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Full text of "Versi editi ed inediti: ultima edizione completa : con l'aggiunta delle ..."

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HARVARD COLLEGE 
LIBRARY 




From the Bequest of 

MARY P. C NASH 

IN MEMORY OF HER HUSBAND 

BENNETT HUBBARD NASH 

Instnictor and Pkof«Mor of Italian and Spanùh 
1866-1894 




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VERSI EDITI ED INEDITI 



GIUSEPPE GIUSTI 

Ultima edmone completa 

f:OW L'AGGIUNTA DELLE POESIE APOCRIFE 
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BRUXELLES 



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HARVARD COLLEGE UBRARY 
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Al LETTORI 



Era nostra mente di pubblicare una Biogra&a 
dell'illustre poeta espressamente scritta per tjue- 
sta raccolta^ quando ci tomarono sotl' occhio i 
Cenni sopra la sua vita pubblicati nel Costituzio- 
nale di Firenze e poi stampati a parte nella stessa 
( ittà. Ci sembrò rileggeodoli die questi sodisfa- 
cessero al nostro scopo e perchè liberamente det- 
tati e perchè^' usciti dalla penna di un amico del 
Giusti , r krv. LeopoUìo Cenipini. Ci decidemmo 
quindi di ristamparli, aggiungendovi a modo di 
appendice altre notizie relative ai suoi scritti /e 
alcune parole sul funebre monumento che gli venne 
inalzato dal padre neJIa chiesa del Monte presso 
Firenze, come pure di altre poesie inedite, che 
ebbero vita nei successivi tempi. Osiamo sperare 



prendendo nel 4846 a scriver* un discorso sulla vita e le opere 
di Parini, Giuseppe Giiati comipeiava cosi : 

- Chi si dà a tesser vile oggigiorno, pare che le lessa col Lu- 
nario alla mano, tenendo iMetro ai paMl che fece, ai peli che ebbe 
nella barba P Eroe, quasi che H sodo della facoenda stesse in queste 
mifNitagtie, o avesse preso dai passaporti il modo di designare alla 
posterità gì' iHusiri viandanti di questa terra. Da un modo di con- 
siderare uoaiDi 'e cose» largo, pieno e parco a un lempo niedeshano, 
siamo cascati al lavori d'Intarsio^ aUi? sftìiouszaliire, a queste gret- 
tezze lussureggianti, e la peana or' ora divenla un ooltello anatomi- 
co. 5' osa fMrimeDte dai facitori di Saggi sopra U icrkti del tale o 
del lai altro, non di trar feori dagli scritti medeaimi quel taato che 
V' é, ma di rovesciare se stessi sul povero scrittore, che ne resta 
soffocato e sepolto. Sebbene io non mi tenga da tanto da sapermi 
scansare da questi due scogli, farò 11 possibile di riuscirvi ; e vedrò di 
passar «opra alle minuzie, di dire ciò cbe importa piuttosto che dif 
lutto, di dartelo in carne e in essa Id hiego d' una figura di mia io- 
venzioae. Ma ricordati, lettore, che per quaolo mi possa slodiare di 
spogliarmi dei miei per entrare nel panni ' d' un' altro, il recitante 
sarò sempre io ad ogpi modo. » 

— Accingendomi oggi a rendere un pubblico omaggio di lode, 
di compiamo e di desiderio a gidsbppb Girsn creatore e re della 
inoderaa satira itMIana, non ho saputo come meglio far precedere 
le mie povere parole, ebe da quelle slesse ebe esso scriveva or com- 
piofi quattro' anni, imprendendo a stender la vita di quel grande il 
quafe, sul cadere d' un saeola per \' Italia pregno di viltà e d'abié* 
ziofli, osava primo levare un* voce flberg che suonasse scherno ai 
codardi, agli inerii rimprovero, ai dobitesi conforto. 

ro non pretendo dire del Giusti lotto queUo cbe se ne potrebbe 
dire, specialmente quando gli seriul suoi si ponessero a confronto 
cogli nomini fra i quali dovè vivere. Altro ingegno cbe il mio si richie- 
derebbe a tant'uopo. intenzion mia soltanto si è quella di dellneare 
^io un breve quadro la vita ed 1 pregi di un uomo che precorse 1 tempi, 
e li preparò, e collaix>tcnEa di qneilFiAgegno di cui la natura l'ave- 
va dotato, colla forza «Ma parola di oil lo studio lo aveva arric- 



ch'ito, comiocid l'opera della dislruzione, prima oecessaria quando 
vogliasi eletare un edificio saldo e durevole dì liberUi^ e gettò cosi 
i semi di uo avvenire fecondo e durevole. Quale esso si fosse, come 
influisse sul presente, come dell'opera sua lo fimerltassero i contem- 
poranei, e come troppo presto sul fiore degli aoiM lo rapisse una 
morte precoce, questo è qnel tanto cbe Incendo dire in brevi pa- 
role. Quanti amarono il Giusti^ e, lui ^ivo, ne ammirarono l'inge- 
gno e il buon senso politico, mi sapran grada dell' intenzione anco 
se verrò meno all' intento. 

1. 

Sul cadere del iS¥l veniva^alla luce in Firenze un piccolo volume 
di poesie che era avidamente letto da tutti, cbe l' uo I' altro si strap- 
pava dalle mani, perchè con esso finalmente il nome d' uonoo amalo, 
venerato, ammirato, (ma per così dire di sotterfugio) vedeva per la 
prima volta la chiara luce del sole e veniva a guardarsi quell' ìocobm>- 
do velo di mistero che, per oeeessilà delle cose e dei tempii aveva do- 
vuto per dieci anni coprire il nome del poeta i cui versi slavitoo nei 
core e sulle labbra di tutti gli Italiani. — Ma 11 poeta a quel primo 
rivelarsi in persona univa una specie di minaccia, che (u diversa- 
meoie interpretata dai molti che amavano la forte e virile espressione 
della sua musa, la quale uccideva col lampo d' un sorriso, e fulmi- 
nava colla potenza d' una parola, il poeta scriveva così : 

M Sento che questo modo di poesia comincia a essere uà frutto 
fuor di stagione, e vorrei elevarmi all' altezza delle cosai nuove che si 
svolgono davanti ai nostri occhi con tanta maestà d'andamenlo; ma 
l'ingegno avvezzo a circoscriversi nel cerchio ristretto del no chi mi 
dice cbe abbia tanto vigore da rompere la vecchia pastoja e spaziare 
in un campo più largo e più ubertoso ? Semi darà l' animo di poterlo 
tentare, certo non me ne starò ; se poi non mi sentissi d» tanto, non 
avrò la caponeria d' ostinarmi a suonare a morto^ in un tempo ohe tutti * 
suonano a battesimo. » 

Queste parole del poeta erano diversamente interpretate. Chi vi 
leggeva il suo silenzio per l' avvenire ; chi al contrario scorgeva la 
esse che una promessa e sperava che l' uomo 11 quale aveva con mano 
cosi polente demolito il barocco edifizio del passato, coprendo gli uo^ 
mini, e più che gli uomini gli abusi, col nranto d' un ridicolo immor- 
tale, avrebbe^ nei giorni nuovi che spuntavano sull' orizzonte, gettate 
le basi del nuovo edificio cbe s'Imprendeva a costruire. E con questi 
diversi criteri!, se vi fu chi gii mosse rimprovero e lamentò quelle pa- 
role, vi fu chi invece ne prese coofortoi lo non credo che esse avessero 
tutta quella importanza ciie loro s'attribuiva; soa persuaso che in quel 
raomenio nel quale un paese addormentato per secoli e secoli nel di- 



X9X 
«poliamo, slrbveglìava per te prliM ToHa aia llberlA^ e d««eva natu- 
ralmente trovarsi come ti prigioDiero ebe dopo luoghi anni mula lo le- 
Mfbre della prigione nel vivo raggk» del aole, iocerto e vaeìttaoto 11 
poeta scrivesse quelle parole più per isliolo die per riflessione, più ri- 
))eo8aodo ad* opera saa ciie eoi tempi nuovi credeva compiuta, aoiietaè 
mMitaotfo, e rendendosi comò di un'opera nuova che fofie dovere e 
voloniAper lui I* Intraprendere. Spcoebio del paese che aveva per tanti 
anni rappresentalo col canto, i» quel momento che non eblM e non 
avrà uguali, pia sentiva di quel che non meditasse, e quelle sue parole 
non «rano né' una promassa, nò un abdicaxtene. Era r uomo che ve- 
deva i tempi mutati e dilbHava che a nuovi tempi ai richiedessero nuovi 
modi. Questa oscitanza in un momento in cui esso più di tutti pelea 
vantarsi di veder ridotta all' alto l' aspirazione e l' opera di dieci anni 
di lavoro e di fatiche, mentre crollavano gli ordini anlicbi da lui cosi 
acerbamante combattuil e minali, questa oscitanza nel punto atesso in 
cui coglieva I fruui della vUiaria, questo avvedersi cheaiF epoca nuova 
4ci costruire forse mal s' addicevano i modi adoperati eoo ik booù riu- 
scita per demolire, quesl' abnegazione di se stesso lo quei primi no- 
menli, A a parer mio una dèlie ciMe che più l'onora. Esso pelea sbacar 
fuori e dire a fronte alta: quesl' opera a cui plaudite ò in gran parte 
opera mia* E Invece dubitoso scriveva : forse il mio giorno è trascorso, 
forse io che distrussi il passato dovrò ooodannarml al ailenzio oggi che 
quel passalo è sepolto. 

Qual' era questo passato che tramontava ? quaP era quesl' avve- 
nire di 'Cui spuntava la prim'alba nel oieloT Perche, a dirlo colle 
stesse parole del poeta, fino al iS4l era stato necessario tuonare a 
morto e in quell'anno si poteva cominciare a tuonare a battetimo f 
' Tutto questo credo sia necessario d'esporre prima d'entrare a par- 
IdfT di lui ; credo che sia cosa inevitabile tracciar questo quadro nel 
quale soltanto può campeggiare Intera o spiccata la sua nobile ima* 
glAe : e tenterò di farlo alla lesta in poche parole. 

Quando ai monarchi d'Europa fu dato dMncatenare la rivoluzione 
pèrsoniicaia nel colosso immenso di Napoleone, come jene si divisero 
la preda ; e quella divisione falla a occhi e croce fu chiamata irau 
tato del itf. Nell'ebbrezza della vittoria dimenticarono la lezione, che 
pure avrebbe dovuto portar qualebe fruito per essi, ove fossero stati 
dolali dt senno, se non di virtù. Per un momento il cielo in appa- 
renza sereno, crederono ritornali I bei tempi di regnar per la grazia 
di Dio e dietro questo principio ai divisero II mondo e gli esseri ra- 
gionevoli che l'abitano, nò più nò meno che se il primo fosse un po- 
dere e i secondi una mandra di pecore. 1 riguardi dovuti al giusti 
reclami della oaziOBiMià che risvegliata da vent'annl di guerra aveva 
ormai alzata e per sempre la lesta, le dimando d'una giusta misura 



X «>x 
di libertà che i lampi iniperiOflaoEMirte reelaaiavaoo, furooo dUprez- 
aaie, come se altro noa fossero cbe sogni di memi esaltate, da quei 
pochi dlploroaUci che raooolU a banctiette nella capitale dellf mpeiìo, 
discutevaDO fra il cozzar dei biocbieri i deslioi d^ Europa, e si divi- 
devano alle frutte gii Stati e i loro abitami. La rivoluzione fu rinne- 
gata; e neeessariamenle questa stolida dimenticanza sparse» in una 
paoe momentaneamenle suffuUa dalle baionette, I semi d'una nuova 
rivoluzione. Oosì son fatti i potenti; quando l'oragtno della libertà 
imperversa, si gettano in ginocebioni e lo scongiurano coUe promes- 
se; quando per un momenlo rallenta, le promesse divengono eooM) 
i giuramenti dei marinai e le infrangono e te obliano, e tìsìo che il 
cielo è sereno non credono, inebriati dalle loro aasoluiiste velleilà 
che possa un giorno tornare a Oscurarsi. — Cod operando • disco- 
noscendo i bisogni veri e sentiti del popoli, preparò la nuova rivo- 
luzione il trattato del iH. 

Allora, come ora, come sempre, lievi concessioni, che promettes- 
sero un aodamento progressivo nel bene, che aeceliando io massima 
la Nbertà e i diritti dei popoli, si riserbassero ad attuarli mano a 
mano die ne diverrebbero capaci, prendendosi intanto la scesa di 
testa di renderli tali colla educazione saviamente spartita fra tutte 
le classi delia società, insegnando gradatamente cbe a ogni dhritto 
corrisponde un dovere, avrtbbero incatenata la rivoluzione e forse 
a quest'ora l'Europa godrebbe una pece vera, senza esagerali timori 
e senza esagerale speranze. Se protenderete di parlare a un popolo 
soKanio di doveri, il giorno in cui s'avvedrà d'aver anche del diritti 
dimenticherà tanto i doveri da non credere d'averne più alcuno; e 
l'anarchia sarà colpa più delle stolide pretese dei rinsorchialori che 
delie dottrine degli utopisti, se i primlnon parleranno che di doveri, 
i secondi non parieranno che di diritti : e il mondo, invece di ripo- 
sarsi tranquillo in seno a governi che sodisfino aUa giustizia e aUa 
libertà, non sarà che una perpetua altalena fra la tirannide e la de- 
magogia. E questi pericoli anziché diminuire accrebbe il trattato del 18. 
volendo tofacare i germi funesti che si chiudevano nei seno della 
rivoluzione, ne soOocò spenéieraUnienle anche i germi onesti che in* 
vano la prepotenza t^Ueala a recidere, perchè Dio. li fecce li volle 
eterni, così nei conato di sclilacciar questi ultimi preparò la resur- 
rezione dei primi. Quando poi venne il gtomo che, riscossi e fortifi- 
cati dalla preasiooe su loro tirannicamente esercitata, rilevarono la 
lesta; quando i popoli oppressi alzandosi contro gii oppressori di- 
menticanooo in quel nuovo svegliami i confini deNa giusUxia e usci- 
roio dai limiti della Uberlà, «liora aopraflhui dalla reakà delle cose, 
ma non Illuminati e resi saffi delta ragione, anziché riconoscere il lliUo 
loro, cominciarono di nuovo a maitdire la rivoiualioe che e«i soli ave- 
"^o preparata. La maledizione fu l'unica parola che suonasse sulle 



X " X 
toro labbra, memip devevaso avvederti, die dei danni loro preaen- 
0, e delie tveiuure di luiU eraoo stali Gagiose essi self . Eppurt, pec- 
catori impenileoU, osanono gridare anaUnta qtaodo noo d^veao gri- 
dar che mea culpa. 

Ka di qaeslo pasto precorrerei i teoopi ; tomo all' Italia* - 
lo Italia come per luUo^ forte più ebe per tulio, esislevaoo i germi 
delia rivoluzioiie, ^e il trattato del itf, aosicbòcoa saviiprovvedimeoti 
distruggere, avea preleso estirpare eoo kilolleraote violena. E se dissi 
così, fu perché nella penisola più obe dovunque si erano disconosciuti 
I prioclpii deUa nazionalitA e se n* eran fatte le divise^ come della veste 
del Cristo, giocandola ai dadi. Se aggiungi a questostrariodiplOBBatico 
il carattere degli abitanti ardente per natura e per clima, e la nessuna 
educazione politica, avrai tutti gli eleroeoli cbe ci vogliono percbè, 
prima o poi, scoppii la tempesta della rivoluzloon. A qualcuno potrù 
lorse parere un paradosso quanto dice, e ripensando ai sonni ormai 
proverbiali che dornU Italia a quel tempo, e al nluo desiderio o scienza 
di vUa pubblica, negherà quanto per me viene affermalo. Ma a chi in 
4ai modo mi parli mi permetterà rammentare cbe quanto appunto é 
più profondo il sonno dei moAi, laem più il •eatlflaenio d' essere svegli 
e vivo io quei pochi che realmente lo sono, e «he, volgendo lo sguardo 
sugli assopiti, credono neeessarii e adoperano violemlrimedli a riscuo- 
terli. Tali, cbe in un paese nel quale la libertà fosse un diritto rioono- 
sciulo di lutti, e non un aspiraaone compressa di pochi, nell'urlo 
della vita pubblica sarebbero eccellenti e utili ciltadloi, rimasti pochi 
e soli a vegliare in un campo d^ addormentati, che paion mortlj errano 
nella sceila dei mezzi e, d' ouimi elementi d' ordine che erano o potè- 
van essere, divengono ^e non per colpa loro) eleroeoli di disordine 
e di rivoluzione. La mancanza poi di educazione politica, con* 
segueoga necessaria della mancanza di vita pubblica, è causa prima 
di (auto flagello. Perdiè quando è l* ora dello svegliarsi, accade che un 
popolo, nuovo del tulio alla voce della libertà, la sbagli e la confonda 
coli' anarchia, e in un ebt>rezza prima non la creda possibile se noo 
quando si ravvolga nei eeoci del trivio e si melU sulla testa il berretto 
frigio* L'abbiamo visto col fatto. Se ii iratiato del Ijt, invece di soif»- 
care nazionaiità e Hbenà, invece 4k dividere le misere membra di que^ 
sta povera Italia, come i furibondi cavalli del circo squartavano i rei 
n^ pia barbari secoli di Roma, avesse messo su un sistema basato sul 
vero e tal giusto, avesse promessa e compiuta ia sua educazione po- 
litica, oggi forse l' Italia sarebbe lìbera e tranquilla, la Aivoiuzione 
oon avreìQbe nemmeno incominciala,! mille «rrori di coi tardi e va- 
namente piaogianao non sarebbero «tati commessi. — Ma que* di 
Viemia in allora despoti del momento, imi la pensarea cosi, e an- 
ch' adesso, noi»«ootentl d*uoa prima lesione, ci par di vedere che 
pendano a ricascar nell'errore madornale, e anzidiè coHivare, ab- 



X *2 X 
biano in mente di soffocare o^i germe di vita pubblica ripreparàndo 
per tal modo la rivolualone. Per buona sorte siam giunti a taie che 
questo sproposito (per non darli un peggio nome) non è più possi- 
bile, ftp la lezione fu inutile per quei cancrenali che tengono alla 
giornata le redini in mano, (u proOcua pel popoli che impararono a 
loro spese ; e per questa volta le male arte e 1 tenebrosi disegni ri* 
marranno frustrati. Nata una volta la vita pubblica non s'estingue; 
e fra noi la vita pubblica è nata. 

Né questi elemeoii tardarono a svilupparsi. Alia vita pubblica 
soffocala dalie iroprovide disposizioni prese nel Congresso di Vien- 
na, tennero dietro le tenebrose mene della carboneria, della quale 
furono un saggio infelice 1 moti del 31 , Quella forza costretta a starsi 
nascosta nell'ombra falli al proprio intento quando, vittoriosa per un 
oiomeoto, dovè lavorare alia splendida luoe del spie. — Ma tali av- 
venimenti son troppo noli perchè mi «la d'uopo tornarvi su. Soltanto 
accennerò infin da questo momento come il danno e il pericolo delle 
società segrete appunto in ciò consiste, che, anche trionCanti, nel 
giorno del trionfo si trovano, costrette che sono a uscire dal mistero 
dov'eran naie e che abitualmente le circondava. Inette a governare 
del pari che ad essere governale. 

Gli avvenimenti del 31 avrebbero dovuto rendere intesi i rettori 
della cosa pubblica che il sistema del 4S non era giunto a soffocare 
tutti i semi della rivoluzione come fórse avean potuto credere In un 
momento d' ebbrezza . E di ciò falli accorti avrebbero dovuto i go- 
verni cercare e porre in pratica i convenienti rimedii mentre era 
ancor tempo. Essi uscirono da quella prova come s'esce da un so- 
gno penoso che si dimentica sullo svegliarsi, e anche quella lezione 
fu perduta per loro. Dieci anni di sonno, anzi di letargo che ten- 
ner dietro a quei primi ed infelici conati, parve sulle prime che 
dasser loro ragione. Render questo sonno tranquillo sembrò loro il 
non plus ultra dell'accorgimento politico. — Ma in capo a 40 anni 
venne il SI a riscuoterli da quell'arcadica illusione. 

B in questi dieci anni sicuri come si credevano, non dirò che 
ralleniasser la briglia, lo che affermando uscirei fuor del vero, ma dirò 
che non furon bastantemente guardinghi, come la falsa loro posizione 
l'avrebbe richiesto, nell' impedire che una opinione forte e lik>erale 
bì formasse e prendesse piede in paese, credevan d' aver ormai as* 
stcurato ai sudditi un sonno secolare, e in questa persuasione quasi 
s' addormenlarono anch' essi. 

Ma intanto i desiderli di libertà si estendevano ogni dì più e la 
fede dei pochi cominciava a essere aspirazione dei molti. La lette- 
ratura assumeva via via un aspetto civile fratte nobili mani di Man- 
zoni e di Niceolini : I' uomo inoomiociava. a sentirsi uomo : quel- 
l' educazione politica che i governi, ove avessero voluto (e l'avrebber 



X « X 
dovalo^ potefan dar al popolo in bre?« volger di tempo, lentamente 
i più eletti clttadiDi si apprestavano a darfa in un luogo giro di anni, 
a poco a poco, a sorsi a sorsi, pelcliè non bisognava amrolnisirarla 
io dosi da insospetflre 1 governi ormai nemici giurati di qualunque 
libertà. — E intanto le società segrete continuavano a lavorare. 

Forse la lenta educazione che uomini eminenti Intendevano di 
porgere mano alPllalia per ri trarla dal fondo in cui si giaceva, avrebbe 
portato I suol frutti se gli eventi non avessero precipitato. In tre 
giorni Parigi rovesciava una dinastia che dominava da IO seooii e 
consacrava nella costituslone di luglio lllieri prlncipll che non pote- 
vano fermarsi alla frontiera dell'Alpi e del Reno. 

Né vi si fermarono. Hel Sf l'Italia insorse, ma con moti parziali 
che furon ben presto domati dalla forza. Per quanto generosi fos- 
sero quei moti erano anch'essi opera di setta e sparirono lasciando, 
specialmente nella pomata, traccia funeste di sangue e d' estermi- 
nio, con un' uomo debole alla testa del governo. In quei paese s'andò 
ano all'ultimo limile della reazione; s'empleroh lo carceri, ai alzò 
come Ancora unica di salvezza II patibolo e nel patibolo si sperò, 
come tutte le armi a due tagli quel mezzo violento più che a quei 
che n'eran vittima nocque a chi 1* adoperava. Ma in un modo o in 
un altro in Romagna e altrove venne rimpastato uno ntatu quo che 
aveva l'apparenza di pace; e secondo il solito la lezione andrà per- 
duta; ancora per una volta 1 governi si rimessero a far peggio di 
prima. 

Da quest'epoca in poi però la faccenda mutò d'aspetto in Italia. 
Parve pace, era tregua, interrotta talvolta da sforzi Inutili perchè isolati 
perchè secondo il solito ristretti nel li «aite angusto di conati di sella. 
Ma i due campi ormai stavan di fronte eran tracciati e confinati chia- 
ramente. Da un lato i partigiani dei governi quali erano, tulli affezio- 
nati a loro per interesse, nessuno o pochissimi per convinzione. Dal- 
l'altro i liberali che Onalmcnte usciti in gran parte dalle tenebre, ave- 
vano assunta una bandiera e cominciavano arditamente a sventolarla. 
Fino Allora i desideri si erano ristretti nella angusta sfera della libertà; 
a quei giorni cominciarono a estendersi nel campo dell'indipendenza. 
Jn casa nostra padroni noi j chi non ci ha che far se ne vada» Questa 
idea più concreta fu meglio intesa dai popoli e proseliti del partito li- 
berale andarono ogni giorno ccescendo di forze e di numero. 

Intanto però gravi flagelli itflliggevan gli stati; chi sopr' essi avesse 
gettato cosi alla prima uno sguardo non avrebbe potuto ri trarlo che inor- 
ridito. Quasi per tutto (In Romagna era anche peggioj un diluvio d'im- 
piegati, falange devota all' ozio, divorava le rendila dello slato; la spia 
e il birro, antemurali dell' assolutismo dominavano da un capo al- 
l' altro della penisola. Pagare e dormire eran gli articoli del diritto 
pubblico degli Italiani. Nessuna fede politica pareva che domioasfe. 



X i* X 
non dirò i governali ma nemmeno i gorernaoU, i qiKiH vivevano àiu 
giornata e ai quali ogni ora fli potere {rarevafOenoe suol dirsi, trovata. 
Tale era il presente ^e a questo presente soprastava la memoria di tre 
secoli di viltà, che pur si volean far passare per secoli modello. Stando 
le cose come stavano bisognava cominciar dal disirug^fere. Con ogni 
arte, con ogni maniera bisognava minar le fondamenta di questo go- 
tico ediflzio che ormai slava ritto più per veccliia abitudine, ctie |ier 
forza propria. Ridurlo in cenere doveva essere il primo pensiero dl'etki 
architettava elevare un ediflzio maestoso e durevole di libertà, vedremo 
poi come GiD^t fosse il primo e più potente rovesciatore di queftia 
mole, che al tempo stesso era grottesca e terribile, che al .tempo stesso 
aveva qualcosa, che somigliava a un casotto da boraltini e qualcosa che 
rammentava le torri d' una Bastiglia. 

L' idee iniani9 di libertà, e più di tulle l' idea madre d' indipen- 
denza, facevano ogni giorno cammino. Esse non eran più nel domi» 
nio di pochi iniziatori che ne facessero un mistero agli adepU, ma 
s' agitavano, si dìMutevano da molli e dovunque. 1 Congressi scien- 
tifici le spandevano da un capo all'altro d'Italia e gli echi dell'Alpi 
ripetevano il suono delle nobili parole, pronunziate prima sull' Arno, 
poi sul Sebeto e sul Po. il sono profondo cominciava a essere un 
dormiveglia. Né molto andò chela stampa s'impadronì dell'ardue 
({uestioni e che (siamo al 45) i nomi di Balbo, di Gioberii, d' Aze- 
glio corsero benedetti e venerati l'Italia. Un gran passo era fatto. 
Le idee di libertà e d' indipendenza eran divenute popolari tanto che 
non si parlava ormai più del cAe, ma ak discuteva del come, li sistema 
del 4!$ era ridotto uno scheletro nella coscienza di tolti, un soffio do- 
vea bastare per Carne un muochio di polvere. 

Quando i tempi son giunti basta una favilla per produrre un in* 
cendio. un atto di perdono, generoso ma indispensabile, mosso dal 
Vaticano, fu il segno del risvegliamento italiano. Da Torino a Pa- 
lermo la libertà fu chiesta a una voce nel nome di cristo, e non una 
libertà gretta, egoista, di municipio, ma alleata colla indipendeoxa 
che soia poteva renderla intera, durevole e non illusoria. 

E allora cominciò a svolgersi una magnifica scena, qual mai non 
ne offrì agli occhi nostri la stòria. Una rivoluzione inaugurala dal 
perdono, una rivoluzione, da cui ogni vendella è proscriiia, da cui 
gli antichi dolori sono obliati nel calore delle speranze nuove, in cui 
tutti s'abbracciano come fratelli quei che poco fa si guardavano in 
cagnesco come oppressi e oppressori non più rancori cupamente co- 
vati nel petto, non più ire per lunghi anni nutrite, ma uno slancio 
nobile e unanime d' una intera nazione verso la libertà, alla quale 
col plauso, colle dimostrazioni d'affetto conducevano i Piiaoipi che 
fino allora l'avea'no avversata, e che adesso, vedendola In faccia, 
prendevano o parca prendessero anch' e?si ad amarla. A questo speli 



tieolo, uoico piuttoMo ebe raro, attiftiemmo uilU nella Mconda mela 
del 47, e qaei giorni d>ebbreue inDOcenie Hanio a tutti tcrltl Del 
core. 11 passato era estinto, una nuova ìrita nasceva ; era l'ora, come 
esprJmevasi il giusti, di tuonare a batieiimo. 

se vi fosse cbi mentiva in quei roonMntl soleeoi la storia dirà, 
cercare se le sventure d'^oggi fossero ipeditale e prepaitte fln d'al- 
lora, o non piuttosto l' ettetU) d' avvenimenti iDaspetlati, di errori 
comuni, di desideri! sfrenati, a me qui non si aspetta.' — Il breve 
quadro dell' epoca, sulla quale specialmente agitò il suo Oagello la 
potente mano di Giusti, ò tracciato, e posso aetaf altro entrare a 
dire quale esso si fosse, e che via tenesse per compir Popera a cui 
lo riserbava il suo genio. — 

li» 

U» castello io vai di Nievole, posto sulla sinistra della via che 
conduce dà Firenze a Peseta, vide nascere 11 GiusTi. Esso, figlio del 
cav. Domenico, apriva gli occhi alla luce in Monsummaoo nel mag* 
gio del 4809. La famiglia da cui nasceva, era gna ricca famiglia di 
pescla^ cbe. aveva coniato sempre nel suo seno uomini di chiara ed 
intemerata fama. Giuseppe Giusti, avo plicarno del nostre poeta, era 
stato ministro, e più che ministro amleo del primo Leopoldo, a cui 
col consiglio e coli' opera avea agevolata la via di quelle riforme 
ctae ne resero il nome immortale ; e il suo zio Luigi, a profonde 
cognizioni legali accoppiava uà' amore sviscerato per le lettere. 

Dalie iDOlte notizie che mi vennero comunicate sulla sua 
infanzia e sui primi anni della sua adolescenza, potrei a scelta mia 
estrarre aneddoti che ne mostrerebbero fio da quell' epoca la viva- 
cità del carattere e la svegliatezza della mente. Ma me ne risto, per- 
ché non ebbi- mai troppa fede nei miracoli dei bambini che, un 
pe^più un po' meno, credo tutti d'un conio e d' una pasta. Ameno 
che non sia ebete affetto, credo ogni ragazzo capace di diventare 
uomo in tutta Pesiensloo del termine, quando un' educaaione accu- 
rata e savia sviluppi la esso 1 germi dell'Ingegno e della volontà, i 
l)ambini portentosi li meftio, per parte mia, fralle leggende fantasti- 
che, perchò mi aùn dovuto accorrere come (lo dirò colle slesse pa- 
role OlÓBTl), 

Spesso d'uo Socrate 
Adolescente 
»' esce un decrepilo 
Birba demente. 

Mi ristringerò dunque a dire, che On dai più tenerr anni esso 
era un bel ragazzino, di carnagioiie colorita e sana, d' indole viva- 



X *6 X 

cUsima e qoasi indomabile, con bellisiv'ini capelli e occhi neri fiimìit 
a qullli della madw, doona per'qufti luoghi e peri|uei lempi ba- 
slantemenle fslruila. * - 

Ricevute che ebbe in fsimiglia le cure infantili, fu mandato in 
Collegio nella vicina Pistoia e là ebbe la primissioia educazione. Né 
voglio tralaflUBlar qui di accennare una notevolissima coincidenza , e 
si è quella, ohe il Gollogid, nel quale veniva da prima invialo il 
GIUSTI, era quello stesso in cui compiva I suoi studii Filippo Pa- 
nanti, poeta per mille conti popolare e pregevolissimo per ingegno 
e per siile; che 9e non seppe strigarsi dai ceppi della facnja, e le- 
varsi all'altezsa delta satira p^Rtica^deve ascriversene la colpa più 
ai tempi che a lui. 

Non corse gran fatto che il padre di Giuseppe por averlo più 
prossimo lo tolse ancor fanciiiìlo da Pistoia, e Io traslocò nel Colle- 
gio di Lucca. 

Di spirito irrequieto e vivace, ipal piegavasi alla fatica dello stu- 
dio, a «ui probabilmente anche esso, per. vizio degli uomini e dei 
metodi, sarà stato iniziato per una tia se cui la mente fanciullesca 
trova più triboli e spine di quel che non adescamento e diletto. E 
negti anni adulti si doleva poi, come V AlOerì, di non aver basle- 
volmenie- studiali 1 Classici Latini e di non aver voluto saper altro 
d<fl Greco dopo averne lelio l' alfabeto. 

usci dal Collegio per andare al l' uni vertilà di Pisa e dedicarvlsi, 
secondo volle suo padre, agli studii legali. Amalissimo là da quanti 
lo conoscevano, divideva eoi suoi coetanei, sia detto a lode dei vero, 
più I divertimenti proprii dell'età sua giovanile, che i severi studii 
della giurisprudenza. Anche pbr esso, come per tutti i poeti, fu ima 
guerra terribile quella che dovè combailere colle Istituzioni e colle 
Pandette. Forse fino da quei primi momenti nel quali, uscito datìe 
pastoie del Collegio, gli era dato respirare le libere aure della vita 
scolaresca, intravedeva per intuito che, anche al di fuori dei prf 
scrini dal Regolamento universitario, *i erano degli studii e dei gravi 
studii da fare sugli uomini e sulle cose. 'La pagina* della vita fin da 
quel momento gli parve degna d' esser meditala forse più delie 
morte dottrine dei Codici polverosi; s'avvide ch« il mondo è un 
libro vivente wel quale, pur di sapervi leggere addentro, v' è da 
imparare quanto in ogni altro. E questo libro cominciò a •to^iarc 
(In da quei primi» anni ; le stesse apparenti leggerezze di..giovtn«ù 
furon per lui la prima pietra sulla quale .si foftdò poi l'edJft^ del 
suo ingegno. La profonda conoscenza degli uomini che ebbe luogo 
dì mostrar nell'opere siift« la deve forse a quei quaUr» anni sfumati 
in libera gioia, nei quali, coro' ess» a^esprime, sepolti i soliti libri 
io un canlo apri, compilò e laolo gli piacque il libro delia vita, se 
si fosse piegato agli sIulIU de! Dirtelo non sarebbe riuscHQ forse che 



X " X 

uo mediocre leguleio; dalo invece libero TOk> aUMogegnoj divenne 
poela. 

E quando già i primi saggi della sua musa correvano intera 
l' ilaiia, avidamenle leu! e imparati a memoria e ripetuti da lutti, 
esso godeva, ritornando sul passato^ di raromenure quegli anni pri- 
mi^ e il consacrava in una delle sue più spontanee poesie, le Mlemo' 
rie di PUa, 

IO per me venero 
se ci t'impara 
Tanto la cattedra 
che la bambàra -, 

esclamava il poela ripensando ai giorni trascorsi, nei quali sentiva 
di avere imparato forse più sulle panctie dell' Ussero cbe sotto le 
volte di Sapienza. E con un ardente desiderio ricordava quei tempi. 

Quando burlandosi 
Dei due Diritti 
senza riflettere 
Punto al Bescritti 
Cantammo I cori 
Dei tre colori. 

Ma non si creda però cbe se io quello slancio di buon umore, nel 
quale tornava verso un epoca di celie^ di scapataggini innocenti che, 
tulli quelli i quali 

Adesso sbraciano 
Gonfi e riunti 
Ma in bieca e itterica 
ViU defunti. 

forse sotto sotlo, malgrado la scimmiata austerità presente, rammen- 
tano con desiderio; se io quello slancio il nostro poeta portò innanzi 
senza tanti coraplimenli la massima 

Bevi lo scibile 
Tomo per tomo 
sarai chiarissimo 
senz'esser uomo; 



se cliiamò quelle tabule rase che lianno lutlo I» ingegno nella grop- 
pa, sgobboni ciuchi e birboni j disprezzasse per questo chi veramente 
si nutriva di sludll severi la mente, e chi alle pure sorgenii delta 
sapienza passata cercava di fare abbeve»are l'ingegno moderne. 

2 



X *8 X 

pochi forse commesso oercarooo invece i priocipli di um (bmra 
nuova nello studio religioso delia forma antica. 

Per quello spirilo di rensione al iMMsaio, le cui tante colpe pe- 
saTano sui presente, e* disse maleUlTÒita dell'istruzione antica, ma 
soltanto di quella parte viziosa cke diiude in se, e non ò poca, in- 
fatti se la prese spesso cogli sgotiboui, col pedanti, ma non mai coi 
veri studiosi ciie seppe sempre distinguer da costoro, e onorare « 
imitare. Mi pare in questo clie potrebbe benissimo paragonarsi a Bar- 
lolini il quale, mentre non se ne slava mar dai dir male delle sta- 
tue greche, fu appunto a forza di dirne male che arrivò a farne delle 
simili. Cheanzi, se ben vi si badi, mentre il Giusti diceva plagas de- 
gli sgobboni, per conio suo poi sgobbava moltissimo, sia nello stu- 
diare la scena del mondo che svolgeva sotto i suoi occhi, sia nel ri- 
fare da cima a fondo, rome rifece, tutti gli studi sui classici. Alfieri 
e altri grandi poeti avevan fatto alirellanto. E tra i classici amò in 
pariicolar modo Virgilio dei cui poemi sapeva lunghissimi brani a 
inetiioria ; dopo Virgilio gli fu simpatico Orazio del quale, mentre 
compiangeva le servilità cortigianesche, adorava la finezza dei con- 
cetti e la perfezione della frase. Dopo questi due classici il poeta , 
per cui nutriva una specie di venerazione e sul quale aveva in lun- 
ghi e profondi studii vegliale molte notti, era Dante. La canzone , 
«luasi tutta tessuta di versi della Divina commedia, che esso in se- 
guito compose allorché venne scoperto il bel ritratto fatto da Giotto 
al fiero Ghibellino, ci attesta il lungo studio e il grande amore cui 
(|uale aveva cercato II suo volume iramorlale; 

Di questi studii positivi nutriva la mente, mentre più lieto di 
tutti nei lieti convegni degli amici d' università, 

Fra il pwnchy il sigaro. 
Qualche attro sfogo. 
Uno sproposito 
A tempo e luogo, 

beccava i' esame In quindici giorni e consacrava tutto il resto del suo 
tempo a imparare il come si viveva In questo mondo. 

Esso stesso mi l>a detto che fino dall'età di i3 anni aveva buttato 
giù il suo primo saggio poelicu,€)ie consisteva io cqrte ottave sulla Torre 
tU Babele, delle quali non serbava più né memoria, ne copiai e dopo 
<|uelle ottave aveva composti a più riprese dei versi satirici in ver- 
nacolo Lucchese. Mentre era all' Università dette il primo cenno del 
suo ingegno poetico In poche strofe burlesche dirette all'impresario 
che a quel tempo teneva il Teatro di Pisa, strofe che ci soo rima- 
ste, e nelle quali, se non si trova quella perfezione di stile e di for- 
ma che poi lo doveva rendere meraviglioso,si trova pur non osiaolc 
un fere tutto suo ciie ci spiega lo strepilo che fecero a quell'epoca. 



Altre cose di tknW genere «ctIìm in quei lomo; tna in nesMioa dì 
-esse toccava ancora la corda poHlica. 

I quattro anni d'uoiveraMà iraacorsero e, oom' ci Ace, comprò 
dhita é* eeceileMiuimo, ti addeHorò> Dovè forae essere un doloroso 
staccarsi quello in <Mi, saldalo il veecMe «onio dell' CTsmto (1), 
montò io carrotzà lasciando una cillà e una vita che aveva tanto 
amato. Esso slesso eonfessava qualche anno dopo d'esser partilo da 
Pisa col muso basso e coofoso; lasciava sospirando le abitudini sne 
predilette, i luoghi che erano stati tesHnioni dei suol primi passi nel 
'Cammino della viia. •Quanti sono alali all' unlversilà intenderanno 
quest'amaro che si cliiude nel giorno della .partenza dalla ciiià in 
cui si vissero i primi quaiiro anni di vfla^ e die per quattro anni 
fu come un cercliio fiatale oltre il quale la ineme dei giovane ancora 
inesperto non nutre né speranae, nò desideril. Al di tt di quelle 
porle par che il moAdo sia chiuso. E quell'inganno giovanile non è 
poi un inganno io lutto e |)er tulio, che per lo pia le gioie sincere. 
le letisie speosierataraenie iranquiUe -di rado seguono il dottore ai 
di là delia soglia della UoHrersiià. 

II Giusti lasciata Pisa venne a Firenee a far le 4>raliciie iter 
ravvocatura e si pose nello studio di capoquadri, avvocalo a quel- 
•fepoca in gran voga, poi MOniatro di Orazia e Oiustisla. Anche nel 
corso per<» delle pratiche legali, più dei decidenti e dei repeienti, 
più del Bariola e «ordo» cercò i predileui studi della letieralwa che 
-con alacriiA maggior del solile eootlmiò. Pu su queU' epoca che 
scrisse alcune lìriche le quali Itaiidaascnte leggeva ai stfoi «nici d'al- 
lora, Tonti e Montanelli. 

Cosi GiiisTi avea trascorsi (Mi ^abì suoi iirlroi, ed era ghmlo 
a quella eli nella quale, volere o non volere bisogna che ognuno 
si scelga una via per Urare a tee il peilegriaaggio di questo mondo. 
Quella della legge sulla quale il padi« oonai l' avea avviarlo, non pa- 
reva Dò a lui, né a chi lo conosceva che s' addicesse al suo genio, 
alle sue tendenze; non era né il primo né l'ultkno che dopo aver 
<)ovulo, per amore o per forza, passar sotto la forca caudina degli 
studii legali, venuto poi un bel giorno voltò loro le spalle per segui- 
larc altra via, dove meno -guadagno ma pia gloria v' era da cogliere. 
A nelle di Tasso vi fa chi volle per forza fare un procuratore; esso 
strappò la cavezza e divenne il poeta delle Crociate. 

Iniauio e negli anni vissuti In Pisa e nel primi passati In Firen- 
ze, il nostro "Giuseppe aveva, investigatore com'era per natura, dallo 
studio degli uomini che si cbiaman sudditi, alzato l'occhio su quelli 
•che si chiaman padroni. E al primo sguardo il confronto non gli era 
^^nndato a genio, e sulle spalle di quesi' ultimi, benché le coprisse un 

(1) caffè (li Pisa rre<i!ientato dalla scolaresca. 



*••«. *** x\ 

baluardo dt titoli e di ricami, gli era pano che dOTCìte ricadere quer 
biasimo clie Hcniiva gii risuonare iDdefiallo allMplomo. Ei non si 
rendeva conto per anco di quel cbe provava in questo ooofroolo, 
ma gli pareva cosi alla prima cbe una colpa vi fosse, e che li peso 
di quella colpa piuttosto cbe sui meschini che urlavano, dovesse gra- 
vare su quelli li faceva urlare. In poche parole, appena si voltò <i 
contemplare la topografia politica di questo mondo, gli parve che gli 
oppressi avessero mille ragioni, e mille torti gli oppressori. 

Fin dai beali ozii di Pisa, quesl' idea prima aveva cominciato a 
dominarlo ; fin d' allora aveva presentito che altri destini, diversi 
dal presenti miserìssimi, aspettavano li suo paese; e rapito da 
quelle convinzioni e da quelle speranze, aveva fino da Pisa, incomin- 
ciato ad amare nei simbolo dei tre colori la libertà e V indipendenza. 
In quella età calda e facile a ricevere le impressioni, egli vergine an- 
cora d'animo e di mente assistè agli infelici sforzi dell'Italia, per 
conquistare la libertà, e il nome d' Italia gli si scrisse indelebilmente 
nel core. Nella fantasia giovanile vide che la faccenda non poteva alla 
lunga andar come andava, perchè mancavano al governi le solide 
Iiasi della giustizia ; e indovinò non lontano il momento nel quale lo 
stupido archileo, che si voleva far passare per ragione di Stato, sa- 
rebbe cascato giù f ralle fischiate degli spettatori. 

Non appena si fu reso conto di questa sua impressione politica, 
non appena si fu detto sottovoce: co^ non pud durare, lo spirito sua 
cominciò a rifletter meglio sul male esistente, sul bene possibile, e 
cercò di concretare In un completo sistema quelle idee che cosi sparse 
e slegale gli eran l)alenate alla mente. 

E a quell'ingegno potente fu facile II concretarle. Non appena 
ebbe veduto che l' uomo aveva, fra gli altri, del doveri politici verso 
il proprio paese, s' accorse subito che questi doveri in fondo lo fondo 
si riduoevano a due: purgarlo dalla lue inveterata delie catene Inter- 
ne, e spazzarlo da chi s' ostinava a starvi dentro benché non ci a- 
vesse nulla che fare. I cosi delti trattati e il cosi detto diritto divino, 
gli apparvero subito scuse magre, colle quali si tentava invano san- 
zionare l'oppressione o l'usurpazione. Per dirla in meno parole, 
l' indipendenza dallo straniero e i' interna libertà gii parvero fin da 
quei momento due desìdcrli giusii e santi, e senza l'avveramento 
dei quali una nazione è condannala a giacersi nel fango, fatta man- 
cipio degli stranieri, indipendenza e libertà eran due condizioni ne- 
cessarie all' Italia ; il mezzo di raggiungerle, di sodisfarle, non era 
ancora ben chiaro nella mente del giovane; il tempo avrebbe dato 
consiglio. Ma era già molto l' avere in lesta certo e chiaramente de- 
finito lo scopo. 

Allora, appena gii fu palese il dove bisognava arrivare, sì delle 
a guardar d'nloroo, perchè non vi si fosse fino a quel momenio ar- 



Xa< X 
• rivali^ percbè queste due idee le più semplici del mondo foasero an- 
cora fr;i noi allo sialo speculativo anziché aii'allo pratico. Né que- 
sta seconda ricerca, necessaria conseguenza delia prima, costò mollo 
sforzo a uno spirito acuto come era li suo. Non durò fatica ad av- 
vedersi, che lutto il male dipendeva più cbe altro dalle istituzioni 
vecchie, cbe erao rimaste, le stesse, mentre col volger degli anni a - 
vevan mutato gli uomini e le circostanze : non tardò ad avvedersi 
€he i pochi, 1 quali, per interessi egoisti, s'arrabattavano a tenerle 
su ad onta dei tempi cangiali, avean crealo fra loro una specie d'in- 
teresse di casta,, cbe separava i bisogni del governo dai bisogni -dei 
popolo. 

ESSO aveva ormai veduto lo scopo a coi dovean tender gli sfòrzi 
di tutti gr Italiani, l' indipendenza e la libertà; avea veduto con- 
sister gii ostacoli, che si opponevano al nobile intento, nelle fornu^ 
imporrate e nei più imporrali uomini del governo. Il male da di- 
struggersi e il bene da ricercarsi erano nettamente scolpiti nel suo 
animo, quando da Pisa venne a Firenze. La questione era ormai po- 
sata con tutta chiarezza. 

Né queste sue convinzioni cercava nascondere; die anzi tanto 
alto fin d'allora le esprimeva, che ebbe a ricevere come portavano 
i lempi, una ripassata severa da un commissario ; lo che «>oi gli fii 
4)ccasiooe d*una poesia, io cui fece scontar cara la reprimesda al 
birre che in riga di patema cura l' aveva coperto dì contumelia. 

