soffitto si vede
D'un egregio lavoro
Mida da capo a piede
Tutto coperto d'oro.
Che sta 11 spaurito
Dal troppo impoverito.
X *40 x
Nel campo lentamente
In vista al vento ondeggia
La canna Impertinente,
£ più lunge serpeggia
volubile sul suolo
Il lucido Fattolo
E neil' orrida clade.
Di sangue e d'oro ingorde.
Fra le lance e le spade
Frugar colle man lorde
Per il ventre de' morti
Le romane coorti.
Fa contrapposto a Mida
La presa di Slonne :
udir credi le strida
Di fanciulli e di donne,
E divampare il fuoco
Rugghiando in ogni loco;
La sposa in fronzoli
sta là impalata.
Rimessa air ordine
E ripianata.
Tutte l'attorniano
Le donne in massa
Dell' alta camera
E della bassa.
Queste la pigiano.
La tlran via;
Quell' altre lisciano
con ironia;
Essa si spiccica
Meglio che sa,
E sì divincola
Di qua e di là.
Lo sposo a laure.
Ridendo a stento.
Succhia la satira
Nel complimento;
Ma, come l' asino
Sotto il bastone,
si piega, e all' utile
Donna il blasone.
Legalo e gonfio
come un fagotto.
Con tutta l'aria
D'un gabellotto,
Ritto a ricevere
Sta l'Usuraio:
ciarla, s' infatua,
È arzillo e gaio.
par che dal giubbilo
Non si ritrovi,
Cogl'illustrissimi
Parenti nuovi
Si sdraia in umili
Salamelecchi,
E passa liscio
Su quelli vecchi.
Anzi affacciandosi
Spesso al salone
Grida : *> Ma diavolo
M Che confusione i
'< Ohe, rizzatevi
" Costà, Teresa,
« Date la seggiola
«< Alla Marchesa.
» Su bello, Gaspero;
*• AI muro, Gosto ;
•« Lesti, stringetevi,
« Sbrattate il posto. »
Quelli rinculano
Goffi e confusi.
In lingua povera
Dicendo: oh! scusi.
<« Ma no, » ripiglia
La Dama allora,
«« No, galantuomini;
<« Chi non lavora
» Può star benissimo
» senza sedere:
» Vki riposatevi,
« Fate il piacere. »
14i
Così le bestie
scansa con arie,
E va col prossimo
Dall' altra parte.
Ove una sedia
Le porge in guanti
uno dei soliti
Micchi eleganti.
Che il gusto barbaro
concittadino
Inciviliscono
•Col Ggurino.
sol con quei tangheri
Che stanno in piede,
seduta a chiacchiera
Qua e là si vede
Qualche patrizia
Andata ai cani
Più democratica
Co' terrazzani.
Genio, che mediti
Di porre i sarti
Neil' accademia
Delle Bell» Arti ;
A cui del cranio
Sopra le cuoia
Sfavilla l' organo
Della cesoia;
Beggi la bussola
Dell'estro gretto,
E colla critica
Dell' occhialetto
Profila i termini
Della distanza
Tra la goffaggine
E l' eleganza.
Là tra la ruvida
Folla spregiata,
stretta negli angoli
E rinzeppata.
Vedresti d' uomini
scorrette moli.
Piantate, immobili.
Come pioli;
Testoni, zazzere,
lanciotti rossi..
E trippe zotiche,
E cosi grossi.
Con un'indigena
Giubba a tagliere.
Ecco il quissimile
D'un cancelliere
sotto le gocciole
D' una candela :
E con due classici
Solini a vela,
una testuggine
Che si ripone
Nel grave guscio
D'un cravattone^
Accanto a un ebete
Che duro duro
col capo all' aria
Puntella il muro.
Le donne avevano
La roba a baile,
E tutto un fondaco
sopra le spalle,
code, arzigogoli.
Penne, pennacchi,
cesti d' indivia
E spauracchi.
Ma dal contrario
Lato splendea
Levlgatissima
La nobilea.
Colori semplici,
capi strigliati.
Gentili occhiaje,
visi slavati ;
Sostanza tenue
Che poco ingombra,
Anello medio
Fra il corpo e V ombm ;
Sorrisi fatui.
Moti veloci.
Bleso miscuglio
D' estranee voci.
i43 :
E nelP intonaco.
Nelle maniere, ,
L^ arte che studia
Di non parere.
Così velandosi
Bella sfruttala
o' una modestia
Matricolala,
Bidui^e a stimolo
Fin l'onestà,
E per industria
Sì volta in là
Ma già il noiàjo
Disleso Patto
si rizza e al pubblico
Legge il contralto.
Giù giù per ordine
Si firma, e poi
Per sala girano
Bricchi e vassoi;
Gran suppellettile
Ove apparia
Mista alla boria
La gretteria.
Le Dame dicono
Partendo in fretta :
N Era superflua
« Tanta etichetta.
« Oh 1 per i meriti
•I D' una braclna,
«< Bastava V abito
« Di «tamattina. »
Quelle del popolo
Tutte impastale
Di the, di briciole.
Di limonate;
che più del solito
Strinte, impettite.
Fiacche tronfiavano
E indolenzite:
«< Animo, animo,
« Mi par miU' anni :
» immè, gridavano,
M Con questi panni!
«< Uh che seccaggine i
« Oh maledette
« Le scritte, i nobili,
<< E le fasceltel ••
PARTE SECONDA
partì F ultimo lo sposo.
Sopraffatto dal pastìccio
E dall' obbligo schifoso
Di legarsi a quel rosticcio.
Con quesi' osso per la gola
Si ficcò tra le lenzuola.
Chiuse gli occhi, e gli parca
D'esser solo allo scoperto;
E un grand' ;tIbero vedea
Elevarsi in un deserto ;
un grand' albero, di fusto
'"^ìchissimo e robusto.
Giù dagl' infimi legami
Fino al mezzo della fronda
Spicca in allo, stende i rami
E dì frulli si feconda,
che, di verdi, a poco a poco
S' ìncolorano di croco.
un gran nuvolo d' uccelli.
Di lumache e di ronzoni,
sì pascevano dì quelli
E beccavaoo i più buoni;
Tanto che 1' albero perde
L'uberià del primo verde.
X *48 X
Ma dal mezzo alla suprema Dall' araldico sdrucito,
vetta in tutto si dispoglia. Come Id ottico apparalo
£ su su langue, si scema che rifletta impiccinito
D' ogni frutto e d'ogni foglia, Un gran popolo affollalo^
E finisce in nudi stecchi Traspariva un bulicame
come pianta che si secchi. D'illustrissimi e di dame.
Mentre tutto s' ammirava Cappe, elmetti luccicanti.
Nelle fronde il signorotto^ Toghe, mitre e berrettoni,
E il confronto almanaccava E graodiglie e guardinfanti.
Del di sopra col disotto^ E parrucche a riccioloni.
Più stupenda vistone E gran giubbe gallonate,
LO sviò dal paragone. E codone infarinate.
Ove il tronco s'assottiglia con musacci arrovellali
E le braccia apre e dilata, Bofonchiavano tra loro
Vide l'arme spiattellata Di contee, di marchesati^
colla bestia di famiglia. Di plebei, di libri d' oro,
che soffiando corse in dentro E di tempi e di costumi,
E lasciò rollo nel centro E di slmili vecchiumi.
Dietro a tutti, in fondo In fondo
Si vedea la punta ritta
D*un cappuccio andare a tondo.
Come se tra quella fitta
Si provasse a farsi avante
Qualche Padre zoccolante.
Lo vide appena che lo perse d' occhio :
Quello, alla guisa che movendo il loto
nilira il capo e celasi il ranocchio.
In giù disparye con veloce moto ;
E tosto un non so che suona calando
Dentro del fuslo come fosse vuoto,
come a lempo de' Classici, allorquando
Gli olmi e le querele aveano la matrice
E figliavano Dee di quando in quando ;
Così spaccato il ironco alia radice,
Far capolino e sorgere fu vista
una figura antica di vernice.
Era r aspello suo quale un arlisla
Non trova al lempo degli Slenlcrelli,
Se gli tocca a rifare un Trecentisla.
Rasa la barba avea, mozzi i capelli,
E del cappuccio la testa guerniia.
Oggi sciupala a noi fin dai cappelli ;
X *4* X
un mantello di panno da eremila,
Tra la maglia di lana e il giustacuore
D'un cingolo di cuoio stretta la vita.
Corto di storia, il poterò signore
Lo prese per un buttero^ e tra '1 sonno
Gli fece un gesto e brontolò : va fuore.
Sorrise e disse : lo son l' arcibisnonno
Del nonno tuo, lo stipite de' tuoi,
Nato di gente che vendeva il tonno.
Oh via non mi Tar muso, e non t* annoi
conoscer te d'origine si vile,
comune, o nobilucci, a tutti voi.
Taccio come salii su, dal barile
Di quel salume ; ma certo non fue
Né per onesta vita mercantile.
Né per civil virtù, che d» uno o due
Prese le menti, ond'ei poser nell' arme
Per tutta nobiltà l' opere sue.
Sai che la nostra età fu sempre in arme :
IO per quel mar di guerre e di congiure
Tener mi seppi a galla e vantaggiarme.
Ma tocche appena le magistrature.
Fui posto al bando, mi guastar le cose,
' E a duemila del collo ebbi la scure.
A piedi con quel po' che mi rimase.
Giunsi a Parigi, e un mio concittadino
D'aprir bottega là mi persuase.
un buco come quel di un ciabattino
scovammo: e a forza di campare a stento.
E di negar Gesù per un quattrino,
N' ebbi il guadagno del cento per cento;
Qnindi a prestar mi detti e feci cose,
cose che a raccontarle è uno spavenio.
Pensa alle ruberie più strepitose,
se d'Arpia battezzala ovver giudea
Ma mai t' hanno ghermito ugne famose,
Son tutte al paragone una miscea :
Questo socero tuo, guarda se pela,
Non le sogna neromanco per idea.
Figlio e nipote per lunga sequela
D' anni continuando il mio mestiere,.
Nel mar dell' angherie spiegò la vela.
X i*s X
Quelle nostre repubbliche si fiere,
Moge, obbediaoo un Duca, un viceré,
€he significa birro e gabelliere^
Quando un postero mio degno di me
Rimpatriò riccbissimo, e il Bargello
Del suo rimpatriar seppe il perchè.
E qui mutando penne il nuovo uccello»
Fatta la roba, fece la persona,
E calò della Corte allo zimbello.
Da quel momento in casa ti risuooa
un Utolaocio col superlativo,
E a bisdosso dell* arme hai la corona.
Aulico branco né morto né vivo
Da costui fino a te fu la famiglia,
Ebete d' ozio e in vivere lascivo.
Ridotto al verde per dorar la briglia :
Perchè ti penti, o bestia cortigiana T
Prendi dell' usurier, prendi la figlia,
che Siam lutti d'un pelo e d'una lana.
AVVISO
PER UN SETTIMO CONGRESSO CHE È DI LA' DA VEMBE
Su' Altezza Serenissima
Veduta l' innocenza
Di quelli che almanaccano
D' intorno alla scienza ;
Visto che tutti all' ultimo
son rimasti gli slessi
E^ pagan sempre l'Estimo
Dopo tanti Congressi,
Nelle paterne viscere
Chiuso il primo sospetto.
Spalanca uno spiraglio
In prò deir intelletto.
sia noto alla Penisola
Dall' Alpe a Lilibeo ;
Nolo a tutto il Chiarissimo
Dotiume Europeo,
Che ci farà la grazia
D' aprire alla dottrina
Gli Stati felicissimi
E la real cucina.
Per questo a tutti e singoli
Chiamali nei domini
(Nel caso che non trovino
Oppilati i confini)
Dice di lasciar correre.
Per k) stile oramai,
L' apostrofi all' Italia
Non ascoltate mai.
Anzi, Purché non tocchino
. II pastorale e il soglio
Ai dotti cantastorie
Rilascia il Campidoglio;
Che di lassù millantino.
Scordando il tempo perso,
D' avere in ilio tempore
Spoppato 1' universo.
Questa, quando la trappola
Muta i leoni in topi,
E roba di Rettorica ;
L' insegnan gli Scolopi.
io
X *46 X
E, lolla la staiisiica
Che pubblica i segreti.
La Chimica e la Fisica
Che impermalisce i Prelr ;
Tollo il Commercio libero,
Tolta 1' Economia,
Gli studi geologici
E la Frenologia ;
Posto un sacro silenzio
D'ogni e qualunque scuola.
Del resto a tutti libera
concede la parola.
Ora che il suo buon animo
È chiaro e manifesto,
A scanso d'ogni equivoco
Si ponga mente al resto.
li progresso è una favola :
E Su'Àllezza è di quelli
Rimasti tra gl'immobili,
E crede ai ritornelli.
Perciò, da savio Principe
Che in prò del vecchi stati
Ritorce il veneficio
Dei nuovi rilrovaii,
Ha con fino criterio
Pensato e stabilito
Di promettere un premio
A chi sciolga un quesito:
» Dato che torni un secolo
•• Agli arrosti propizio,
« Se possa il carbon fossile
•• Servire al Sant'Uffizio. »
AD UWA GIOVINETTA
Non la pudica rosa
che il volto a lei colora,
Né il labbro ove s' infiora
La vergine parola (moniosa;
che dal cor parte e vola — ar-
Non la bella persona
che vince ogni alla lode.
Né I' agii pie che gode
Della danza festiva (dona ;
A cui tutta giuliva — s'abban-
Ma dier vaghezza e nonna
Di volgermi a costei,
Ma la bontà che in lei
Splende modesta e cara (forma.
Tanto quant'è più rara — in bella
Agli occhi, che non sanno
cercar d^un bene altrove.
Della sua luce piove
Soavissima stilla (z' affanno.
D' una gioia Iranquiila — sen-
Ah ! non è ver che asconda
Sé slesso il cielo a noi,
Quando agli eielli suoi
Cosi l'aula disserra, (conda.
Hiesla misera terra — a far;gio-
come allo specchio innante
Trattien fanciulla il fiato.
Temendo che turbato
Il mulo coosigliero (sembiante.
A lei non renda intero — il suo
così commossa a dire
Il trepidante affelio
confusa di rispetto
La voce non s'allenta, (desire.
E suona incerta e lenia — il mìo
O gemma, o primo onore
Delle creale cose,
W odi, e le man pietose
Porgi benigna ai freno (d'amore.
D» un cor di fede pieno — e pien
Né In le dubbio o paura
Desti 11 pungente siile.
Quasi a trastulio vile
lo, da pietà lontano, (sventura.
Prenda il delirio umano — e la
Un vergognoso errore
Paleso sospirando;
Alla virtù mirando,
Muove senza sgomento (dolore-
Rimprovero e lamento -— il mio
1
U7
se con sicuro viso
TeDiai piaghe profonde.
Di carità d6ÌP eode
Temprai l'ardilo ingegnOj <riso.
E irassi dallo sdegno — il mesto
Non t'al>l)a8sar col volgo
A facili sospetti;
Vedi par quanti aspetti
Ricorro alla virtute^ (mi volgo.
Quando per mia salute — a te
01) se per tuo mi tieni
come sorella amante.
Se della vita errante
Reggi nei passi amari (sereni,
L'anima mia coi cari -* occhi
L' ingegno sconsolato
A miglior vita sorto
Riprenderà conforto
Di vivida fragranza (me rinato.
Nel fior della speranza — in
Ogni gentil costume.
Ogni potenza ascosa
La tua voce amorosa
In me desta e ravviva, (lume.
Come lioor d'oliva — un fioco
Già nella mente tace
Ogni ombra del passato.
Già il cor, rinnovellato
Come tenera fronda, (pace.
consola una gioconda — aura di
GLI IMMOBILI E 1 SEMOVENTI
Che buon prò facesse il ìvrbo
Imbeccato a suoo di nerbo
Nelle scuole pubbliche -,
come insegnano i latini,
E che bravi cittadini
crescano io collegio ;
E che razza di cristiani
si doventi tra le mani
. D' un Frate collerico :
Tulli noi, che grazie al Cielo
Non Siam più di primo pelo.
Lo diremo ai posleri.
Messo il muso nel capestro
Del messer Padre Maestro
(Padre nella tonaca).
Fu finito il benestare:
il saltare, il vegetare.
Lo scherzare, il crescere,
Davan ombra ai cari Frati ;
E potati, anzi domali,
Messi tra gì' immobili,^
c:i rendevano ai pareo li
Mogi, grulli ed innocenti
come tanti pecori.
Il moderno educatore.
Ormai vislo l'errore
De' Reverendissimi,
E che l' uomo tra i viventi
Messo qui co' semoventi
Par che debba muoversi.
Ha pescato nel gran vuoto
La teorica del moto
Applicata agli uomini.
Il fanciullo deve andare,
Deve ridere e pensare
Appoggiato al calcolo.
D' ora innanzi, mi consolo i
Questo bipede oriolo
Anderà col pendolo,
O futura adolescenza.
Che, filata alla scienza
Nelle scuole a macchina,
Beveraì nuova dottrina
R virtù di gelatina
Che non correo iremola;
in te si che farà spicco
Depurato per lambicco
Gas enciclopedico 1
Quando il tenero cervello.
Preso l' albero a modello
(Per esempio il sughero),
Succhierà fede e morale
Come un'acqua senza sale
Dal maestro agronomo s
*i» X
spuDteraDDO foglie e fiori
Senza puzzi e sema odori^
come le camelie.
Misurali glMotelietti
E le fasi degli affetti
GOD certezza fisica,
E sopite nei pensiero
Le sublimi ombre del vero,
Avventate ipotesi,
Troverem nel positivo
Uno stato negativo
Buono per lo stomaco.
Il pacifico marito
Proponendo per quesito
La pace domestica.
Colla tepida compagna
sommerà sulla lavagna
Gli o'bbligiii del vincolo ;
E Imeneo, fatto architetto,
Darà figli al quieto Ietto
■yordlne composito.
Biasceranno unti di teglia
I Fedeli in dormiveglia
salmi geometrici ;
ci daranno i Magistrati
certi codici stillati
Che parranno spirito ;
E vangato e rivangato
sarà immagine lo stato
Del Giardio dei semplici.
Chi piantò l'ordin civile
Sulla base puerile
Dell' amore unanime ?
Glii ci fece quest' oltraggio
Di premettere il coraggio
Alla poltronaggine?
Ab P amore è un parosismo !
In un lento quietismo
Va cullato il popolo.
Perchè il noondo esca di pene.
Tanto il male quanto il bene
Deve star nei gangheri:
E tu^ scatto generoso.
Abbi titolo e riposo
Nett'Arte Poetica.
LO vedete t non e' è Cristi :
Siamo nati computisti
Per campar di numeri.
Certi verbi, come amare,
Tollerare, illuminare,
Gli ha composti \* Algebra,
Dunque crescano le teste
Ritondate colle seste;
Regni la meccanica.
I BRINDISI (1)
Mia cara amica.
Voi Milanesi siete assuefatti a vedere il carnevale che fa un buco
nella quaresima e ruba otto giorni all' Indulto. Mon so o non mi ri-
cordo chi v'abbia data questa licenza j ma dev* essere stato di certo
un Papa di buon umore e di maniche larghe. Noi, finite le mascfiere
{almeno quelle di cartapesta), e rimanendoci addosso uno strascico di
svagatezza, come rimane negli orecchi il suono dei violini dopo una
festa di ballo ^ ci pigliamo a titolo di buon pesOj e senza licenza dei
superiori,, il solo giorno delle cenerij e tiriamo via a godere sino
alla sera, come se il Mementomo non fosse stato detto a noi. Voi quc'
(I) con questi due brindisi si pongono a confronto due generi op-
posti di poesia scherzosa, l'uno nato di licenza, Taltro di libertà: il
primo falso, il secondo vero, o almeno più convenevole.
X **9X
gti orlo giorni li chiamale il carnevalone, e noi quest'unico giorna-
retto di sopr appio lo chiamiamo il carnevalino.
La sera del giovedì grasso del 1843^ uno di quei tati che danno
da mangiare per oziOj e per sentirsi lodare il cuoco j aveva invitati
a cena da diciotto o venti, tutti capi bislacchi chi per un verso e chi per
tm altro, e tutti scontenti che il carnevale fosse lì lì per andarsene.
V erano nobili inverniciati di fresco e nobili un po'intarlatij v'era-
no banchieri, avvocati, preti alla mano^ insomma orooi genere mu-
sicorum. Tra gli altri, non so come, era toccato un posto anche a
due che pizzicavano di poeta, agli antipodi uno dall' altro, ma tutti
e due portali allo stile arguto o faceto come vogliamo chiamarlo. Il
padrone, sapendo l' indole delle bestie, per rimediare allo spropo-
sito fallo d'invitarli insieme, prò bono pacis gli aveva collocati alle
debite distanze. Il primo era un Abate, solito tenere la Bibbia ac-
canto a Voltaire j buon compagnone, tagliato al dosso di tutti, né
Guelfo né Ghibellino, dirotto al mondo, un maestro di casa nato e
sputato- L'altro era un giovane né acerbo né maturo, una specie di
cinico elegante, un viso tra il serio ed il burlesco, da tenere una
gamba negli studi e una nella dissipazione e via discorrendo. La
cena passò in discorsi sconnessi, in pettegolezzi, in lode al Bordeaux
e ai pasticci di Strasburgo j vi fu un po' di politica, un po' di mal-
dicenza j per farla breve fu una cena delle solite.
Alla fine, cioè due ore dopo la mezzanotte, il padrone nel con-
gedare i convitati disse loro: spero che il primo giorno di quaresi-
ma vorrete favorirmi alla mia villa a fare il carnevalino. Bingrazia-
rono, e accettarono tutti. Ma unoj o che si dilettasse di versi, o che
avesse alzato il gomito più degli altri, gridò: atto. Signori j prima
di partire, i due poeti ci hanno a promettere per quel giorno di fare
un brindisi per uno. Gli altri applaudirono, e i poeti bisogtiò che
piegassero la testa.
Venne il giorno delle ceneri, e nessuno mcmcò né aita predica
né al desinare. Passato questo né più né meno com' era passata la
cena: Sor Abaie, tocca a lei, gridò quello stesso che aveva propo'
sto i brindisi j e l' Abate che in quei pochi giorni aveva chiamato a
raccolta i suoi studii tanto biblici che volterricmi, accomodandoli al-
l' indole della brigata, si messe in positura di recitante, bevve uu
altro sorso che fu come il bicchiere della staffa, e poi spiccò la
carriera di questo gusto :
lo vi ho piDmesso ud brindisi, ma poi
Di scrivere una predica lio pensato
Perchè nessuno mormori di noi;
Perchè non abbia a dir qualche sguaiaio
Che noi facciamo la vita medesima
Tanto di carneval che di quaresima.
X««3 X
Ed oltre a ciò rammentano i cristiani ;
E nemmeno l' eretico s* oppone,
cb' egli con cinque pesci e cinque pani
un dì sfamò cinque mila persone,
E che gliene avaoz&r le sporte piene.
Né si sa se quei pesci eran balene.
Ne volete di più t V ultimo giorno
Gh'ei stette in terra, e che alla mensa mistica
Ebbe mangiato il quarto cotto io forno,
1 stimi la legge eucaristica,
E lasciò nell' andare al suo destino
Per suoi rappresentanti il pane e il Tino.
Anzi, condotto all' uKimo supplizio.
Fra V altre voci eh' egli articolò
Dicon gli evangelisti che fu sitioj
Ed allorquando poi risuscitò,
La prima volta apparve, o non è favola,
Agli Apostoli, in Emaus, a favola.
E per ultima prova, il luogo eletto
Onde servire a Dio di ricettacolo.
Se dall' ebraico popolo fu detto
Arca, Santo dei Santi e Tabernacolo,
1 cristiani lo chiaman Ciborio,
con vocabolo preso io refettorio.
Lascerò stare esempi e citazioni
E cosa vi dirò da pochi intesa,
oa consolar di moKo i briaconi:
È tanto vero che la Madre Chiesa
Tiene il sugo dell' uva in grande onore.
Che si chiama la vigna del Signore.
Dunque destino par di noi credenti
Nei padre, in quel di mezzo e nel figliuolo,
Di bere e di mangiare a due palmenti^
E tener su i ginocchi il tovagliolo;
E se questa vi pare un' eresia.
Lasciatemela dire e cosi sia.
Allegri, amici : il muso lungo un palmo
Tenga il minchion che soffre d' itterizia ;
. Noi siamo sani, e David in un salmo
Dice Servite Domino ifè laetitiaej
Si, facciara buona tavola e buon viso,
E anderemo ridendo in Paradiso. (1)
'1) ECCO le bruite facezie che hanno avuto voga per lanio lem|io,
X *S5K
V Jbaie era stato interrotto cento volte àa risa sgangherate j
ma alla chiusa^ l'uditorio andò in visibilio, e ricolmali i bicchieri,
urlò cozzandoli insieme, un brindisi alla predica e al predicatore j e
l'urto fa così scomposto, che il più ne bevve la tovaglia. Toccava
all'altro, il quale con certi atti dinoccolatij e senza cercare aiuto
nel vino, disse: Signóri j io in questi giorni non ho potuto, mettere
insieme nulla di buono per voi, ma ho promesso e non mi ritiro. So-
lamente vi prego di lasciarmi dire un certo brindisi che composi tempo
fa per la tavola d' uno, che quando invita non dice : venite a pranzo
da me^ ma si tiene a quel modo più vernacolo, o se volete più con»
tadinesco : domani mangeremo un boccone insieme. Udirono /q mala
parata e il poeta incominciò:
BRIITDISI PER UN DESIHARE ALLA BUONA
A noi qui non annuvola il cervello
La Bottiglia di Francia e la cucina^
Lo stomaco ci appaga ogni cantina,
Ogni fornello.
I vini^ i cibi, i vasi apparecchiati
E i flor soavi onde la mensa è lieta,
sotto l'influsso dì gentil pianeta
Con noi son nati.
Queste due strofe non fecero né caldo né freddo.
chi del natio terreno i doni sprezza
E il mento in forestieri unti s'imbroda,
La cara patria a non curar per moda
Talor s' avvezza.
Filtra col sugo di straniere salse
In noi di voci pellegrina lue.
Brama ci fa d' oltramontano bue
L' anime false.
Qui il padrone e gì' invitali cominciarono a sentirsi una pulce
negli orecchi.
lusingando 1* ozio e la scempiataggine. L' autore a costo di macchiare
il suo libro, ha voluto darne un saggio per mettere alla berlina questi
abusi dell' ingegno, confessa d» esservisi indotto anco per una certa va-
nità sperando che il modo di scherzare tenuto da luì, acquisti grazia
dal parigonc.
X *s* K
Frolli Siam mezzi^ frollerà il fuluro
Quanta parte di noi rimase illesa :
La crepa dell' intonaco palesa
Che crolla il muro.
Fuma intanto nei piatii il patrimonio :
Il nobiluccio a bindolar l' inglese
(Che i dipinti negati al suo paese
Pel suolo ausonio
Raggranellando va di porla in porta)
Fra i ragnateli di soffitta indaga;
Resuscitato Raffaello paga
Per or la sporta,
O nonni, del nipote alla memoria
Fate che torni, quando mangia e beve
Che alle vostre quaresime si deve
L' itala gloria.
Alzate il capo dai negletti avelli;
Urlate negli orecchi a questi ciuchi
Che V età vostra non pati Granduchi
Né Stenterelli.
Tutto cangiò, ripreso hanno gli arrosti
Ciò che le rape un di fruttaro a voi ;
in casa vostra, o trecentisti eroi,
Comandan gli osti.
Per tulle queste strofe, la stizzQj il dispetto j la vergogna j erano
passate e ripassate velocemente sul viso di tutti come una corrente
elettrica^ e già si sentivano al più non posso. Solamente V Abaie se
ne stava là come interdetto j tra la paura di tirarsi addosso l' ironia
dell* avversario per mi atto di disapprovazione, e quella di perder la
minestra per un ghigno che gli potesse scappare. Jl poeta seguitava :
E strugger poi crocifero babbeo...
A questa scappata^ il padrone che da un pezzo si scontorceva sulla
seggiola come se avesse i dolori di corpo j fatto alla meglio un po'di
riso franco, disse con. un risolino stiracchiato j se non rincrescesse
al poeta, potremmo passare nelle altre stanze a bevere il caffé, e là
udire la fine del suo brindisi. Tutti si alzarono issofatto^ andarono^
fu preso il cafféa e nessuno fece più una parola del brindisi rima*
sto in asso. Ma il poeta che stava in orecchi udì due in disparte
. che si dicevano tra loro : che credete che il brindisi fosse belfè fatto ^
come ha voluto darci ad intendere f quello è staio un ripiego tro-
vaia lì per lì, per suonarla al padrone di casa e a noi, ^ Che im^
pertinenti die si trovano al mondo i rispondeva quell^attroj a lasciarlo
<iirej chi sa dove andava a cascare l — Chi fosse curioso di sapere
la fine che doveva avere il brindisi, eccola tale e quale :
E Strugger puoi^ crocifero babbeo,
L' asse paterno sul paterno foco.
Per poi briaco preferire il cooo
A Galileo;
E bestemmiar sull'arti, e di Mercato
Maledicendo il Porco (1 ) e «hi lo fece.
Desiderar che ve ne fòsse invece
uno salato?
D' asinità siffatte, anima sciocca
T* assolve la virtù del refettorio ',
Ciancia se vuoi, ma sciolta air uditorio
Lascia la bocca.
Se parli a tal che F anima baratta
col vario acciottolio delle scodelle,
in grazia degl' intingoli la pelle
Ti resta intatta.
Ctii visse al cibo casalingo avvezzo
Stimol non sente di si bassa fame.
Che paghi un illustrissimo tegame
SI caro prezao.
La tavola per lui gioconda scena
E di facezie e di cortesi modi ;
Non è non è d' ingiuriose lodi
Birbesca arena.
Entri quel prete nella rea palestra,
Che il sacro libro docile al palalo
Gita dove Esaù vende il primato
Per la minestra ;
Rida in barba a San Marco ed a San Luca,
E gridi che il suo santo è San Secondo,
E che il zampon di Modena nel mondo
Compensa il Duca.
O v'entri il dottorel che come corbo
Si cala dello Stato alla carogna,
E colia rete delle lodi agogna
pescar nel torbo.
(1) li Porco di bronzo che si vedeva davanti alle logge di Mercato
jittovo in Firenze.
X *36 X
Né F indefesso no^elller s'escluda,
Bastoaator d'amici e di nemici.
Famoso di cenacoli palrici
Buffone e Giuda.
Qui di lieto color brilli la guancia.
Sia franco il labbro e libero il pensiero :
No, ira gli amici contrappeso al vero
Non fa la pancia.
O bealo colui che si ricrea
col flasco paesano e col galletto i
Senza debiti andrà nel cataletto.
Senza livrea
Fedele bene die questo brindisi non aveva che far nulla con quel
desinare j e cuicìt'io penderei a credere che t* intenzione del poeta
non fosse schietta farina. Veramente sentirsele dire sul musoj non
piace a nessuno j e parrebbe regola di convenienza che mangiando
la minestra degli altri^ si dovesse risparmiare chi ha il mestolo itt
mano. Ma questi benedetti poetij con tutta la reverenda che profes-
sano a Monsignor delta Casoj si fanno un Galateo a modo loro j e
specialmente quando si sono intestati di volerle dire come le pensa-
no. — Potete bene immaginarvi che a quella tavola il poeta cagne-
sco bisognò che facesse un crociane^ e che l' Abate rimase in perpe-
tuo padrone del baccellaio. Ora ecco qui questi due brindisi al co-
mando di chi li vuole. Il primo assicurerà il fornaio a tutti gli
scrocconi che sapranno imitarlo j col secondo bisognerà [rassegnarsi
a mangiare all'osteria.
L'AMOR PACIFICO
Gran disgrazia, mia cara, avere i nervi
Troppo scoperti e sempre in convulsione,
E beali color. Dio li conservi.
Che gli tianno si può dire in un coltrone,
lo un coltrone di grasso coi Doccili,
Che ripara le nebbie e gii scirocchi i
Noi poveri barometri ambulanti,
Eccoci qui con lutto il noslro amore.
Piccosi, puntigliosi, stravaganti.
Sempre e poi sempre in preda al mai umore,
senza contare una carezza sola
Che presto o tardi non ci torni a gola.
;:< ^^"i y..
Seniimi, cara mia, questa oommedia
O dura poco, o doq fioisce bene,
E se d'accordo non ci si rimedia,
Un di tio* due ne porterà le pene.
Tu palisci, io non godo, e mi rincresce :
Riformiamoci un po' se ci riesce.
I In via di contrapposto e di specifico
Al nostro amor che non si cheta mai.
Ecco la storia dell' amor pacifico
Di due fortunatissimi Ermolai,
Femmina e maschio che dai primo bsftfo
Stanno tra loro come pane e cacio.
Essi là là, come ragion comanda,
S' adorano da un mezzo giubbileo :
L'amorosa si chiama Veneraoda,
E U amoroso si chiama Taddeo,
Nomi rotondi, larghi di battuta,
E da gente posata e ben pasciuta.
La dama infatti è un vero carnevale,
una meggiona di placido viso.
Pare in tutto e per tutto tale e quale
una pollastra ingrassata col riso ;
Negli atti lenti a scritto : « Posa piano,
E spira flemma un miglio di lontano.
Grasso, bracato a peso di carbone,
Il suo caro Taddeo somiglia un 6 :
Un vero cor-contento, un mestolone
Fatto come suol dirsi e messo lì.
Sbuffa, cammina a pause, par di mota,
pare un tacchino quando fa la rota.
Del rimanente, vedi, tutti e due
Oltre 9\V essere onesti a tutta prova,
Levato il grasso a un briciolo di bue,
Che per un grasso non è cosa nova,
son belli,, freschi, netti come un dado.
Cosa che in gente grassa avvien di rado.
Si veggono la sera e la mattina
Comodamente all' ore stabilite,
parlan di conéumé, di gelatina,
di cose nutrienti e saporite;
Neil' inverno di stufe, e nell' estate
Trattano per io più di gramolate.
X *«8 X
Quando arriva Taddeo siede e domanda :
cara cbe fair come va l'appetito? ~
Mi coDleote, risponde veneranda ;
E tu, anima mia, com' liai dormito Y —
Undici ore amor mio, tutte d' un fiato :
A mezzo giorno, o sbaglio, o l' ho sognato,
E per delH ore poi resta lì fermo.
Duro, in panciolle, zitto come un olio :
O tirando sbadigli a caotolermo,
come se fosse zucchero e rosolio
Si succhia in pace F apatia serena
Di quel caro faccione a luna piena.
* Dal canto suo la tepida signora.
Quasi supina colla calza in mano,
infilando una maglia ogni mezz' ora.
Ride belando al caro pasticciano,
E torna a dimandar di tanto in tanto :
Lo vuoi stamani un dito di vin santo ? —
Perchè questa signora, hai da sapere.
Che invece di bijou, di porta-spilli
Di rococò, dì bocce e profumiere,
E di quei mille inutili gingilli
Di che, sciupando un monte di quattrini,
Tu gremisci vetrine e tavolini ;
Come donna da casa e che sa bene
11 gusto proi^rio e quello di chi F ama^
In luogo di quei ninnoli, ci tiene
Bottiglie, che so io, bocche d'i dama,
Paste, sfogliale ripiene dì frutta.
Tanto per non amarsi a bocca asciutta.
La sera, quando s'avvicina^ Fora
D' andare alla burletta, o alla commedia,
Veneranda che mastica e lavora,
Senza scrollarsi punto dalia sedia
Sbadiglia e poi domanda : il tempo è buono T —
Stupendo — Guarda un po' che ore sono ? —
Son l' otto — Proprio l' otto? Ora mi vesto
urava — Ma ti rincresce d' aspettarmi ? —
KG, no, vestiti a comodo — Eh fo presto i —
<E li piantati e duri come marmi),
Taddeo, che ore sono? — Son le nove —
Dunque scappo a vestirmi. — (E non si move.)
X *89X
Taddeo^ che dici, mi vesto di nero ? —
si vestiti di nero ~ E la mantiglia
L'abbia a prendere? — Prendila. — Davvero?
O se è caldo ? — Allora non si piglia —
così restano in asso e dopo un pezzo:
Che ore sono? — Son le dieci e mezzo. ~
Diamine! O dove sia la cameriera?....
Basta, oramai sarà V ultima scena ;
Che diresti ? — Anderemo un' altra sera ^^
Sì, dict bene, è meglio andare a cena. —
£ di questo galoppo, ognuno intende
Che vanno avanti anco l' altre raccende.
Liti, capricci, chiacctilere, dispetti.
Non turbano quel nodo arcibeato ;
La Gelosia e' ingrassa di confetti.
Il Sospetto ci casca addormentato;
Amor ci va, sbrigata ogni faccenda,
E credo che ci vada a far merenda.
La Maldicenza (impara, o disgraziata.
Tu che di ciarle fai sempre un gran caso)
La Maldicenza a volte s' è provata
Nelle loro faccende a dar di naso.
Tentando forse di scuoprir terreno,
O di farli dormir mezz'ora meno:
Ma per quanto le zanne abbia appuntale
Come lesine, e lunghe più d' un passo,
Questa volta nel mordere ha trovate
Tante suola di muscoli e di grasso,
Che per giungere al cor con la ferita,
L' ha falla corta almen di quattro dita.
Una tal velia, immagina, fu detto
A veneranda da una sua vicina.
Che Taddeo le celava un amoretto
Di fresco intavolato alla sordina,
E ciarlando arrivò la chiacchierona
Fino a dirle la casa e la persona.
Rispose Veneranda: o che volete,
caspiterella, che non si diverta?
Lo compatisco; è giovane, sapete l
Solamente rimango a t)0cca aperta
Che la vada a cercar tanto lontana
A rischio di pigliare una scalmanai
un' altra voiu dissero a Taddeo
che veaeraoda, povera ìonoceDte»
Teneva di straforo un cicisbeOj
E che questo briccone era un Tenente
che gli faceva t'amico sul muso
E dietro il Giuda, come corre 1' uso.
cornei disse Taddeo, Carlo? davvero?
Povero Carlo, è tanto amico mio t
Per me ci vada pur senza mistero,
E tanto meglio se ci sono anch' io.
Ma eh ? che capo ameno che è Carlo l
Fa bene Veneranda a carezzarlo.
così di mese in mese e d' anno io anno
Amandosi e vivendo lemme lemme,
E certa, cara mia, che camperanno
A dieci doppi di Matusalemme.
E noi col nostro amore agro e indigesto
Invecchieremo, creperemo, e presto.
O pace santa 1 o nodo benedetto l
Viva la veneranda e il suo tesoro !
Ma in somma delle somme, io non t' ho dello
come andò che s'intesero tra loro:
Se non l'ho detto, te lo dico adesso;
Dirtelo o prima o poi, tanto è lo stesso.
Erano tutti e due del vicinato.
Piccioni della stessa colombaia;
E ciascuno nel mondo avrà notato
Che Dio fa le persone e poi I' appaia;
che r amore e la tosse non si cela,
che vicinanza è mezza parentela.
veneranda era vedova di poco;
Taddeo, scapolo, ricco e ben veduto :
E una volta, a proposito d' un cuoco,
V era corso un viglietlo ed un saluto :
Ma fino a 11, da buoni conoscenti.
La cosa era passata in complimenti.
un giorno, da un amico, a desinare
Trovandosi invitali e messi accanto,
Si vennero per caso a combaciare
colle spalle, co' gomiti, con quanto
Sempre (quabdo la seggiola non basta)
s' arroteranno due di quella pasta.
X *6* X
V indole, la scambievole pinguedine.
La sciatillaccia che madre Natura
Pianta perfino in corpo alla torpedine,
Il eibo^ il caldo e quell' arrotatura>
Fece sentire alle nostre balene
D' esser due così da TOlerai bene.
L' affetto stuzzicato ad o^i costo
volea provarsi a dire una parola;
Ma scontrato dal fritto e dalP arrosto
Restala li strizzato a mezza gola:
intanto il desinare era finito
combattendo V amore e 1* appetito.
S' alzaron gli altri, ed ove si mesceva
Il caffè tutu quanti erano andati ;
Quando gli amanti, dandosi dì leva
co' pugni sulla mensa appuntellali^
In tre tempi, su su, venner pMsando.
soffiando, mugolando e tentennando.
Quando d' essere in pie fu l)en sicuro,
Taddeo porse alla bella un braccio grave ;
All' uscio si punl^ si strìnse al muro,
E II deposto il carico soave
Nelle stanze di là la mandò sciolta,
Che bisognò passare uno alla volta.
Di qua, di là, per casa, e nel giardino
Tutta si sparpagliò la compagnia;
Ma fiacchi dal disagio del cammino
Di due salotU e d'una galleria.
Provvidero gli amanti alla persona,
E fecer allo alla prima poltrona.
Nel primo abbocco degl' innamorati
Si sa che non v' è mai senso comune
Ma quando tutti e due sono impaniati
Ognun dal canto suo slenta la fune;
Ognuno sa ciò che 1' altro vuol dire.
Ognun capisce perchè vuol capire.
Dopo mezB' ora e più di pausa mota,
Taddeo si fece franco e ruppe il ghiaccio,
E cominciò : signora, l' è piaciuta
La crema? — Eccome 1 — Si T me ne compiaccio;
E quei tordi ? — Squisiti I ~ E lo zampone 7 —
Eccellente i — E quel dentice? — Booonei
11
X ^«9 X
per verità, si slava un po' pigiali...
Era un bene per me l' averla accosta ;
Ma se per caso ci siamo inciampati,
creda. Signora, oon l' lio fatto a posta. —
Oh le pare i anzi lei ci stava stretto ;
Scusi, vede, son grassa... — È un bel difetto I —
Lo crede? — in verità! codesto viso
È una Pasqua, che il Giei glielo mantenga. —
Son sana. — Altro che sana t è un Paradiso t —
Ma vi^, sono un po' grossa... — Eh se ne tenga (
- Per me... vorrei... se mi fosse concesso... —
Che cosa ? — Rivederla un po' più spesso. —
S' annoierebbe. — Oibò ! m' aonoìQrei ?
Anzi sarebbe i| mio divertimento. —
Oh troppo bonol allora... faccia lei... --
vede, Signora, il suo temperaménto
Mi pare che col mio possa confarsi ;
Che ne direbbe? — Eh, gua', potrebbe darsi. —
Via, faremo cosi: ci penseremo,
ci proveremo, e poi se si combina,
Quand' è contenta lei, seguiteremo:
La strada è pari, la casa è vicina.
Tutto» secondo me^ va per la piana . . .
comincerò quest'altra seuimana.—
E così tra volere e non volere.
Fu sentito, scoperto, ventilalo,
E poi con tutto il comodo, a sedere,
senza malinconie continuato
Per unti e tanti e tanti anni di' filo.
Questo tenero amor nato di chilo.
IL POETA E GLI EROI DA POLTRONA
poBTA. O del presente
Che avete in mente ?
Eroi, eroi.
Che fate voi ? eroi.
Un tutto e un niente.
Ponziamo il poi.
POETA. (Precisamente.)
Cbe brava gente i
(Meglio per noi i) Dite, o l' Italia ?
i65
snoT.
L^ abbiamo a bali«.
POETA.
Balia pretesca.
Liberatela.
Nostra o tedesca?
EROI.
valtel' a pesca.
POETA.
Lo so. (Sia fresca !)
I GRILLI
Del nostro Stivale
Ai poveri nani,
Quel solito male
Del grilli romani
ID oggi daccapo
Fa perdere il capo.
E vario, il rumore :
Chi predica r ira.
Chi raglia d'amore;
Ma gira e rigira.
Rivogliono in fondo
L» impero del mondo.
Nei Nòbile guitto,
Che senza un quattrino
Ostenta il diritto
D' andare al casioo,
Vi trovo in idea,
Bastardi d'Enea.
Non tanta grandezza
O seme d* eroi
Tenuto a cavezza :
Ritorna, se puoi.
Padrone di te,
O Popolo-Re
IL PAPATO DI PRETE PERO
Prete Pero è un buon cristiano.
Lieto, semplice alla mano ;
Vive e lascia vivere.
-si rassegna^ si tien corto
colla rendita d'un orto
Sbarca il suo lunario,
or m'accadde di sognare
Che quest'uomo singolare
Doventò Pontefice.
Sulla cattedra di Piero,
sopraffatto dal pensiero
Di pagare i debiti.
Si serbò ì' ultimo piano;
E del resto ài Vaticano
Messe V appigionasi
At>oIì la Dateria,
Lasciò fare un'osteria
Di Castel Sani* Angelo;
E sbrogliato il Quirinale,
Ci fé scrivere: Spedale
Per i preti idrofobi.
Decimò Frati e Prelati j
Licenziò birri. Legati,
Gabellieri e Svizzeri ;
E quei vii servitorame.
Spugna, canchero e letame
Del romano ergastolo ;
"Promettendo che Io st^lo,
Ripnrgaio e sdebitato,
Ricadfebbe al popolo.
f
164
Fece poi su i Cardinali
Mille cose originali
Dello slesso genere.
Die di frego agi' igooranlt,
E rimesse tuUi quanti
GII altri a fare il Parroco.
Del pensiero ogni pastoia
Abolì : per nìan del boia
Fece bruciar V Indice ;
E tagliato a perdonare,
Dove stava a confessare
Scrisse : Datar omnibus.
Poi, veduto cbe gli eccessi
son ridicoli in se stessi.
Anzi che si toccano,
Nella sua greggia cristiana
Non ci volle In carne umana
Angioli né Diavoli,
vale a dir, volle che V uomo
Fosse un uomo ne un galantuomo,
E del reslo transeaL
Bacchettoni e Libertini
Mascolini e femminini
Messe in contumacia
m un borgo segregalo.
Che per celia fu chiamalo
Il Ghetto cattolico,
parimente i mlscredeoti.
Senza prenderla col denti.
Chiuse tra gl'Invalidi;
E uppò ne' pazzarelll
I riunti crlstiaoelll
Rifritture d' Ateo.
Proibì di ristacciare
l puntigli del collare,
Pena Ja scomunica ;-
Proibì di belare inni
Con quei soliti tintinni
Pena la scomunica;
Proibì che fosse in chiesa
Più l' entrata che la spesa.
Pena la scomunica.
Nd veder quell'armeggio.
Fosse 11 sogno o ohe so io,
Mi parea di scorgere
Che in quel Papa, a chiare noic^
Kisorgesse U Sacerdote
E sparisse il Principe.
Vo per mettermi in ginocchio.
Quando a un tratto volto V occhio
A una voce esotica,
E ti veggo in un cantone
Una fina di Corone
Strette a conciliabolo.
Arringa II concistoro
un figuro, uno di loro.
Dolce come un Istrice.
« No, dlcea, non va lasciato
« Questo Papa spiritato,
« Che vuol far l'Apostolo^
« Ripescare in prò del Cielo
« Colle reti del Vangelo
« Pesci che ci scappino. '
« Questo è un Papa in buona fede :
« È un Papaccio che ci crede ì
- Diamogli 1? arsenico. >^
GINGILLINO
AD ALESSANDRO POEDIO
PEOLOGO
Sandro, i nostri Padroni hanno per uso
Di sceglier sempre tra 1 servi umilissimi
Quanto di porco, d' Infimo e d' ottuso
pullula negli Siati felicissimi :
X w» X
£ poi iremaDO ìd corpo e fàDoo muso
■Quando, giunti alle strette, i Serenissinii
Sentono al brontolar della bufera
<:he la ciurma è d' init>accÌo alia galera.
Ciurma sdraiata in vii prosopopea.
Che il suo beato non far nulla ostenta/
'Gabba il salario e vanta la livrea,
Sempre sfamata e sempre malcontenta.
Dicaslerlca peste arciplebea,
Che ci rode, ci guasla, ci tormenta
E ci dà della polvere negli occhi.
Grazie à' governi degli 8carat)occhi.
tempre 'l'uem non volgare e non infame
O scavalcato o inutile si spense,
O presto imbirboni nel brulicame
Dell'altre arpie famelicbe e melense.
Cosi sente talor di reo letame
L'erba grad\^a alle frugali mense.
Cosi per verme che la fori al piede
Languir la pianta ed Intristir si vede.
O Principi Reali e imperlali.
Gotico seme di grifagni eroi.
Forse accennando ai Lupi commensali
Nelle veci deil'io stampate il Noi?
Spazzateci di qui questi animali
Parasiii del popolo e di voi,
Questa marmaglia che con vostro smacco
Ruba a man salva, e voi tenete il sacco.
rll Foittifaceia e la MetetUniià,
V Imbroglio, la yiUùj V Avidiiù
Ed altre Deità,
Come sarebbe a dir la Gretteria
E la Trappottria,
Appartenenti a una Mitologia
Che a conto del Governo, a stare in briglia
Doma educando i figli di famiglia,
cantavano alla culla d' un bambino,
Di nome Gingillino^
La ninna nanna in coro,
Tutta sentenze d'oro
l>egni58iaie del secolo e di loro.
<«x
Bimbo ooD piaqgere >
Nascesti trito.
Ma se desideri
Morir vestilo.
Ecco la massinia
che mai ooa fàlla^
E come un sughera
Ti spinge a galla«
Dagii anni teneri
Piega le cuoia
A4 tirocinio
Della pastoia.
sotto la gramola
Del pedagogo
Curvati, schiacciati.
Rompili al giogo.
E cogli estranei
E in mezzo ai tuoi.
Annichilandoli
Più che tu puoi,
Non far lo sveglio,
Non far l'ardilo >
Se pur desideri
Morir vestito.
Non li frastornino
La testa e il core
Larve di gloria.
Sogni d' onore.
Fuggi le noie.
Fuggi le some.
Fuggi i pericoli
Di un chiaro nome ;.
E limitandoti
senz' altro fumo
A saper leggete
Pel luo consumo.
Rinnega il genio
Sempre punito >
Se pur desideri
Morir vestito.
cresci, e rammentati.
Che dà nel naso
Più lo sproposito
CouuneMO a caso^
Cbe la perfidia
La più fratina,
Tramala in regola
E alla sordina.
Abbi di semplice
Per segno certo
Dell' uomo ingenuo
L' errore aperto,
E imitiv il sudicio
Che par pulito;
se pur desideri
Morir vestito.
Studia la cabala
Del non parere,
E gli ammeanicoU
Del darla a bere.
Di Dio, del Diavolo
Non farli rete;
Nega il negabile,
Ma liscia il prete,
un letamaio
Di vizi abborra
Giù de* procordi f
Tra la zavorra;
Aka corani populo
Esci contrito ;
Se pur desideri
Morir vestito,
la corpo e in anima
Servi al reale,
E non ti perderò
NelP ideale.
Se covi smajlia
Di far fagotlo.
Incensa P idolo
Quattro e quattr* oU(k
Sempre la favola
Della ragiooe .
ceda, alla storia
Del francescone,
Sempre lo scrupolo
Muoia faUito ;
Se pur desideri
Morir veatitoi.
Non far che un libero Vù gran proverbio
Sdegno li dia Caro al dolere.
Quella poetica ^^ Dice che l' essere
Malincooia, -*^"^^ Sia neir avere.
Per cui oon paiono credi I' oracolo '
Vili e molesti ' Non mal smentito ;
Dei galantuomini Se pur desideri
I cenci onesti. Morir vestilo.
Veni' anai dopo, un Frate Professore,
Gran 8ciupatesle d' università.
Da vero Cicerone inquisitore,
EQComlava la docilità
E la prudenza d' un certo Dottore
Fatto di pianta in quel vivaio là.
Dottore in legge» ma di baldacchino.
Che si chiamava appunto GingilUno,
In gravità dell'aurea conclone
Messer Fabbricalasino si roga
capo Aruffaeervelli ; e un zibaldone
Di cancellieri e di Bidelli in toga
Gli fa ghirlanda intorno al seggiolonej
E di quell'Ateneo la sinagoga.
Che in lucco nero, a rigor di vocabolo.
Parca di pialtoloni un conciliabolo.
Chi brontola, chi tosse e chi sbadiglia,
Chi ride del Dottore e chi del Frate,
Che ansando e declamando a tutta brìglia,
Con salti e con rettoriche gambate
circonda il caro alunno e l' appariglia
Alle celebrila più celebrate,
calandosi a concluder finalmente
Di dotta carità tutto rovente :
« vattene, figlio, del bel numer* uno
H De* giovani posati e obbedienti,
m Oh vattene digiuno
4* Dì ragazzate, di divertimenti,
u Di pipe, di biliardi, d' osterie^ .
•* Di barbe Uioglie e d* altre porcherie.
•' Oh benedetto te, che dalla culla
« Se' stalo savio di dentro e di fuori :
m Che oon bai fatto nulla
« Seoz^t il penuesso de' Superiori,
X W8 X
m Sempre abbassando la ragione e K estro>
M Sempre pensando a modo del maestro!
• Salve, o raro Intellello o cor leale,
«« Che d', una fogna d' empi e d' arroganti
m Te n' esci tale e quale,
«• Esci come venisti, e tiri avanti;
** vattene al premio che s' aspetta al giusto,
« Della gran soma dottorale onusto.
I comincia coli' esempio e coli' inchiostro
« A difender l' altare a destra mano,
•« Ed a mancina il nostro
« Dolee, amorevolissimo Sovrano
«« vattene, agnello pieno di talento,
« Caro al presepio e al capo dell'armento, »
All' apostrofe barocca
che con grande escandescenta
Esalava dalla bocca
DI quel mostro d'eloquenza.
Gingillino andato io gloria
Se n'uscia gonfio di boria
Dal chiarissimo concilio
Colla zucca in visibilio.
Sulla porta un campanello
D'onestissimi svagati.
Un po' lesti di cervello
E perciò scomunicali,
con un piglio scolaresco.
Salutando in bernesco.
Gli si mosser dietro dietro
. Canticchiando in questo metro.
Tibi quoque libi quoque
È concessa facoltà
Di potere in jure utroque
Gingillar 1' umanità.
La manìa di Sere Imbroglia,
che nel cranio ti gorgoglia.
Ti rialza fuor di squadit)
Il bernoccolo del ladro.
Che li resta, che ti resta
D' uno sgobbo inconcludente
In quel nocciolo di tea«a.
Sepoltura della mente ?
Ma se l'anima di stoppa
Se n' è tinta per la groppa.
Tanto basta, tanto basta
Per ficcar le mani in pasta.
infilando la giornea
D'avvocato o di notalo.
Che l'importa la nomea
Se t'accomodi il fornaio?
Tu se' nato a fare il bracco.
Il giannizzero, il cosacco,
E compensi il capo cono
Coli' andare o collo torto.
O pinzochere fiscale.
Ti si legge chiaro in viso
Che galoppi al Tribunale
Per la via del Paradiso:
E di più e è stato detto
Che lavori di soffietto.
Devotissimo ab antico
Dell'Apostolo dal fico.
Ma quel taluda era un buflbDe>
Un vHIssImo figuro :
Tu, vlaccBdo 1 paragone.
Mostrerai che o muso duro
Si può vendere un Messia,
senza far la scioccheria
Di morfre a gozzo stretto
E di rendere il saccbettc».
II.
Mei mare magno della Capitale ^
Ove si cala e s* agita e ribolle
Ogoi fiumana e del bene e del male;
Ove flaccidi vizi e virtù frolle
Perdono il colpo nel cor semivivo
Di gente doppia come le cipolle;
Ove in pochi magnanimi sta vivo,
A vitupero d* una razza sfatta,
11 buyn volere e il genio primitivo ;
£ dietro a questi l' infinita tratta
Del bastardume, che di sé fa conio,
E sempre più si mescola e s' imbratta ;
col favor della Musa o del Demonio
Che il crln m'acciuffa e li mi scaraventa,
Entro e mi caccio in mezzo al Pandemonio.
O patria nostra, o fiaccola che spenta
Taoio lume di te lasci, e conforti
Chi nel passato sogna e si tormenta ;
Vivo sepolcro a un popolo di morti.
Invano, Invano dalle sante mura
Spiri virtù negli animi scontorti.
Quando per dubbio d* un'infreddatura
L' elica folla a notte sì rintana,
Le vie nettando della sua lordura ;
'Quando il patrizio, a stimolar la vana
Cascaggine dell' ozio e della noia.
Si tuffa nella schiuma oltramontana ;
E ne' teatri gioventù squarquoia
E vecchiume rifritto^ ostenta a prova
False carni, oro falso e falsa gioia ;
Idalinconico pazzo che si giova
Del casto amplesso della tua beltade.
Sempre a tutti presente e sempre nova;
Lento 8' inoltra per le mute strade
Ove più lungo è il morbo delle genti.
Ed ove l' ombra più romita cade.
paragona Locande e Monumenti
E l'antica larghezza e il viver greMo
Del posteri mutali io semoventi;
X ITO X ^
E degli avi di sasso nel cospetto.
Colla meote io lumuito e l' occhio grosso
Di lacrime d' amore e di dispetto :
Gli vico la voglia di stracciarsi addosso
Questi panol ridicoli, clìe fuore
Moslraoo aperto il canchero deirosso
E la strigliata asinità del core.
Tra i mille ergastoli
Di mille Unte
Che tutta, io pagine
Chiare e distinte.
Se reggi il vomito,
Ti fan palese
La bassa cronaca
D'un reo paese;
Vince lo stomaco
Vince l'acume
D'ogni occhio intrepido
Al laidume.
Primo in obbrobrio
Di tanti e tanti,
11 lombricaio
Degli Aspiranti,
Immonda chiovina.
Ove caduto
Del Fòro il fetido
sterco e il rifiuto,
in sé medesimo
, Pulre e fermenta,
E immedicabili
Miasmi avventa.
A gran caratteri
In gran cartello,
sta sul vestibulo
Scritto : Bargetlo j
Parola mistica
Che il fiato in bocca
Gela, e significa
Bazza a chi tocca.
Dai Sacri Canoni
Dalle Pandette,
Passato al codice
Delle manette.
Ringhia lo spirilo
Del mio Iodato
Neil' abominio
Lì rotolalo.
Scorda l' ambrosia
Del tuo Parnaso, ^
Calza gli zoccoli,
Turati il naso,
Musa, e tenendoli
Su la sottana.
Scendi al motriglio
Dell'empia tana.
come in immagini
Lerce e falsate.
Nella Tebaide
Al Santo Abate
Piovean le luride
Torme deli' Orco.
Sporcando il trogolo
Perfino al porco;
Per furia idrofoba
Che giù gli mena,
Così nel baratro
St)occa una piena
D'infami Rabule,
Di Birri e Spie,
A mucchi, a vortici,
A litanie.
Ohimè che l' aere
Maligno e tetro
Ea casta vergine
RespiagQ indietro.
La casu Yerdioe
Ond' io m'jhdiro,
A CBl quell'alito
Mozia il respiro.
il* V
Naia ailc vivUle
'Fonti, all'ameno
Rezzo dei lauri^
Al ciel sereno,
Di quella bozzima
Cbe là 8' infogoa,
Senle IMogenua
schiro e vergogna.
La turpe t)Olgia
Sdegnando io stesso.
Ove alleluia
canta il Processo,
Varco allo stabbio
Che aduna a sera
1 Birrocratici
Di bassa sfera.
Giace in ub vicolo
Sgeoibo e remoto.
Tra le pozzangli^
D* eterno toii^
Nera casipola
A uscio e tetto.
Che d' una trappola
Ti dà l'aspetto.
Dal bugigattolo
De' Magistrati,
Dal serbatoio
Degli Avvocali,
La sozza Frucola,
La vii Tartuca,
La talpa e 11 Granchio
Là si trabuca ;
Là dai venefici
Rovi del-iPisco,
Si striscia l'Aspide
E il Basilisco.
Là, grogiolandosi
Le invidHs fnernoi,
Miste all' ossequio
Degli altri vermi.
Sbuffa e si gloria
L' ozio bracalo
del tarlo pubblico
Già giubilalo.
Là, colle nubili
Sciolte e vistose,
Recan le vedove,
Le mogli annose
De' Coramissarii,
De'cabelloUi,
Rigiri, scandali.
Pania e ceroni:
Là per libidini
Di contrabbando
vanno, e cimentano
Di quando in quando
La lor nullaggine
Che par persona.
Le Cariatidi
Della Corona.
Tutto si rumina.
Tulio s' indaga,
Tulli si sgolano
Li per la paga ;
Tulli colorano
Al caso proprio
L' ombre, le nuvole
D' un Motuproprio ;
Ogni bazzecola.
Ogni bisbiglio.
Che bolle in pentola
Del Gran Consiglio.
E li si predica,
Li si dibatte
La compra e vendila
Delle Mignatte
Che i Re ci azzeccano
Filli alte vene,
Per controsttmolo
Del troppo bene.
Come del chimico
Nel cavo rame
Si scioglie in glatlne
L'accollo ossame,
cosi l' intingolo
D' un' altra colla,
Dal gran carnaio
Che là s'affolla.
X <^2
Tira una Taide^
Che adesso è nonna,
Di quel postribolo
Donna e madonna.
Fu già da giovane
Cuoca e pietanza
D' un Rodipopolo
Su di Finanza,
Clie dietro un seguito
D* apoplessie,
D'ire, di scrupoli.
Di trullerie,
Jn [ade Ecclestae,
Tirando innanzi.
Di se, del pubblico
Biasciò gli avanzi :
Finché, lasciandole
Sgombro 11 canile,
col copertoio
Del vedovile.
Fece all' erario
costar salato
Anco il rimedio
Del suo peccalo.
Se al mondo è femmina
Garga e maestra,
Costei del Diavolo
Può stare a destra;
Costei che, a titolo
Di ben servilo,
Rosola fi Principe
come il marito.
L'Eccellenti ssi mo
Dottor Gingilla,
Entrato in grazia
Della Sibilla,
Dopo un proemio
ly incensi abietti,
Di basse lacrime
Di sconci affetti.
Le ciìiese il bandolo
Che mena al varco,
E «li^de i pascoli
Del regio Parco.
A cui l'ex-guattera.
Tirando fuori
Delia domestica
scuola i tesori.
Senza metafora
Tracciò distinto
L' itioeirario
Del laberinio
IIL
O Merli tarpati
Su su da piccini,
O Galli pouii
Ja u8um Delptìlni j
O Gufi pennuti
Dell' antro di Cacco,
O Falchi pasciuti
Dei pubblico acciacco-;
Ma intanto, brigata,
Udite la Strega
Che dà l' imbeccata
Al vostro collega :
O Nibbi vaganti
Stecchiti di fame,
O Corvi anelanti
Al nostro carcame;
sparvieri, calate.
Calale, Avvoltoi;
pappate, pappate }
Si scanna per voi :
ehe bisogna scansare i liberali,
I giovani d* ingegno, i ma} ?edutì f
Non chiacchierar di libri e di giornair,
Come non visti mai né conosciuti ;
Chiuder V ahiroo a tutti e stare a sé,
so di buon luogo che lo sai da te.
Questo appartiene all' arte del non Tare,
E in quest'arte sei vecchio e ti conosco ;
E sarebbe, il volertela insegnare.
Portar acqua alla fonte e legne al bosco :
Ora air ingegno tuo bene avviato
Resta r altra mela del noviziato.
Prima di tatto incurva la persona,
Personifica in te la reverenza;
Insaccali una giubba alla carlona,
E piglia per modello un' Eccellenza :
Io questo caso l'abito fa il monaco,
E il muro si conosce dall'intonaco.
Piglia quel su e giù del saliscendi,
Quell' occhio del ti vedo e non li vedo ;
Quel tenlennio, non so se tu m' intendi,
Che dice sì e no, credo e non credo ;
E piglia quel sapor di dolce e forte.
Che s' usa dal Bargel fino alla Corte.
Barba no, ci s' intende : un impiegato,
(Cosa chiara, provata e naturale)
Quanto più serba il muso di castrato.
Tanto più enira in grazia al Principale :
Ma io questo, per piacere a chi conviene,
Anca la mamma t' ha servilo bene.
Non lasciar mai la predica e la messa,
E prega sempre iddio vistosamente ;
Vacci nell'ora e nella panca slessa
Dei Commissario, oppur del Presidente ;
Anzi, di sentinella alla piletta,
Dagli, quand'entra, r acqua benedetta.
Fatti introdurre, e vai sera per sera
Da qualche scammonea fatto Ministro ;
E là, secondo l' indole e la cera,
Muta strumento e gioca di registro:
se ti par aria da farci il buffone.
Fallo, e diverti la conversazione.
X «74 ;:<
se poi si gioca e si sta sulle sue,
Chiappa le carte e fai da comodino,
Perdi alla brava, ingozzati del bue,
Doventa il Papa*Sei del tavolino ;
Che quando t'ha sbertato e pelacchiato,
Ti salda 11 conto a spese dello Stato.
Fa di tenerlo lo giorno, e raccapezza
La chiacchiera, la braca, il fattarello;
Tutto ciò che si fa da Su' Altezza
(Per così dire) Inflno a stenterello
Sia P ozio. Il poeto o la iDe8Chinit&.
Chi comanda è petlegOlo, si sa.
Se il Diavolo si dà (1) che li s'ammali
visite, amico, visite e dimolte :
Metti sossopra medici, speziali.
Fa' quelle scale centomila volte;
piantagli un senapismo, una pecetta»
E bisognando vuota la soggetta,
se V omo guarirà, fattene bello :
se poi vedi che peggiora e che muore,
À caso perso, bada il chiavistello,
E lascia nelle péste 11 confessore.
Il morto giace, il vivo si dà pace,
E sempre s-* appuntella al più capace,
colle donne di casa abbi giudizio;
perchè credilo a tne, ci pool trovare
Tanto una scala quanto un precipizio^
E bisogna saper barcamenare.
Tienle d' accordo, accattane il suffragio ; .
Ma prima di andar oltre, adagio Biagio.
Se avrà la moglie giovane, rispetto,
E rispetto alle serve e alle figliuole :
Se r ha vecchia, rimurchiala a braccetto,
Servila, insomma fai quello che vuole :
Oh le vecchie, le vecchie amico mio,
Portano chi le porta ; e lo so io.
Occhio alla servitù venale e scaltra ;
Ungi la rota, o tlenli soli' avviso
Di non urtarla; una man lava l' altra,
(I) Darsi il Diavolo, cioè darsi la disgrazia, «iodo usato dal
popolo che con molto acoorgimento fa luti' una cosa di disgrazia
e di Diavolo.
Suol dirsi, e tulle e due lavnno il viso:
Nei moDdo va giocalo a giova giova,
E specialmente se galla ci cova.
Sempre e poi sempre un pubblico padrone
Ha un servi lore pia padron di lui,
Cile suol fare alla roba dei padrone
Come a quella di lutti ha fallo lui: (i)
Se l' amico avrà il suo, con questo poi
Sii pane e cacio, e datevi del voi.
Se mai nasce uno scandalo, un diverbio,
un tafferuglio in quella casa là,
Acqua in bocca, e rammentali il proverbio:
Molto sa ctìi non sa, se tacer sa ;
A volfe, in casa propria, un Consigliere
Pare una bestia, ma non s' ha a sapere.
In quanto a Iodi poi, tira pur via ;
Incensa per diritto e per traverso ;
Loda l' ingegno, loda la matiia.
Loda I* imprese, loda il tempo perso :
Quaod' anco non vi sia capo né coda.
Loda torna a lodare, e poi ri loda.
Pesca una dote e ridi del decoro
(Della virtù, si sa, non ne discorro) ;
Che se piacesse all' Eccellenze loro
D' appiccicarli un canchero, un camorro,
Purché li sia la pillola dorata.
Beccala e non badare alla facciala.
Briga più che tu puoi : sia suir inlese ;
Piglia quel che vien vien, pur di servire:
Ma chiedi, che la Bolla che non chiese.
Non ebbe coda : e poi devi capire
Che non sorrette dai nostri l>isogni
Le loro autorità sarebber sogni.
L' animo d' un Ministro, il mio e il tuo,
Son presfl'a poco d' uno stesso intruglio:
Dunque un Nebbione che non fa sul suo,
E si può fare onor del sol di luglio.
Nella sua dappocaggine pomposa,
È quando crede di poter qualcosa.
Non ti sgomenti quel mar di discorsi.
Quel traccheggiar la grazia ai caso estremo,
Quel nuvolo di se, di ma, di forsi,
<i) Idiotismo non in grazia della rima, ma del dialogo.
X *'^ X
Quel solilo vedremo penseremo....
Eterno gergo, eterna paoiomiiDa
Di queste zucche che lu vedi In cima.
Abbi per non saputo e per non visto
Ogni mal garbo ogni alto d'annoialo;
Fingili grullo come Papa Sisto,
se ti preme di giungere al papato :
11 dolce pioverà dopo V amaro,
E r importuno vincerà I» avaro. —
E Gingillino non inlese a sordo
Della volpe faiidica il ricordo.
Andò; si scappellò, s* inginocchiò,
si strisciò, si fregò» si strofinò ;
E soleggialo, vaglialo, e stacciato,
Abburallaio da Erode a Pilato,
Fatta e rifalla la storia medesima,
Ricevuto il Ballesimo e la Cresima,
Di vile e di furfante di tre colle.
Lo presero nel branco, e buona notte»
Qui, non potendosi
Legare al collo
La grazia regia
col regio bollo,
A capo al letto
IO un sacchetto
se l' inchiodò ;
Mattina e sera
Questa preghiera
Ci bestemmiò.
lo credo nella zecca onnipolenle
E nel figliuolo suo dello Zecchino,
Nella cambiale, nel Conto corrente,
E nel Soldo uno e trino :
credo nel Motuproprio e nel Rescritto,
E nella Dinastia che mi tien ritto.
credo nel Dazio e nelP imposizione.
Credo nella Gabella e nel Catasto;
Nella docilità del mio groppone,
Nella greppia e nel basto :
E con tanto di core attacco 11 voto
sempre al santo del giorno che riscuoto.
X t95 >=:
A dura vila, a dura ditcìpUn,
Muli, ^rlal, talliari tlamio.
Strumenti cieebl d' ocdkiuia nptm
Che lor DOD loon eebe forse non sanno:
E quest' odio che hmI non «vvlelMi
Il popolo lonterdo aiP aleounno,
Giova a chi regna dividendo, e teoie
PopoH avversi affratellali insieme.
Povera gente 1 lontana da' suoi.
In un paese qui che le vuol male.
Chi sa che io fondo alPaoinM po' poi
Non mandi a quel paese il principale!
ifrioco che V hanno in lasca come noi. —
Qui, se non fuggo, abbraccio un Caporale,
Colla su' brava mazza di noccìuolo.
Duro e piantalo li come un piolo.
LA RASSECHfAnONE
At PADRE *••
COirSBRVATOBI DBI.L' ORDIIfB DILLO STÀTU-QUO
Dite un po'. Padre mio, sarebbe vero
Che ci volete tanto rassegnati
Da giulebbarci in -casa il forestiero
come un cinzia a sconto de* peccati,
E a Dio lasciare la cura del poi.
Come se il fallo non Istesse a noit
Eh via. Padre, parlianoo da Cristiani :
se vi saltasse un canehero a ridosso.
Lascerete là M d'oggi In domani
Che col comodo suo v'arrivi all'osso T
Aspetterete li senza Chirurgo
Che vi levi da letto vm Tbomatargo?
uno che nasce qaì nel suo paese.
Che di nessuno non Invidia II eovo,
se non fa posto, se non fai le spese
A chi gii entra nel nido e ci fa l'ovo.
Se non gli fa per giunta anco buon viso,
Secondo voi, si gioca il mradiso r
45
X «9*X
Noi Siam vernili su esUa credfentft
Che il nMNKlo è laiv» da ìmUf a tuMi :
E ci pare «na bella ImpcrllBeoia,
Che ooa ladv» geo!» di terabocii
Tenga a Inbrogttar le parli di leMano
Che fo DomiM Dio^di propHa «ano.
Quella donf%ia di succhiarsi in pace
uno che ci spélliocia allegramente,
padre, non è in natnra, e non ci piace
Appunto perchè piace a certa gente :
caro PadHna flilo, questa dottrina,
secondò noi^ non è scfaietla farina.
vedete r Ognuno di scansar molestia
Si studia a plCt non posso e s' arralMtla :
E morsa e tafanala, anco> una laeslia
vedo che si rivolta e che si gratta :
E noi staremo qui come stivali
senza grattarci quesl' altri aaimali ì
«. Siamo fratelli, slam agli d'Adamo,
H Creati tutti a immagine d^ Iddio -,
u Siam pellegrini sulla te<*ra, siam»^
N senza distindon di tuo né mio,
m una fMOlgHa di diverse gentf . . . i^
Bravo, grazie, non fate complimenti ;.
E facciamo piuuoaio hi earM
Tanti fratelli, altreltaoU CMlAlli i
Di quella vawa di Iraleroitò
Anco Abele e Cala» eran Iraielli t
Finché ci fano» il pelo • tt eoolnppek^»
Che e* entra «Uraoetiiare aoco H Vangelo r
Questo vostro doloiUHie Jiimmlfério,
Questa frmmitit tanlo esemplare.
Che di santa ebe lu là sul Calvario
L' baooo i-idotU ad w imercalare,
vo' i' usereste, dkemir appualioo
Tanto al ladro diritta ebe al maocioe?
Oh io, per ora, a dirvela sioeera,
Mi sento paesano paesano v
B nel caso, sapete la qual maniera
sarei fratello del genere «manoT
come dice U proveebio : amici eari.
Ma patti chiari e la borsa del peri.
X WS' >•:
prtoia, padroD di casa io casa mia ;
poi, ciUadiQO oeila aia ci uà ;
lUliano ìd Italia, e cosi via
Discorrendo^ uomo neH' umaoiià :
Di questo plsso do vita per vita,
E abbraccio tu4lf e aon cosinopolila.
La Carità Ve santa, e tra di noi
Cile siamo al sitio venga e si iratteoga ;
He verso ohi mi scortica, po' poi,
IO ooD Rii scolo carità die tenga:
padrino, chi mi fe fabula rasa,
pociii discorsi, non lo voglio io casa.
Questa marmaglia di starci sui collo
Non si cootenla, ma Lira a dividere,
, Tira n castrare e a pelacctiiare il polio,
come suol dirsi, senza farlo stridere:
E ia paaioiiea in questo struggibuco
La mi dovonta la virtù del ciuco.
L'ira è peceaiol SJ, quq^^ por ì'4ra
Se ne va la giustizia a gambe all'aria :
Ma se le cose giuste avrò di mira,
L' ira non ^Mo alla virtù contraria.
Fossi Papa, scusatemi, a momenti
V ira la metterei tra' Sacramenti.
Cristo» a quttlo #PO|K>sito, c\ ba 4ato.
Dolce com' etm^ un beUiosimo esompio
(E lo lasciò perchè base iaiUftto) ,
Quando, oonre so^tc, ootrO :nel vempio
E sbarazzò le soglie poofiiotte
A furia di aioiisslttie fusate.
Fino a non far pasticci, e all' utopie
Tenere aperto l'oocliio e r uscio chiuso ;
Fino a sfdare 11 carcere, le spie^,
L' esilfo, il boia, e ridergli sul muso ;
Fino a dar tempo al tempo, ob Padre mio,
Fin qui ci sono, e nói ci firmo anch^ io.
Ma la prudenza non fu mai pigrizia.
Vosigooria se canta o sesia o nona.
Canta : Servile damino in laetitia -, .
E non canta : servitelo in poltrona.
Chi fa da santo colle mani in mano.
Padre, non è caitolico, è pagano.
IL DELBffDA CARTAGO
E pcrcliè paga vostra Signoria
Un grullo finto, un sordo di roenierer
uno che a conio della Polizia
Ci dorma accanto per dell'ore intere r
Questo danaro la lo butta via.
Per saper cose che le può sapere.
Nette di spesa, dafla fonte viva :
Gliele voglio dir io : la aeou, e scrìva.
m primis, la saprà che il n^ondo e V uomo
vanno col tenopo; e il tempo, sento dire,
' Birba per lei e per noi galantuomo,
verso la libertà prese Fa ire.
Se non lo crede, li caropanil del Duomo
E là che parla a chi lo sa capire :
A battesimo suoni o a funerale,
Muore un Brigante e nasce un Liberale.
Dunque, senta, se vuol rompere i denti
Al tarlo occulto che il mestier te rode,
O scongiuri le tossi e gli accidenti
Di risparmiar quest'avanzo di code;
se no, compri le Balle, e d* Innocenti
Faccia una strage, come fece Erode:
Ma avverta, che il Messia si salva in fasce j
E poi, quando l' uccidono, rinasce.
I sordi trameni! delle congiure,
il far da Gracco e da Robespierrioo,
È roba smessa, solite imposture
Di birri, che ne fann* un botteghino.
Questi Romanzi, ia mi creda pure.
Furono in voga al tempo di Pipino ^
Oggi si tratta d' una certa razza
Che vuole Storia, e che le dice in piazzav
sicché, non sogni d'averla da fare
col Carbonaro, oè col Frammassone,
O Giacobino che voglia chiamare
Chi vive al moccoHn della ragione;
Si tratta di doversela strigare
con una gente che non vuol padrone;
Padrone, intendo, del solito conio,
Che un po' tarpati, e' non sono li Demonio^
X»91 X
mioque. Padrone noi L* ha scritto ? o bravo!