Questa mole crollante che si opponeva sola alP inalzamento del- 
l' edifizio nuovo, che era ormai il sogno della sua fantasia, bisognava 
iorla di mezzo. Non avrebbe potuto servire all'intento anche quel- 
l'aura di poesia che si sentiva fremer nel peUo, e gli dettava quei 
canti che amici imparziali avevano imparzialmente applauditi ? Tal 
dimanda volse a se stesso Giuseppe, e la coscenssa gli rispose di si. 
Non vi voleva che il coraggio di affrontar la pubblicità (non la pub- 
blicità per via di stampa, la quaie a que' tempi era ancora sotto la 
tutela dei reali castrapensieri) ma la pubblicità che non manca mai 
quando si voglia, e che dai crocchio via via va stendendosi ed allar- 
gandosi fino alla sfera della parte eletta della città. Questo coraggio 
abbisognava a Giusti per dar mano all'opera ormai immaginata, e 
questo coraggio non gli mancò. 



HI. 



I primi versi di Giusti, die eoo questa specie di pubblicità clan- 
destina, quale la concedevano i tempi, usdrooo dal circolo rislreiio 
liegli inlimi amici del poeta, furono quelli m Morte dell' imperatore 



X «2 X 
Fraiicetco /. Ove si consideriDO oggi <^ei veràì, ponendoli a con- 
frooto coD qaanii ne usdroDo in appresso da quella menle e da quella. 
penna» essi possono riguardarsi come dei meno felici, benclié pieni 
sieno di nuovi U e di brio. Ma quando apparvero come primogeoiii 
d'una musa cbe era riserbaia a sì alio volo, essi destarono una spe- 
cie di stupore, in qiuel sonno d'allora, nessuno si sapeva capacitare 
sul tuono di parola di quest'uomo che parlava da sveglio; in quel 
manierismo letterario, che malgrado gH sforzi di molli egregi, pure 
teneva il disopra, nessuno si sapeva raccapezzare cosa fosse questo 
nuovo modo di scrivere che vcsiiva alti o potenti concetti coli' umil 
veste della lingua paesana, tenuta quasi a vile fin 1)^ e schlzzignosa- 
menie scansala che oggi a un tratto saiuva per opera sua dai trivio sul 
trìpode. Ma questa speoie di stupore che deslava il comparir di quei 
versi, non fece che roelierli in voga. Copiati e ricopiali, corsero i 
Caffé e le Saie, furon ripetuti e gustali in tulle le conversazioni, in 
tulli i crocchii. vi fu ehi rise e chi messe muso leggendoli, secondo 
Ja poaizion sociale in cui si trovava ; ma nessuno ebbe l'ardire di 
dirne male, e molti ebbero invece quello di dime bene. 

Questo buon viso fatto dal pubblico a un auiorc ancora scono> 
soluto, e che aveva avuto a un tempo il coraggio di rompere le pa- 
stoie di un'arte falsala, e invadere il campo politico; queste lodi- 
date all' incognito, spesso anche in presenza sua, dettero coraggio a 
GIUSTI per continuare nella via, sulla quale ormai aveva moeso il 
primo passo, col Diet Jrae aveva, come suoi dirsi^ rodo il diaccio ; 
non mancava ora cbe andare avanti. — Un'intuito d' apatia, compo- 
nimento breve e leggiero, ma dove regna una facilità da far sbakir- ' 
dire, tenne dietro a quel primo, e insieihe con esso, altri dello stesso 
conio, vennero a fortificare il buon esito del coraggioso lenlativu. 
Qui però mi sia permessa una digressione. — 

Mentre Giusti tentava di muover l'orme nella nuova via, e creare 
un genere di poesia cbe fosse lutto suo, rapito nell'estasi di un^a- 
more corrisposto non poteva fare s meno di dettare versi d' indolo 
ben distinta da quelli di cui ho tenuto parola. Questi versi pur no» 
ostante chiudono in se tali pregi da meritare che il biografo yI al 
fermi un momento su. Di questi d' un genere loti' affollo differente 
da quei che lo dovean rendere immortale, benché scpllti in epoche 
l'una distante dall'altra parlerò qui luti' assieme, onde non esser poi 
coslreiio a tornarvi sopra. L'ordine cronologico vorrebbe altrimenti^ 
ma l'ordine logico mi par che rlcbiegga cosi, e a me la logica sem- 
bra che debba aver la diritta sulla cronologia, tanto più che questa 
digressione servirà a far conoscere viemaggiormente fin d'ora la bontà 
d* animo e la geolilesia di seotiro di quest' uomo, cbe non mancò chi 
"^^messe cinico perché ebbe II coraggio di appiccicar le frustate a 
se le meritava. 



Da anni e anni egli era preso d' amore per tal persona, a cui 
correva F obbligo di non snoentire un affetto dal quale nessuno dei 
due poteva trarsi indietro. Nel luglio del 1836 dettava la canzone 
atl* Jmica lontana, componimento dei più gentili cbc uscissero dalla 
sua penna e da Cui si raccolgono alcune particolarità spettanti a 
«lueslo tenero amore. Lo scioglimento di quei legami avvenuto al- 
cune settimane dop»^ gii cagionò tanto dolore ed operò nel suo co- 
re, così schiettamente sensibile» un tale rivoiglòienio, ette può 
dirsi senza timore di errare, cbe ébbb una grande influenza in quel 
nuovo giro che presero poscia i suoi pensieri e il suo stile. 

Mei decembre dell' anno slesso, mentre sanguinava ancora quella 
piaga d' amore, gli occorse di vedere la meravigliosa statua di Bar- 
tolini la Fiducia in Dio, Davanti a quella creazione del genio provò 
una specie di rapimento, d'estasi Indeflnita, e dettò quei sonetto 
inimitabile clie, com'è! diceva, gli era uicito dal proprio core. 

Era trascorso un anno da quel momento per lui cosi acerbo; i 
l)iù acuti lormeuti cessati, ma gli restava ancora la memoria del 
colpo terribile, e quasi a consolarsi delle pene die lo afOiggevano, 
errando nei campi tranquilli di una sublime melanconia, scriveva 
in quell'anniversario gli affetti di una Madre. 

Sembra però cbe l'amore lo avesse io seguito fatto ravvicinare 
alla donoa, che era slata sorgeste' per esso di unti inlimi dolori, e 
sprone al' tempo stesso a lenure la via della gloria. Oh non è ulti- 
mo fra i miracoli dell'amore quella forza di volontà die ti porge, 
che ti rende gigante a combattere tuUi gli ostacoli, pur di raggiun- 
gere uno scopo lontano ov' è la gloria e la grandezza, la quale non 
per se egoisticamente perseguila l'uomo d'ingegno» ma per deporta 
al piedi di quella che gli sta scritta indelebilmente nei petto. Ma 
nel 1841 quest'anK>re fu a lui cagione di nuovi dolori; anco una 
volta la donna cui esso aveva consacrato vita ed ingegno, lo percuo- 
teva nel più vivo del core. E nella primavera di quest'anno sfogava 
la cupa tristezza che l'affliggeva, scrivendo i bellissimi versi a/i'^mico. 
In quell' intimo sfogo, additando al giovinetto Roberto le gioie e i 
perigli d' un amore profondo, così mestamente dipingeva gli affanni 
a cui era stato condotto : 



Forse da cara aisno a te la vita, 
A te d) frodi Ignaro, 
«ara cosparsa di veleno amaro 
sgomento grave al cor ti sentirai 
Quando svanire intorno 
Vedrai 1» auree speranze e i sogni gai ; 
Quando agi' idoli tuoi cadranno un giorno 
Le tMnde toninose 
CIMI la tua BUBO islessa a tor compose. 



X «* X 

Mei tuo pensiero di dolor oonfuco 
con inquieU piuma 
volgendosi e gemendo amor deluso, - 
Qual dell* aere clie intorno a se consuma 
S* alimenta la fiamma. 
Ti struggerà la vita a dramma a dramma. 

À cosi tremende delusioni lo aveva oondoilo colei cui volgen- 
dosi cinque anni Innanzi in tutta la piena d' un amore infinito, avea 
scritto : 

Il sai, d'uopo ho di te; sovente al vero 
Di cari sogni io mi formava inganno ; 
E omai I* occhio, il pensiero 
Altre sembianze vagheggiar non sanno ; 
Ogni più dolce cosa 
Fugge 1* animo stanco e in te si posa. 

Che dilTerenza confrontando queste parole, nelle quali tralucc 
tutta 1' ebbrezza d'un affetto corrisposto, còlle altre ripiene di quanta 
tristezza può erompere da una anima crudelmente iradltaJ 

1 versi a un Jmico sembra a me che sian degni di speciale con- 
liìderazione, appunto per la circostanza In cui furono scritti. L'uo- 
mo che non aveva eguali nel ruotare il tenibile flagello della satira, 
abbandonato da colei a cui aveva affidato ir tesoro degli efTcltT suoi 
primi, avrebbe potuto intingendo la penna nel fiele, fare scontare 
Alla disleale 11 fio del suo tradimento. E invece per la nobiltà, per 
l' Innata gentilezza dell' anima sua, altro non trovava nel suoi dolori 
che un mesto desiderio e un sommesso lamento, e in luogo dMra o 
di sdegno, ammaestrato dalla sveptura traeva dal proprii affanni un 
consiglio per un tenero amico onde potesse evitare, nella vita lo 
cui stava per entrare, le pene che egli vi aveva incontrale. Que- 
ll'esempio e molli altri che potrei, e che forse avrò luogo di porvi 
soli* occhio, rivelano tutta la soavità che si chiudeva nelH anima di 
quell' uomo il ,quale diveniva poi sì terribile quando temprava le 
corde dello sdegno e atteggiava le labbra al sorriso deli' ironia. Esso 
soleva ripeter sovente: Crtdo di' non aver mai derisa la virtù, né 
Imrtati gli affetti gentili i E queste parole racchiudevano in se il se- 
greto Intero dei suoi canti, i quali eran canti d' un amore infinito 
nnclie quando tuonavano pregni d'Ira e di maledizione. Quell'ana- 
tema versato sul capo dei pochi che si strisciavano nel fango del vi- 
zio, era il cullo più sacro che il poeta rendeva al bello, al buono, 
alla virtù. 

Nello slesso anno 1841 menò a termine il Sospiro dell'anima 
v.he aveva cominciato nel 1839. Parlando di quesll suoi versi esso 



X « X 

«Kceva parergli cbe vi foste dentro ha non to che di troppo aereo 
e d'iodefloito, di cui non era ooDtemo} ma tuttavia eemtMrava die 
. portasse loro un afièlio particolare e, anclie vari! aooi dopo si oem- 
piaceva ripeterli passeggiando in compagnia dei suoi amici. 

Finalmente, nei i843, nacquero l versi ad una giovinetta, della 
quale favellando soleva dire» esser per lui ima Umiana reminéscema^ 
unzi quasi un sogno. 

Anticipando cosi i tempi volli qui riunire, Pona accanto «IFaltra, 
tatto quelle poesie che uscirono dall' anioM) di GrosTi, ispirate più 

meno direttamente dalPaffeUe e dall' amore. Questi versi mi sem- 
branooo tanto differenti dagli altri pei quali sali poi all' apice della 
sua fama, clie volli, piuttosto che mescolarli nella storia e nel giudi- 
zio di quelli, separarli e parlarne tult' assieme Cosi mi parve che 
meglio mi sarebbe dato pronunziare in una sola volta la mia opi- 
nione sopra di essi, e che quando dovrò affìrontare fra momenti il 
difficile incarico di parlar dei suoi versi satirici, non sarò costretto a 
interrompermi ogni tanto per rìlomare a questi che ho I' un col- 
l'altro accumulali. Meglio a parer mio una lunga digressione tutt'a 
un tratto, cbe molte brevi, ma spesse. 

Questi versi usciti dal core del nostro poeta e dettali veramente 
da un affetto profondo e sentilo, mi sembran tali, e per la. forma e 
per le idee che racchiudono, da far si che chi non avesse scritto 
altro che quelli meriterebbe puc non ostante di aspirare al nome di 
sommo poeta. Se la poesia consiste nella finezza e nella semplicità 
dei concetti, vestila di una forma elegante e, come suoi dirsi, tor- 
nita, quei versi bastano a far conoscere e indovinare il vero poeta. 

1 pensieri che vi son racchiusi son gemili e soavi come una foglia di 
rosa che cade divella dai vento sulla fronte d* una fanciulla innamo- 
rata e melanconici talora per' modo da strappar le lacrime dal ci- 
glio più orido. Quanto alia forma poi, eMa è limpida e semplice co- 
me può desiderarla il più schifiltoso purista, e raromenia sovente le 
canzoni di Petrarca e quelle di Dante nell' aureo libretto de)ia Vita 
Nuova. Questi versi sono anzi il testimonio più vivo del lungo studio 
che il GIUSTI avea fatto sui nostri antichi poeti. Chi scriveva con 
quella dolce melanconia, con quella serena mestizia doveva posse- 
dere un anima eminentemente educata al bello ed al buono. E tale 
era l' anima di Giusti. Che pochi adorarono come esso la virtù 
con uguale religione, pochi com' esso maledissero con eguale bile al 
vizio e alla viltà, in quell' anima nobile questi due sentimenti, d'a- 
more e di sdegno, si legavano e si conftmdevaoo Insieme, e l' uno 
era la necessaria conseguenza dell'altro. 

Sotto qualunque forma si manifestasse il suo ingegno, esso non 
era che l' aspirasione di un amore Infinito. 

Dopo questa digressione, un po' Innga ma neaessaria, tomo a 



riprcndefo il poeia al raanmto io eui, aveva c«Uo le prime fraatfc 
d' allore sulla via ch« voleva percorrer da solo, al «loroenlo in cui 
eoaleatodegltaforelsuoi primiya'apparecdiiava aieniamedei maggiori. 

A quel primi versi sailriei del quali mossi pocosopra parola, tenne 
dielro il Girella, che al sue comparire sembrò il non pio» «Nra delia 
satira politica. Questo oomponiinento» varcati ben presto gli angu- 
sti confini della Toscana, corse eolia celerilà del fulmine i pia re- 
moti angoli delF Italia. Serìvendo quei versi il poeta usciva Qnal- 
menie daiP indefinito, dalle geoeralità e eonHoeiava a colpire diret- 
tamente I difèui ftd i vidi che ammorbavano e isterflivoo»il8uedf> 
letto paese, il Girerà era la prima pietra che esso con «otcienni dei 
dove colpiva, scagliava contro le vlUà presenti, le qaali eran mlMle 
e profondameme eorrultriei. Parve a Givsti che mal fossa dato spe- 
rare noli' avvenire d** un popolo, quando esso non ha fermezaa di 
fede politica e le convinzioni sue locerie e vaganti si mutano ad ognv 
somo di vento. Questa piaga die tre secoli di servitù e di sonno- 
avevan ridotta allo stalo di cancrena nelle misere membra della mi- 
serissima Italia, fu quella che, come la più letale, voile curar per la 
prima scrivendo il Girella, il cui scopo si era di fulminare le aposta- 
sie politiche. Se oggi il poeta vivesse potrebbe vedere 11 fruito del- 
l' opiera. sua; che nella generazione nuova, educata sotto l'Influsso di 
quel versi potesti, ritroverebbe pia radicala la fede,più profonda la 
convinzione politica, meo frequenti, le apostasie. E* se an(iie nel fitta 
trovasse del Girella, non tarderebbe ad accorgersi che sono un po'in- 
veecbiall, ma sempre quelli stessi i quali apostasiaroao dopo il 31 ; e 
che educati ormai alla vecchia scuola dello scetticismo politico, fin- 
ché la morte per V utile comune non gli levi da questo mondo, sa- 
ran veduti abbracciare ogni fede per poi rinnegarle tutte, appuntarsi 
sul petto qualunque coccarda per pof calpestarla nel fango appena 
V interesse lo chieda, e appena U vento ehe spirava da levaMe spiri 
invece da setlenlrione. 

Sarebbe difficile descrivere l'iiopntsiiiuiìc die produssero quei 
versi al loro apparire. La verità dei eoocetli, la nuoviia della forma, 
ia robustezza delta frase, P acerba potenza del ridicolo che fino allora 
era staio un quissimile di triviale e che ora diveniava sinonimo 4t 
sHbllme, faceva stupire. ] lettori Italiani assisterono sbalorditi a i|oe- 
sia lotta a cui gP invitava il poeta. Essi lo vedevano creare colla po- 
tente fantasia una figura che tutto incarnasse io se steaso un vizio, 
o una viUà da combattere. E appena creato questo nemieo» appena 
l'aveva fatto sorgere davanti a se, lo vedevano geiurgllsi addosso «, 
stringendolo fra quelle braccia potenti che l' aveano creato, altllolarlo 
e tttrlo in brani e disperderne sorridendo ai venti i resti del cada- 
vere disonorato. Al nuovo o meraviglioao spettacolo entusiasti 1 let- 
tori Italiani gridavan bravo e battevan le roani. — Da quel momento 



resilo dt quei versi fu assicurato e quel prino tipo the in essi aveva 
crealo ti poeta direnoe popolare ; prava la più grande del meriio 
vero delia sua creaziODe, irloofò il più bello ai qoal^ possa aspirare 
un' autore. Quando il popolo acceUa come sua la creaiiooe d' un In- 
dividuo, esso gli decreto al lenpo stesso ud diploma di Ingegno e di 
lode. Glie è roaggiore di qualunque altro elogio che possa conseguire 
e desiderare. 

incoraggilo da questo primo trionfo. Giusti si pose senta met- 
ter tempo in mezzo a continuare t'op»a con sì lieti auspicii inco- 
minciata. Né fu a caso che io dissi f^peraj poiché, in quel votOme 
di poesie, lulte di forma e di soggetto diverse, F una dall'altra ap- 
. parentemente disparale, slegate a priBia vista fra loro, sembra a me 
di travedere una magnifica unili di conoelto e di scopo, una conca- 
tenazione necessaria fra l' una e V allra ; quei volume apparisce agli 
ocelli miei come un vasto edifizio le cui parti, per quanto distinte, 
tendon luUe all'armonia dell' IflSieme. Per me il libro del Gicsti é 
un poema -, e ognun dei suoi canti moltiplica »^\ occhi miei di va- 
lore e di pregio, appunto allorcbé si considera come unito e connesso 
cogli altri. Ognun di quei conti è una noia, eh' è armoniosa di per 
se stessa anche udita da se sola ; ma che diviene poi sorgente di 
melodie meravigliose quando ad altre note diverse e oonoordi si 
leghi e si osisca. IV uomioi di atti diversi e concrarii si compone 
la pagina della vita che ogni giorno si svolge sotto 1 nostri occhi, il 
libro del Gicsti altro non è appunto che uno specchio fedele di que- 
sta vita, la quale non cessa d' essere una, benché ad ogni istante 
svariala, assuma e rivesta forme differenti e dlslinte» Che anzi questa 
unità desunta dal vero, e di tanto superiore alle convenute unità 
reuoriclie di quanto la realtà sovrasta all'arte grolla e compassata, 
è queHa che a senso mio informa meravigliosamente da un capo all'al- 
tro il volume di Giusti e fa un poema d'una collana di perle slegate. 

Più lardi m' occorrerà di parlare delle bellezze inflnile che l'in- 
gegno di GIUSTI spargeva con prodiga mano nei suoi versi; qui, ad 
aflorzare il concetto espresso di sopra, non devo che accennare quOI 
legame misterioso e indeclinabile come la necessità, che gli ani agli 
nitri collega. Dopo aver col Girefia comtMiUuto r apostasia di chi 
rinnegava la fede altra volta, se non nutrita almeno spacciata, con- 
sacrava nello Stivale e nella Mncerotmtàone il sentimento della /ndi- 
penaema Nazionaie, soia formula di fede politica che fosse adattau 
a ritemprare l' Invilita Italia. La corruzione della Socielà nostra, 
scimala perpetua d'esotici costoni, percuoteva nel IMIòy nella 
ScrHtOi nel JR^ama d' un eamame, nel BrtndM. Le tarpi ambiatooi 
te stolide albagie netta FeMitiome di tataHeré: le stolte utopie di 
BOgnaiarl innocenti forse, ma ubriachi per certo, negli VmaxAWfH 
e negli immoMIi e smaveaii. La lebbra della burocrazia, che tanto 



afflìggeva e snervava specialmente la Toscana, nella Legge sugi' im- 
piegati, l vizi! tutu le viltà ambiziose e le ambizioni vili, le stupide 
tirannie dei governi, e gii avanzi delle incadaverite usanze passate 
che soffocavano coli' alito impuro i nuovi bisogni, stigmatizzava sem- 
pre e da per tutto. E traverso alla sua tremenda ironia alzava di 
tanto in tanto una parola ineffabile di speranza, confortava i dubbiosi 
e pur volenti e anelanti dei bene, con parole sublimi come quelle 
che gli uscivan dal labbro nella terra dei Morti. 

Intanto le idee e i desiderii di libertà irrompevano da ogni parte, 
.< e giorno per giorno facean possi da gigante. E il nome del poeta 
che ruotando il flagello precedeva il carro delta libertà, distruggendo 
il passato e spazzando la via degli ostacoli accumulali da tanti se- 
coli di servitù, cresceva ogni giorno di splendore e di potenza. Ogni 
giorno i versi dell' anonimo Toscano acquistavano quella popolarità 
. che al loro merito intrinseco si conveniva. Esempio nuovo e raro : 
Il pubblico rendeva imparzial giustizia a un autore; e un uomo ve- 
deva vivente sorgere per esso la posterità. 

A tanta fama eran salite le poesie di giusti malgrado i mille osta- 
coli che le censore e le polizie opponevano alla loro diffusione. Esse 
superavano 1 loro rigori correndo l' Italia o manoscritte, o ripetute 
a memoria; e può dirsi senza esagerazione cbe dì niun libro a slampa 
esistevano tante copie, come di questo cbe non era stampato. Il no- 
me intanto dell' autore avea trapelato di sotto ai velo del quale 
aveva dovuto per necessità ricoprirsi, e ormai si sapeva da tutti che 
quest'anonimo poeta si chiamava Giuseppe Giusti. Dopo questa ri- 
velazione i più potenti ingegni d' Italia si legarono con esso in ami- 
cizia sentita e sincera, e fra questi specialmente Aiessandro Man- 
zoni, che in seguito Giusti andò a visitare Milano, e Massimo d'Aze- 
glio, e più di tutti l'ottimo nostro Gino Capponi nella cui casa ospitale 
doveva prendere in seguito il poeta quasi abituai domicilio, e tro- 
vare il letto di morte. 

Ma la salute del corpo non corrispondeva alla fortezza dell'animo 
e alla robustezza dell'Ingegno, chi avesse parlalo con esso io allora, 
del pari che pochi giorni avanti la sua roorte^ avrebbe visto un uomo 
allo di statura e aipparenteroente ben conformato, con fisonomia vi- 
vace e sentila, con occhi, capelli e baffi neri, e a prima vista l'a- 
vrebbe giudicato creato, come suol dirsi, per l'eternità ; ma ove me- 
glio avesse considerato il suo aspetto vi avrebbe riscontrata una tinta 
giallognola come di chi è affetto di fegato, e soprallntio un* ombra 
di profonda melanconia, che velava fin anco il suo sorriso e spàn- 
deva intorno a lui un' aura indefinita di mestizia e di sofferenza. 

Nell'estate del 1844, anno jbI quale son giunlo colla mia narra- 
zione, esso si recava a Livorno per esperìmen larvi il clima e le acque 
del mare. Ai paliraenli del corpo che allora lo travagliavano si ag- 



giunse in quei lempo. la lorlnra morale di Teder venir fuori a suo 
danno una sconcia ed apocrifa pubblicazione delle sue poesie Inliio- 
lale POESIE Italiane iratie da un lesto a penna. Questa edizione 
nella quale gli venivano auribulli versi non suoi, e che brillava spe- 
cialmente per gIMnnumerevoll errori cbe v'eran dentro a rilàscio, 
dispiacque moliissinae al poèta. 

Egli ne fu profondamente afflitto e indignato; e da prima per 
trarne occasione ad una protesta, riunì e diede alle stampe I suoi 
versi d'indole seria, indirizzandoli all'egregia donna, la Marchesa 
Luisa D'Azeglio, con una lettera del 3 agosto, in cui alludendo a quella 
edizione piratica, diceva: « Chi si sia preso questa scesa di testa 
di accodare gii scritti dati fuori col mio nome, a un guazza- 
buglio di versi o bastardi o storpiati, io non IO so; ma se debbo giu- 
dicare dall' apparenza, quel misce di rime accozzate alla rinfusa, de- 
v' essere un raro prodotto dell'asinaggine e della trappoleria d'uno 
stampatore sfrontato e disonesto. Ma a questo penserà il pubblico 
messo in mezzo e forse a suo tempo, il Poeta derubato e sfigura- 
to. ^ — E ben vi pensava il poeta che da quel punto senti non es- 
servi per esso altro da fare, che di dare egli stesso animosamente 
alla luce le opere proprie; ma non meno senti che prima di farlo, 
doveva di nuovo sottoporle alla propria rigorosa critica^ e dar loro 
quell' ultimo pulimento^ che le dichiarasse da quel momento in poi 
uscite, e non più sottratte dalla mano dell'artefice. — Or chi co- 
nosce quanto li Giusti fosse difficile a contentarsi delle cose proprie, 
e quanto lavoro gli costasse quel che'i più stimavano In lui mara- 
vigliosa facililà di comporre, potrà immaginare quale studio scrupo- 
loso egli adoprasse in far cosa, di cui sentiva tutta la responsabili là. 
Fu lunga e mtnuia fatica, durala tutta in quell'epoca, in mezzo aite 
noie e ai dolori. 

La cura dei bagni di mare non portando l' effetto desiderato e, 
anziché migliorare deteriorando esso ogni giorno, cedendo alle ami- 
chevoli premure del medico Ortandini, si recò nei settembre presso 
di lui a Colle di vai d' Elsa per provare se in quella provincia l' aria 
e la tranquillità avessero pMuto porgere un sollievo ai mali che lo af- 
fliggevano. Fino d' allora ali' occhio esperto del medico balenavano 
i lampi di quella terribile malattia, che poi lo condusse alla tomba. 

Partendo da Livorno il poeta lasciava compito nelle mani del 
suo tenero amico Enrico Mayer il manoscritto di quanto voleva ri- 
conoscer per suo. Questo manoscritto contenente 28 componimenti 
venne alla luce nell'anno dopo in Bastia sotto il semplice titolo di 

VERSI. 

Le cure dell' amicizia e un sistema' di vita parco, semplice, e a 
quando a quando alternato con lunghe passeggiate a cavallo, lo fe- 
cero migliorare; e subito si rimesse ai suoi prediletti lavori scrivendo 



allora f Amor pacificò quasi a mo'di aaggto, quasi per prosare a se 
stesso che 1 dolori flsid noa gli avevan tolta la potenza morale e 
l' aliitudioe di far veraL L' Jmot pacifico seri Ilo in queil' epoca è 
specialmente notefole per questo, ctie gli rese la coscienza della pro- 
pria forza. Fu uo* specie di resurrezione per lui. Appena ebbe di 
nuovo sentilo se stesso, malgrado lo scoraggiamento die sovente lo 
assaliva e Io faceva disperare delia guarigione, si dette a imaginare 
un lavoro più vasto^ e quel lavoro fu 11 CingUUno che terminò poi 
più tardi. Tre giorni interi s' atfoilcO la mente per trovare un nome 
conveniente ai suo eroe, e poi gli die quello pspriroenllssimo che 
doveva anch'esso divenlare un tipo com'era diventato il Giretla. 

Giuolo il novembre, malgrado II freddo crescerne, Io sialo suo 
dj salute andava sensibitmente migliorando, poteva applicarsi di più 
e s' applicava specialmente alla lettura dei poeti Ialini e a scriven; 
alcune scene di una Commedia che aveva da poco roediiata. Ma il 
freddo sempre più incalzando io cosCringeva a lasciare la casa ospi- 
tale dell' OrkauHni per passar 1» Inverno a Pescia. Là continuò più 
alacremente che mai i suoi lavori e akeraò io seguito il soggiorno 
fra Pescia Pisa e Firenze. 

Fu verso qMest' epoca che colla solila pubblicilà clandestina 
venne foori il GingUlino, da lui„ come tM accennato, imaginaio in 
vai d' Elsa negli oaii di convalescente. 

A questo nuovo figlio della Musa del giusti era riserbala la 
stessa celebrila che ai suoi maggiori fratelli e fors' anco una più 
vasta e piò estesa messe di lode. E veramente qiiei versi meritavano 
questa specie di preferenza : olié mai l'abbondanza delle imagini, la 
semplice castità dello stile, la varietà delle tinte avevan brillato come 
in questo componimento, mai s' era veduto con tanta maestria bal- 
zare il poeta dal più pungente ridicolo al più alto volo delia lirica, 
mai s' era veduto stringere il nemico che combatteva in un cerchio 
terribile dal quale gli fosse impossibile uscire a bene, come ve lo 
stringeva questa volta. Ho accennalo di sopra come già avesse in 
altri suoi lavori mosso guerra a quella marmaglia d' Impiegali su- 
balterni che, specialoieole in Toscana, p«l numero e per I' esigente 
avidità socchiavano le flnànae dello Slato e demorallzzavaDo la So- 
cietà, oziosi e servili ; ma quanto aveva già detto contro questa 



Dicasterica peste arciplebea 

che ci rode, ci guasta» e ci tormenta 



dovea rimanere un nulla, posto al confronto con quanto era por 
dirne nel GingiUino. In esso il poeta prende il suo eroe nella culla. 
Io conduce per mano all' università dove riceve r educazione 



X Si X 

sempre abbasMiido la rAgkiae e Pettro, ^ 

sempre peosando a modo del maestro; 

te lo addila 

Dai sacri canoni 
Dalle Tandelte 
Tassato al codice 
Delle manette. 

misto a un' infame compagnia df rabule, di spie, di birri, ascoltare 
-da una femmina scahra e mae^ra P ultima lezione per esser preso 
col hraoco, lezione cbe è un quadro schifosamente sublime d' able- 
zionij di scelleragglnl, quadro ahi troppo fedehnenie studiato e imi- 
tato dal vero. E 'GintfUnno posti in pratica i consigli della t<A\ìc vcc- 
ctiia, riceve finalmente in premio 

La grazia regia 
Col regio -bollo, 

*€ davanti n (|uc9ln ogni mnltina inginocchiato recita la sua profes- 
sione di fede, che è da chiamarsi la quìnt' essenza dell'egoismo e 
della servilità ridotti a sislema. "L* impressione che dovea produrre 
sugli animi questo quadro, toccato con mano maestra, non poteva 
non essere immensa; e lo fu. 

Intanto il fuoco, che ardeva nelle vene degli Italiani, cresceva 
•ogni giorno. 1 versi di Giusti erano stali un sdffio potente ad esten- 
derlo, la nobile voce di Gioberti, di Ualbo, rf» Azeglio, che promet- 
tevano un migliore avvenire aTI* Itaiia e le addilavan la via per rag- 
giungerlo, era avidamcme ascoltata da tutte le orecchie liaiiane. Né 
«loesio procedere verso l* indipendenza e la libertà era molo d'i con- 
(jiure, ma moto di riforma, che a visiera alzata entrava coraggiosa- 
mente nello steccato forte deHe necessità dei tempi, e dei bisogni 
dei popoli. A quanto poteva ancora rimanere in vita di segretume 
di setta, facevano anzi guerra a morte i<!api «del movimenlollatiano, 
e ne additavano a chiare noie I pericoli. E II nostro poeta univa an- 
■eh» esso alla loro voce il polente suo verso e scriveva : 

I sordi tramenìi delle congiure, 

II far da Gracco e da Robespierrino, 
k roha smossa^ solite imposture 

Di birri che ne fanno un botteghino : 

Oggi si traila d' una certa razza 

Che vuole storia e ohe le dice in piazza. 



X 38 X 
Ahi perchè gPllaliani non seppero «radicare questa mala pianta, non 
seppero lasciare una via, per la quale si giunge forse a distruggere, 
ma non mai a edificare, una formula che non può essere che una 
continua negazione! I tramenìi delle sette fecero alwriire una rivo- 
luzione, che non avrebbe avuto uguale nelle pagine della storia ; 
senza di esse oggi l' Italia sarebbe, e non piangeremmo il martirio 
d' un Re, grande e valoroso campione, che moriva lontano dalla pa- 
tria, vittima espiatoria per le colpe di tulli l 

Il movimento italiano non tardò a prender forma netta e deci- 
cisa. un Pontefice, perdonando al vaticano parve consacrasse il prin- 
cipio della indipendenza e della libertà ; e a quel pontefice risposero 
i popoli tutti, non d' Italia sola, ma dell' intera Europa, benedicendo 
e glorificandone il nome, come d' un predestinalo a riporre sul trono 
di Piero quella evangelica carità che lunghi secoli di mondane am- 
bizioni ne avevan bandita. Fu uno slancio unanime quello, che mos- 
sero le popolazioni Italiane verso la libertà quando la videro alleala 
della Croce, quando contemplarono 11 nuovo e mirando . spettacolo 
della religione che, riponendosi alla testa del progresso civile, pa- • 
reva promettesse di avverar I' evangelio, le cui pagine erano stale 
per lunghi secoli o falsale o dimenticate. 

I Principi tutti d' Italia non tentarono nemmeno resistere alla 
forza della pacifica corrente che fra gli applausi li trascinava alle 
riforme. Imitando tutti V esempio mosso da Roma, aderirono ai de- 
siderii e alle necessità popolari, e furon visti allora spuntare quei 
giorni d» ebbrezza serena che faranno del 47 un anno senza esempio 
nella storia Ilatiana. 

L» anima di Giusti profondamente sensibile, pianse lacrime di 
dolcezza ineffabile a quello spettacolo che cominciava ad avverare le 
sue speranze, a ridurre in fatto 'il lungo sogno della sna vita. Rima- 
neva ritta ancora e oltracotante una. vecchia polizia antico avanzo 
della inquisizione -, la coml)atlè col Congresso dei Bini : e fu così 
potente quel colpo, che nell'anno stesso quella macchina d? iniquità 
cadde sotto la indignazione popolare, scrisse anche in quel lorno l'ode 
a Leopoldo Secondo nella quale, il pi)eta ci)e aveva punto acremente 
il principe assoluto, veniva francamente a riconciliarsi col prìncipe 
riformatore; e parlandogli del nuovo patto d'amore e di fede che 
stringeva allora principe .e popolo, esclamava in un momento d' en- 
tusiasmo : 



ogni altro patto vincerà d' assai 
Mille volte giurato e mille infranto j 
Signor, pensa qu,el dì I versasti mai 

Più dolce pianto ? 



E noi piangemmo, e lacrime d* amore 
padre si ricambiar ngli e fratelli : 
Quel pianto che flnì tanM> dolore 

Nessun cancelli. 

O impeDelrabili misteri dell'avveoirel 

Ma in quelF ebbrezza sincera^ che faceva palpitare i cuori di lutti, 
anche di coloro che oggi son ritornali al solilo niesliere di rinculare 
il secolo, e di riportare sfaccialamenle sulla scena i bei tempi (cosi 
lì chiamano) del diritto divino facendosi grotteschi paladini della do-* 
minazione straniera, in quell'ebbrezza io dico, una idea baleno alla 
acuia fantasia del poeta Fino da quei primordi! travide, senza ren- 
dersene nemmeno un conto preciso, sorgere fra gli amplessi fraterni 
il mal seme della smoderata demagogia dai desiderii impronti e fu- 
nesti : e quasi intuitivamente presenti lutto il danno, che queste scim- 
mie di Gracchi potevano fare al suo paese. Lo presenti e lo cantò. 
Primo e forse unico a ^uei tempo a scorgere il verme che doveva 
rodere e fare intristire la bella pianta, appena sbucati fuori gli agi- 
latori da dozzina, col suo acuto sguardo gli scopri in mezzo alla folla 
e gli accennò neli' ode agli spettri del 4 settembre, ode che fu pub- 
blicata sul Giornale l' Italia, Adesso che quella feccia di pseudo-de- 
mocratici ci ha trascinali nel fondo d'ogni miseria, rileggendo quei 
versi ne sentiamo tutta la verità e non possiamo fare a meno di pro- 
stenarci davanti all'uomo che fin d'allora indovinò la demagogia mentre 
tutti noi non ne sospettavamo nemmeno resistenza o la possibilità, e 
cj gettò il primo grido d'allarme avvisandoci della presènza di que- 
sto nuovo tipo di tribuno della plebe, e dipingendone, colle seguenti 
parole, un ritratto, schifoso si ma somigliante come un dagherrotipo : 

Già già con piglio d* orator baccante 
sta d*un caffè tiranno alla tribuna. 
Già ia canèa dei botoli arrogante 

Scioglie e raguna. 
Briaco di gazzette improvvisate, 
Pazzi assiomi di governo sputa 
snlle attonite zucche, erba d' estate 

Che il verno muta. 
•< Diverse Itngue orribili favelle *» 
scoppiano Intorno; e altèra i baffi sconci 
succhia la patriottica Bal>elle 

Sigari e ponci. 

Chi oggi scrivesse queste parole non scriverebbe che una sero- 
piice pagina di storia; cM le scriveva allora merita d'esser cbiaoMfo 
profeta, e vuol giustizia che ne sia ammirata come un portènto la 

5 



X 54 X 

giuslezza del senso polilico. mia raenire il' poeta volgeva queste tape 
Immagini nella tesu e .delincava questi nuovi tipi letali alla causa 
della libertà quanto quelli dei Girella e del GitigilUni, il suo cuore 
leale e generoso Éper^^B sempre che V Italia non sareblìe caduta nel 
laccio e non avrebbe stuprato cogli eccessi e colle baccanti impron* 
titudini il giorno verginale e sereno cbe sorgeva per lei sull'orizzonte. 
In quelli stessi versi, nei quali- piimo di tutti aveva accennato al 
iiiale^ esso sclamava: 

.. se v'ha talnn cbe qui rinnuova 
L' orgie scomposte di confusa Tebe, 
popol non è che sorge a vita nuova 
È poca plebe. 
È poca plebe : e d' oro e «li penuria 
sorge al palio dei. cenci o del gallone ; 
censo e Banca ne Uà Parnaso e curia 

^ Trivio e Blasone. 

È poca plebe ; e prode di garrito, 
prode di boria, d* ozio e d'ogni lezzo 
Il maestoso italico convito 

Desta a ribrezzo. 



invano, invano in lei pone speranza 
La sconsolata gelosia del Norde, 
Di veri prodi eletta figliolanza 

sorge concorde 1 



Da queste parole sublimi noi vediamo che esso, quantunque gli 
fosse già balenata al pensiero la sordida figura dei Bruti da trivio, 
pure pieno di fede e rapito dall' incanto dello spettacolo die si svol- 
geva sotto i suoi ocdìi, sperava cbe U senno italiano avrebbe sapulo 
evitare lo scoglio fatale. Lo sperava anzi tanto, vedendo proceder 
V Italia con passo lento ma maestoso sulla via delle Riforme, che 
nel cadere del 47, stampando alcune delle sue ultime podsìe, si mo- 
strava convinto che fosse ormai compiuta l' opera sua e quelle poe- 
sie faceva precedere dalle memorabili parole che ho riportale in 
principio, ma che non credo qui inulil cosa ripetere: non avrò la 
caponeria d* ostinarmi a suonare a morto in un tempo che tutti suo- 
nano a battesimo. ~ 

IV. 

Non corse gran tempo che il movimento riformista divenne costi- 
tuzionale ; e costituzionali divennero in Italia tulli i governi che ave- 
vano accettala la riforma. Sarebbe stato forse meglio per la penisola, 
se questo passo veniva mosso più lentamente, se questa trasforma- 



rione, oeeettaria con' era, "veaiva compiuta i^lo allorquando I germi 
della Tiia politica fòisero gli siati feeoadaii da qaelFediicasloiie 
alla vita pubUtca^ttie gradataaente aodavaoo operando le rtlòrne. 
Dopo unti secoli di servUù wvébbe sialo forse meglio non saliar di 
ponto in bianco a una completa liberti ; ma arrivarci su su, passo 
passo, preparandosi a riceverla rellgiosamenie come merita quella 
saora cosa di' eli' é. La libertà polr^Dbe dirsi simile a un- liquore 
che ristora ed accresce le forse dei corpo, ove sia bevuto da per- 
sona aweua e in giiisle dosi ; ma che rischia di dare alla lesta e Ine- 
briando prostrar le forze di cbi, non avendone mal gustalo, v'acco- 
sti spensieratamente le labbra e ne trangugi più del dovere. 

Era slato appumo per questo riflesao cbe i Costiluzionali in al- 
lora avevano inalzalo il grido. della riforma. Invece di proclamar su-, 
bito 11 Governo rappresentativo, che slava in cima dei loro desideri;, 
ma che, apponto perché volevano sorgesse forte e indlslrutlibile, In- 
leodevano venisse preparato da un breve stadio di vita politica che 
fosse un quid medium fra P assolutismo dal quale s' usciva, e la li- 
berla nella quale si voleva entrare. Era savio aceorgiroento, che 
avrebbe per certo prodotto un gran bene all' Italia e scansale, gran 
parte di quelle svenlure cbe nacquero dalle esorbitanze demagogiche. 
Ma non sempre quanto gli uomini vorrebbero, la forza degli avve- 
niroenli permeile ; sovente un consiglio da lunga roano meditato e 
che sarebbe il migliore» riesce a vuoto per F errore di taluno che 
non volle picgarvisi quando la prudenza e Potile comune lo richie- 
devano. E questo accadde in Italia, il governo di Napoli, che non 
aveva voluto abbracciar la riforma, dovè gettarsi d' un salto alla Co- 
siituzione, come ad unica àncora di salveaza IrascioaBdosI dietro tulli 
i governi d' Iialia. lo due mesi appena, guanti Stati erano governati 
da principi Italiani, modellavano li loro Ptggìroeolo su quello del 
Belgio e della Francia non per anco divenuta repubblica, il regime 
rappresentativo, cbe ammellsva i popoli aHo pertecipozione delia 
sovranità veniva sancHo fra noi, e delPaasotutismo, a meno cbe nella 
sempre piùi angariala Lombardia spariva nel resto d'Italia ftn l'ombra. 

I costituzionali, ed erano I più, benché forse avessero desideralo 
di giungere per una via più lunga ma più sicura a questa forma di 
politico reggimento, pure l'accettavano giubilanti come quella, alla 
quale nel fondo tendevano tutti gli sforzi loro, ripuiandola la più 
.-Klatta a portare e mantenere nella pul^lica oosa^qoelP equilibrio di 
poteri, che solo può renderla prospera, perchè basata sui principii 
eterni della giustizia. Il gra» passo dall' assolutismo alia libertà era 
latto. Dall' essere anticipalo non aliro nasceva nei veri amici dei 
proprio paese, che il dovere di attendere più alacremente aU' opera 
generosa, e supplire con nobile fatica a quanto ancora mancava ne- 
gli ualiani di altUudine alla vita pubblica, l costituzionali accettavano 



X 36 X 
di buon grado il difficile ma glorioso iocarico, e fermi nella ria ctie 
calcavaDo salutarono plaudenti quel giorno, net quale i Principi, 
consacrando volontariamente gì* imprescrlillbili diiilti dei popoli, ri- 
paravano l' oltraggio di tre secoli di servitù. 

E a quella gioia universale uni Giusti la sua. Esso pure appar- 
teneva alla schiera di quelli onesti, che sulla loro bandiera avevano 
scritto, indipendenza dallo straniero, e libertà regolala da leggi con- 
sentite dai rappresentanti della nazione. Non è mancato chi abbia 
voluto far del Giusti un repubblicano se non un demagogo; chi 
spropositando a proprie modo sul!' interpetrazione da dare ai suoi 
versi, abbia gridato poi al traditore quando T ha veduto rifuggir 
sempre dagli eccessi, e fulminare colla parola e col voto nell' as- 
semblea, le improntitudini pseudo-democratiche. 

Ma se costoro fossero di buona fede, si cheterebbero leggendo 
soltanto le ottave che han per titolo il Detenda Cartago. Ninna pro- 
fessione di fede politica più esplicita di quella, mai aveva fatta né 
fece li poeta. L' ultima ottava di quei componimento, manifesta chia- 
ramente quali fossero i suoi desiderii : 

scriva; vogliam che ogni Aglio d* Adamo 
Conti per uomo, e non vogliam Tedeschi ; 
Vogliamo i capi col capo; vogliamo 
Leggi e Governi, e non vogliam Tedeschi, 
scriva, vogliamo lutti quanti siamo 
L* lUlla, Italia, e non vogliam Tedeschi : 
vogliam pagar di borsa e di cervello, 
K non vogliam Tedeschi: arrivedello. 

È impossibile trovare una dichiarazione di principii più precisa e 
più generosa, la quale invano tenterebbe la schiera di coloro che 
tende a mostrar Giusti come arruolato sotto la bandiera della dema- 
gogia stiracchiare o intorbidare. Eppure questi versi sono scritti nel 
4846 quando le improntitudini demagogiche neppure si sospettavano. 

Egli voleva che ogni uomo contasse per uomo, e che senno e 
rettitudine distinguesse coloro 1 quali stavano alla testa della cosa 
pubblica ; che cessasse l'Egioca .Arcadica dei regime paterno, e sol- 
lentrassero leggi e governi j voleva F Italia Italia, e via lo straniero. 
Ma a raggiungere questo nobile scopo luti' altro che, come necessa- 
rio teneva il rovesciamento della forma monarchica ; che anzi se- 
condo lui i padroni atiuaii non eran poi il demonio, purché venis- 
sero> come diceva, un po'iarpail* La Costituzione aveva appunto per 
iscopo quello di tarpar Ut ed altamente perciò si professava costituzionale. 

Non andò guari, che la guerra dell' indipendenza scoppiò. Ine- 
vitabile, ma anch' essa forse affrettata dagli avvenimenti di Parigi e 
di Vienna, e non per questo men salutata con entusiasmo dai popoli 
della penisola intera. Oh così a quell'entusiasmo avesse risposto l'opera 



xwx 

di luUU oh cosi fossero volali sul campo di Lombardia quanti spreca- 
van la voce a urlar ne' caffé, vestiti alP Italiana, colla morte rica- 
mau sul petto. Carlo Alberto scese in campo e si pose alla lesta 
della santa Crociata, esponendo la sua viu e quella dei suoi Agli. Il 
poeta, a cui mancavano le forze per prender parte come volontario 
alla guerra, seguiva col desiderio le valorose gesta dell' esercito su- 
balpino, e, addoloralo d' avere in aitri tempi ferito 11 principe che 
credeva <e allora lo credevan tutti) un apostata della fede Italiana, 
lo ammirava sul campo, e lo diceva primo cittadino d* Italia. E ve- 
dendo da una torma di manigoldi spargere per le vie di Milano odi i 
e diffidenze contro lui che solo stava in campo per tutti, gii sangui- 
nava acerbamente il core ; che finalmente gii si mostravano in tutta 
la loro sctiifezza scesi sulla scena politica gli spettri da lui indovinali 
colla fantasia nel A Settembre, e già presentiva l'abisso, nel quale le ri- 
sorte e inasprite invidie d'una setta buona soltanto a distruggere, avreb- 
bero trascinato il paese già cosi bene avviato sulla via del riscatto. 