Padrone noi Sia bene e aodiamo avanti:
BepubbUca, oramai, Tiranno, Schiavo,
E altri nomi convinsi e stimolanti,
S\y lasciamoU là : giusto pensavo
Che senza tante storie e senza tanti
Giri, si può benone in due parole
Tirar la somma di ciò che si vuole,
scriva. Vogllam che ogni figlio d' Adamo
Conti per uomo, e non vogliam Tedeschi:
vogliaoM» i Capi col capo; vogliamo
Leggi e Governi, e uoa vogliam Tedeschi,
scriva. Vogliamo, tutti^ guanti siamo,
L' Italia, Italia, e non vogliam Tedeschi ;
Vogliam pagar di borsa e <li oervello,
E non vogliam Tedeschi: arrivedello.
A GINO CAPPONI
Fedi un po% Gino miOj che cota vuol dire V aver che fare
€0* Poeti I Non conlenti <U scapriceirsh rimafuio sul cerno degli ol-
ir i e sul proprio j chiamano anco gli amici a parte dei toro capricci,
chi per affetto e ehi per far gente* Anni sono^ intitotai a te quella
tirata tulle Mvmmie Itaiiche^ scherzo cagnesca ehe risente della stiz-
za dei tempi nei quali fu scritto j ogqk elle abbiamo tuui il sangue
più addolcito^ accetta questa aspirazione a cose migliori j scritta, cO'
me tu saij quando il buonok era sempre di ià da venire j e anzi pa-
reva lontanissimo, A cM sapesse che tu sei il solo al quale ho ri-
corso in tuitociò che passa tra me e me^ non farà meraviglia questa
pubblica confessione che io t* indirizzo j a cài non lo sapesse ^ ho
voluto dirlo in versi, tanto più che dai Petrarca in poi pare wta legge
poetica che le affezioni dei rimatori siano sempre di pubblica ragio-
ne. Lasciami aggiungere^ e lascia sapere a tuui^ ehe io ti son tenuto
di molti conforti e di molte raddirizzature j che se tuttavia mi resta-
ito addosso delle magagncj la colpa non é dell' Ortopedico,
Tuo Affezionatisstmo
OjDSBPPE Giusti
A GUfO CAPBOOH ^n
come colui cte auriga a i
per correnii di rapide I
cbe star gli MmlM-a imaioiBile, e la spanda
Fuggi rQ, e i nomi e la selve lentane;
cosi l' iDgegoo mio varca per l' oada
Precipitosa delle sorci umane;
E mentre a lui dell' oniversa vita
Passa dinansi la seena iafiaiia.
Muto e percossa di stiipor rimane.
E di sordo. toMUlto aiètiGariiM
Le posse arcane #eU' anima sento,
E guardo» e penso, e comprender non panne
La vista che si sveWe all'^cehlo lotisme,
E non bo spirila di si pieno carme
Che in me risponda a quel fiero concento:
così rapito in meiao al ■moto e al suono
Delle cose, vaneggio e m^ abbandono,
come la teglia che mulina il veotd.
4fa quando poi remoto dalla gente.
Opra pensando di soltit lavoro,
Mie dolci failche della mente
M travaglio dei cor cereo ristoro,
ficco assalifmi tulle di repente,
come d' insetti iw nufoto sonoro,
Le rimeubranae delle cose andate ;
E larve orrende di scherno alleggiate •
Azzuffarsi con aaeeo ed I» con Iona.
così tornata alia solinge stanza
La vaga giovinetta io eoi Pacuta
Ebriei& del suono e della danza
Kò stanchezza oè somìo non attuta.
Il fragor della festa e r esultanza
Le romba intorno ancor per V aria muti,
E il senso impresso de* cari sembianli,
£ de* lumi e da' vortici festanti,
lo faticosa vision si muta. -
(1) Ho tentato <li rimettere in corso questo metro antico, dsl qn.ile.
sebbene difficilissimo, credo si possa trar partito per aggiungere gra^
vita e solennità all'ottava. Direi d* usarlo ne' componimenti brevi; alU
lunga forse stancherebbe.
come partem a cui ratto bal«»
Subita ooM che d* oWar lèao,
coti la paiNMi allBiTo in quella jifteM
Del caldo innagiiiar etoe dmtro rrtae.
Ma se sgorgando dt 4IÌBoli vena
La parola e il peosler pugnano lntieaw«
lo« di me aleuo dilfldkado, poso
. Dal metro audace,, e rimango peutoM^
E P aogoacia d^un dubbio in cor mi geme.
Dunque su questo mam a cui li Ade
Pericolando con si poc» veli.
Il nembo 8eaH>re e la procelln stride,
E de* sommersi II pianto e la qoeraia t
E mai non pos^ l'onda, e mai non ride
x'aere, e il sol di perpetue ombre si veto?
ui questa ardita e iraìogUata polve
Gbe teco spira, e a Dio teoo- si volve,
Altro 4tw viato a te non sf rhrela ì
E chi lei tu ebo ll<IMm> iagello
Raod, acoanaando duramente II vero,
E che pareo d» lode al buono e ài bello,
Amaro canne intuoni a vttnpero?
cogliesti tu, seguendo il tuo modello.
Il segreto delP aree e il ministero T
Diradicasti 4)a te «tesso in prte
E la vana superbia e la foNla,
Tu ebe rampogni, e altrui mostri il sentiero?
Alior di duol 'Compunto, sospiraodo,
De' miei pensieri il freno a me raccolgo;
E ripetendo il dove. Il cóme, il quando.
La breve istoria mia volgo e rivolgo.
Ahi del passato Porrne ricalcando
Di mille spine un ^r misero «olgoi
Sdogaaeo delForror d' error tnaccblato,
o^ mi sento eo^ pochi allo levalo.
Ora giù caddi e vaneggiai col volgol
Misero sdegno, «he mi spiri solo,
Dr te si stanca e si rattrista II core !
o farlbletta che rallegri il volo,
Posandoti' per ria di fiore in fiore,
e tu che sempre vai, mesto usignolo,
Di bosco in bosco cantando d' amore.
Delle vostre dolcezze al paragone,
in quanta guerra di peaaier mi pone
Questo che par sorriso ed è dolora i
Olire la nube dim mi cerchia- e io seno
Agiu \ venU e \ faloBtoi dell' ira,
A più largo oritaoate, a più sereno
cielo, a più lieto voi r animo aspira.
Ove congiuoil con libero freno
I forti canti alla pietosa lira,
Di feconda armonia l'etere suoni,
E slan gV inni di lode acuti sproni
Alla virtù cbe tanto si sospira.
. o Gino mio, se a te questo segreto
conflitto delia mente io non celai.
Quando accusar del canto o mesto o lleio-
in me la nota o la cagione udrai.
Marra quel forte palpilo inquieto,
Tu cbe in altrui l' intendi e in te lo sai.
Ut quei cbe accesso alla beltà del vero
un raggio se ne sente nel pensiero,
E ogoor lo segue e non lo giunge mai.
E aneli' io quell'ardua Immagine dell'arte.
Che al genio ò donna e figlia è di natura,
E in parto ha forma dalla madre, in parte
Di più allo esemplar rende figura ;
Come l'amante che non si diparte
Da quella' che d'amor più l'assecura,
vagheggio, inteso a migliorar me stesso,
E d' innovarmi nel pudico amplesso
La trepida speranza ancor mi dura.
AL MEDICO CARLO GHINOZZI
COKTRO l'abuso DBLL' BTBRK SOLFORICO
Ghinòzzi, or che la gento cbe l' uom, gii sonnolento.
Si sciupa umanamente. Dorma perfto del piaoio
E alla morbida razzn All'alio insegnamento?
Solletica il groppone Gioia e salute scende
Filantropica mazza Dal pianto» a chi I* intende ;
Fasciala di coiooe, Nò solo il bambinello
Lodi tu che il dolore. Per le lacrimo fuori
severo educatore. Riversa dal cervello
C'impaurisca laniot I mal concetti umori. (4)
(I) Oicono che i bambini, piangendo, si ripurgbtno il cervello; sim-
bolo forse di ciò che accade a tutti coli* andare dcgU anni, parteci-
pando alle comuni avversili.
»«x
A Chi 8è slesso apprcoza.
Chiedi se io vile ebbrezza
Cercò rifiifio a* guai:
Se sofisma di scuola
Gli valse il dolce mai
D' una lacrima sola l
Liberameote H forte
Apre al dolor le porte
Del oor^ come all' amico ;
E a consultar s' avveiia
Il consigliero antico
D'ogni umana grandezza.
Ma a gente incarognita,
I mail della vita
Sentono di barbarie ;
E bel trovato d'ora
Accarezsar la carie
Che l'osso ci divora.
Se dal vietato pomo
Venne la morte, ali? uomo^,
Oggi è medicinale
All' umana semenza,
cotto dallo speziale^
L'albero delia Scienza.
Su, la fronte solleva.
Povera figlia d'Eva;^
Lo sdegno del Signore
II Fisico ti placa,
E tu senza dolore
Partorirai briaca.
Chiudi, diiudi le ciglia.
E sogna una quadriglia:
Che importa saper come
Del partorir le doglie
Ti fan più caro il nome
E di Madre e di Moglie ?
BOIto, in prò del soffrente
corpo, anaebbiar la mente !
E quasi inutil cosa,
Nella raoHale argilla
Sopire inoperosa
La divina scintilla !
Ma, dati* atto vitale.
La parte spirituale
Rimarrà senza danno
Nello spaslfoo, assente r
Forse i Gblmlcl sanno
DelP esser la sorgente?
sanno come si votve
Nell'animata polve
La sostanza dell'Io?
E la vita e la noorte,
segreti aKi d'iddio,
SoggiaodoBo alle Snrieì
Amico, io non m' impenno.
Poeta inquisitore, (1)
Se benefico senno.
Guidato dall'amore.
Rimuove utili veri
Dall'ombra de' misteri;
Sol dell'Arte ho paura.
Quando orgogliosa in toga,
La sapiente Matura
D'addottorar s'arroga,
E l'animo divelle
Per adular la pelle
(1) Qui^ nel calore del comporre, mi venne fatto senza aUdarmene
di capovolgere le due uUrme strofe e non so rimediarle. Mi »u perdo-
nato, purché il senso comune no» sia andato anch'esso a capo all'ingiù.
1 1H860RSÌ CHE CORROMO
QueUQ Di»l999 è toUo da una Commedia inktaiaia,
1 DMCm»! CHE COBROBO*
X' aUcne é in un paes^ a scelta deUa platea^ ptitlié i éiseomi
che eorroìHi adeeeo, corrom mezzo mondo, I Pwiomgqi iono .-
Gbavchio^ GiiUf^iiato e pentkmaio.
SbauguOj Pouiéenu.
Archstto, Emissario.
v«fiT0CA« Scroccone.
E altri che non parlano o cUt'wm itogUomo parlare.
Questi sopraummi, l* Amore non gU ha sUHaii per iepiéuza
suntereUescoj ma per la paura di dare in gualche scagtlo pimmuio i
nomi usuali.
La Commedia è in versi, percké f J More sentendoti éeita scuota
che corre, e eapendo per conseguenza di donar inutero ti. capa^ o in
ima prosa poetica^ o in una poesia prosaica, ha scelto spmetaiiimaj
sicuro di non essete uscito di chiave.
Siccome U tempo va di carriera , e U mettere in iseenauna Cam'
media che non sia del tempo, è lo stesso che uscire in piotsa a fare
il bello con una yteMa taglieta, per esempio, nel udUeostoeentoquat-
tordici, poiretfàe dorsi che l' Amore ritardato dalla famosiayuon po-
tesse finire il lavoro a tempoj e che il pubblioo non ne vedesse aitro
che questo brano.
ATTO SECONDO
$CBWA QUISTA
salolU) '
Da un lato una tavola mezza sparecehiauu Gravchio e Vbktola ^i
poltrona al camminelto. Granchio pipa j Ventola si stuzzica i
denti. Dopo un minuto di silenzio. Ventola s'alza e va a guar-
dare il barometro.
GRÀNCHIO
Cbe ci dice il barooMiro t
* VBHTOLA
{tentennando il barometro colle nocca)
Par che annunzi burrasca.
ORAKCHiO (p^ aUtmar ^scorso)
Meglio 1
vsHTObA tcof^ce e lo seconda)
scusi, a proAQiUo,
se vo di palo ip frasca:
L'ba veduta la Civica ?
ORANGHI» (90$UmtOÌ
L'ho vedNia.
VENTOLA
. i^ Placet
GRANCHIO (aotmo'mUij
NOD me oMoleodo.
VENTOLA (per dargli nel genio)
£ uo riderò.
Che giMf rieri dti pacei
GRANCHIO (iésfndoh)
Che la pigltaao io celia ?
VEKZOLA {con ammirazione burlesca)
Io celia? e ood Co ehiasaoi
La pigliano ayl «erio i
Per queslo mi ci spasso.
GBjMGBIO
Pale malo.
VBKTOIiA
M'arresUooi
O la scusi : che quella
Le par gente da toltersi ?
GRANCHIO (ironico)
O to% sarebbe beltei
voa volta che il Prlnolpt
Le arrischia armi e bandiere.
Che gliele dà per dargliele r
TINTOLA (mostrando di leggergli in viso)
La mi faccia il piacerei
Già la lo sa ... . Diciamola
Qui, che nessuD ci sente :
cf crede lei?
GRANCHIO (con affeiwtione)
MoUiasimoi
VENTOLA
IO 000 ci creda c^ieoie.
Per me queste commedie
Di feste e di soldati^
X «4 X
soo perditempi, bubbole,
Quaitrini arraodellalii
GftAircHio ifaceufio P indifferente)
Può «ssere T
VEKTOLA
Può essere?
È 'Bensa dubbio... in fondo.
Con quailro molupreprii,
Cbe si rimpasià il mondo ?
GRANCHIO (agrodolce)
Dleon di si.
VENTOLA
LO dicano:
Allru è dire, aliro è fare.
GRAScmo (come sopra)
Eb^ crederei i
VENTOLA
Le chiacchiere.
Non fan farina.
GRANCHIO {come sopra)
Pare i
VENTOLA (riniosia)
E poi, quelli cbe mesiano
Presenleraenle, scusi,
con me la pud discorrere,
O che le paioo musi ?
GRANcmo (asciulto)
Non so.
VENTOLA (con sommissionc adutaioria)
Non vada in collera;
Badi, sarò una beslia ;
Ma lei, sia per incomedi^
Sia per iroppa modestia
sia per disgusti, eccetera.
Da non rìofrancescarsi.
Ci servi nelle regole! ....
GRAKCBio (facendo f indiano)
cioè direi
VENTOLA
A ritirarsi,
GRANCHIO (con modestio velenosa)
Oh per codesto, a perdermi
Ci si guadagna un tanto:
LO volevano? L' ebbero:
La cosa sia d' incarno i
Ora armeggiaoo, canUno,
proleggono i Sovrani,
Hanno la ciarla liber».
Lo sialo è in buone mani ;
va tulio a vele gonfie ! ,
Il paese è felice:
Si vedranno miracoli l
VBHTOLA
La dice Iti, la dice.
Badi se la mi èlamca,
E un pezxo ohe la bolle i
GBAHCH10 (pw auizzario)
Miracoli !
■ VISTOLA, (ci dà dentro)
spropositi
Da preoder colle niolle l
ORAHCHio (ewtenio)
Oh, là là.
VEHTOLA
Sesia dubbio 1
E il male è nelle cime.
GRAHCBio (come sopra)
Povertà voi t CheUlevil
Quella gente sublime ?
VENTOLA {mettendosi una mano al petto)
creda ....
GRANCHIO (gode e non vuol parere)
ZiUo, linguaccia^
facciamola flnila.
VENTOLA (serio serio)
creda sul mio carallere,
Non né voglion la vila.
GRANCHIO {gongolando)
Oh, non ci posso credere :
Se mai, me ne dispiace.
VENTOLA
Dunque, siccome è storia,
Metta l' animo in pace.
GRANCHIO (riman li in tronco)
. VENTOLA {non lascia cadere il discono)
Vuol KUa aver la noia
Di ftentira a che Biamo r
Per me fo predio a dìrglieto.
CMMcmo.ffe ne itmu/gt)
AAimo Nìi, MotiiMno.
TCHTOLA {aUéggi(mé<mi)
in primìé in aule ^mnia,
sappia cbe gì* {mptegati,
con codesti Sustilsslmi
Sor tulli disperati.
A queli'ora^ lì, al tPit)olo :
E o piova o tiri vento.
Non e' è cristi : Dio Kt>eri,
A sgarrare un moaieMoi
Nulla nulla, Faoiifòna : (caricando la voce)
•* Signore, ella è pagalo
• Non per fare li snò oomodo,
«• Ma per servir lo Stato.
« La m' Intenda, e sia V oiiliBa.
etikKcmo (sgusciando gii occhi)
Alia largai
yvmoLK (trionfante)
O la veda
se a tempo suo...
OllAffCflfO
(dandogli sulla vece nato contemo)
ohetlainodi
VB5T0LA.
O dunque la mi creda.
GRAMCHio (ride e pipa)
VENTOLA
La ridet Aspetti al meglio i
Quand'uno è II, bisogna
Per se'ore continue.
Peggio d' una carogna.
Assassinarsi il fegato.
Logorarsi le sctiiene;
E C è anco di peggio,
Che bisogoa far beoe.
Se no, con quella mutria: (wricando la voce)
u Noi, non siamo contenti :
«• Noi, voglianx) degli uomini
« Capaci, onesti, allenii ;
« Degli uomini che iniendano
X 2»7 X
«• Quale è il loro dovere* »
Ma eli r
GRAKCBio (con tff» ottaccio)
Pare imponibile i
VEUTCOiA
Son quelle tenaolere?*
GRiMCBio r^Mle e pipaj
VBRTOLA (coniinuando)
IM se* ore di gabbit.
Con lei, »ia benodeMo,
E' ne pottfvaa roéere,
Non è Toror US paletto.
Mezz' ora a dondolaraela
Prima di andare al aieio ;
vn> altra mezza^ a cblaoohlerw
Girando per P Ofllalo ;
un' altra, aciorlnaodeei
Fuori con un preieaio; '
E un'altra, «allo steddefe»
Andando via più presilo.
Poi la fede del medko
Ogni quiildfef gtornf ;
I Bagni; uo mete d'dHa
Qui per questi diatomi;
Via, tra niónoll-e oamioli,
W^ pftiea campare.
Ora? Bisogna striderci
o volere o volare.
Eccoli là che sgobbano
Piantati a tavolino ;
E li coir orologio,
E dìciollo di vino.
Che le pane ?
ORAncaio {Éisprezzante)
Seocaggini i
WBtTfULL
Ma mi burla! E' si lascia
Rifiatare anco un bufalo!
Quelli r o deot» e.gaoascia.
GRAKOBIO f9Hi9 « pipai
TEKtOLA frincarmntoj
Senta i Un povero diavolo
Che sia nato un po' tondo,
>:; 308 X
sensa uà modo di vivere^
senza un noetllere al nioado.
Che notato di Uarsene
Li bruco e derelHto,
cerchi di 8gai3eHarieia
Ali' ombra é* un Reecriito;
Non c'è mtaerioorilia: (contraffacendo)
« Scusi, ie vengo schietto,
- li posto che desidera,
« veda, è diOiciletto.
« Elia, non per offenderla,
N Ma non è per la quale. »>
È carità del prosalmo T
GRAHCHIO
carità liberale i
VENTOLA
E vo' potete t)aiter6,
vo' potete annaspare!
Moltiplicar le suppliche*
Farsi raccomodare.
Impegnarci la moglie.
Le figliole... è tuli' una i
con questi galaniuomini.
Chi sa poco, digiuna.
Guardi, non voglion asini i
GRANCHIO (iti «M^eSCO)
cari I
VENTOtiA
Gesusmaria I
S'è vista mai, di grazia,
Questa pedanteria ?
GRAHCHIO (gongola)
YBNTOLA (con tuono derisorio)
Del resto poi, son umili,
son discreti, son savi.
Fanno il casto, millaoiano
Di non volere schiavil....
GRAHCHIO
(scuotendo la pipa sul fmco, e facendo l'atto d'alzarsi
per andane a posarla)
Filantropi, filantropi.
Filantropi amor mio !
X i^^ X
speix) così d' andanseoe là U.
O su su ano all' uUimo scaliDo,
Di strappare uo ceocin di nobilià,
Di ficcarmi a! Catino,
E di iDorlre In Oepositeria
Colla croce all'occhiello, e così sia.
UNA LEVATA DI CAPPELLO INVOLONTARI.
Rise Emilio, perchè oella funesta
casa dei folli uo dì con esso entrando.
Confuso allo spettacol miserando
Scoprii la testa.
Ohi s' ci dovesse a chi non ha cervello
Passar dinaoci dei villani al modo,
Teiwr potrebbe in capo con un chiodo
Fisso il cappello.
Onorar la svemura ò mio costume,
£ senza farisaica vernice
Nei casi meditar delP Infelice
La man di un Nume.
Accanto a illustre mMiecalio, avvezzo
Al salutar d' un popolo di schiavi.
Accanto ai pazzi che la fan da savi
Passo, e disprezzo.
CONTRO UN LETTERATO PETTEGOLO E COPISTA
O chiarissimo ciuco,
O cranio parasito
All'erudita greppia Incarognito ;
Tu del cervello eunuco
Air anime bennate
Palesi la virtù colle pedate.
Somigli .uno scaffale
Di libri a un tempo idropico e digiuno,
Grave di tutti, inteso di nessuno;
O m^lio un arsenale
Ove il sapere, in preda alle tignote.
Non serba altro di sé che le parole.
Poiché sfacciatamente
Copri de' panni altrui l'ania» nuda^
scimmia di forti ingegni e Zoilo e Giuda ;
. Smetti, o zucca impotente.
Di prenderti altra briga ;
strascica l' estro sulla falsariga.
43
IL GIOVINETTO
Misero ! a dicioU' anni
Si sdraia nel dolore
D' aerei disinganni^
E alleggia al mal umore
Il labbro adolescente,
cbe pipa eteniaroenie.
Beccando un po' di, lutto
Oisia nulla di nulla,
col capolino asciutto
sì sventola e si culla
In un presuntuoso
Ozio> senza riposo.
Pallida, capelluia
Parodia d' Assalonne,
circuendo alla muta
GerogliGche donne.
Almanacca sul serio
TJn pudico adulterio.
K mentre avido bee
L* insipido veleno
Delle Penelopee,
Che si smezzano in seno
Il pudore, 1' amore,
il ganzo e il confessore,
Peirarca da commedia,
Eunuco insalirìto.
Frignando per inedia
Elegiaco vagito,
Rimeggia il tu per lu
Tra il vìzio e la Virtù.
convulso, semivivo.
Sfiaccolalo, cascante;
Amico putativo
E putativo amante,
Annebbiando il cipiglio
Tra \* inno e lo sbadiglio ;
in asmatiche scede
Di Dio cincischia il nome:
Ma il lume della fede
m lui scoppietta, come
Lucignolo bagnalo,
crislìanello annacquato.
canta l' Italia, i lumi,
Il popolo, il progresso.
Già già retioricumi
Per gli Arcadi d' adesso :
Tuffato in cene e in balli.
Martire in guanti gialli ;
Per abbuiar la monca
Vanità della mente.
Geme (UU'ala tronca
JU'tngegno creseeniej
Di doturelli in erba
Queremonia superba.
Si paragona al fiore
Che innanzi temffo cade,
A 'cui manca il lepore
E le molli rugiade j
E non ha cuor né senno
Dì dir: mi sento menno.
Ricco dell* avvenire,
casca sull'orme prime;
Balbetta di morire . . .
E di che ? Di lallime ì
O anima leggera,
Stiorila in primavera,
spossate ambizioni,
scomposti desidèri,
Mole, aborti, embrioni
Di stuprati pensieri,
E un correre alla matta
Col cervello a ciabaiia.
In torbida anarchia
Ti tengono impedita.
Per troppa bramosia
D' affollarli alla vita :
T'arrabalii nel Limbo,
Paralitico bimbo.
k ENRICO Mà^ER E A LEOPOLDO ORLANDliNI
Miei Cari
Nel 1844^ quando io era quasi disperato della safuiej voi due
fn* accoglieste succensivamertte in casa vostra j e per me^i e mesi mi
<i teneste come fraiettOj sopportando infiniti fastidi per causa mia, e
dividendo meco i patimenti e le malinconie di quello stalo ango-
scioso.
Io non potrò mai rimeritarvi di tanto benefizio j ma per mostrarvi
in qualche modo la mia riconoscenza^ ho pensato di pubblicare col
vostro nome questo Racconto j assicurandovi che non intendo offerirvi
cosa degna di voij se non quanto alto scopo al quale è diretto il
componimento. '
Vostro
GIUSEPPE Giusti
IL SORTILEGIO
11 Lotto, ve lo dissi un' alira vòlta.
Il Lotto è un gioco semplice, innocente,
Che raddirizza ogni testa stravolta ;
E chi si fonda in lui, non se ne pente:
Lo dissi e lo ridico, e o' ho raccolta
La più limpida prova uUimaroenie
In un bel fatlo accaduto tra noi.
Che slamo al tempo che sapete voi.
4n un fastello de' nostri Appennini,
E il nome non imporla, era saltalo
Tanto neir ossa di que** montanini
L' estro del giocolio soprallodato.
Che nelle gole giù de' Botteghini,
In ambi e in terni avean precipitalo^
colia speranza certa d' arricchire.
Fin le raccolte di là da venire.
i.a voce Botteghino non è mìa :
E una protesta mi pare opportuna,
se mai pensaste che la poesia
Parli a maliila, o secondo la luna :
U BottegMno e la Prenditoria
volgarmente soa due in carne una.
Se il nome è brutto, il popolo inventore
N' ha colpa, e non ne sto mallevadore.
Dunque (ornaodo a ooi^ que* mootanari
Fino alle scarpe a?eair data la via,
sognando negli spazi immaginari
Di fare un buco in Depositeria.
Di giocato^ di prodighi e d* avari
Olire la borsa va la brarooaia,
E come obi più n> ba pii!^ ne vorrebbe,
chi più ne sciupa e più ne sciuperebbe;
Bazzicava lassù per cfue* paesi
Un di que' rivenduglioli ambalanti,
che fan commercio a denari ripresi
Di berrelU di scatole, di Santi,
E di ferri da calze, e d^ alUi arnesi
Quanti n' occorre per cucire, e quanti
Ne poru in petto, al collo e sulla test».
La villana elegante il di di festa.
Oltre a codeste bricciche, costui
La sacca d 'un gioiello avea provvista,
Che tra le cose che giovano altrui
va messo per ossequio in capo lista >
Cosa mirabilissima per cui
splende alla mente una seconda vistai
cosa che serve per tutti i bisogni ;
E questa peria era il Libro de* Sógni.
La famosa Accademia del cimento,
L'Istituto di Francia e d'Inghilterra,
È tutta roba di poco momento
Appetto a quella cbe il gran libre serra.
•• Credete a chi n' ba fatto esperimento »
Che quello è il primo libro della terra,
Onde lo privilegia, e con ragione.
La sacra e la profana inquisizione.
Questo libro utilissimo, non solo
Egli lassù l'avea disseminato,
Ma nel mezzo di piazza al montagnolo
Spiegato con amore e postillato ;
E il giorno dell'arrivo, al Merdaiolo»
Il popolo. Il comune, e il vicinato
correano a dire i sogni della notte,
Ladri, morti, paure, e gambe rotte.
Ed ei, presa la mano a far l'Oracolo,
O rispondeva avvolto o stava mulo ;
Anzi, tra l'altre, avea un tabernacolo
con dentro un certo santo sconosciuto.
X «* X
Dal qual, cecondo lui, pici d' un Mirteolo,
E più d' uo terno a molli era piovuto,
Pur di desiare la sua corlMia
Pagando un «oldo ed un'Avemmaria.
1.0 spolverava, l' apriva, e gridava
Che tut(i si levassero il cappello^
Poi bronlolaodo Paleroosirf, andava
Torno lorao a raocorr» il sol<lareilo:
E meoire ognufio pregava e pagava.
Più numeri, di souo dal gonoelio.
Tirava fuori agli occhi della folla
Il moneberino di <|uel Saolo a molla.
Uè volendo, se a vuoto eran giocali,
parer col Santo e tutte, uo Impostore.
Egli è, dicoa, per i voalri peccati.
Che non Irovan la via di veoir fuore.
Smunti così gran tempo e bindolati
Avea quo* mammaluccbi io quell' errore,
E col Governo il traffico diviso,
E mescolato al vizio il Paradiso.
stanchi alla fine, e come accade spesso
D'uno cUe al gioco giochi, anco il cervello,
che invece di pigliarla con se stesso
E' se la piglia eoo questo e con quello.
Va dì che il ftìveDduglioio avea messo
Fuori i fagotti e il solilo zimbello.
Da sei gli SODO addosso, e con molt'arte
x» attorniano, « lo traggono in disparte.
e dopo averlo strapazzato, e dette
cose del fatte suo proprio da chiodi,
GÌ' intuonaron minacele maledette,
£ che voieaoo il terno in tutti i modi.
Messa 11 su quel subito alle strette
La volpe che maestra era di frodi.
Facendo V imbrogliato e il mentecatto,
Te gU abboni che non parv« suo fatto.
poi protestando, che del truiiamenlo
Non iacea caso e k> mandava a mo&te.
Accennò rolM, parlò d' un portento.
La prese larga, te II tenne in ponte,
E finse di raccogliersi un momento^
E chiuse gli occhi, e si fregò la fronl^,
E disse: attenti, che non diate poi
A. me la colpa che si spetta a voi.
Bisogoerebbc, qutodo il gallo caata
Sul!' alba, o appeoa il sole è andato soitoy
NovaoU ceci secchi, sulla pianla
Córre, seoz' esser vlsli o farne mollo ;
E dall' uno giù giù fine al novanta
scriverci sopra i numeri del Lotto,
con una lioia ctie non si cancella.
Fatta di pece e d' unto di padella.
Affliare un coltello, essere aeoorto
Che chi r affila non tocchi nessuno;
E un corpo maschio, defunto di oortov
scavar di notte, in giorno di digiuno ;
E tagliala e vuotata a questo morto
Ben ben la testa, dentro a uno uno-
Meitere i ceci, stand* inginocchiati,
Tre volte scossi e Ire voUe contati.
Avere un pentolone, e a queste. gore
Qua sotte, empirlo dì quell' aequa gialla,
E bollirci quel capo, e che di fuore
Non vada l'acqua. Dio guardi a versali» t
A mala pena spiccato II bollore,
Da' primi ceei che verranno a galla
Avrete il terno; e se dico bugia.
Che non possa salvar V anima mia.
Quel dettar tutto sì minutamente,
Quel morto, quella pentola, e il gran guaio
D' aver bisogno, fece a quella gente
Girar la testa come un arcolaio ;
E creduto per fede agevolmente
E rimandato libero il Mereiaio,
stillano il modo di venire a capo
D' aver in mano, e di bollir quel capo.
Di fresco era lassù morto il Curalo,
E l'aveano sepolto dirimpetto
Alla porla di Chiesa, ove il sacralo
Ha una lapide anticha a questo effetto.
Quel Prete, per disgrafia, Infarinato
D'Algebra, se di tempo un rìtaglietto
Crii concedea la cura di montagna,
Era sempre a raspar sulla lavagna.
Quell'armeggio di numeri venuto
A risapersi nel paese, il Prete
Per un gran cabalista era tenuto,
E che de* Cerni avesse in man la relè.
X <83 X
E scalzarlo parecchi avean voluto,
Mentre che visse, sufi' arti segrete
Di menar la Fortuna per il naso,
Pescando il certo nel gran mar del caso.
L' ultima carne maschia seppellita
Era il Prete, la cosa è manifesta;
Dunque la testa che andava bollila
Era la sua, certissima anco questa ;
E tanto più che avvezzi erano, in vita,
I numeri a bollirgli nella l«sia.
Cosi dicendo quella gente grossa
Pensò del Prete violar la fossa.
Risoluti s' accordano costoro,
E si partiscoo l' opere e le veci;
Anìmannisca il coltello uno di loro,
un altro il pentolone, un altro i ceci,
E poi tutti si trovino al lavoro
Di nottetempo, là dopo le dieci,
Nel giorno da Mosc dato all' altare,
Ed alle streghe nell' era volgare.
Tutto quel giorno che precesse il fallo,
Maso un di quelli dell'accordellalo.
Girò per casa mutolo, distratto
E lorbo come mai non era stato:
La moglie era presente e di soppiatto
coli» occhio che alle donne' Amore ha dato,
Lo guardava e guardava, a quella vista
Facendosi anco lei pensosa e trista.
Erano sposi da cinqu' anni, e stati
Sempre insieme su su da piccoUni,
poi colP andar del tempo innamorali,
S' eran congiunti da onesti vicini.
E dal di che V aliar santificati
Avea gli affetti lor, già tro bambini
Rallegravan la rustica dimora
Che tre rose pareao còlte d' allora.
A forza di risparmio e di lavoro
conducean vita semplice e frugale.
Poveri si ma in pace, e con decoro,
contenti nel pudor matrimoniale ;
Quando ecco il Lotto a ficcarsi tra loro,,
Il Loilo, gioco imperiale e Reale,
E quella pace e quel viver onesto
Subilo in fumo andar con tutto il resto.
vani usciti I consigli eran», e vami
con lui gli afEMinl di quella meschina,
Che sempre più vedea d^'oggl in domani
ESSO e la rotM andarsene io rovina ;
Ed or facea concelti e sogni strani
Del vederselo lì dalla matiina
senza toccar lavoro, o far parola,
O consolarla d' un' oectiiaia sola.
E come più la sera s'^ appressava.
Più lo vedea smanlante e pensieroso,
un po' sedeva, un po' cantarellava,
come fa I' uom che aspetta e non ha poso :
Ed or prendeva In braccio, ora scansava
un ranci ul letto, che tutto festoso
con più libero pie degli altri dui.
Salterellava dalla madre a lui.
V aria imbrunì, suonò I' Avemmaria,
E sorla in pie la <jK>nna, a' figlioletti
Incominciò malinconica e pia
A suggerir garrendo i sacri detti r
Maso, fermo sull' uscio, o non udia
La squilla, vaoegglando in altri obielli ;
O se l'udr, non ebbe in lineila sera
Né parola né cuor per la preghiera.
Notò la donna l' atto e avendo piena
Già già la testa di ntille paure,
i>enlro se ne seuti crescer la pena,
Ma la represse, e attese ad altre eure.
E acceso il lume e il folm, e dato een»
E messe a letto quelle creature.
Ritrovò Maso come addormentalo, '
col capo siiiia mensa abbandonalo.
Volea parlar, ma non le delie ti cuore
D' aprir la bocca, e ste'sopprappensiero,
E quello immaginar pien di dolore
Le cose più che nvii le volse in nero;
Poi, come fa chi dubbia e sente amore.
Che cerca e teme di sapere il vero.
Soavemente a lui che amava tanto
Si volse, e disse con voce (fi pianto :
Maso, per carità, parla, che hai ?
Via, parla, non m dar questi spavenii:
Cosi confuso non t' ho visto mai ;
'oh, Ma<o mio, perchè non mi conlenlit
>■:. *8S .:■•;
Se non io fai per me, m non lo fai,
Fallo per que' ire |»oteri iooocenli.
Che 800 di là che dormono : e noo «anno
Lo snaturalo di padre die hanno.
Maso, bada alla gente l II viciname
Sparla di le; che U se' mal riduUo,
Che un giorno o l' altro quel glocaceio infame
T' ha da portare a qualcosa di brullo:
Oh semi, Maso mio, meglio la fame.
Andar nudi, accattare, è meglio tulio ;
Ma, se non altro, non darmi il rossore
Che tu perda col pane anco l' onore.
E si dicendo, a lui s' era accosiau
£ dolcemente gli leodea la mano,
continuando con voce affannata
A interrogarlo, a scongiurarlo invano.
Che da sé la respinse, e dispìeiata*
-mente la minacciò quel disumano,
E di tacer le impose, e che di volo
Andasse a lelto> e io lasciasse solo.
Andò la dolorosa, e mezza morta
Senza spogliarsi io letto si distese :
E là piange, e si strugga e si sconforta.
Cheta, in sospetto e sempre sull'intese;
Né molto sia, che cigolar la porta
Udendo, sorge, e coli' orecchie tese
Sente, pian. piano, con sordo stridore,
A doppia chiave riserrar di fuore.
Balza da letto, e prima che s' involi
Del tulio, vuol seguirlo arditamente:
E poi non si risolve, e de' figlioli
Sorge il pensiero a divider la mente;
Ma tosto II dubbio di lasciarli soli
cede al Umor più vivo, e più presente ;
Scende e tenta la toppa, e nulla avanza,
E del forzarta è vana ogni speranza.
Più r ostacolo é forte, e più s' esalta
L* animo in quello; ond'essa audace e destra
si lancia ove ricorre angusta ed alta
cinque braccia da terra una flnestra ;
L* apre la donna e su vi monta, e salta
speditamente nella via maestra,
E per molti sentieri erra, e s' invesca
Senza mollo saper dove riesca.
m questo mentre i compagni di Naso
À mezza costa, fuor dell' abitalo,
celatamente avean le legna e II vaso
Per la strana cottura apparecchiato :
Egli co' ferri che faceano al caso
D' alzar la pietra e scorciare il Curalo,
Per altra via, coli' animo scontento,
Ultimo venne al dato appuntamento.
Qui ci vorrebbe una notte arruffata,
una notte di spolvero, che quando
Alla tedesca fosse strumentata.
Paresse un casa-al-diavolo, salvando.
Se, per esempio, la nota obbligala
D' un par di gufl avessi al mio comando.
E fulmini a rifascio, e un'acqua tale
Da parere 11 diluvio universale ;
E una romba di vento, e 11 rumor cupo
D' un fiume, d' un torrente, o che so io.
Che giù scrosciando d'un alto dirupo
Rintosiasse de* tuoni II brontolio;
Di quando in quando un beli' urlo di lupo,.
Un morto che gridasse Gesù mio,
E una campana che sonasse a tocchi.
Riuscirebbe una notte co' fiocchi.
A farlo apposta, tra le notti belle
vedute al mondo, questa, a mia sfortuna..
Si potea dir bellissima : le stelle
Erano fuori, tutte, fin a unal
Se a sciuparmi le tenebre con quelle
Fosse venuta in balio anco la luna,
Piantavo la novella, e buona sera :
Tiriamo avanti, la luna non e' era.