Procedeva la Guerra Italiana lenla ma fortunata. La giornata del 
30 Maggio aveva coperto di gloria il vessillo tricolore, vincitore ad 
un tempo a Goito e a peschiera. Il completo trionfo non pareva or- 
mai che questione di tempo. 

intanto si avvicinava in Toscana I' epoca prefissa all' apertura 
delle Assemblee. Le elezioni incominciavano libere da qualunque in- 
fluenza governativa (cosa rara ma vera), e non andò molto che il 
<:oilegio del Borgo a Buggiano in Val di Nievole, nominò a un im- 
mensa maggiorità di suffragi i, il GivsTi a suo deputato. Era la terra 
Datale che pregiava coi mandato delia fiducia 11 suo figlio più degno. 

Sedè neli' Assemblea, non vi sedè oratore importuno, che poco 
parlò e quando parlò fu sempre breve e conciso, ristringendo in po- 
che parole quel mollo che aveva in mente di dire. Non s'impegnò 
mai in discussioni che riputasse al di fuori di quella sfera di cogni- 
zioni e, per cosi dire, di vita nella fluale abitualmente si aggirava ; 
parlar fuor di luogo non gli pareva cosa da lui, e quelle effimere 
sodisfazioni di più meschine ambizioni, lasciò senza sacrifizio, a chi 
voleva farsi della tribuna una palestra di lodi. Seduto sul suo scanno 
di deputato ascoltava attentamente, osservava con quel solito acume 
che gli era proprio e poi senza preoccupazioni di partito dava il voto 
secondo che dettava coscenza. 

Quantunque avesse preso posto alia sinistra votò sempre per il 
Ministero al quale presiedeva Ridolfi, le cui intenzioni rette e one- 
stamente liberali gli eran note da lungo tempo. Caduto Ridolfi votò 
per Capponi. E non già per quel vincolo d'amicizia che lo rogava 
al venerando vecchio, ma perchè gli sembrava che la via seguita da 
quei ministero fosse in quel momeato la sola da seguirsi. 

Talora però il poeta trapelava nel deputato, e uscendo da una 



X38X 
Mdula che foste stala ripiena «oliaolo di vaoUoquIi, soleva recitare 
agli amici che io aspettavano alla porla per aoconpagnarsi eoo lui, 
sempre qualche strofa o qualche sonetto, Catto in quel tempo. Fhi 
questi è da anooverarsi per esempio il roagoiaoasoaetto sulle Mas- 
qiùfkà^ da lui scriuo oel giorno in cui, a RMolfl che abbandonava 
il portafoglio astrettovi da una minorità turbolenta, rimproverava 
questo abbandono il Deputalo ifaazoni che pure era una delle co- 
lonne di quella fatioea minorità ; e quello che fu pubblicato sotto il 
titolo V Jnuffa*Popottf e altri molti- che io stesso udii dalle sue 
labbra e che adesso forse andaroo perduti. Per il solilo eran riiraui 
di deputati, o di giornalisti, o di tribuni che allora cominciavano a 
metter fuori le corna, tracciati con quella maestria di stile e di con- 
cetto che possedeva esso solo- Eran gingilli nati li per li, ai quali 
non annetteva la minima importanza e dei quali forse non serbò 
copia nemmeno. 

Intanto però il mal seme della discordia aveva portalo i suoi 
frulli in Lombardia. Milano era di nuovo occupata dagli Austriaci, e 
il nome del magnanimo Cablo Alberto risuooava, congiunto al- 
l' epiteto di traditore sulle labbra di tali, che non conienti di non 
avere mai sentito neppure da lontano il fischio d'una palla, o il tuono 
del cannone, osavano di maledire il re generoso^ delle cui sveniure 
eran causa prima, e sto per dir soia. Tanta e cosi stolida logratHu^ 
dine acerbamente addolorava il cuore di giusti, che più che mai 
ammirava ed amava il Re appunto perchè sventurato ; e sempre più 
si convinceva che in esso soltanto era da nutrire speranza ove si 
bramasse compiuto, quando che fosse, il conquisto delia indipendenza. 

E qui comincia quella catena di colpe, di viltà, di delilli che de- 
turpò la storia della nostra rivoluzione. Qui cominciano a uscir fuori 
dai guscio quegli spettri che il poeta aveva traveduti fino dal set- 
tembre dell'anno antecedente, e che comparivano spargendo a larga 
mano dai trivil le massime e i. desiderii dell'anarchia, abusando^ 
come fan sempre costoro, del santo nome di libertà. La scena po« 
litica divenne allora un pandemonio in mezzo al quale era Impoesl- 
bile raccapezzarsi. Le Idee più matte, i desiderii più sfrenati, salta- 
van su mescolati e confusi ; e più irovavan favore nelle menti dei 
pochi energumeni quanto più erano strani ed immoderati. Sia detto 
qui a lode del vero ; la maggiorità composta degli onesti cosUtuzIo» 
naii non oppose a questo torrente un argine forte e compatto come 
avrebbe dovuto, non fece quand' era ancor tempo, nessun di quegR 
atti di risoluta energia che bastano a salvare un paese, a far ricre- 
dere gì' Illusi, e a costringere al silenzio chi agita la piazza col solo 
scopo di pescare nel torbido. I costituzionali si mostraron in quel 
supremo momento deboli e la loro debelecza formò la forza del par- 
tito contrario, che oelH ottobre assnnse le redini del governo. 



La sttmpa anch' esra aveva Witanto rotto ogni rilegno, perduto 
ogni pudore. CoaUouavaoe è vero da un lato i gtornali onesti a 
oonnpiere ooraggiosainente il, loro dovere. Ma ósAV altra era una 
piena d'ingiurie, J' insulti, di contumelie gettato ogni giorno sul 
volto degli uooìini più intomerati. Nulla vi era per essi di sacro : le 
riputazioni meriiameate acquistato^ i nomi ilkistri per antichi e re- 
centi saerifizii fatti alla causa della liberti, venivano vilipesi e trasci- 
nati nel fango. Né quello di Ginri rimase illeso in tanta tempesto, 
uomini sconosciuti, o celebri solo per fama infame, nel Cakantrone, 
nel Popolano, nella Frusta Repubblicana, ebbero l' impudenza di 
chiamarlo rinnegato e venduto, e di straziare coir arme del ridicolo 
il suo nome, cosi benemerito dell' Italia. 

Addoloralo il poeta per tanto acciecamento di spiriti, inorridito 
nel contemplare quest' orgia politica, e palpitante pei danni che 
vedeva nascerne alla causa Italiana, poco curava gì' insulti che feri- 
van lui solo e sorridendo diceva agli amici suoi: qaesii cbe m'insul- 
tano potrebbero rammeniarsi che^ quméo paaiavo io, gli altri sta- 
vano tutti zitti. 

Venne allora io Idea ad alcuni gloTaiii di fondare un giornaletto 
umoristico che servisse in qualche modo a contrabilanciar la fune- 
sta influenza di tanti gforaalt di slmil genere che stovano fralle 
mani del partito esagerato. Ne parlarono a Giusti pfoponeodogil di 
assumerne la diretfone; esso dette una mesza promessa di accettare ; 
scelse anche il titolo col quate dovea il nuovo periodico veder la 
luce e fu quello di Pievatèo Arlotto, La scelta del nome del buono, 
gaio e tranquillo prete fiorentino nM»trava da per se l' indole che 
doveva avere quel gtornale, accennava che in esso la CMcaia non 
sarebbe mai stata avvelenata, il riso no» avrebbe mal celalo il 
pugnale. 

Ma questo^ suoeedersl di avvenimenti cosi funesti per la causa 
italiaDa aveva indebolita pia che mal la mai ferma salute di Givsti: 
esso era stato costretto a cercare un leoimeoto ai mali che lo af- 
fliggevano nel respiro dell' aria nativa e si era recato in Pescia, da 
do^e in quel torno scriveva, a un amico che doveva aver parto net 
nuovo giornale, due lettere delle quali credo uUI cosa riportar qui 
qualche brano, perché mi sembra che In esse egli tracci di propria 
lìfiano un quadro del suo stato morale lo quel momento, e credo 
che vi delinei nettamente 11 corso die seguivano le sue convinzioni 
politiche fra tanto cozzo d' uomini e di cose. 
Egli scriveva da Pescia : 

- A mala pena tio forza di reggere il capo sul collo, tanto è 
stato forte un rabbuffo di bile che he avuto questi giorni passati; 
nondimeno mi fo a scriverti alla meglio per pregarti d'occuparti 
invece mia del Pievmo Jrtotto, che sarebbe bene mandlir f^ori 



X40X 
presto e a garbo, lo mi aooo assunto TOleolieri l' Impegno di vigi- 
larne la pubblicazione, ma è necessario die trovino chi lo meda in- 
sieme, perchè io la Talica di comporlo^ non la posso e non la voglio 
durare. » 

« Se \* aria «perla non m* assiste, sarò oostrello di dare la mia 
renunzia al grado di Deputato, dal quale non ho avuto altro che di- 
spiaceri. I ciuchi tagliati a rinculare, ci hanno raglialo dietre come 
a tanti usurpatori del potere del Principe, e i ciuchi che fanno le 
viste d' andar di carriera, ci hanno ragliato davanti come a gente 
restia, incarognita, comprata, e via discorrendo. Bel mestiere, lavare 
il capo a tutti questi Asini I Ma lasciamo stare che il tempo è buon 
testimone. - 

Non molto dopo scriveva allo stesso amico quest* altra lettera 
nella quale, alludendo agii Insulti che i giornali pseudo-demoeraiici 
lanciavano contro di lui, diceva: 

« Hanno fatto bene a cantarmi II Dies If'ae, perchè davvero son 
più morto che vivo. Avendo riso degli altri, è giusta che gH altri ri- 
dano di me, ma non so di dove si siano cavati quelli del Catam- 
brone, che lo ho suscitati tumulti per poi rovesciarne la colpa sul 
popolo, che lo dalla tribuna non ho mai aperto bocca senza dir male 
del popolo, e cosi via discorrendo, fino a mettere In dubbio se io 
mi sia venduto. Mi rammento di aVer parlato una volta, contro i 
cavalieri di Santo Stefano; ma puè essere che sia appunto un ca- 
valiere di santo Stefano, o uno che si merita la croce, quello che 
improvvisa queste facezie sul conto mio. Ordine e libertà quanta ce 
ne cape, ecco la mia bandiera. E quando dico ordine, non intendo 
l'ordine cadaverico del Maresciallo Sebastiani, cagnotto di Luigi Fi- 
lippo, e nemmeno l' ordinalo disordine che vagheggiano i cervelli 
arruffati. Io sdegno alla pari i timidi e gli avventali, chi rincula e 
chi si precipita, chi piscia a gocciole e chi è diabetico. Ecco II vero 
modo di farsi legnare di qua e di là; non ti pareY Ebbene, piglia- 
mole ne vada la pelle, purché io non m' Imbratti né di licenza né 
di serviliià. E anco quel Periodico che vorrebbero pubblicare e del 
quale non so come fare a addossarmi la direzione, vorrei che uscisse 
fuori e si mantenesse fino in fondo, lìbero e netto da queste mac- 
chie, vorrei che scansasse i pe\tegolezti, il puntiglio, il ripicco; che 
badasse al principio e non alle persone : che non adulasse e non 
prendesse a flagellar l' opinione tale o la tal' altra. Prefiggersi l' o- 
neslà per Iscopo e tirar via a diritto. Anco quanto al modo di scri- 
verlo avrei le mie fisime. Non lo vorrei né rabbioso, né untuoso; né 
vizzo, né gonfio; non lisciato e non bettolante; inaomma, cerco la 
pietra filosofale. • 

Le frasi di quest' ultima leltera speciaknentc esprimono intero 



il pensiero polilico di Gitoti, sia «olle vioeoée d' allora, «ia sul «i* 
stema da tenersi per opporvisi. Quel Periodico del quale è <|ue- 
sifone 000 vide poi mai la luce, un po' per le sempre cresoeoU tìo- 
lenze contro la stampa che si manteneva moderata, e un po' perché 
la salute del poeta non gli permise mai di vegliarne, come aveva 
promesso la pubblicazione. 

Intanto un decreto del nuovo Ministero scioglieva la prima As- 
semblea Legislativa Toscana, convocando immediatamente i collegi i 
elettorali. Quei governo nato dai disordine e appoggiato da una mi- 
norità, ardita si, ma sproporzionata, vedeva una nemica invincibile 
in quelf Assemblea che, liberamente eletta sotto li Ministero Ridolfi, 
esprimeva veramente r opinione della ix>8cana. Esso sperava che 
una nuova elezione influita e diretta da lui, avrebbe inalzata la scom- 
posta minorità del trivio al grado di maggiorità parlamentaria. Lo 
sperò e la sciolse. Cosi ebbe fine la prima iegislatuiHi, la coi memo- 
ria sarà sempre prediletta ai toscani, perchè nel breve suo eorso, 
a differenza di moli* altre Assemblee Italiane ed estere d' allora, 
mostrossi operosa, assennata^ libera, prudente, animata di vero e 
sentito affetto Italiano. Cosi si fosse mostrata più energica contro il 
torrente dell' anarchia che irrompeva i — 

All' avvicinarsi delle nuove elezioni Giusti si raccomandò ad al- 
cuni amici suoi, che appartenevano al Collegio elettorale, dal quale 
era stato nominalo la prima volta, perchè portassero un' altro can- 
didalo. £i vedeva ormai comesi meitevao lecose^ e n* aveva tanto 
ribrezzo che, come era solito dire, desiderava di stare in platea, e 
non d'esser mandalo sul palco scenico. Corse voce là nel paese del- 
l' intenzione sua di rinunziare anche quando venisse eletto ; e a chi 
di là k> interpellò in proposilo rispose : « £ verissimo che ho rinun- 
ziato la candidatura. Ho rinunziato perchè ho poca salute, ho rinun- 
ziato perchè mi sento mollò al di sello del posto di Deputato, e non lo 
dico per modestia ma per esperienza fatta; e analmente ho rinun- 
ziato perchè sapevo le brighe di . . . coi quali non voglio esser me- 
scolalo nemmeno per un momento. Serberò memoria deli' affetto e 
della benevolenza che mi hanno dimostrato i buoni Poniigiani, e 
prego te a volerli ringraziare da parte mia. » — 

Malgrado però queste istanze sue, malgrado gP Intrighi, che ve- 
ramente esistevano, perchè fosse eletto in quel collegio un tale de- 
voto al governo, e a cui era stato a tale scopo formato un censo 
fittizio ; 1 suoi elettóri, in gran parte contadini^ abbandonavano nel 
giorno solenne la marra per correre in fretta al Collegio a deposi- 
tare nell' urna il nome dell' uomo, pel quale nutrivano una ventra- 
zione mista d' affetto profondo e sincero. 

Si rassegnava il poeta al pubblico e difficile uffizio, e scriveva 
a qualcuno di là : « Ringrazio codesta buona gente dell' affezione 



die mi dimostrano e eira io vorrei aver mertlata eoo qualcosa fistia 
a loro vantaggio. Mi duole amaramente l' avvenimeDlo, ma alnneno 
mi focciaoo testimonianza che mi sono adoperalo per rimanere a 
casa, m ogni modo sento cbe corrisponderò malissimo all' espetta- 
liva concepita di me, parte per l' ingegno non esperto alle pubbliche 
faccende, parte per la salute che non mi serve punto a mio modo. 
L' inverno a Firenze mi è stato sempre dannosissimo ; ma fiat voltm- 
lai vestrà, 

G06Ì con mesta rassegnazione modestamente accettava dai suoi 
etenori quel mandato , del quaJe era andato altero la prima volta , 
e di cui gli aveva allora ringraziali in persona nella modesta sala 
d' una casa di quel villaggio, sulla cui porta (sia deuo a mo' di pa^ 
rentesi) sarà dai buoni Ponliglani poeta quanto prima un lapide che 
ne attesti il cordoglio per la perdita irreparabtte. E i tempi erano 
in Catti cambiari : la prima volta il deputato, altero del proprio uffi- 
cio correva a Firenxe, certo di poter là col senno e colla coscienza 
cooperare alla salute detta patria comune; adesso vi andava di ma* 
lincuore, simile a una vittima che muova all'altare ben accorgendo- 
si, se onesto, come la tirannia della licenza, tirannia più territiite di 
tutte, si preparasse a violare le sacre libertà della parola e del voto. 
Accettare in quel momento il mandato era un sacrifizio; GmsTi,, 
avvezzo da lunga mano ai sacrifizi!, 1' accettò. 

Malgrado gì' intrighi d' un governo, che, por di giungere allo 
scopo, non era poi scrupoloso nella scelta dei mezzi, usci dalle urne 
toscane, violale e rovesciale a Signa, a Pisa e a Firenze un assem- 
blea che esprimeva, come la prima, V opinione sincera del paese, e 
in cui i costituzionali avevano di nuovo la maggiorità. Era ostile per 
conseguenza al governo, cbe di costituzionale aveva il nome non le 
intenzioni^ come el>bo luogo di chiarire in appresso. I mtaistri però, 
che erano saliti al potere coH^ unico appoggio di una minorità fa- 
ziosa, non si sgomentarono^ ma si apprestarono invece a governare 
colla nuova mioorilà. Avevan dofhata colle violenze la prima assem- 
blea ; colle violenze esercitate fin dentro lo stesso recioto si appa- 
recct^vano a domar la seconda. Questa breve legi^atura non fu 
che un continuo e infruttuoso combattimento della maggiorila con- 
tro la pressione delle tribune, stipate di compri tumuHuaoti, i quali 
coprivano con urli e fischi la voce di qualunque deputato sor^eaae 
a pronunziare una parola coraggiosa e rivendicatrice di quella vera 
libertà che, io nome del popolo, si violava ogni giorno. Eran troppo 
abbattute le forze di gedsti perchè potesse prender parte a questa 
lotta. Bi vi aasUteva mulo e sfiduciato. 

Né la lotta fu lunga. La partenza del principe Oa storia lo giu- 
dicberà nelle cause e nelle ooosegueoae) lasciò seoaa ostacoli il 
campo alla fazione ; una mano di forsennati violò la mattina del di 



X 45 X 
8 Febbraio il recioto dell' ataemblea» e la GoaiUiizk«e dello sialo 
fu rovesciala ; venne abolito il Senato e il Ooosiglio generale per 
convocare una camera unica, coslUueote, uscita dal snffiragio univer- 
sale. E intanto la piaaza divenne più che mai teatro di disordini 
continui, proletti o tollerali dal governo : 1 cirooi commossero vio- 
lenze ed eccessi d' ogni aorta e vollero, come è naturale, dirigere 
dominare gli uomini ebe erano stati levali al potere soliamo dalla 
loro influensa. V anarchia era al colmo. Ridolfi, Salvagnoli, Corsini 
e altri deputati e cittadini, conosduli per luogo affetto aUa causa 
della libertA, avevan dovuto espatriare, altri celarsi, o ritirarsi noBl 
sicuri nelle campagne. Che se quell'anarchia non fu macchiala di san- 
gue, dò si deve alla mite natura del popolo toscano, non alla vo- 
lontà dei governaflli, i quali si erano affrettati a nominare In Firenae 
una commissione stauria. Non trovarono peK» chi volesse seder 
giudice In quel tribunale liberticida, ad eccezione d' un solo di ctH 
taccio il nome perchè preme oggi la terra d' esilio. 

Giusti solitario e addolorato contemplava plaogendo le Insanie 
e le colpe di questi agitatori da trivio. Vedeva pur troppo che la 
cosa non avrebbe potuto andare In lungo, e sapeva come l'anarcMa 
porli in se stessa 11 verme che prima o poi la divora. Ma gli doleva 
dei danni che nelF uscir da quel baratro sarebbero toccati atta pa- 
tria prevedeva fln d' allora 1' onta suprema a cui la sua dHetta To- 
scana sarebbe condotta. E gli straziava l'anima il vedere Ohe, men- 
tre CARLO ALBERTO s* apparecchiava a tornare in campo per l'In- 
dipendenza di tutu, m» un uooao gli veniva spedilo In soccorso da 
quei governi, che pomposamente si proclamavano destinati a salvare 
l' Italia. Quando gli giunse la fatale notizia della rotta di Kovara 
fu questa per esso un colpo terribile, ma non inaspettalo. 

Frattanto si era proceduto alle elezioni per la costituente. Il voto 
universale tanto vsataio, era riuscito mia menzogna per l' Inflneoaa 
che il governo e i circoli senza guardare ai mezzi e abusando deUe 
eiroostanze, vollero violentemente esercitare sulla coscienza degli e- 
lettori. Quel di Borgo a Buggiano però, fedeli ai loro princlpll e alle 
loro eonvinzioDt, malgrado gl'hitrighi e le mhiaocie, dettero uoanl- 
né H voto all' uomo che sopra ogni altro stimavano e amavano. 
GIUSTI fti eletto per la terza volta n Deputato, com' é da credersi, 
non messe mai il piede in quella Babele parlamentarla. 

V. 

Nel giorno i3 aprile II popolo vero messe fuori la testa, e la fa- 
zione fu dispersa e rovesciata con pochi colpi di focile ; non par- 
lerò a lungo di una guerra fraterna anche se non costò che poche 
geode di sangue. Ma quel movimento popolare die ristabUtva In To- 



X A* X 
scana la dinaslla Loreoese, che inviava fino a -Gaeta in dont^ uno 
scellro e una corona abbandonata, era movimento eMeozialmente 
costituzionale e nasionate, li programma della commissione Gover- 
nativa era esplicito e chiaro; rendere al principe il trono perchè lo 
circondasse di stabili e sincere istituzioni popolari, e risparmiare al 
paese l'onta suprema d'un occupazione straniera, che necessaria- 
mente sarebbe slata una conquista, serbando per tal modo Italiana una 
provincia d'Italia. U popolo vero salutò con entusiasmo questo nobile 
programma, quando gli venne bandito dalla ringhiera di Palazzo Vec- 
chio; con entusiasmo salutò il vessillo tricolore che lo simboleggiava. 
I nomi dei componenti la commissione erano una guarentigia 
delle loro oneste e libere opinioni. Dopo sette mesi di inutile e fe- 
brlle agitazione, il popolo toscano finalmente riposava tranquillo e 
confidente in qucll' avvenire, che esso stesso àvea per se conquistate. 
Forse la confidenza fu troppa e troppo spinta; se la Commissione go- 
vernativa avesse convocate immediatamente le Camere, illegalmente 
disciolte non distrutte dal Governo provvisorio, la Costituzione non 
avrebbe, nemmeno per un momento, cessato d' esaere una verità. 
Ma tanta in quell'istante, era la fiducia che questo pensiero non ba- 
lenò forse nemmeno alla mente del Municipio. Né possiamo rimpro- 
verarlo. L' uomo onesto ha l'abitudine di creder tutti onesti ; chi po- 
trebbe ascrivergli a debito se in questo generoso giudizio s'inganna ? 
GIUSTI anch' esso si rallegrò di quel fatto, che mettendo un ter- 
mine all' anarchia demagogica pareva dovesse, mantenendo alla To- 
scana l'indipendenza e la libertà, avvantaggiare la comun causa d'Ita- 
lia, che sopra ogni altra gli stava a core, e rimediare, o attenuare 
almeno il peso delle sventure che, dopo la infausta giornata di No- 
vara, ci gravavan sul collo. I suoi voti, come quelli della intera To- 
scana, tennero dietro alla Deputazione che si recava a Gaeta per ri- 
porre sul capo d' un Principe una corona riconquistata dal generoso 
slancio d' un popolo intero. 

Quando lo storico dovrà giudicare P importanza politica di que- 
sti giorni, si troverà naturalmente perplesso, ondeggiante fra I tanti 
e tanti criterii coi quali venne considerato fin qui ; portalo dagli uni 
alle stelle come una redenzione civile, trascinato dagli altri nel fango 
come una restaurazione della barbarie. I ristretti limiti nei quali 
mi debbo mantenere, non mi permettono di dire intero il pater mio su 
questo memorando avvenimento : ma tenterò ad ogni modo d' accen- 
narlo per sommi capi. Il movimenta del 43 Aprile fu così spontaneo, co- 
si leale, così schiettamente costituzionale e italiano, e lanto nuovo nella 
storia moderna, (la quale mentre offre l'esempio di cento Re spo- 
destati dai popoli , non ci offra quello d' un solo re rimesso sul 
trono per opera loro ) che non potè non meritare una specie di ri- 
conoscenza, non p0lè» almeno apparentemente, non estere accettato 



X4tf X 
dagli uomiDl di Gaela. Ma se ben si riguardi alla combriccola che do* 
mioava colà P animo del principe e le sorti del paese, dovrà con- 
fessarsi che, all' iniquo fine clie s' era proposta, non poteva opporsi 
un* ostacolo più tremendo di quella spontanea e popolare restaura- 
zione. 

vinta ormai dall' Austria la giornata di Novara, le sorti delia To- 
scana eran già stabilite a Gaeta. Un corpo d' armata avrebbe facil- 
mente varcato i confini, mal difesi dal Governo insurrezionale. Dalla 
Magra al chiarone sarebbe stala la conquista del paese una facii con- 
quista; e i conquistatori vi avrebbero ristabilito a lor agio nello e 
pretto l'assolutismo senza veli, senza maschere; avrebbero rimessa 
su la baracca come stava nel 1946, con più un po' di ferocia Napo- 
letana e il gravame economico dell' occupazione. A questo disegno , 
che sorrideva nella mente dei diplomatici di Gaeta, venne a porsi 
davanti inaspettata ed invisa la giornata del i3 Aprile, e l'arrivo della 
Deputazione che avea mosso da Firenze dopo quel fatto. 

Le condizioni erano mutate; non si trattava più d'un sovrano 
che tornasse negli stati suoi alla testa d' un' armala conquistatrice 
e che forte delle spade trionranti dell'allealo straniero^ vi si assi- 
desse assoluto; ma si trattava d' un popolo che inviava una eletta 
di cittadini a deporre sulla testa d' un sovrano quella stessa corona 
che esso aveva abbandonato fuggente. Nel primo caso il principe 
conquistando poteva fare quello che meglio gii paresse appoggialo 
alla forza ultima ratio regnmj nel secondo doveva almeno in parte 
accettare i princlpii che avevano animato il suo popolo nel di del ri- 
scatto, per non assumere nella storia il marchio incancellabile di fe- 
difrago e d' ingrato. Tali erano le condizioni nelle quali gli uomini 
di Gaeta venivan posti dall'avvenimento del 13 Aprile. 

Ormai però eran troppo avanzate le pratiche loro coirAustrìa e 
troppo avevan nell'anima sgomento e paura, perchè, secondando il 
volo unanime della Toscana, coraggiosamente e chiaramente espresso 
dalla deputazione florenlina, declinassero dal pattuito intervento. Ma 
se non vollero piegare, come l'avrebber dovuto per l'interesse dei 
paese e per la dignità del principe ; se la paura, eterna rovioatrice 
degli Stati, allignò tanto nell'animo di quei tremembondi e stolidi 
consiglieri da far si che violassero quell' indipendenza che al paese 
era i*ara quanto e più della lil)ertà, fu pur gioco forza per essi, prò* 
nunziare a denti stretli il nome di Costituzione. Questa parola, che 
bruciava loro le labbra e che fidavano di cancellare dal dizionario 
del nostro diritto pubblico, fu dopo'quel giorno necessario riporvela. 
Poiché il non averlo fatto sarebbe stato lo stesso che lodarsi davanti 
alla istoria di macchia tale che secoli e secoli non sarebbero basta- 
ti a lavare. Questa conseguenza salutare si è quella che deve a pa- 
rer mio servir di base allo storico per giudl^jare il 12 Aprile. Quel 



:=< -«6 X 

giorno fu qutilo che neeenilò ti (MroinincUMM di nuovo la parola Co- 
stiiuzione, la quale forse altrlmenli tarebbe stata canoeilaia con nòno 
ardila e sacrUega ; quel giorno fu queik) che, rencteDdo la interven- 
zione straniera inotile e superflua, le rese ingiustificabile e per con- 
seguenza più debole e meno diuturna, .come tutte quelle violazioni 
del principio di nazionalità le quali» oltre al non aver base nel di- 
ritto, si trovano a non averta nemmeno nella necessiià. 

Molti geoerosi più che savii, oggi che veggono la Costituzione 
ridotta allo stato di larva dall' impuro contatto di governanti che 
liran via come se fossero padroni assoluti, e che dolenti dovettero 
assistere a un atto simile a quello de' sa aprile iSSO, si sdegnano 
col 43 aprile del 49 e, inconsideratamente, lo chiamano cagione 
prima d' ogni male nostro presente, costoro però sono in errore. 
Se il 13 aprile non fosse spuntalo in Toscana le nostre condizioni 
attuali sarebbero più lacrimevoli di quel cbe non sono. 

E vero cbe oggi una mano faziosa d' ao«rchici assolutisti sogna 
un poetico e violento ritorno al passato, e fa di tutto per riportare 
il paese a condizioni e a sistemi turpemente sovvertitori dell'ordine 
pubblico, rimettendo su quanto di corrotto e di corruttore esisteva 
in fatto o in germe nell' iniqua forma del governo assoluto. Ma co- 
tesloro tentano opera impossibile. Il fantasma, il nome solo della 
costituzione che pur doverono pronunziare a Gaeta, turba la loro 
orgia burocratica come lo spettro di Banquo. Quella parola, e lo 
sanno, è una di quelle colle quali non si scherza impunemente, per- 
che significa libertà; e la libertà coRa forza brutale non si uccide. 
Punisce Iddio adesso gli errori nostri, lasciandoci per brevi giorni 
alle mani di quella fazione di retrogradi gallonati; ma quando le 
co Ipe saranno espiate, essi cadranno sotto II peso di quella parola 
che diverrà un fatto. Il disprezzo più che l'odio sarà la loro con- 
danna, perché un popolo ha generosi Istinti e perdona. E quanto 
dissi della libertà, può dirsi della indipendenza, un atto illegale, sì 
chiami pur convenzione, il quale pretenda consacrare la dipendenza 
nostra, non per necessità dello stalo, ma per l' interesse egoistico 
di pochi individui, che stanno attaccali ai loro portafogli come F o> 
strica allo scoglio, è atto che non ha garanzia di durata, e ette deve 
necessariamente perder la propria efficacia appena cadono un siete- 
ma, che basato sul falso, non può esser se non effimero. La dipen- 
denza d'uno stalo è condizione anormale; la necessità soltanto può 
talvolta, giuslificahdola in qualche modo, renderla possibile e dure- 
vole, facendone una condizione della esistenza dallo stato istesso. 

Ora senza il 42 aprile, 1* assolutismo e la dipendenza della To- 
scana dall' Austria sarebbero state basate sulta necessità. Quel giorno 
fu quello che ridusse gii atti che le sanzionavano, alla sfera di poli- 
- lica di partito, anzi di persone ; e con questa restrizione, rese am- 



X « X 
bedne quei folti anorniftU» e perctiò aaoriMK, imponibili e mliaBlo 
momeDtaoeL A quel storno pere . deve liooenuiieDte benedirsi da 
Gbiunque ami daYvero il paese, cbè per certo gli asaolutlsti e gli ol- 
tramoalani^ se Aogono di esaltarne con pubbliche pompe l'anniver- 
sario, lo maledicoDO poi oordialmenle io segreto <i). 

Perdoni il lettore la digressione lunga si, ma non inutile. — 
Tanto era giusti convinto delle verità cbe qui sviluppai, che sempre 
soleva dire; ne$9uno ormai potrà togUerci ienoHre libertà eoMittaio- 
nati. Ma questa lieta speranza, profondaineoce radicata nel!' animo 
suo^ non toglieva cbe aoer t>amente non l' addolorassero e la pre- 
senza deli' armata occupante e lo spettacolo delFanarchia nuota che, 
cogli uomini del governo restaurato si assideva travestita da ordine, 
in Palazzo vecchio, un giorno, fu 1' ultimo eh' io lo vidi, mi parlò 
a lungo delle condizioni presenti d' Italia e dei nostri falli passati e 
delle speranze avvenire; e pensando all'alba serena della nostra 
rivoluzione e all'oscurità presente del nostro orizsonte politico, 
esclamò sospirando: 

o iHion principio 

Anche vii Oae coavien che tu caschi ! 

voglia Iddio, soggiungeva, che almeno la lezione sia stala proficua. 
Io non vi sarò più quando i tempi saranno di nuovo maturi ; ma 
voi giovani, cbe ci sarete e che vedeste le cause del male, gridatele 
a viso aperto e state uniti. A questo patto soltanto l' Italia può rial- 
zarsi, e presto. 

L' aria marittima di Viareggio rese migliore alquanto, nell'estate 
del 1849, le condizioni della sua salute, ma fu breve il miglioramen- 
to : infatti una tremenda miliare Io assalì dopo tornato in Firenze. 
Superò anche questa malatUa, che però lasciò in esso Straccie cosi 
profonde, che i medici ormai non s' Illusero più sulla prossima fine 
del poeta. Nel crudissimo inverno del ISSO stette chiuso quasi sem- 
pre nel palazzo ospitale di G\ìì9 Capponi, cbe l'aveva sempre amato 
con affetto di padre. La malattia faceva in tanto dei rapidi progres- 
si ; gli spurghi sanguigni eran divenuti sempre più frequenti e al- 
ci) Questa specie di previsione sulle conseguenze che avrebtiealia 
Toscana portate la spontanea restaurazione del 19 Aprile non furono 
pieoamente gtustiflcate dagli avvenimenti posteriori. Dopo tre anni di 
sospensione. la costituzione Toscana venne abolita nel 1052. se in que- 
sta parte andò fallita la speranza dello scrittore, si avverò in quanro 
riguardava la durata della occupazione straniera, poiché nel 1856 le 
truppe Austriache sgombrarono la Toscana, dove forse la loro presenza 
avrebbe avuta ben altra durata ove con diversi e sotto diversi auspicii 
fosse avvenuta 1» restaurazione. 

NOTA DZLL'EDITOBB. 



X «x 

tarmami, un suo amico visitandolo il SS di marzo, lo trovò tranquillo 
e lieto ma pieno dei presentimento della sua prossima Roe; Giusti 
gli parlò con faccia serena della sua morte vicina e, a lui clie voleva 
con amichevoli conforti scacciare quel cupo pensiero, accennò con 
un sorriso la sputacchiera piena di «angue. Sei giorni dopo nelle ore 
pomeridiane del M marzo, lo assali un improvviso insulto d'emot- 
tisi; ebbe appena il tempo di gettarsi sul letto dove spirò soffocato 
da un getto di sangue, prima che i medici giungessero ad appre- 
starli i soccorsi deir arte. — 

Corse come un lampo la voce delia perdila irreparabile della 
città; e fu un dolore profondo e sincero quello che seguitò aldi là 
della vita il poeta civile. Si volle rendergli gli ultimi onori; ma non 
fu che dopo lunghe premure e iocredibili ostacoli per parte del go- 
verno, che gli amici ottennero il permesso d' accompagnarlo con 
pubblica pompa ai sepolcro. Le vanità ferite, le turpitudini smasche- 
rale, serbavano rancore anche al di là della tomba. ^ La sera del 
primo d' aprile gli addolorali amici seguitavano in folla la bara del 
poeta; Ora 1 suoi resti mortali dormono io pace nella chiesa che 
corona la eollina di S. Miniato e la pietra che lo ricuopre e falla 
segno di pio pellegrinaggio a quanti Io amarono in vita. — 

E lo amarono quanti lo conobbero. Che tralasciato qui anche 
Piogeno suo, e la sua ammirabile sagacilà e fermezza politica, esso 
fu nel conversare domestico di modi gentili tanto e d'indole così 
mite ed ingenua, sicché fosse impossibile non amarlo dopo averlo 
anche per una sola volta avvicinato. Mesto per natura e per abitu- 
dine, ma sereno e tranquillo nella sua mestìzia, aveva V anima aperta 
ad ogni sentimento che fosse nobile ed elevato. Piuttosto taciturno, 
t' incantava però allorquando In un raro momento d' ilarilà lasciava 
libero il corso al sorriso, idolatra del bello e del buono la virtù 
adorava, e tanto aborriva da vizii che lordavano la società in mezzo 
alia quale era nato, che in quest' orrore appunto attinse la volontà 
e la forza d'esser poeta. Costante nell'amicizia, non curante di quelle 
olTcse che non ferivan che lui, buono, soccorrevole, modesto, senza 
invidie e senza ambizioni, senza orpello e senza vernice, sarebbe 
stalo un modello di cittadino per i privali suoi meriti, quand* anco il 
suo ingegno non I' avesse sollevato all' altezza che raggiunse come 
poela. — 

VL 

Dopo aver parlalo di Giusti nella vita domestica e nella vita po- 
litica, credo necessario, per compiere come che sia l' assunto da me 
intrapreso, considerarlo brevemente nella vita letteraria. — Basta get- 
tare uno sguardo sopra { versi del nostro poeta, per distinguere in 



X *9 X 
essi quel suggello d'<»rlgiiiarnà onde sono improntali^ e mtairare 
loilo intiero lo spazio cbe lo divide da quanti lo precedettero, giusti 
non somiglia a nessobo. Questo é al tempo slesso l'elogio più grande 
die possa tributarsi al poeta, e la verilà più schietta che possa pro- 
nunziarsi dal crillco. Non mancò cbi parlando di lui si almanaccasse, 
la testa per cercar del modelli al suo stile e al suo genere, e, non 
trovandone In Italia, andasse a scavarli al di fuori, paragonandolo a 
Beranger. A parer itile però non v'è altro bisognoche quello di porre 
per un momento solo a eoofrooio 1 canti popolari del poeta francese 
con quelli del nostro, per accorgersi della differenza immensa che 
passa fra loro due. Un tal ravvicinamento a senso mio è puramente 
immaginario, e coloro che lo fecero o dovettero non aver, letto He- 
ranger j o non aver compreso Giusti. Mostrar la diversità che in- 
tercede, fra quei due generi di poesia politica, sarebbe la cosa più 
facile di questo mondo, e lo farei se mi fossf preso F assunto di 
scrìvere un Saggio suUe opere di Giusti ; ma questo confronto mi 
porterebbe fuori dei limili che son prescritti a dei semplici Ceimf, 
Non voglio però tralasciare qui di notare come, secondo me, un 
Saggio che sviscerasse il concetto di tutte e singole quelle poesie, 
che rivelasse agli Italiani tutte le profonde bellezze cbe si racchiu- 
dono in qnell' aureo volume, te quali come le gemme d' un tesoro 
inesaaribile non fanno che moltiplicare quanto più vi si fruga den- 
tro, quando venisse scritto con coscienza e con amore, sarebbe opera 
tale da onorare non solo chi vi si accingesse, ma da giovare immen- 
samente e alla letteratara patria, e alla educazione politica degli Ita- 
liani. 

Esaminando il libro del giusti e gustando 6n dalla prima lettura 
ì pregii d'un' originalità che vi rapisce e vi meraviglia, la prima di- 
manda che fa il lettore a se stesso d questa semplicissima e natura- 
le : donde trasse il poeta l' ispirazione ? qual fu il sentimento che, 
domioandolo, lo trascinò a creare un genere di poesia il quale co- 
me non ebt>e modelli cosi forse non avrà imitatori T — Quanto però 
è naturale che lei dimanda s' alfacd alla mente, alirellanto è diflBcile 
la risposta per chi s* accinga a darla, e non sia andato in quella 
lettura al di là della corteccia. Può benissimo accadere che un let- 
tore superficiale giudichi Giusti piuttosto secondo il proprio caratte- 
re o H indole propria, anziché a norma di quanto in esso veramente 
si contiene; per modo che se buontempone e tranquillamente gio- 
viale, non vegga nel poeta che un gaio uomo, il quale ama di ri- 
dere e di scherzare e creda cosi die dal riso attìnga le sue ispira- 
zioni. Se per lo coolrario è un di quei malcontenti che si fanno un 
sistema del brontolare, nulla dì più facile che in esse ravvisi un 
atrabiliare cbe soffocalo dal malumore mena a diritta e a sinistra il 
suo flagello, e nella bile allioge la forza della sua creazione. Ma chi, 

4 



basandoli sopra odo studio profondo, e col solo acopo di cercar nella 
poesia 1* anima del poeu, si spinge più addentro nel segreto di quello 
stile, chi medita freddamente quel sorriso al quale atteggia le lab-' 
bra, ben altra riconosce esser la fonte da cui attinse le ispirasiooi 
polenti ; e traverso alla fantasmagoria che il suo verso & passare 
davanti allo sguardo, indovina nel dolore soltanto la musa che lo 
ispirò* Non paia strano a taluni se io vengo oggi francamente ad af- 
fermare che quei versi, I quali tante e tante volte risvegliarono il 
loro sorriso, hanno nel dolore soltanto il loro principio e la loro ragione. 
Io prima di tutto vorrei potere scendere nell'anima di quanti leg- 
gendo le poesie di giusti sorridono insiem con lui, e son certo che 
vi scorgerei insieme una lacrima involontaria e forse ignorau anche 
da chi la versa, cadere olocausto segreto sul!' aliare della virtù. Ma 
anche tralasciato questo fenomeno psicologico un po' difficile a co- 
statare, mi sembra faeiie cosa il mostrare la verità di quanto asseri- 
sco. Giusti ride; ride In modo così potenle, che guai per chi è fe- 
rito da quel suo riso immortale; ma in mezzo alla canzone vestila 
a festa che sgorga dall'anima del poeta, sovente una parola profon- 
damente melanconica esce Involontaria dalle corde della sua lira e 
adombra per modo col tenue velo della mestizia il lampo del suo sor- 
riso, che l'animo del lettore si perde nel sentimento nuovo che prova 
e non sa spiegare a se stesso, tanto da esclamare inebriato : é «u- 
btim$. Giusti piange e ride ad un tempo, e il suo sorriso è figlio 
della sua melanconia^ e per essa sola si spiega e si rende intelligi- 
bile e chiaro. Il culto, l'Idolatrìa per quanto v' ha di bello e di buono, 
per la virtù e per la liberlà, domina l' anima, del poeta. Esso 
vede però la virtù soffocala dal vizio che irrompe trionfante, 
la libertà uccisa o minacciata dall'errore, dal costume, dalla tiran- 
nide. Allora si sdegna col destino e cogli uomini, e maledice in cuore 
alle turpitudini che son ragione unica e fatale dell'indegno spettacolo. 
Ma la sua mente, alla quale è dato di spaziare con più alto volo, 
travede come sien deboli le basi quali s'appoggia quell'edifizio, il 
cui aspetto tanto lo afQigge, quanto quel trionfo del vizio sia effi- 
mero e vano, come esso chiuda in se stesso il germe della propria 
distruzione, come quell'orgia sia degna più d'un sorriso di commi- 
serazione, che dello sdegno e dell' ira. E allora il suo sdegno si 
scioglie in riso; in un riso più pungente della lacrima, in un riso 
che non passa alla midolla, e fa sì che si senta, com' esso dice. 

Simile al saltimbanoo 
Che rouor di fame e in viso ilare e franco 
Trattien la folla. 

E la melanconia, che pur gii resta nell'anima^ non può nasoon- 
* r poi tanto che talvolta non trasparisca e non veli la galvanizzata 



x«tx 

letteia della tua voce, eonae mi miv«Io leggefo vela la Iì8eac«ce»ie 
di OD orizaODte InAiocato. 

k qaetlo giudizio il Mio die debte pronaiiziarti dopo mia at- 
tenta lettura dei veni di oiiTnr. E percM non si creda oogltidiiio 
immaginario o fantaatieo acoenoerò come abbia un appoggio e una 
gioaCIficazione nella sua steasa parola, nella prefazione infaUI pre- 
messa da Itti alla prima edizione di Bastia, esso dice cblaramenie ai 
lettore; • se tu sei tagliato unicamente a spassarti non andare più 
» lo là di quesu pagina, percliò un riso nato di malinconia potrebbe 
» farti nodo alla gola, e me ne dispiacerebbe per te e per me. • — Né 
altrove sfogandosi col suo venerabile amico Gino Capjfom^ tralascia 
di esclamare : 

ID quanta guerra di pansler mi pooe 
Questo cli« par sorriso ed è dolore ! 

Più olire vagheggiando colla meole IMstante nel quale, cessale 
tanle turpitudini, e venuto finalmente «il regno della virtù, della li* 
berli, della legge, si compiano I nobili desiderll pei quali pianse e 
sperando cantò, con aspirazione sublime affrettando quel tempi mi- 
gliori ripete: 

Beate me se un di potrò la mente 
Posar quTeta in piò sereni obietu 
E sparger fiori e ricambiare affetti 
soavemente ( 

Basterebbero queste sole citazioni per rivelare intero il concetto 
delle creazioni di GrosTi e farci assistere all' intimo combattimento 
t^e queil' anima infiammata d' affetti n(d>ili e generosi durava ogni 
giorno, e dal quale emergeva il suo carme; ma questo segreto delle 
sue poesie è anco più ciiiararoente rivelato da queste strofe malin- 
coniche e gentili nelle quali si mostra a nudo e cbe non lasciano più 
dubbio di sorta suli' indole sua : 



Alla virtù mirando 
Move senza sgomento 
Rimprovero e lamento — il mio dolore, 
se con sicuro viso 

Tentai piagge profonde. 

Di carità nell'onde 

Temprai r ardito ingegno 

E trassi dallo sdegno — Il mesto riso. 

Da queste parole è rivelalo intero il processo intemo, col quale 
il poeta giungeva, o meglio era spipto alle sue creazioni. Innamo- 
ralo della virtù sentiva acerbo dolore in vederla calpestata soccom- 



XMX 
bere in mezzo all'orgie del vizio trionfàote ; aliora un nobile sdegno*' 
kU fremeva nell' anima amante e nasceva quel sorriso terrìbile e me> 
sto ad un tempo che, come un dardo avvelenato, uccideva qualun- 
que ne venisse ferito, fosse pur d' una semplice sca16itura. 

in questo arcano nodo fra il sorriso e il dolore è tutto il segreto 
dell'originalità del nostro poeta. Questo dolore profondo non esa- 
lava dalla sua bocca in vani lamenti, in perpetui singulti, che a Inngo- 
andare rischiarassero per necessità di inciampare nei galvanizzato, e 
in quell' affettato romanticismo sonoro di parole e vuoto d'idee, dal 
quale tanto aborriva; quel suo riso tremendo, ma non maligno, non 
usciva dalle sue labbra spensierato o imprudente, come dalie 
labbra di certi classicisti a tuli' oltranza^ il cui scetticismo esso di- 
sprezzava quanto e più dei vaniloqui romantici, prima di lui arcadi 
poeti avevano riso per ridere : esso, con nuovo e portentoso inge- 
gno (mi si passi la stranezza deli' espressione in grazia della verità 
del concetto) rideva per piangere. 

L'arpa meravigliosa di questo poeta, che lambita dal soffio del 
dolore tramandava concenti terribilmente lieti, doveva necessariamente 
esser composta di corde nuove, come ne era nuovo 1' elTetto, con- 
sideralo di fronte alla causa che lo produceva. Questo poeta, che 
non aveva modelli nel passato, doveva necessariamente servirsi dr 
mezzi sconosciuti per raggiungere quello scopo chele rendeva tanto 
ammirato ed originale. E questi consisterono sopratulto nello stile 
e nei concetti, o meglio nella veste colla quale li ravvolgeva, nelle 
tinte che adoperava per colorire i suoi quadri. — Toccherò in po- 
che parole di questi due mezzi artìstici che così mirabilmente servi- 
rono a rivelare la potenza di quel mirabile ingegno. — 

Lo^ stile di Giusti per chi la prima volta vi getti sopra lo sguardo 
apparis'ce nuovo cosi e inusitato, che a mala pena uno se ne può 
render ragione. E la cosa è naturale; I' orecchio avvezzo da anni e 
anni ai suono mellifluo d'unn lingua mescolata di frasi e<di parole 
imbastardite, si trova come in un paese nuovo, quando sta davanti 
a una maniera di scrivere nobilmente e veramente volgare. Non 
posso, né debbo far l'onta ai poeti, che precedettero Giusti, di chia- 
marii. mettendoli tutti in un mazzo^ stupidamente imitatori del far 
d» oltremonte, e affermarti rovinatori della nostra favella. Quel che 
guastò la lingua non fu V opera loro, ma la lunga abitudine di ser- 
vilità, alla quale le politiche condizioni condussero i cittadini. Se però 
la maggior parte di essi non può venire incolpala di tanto peccato, 
può addebitarsi d' aver colpevolmente contribuite alla decadenza 
della favella italiana, per la compiacenza servile colla quale seconda- 
rono quella illuvie straniera, a cui potean pur far argine, e adope- 
rarono gì' illegittimi modi malamente introdotti dall' uso. E questa 
maggiorità fu quella che si compone di quel ceto di pseudo-lelte- 



rati , che imbotiUa la testa di dtaatoDl, dod fanoo altro che strasci- 
car 1'* estro sulla falsariga. Anche 1 migliori però I quali, al momento 
in cui Giusti cominciò a meditare sul modus teltendi per trarre al- 
l' atto P opera sua, vollero attenersi fedèimente alla lingua sana e 
verace, per lo stesso genere elevato che trattarono, necessariamente 
dovettero rimanersi in una sfera di linguaggio puro si, ma sovente 
•convenzionale. Giusti impaziente d' ogni pastoja la ruppe con tutto 
quel che sapesse d' oltramootaoo o di convenzionale; e dopo essersi 
fallo un giusto criterio delia lingua nostra negli aurei modelli anti- 
chi e specialmenle in Dante^ senza cercar più oltre studiò la lingua 
nella lingua viva del popolo, in quella che semplice, pittoresca, pu- 
ra. Incontaminata, suona ancora sulle labbra del nostro volgo, te- 
soro tramandato da padre In figlio senza volerlo, senza saperlo, e 
tanto più' ricco ed Inesauribile, quanto meno apprezzato da chi lo 
possiede. 

Né- poteva fiw« aitilmenii. Esso volea riflettere nei suoi versi in- 
cera e palpitante la tila qual'era. Li avrebbe tentato invano, ove fosse 
ito a cercar lo strumento in una lingua bastarda e adulterala, la 
<]uale teneva di tutte ie lingue senza appartenere veramente a nes- 
^■suna. Per dipinger la vita abbisognava d'una lingua veramente vi- 
vente; e questa non era e non poteva esser che la lingua dei popolo 
tradizionalmente conservala. Da questa lingua paesana, che esso volle 
e seppe adoprare, sceverandone quanto potea contenere di corrotto 
e conservandone quanto racchiudeva di prezioso, el giunse a levar 
fuori uno stile che comparve nuovo appunto perchè era antico, e 
perchè da lunghi e lunghi anni era staio lasciato da banda dagli seri- 
•vacchiatori d' ogni maniera. 

Da questo ritorno ai modi del popolo, che è sola fonte e solo 
•giudice io fatto di lingua, esso ottenne una esattezza nelle espres- 
sioni, una giustezza negli epiteti, una profondità nella parola, una venu- 
stà nella frase, una certa aura d'antico, che Io reodano e lo renderanno 
sempre un modello a quanti abbiano l'ambizione, accozzando quattro 
parole, di averle scritte in Italiano e non in gergo poliglotta. <^ues(o 
adoperare per il primo dopo tanti e tanti la vera lingua voigare questa 
«peeie di riabilitazione, oltre all' aver servito* maravigliosamente al 
poeta, che Invano avrebbe in una lingua adulterata cercato modi 
adatti ad esprimere I suoi concetti, deve conciliarli la gratitudine 
dell' intera Italia, che quest' ardimento filologico è in obbligo di 
considerare come opera di carità patria. L* indipendenza della lin- 
gua è il primo elemento della nazionalità. Se Giusti a questa indi- 
pendenza contribuisse non m' è d'uopo provare. Almeno gli serlttori 
che verranno dopo di lui imitino quell' esemplo, e scansando con 
savio accorgimento il vietume consacrato in codici polverosi e 
ie nuovità introdotte da scrìvacchiatori impudenti, studino e adope- 



lino la liDgua come sta tulle labbra del popolo. Giusti ne porse 
l' esempio s il suo libro rimarrà eterno documento del oomepariava 
il popolo d' Italia nella prima metà del secolo XIX. 

U segreto dello stile di Giusti si racchiude^ a parer mio, in 
una sentenza che sovente solca proaunzlare, quando qualcuno si mo- 
strava meravigliato del suo modo di scrivere; e gli chiedeva dei co- 
me. Esso diceva : « quando mi metto a scrivere mi spoglio della 
n giubba signorile e mi vesto della giornea paesana. Faccio a rove- 
• scio degli altri che s' Infilano invece la giubba co* gallooi. » Impa- 
rino il fadi segreto I giovani che s' accingono a scrìvere ; gettin 
l' orpello ed i fronzoli, e cercbin la lingua nel popolo, il come ado- 
perarla nel Giusti, e allora l' Italia, che ha In casa sua tanti barbari, 
ne avrà meno se non altro nella caterva d^ll scrittori. 

Una volta che Giusti ebbe col suo studio profondo degli scrìt- 
tori antichi, e del moderno ma puro favellare del popolo, ritrovato 
questo stile adornò di bellezze peregrine e dolalo d^ una forza, 
d'una esattezza, d' una concisione, alla quale erano disavvezze 
da lungo tempo le snervale orecchie italiane; forte di quest'arme 
potente si apparecchiò a rivestire della parca e splendida veste i con- 
cetti che, peregrini quanto lo stile, gli balenavano nella mente. Né 
questi concelti ritennero meno dell' aurea semplicità dei suo siile. 
Lontano dei pari dalla nebbia cosi detu romantica, e dal veocblame 
arcadico, esso si basò sopra tutto nella verità, e fece di quella il fon- 
damento alla sua forma. Volle e seppe parlar in lingua paesana, e 
a dir quello che gli veniva naturale alia mente e nulla più : rlfiig- 
gendo da quanto potesse saper di lambiccato e di arzigogolato. Non 
si fece mai dell'arte un prisma fallace, che Iradncendo 1 suoi con- 
celti gli rendesse svistl; né volle mai nei cooceUi falsificar l'indole 
propria. Cercò di mostrarsi lai qual'era, di dir le cose come le pen- 
sava, e cosi facendo vedere^ardllameote la sua flsonomia, seppe riu- 
scire nel tempo stesso semplice e sublime. Messe fuori francamente 
la faccia senza imbellettarla e invernidarla mai, e trovò modo d'unire 
alla schiettezza dei suoi pensieri la profondità. Sovente, anzi sem- 
pre, (tralascio gli esempii che mi porterebbero chi sa dove) dà sto 
per dir la vergine tutta l' ampiezza che prende nella meote del 
lettore una semplicissima idea, espressa patriarcalmente dal poeta nel 
suo solito volgare. 

Nò con questo intendo dire che giusti non adoperasse scrivendo 
un arte profonda; che anzi dovettero quei modi costarli, come gli co- 
starono, enormi fatiche. Ma appunto la epceilenza dell* arte sua in 
questo più altro consiste, che seppe rendersi invisibile, il suo con- 
cetto e la sua parola sembrò senapre, anziché il frutto di lunga e 
stentata elaborazione, la spontanea e facile espressione d'uo'ldes, 
vestiu alla buona appena balenata alla mente. Quest'arte, tanto più 



Xfi»X 
meravigUoea quanto meoo posta la evideoza, arriechi le sue poesie 
di effetti, piuttosto unict che fari, e le vestì di tale ud origioalltà da 
renderle veramente un tipo. E fra tanti pregi, uno di quelli che non 
posso passar sotto silenzio si è l'abilità, la disinvoltura di certi su- 
bitanei passaggi dal mesto al lieto, abilita che esso solo possiede. Non 
appena ha finito di forvi scorrer sottocchio una scena che sveglia 
il vostro sorriso, ecco che con un saito gigantesco e improvviso vi 
trasporta a sua voglia al pianto, allo sdegno, alla melanconia. Voi 
non giungete a spiegarvi 11 come, ma le vostre labbra non son più 
contratte dal riso, e il voatro ciglio ò Invece bagnato da una lacrima 
pia, il vostro cuore balle d* un' ira geoerosa. 

Dall' unione di quel semplice stile e di quei semplici e al tempo 
stesso profondi concetti, nasce l'insieme d'una forma piena, casti- 
gata, fluida armoniosa, che merita e riscuole a buon diritto l' ammi- 
razione e la simpatia d'una intera nazione. 11 lettore si sente come 
da una forza ignota ed irresistibile trasportalo verso il poeta, che 
con si nuovo modo pensa e scrive in Italiano. Qualcuno forse non 
capirà questa fra«e; tanto peggio per lui. 

k questi pregi del Giusti deve aggiungersene un altro non meoo 
emioenie, la fedeltà storica. Esso ebbe in sommo grado il genio del- 
l' opportunità, e mal non gii avvenne di ridere fuori di tempo o più 
del dovere. Guidato da un meraviglioso senno politico e dall'Istinto 
del core, fu l'eco dei bisogni veri del proprio paese. e non inOisse 
il marchio incancellabile della sua satira, se non quando era neces- 
«tà vera esentila da tutti l'infliggerlo, cosi divenne lo specchio 
della società fra cui visse, e che volle rendere, e in gran parte riu- 
scì a render migliore. |«è questa fedeltà storica e questo pregio del- 
l' opportunità, lo ritenne dentro confini angusti cosi, da dovere spa- 
rire di sulla scena appena qnelie necessità fossero trascorse» quel- 
l' opportunità svanita. Egli seppe, nel tempo atesso che colpiva di 
fronte un epoca e una società determinala, essere universale, di 
tulli ì tempi, di tulli i luoghi. 

Giusti come è il poeta d' oggi, cosi sarà il poeta di domani. 
Infatti mentre flagella le colpe d' una generazione snervata dall' as- 
solutismo, mentre quella, sto per dir praiicaménte, trascina a meglio 
operare e a conquistar quaolo le manca di libertà e di virtù, onde 
potersi nella storia procacciare una sede non inonorata, nutre in 
questo combatlimeoto una forza che chiamerò astraila, la quale ri- 
marrà sempre necessaria in ogni tempo e in ogni luogo, finché duri 
la lolla eterna fra il beoe^ ^ il male, fra la virtù e il vizio, fra Sa- 
tana e Dio. 

Ma anche considerandolo sotto un punto di vista meno esteso e 
puramente ristriogendoei alla sfera d' azione, che esso esercitò ed 
ei^rcita sulla società attuale (e per aiiuate intendo la società finché 



rimarrà 'punlellaui sulle fate ImsI polUlche tulle qoali oggi si ap- 
poggia), quei versi producono ima doppia utiilià. Hanno una ulilllà 
immediata che consiste nelP educazione^ io quen* amore die c'Ispira 
per quanlo V tia di grande, di nobile, di virtuoso, nell'aborrimento 
elle ci fa concepire pel vizio e per la viltà, rivelandola nel suo più 
sozzo aspetto. Hanno una utilità mediata, che sta riposta nella^ltlura 
storica che esso ci traccia dell' epoca, pittura più di ogni altra so- 
migliante e fedele. Che anzi chiunque impreaderà a scrivere in se- 
guilo la storia dell' italiana società dal eo al 48, difflcilmente potrà 
per tracciarla avvantaggiarsi di documenti che più di quei versi la 
contengano e la riproducano intiera. 

L' originalità di siile e di forma che brilla nella poesia di Giusti, 
si riscontra del pari nella sua prosa. Sventuratamente la sua morte 
precoce fu cagione che un saggio soltanto ci resti in lui in questo 
diverso arringo, nel discorso su Parini stampalo nel 4^ da Lemon- 
nier. Ma questo saggio basla per mostrare, come anche nella prosa, 
detestando lo smaccato dei novatori al pari dello stentato dei pedan- 
ti volesse viviBcare la lingua scritta coi modi schietti e plttorescbi 
delia lingua parlala. A quella prosa, se potesse cercarsi un modello, 
sarebbe forse negli aurei serial del Lasca. Mi dirà qui taluno che 
al Air ini scrittore solenolsslmo conveniva un elogio dettato in più 
solenne linguaggio. Io non condannerò assolutamente questa opinio- 
ne, né mi vi uniformerò ciecamente. Converrò che forse talvolta pecca 
di soverchia spezzatura quello stile, ove si rifletta che è un lavoro 
di critica, alla quale non sempre s' addice quel tono perpetuo d'epi- 
gramma che era naturale e dirò inevitabile e inimiUiblle nella penna 
di Giusti, e che talora rischia di togliere la gravità che è necessaria 
ai giudizi artistici. 

Ma ad ogni modo quello scritto è pieno del più squisito buon 
senso; e nessuno prima di giusti aveva detto del gran satirico lom- 
bardo le verità che egli disse con tanto acume. I suol giudizii son 
sempre, nella loro veste paesana, più pieni di sostanza, di quel che 
non siano le aeree specuiazioni dei cosi detti scrittori di estetica, 
che esso aborriva, manifestando a tante di lettere -di voler tenersi 
lontano dai loro gineprai come da un luogo appestato. Nessuno poi 
vorrà dubitare che Giusti fosse il miglior giudice che potesse mai 
scegliersi per adeguatamente sentenziar di Parini, Allo stile vibrato, 
pieno, conciso, che esso adoperò in questa prosa, corrisponde, se 
anche non lo supera, lo stile familiare delle molte lettere che m» è 
venuto fatto d' aver sott' occhio le quali, unitamente ad altre molte 
di cui mi è nota l' esistenza, è da sperare sieno date alla luce per 
cura di chi ebbe il prezioso deposito delie carte del defunto poeta. 

Molto s'è parlato d'opere complete o qvail complete da lui la- 
sciale morendo. Bla nel!' asserirne l' eslslentf , il oMìt desiderio è 



X in X 

irateorso lungi dal vero. Io mi credo Bel caso di poter dir qual- 
cora di più preciso in proposito. Tra I molti fogli cti« egli ha lasdaCo 
vi sono appunti, i qvali mostrano com'esso pensasse a seiivere le 
memorie de' suoi tempi, facendo in esse giudizio degli avTeoiineoti 
e degli uomini. Ma questi come gli altri scritti rimasti di hil, altro 
non sono ciie brani spezzati da cui è Impossibile ricavare no iosieoie 
ordinato e ordinabile. Si vede chiaro ebe esso aveva molti lavori in- 
bastiti, ma tranne una raccolta di proverbi colla dichiarazione a pochi 
di essi, il rimanente non serve che ad ac<«nnare quel mollo che egli 
voleva fare anche io prosa, se la vita gii bastava. Un {7omiiieni« alla 
Divina Commedia era il lavoro suo prediletto, e cerio per lo studio 
incredibile che ne aveva fatto, e per la sua acutezza dMogegoo, sa- 
rebbe stala cosa notabile e vantaggiosa ; oggi però altro non è che 
>una gran massa di studii e di frammenti da non cavarne costruito. 
Parimente certi appunti lasciali sulla sua vita non sono altro che date 
e parole, delle quali! è a dirsi che egli solo avesse la chiave ; e poi 
veramente la sua vita sta tutta ne' suoi scritti e nel privalo conver- 
sare che ebbe cogli amici. Quanto poi a poesie, mentre è grande il 
fiumero dei frammeati e delle cose locomlndate^ una sola o due ne 
restano «empite io modo, da poter venir rese di pubblica ragione. 

Cosi nella vita letteraria Gmtsti, fedele a se stesso, compi un o- 
pera simile a quella che aveva assunta nella vita politica. Fulmina- 
tore d'abusi 'io questa come in quella, in questa come in quella 
geloso della indipendenza , adoratore del bello e del vero» nemico 
-di chi mentiva sé stesso, iniziò una rifonna che camminava di pari 
passo colia riforma politica, e che era io certo modo un comple- 
mento di quella. Mentre voile I* Italia sua Indipendente dalla domi- 
nazione straniera e suddita solo di leggi informate da sapienza e 
virtù, dette opera perchò al momento In cui la nazione avesse rag- 
{,'iuoto il magnanimo scopo, possedesse un linguaggio veramente na- 
ztonale, una forma sottoposta soltanto alle eterne leggi della bellezza 
e delia verità. Cosi soltanto l^ indipendenza era da tenersi completa, 
4:osì soltanto poteaei avere un' Italia veramente e interamente italiana. 

Giunto al termine <lel mio tenue lavoro non immagini il lettore 
cheto voglia suggeilarto con una tinaia retlorica e pomposa d' elo- 
gto per l' estinte poeta. D' etogio non abbisogna il suo merito, e troppo 
palesemente dalle postume apoteosi aborri, mentre visse. Mi par- 
rebbe d' offender la sua memoria disconoscendo così il suo deside- 
derio. Non sarò io quel biografo che,com'ei diceva, lo faccia meti* 
tire dall' urna funebre e imbrogliare il pubblico dal cataletto. 

Rammenterò invece agli lUliani che, se una morte precoce ci 
tolse il Giusti sul fior dell' etii, esso non scese intero sotterra, il 
suo volume ci resta. A quel volume rivolgano studiosa la meùie in 
i|>ecial modo i giovani nostri S' iiipirino del ool^Ui desideri! che tutto 



X 09 X 

l'informaDo; amipo la patrta come P amava il poeta, ardeniemenie, 
sapieotemenle ; imparino F odio pel vizio e per la viltà, l'affeuo sin- 
cero per la virlù e per l'ODeslà politica; formio^ su quel lit>ro l' edu- 
cazione della mente e del core ; e l'Italia avrà io loro dei cittadini 
cbe non falliranno alla prova della sventura, ai cimenti della pugna, 
^, come seppero da forti soffrire e comt>attere, sapranno del pari 
resistere all' et>breua e ai pericoli della vittoria. — 

Firenze Luglio 4850. 



snL' sorsiom dklle opsrs di gì viti dopo la sua iiortb. 

Quanto ?enDe dello dal Sig. Cem^iM drca gli aerini che gioiti 
lasciava dopo la Mia morie è stato dimoetrato dal fatto eaaer la ve- 
rità e che mal 8' apponevano eoloro I qoaH andavano vocireraodo 
V eaistenza di numerose opere postarne, il prezioso deposito delle 
carte lasciate dall' estinto poeta venne affidato all' Avv. Morto Ta- 
barri già direttore del Giornale Lo Statuto, e suo amicissimo. Il 
quale assunse l' incarico di ordinarle per dar poi alla stampa tutto 
quel più Gbe fosse possibile sì di versi come di pnMe. 

▲ecolse U Tabarrifa V incarico, ed accettò le proposixioni del 
solerle editore J^. Le MmmUr il quale staMII di fisfe una edizione 
completa che doveva comporsi d' un volume di Potste, & un volu- 
me di prose e Lettere familiari, e finalmente di un volume di pro- 
verbi toscani illustrati. Questa edizione, nel primitivo concetto, do- 
veva esser preceduU dalla Fifa del poeta scritu dal Tabarrini, e 
seguita da una specie di JDitionario esplicativo delle frasi tratte dalla 
lingua parlala, la cui intelligenza avesse potuto essere di qualche 
difficoltà specialmente pei non toscani. 

Era però destinato che questo concetto noa dovesse essere lotte- 
rameate atlqalo. Mei i859 riusciva finalmente al Le Momier d'aver 
completo il volume delle Poetàe non che il Dizionario delle frasi, 
compilalo dal Tabarrini^ ma Inutilmeate affrettava qnest' oitlnio a 
Gonsegnaiii la VHa del poeta come aveva promesso. Sicché vedendo 
che gì' indugi lo avrebbero portato troppo in lungo si decise a pub- 
blicare nel di 4 Maggio 48SS il volume delie Poetie senza la Vita. 
Questo volume contiene tutte le poesie da lui edile e riconosciute, 
coir aggiunta dì ^alcuni oompeofmenti scritti dal gitoti In età gio- 
vanile, parte glà'stampate per diverse occasiool parte tuttora inediti. 
Furono bandite da questa collesiooe quelle poesie che, quantunque 
uscite dalla sua penna, pure non avieva osai voluto rìoonosoere, e 
che avevano corso l' Italia sotto il nome di Apocrife, 

La pubblicazione di questo volume svegliò la suscettività del Mi- 
nistero pubblico il quale promosse contro il Le Moimier V azione 
penale per delitto di stampa. Addueeva a propala difesa il Le Man- 
néer la sua buona fede, dicendo che non aveva potuto Imaginareche 
fosse delitto il pubblicare dei verflC già anteriormente stampati in 



Xeox 
Toscana^ senza che II Mlotolro pubblico avesse nulla trovato da ri- 
prendervi. Questa discolpa fu aoooila dalla Camera delle Accuse che, 
In vista della sua buona fede, disse non esser luogo a procedere 
contro il Le Monnier, 

Questa procedura però scemò alquanto il coraggio del nostro 
editore, e lo decise ad aggiornare indefioitivaroente la pubblicazione 
delle proti e tenere, nelle qual^ forse 11 Ministero pubblico avrebbe 
nuovamente trovalo da ridire. ConUniiò però ad attendere alla stam- 
pa dei Proverbi illustrati, che videro la luce nel i3 Ottobre 4845. 
Anche questo volume però manca della Fita tante volle promessa 
e con si lungo desiderio aspettala. Noi non vogliamo ricercare le 
cagioni per le quali il Tabarrini si astenne da render questo pio 
tributo all' amico estinto, noa non possiamo fare a meno di lamen- 
tare questo silenzio, poiché e il molto ingegno dei Tabarrini, e 
V aver esso avolo agio di esaminare tulle le più intime carte del 
Giusti, davan fondala speranza di credere che una vita scritta da 
lui avrebbe potuto portar moita luce sul segreto di quei meravi- 
glioso ingegno. Egli però, ove io voglia, ò sempre io tempo a rime- 
diare alla sua omissione, e lo scongiuriamo a compiere animoso que- 
sl' opera di patria carità. 

II. 

LA TOMBA DI GIUSTI 

La Slima, il compianto e l' affetto dei posteri sono il più bel 
monumento dei grandi! che coHe proprie opere illustrarono la pa- 
tria. — li desolato padre del poeta volle però che una marmorea 
tomba sorgesse là dove ne posano le ceneri, onde i posteri cono- 
scessero il luogo della sua ultima dimora. 

commise F incarico di scolpirlo al giovane scultore Reginaldo 
Bilancini di Poscia il quale lo condusse a fine nel i8SS con non co- 
mune perizia ed abilità, venne questo ooltocato nella antica Basilica 
di S. Minialo al Monte a poca distanza da Firenze, e crediamo che 
non sarà discaro ai lettori i quali non possano, compiendo un pio 
pellegrinaggio, visitare quella tomba cara e gloriosa, se ne diamo 
loro una idea riproducendo la descrizione che, al momento in cui 
fu collocalo, die di quel monumento un giornale fiorentino, i* JUu- 
straziane^ 

M Sopra uno zoccolo che separa il totale del monumento dal 
suolo, s'inalza il baaamenlo, nel mezzo del quale, si vede scolpito 
lo slemma della famiglia ^hjsti in questa parte più bassa locato, 
come quello che ricorda la infima delle aue glorie^ la nobiltà della 



X 6* X 
nasdtt. Quauro piccole meoiole sosiengonp F uroa elevanleti al- 
quaoto dal basameDto, e io mezzo a quella si legge la semplice ed 
elegante Iscrìzione, degna di coiai cbe lovocafa una lapide non men- 
sognerà. — Essa dice coti : 



QUI BIPOSA IN DIO LA MOBTALE SPOGLIA 

DI GIUSEPPE GIUSTI 

CHE DALLE GIAZIE DEL VIVO IfOSTBO IDIOMA 

TRASSE UHA FORMA DI POESIA 

PRIMA DI LUI HON TENTATA 

£ CON ARGUTO STILE CASTIGANDO I VIZI 

SENZA TOGLIER FEDE E VIRTÙ* 

INALZO' GLI UOMINI AL CULTO DEI NOBILI AFFETTI 

E DELLE OPERE GENEBOSE 

ONDE EBBE DALL' ITALIA ONOBB E COMPIANTO 

QUANDO NEL FIOBE DELLA VIBILITA* 

LE FU BAPITO DA INSIDIOSO MOBBO 

NACQUE IN MONSUMMANO IL IX MAGGIO MDCCCIX 

MOBI' IN FIRENZE IL XXXI MARZO MDCCCL. 



IL GAY. DOMENICO GIUSTI PaDBE INFELICISSIMO 

DEPONEVA IN QUESTO SEPOLCRO 

V UNICO FIGLIO MASCHIO 

SOSTEGNO E GLOBI A DEL SUO NOME 



Al disopra dell'urna, come in una nicchia, si eleva in dimen- 
sioni Olire U naturale, la flgura del Giusti scolpila d'alto rilievo. 
Tiene nella destra mano elevata a mezzo 11 petto ed atteggiata allo 
scrivere meditando, uno stile, mentre colla sinistra svolge una per- 
gamena ove sta per tracciare le ispirazioni del suo genio. La faccia 
levata al cielo, donde scende Io spirito fecondatore delle sublimi idee, 
si volge a quella fonte di luce con occhio teso ed animalo, e muove 
leggermente il labbro a quell'amaro sorriso prodotto dalla osserva- 
zione dei vizi! terreni, e delle umane fralezze. Il corpo ha quasi tutto 
ravvolto in ampio manto, mostrando soltanto al nudo una parte del 
petto, abbastanza difeso: — 

n Sotto l' usbergo del sentirsi puro » 

siccooie nudi ha i piedi, posati sicuramente sul suolo, con quella 
noncuranza che V anima grande sente pel fango che egli dlsprezza e 
calpesta. 



« una larga cornice a stromiM), iolagUata neNa fasda di ornati 
a bassorilievo circonda la nioebia. Altra più larga futAà, ricca di 
variali marmi, racctiiude UiUo l'insieme del Mcaumenlo, formaiMlo 
un arco che mirabilmente consuona colla architettura ed «vroamenti 
circostanti alle porte della Basilica, e presenta l' aspetto quasi di un 
altare ben adatto ad un sepolcro collocato in un Tempio spirante 
dovunque severità, religione e raccoglimento. » 



AVVERTENZA DELL'EDITORE 



Nel pabblicare questa ediuone delle Poesie di Giuseppe 
Giusti ci siamo prefissi due scopi : prino quello di dare alla 
luce una edizione economica, ali* acquisto della quale potesse 
arrivare anche la borsa dei meno aj^iati ; secondo quello di 
raccogliere iu un volume non solo i versi tutti del medesimo 
Autore, ma eziandio alcuni componimenti apocrifi che non 
manca uo di qualche venustà, e ehe per lo stile si avvicinano 
a quelli del Giusti. 

Né con questo crediamo fare opera riprovevole, perchè 
le apocrife non spacciamo per sue, itta le mettiamo in una 
distinta categoria ed in fondo del libro^ aggiungendovi pure 
altre poesie inedite che ebbero vita nei successivi tempi, e 
che crediamo non far cosa discara di ofifrirle ai nostri lettori. 

Per la disposizione delle Poesie noi seguiamo V ordine 
adottato nella Edizione di Firenze del i85a; quindi le poe- 
sie stesse vanno distinte in tre serie. Nella prima stanno tutti 
i componimenti pubblicati dall'Autore dopo il 1843 disposti 
neir ordine stesso già stabilito dall'autore nella edizione di 
Bastia venuta in luce il 1845. La seconda serie comprende i 
versi inediti scritti dal Giusti dopo il 184 7, cioè dopo la mala 
riuscita del tentato risorgimento italiano. 

Nella prefazione premessa alla citata edizione fiorentina 
si avverte « tranne due o tre componimenti condotti a termi- 
ne il resto sono frammenti che egli non avrebbe certamente 
pubblicati senza condurli a quella rara perfezione di forme e 
di concetti che sapeva dare a tutti i prodotti del suo splendido 
ingegno. „ 



X 6* X 

Nella terza sene si raccolsero alcuni componiaenti scrìtti 
dal Giusti in' età giovanile» parte già stampati per diverse oc- 
casioni, parte tuttora inediti. Nota la slessa Prefazione che i l 
Giusti non faceva più caso di questi versi e ne sia segno di 
averne ripetuti alcuni che più gli piacevano in altri compo- 
nimenti scritti da poi. 

Una quarta serie contiene questa Raccolta, e si compone 
delle poesie, che sebbene non appartengano allo slesso autore, 
pure dagli intelligenti si tengono in qualche pregio. 

Crediamo utile finalmente riprodurre non solo le due 
Prefazioni che 1* editore appose ali* edizioni di Bastia 1845, e 
dì Firenze 1847, ma anco i frammenti di un'altra prefazione 
che il Poeta apparecchiava per una compiuta ristampa delle ' 
sue Poesie. 

Ecco r ordine con cui vengono riportate e le. parole da 
cui vengono accompagnate neir ultima edizione fiorentina. 

Cominciamo dalla Prefazione premessa dal Giusti al- 
redizione di Basita del 1845. 

M Lellore : se dovessi dirli come ini sia nata nella lesla quella, 
maniera di scrivere» non saprei da clie parie rifarmi, tante sono siate 
le corobinaziooi. La nalura, come di a ciascuno di noi un aspetto, 
un andare, un fare lutto proprio, così vuole che ognuno mandi in giro 
le sue opinioni vestile alia casalinga, lo non ho avuto mai altro par- 
tilo che quello del mio paese; e freddo come un maono per luue 
le sette, m'ha fallo compassione egualmente chi alza una bandiera 
per calpestarlo» o chi 1' alza per farlo riavere senza cognizione di 
causa e senza virtù. Se tu sai che cos'è popolo, e sai pensare col 
popolo, li troverai d'amore e d' accordo con questi versi : se poi mi 
vai nelle nuvole» mi caschi nel fango» come fanno parecchi» io non 
islarò a combattere le lue opinioni, ma solamente ti tlirò che ci par- 
leremo nudi là nella valle di Giosafai. Se mi domandi il fine che mi 
sono proposto, nessun altro fine, ti risponderò^ che quello di fare 
una prolesta : che lu non m' abbia a prendere per uno di quei clie 
presumono di rimettere il mondo a balia. 

« Se tagliato unicamente a spassarti, non andare più in là di 
questa pagina» perchè im riso nato di malinconia potrebbe farti nodo 
Ma gola, e me ne disfMacerebbe per te e per me. Se poi ti s' è d^io 



il t»so di sct«>gMerii eoo una croliau di letu ilal penttero delle tue 
fuiserie, vieni pure con me, e segiriia a crollarla amorevoliiiente 
sulle miserie comuni. » 

XìV Edizione dei Jfuen Ftrsi^ faUa in Firenxe dal Be- 
lacchi nel 1847, il CKasti aveva apposto il aegnente avviso. 

m Quando i miei scherzi giravano e» lege, parecobi tra stam- 
patori e Librai fecero a confidenza col pubblico e om me, stampando 
iu un fascio roba mia e non mia, lieti di potere accozEare un libro 
pur che fosse, e di mandarlo fuori coi mio nome o espresso o sol- 
Unleso. Da un lato, sento cbe mi corre FoMDligo d'esser grato a 
questa, diro, impazienza, cbe solletica dolcemente II debole del 
Poeta; dall'altro, l'amore di Padre s'è risentito più volte, vedendo 
che taluno nel prendere in collo 'quo* poveri «orfani vagabondi, me 
gli ha storpiati e tartassali senza garbo oè grazia. In questi tempi di 
fratellanza, non farò rimprovero a nessuno : solamente, se fosse pos- 
sibile, direi che da qui Innanzi ognuno stesse sol suo, e chi ha avuto 
ha avuto. 

« Non si abbiano a male gli Autori del coropoolmeoti attribuiti 
a me, se k> protesto di non riconoscere peV cose mie altro che i 
treotadue Scherzi, contenuti nell'edizione di Bastia, fatta dal Fabiani 
nei 1845; quelle sei poesie stampale a Livorno dall' Aotonelli ; /' amor 
pacifico pubblicalo da Le Mounier ; le due consorelle inserite nell'/io- 
tiaj il CongrcMo de* Birri, e l'Ode a Leopotdo Secondo, stampati 
dal Baracchi, successore del Piatti. Questo schiarimento é oeeessarfo 
per essi e per me, perchè alcuni di que'lol*o componimenti essendo 
siati lodati, non è giusta cbe essi li perdano, né che lo li guadagni. 

« Questi cbe dO fuori adesso, sono stati messi Insieme in due 
anni, e se a taluni paressero un po' serotini, parte n' ha colpa 
la lima, parte l' infingardaggine, e parte certi ostacoli cbe ora gra- 
zie a Dio non esistono più. 

. m Sento che questo modo di poesia comincia a essere un frutto 
fuor di stagione, e vorrei elevarmi all' altezza delle cose nuove che 
si svolgono davanti ai nostri occhi con tanta maestà d'andamento; 
ma t' ingegno, avvezzO' a cirooscri versi nel cerchio ristretto del No, 
chi mi dice cbe abbia tanto vigore da rompere la vecchia pastoia e 
spaziare In un campo più largo e più ubertoso r Se mi darikP animo 
di poterlo tentare, certo non me ne starò : se poi non mi sentissi 
da tanto, non avrò la caponeria d'ostinarmi a suonare a morto. In 
UQ tempo che tutti suonano a battesimo. 

A queste due Prefazioni lasciò scritta il Poeta maa giunta, 
ciie non sarà discaro al lottore il vedere qai riferita. 



X 66 X 
« Da queste due PrerazioDi, che ho riloccaie nella dicitura guar' 
dandomi di alterarne la sostanza, apparirà manifesto quale sia stato 
l' animo mio anctie multi e molti anni prima del 4848. non ho altro 
da aggiungere se non che lo, quanto alle opinioni manifestate, non 
riliuto e non rifiuterò mai una sillaba di tutto ciò che ho scritto: 
quanto poi a ciò che riguarda l' arte, bisof oerebt>e ciie io dessi dì 
frego a parecchi di questi componimenti, e che sottoponessi lutti gli 
altri a una lavanda generale e accuratissima. Questo genere di poe- 
sia, giusto appunto perchè può avvantaggiarsi di tutta la lingua scritta 
e di tutta la lingua parlata, se non è trattalo in modo schietto e a- 
peno tanto per il lato del pensiero quanto per quello della parola, 
fa 1' effètto ette suol fare uno che non sia ctilamaio a dire facezie, e 
che voglia fare il lepido ad ogni costo. » 

La Prefazione che il Giusti pensava di far precedere ad 
nna compiota ristampa dei suoi versi, è la seguente, visibil- 
mente scritta nell'aprile del 1848. 

« Ecco la quarta la quinta edizione d*un libro il quale mesi sono 
aveva del nuovo tuttavia, e che adesso parrà di certo un vecchiume, 
così vanno le cose di questo mondo; e i libri, come gli uomini, oggi 
ridono di gioventù e sono pieni dell' avvenire, domani s'afferrano al 
presente che sfugge loro di mano,' più lardi non vivono che di sole 
memorie. Io non mi pentirò d'avere scrini questi versi, perchè quando 
gli scrissi, credo che bisognasse scriverli ; ma dirò schiettamente che 
molti, uomini e lo stesso animo mio si sono migliorati sotto la penna; 
ond' è che volendo fare le parti giuste e contentare la natura mi- 
gliore che B* è riavuta in me, dovrei ora a parecchie punture por- 
tare la mano carezzevole e spargervi sopra un qualche lenitivo di 
lode. Non avendo odiato mai nessuno, perchè dovrei ostinarmi a stra- 
ziare chi s*è corretto, se io appunto non desiderava altro che tutti 
ci correggessimo 7 È vero che agli errori e ai vizi di tempo fa, sono 
succeduti i \m e gli errori delle cose recenti ; ma io lieto di ve- 
dere aperta la via del bene^ non ho più cuore di menare attorno la 
frusta, e col mio paese ringiovinito ritorno anch' io ai sogni sereni 
e alla fede benigna della primissima adolescenza E questa fede posso 
dire non essersi spenta mai nell'animo mio; e il non aver derisa 
la virtù, e la stessa mestizia del vero sdegnoso, spero che valga a 
farmene larghissima testimonianza. Dirò di più, che essa, oltre al- 
l' avermi salvato dal tacere e dal disperare obbrobriosamente, m' è 
valsa più e più volte a precorrere gli eventi ; e di qui è nato che 
molte delie mie visioni poetiche hanno preso carne e figura tra gli 
«omini, dopo due, tre e quattro anni, che io me l' era fantasticato 



tra me e. me. Ma l' amore dell' arte cbe ba potuto io me quailo Pa- 
«nere del mio paese (peroccbè io oon so dividere ciò cbe la natura 
ha uoilo, e il buono e il bello si leogooo per maoo e sono aozi uoa 
«osa sola,) l'amore dell'arte^ diceva, m'ba tralleouto sul tavolino 
parecchie di queste fantasie; alle quali se avessi dato il volo quando 
avevano tuttavia i'l>ordoni, avrebbero i fatti vegnenti aonunaiati, come 
le rondini annunziano la primavera e come le lucciole il granire della 
messe. E ciò come non induce superbia In me, cosi non deve In- 
durre maraviglia nel mio lettore : perocché» come nel corpo umano 
il riprendere della salute si manifesta o per il colorito delle guancle, 
o per la -vivezza dell' occhio, o per la speditezza dei passo, cosi il 
risorgere d'una nazione apparisce a diversi segni nei -diversi indi- 
vidui che la compongono. Io, scrivendo come ho scritto, non ho io- 
venuto nulla, e non ci ho messo di mio altro che il vestito: l'ossa 
e le polpe me le ha a date la nazione medesima -, e pensando e scri- 
vendo, non he faHo alito che farmi loterpetre degli sdegni e delle 
speranze «he mi fremevano d'intorno. E la mia nazione ha fatto 
buon viso a' miei scritti, come a persona di conoscenza; e, com'è 
solito fare chi vive nell' abbondanza y ha voluto con bella cortesia 
<;hiamarmi ricco della sua slessa ricchezza. Ora cbe essa spande da ȏ 
la larga vena dei suoi tesori, e cbe il popolo, etemo poeta, <d svolge 
dinanzi la sua obaravigliosa epopea, noi miseri accozzatori di stro- 
fe, bisogna guardare e stupire, astenendoci religiosamente -ó* immi- 
schiarsi oltre nei solenni parlari di casa, l.' inno della vita nuova si 
accoglie di già nel vostre petto animoso, o giovani, cbe accorrete nei 
campi Lombardi a dare il sangue per quesla terra diletta. Ed io ne 
sento il. preludio e nei>evo le note con tacita compiacenza. Toccò a noi 
il misero ufficio di sterpare la via, tocca a voi quello di piantarvi i 
lauri e le querele, all'ombra delle quali proseguiranno le generazioni 
-che sorgono. Lasciate, o magnanimi, che un amico di questa li- 
•bertà che vi inspira la impresa sanllssima, baci la fronte e il petto e 
la mano 'di lutti voi. L' Italia adesso è coslà.'Ove si slenta, ove sicom- 
tbatte, e ove convengono da ogni ia(o,quasi ai grembo della madre, 
i figli non degeneri, 1 nostri. primogeniti ^eri. . ...» 



11 manoscritto originale non dà compiuta questa Prefa- 
zione; ma come conchiusione di quel più cbe il Giusti avreb- 
be detto, sta bene di pubblicare le seguenti parole, le quali è 
manifesto essere slate scritte da lui percbè fossero note al- 
l' Italia. Da questa breve dichiarazione ispirala da un generoso 
«degno, apparirà ifH>Itre il perchè siansi esclusi da questa 



X « X 
Raccolta certi compottiincnti che farono scritti dal Griustt» 
e che andarono sotto il suo nome nelle diverse editionl 
dei SQOi Tersi. 

« Ecco le poche parole che avrei fatiti precedere ai miei Tersi, 
risparmiando a me e al lettore le smorfie e le lungaggloi d' una 
prefaxione; ma le gart>alesze fatte da due anni io qua a questi po- 
veri scherzf da certa buona gente di Lagaoo mi sfortano ad ag* 
giungere due altre righe di ringraziamenlo. 

« Questi onesti tipografi raggranellarono di qua e di là tulio 
quel po' che poterono, e appena messo insieme II quaderno, senza 
badare se le cose raccolte erano o non erano mie, erano o non erano 
corrette^ le pubblicarono a onore e gloria del mio signor ile ; e 
rimettendoci un tanto di ta8C9« come hanno assicurato, e come tutu 
credono fermamente. Per rimediare alle omissiofii (io direi spropo- 
siti) della prima edizione, ne mandaron subito fuori un' altra, e il 
rimedio fu peggiore del male, e il furto fu scontato col latrocinio, 
protestando sempre che tutto era fatto per 11 mio decoro, per l'utile 
del paese e per altre died belle cose di questo genere, colla tmona 
fade die é dote speciale degli Stampatori, e segnatamente di quelli 
che stanno sui confini, stanza prediletta di tutti t contrabbandieri. 
Bopo un anno e più di respiro, eccoti fuori la terza edizione fatta 
a Lugano come le altre sorellci, ma colla dala di Bruxelles, che si 
potrebbe credere esservi stata messa per podere, se il pudore stesse 
di casa col galantuomini che ho nominati di sopra, in questa come 
nelle altre, sono le solite stroppialure, il solito miscuglio degU Etirei 
coi Samaritani, manifesta insomma la somma perizia nell'arte • l'o- 
nestà di ventiquattro carati che distingue 1' Editore e tutti coloro 
che gli tennero II sacco. Ma tra gli altri regali che m' tainno fallo 
questi Apostoli della mia fama, il più bello, il più onesto, Il più caro 
di tutti è quello d' otto o dieci composizioni ohe ho rifiutate e d'al- 
trettante che non sono mie per nulla. Le rifiutate sono : La Mamma 
educatrice — Un intuito d* apatìa — Il mio nuovo amico — // Che- 
iera — Professione di fede atte Donne — Tirata a Luigi Fltippo — 
Ricolta — L'Jve Maria — e Parole d'un Comigliere al suo Prin- 
Glpos — tutte scritte a diclott' anni, quando en> una mosca senza 
capo più assai che non sono adesso. 

« Quelle fatte da altri sono : Il Creatore e il suo mondo — // 
Giardino — // faUimenio del Papa — Come vanno le cose ~ €0»- 
sigli del mio nonno ^ Una Marchesa — Per la soppressione del- 
l' Antologia, e finalmente poi un infame e miserabilissimo Soneiio 
in onta di Pietro Gontruccl del quale mi compiaccio d'essere amico 
A ««hie di certo non mi crede capace d' una tiassezza slmile. 



« Avrei menato buono lutu> agli Editori Lugancti^ pcrcbè in 
fondo una parte della colpa ^a m^, un po' per aver lasciati girare 
gli Sclierzi, un po' per non averli pubblicali prima : ma queita d'at- 
tribuirmi un* infamia come quel Sonetto, infamia di stile e di pen- 
siero, senza sapere che contristavano a nome mio l' animo d' un 
uomo al quale sono debitore di mille garbatezze e d'un' amicizia 
fioo ismentiia mai, e che credo migliore di molti altri che gli gridano 
la croce addosso, è un' ingiuria che non ho potuto comportare e 
della quale intendo di reclamarmi al cospetto di tutta Italia, oel 
resto 

Kubino i ladri, -- è 11 lor dovere: il mio 
à di scbernirli, •• 



VERSI 

PUBBLICATI dall'autore DOPO IL 1843. 



I^ GUIGLIOTTINA ▲ VAPORE 



Hanno fatto nella China 
Una macchina a vapore 
Per mandar la «oigitottlna: 
Questa macchina in tre ore 
Fa la testa a cento mila 
Messi in aia. 

L' islrumento ha fatto chiasso^ 
K quei preti han presagito 
che il paese passo passo 
Sarà presto incivilito. 
Rimarrà come «n babbeo 
L'Europeo. 

L' imperante é un uomo onesto; 
un pò* duro> un po' tirato, 
un po'duco, ma del resto 
Ama 1 sudditi e lo stato, 
E proteggi; i begl' ingegni 
De'sooi^ regni. 



V'era un popolo ribelle 
Che pagava a malincuore 

I calasti e le gabelle. 

II benigno imperatore 
Ha provato in quel paese 

Quest' arnese. 
La virtù dell' istrumenio 
Ha fruttato una pensione 
A quel lM>ia di lalenio, 
col brevetto d'invenzione, 
E Fha fatto mandarino 
Di Pechino. — 
Grida un frate: oh bella cosai 
Gli va dato anche il battesimo 
Ahi perchè (dice al canosa 
un Tiberio in diciottesimo) 
Questo genio non mi è nato 
Nel ducato i 



RASSEGNAZIONE 
X PBOPOKIMBKTO DI CAMBUR TITA 



le non mi credo nato a buona luna, 
E se dà questa dolorosa valle 
Sane a Gesù riporterò le spalle. 