Zitti, spiando intorno, e come un branco
Di lupi ingordi... Adagio, e colle buone;
li lupo è detto. ~ Di corvi? — Nemmanctt.
Che di notte non vanno a processione;
Sicché dunque dirò, lascialo in bianco.
Per questa volta lanto, il paragone,
che s' avviò la frotta' al Cimitero,
(R passi per la rima) aU*aer nero.
Inlaolo qua e là s' era aggirala
Ralla, intendendo la vista e I' udiiu.
Quella povera donna sconsolata
inutilmenie cercando il marito;
X i9l X
£ slanca per que* sassi, e disperata
Della traccia, per ultimo partito V
Alla Chiesa risolse incarominarsi,
E là piangere, e a Dio raccomandarsi.
Su per una viottola scoeitesa
Va la mescbina risolatamenle,
E all' orlo del sacrato appena ascesa
Che Ta piazzetta, sul poggio eminente.
Ode, o le pare, là, verso la Chiesa
Un sordo tramenio, come dì gente
Che soprarrivi cheta e frettolosa,
E s' argomenti di tentar qualcosa,
insospettita fermarsi e s'acquatta
Giù rannicchiata, dietro a certi sassi
D' una vecchia casipola disfatta.
Distante dalla Chiesa un trenta passi :
E di li guarda e scorge esterrefatta
Un gruppo strano, e parie che s' abbassi
10 alto di sbarbar con violenza
Di terra, cosa che fa resistenza.
Ecco, si smuove una lapide, e tosto
S' alza quel gruppo, e indietro si ritira,
E di subito giunge là discosto
11 grave puzzo che l' avello spira.
Senza alitare o muoversi di posto,
Trema la donna misera, e s' ammira
Qual chi dorme e non dorme, e in sogno orrendo
Volteggia col peosier stupefacendo.
Lenta calarsi dentro e risalire
Una figura vede dall' avello,
E sorta, accorrere i compagni, e dire
Un non so che di testa e di coltello.
E allor le parve vedere e sentire
Ricollocar la lapide bel bello;
Poi tutti verso lei tendere al piano,
E innanzi un d'essi con un peso in mano.
Quel vederli ventre alla sua volta
Tanto le crebbe tremito e spavento,
che dentro si sentì tutta sconvolta
E chiuse gli occhi e usci di sentimento.
Quelli che con moli' Impeto e con molta
Fretta correano in basso all'altro intento,
. Raccolti io branco e presa la calata^
L'ebber senza notarla oltrepassata.
X *99 X
Non molto andaro io giù, che dalla via
Torsero a manca^ e pervennero in loco
Ove per rnoUi ruderi s* uacia
Ne* campi, aooaU dalle case un poco.
La poverella che si riseoUa,
Ecco vede laggiù sorgere un foco,
E parecclii d' ioiorno affaccendati
Dal baglior delle fiamme illuminali.
Brillò la fiamma appena, che non luoge
Da lei, più gente a gran corsa si sferra,
E giù piombata in un atiiroo, giunge
Là dove lo splendor s' alza da terra :
E altra gente gridar che aopraggiuoge,
E d' un' altra che fugge 11 serra serra.
E su e giù per fossi e per macchioni
Stormir di frasche, e salti e stramazzoni.
S* alza un alterco. . . ahi misera l è la voce.
È la voce di Maso ; e par che tenti >
Di liberarsi d' uno stuol feroce
Che lo serri d' intorno e gli s' avventi.
Tosto drizzala in pie, scende veloce
Onde veniale il suon de* fieri accenti,
Quand* ecco che la ferma un duro sgherro
con UD arligiio che parea di ferro.
Le spie dei luogo avean raccapezzalo,
Noo si sa come, un che dì quel ritrovo,
E un Ser vicario già n' era avvisalo
Famoso per trovare il pel nell'ovo:
Ma tardi e male postisi in agguato
I bracchi, mossi a chiapparli sul m^vo,
Fallilo il colpo delia sepoltura,
E gli avean còlti alla cucioaiura.
Raggranellali tulli e fatto il mazzo,
La donna fu credula della lega :
II Merdaiolo citalo a Palazzo,
Svesciando il caso dall'alfa all'omega.
Provò che per uscir dell'imbarazzo
Àvea dato una mano alla bottega.
Taoi'e chi ruba clie chi tiene il sacco:
Dunque fu dello ciie battesse il tacco.
Con più giustizia della lalsa accusa
Usci nella la misera innoeenlc,
Ma di vergogna e di dolor confusa
pericolò di perderne la mente;
Perocché fissa in quella noUe, e diiusa
Nel proprio afbDDO oonlìDuameDle,
Da paurose imroagini assalila
S' afflisse e tribolò tulla la vita.
veggano ialanio 1 Re, vegga l' avaro
Geniame iolenlo a divorar lo Stato,
Di quanti errori il pubblico denaro
E di che pianto sia contaminato l
Fipinan del sangue sottratto allMgnaro
Popolo, per voi guasto e raggirato.
Le lazze die con gioia invereconda
Vi ricambiate a tavola rotonda.
Dritto e costume nel consorzio umano
così, per vostre frodi, tianno discordia :
E cupidigia vi corrompe in mano
E la giustiaia e la misericordia }
che assolver non si puote un alto insano
Che con legge e ragion rompe concordia ;
Né giustamente l'error mio si danna.
Quando il giudice stesso è che m' inganna.
Premesso questo, è tempo di sbrigare
Anche quegli altri dhe lasciammo presi.
Dopo un gran chiasso e un grande almanaccare
Di spie, di birri, e di simili arnesi;
Dopo averli tenuti a maturare,
come le sork>e, in carcere se' mesi.
Dopo un processo lungo, lungo, luogo.
Si svegliò la Giusiizra e nacque il fungo.
E fu, che resultava dal processo
Violalo Isepolcro, e sortilegio :
Ma visto che il delitto fu commesso
Per il Lotto, e che il Lotto è un gioco regio,
Chi delinque per lui, di per sé stesso
Partecipa dei Lotto al privilegio. —
Se fosse stata briscola o primiera,
Pover'a loro, andavano in galera.
LI GUERRA ({)
Eh no^ la guerra, in fondo,
non è cosa civile :
D' incivilire il mondo
Il genio mercanifle
S'è addossata la bega:
Marie ha messo bottega.
Le nobili utopie
Del secolo d'Ariù,
son vecchie poesie
Da novellarci su :
Oggi a pronti contanti.
I cavalieri erranti
con tattica profonda
Nell'arena dell'oro,
A tavola rotonda
Combattono tra loro,
strappandosi condenti
II pane delie genti.
SI, sj, pensiamo al cuoio,
£ la gotta a' soldati.
Cannone fliaioio
Si sono affratellali;
E frutto di stagione
Polvere di cotone.
Di guerresco utensile
Gli arsenali e le rocche
Ridondano : il fucile
Sbadiglia a dieci bocche
De* soldati alle spalle,
Affamato di palle.
JXè mai tanto apparato
D'armi, crebbe congiunto
A umor sì moderalo
Di non provarle punto.
Dormi, Europa, sicura;
Più armi e più paura.
Popoli, respirate;
E gli eroi macellari
Cedano alle stoccate
Degli eroi milionari :
La spada è un' arme stanca,
scanna meglio la banca.
Bollatevi tra voi.
Re, ministri e tribune;
Gridate aU' arme, e poi
Desinando in comune.
Gran proteste di stima,
E amici più dì prima.
La pace dal quattrino
ci valga onore e gloria:
Guerra di tavolino
Facilita la storia.
O che nobili annali.
Protocolli e cambiali i
Hanno unto gridato
Sulla tratta de' Negri i
Eppure era mercato 1
Tedeschi, slate allegri ;
Fioche la guerra tace^
ci suochierete in pace
Ma cos'è questo scoppio
Che Introna la marina ?
Nulla : un carico d' oppio
Da vendersi alia China :
È una fregata inglese
che l'annunzia al paese.
Qui, 1' oppio capovolta
Dritti e filantropie!
Ma i Barbari una volta.
Oggi le mercanzie
Migran da luogo a luogo,
Bisognose di sfogo.
(I) Questo scherzo punge i predicatori deità pace a esni costo,
anco delle più Nergognose bassezze: 1 quali poi, se capila il destro dt
guadagnare danno un calcio ai loro sistemi, e rovesciano il mondo.
sirumenio di cooquisin
FU già la guerra ; adesso
E afTar da compuUsla :
vedete che progresso i
Pace a lulla la terra :
A chi non compra, guerra.
SANT'AMBROGIO
Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco
Per que» pochi scherzucci di dozzina,
E mi gabella per anU-ledesco
Perchè metto le birbe alla berlina,
o senta il caso avvenuto di fresco
A me che girellando una mattina,
capito in Sant' Ambrogio di Milano,
in quello vecchio, là, fuori di mano. •
M'era compagno il figlio giovinetto
Un di que'capi un po' pericolosi,
Di quel tal Sandro, autor d* un Romanzetto
Ove si tratta di Promessi Sposi
Che fa il nesci. Eccellenza? o non l'ha letto!
Ah, intendo i 11 suo cervel. Dio lo riposi.
In tuli' altre faccende affaccendato,
A questa roba è morto e soiierrato.
Entro, e ti trovo un pieno di soldati.
Dì que' soldati settentilonali,
come sarebbe Boemi e Croati,
Messi qui nella vigna a far da pali :
Difaito se ne stavano impalati,
come sogliono in faccia a' Generali,
co' baffi di capecchio e con que' musi.
Davanti a Dio diritti come fusi.
Mi tenni indietro ; che piovuto in mezzo
Di quella maramaglia, io non lo nego
D'aver provato un senso di ribrezzo
Che lei non prova in grazia dell'impiego,
Sentiva un'afa, un alilo di lezzo;
scusi. Eccellenza, mi parean di sego,
in quella bella casa del Signore,
Fin le candele dell' aitar maggiore.
Ma in qoella che s' appresta il Sacerdote
A consacrar la mistica vivanda.
Di subita dolcezza mi percuote
Su, di verso l'altare, un suon di banda.
Dalle trombe di guerra usclao le oote
come di voce che si raooomaoda,
D' una gente che gema in duri stenti
E de* perduti beni si rammenti.
Era un coro del Terdi; il coro a Dio
Là de' Lombardi miseri assetati;
Quello : O Signore, dal letto natio,
Che tanti petti ha scossi e Inebriali.
Qui cominciai a non esser più lo ;
E come se que* cdsl do ventati
Fossero gente della nostra gente.
Entrai nel branco invoioniariamenl^
che vuol ella, Eocelleoa, il peaio è bello.
Poi nostro, e poi suonato come va ;
E coli' arte di doibizo, e col cervello
Datoi all' arte, l'ubbie si buttan M*
Ma cessato clie fu, dentro, bel beilo
lo ritornava a star, come la sa;
Quand' eccoti, per farmi un altro tiro.
Da quelle bocche che pareao di ghiro.
Un cantico tedesco lento lento
Per l'aer sacro a Dio mosse le penne :
Era preghiera, e mi parea lamento,
D' un suono grave, flebile, solenne.
Tal, che sempre nell'anima lo sento:
E mi stupisco che in quelle cotenne,
in que' fantocci esotici di legno.
Potesse 1' armonia fino a quel segno.
Sentia nell' inno la doloezaa amara
De' canti uditi da fanciullo: Il core
Che da voce domestica gì' impara.
Ce li ripete i giorni del dolore :
un pensier mesto della madre cara,
. Un desiderio di pace e d'amore,
uno sgomento di lontano esilio.
Che mi faceva andare in visibilio.
E quando tacque, mi lasciò pensoso
Di pensieri più forti e più soavi.
Gostor, dicea tra me. Re pauroso
Degl' Italici moti e degli slavl^
strappa a' lor tetti, e qua senza riposo
schiavi gli spinge per tenerci schiavi ;
Gli spinge di Croasia e di Boemme,
come mandre a svernar nelle Maremme.
VINTOLA
(rizzandosi di iianoio e togllendogiti 4i mano la f/ipa)
Dia qua, la mm •' ImonMKN,
G4ieia poterò io.
: GBMTGBIO
(piglia le moUe e aHiztait fuoco)
Giacché ci sicce, o venlola..,
<TEiiTOL A (4i vtfita in frttla)
comaDdi.
GRANCHIO
Il fuoco è spello ;
Pigliale un pezio.
VBIITOLA »
(posa la pipa e IroUa aHa paniera delle legna)
SutMlo»
La àervo.oel momeoto. (mette eu ii pezzo e
ti sdraia daccapo)
Del res(o per concludere.
Io, con tutta la stima
Di tutti.... Il» a dirla?
GRAVOBIO
Ditela.
VBSTOLA {in nmeica)
Sì slava meglio prima.
GRABCBio {modesto}
Non saprei.
vBKroui
Per esempio,
Dica, secondo lei,
Questa baracca, all' ultimo,
<:ome andrà?
«RAHCBIO
Non saprei.
vBinroLA
Oh male i Tutti scrivono.
Tutti stampano, tutti
Dicon la «la
GRANCflio (/fonico)
Bravissimi i
veutola
Senta, son tempi iMrutti J
GRANCHIO {come sopra)
Perchè?
i4
X9I0X
VUROLA
Quando un «iriuoolo,
UD otte» uo fettunte,
' La M lo vede io faeeia
compitare uo oiornale ;
QuaiKto il più laiaeraMe
Le parla di diriUti
E' 000 Qfè più rifoedio^
I GOTeroi 800 frinii
GBAacBio {come sopra)
Bencl
vbutqla
Quelli s' ioipaocaDo
A farci il maggiordomo;
Questi a trattare 11 Priocipe
come fosse un altr* uomo :
GRAHCHio {come sopra)
Benone 1
VINTOLA
uno s'indiavola^
un altro sModemonia*...
Questa e la vita libera ?
Questa è una Babilonia.
GKANCBio {con ÌUOH0 dottorale)
Che volete, s' imbrogliano,
E vanno compaliti.
VBKTOLA.
O quella di pigliarsela
sempre co' Gesuiti,
Non si chiama uno scandolo ?
OBANCHio {serio)
Codesta, a dire il vero,
E una cosa insoffribile i
VSRTOCÀ
La dica un vitupero l
O toccare il vespaio
Di chi gli può ingollare,
Non è un volerle?
GRANcmo {allegro)
O catterà.
Lasciategliele dare.
YBVTOLA
E che crede, che dormano ?
X 511 X
QUdmemo
Dove'7
VBKTOUL. (ocMnnofMlo lontano toittom)
In Offt Magogal (!)
CBAKCHio (aUegro)
Ebi€bi Ip M?
€te durifloi
'Per adessOj si voga^
MA se l'aria raftwivola?
•onAiicBio «wtf/fer«file)
•€be wouTola p«r noi ?
<veroi Beoe l Bravissimo i
Li vedreao g^ eroi i («'(Uni e cerca i7 cappello)
GBAHCHIO
«Che andato «ia?
La lascio
^percM sono aspett«K>«
'ORAKCHIO
Se avole un'ora d'ocio»...
vnfroLA. '
^,fa ma rei'ema4i.,$'incamminaw ogni tmMo ai veHa)
Grazie, iroppo garbalo.
oBiaiaiK)
4JQa zuppa da poveri.,..
ynTOi;^^ i€om6$opru)
Da poveri t Gnorsìei
Anzi....
GB AH cmo ifaoetiéo PumiUaio)
oioa vedo uo' animai
v«irro]i4 (cofR« «opro)
<<ìuardi cbe porcherie i
. oiuiwaiio. 4om$ «opraj
Eh-guaM....
vwTOi^ {come sopra)
Ma la non 4ubi4i,
siamo Imo cucinali i
i\) lìalt* og magog deuaSeriimre è naio i'itticiitmo oga Magoga
.p€r Accennare un poeto remolo, da nifi*
X a» X
GRAiKino {come topra}
Questo, M mai, lasciatelo
A noi saerilloaii.
▼WTOLA (come topra)
A loro t a noi !
GKAiicMO iin ntono meato}
Fioiamoia,
NOD toc«liianio una plaga i...
Addio.
vmnoLA
(fa una reveretna e neif andartem dice tra sé)
pofera tittifiia,
con quel tòceo di paga i
STORIA COefTEWPORAlfEA
Nel marzo andato, uo asino di spia.
Fissato il chiodo in oeru paternale
Buscata a conto di poltroneria,
Fu riuchiuso per matto allo «pedale.
Dopo se* mesi e più di frenesia.
Ripreso lume e svaporato il male.
Tornò di schiena al solito mestiere
Per questa noia di mangiare e liere.
Si butta a girellar per la citlA,
s' imbuca ne' Caffé, neH' Osterie^
E sente tutti di qua e di là,
« Saette a' birri, saette alle spie,
Popolo, Italia, unione. Libertà,
Morte a Tedeschi, — ed altre porcherie -,
Porcherie per orecchi cerne 1 suoi
Quasi puliti dal trentuno in poi.
Corpo di Giuda t che faceeoda è questa r
Dicea tra sé quel povero soffione,
O io vagello sempre colla testa,
O^'qui vanno i dementi a processione.
Basta, meglio cosi : cosi atta lesta,
.• jsensa ficcarmi o star qui di piantone^
Vado, m' affaccio sulla via maestra,
E sbrigo il fatto mio dalla finestra.
Entra in casa, spalanca la vetrata
Con lì pronta la carta e il calamaio^
E un' ora sana non era passata
Che già n'avea bollali un centinaio.
X"3» X
txmteoto per <|iiel di dalla reiftta,
chiappia le acale e troua aralllo e gaW>,
De* lami Commiaiari al più vicino^
E U, te sM aplaiieiìa U taeculiK).
eoo una gran risala II Comòabaarlo,
Lette tre rigbe, lo guardò nel muto,
E diiae: bravo il sor Refereodario i
La fa r obbligo suo aeeondo P ubo :
Sì Tede proprio ebe ha perso il Looario,
E die De'PaiserellI é stato cbiaso.
La non sa, Signor mio, che Su' Alteasa
Ora al Buonsenso ha aciolia la cavezza?
^ Su' Altezza f al Buonaensot E non cortellol
Al Buonsenso...T O non era un crlmenlesef
Ma ^ul c'è da rlperdere II cervello i
O dunque adesso chi mi fa le spese? —
So io dimoilo T gli rispose quello;
Che fo l'oste alle birbe del paese?
Animo» venga qua, la si consoli.
La metterò di «uardia a' borsaioli.
ALLI SPETTRI DEL 4 SETTEMBRE IS47
Quella notizia gli aveva dato una
distnvollim, una parlantina. In-
solita (la gran tempo.
moMBMi Sposi, cap. 36.
Su Don Abbondio» è morto Don Rodrigo,
Sbaca dal guscio delle tue paure :
È morto, ò mono : non temer castigo»
Desiati pure,
scosso dal Limbo degt' Ignòti automi.
Corri a gridare in meaao/al viavai
Popolo e llberii, oogli altri nomi,
Seppur li sai. .
Ma già corresti : li vedemmo a sera
Tra gente e genie entrato in eomltiva,
E seguendo alla coda una bandiera
Biaseiare evviva.
Creaciuu l' onda ciUadina, e visto
Popolo e Re festante e rimpaciaio,/
E Ja spia moribonda, e albirro tristo '
Mancare il fiato,
Tu, leiolio dair taglilo traHprc,
sallMU la cipoflte alar •ubta«lfo>
Biatio tra I tav^ e il flMaafl aoore
Del aol di lòglio.
Bravo 1 coraggio r iA tan^o M oomiglior
CoostgUati <aol lonago «H» oecaalaiie :
Ma loiattlo «bo pu6>liaf« anco tt «oolgli»'
«nardi Jaanc,
FiocaU, Abbondi»} e al pa^lo^aandralo
Di le, che ameggi e M lanio I
urla cba fai
Toi« liberali, che per :aaai ed mal
▲linieoiaaie il atio degU orecchi.
Largo a' aiottiiacM r e andate ea^il»aanif
Tra I Carri «eeehl.
à queste fungo di ge n wu b r é ra qOeila
civica larva aAirfallala. d'ora.
Si schioda ir labbro a gli ribatte in test»
Elbara gom.
Grià gl& con piglio d*^ orator baecaote
Sia d' un Gaffi, tiranno alia tribuna;.
Già la canèa de'bololi arrogante
Scioglie e raguna;.
Briaoo di gaixette ImppavviMte,
Pazzi assiomi di governo sputa
Sulle aiionUe suecba, erba d'esule
Che 11 verno muta.
«< Diverse lingue, orribili iivollo, »
Scoppiano intorno ; e alldro in bafA acancì
Succhia la pairiolllca anbeìle
Sigari e ponei.
Dall' un de* caoli, un^ombea Ignoto é seda-
Tlen l'occhio a! eeofcnlicalooMuiito,
E vagheggia il .futaro, e sioanifolà
Del pan saenatov
Stolta 1 se v'ha laiim che qui rinnova
L' orgie soan^MMte di eanfos» Tebe,
Popol non è che aorga a viia bnoai^.
B poca plebe.
È poca plebe: e d* oro e di pèauila
sorge, a guerra di eenoi e di galtone :
censo e Banca ne da, Parnaso e Oaria^
TMalo e Blasone..
xwx
E iMM» plelie: e prode di ganUs,
Prode di boria e d* Olio e d' ogni lezM),
Il maestoto italico oottfUo
Desta a ribreizo.
, ^e il fuoco tace, torpida a' avvalla
Al fondo, e i giorni in vanilà eoBMma;
se ribollono I tempi, eeoela a galla
«ordida aGbiuma
Lieve all'amore e all' odio^ oggi t' ioalfa,>
De' primi onori soli' lira emittente,
Doman t* aborre, e nel fango li tbeii»,
Sempre demente.
Invado, invano in lei pone sfi
La sconsolata gelosia del ] '
Di veri prodi eletta flgiiolanaa
sorge concorde,
E di virila, d' imprese alte e leggiadre
L'Italia affida: carità la sprona
Di ricomporre aUa dolente madre
La tua corona.
O popol vero, o d' opre e di oostwne
Specchio a tutte le plebi in toUl i tempi,
Levali in allo, e lascia al bastardame
«li stolti esempi.
Tu modesto, tu pio> tu solo nato
Libero, tra llcema e tirannia.
Al volgo in furia e al volge Impasteieto
segna la via.
ISTRUZIONI A UN EMISSARIO
Andereie in itaNn ; eeoo qui pronte
Le lettere di «ambio e II passaporto,
viaggerete cbiamandovi €oote,
E come andato per vostro diporto.
Là, fate 11 pano, fate il Kodoraooie,
L'ozioso, il giocatore, Il cascamorto;
E godete e scialate altegramente,
Gbè son cose che fermano la gente;
Quando vedrete (e accederà di certo)
calare I filunguelli al paretaio,
Fate raua ; pariate a cuore aperto ;
Ifostratevi con lutti ardito e ipiio.
\
X «« X
D\i» cbe nitorde è uà eireere, uo éeteno,
UD vera dowloHio MGconaio,
Paragonato al fterdlao del iiioodo,
Bello, ubeneto, libero e giooondo.
Questa parola ilétro, buiiata
LA ael diaeorte come per ripieoo,
Guardale qoA e la nella bH«Ma
se vi d* anta di pMrllar terreno,
se caaca, e voi baliele in ritirata.
Seguitando » portar del più e del meno ;
Se» vioeverta, v* è chi lar raocatla,
Andate franco, cM la strada è fatta.
Franco ma daatro. ▲ primo non è bene
Buttarsi a nuoto come fa tainnoi
Che quando ha dato il tulio e' non al tiene,
E tanto annaspa che lo scopre ognuno.
Prender la lepre col carro conviene,
Girar largo» non esaere Importuno,
Tastare e lavorar di retlcenu,
con quel gludiaio che pare imprudenza.
Far la vittima no, non vi consiglio,
Perchè li rlpiegoé nolo alla giomaia ;
Da sedici amil in.qoa, codesto appiglio'
Tanta gente in quel luoghi ha bindolata.
Che si conosce di leniano un migHo
La piaga vera e 1» falsUcate,
Anzi vaniate, efMevene belloy
Che nessuno v' tia mai torlo un capello.
Fallo che vi sarete un bravo letto
Neil' animo di molti, e decantalo
Vi sentirele per un uomo schietto,
E dei fotti di qua bene informalo.
Dite coroa di nw, ve lo permetlo,
Dite che dormo, che fono.ineecchfato;
inventatene pur, se ve ne manca,
Che, come dico, vi dn carta bianca.
Del ministro di lA dite lo stesso
Ne' Caffè, ne* Teatri, in ogni crocchio ;
Anzi, a questo propoalto, v' ho messo
Sul passaporto un cerio acarabocohio,
Cbe vuol dire, Mtt nos, ordine espresso
Di lasciar fare e di chiudere un occhio.
' Andiamo: ora che eiele in alto mare,
ECCO la strada che vi resta a fare.
Fatevi centro Mia parte caM*
Cbe campa di «murri e digamile,
E sia rote ia giactìbatla e r atia io fold»,
DeUia tenfire a mal captoee uà ette.
igevolroaBle a quesu si rìacalda
eoo nulla II capo, e quando ano la melle
Nel cai4> di raifiara In tempi (orbi,
Arruffìi lullo, e fa eoee da orbi.
compiangete il paeae; aonedllate
QuelP andamento, quel modo unUòrme;
Deridete le zucdie moderale,
come gente che ciondola e che dorme ;
Censurale il Governo.; predicate
Che la paca, ie leggi, le riférme,
soo bagattelle per chetar gli idocebi,
E per dar delia polvere negli occhi.
soprattoiio aillizate I malcontenti
Sul ministrume della nuova scuola^
Che sopprime I vocaboli stridenti,
E vool la cosa senta la parola.
Quello è uo boccone che m' allega i demi,
E che mi pianta un osso per la gola,
Mentre per me sarebbe appetitosa,
Colla parola intorbidar la cosa.
Spargete delie idee repubblicane;
Dite che i ricchi e tulli i ben provvisti
Fan tuU'uno del popolo e del cane,
E son iuui briganti e sanfedletl :
Che la questione significa pane.
Che chi l'intende sono 1 comuoisii,
E che il nemico della legge agraria
condanna 1 quattro quinti a campar d'aria.
Quando vedrete a tire la burrasca,
E che il vento voltandosi alla peggio,
La repubblica santa della tasca
cominci a brontolare e a far mareggio,
Dateli fune, e fatemi che nasca
Una sommossa^ uo tumulto, un saccheggio :
Tanto che i ra di là messi alle strette^
Chleggano qua congressi o baionette.
se v'occorre di spendere^ spendete»
Che i qoaUrini non guastano : vi sono
Birri in riposo, spie se ne volete.
Sfaccendati, spiantati ... è tutto buoiMk
se ¥i <t* di cMiniHinMK alta>reit,
DI far tàaUM inMliM i» ti^no,
speodetemi tMOri, e md oontraio,
Che gli «tré meNl al Meeoio per eeoteib
Olle, nel dukMo die qtnlea» vi «isopra,
4Tvia«ieoe ow : UHI» ad un tratto
Vi scoppia addotto un folwiiie di acipra»
E doveotale martire oeN' atto :
Eceo il mìDisiro a Are ud aottosopra,
ECCO il Gwemo cbo vi dA lo afrlrtio:
E eosi la frittata ai rivolta»
E Itole iMNMio per od» altra volta.
Ter DOQ dar luogo all' ufBilo postale
Di sospettar tra noi quest' artnegglo»
Gorviapoodelo qoa col Tal di Vale
E siale certo pur che ravrò io.
Egli, come sapeiey è Liberale,
E ribella il paese a conto mio.
ci aiamo inleal : lavorale, « poi,>
se e* incastra una guèrra, Inioo per voi.
. CONSIGUO A lUi CONSIGLIERE
Signor consigliere» por tutto si vede
Ci faccia il piacene ch« il carro procedo,.
Di dire al padrone con dietro una calca
Che il mondo ha ragtono Che seco travalca
D' andar come va. , Con libero p\é.
Dirà : Padron mio, E mentre cammina»
La mano di Dio con sorda rapina
Gli ^iH dato Pandore; i fneai, 1 poltroni.
Di farlo fermare l servi, i padtponi,
Maniera non v'ha. Travolge eoo sé.
se il volo si tarpa Tra 1 ne del paese
calando la scarpa Qualcuno IMniese;
A ruota nostrale, E a dirla tal quale.
Che ratta suU'ale PiO bene che male
Precipita in già, H* ottenne fin qui.
La ruota del mondo stentando la briglia.
Andrà lino in fondo ; Tornò di fnnlglia;
Ile un molo s' arresta Temeva io qnol passo
(Stiam li colla lesta) Di scendere in basso.
Che vien di lassCu E iOvece salì.
X •» X
Giudizio^ matmtfit p«nnntfo ira ripiego,
Facendo il oeoohiore Io salvo Pimpleso;
IO urto alla mot», E voi (daodo r6(U),
Si va nella moia. Rivista e eorrelta,
credetelo a me» La paga di re.
IL CONGRESSO DE' BIRRI
À scanso di rettorica, bo pensato
Di non fermarmi a descriver la i
Che io grembo accolse il nobile senato,
solamente dirò» che V adunania
In tre scbiume di Birri era distinU,
Delle Camere d'oggi a somiglianza,
1 dritta, I Birri a cui balena in grinta
11 sangue puro; » manca, ^11 arrabbiati ;
Nel ceniroy i Birri di nessuna tinta:
Birrueoli eioè dinoccolati,
Birri obe fanno il birro pur cbe sia ;
Bracchi no, ma locuste degli stati,
Tagliere oorio anco alla dicerìa
Che fece con un tuono da compieta
Il Gran Cafieecia della Sbirreria;
Che deplora g i^ già dall' J alla Zeta,
E le glorie birresche, e i guasti •orrendi
Che porla il lompo come l' acqua cheta ;
E parlò di pericoli tremendi,
E d' averli chiamati a parlamento
Per consultarli sul moda uaemii
Di riparare in tempo al fallimento.
Dalla manca, oratore
Di que' Birri bestiali.
Sbucò pton di f uroi»
un Maoglalibeffalt;
E sgretolando 1 denti,
proruppo in questi aneenli :
Pare impossibile, Anco gì' ipocriti
Cbe in un Paese, Del noMro uffizio,
nel quale ammorbano €1 perda in chiacchiero
Di crimenlese «ompo e giudizio i
staio o 1
E a suoli di Qioóoli
Maodar la tareaf
stollo chi regvere
Penta uà Governo
Colle biufgìoi
D'un Cir paiemol
Riforme graaie
Leggi, perdono,
son vanaglorie
Paole, sul trono.
Lasciare un Popolo
Che Ci il padroner
Supporre in bestie
Dritto e ragione ì
Lodare un regio
Senno, corrotto
Di qoesU logica
Da Sanculotto r
¥ive lo Sialo
Ogni politica
sa d* iMUceih
E un Aocbe a4
La Otto si I
se CMca, al diavolo i
caacM, su bene.
Cbe €> entra U prosaimo r
loco' ribelli
Hon ho fratelli.
Man dloo al Principe
La serpe in seno;
E quando il pelilo
Sale in burrasca,
AflBga,e ficcati
Le leni in tasca.
lo veccblD, io t
D* idee si lorle,
colia canaglia
vo per le oorte.
Tenerli d' occhio,
(Sia chi si sia)
impadronirsene
colpirli, e via.
i£ooo la
Galera e boia.
Boia e galera.
Disse: e al tenero discorso
Di quell' orso ^ a mano manca
Ogni panca — si commosse.
Non si soo4se -- non fé segno
O di sdegno ^ o d' ironia
L' albagia — seduta a dritta,
E ste* zitta — la platea.
Si movea •* lenta in quel mentre
Già dal ventre — della sUoaa
La sambiansa — rubiconda
XMI-X .
E bistonda — tf' ud Vicario
. Del salario — inoamoralo;
Che, sbozzalo -«• uno sbadiglio,
con un piglio — di maiaìe
Sciorinò questa morale.
I i>ron dico: la mannaia.
Purché la voglia il tempo.
Rimette a nuovo un popolo,
E il resto è un perditempo.
Ma quando de* filantropi
Crébbe la piena, e crebbe
Questa flemma di Codici
Tuffati nel giulebbe ;
Quando alla moltitudine
Bestia presuntuosa,
11 caso ha fatlo intendere
Che la tesla è qualcosa ;
Darete un fermo al secolo
Li, coi Boia alla mano?
«oilega, riformatevi,
Siete antidiluviano.
Voi vi pensate d' essere
A quel tempo beato.
Quando gridava Italia
soltanto il Letterato.
Amico, ora le balie
L'insegnano a' bambini ;
E quel nome, dagli Arcadi
Passò ne* Contadini.
Si, le spie s'arrabatlono,
E lo so come voi :
Ma in fondo, che conclusero
Da^ì 'quattordici in poi ?
Se allora le degnavano
Perfino i Cavalieri,
Ora, non ce le vogliono
Nemmanco i caffettieri,
I processi, le carceri
Fan più male clic bene :
un Liberale, In carcere,
c'Ingrassa, e se ne tiene ;
E quando esce di gabbia
Trattato a pasticcini
È preso per un martire,
E noi per assassini.
Gua'spero anch'io che 1 Popoli
vadano in perdizione
Ma se toccasse ai Principi
A dare 11 traballone 7
colleghi il tempo brontola :
E ovunque mi rivolto.
Vi dito che per aria
C'è del buio, e dimolto i
Il mondo d* oggi è un diavolo
DI mondo si viziato.
Che mi pare il quissimile
D' un cavallo sboccato:
9e lo mandale libero,
O si ferma, o va piano ;
Più tirate la briglia,
E pio leva la roano.
lo, queste cose, al pubblico.
Certo, non le direi :
In piazza fo il cannibale.
Ma qui. Signori miei.
Qui, dove è presumibile
Che non sian Liberali,
Un galantuomo, é in obbligo
* Di dirle tali é quali.
Sentite : lo per la meglio
Mi terrei sull'Intese;
vedrei che piega pigliano
Le cose del paese;
E poi, senza confondermi
Né a stnlsCra né a destra,
O Principe o Repubblica,
Terrei dalla minestra.
Il amn
La maoGa sbuffò:
uo terao Denoiteoe
la piede salì»
Ai quale agUauitofli
La dritta annuì,
silenzio, •llenzio.
Udite la parte.
La parte che sfodera
IlFff>6o dell Arte.
Gli onorandi CoUegbi, a cai fu dato
Prima di me d' emettere un parere».
Non hanno a senso mio bene incarnate
LO scopo deli' ufficio e l' art I vere:
Qui non si iraiu di salvar io Stato,
Di cattivarsi il Popolo o Messere,
D' assicurarsi nella paga un poi i
si traila d'aver braccio e d' esser Moì.
Io non ho per articoli di fede
E non rifiuto il sangue e la vendetta:
Dico, che il forte è di tenersi in piede ;
Rispetto al come> è il caso «be lo detta.
Senza sistema il saggio <>pera e crede
Sempre ciò cbe egli toma e gli dileua:
Mirare al fine è regola costante,
E chi ao0re di scrupoli é pedante.
Ciò che preme impedire è, cbe tra loro
S* intendano Governo e governati :
se s' ioiendoQO> addio : r età dell' ore.
Per noi tanto, finisce, e siamo andati.
Dunque oonvien raddoppiare il lavoro
D' intenebrarli tutti, e d* aroèo i lati
Dare alle cose una 'Certa apparenza
Da tenerli in sospetto e in diffidenza^
Noi non Siam qui per prevenire il male:
Giusto! va li» sarebbe un -bel mestiere 1
La così detta pubbUca morale
Ansi ò l' inciampo cbe ci dA pensiere.
Il veglerò alla quiete universale
È u» reggere a' poltroni il candeliere :
Quando uno Stato è sano e in armonia,
che figura ci fa la Polizìa ì
Se ceMeranoo i moU rivoUo»(«
Se scemeraooo i tretolM al gov^ao»
Mei pubblico rifttagpo inoperosi
Dormirete sei Caogo ud soooo etereo.
Popoli io fuffia e Briiicipi gelosi
soo del D08U^ edifUio il «doppio perno.
Perchè giri la ruota e giri bene>
Che la mandi il disordine conviene.
Tempo già fu, lo dico a malincuore,
€he di Giuatiisia. noi. basM strumenti,
Addosso al ladro» addosso al matfaiiore.
Miseri cani, eaercltamnio i denti ;
Ma poi che i, Ho ci presero io fasore»
E ci fecec Mioisiri eoonfidentia
Noi, di servi de'secvi io. ire boocooi.
Eccoci qui padroni dei' padroni.
Dividete e regBaie..*^ A queato punto
Suonò d* evviva 1^ piazaa vicina
Al Principe col Fopol ricongiunto,
Ali' Italia. e alla Guardia cittadina.
Fecero a un. trillo un muso di defunto
Tutu, nel centro» a dritta ed a mancina ;
E mori sulle labbra accidentato
Il genio di quel Birro illuminalo.
A LEOPOLDO SE<X!)NDO
Signor, sospeso il pungolo severo,
A le parla la Musa alia e sicura.
La Musa onde ti venne in prò del vero
Acre puntura.
Libero Prence, a gloriosa mela
v^lto col Popol suo dal cammin vecchio,
con nuovo esempio, a libero poeta
Porga r orecchio.
Taccian V accuse, e l' ombre del pasaaio.
Di scambievoli orgogli acerbi frutti.:
Tutti un duro letargo ba travagliato.
Errammo tutti.
Oggi in più degna gara a.tulU giova.
Gessar miseri dubbi O: delti amari.
Al fiero ittcareo delta vita nuova
sroovi del pari
X M4 X
se al PofM>lo Doo recM impedlmenio
L* abito «wne, la dormlfa pace.
La facil saiMleoaft U braoeio feoto^
La llngiia audace ;
se Don turbino II Re larve bugiare,
vuote superbie, ambizioni oscure,
Frodi, minacce, ambagi^ Ire codarde,
Stolte paure ;
Piega Popolo e Re le mansuete
Voglie a concordia con aperto riso ;
E il lungo ordir detta medicea rete
Ecco è redso
Che se dell' Avo industiloao istinto,
strigato il laccio che vUa ci spense.
Nostra virtù da cieco laberlnto
Parte redense.
Tardi d' astuta signoria lasciva
La radice mortirera si schianta :
Serpe a guisa di rovo, e usanza arriva
La mala pianta.
Ma vedi come nella Mente eterna
Tempo corregge ogni cosa mortale :
Nasce dal mate il ben con vece alterna;
Dal bene il male;
Né questo è cerchio, come il volga crede,
Che salga e scenda e sé In sé rigiro ;
È turbine che al vèr sempre procede
Con alte spire.
Nocque licenza a libertà; si franse.
Per troppa tesa, I' arco a tirannia ;
E Puna e V altra fu percossa, e pianse
L' errata via.