Oh che fortuna I 
In quanto al resto poi non mi confondo : 
Faccia chi può con meco il prepotente, 
lo me la rido, e sono iodiflbreole. 
Rovini il mondo. 
A quindici anni imaginava anch'Io 
Che un uomo onesto, un povero minchione^ 
Potesse qualche volta aver ragione : 
Furbo per Oìof 
Non vidi allor che barattati i paoot 
si fossero la frode e la giustizia : 
Ah 1 veramente manca la malizia 

A quindici anni! 
Ma quando, in riga di paterna cura 
un birro mi copri di contumelia, 
conobbi i polli -^ e accorto della celia 
Cangiai natura. 



X "J* X 
cangiai natura, e adesso le angiierìe 
Mi sembrano sorbetti e gramolate : 
credo santo il bargello, e ragazzate 
Le prime ubbie. 
Sùìì morto al noondo ; e se il padron lo vuole» 
Al messo^ air esattore^ all' agozzioo 
Fo di berretto, e spargo sul cammino 
Rose e viole. 
Suo morto al mondo ; e se novello insulto 
Mi vien da commissari o colli-torti, 
Dirò: cbe serve incrudelir coi mortif 
Farce sepultot 
Un diavoi che mi porti, o il lumeét CitrlMi 
Aspetto per uscir, da questa bega. 
Una maschera compro alla bottega 
De' Sanfedisti. 
La vita abujerò gioconda e lieta; • 
Ma combinando il vizio e la decenza 
Velalo di devota incontinenza 

Dirò compieta. 
Più non udrà Pallegra comitiva 
La novelletta mia, la mia canzone; 
Gole di frati al nuovo don Pirlone 
Diranno Evviva. 
In un cantone rimarrà la bella 
Che agli scherzi corcar! òcchi m^'inflamma , 
E raglierò il sonetto e l'epigramma 
A Pulcinella. 
Rispetterò il casino, e sarò schiavo 
Di pulpiti, di curie, e ciarlatani. 
Alle gabelle batterò le mani, 

E dirò , bravo l 
Cosi sarò tranquillo^ e lunga vita 
Vivrò scema di affanni e di molestie > 
sarò de'bacchettonl e delle k)e8lie 
La calamita. 
Amica mi sarà la sagrestia, 
La toga, durlindana, e il presidente). 
Sarò un eletto, e dignitosamence 
Farò la spìa. 
Subito mi faranno cavaliere. 
Mi troverò lisciato e salutato, 
E si può dare ancor che aia crealo 
. Gonfaloniere. 



xwx 

Allora, venire mio falli capanna ; 
Maoderò chi mi burla in faiiabuja ; 
Dunque s'inluoni agti asini Alleli^a 
Glori», ed Osanna. 



IL DIES I11A£ 



Jìfes trae / è morlo Cecco ; 
Gli è venuto il Uro secco. 

Ci levò Pincomodo. 
Un ribelle mal di pollo 
Te lo messe al calalello : 
Sia lodalo il medico. 
È di moda : fino il male 
La pretende a liberale: 
vanità del secolo 1 
Ttflli i principi reali 
E le altezze imperlali. 

Le eccellenze etcetera, 
Abbruniscono i cappelli : 
Il bali Samroiniatelli 
Bela il panegirico. 
Già la corte, il ministero, 
Il soldato, il birre, il clero 
Manda il morto al diavolo 
Liberali del momento 
Per un altro giuramento 

Tutti sono all'ordine. 
Alle cene, ai desinari 
(O cl»e birbe l) i carbonari 

Rullano inni e brindisi. 
Godi, o povero Polacco; 
Un amico del Cosacco 

Sconta le tue lagrime. 

Ma silenzio! Odo il cannone: 
Non è nulla: Altro Padrone 
Habemm Poniificem. 



Questo é ilo; al rimanente 
Toccherà qualche accidente : 
Dio non paga il sabbaio. 
Ma lo Scila inospitale 
Pianta l'occhio al funerale 
Sllibondo ed avido , 
Come Jena del deserto, 
Annosando a gozzo aperto 
Il fratel cadavere. 
Veglia il PrussOi e fa la spia, 
E sospirano il Messia 

L'Elba, il Reno e l'Oderà. 
Rompe il Tago con Pircne 
Le caltoticlie catene, 

Brucia 1 frati e gongola. 
Sir Jhon Bull propagatore 
Delle macchine a vapore 

Manda i Tory a rotoli. 
Il chiappini si dispera 
E grattandosi la pera 

Pensa a Carlo Decimo. 
Ride Italia al caso reo, 
E dall* Alpi al Lilibeo 

1 suoi re si purgano. 
Non temete; lo stivale 
Non può mettersi in gambale; 
Dorme il calzolajo. 



LEGGE PENALE PER GL* IMPIEGATI 



Il nostro sapientissimo Padrone 
Con venerato motuproprio impone. 
Che da oggi in a^<anti ogni impiegato, 

Per il ben dello Slato, 



;< w X 

(Per dir come si diee) ari diriuo ; 
e in caso dMmperiiia o di delluo^ 
Le Yool poBlo scrupolosamente 

CoSa legge seguente. 
Se un real Segretario o Cameriere 
Taglialo, puta il easo,< a barattiere, 
Ficca, a furia di briglie, io tutu i buchi 
Uo popolo di ciuchi) 
Se un Cancellier devoto delia zecca 
Sulle volture o sul catasto lecca 
E attacca una tal qual voracità 

Alla Comuoiti ; 
se a caso un Ispeltor di polizia 
Sganascia o lieoe II sacco, o se la spia 
Inventa, p«r non perder la pensione. 
Una rivoluzione: 
Son piccoli trascorsi perdonabili. 
Dall' umana natura inseparabili. 
Né sopra questi allungiierd la mano 
Il benigno Sovrano. 
Ma nel delitto poi di peculato. 
Posto il vuoto di cassa a sindacato. 
Chi avrà rubato tanto da campare. 

Sia lascialo svignare. 
Chi avrà rubato poco, si perdoni, 
E tanto più se porta testimoni 
D' essersi a questi termini ridotto 

Per il giuoco del Lotto; 
Se uo reale ingegnere 9 uo Architetto 
Ci munge fino ali' ultimo sacchetto, 
per rimediare a questa baganella 

Si cresca una gabella. 
Se saremo coslretU a trapiantare 
un Vicario bestiale o atrabiliare, 
Tanto per dargli un saggio di rigore 
Sarà fatto Auditore, 
se un consigiier civile o criminale 
Sbadiglierà sedendo io tribunale. 
Visto che lo sbadiglio è contagioso. 

Si condanni al riposo'. 
Se poi barella, spinge la bilaocia 
A traboccar dal lato della mancia, 
GÌ' Infliggeremo io riga di galera 

Congedo e paga intera. 



X *" X 

Se un Ministro riesce bd po' aoianle. 
Siccome bazzicava il Principale, 
TKoio avrà di Consigliere emerito 

E la croce del merito. 



ALL' AMICA LONTANA 



Te solitaria pellegrina, il Udo 

Tirreno e la salubre onda ritiene, 

E un doloroso grido 

Disiinio a te per tanto aere mm fieno. 

Né il largo annro pianto 

Tergi pietosa a quel che -t'ama tanto. 
E tu conosci amore^ e sai per prova 

Che nell'assenza dell'obietto amato. 

Al cor misero giova 

Interrogar di tutto il creato. * 

Oli se gli affanni accheta 

Questa di cose simpatia segreta; 
Quando la luna in suo candMo velo 

Ritorna a consolar ia notte estiva^ 

Se volgi gli occhi al cielo, 

E un' amorosa lacrima furtiva 

Bagna il viso pudico 

Per la memoria del lontano amico. 
'Quell'oocolta virtù che li richiama 

Ai dolci e malinconici pensieri, 

È di colui che t' ama 

Un sospir, che per tadti sentieri 

Giunge a te, donna mia, 

E dell'anima tua trova la via. 

Se il veocicel con leggerisslm' ala 
Increspa l'onda che lieve t^ accoglie, 
E sussurrando esala 
Intorno a te del fiori e delle foglie 
Il balsamo, rapito 
Lungo ai pomarii dell'opposto Mto; 



• X 18 X 
Dirai : quesl' ornla che si laitna, e questo 
Aere commosso da soave fiato, 
un detto, un pcnsier mesto 
Sarà del «io?Inelto tonamorato. 
Cui deserta e sgradita 
Non divisa con me fugge la vita. 
Quando sull'onda II turbine Imperversa 
Alti spingendo al lido i fluiti amari, 
E oscurità si versa 
Sull'ampia solitudine dei mari, 
Guardando da lontano 
L' ira e I perigli del ceruleo plano ; 
Pensa, ocara, che In me rugge sovente 
DI mille e mille affetti eguai procella : 
Ma se raere fremerne 
Raggio dirada di benigna stella, 
E il tuo sereno aspetto 
• che reca pace all' agitato petto. 
Anch' io mesto vagando all' Arno In riva, 
Teco parlo e deliro, e veder parmi 
come persona viva 
Te muover dolcemente a consolarmi: 
Riscosso alia tua voce 
Neil' imo petto il cor bftlza veloce. 
Or flebile mi suona e par che dica 
Nei dolenti sospiri : oh mio diletto, 
All'infelice amica 

Serba Intero 11 pensier, serba l'affetto; 
Siccome amor la guida, 
Essa In te si <:onsola. In te s'affida. 
Or mi consigila, e da bugiardi amici 
E da vane speranze a sé mi chiama, 
Brevi giorni infelici 
Avrai, mi dice, ma d' intatta fama ^ 
Dolce perpetuo raggio 
Rischiarerà di tua vita il viaggio. 

Conscio a te stesso, la letizia; il duolo 
Premi e l'amor di me nel tuo secreto; 
A me tacito e solo 

Pensa, e del core ardente, irrequieto, 
Aprì l'interna guerra, 
A me <che sola amica hai sulla (erra. 



XTOX 
Torna la cara Immagine celeste 

Tutia lieta al pensfer che la saluta, 

E d' un Angelo Ycsle — -^ 

L' ali, e riede a sé stessa, e si trasmuta 

Queir aereo portento, 

Come una rosea nuvoletta al Yento. 
cosi da lunge ricambiar tu puoi 

Meco le tue dolcezze e le tue pene; 

interpreti tra noi 

Fien le cose superne e le terrene : 

10 un pensiero unita 

Sarà cosi la tua colla mia vita. 
11 sai, d' uopo ho di te : sovente al vero 

Di cari sogni io mi formava Inaanno; 

E omai l'occhio il pensiero 

Altre sembianze vagheggiar non sanno; 

Ogni piiH dolce cosa 

Fugge 1* animo stanco e in te si posa. 
Ma cosi solo nel desio che m'arde 

Virtù vien manco ai sensi e alP Intelletto, 

E sconsolate e tarde 

Si struggon l'ore che sperando affretto : 

Ahimè, per mille affanni 

Già declina il sentier de' miei begli annil 
Forse mentr' io ti chiamo, e tu noi sai. 

Giunge la vita afflitta all' ore estreme ; 

Né ti vedrò più mai. 

Né i nostri petti s' uniranno insieme : 

Tu dell'amico intanto 

Piangendo leggerai l' itllimo canto. 
Se io spirito infermo e travaglialo 

compirà sua giornata innanzi sera, 

Non sia dimenticato 

11 tuo misero amante: una preghiera 
Dal labbro mesto e pio 

Voli nel tuo dolore innanzi a Dìo. 

Morremo e sciolti di quaggiù n' aspetta 
Altro amore, altra sono ed altra stella. 
Allora, o mia diletta. 
La nostra vita si farà più bella ; 
Ivi le nostre brame 
vaghe saranno di miglior legame. 



/ 



r 



Di mondo io mondo ooìi sicuri voU 
Àodrao l' alme, di Dio caodide figlie. 
Negli spazii e oei soli 
Numeraodo di Lui le maraYÌglie, 
E la mente nell' onda 
Dell'eterna armonia sari gioconda. 

LO STIVALE. 

ingegnati m puoi ener palese 

IO non 8on della fiolita vacchetia, 

Me sono uno stivai da conladioo; 
E se pajo tagliato con l' accetta 

chi lavorò non era un ciabattino : 

Mi fece a doppie suola e alla scudiera 

E per servir da bosco e da riviera. 
Dalla coscia giù sino al tallone 

sempre all'umido sto «enza marcire j 

Son buono a caccia e per menar di sprone, 

E molti ciuchi ve lo posson dire: 

Tacconato di solida impuntura 

Ho l'orlo io cima e in mezzo la costura.' 
Ma l'infilarmi poi non è si facile. 

Né portar mi potrebbe ogni arfasatto; 

Anzi alTalico e stroppio un piede gracile, 

E alta gamba dei più son disadatto; 

Portarmi molto non potè nessuno , 

M'hanno sempre portato un pò per uno. 
lo qui non vi farò la litania 

Di quei che fur di me desiderosi; 

Ma cosi "qua e là per bizzarria 

Ne citerò soltanto i più famosi 

Narrando come fui messo a soqquadro 

E poi come passai di ladro in ladro. 

Parrà cosa incredibile : una volta 
Non 80 come da me presi il galoppo 
E corsi tutto il mondo a briglia sciolta; 
Ma camminar volendo un poco troppo 
L'equilibro perduto, il proprio peso 
In terra mi portò lungo e disleso. 



XWX 
allora vi soceeste un parapiglia ; 
E geole d' ogni risma e d'ogni conio 
PlOYeaoo di lontan le mille miglia 
Per consiglio d'un prele o del demonio: 
Clii mi prese al gambale e chi alla fiocca 
Gridandosi fra lor bazza a chi tocca. 

Yolle il prete^ a dispeilo della Fede 
calzarmi coirajuto e da sé solo ; 
Poi senti ébe non fui fatto al suo piede, 
E allora qua e là mi dette a nolo: 
Ora alle mani del primo occupante 
Mi lascia, e per lo più fa da liranie. 
Facea col prete a picca e le calcagna 
volea piantarci un bravazcun tedesco. 
Ma più volle scappare in Aleroagna 
LO vidi sul cavai di san Francesco: 
In seguito tornò; ci s'è spedato. 
Ma tutto Gno a qiìi non mi ha infilato. 

Per un «ecolo e più rimasto vuoto, 
cinsi la gamba a un semplii% mercante , 
Mi riunse costui, mi tenne in molo 
E seco mi portò fino in Levante, 
Ruvido sì, ma non mancava un eue, 
E di chiodi ferralo e di bollette. 

11 mercante arricchì , credè decoro 
Darmi un pò più di garbo e d'apparenza: 
Ebbi lo sifrone, ebbi la nappa d'oro, 
Ma un tanto scapitai di consistenza ; 
E gira gira, veggo in conclusione 
Che le prime bullette eran più buone. 

in me non si vedea grinza' né spacco. 
Quando giù di ponente un birichino 
Da una galera mi saltò sul tacco, 
E sf provò a ficcare anco il zampino; 
Ma largo largo non vi stette mai. 
Anzi un giorno a Palermo lo stroppiai. 

Fra gli altri dilettanti oltramontani, 
Per infilarmi un certo re di picche 
Ci si messe col piedi e con le mani, 
Ma poi rimase 11 come berlicche. 
Quando un Cappon^ geloso del pollajo, 
Gli minacciò di fare U campanajo. 



Da bottega a compir la mia rovina 
saltò fuori in quel tempo, o giù di lì, 
un certo professor di medicioa, 
Cbe per camparmi sulla buccia, ordì 
Una tela di cabale e dMoganni, 
Che fu tessuta poi per trecent'anni. 

Mi lasciò, mi copri di bagattelle, 
E a forza di ammollienit e d'impostura 
Tanto raspò, che mi strappò ia pelle ; 
E chi dopo di lui mi prese io cura. 
Mi concia tuttavia colla ricetta 
Di quella scuola iniqua e maledetta. 

Ballottato cosi di mano in mano, 
Da una fitta d'arpie preso di mira. 
Ebbi a soffrire un gallo e un catalano. 
Che si messero a fare a tira tira : 
Alfio fu Don Chisciotte il fortunato, 
Ma gli rimasi rollo e sbertucciato. 

Chi mi ha veduto in piede a lui, mi dice 
Cbe lo spagouolo mi portò malissimo : 
M* insafardò di morchia e di vernice. 
Chiarissimo fui detto ed llluslrissimo ; 
Ma di sotlecche adoperò la lima 
E mi lasciò più sbrendoli di prima. 

A mezza gamba, di coior vermiglio. 
Per segno di grandezza e per memoria, 
M* era rimasto solamente un Gigtio : 
Ma un Papa mulo, il Diavol l'abbia in gloria^ 
Ai Barbari lo die, con questo patio 
Di farne una corona a un suo mulatto. 

Da quel momento ognuno in santa pace 
La lesina menando e la tanaglia. 
Cascai dalia padella nella brace: 
viceré, birri, e simile canaglia 
Mi fecero angherie di nuova idea; 
Ei diviseruni vestlmenta mea. 

cosi passato d' una in altra zampa 
ni animalacci zotici e sversali, 
venne a mancare in me la vecchia stampa 
Di quei piedi diritti e ben piantati, 
co' quali, senza andar mai di traverso. 
Il gran giro compiei dell'universo. 



Oh povero stivale t ora oonfesio 
Che mi ha gabbalo questa malta idea: 
Quand'era tempo d*aodar da me sieaao. 
Colle gambe degli altri andar volea; 
Ed olire a ciò, la smania inopportuna 
Di mutar piede per mutar fortuna. 

Lo senio e lo coofesio; e nondimeno 
Mi troto cosi lutto in Isconquasso^ 
Che par che sotto mi manchi il terreno 
se mi provo ogni tanto a fare un passo ; 
Che a forza di lasciarmi malmenare.. 
HO persa 1* abitudine di andare. 

Ma il più gran male me l' ban fallo i Preti, 
Razza maligna e senza discrezione; 
E r ho con certi grulli di poeti. 
Che in oggi si soo dati ai bacchettone : 
BiOQ e* è Cristo che tenga, i Decretali 
Vietano ai Preti di portar stivali. 

£ intanto eccomi qui roso e negletto, 
Sbrancicato da tutti, e tulio mota ; 
E qualche gamba da gran tempo aspetto 
Che mi levi di grinze e che mi scuola 
non tedesca» s' intende, né francese. 
Ma una gamba vorrei del mio paese. 

Una già n' assaggiai d' un certo Sere^ 
Che se non mi faceva ii vagabondo, 
In me potea vantar di possedere 
li più forte stivai del Mappamondo : 
Ah 1 una nevata in quelle corse strambe 
A mezza strada gli gelò le gambe. 

Rifallo allora sulle vecchie forme 
E riportato allo scorticatolo. 
Se fui di peso e di valore enorme. 
Mi resta a mala pena il primo cuoio; 
E per tapparmi i buchi nuovi e vecchi 
Ci vuol altro che spago e piantastecchi. 

La spesa è forte, e lunga è la fatica: 
fiisogna ricucir brano per brano ; 
Ripulir le pillacchere; all'antica 
Piantar chiodi e bullette, e poi pian piarK> 
Ringambalar la polpa ed il tomaio: 
Ma per pietà badate al calzoloio i 



X84X 
E poi vedele un po' : qua loo lurcbioo, 

Là roMo e bianco, e quassù giallo e nero ; 

insomma a toppe come un arlecchino : 

se volete rimellerml davvero^ 

Fatemi; con prudenza e con amore. 

Tutto d' un pezzo e tutto d' un colore, 
scavizzolate all' ultimo se v' è 

un uomo purché sia, fuorché poltrone ; 

E se quando a costui mi trovo in pie, 

Si figurasse qualche buon padrone 

Di far con meco 11 solilo mestiere. 

Lo piglieremo a calci nel sedere. 

LA. FIDUCIA IN DIO 

STATUA. DI BARTOLIM 

Cóme dicesse a Dio: d* altro non calme. 
DAMTK, Purg. 

Quasi obliando la corporea salma. 

Rapita io Quel che volentier perdona. 

Sulle ginocchia 11 bel corpo abbandona 

Soavemente, e l' una e 1' altra palma, 
un dolor stanco, una celeste calma 

Le appar diffusa in tutta la persona. 

Ma nella fronte che con Dio ragiona 

Balena l' immorial raggio dell' alma ; 
E par che dica : se ogni dolce cosa 

M* inganna, e al tempo che sperai sereno 

Fuggir mi sento la vita affannosa, 
signor, fidando, al tuo paterno seno 

L' anima mia ricorre, e si riposa 

In un affetto che non è terreno. 

A SAN GIOVANNI 

In grazia della zecca fiorentina 
Che vi pianta a sedere in un ruspone, 
O San Giovanni, ogni fedel minchione 
A voi s' inchina, 
per voi sconvolto il mondo e indiavolato 
S' agita come mare in gran burrasca : 
Il vostro anreo vapor giù dalla lasca 
Dello scapato. 



Sgorga io pioggia oonlinaa, feconda 
Al baro^ al sarto, a epicureo vivalo, 
E 8' impaluda in man dell' oauraio 

Peslifer' onda. 
Dal lurbanle invocalo e dalla aiolà 
Siete del pari ; ai santi, al biricbini, 
Ai birri smessi quondam Giacobini 

voi fate gola. 
Gridano Jve spet unica io un coro 
A voi scontisti, bindoli e sentali, 
A voi per cui cancellan le cambiali 

Il libro d' oro. 
Vecchia e novizia deiiA, che il callo 
Ha gii sul core e pudicizia ostenta, 
Perde le rose e itterica doventa 

Dei vostro giallo. 
Il tribuno cbe tiene uo piede in Francia, 
L' altro a Modena, e sta tra due sospeso, 
Alza ed abbassa al vostro contrappeso 
La rea bilancia, 
voi, ridotto a trar sangue da una rapa, 
Dal giorno cbe impegnò la navicella, 
chiama al deserto della sua scarsella 
Perfino il Papa. 
Salve, bel conjo, al secolo mercante 
Polare stella 1 Ippocrate, il Giornale, 
E la monomania trascendenlale 

Filosofante. 
E prete Apollo in maschera (!he predica 
Sempre pagano sull'arpa idumea, 
Fidano in te, ponsando diarrea 

Enciclopedica. 
Oh mondo, mondo i oh gabbia d' armeggioni. 
Di grulli, di sonnambuli e d' avaria 
I pochi che per te fan de' lunari 

Soo pur minchionil 
Non delle sfere l'armonia li guida, 
Ma il magnetico suon delle monete : 
Francia s' arruffa Intanlo nella rete 

Del birro Mida. 
soslien I' amico con un laccio ai collo 
Anglia con fede che la greca ecclissa; 
Lacera il Belgio la volpina rissa 

D' un protocollo. 



X «6 >:; 

in furor di Cannibali si caogia 
LO scisma ilMro che sé stesso anniema ; 
cannibale peggiore or lo fomenta, 

Poi se lo mangia, 
sognan d' Italia i popoli condotti 
con sette fila in cieco laberinto : 
Giocano i re per arte e pec istinto 
Ai bussolotti. 
Se i' i|) umana umanità si spolpa, 
Se a conti fatti gli asini slam noi; 
caro Giovanni, un Santo come voi 

N' avrà la colpa l 
colpa è di questi Agli del Demonio 
che giran per le tasche a voi confusi 
Di cui vedete le sentenze e i musi . 

Brillar nel conio. 
Colpa di moUitudine che anela 
Far da leone col core impeoorìlo : 
Falsificando il cuoio ed il ruggito 

Sbadiglia e bela, 
che dico mai r Di scettri e candelieri 
A questa gente non imporla un ette: 
Tribune invade e cattedre e gaziette 
Fuori di zeri. 
Guerra non è di popoli e sovrani, 
È guerra di chi compra e di chi vende : 
E il moralista addirizaar pretende 

Le gambe ai cani ì 
Ah ! predicar la' Bibbia o l' Alcorano, 
San Giovanni mio caro, è tempo perso : 
Mostrateci la borsa, e 1' universo 

Sarà cristiano. 



BRINDISI 

Amici a crapula A diplomatica 

Non ci ha chiamali Mensa non siamo 

Uno dei solili D' un Giuda in carica 

Ricchi annoiali, Che geli» V amo, 

Che per grandigia E ira gì' intingoli 

sprecando inviti, E ira i bicchieri 

Gonfia agli applausi 'n prò de' vandali 

De' parasili. Peschi i pensieri. 



Ma un capo armoDìco, 
Volendo a ceoa 
una combriccola 
Di gente ameoa^ 

S' è messo in animo 
Di sceglier noi. 
Di mezza taglia, 
Compagni suoi: 

Razza burlevole 
Glie non dà retta 
Ai gravi ninnoli 
Deli' etichetta. 

Difalli esilia 
Da questa stanza 
La parte mimica 
Dell' eleganza ; 

Né per mobilia 
Si pianta allato 
Tanto la seggiola 
Che il convitato. 

Non ci solletica 
Con cibi strani, 
si che lo stomaco 
senta domani 

Fastidio insolito 
Di stare In briglia 
Neil' ordinario 
Della famiglia. 

Non ci abbarbaglia 
coir apparecchio 
Perchè del pubblico 
s'empia F orecchio 

Sulle stoviglie 
Sul vasellame, 
D' un panegirico 
Nato di fame. 

Queste son misere 
Ambizioncine 
Di teste anomale 
B piccinine, 

che nel silenzio 
D' un nome nullo. 
Per Care strepilo 
Fanno il Lucullo; 



Sono ammennicoli 
E spampanate 
Di certe anonime 
Birbe dorate. 

Che tra noi ronzano 
Alla gtomaia 
come gli opuscoli 
Di falsa data; 

E cosi tentano 
Turar la bocca 
Sopra un'origine 
Lercia o pitocca 

Qppur son cabale 
Da rifluiti. 
Che alla vigilia 
D' andar falliti. 

Si danno l'aria 
Dell' uomo grande. 
Che ha V oro a stala. 
Che spende e spande. 

<2ui non si veggono 
Fio sulla scala 
Tappeti, fronzoli. 
Livree di gaia; 

Né di risparmio 
Bizzarro impasto 
Sotto i magnifici 
Fumi del fasto, 

immaginatevi 
Passar via via 
Lanterna magica 
Di piatteria. 

Per cui s'annosano 
Arrosto e vino. 
Mostrato in copia, 
Dato a miccino. 

Qui non ci decima 
Sempre il migliore 
li sotterfugio 
D'un servitore, 

Che d' oro luccichi 
Le spalle e il petto, 
E di panatica 
Viva a stecchetto. 



w X 



Di qui non tornano 
polli in cucina 
Buoni a rifriggersi 
per domatiioa; 

Ma i pialli girano 
Tre volle almeno ; 
Non 8i pu6 muoYere 
Chi non è pieno; 

E lutti asciugano 
Bottiglie a scialo, 
senza battesimi 
Né prese a cala, 

Che vanno e vengono^ 
Sempre stappate, 
E si licenziano • 
capivoitale. 

ECCO un'immagine 
Pretta e reale 
Del fare omerico. 
Patriarcale; 

Ecco la satira 
Chiara e lampante 
D' un pranzo funebre 
Detto elegante. 

Ove si cozzano 
Piatti e bicchieri 
In un mortorio 
Di ghiotti seri; 

E lì tra gli abili 
E i complimenti, 
L' imbroglio, il tedio 
T'allega i denti; 

O ti ci ficcano 
Cosi pigiato. 
Che senza gomili 
Bevi impiccato. 

A un tratto simile 
Di cortesia. 
Risponda un Brindisi 
Pien d' allegria. 

Ma schietto e libero. 
Si che al padrone 
Non mandi l'alito 
Dello scroccone. 



Adesso in circolo 
Diamo un'occhiata. 
Tastando il debole 
Della brigata. 

^iara tutti giovani 
E grazie al cielo 
in corpo e in anima 
Tulli d'un pelo; ^ 

Tutti di lettere 
Infarinali, 
Tutti all' unisono 
Per tulli i lati. 

Se come Soc 
Talun qui pensa 
In Accademia 
Mutar la mensa, 

Siam tutti all' ordine. 
Al suo comando. 
Tagliati a ridere 
Moralizzando. 

Ma sulla cattedra 
Resti ogni lite 
Di metafisiche 
Gare sciapi te; 

Fuori il puntiglio. 
Fuori il vanume, 
Fuori il chiarissimo 
Petlegolome. 

Un basso strepilo 
Si sa per prova 
Che il tempo laiicia 
Come io trova; 

E in vii ricambio 
Di fango incenso, 
vi gioca a scapilo 
Fama e buon senso. 

Se poi V' accomoda, 
O male o bene. 
Dire in disordine 
Quel che vien viene, 

zitte le ciniche 
Baie all' ingrosso. 
Che a tulli trinciano 
La giubba addossa; 



X«9X 



zitto l'equWooo 
Da Stenterello^ 
Che sa di bettola 
E di bordello. 

Facciam repubblica 
Seoza licenza j 
Nessun ci addebiti 
Di maldicenza; 

E tra le celle 
Del lieto umore^ 
Tutti si scottino. 
Menò il pudore. 

se nelle lepide 
Gare d* ingegno 
Tizio o Sempronio 
Dà più nel segno.; 

se a fin di tavola 
E a naso rosso 
una facezia - 
y arriva alP osso; 

Non fate broncio 
Come taluno, 
Cbe, se nel muoversi 
Lo tocca un pruno, 

soffia, s' inalbera 
E si scoruccia, 
E per cornaggine 
Si rincantuccia. 

È vero indizio 
Di testa secca. 
Quando la boria 
Ti fa cilecca. 

Buttarsi al serio 
Dietro un ripicco 
Nato da stimolo 
Di fare spicco. 

certa lunatica 
Sliticheria 
copra V invidia 
Di vecchia arpia. 

Che in mezzo secolo 
Non 8' è cavala 
Nemmen la smania 
D' esser tentata ; 



E nella noia 

Di qaaltro mura 

•Si tappa al Tizio 

Cbe non la cura. 
O giovi ai Satrapi 

Che stanno io tuono, 

E nel bisbetico 

Cercano il buono. 
Con dommi sinici 

Da veri monchi. 

La via a' impacciano 

Di mille bronchi, 
E si confiscano 

I cinque sensi. 

Vivendo a macchina 

Come melensi. 
Come? un ascetico 

Di cuore eunuco, 

lo dormiveglia 

Tra II santo e il ciuco « 
scomunicandoci 

V umor giocondo, 

vorrà rimettere 

Le brache al mondo? 
Oh, senza storie 

Tanto noiose, 

I savi cingono 

Bontà di rose ; 
E praticandola 

Cortese e piana, 

La fanno agevole 

E popolana. 
All' uomo ingenuo 

Non fa lusinga 

Certa selvatica 

Virtù solinga. 
Virtù da islrioe. 

Che, stuzzicalo, 

Si raggomitola 

Di punte armato. 
Lasciamo i ruvidi. 

Che a grugno stufo 

La gente scansano 

Facendo il gufo. 



: 90 : 



cbiusi al contagio 
Del mondo iofeilo 
Di $è medesimi 
Nel laszeretlo. 

Noi nati a starcene 
Fuor del deserto, 
Tra i nostri gimlii 
Col cuore aperto, 

Tiriamo a vivere 
Da buona gente 
Raddiriziandoci 
Piacevolmenie. 

Qui l' amor proprio 
Sia cieco e sordo ; 
Qui puoziccbiamoci 
Tutti d'accordo; 

E senza collera 
Né grinta tosta. 
Facciamo a dircele, 
Bolla e risposta. 

Meglio alla libera 
Buttarle fuori, 
Che giù nel fegato 
Covar rancori; . 

Falsare un animo 
Meschino o reo. 
Sotto l'alchimia 
nel Galateo. 

Ai galantuomini 
Non fa paura 
Una reciproca 
Gaia censura. 



Air amichevole 

Burlarsi un poco. 

Fa prò, solletica. 

Riesce un gioco ; 
E quei sentirsele. 

Dire in presenza, 

prova l' orecchio 

Della oosGlenia, 
Ma già le snocciola 

come le sente 

Tanto la cameni 

Che 11 presidente; 
Già della cbiaochiera 

L> estro s' ioOamma; 

Sento l' aculeo 

Dell' epigramma ; 
Gli atleti. 8' armano 

Tutu a duello : 

Guai alle costole 

Di questo e quello. 
Bravi! la gioia 

Che qui sfavilla 

Del fluido elettrico 

Par la scinti Uà, 
Che d%l suo carcere 

Appena mossa. 

Il primo e l' ultimo 

Sente la scossa. 
Via, ricordiamoci 

Di fare in modo 

Che il dire e il bevere 

Non faccia nodo. 



E; se ci pencola 
sotto il terreno 
Rimanga in bilico 
La testa almeno. 



APOLOGIA DEL LOTTO 



Don Luca^ uomo rotto, 
Ma onesto Piovano, 
Ha un odio col Lotto 
Non troppo cristiano; 



E roba da cani 
Dicendo a chi gioca 
Trastulla coli' oca 
I suoi popolani. 



9ì 



Don Luca davvero 
£ UD gran galaniomo, 
Migliore del clero 
Che bazzica lo Domo; 
Ma è troppo esaltato^ 
E crede che (occhi 
Ai preti aprir gli occhi 
Al mondo gabbalo. 

In oggi educare^ 

almeno far vista, 
È moda; il collare 
Dovenia utopista: 

E ognuno si scapa 
A far de' lunari, 
Gaastando gU affari 
Del Trono e del Papa. 

Il giuoco io complesso 
E un vizio bestiale 
Ma il Lotto In sé slesso 
Ha un che di morale; 
ci avvezza indovini. 
Pietosi di cuore; 
Doventi un signore 
con pochi quattrini. 

Moltiplica i lumi. 
Divaga la fame, 
Pulisce i costumi 
Del basso bestiame. 
Di fatto lo stato, 
Mon punto corrivo, 
se fosse nocivo 
L'avrebbe vietato. 

Lasciale, balordi. 
Che il Lotto si spando. 
Che Roma gli accordi 
La sua propaganda ; 
si gridi per via : 
Cristiani, un bel terno! 
s' aiuti II governo 
Neil' opera pia. 

Di Grecia, di Roma 

1 regi sapienti 
Pianta van la soma 
secondo le genti; 



E a norma del vizio 
Il morto o lo sprone ; 
Che brave persone i 
Che re di giudizio! 

con aspri precelti 
Licurgo severo 
corresse i difetti 
Del Grego leggiero 
E Numa con arte 
Di santa Impostura 
La buccia un po' dura 
Del popol di Marie. 

O tisici servi 
Dal cor di coniglio 
un savio consiglio 
Vi fodera 1 nervi ; 
un tempo corrotto, 
Perduta ogni fede, 
E gala se crede 
Mei giuoco del Lotto. 

Lasciate giuocare, 
Messer Galileo; 
Al verbo pensare 
Non v'è giubileo, 
studiar l' InGnilo ? 
che gusto imbecille ! 
Se fo le sibille 
Non sono inquisito. 

Un giuoco sì bello 
Bilancia 11 Vangelo, 
E mette a duello 
L' Inferno col cielo; 
Se il Diavolo è astrailo, 
un' anima pia 
Implora l' estratto 
Coli' Jve Maria. 

Per dote sperata 
Da pigra quintina 
La serva piccata 
Fa vento In cucin» 
La pappa condita 
cogli ambi sognati 
Sostenta la vita 
Di mille affamati. 



92 X 



Se passa la bara. 
Del morto ogni cosa 
DomaodaDO a gara : 
o gente pietosa l 
Ehi un popol di sceltici 
Non piange disgrazie. 
Ma giuoca le crazie 
Sui colpi apoplettici. 

Se suonano a gogna. 
Ci vedi la piena ; 
Ma in quella vergogna 
Si specchia e si frena? 
Nel braccio ti dà 
La donna vicina, 
E dice: Berlina 
che numero fa? 



Ah I viva la legge 
Che il Lotto mantiene: 
11 capo dei gregge 
ci vuole un gran bene ; 
I mali, i bisogni 
Degli asini vede, 
E al fieno provvede 
col Libro dei sogni. 

chi trovasi al verde 
L' ascriva a suo danno ; 
LO Stato ci perde, 
E tutti lo sanno. 
LO slesso Piovano 
in fondo. è convinto 
che a volte ci ha vinto 
Perfino il sovrano. 



contento dei mio. 
Né punto né poco. 
Per grazia di Dio, 
M' imporla del giuoco. 
.Ma certo, se un giorno 
Mi cresce la spesa. 
Galoppo ali' impresa 
E strappo uno storno. 



hk VESTIZIONE 

Quando s'aprì rivendita d^ onori, 
E dì croci un diluvio universale 
Allagò il trivio di Commendatori; 

Quando nel nastro sMmbrogliaron l'ale 
L'oche, l'aquile, i corvi e gli sparvieri; 
O, per parlar più franco e naturale. 

Quando si vider fatti cavalieri 
Schiume d'avvocatucci e poetastri, 
Birri Strozzini ed allri vituperi; 

Tal che vedea la feccia andare agli astri. 
Né un soldo sciupò mai per tentar l' ambo 
Al gran lotto dei titoli e dei nastri. 

Nel cervellaccio imbizzarrito e strambo 
Sentì ronzar di versi una congerie: 
E piccato di fare un ditirambo. 



X 95 X 

Senza legge di forme o di materie. 
Le sacre mescolò colle profane 
E le cose ridicole alle serie. 

Parole abburattale e popolane, 
Trivialità cucl^ oonvenleoii 
A celebrar le gesta paesane, 

E proruppe da matto in questi accenti, 
Ai retori lasciando e a' burattini 
Grammaticali ed altri coropllroenli. 

Ròsa da nobiltà senza quattrini 
Casca la veccttia Tavola, e la nuova 
È una ladra genia di Paladini. 

Tanta è la sua viltà che non ne giova: 
E i bottegai decitoli lo sanno, 
Ma tiran via percliè gatta ci cova. 

Come di Corte riempir lo scanno 
Che vuotan Conti tribolali? e come 
Le forbici menar se manca il panno ? 

Volle di Cavalier prendere il nome, 
spazzaturaio d' anima, uq Droghiere : 
Bécero si cblamò di sopannome. 

In diebus ilUs girò col paniere 
A raccattare i cenci per la via, 
Da tanto ch'era nato Cavaliere. 

Trovo che fece anco un slnsin la spia. 
Poi, come non si sa, l' Ipotecario ; 
Di questo passo apri la Drogheria. 

E coir usura e facendo il falsario, 
co' frodi e con bilancie adulterate. 
Gli venne fatto d'esser milionario. 

Volle, quand'ebbe i rusponi a palate. 
Rubar fin la collollola al capestro, 
E col nastro abbuiar le birbonate. 

D' un Bali che di Corte è l' occhio destro 
Dette di frego a un debito stanilo, 
E quei l' accomodò col Gran Maestro. 

Brillava a festa la casa d'Iddio 
Tra il fumo degl'incensi e i lampadari : 
D'organi e di campane un diavoiio 

Chiamava a veder Bécero agli altari 
A insudiciar il sacro ordin guerriero 
Che un tempo combattè contro i corsari. 



X94X 

A lui d' iolOTBo il Nobilume e il clero 
Le parole tofitandogli ed i gesti, 
ID tulli lo ciurmavao CaTaliere. 

Tra i Preti, tra i Taù (i) odo quelle vesti. 
Alterar si senti la faoiasia, 
Né gli pareaoo più quelli né questi ; 

Ma n vedea mutar lisonomia, 
E dair aitar discendere e svanire 
Le immagini di cristo e di Maria. 

Era la chiesa un .andare e venire 
Di Aeri speltri e d'orribili larve, 
con una romk» da farlo ammattire. 

Crollò il ciborio, si divelse e sparve ; 
E nel luogo di quello una figura 
Magra e d' aspetto tisico gli apparve. 

in mano ha la cambiai, dalla cintura 
Di molli pegni un ordine pendea ; 
La riconobbe testo per l' usura 
Dalla pratica grande che n'avea: 
Vide prender persona i candelieri, 
E diventar di scrocchi un'assemblea. 

Parean Nobili tutti e cavalieri, 
E d'accordo gridavano al fantasma : 
« Mamma, Pisa per voi dovenia Algeri. » (9> 
com'uom clie per mefitico miasma 
Anela e gronda d' un sudor gelato, 
O come un gobbo che patisce d' asma. 

Bécero si semi mozzare il fiato: . 
Alzossi e per fuggir volse le spalle. 
Ma gli ireman le gambe, e d' ogni lato 

Dì strane torme era stipato 11 calle. 

Grullo, contuso Cose d' inferno 

Rimase lì ; t'oH' occhio interno 

col manto il muso Della paura, 

Si ricoprì. che non si tura. 

Da quella faccia Anzi, raccoMo 

Che lo minaccia in sé medesimo^ 

celarsi crede, si sentì l'animo 

Ma sempre vede viepiù sconvolto. 

(1) I Taù sono i catnerieri o scudieri dell' online. 

(2) L' online di santo slcrano risiede in Tì^n. 



E df più nere immaglDì Tosalo, esposto al popolo. 

Gli si turbò la nieote : Ai tocchi d* un battaglio 

sognò l'accusa, il carcere. L'abito nobilissimo 

La corte, il Presidente ; cangiò colore e taglio: 

In banco di vergogna * La croce sQgurata 

Sedè coi malfattori ; Pareva un carteliaccio, 

udì parlar di gogna. Lo sprone un catenaccio^ 

Di pubblici lavori. La spada una granala, 

Poi vide un'alta macchina, 
Un militar corteo; 
Fantasticò d'ascendere 
Su per uno scaleo; 
E sotto, una gran folla; 
Allato, un Cappuccino ; 
Fu messo a capo chino: 
£ udì scattar la molla. ' 

Parvegli a quello scatto 
Sentire un certo crollo. 
Ch'alzò le mani a un tratto 
Per attastarsi il collo. 
Ma fn quel punto una mano sceltrafa 
Gli calò sulla testa nefaria: 
Allo strano prodigio^ incantala 
La mannaia rimase per aria, 
viva, viva, gridava il buglione, 
La giustizia del nostro Solone; 
Se protegge chi ruba e chi gabba. 
Muoia Cristo, si sciolga Barabba. 
Di sotto la toga Un vortice, un misto 

Che quasi l'affoga Di cose diverse. 

La lesta levò ; Cosi del maialo 

D'intorno girò Non bene svegliato, 

Quegli occhi di falco; Col falso e col vero 

E ailor gli s'offerse Combatte il pensiero, 

D'Altare, di Palco, Guizzando nel laccio 

D'Usura, di Cristo, pi qualche sognacelo. 

E già la vision si disciogliea. 
Quando da un lato della chiesa sente 
Incominciare un canto, e gli parca 
Superbo nel concetto e impertinente. 
Si volta, e vede in aulica livrea ^ 

Gente che incoccia maledettamente 
, D' esser di carne come tutti siamo, 
E vorrebbe per babbo un altro Adamo. 



X'9«X 
vedea sbiadito 11 nastro degli occhielli, 
E la fusciacca doventata bieca; 
UDlformi ritinte^ e de* gioielli 
Il bugiardo baglior che oon aocieca. 
Else e crascià rlcoooscea'tra quelli, 
E spallette tenute In ipoteca, 
E Marchesi mandati in precipizio ; 
E più visi di bue che di patrizio. 



(Qui ci vuole un certo imbroglio— 
Di sussiego e di miseria^ 
E il frasario dell' orgoglio 
Adattato alla materia. 
Fatto mantice, il polmone 
Spiri vento di Blasone. 

Ma di modi arcigni e tronfi 
Non ho copia in casa mia 
Né un bisnonno che mi gonO 
Di fastosa idropisia, 
E un linguaggio da strapazzo 
Ascoltai fin da ragazzo. 

se il poetico artifizio 
Non m'aiuta a darmi l'aria 
D' uno sbuffo gentilizio, 
colpa d'anima ordinaria, 
proverò se ci riesco.) 
Lo squadravano in cagnesco 

E diceano: un mercatino 
Che il paese ha messo a rubba 
Un vilissimo facchino 
Si nobilita la giubba, 
E dal banco salta fuori 
A impancarsi co' Signori ? 



Si vedrà dunque un figuro. 
Nato ai fango e ai letamaio. 
Intorbare il sangue puro 
Coi suo sangue bottegaio? 
E £arà questo plebeo 
Tanto insulto al Galateo ? 

Usurai crucesìgnati 
Che si comprano di lei. 
Tra i patrizi scavalcati 
Passeranno in tiro a sei 
A esalar l'anima ciuca 
A sinistra del Granduca? 

Rifiniti dal mestiere, 
-C'è chi paga i Ciambellani 
Con un calcio nel sedere; 
E rifa di pelacani, 
Che il delitto insignorì, 
Il vivaio del Bali. 

E di più, ridotlo a zero 
Il patrizio è condannalo 
A succhiarsi il vitupero 
Di vestir chi l'ha spoglialo, 
A ridursi sulla paglia 
Per far largo alla canaglia. 



Se vlen voglia al morti eroi. 
Dell' avita abitazione. 
Ormai, siccome noi 
Si tornò tutti a pigione, 
cerchi l'anima degli avi 
Il birbon che -n' ha le chiavi. 



Di questa antifona 
L'onda sonora 
Su per la cupola 
Tremava ancora ; 



V illustre l)indolo 
A capo basso 
parca Don Bartolo 
fatto di sasso: 



: s^ 



Quand'ecoo a aoooterlo 

Dal suo stupore 

uo Doofo strepilo, 

Vo gran rumore, 
come- piozochera 

Che il mondo ingaaoa. 

DI deoiro xaide. 

Di fuor Susanna, 
Si sogna i diavoli 

Montati io furia. 

Dopo la predica 

Sulla lussuria; 
così, coli' animo 

Sempre alteralo 

Tutto Camaldoii 

Tulio Mercato, 



Ycdea^ 
in osa lega, 
Porlaodo l'alilo 
Della boilega: 

Sbraooali, in aoceoli, 
E scalzi e sbrici^ 
e musi laidi 
Di ▼eoebì amici ; 

E Crezie e Calere. 
E Bobi e Beco, (1) 
So per le bettole 
Cresduli seco. 

QuesU eomlHioeola 
Strana di genie 
Agglomerandosi 
Confusamente, 



Lasciale le idee. 

Le frasi ampollose, 

Con urla plebee 

Rincara la dose, 

E lo striglia cosi nel suo vernacolo 

Senza tanto rispello al Tid)ernacolo. 



salute a Bécero, 
viva il Droghiere; 
Bellino, in maschera 
Di Cavaliere ! 

O come domine*. 
Se giorni sono 
Vendevi Zenzero 
Per pepe bono. 

Oggi ci reciti 
coi logo addosso 
Questa commedia. 
Del cencio rosso? 

Ab, tra lo zucchero, 
col tuo pestello. 
Eri io carattere. 
Eri più t>ello ) 

Or tra lo strascico, 
E l'albagìa 
un chiappanuvoli 
Par che tu sia. 



Eh toma Bécero, 
Torna Droghiere, 
Leva la maschera 
Di Cavaliere. 

Se per il solilo 
Quando ragioni 
Dici spropositi 
Da can barboni. 

Come discorrere 
Potrai con gente 
Che saprà leggere 
Sicuramente T 

Ah torna Bécero, 
Torna Droghiere, 
Leva la maschera 
Di Cavaliere. 

Se schifo ai nobili 
Non fa la loia 
Di certi ciaccberi 
Scappali al boia ; 



<I) Diminnttvi popolari di Lucrezia, Caterina, Zanobi e Domenico. 



Se i Preti a crederli 
son tanto bovi, . 
CoD codesi'aoima 
Che li ritrovi; 
Se per lo scandalo 
di questa festa 
non li precipita 
La Chiesa in testa. 
O io oggi ha credilo 
Lo sbarazzino, 
O Santo Stefano 
Tira al quattrino. 
Ma noi che fécemo (1) 
Teco il mestiere, 
S' ha a dir lusirissimo ? 
L'aresLi a avere! 

Tieniene, Bécero; 
Gonfia, Droghiere: 
Se' belio in maschera 
Di cavaliere 1 
Tacquero : e gli parea che ad una voce 
Ripigliasser le genti ivi afTollate: 
— se dalla forca ti salvò la croce, 
Non ti potrà salvar dalle frustate, — - 
Indi ogni larva se n' andò veloce. 
Fini la ceremonia e te fischiale; 
E su in ciel Santo Stefano si lagna 
Di vedere un Pirata in Cappamagna. 



Un rivendugliolo 

RimpaoDucciato 

ci ha a stare io aria? 

va via sguajaloi 
va colle logiche, (SH 

va pure assieme; 

Che tu ci bazsichi 

Non ce ne preme. 
Ma se da ridere. 

Po' poi, ci scappa 

Di le, del ciondolo 

E della cappa, 
Non te ne prendere. 

Non far cipiglio; 

sai di garofani 

Lontano un miglio. 



IL PRETERITO Pili' CHE PERFETTO 



DEL VERBO PENSARE 



Il mondo peggiora 
(Gridan parecchi). 
Il mondo peggiora : 
I nostri vecchi 

Di rispettabile. 
D'aurea memoria, 
Quelli erao uomini t 
Dio gli abbia in gloria. 



E vero; i posteri: 
Troppo arrogami. 
Per questa furia 
D'andar avanti, 

All'uman genere 
Ruppero il sonno, 
E profanarono 
Le idee del nonno. 



(I) Idiotismo invece di facemmo. 

•-*' Il popolo chiama logiea uno che faccia l'elegante. 



io ilio tempore 
Quando i moruK 
Se la dormWano 
Fra due guancialls 

Quand'era canone 
Di gaiateo 
mtiU Oe principe^ 
JParum de Deoj 
Ob età pacifiche, 
Oh benedette I 
Non e' impestavano 
Libri e gazzette; 

Toccava all'indice 
A dire : io penso; 
Non era in auge 
Questo buon senso , 

Questi filosofi 
Guastamestieri, 
Che i dotti ficcano 
Fra i cavalieri. 

Pare impossibile! 
La Croce è offésa 
Per fin su gli abiti i 
(Pazienza in Cblesal) 

E prima i popoli 
Sopra un occhiello 

. ci si sciupavano 
Proprio il cappello. • 

Per questo canchero 
Dell' eguaglianza 
Non v' era requie 
Né tolleranza; 

Non era un martire 
Ogni armeggione 
Dato al patibolo 
Per la ragione. 

Tutti serbavano 
La trippa ai fichi : 
O venerabili 
Sistemi antichi l 

Per viver liberi 
Buscar la morte? 
E meglio in gabbia, 
E andare a Corte. 



Là servo e loddilo 
Di regio bslOy 
Leccava il nobile 
caveza e basto; 

E poi dell'aulica 
Frusta, prendea 
La sua rivincita 
Sulla livrea. 

Ma colle borie 
Repubblicane 
Non domi un asino 
Neppur col pane ; 

E in oggi a titolo 
Di galantomo 
Anche lo sguattero 
Pretende a omo. 

Prima trattandosi 
D'illustri razze, 
A onore e gloria 
Delle ragazze. * 

Le mamme pratiche 
E tutte zelo, 
voleaoo il genero 
con il -trapelo. 

Del matrimonio 
Finiti i pesi 
Nel primo incomodo 
Di nove mesi, 

si rimettevano 
Mogli e mariti 
L'uggia reciproca 
Di star cuciti; \ 

E l'orco e i magici 
sogni ai bambini 
Eran gli articoli 
Del Lambruschini. 

Oggi si predica 
E si ripiglia 
La santimonia 
Della famiglia ; 

i figH, dicono. 
Non basta farli ; 
V è la seccaggine 
f>eir educarli. 



«oa V 



K in caia II Cenerò 
Babbo uppalo, 
cava gif scrupoli 
Uel proprio staio; 

fi le Penelopi 
Muove d'Italia, 
La bega arcadica 
Di far la balla; 

Oh tempi barbari i 
Nessun più stima 
Quel vero merito 
Di nascer prima. 

Dolce solletico 
D'un padre al cuore : 
Ah l'amor proprio 
È il vero amore t 

Tu, lu, santissimo 
Fide-commesso 
Da questi vandali 
Distrutto adesso, 

Nel primogenito 
serbasti unito 
L'onor blasonico. 
Il censo avito, 

E in retta linea 
D'etA In eia 
Ereditarla 
L'asinità. 

Ora alla libera 
vede un signore 
portarsi l'albero 
Dal creditore ; 

L'usura, II codice, 
Ne ròse i frutti; 
11 Messo e l'Estimo 
Pareggia tutti; 

Chi non sa leggere 
Si chiama un ciuco, 
E inciampi cattedre 
Per ogni buco 



Per gl'illasCrisaimi, 
Funi e galere 
Un giorno c'erano 
Per darla a bere^ 

Ila in questo secolo 
Di confusione 
si pianta in carcere 
Anco un barone; 

E s'aboliscono 
Senza giqdizio 
La corda, il b^ia, 
E il sant'uffizio. 

Il vecchio all'ultimo, 
saldando ai frati 
Quel po'di debito 
Pe' suoi peccati, 

I figli poveri 
Lasciava, e pio 
Metiea le rendile 
In man di Dio. 

Oggi ripiantano 
L'a ufo in Cielo, 
E a'pescivendoli 
Torna il Vangelo. 

E se il Pontefice 
Fu Roma e Toma, 
Or non dev'essere 
Nemmanco Ronna: 

E si scavizzola. 
Si stilla tanto 
Che adesso un chimico 
Rovina un santo. 

Prima il battesimo 
Ci dava i re. 
In oggi il popolo 
Gli unge da se : 

E se pretendono 
Far da padrone 
Colle teoriche 
Del re Leone, 
Te li rimandano 
Quasi per ladri: 
Beata Tepoca 
De* nostri padri f 



AFFETTI D' UNA MADRE 

Presso alla culla io dolce aUo d' amore. 

Che intendere non può chi non è madre. 

Tacila siede e immobile; ma il ▼otto 

Nel suo veizoso bambinel rapito. 

Arde si turba e rasserena in questi 

Pensieri della mente inebriata. 
Teco vegliar m*è caro. 

Gioir, pianger con te : beata e pura 

si fa r anima mia di cura In cura ; 

in ogiìi pena un nuovo affetto imparo. 
EsuUa, alia materna ombra fidato, 

Beilissiròo innocente 1 

Se venga il di che amor soavemente 

Nel nome mio ti sciolga il labbro amalo ; 
Come l' ingenua gota e le infantili 

Labbra t' adorna di bellezza il flore, 

A te cosi nel core 

AfTetti educherò tuUi gentili 
^ €osl piena e compila 

Avrò l'opra che vuol da me natura; 

sarò dell' amor tuo lieta e sicura, 

come data l'avessi un'altra vita. 
Goder d'ogni mio bene, 

D' ogni mia conlentezza il Ciel ti dia i 

10 della vita nella dubbia via 

11 peso porterò delle tue pene. 
Oh, se per nuovo obietto 

Un di l' affanna giovenil desio. 
Ti rlsovvenga del materno affello i 
Nessun mai l'amerà dell'amor mio. 
£ tu nel lue dolor solo e pensoso 
Ricercherai la quadre, e in queste braccia 
Asconderai la faccia; 
Nel sen che mai non cangia avrai riposo. 

PER IL PRIMO CONGRESSO DEI DOTTI 
TBKUTO IN PISA NEL 1839. 

l>i Sì nobile Congresso Tra i Potenti della penna 

Si rallegra con se stesso Non si traila, come a Vienna, 

Tuuo 1' uman genere. D' allottare i popoli 



iOS] 



E per questo an TiraoneMo 
Da qualtordici al duetto 

Grida: oh che spropositi! 
Questo principe toscano, • 
Per tedesco e per soTrano. 
Ciurla un po'ocl manico. 
Lasciar fare a chi fa bene ì 
Ma t)adale se conviene ! 
Via, non è da Principe. 
Inter nos, la tolleranza 
E una vera sconcordanza, 
Cosa che dà scandalo. 
Non Siam re mica in Siberia: 
Dio '1 volessei Oh che miseria 
cavalcar l' dalia l 
Qui, Dell' aria, nel terreno. 
Chi Iosa? c'è del veleno: 
Buscherato il genio i 
un' Altezza di talento 
Questo bel ragionamento 
Faccia a sé medesimo : 
Se la stessa teoria 
Segue, salvo l'eresia, 
11 morale e il fisico» 
Anco il lume di ragione, 
Per virtù di riflessione. 
Cresce e si moltiplica 
£ siccome a chi governa 
È nemica la lanterna 
Che portò DKogene. 



Dal Orio stato felicissimo 
(Che per grazia dell'Altissima 
Serbo nelle tenebre) 
imporrò con un decreto 
Cile chi puzza d'alfabeto 
• Torni Indietro subito ; 
E proseguano 11 viaggio. 
Purché paghino il pedaggio, 
solamente gli asini. 
Ma quel matto di Granduca 
DI tener la gente ciuca 

Mon conosce il bandolo. 
Qualche birba lo consiglia ; 
O il mestare édi famiglia 
vizio ereditario. 
Guardi me che so il mestiere^ 
E che faccio il mio dovere 
Propagandò gii ebeti. 
Per antidolo al progresso, 
AI mio popolo ho concesso 
Di non saper leggere. 
Educato all'ignoranza. 
Serva, paghi, e me n'avanzar 
Regnerò con comodo.. 
Sì> son vandoio d'origine, 
E proteggo la caligine, 
E rinculo il secolo. 
Maledetto l'Ateneo 
Che festeggia 11 Galileo, 
Benedetto l'indice. 



IL BRINDISI DI GIRELLA 



DEDICATO AL SIGHOR DI TALLEYRABD BUON ANIMA SUA 



Girella (emerito 
Di molto merito) 
Sbrigliando a tavola 
L'umor faceto; 
Perde la bussola 
E l'alfabeto; 



E nel trincare 

Cantando un brindisi» 

Della sua cronaca 

Particolare 

Gli uscì di bocca 

La filastrocca 



X ^03 '. 

Viva irleccbiDi 

E burattint 

crossi e piccina ; 

Viva le maschere 

D'ogni paese; (Chiede. 

Le giunte, i club, i Principi e le 
E lutti questi 

Con mezzi onesti 

Barcamenandomi 

Tra il vecchio e il nuovo. 

Buscai da vivere, 

Da farmi ii covo. 

La gente ferma. 

Piena di scrupoli ^ 

Non sa coli' anima 

oiocar di scherma; 

Non ha pietanza 

Dalla Finanza. 

Viva Arlecchini 

£ burattini; 

viva i quattrini 1 

vìva le maschere 

D'ogni paese, (mese. 

Le imposizioni é V ultimo del 
lo, nelle scosse 

Delle sommosse. 

Tenni per àncora 

D' ogni burrasca. 

Da dieci o dodici 

Coccarde in tasca. 

se cadde U Prete, 

Jo feci rateo. 

Rubando lampade, 

cristi e pianete. 

Case e poderi 

Di monasteri. 

viva Arlecchini 

E burattini, 

E Giacobini; 

viva le maschere 

D'ogni paese, 

Loreto e la Repubblioa francese. 
$e poi la coda 

Torno di moda. 



Ligio al Ponteflce 

E Al mio Sovrano, 

Alzai patiboli 

Da buon crisiiaRO. 

La roba presa 

Non fece ostacolo; 

Cbò col difendere 

Corona e Chiesa, 

Non resi mai 

Quel che rubai. 
Viva Arlecchini 

E burattini, 

E birichini ; 

Briganti e maschere 

D'ogni paese, (rese 

Chi processò, chi prese e chi non 
Quando ho stampato. 

Ho celebrale, 

E troni e popoli, 

E paci e guerre; 

Luigi, l' Albero, 

Pili, Robespierre, 

Napoleone, 

Pio sesto e settimo, 

Murai, Fra Diavolo, 

11 Re Nasone, 

Mosca e Marengo 

E me ne tengo. 

Viva Arlecchini 

E burattini, 

E Ghibellini, 

E Guelfi, e maschere 

D' ogni paese ; 

Evviva chi sali, viva chi scese. 
Quando tornò 

Lo slalu quoj 

Feci baldorie. 

Staccai cavalli. 

Mutai le statue 

Sul piedistalli. 

E adagio adagio 

Tra l'onde e i vortici, 

Su queste tavole 

Dal gran naufragio, 



X <04 



Gridando evviva 

Chiappai la riva. 
Viva Arlecchini 

E buraitini; 

Viva gì' inchini, 

viva le maschere 

D' ogni paese, (Finlese. 

viva il gergo d'allora e chi 
Quando volea 

(Che bell'idéal) 

Uscito il secolo 

Fuor de' minori, 

Levar l' incomodo 

Ài suoi tulori. 

Frullò il carbone. 

Sapulo vendere. 

Al cor di Cesare 

D' un mio padrone 

Titol di Re, 

£ il nastro a me. 

viva Arlecchini 

E buralUnì 

E pasilccini; 

viva le masciiere 

D' ogni paese, (l'accese. 

La candela di sego e citi 
Dal irenta io poi, 

A dirla a voi. 

Alzo alle nuvole 

Le ire giornale. 

Lodo di Modena 

Le spacconate ; 

Leggo Giornali 

Di tulli i generi ; 

Piango r Italia 

coi liberali 

E se mi torna 

Ne dico corna. 

Viva Arlecchini 

E burattini, 



È il Re cbiappiDl, 

viva le maschere 

D'ogni paese^ (ioeiae. 

La Carla, i tre colori e il erimen 
Or son vecchio 

Ma coli' orecchio 

Per abitudine 

E per trastullo, 

certi vocaboli 

Pigliando a fruito. 

Placidamente 

Qua e là m' esercito ; 

E sotto l' egida 

Del Presidente 

Godo il papaio 

Di pensionato, 
viva Arlecchini 

E burattini, 

E teste ani 

viva le maschere 

D' ogni paese. 

Viva chi sa tener {'orecchie lese. 
Quante cadute 

si son vedute l 

Chi perse il credito. 

Chi p^rse il fiato. 

Chi la collottola, . 

E chi lo stalo. 

Ma capofili 

cascaron gli asini;; 

Noi valentuomini 

Siam sempre ritti. 

Mangiando i fruiti 

Del mal di tutti. 

Viva Arlecchini 
E burattini, 

E gì' indovini ; 

Viva le maschere 

D'ogni paese. 

Viva Brighella che ci fa le spese. 



IL SOSPIRO DELL'AMIMI 

Ciascun oonfiiMmente un bene apprende 
nel qua! si quieti l* animo. 

DAVTi, Purg. 
Suonar nel mio segreto odd ^na voce 
Che a se mi tiene dubitando tnteao, 
E non sento 1' età fuggir veloce 
in quella nota attonito e sospeso. 
Cosi rapito scorre e inavvertito 
li libro, quando, per diversa cura, 

10 se fermato l' animo e rapito. 
Non procede coli' occhio alla lettura. 

Gin sei che parli si pietoso e umile? 
Un lieto sogno dellg mente ? O sei 
Misterioso spirilo gentile. 
Che ti compiangi degli affanni miei ? 

Nciia mestizia pii^ benigno sorge 
£ tesori di gioie a ai» rivela ; 
A me dubbioso e stanco aita porge^ 
E cosi meco parla e si querela. 
« Perché si pronto sai per il. cammino 
Soave che per grazia il del ti diede, 
E sei fatto simile al pellegrino 
^Gbe per umida valle affretta il piede? 

No, no, questa non ò terra di pianto, 
E giardino di fiori e d' acque ameno ; 
Sofferma il passo, ah I non t' incresca tanto 

11 tuo gentile italico terreno. 

•• Ma un sentier che la pace ha per confine. 

Laghi, perenni fonti, aure beate. 

Pianure interminabili e colline 

Di perpetua verdui** inghirlandate. 
Sempre innanzi alla mente desiosa 

siccome sogni ricordati stanno, 

E il forte immaginar che non ha posa 

Di stupor t' empie e di segreto affanno. 
- Qui 1' avida pupilla non s' appaga 

Nelle bellezze della donna amala, 

Né tu vedesti mai cosa più vaga. 

Né mai diversa donna hai desiala $ 
O non ravvisi in lei 1' Angelo vero 

Così velato di corporea forma, 

O quella che amoreggia il tuo pensiero 

sopra i fior di quaggiù non posa l'orma. 



X «06 X 

« vegliando Inconlro ai bei sogni ridenti^ 
Ogni più chi UBO albergo apre al dolore ; 
E quasi armalo di sé stesso, il core 
Vigor si fa degi' inlimi lormenti. 

Dì cosa lieve pueril (alenlo 
Mai noi travorge seco in lungo oblio, 
E mai non seppe abbandonarsi, lento 
seguendo inerzia, a lubrico pendio. 

« Virlù d' amor non lieve e non mentita 
come gemaa derisa asconde e serba; 
La sua non terge per l' altrui ferita. 
Ma del comun gioir si disacerba ; 

Non corre a maledir con fecii piede 
se il fatto non risponde ali' alta idea, 
vagheggia in sé coli' occhio della fede 
secoli di viriude, e là si bea. 

« Però la mente tua, quando si cessa 
Dall'opre e dalle cure aspre del giorno. 
Ama, tutto tacendo a lei d'intorno. 
In quel silenzio ricercar sé stessa. 

E air azzurro sereno, al puro lume 
Degli astri intendi l' occhio lagrimoso, 
come augelletto dall' inferme piume 

' Appiè dell' arboscel del suo riposo. 

« 9uesi' ardito desio, vago, indistinto, 
È una parte di te, di te migliore, 
Che sdegnando dei sensi il laberfnto, 
Anela un filo a uscir di breve errore ; 
Come germe che innanzi primavera 
Deli' involucro suo tenta la scorza. 
Impaziente s'agita, e la vera 
sentita patria conseguir si sforza. 

» Però l' incresce il dolce aere e la terra 
Ch' ogni mortai vaghezza addietro lassa, 
E raro spunta dall'interna guerra 
Riso che sfiora il labbro e ai cor non passa. 

Gli aspetti di quaggiù perdon virtule 
Delie pensale cose al paragone, 
E Dio, centro di luce e di salute. 
Ne rlsospinge a eè con questo sprone. 

« Onde gì' inni di lode e il fiero scherno 
Che del vizio si fa ludibrio e scena, 
Muovon da occulta idea del bello eterno 
Come due rivi d' una stessa vena. 



Questo drizzar la Tela a ignota riva, 
Questo adirarsi d' una vita otcora 
E la lieta virtù cbe ne deriva, 
SOD larve, di lor vero arra e figura. • 

Ila quasi stretto da tenace freno 
Dire II labbro non pud quel cbe il cor tenie; 
E più dolce, più nobile, più pieno 
MI resta il mio concetto entro la niente. 

E gareggiando colla fantasia, 
Lo stile è vinto al paragon dell'ale, 
E suona all' intelletlo un'armonia 
Cbe non raggiunse mai corda mortale. 

Ab si lungo da noi, fuor della sfera 
Oltre la qual non- cerchia uman compasso, 
vive una vita che non è men vera 
Perchè comprender non si può qui basso. 

Cinta d' alto mistero arde una pura 
Fiammella in mar d' eterna luce accesa. 
Da questo corpo che le fa misura . 
variamente sentita, e non Intesa. 

come Entropio, che. l' antica mente 
Fingea Ninfa mutala in fior gentil^ 
Segue del sole il raggio onnipotente. 
Del sol che più tra gli astri è a Dio simile. 

Continuando la terrena via. 
Rivolta sempre al lume che sospira, ^ 
Seguirà, seguirà l' anima mia 
Questo laccio d' amor che a sé la tira. 

Ahi misero colui che circoscrive 
Sé di questi anni nel!' angusto giro, 
E tremante dell' ore fuggitive 
Tolge solo al passalo il suo sospiro i 

Principio e fine a noi d' ogni dimora 
Neil' esser, crede il feretro e la culla ; 
Simili a bolla cbe da morta gora 
Pullula un tratto e si risolve io nulla. 



L' INCORONAZIONE 

Al Re dei Re cbe schiavi ci conserva. 
Mantenga Dio Io stomaco e gli artigli . 
Di coronate volpi e di Conigli 

Minor caterva 



X J08 X . 

Inioroo a lui s' aggiornerai e le cbibme 
porgendo» grida al tOBalor sovrano : 
Noi toseremo di seconda mano, 

Babbo j lo luo nome, 
vedi i ginocchi insudiciar primiero 
Il savoiardo di rimorsi giallo, 
Quei che purgò di gloria un breve fallo 
Al Trocadero. 
O Carbonari» è il Duca vostro» è desso 
Che al palco e al duro carcere V ha traili ; 
Ei regalmente del ventuno i patti 

Mantiene adesso, 
colla clamide il suol dietro gli spazza 
li Lazzarone paladino infermo: 
Non volge V anno» in lui sentì Palermo 
La vecchia razza. 
Di tannarmi che fai» re Sacripante? 
Sfondar ti pensi il .cielo con un pugno? 
smetti» scimmia d' eroi; t'accasa il grugno 
Di Zoccolante. 
11 Toscano Morfeo vien lemme lemm«r 
Di papaveri cinto e di lattuga, 
Che per la smania d' eternarsi asciuga 
Tasche e Maremme, 
co' Tribunali e co' Catasti annaspa ; 
£ benché snervi i popoli col sonno. 
Quando si sogna d' imitare il nonno» 
Qualcosa raspa, 
sfacciatamente degradata torna 
Alle fischiate di si reo concorso» 
Lei che l'esilio consolò del Còrso 

D'austriache corna. 
Ilare in tanta serietà si mesce 
Di Lucca II protestante Don Giovanni, 
che non è nella lista de' tiranni 

Carne né pesce. 
Né il Reganlin di Modena vi manca» 
Che avendo a trono un guscio di castagna» 
Come se fosse il Conte di Culagna, 

Tra i Re s' imbranca. 
Roghi e mannaie macchinando» vuole 
con derise polemiche indigeste, 
Sguaiato Giosuè di casa d' Este, 

Fei^mare il sole. 



X *09X 
solo a Roma rtmao Papa Gregorio, 
Fatto zimbello delle genti ausonie. 
Il turbin dell' età^ nelle colonie 

Del Purgatorio^ 
Dell' indulgenze insterìll la zolla * 
Gbe già produsse It fior dello zecchino : 
Or la -bara infruttifera il becchino 
Neppur satolla. 
D' Arpie poi scese una diversa péste 
Nel santuario a dar 1' ultimo sacco : 

vendetta d' Iddio i pesta il Cosaoco 

di Pier la veste. 
O destinato a mantener vivace 
Dell' albero di Cristo il santo 8telo> 
La ricca povertà dell' Evangelo 

Riprendi in pace, 
strazi! altri il corpo; non voler tu l'alma 
calcarci a terra col tuo doppio giogo: 
se muor la speme che al di là del rogo 
S'affisa in calma, 
vedi sgomento ruioare al fondo 
D* ogni miseria 1' uom cb^ più non crede ; 
Ahi vedi in traccia di novella fede 

Smarrirsi il mondo. 
TU sotto l' ombra di modesti panni 

1 dubitanti miseri raccogli 

Prima a te slesso la maschera logli. 
Quindi ai tiranni, 
che se pur badi a vender 1* anatema, 
E il labbro accosti al vaso dei potenti. 
Ben altra voce alle affollate genti : 

« Quel diadema 
« Non è, non ^ (dirà) de' santi chiodi, 
« Come diffuse popolar delirio; 
« cristo l' armi non dà del suo martirio 
« Per tesser frodi. 
« Del vomere non è per cui rìsuooa 
« Alta la fama degli antichi Padri : 
«f È settentrlonal spada di ladri 

•* Tòrta in corona. 
<« O latin seme, a citi stai genuflesso 7 
« ^uel che ti schiaccia è di color l'eredi 
« È la catena che ti suona ai piede 

" Del ferro islesso. 



X ««2 X 

or tu ifida doreDll ìd uoa Dolte; 
E via portato da veloce ruota, 
sorridi a lui che lascia nelta mota 
Le scarpe rotte : 
Ed ei lieto risponde al tuo sorriso^ 
E P antica amistà sente nel seno 
Glie a le lo ravvicina, a te ctie almeno 
Lo guardi in viso, 
vedit passa e calpesU H Galateo 
Lindoro, amor d* inverniciate dame, 
E d' elegante anoninoo bestiame 
Tisico Orfeo. 
Eccolo: ognun si scansa, ognun trattiene 

L' alito, e schianta ansando dafìa tosse ; 
* E creste ali* aria e seggiole commosse.... 

Ei viene, ei viene. 
Svenevole s' inoltra e sdolcinato ; 
Gira, ciarla, s' inchina, e T occhio pesto 
Languidamente volge, e fa il modesto 
E lo svogliato. 
Pregato e ripregato, ecco sorride 
In atto di far grazia ai supplicanti ; 
I baffi arriccia in ju, si tira t guanti, 
E poi si asside. 
La giovinetta convulsa e sbiadita 
TréS'bien gorgoglia con squarrala. voce, 
Mentr' ei tartassa il cembalo, e veloce 
Mena le dita ; 
E nelle orecchie imbriacate muore 
Seraifrancese lambiccato gergo 
Di frollo Adoo che le improvvisa a tergo 
Frizzi d* amore. 
Piange intanto il filosofo imbecille, 
E dietro l' arte tua chiama sprecato 
L'oro che può lo stomaco aggrinzato 
Spianare a mille. 
Piange di Homagnosi, che colf ale 
Dell* atto ingegno a tanti andò di sopra ^ 
E i giorni estremi sostentò coli' opra 
D* un manovale. 
Pianto sguaiato, che dei mondo vecchio 
In noi 1' uggia trapianta e il malumore i 
Purché la pancia il cuoco, ed un tenore 
c> empia l' orecchio. 



0ne importa a noi del nobile ioteltetto 
Gbe per 1' utile oostro anela e stenta, 
Del Poeta ebe bela e ci sgomenta 

Con un sonetto t 
Dell' ugola il tesoro e dei registri 
Di noi stuccati gli sbadigli appaga : 
Torni Dante, tre paoli; a ie, la paga 
Di sei Ministri. 
Signori TU che alia pecora tosata 
Volgi in aprile il mese di gennaio, 
E secondo il mantel tarpi a rovaio 
L' ala gelata, 
salva 1' educatrice arte del canto ; 
A te gridano i palchi e la platea: 
MUerere, Signor, d' una trachea 

Che costa laoio. 
Anzi del cranio rattrappiti e monchi 
Grli organi lascia che non danno pane, 
E la poca virtù che vi rimane 

Gali ne' bronchi. 
S' usa educar, lo so, ma è pur corbello. 
Bimbi, chi spende per tenervi a scuola ( 
Gola e orecchi ci vuole, orecchi e gola ; 
Péste al cervello I 



GLI UMANITARI 



ECCO il Genio Umanitario 
Che del mondo stazionario 
Unge le carrucole. 
per finir la vecchia lite 
Tra noi, bestie incivilite 
sempre un po'selvatiche, 
coli' idea d' essere Orfeo 
vuol mestare in un cibreo 
L' universo e retiqua. 
Al ronzio di quella lira 
ci uniremo; gira gira. 
Tutti in un gomitolo. 

varietà d'usi e di clima 
Le 9on fisime di prima ; 
È mutata l'aria. 



I deserti, i monti, i mari, 
Son confini da Lunari, 
Sogni di geografi. 
Gol vapore e coi palloni 
Troveremo gli scorcioni 
Anco nelle nuvole : 
Ogni tanto, se ci pare. 
Scapperemo a desinare 
Sotto, qui agli Antipodi; 
E ne' gemini emisferi 
Ci uniremo bianchi e neri : 
Bene i che bei posteri i 

Nascerà di cani e gatti 
Una razza di Mulatti 

Proprio in corpo e in anima. 
8 



X*ux 



La scacchiera d' Arleocbioo 
sarà il Doslro figurino. 
Simbolo dell' iodole. 
(Già per questo il Gran Sultano 
Fé la giubba al Mussulmano 
A coda di rondine 1) 
Boi gabbione dì fratelli t 
Dì tirarci pe' capelli 

smetteremo all' ultimo, 
sarà inutile il cannone ; 
Morirem d' indigestione. 
Anzi di nullaggine. 
La fiaccona generale 
Per la storia universale 
Farà molto comodo. 

10 non so se ii regno umano 
Deve aver Papa e Sovrano; 

Ma se ci hanno a essere, 

11 Monarca sarà probo 

E discreto: un re del globo 
saprà star ne' limiti. 
Ed il capo della Fede? 
consoliamoci si crede 
Che sarà Cattolico. 
Finirà, se Dio vuole, 
Questa guerra di parole, 
Guerra da pettegoli. 
Finirà: sarà parlala 
Una lingua mescolata. 
Tutta frasi aeree; 
E già già da certi tali 
Nei poemi e nei giornali 
Si comincia a scrivere. 
Il puntiglio discortese 
Di tener dal suo paese. 
Sparirà tra gli uomini. 

Lo chez'twus à* un vagabondo 
vorrà dire in questo mondo, 
Non a casa al diavolo, 



Tu^ gelosa ipocondria, 
che m' inchiodi a casa mia, 
Esdrol dal fegato; 
E tu pur chetati, o Musa, 
Che mi secebi colla scusa 
Dell' amor di Patria. 
Son flgliuol dell' universo, 
E mi sembra tempo perso 
Scriver per l'Italia. 
Cari miei concittadini, 
Non prendiamo per confini 
L' Alpi e la Sicilia. 
S' ha da star qui rattrappiti 
Sul lerren che ci ba nutriti? 
O che siamo cavoli ? 
Qua o là nascere adesso, 
Figuratevi, è lo stesso : 
Io mi credo Taruro. 
Perchè far razza tra noi ? 
Non è scrupolo da voi : 
Abbracciamo i Barbari 
un pensier cosmopolita 
Ci molUplichi la vita» 
E ci slarghi il cranio- 
li cuor nostro accartocciato. 
Nel sentirsi dilatato, 
cesserà di battere. 
Così sia : certe battute 
Fanno male alla salute ; 
Ci è da dare io tisico. 
Su venite, io sto per uno ; 
Son di tutti e di nessuno ; 
Non mi vo' confondere. 
Nella gran cittadinanza. 
Picchia e mena, ho la speranza 
Di veder le scimmie. 

Sì sì, lutto un zibaldone : 
Alla barba di Platone 
Ecco la Repubblica l 



A GIROLAMO TOMMASI 
«WGIHB DB GLI 9CBBBZI 

Girolamo, il mestier facile e piano 
Che gì' iDsegnò Datura ognun rinnega, 
E vuol nei ferri deli» altrui bottega 
Spellar la mano. 
Ognuno in gergo a scrìvaccbiar s' è messo 
sogni accattali, affetti che non sente. 
Settario adulator della corrente, 
, ^ O di sé slesso. 

Io due scuole vaneggia il popol dotto: 

La vecchia, al vero il tortoo occhio rifiuta ; 
La nuova, il letterario abito mula 

Come il panciotto. 
Di qua, cervel digiuno io una lesta 
Di sloppa enciclopedica imbottila, 
D' uscir del guscio e d' ingollar la vita 
Furia indigesta: 
calvo Apollo di là trotta alla 2uffa 
Sul Pegaso arrembato e co* frasconi: 
copre liuti e cetre e colascioni 

Vernice o muffa. 
Aggiungi a questo un tirar giù di lerci 
Sonniferi che il torchio transalpino 
Vomita addosso a noi, del Plgurino. 
Bastardi guerci ; 
E tosto intenderai come dal verme 
Di bavose letture allumacaio. 
Del genio paesano appena nato 

Raggrinza il germe, 
Mon tutti II vento forestiero intasa; 
V* ha chi bee le native aure vitali : 
Ma non è già chi spolvera scaffali 

Tappalo in casa; 
E sol perche di Cronache e Leggende 
E di scene cucite un sudiciume. 
Per carestia, per noia e per costume 
SI compra e vende, 
Ponsa e «'allenta in puerii conato 
Di storia o d'Epopea, tisico a tanio, 
O Botto il peso di tragico manto 
Casca sfilato ; 



V H6 V. 

o briaco di sé sfiapsa la genie, 
E per il lago del cervello oscure 
peicando nel passato e nel futuro 

Perde 11 presente : 
Ma quei cui non (ano' ombra all'iatellett» 
La paga, il bpia e gii altri spauracchi; 
che si misura sens'alz«re i tacchi 

coi suo subieito ; 
Che benedice alla pativa aolla, 
Né baratta sapore o si tiep basso; 
Se, Dio volendo, invece d'ananasso 
Nacque cipolla, 
varian le braccia in noi, varia l' ingegno 
A diversi bisogni aooomodato : 
E irono e forca e seggiola e éteccato 

Non fai d' un legno. 
Toramasi, l'umor mio tra mesto e lieto 
Sgorga in versi balzani e semiseri; 
Né so piallar la crosta ai miei pensieri. 
Né so star cheto. 
Anch'io sbagliai me stesso, e nei bollore 
Degli anni feci il bravo e l' ispiralo, 
E pagando al Petrarca il noviziato 
Belai d'amore; 
Ma una voce segreta ogni momento. 
Giù dai fondacci della cosdtenza, 
Mi brontolava in tutta confidenza : 

m Mula slrumento. 
» Perchè (eroi mostrar la tua figura, 
« se nella giubba altrui non V hai contratta ? 
« Dell'ombra propria, come l)esiia malia, 
m Ti fai paura. 
*• I tuoi concelti, per tradur te stesso, 
« Rendi svisali nel prisma dell' arte, 
u E di secondo lume in sulle carte 
u Torbo reOesso. 
<« L' indole tua così falsificando, 
« se fai d'alchimia intonaco alla pelle, 
« del tempo passerai dalle gabelle 

M Di contrabbando? 
<< Scimmia, se gabberai le genti grosse, 
M Temi l» orecchio spalancalo al vero 
« Ch€ ne' tuoi sforzi dell'inno guerriero 
» Sente 1» tosse. 



X "T X 
« €hi nacque al passo, e cbi nacque alla fuga : 
« Invano invano a volgere il molino 
<« sforzi la zebra, o a foni li procaccino 
« La tartaruga. 
« Lascia la tromba e il flauto al polmone 
I* Di chi c'è nato, o se Tè fitto in testa ; 
<i TU de' pagliacci all' odierna festa 

« Fisctiia il trescone. » 
£d ecco a rompicollo e di sghimbescio 
svanir le larve della fantasia, 
E il medaglione dell' ipocrisia 

volto a rovescio* 
come preso ali' amor d' una devota. 
Se casca il velo rabeschilo in coro, 
vedi l' idolo tuo creduto d' oro 

Farsi di mota. 
Veggo un Michel di Landò, un Masaniello 
Bere al fiasco di Giuda e perder V erre ; 
Bruto Commendatore, e Robespierre 
Frate e Bargello. 
Mirare a tutto e non avere un segno ; 
Superbia in riga d' Angelo Custode; 
con convulsa agonia d' oro e di lode 
Spennalo ingegno ; 
Vo palleggiar di lodi inverecondo ; 
Atei-Salmisti, Tirici eoli' affanno 
E le grinze nel core a ventunanno. 

Lordare il mondo. 
Restai di sasso ^ barattare il viso 
volli e celare l tratti di famiglia : 
Ma poi r ira, il dolor, la maraviglia 
Si sciolse in riso; 
Ah, in riso che non passa alia midolla ! 
E mi sento simile al saltambanco, 
che muor di fame, e In vista ilare e franco 
Traltien la folla. 
Beato me, se mal potrò la mente 
Posar quieta in più sereni obietti, 
E sparger fiori e ricambiare affetti 
soavemente. 
Cessi il mercato reo, cessi la frode, 
sola cagion di spregio e dì rampogna ; 
E II cor rifiuta di comun vergogna 
Misera lode- 



X ««X 
Ma fino a Unto che ci sU sul collo, 
sorga air infamia dalla nostra voce» 
Di scberoo armata e libero e feroce, 
protesta e bollo, 
come se corri per le gallerie 
vedi in confuso un barbaglio di quadri, 
così falsi profeti o bali ladri, 

Màrliri spie. 
Mercanti e tnrri in barba liberale. 
Mi frullan per la testa a schiera a schiera : 
Tommasi, mi ci par I* ultima sera 
Di carnevale. 
Ecco i miei personaggi, ecco le scene, 
E degli scherzi la sorgente prima : 
se poi m' è dato d' Infilar la rima 
O male, o bene. 
Scrivo per me, scemandomi la noia 
Di questa vita grulla e inconcludente. 
Torpido per natura, e impaziente 
D' ogni pastoia. 
Chi mira ai fumo, o a quello che si conia. 
Dalle gazzette insegnamenti attinga, 
E là si stroppi li cranio, o nella stringa 
Del De Colonia, 
centoni, Fantasie scriva a giornata ; 
Venda la bile, il Credo e la parola. 
Mentre gli pianta il compilo alla gola 
Libraio Pirata, 
Che avaro e buono a nulla, esige mondi 
Da te che mostri un'oncia di valore; 
E co' romanzi galvanizza il core 

De' vagabondi, 
io no: non porterò di Tizio o Caio 
Oltramontane o arcadiche livree. 
Me per lisciarle affogherò i' idee 
Nel calamio. 
Non sarò vislo volontario eunuco 
Recidermi il cervel, perch' io disperi 
La firma d* un Real Castrapensieri 

Birbone e ciuco. 
Se posso, al foglio non darò rimate 
Frasi di spugna, o copie o ipocrisie ; 
Né per censura pubblica le mie 
Stizze private. 



X <w X 
Ma scrivendo là là quando mi pare 
Sulle farse vedute a tempo mio, 
Qualcosa annasperò, se piace a Dio, 
Nel mio volgare. 
Laudato sempre sia chi nella bara 
Dal mondo se ne va col suo vestito: 
Muoia pur bestia ; se non ba mentito, 
Cbe bestia raral 

ALL' AMICO 

Nella Primavera del 4841 

Già prevenendo il tempo> al colle aprico 

Il mandorlo è fiorilo, 

A te simile, o giovinetto amico, 

Che impaziente al periglioso invito 

Corri delia beltade. 

Coi primi passi della prima etade. 
Godi Roberto mio godi nei riso 

Breve di giovinezza : 

E se il raggio vedrai d' un caro viso 

Che li cor l'inondi di mesta dolcezza ^ 

Apri l' ingenuo petto 

Alla soavità d' un primo affetto. 
Possa la donna tua farli bealo 

Coi lieti occhi amorosi ; 

À le fidala consigliera allato 

in atto di benigno Angelo posi 

E nell'amor ti sia 

Come perpetuo lume in dubbia via ; 
Non II seduca dei vani diletti 

La scena ailettalrice ; 

Leggier desìo diviso in molti obietti 

Ti prostra l' alma e non li fa felice ; 

Sente bennato cuore 

Fiorir gioia e virlù d' un solo amore. 

Soave cosa un' adorala immago 
Sempre vedersi innante, 
E serenare in lei l' animo pago. 
In lei bearsi riamato amante, 
E di sé neli' oblio 
Viver per altri io uo gentil desio. 



X *9»X 
oh ! mi Bovvieoe an tempo a cui sospiro 

sempre dal eor profondo : 

Or che degli anni miei declina il giro 

E agli occbl stanchi si scolora il mondo^ 

Passa la mia giornata 

Dalla stella d' amor non consolala. 
Pure a quel tempo ripensando, parrai 

Gustar di quella pace 

£ alle speranze antiche abbandonarmi. 

Così se cessa il canto e r arpa tace, 

senti per V aere ancora 

vagare e nK>rmorar l'onda Sonora. 
Non farò come quei che al pellegrino 

Fonti e riposi addila. 

Tacendo i mali e i dubbi del cammino : 

Forse da cara mano a te la vi la, 

Di basse frodi Ignaro, 

sarà cosparsa di veleno amaro. 
Sgomento grave al cor ti senHrai 

Quando svanire intorno 

vedrai l' auree speranze e i sogni gai -, 

Quando agi' idoli tuoi cadranno un giorno 

Le bende luminose 

che la tua mano islessa a lor compose. 
Nel tuo pensiero di dolor confuso 

con inquieta piuma 

volgendosi e gemendo amor deluso, 

Qual dell' aere che intorno a sé consuma 

s' alimenta la fiamma. 

Ti struggerà la vita a dramma a dramma. 
Ma che? se di viltà non ti rampogna 

Rea coscienza oscura. 

Lascia dar lode altrui della menzogna. 

seduto io dignità nella sventura 

sprezza i superbi ingrati 

Che nome hanno d' accorti e di beali . 

Tu nel dolore interroga te stesso 
Conoe in sicuro speglio; 
Fortificando, il mite animo oppresso 
Per via d' affanni li conduci al meglio, 
E con fronte serena 
I carnefici tuoi conturba e frena. 



Risorgerai dalle pugne segrete 
Del core e della meo le 
Saggio e composto a nobile quiete, 
vedi? passò la bruma, e alla tepeote 
Feconda aura d* aprile 
Ti dà l'acuta spina un fior gentile. 
hk CHIOCCIOLA 



viva la Gbiocciola, 
viva una bestia • 
Cbe unisce il merito 
Alla modestia. 
Essa all' astronomo 
E all' architetto 
Forse nell' animo 
Destò il coneeilo 
Del canocchiale 
E delle scale : 

Viva la Chiocciola 
caro animale. 

conlenta ai comodi 
Che Dio le fece, 
Può dirai il Diogene 
Della sua spece. 
Per prender aria 
Non passa V uscio ; 
Nelle abitudini 
Del proprio guscio 
sta persuasa, 
E non intasa: 

Viva la Chiocciola 
Bestia da casa. 

Di cibi estranei 
Acre prurito 
Svegli uno stomaco 
senza appetito: 
Essa sentendosi 
Bene in arnese. 
Ha gusto a rodere 
Del suo paese 
Tranquillamente 
L' erba nascente : 
viva la Chiocciola 
Bestia astinente. 



Nessun procedere 
sa colle buone, 
E più d' un asino 
Fa da leone. 
Essa al contrario. 
Bestia com' è. 
Tira a proposilo 
Le corna a sé. 
Non fa l'audace 
Ma frigge e tace : 
Viva la Chiocciola 
Bestia di pace. 
Natura, varia 
Ne' suoi portenti. 
La privilegia 
sopra i viventi. 
Perchè (carnefici 
Sentite questa) 
Le fa rinascere 
Per6n la testa; 
cosa mirabile 
Ma indubitabile 

Viva la Chiocciola 
Bestia invidiabile. 
Gufi dottissimi. 
Che predicate 
E al vostro simile 
Nulla insegnate, 
E voi, girovaghi. 
Ghiotti, scapati. 
Padroni Idrofobi, 
servi arrembati. 
Prego a cantare 
V intercalare : 

Viva la Chioocioto 
Bestia esemplare 



IL BALLO 



P ABTB PR 1 MA 



la una Slorica 

casa afiBiaia 

Da certi posteri 

Di Farinata, 
A scelto e splendido 

Ballo e' invita 

CMiosca, gotica 

Beltà sbiadita. 
GooQie per magico 

Vetro all'oscuro. 

Folletti e dìavoH 

Passar sul muro. 
Maravigliandosi, 

vede il villano 

Che corre al cerartelo 

Del ciarlatano; 
Tali per l' intime 

Stanze in confuso, 

Cento s'affollano 

Sporgendo il muso. 
Baroni, Principe, 

Ducili Eocelleoze, 

E inchini strisciano 

E reverenze. 
Un servo i ciondoli 

Tieo d' occhio, e al eentro 

Le borie anticipa 

Di chi vien dentro. 
Fra tanti titoli 

Nudo il mio nome. 

Strazia inarmonico 

Gli orecchi, come 
In una musica 

solenne e grave. 

Un corno, un òboe 

Fuori di chiave, 
con un olimpico 

Cenno di tesla^ 

La tozza e burbera 

Dea della fesu> 



Benedicendoci 

Dai suo divano. 

C'insacca al circolo 

A mano mano. 
In brevi, rauchi. 

Scipiti accenti. 

Pagato il dazio 

De' complimenti^ 
Stretto per l' andito 

Sfila il bon ton ; 

Si stroppia, e brontola 

ParUon, pardon, 
O quadri e statue, 

O sante travi, 

Che del vernacolo 

Rozzo degli avi 
Per cinque secoli 

Nauseate, 

Coli' appigionati 

Vi compensate. 
Soffrile l' alito 

D'un paesano 

Che per buaggine 

Parla italiano. 
Là là inoltrandomi 

Pigiato e lardo, 

Fra ciuffi e rìccioli 

M' allungo, e guardo , 
Ove mefitici 

Miasmi esala 

Una caldaia 

Chiamata sala. 
Come, per muoversi 

D' occulto ingegno. 

Girano e saltano 

Gruppi di legno 
Su questi ninnoli 

Della Germania, 

Così parevano 

Presi alla pania ; 



x<«x 



Goti scatlavaoo 
Duri, impiccali. 
Fantasmi e scheleiri 
inamidati. 

Ivi 000 gioia. 
Non allegria. 
Ma etegaotìMima 
Musoneria ; 

Turate l'anime 
Slargati i pori 
A «norti brividi 
Di flosci amori ; 

Gergo di stilica 
Boria decente, 
ciarik) continuo 
Che dice niente. 

Ecco si rompono 
Partite e danze: 
S' urta, precipita 
Neil' altre stanze 



La folla, e assaltano 
Dame e Signori 
Bottiglie, intingoli 
E servitori. 

Per tutto un jcbiedere 
Per tutto un dare. 
Slappare, mescere, 
E ristappare; 

Un moto, un vortice 
Di mani impronte, 
E piatti e tavole 
Tutte in un monte. 

Oltre lo stomaco. 
Da quella cena 
Molti riportano 
La tasca piena, 

E nel disordine, 
Nel gran viavai. 
Spesso ci scappano 
Anco i cucchiai. 