Dalla nordica illuvie Italia emerse
Ricca e discorde di possanza e d' arte;
calò di nuovo ii nembo, e la sommerse
Di parte In parte.
Or, come volge calamita al polo,
volta alla luce che per lei raggiorna,
compresa d' un amor, d* un voler solo,
una ritoma,
scosso e ravvisto ilei comune inganno
Che avvolse Europa In tenebroso arcano,
Lei risaluta 11 Franco e l' Alemanno,
L'Anglo e l'Ispano;
X241X
Per lui già già lìorìa l' eletto fieme
Che del più nella mente inerzia cela.
In lui grazia e virtà creaeeano insieme.
Ma di repente s* infranse la vela
Che prometter parea sì lieto corso;
Né valse alPuopo la oomun querela.
Se dunque 11 tempo d' impixìvvlso morso
L' «pre migliori di natura offende,
Alle lusinghe ree si volga 11 dorso.
Folle -è colui che d' evitar pretende
La Gomun sorte: su ciascuno eguale
La provocala man di Dio si stende,
E nostra possa ad arrecarla è frale.
AL PADRE BERNARDO DA SIENA.
noa disse Cristo al suo primo convento:
Andate, e predicate al mondo ciance ;
Ma diede lor verace rondamento.
Damtb Farad. Xiix.
Al Secol tolto nell'età più bella,
E unito al Cielo in vincolo d' anoore
Nel sacro asilo di romita cella^
Fra gi' inni penitenti e lo squallore,
Da questa terra misera non hai
Sdegnosamente allontanaio il core.
Ma ripensando agli inOniti guai
Che ti lascliisti a tergo, e Tatto pio
Del nostro mal^ peregrinando vai
Fido e diletto Apostolo d' Iddio,
Che mal s' appaga del Pastor che giace
Lento all' ombre, e l'Ovil lascia in oblio.
Di quella Mente Interprete verace
Che detiò P evangelica parola,
Sublime. pegno di beata pace;
. Come erOuvio di rosa e di. viola
Dalle tue labbra il nettare divino
Spira soave, e l'anima consola.
Panesi, per udirti, In sul mattino
Dalla capanna sua la vecchiarella
Per lungo e malagevole cammino :
16
X 243 X
Poi torna a casa a dar di (e novella
Al piccoli Dipoli, e ne raromeoia
Gli alti» le YesU , il volto, e la (avella.
s* asside al focolar tutta oomenta,
vigilando la vita che le avanza,
E le miserie sue par che non senta:
che d' altro gaudio e di più lieta stanza.
Abbandonando questo triste esigilo.
Dalle parole tue prende speranza.
La giovinetta, cui Unge in vermiglio
Un primo amor la gota pudibonda.
Tacila ascolta serenando II ciglio :
Che tu le annunzi i di quando, feconda
Di bella prole, con materna cura
La famigliola sua farà gioconda :
E ne sospira, e a Dio volge secura
Il secreto pensiero e gii occlìi belli,
Specclii dell' alma innamorata e pura.
Tu ridesti a viriude o rinnovellì
I giovanili pelli, e gii richiami
Agli amplessi d'amici e di fratelli.
Che il Signor di santissimi legami
Volle cootcoio il suo popol diletto.
Perchè s' unisca giubilando e s'ami.
per occulta virtù, che dall' espello
Di bella verità prende argomento,
<Tu n' avvicini al Ben dell' inlelleiio.
E in estasi di pace e di contento
L'anima lieta s'abbandona, e riede
Teco all'Amor che mosse il firmamento.
Per te gentil desio sorger si vede
E d' onorati studi e d' alti onesti,
Di virtù sante e d' incorrotta fede.
celeste verità, che i brevi e mesti
Giorni di vita esalti e rassereni
Quando al guardo mortai li manifesti ;
E godi ai raggio dell' Eterno, e tieni
V alto segreto dalla man del Nume
Degli arcani superni e dei terreni;
Avvaloralo del tuo santo lume
Questi che svolge all' avida pupilla
Delle allenite genti il tuo volume,
X 245 ;<
ToUo ai cari silenzi e alla tranquilla
Aura del cliiostro, tornerà sovent«
A desiar fiamme della tua favilla.
E la terra commossa e riverente
Il suo Profeta esalterà, che porge
Nuovo conforto al core ed alla mente
€he ornai dal fango si sviluppa e sorge.
FRAMMENTO
Con la fida lucerna
spesso del meditar prendo diletto,
virtù che l' uomo eterna
Derivando dai libri all' intelletto.
Il solitario lume
Guizza full' alba, e inaridito manca.
La parete e il volume
Trema, e svanisce alla pupilla stanca.
Tace la mente, ed erra
Da subiti fantasmi esagitala,
E il cor mesto si serra
come perdendo una persona amala,
Ma nel buio profondo
Splende alla fantasia luce divina :
E oblia la vita e il mondo
L' innamorata mente peregrina,
varca i secoli, e gli anni
scorda che il elei le die mesti e fuggenti :
Poi torna ai noti affanni,
O rivive nei suoi giorni ridenti.
PER LA MORTE
DELL' UNICA FIGLIA DI URANIA £ MARCO MASETTI.
Tu di un tenero padre
Eri l' unica gioia e la speranza :
Per te nei dì venturi,
come in gaio dipinto.
Alla sua stanca eia crescer vedea
Spettacol nuovo di sante dolcezze.
Ed in altre carezze
Ai tardi anni senili
Restituirsi i luci baci infantili.
X «44 >'
Perchè da lui l'involi
or che V uopo di le senUa maggiore r
vedi, nel suo dolore
Il misero non ha chi lo ceoseli t
o aoima gentil, pietà il muoTa
Del QMsto genitor ebe t* amò tanto i
A lui ritorna colle nuore piume
D' Angelo a serenarlo in mezzo al pianto.
Tu soave pensiero e caro lume
Eri della sua vita :
Ogni dolcezza sua leco è perita.
FRABfMBNTO
Questa nuova Susanna, a cui d' intorno
un nuvolo di nonni ognor vedete
Di reumatico amor febbricitanti.
Più d' un Allocco ha preso a questa rete ;.
Ma a lei la castità non preme un corno.
Paura ha d'epigrammi e non di sanii;
GogH arrembati amanti
palesemente va per darla a bere:
La notte chiama a sé chi piace a lei,
E di giorno a* babbei
Fa regger santamente 11 eandelliere.
passano tra la baia universale
Gii amanti paralitici e grolieschì.
Che a mala pena rodon la minestra:
Addosso ognun di loro ha guidaleschi
Quanti può contenerne uno spedale;
E ciondolando per la via maestra,
compongono un' orchestra
Di tossi e di staroull : il vago stuolo
Guida sputando un Cavalier gentile
Che patisce di bile,
E d' amor piange eoo un occhio solo.
non ha tanto cordame un bastimento
Quanto n' hanno costor, che rieerchiali
vanno di qui e di là come una bolle:
Diversamente son tanto sfrollaii>
Che se non li reggesse il finimento
si disfarebber come pere colte.
Quando arriva la notte.
X a*5 ;<
Svita pezzo per pezzo il cameriere,
E ripostigli mezzi in un casselio,
Versa il resto nel letto ;
Ma proprio è un far la zuppa oel paniere.
Oh quante volte, tutta spaventata.
Si vide far la venere bigotta
Invece d' uo inchino un traballone i
Oh quante volte differì la gotta
Le visite amorose, e soiboata
Restò nell' asma una dichiarazione i
M Di tanta affezione <•
Disse un di lor toccandosi la zucca
•* Dolce pegno, amor mio, resti tra noi : •*
E non potendo I suoi,
un ricciolo taglio della parrucca,
insorse un di rivalità d'amore
Fra loro, e per seguirne era una strage ;
Ma tirò vento e disturbò l'assalto;
Tenerli bisognò nella bambage
Tre mesi, e ogni Speziale, ogni Dottore,
£d ogni ciuca prendere in appalto:
Le fiere gruceie in alto,
I formidabilissiflii accidenti,
Brandian con un catarro da leoni ;
Era cinque i campioni,
E in cinque digrignavano tre denti.
À questi Adoni col mal della pietra
Amor saltella Intorno, e i iremolaoli
Passi ne guida pe' sentier lascivi ;
Arco non ha, ma pillole, purganti.
Gomma, siringhe, e invece di faretra
Una canna da dare i lavativi :
E più morti che vivi
vedendoli, tien 1' ali ripiegate.
Che a quello sventolio più d' uno intasa^
E gira per la casa
Le bussole tappando e le vetrate.
ALL'AMICA AMALIA ROSSI RESTOIff
PER LA. KASC1TA DEL DI LEI PRIMO FIGLIO (1).
L' abito é disadorDO,
Negletto il cullo delle molti ebiome ;
Ripete un caro nome ;
E alle carezze, ai baci, è bre^e il giorno.
Nelle forme leggiadre
Del bambinello assorta,
D' etereo cibo in lui si riconforta
Che mai gustar non può chi non è madre.
Dalla romita stanza
Per poca ora s' invola,
E fra le genti le par d' esser sola
Pensando a quella sua dolce speranza.
Con lui parla, e risponde
Una favella da lei sola intesa,
E 1' uno all' altro il suo desir palesa,
E l'un nell' altro l' amor suo trasfonde.
Presso la culla amata
Tacila siede, e iramobil la diresti ;
Ma parla il volto, e si trasmuta in questi
Pensieri della mente innaoKNrata. —
A questa prima vita
Nove mesi in me stessa io il formai.
Or dal mio latte avrai
Nuovo incremento a questa prima vita.
Teco vegliar m' è caro.
Gioir, pianger con te: sublime e pura ,
Si fa l'anima mia di curajn cura.
Che in ogni pena un nuovo afifetto imparo.
Come sul caro viso
Per me ti spunta di bellezza il fiore,
A te cosi nel core
Il giglio educherò di Paradiso.
Deh cresca alla materna ombra fidalo
Il peregrino stelo,
E ognor benigno il cielo
vivido a me lo serbi, e intemerato.
(I) Questi versi scritti per occasione furono poi rifusi dal poeta
nel componimento intitolato jéffetli d'una Madre. Ambedue queste poe-
sie risplendono peraltro di tanta grazia, ed hanno forme sì elette, da
meritare di far parte di questa Raccolta senza rimprovero d' inutile ri-
petizione.
X av7 X..
oh se per nuovo obietlo
un dì l'affannerà geniil desio
Ti risovvenga del materno affedo l
Nessuno l' amerà dell' amor mio.
E lu nel tuo dolor mesU) e pensoso
Ricercherai la madre, e in queste braccia
Asconderai la faccia.
Come sull'origlier dei tuo riposo.
SONETTI
cosi di giorno in giorno inoperoso
Seguo a gran passi di mia vita il corso,
E penso sospirando il tempo scorso
E in quello che verrà sperar non oso.
Quella per eh' io mi dolgo e sto pensoso.
Sei vede, e non può darmi alcun soccorso :
In altra parte ornai non ho ricorso
Ove l'anima mia trovi riposo.
Né già, se non da Lei cerco quiete.
Che m' è dolce il penar pensando eh' Ella,
Benché lontana, all'amor mio risponde.
E so che ne sospira, e di scerete
Lacrime bagna il viso, e a me favella,
E di tristezza tutta si confonde.
China alla sponda dell' amato letto
Veggo la Donna mia, vigile e presta
Precorrendo ogni molo ogni richiesta
Dell' adoratoued egro pargoletto.
Ora sospira, ed or lo stringe al petto,
E i lini e l' erbe salutari appresta ;
E nella faccia desolala e mèsta
Parla la piena del mal'erno afTetlo.
Ebbro di nuova conit>nlezza e pura,
Tacilo seggo dall' opposto laiQ,
Tutto converso all' amorosa cura.
E negletto quantunque ed obbliato,
Non mi lagno di Lei, che di natura
Basta la voce a rendermi bealo.
X 34» X
poidiè m'e lolle saziar la iMuni»
Di quell' aspetto angelico e serena,
E il cor dielro il desio che non ha freno
Sì riconduce a Lei cbe onora ed ama -,
Seguo un mesto peosier che a sé mi chiama
Fuor d'ogni vaneggiar falso e terreno ^
E solitario vivo, e di Lei pieno
Sulle carte mi volgo a cercar fama.
E se fortuna tanto mi concede
Che nome acquisti in opera d' inchiostro ,
A Lei ritornerò pieno d'amore
E le dirò: lo studio e il dolce onore
E questa fama ^ e beneficio vostro:
E le mie rime deporrolle al piede.
per occulta virtù , che delF aspetto
Di l)ella verità prende argomenio ,
A quella meta soUevarmi io tento
Ch' è principio e cagion d' ogni dllello.
E se per un sentiero aspro e negletto ,
Giovine e solo , io mi conduco a slento ,
Di giorno in giorno con dolcezza sento
Avvicinarmi al Ben dell' inlellello.
Ogni basso pensier fuggo , e discaccio
Da me la soma deiP antico limo
Onde ha virtude e il buon volere impaccio.
E fissando lo sguardo al Centro primo,
Arditamente I» universo abbraccio ,
E dai nulla mi sciolgo e ini sublimo.
Da questi colli (1> i miei desiri ardenti
volano sempre come amor gli mena ,
Ove dietro al pensier giungono appena
Gli Oijclii per ntolie lacrime dolenti.
E allor che la cillà per le crescenti
Ombre dispare, e la campagna amena.
Cerco del elei la parte più serena
E le stelle più care e più lucenti.
E se vicino a me muove uno stelo.
Muove spirando la notturna aurelia ,
credo tu giunga , e al cor mi corre un gelo.
E quando le non vedo , o mia diiella ,
Gli occhi si vòlgon desiosi al cielo,
come alla parie onde lalun s' aspetta.
IN MORTE D»UNà SORELLA DI LATTE
Noi pargole.Ui al sonno lusingava ,
Dolce acchetando i puerili affanni ,
Il canto istesso , e fra gli stessi panni
Una stessa mammella alimenta?a.
Perchè la nostra compagnia ti grava ,
£ ad altra region dispieghi i vanni?
Teco , sorella mia , degli ultimi anni
Partir V ultimo pane ornai sperava i
Tu dalla mensa di quaggiù levata
Prima dì me , t' assidi innanzi a Dio.
E al convito degli Angeli beata
D'ogni cosa mortai bevi l'oblio;
lo della vita incerta e sconsolata
Crescer sento amarezza ai labbro mio.
A GIOVAN BATTISTA VICO
Di norma social nei tuo volume
Chiuse FilosoQa germe profondo ,
Che per cultura diverrà fecondo
E darà frutti di miglior costume
La mente vagheggiando il nuovo lume ,
Che dell' eterna idea rivela il fondo ,
Per r intellettuale ordin del mondo
Di volo in volo a Dio leva le piume.
virtù m' ispiri , ond* io spezzato il laccio
Che mi fa servo di caduco limo,
All' ocean de' secoli m' affaccio.
E fissando lo sguardo al Centro primo ,
Arditamente l' universo abbraccio ,
Mi rinnuovo, m'intendo, e mi sublimo.
POESIE SCRITTE A DICIOTTO ANNI
MA RIFIUTATE DALL'AUTORE
UN INSULTO D'APATIA
(VARIANTE)
Si disperi la vecchia galante
Che dicembre vendè per aprile.
Che fallita coli' ultimo amante
Senti crescersi, a forza di bile
Ogni giorno una grinza di più,
E coli' asma ritorna a Gesù.
;•:: 250 X
Si disperì chi fece la spia
parteggiando per Cesare o Pietro,
Anelante con lunga mania
una striscia, una chiave di dietro,
E gli par d»aver fallo il babbeo
se la morte lo trova plebeo. —
Ohi poltrona virtù d'Ermolao,
TU consigli U raeschin che s' affanna
S' anco II mondo ritorni nel Cao
Di pigliarsela un tanto la canna :
senza chieder miracoli ai Santi
lo ti seguo e risparmio i purganti. —
Ne ho vedute parecchie. — Già stufo
Son li li per serrar la finestra:
come secca, mangiata anche a ufo.
Ogni giorno la stessa minestra ,
parimenti m'uggisce e mi tedia
veder sempre la stessa commedia,
un falsarlo che Cristo e il Demonio
Tien d' accordo con santi cavilli :
Demagoghi del solito conio :
Negozianti di Bruti imbecilli:
un tribuno che il braccio e la mente
Appigiona al maggior offerente:
un Pilato con lucco e pianeta
Che le parti sì fa coir accetta:
La gazzetta che fa da profeta,
E il profeta che fa da gazzetta :
un Tiberio da dieci alla crazia
Che ti spoglia persin la Dei Gratta.
ECCO il mondo. - Negli anni passali
Per sincera asinaggine, ordita
Dì lusinghe, di sogni beali
Delirando mi parve la vita,
Questa terra una cara illusione,
una fitta di brave persone.
Eran quelli l dì santi ed amari,
I di quando una febbre epidemica
Ci spingeva a sognar de» lunari,
I dì quando con nuova polemica
Ci faceva morir dalle risa
II bali sanfedista di Pisa.
X 251 X
Se nel mezzo all'umana famiglia
Mi accennavano un bindolo, un porco,
Stupefallo incarnava le ciglia
Come il bimbo al racconto dell' Orco :
Questa razza impastata di scisma
La vedeva attraverso d' un prisma.
Ora il polso è più quieto — V occlilaie,
Gbe gli oggetti alterava, è spezzato :
Ora H mondo lo veggo tal quale,
E sorrido sul tempo passalo. —
È finita l' età del pupillo :
Son tranquillo, tranquillo, tranquillo. —
LA MAMMA EDUCATRICE
Viva Adelaide
Che il cuor m' infiamma
E in omnia saecala
Viva la mamma.
Donna mirabile
Donna famosa i
È un capo d'opera,
E una gran cosa.
Una domenica
LMocontro io piazza
Che aveva a icuef
La sua ragazza ;
Mi ferma, e affabile
come conviene
comincia al solito
«• Che fa ? sta bene? »
Ed alla figlia
Che stava zitta.
Gridò, «* su, animo,
» Che fai li ritta?
»* Via, grulla, avvezzali.
Fa il tuo dovere... »
Che mamma amabile t
non è un piacere?
E poi tenendomi
Le mani ai panni,
Soggiunse: « Oh passano
« Pur presto gli anni I
•• L' ho visto nascere
«i E malaonaggio i
•• S' invecchia, e termina
«L'erba di maggio.*
« Eh bimba, andiamcene,
« Stamane ho frena :
« Venga un po' a veglia
** Venga, s' aspetta.
« Siam gente povera
« Ma di buon cuore,
** Ci fa una grazia...
« Anzi un onore.
« Vai, bimba, pregalo;
« Stai il impalata! —
« Ma santa vergine
u sei pur sgarbala !
« È sempre giovane »
Dissi, « aspellate,
« Lasciate correre,
u Non la sgridate;
« L'eia, la pratica
« È molto, e poi
(t Farà miracoli
« Sotto di voi — •'
Ai panegirici
1^00 sempre avvezza
Fece una smorfia
Di tenerezza
La vecchia» e a battere
Sul primo iotUo
Tornò, dicendomi :
« — Dunque lia capito •*
« Sa dove s' abita,
- Verrà? — • Terrò. »
E chi rispondere
Potea di noT —
V andai col giubilo,
Con quei sembiante
Che per le visite
D'un zoccolante
HO visto prendere
Dalle massaie
Quando alla questua
Gira per 1' aie.
Quelle vedendomi
In un baleno
precipitarono
A pian terreno;
Poi risalirono
Con meco, ed ambe
« Badi « gridavano
u Badi alle gambe.
« È poco pratico :
« La scala é scura —
« Ma quanti incomodi t
« Quanta premurai »
Salgo, si chiacchiera
Sul più> sui meno^
Mi dan del discolo.
Del capo-ameno.
Tutta sollecita
La Mamma intanto
scotea la seggiola.
Puliva un santo.
Da un certo armadio
Fra pochi stracci
Sceglieva in furia
Due canovacci,
D'acqua io un angolo
La brocca empia:
Che mamma provvida i
Che pulizia i
Fioile alF ultimo
Tante faccende,
Disse « e per tavola
« cosa si prende ?
« credi. Delaide,
« Sono sgomenta -
E a me voltandosi
Diceva • senta,
m con unti ninnoli
« Ci va un tesoro,
« Le voglie cretcono
« Manca il lavoro;
m Oh ripensandoci
« M' affogherei
« Almeno, catterai...
« Felice lei... •
capii l' antifona
Ed un testone
Le offersi a titolo
Di compassione ;
La vecchia ingenua
Per \t sorpresa
M'urtò col gomito.
Si finse offesa.
Ma per imprestito
Poi l'accettò,
E per andarsene
S'incamminò,
E nell' orecchio
Mi disse: » Ohe!
** Ritomo subito ,
« Badiamo ve. ••
IO per non ridere
Alzando il ciglio
Risposi: » Diamine,
« Mi meraviglio. »
Esce di camera
Chiude la porta
Sta fuori un secolo
Che mamma accorta I
Poi tosse e strascica
Prima d* entrare....
Il elei moltipllchi
Mamme si rare.
IL MIO NUOVO AMICO
HO un amico nel paese
Che sostiene a faccia (osta
Aver fallo un criraeDiése,
lo lo credo , — e a farlo apposta
Se lo iroTO all'* osleria
pago il conio e vado via.
LO conobbi non so come,
E mi disse che per Pisa
Era celebre il mio nome.
stelli clieto ; — ma le risa
A ripieghi sì balordi
Mi strapparono i precordi.
Porta un nastro tricolore ,
E dal trenta al trentadue
E' si è fallo mollo onore:
lo lo credo, «— e non son bue
Da far si che al Irentalrè
s' immortali anco per me.
È sciancalo allo spedale
Sette mesi ha tribolato
Per la causa liberale :
lo l' ascolto ^ e son teotato
Di passargli un tanto al giorno
Per levarmelo d' intorno.
se mi vede di lontano
Mi raggiunge come il vento
E mi prende per la mano;
lo vo seco — e sul momento
AfTetlando indifferenza,
Fo l'esame di coscienza
Di profetiche scappale.
Mi lardella, e fa man bassa
Sulle teste coronale,
lo lo scanso ^ e quando passa
Di fuggirlo ho per sistema
Quasi avesse il diadema.
Mille cose mi domanda,
Mi ragiona di progresso
E de fide propaganda ;
lo P ascolto — e gli confesso
Colla massima modestia
Che su ciò sono una bestia.
Parla forte, e si protesta
Che si ride del bargello
£ non teme della lesta.
Io lo credo — ma bel bello,
Quando a caso a lui m' imbatto
Cangio tuono e fo l'astrailo.
Dice cose ereticali
Del pontefice Gregorio
E di tutu i cardioali;
Io l' ascollo — ma mi glorio
seco lui d'esser cristiano
Apostolico, romano.
Ma fra i piedi mi si mette.
Mi conduce per i vicoli,
E mi legge le gaizelte;
lo V ascolto — e fra gli arlicolì
solamente lodo quelli
Del Bali Samminialelli.
IL CHOLERA
Nina, risolviti,
Non far l'austera.
Eh via sbrighiamoci,
Viene il cholèra.
Per controsCimolo
Spargendo il male
La morte, in looaca
Ministeriale,
X 2»4 X
SgoneoU i popoli.
Giova ai sovrani;
Possiamo andarcene
D* oggi ia domani^
Dunque che scrupolo
Ti salta In testa
Di far la slilica.
Di far V onesta T
Pensare ali' anima
E una chimera -,
Nina , rammentati ,
viene il cboléra.
Invano il principe
E monsignore
Prescrivon tridui
E quarant' ore.
Il mate, aht credilo
Idolo mio ,
Ci vien dagli uomini
Non vien da Dio.
sicché superflua
È la preghiera;
Nina rassegnati ,
Viene il cholèra.
Pure il pericolo
Me non attrista,
Son buon cattolico,
Son fatalista.
Morir di vomiti ,
Morir di stento ,
E la medesima;
Non mi sgomento.
Il mondo 6 un carcere 5
È una galera,
Dunque finiamola.
Viene il cbolèra.
poi sulP articolo
Dei giorni corsi,
Variando libero.
Non ho rimorsi.
fio tatto l calcoli >
E nel totale
Non trovo deficit
Di capitale.
Le somme tornano,
E per Io più
Fra il danno e V utile
È un su per giù,
Però mettendomi
Fra i casi rari
Di quei che muoiono
coi coati in pari.
Io dando al secolo
La buona sera ,
Volentierissimo
Prendo il cholèra ^
Ma se B* accomoda <
Fra noi la lite.
Che possa metterli
Fra le partite^
vederli docile ^
Stringerti al seno ,
Io vado al diavolo
col sacco pieno.
PROFESSIONE DI FEDE ALLE DONNE
Donne , lo slimolo
Di fare il bello
Non mi solleiica
Punto il cervello;
Né mi dilettano
L' ani , gì' inganni
Dei nostri Paridi,
Dei don Giovanni.
Altri di vittime
segrete liste
Mostri , ed esageri
Le sue conquiste.
Per me l' ingenuo
Piacer d' amore
Non sta nei numero ,
Ma sta nel cuore.
Lascio che ridano
Alle mie spese
Quelli che cangiano
Di mese in mese.
Non ho in tal genere
Idea sì vasta ^
son discretissimo,
Una mi basta ,
E posso scrìvere
A mia fortuna
Se in certi articoli
Basto per una.
Tengo per massima
Che il Galantuomo
Debba riflettere.
Che Dio fé 1' uomo
Non perchè domini^
Ma per diletto
Di quella costola ,
Che in altro aspetto
Al suo principio
Ha riunita
Quanto d'amabile
E nella vita.
Questo il prim' ordine
Fu del creato.
Furbi e filosofi
Ce l' han guastato,
£ con le cabale
E coi rigore
Hanno degli uomini
Sviato il core.
Ma chi ha giudìzio.
Chi teme iddio
Se ne fa scrupolo -,
cosj son io :
lo che per ìndole
In generale
V» amo, e serbandomi
con tutte eguale.
Ne osservo i meriti
Comodamente.
Né mi do r aria
Di pretendente ;
Non son nel numero
De cascamorti,
I gusti esamino.
Guardo ai rapporti.
Se 11 colpo capita.
Se viene il bello.
Non fo lo stolido,
Non fo il corbello;
Ma sto nei lìmiti
E in mezzo a voi
cerco quell' unica
Che m'entri... e poi
Assicuratevi,
Donne mie belle.
Che fedelissimo
Son per la pelle;
E posso ascrivere
A mia fortuna
Se in certi articoli
Basto per una.
UNA TIRATA CONTRO LUIGI-FILIPPO
Di nuova tirannìa mostro novello
Che sulla prole instabile di Brenno
Ruoti un aureo flagello,
E lusingando sai domar col senno ;
Empio moriifer angue
Che il seno ospite addenti,
E il leon con obliqui avvolgimenti
Franger vorresti e pascerti di sangue ;
Odi : r Kuropt aspcua e io le le ciglia
Tieo fisae, io le cui d* agiUre è dato
La lem, e roeraTìglia
Come nella tua man coauneila 11 fato
Di lanla mole 11 pondo ;
Dubllaódo lo le cerea
L' eroe, ma trova il vii che cambia e merca,
E per un trooo impon la pace al moodo.
Quando ti salutò maestro e duce
L' irrequieta popolar baldanza.
Te di maligna iuce
Del trooo abbarbagliò l' ardua sperana ;
E lo seguisti io caccia,
come bramosa Jena
Luogo i deserti d' infuocala arena
Dello smarrito peregrio la traoda.
Ovunque ba pregio uo cor geolile, umano,
A esempio di virtù, di cortesìa
Del sigoor d'Orleano
La casa e il nome celebrar si odia ;
Ma il tempo ecco rivela
Il mite animo scbielto
E i domestici studi, ecco perfetto
Il luogo ordir della patema tela.
Odi strepito d» armi, e nella fera
Pugoa la romba del bronzo tonante :
La tricolor bandiera
Tre di combatte e al quarto è trionfante
Miseri I 11 sangue e l'ossa
spendete invanì La lesta
solleva altro tiranno e vi calpesta
11 cener santo e T onorata fossa. —
Non salute alla patria, alle tue frodi
Que* di famosi il campo han preparato:
Di dieci mila prodi
La gloria e la speranza bai divorato.
La libera divisa
Che giovaoeuo in guerra
vestisti un tempo per la patria terra.
Clamide è fotta e teoo in soglio assisa.
E tu potesti varcar V Oceano
Lasciando il suol della tua gloria antics,
E a lui porger la mano
Da cinquani'anoi a liberlade amica 7
E un abitarsi, tm franger di ritorte.
Una voce dal elei per lutto udita
Glie riscuole i sepolcri, e dalia morte
Desta la vita.
E in Te speranza alla Toscana Gente
Del 4^uinlo Carlo dagli eredi uscio ;
Rinasce n Giglio cbe stirpò Clemente>
Diletto a Pk).
Al cullo antico di quel santo stelo
Dèlia libera lUlia ultimo seme.
Di Re dovere e cittadino zelo
Muovano insieme.
Già da Firenze il fior desiderato
Andò, simbol di pace e di riscatto.
Di terra in terra accolto e ricambiato
Nel dì del patto,
Cbe ogni altro patto vincerà d' assai
Mille volte giurato e mille infranto,
• signor, pensa quel dlJ versasti mfH
Più dolce pianto!
E noi piangemmo, e lacrime d' aax)re
Padre si>ricambiàr, figli e fratelli:
Quei pianto che finì tanto dolore
Nessun cancelli.
Ed or che a noi per nuovo atto immortale
La tua benignità sì disasconde,
E n'avesti dal Sercbio al orlo regale
Debita fronde.
La gioia austera de' cresciuti onori
Cresca conforto a Te nell'ardua via;
Tra gente e gente di novelli amori
Cresca armonia.
Al secolo mSgiior, de* tuoi figliuoli
Sorga e de* nostri nobile primizie,
E di gemma più cara orni e consoli
La tua canizie.
1S
VERSI INEDITI
tciiiTTi m GRAif pautb dopo il 1847
LA REI^UBBLICA
A PIITKO CIAVVOirK
NOD mi pare idea si slrana
La repul>blica italiana
una e indivisibile,
pa senlirmenc sciupare
Per un tuffo airabì Ilare'
li cervello, o II fegato.
Fossi re, certo, conres^o
ctie il vedermi iiUorno adesso
Balenare i popoli,
E sapere^ affeddeddioi
Che codesto balenio
SigniQca — vattene,
lo vedrei questa tendenza,
A parlare in confidenza.
Proprio contro stomaco.
Pietro mio, siamo sinceri : .
La vedrei mai volentieri
Anclic, per esempio.
Se ogni sedici del mese.
Alla t)arba del Paese
Trottassi a riscuotere.
Non essendo coronato.
Non essendo salariato.
Ma pagando l'estimo;
Che mi decimi il sacchciio
O In Clamide o il Berretto,
Mi par la medesima.
Anzi, a dirla tale e quale,
vagheggiando V ideale
Per vena poetica.
Nella cima del pensiero.
Senza fartene mistero,
Sento la repubblica.
Ma se poi discendo all'atto
Dalla sfera dell'astratto.
Qui mi casca P asino.
E Ri' inciampi che ci vedo
Non noi svogliano del Credo ;
Temo degli Apostoli,
cornei appena stuzzicato
11 moderno tpostoiaio,
Pietro, ti rannuvoli?
Mi terrai si tcimuoito,
Che grettezza di partito
Mi raggrinzi 1' anima ?
Oh lo so: tu, poveretto.
Senza casa, senza tetto.
Senza refrigerio,
ventoit' antl hai tribolato.
Ostinato nel peccato
Dell' amor di patria i
All' amico, al galantuomo,
Che sbattuto, egro, e non domo
Sorge di martirio,
DO la sferra nelle mani,
E sul capo ai ciarlatani
Trauengo le forbici.
Dunque, via, raggranellale
Queste genti sparpagliale
Tornino in famiglia.
2àT ■•;<
Senta iddugio, senza chiasso,
Ogni spalla il proprio «asso
porli alla gran fabbrica
E sia casa, Curia, Ospizio»
orQcioa, sodalizio.
Torre e l^bernacolo,
E non sia Duova Babelle
Che t' arruffi le favelle
Per toccar le nuvole.
Percbè, vedi : avendo testa .
Di cercare a mente desta
Popolo per Popolo^
Ogni cura io fondo in fondo
Si rannicchia a farsi un mondo
Del suo Paesucolo^
E alla barba del vicino
Tira 1* acqua al suo mulino
Per amor del prossimo.
La concordia, l' eguaglianza,
1/ unità^ la fratellanza.
Eccetera, eccetera,
Son discorsi buoni e bolli;
Tre fratelli, tre casiclli,
Eccoti l' Italia.
O si svolge in largo amore
Il gomitolo del cuore
(Passa la nietnrura),
E faremo in compagnia
Una tela, che non sia
Quella di Penelope
O diviso e suddiviso
Questo nostro paradiso
Coi sistema d' Hanneman,
Ottocento San Marini
Comporranno i Governini
oell' Italia in pillole
Se non credi all'apparenza
Fa' repubblica Firenze,
' E vedrai Peretola.
E così spezzato il pane.
Le ganasce oliramoniane
Mangeranno meglio.
AD UNA DONNA
FRAMMENTI
Vent' anni son trascorsi
Dal dì Cile t' incontrai la prima volta,
E che per un sospir nuovo m'accòrsi
D' una parie di me che ni' era tolta.
Ond' io per calle ascoso
Tutto quel giorno andai muto e pensoso.
Muto e pensoso andai
Tutto quel giorno; e un sospirar frequente,
Una mestizia non sentila mai,
E l' immagine tua viva e presente,
Facean tumulto al cuore,
Dolce tumulto che precede amore.
Oh come eri gentile.
Modesta e cara agii atti e alle parole !
Che nobile schiettezza in veste umile!
Germogliano così rose e viole
Le vergini campagne,
Allor che l'uslgool più dolce piagne.
f
Ridea schieUo e bmìo
Sul fior del labbro il fior della favella:
E 86 Dfl capto 11 tacito desio
Sfogavi delia mente verginella,
Oh quale i» quelle note
veslian nuova t>eltà le belle gote i
E noi, del par caogiaii^
L' animo e il volto, e* iocooirammo adesao-
Novellamente : e gii occhi agli occhi amatv
E desiose dell' an.Uco amplesso
Ci Corsaro le braccia,
Aml^o tremanti e scoloriti in faeda.
Di cari pargoletti
La semplice dimora è consolala ;
E nella pace di più santi affetti
corre senza dolor la tua giornata,
come di fonte vivo
un chiaro, fresco e solitario rivo.
I
lo sdegnoso e ramingo
col pie vo innanzi, e col pensiero a tergo :
Disamorato come y uom solingo
Che non ha casa E muU albergo.
Di qua di là m^ involo,
sempre in mezao alle genti e sempre solo.
« sospiro la pace
Che a questo colle solitario ride :
S piA t»i:no M guastarla, e più mi spiace
La garrala città clie il cuor m'uocide,
Ove Bull' altro imparo
Che riarmar di dardi il verso amaro.
DELLO SCRIVERE PER LE GAZZETTE.
sdegno di far più misere
eoo diuturno assalto
Le splendide miserie
Di chi vacilla In alto ;
Sdegno, vigliacco astuto.
Insultare al cadavere
Dell' orgoglio -caduto.
9(è bassa contumelia
.Che l'uomo in volto accenna,
Uè svergognato ossequio
Mi brulieisft la penna,
La penna, a cui frementi
Spirano un voi più libero
Più liberi ardimenti.
Oh se talor, neglMmpeti
Ciechi deli' ira prima.
In aperto motteggio
Travierà la rima,
A lacerar le carte
Tu, vergognando, aiu(afDi>
casto amor dell' arte,
li riso malinconico
Non suoni adulterato M
Dell'odio o dell'invidia
Dal (riPgno avvelenato,
Né ambizlon delusa
Sfiori la guancia ingenua
Alla vergine Musa.
Neil' utile silenzio
Dei giorni sonnolenti,
con periglioso aculeo
Osai tentar le genti ;
Osai ritrarmi quando
cadde Sciano, e sorsero ''^^
1 Bruti ciogueuando.
seco Licurghi, e Socrali,
catoni, e cincinnati,
E Gracchi pullularono
D'Oslo nell'ozio nati:
come io pianura molle
scoppia fungaia marcida
Di suolo che ribolle.
Ahi, rapita nel mobile
Jtagllor della speranza,
Non vide allora 11 vacuo
Di facile iattanza
L' illusa anima mia.
Che s'abbandona a credere
11 ben che più desiai
£ le fu gioia il subito
Gridar di tutti e festa,
E sparir nelle tenebre
La ciurma disonesta.
Ed io, pago e sicuro.
Aver posato il pungolo
Glie ripigliar m'é duro.
O Libertà, magnanimo
Freno e desio severo
Di quanti in petto onorano
Con (e l'onesto e il vero.
Se del tuo vecchio amico
saldo tuttor nell' animo
Vive 1 ' amore antico,
aleggi all' usalo termine
La mano e la parola.
Quando in argute pagine
caldo II pensler mi vola.
Quando in civile arringo
La combattola patria
A sostener m' accingo.
950
Teco \a aperla insidia
O in pubblico bordello
Dell'adulato popolo
Non mi faro sgabello.
Ali* amico le gote
Non segnerò col bacìo
Dì Giuda Iscariote.
Dell'orgia, ove (reaeilca
Licenza osa e schiaroazzn,
con alta verecondia
Respingerò la tazza,
con verecondia eguale
Respinsi un tempo i calici
Di circe in regie s^ile.
O veneranda Uali^»
Sempre al tuo santo qome
Religioso brivido
Il cor mi scosse, come
Nomando un caro ol>ielto .
Lega le labbra il irepido
E reverente 9ftetlo.
povera Madrei II ga«dio
yaoo 1 superbi vanti.
Le garrute dittondie,
Perdoaa «i tgli erranti -,
Perdona a me l« amare
Dubbiene» e il labbro attonito.
Nelle fraterne gare.
Sai ctoe nel prtmo strazio
Di colpo imprevedutOy
Per l'abbondar sovarcfaio
Anche il dolore ò muto ',
E sai quai duro peso
M' ba tronchi I nervi e P Igneo
vigor dell' alma offeso.
Se trarli di miseria
A me non si concede.
Basti l' amor non timido,
S P incorrotta fede ;
Basti cbe io tresca oscena
Mano Mon ^òrsi a Okigerti
Nuova e peggior calen».
A UNO SCRITTORE DI SATIRE ICf GALA
Satirico chiarissimo, lo stile
Torrai forbire, e eolla dotta gente
Rivaleggiar di chiarissima bile?
vorrai di porcherie, tenute a mente
Spogliando Fiacco, Persio e Giovenale,
Latinizzare II secolo presente ?
vorrai di greco e di biblico sale
Salare idee pescate alla rinfusa,
E barba di cassone e di scaffale ?
Farai trionfare e declamar la Musa
Stitica sempre, sempre a corde tese,
Sempre in cerchio retorico rinchiusa ì
Oh di che razza di muggir cortese
Muggiscono per tutto in tuo favore
Tutte l' Arcadie del nostro paese !
TU del cervello altrui lucidatore?
Libero ingegno, insaccherai nel branc<»
Del servo pecoran^e imitatore?
vedi piuttosto di ehiamare a fianco
I vizi del tuo popolo in toscano :
Di chiamar aero il nero e biaoco il bianeo ;
E di pigtlare arditamente in mano
II dizionario che ti suona in bocca.
Che se BM altro è schietto e paesano.
Curar l' altrui magagne a noi non tocca :
Quando nel vicinato ardon le mura^
Ognuno a casa sua porti la brocca.
Di te> deli' età tua prendili cura ;
Lascia a' ripetitori e agi' indovini
Sindacar la passata e la futura.
Scrivi perchè t' intendano 1 vicini
A tuUo pasto, ed a tempo avanzato
Ci scriverai di Greci e di LatioU
Uno che non la voglia a letterato,
Che non ambisca a poeta di stia,
DI becchime dottissimo inghebbiato.
Ci -preferisca In prosa e in poesia.
Pur di cantare a chiare note il vero,
un idiotismo » vna pedanteria:
poi non si cresca onor nò vitupero
Pefcbè lo pianti all'indice quel Prete
Che mal si chiama succeduto a Piero ;
Z(è calcoiatameote nella rete
Dia di capo del birre, onde gli venga
celebrità d' esilio o di segrete :
E non lasel che d' anima lo spenga
He diploma, né paga, né galera:
Chi le vuol se le pigli e se le tenga.
Che ognuno è malto nella sua maniera.
FRAMMENTI
Di tenersi nei confine
Della propria intelligenza,'
E l'umane discipline
E l' eterna sapienza.
Ammoniscono le menti
D'ogni freno impazienti.
il divieto di que! pomo
Che, sedotta dal serpente^
Pregoatato offerte all' uomo
La consorte iocootlneote ;
E lo afono di Babele
Che coofoiMle le loquele;
E Fetoote che alle prove
Si scottò la mano ardita»
E colei che fu di Giove
NelH amplesso iocenerita^
Fanno il saggio circospetto
Neil' ardir dell'intelletto.
colla vista in alto assorta
Muove Empedocle le piante,
E cadendo non ha scòrta
La voragine davante.
Che ti vai studio del vero»
Se fallisci il tuo sentiero r
Cile ti vale il forte acume
Della mente irrequieta,
Se t'abt>agli in troppo lume.
Se sk)atluto oltre la meta
Ricadesti in cieco errore.
Per trascorso di vigore ì
k ciascuno è dato un punto
Al suo sé conveniente:
O varcato o non raggiunto,
TU disperdi egualmenle
La virtù che ti misura
11 Signor della natura.
Chi per manco di potere,
O per troppa loolaoaoza.
Inesperto fromboliere
Non avvista la distanza.
Vide il sasso andar distratto,
O morire a mezzo il tratto.
Chi sostenne a ferie altezza
Del pensier la gaglìardia.
Moderò colla saviezza
Del saper la bramoslu,
'xiosse a certo segno
'a dell' ingegno.
nobilmeiiie obbedienti
Alla man che e* incammina
Slamo arnesi differenti
pi mirabile oifMntL,
E fomime indailu) spera
Uno aolo all' opra intera.
S la vita ona magione
Che e' è data a seguitare
Sol disegno del Padrone
Quando, il compito hai pagato>
Cedi l'opera; e conviene
Ripigliar l'addentellato
A colui che sopravviene ;
E cosi di mano in mano
Acquistar l'ultimo piano.
Ogni secolo, ogni ^ente.
Lavorando alla diritta,
E* pensando arditamente
D'arrivare alla soffitta.
Si ooQdiisse a fio di salmo
A procedere d' uil palmo.
E noi pur tirando innanzi.
Aggiungiamo il nosiro tanto,
Proeacciaro che in bene avanzi
L'edificio altero e santo,
.Rimettiamone anco noi
Il suo tanto a cM vien poi.
FinirA l'opra mortale
Un artefice divino :
Si contenti il manovale
Di porure il sassolino
Che non so dell' Architello
Agguagliar gì' inieodimentì.
Lascerò mettere il tetto
A chi pose i fondamenti,
E la fabbrica compila
Goderò nell* altra vita.
AD UNA DÒNNA
Per poco accanto a te, qufisi smarrito
Della dolcezza, il cor quietò le piume ;
Per poco ahimè,, rapito
De' tuoi begli ocelli nel feoàve lume,
sentii lieve ogni pena
Farsi, e l'anima mia tornar serena.
Quanti éoWÀ pensieri i baci tuoi
valsero, o mia diletta, a suscitarmi l
E quante volte poi
Tornai tacito a piangere e lagnarmi
Dal di cbe mi fu tolto
Tornar di nuovo al desiato volto i
Ma se il destino a liie sempre nemico
Da te, mia cara, a un tratto mi divise.
Al tuo lontano amico
A cui privo di te più non sorrise
La vita sconsolata, .
Vengano i tuoi pensieri, o donna amata.
Ad incontrarli tenderò le braccia
Come a messaggi di novelle liete,
E per la stessa traccia
Rivoleranno a te le mie segrete
Speranze, i miei desìri,
E voti e baci e lacrime e sospiri.
Oh sento sempre il tuo tenero amplesso.
Sento una voce che mi fa beato i
Giacer mi sembra adesso
col capo sul tuo seno, abbandonato
In dolce atto d' amore, •
Suggendo 1 labri tuoi com' ape un flore.
Da quell'ora la mente desiosa
Sempre d' intorno a le vaneggia ed erra :
Ab più leggiadra cosa
E più cara di te, non spero io terra
Di ritrovar più mai I
coi primi baci il cor teco lasciai.
SONETTI
I TREMTACIKQOE kKfil
Grossi, bo ireniacinque anni, e in' è passata
Quasi di testa ogol corbeUeria;
O se vi resta uq graoo di paz^ia^ •
Da qualche pelo bianco è temperala.
Mi comincia un'età meno agiuta.
Di mezza prosa e mezza poesìa ;
Eia di studio e d'onesta allegria,
Parte nel mondo e parte ritirala.
poi, calando giù giù di questo passo
E seguitando a corbellar la fiera,
Verrà ia morte, e fioeremo il chiasso.
E buon per me, se la mia vita inlera
Mi frutterà di meritare un sasso
Che porti scritto : « non mutò bandiera. »
Tacito e solo in me stesso mi volgo
interrogando il cor per ogni lato.
E con molti sospir del tempo andato
Tutta dinanzi a me la lela svolgo.
E dure spine e fior soavi colgo.
Qua misero mi trovo e là bealo ;
Or mi sento coi pochi allo levato.
Ora giù caddi e vaneggiai col volgo.
Già del passato I' avvenir più breve
Farmi ; e il pie che va innanzi stanco e tardo,
Ricalca l'orme sue spedilo e lieve.
E ia mente veloce come dardo.
Quasi a un diletto che lasciar si deve,
Tolge d' intorno desiosa il guardo.
La numéa di poeta e letterato
Ti reca, amico mio, di gran bei frutti,
E il più soave è l'essere da tutti
E lodato e cercato e importunato.
Il grullo, l'ebete, il porco beato,
Lo spensierato, ed aHri farabuUÌ«
Fanno in pace i lor fatti o beHi ò bruiti.
Ed hanno tempo di ripigliar fiato.
Ma i' ingégno die spopola e che spaica
^ r asino d* un pubblico insolente
Che mai lo pasce e sempre lo cavalca.
E gli bisogna, o disperatamente
Piegar la groppa a voglia della calci,
O dare in bestia come i' altra genie.
A notte oscura, per occulta via
Volsi Alla tua 'dimora i passi erranti.
Pur coro' è stil dei dubitosl amaoii
Te sospirando o fior di leggiadria.
E m\ feri da lunge un'armonia
Di dolci suoni e di soavi canti.
Onde suil' ali del desio tremanti
Venne a starsi con te l'anima mia.
E tu parevi nelle care noie
Confondere 1 «ospiri, e dir parole
Che del pensier la mente si riscuote..
Ah compiangendo a chi per te si duole
Forse bagnavi dì pietà le gole,
E le lacrime non eran sole.
1 Più tirano i
PBOVXBBIO.
€he i più tirano 1 meno é veritA,
Posto che sia nei più senno e virtù ;
Ma i meno, caro mio, tirano i più,
se i più iraitiene inerzia o asinità;
Quando' un intero popolo ti dà
Sostegno di parole e nulla più^
Non impedisce che ti .bulli giù
Di pochi impronti la temerità.
Fingi che quattro mi baslonin qui,
E li ci sien dugenlo a dire: ohibò 1
Senza scrollarsi o muoversi di lì ;
E poi sappimi dir come starò
Con quattro indiavolali a far di si.
Con dugenlo citrulli a dir di no.
A DANTE
La colpa seguirà la parte offensa
m grido, come suol.
. DAKTB, Parofiiso.
Altor che ti cacciò la parie Nera
Coll'inganno d'un papa e d' un Francese,
Per giunta al doro esigilo, il tuo Paese
TI die d' anima ladra e barattiera.
E ciò perchè la ra^nte alta e severa
Con Giuda a palleggiar non condiscese :
cosi le colpe sue torce in offese
Chi ripara di Giuda alla bandiera.
E vili adesso e traditori ed empi
Ci cbiamao gli empi, i vili, i traditori,
Ruttando sé, devoti ai vecchi esempi.
Ma tu consoli doI» tanto minori
A te d' Affanni e di liberi tempi,
pi cuor, d'ingegno, e dì persecutori.
X W6X
Felice le che nella tua carriera
T'avveone di ctalaf>par la via più trita,
E li 8' affi! la scesa e la salita.
E set omo da bosco • da riviera.
stamaDe a Corte, al Circolo stasera.
Domattina a braccetto a un Gesuita ;
Poi ricalcando P orme della vita,
Doman l' altro daccapo, al siculera.
Che se codesta eterna giravolta
A chi sogna Plutarco e i vecchi esempi
Il delicato stomaco rivolta.
va pure innanzi e iascia dir gli scempi,
Che tra la gente arguta e disinvolta
Questo si chiama accomodarsi al tempi.
Se leggi Ricordano Malespinl.
Dino compagni e Giovanni Villani,
E 1 cronisti Lucchesi ed 1 Pisani,
senesi, Pistoiesi, ed Aretini,
Genovesi^ Lombardi, Subalpini,
veneti, Romagnuoii e Marchigiani,
E poi Romani e poi Napoletani,
E giù giù fino agli ultimi confini,
vedrai che 1' uom di setta è sempre quello:
pronto a giocar di tutti, e a dire addio
Ai conoscente, all'amico e al fratello.
«• E tutto si riduce, a pater mio, »
(Come disse un poeta di Mugello)
- A dire : esci di II, ci vo* star lo. •»
signor mio. Signor mio. sento il dovere
Di ringraziarvi a fin di malattia.
Per avermi lascialo tuttavia
Della vita al difficile mestiere.
se sia la meglio andare o rimanere
lo non lo so, per non vi dir bugia ;
Voi lo sapete bene, e così sia;
Accetto, vi riograaio, e ci ho piacere.
Che se mi tocca a star qui confinato
• Perchè il polmone non mi si raffreschi.
Ci sto tranquillo e ci sto rassegnato.
lo faccende non ho, non ho ripeschi,
Non son un Oste o un Ministro di Stalo,
Che mi dispiaccia il non veder Tedeschi.
EPIGRAMMI
11 Buonsenso^ che già fu capo-scuola, .
ora io parecchie scuole è morto affatto ;
La scienza, sua figliuola,
L' uccise per veder com' era fatto.
Gino mio, l'ingegno umano
Partorì cose fCupeo<|e
Quando V uomo ebbe tra mano
Meno libri e più faoeeode.
Il fare un libro è meno che niente.
Se il libro fatto non rifa la gente.
Chi fé calare i Barbari tra noi ?
Sempre gli Eunuchi da Narsete in poi.
VERSI GIOVANILI
SDITI BD IKEDITI
PER LE FESTE TRIBBUIALI DI PESCI A.
VERSI LIRICI
Quando lieto Israele
Movea cotl'arca santa ai di festivi,
E coi Leviti il popolo fedele
Alternava armonia d' inni giulivi :
Davidde umile e pio,
Dimessa ogni grandezza innanzi a Dio,
in man 1' arpa togliea,
E precedendo il carro benedetto,
sciolta Paura vocal che gli firemea
Entro i meati del divino petto.
Del caotico ispirato
Empia d'intorno il eiel rasserenato.
Il nona Uio> Signot««
narrano i Cieli' e annunzia il firmamento ;
E dolce tento di vitale odore
Come da vato d* incorrotto unguento -
Dal tuo favor ditcende,
All'anima dì lui cbe in te t'intende.
Tu beato in te stetto
Quand' anco il tempo e la vita non era,
Pur di te nel creato un segno espresso,
Qual di suggello d' oro lo molle cera,
Toletti, e ti compose^
Questo mirabil ordine di cote,
come pugno d' arena
Disteminatti pel vano iofioito
L' eteree faci : il moto e la catena
Tu reggi delle sfere, e tu col dito
Segni r ultime sponde
Ai fuochi occulti e al fremilo dell* onde.
D'ìnvitibili penne
Armi la ruinosa ala dei venti ;
Per te si versan da fonte perenne
I fiumi, e quasi oorridor fuggenti
La verga ina gli spinge
Nel mar che tutto intorno il suol recinge.
L' aere, la terra e l'acque
Di varia moltitudine infinita
Diversamente popolar ti piacque.
II cerchio uni versai di tanta vita
<:he il tuo valore adorna»
Da le muove, in le vive, a (e ritorna.
Or dall' empirea reggia
D' onde piove di grazia almo ristoro,
come artista che infuse e rivagheggia
T.inta parie di sé nei suo lavoro,
Padre,, rivolgi a noi
La benigna virtù degli occhi tuoi.
come l' umii villano
La casa infiora, e tien purgalo e nello
L' ovile intorno, se li signor lontanp
Ode che venga al suo povero letto;
Oggi cosi le genti
T' invocano fra loro, e reverenti
Questa pompa devola
T'offrono ne) desio dì farti onore.
Mille voci concordi in una nota
E mille alme che infiamma un solo amore^
come vapor d' incenso
Salgono a te pel chiaro etere immenso.
I colli circostanti.
In tanto lume di letizia accesi,
Ridono a te che di luce t' ammanti
£ nella luce parli e ti palesi.
Rompendo col fulgore
Della tua mestade ombre d' errore.
Tale il pastor di Jetro
Che tolse al giogo il tuo popol giudeo^
Prima che tanta si lasciasse addietro
Ruina di tiranni all' Eritreo,
Sul rovo fiammeggiante
Ti vide t' adorò tutto tremante,
nello dei nostri cuori
Farti santo olocausto in primavera,
Or che l'erbe novelle e i nuovi fiori
Tornan la terra alla bella primiera,
E rammentar ne giova
Quell' aura di virtù che ci rinnova.
Era così sereno,
così fecondo il cielo, sorridea
Di vivace uberlà ricco il terreno,
Quando l' uomo^ di te gentile idea.
Prese' lieta, innocente
vita, nell' allo dell* eterna mente.
ALLA MEMORIA DELL'AMICO CARLO FALUGl.
Anch' io del Tempio fra i devoti marmi
Dunque l'estremo vale intuunar deggio
Al dolce amico con pietosi carmi?
Sacra è l' opra, ma tal clic ben m' avveggio
Che saggio avvisa quei che della vita
Non cura i mali, perchè lemo il peggio.
Dalla pura aorgeole dipartila,
L'alma si veste del caduco limo
Oode la drtiu via spesso è smarHla.
indi saaia sdegnando U tristo ed Imo
LOCO d' esigilo, qual sollU vapore.
Lieto si rìcoDduce al «ntro primo.
Àllor perdono I sensi ogni vigore»
E la fragile spoglia, a cui vien manco
Virtù motrice. Illanguidisce e nwore.
Giunge di ucit' ali faaàst II fianco
L' età fugane, e telda io suo diriiio
sperde ciò che rimai» del ceoer stanco.
Ma Impressa nella mente dell'afflitto
La memoria rlman dei cari estinti.
Me volgon gli anni a cancellar lo scritto.
E d'Infausto cipresso il crin ritìnti,
Corron gli amici del perdalo ntt' urna
k tributar le lacrime e l giacinti.
E la tenera sposa taciturna
cova la doglia acerba, che l' isUga
L' odiata a fuggir luce diurna.
E di debito pianto il volto riga,
O splenda In cielo la benigna lampa,
O Febo asconda In mar la sua quadriga.
cosi, diletto Carla, in noi si sumpa
Tua sospirala Imago, e del desio
Degli ampiessi cessati ognuno avvampa.
Ood' è che intento a mesto uìBcìd e pio
icuovesi di compagni un ordin denso
m bruna veste alla maglon di Dio.
Ed implora a te requie, ed all' immenso
Offre voti che al ciel ratti sen vanno,
siccome nube candida # incenso.
Gli ode placato il Nume, e il duro affanno
Dell'orbata famiglia appoco appoco
calma pietoso, e ne conforta 11 danno.
O voi, che offiwde lo questo basso loco
Cura molesu, o morbo grave e tento, ^
sprezzate di Fortuna il vario gioco.
Questo Garzone Innanzi tempo spento
V addili che quaggiù vana è la speme.
Ed ombra che dileguasi il contento.
TU die' di doppio serto
Il crin bianco clrcoodi
Tu caro a yasiiuoho, e di due moudi
Nelle vicende e nelle genti esperto T
Te gli anni gravi e l'animo che dona
Della patria virtude hani^o ingannato;
Ma civica corona
Cinge il tasso che t' ebbe intemerato. —
Ne' tuoi legali fasti
Questa solenne gloria
Scrivasi, re : •• La vita e la meoooria
Di Lafayette avvelenare osasti. »
Dubbio grida la &aa il tuo natale;
Ma se guasti coli' or celando il ferro ,
La patria tua , che vaia
se tu regal nascesti , o di un sgherro T
Ben hai di regia volpe
insidioso ingegno :
Togli il valore , a mantenere un regno
HA tutte le virtù , tutte le colpe.
Ti fiancheggian color che la fortuna
Ha incatenati al tuo mal fermo seggio;
Te di venal tribuna
La /uria investe e il puèril molleggio ;
Patti firmar ti gio^
Co' re » ma v' assicura
Di fede invece la comun paura;
Che sia patto di re tu sai per prova.
E ancor non sazio , insidioso fingi
Moversi ne' tuoi danni armi e furori ,
E di nuove li cingi
pretoriane guardie e di littori l
Ma chi Yitellio ha spento ,
E chi Neroo , non sai ?
Dimmi non vaga ne' tuoi sonni mai
Lo spettro di Berry sanguinolento!
Tremi del nome ? e n' hai ragion... ma quale
Dubbio mi Prende ^ e che pallore è quello ?
Nella notte ferale
Dimmi , il peggior dei re non fu L^uvello ?
Chi sa per quanto inganno
Costui sublima emerse ;
Chi gli vendè la vita e chi gli aperse
Cieco sentiero al violato scanno i ~
D' oade laul' ani in poco d' ora? forse
Da luogc la corona bai iraveduia ì
He di paura morte
Te dell' aquila il volo e la caduta?
Ahi I varia eli , feconda
D'esempio a luUi è questa
Nelle vicende di ci vii leropesla
Tersile a Achille galle^iar soli' onda i
Ma pensa , o re , che la vernai bufera
Sul pelago die eorri ancor sovrasta ,
Che uon sei giunto a sera.
Che dar le vele ad aquilon non basta :
A Dio pensa, che i regi
D* armi e di senno avanza.. .
Ma tu , re nuovo, il serto e la possanza
Da lui non tieni , e il suo favor non pregi»
Da Dio la possa non conosci , e nome
Del popol prendi , e il popolo t' inspira
Dispregio , e a lui le some
Aggravi : e il credi a Dio minor nell' irar
Paventa > o re , paventa ;
Soffre anch' ei le catene
Come I' altro gli oltraggi : ecco il dì viene ,
Ei sorge , ei sorge e V oppressore annienta.
Mei delirar dalla città partila
Sogna altri sparta e il buon vivere amico ^
Altri il tuo giogo evita ,
E quel di Carlo invoca o il quinto Enrico :
Tu per lubrica via
Nella discordia audace
prosegui intanto ; ma se un giorno tace
Se un' ora il parteggiar , che fla T
Vedi, di mare in mar, di lido in lido
Serpe , un' eterea fiamma e si diffonde :
A una querela , a un grido
Anco l' estrema Tarlarla ris{)onde ,
Corre al fraterno amplesso
L' europa ripentita , *
Viver anela d' una sola vita
In una brama, in un pensiero stesso.
Guai , guai , potenti T Al primo urlo di guerra
Quella querela si farà più forte ;
Per lunghi anni la terra
Di mille genti sosterrà la morte ;
S' infrangerà V ai ligHo
Ai boreali augelli;
Cadran , cadranno ali' urto dei fraielU
notle le chiavi e disfiorato il giglio.
Tu noi vedrai , che intorno a te si oscura
Già il lume della vita , e 1* ora e giunta :
Trema , una man secura
p' uB ferro al cor ti premerà la punta.
Fia viuima il tiranno
D' uom Che morir non teme :
Vieta fortuna dissipare il seme
A man tremanti che ferir non sanno.
AVE MARIA
ALLA 8IGKOBA MARIA F.
Ave Maria i — servita e supplicata
Da una corte di gente riscaldata ,
Eserciti d'amor la tirannia ,
Ave Maria.
Ma il tuo gioco è dolcissimo, e permeile,
La libertà di stampa e dj gazzelle.
Ed. anche un po' di chiasso e d'anarchia,
Ave Maria.
S' affoUao per le sale e per le stanze
1 minislri di guerra e di finanze,
I mangiapane e la diplomazia.
Ave Maria.
L' alcova per gli affàr di gabinetto
Fa da burò, da tavolino il lello.
La cameriera è ciambellano e spia.
Ave Maria. ,
Sulle poltrone e sugli strati molli
si stendono trattati e protOi^x>lli,
Ma non producon guerra e carestia.
Ave Maria.
Tu che proprio da Dio tieni il dominio
Reputi la confisca un assassinio,
II crimeniese una pedanteria.
Ave Maria.
Le imposizioni, i dazj, le gabelle
Raschiano tutto al più la prima pelle.
Ma non va tutto io deposlterìa.
Ave Maria.
Ed è uo coororio al suddito pelalo
Che il suo daoar si spenda nello stalo»
Né teme che iruggi io uoglieria,
▲ve Maria,
IO quaoio al cullo fai da le medesioia;
Fero non e* è vigilia ne quaresima, •
E lasci dire In pace un'eresia.
Ave Maria.
Ciascuno a tomo è gran cerimooiere,
celebra, incensa, e regge il caodelliere
Senta scandalo e sema ipocrisìa,
Ave Maria.
Per dirti tt vero io soo repobblicaoo.
Ma tu fin qui sei V unico sovrano
Che mi lenti a peccar di apostasia.
Ave Maria
Si, solamente in cosi buon governo
Esser vorrei ministro dell' intemo,
O prete per entrare in sagrestia
Ave Maria
LAMENTO DELL'IMPRESARIO RICOTTA
VETTURALE
CHE ITBL 1835 PBBSE L' APPALTO DEI. TBATIO P;SAIiO.
Bravo impresario!
(Diceva un tale
Gran capo armonico
E originale) ;
Bravo impresario!
così si fa,
Ci ha data un' opera.
Ma come va t
Cos' è la Pergola T
Cos' è la^ scala ?
se fosse a Napoli
sarebbe gala.
Buona la musica
Buoni i caoianii
Bravo impresario
Tiriamo avanii!
Ricolla udendosi
Così lodare
Rispose — Eh 1 caspita t
Mi lasci stare :
Spendo, ma proprio
Getto i denari
Ed e un miracolo
se n'esco pari.
Molli che vedono
Le panche piene
Senza riflettere
Chi va chi viene,
- L' amico cesare, •»
Gridan ira loro, .
« Quesl' anno caspita l
- S' è fatto d» oro. »
:«6i X
Perchè ho il sopraMto
E i guanti? — or ora
Mi vado a roìettere
La cacciatora.
Facciamo il calcolo —
Lunai, soklaii,
MògU di comici^
Birri, impiegali
veogooo, ed empiono
Faocbe e corsie
Cento aocademtei,
Dugeoto spie;
fi uo visibilio
Di mangia a vfù
E poi •* inquietano
Se sono stufo I
Parliamo liberi.
Con questa festaj
Mi dica, alt' ultimo
Cosa mi resta t
lo servo il pubblico,
E mi confondo;
E poi T lo dicano
Ganelfa e Dondo.
SOD Potto — ed eccomi
Ritto, impalato
à udir l' antifona,
• Passi ^ abbonato- »
Le nov§ saonano,
Né paga alcuno,
E dopo un secolo:
« Prenda per uno. »
Ma se si seguita.
Per me fo monte.
Li mando al diavolo
E u>rno al ponte.
PAROLE DI UN CONSIGLIERE AL SUO PRINCIPE
Altezza^ — il secolo
Decimonono
Pareva un'epoca
Fatale al trono ;
Cavai l' oroscopo
Segnai le stelle,
E minacciavano
l4a vostra pelle:
L' ardire, il giubilo
Dei liberali.
Dei periodici
Fogli e giornali
Era di prossime
Sciagure indizio :
Ohi andate I — i popoli
Metteaù giudizio.
La Senna al solito
Urtate e rotte
Le dighe e gii argini
Fé* il don Chisciotte;
FonUedlavano
in ogni banda
I missionari
Di propaganda.
Intenti a chiedere
DI qua e di là,
Non l'elemosina.
Ma libertà ;
B d* apostolico
Zelo invasati
Su, IH», gridavano.
Su, svenluraU J
E giunto il termine
Di tanto affanno.
Si uccida il despota
Muoia il tiranno i ^
Su via levatevi
Fate da eroi,
E se vi toccano
Ci siamo noi.
Si armò la Belgica,
Si amò varaaTia,
Pedhi P Italia
sootae r ignavia,
E balbeiiarono
D* iodipeodenia
Bologoa e Modena
Che impertlneosat
Eppure a dinrela
Questi arfasaui,
se il Gallo ipocriU
Teneva i palli.
Fone acantaTaoo
Fruste e Tedeschi :
Amalo principe
Si suvft freschi i
Madibeoeiche
Toma «n period»
Fropiiio ai troni,
Ond* é che redael
Rei driui antichi
Serfoiano intrepidi
La panda ai fichi ;.
E delU torbida
Senna le ondale
Son fuochi laifli,
Soo ragasaie,
E la volubile
Genia di Breono
Che infuria e prodig»
La vita e il senno.
Che le repubbliche
Distrugge e crea
Noo cangiò d'indole
Cangiò livrea.
POESIE APOCRIFE
ALL' AMICA LONTANA
Te solitaria pellegrina , il lido
Tirreno e la salubre onde ritiene ,
E un doloroso grido
Distinto da te per lutto aere non viene ,
Né il largo amaro piamo
Tergi pietosa a qnei che l' ama tanto.
£ tu ooQOsci ancora e sai per prova
Che nelF asseoia óeW obietto amato ^
Al cor misero giova
Interrogar di lui lutto il crealo.
Oh se gli affanni accheta
Qoesla di cos^ simpatìa segreta
X 985 >:.
Quando la hina io suo candido veto
Ritorna a consolar la fiotto estiva ^
Se volgi gli occhi al cielo ,
E uo^ aoìorosa lacrima furtiva ,
Bagna il viso pudico
Per la memoria del lontano amico.
QuelP occulta virtù che li richiama
Ai dolci e malinconie! pensieri,
E di colui che t' ama
un sospir, che per taciti sentieri
Giunge a te , donna mia ,
E dell'anima tua troica la via.
Se il ventìcel con leggerìssira' ala
Increspa l' onda che lieve l' accoglie ,
E sussurrando esala
intorno a te dei fiori e dello foglie
Il balsamo , rapito
Lunge al pomarii dell' opposto lito ,
Dirai : quesl' «oda che si lagiftì e questo
Aere commosso da soave flato ,
un detto , un pensier mesto.
sarà del giotinetto innamorale ,
cui deserta e sgradita
Non divisa con me fugge la vita.
Quando sull' onda il turbine imperversa
Alti spingendo al lido 1 flutti amari ,
E oscurità si versa
Sull'ampia solitudine del mari ,
Guardano da lontano
U ira e 1 perìgli del ceruleo piano.
Pensa , o cara , che in me fugge sovente
DI mille e mille effetti egual procelia:
Ma se 1* aere fremente
Ragi^io dirada di benigna stella ,
E il tuo sereno aspello
che reca pace all'agitalo petto. "^
Anch' io mesto vagando all' Arno io riva
Teco parlo e deliro^ e veder parmi
come persona viva
Te muover dolcemente a consolarmi
Riscosso alla tua voce
jVeli' imo petto il cor balza veloce.
Or flebile Itti tuona e par che dica
Nel doleDti tospiri ; Oh mio diletto ,
All' inreliee amica
serba intero il pensier, serba 1' •flètto ;
siccome amor la guida
Essa io le al oanaola , in te t'alBda.
Or mi oootiglia e da bugiardi amici ^
E da Tane eperanae a se mi chiana.
Brevi giorni infelici
Avrai i mi dice , ma d' intatta fama
Dolce perpetuo raggio
RiscbiarerA di tua vita il viaggio,
conscio a te slesso » la letisia , il duolo
Premi e l'amor di me nel tuo segreto:
A me tacito e solo
Pensa, e del core ardente*. Irrequieto
Apri l'interna guerra,
A me che soia amica hai sulla terra.
Torna la cara immagine celeste
Tutta lieta al pensier che la salota ,
E d' un Angelo veste
L' ali / e riede a so stessa , e M trasmuta
QuelP aereo portento ,
Come una rosea nuvoletta al vento,
cosi da lungo ricambiar tu puoi
Meco le lue dotcexze e le tue pen» ;
Interpreti tra noi
Fien le cose supreme è le terrene :
in un pensiero unita
Sarà così la tua colla mia vita.
II sai, d' uopo ho di te: sovente al vero
Di cari sogni io mi formava inganno ,
' E ornai l' occhio, il pensiero
Altre sembianze vagheggiar non sanno.
Ogni più dolce cosa
Fugge l'animo stanco e in te si posa.
Ma cosi solo nel desk) che m' arde
virtù vien manco ai sensi e all' ìntelielio,
E sconsolate e tarde
Si fiiruggon 1' ore che sperando aftretio :
Ahimc, por ntiile affanni
Già declina II scntlcr de' miei begli anni.
:< ae» X
Forse mcDlr' io ti cliiaino e lu noi sai
Giunge la vita affliila aH' ore estreme.
Né ti Tedrò più roai^
Sé i nostri petti s' uniranno insieme :
Tu deli' amico intanto
Piangendo leggerai l' ultimo canto.
Se lo spirilo infermo e travagliato
Compirà sua giornata innanzi sera,
Non sia dimeniicato
Il tuo misero amante ; una preghiera
•Dal Idbbro mesto e pio
Voli nel tuo dolore innanzi a Dio.
Morremo, e sciolti di quaggiù n' aspetta
Aiiro amore, altra sorte ed altra stella :
Allora, o mia di iella.
La nostra vita si farà più bella ;
Ivi le nostre brame
Paghe saranno di migfior legame.
Di mondo in mondo con sicuri voli
Aodran l' alme di Dio candide figlie,
. Negli spazi! e nei Soli
Numerando di Lui le maraviglie,
E la mente nell'onda
Dell'eterna ariuoxaa sarà gioconda.
IL CI\EATORe E IL SUO MONDO
(15 GiUGKO 1840)
Messer uomeneddio dopo laot' anni
Mosso a pietà dei nostri lunghi alfanni.
Aperto su nel cielo un finestrino
Fé' capolino ;
E con un colpo d' occhio da maestro
Scorse il lato sinistro e il lato destro ;
Restò confuso e si rivolse a Pietro
che avea di dietro,
E disse : O Pietro I o eh' io non son più Dio,
O che è venuto men r ingegno mio t
AfTacciati e rimira l' universo,
Oli lempo perso l
E Pìeiro mesto il capo al floeslrioo
Disse: Cos'è, Signor, quel burallioo
Che in Roma vedo di gran pompa ornalo
E imbavagliato T
K sorridendo a lui disse il Signore :
O Pietro, Pietro, è il tuo gran successore ;
Gli hanno le man, la testa, i pie legali
I Potentati,
E col flio a vicenda se lo tirano
Lo volgono, lo piegano, io aggirano ;
E il popolo ignorante lutto vede,
Eppur ci crede.
Ed ei povero vecchio l la cuccagna
Si gode di far niente e di Sciampagna
Vuotarsi la bottiglia senza spesai
Povera Chiesa !
E sclamo Pietro : OV è la primitiva
Semplicità che al mondo si fé' viva f
OV è quella miseria che provai T
Cangiata è assai l —
E quel che è peggio, o Pietro, in nome mio,
Che solo il ben degli uomini desio,
ti vendon gli dnaieroi e le indulgenze
Dalle Eminenze.
SI lucra sul battesimo e la cresima,
E si guadagna ancor sulla quaresima :
E poi chi può pagar, per quanto n' odo,
Mangia a suo modo.
Senti quei corvi neri appollaiati
Che urlando vao contro gli altrui peccati,
Minacciando ruine e distruzioni.
Come padroni!
E tutto io nome mio che non so niente,
Che felice vorrei tutta la genie;
Ma lor farò veder che non son schiavo:
B Pietro : Bravo t
E questi re, che cinti di splendore
Van gridando : slam unii dal Signore :
Darò lor l'unlo come si conviene :
E Pietro: Benel
yanian diritti, ed io non ne so nulla.
Eguali 11 creai Gn dalla culla ;
E son re perchè gli altri son balordi ;
Pietro l* accaldi ?
Almen se il beo dei sudditi cereassero^
se con buone maniere comandassero.
Se le leggi facessero da savi,
Direi lor bravi •
Se mostrassero al popolo buon cuore,
Per V ani e per le scienze un vero amore,
B vivi affetti, d' onorevoi storia
Avrebber gloria.
Ma invece fanno a chi le fa più belle,
II mondo par la lorre di Babelle,
Non commetton che stragi ed uccisioni,
Oh I che birboni l
Rubano a più non posso, e poi fan guerra,
scavano le prigioni sotto terra.
Innalzano teatri e Insiem patiboli.
Chiese e posiriboli ;
E poi chi n' é r autor T se senti i frati .
_£ Dio che il castiga dei peccati :
Tutto s' addossa sulle spalle mie.
Anche le spie!
E il popolo ignorante, oppresso e gramo
va dicendo che il popolo non amo,
E bestemmia e mi manca di rispetto ;
Se mi ci metto l....
Io che creai, può dirsi, in on moroenlo
La terra, il mare e tutto il firmamento,
E che credei di far facendo P uomo
Un galantuomo ;
Che mi detti persino la premura
Di porre al suo servizio la natura.
Mi veggo io modo tal rimunerato!
Oh mondo ingrato I
E Pietro Allor : Signor non v' affliggete.
Di tanti mali la cagion non siete:
Sono I principi, 1 frati, 1 preti, il papa,
Teste di rapa. —
Senti Pielro, il bambin non 1' ho mai fatlo ,
Ma se mi salta un ghiribizzo matto
Con le mie mani li bastono forte:
E Pietro : a morte !
Dunque, Plerin, guardami bene in viso.
Tu che il guardiano sei del paradiso,
se e* entra un sol, non so se ben mi spiego.
Perdi V impiego.
X 268 ;<
così dicendo chiuse fi llneslrìoo,
B messo bravtmeoie II noiiolìDO,
Se ne andò a passeggiare inosseristo
Sopra U crealo.
%
IL GURIMNO
A parer di chi ha girato
Dell' llalìa ciascun lato
Un giardino e la Toscana,
E non sembra cosa strana,
perché fertile é n paese,
Perchè gente v' é cortese.
Perchè pura è la favella
E qualche altra coserella....
Che si fosse coltivato.
Ripulito e ben trattato
lo sarei di tal parere;
Ma con questo giardiniere,
Se si va di questo passo,
Kidurrassi a nudo sasso,
lo non dico che 11 mestiere
(Poiché nato è giardiniere)
Non conosca; ma d'altronde
(Se bestemmio o' ho beo donde)
vedo far tai buscherate
Che non poono esser passate.
Per esempio, non si cara
La minuta sua cultura,
à* abbandonan fiorellini
Tanto cari nei giardini'.
Che olezzanti e variopimì
Quivi son sempre distinti.
Se un beli' albero vi nasce
$> accarezza fin eh' é in falce
Ma se estolle e si dirama^
Coltivarlo non si brama :
Anzi al suol presto è glttato,
Messo in pezzi ed abbruciato :
E si pianta con gran cura
Altro tronco per natura
Assuefatto ad altro clima,
E sol quel s' onora e stima.
Ben pasciuto e vigoroso
SI fa grande e rigoglioso.
Protettore ei già si vanta
D' ogni stelo e d' ogni pianta
Che avvicina, e in conclusione
Toglie a lor ìa provvisione,
fi calore, il nutrimento,
E morir denno di stento.
Si profondono tesori
Per far suolo e piantar fiori.
Ove Ingrata la natura
Mai non volle la cultura.
Ha rivolto 11 giardiniera
(Ben cocciuto in suo pensiere)
A tal opra gigantesca
Crede ben che gli riesca;
Non si accorge mescbinello
Nella rete qual uccello
Esser preso daifurboni
Che gli mangiano i ruaponi
E via torni a coltivare
Quella terra che può dare.
Quando sia ben coltivata
Fioritissima derrata.
Né più cerchi d* innovare
Co* sistemi d' oltremare
Che passar vuol far per suoi,
E adattati fosser poi....
Non ostante meno male
FOsser dati tale e quale
Che i cullor d* altro paese
Impararo a proprie spese;
Ma 11 tentar delle riforme
sopra varie certe forme
Ba ripieno d' impiegati
Che quantunque mal pagati
^Taiidar deano il bel giardino
In rovina, poverino!
Se 8ì contano gì' impiegali,
valutando i pensionali.