PARTS SECONDA 



Li tra le giovani 
Nuore slombate 
E tra le suocere 
Rintonacale; 

Tra diploroaiìche 
Giubbe a rabesclti, 
E croci e dondoli 
Ciarlataneschi ; 

Veggo l' antitesi 
Di quattro o sei 
Eierogenei 
Grugni plebei. 

A me che ho reproba 
La fantasia 
Per democratica 
Monomania, 

Piacque lo scandalo 
Dei dommi infranti 
In quel blasonico 
santo dei Santi; 



'Ma poi ficcandomi 
Là tra le spinte, 
Mi stomacarono 
Tre laide grinte. 

Una è crisalide 
D' un quondam frate : 
Oggi per celi:» 
Si chiama abate, 

Ma non ha cberica, 
Non ha collare; 
Devoto al pentolo 
Più che all' alUre 

Caro ai gastronomi 
Per dotta fame. 
Temuto e celebre 
Per fama infame. 

Narrando cronache 
E faitarelli, 
Magagne e debili 
Di questi e quelli. 



X 424 >• 



Compra se biasima, 
vende se loda, 
E per salario 
Lecca la broda. 

Gratificandosi 
Fanciulle e spose 
Gioca per comodo ; 
E mamme uggiose 

E paralìiici 
irchi divaga: 
Ruba, fa ridere, ' 
Perde e non paga. 

E l'altro un nobile 
Tinto d' ieri. 
Re cristianissimo 
Dei re banchieri. 

Scansando il facile 
Prete e la scure, 
Già dilettavasi 
Di basse usure ; 

Oggi sollecito 
D» illustri prese. 
Sdegnando P obolo 
camaldolese. 

Nel nobtl etere 
sorse veloce, 
E al paretaio 
Piantò la croce. 

come putredine 
Che lenta lenta 
strugge il cadavere 
Che l' alimenta, 

E propagandosi 
Dai corpi infermi 
Par che nel rodere 
S» attacchi ai vermi ; 

cosi la rancida 
Muffa Patricia, 
Da illustri costole 
Senza camicia 

Spìnte dar debito 
Allo spedale, 
S' attacca all' ordine 
"^ella cambiale; 



E già ripopola 
corti e casini 
una colDDìa 
Di scortichini. 

Di quei Lustrìssimi 
L' odio sommesso 
LO scansa e iochinast 
Nel tempo istesso. 
Ed ei burlandosi 
D'odii e d'onori, 
conta e girondola 
Tra i debitori. 

Il terzo è un profugo, 
Perseguitato 
Peggio d' un utile 
Libro, stampalo 

senza le barbare 
Al birre e al clero 
Gabelle e decime 
sopra il pensiero. 

Ferito a Rimini, 
Quest'infelice 
scappò dì carcere 
(Alraen lo dice) j 

Errò fameiico, 
Strappato ed egro ; 
Si sogna il boia. 
Ma dorme allegro. 

O della patria 
Sinceri figli. 
Degni d' un secolo 
Che non. sbadigli 1 

con voi magnanimi 
Non entri in lega 
Chi del patibolo 
Si fa bottega. 

come Alcibiade 
Variando norme, 
Questo girovago 
Proteiforme, 

- Trasfigurandosi 
Tende la rete: 
A Londra è un esule, 
A Roma é prete. 



Briaco a tavola 
Co* ciacnbeliaoi 
Ai Re fa brindìBi 
Oggi; domani 



438 



vien meco, e recila 
O Jialia.miai 
Le birbe inventano 
Cile fa la tpia. 



PARTE TERZA 



Ad una tisica 
Larva sdentala, 
Ritinto giovane 
Di veoetaia dala, 
Che slava in bilico 
Biasciando In messo» 
Di quel miacaglio 
Mostrai ribrezzo. 
Oggi che a miseri 
Nomi ha giovato 
La trascuraggine 
Del tempo andato; 

E si perpetua 
Ogni genia 
Per gran delirio 
D' epigrafia ; 

Mi scusi l' epoca . 
Se anch' io m' induco 
Al panegirico 
Di questo, ciuco. 

Nacque anni domini 
Ricco e quartato ; 
Morto di noia 
Dov'era nato. 

Per cootrostimolo 
Corse oltremonte -. 
Di là^ versatile 
camaleonte. 

Tornò mirabile 
Di pellegrini 
Colori, e al solito 
Fini i quattrini. 

E adesso ai Tartari 
cresi cacito. 
Ombra patrizia 
Tutta appetito. 



Rtpappa gli utili 

Nel piatto altrui 

Del patrimonio 

Pappato a lui. 
costui negli abiti 

strizzato e monco. 

Si slira, 8'agl(a« 

si volta in tronco 
E con ironica 

Grazia scortese. 

Nel suo frasario 

Mezzo fraaeese. 
Disse : — eh goffaggini t 

state a vedere, 

E divertitevi: 

Gol forestiere 
Che spende, e io seguir'^ 

ci rece addosso. 

Bisogna mungere 

E bever grosso. 
Po' poi le nenie 

Messe da banda, 

cos'è l'Italia 7 

E una Locanda. 
L' oste non s' occupa 

Di far confronti; 

I galantuomini 

Gli tasta ai conti: 
E fama, credito. 

Onore Insomma, 

Son cose elastiche 

Come la gomma. 
Cerio le topiche 

zucche alla grossr 

col mal di patria 

Fitto nell'ossa; 



■ **6X 



Un malinooolcDy 

Legato al fare 

fi alfa grammaiica 

Della comare, 
vi cita il Genio^ 

L' Arti la Storia . . . 

Tutti cadaveri 

Buona memoria, 
lo tiro all'ostriche, 

Né mi confondo. 

Sapete il conio 

che corre al mondo T 
Franchezza, spirito, 

E tirar via : 

il resto, è classica 

Pedanteria. — 
lo, che spessissimo 

Mi fo melare 

Per vizio inutile 

Di predicare, 
Punto nel tenero, 

Risposi: — è vero, 

Questo è l' ergastolo' 

Del globo intero. 
Se togli un numero 

Di pochi onesti 

Che vanno e vengono 

Senza pretesti. 
Nella Penisola 

Tira a sboccare 

Continuo vomito 

D'alpe e di mare. 



Piovono e comprano 
Gli ossequi istessi 
Banditi anonimi. 
Serve e Re smessi, 

A cui confondersi 
col canagliume. 
Non è che un cambio 
Di sudiciume. 

A questa laida 
Orda e marame 
Di Conti aerei. 
D'ambigue dame, 

irte d' esotica 
Prosopopea, 
Noi vili e stupidi 
Facciam platea, 

E un nome vandalo 
In offo o in iffe. 
ci compra l'anima 
con un rosbifle. — 

Eh via, son fisime 
Di testa astratta. 
Riprese il martire 
Della cravatta; 

Son frasi itteriche 
Del pregiudizio: 
Bella 1 ha gli scrupoli! 
Ohi addio novizio. — 

E presa l'aria 
Dell' uomo avvezzo, 
Andelle a bevere 
Tulio d'un pezzo. 



LE MEMORIE DI FISA 



Sempre nell' anima 
Mi sia quel giorno 
che con un nuvolo 
D' amici intorno, 
D' Eccellentìssimo 
Compr.ii divisa, 
K malinconico 
Lasciai di Pisa 
La baraonda 
Tanto gioconda. 



Entrai nell' Ussero 
stanco, affollato, 
E a venti 1' ultimo 
caffè pagato. 
Saldai sei paoli 
D' un vecchio conto, 
E poi sul trespolo 
Li fuori pronto, 
Partii col muso 
Basso e confuso. 



X <«i y 



Quattro anni io lìbera 

Gioja volali 

col senno Ingenito 

Agli scapati 1 

sepolti i soliti 

Libri in un canto^ 

S' apre, si compila 

E piace tanto 

Di prima uscita 

Quel della vita i 
Bevi lo scibile 

Tomo per tomo, 

Sarai chiarissimo 

Senz'esser uomo. 

se in casa eserciti 

soltanto il passo, 

Quand' esci sdruccioli 

Sul primo sasso. 

Dal fare al dire 

Oh v' è che ire ! 
scusate, io venero 

se ci s' impara, 

Tanto la cattedra 

Che la bambara; 

Se fa conoscere 

Le vie del mondo. 

Oh buono un briciolo 

Di vagabondo, 

Oh che sapienza 

La negligenza 1 
E poi queli' abito 

Roso e scucito ; 

Quei tu alia Quacchera 

Di primo acchito 

virtù di vergine 

Labbro io quegli anni, 

Che poi stuprandosi 

Co' disinganni. 

Mentisce armato 

D' un tei gelato. 
in questo secolo 

Vano e banchiere 

Che più dell' essere 

conta il parere. 



Quel gusto cinico 
Che ayea ciascuno 
Di farsi povero, 
Trito e digiuno 
Senza vergogna. 
Chi se lo sogna ? 

O giorni, o placide 
Sere sfumate 
m risa, in celie 
Continuate i 
Che prò, che gioia 
Reca una vita 
D'epoca in epoca 
Non mai mentita l 
Sempre i cervelli 
come 1 capelli i ■ 

Spesso d' un Socrate 
Adolescente, 
N' esce un decrepito 
Birba o demente : 
Da sano, è ascetico, 
Coi romatismi 
pretende a salirò. 
Che anacronismi i 
Dal farle tardi 
Cristo ti guardi. 

Ceda lo studio 
All'allegria 
Come alla pratica 
La teoria ; 
O al più s' alternino 
Libri e mattie 
senza le stupide. 
Vigliaccherie 
Di certi duri 
Ghiotti e figuri. 
Col capo in cembali 
Chi pensa al modo 
Di farsi credito 
col grugno sodo ? 
Via dalle viscere 
L' avaro scirro 
Di vender P anima. 
Di darsi al bìrro. 



Ì9» 



Di far la robba 
,A suoo di gobba. 

Ma il punch il sigaro, 
Qualche altro sfogo, 
Udo sproposito 
A tempo e iuogo; 
Beccarsi io quindici 
Giorni V esame. 
In barba all'etite 
Servitorame 
Degli sgobboni 
ciuchi e birboni; 

Ecco, o purissimi. 
Le colpe, i fasti. 
Dei messi all' indice 
Per capì guasti 
La scapataggine 
È un gran criterio 
Quando una maschera 
Di bimbo serio. 
Pianta gli scaltri 
sul collo agli altri. 

Quanta letizia 
Ravviva in mente 
Quella marmorea 
Torre pendente, 



Se rivedendola 
Moit' anni appresso. 
Puoi compiacendoti 
Dire a te slesso : 
Non ho piegalo 
Né pencolato i 

Tali che vissero 
Fuor del bagordo, 
E che ci tesero 
L'orecchio ingordo, 
Quando burlandoci 
Dei due Diritti 
Senza riflettere 
punto ai Rescritti, 
Cantammo i cori 
De* tre colori ; 

Adesso sbraciano 
GonG e riunti. 
Ma in bieca e itterica 
Vita defunti. 
E noi (clie discoli 
senza giudizio 1 ) 
Siam qui tra i reprobi 
Fuor di servizio, 
Sempre sereni 
E capi ameni. 



A quelli il popolo 
Che teme un morso, 
Fa largo e subito 
Muta discorso 
A noi repubblica 
Di lieto umore. 
Tutti spalancano 
Le braccia e il cuore ; 
A conti Falli 
Beali i malli I 



rLA TERRA DEI MQRTI 



A noi larve d' Italia 
Mummie dalla matrice, 
È becchino la balia 
Anzi la levatrice; 
Con noi sciupa il Priore 
L' acqua battesimale, 

' E quando si rimuore 
ci ruba il funerale. 

Eccoci qui confitti 
coli' efiìgie d' Adamo, 
Si par di carne e siamo 
costole e stinchi ritti. 
O anime ingannate, 
Che ci fate quassù? 
Rassegnatevi, andate 
Nel numero dei più, 

Ah d' una gente morta 
Non si giova la Storiai 
Di Libertà, di Gloria, 
Scheletri, che v'importa? 
A che serve un' esequie 
Di ghirlande o di torsi ? 
Brontoliamoci un requie 
senza tanti discorsi. 

Ecco, su tutti i punti 
Della tomba funesta 
vagar di testa in testa 
Ai miseri defunti 
11 pensiero abbrunato 
D' un panno mortuario, 
L' artistico, il togato, 
Il regno letterario. 

È tutto una moria 
Niccolini è spedito, 
Manzoni è seppellito 
Co' morti in libreria. 
E tu giunto a compieta 
Lorenzo, come mai 
infondi nella creta 
La vita che non hai? 



Cos' era Romagnosi ? 
un' ombra cbe pensava 
E i vivi sgomentava 
Dagli eterni riposi , 
Per morto era una cima. 
Ma per vìvo era corto , 
Difatto dopo morto 
E più vivo di prima. 

Dei morti nuovi e vecchi 
L' eredità giacenti 
Arricchiron parecchi 
m terra di viventi, 
campando in buona fede 
Sull'asse ereditario. 
Lo scrupoloso erede 
Ci fa l'anniversario. 

con che forza si campa 
In quelle parti lai 
La gran vitalità 
Si vede dalla stampa, 
scrivi, scrivi e riscrivi. 
Que' Geni moriranno 
Dodici volte l'anno 
E son li sempre vivi. 

O voi genti piovute 
Di ià dai vivi, dite. 
Con che faccia venite 
Tra i morti per salute ? 
Sentile, o prima o poi 
Quesi' aria vi fa male, 
<^uesl' aria anco per voi 
E un^ aria sepolcrale. 

O frati soprastanti, 
O birri inquisitori. 
Posate di censori 
Le forbici ignoranti 
Proprio de'morti, o ciuchi 
È il ben dell'intelletto. 
Perchè volerci eunuchi 
Anco nel cataletto ? 

9 



FcrdK o i 

E s'oBgOQO a 4 
Le nordicte kantteT 
Gooiei gnir d i i r i i 
eoa lanlagelosaT 
suHfiaie aoaioan 
Che il dlnolD vi porti; 
Ma il libro di aaiwa 
uà l'entrala e Futdta, 
Tocca a loro la vìu 
E a noi la sepokara. 
E poi se lo 4 



lafoosa^ 




me il soie 
E fi da ionia a Tento: 
Le rose, le viole, 
1 panpaai, gli olivi^ 
SOD SiiBboli di piaoio 
Oli die bd ramponali to 
Da fwe lovidia ai vivi ! 
radaverì, alle corte 



Gioo, ermmo grandi 
E là ooo erao nati. 
O mura dnadioe 
Sepolcri maestosi. 
Fin le vostre ruìne 
Sono un* apoteosi 

IL 
se ti dà l'animo 
D* andar pei chiostri 
Cantando i tumuli 
Degli avi nostri, 
vedrai F immagine 
DI quattro o sei. 
Chiusi per grazia 
MC Mausolei. 
Oggi cMosaoca 
La carne a macca : 
m laide maschere 
Fidia si stracca. 
Largo ai pettegoli 
Nani pomposi 
Che si scialacquano 
L'apoteosi. 
Non crepa un asìoo 
che sia padrone 
D'andare al diavolo 
Senza iscrizione: 
Dietro l'avello 
Di Macchiavello 
Dorme lo scheletro 
'3i Slcnlerello. 



E vediam questa morte 
Dov'anderà a cascare. 
Tra i salmi dell' uffizio 
C é anco il DUs irae : 
O che non ha a venire 
Il giorno del giodizioT 
MEMENTOMO 

commercio libero : 
suoni il quathrino, 
E poi s'avvallano 
Chiesa e Casino, 
si cola il merito 
A tutto staccio; 
Galloni e Panteon 
Sei Grazie il braccio, 
scappa di Domo 
un pover'omo 
Che sente i brividi 
Di galantoroo, 
O mangiamoccoli, 
Ct)e a fare un Santo 
Date ad intendere 
Di starci tanto 1 
E poi nell'aula 
Devota al salmo 
L' infamia sdraiasi 
Di palmo io palmo t 
Ah l' aspersorio 
Per un mortorio 
Slarga al postribolo 
Anco il ciborio I 



Kì 



iLa bara, dioooo, 
ci porta al vero : 
Oh ^, fidatevi • 
D'un CHnitcrot 
Ud giorno i posteri 
eoo labbra pie 
Biasdando il lastrico 
DeRe bugie. 
Diranno : ob gli avi 
Com' eran bravi 1 
Ctie spose ingenue, 
che babbi savi i 
Un dotto, tranteat^ 
Ma no' sceelleoaa 
Tapparlo a povero, 
certo è indecenza t 
Ribolla in lurida 
Fogna plebea 
Del basso popolo 
La fricassea , 
spalanca, o Morte, 
Vetrate e porte : 
Aria a un cadavere 
Che andava a corte. 



così la postuma 
Boria si placa : 
E molti a immagine 
Della lumaca, 
Dietro si lasciano 
Sul pavimento 
impura striscia, 
che pare argento. 

Ecco gli eroi 

FaMi per voi, 

Che a suon dichiacebere 

Gabbate il poi 
Ma dall' elogio 
Chi t'assicura, 
O nato a vivere 
Seoxa impostura t 
Morto, e al biografo 
cascato in mano, 
Nell'asma funebre 
D'un ciarlatano 

Menti costretto.. 

E a tuo dispetto 

Imbrogli il pubblico 

Dal cataletto. 



Perdio, la lapida 
Mi fa spavento i 
Yo' fare un lascito 
Nel testamento 
D'andar tra' cavoli 
Senza il qui giace 
Lasciale il prossimo 
Marcire in pace, 

O parolai, 

O Eplgrafaì^ 

O vendi-Iacrime, 

Sciupa-solaì. 

IL RE TRAVICELLO 



Al Re Travicello 
Piovuto ai ranocchi. 
Mi levo il cappello 
"E piego i ginocchi ; 



LO predico anch' io 
cascalo da Dio : 
Oh comodo ho bello 
Un Re Travicello i 



«39 V 



Calò nel suo regno 
con mollo fracasso ; 
Le teste di legno 
Fan sempre del chiasso : 
Ma suMto tacque. 
E al sommo dell' acque 
Rimase un corbello 
Il Re Travicello. 

Da tutto il pantano 
veduto quel coso, 
« È questo il Sovrano 
" cosi rumoroso? 
(S' udì gracidare) 
« Per farsi fischiare 
« Fa tanto bordello 
- Un Re Travicello l 

** un tronco piallato 
" Avrà la corona 7 
*• O Giove ha sbagliato, 
« Oppur ci minchiona : 
» Sia dato lo sfratto 
» Al Re mentecatto, 
» Si mandi in appello 
« Il Re Travicello. » 

Tacete^ tacete; 
Lasciate il reame, 
O bestie che siete, 
A un Re di legname. 
Non tira a pelare, 
vi lascia cantare? 
Non apre macello 
un Re Travicello. 



Là là per la reggia 
Dal vento portato^ 
Tentenna, galleggia, 
E mai dello Stato 
Non pesca nel fondo : 
Che scenza di mondo t 
Che Re di cervello 
È un Re Travicello t 

Se a caso s' adopra 
D 'intingere il capo, 
vedete ? di sopra 
Lo porta daccapo 
La sua leggeresza. 
Chiamatelo Altezta, 
Che torna a cappello 
A un Re Travicello: 

volete il serpente 
Che il sonno vi scuota 7 
Dormite contente 
Costì nella mota,. 
O bestie impotenti -. 
Per chi non a denti, 
È fatto a pennello 
un Re Travicello i 

Un popolo pieno 
Di tante fortune, 
PUÒ farne di meno 
Del senso comune: 
Che popolo ammodo. 
Che Principe sodo. 
Che santo modello 
un Re Travicello! 



NELL' OCCASIONE CHE FU SCOPERTO A FIRENZE IL VERO 
RITRATTO DI DANTE FATTO DA GIOTTO- 



Qual grazia a noi ti mostra, 
O prima gloria italica, per cui 
Mostrò ciò che potea la lingua nostra? 
come degnasti di volgerti a nul 
Dal punto ove s' acqueta ogni desio ? 
Tanto il loco natio 

Nel cor li sta, che di tornar t' è caro 
Ancor nel mondo senza fine amaro ? 



X *33 X 

Ma da seggio immortale 
Ben puoi rieder quaggiù dove si piaoge ; 
Tu set fallo da Dio, sua mercè, tale, 
Cbe la nostra miseria non ti tange, 
Soluto hai nelle menti on dubbio grave, 
E quel desio soave 
Che lungamente n' ha tenuti io fame. 
Di mirar gH occhi tuoi senza velame. 

Mei mirabile aspello 
Arde e sfavilla un non so che divino 
Che a noi ti rende nel vero concetto: 
A le dinanzi, come il pellegrino 
Nel tempio del suo volo rimirando. 
Tacilo sospirando, 
sento l'anima mia che tutta lieta 
Mi dice : or cbe non parli al tuo Poeta r 

Diffusa una serena 
Mestizia arde per gli occhi e per le gene, 
E grave il guardo e vivido balena 
come a tanto Intelletto si conviene; 
E nello specchio della fronte austera, 
Qual sole in acqua mera, 
splende V ingegno e r anima, sicura 
sotto i' usbergo del sentirsi pura. 
Tal nella vita nuova 
Fosti, e benigne sleUe ti levare 
Di cortesia, é* ingegno in bella prova, 
E di valor, che allora invan del paro, 
così poi ti lasciò la tua diletta. 
La bella giovinetta. 
Nella selva selvaggia incerto e solo. 
Armandoti le penne a tanto volo. 
Così fermo e virile 
Frenar tentasti il tuo popolo ingiusto ; 
così cacciato poi del bello ovile. 
Mendicasti la vita a frusto a frusio, 
Ben tetragono ai colpi di ventura ; 
£ della tua sclagara 
Virtù ti crebbe^ e potè meglio il verso 
Descrìver fondo a lituo 1' Universo*. 
Solingo e senza parte 
Librasti in equa lance il bene e il male, 
E nell' angusto circolo dell' arie 
come in libero elei spiegasti r ale. 



>. 154 X 
Slovena Musa li mostrava I* Orse, 
E fino a Dio li scène 
Per lo grau mar dell' essere l' aoieona. 
Che Doo raggiuDse mai Itaigua oè penna. 

Sempre più e' innamora 
Tua vision clie poggia a tao la altezza: 
Nessun la vide tante volle ancora, 
Cile non tvevasse in lei nuova bellezza. 
Ben gusta il frutto della nuova pianta 
chi la sa tutta quanta ; 
In lei si specchia cui di ben far giova. 
Per esempio di lei Beltà si prova. 
l Forse intera non vedo 

La bellezza eh' io dico, e si trasmoda 

Non pur di là da noi ;. ma cerio io cred» 

Gbe solo il suo Fattpr tutta la goda. 

E così cela lei P esser profonda : 

E r occhio che per P onda 

Di lei s' immerge prova il suo valore ; 

Tanto si da quanto trova d' ardore. 

Per mille penne è tèria 
La sua semenza; e cbl là entro pesca. 
Per gran sete d'auingere vi porta 
Ambagi e sogni onde i semplici invesca. 
Uno la fugge, un*^ altro là coarta, 
O va di carta in carta 
Tessendo enimmi, e sforza la scrittura 
D' un tempo che delira alla misura. 

Per arte e per inganno 
Di lai cui sol diletta il pappo e il dindin 
Mille siflatte favole per anno 
Di cattedra si gridan quinci e quindi : 
O di le stesso guida e fondamento, 
Ai pasciuti di vento 
Dirai che indarno da riva si parte 
Chi cerca per lo vero e non ha 1* arte. 
Ben Y' ha chi sente danno, 
E chi si stringe a te, ma soo si pochi 
Che le cappe fornisce poco panno : 
Padre, perdona agi' InteileUi fiochi, 
se lardo orecchio ancor non ha sentilo 
Tuo nobile ruggito; 
se fraude spìuma, se iattanza vesle- 
u' ali di struzzo V aquila ceiosie^ 



X *3S X 

IO, che laudarti intendo 
Veracemente, con ardito innesto, 
Tremando all'opra e diffidando, prendo 
La tua loquela a farti manifesto. 
Se troppa libertà m' allarga il freno. 
Il dir non mi vien meno : 
Lascia cti' io venga in piccioietta barca 
Dietro il tuo legno cbe cantando varca. 

O Maestro, o signore. 
O degli altri poeti onore e lume. 
Vagliami il lungo studio e il grande amore 
Che m' ban fatto cercar lo tuo volunoe. 
lo ho veduto quel cbe s' io ridico. 
Del ver libero amico. 
Da molti mi verrà noia e rampogna, 
O per la propria o per 1' altrui vergogna. 

Tantalo a lauta mensa 
D' ogni saper vegg* io scarno e digiuno. 
Che soede e prose e poesie dispensa, 
E scrivendo non è né due né uno. 
Oimè, Filosofla, come ti muti. 
Se per viltà rifiuti 

De* padri nostri il senno, e mostri a dito 
il setlentrional povero sitoi 

Qui r asino s' iodraca 
stolidamente, e con delirio alterno 
Vista la greppia poi raglia, si placa, 
E muta basto dalla state al verno. 
Libertà va gridando eh' è si cara 
Ciurma oziosa, ignara, 
E chi per barattare ha l'occhio aguzzo; 
Né basta Giuda a sostenerne il puzzo. 

U antica gloria è spenta, 
E le terre d' Italia tutte piene 
son di tiranni, e un martire doventa 
Ogni villan cbe parteggiando viene. 
Pasciuto in vita di rimorsi e d' onte. 
Dai gioghi di Piemonte, 
E per \* antiche e per le nuove offénse 
Caina attende chi vita ci spense. 

Oggi mutata al certo 
La mente tua s' adira e si compiagne 
Che il Giardin dell' imperio abbia sofferto 
Cesare armato con l' unghie grifagne. 



X *36 X 

La mala sigooria cbe lutti accor» 
vedi come divora 
E la lombarda e la veneta gente, 
E Modena con Parma n' è dolente. 

volge e rinnova membro 
Fiorenza^ e larve di virtù profila 
Bfai colorando, che a mezzo novembre 
Non giunge qnello che d' ottobre fila. 
Qual è de* figli suoi che in ooor l'ama, 
A gente senza fama 
Soggiace, e i vermi di Giustiniano 
Hanno fatto il suo fior sudicio e vano. 

Basso e feccioso sgorga 
Nel Serchio il bulicame di Borbone, 
E in quel corno d' Ausonia cbe s' imboFga 
Di Bari, di Gaeta e di Crotone, 
£ la beila Trinacila consuma. 
Che là dov' arde e fuma 
Dall' alto monte vede ad ora ad ora 
MOSSO Palermo a gridar — mora, mora ! 

Al basso della ruota 
La vendetta di Dio volge la chierca : 
La gente che dovrebbe esser devota. 
Là dove Cristo tutto dì si merca, 
Putlaoeggiar co' regi al mondo è vista ; 
Che di farla più trista 
In dubbio avidi stanno, e l'assicura 
Di fede invece la comun paura. 

Del par colla papale 
Già l' ottomanna tirannia si sciolse. 
Là dove Gabriello aperse l' ale, 
E dove Costantin l'aquila volse. 
Forse Roma, Sionne e Nazarene, 
E l'altre parli elette. 
Il gran decreto, che da sé è vero. 
Libere a un tempo vuol dall'adultero. 

Europa, Affrica e vaga 
Della doppia ruina; e le sta sopra 
Il Barbaro, venendo da tal piaga 
Che tutto giorno d' Elice sì cuopra, 
E l' angla nave all' oriente accenna : 
Ma, lenta, della Senna 
Turba con rete le volubili acque 
X3 volpe che mal regna e che mal nacque^. 



X «T X 

E palpitaado liene 
L'occhio per mille frodi esercitato 
All'opposito scoglio di Pireoe 
Delle libere fiamme ioghirlandaio. 
Temendo sempre alle propinque ville 
KOD volin le fatine 
Di spenta libertà sopra i vestigi, 
E d' uno stesso incendio arda Parigi. 

itfa del corporeo velo 
Scaroo, e da tutte queste cose sciolto, 
con Beatrice tua suso nel Cielo 
cotanto gloriosamente accolto. 
La vita intera d' amore e di pace 
Del secolo verace 

Ti svia di questa nostra inferma e vile ; 
Si è dolce miracolo e gentile. 

E bealo mirando 
Mei volume lassù triplice ed uno. 
Ove si appunta ogni ubi ed ogni quando^ 
V non si muta mai bianco né bruno, 
sai che per via d'a£Eànnl e di ruine 
Nostre terre latine 
Rinnoverà, come piante novelle, 
L' Amor che muove il Soie e l'altre stelle. 

LA SCRITTA 
PARTE PRIMA 

Pesa i vecchi diplomi e quei d'ieri. 
Di schietta nobiltà v' è carestia : 
Dacché la fame entrò ne' cavalieri, 
La tasca si ribella all' albagia. 
Ma nuovi sarti e nuovf rigattieri - 
A spogliare e vestir la signoria 
Manda la Banca, e 4e raschiate mura 
Ripiglian l' oro della raschiatura. 

POCO preme l'onor, meno il decoro ; 
E al più s' abbada a insudiciare il grado ; 
che se grandi e plebei calan tra loro 
A consorzio d' uffici o a parentado. 
Necessità gli accozza a concistoro 
O a patto coniugai^ ma avvien di rado 
che non rimangan gii animi distanti, 
£ la mano del cor si dà co' guanti. 



-■-. «« X 
uo de' nostri usurai messe uoa volu 

L' unica flgiia lo veodita per moglie. 

Dando al pairizìo che l'avesse tolu 

Delle fraterne ¥iuime le spoglie. 

Purché negli osci titolati accolla 

Venisse, a costo di rifar le soglie, 

E colle nozze sue l'opere ladre 

Nobilitasse del tenero padre. 
Era quella fanciulla uno sgomento; 

Gobba; sbilenca, colle tempie vuote ; 

Un muso tutto naso e tutto mento. 

Che litigava il giallo aHe carote; | 

Ma per vera bellezza un ottocento ^ 

Di mila scudi avea tra censo e dote; ■ 

Per questo agli occhi ancor d' un gentiluomo i 

Parca leggiadra, e il babbo un galantuomo. ^ 

Non ebbe questi da dorar fatica. 

Né bisognò cercar colla lanterna ' 

un genero, che in sé pari all' antica 

Boria covasse povertà moderna ; 

Anzi gli si mostrò la sorte amica 

Tanto, che intorno a casa era un'eterna 

Folla d'illustri poveri di razza, i 

Che incrociarsi Tolean colla ragazza. 
Di venti che ne scrisse al taccuino 

A certi babbi-morti dirimpetto. 

Un ve ne fu prescelto dal destino 

A umiliare il titolo al sacchetto. 

L' albero lo dicea sangue latino 

Colato in lui si limpido e si pretto 

Che dalla cute trapelava, e vuoisi 

Che lo sentisse il medico da' polsi. 
La scritta si flssò 11 sul tamburo: 

E il quattrinaio, a cui la cosa tocca. 

Dei parenti del genero futuro 

Tutta quanta invitò la filastrocca. 

Coi propri, o scelse, o stette a muso duro, 

O disse per la strada a mezza bocca : 

Se vi pare veniteci, ma poi 

Non vi costringo... in somma fate voi. 

un gran tempestio con Ul mormorio 

. S' udiva una sera Lontana bufera 

Di zampe e di ruote: Gli orecchi percuote. 



Gran folla di gente, 
saputa la. cosa, 
Al aiiooo aecorrea, 
E luita lucente 
Brillar della sposa 
La casa vedea. 
La fila de' cocchi 
Solcava la strada 
A perdita d'oochi: 
Per quella contrada 
Un ite e venite 
Di turbe infinite; 
continuo lo strano 
vociar de* cocchieri ; 
E in mezzo al baccano. 
Tra torce e staffieri, 
La ciurnaa diversa. 
Plebea e signora, 
Neil' atrio si versa 

10 duplice gora. 
Là smonta la Dama, 

E qua la pedina 
Che adesso si chiama 
O zia, o cugina ; 

11 gran ciambellano 
V'arriva da Corte, 
E dietro un tarpano 
Da fare il panforte. 

Per lunghi andirivieni 
Di stanze scompagnate 
E di stambugi pieni 
D' anticaglie volate. 
Tra le livree di gala 
S'imbocca in una sala^ 

A cera illuminata 
Da mille candelieri. 
Di mobili stivala 
Nostrali e forestieri, 
E carica d' arazzi 
Vermigli e paonazzi; 

Ricca d' oro e di molla 
Varietà di tappeti^ 
Dipinta era la volta, 
Dipinte le pareti 



Di storie e di persone 

Analoghe al padrone. 
Era in quella pittura 

Colla mitologia 

confusa la scr\ilora : 

La ccripa non è mia 

Se troverai descritte 

cose fritte e rifritte. 
l>agato tardi e poco 

L' artista, e messo al punto. 

Pensò di fare un gioco 

A quel ciuco riunto, 

E li sotto coperta 

Gli potè dar la berta. 
Da un lato, un gran carname 

Erisi ione ingoia, 

E dall' aride cuoia 

conosci che la fame 

coli' intimo bruciore 

Rimangia il mangiatore. 
Giacobbe un po' più giù, 

D' Erisitone a destra. 

Al povero Esaù 

Rincara la minestra; 

Santa massima eterna 

Di carità fraterna. 
Ma dall' opposto lato 

Luccica la parete 

Di Giove, trasmutato 

In pioggia di monete. 

Che scende a Danae in braccio 

Ad onta del chiavaccio. 
Di là da Danae l' empio 

Eliodoro è sleso 

Sulla soglia del tempio; 

E un cavalier, disceso 

Dal elei, pesta il birbante 

colle legnate sante. 
Nel soffitto si vede 

D'un egregio lavoro 

Mida da capo a piede 

Tutto coperto d'oro. 

Che sta 11 spaurito 

Dal troppo impoverito. 



X *40 x 

Nel campo lentamente 

In vista al vento ondeggia 

La canna Impertinente, 

£ più lunge serpeggia 

volubile sul suolo 

Il lucido Fattolo 

E neil' orrida clade. 
Di sangue e d'oro ingorde. 
Fra le lance e le spade 
Frugar colle man lorde 
Per il ventre de' morti 
Le romane coorti. 



Fa contrapposto a Mida 
La presa di Slonne : 
udir credi le strida 
Di fanciulli e di donne, 
E divampare il fuoco 
Rugghiando in ogni loco; 



La sposa in fronzoli 
sta là impalata. 
Rimessa air ordine 
E ripianata. 

Tutte l'attorniano 
Le donne in massa 
Dell' alta camera 
E della bassa. 

Queste la pigiano. 
La tlran via; 
Quell' altre lisciano 
con ironia; 

Essa si spiccica 
Meglio che sa, 
E sì divincola 
Di qua e di là. 

Lo sposo a laure. 
Ridendo a stento. 
Succhia la satira 
Nel complimento; 

Ma, come l' asino 
Sotto il bastone, 
si piega, e all' utile 
Donna il blasone. 

Legalo e gonfio 
come un fagotto. 
Con tutta l'aria 
D'un gabellotto, 

Ritto a ricevere 
Sta l'Usuraio: 
ciarla, s' infatua, 
È arzillo e gaio. 



par che dal giubbilo 
Non si ritrovi, 
Cogl'illustrissimi 
Parenti nuovi 

Si sdraia in umili 
Salamelecchi, 
E passa liscio 
Su quelli vecchi. 

Anzi affacciandosi 
Spesso al salone 
Grida : *> Ma diavolo 
M Che confusione i 

'< Ohe, rizzatevi 
" Costà, Teresa, 
« Date la seggiola 
«< Alla Marchesa. 

» Su bello, Gaspero; 
*• AI muro, Gosto ; 
•« Lesti, stringetevi, 
« Sbrattate il posto. » 

Quelli rinculano 
Goffi e confusi. 
In lingua povera 
Dicendo: oh! scusi. 

<« Ma no, » ripiglia 
La Dama allora, 
«« No, galantuomini; 
<« Chi non lavora 

» Può star benissimo 
» senza sedere: 
» Vki riposatevi, 
« Fate il piacere. » 



14i 



Così le bestie 
scansa con arie, 
E va col prossimo 
Dall' altra parte. 

Ove una sedia 
Le porge in guanti 
uno dei soliti 
Micchi eleganti. 

Che il gusto barbaro 
concittadino 
Inciviliscono 
•Col Ggurino. 

sol con quei tangheri 
Che stanno in piede, 
seduta a chiacchiera 
Qua e là si vede 

Qualche patrizia 
Andata ai cani 
Più democratica 
Co' terrazzani. 

Genio, che mediti 
Di porre i sarti 
Neil' accademia 
Delle Bell» Arti ; 

A cui del cranio 
Sopra le cuoia 
Sfavilla l' organo 
Della cesoia; 

Beggi la bussola 
Dell'estro gretto, 
E colla critica 
Dell' occhialetto 

Profila i termini 
Della distanza 
Tra la goffaggine 
E l' eleganza. 

Là tra la ruvida 
Folla spregiata, 
stretta negli angoli 
E rinzeppata. 

Vedresti d' uomini 
scorrette moli. 
Piantate, immobili. 
Come pioli; 



Testoni, zazzere, 

lanciotti rossi.. 
E trippe zotiche, 
E cosi grossi. 
Con un'indigena 

Giubba a tagliere. 

Ecco il quissimile 

D'un cancelliere 
sotto le gocciole 

D' una candela : 

E con due classici 

Solini a vela, 
una testuggine 

Che si ripone 

Nel grave guscio 

D'un cravattone^ 
Accanto a un ebete 

Che duro duro 

col capo all' aria 

Puntella il muro. 
Le donne avevano 

La roba a baile, 

E tutto un fondaco 

sopra le spalle, 
code, arzigogoli. 

Penne, pennacchi, 

cesti d' indivia 

E spauracchi. 
Ma dal contrario 

Lato splendea 

Levlgatissima 

La nobilea. 
Colori semplici, 

capi strigliati. 

Gentili occhiaje, 

visi slavati ; 
Sostanza tenue 

Che poco ingombra, 

Anello medio 

Fra il corpo e V ombm ; 
Sorrisi fatui. 

Moti veloci. 

Bleso miscuglio 

D' estranee voci. 



i43 : 



E nelP intonaco. 
Nelle maniere, , 
L^ arte che studia 
Di non parere. 
Così velandosi 
Bella sfruttala 
o' una modestia 
Matricolala, 
Bidui^e a stimolo 
Fin l'onestà, 
E per industria 
Sì volta in là 
Ma già il noiàjo 
Disleso Patto 
si rizza e al pubblico 
Legge il contralto. 
Giù giù per ordine 
Si firma, e poi 
Per sala girano 
Bricchi e vassoi; 
Gran suppellettile 
Ove apparia 
Mista alla boria 
La gretteria. 



Le Dame dicono 
Partendo in fretta : 
N Era superflua 
« Tanta etichetta. 
« Oh 1 per i meriti 
•I D' una braclna, 
«< Bastava V abito 
« Di «tamattina. » 
Quelle del popolo 
Tutte impastale 
Di the, di briciole. 
Di limonate; 
che più del solito 
Strinte, impettite. 
Fiacche tronfiavano 
E indolenzite: 
«< Animo, animo, 
« Mi par miU' anni : 
» immè, gridavano, 
M Con questi panni! 
«< Uh che seccaggine i 
« Oh maledette 
« Le scritte, i nobili, 
<< E le fasceltel •• 



PARTE SECONDA 



partì F ultimo lo sposo. 
Sopraffatto dal pastìccio 
E dall' obbligo schifoso 
Di legarsi a quel rosticcio. 
Con quesi' osso per la gola 
Si ficcò tra le lenzuola. 

Chiuse gli occhi, e gli parca 
D'esser solo allo scoperto; 
E un grand' ;tIbero vedea 
Elevarsi in un deserto ; 
un grand' albero, di fusto 
'"^ìchissimo e robusto. 



Giù dagl' infimi legami 
Fino al mezzo della fronda 
Spicca in allo, stende i rami 
E dì frulli si feconda, 
che, di verdi, a poco a poco 
S' ìncolorano di croco. 

un gran nuvolo d' uccelli. 
Di lumache e di ronzoni, 
sì pascevano dì quelli 
E beccavaoo i più buoni; 
Tanto che 1' albero perde 
L'uberià del primo verde. 



X *48 X 
Ma dal mezzo alla suprema Dall' araldico sdrucito, 

vetta in tutto si dispoglia. Come Id ottico apparalo 

£ su su langue, si scema che rifletta impiccinito 

D' ogni frutto e d'ogni foglia, Un gran popolo affollalo^ 

E finisce in nudi stecchi Traspariva un bulicame 

come pianta che si secchi. D'illustrissimi e di dame. 

Mentre tutto s' ammirava Cappe, elmetti luccicanti. 

Nelle fronde il signorotto^ Toghe, mitre e berrettoni, 

E il confronto almanaccava E graodiglie e guardinfanti. 

Del di sopra col disotto^ E parrucche a riccioloni. 

Più stupenda vistone E gran giubbe gallonate, 

LO sviò dal paragone. E codone infarinate. 

Ove il tronco s'assottiglia con musacci arrovellali 

E le braccia apre e dilata, Bofonchiavano tra loro 

Vide l'arme spiattellata Di contee, di marchesati^ 

colla bestia di famiglia. Di plebei, di libri d' oro, 

che soffiando corse in dentro E di tempi e di costumi, 

E lasciò rollo nel centro E di slmili vecchiumi. 

Dietro a tutti, in fondo In fondo 
Si vedea la punta ritta 
D*un cappuccio andare a tondo. 
Come se tra quella fitta 
Si provasse a farsi avante 
Qualche Padre zoccolante. 
Lo vide appena che lo perse d' occhio : 
Quello, alla guisa che movendo il loto 
nilira il capo e celasi il ranocchio. 
In giù disparye con veloce moto ; 
E tosto un non so che suona calando 
Dentro del fuslo come fosse vuoto, 
come a lempo de' Classici, allorquando 
Gli olmi e le querele aveano la matrice 
E figliavano Dee di quando in quando ; 
Così spaccato il ironco alia radice, 
Far capolino e sorgere fu vista 
una figura antica di vernice. 

Era r aspello suo quale un arlisla 
Non trova al lempo degli Slenlcrelli, 
Se gli tocca a rifare un Trecentisla. 

Rasa la barba avea, mozzi i capelli, 
E del cappuccio la testa guerniia. 
Oggi sciupala a noi fin dai cappelli ; 



X *4* X 

un mantello di panno da eremila, 
Tra la maglia di lana e il giustacuore 
D'un cingolo di cuoio stretta la vita. 

Corto di storia, il poterò signore 
Lo prese per un buttero^ e tra '1 sonno 
Gli fece un gesto e brontolò : va fuore. 

Sorrise e disse : lo son l' arcibisnonno 
Del nonno tuo, lo stipite de' tuoi, 
Nato di gente che vendeva il tonno. 

Oh via non mi Tar muso, e non t* annoi 
conoscer te d'origine si vile, 
comune, o nobilucci, a tutti voi. 

Taccio come salii su, dal barile 
Di quel salume ; ma certo non fue 
Né per onesta vita mercantile. 

Né per civil virtù, che d» uno o due 
Prese le menti, ond'ei poser nell' arme 
Per tutta nobiltà l' opere sue. 

Sai che la nostra età fu sempre in arme : 
IO per quel mar di guerre e di congiure 
Tener mi seppi a galla e vantaggiarme. 

Ma tocche appena le magistrature. 
Fui posto al bando, mi guastar le cose, 

' E a duemila del collo ebbi la scure. 

A piedi con quel po' che mi rimase. 
Giunsi a Parigi, e un mio concittadino 
D'aprir bottega là mi persuase. 

un buco come quel di un ciabattino 
scovammo: e a forza di campare a stento. 
E di negar Gesù per un quattrino, 

N' ebbi il guadagno del cento per cento; 
Qnindi a prestar mi detti e feci cose, 
cose che a raccontarle è uno spavenio. 

Pensa alle ruberie più strepitose, 
se d'Arpia battezzala ovver giudea 
Ma mai t' hanno ghermito ugne famose, 

Son tutte al paragone una miscea : 
Questo socero tuo, guarda se pela, 
Non le sogna neromanco per idea. 

Figlio e nipote per lunga sequela 
D' anni continuando il mio mestiere,. 
Nel mar dell' angherie spiegò la vela. 



X i*s X 
Quelle nostre repubbliche si fiere, 

Moge, obbediaoo un Duca, un viceré, 

€he significa birro e gabelliere^ 
Quando un postero mio degno di me 

Rimpatriò riccbissimo, e il Bargello 

Del suo rimpatriar seppe il perchè. 
E qui mutando penne il nuovo uccello» 

Fatta la roba, fece la persona, 

E calò della Corte allo zimbello. 
Da quel momento in casa ti risuooa 

un Utolaocio col superlativo, 

E a bisdosso dell* arme hai la corona. 
Aulico branco né morto né vivo 

Da costui fino a te fu la famiglia, 

Ebete d' ozio e in vivere lascivo. 
Ridotto al verde per dorar la briglia : 

Perchè ti penti, o bestia cortigiana T 

Prendi dell' usurier, prendi la figlia, 
che Siam lutti d'un pelo e d'una lana. 

AVVISO 

PER UN SETTIMO CONGRESSO CHE È DI LA' DA VEMBE 



Su' Altezza Serenissima 
Veduta l' innocenza 
Di quelli che almanaccano 
D' intorno alla scienza ; 

Visto che tutti all' ultimo 
son rimasti gli slessi 
E^ pagan sempre l'Estimo 
Dopo tanti Congressi, 

Nelle paterne viscere 
Chiuso il primo sospetto. 
Spalanca uno spiraglio 
In prò deir intelletto. 

sia noto alla Penisola 
Dall' Alpe a Lilibeo ; 
Nolo a tutto il Chiarissimo 
Dotiume Europeo, 

Che ci farà la grazia 
D' aprire alla dottrina 
Gli Stati felicissimi 
E la real cucina. 



Per questo a tutti e singoli 
Chiamali nei domini 
(Nel caso che non trovino 
Oppilati i confini) 

Dice di lasciar correre. 
Per k) stile oramai, 
L' apostrofi all' Italia 
Non ascoltate mai. 

Anzi, Purché non tocchino 

. II pastorale e il soglio 
Ai dotti cantastorie 
Rilascia il Campidoglio; 

Che di lassù millantino. 
Scordando il tempo perso, 
D' avere in ilio tempore 
Spoppato 1' universo. 

Questa, quando la trappola 
Muta i leoni in topi, 
E roba di Rettorica ; 
L' insegnan gli Scolopi. 
io 



X *46 X 



E, lolla la staiisiica 
Che pubblica i segreti. 
La Chimica e la Fisica 
Che impermalisce i Prelr ; 

Tollo il Commercio libero, 
Tolta 1' Economia, 
Gli studi geologici 
E la Frenologia ; 

Posto un sacro silenzio 
D'ogni e qualunque scuola. 
Del resto a tutti libera 
concede la parola. 