Noi vedremo ch'ogni flore
Puote avere il suo cultore -,
Ma ogni fiore non può dare
A un cultore da noangiare;
E tu, caro giardiniere.
Se non cangi il tuo penaiere,
oiaccliè sei sì indebolito
Anderai presto fallito....
peh 1 se pure non è tardi
Volgi indietro aloieo tuoi sguardi:
Prendi a norma i tuoi maggiori.
Se non buoni a te migliori ;
sappi sceglier con giudizio:
Gonsiglier che al precipizio
Sappia togliere il giardino.
Ed allora pian pianino
Alle regole tornando
Trapiantando e ripiantando,
E sterpando l' erbe vane
Che son più di quelle sane,
Rifiorito, rinverdito»
Ben condotto e ripulito
Sarà allor giustificato
11 ben nome che gli è dato.
IL FALLIMENTO OEL PAPA
IKKO nEI VERI CHE DENTI
LAMENTO DEL VWK
Vestitevi a lutto
Fedeli credenti.
Gridate per tutto
Con voci dolenti:
Oh ! caso inaudito,
li papa è fallito.
Fallita la fede T
No, bestia: la Chiesa ;
Di Pietro l'erede
Crescendo la spesa^
L' argento ha finito :
Oh! caso inaudito,
Il papa è fallilo.
Né basta il talento
Del gran Lambruscbini
Al cento per cento
Non trova quattrini:
Ohi caso inaudito.
Il papa è fallito.
Ma quei che nel core
Nulriscon la fede.
La fede d' amore
Che Cristo lor diede ,
Invece di pianto
Inalzano un canto.
CANTO
Fallito è l' infallibile
sovrano dei sovrani.
Che spesso ne* suoi popoli
insanguinò le mani.
Fallito è 1' infallibile
Che per un lusso insano
Fra poco l' appigionasi
vedrà sul vaticano.
570
Fallito è l'infallibile
Che Cristo sbugiardò,
Quando sull' ara in maschera
La religioo sposò :
c:he un di per rea libidine
Di temporal domìnio
Sirisciossi nella polvere
A pie del re Pipino;
E p«r serbare I (iioli
Di papa e di sovrano,
A benedire i desjMii
Distese la sua mano
La alessa man che al povero
Per domandar si schiuse,
E avuta relemosina
Vilmente la profuse :
La man che un dì le libero
Genti chiamava a guerra^
E le spingeva in vortici
A devastar la terra.
La man che il legno misiico
Alza del gran riscatto,
Mentre di morte l'ordine
Segnato ha di soppiatto :
Si quella man benefica
Che un Popolo diviso
Per mezxo del carnefice
Riunisce in paradiso.
Esulta, esulta, o misera
Gente della Romagna,
Se manca Toro al despola
Finita é la cuccagna.
Oh ! fatto memorabile l
h* argento Israelita
. Il capo dei cattolici
Fioor manteoue in vita.
Ma or che allo scismatico
11 credito ha girato,
Oh povero pontefiee!
Rolscbild l' ha buggerato.
Ma qual mai lamento
Ferisce rorecchio?
E il papa sgomento
Qual debole vecchio,
Che sfoga del cuore
La pena, il dolore.
Piangendo egli dice:
" Ma popolo mio,
- se tu se' infelice
" che colpa ci ho io ?
- lo son come le
•< zimbello de' re.
« Olì 1 quante ne passo
» con questi sovrani:
» Se facdo il gradasso
- Mi legan le roani,
«•se faccio lo schiavo
» Allora son bravo.
« Aggiungi una frotta
« Di preti volponi,
« Che veston la cotta
M Per far da padroni,
« E a me stanno addosso
<• Quei cani ad un osso
« Con fichi, e moine^
« Parole melate
M In lusso e sgualdrine
« oivoran l'entrate:
« Chi paga la spesar...
u La povera Chiesa.
« Decrepito, oppresso,
« che cosa ho da fare?
n HO solo il permesso
« Di bere e mangiare :
« Sul trono che faccio 7
'< Ci fo da Pagliaccio'
> Fra poco morrò:
•* Faran relezione
- Andranno però
•• Cercando un coglione,
** una lesta di rapa
« Per meuerlo papa.
• Ah 1 popolo mio,
« Deb, credilo a me,
«* Se Domeneddio
« Non e' entra da se,
«• E a quedi regnanti
« Superbi, ignoranti
< Con mano potente
m lì fulmio non scaglia
• Gbe scenda repente
** Su questa canaglia,
•* Le cose, lo veggio,
*• Andran sempre peggio.
COME VANNO LE COSE
Che imporla il vivere
Male al presente
Se il tempo perdesi
senza far niente.
Tutto va a rotoli
Ognun il vede,
Tulli si lagnano
Ma oiun provvede.
Vecchi decrepiti
Fanno le carte;
Valenti e giovani
stanno in disparic.
e sol che annuncino
Di fare un pa.sso,
Ecco gli opprimono.
Gridano: abbasso l
Ma dunque credonsi
For'se immortali ?
Oppur ci slimano
come slìvali T
Di speme languido
Si vide un raggio.
Ma fu, noi miseri l
Sol di iiassnggio.
L' acuto pungolo
t>iantanci a imo ;
Poi gonfl gridano
Abbiamo aralo.
Che il morbo asiatico
Non gli uccidea,
E solo al popolo
Guerra facea.
E sordo un giudice ?
si mandi via :
No : a questo opponesi
L' economia.
Ma un volo perdere
Può un innocente i
Meglio è che appicchisi
Qualcun per niente
Gli affari slagnano
Quel magistrato
Per gli anni e torbido
Rimbambolato.
Tranne il rimuoverlo,.
Provvederemo,
O per dir meglio.
Ci penseremo,
intanto imbiancano
Le chiome a noi,
E al giogo aiiaccanci
Siccome buoi ;
I CONSIGLI DFX MIO NONNO
'Inaili del merito
Oioeami U dodoo:
Bada 000 vincati
La gola e il sonno,
se vuoi le cariche
Se vuoi gli onori.
Sui libri iotislca
Lascia gli amori.
sempre veridico
Sarai con tutti
Non far l' ipocrita
Né ti ributti
Vederli il premio
Cbe li è dovuto
Di bocca toglierti
Da qualche astato
Ligio devi essere
Al tuo dovere,
Né altrui per grazia
Dei far piacere.
Bada non vincati
La prevenzione.
Solo a giustizia
Farai ragione.
Segui, diceami,
L' avviso mio,
Quella buon' anima
eh' ora è con Dio.
Né ti spaventiQo
Contrari eventi.
Raggiri e cabale
Di maivivenii.
L* invidia fiaccasi
E chi ha il potere
Il giusto e l'equo
Torna a vedere.
Allor ripunti
sei presso il porto,
E delle angustie
Avrai conforto.
Così diccvami
L'avolo mio
Quella buon' anima
Ch' ora é con Dio.
Giusto sembravaroi
Quanto e' dicea :
Ma l'uomo é instabile;
Cangiai d' idea
Fui istaocabile:
sodai, gelai,
E' il beo promessomi
Non veooe mai.
Servigi e titoli
Produssi invano.
Posso forbirmene
li deretano,
eoo gran rammarico
lo mi accorgea
ette Don intesero
Quel eh' io dicea.
Perché i vocaboli
Hanno al presente
Senso dai pristino
Ben differente.
Or verbigrazia
Per verità
Si suol intendere
Temerità.
Raggiro e cabala
E saper fare ;
Zelo lodevole
li calunniare.
Esser veridico
È far la spìa :
Chi è avaro e sordido
Fa economia.
Bigotto e ipocrita
Suona al presente
Per uom piissimo.
Vero credente.
X *» X
L' usura é utile, Chi delle lettere
cauzione è il pegno : Fra gli ozii suoi,
Di bontà d' animo, È uomo dubbio,
^ ,j0^ '!c e segno. Lungi da noi.
'ae alcuno eslellesi Leggere e scrivere
E si fa chiaro. Gli è necessario:
La taccia acquistai Basta che il popolo
Di carbonaro. Legga il lunario.
Deh 1 nonno svegliali,
E dimmi poi
A che giovarono
4»« avvisi tuoi II
DIALOGO
Fra «Ita Marchesa e un Astrologo
Js» se a questa verga magica
Signora voi credete.
Il sospiralo bambolo
Fra novi mesi avrete.
Sta pure In voi lo sciegliére
L' indole sua, lo stato.
Da voi dipende II renderlo
Illustre e fortunato.
Volete un sommo astronomo,
un intelletto forte t
Mar, Di Galileo spaventami.
Di Niccolò la sorte. —
As. Un gran guerrier cui pieghino
I re la fronte Irata t —
Mar. Lo scoglio di Sant* Elena
Troppo è di fresca data. —
As. Or ben del fuoco etereo
Fiamma su lui discenda
Sia delP Italia il Pindaro
ed immorlal si renda. —
Mar. Fra noi, mio caro astrologo.
La poesia che vale ?
Dante morì in esilio,
Torquato all' ospedale. —
As, Facciamo un' alma Intrepida,
un Regolo, un Catena —
t8
X 314 X
jfar. Poffai t che il c\e\ m\ lìberi
pariorirei in prigione. —
jis. Tempo non vi è da perdere.
Le tlelle, o mia signora,
L' impero mi concedono
Un sol roìDUlo ancora. ^
Mar, Facciamo
yff, orsa decidasi
La sorte dei fanciullo. —
Mar, Percbò sia felicissimo
Facciamolo cilrullo.
APOLOGO CONTRO 1 FALSI LIBERALI
un comico fu già ciie d' amoroso
Facea le pani, ma cresciuti gli anni
E di?enialo ormai curvo e grinzoso.
Lasciò le dolci smorfie e i lieti paoni,
che male i cigni ooniraffar presume
con voce spennacchiala un Barbagianni ;
E messo a torchio il naturale acume.
Le parti fatte, e quelle poche idee
Dell' arte de) teatro e del costume,
S' infilò le ciabatte sofoclee,
Né lo ritenne il non sapere aUingere
Alle fonti del Lazio ed alle Achee.
A schiccherar si dette ed a dipingere
Genti novelle, inaudite storie
Ch'altri sognar non seppe. anzi che fingere;
perocché lesse in non so qual memoria.
Che i dogmi d' Aristotile oggimaì
Son vani sogni e regole illusorie.
Ma Rii altri un dramma superò d' assai.
Per quello che ne disse il manifesto.
Di un certo re che non è stato mai ;
E perchè non finisse tanto presto,
volle darlo in tre sere, e nella prima
venne condotto fino all' atto sesto.
Ruine, Incendi, balli e pantomima
Nelle parti di mezzo e nelle estreme
V' erano, e versi sciolti e colla rima ;
E ghirlande e berreltr e diademe.
Tribunali, osterie, spade e forchette.
Allegramente mescoUle insieme;
ir' er^it irenti eavalli ^e ireDlasetie
prolagODisii^ UD bove, un elefante,
B Bell'uUimo grandine e saeiie
La compagnia che non aveva a unte
Parti diverge analogo il vestiario.
Me degli attori il numero bastante,
A una stessa persona, a uno scenario
Facea &r mitle parti, ed era bella
Veder ebe un-, solo al calar del sipario
Cuoco era stalo e giudice e donzella,
B il generale della prima sera
Far la seconda il boia o il pulcinella.
Questo strano spettacolo è la vera
hninagioe del mondo ; un istesso atto
Ti pFeaeolai la reggia e la galera,
E l^uomo oneste unito all'arfasatto,
Il denoto alla spia, col birre il prete,
E la Mffba e il filosofo a contatto.
E v'^é ebt grida al popolo : « Sorgete !
« E gimito il tempo sospirato ed almo,
« Morto al t'^anni, uccidete, struggete.
« Destati «Alia » ed alla fin del salmo
LA nedi io luoco, oppur colla pianeta
O uo crocione all'occhiello lungo un palmo.
Ma frustar la canaglia è cosa vieta:
Meglia sarebbe un picchio sulla tesu,
S correndo dalla a fino alla zeta
Sbrigarli tutti e poi suonare a festa.
PARLA IL MASCHERONE DELLA FONTE DEL TETTUCCIO
lo son probatica E mi si aftodiano
Fonte novella Da tutti i lati
propizia ai fegati» Afflitti stomachi
E alle budella. Corpi gonfiali.
Non bo gli antidoti col mio specifico
Dell' Uomo^Dio, Non vale un et(e
Ma i miei miracoli il geroglifico
Li faccio aodi'io. Delle ricelle;
Quantunque inutile Per me le pillole,
Al gobbo, al zoppo. Gli olii, gli unguenti
Mi trova un balsamo Sono ammlnicoli
Chi mangia troppo; Da cavadenti.
«6
Senza Ipdcratica
Dotta impostura,
seosa le cat>a1e
Di lunga cura,
10 mando libera
V età senile
Dai duri calcoli
Di Teccbia bile ;
Dal giallo itterico
▲niieipato
lo delle giovani
Salvo il carnato ;
Per me la suocera
Arzilla e gala
scorda le invidie
Della vecchiaia,
E già si pettina,
Già s'innamora,
E lascia vivere
Anco la nuora,
11 ser canonico
penitenziere
Sala gli scrupoli
Qui nel bicchiere,
E se mostravasi
Già per V avaote
Per acrimonia
intollerante.
Ora portandosi
Da galantuomo
con larghe maniche
Bitorna in Duomo,
Per me il vicarie,
Pascià toscano.
Disostruendosi
Diventa umano ;
Purgati i visceri,
sano 11 pilòro.
Scosso e famelico
Ritorna al Foro ;
lo quel prim' inpeto
Più moderalo
▼uota le carceri
Del vicariato.
Di più nel rapido
Giro d' un mese
Qui riunendosi
D'ogni paese,
vtQani, nobili.
Birri, crociali.
Spie, preti, monache,
scrocconi e frati,
in laot' amalgamo
Fra tante sette,
senza disordine.
Senza etichette,
sorge repubblica
Breve Innocente,
col beneplacito
Del presidenteu
Ch<t se mi chiamano
II Mascherone
Perché l' immagine
HO di leone.
Contro I malevoli
Mi rassicura
Il noto simbolo
DeHa scrittura,
Là dove trovasi
Nel forte il miele
Da lui che 1' Ercole
Fu d' Israele.
E poi se il pubblico
Mi trova brutto,
Non vo' confondermi.
Concedo tutto.
Ma sono a prendermi
In fonido in fondo.
La meglio maschera
Di questo mondo.
SOTTO CHA CARICATURA
DI DOM TOMMASO GORSUfi
Questa eteroclita
^iraoa figura
È una patrizia
caricatura^
Una serotina
Coglia sdentata,
Uo mostro giovine
Di vecchia data,
Va' illustrissimo
Di quinta-essenza
Cbe acquistò titolo
Coll'indulgenza,
Quando al Paraclito
venne in idea
Fare un pontefice
Dì nome Andrea,
E dei cattolici
Ceder la brìglia
A un abatucolo
Della famiglia.
AVVISO
PEL KDOVO TEATRO DEL BEAL PALAZZO
31 annunzia ai Fiorentini
La nuova compagnia dei burattini;
p' Austria l' Imperatore
È il capo direttore,
E dì Modena il duca è l' assistente :
I ministri, il Granduca e la sua gente
Sono le più perfette
E care marionette.
Il pubblico aggradire
Si prega, e intervenire,
Certo che si daran tutto l'impegno
Dì mostrarsi qual soo teste di legno ;
E del teatro a rendere
Più viva V allegria
Daran per prima recita
La soppressione dell' Antologia.
ALL' AMICO PROFESSORE N. N.
9UAKD0 PER LE MALE ABTI DEGL' IPOCRITI FU DEPOSTO
DALLA CATTEDRA DI FISIOLOGIA.
Come torna nell'aprile
Rondinella al nido antico,
Tal nell' animo gentile
La memoria dell' amico.
Della gioia a lieti giorni.
Dolcemente ti ritorni.
se cedendo al parotiisno
Dell' iDTldia che r affoga,
Qualche volpe eolla toga
Ti coDdaDoa aroslraciamo:
se eoo dardo avreleoato
Ti ferisce alla loaiana
un filosofo lotarlato.
Una mummia bacooiaoa:
se un abate veoeraodo,
Bottegaio d«Ila stola,
Piamente mascherando
Ogni gesto, ogni parola,
nt iMiscare uo benefizio
Ti consegna a! Sant'Uffizio :
sciolto ornai da tanti aguati
Fra gli amplessi invidiali
Di colei che t' innamora
Godi, e manda alla malora
11 sofista, il professore,
E il falsario del Signore :
Yivi in pace, ne l' involi
Questa pace altro nemico»
E sovente ti consoli
La memoria dell' amico.
IN MORTE DELLO SGRICCI E D' ALTRI FEDELI
SALMO
Laudate pueri Domhiumt
E morto chi profuse
A danno del preterito
L' entrata delle muse.
Colui che zoppo zoppo
di trotto, e di galoppo
Teneva dietro agli uomini,
Laudate pueri Dominum
I«audate nomen Domini.
Laudale pueri Dominum i
U Satiro feroce
Là dietro Michelangiolo
Riposa in Santa croce.
Il giorno del giudizio
vedremo poi se il vizio
O la virtù predomini,
Laudate pueri Dominum
Laudate nomen Domini.
Laudate pueri Dominum t
Che ci mandò la manna,
sani la sera in seguilo
Ritorneremo a Nanna.
Air uomo di talento
S'innalzi un Monumento
A spese de' Buonomioi.
Laudate pueri Dominum
Laudale nomen Domini.
Laudale pueri Dominum /
La bisestile annata
colà dietro la Cupola
Ha preso la granala.
Spazzando il vizio reo
Che il Preie, e il Galauo
NOn vogiion che si nomini.
Laudale pueri Dominum
Laudate nomen Domini.
Laudate pueri Dominum i
Che sempre si soccorra
Da Caterina et reliqua.
Da Sodoma e Gomorra,
Mandando a prò dell'Ano
Spessissimo a Trespiano
Di questi Galantuomini,
Laudate pueri Dominum
Laudale nomen Domini.
L' ARRUFFA POPOLI
Ateo, sailniista, apostolo d' inganno
vUe, se t' odia, se ti palpa^ abietto.
Monco al ferro, centimano al sacchetiò,
Nel no maestro di color cbe sanno ;
Sotto l' ammanto dello stoico panno
Gela il cor marcio e' 1 mal intelletto,
infidloso, oltracotante, inetto,
Libera larwa di plebeo tiranno,
Tutto sfa, nulla fa, tutto disprezza,
sonnambulo ha il cervello e la scrittura,
sofista pregno d* infeconda asprezza,
Fecondità del mulo, a cui natura
Die forte il calcio e più I' ostinatezza.
Ed 1 cog per cogl a.
UN DESINARE IN TEMPO DI QUARESIMA
ossia
giovedì' vbkebdi' e sabato SAIìTO
Mentre tu gongoli
Fra lieti amici
Per le tue floride
Erme pendici.
Più mesto il popola
In veste bruna
Piange sili Golgota
La sua fortuna;
Tulli col gemito
E coi lamenti
Pur cbe si dolgano
W esser redeof^.
se tanto strazio
Tanto dolore
He costi P opera
Al Redenlore,
I volti, gli abiti.
Il prego e tutto
Al core annunziano
Disgrazia e lutto.
La Chiesa celebra
A faci spente'
Le sue simboliche
Nozze cruente ;
L' alto Silenzio
Dei sacro foro
Non rompe il penduto
Bronzo sonoro ;
Sembra cbe il tempio
Sole non schiari,
vuoto è il Ciborio,
Nudi gli altari ;
Fiamma di lampada
Al ciel non sale,
Son l* urne vedove
D' acqua lustrale,
Né muove il chierico
Al clero avanti
D* incenso e aromaii
Tazze fumanti;
Luogbe serpeggiano
Coi tanU riti
Lisie d* acoona
E di leviti.
Che recan (imidf
E rivereoti
Del grao supplizio
I rei strumenil,
Le spine^ i vincoli,
L' asla, il flagello,
I chiodi, il calice.
Guanti e martello;
E oieolre pregano
io fioco tuono,
Ruscello sembrano
▲1 corso, al suono :
Ruscel di lagrime
Che umile e pio
Sen corre al tumulo
che chiude un Dio.
Scioline tremule
D* opaca cera
II lembo accerchiano
Di coltre nera,
E il corpo additano
Del Dio fatto uomo,^
Che giace vittima
Del fatai Pomo ;
Prostrati al feretro
Devoti e tristi
Versi salmeggiano
sacri coristi;
ECO d' armonici
Cupi slruroenlt
Seconda i mistici
Latini accenti,
E quasi in fervide
Gare divote
Fra loro alternano
E voci e no(e>
Qua! fida tortora
Che in flebil canto
Piaoge e col piangera
'ama al pianto ;
non tuono d' organo.
Ma gì' ioni accorda
Soffio di flauto,
TOCCO di corda.
Che suoni spandono
Melodiosi
in mezzo a funebri
Letei riposi.
Intanto l' anima.
Il cuor, la mente
Inorridiscono
Divotaroente,
Mentre dal pergamo
L'aria percuoie
Voce patetica
Di Sacerdote,
che narra l'unico
Terribil caso.
Per cui tremavano
Orlo ed Occaso;
Marra fra i pàlpiti
E fra i singulti
Del giusto e misero
L' onte , gì' insulti ;
Il bacio perfido.
Le ordite trame.
Le accuse, il carcere,
Lo sputo Infame
Fitto nel cranio
Fra il biondo crine
Il crudelissimo
Serto di spine t
Le verghe in aria
Di sangue rosse.
Il peso, il numero
Delie percosse;
D' Eroffe perfido
Pilato ed Anna
Il reo giudizio
E la condanna r
Esclama: Infamia!
Si duoi, si lagna.
Quindi al Calvari»
cristo aocoa
Là sul patibolo
Mostra pendente
JNudo il cadavere
Dcir innocente ;
Reso ludiJM'io
Di vili squadre, '
In onta a tenera
Intatta niadre.
Che il sen si lacera
E Gssa il ciglio
Sopra l' immobile
Corpo del figlio,
. morello V ultima
Voce risuooa
Dal labbro esausto:
- Padre perdonai »
E io, mezzo agli angeli
Al Padre vola.
Puro lo spirilo
E la parola.
Alfine tacita
Il corpo addita
Piagato e lurido,
Privo di vita/
Sul quale versano
Balsamo e baci
Pietose vergini
Fide seguaci;
E fra le tenebre
Del grao mistero,
La fède, 1 simboli.
Il falso, il vero.
Anco l'incredula
Ebrea falange,
Degli empi l' empio
P\\\ prega e piange.
Regna mestizia.
Cordoglio e duolo
Apcbe oltre 1 limili
Del sacro suolo ;
Le vie non popola
Moto di genti
Per danze, crapule,
Divertimenti ;
compunto e tacito.
Senza contesa.
Ognuno circola
Di Chiesa in Cliiesa
Con gran mestizia
E riverenza,
Caralterisliclàe
Di penitenza.
Fin le più libere
Del sesso imbelle
Par che non curino
Rendersi belle;
Han mesto V abito,
Nero e negletto,
Né gemme portano.
Me fiori in petto ;
E sotto nobili
Lievi gramaglie
Velale brillano
Lunglie medaglie.
Lo mogli lasciano
I favoriti,
Lascian le praliclie
1 lor mariti ;
E nel cilizio
E nel digiuno
Al matrimonio
Torna ciascuno.
Qual torna rapido
coir armi In fronte
Cervo alla limpida
Bramata fonte,
E qual dall' Arabo
Lontano lido
Torna la rondine
Al vecchio nido.
Vinte da scrupolo
Le innamorate
kconomizzaoo
Perfin le occhiate.
Tentala nubile
Dico al suo bello :
m Dopo i capitoli,
» Dopo l' anello;
:««:
selama la Tedova :
» Oh amor fallace i
• Buona memoria
» Rimaoll lo pace ; »
vecchie pinzochere
Coi volli gialli
Pregando purgano
Gli amichi falli;
L' orba rachitica,
Celibataria
Per pudicizia
involontaria.
Piange grinutili
Peccati fatti
Di desideri
Non soddisfatti.
Quello che invìdia,
Quello che tenta.
Quello che mormora,
Quello che inventa,
Fin che fa satire
cattive e buone
Fu gran proposito
Di compunzione.
Ogni cattolico.
Giovane e vecchio
Sue colpe al parroco
Dice all'orecchio ;
Di tutte nascile.
Di tutti ceti
Confusi gettansi
A pie de* preti,
E senza tìtoli.
Senza burbanza,
Con apostolica
santa eguaglianza,
il petto picchiansi
Confusi e muti
Tanto le Monache
Che i dissoluti.
Chi può descrivere
I differenti
E stati e spiriti
Dei penitenti ?
E BgU prodighi,
E padri avari.
Serve, denwstici,
Referendari,
Agenti, e biodMi
£d usurai.
Chirurghi medici,
E macellai,
E manutengoli,
E parrucchieri
Che il pelo radono.
Ganze e banchieri,
E pizzicagnoli,
E bottegai,
E furbi e despoti,
Fatlor, vinai,
E birri e musici,
E professori.
Devoti, apostati.
Calunniatori,
E gravi Satrapi;
E liberlioi,
E quei che rubano,
E contadini.
Fallili, nobili.
Padroni e mozzi.
Speziali, chimici
E vuoia-pozzi,
E ricchi sudici.
Mamme pulite.
Ed osti e comici,
' E attaoca-lite,
E 6lantropici
E negoziami.
Sensali e discoli.
Scaltri e furfanti.
Ciuchi discepoli.
Bugiardi tristi.
Sarte pettegole,
E novellisti.
Maligni critici,
Ed impostori,
E 6nti e poveri,
E adulatori.
Fabbri, geometri,
Pigri insolenti,
Oziosi e stupidi
Impertinenti,
E dal più inimo
Nato nel fango
▲ll'uom di merito,
E d'alto rango.
Legali e giudici,
Dame e signori
Fin si confessano
I coiìfessori ;
E tutti gridano :
• Signor, mi pento ;
« Fo di ben vivere
«< Proponimento,
« Pensando all' ultima
** Quadrupla sorte
•• cielo, Giudizio,
• « Inferno e Morte. »
Talché distinguere
Si spera invano
Chi sia l' ipocriia^
O il buon crìstiano.
Tutti consimili
E tutto eguale,
Tristezza massima,
E generale.
1 NUOVI CROCIATI
Ma nuovi strepUi
Di fuochi e fonti.
Lieti rimbombano
Per vaiti e monti;
Vessilli candidi
Al vento gonfi
Brillando annunziano
Gioie e trionfi;
Raggio di giubilo
all'improvviso
Sembra discendere
Dal Paradiso;
Canto festevole
Canto giulivo
Intuona gloria :
È vivo, è vivo i
Ahi se tu gongoli
Fra lieti amici
Per le tue floride
Belle pendici.
Non più tripudio,
Non più diletto ;
Ma perchè 1' anima
Non regge in petto
Allo spettacolo
Di Cristo morto.
Vieni, alleluia 1
Cristo è risorto 1
DEL 31 GENNAIO
Stava Pietro d' ira acceso.
D'una croce al pie prosteso
Pien di triste immagini
K a sfogare il duolo orrendo
così andava ripetendo
Con amare lacrime.
povera croce
Che in petto ai perfidi
Hai nuovo aitar,
Odi mia voce,
'Deh tu li fulmina
Torna a brillar i
Te del reo supplizio estremo
Vendicò il Reltor Snpremo
Dalla turpe infamia.
Ma un desiin di te non degno
Di viltade or ti fa segno,
E coi rei rilornatl.
Povera croce ecc.
In mercede al vero merlo
Già tassestl a quello un serto
Di vlrlude premio.
.981
Or disceM io petto ai tristi
vile ai buoni divenisti,
S'ecclissò tua gloria.
Povera croce ec.
ctie i più ladri, i più furfanti.
Gli imbecilli e gì' ignoranti
Or di le si fregiano ;
K gì' ipocriti, e i buffoni,
Bacia-pile e mascalzoni
Sol di le si pregiano.
Povera croce ecc.
Mira Nando con Lisetta
Canio un duo sulla spinetta
In un luon cromatico.
K perchè da cima a pie
Toccò ben r A la mi ré.
Tu dai 8cn gli ciondoli.
Povera croce ecc.
Perchè Bista seppe accorto
Far con dama il cascamorto
Ed il fumo vendere;
Tu ben presto ricca e bella
Sol loercè della gonnella
Dal suo collo dondoli.
Povera croce ecc.
K percliè con un po' di foglio
Esci ben da certo imbroglio
D' un comparso bambolo,
Raddoppiata fu la posta
L'una all'altra sovrapposta
E altre croci vennero,
povera croce ecc.
Meco Cario che si striscia
Ratto al suol come una biscia
Dietro un certo tanghero.
Gli fa io casa la partita,
Sua eccellenza è divertila.
Croci a lui non mancano.
Povera croce ecc.
Anzi a coppia le commende
Giù gii piovono^ e prebende
Che pare un Calvario.
Egli gonfia, e gli zecchioi
Alla barba dei bambini
Mette io tasca e seguita :
Povera croce ecc.
A severo sindacato
Sta sugli altri Baldoriaio
E il beo regio simula ;
Ma frattanto scaltro aduna
Quanti doni la fortuna
Gli offre nella carica.
Povera croce ecc.
Benché mostri brutta cera
Poi si adatta, e fa io maniera
Di crescer la rendita.
E gl'impieghi, e i beoeflzii.
Le commende e I nuovi uffizii
In sua casa eolaoo.
Povera croce ecc.
Renzo porta doppi occhiali
Per poter gli originali
Dalle copie scernere;
E seduto sulla scranna
con 1:1 visia d' una spanna
Coli' accetta giudica.
Povera croce ecc.
Che se scritto noi rinviene
Piglia granchi per balene
E e... per fusoli.
Che interessa T fé' uno sbaglio,
E una croce al suo travaglio
Renda il premio debito.
Povera croce ecc.
Passa Nanni curvo e chiotto
Di rosari e messe ghiollo
Tutto il di alla predica.
Vada poi tutto V uffizio
Sottosopra a precipizio
Alla croce attaccasi.
Povera croce ecc.
Sia pur Brocco Impioconito
Per il vin mal digerito
Che noi fa connettere ;
985
S^Sga pure in Irìbunale
Sonnacchiando, ciò gU vale
Una croce splendida.
povera croce ecc.
Egli ha fallo un gran progetto
A messere, ma in efreito
Non ha base solida.
Non importa, è troppo bèllo
va premiato il gran cervello,
Ei la croce merita.
Povera croce ecc.
vedi Cecco nuovo Marte
Che di guerra apprese l'arte
Nel pian di Peretola,
Or quel brando distruttore
Della croce abbia l' onore,
Salva fé' la patria.
Povera croce ecc.
In due staffe tiene il piede
Maso, e mentre nulla vede
sempre par die invigili.
Or per I» uno, ed or per l'altro,
Mentre un occhio serra scaltro
La commenda aumentasi.
Povera croce ecc.
M6mo avvezzo fra le balle
Or si stringe nelle spalle.
Che non sa di fabbriche.
Poverin non se n'Intende ;
E per presto le commande
Non avran gli stupidi ?
Povera croce ecc.
Guarda Marco faccendiere
Del comun spedizioniere
Finta In ogni trafOco.
Per l' Impiego basta un' ora
poi si serva la signora.
Le commende abbondano.
Povera croce ecc.
Lino prende come ciancia
Di giustizia la bilancia,
Benché siane preside;
E con tutta- indifferenza
Dà alia cieca la sentenza.
Ma crocialo vcdesi.
Povera croce ecc.
A un cammin che rovinava
Quel ripara, e a lui si dava
Bella croce subito.
Questo è il re degl'Imbecilli,
Quel rovina è dei pupilli,
Ma si fan crociferi.
Povera croce ecc.
E poi basta finger destri
O in rubare esser maestri.
Viene la croce subilo.
E cosi in altre stagioni
Ebt>er certi miei padroni
Fiocchi, nastri e ciondoli.
Povera croce ecc.
vedi Giorgio, un vuoto io cassa
Fé' pel giuoco, gli si p.t88a,
E il riposo godesi.
Anzi a schermo del suo onore
vien la croce e il fa signore
Pensionalo e libero.
Povera croce ecc.
Liscia beve tanto a isonne
Cbe più cotto di tre* monne
Per le terre rotola.
Ed al suolo tramortito
Quelle croci ond'è fiorito
Brulla nella polvere.
Povera croce ecc.
E qua! fé' 1 mio Cencio imprese
Che del merlo il posto prese?
Ben si porta a tavola.
E ancor ei le croci schiera;
Avrà vitata la bandiera
Al palio degli asini.
Povera croce ecc.
Bista prima liberale,
Or^ scrivendo senza tale
scaltro adula il Principe.
Il passalo coti emenda,
onde é forsa eh' egli ascenda
Alle croci, ai titoli.
POfera croce ecc.
Spreca Sandro dello Stalo
L' arclie ; vuole proBCii^lo
Di Maremma l'umido*
Ei fa peggio, ma i e
Lo forniscon di rusponi,
E più croci beccasi.
Povera croce ecc.
D* avaaiar sul punto è Fiata,
Ma vien detto : ha corta vista,
Piuttosto si giubbili.
Un Untino brutto ei resta,
Ma la pillola indigesta
Colla croce indorasi.
Povera croce ecc.
Alil non più la Qnirei
nei crociferi più rei
Se facessi il novero t
E se dato foase in cuore
Ai più leggere, oli I cbe onore
Molti si farebbero,
povera croce ecc.
Si vedrebbe che In galera
ve ne son di più sincera
E men trista tempera.
E che son questi crociati
Pieni zeppi di peccati,
E per santi passano,
povera croce ecc.
A un Gran-croce si vedrebbe
Quanto meglio si starebbe
una di Camaldoli,
Che sospesa al dorso reo
Fosse, senza Cirineo,
Da lui indivisibile,
poyera Croce ecc.
E più d'un Commendatore
SI vedrebbe che l' onore
Merita del canapo.
A guarirlo di tal rogua
fi collare della gogna
Più saria a proposilo,
povera Croce ecc.
Alla tua loco primie^»
Riedi, o croce, e insegna vera
Di virtù riiornaii.
Dell'onor sacra divisa
sol del prode ai lato asaisa
Deh si veda splendere
Povera croce ecc.
Né così contaminata
Mai si scorga, e abbandonata
A servile obbrobrio;
Ma vi trovi alfin suo letto
Ogni indegno che l'ha io petto
Fatta a lui patibolo.
Povera croce
Lascia dei perfidi
L'orrendo aliar;
Odi mia TOtb,
Tutti li fulmina
Torno a brillar.
A UN RITRATTO OD IMMAGINE DI SANT' ERMOLAO
ECCO sant'Ermolao beato e duro,
che a rompergli la testa co' malanni
Era lo stesso come dire al muro.
>■:. 281 X
Placidamente vegeiò a»oll' anni >
Questo tipo fratesco, e ogni tantino
Mandava al sarto ad allargare i panni.
Ridotto grasso e fresco al lumicino,
V anima sbadigliò con un sorrìso,
E a sant'Antonio se n'andò vicino
A far da vice-porco in Paradiso.
PER MESSA MUOVA
(ÌIASDIT4 DEL PROFESSORE GIUSEPPE POZZOKi)
se un madrigai volete od un sonetto
Per una lauta cena al par di questa,
Com' io so meglio voleolier ci metto
Quel poco d.' estro che tuttor mi resta ;
L' estro che col voKar del doppio venti
Giù dal cervello mi passò nei denti.
Ma d' un Preiin che dica Messa nuova
Non ò'è, miei cari^ mollo beo da dire:
lo che son Prete, anch' io lo so per prova
Altro è parlar di morte, altro è il morire ;
Meglio ò il tacer che farvi un' Elegia
Nel patetico luon di Geremia.
lo da buon confratello ammiro i versi
D' un ex,-abate in poetar maestro.
Di dolcezza serafica cospersi
E spiranti soave angelic' estro :
Ma il furtM) mariuol che sa il latino
Loda l'acqua del pozzo e beve il vino.
lo l' ho veduto, e non mi stava male,
Nell'ascetico bruno imbacuccato;
Ma quando fu vicino al carnevale,
Addio messa, addio mitra', addio papato :
Strappò il collar, l'appese ad una trave,
E poi per devozion vi disse un' ave.
Se alcun levasse contro me la voce
Che imprudente tradisco il mio mestiere.
Da Fariseo gridandomi la croce
Siccome a un disertof dalle bandiere;
Dirò che dedicarsi al buon Gesù
E cosa bella, ma dai coppi in su.
i
Che ingiù dai coppia fili lo guarda bene,
È lai che peggio non saria la rogna;
Per esempio da giovin ti conviene
Comprarli un po' d' amor con ina vergogna ;
Da vecchio poi, se peggio non ti tocchi.
Pagar ben caro chi del tuo t' imbocchi.
Il che vuol dir, se d' uopo è pur di cliiosa,
Che si sta mal tre quarti della vita :
Prima pel caldo che non lascia posa,
E poi pel freddo da gelar le dita
Che or manca r acqua fresca e il veMioeio,
Or r esca, r acciarino e il zolfanello.
È ver che un beneficio parrocchiale
Di mine scudi al* anno in aria buona
Può servir di rimèdio a più d' un male,
R darli un po' 41 ruszo alla persona ;
Ma InRo dei conti é forse un gran piacere
Guadagnar mollo e non poter godere ?
▲I povero pievan h i conti addosso
Qual più stremo è di roba o di credenza,
E le lo paga In pronti ed all' ingrosso
con una litania di maldicenza ;
se per sottrarsi a questo e a peggior guaio
Non gli apre tosto canova e granaio.
Protali mo' d' andare all' osteria,
▲I corso, ad un teatro, ad un festino :
Oh che prete. sprelato.... Esus Maria!
Grida tutta la genie, oh che ginginol
Se dici due parole a una donnetta.
Bacia la terra se la passi netta.
Ti lascerao mangiar fagiani e starne
E vuotar due bicchieri ad ogni salmo;
Ma guai se a caso un lieve odor di carne
Ti scende dal collar due spanne e un palmo T
▲1 più minuto scando!o che viene
Ti citeran l' esempio d' Origene.
T' impon, se 'I credi, un pontificio breve
11 tricornio, le fibbie e le calzette,
E dèi tra il fango e la disciolta neve
Quasi nude mostrar le tue gambette,
Puoi sputar per la tosse anco i polmoni •
Non l'è coAceno di mutar calaooi.
Né vai di studio peregrino e vario
Ornarsi il libro del oomuD sensorio ;
Che il saperne più in là del breviario
È un conto da saldarsi al pnrgaiorio :
V ha di quei che del corpo e della mente
Ti vorrebbero enntico ed impotente
In via di grazia ammeilo pur che roolli
Che d' anni e cipria han candida la chioma
Neil' iDlaiio tcaffal serban raoeoUi
I giornali di Modena e di Roma,
E vi dan luogo i più sapuli e lini
Ai prevosti Riocardi e Vittadioi*
Questi per farti digerir la cena,
se mai con loro a conversar ti «Detti,
con tuon di voce dignitosa e piena
Ti parlan di scomuniche, e inierdettl^
E ti fanno i compunti e gli eruditi
colla storia gentil dei Sao-Venill.
Se qualche autor Francese, Anglo o Tedesco
Citi più che il Bollarlo, o 11 Tridentino»
TU sei notalo, e poverio stai fresco!
Quaì fautor di Lutero e di Calvino,
Murator, Carbonaro, Giansenista,
Che son tutt'uno nel sermon Suisittu.
Queste e tant' altre che tacer bisogna
Sono le ortiche della santa vigna.
Ove con molta del cultor vergogna
Ben altro germe di zizzanie alligna (I) ;
Ma qui mi senio dir : son cose note.
Ma stanno male in bocca a un Sacerdote.
Per non veder nessuno arcigno e muto
Guatarmi in viso e prendjs^mi io sinistro.
Tutto il male del popolo chercuto
Sia per non dello, muterò registro ;
E farò chiaro senza tante ciance.
Che II bene e il mal si libra in egual lance.
(1) Che tanta fanno ai buon cullor i^ergogna
E gii metton brucior pia. cht la tigna :
19
Qual è mai cosa si perversa e ria^
Che in se non abbia qualctie po'di buono?
I vantaggi di cappa e sagrestia
Ben li conosco* anch' io che Prete sono;
E benché gli abbia avuti a buon mercato.
Oggi non li darei per un ducato.
E tanti sono e così grandi e grossi,
eh' a esporli tulli non saria valente
La penna non dirò dei Conte Bossi,
Ma neppur di Detfendi e Deffendente;
Basta dir ebe allegria, scialo, quiete
Si chiamano tra noi viver da Prete.
Pria di tutto saprei che per espressa
Concessione de' Papi in cento brevi
Nel primo giorno che tu dici Messa
II diploma di Nobile ricevi;
Né imporla che nell» opera del Lilla,
La tua rarfiiglia ancor non sia descrìtta.
Ai tocco della magica bacchetta
Il più scempio Carlino divien Don Carlo,
E sale in chiara nobiltà per fé Ila
come se avesse un secolo di tarlo :
Benché figiiuol d'un pover galantuomo.
Guarda che Don Gianeppe anch' io mi nomo.
Il qual prefisso, benché sia si corto.
Ci vai come si dice e mari monti,
E può servir di facil passaporto
All' alte cose di marchesi e conti.
Che quanto a dame di mezzana età
valea beo altro quarant'anni fa (1).
Mal per me che fui sempre un bietolone
Né men seppi giovar secondo il caso,
E quei poco che so per tradizione
L' imparai tardi e a lume sol di naso ;
Ma tu che sei nel fior degli anni lui
Non sarai sì minchion siccome io fui.
(I) Che presso €Ute marchese e alle contese
Chi sa poi quetnio un eecol fa votene.
X 29» X
Non è però che da se stesso il fatto
Seo vada liscio come P olio floo :
Per fruir i> illustrissimo coniatlo
€1 vuol la cberca larga e il collarino :
Che s' io non ho potuto aver buon gioco.
Egli ò che il collarin io porto poco.
Se la parola d' ordine li chiede
Sul limitare un servitor fedele,
Tu ritto o solo e senza muover piede
Rispondi tosto — Papa o Don Miguele :
Ma può bastarli in cambio della voce
Il collo torto, oppur le braccia io croce.
Ti sovvenga però che quando vieni
Privilegiato a qut^sto onor primario.
Tua sacra legge è H dire tutti I beni
Dei frati o del rettor del seminario,
O, che toma lo stesso, tutto il male
Dei Gaetani, un prete, un cardinale.
Sovente manderai sospiri e voli
Ai bei costumi degli antichi tempi;
Che se i nostri bisavoli devoti
Con pugnali o velen faceano scempi
Ammazzandone ognun trenta o quaranta,
Si segnavano almen «oli' acqua santa.
Fia meglio ancor se in questa età si rea
Tema forai de' dotti sermon tui
La compagnia di santa Dorotea
Che guarda gentilmente io casa altrui :
O i miracoli di Santa Filomena
Che tanto gridò ai nostri giorni mena.
Molta lode fruttar vid'io sovente
IO un gergo tra barbaro e toscano
Con lunghe pause recitate a mente
Seconda la giornata un qualche brano
i>«i fasti della Chiesa, or messi in uso
Dall' alla penna del Dottor Labuso.
Ma il precetto più bel che mai non falla
E il parlar senza Verre e senza Veste,
Mormorar di chi canta e di chi balla.
Non lodar che chi sente almen tre messe;
Levarsi in piedi e dir V Angelus Domini,
E non guardar mal fiso altro che gli uomini.
X9W X
Con questo meno di si lieve costo
Io ti prometto cl>6 farei Inido gioco.
Troverei a^emi^re a ricca mensa un poeto
E quindi un buon caffft seduto al ftioeo;
Poi quando parti, per miglior fortuna.
Ti fioccberan le messo a un aovran 1* una.
Né sovra te dell' abboodanai il corno
Versano solo i nobili e I Potenti,
Aocbe il celo minor ti fa d' inlomo
Un diluvio d'inchini e complimenti;
Basta sol cbe tu vada e capo Immso,
vedrai che ogni animai ti cede II passo.
E appar da cl6 (sia d^lo per pareniesi)
Che qui gli estremi mollo ben si toccano.
Né tra di loro quel divario sentesl
Onde tanto l polillcl taroccano ;
Se v'è divario alcun tra grandi e plcoolt
Ei di tesU non è ma di test
I pitocchi più furbi delle gaue
Ti fan la seoUoella a dae per volta:
Le beghine e le monadie disfatte
Ti fan corona piverenfee e folta :
I ragaizl U baciano la mena;
E H fa di cappello ogni villano.
Puoi farla da dottor pid di Platone
Senza temer che alcuno t* Interrompa,
Che chi non dormo ti darà ragione
E mostrerà capirti almen per pompe :
Ma il vero ben che vince ogni altro bene
Egli é che chi ne sa da noi non viene.
onde ponno bastarti i quàdemelti
Ov' è la scienza più riposta e soda^
E l' orazioni del padre Mocehettl
con un vecchio semoon contro la moda ;
Se un secol fa pareva fatto espresso.
Chi potrà dir che vada male adesso ì
Mi ricordo aver letto un bel trattato
Statistico-Ecooomico-Legale,
Ove tra T altre cose ho pur notato,
se la memoria non mi serve male,
Che il sol guadagno a prova d' acqua e foco
Fu sempre e ognor sarà lo spender poco.
A noi puoie bastar d' dq mI ookM>e
Per 1» inverno e la atale un» ampia vesie,
Buona in imii i servizi In cMesa e fuore,
P«i giorai feriali e pei* le fette^
Che se chiott ti va sino ai talloni^
Puoi far senza gilet^ senaa eateoni.
È beo vero clie ai vescovi e prelati
Fur concessi in onore del sacro cristna
I color più vistosi e delicati
ctie percosso dal sol rifi^oge il prisma :
Ma I preticciuoli han sempre un sol colore
Slmbol perfetto d' aaità di cuore.
E si vogliano infatti un cotal bene
Cbe più non è quel d' Ottorino e Bice^
Tal che se a caso un confratello è in pene^
Mesto è ciascuno in volto ed infelice;
E benché vari d» indole e fortuna
Nel difendersi almen son tutti ad una.
A te siccome al buon Melchisedecco^
concesso è iin privilegio de» più rari.
Viver senza paura d* esser becco,
E morir senza eredi necessarii
Onde io buona coscienza lasciar puoi ;
Quel che resta alla serva e a'figli suoi.
Poiché tra noi sarìa lusso e rovina
Tutto che giovi della vita al vezzo :
Ti basti un po' di lesso alla cucina
E un soffice lettln d'un culo e mezzo
Ove deposto r azzurrin soggólo
Vai moltissime notti a dormir solo,
vuoi tu di meglio ancori II secolare
Trova un codice sol che lo protegge»
Ma gli eletti che vivono d' aitare
Han di rinforzo una seconda legge,
O come a dire, un' altra polizia
Piena anch' essa di zelo e cortesia.
Che piano, senza far pettegolezzi
Copre con cauta man le colpe tue,
Oppur ti manda a Rò per pochi bezzi
A far l' ammenda col mangiar per due.
Ove pria di tornare al beneficio
Impari se non altro a dir i' ufficio.
ECCO i vaolaggi d' una cherca ; questo
E l'alio onor del beoedelio salo;
Dell' eaprioierlo appien sarla più presto
vuotar I' acqua del mar eoo un coccbiaio :
Se il paragon noo è di gusto 6no>
Dei saper che l' usò Sant' Agostino.
com' io promisi» e tu puoi faroe stima,
Libralo ho oe'due gusci il male e il beoe ',
Se per fretta o per obbligo di rima
HO detto meno o più clie dod conviene,
Tu prender non lo dei per un vangelo
cui non si possa più toccare un pelo.
Però se tanto il mollo ben ti alleila^
Portati in pace ancora il mal parecchio.
Che se brami saper la mia ricetta,
vieni, te la dirò ma nell'orecchio,
Fa pur siccom' io fo già da veni' anni.
Che rido e lascio dire al barbagianni.
senza molto frugar salute e borsa
Cerca viver quaggiù lieto e giocondo.
Ma galantuomo, in mezzo a qualche scorsa
Prepara un po' di ben per l' altro mondo.
Che io morale e in politica ben sai
Che il giusto mezzo non la falla mai. .
LETTERA SCRITTA AD UN AMICO.
Firenze^ 6 settembre 1856.
CARISSIMO AMICO
A che serve sciupare i purganti
E star sempre col povero me,
O pagare i miracoli ai Santi
Per campar quanto visse Noè?
A che serve con cento malanni
zoppicar sulla curva degli annit
Prete Olivo le sue gherminelle
con la morte non caro davvero.
Non vorrei per salvarmi la pelle
Il panchetto, le Carte, ed il Pero,
Nò potendo, passare la bara
Rovinando il demonio a bambara*
Moo disprezzo la vila e non tengo
Il galoppo dei giorni fugaci;
Se i capelli sod misio-marengo.
Se d'amore mi maocano i baci,
se vo gobbo più lardi o più preslo.
Disperar non mi voglio per questo.
Si disperi la vecchia galante
Che Dicembre vendea per Aprile,
che fallila per l'ultimo amante
Vide crescersi a for«a di bile
Ogni giorno una grinza di più
E con k* asma ritorna a Gesù.
Si disperi chi fece la spia
Clnquant' aimi, mutando Bargello,
vagheggiando con dolce mania
Un impiego, una croce all' occhiello.
Ne per anco può fare la coglia
fi si trova a morir con la voglia.
lo non son ciarlatano né vago
Di mandar la parrucca al tintore.
Non mi faccio pagare, non pago
E non vo galvanismo io Ainure ;
Né d' onori, o di nastri la smania
Mi fa birro o mi da l' emicrania
Poche lire, che Babbo ogni mese
Con la predica d' uso mi manda,
Son bastanti per farmi te spese
Senza punto incensar chi comanda,
vivo sciolto, la pentola è calda
E nessun mi tira la falda.
Se mi nega staffiere e Quadriga
La fortuna volubile e stramba.
Senza darmi pensiero né briga
Questa vita farò gamba gamba»
Non avrò mangiapani né ciarpe
Ma buon nome» e pagale le scarpe.
Che del resto a qualunque condanna
Mi rassegno e propongo a me stesso
Di pigliarmela, a un tanto la canoa ;
in un canto mi tiro e professo,
S'anco il mondo ritorna nel Cao,
La tranquilla virtù d'Ermolao.
né bo veduU parecchie, e già sliil»
Soo li li per serrar la ftoettra^
come secca auogiaodo anch'a ufo
Ogoi giorno la slassa nliieslra,
Parimeole m' uggisce e ort tedia
Veder sempre la slessa Commedia.
uo bigoti» die burla li Demonio
E ti spoglia seocaodo le croci.
Demagoghi del solilo cooio,
Ifegoziaatl di libere Tod
uccellarci fregiati il groppooe
Delle peooe rubate al Pavooe.
Uo flguro eoo toga di seta
Che senleoaa- U di eoa P accetta»
La Gazielta che fa da profèta,
il Profeu che fa da Gazzetta
Delle geott rimesso il desttoo
Nelle maoi di Padre Ambrogino.
Ecco lutto. He' giorni passali
D' ioooceote asinaggioe ordita.
Di lusinghe, di sogoi beati
Dolcemeote rol par?e la vita.
Questa terra una cara iilusiooe.
Una fitta di brave persone.
Erao quelli i di santi, ed amari
I di quando una febbre epidemica
Ci portava a crear dei Lunari,
I di quando con nuova polemica
Ci faceva morir dalle risa
II Bali San Fedista di Pisa.
Se nel mezzo ali' umana famiglia
Mi dicevan, e' ò un biodolo, un poroo,^
Slupefolto inarcava le ciglia
Come il bimbo ai raccooU dell'Orco,.
Questa razza impastala di scisma
La vedevo a traverso di un prisma,
ora il polso è più quieto, e l'occhiale
Che gli oggetti alterava è spezzalo;
Ora il mondo lo vedo tal quale,
E sorrido sul tempo passalo
La stagione dei sogni fini
E. stvt ziiiu per fino il Bali.
LÀMEIFrO DI M. N.
Questo Papa benedetto
Fin dal giorno che fu eletto
m! guastò la bussola
Kra meglio per l> Impero
Che sul soglio di San Piero
Si mettesse il diavolo.
Questo almeno per lo zelo •
Di rubar anime al cielo
Strozzerebbe i sudditi.
Ahi quest'uomo intraprendente
Era bene veramente
Che restasse ad Imola.
E il Divino Paracielo
Per dispetto cheto cheto
Me lo fa Pontefice.
Bella scelta è stata questa i
Che ho da far colla mia testa
Vuota come il sughero?
come un papa liberale
vi è da farla molto male,
Me lo dice Metierriich.
Dove diavolo ha imparato
Sulle carceri di Stalo,
Metter l' appigionasi T
Tania gente che passeggia
All' intorno della reggia
Forma sempre ostacolo.
Io per me mentre sto cheto
Dò i miei sudditi in segreto
A fedel carnefice
Gli e venuto la manìa
Di dar fuori l' amnistia....
Son cose da prìncipi ?
1 sovrani un poco accorti
Fan la grazia solo ai morti,
come fece Modena.
Oh ! quei birbi maledetti
Se dal Papa son proteilì
Buona notte Italia i —
Se per caso anche il Chiappini
Desse aiuto ai Papalini
C* è d' andare a rotoli,
lo per me non Ito paura
Tengo il banco alla sicura
Finché vive Meiternich ;
Ma se muore, plano piano
Me la batto e vò a Milano
A riportar V olio.
Or che a fare ha cominciato
Dio lo sa nel suo papato
Quante cose macchina.
Se non torna nei confini,
Vuol vedere se Lambruschini
Gli dà un po' d'arsenico.
EPIGRAMMA
Quando l'almo drappel degli Scienziati
Entrò nel Tempio della santa Croce,
L'ombre de' nostri grandi trapassati
Schiuser gli avelli e mossero la voce,
E primo l'Alighieri a dir fu presto:
u Sorgiamo, il giorno del Giudizio è questo.
« Michel più che mortale Angel Divino »»
Si oppose alla proposta e fé bordello,
L' affermò 1' Astigiano, e l'Aretino,
Sgriccl negollo, tacque Machiavello,
Sorse il Segato, e mille; e allor si feo
consiglio d' invocare il Galileo.
Tocca a quiil grande: all'Improvviso vale.
Si scosso e udì da maraviglia collo ;
Quindi le luci affisse al canocchiale.
Il suol mirando e il popolo raccolto ;
Poi disse, e rimboraboone rediGzio,
« Il giorno io veggo, ma non v'è giudizio. >*
SUPPLICA
Prego vostra Eccellenza
Di darmi un Passaporto:
Questa vita da morto
Vince la sofferenza.
Per vita voglio dire
La piana e I' usuale,
E non queirallra tale
che non lascia dormire.
Il nostro è un bel paese,
Ma, a dirla, m' ha seccato ;
Più d' uno che e' è nato,
vede, ci fa I* Inglese :
E anch' io delle freddure
Di noi Peoisolani,
Oramai, creda pure.
Me ne' lavo le mani.
Io non viaggio mica
Per il minimo scopo ;
Non vo' pensare al dopo,
Non vo' durar fatica.
Quel che vuol nascer nasca.
Andrò dove mi porla
Il vapore e la lasca.
Sempre per la più corta.
Di storia, di Beli' Arti
N' ho troppo a casa min,
vado, per andar vìa,
E per provare i sarti,
così batto la piana,
E mi levo d' impegno :
Eh lo so, coli' ingegno
S^ impazza alla Dogana.
Con questi sentimenti.
Che dice! spererei
Vedere arcicouteuU
iHiUi de' fatti miei.
Ma già del mio Governo
Son nato, mi conservo,
E viverò in eterno
Umilissimo servo.
A volle, senio dire,
Scusi, che danno il foglio
Per beccar quelle lire :
Ma soUn c'è l'imbroglio
n' un rabesco segreto,
Che scopre ai letterati
Del birresco alfabeto
I sani e gì' impestati.
Per girar spensierato
Di città in città,
E da Erode a Pilato
Senza difficoltà,
(Se di parer son degno
Ferro di polizìa.)
La mi ci metta un segno
Che significhi spia.
addìo
Addio per sempre, albergo Hwenluraio
Soave asilo di gioia e piacer :
Teco abbandono il più felice stalo,
Ogni speranza, ogni dolce pensier.
Ti resti eiernamenle
Qucsr anima dolente:
Soave albergo di gioia e d' amor
Teco abbandono la pace del cor.
Da te lontano empio destin mi raena^
E mi 'divide per sempre da te.
Andrò ramingo in qualche ignota arena.
La tua memoria portando con me.
Lunge da le sgradila
Mi sembrerà la vita:
soave albergo di' gioia e di amor,
Teco abbandono la pace del cor.
Da te mi parto e poi mi volgo addietro,
E della vista staccarmi non so;
Al ciel sospiro, e lagrimando impetro
Quella fermezza che in petto non ho.
Ah tu chi sa se inai
Tornar mi rivedrai!
Soave albergo di gioia e d'amor,
Teco abbandono la pace del cor.
lotatio serba il peregrino fiore
Glie il cìel cortese t' elesse a serbar ;
Basti alla sorie il lungo mio dolore,
E il caro aspello non giunga a turbar.
Felice asilo, addio!
\ Ti resti l'amor mio.
Soave albergo di gioia e d'amor,
Teco abbandono la pace del cor.
PREGHIERA
Alla mente confusa Sai che la vita mia
Di dubbio e di dolore Si strugge appoco appoco,
Soccorri, o mio Signore, cometa cera al foco,
col raggio della fé. Come la neve al sol.
Sollevala dal peso AH* anima che anela
Che la declina al fango. Di rlcovrarii in braccio
A le sospiro e piango. Rompi, Signore il laccio
Mi raccomando a te. Che le impedisce il voi.
LE PIAGHE DEL GIORNO
(1848)
IL PAUROSO E L'IMDIFFBRBKTE
Trippa e Ganghero
T.
Ma lai Che questi tlrepili
T.
Paura!
SODO un brutto gingillo i
paura no.... ma....
G.
Secondo orecchi.
G.
Spicciati.
T.
Eall'uUImoT
Si ODO?
G.
Indovinala grillo.
r.
Penso al poi.
T.
Si, tu la piglia al solito
ti.
HO capito, un quissimile t
A un unto la calata.
r.
Pigliala come vuoi.
Ma io....
6.
Sia beoel O dunque seniimi:
G.
Sentiamo
Ma ziUo tieni a mente. .
T.
A dirtela
r.
Non temere.
lo la veggo imbrogliata.
G.
Rispondimi :
G.
Imbrogliata! Per gli asini;
Ne vedi della gente?
Ma non mica.... So io.
T.
Dove 7
T.
Come sarebbe
Dove 1 In America i
G.
Oh, adagio 1
r.
In paese 7
T.
Via, per amor d' Iddio
G.
in paese.
Dirami qualcosa :
r.
Ne vedo.
G.
£ inutile :
G.
A maravigliai
Con te, gli ò fiato perso.
In segreto o in palese
T.
No, da parte la celia,
r.
in palese.
Parliamo a modo e a verso.
G.
Benissimo i
C è qualcosa per arlat
Dimmi ne vedi assai ?
G,
uccelli.
r.
Anche troppa.
r.
Animo, là
. ^•
Buaggini 1
G* è nulla 7
Eneicaffdci vai 7
G.
Uccelli e nuvoli.
r.
Ci vo. Che vuoi 7 ci badano t
r.
codesta ò crudeltà i
Lo fo per non parere.
G.
Ma sai che mi fai ridere,
G.
con chi parli T
E ridere di cuore i
T.
coi soliti.
T.
Ridi, dimmi cb&...
G.
Cioè.
Cbe sono un seccntore ;
T.
col Cancelliere....
Ma non tenermi al buio.
G.
Male.
Cbe e' è qualche congiura 7
' T.
Col. Commissario....
G.
Plcciìlai Là, via, confessati;
G.
pegg'o.
Hai paura ?
r.
Oche?
X 3M
G. Tira vìa.
T. o cti6 credi
G. Che! Sbrigati.
T. Tò, che faccia la spia T
G, Di che? Le spie fallirooo.
T. Dunque, se sai codesto.
Che c'enira il male e il peggio?
G, Te le dirò. Del reslOa
Per tornare a dov' erano,
Parli con altri?
k volte, per disgrazia.
Li nel gran via vai.
Mi batte di discorrere
O con Tisio con Caio.
G,
E di che ?
T.
Di pericoli.
G*
Ci siamo : eccoti il guaio.
T.
Perchè ?
G.
Perchè vedeodoli
Sempre spericolalo.
,
Sempre li con quel solito
r.
capanoello arrembalo.
Sempre con mille Osime
G,
D' uno che se ne piglia.
cose che li si leggano
T,
Sul viso a mille miglia.
La genie, o li corbellano,
G.
O li pigliano in tasca.
T.
r.
O con chi vuoi eh' i' bazzichi ?
Come vuoi che mi nasca
G.
Nella testa altra voglia
T.
Che di pensare a male ?
G.
Lo sai pure, ho famiglia.
HO qualche capitale....
T.
G.
LO SO, lo 80 : ma, sentimi,
Giusto perchè lo so,
Ti vo'dare un consiglio.
G.
T.
Di stare a casa i
G.
No.
T.
Di star zitto ?
G.
Al contrario
Anzi devi discorrere
E eoo (ulti e di tutto :
Non gridare sperpetue.
Non fare il muso brutto.
Se urtano^ che urlino ;
se vanno all' aria i sassi.
Lasciali andare, scusami:
Che t' imporla de' chiassi ?
Senti lodare il Popolo ì
E tu Popolo. Senti
Dir corna, per esempio.
Dei Miotslrl presenti?
E tu, corna. Ti dicono
Bene del Principato !
Sissignore. Repubblica ?
Signor si. Se lo Stato
È in nMo de' galantuomini.
Tieni dal galantuomo :
Delle birbe ? Confondersi i
Anco la birba è omo.
O codesta poi, sentimi
Non è da te.
Sarà
Da qualcun altro.
Scusami,
Ci va dell'onestà.
Onestà? sei ridicolo!
Son ridicolo t
A questi
Lumi di luna?
O diamine !
Là, là, signor Onesti,
Non venga coHI scrupoli.
No, lo dico In coscienza.
Anco codesta è ottima
Per salvar l' apparenza.
O che credi, perdiavolo.
Che io mi ci baiocchi ?
die non vegga le borie
(Dicendola a quattr'occhi)
Di questi gonfia nuvoli
Che tirano al comando ?
Di questa gente in auge
X W»
Che arruffando dipaDando!
Di cW h> sa burlare .
T.
Di piano.
Dice bene il proverbio!
G.
È fero...
T.
Dirà bene, ma io.
Urlo e non me n' avvedo,
Che vuoi 1 non mi capacHo
T.
Dunque?...
Di certi....
G.
Eh altro se lo vedo ?
G.
Trippa mio,
vedo, 810 2iuo e gonfio ;
Se tu non ti capaciti.
Sai ? Chi chi ha nella testa
Studia.
un' oncia di mltidlo
T.
Sì, tu discorri....
Tira a campare, e festa.
G.
L' ho detto da principio
in fondo , che concludono
Che predicavo ai porri i
I buoni, 1 dotti, 1 bravi T
T.
Vuoi eh' io faccia l' ipocrita.
Oh, per me, nMianno voglia!
E a me non mi riesce i
Chi V ha a mangiar la lavi.
G.
Fa tu.
T.
Sicché dunque?
T.
Non so nascondermi...
G.
QuI^ con queste marmotte
G.
Eh, gua% me ne rincresce.
T.
Sentiamo.
T.
Dunque 7
G.
Un colpo al cerchio.
G.
Dunque ?
E quell' altro alla botte. .
T.
consigliami.
Insomma barcamenati
G.
Divertili a tremare.
Cosi, tra le du' acque.
T,
Ma io...
T.
Ma....
G.
Chi non sa fingere,
G.
zitto. Esempigrazia^
Bimbo non sa regnare.
lo so che li dispiacque
r.
Si, ma se poi ti scoprano?
Il tumulto di Sabato.
G.
Chi è minchione, suo danno
T.
È vero.
T:
O se mai, per casaccio.
G.
E là dal presto
Ti si desse il malanno.
Tu ne facesti un Passio,
Che nel tempo medesimo
T.
È vero anco codesto.
Ti venissero a mano.
come sai ?
Di qua, pula, un monarchico.
G.
Figurati
Di là un repubblicano?
se non lo so. Si sa
Come se n'esce?
Fin le mosche che volano.
G.
Facile :
T.
Pur troppoi
coli' eh , coli' ah, coli' oh.
G.
E che ti fa
coli' uh, coli' ih, lenendosi
Se la gente tumultua 7
Così tra si e il no.
Che sci lo Stalo?
1\
codesto passi.
T
È vero.
G.
Provati.
Ma dunque, per non essere,
T.
Mi proverò, ma....
Non mi darà pensiero?...
G.
Mai
G.
Che pensiero 1 Divertili...
Che c'onlra il ma?
T.
potere i
T.
proviamoci
G.
Eh lascia andare 1
Il mondo è sempre....
Sarà quel che sarà.
POESIE INEDITE
SCRITTE IN TEMPI POSTERIORI
V ITALIA W ELL* ANNO 1848.
V anno miUe oUocenio e quaranloUo.
Se mi ricordo ben, l' Ilalla offriva
In spirilo e virlù di patriolto
Da farla viva.
Ciascuno s' aiutava, e s' intendeva :
Ognun trattava l' altro da fratello :
Il ricco ogni suo bene divideva
Col poverello.
L' amico era ognor franco e generoso.
Vivean' felici ì sposi e in armonia ;
Era il marito saggio e virtuoso
La moglie pia.
Il medico giammai non ammazzava,
- Uo birbante nemmen per un miliardo
CbMl salutasse ovunque non trovava
D' un solo sguardo.
Né scandali, ne intrighi e capogiri
Venivano a turbare 1 buon successi :
Né bancarotte inique, né raggiri;
Nemmen processi!...
Perdeva i passi suoi la stolidezza ;
Non mentiva un giornal bianco ne rosso :
Nei banchi avean saper, delicatezza
A più non posso.
Avvisi non s'offrivano agli sguardi
Fatti per corbellar le oneste genti :
Ai ricchi non s' avean maggior riguardi
Ch' agli indigenti.
Nessun faceva caso del danaro :
Rimasto un Mercatante saria nudo^
Piuttosto che abbiisar taluno ignaro
D' un solo scudo.
,•- 30* .
^oo n Tederà pia preso i sifaori
Cbe aobiU deeesti, e fan igMHi,
Què Krigni ricebi d* oro per di foori
B dentro vuoti.
Fdici eoo le momne le bocialle
AoiaoU ODO aTcao ; con rìTcrenia
Chi una ipon cbiedea, non TOlea Bnib
Uoa comoda e Mopnceua vesta,
Uo Sor poalo con gartio e eoo decoro,
FeroD pattar di moda io ogni fetta
Le gemme e l' oro.
insomma, era ima tale iealiaie,
uoa modestia, ooa bontà, un conlento,
Uq' accordo, cbe rammentò l*eiaie.~
Almeo d'argento.
U amor di Patria io tutu Italia, attorno
Nel quaraoiotio aD' apice bealo.
Era salito al più tuMime puolo^
O 1* bo togoalo...
Aura di liberiA d' iodipeodenaa
Spirò; poi vemie in campo la ragione,
<:h* allo tiranier Iboeva retitieoza
Senza, caoDone.
Ma vitto d' eloquenza il vano effetto,
sorsero i prodi; e armate molte tquadre.
Pur benedette l'armi con affetto
Dal Santo padre.
E Prenci e Citiadio, viiliei e torvi.
In un voto Impugoaròo l' atta e il brando :
Perfin le donne a delicall nervi.
Giurar... cantando.
Le feste, li trìpodii gl'inni e i canti,
OUrepattar d' Ilalia ogni confine
Le grida ^ l' eotutiasmo, i fieri vanti
Fur tenza fine.
Si scosse Europa tutta al gran frattuooo
De generosi cor> della ciurmaglia ;
E più d'un Moogibel ruggiva il tuono
Della battaglia.
Brillavan l' armi bellicbe e i ttendardi,
Brillavano le penne in tul cimiero.
Brillavan più di tutto i fieri tguardi
D» ogni guerriero.
X 305 X
Tulli volare al campo, ed in quell*anfì«
S* i mmortalar gli eroi nel gran confliiio....
Come andrebbe a finir tulli lo sanno....
Però sto zitto i
GLI ZINGANI
Stregoni, saltirobaochì e borsaiuoli.
Resti immondo
D' un altro mondo.
Stregoni, saltimbanphi e borsaiuoli,
D-'onde venite o zingani mariuolì?....
D' onde veniam ? Nessun non ne sa nulla ;
La Rondinella
D' onde vien ella ?
D' onde veniam? Nessun non ne sa nulla.
Né sappian^^dove andlavi sin dalla culla.
Senza patria, né principe, né legge,
La nostra vita
Invidia incita....
Senza patria, né principe, né legge.
Pur Siam felici e il Ciel ci protegge.
Al popolo zimbello dei furfanti.
Che presta fede
A. chi rac<»de;
Al popolo zimbello dei furfanti,
Ci vuole dei stregoni, oppur dei santi.
S' incontriamo Plutone per la strada.
La nostra banda
Si raccomanda; ^
S'incontriamo Plutone per la strada,
Stendiam la mano coniando ovunque vada.
Tutti fra noi si nasce indipendenti;
Nessun ci slezza,
9é ci battezza.
Tutti fra noi si nasce indipendenti.
Al suon delle canzoni e dei strumenti.
Liberi i primi passi son dai vizii,
Di questo mondo
D' error fecondo.
20
Liberi i prioìi passi sod dai vizff,
K daUe fascie dei pregiudizii
Poveri augelli siaio eh' io ogni lido
Dagli abitali
Furo etigliali.
Poveri augelli slam eli' in ogoi lido,
In fondo al bosco, pende il nostro nido.
▲ uston r amor, spenta ogni luce.
Fra tanta genie
contusaroeote; ^
▲ uston I' amor spenu ogni luce,
Ci accoppia sotto al carro cb* el conduce.
Filosofastro
O Poetastro;
V occhio tuo per timor puerile,
Non può staccarsi dal tuo campanile,
Yedere, è possedere; bello è il vagare
La vita errsole
È più animante;
Yedere, è possedere ; bello è n vagare :
Tutto vedere ; è tutto conquistare.
Dovunque V uomo sente un mormorio,
S' agiti lieto,
O posi quieto ;
Dovunque V uomo sente un mormorio,
S' ei nasce, ode, — buon giorno ! — muore, ~ addio !
FINE
INDICE DEL VOLUME
Ai Lettori . .' , PA©. 3
Giuseppe Giusti, cenni bio^raOci di Leopoldo cempini ...» i
Appendice dell'edizione delle opere di Giusti dopo la sua morte n 59
Avvertenza dell'Editore - 63
Vkrsi pubblicati dall' Autori dopo il 1843.
L4 Guigliottina a Vapore •* 73
Rassegnazione e proponimento di cambiar vita m ivi
Il Dies Irae » 7S
Legge penale per gì' impiegati >* ivi
All' Amica lontana » 77
LO stivale » 80
La Fiducia In Dio, statua di Birtolini m 84
A san Giovanni ^ *• ivi
Brindisi « 86
Apologia del Lotto » 90
La vestizione « 92
Preterito più cbe perfetto del verbo Pensare » 98
AiliBtti d' una Madre ** lOl
Per il primo congresso dei Dotti tenuto in Pis% nel 1839 . . •• i vi
Brindisi di Girella, dedicato al signor di Talleyrand buon'anima
sua . , " 102
Il SMpiro dell' Anima pa«. IOó
L* locoronai Ione • . . •• I07
A un* Amico •• no
per un reuma d* un cantante » ili
GII umanitari ** 113
A Girolamo Tommasi — Origine degli Scherzi » ii&
All'Amico, nella primi) vera del 1841 » 118
La ctaioticlola n lai
Il Ballo — Parte Prima *. . •• 192
» — Parte Seconda >* las
" — parte Teria » 126
Le Memorie dì Pisa ** 126
La Terra dei Morti. ~ A. G. G » IS9
Il Mementomo » I30
Il Be Travicello » I3I
Biell' occasione che fu scoperto a Firenze il vero ritratto di Dante
fatto da Giotto h laa
La scritta -< parte prima » I37
M — parte seconda » 142
Avviso per un settimo Congresso che è di la da venire ...» 145
Ad una Giovinetta >* 146
GÌ' Immobili e I semoventi » 147
I Brindisi » 148
L' Amor Paciaoo » 166
li poeu • gli Eroi da poltrona . . . , - I6S
I Grilli '» «63
li papato di Prete pero •• iri
Gingillino. — Ad Alessandro Poerio » 164
una levata di cappello involontaria » 177
contro un Letterato pettegolo e copista » ivi
II Giovinetto - 178
li Sortilegio » 179
La Guerra » igo
sant'Ambrogio » 191
La RassegnazioDe. — Al Padre *** conservatore dell'ordine dello
Slatu-^mo » IS3
Il Detenda cartago » ì96
A Gino capponi » 197
Al medico Carlo Gtainozzi contro Pabuso dell'Etere Softorioo » 90O
I discorsi che corrono » 902
Storia contemporanea » 213
AHI spettri del 4 settembre 1847 » 213
Istruzioni a un Emissario • . . >* 9ib
Consiglio a un Consigliere » 318
II Congresso de' Birri — Ditirambo » 219
A Leopoldo secondo » 333
Versi iRtnin scftiTti nr obakfastb dopo it I847
La Repubblica — a Pietro Gtannone »» 286
Ad una Donna -^ Frammenti » 3S7
X 309 X
Delio seriTer« per le Gaisetle Pa6. 919
A uno scrittore di satire in gala •* 390
Frammenti h 931
Ad una Donna » 933
sonetti — I Trentacinque Anni » S34
» Tacito e solo in me slesso mi volgo » ivi
» La nomèa di poeta e letterato » ivi
»* A notte oscura, per occulta via *» S36
» che i più tirano i meno è verità » ivi
» A Dante » ivi
» Felice te che nella .tua carriera » S36
^ se leggi Bicordano Malespini >» ivi
*» Signor mio, signor mio^ sento il dovere ...» Ivi
Epigrammi » 337
Vkbsi giotakili sditi so inbditi
Per le Feste triennali di pescia — versi lirici •* ivi
Alla memoria dell* amico Carlo Falugi -< Elegia » 339
Al padre Bernardo da Siena . . . . , » 341
Frammento ** 913
per la morte dell* unica flglia di Urania e Marco Nasetti . . >» ivi
Frammento » 244
aU* amica Amalia Bossi Bestoni, per la nascita del di lei
primo nglio m 246
sonetti — Così di giorno In giorno inoperoso *• 917
» — China alla sponda dell* amato letto *• ivi
» — Poiché ni* è tolto saziar la brama » 948
** -< Per occulta virtù, che dall'aspetto - ivi
» Da questi colli 1 miei destri ardenti ** ivi
» in morte d* una sorella di latte » 349
» A Giovan Battista Vico » ivi
POISIB SCRITTE A DICIOTTO ANNI, MA BIFIUTATK DALL'AUTORE
un insulto d' Apatia (Variante) » ivi
La Mamma Educatrice '...*» SM
11 mio nuovo Amico ^ . . ' - »» 2B3
Il Gholèra •— A Nina • . . . » ivi
professione di fede alle donne ** SS4
Una tirata contro Luigi-Filippo » 2B6
Ave Maria — Alla signora Maria F » 269
Lamento dell* impresario Bicotta vetturale ** 380 *
parole di nn Consigliere al suo Principe « 361
POBSiB Apocrife
All'Amica lontana •• 268
Il creatore e 11 suo Mondo *• ^^
Il Giardino " ^^
Il Fallimento del Papa — inno del veri credenti " ^69
X 5W X
come vanno le mm pa6- 971
1 Consigli di mio Nonno ^ . . >* 972
Dialogo fra una Mar<4ie8a e vn Astrologo » S7i
Apologo contro i fiiUi liberali •* S74
parla II Mascherone della Fonte del Tettacelo » S7&
sotto una caricatura di Don Tommaso Corsini ....... 977
Avviso per 11 nuoro Teatro del Rea) palazxo . » ivi
Air Amieo Professore N. n *• ivi
in morte dello Sgricci e di altri fedeli . *• 978
I.' arruffìi Popoli , » 279
un desinare in tempo di Quaresima • ivi 1
I nuovi crociati del Si Gennaio. — Lamento » 283
A un ritratto ad Immagine di Saul' Ermolao ..,...>• 286
per Messa nuova ■ » 287 .
Lettera acritta ad un Amico » 994
Lamento di H . il >. 997
Epigramma » ivi
supplica H 998
Addio » 999
Preghiera t. ivi
Le Plaghe del aiorno (1848) li Pauroso e i' indifferente ... » 300
lOBSia IMBDITX 9CRITTS IH TMMtl FOSTSaiORI
L'Italia nell'anno 1848 » 303
Gli Zingani ...» ao»
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