Ora che il suo buon animo 
È chiaro e manifesto, 
A scanso d'ogni equivoco 
Si ponga mente al resto. 



li progresso è una favola : 
E Su'Àllezza è di quelli 
Rimasti tra gl'immobili, 
E crede ai ritornelli. 

Perciò, da savio Principe 
Che in prò del vecchi stati 
Ritorce il veneficio 
Dei nuovi rilrovaii, 

Ha con fino criterio 
Pensato e stabilito 
Di promettere un premio 
A chi sciolga un quesito: 

» Dato che torni un secolo 
•• Agli arrosti propizio, 
« Se possa il carbon fossile 
•• Servire al Sant'Uffizio. » 



AD UWA GIOVINETTA 



Non la pudica rosa 

che il volto a lei colora, 

Né il labbro ove s' infiora 

La vergine parola (moniosa; 

che dal cor parte e vola — ar- 
Non la bella persona 

che vince ogni alla lode. 

Né I' agii pie che gode 

Della danza festiva (dona ; 

A cui tutta giuliva — s'abban- 
Ma dier vaghezza e nonna 

Di volgermi a costei, 

Ma la bontà che in lei 

Splende modesta e cara (forma. 

Tanto quant'è più rara — in bella 
Agli occhi, che non sanno 

cercar d^un bene altrove. 

Della sua luce piove 

Soavissima stilla (z' affanno. 

D' una gioia Iranquiila — sen- 
Ah ! non è ver che asconda 

Sé slesso il cielo a noi, 

Quando agli eielli suoi 

Cosi l'aula disserra, (conda. 

Hiesla misera terra — a far;gio- 



come allo specchio innante 

Trattien fanciulla il fiato. 

Temendo che turbato 

Il mulo coosigliero (sembiante. 

A lei non renda intero — il suo 
così commossa a dire 

Il trepidante affelio 

confusa di rispetto 

La voce non s'allenta, (desire. 

E suona incerta e lenia — il mìo 
O gemma, o primo onore 

Delle creale cose, 

W odi, e le man pietose 

Porgi benigna ai freno (d'amore. 

D» un cor di fede pieno — e pien 
Né In le dubbio o paura 

Desti 11 pungente siile. 

Quasi a trastulio vile 

lo, da pietà lontano, (sventura. 

Prenda il delirio umano — e la 
Un vergognoso errore 

Paleso sospirando; 

Alla virtù mirando, 

Muove senza sgomento (dolore- 
Rimprovero e lamento -— il mio 



1 



U7 



se con sicuro viso 

TeDiai piaghe profonde. 

Di carità d6ÌP eode 

Temprai l'ardilo ingegnOj <riso. 

E irassi dallo sdegno — il mesto 
Non t'al>l)a8sar col volgo 

A facili sospetti; 

Vedi par quanti aspetti 

Ricorro alla virtute^ (mi volgo. 

Quando per mia salute — a te 
01) se per tuo mi tieni 

come sorella amante. 

Se della vita errante 

Reggi nei passi amari (sereni, 

L'anima mia coi cari -* occhi 



L' ingegno sconsolato 

A miglior vita sorto 

Riprenderà conforto 

Di vivida fragranza (me rinato. 

Nel fior della speranza — in 
Ogni gentil costume. 

Ogni potenza ascosa 

La tua voce amorosa 

In me desta e ravviva, (lume. 

Come lioor d'oliva — un fioco 
Già nella mente tace 

Ogni ombra del passato. 

Già il cor, rinnovellato 

Come tenera fronda, (pace. 

consola una gioconda — aura di 



GLI IMMOBILI E 1 SEMOVENTI 



Che buon prò facesse il ìvrbo 
Imbeccato a suoo di nerbo 

Nelle scuole pubbliche -, 
come insegnano i latini, 
E che bravi cittadini 

crescano io collegio ; 
E che razza di cristiani 
si doventi tra le mani 

. D' un Frate collerico : 
Tulli noi, che grazie al Cielo 
Non Siam più di primo pelo. 

Lo diremo ai posleri. 
Messo il muso nel capestro 
Del messer Padre Maestro 

(Padre nella tonaca). 
Fu finito il benestare: 
il saltare, il vegetare. 

Lo scherzare, il crescere, 
Davan ombra ai cari Frati ; 
E potati, anzi domali, 

Messi tra gì' immobili,^ 
c:i rendevano ai pareo li 
Mogi, grulli ed innocenti 

come tanti pecori. 
Il moderno educatore. 
Ormai vislo l'errore 

De' Reverendissimi, 



E che l' uomo tra i viventi 
Messo qui co' semoventi 

Par che debba muoversi. 
Ha pescato nel gran vuoto 
La teorica del moto 

Applicata agli uomini. 
Il fanciullo deve andare, 
Deve ridere e pensare 

Appoggiato al calcolo. 
D' ora innanzi, mi consolo i 
Questo bipede oriolo 

Anderà col pendolo, 
O futura adolescenza. 
Che, filata alla scienza 

Nelle scuole a macchina, 
Beveraì nuova dottrina 
R virtù di gelatina 

Che non correo iremola; 
in te si che farà spicco 
Depurato per lambicco 

Gas enciclopedico 1 
Quando il tenero cervello. 
Preso l' albero a modello 

(Per esempio il sughero), 
Succhierà fede e morale 
Come un'acqua senza sale 

Dal maestro agronomo s 



*i» X 



spuDteraDDO foglie e fiori 
Senza puzzi e sema odori^ 

come le camelie. 
Misurali glMotelietti 
E le fasi degli affetti 

GOD certezza fisica, 
E sopite nei pensiero 
Le sublimi ombre del vero, 

Avventate ipotesi, 
Troverem nel positivo 
Uno stato negativo 

Buono per lo stomaco. 
Il pacifico marito 
Proponendo per quesito 

La pace domestica. 
Colla tepida compagna 
sommerà sulla lavagna 

Gli o'bbligiii del vincolo ; 
E Imeneo, fatto architetto, 
Darà figli al quieto Ietto 

■yordlne composito. 
Biasceranno unti di teglia 
I Fedeli in dormiveglia 

salmi geometrici ; 
ci daranno i Magistrati 
certi codici stillati 

Che parranno spirito ; 



E vangato e rivangato 
sarà immagine lo stato 

Del Giardio dei semplici. 
Chi piantò l'ordin civile 
Sulla base puerile 

Dell' amore unanime ? 
Glii ci fece quest' oltraggio 
Di premettere il coraggio 

Alla poltronaggine? 
Ab P amore è un parosismo ! 
In un lento quietismo 

Va cullato il popolo. 
Perchè il noondo esca di pene. 
Tanto il male quanto il bene 

Deve star nei gangheri: 
E tu^ scatto generoso. 
Abbi titolo e riposo 

Nett'Arte Poetica. 
LO vedete t non e' è Cristi : 
Siamo nati computisti 

Per campar di numeri. 
Certi verbi, come amare, 
Tollerare, illuminare, 

Gli ha composti \* Algebra, 
Dunque crescano le teste 

Ritondate colle seste; 

Regni la meccanica. 



I BRINDISI (1) 



Mia cara amica. 



Voi Milanesi siete assuefatti a vedere il carnevale che fa un buco 
nella quaresima e ruba otto giorni all' Indulto. Mon so o non mi ri- 
cordo chi v'abbia data questa licenza j ma dev* essere stato di certo 
un Papa di buon umore e di maniche larghe. Noi, finite le mascfiere 
{almeno quelle di cartapesta), e rimanendoci addosso uno strascico di 
svagatezza, come rimane negli orecchi il suono dei violini dopo una 
festa di ballo ^ ci pigliamo a titolo di buon pesOj e senza licenza dei 
superiori,, il solo giorno delle cenerij e tiriamo via a godere sino 
alla sera, come se il Mementomo non fosse stato detto a noi. Voi quc' 

(I) con questi due brindisi si pongono a confronto due generi op- 
posti di poesia scherzosa, l'uno nato di licenza, Taltro di libertà: il 
primo falso, il secondo vero, o almeno più convenevole. 



X **9X 
gti orlo giorni li chiamale il carnevalone, e noi quest'unico giorna- 
retto di sopr appio lo chiamiamo il carnevalino. 

La sera del giovedì grasso del 1843^ uno di quei tati che danno 
da mangiare per oziOj e per sentirsi lodare il cuoco j aveva invitati 
a cena da diciotto o venti, tutti capi bislacchi chi per un verso e chi per 
tm altro, e tutti scontenti che il carnevale fosse lì lì per andarsene. 
V erano nobili inverniciati di fresco e nobili un po'intarlatij v'era- 
no banchieri, avvocati, preti alla mano^ insomma orooi genere mu- 
sicorum. Tra gli altri, non so come, era toccato un posto anche a 
due che pizzicavano di poeta, agli antipodi uno dall' altro, ma tutti 
e due portali allo stile arguto o faceto come vogliamo chiamarlo. Il 
padrone, sapendo l' indole delle bestie, per rimediare allo spropo- 
sito fallo d'invitarli insieme, prò bono pacis gli aveva collocati alle 
debite distanze. Il primo era un Abate, solito tenere la Bibbia ac- 
canto a Voltaire j buon compagnone, tagliato al dosso di tutti, né 
Guelfo né Ghibellino, dirotto al mondo, un maestro di casa nato e 
sputato- L'altro era un giovane né acerbo né maturo, una specie di 
cinico elegante, un viso tra il serio ed il burlesco, da tenere una 
gamba negli studi e una nella dissipazione e via discorrendo. La 
cena passò in discorsi sconnessi, in pettegolezzi, in lode al Bordeaux 
e ai pasticci di Strasburgo j vi fu un po' di politica, un po' di mal- 
dicenza j per farla breve fu una cena delle solite. 

Alla fine, cioè due ore dopo la mezzanotte, il padrone nel con- 
gedare i convitati disse loro: spero che il primo giorno di quaresi- 
ma vorrete favorirmi alla mia villa a fare il carnevalino. Bingrazia- 
rono, e accettarono tutti. Ma unoj o che si dilettasse di versi, o che 
avesse alzato il gomito più degli altri, gridò: atto. Signori j prima 
di partire, i due poeti ci hanno a promettere per quel giorno di fare 
un brindisi per uno. Gli altri applaudirono, e i poeti bisogtiò che 
piegassero la testa. 

Venne il giorno delle ceneri, e nessuno mcmcò né aita predica 
né al desinare. Passato questo né più né meno com' era passata la 
cena: Sor Abaie, tocca a lei, gridò quello stesso che aveva propo' 
sto i brindisi j e l' Abate che in quei pochi giorni aveva chiamato a 
raccolta i suoi studii tanto biblici che volterricmi, accomodandoli al- 
l' indole della brigata, si messe in positura di recitante, bevve uu 
altro sorso che fu come il bicchiere della staffa, e poi spiccò la 
carriera di questo gusto : 

lo vi ho piDmesso ud brindisi, ma poi 

Di scrivere una predica lio pensato 

Perchè nessuno mormori di noi; 

Perchè non abbia a dir qualche sguaiaio 

Che noi facciamo la vita medesima 

Tanto di carneval che di quaresima. 



X««3 X 
Ed oltre a ciò rammentano i cristiani ; 

E nemmeno l' eretico s* oppone, 

cb' egli con cinque pesci e cinque pani 

un dì sfamò cinque mila persone, 

E che gliene avaoz&r le sporte piene. 

Né si sa se quei pesci eran balene. 
Ne volete di più t V ultimo giorno 

Gh'ei stette in terra, e che alla mensa mistica 

Ebbe mangiato il quarto cotto io forno, 

1 stimi la legge eucaristica, 

E lasciò nell' andare al suo destino 

Per suoi rappresentanti il pane e il Tino. 
Anzi, condotto all' uKimo supplizio. 

Fra V altre voci eh' egli articolò 

Dicon gli evangelisti che fu sitioj 

Ed allorquando poi risuscitò, 

La prima volta apparve, o non è favola, 

Agli Apostoli, in Emaus, a favola. 
E per ultima prova, il luogo eletto 

Onde servire a Dio di ricettacolo. 

Se dall' ebraico popolo fu detto 

Arca, Santo dei Santi e Tabernacolo, 

1 cristiani lo chiaman Ciborio, 

con vocabolo preso io refettorio. 
Lascerò stare esempi e citazioni 

E cosa vi dirò da pochi intesa, 

oa consolar di moKo i briaconi: 

È tanto vero che la Madre Chiesa 

Tiene il sugo dell' uva in grande onore. 

Che si chiama la vigna del Signore. 
Dunque destino par di noi credenti 

Nei padre, in quel di mezzo e nel figliuolo, 

Di bere e di mangiare a due palmenti^ 

E tener su i ginocchi il tovagliolo; 

E se questa vi pare un' eresia. 

Lasciatemela dire e cosi sia. 

Allegri, amici : il muso lungo un palmo 
Tenga il minchion che soffre d' itterizia ; 
. Noi siamo sani, e David in un salmo 
Dice Servite Domino ifè laetitiaej 
Si, facciara buona tavola e buon viso, 
E anderemo ridendo in Paradiso. (1) 

'1) ECCO le bruite facezie che hanno avuto voga per lanio lem|io, 



X *S5K 
V Jbaie era stato interrotto cento volte àa risa sgangherate j 
ma alla chiusa^ l'uditorio andò in visibilio, e ricolmali i bicchieri, 
urlò cozzandoli insieme, un brindisi alla predica e al predicatore j e 
l'urto fa così scomposto, che il più ne bevve la tovaglia. Toccava 
all'altro, il quale con certi atti dinoccolatij e senza cercare aiuto 
nel vino, disse: Signóri j io in questi giorni non ho potuto, mettere 
insieme nulla di buono per voi, ma ho promesso e non mi ritiro. So- 
lamente vi prego di lasciarmi dire un certo brindisi che composi tempo 
fa per la tavola d' uno, che quando invita non dice : venite a pranzo 
da me^ ma si tiene a quel modo più vernacolo, o se volete più con» 
tadinesco : domani mangeremo un boccone insieme. Udirono /q mala 
parata e il poeta incominciò: 

BRIITDISI PER UN DESIHARE ALLA BUONA 

A noi qui non annuvola il cervello 
La Bottiglia di Francia e la cucina^ 
Lo stomaco ci appaga ogni cantina, 
Ogni fornello. 
I vini^ i cibi, i vasi apparecchiati 
E i flor soavi onde la mensa è lieta, 
sotto l'influsso dì gentil pianeta 

Con noi son nati. 

Queste due strofe non fecero né caldo né freddo. 

chi del natio terreno i doni sprezza 
E il mento in forestieri unti s'imbroda, 
La cara patria a non curar per moda 
Talor s' avvezza. 
Filtra col sugo di straniere salse 
In noi di voci pellegrina lue. 
Brama ci fa d' oltramontano bue 
L' anime false. 

Qui il padrone e gì' invitali cominciarono a sentirsi una pulce 
negli orecchi. 



lusingando 1* ozio e la scempiataggine. L' autore a costo di macchiare 
il suo libro, ha voluto darne un saggio per mettere alla berlina questi 
abusi dell' ingegno, confessa d» esservisi indotto anco per una certa va- 
nità sperando che il modo di scherzare tenuto da luì, acquisti grazia 
dal parigonc. 



X *s* K 
Frolli Siam mezzi^ frollerà il fuluro 
Quanta parte di noi rimase illesa : 
La crepa dell' intonaco palesa 

Che crolla il muro. 
Fuma intanto nei piatii il patrimonio : 
Il nobiluccio a bindolar l' inglese 
(Che i dipinti negati al suo paese 

Pel suolo ausonio 
Raggranellando va di porla in porta) 
Fra i ragnateli di soffitta indaga; 
Resuscitato Raffaello paga 

Per or la sporta, 
O nonni, del nipote alla memoria 
Fate che torni, quando mangia e beve 
Che alle vostre quaresime si deve 
L' itala gloria. 
Alzate il capo dai negletti avelli; 
Urlate negli orecchi a questi ciuchi 
Che V età vostra non pati Granduchi 
Né Stenterelli. 
Tutto cangiò, ripreso hanno gli arrosti 
Ciò che le rape un di fruttaro a voi ; 
in casa vostra, o trecentisti eroi, 

Comandan gli osti. 

Per tulle queste strofe, la stizzQj il dispetto j la vergogna j erano 
passate e ripassate velocemente sul viso di tutti come una corrente 
elettrica^ e già si sentivano al più non posso. Solamente V Abaie se 
ne stava là come interdetto j tra la paura di tirarsi addosso l' ironia 
dell* avversario per mi atto di disapprovazione, e quella di perder la 
minestra per un ghigno che gli potesse scappare. Jl poeta seguitava : 

E strugger poi crocifero babbeo... 

A questa scappata^ il padrone che da un pezzo si scontorceva sulla 
seggiola come se avesse i dolori di corpo j fatto alla meglio un po'di 
riso franco, disse con. un risolino stiracchiato j se non rincrescesse 
al poeta, potremmo passare nelle altre stanze a bevere il caffé, e là 
udire la fine del suo brindisi. Tutti si alzarono issofatto^ andarono^ 
fu preso il cafféa e nessuno fece più una parola del brindisi rima* 
sto in asso. Ma il poeta che stava in orecchi udì due in disparte 
. che si dicevano tra loro : che credete che il brindisi fosse belfè fatto ^ 
come ha voluto darci ad intendere f quello è staio un ripiego tro- 
vaia lì per lì, per suonarla al padrone di casa e a noi, ^ Che im^ 



pertinenti die si trovano al mondo i rispondeva quell^attroj a lasciarlo 
<iirej chi sa dove andava a cascare l — Chi fosse curioso di sapere 
la fine che doveva avere il brindisi, eccola tale e quale : 

E Strugger puoi^ crocifero babbeo, 
L' asse paterno sul paterno foco. 
Per poi briaco preferire il cooo 
A Galileo; 
E bestemmiar sull'arti, e di Mercato 
Maledicendo il Porco (1 ) e «hi lo fece. 
Desiderar che ve ne fòsse invece 
uno salato? 
D' asinità siffatte, anima sciocca 
T* assolve la virtù del refettorio ', 
Ciancia se vuoi, ma sciolta air uditorio 
Lascia la bocca. 
Se parli a tal che F anima baratta 
col vario acciottolio delle scodelle, 
in grazia degl' intingoli la pelle 

Ti resta intatta. 
Ctii visse al cibo casalingo avvezzo 
Stimol non sente di si bassa fame. 
Che paghi un illustrissimo tegame 
SI caro prezao. 
La tavola per lui gioconda scena 
E di facezie e di cortesi modi ; 
Non è non è d' ingiuriose lodi 

Birbesca arena. 
Entri quel prete nella rea palestra, 
Che il sacro libro docile al palalo 
Gita dove Esaù vende il primato 

Per la minestra ; 
Rida in barba a San Marco ed a San Luca, 
E gridi che il suo santo è San Secondo, 
E che il zampon di Modena nel mondo 
Compensa il Duca. 
O v'entri il dottorel che come corbo 
Si cala dello Stato alla carogna, 
E colia rete delle lodi agogna 

pescar nel torbo. 



(1) li Porco di bronzo che si vedeva davanti alle logge di Mercato 
jittovo in Firenze. 



X *36 X 
Né F indefesso no^elller s'escluda, 
Bastoaator d'amici e di nemici. 
Famoso di cenacoli palrici 

Buffone e Giuda. 
Qui di lieto color brilli la guancia. 
Sia franco il labbro e libero il pensiero : 
No, ira gli amici contrappeso al vero 
Non fa la pancia. 
O bealo colui che si ricrea 
col flasco paesano e col galletto i 
Senza debiti andrà nel cataletto. 
Senza livrea 

Fedele bene die questo brindisi non aveva che far nulla con quel 
desinare j e cuicìt'io penderei a credere che t* intenzione del poeta 
non fosse schietta farina. Veramente sentirsele dire sul musoj non 
piace a nessuno j e parrebbe regola di convenienza che mangiando 
la minestra degli altri^ si dovesse risparmiare chi ha il mestolo itt 
mano. Ma questi benedetti poetij con tutta la reverenda che profes- 
sano a Monsignor delta Casoj si fanno un Galateo a modo loro j e 
specialmente quando si sono intestati di volerle dire come le pensa- 
no. — Potete bene immaginarvi che a quella tavola il poeta cagne- 
sco bisognò che facesse un crociane^ e che l' Abate rimase in perpe- 
tuo padrone del baccellaio. Ora ecco qui questi due brindisi al co- 
mando di chi li vuole. Il primo assicurerà il fornaio a tutti gli 
scrocconi che sapranno imitarlo j col secondo bisognerà [rassegnarsi 
a mangiare all'osteria. 

L'AMOR PACIFICO 



Gran disgrazia, mia cara, avere i nervi 
Troppo scoperti e sempre in convulsione, 
E beali color. Dio li conservi. 
Che gli tianno si può dire in un coltrone, 
lo un coltrone di grasso coi Doccili, 
Che ripara le nebbie e gii scirocchi i 

Noi poveri barometri ambulanti, 
Eccoci qui con lutto il noslro amore. 
Piccosi, puntigliosi, stravaganti. 
Sempre e poi sempre in preda al mai umore, 
senza contare una carezza sola 
Che presto o tardi non ci torni a gola. 



;:< ^^"i y.. 

Seniimi, cara mia, questa oommedia 
O dura poco, o doq fioisce bene, 
E se d'accordo non ci si rimedia, 
Un di tio* due ne porterà le pene. 
Tu palisci, io non godo, e mi rincresce : 
Riformiamoci un po' se ci riesce. 
I In via di contrapposto e di specifico 
Al nostro amor che non si cheta mai. 
Ecco la storia dell' amor pacifico 
Di due fortunatissimi Ermolai, 
Femmina e maschio che dai primo bsftfo 
Stanno tra loro come pane e cacio. 

Essi là là, come ragion comanda, 
S' adorano da un mezzo giubbileo : 
L'amorosa si chiama Veneraoda, 
E U amoroso si chiama Taddeo, 
Nomi rotondi, larghi di battuta, 
E da gente posata e ben pasciuta. 

La dama infatti è un vero carnevale, 
una meggiona di placido viso. 
Pare in tutto e per tutto tale e quale 
una pollastra ingrassata col riso ; 
Negli atti lenti a scritto : « Posa piano, 
E spira flemma un miglio di lontano. 

Grasso, bracato a peso di carbone, 
Il suo caro Taddeo somiglia un 6 : 
Un vero cor-contento, un mestolone 
Fatto come suol dirsi e messo lì. 
Sbuffa, cammina a pause, par di mota, 
pare un tacchino quando fa la rota. 

Del rimanente, vedi, tutti e due 
Oltre 9\V essere onesti a tutta prova, 
Levato il grasso a un briciolo di bue, 
Che per un grasso non è cosa nova, 
son belli,, freschi, netti come un dado. 
Cosa che in gente grassa avvien di rado. 

Si veggono la sera e la mattina 
Comodamente all' ore stabilite, 
parlan di conéumé, di gelatina, 
di cose nutrienti e saporite; 
Neil' inverno di stufe, e nell' estate 
Trattano per io più di gramolate. 



X *«8 X 
Quando arriva Taddeo siede e domanda : 

cara cbe fair come va l'appetito? ~ 

Mi coDleote, risponde veneranda ; 

E tu, anima mia, com' liai dormito Y — 

Undici ore amor mio, tutte d' un fiato : 

A mezzo giorno, o sbaglio, o l' ho sognato, 
E per delH ore poi resta lì fermo. 

Duro, in panciolle, zitto come un olio : 

O tirando sbadigli a caotolermo, 

come se fosse zucchero e rosolio 

Si succhia in pace F apatia serena 

Di quel caro faccione a luna piena. 
* Dal canto suo la tepida signora. 

Quasi supina colla calza in mano, 

infilando una maglia ogni mezz' ora. 

Ride belando al caro pasticciano, 

E torna a dimandar di tanto in tanto : 

Lo vuoi stamani un dito di vin santo ? — 
Perchè questa signora, hai da sapere. 

Che invece di bijou, di porta-spilli 

Di rococò, dì bocce e profumiere, 

E di quei mille inutili gingilli 

Di che, sciupando un monte di quattrini, 

Tu gremisci vetrine e tavolini ; 
Come donna da casa e che sa bene 

11 gusto proi^rio e quello di chi F ama^ 

In luogo di quei ninnoli, ci tiene 

Bottiglie, che so io, bocche d'i dama, 

Paste, sfogliale ripiene dì frutta. 

Tanto per non amarsi a bocca asciutta. 
La sera, quando s'avvicina^ Fora 

D' andare alla burletta, o alla commedia, 

Veneranda che mastica e lavora, 

Senza scrollarsi punto dalia sedia 

Sbadiglia e poi domanda : il tempo è buono T — 

Stupendo — Guarda un po' che ore sono ? — 

Son l' otto — Proprio l' otto? Ora mi vesto 

urava — Ma ti rincresce d' aspettarmi ? — 
KG, no, vestiti a comodo — Eh fo presto i — 
<E li piantati e duri come marmi), 
Taddeo, che ore sono? — Son le nove — 
Dunque scappo a vestirmi. — (E non si move.) 



X *89X 

Taddeo^ che dici, mi vesto di nero ? — 
si vestiti di nero ~ E la mantiglia 
L'abbia a prendere? — Prendila. — Davvero? 
O se è caldo ? — Allora non si piglia — 
così restano in asso e dopo un pezzo: 
Che ore sono? — Son le dieci e mezzo. ~ 

Diamine! O dove sia la cameriera?.... 
Basta, oramai sarà V ultima scena ; 
Che diresti ? — Anderemo un' altra sera ^^ 
Sì, dict bene, è meglio andare a cena. — 
£ di questo galoppo, ognuno intende 
Che vanno avanti anco l' altre raccende. 

Liti, capricci, chiacctilere, dispetti. 
Non turbano quel nodo arcibeato ; 
La Gelosia e' ingrassa di confetti. 
Il Sospetto ci casca addormentato; 
Amor ci va, sbrigata ogni faccenda, 
E credo che ci vada a far merenda. 

La Maldicenza (impara, o disgraziata. 
Tu che di ciarle fai sempre un gran caso) 
La Maldicenza a volte s' è provata 
Nelle loro faccende a dar di naso. 
Tentando forse di scuoprir terreno, 
O di farli dormir mezz'ora meno: 

Ma per quanto le zanne abbia appuntale 
Come lesine, e lunghe più d' un passo, 
Questa volta nel mordere ha trovate 
Tante suola di muscoli e di grasso, 
Che per giungere al cor con la ferita, 
L' ha falla corta almen di quattro dita. 

Una tal velia, immagina, fu detto 
A veneranda da una sua vicina. 
Che Taddeo le celava un amoretto 
Di fresco intavolato alla sordina, 
E ciarlando arrivò la chiacchierona 
Fino a dirle la casa e la persona. 

Rispose Veneranda: o che volete, 
caspiterella, che non si diverta? 
Lo compatisco; è giovane, sapete l 
Solamente rimango a t)0cca aperta 
Che la vada a cercar tanto lontana 
A rischio di pigliare una scalmanai 



un' altra voiu dissero a Taddeo 
che veaeraoda, povera ìonoceDte» 
Teneva di straforo un cicisbeOj 
E che questo briccone era un Tenente 
che gli faceva t'amico sul muso 
E dietro il Giuda, come corre 1' uso. 
cornei disse Taddeo, Carlo? davvero? 
Povero Carlo, è tanto amico mio t 
Per me ci vada pur senza mistero, 
E tanto meglio se ci sono anch' io. 
Ma eh ? che capo ameno che è Carlo l 
Fa bene Veneranda a carezzarlo. 

così di mese in mese e d' anno io anno 
Amandosi e vivendo lemme lemme, 
E certa, cara mia, che camperanno 
A dieci doppi di Matusalemme. 
E noi col nostro amore agro e indigesto 
Invecchieremo, creperemo, e presto. 

O pace santa 1 o nodo benedetto l 
Viva la veneranda e il suo tesoro ! 
Ma in somma delle somme, io non t' ho dello 
come andò che s'intesero tra loro: 
Se non l'ho detto, te lo dico adesso; 
Dirtelo o prima o poi, tanto è lo stesso. 

Erano tutti e due del vicinato. 
Piccioni della stessa colombaia; 
E ciascuno nel mondo avrà notato 
Che Dio fa le persone e poi I' appaia; 
che r amore e la tosse non si cela, 
che vicinanza è mezza parentela. 

veneranda era vedova di poco; 
Taddeo, scapolo, ricco e ben veduto : 
E una volta, a proposito d' un cuoco, 
V era corso un viglietlo ed un saluto : 
Ma fino a 11, da buoni conoscenti. 
La cosa era passata in complimenti. 

un giorno, da un amico, a desinare 
Trovandosi invitali e messi accanto, 
Si vennero per caso a combaciare 
colle spalle, co' gomiti, con quanto 
Sempre (quabdo la seggiola non basta) 
s' arroteranno due di quella pasta. 



X *6* X 
V indole, la scambievole pinguedine. 

La sciatillaccia che madre Natura 

Pianta perfino in corpo alla torpedine, 

Il eibo^ il caldo e quell' arrotatura> 

Fece sentire alle nostre balene 

D' esser due così da TOlerai bene. 
L' affetto stuzzicato ad o^i costo 

volea provarsi a dire una parola; 

Ma scontrato dal fritto e dalP arrosto 

Restala li strizzato a mezza gola: 

intanto il desinare era finito 

combattendo V amore e 1* appetito. 
S' alzaron gli altri, ed ove si mesceva 

Il caffè tutu quanti erano andati ; 

Quando gli amanti, dandosi dì leva 

co' pugni sulla mensa appuntellali^ 

In tre tempi, su su, venner pMsando. 

soffiando, mugolando e tentennando. 
Quando d' essere in pie fu l)en sicuro, 

Taddeo porse alla bella un braccio grave ; 

All' uscio si punl^ si strìnse al muro, 

E II deposto il carico soave 

Nelle stanze di là la mandò sciolta, 

Che bisognò passare uno alla volta. 
Di qua, di là, per casa, e nel giardino 

Tutta si sparpagliò la compagnia; 

Ma fiacchi dal disagio del cammino 

Di due salotU e d'una galleria. 

Provvidero gli amanti alla persona, 

E fecer allo alla prima poltrona. 
Nel primo abbocco degl' innamorati 

Si sa che non v' è mai senso comune 

Ma quando tutti e due sono impaniati 

Ognun dal canto suo slenta la fune; 

Ognuno sa ciò che 1' altro vuol dire. 

Ognun capisce perchè vuol capire. 

Dopo mezB' ora e più di pausa mota, 
Taddeo si fece franco e ruppe il ghiaccio, 
E cominciò : signora, l' è piaciuta 
La crema? — Eccome 1 — Si T me ne compiaccio; 
E quei tordi ? — Squisiti I ~ E lo zampone 7 — 
Eccellente i — E quel dentice? — Booonei 

11 



X ^«9 X 
per verità, si slava un po' pigiali... 

Era un bene per me l' averla accosta ; 

Ma se per caso ci siamo inciampati, 

creda. Signora, oon l' lio fatto a posta. — 

Oh le pare i anzi lei ci stava stretto ; 

Scusi, vede, son grassa... — È un bel difetto I — 
Lo crede? — in verità! codesto viso 

È una Pasqua, che il Giei glielo mantenga. — 

Son sana. — Altro che sana t è un Paradiso t — 

Ma vi^, sono un po' grossa... — Eh se ne tenga ( 
- Per me... vorrei... se mi fosse concesso... — 

Che cosa ? — Rivederla un po' più spesso. — 
S' annoierebbe. — Oibò ! m' aonoìQrei ? 

Anzi sarebbe i| mio divertimento. — 

Oh troppo bonol allora... faccia lei... -- 

vede, Signora, il suo temperaménto 

Mi pare che col mio possa confarsi ; 

Che ne direbbe? — Eh, gua', potrebbe darsi. — 
Via, faremo cosi: ci penseremo, 

ci proveremo, e poi se si combina, 

Quand' è contenta lei, seguiteremo: 

La strada è pari, la casa è vicina. 

Tutto» secondo me^ va per la piana . . . 

comincerò quest'altra seuimana.— 
E così tra volere e non volere. 

Fu sentito, scoperto, ventilalo, 

E poi con tutto il comodo, a sedere, 

senza malinconie continuato 

Per unti e tanti e tanti anni di' filo. 

Questo tenero amor nato di chilo. 

IL POETA E GLI EROI DA POLTRONA 

poBTA. O del presente 

Che avete in mente ? 
Eroi, eroi. 
Che fate voi ? eroi. 



Un tutto e un niente. 



Ponziamo il poi. 



POETA. (Precisamente.) 

Cbe brava gente i 
(Meglio per noi i) Dite, o l' Italia ? 



i65 



snoT. 
L^ abbiamo a bali«. 

POETA. 

Balia pretesca. 
Liberatela. 
Nostra o tedesca? 



EROI. 

valtel' a pesca. 

POETA. 

Lo so. (Sia fresca !) 



I GRILLI 



Del nostro Stivale 
Ai poveri nani, 
Quel solito male 
Del grilli romani 
ID oggi daccapo 
Fa perdere il capo. 

E vario, il rumore : 
Chi predica r ira. 
Chi raglia d'amore; 
Ma gira e rigira. 
Rivogliono in fondo 
L» impero del mondo. 



Nei Nòbile guitto, 
Che senza un quattrino 
Ostenta il diritto 
D' andare al casioo, 
Vi trovo in idea, 
Bastardi d'Enea. 

Non tanta grandezza 
O seme d* eroi 
Tenuto a cavezza : 
Ritorna, se puoi. 
Padrone di te, 
O Popolo-Re 



IL PAPATO DI PRETE PERO 



Prete Pero è un buon cristiano. 
Lieto, semplice alla mano ; 
Vive e lascia vivere. 
-si rassegna^ si tien corto 
colla rendita d'un orto 
Sbarca il suo lunario, 
or m'accadde di sognare 
Che quest'uomo singolare 
Doventò Pontefice. 

Sulla cattedra di Piero, 

sopraffatto dal pensiero 

Di pagare i debiti. 

Si serbò ì' ultimo piano; 

E del resto ài Vaticano 

Messe V appigionasi 



At>oIì la Dateria, 
Lasciò fare un'osteria 

Di Castel Sani* Angelo; 
E sbrogliato il Quirinale, 
Ci fé scrivere: Spedale 
Per i preti idrofobi. 
Decimò Frati e Prelati j 
Licenziò birri. Legati, 
Gabellieri e Svizzeri ; 

E quei vii servitorame. 
Spugna, canchero e letame 
Del romano ergastolo ; 
"Promettendo che Io st^lo, 
Ripnrgaio e sdebitato, 
Ricadfebbe al popolo. 
f 



164 



Fece poi su i Cardinali 
Mille cose originali 
Dello slesso genere. 
Die di frego agi' igooranlt, 
E rimesse tuUi quanti 

GII altri a fare il Parroco. 
Del pensiero ogni pastoia 
Abolì : per nìan del boia 
Fece bruciar V Indice ; 
E tagliato a perdonare, 
Dove stava a confessare 
Scrisse : Datar omnibus. 
Poi, veduto cbe gli eccessi 
son ridicoli in se stessi. 
Anzi che si toccano, 
Nella sua greggia cristiana 
Non ci volle In carne umana 
Angioli né Diavoli, 
vale a dir, volle che V uomo 
Fosse un uomo ne un galantuomo, 
E del reslo transeaL 
Bacchettoni e Libertini 
Mascolini e femminini 
Messe in contumacia 
m un borgo segregalo. 
Che per celia fu chiamalo 
Il Ghetto cattolico, 
parimente i mlscredeoti. 
Senza prenderla col denti. 
Chiuse tra gl'Invalidi; 
E uppò ne' pazzarelll 
I riunti crlstiaoelll 
Rifritture d' Ateo. 



Proibì di ristacciare 
l puntigli del collare, 
Pena Ja scomunica ;- 
Proibì di belare inni 
Con quei soliti tintinni 
Pena la scomunica; 
Proibì che fosse in chiesa 
Più l' entrata che la spesa. 
Pena la scomunica. 
Nd veder quell'armeggio. 
Fosse 11 sogno o ohe so io, 
Mi parea di scorgere 
Che in quel Papa, a chiare noic^ 
Kisorgesse U Sacerdote 
E sparisse il Principe. 
Vo per mettermi in ginocchio. 
Quando a un tratto volto V occhio 
A una voce esotica, 
E ti veggo in un cantone 
Una fina di Corone 

Strette a conciliabolo. 
Arringa II concistoro 
un figuro, uno di loro. 
Dolce come un Istrice. 
« No, dlcea, non va lasciato 
« Questo Papa spiritato, 

« Che vuol far l'Apostolo^ 
« Ripescare in prò del Cielo 
« Colle reti del Vangelo 
« Pesci che ci scappino. ' 
« Questo è un Papa in buona fede : 
« È un Papaccio che ci crede ì 
- Diamogli 1? arsenico. >^ 



GINGILLINO 

AD ALESSANDRO POEDIO 

PEOLOGO 



Sandro, i nostri Padroni hanno per uso 
Di sceglier sempre tra 1 servi umilissimi 
Quanto di porco, d' Infimo e d' ottuso 
pullula negli Siati felicissimi : 



X w» X 
£ poi iremaDO ìd corpo e fàDoo muso 
■Quando, giunti alle strette, i Serenissinii 
Sentono al brontolar della bufera 
<:he la ciurma è d' init>accÌo alia galera. 

Ciurma sdraiata in vii prosopopea. 
Che il suo beato non far nulla ostenta/ 
'Gabba il salario e vanta la livrea, 
Sempre sfamata e sempre malcontenta. 
Dicaslerlca peste arciplebea, 
Che ci rode, ci guasla, ci tormenta 
E ci dà della polvere negli occhi. 
Grazie à' governi degli 8carat)occhi. 

tempre 'l'uem non volgare e non infame 
O scavalcato o inutile si spense, 
O presto imbirboni nel brulicame 
Dell'altre arpie famelicbe e melense. 
Cosi sente talor di reo letame 
L'erba grad\^a alle frugali mense. 
Cosi per verme che la fori al piede 
Languir la pianta ed Intristir si vede. 

O Principi Reali e imperlali. 
Gotico seme di grifagni eroi. 
Forse accennando ai Lupi commensali 
Nelle veci deil'io stampate il Noi? 
Spazzateci di qui questi animali 
Parasiii del popolo e di voi, 
Questa marmaglia che con vostro smacco 
Ruba a man salva, e voi tenete il sacco. 



rll Foittifaceia e la MetetUniià, 
V Imbroglio, la yiUùj V Avidiiù 
Ed altre Deità, 

Come sarebbe a dir la Gretteria 
E la Trappottria, 
Appartenenti a una Mitologia 
Che a conto del Governo, a stare in briglia 
Doma educando i figli di famiglia, 
cantavano alla culla d' un bambino, 
Di nome Gingillino^ 
La ninna nanna in coro, 
Tutta sentenze d'oro 
l>egni58iaie del secolo e di loro. 



<«x 



Bimbo ooD piaqgere > 
Nascesti trito. 
Ma se desideri 
Morir vestilo. 

Ecco la massinia 
che mai ooa fàlla^ 
E come un sughera 
Ti spinge a galla« 

Dagii anni teneri 
Piega le cuoia 
A4 tirocinio 
Della pastoia. 

sotto la gramola 
Del pedagogo 
Curvati, schiacciati. 
Rompili al giogo. 

E cogli estranei 
E in mezzo ai tuoi. 
Annichilandoli 
Più che tu puoi, 

Non far lo sveglio, 
Non far l'ardilo > 
Se pur desideri 
Morir vestito. 

Non li frastornino 
La testa e il core 
Larve di gloria. 
Sogni d' onore. 

Fuggi le noie. 
Fuggi le some. 
Fuggi i pericoli 
Di un chiaro nome ;. 

E limitandoti 
senz' altro fumo 
A saper leggete 
Pel luo consumo. 

Rinnega il genio 
Sempre punito > 
Se pur desideri 
Morir vestito. 

cresci, e rammentati. 
Che dà nel naso 
Più lo sproposito 
CouuneMO a caso^ 



Cbe la perfidia 

La più fratina, 

Tramala in regola 

E alla sordina. 
Abbi di semplice 

Per segno certo 

Dell' uomo ingenuo 

L' errore aperto, 
E imitiv il sudicio 

Che par pulito; 

se pur desideri 

Morir vestito. 
Studia la cabala 

Del non parere, 

E gli ammeanicoU 

Del darla a bere. 
Di Dio, del Diavolo 

Non farli rete; 

Nega il negabile, 

Ma liscia il prete, 
un letamaio 

Di vizi abborra 

Giù de* procordi f 

Tra la zavorra; 
Aka corani populo 

Esci contrito ; 

Se pur desideri 

Morir vestito, 
la corpo e in anima 

Servi al reale, 

E non ti perderò 

NelP ideale. 
Se covi smajlia 

Di far fagotlo. 

Incensa P idolo 

Quattro e quattr* oU(k 
Sempre la favola 

Della ragiooe . 

ceda, alla storia 

Del francescone, 
Sempre lo scrupolo 

Muoia faUito ; 

Se pur desideri 

Morir veatitoi. 



Non far che un libero Vù gran proverbio 

Sdegno li dia Caro al dolere. 

Quella poetica ^^ Dice che l' essere 

Malincooia, -*^"^^ Sia neir avere. 

Per cui oon paiono credi I' oracolo ' 

Vili e molesti ' Non mal smentito ; 

Dei galantuomini Se pur desideri 

I cenci onesti. Morir vestilo. 



Veni' anai dopo, un Frate Professore, 
Gran 8ciupatesle d' università. 
Da vero Cicerone inquisitore, 
EQComlava la docilità 
E la prudenza d' un certo Dottore 
Fatto di pianta in quel vivaio là. 
Dottore in legge» ma di baldacchino. 
Che si chiamava appunto GingilUno, 

In gravità dell'aurea conclone 
Messer Fabbricalasino si roga 
capo Aruffaeervelli ; e un zibaldone 
Di cancellieri e di Bidelli in toga 
Gli fa ghirlanda intorno al seggiolonej 
E di quell'Ateneo la sinagoga. 
Che in lucco nero, a rigor di vocabolo. 
Parca di pialtoloni un conciliabolo. 

Chi brontola, chi tosse e chi sbadiglia, 
Chi ride del Dottore e chi del Frate, 
Che ansando e declamando a tutta brìglia, 
Con salti e con rettoriche gambate 
circonda il caro alunno e l' appariglia 
Alle celebrila più celebrate, 
calandosi a concluder finalmente 
Di dotta carità tutto rovente : 

« vattene, figlio, del bel numer* uno 
H De* giovani posati e obbedienti, 
m Oh vattene digiuno 
4* Dì ragazzate, di divertimenti, 
u Di pipe, di biliardi, d' osterie^ . 
•* Di barbe Uioglie e d* altre porcherie. 

•' Oh benedetto te, che dalla culla 
« Se' stalo savio di dentro e di fuori : 
m Che oon bai fatto nulla 
« Seoz^t il penuesso de' Superiori, 



X W8 X 

m Sempre abbassando la ragione e K estro> 
M Sempre pensando a modo del maestro! 

• Salve, o raro Intellello o cor leale, 
«« Che d', una fogna d' empi e d' arroganti 
m Te n' esci tale e quale, 
«• Esci come venisti, e tiri avanti; 
** vattene al premio che s' aspetta al giusto, 
« Della gran soma dottorale onusto. 

I comincia coli' esempio e coli' inchiostro 
« A difender l' altare a destra mano, 
•« Ed a mancina il nostro 
« Dolee, amorevolissimo Sovrano 
«« vattene, agnello pieno di talento, 
« Caro al presepio e al capo dell'armento, » 



All' apostrofe barocca 
che con grande escandescenta 
Esalava dalla bocca 
DI quel mostro d'eloquenza. 
Gingillino andato io gloria 
Se n'uscia gonfio di boria 
Dal chiarissimo concilio 
Colla zucca in visibilio. 

Sulla porta un campanello 
D'onestissimi svagati. 
Un po' lesti di cervello 
E perciò scomunicali, 
con un piglio scolaresco. 
Salutando in bernesco. 
Gli si mosser dietro dietro 

. Canticchiando in questo metro. 

Tibi quoque libi quoque 
È concessa facoltà 
Di potere in jure utroque 
Gingillar 1' umanità. 
La manìa di Sere Imbroglia, 
che nel cranio ti gorgoglia. 
Ti rialza fuor di squadit) 
Il bernoccolo del ladro. 

Che li resta, che ti resta 
D' uno sgobbo inconcludente 
In quel nocciolo di tea«a. 
Sepoltura della mente ? 



Ma se l'anima di stoppa 
Se n' è tinta per la groppa. 
Tanto basta, tanto basta 
Per ficcar le mani in pasta. 

infilando la giornea 
D'avvocato o di notalo. 
Che l'importa la nomea 
Se t'accomodi il fornaio? 
Tu se' nato a fare il bracco. 
Il giannizzero, il cosacco, 
E compensi il capo cono 
Coli' andare o collo torto. 

O pinzochere fiscale. 
Ti si legge chiaro in viso 
Che galoppi al Tribunale 
Per la via del Paradiso: 
E di più e è stato detto 
Che lavori di soffietto. 
Devotissimo ab antico 
Dell'Apostolo dal fico. 

Ma quel taluda era un buflbDe> 
Un vHIssImo figuro : 
Tu, vlaccBdo 1 paragone. 
Mostrerai che o muso duro 
Si può vendere un Messia, 
senza far la scioccheria 
Di morfre a gozzo stretto 
E di rendere il saccbettc». 



II. 



Mei mare magno della Capitale ^ 
Ove si cala e s* agita e ribolle 
Ogoi fiumana e del bene e del male; 

Ove flaccidi vizi e virtù frolle 
Perdono il colpo nel cor semivivo 
Di gente doppia come le cipolle; 

Ove in pochi magnanimi sta vivo, 
A vitupero d* una razza sfatta, 
11 buyn volere e il genio primitivo ; 

£ dietro a questi l' infinita tratta 
Del bastardume, che di sé fa conio, 
E sempre più si mescola e s' imbratta ; 

col favor della Musa o del Demonio 
Che il crln m'acciuffa e li mi scaraventa, 
Entro e mi caccio in mezzo al Pandemonio. 

O patria nostra, o fiaccola che spenta 
Taoio lume di te lasci, e conforti 
Chi nel passato sogna e si tormenta ; 

Vivo sepolcro a un popolo di morti. 
Invano, Invano dalle sante mura 
Spiri virtù negli animi scontorti. 

Quando per dubbio d* un'infreddatura 
L' elica folla a notte sì rintana, 
Le vie nettando della sua lordura ; 

'Quando il patrizio, a stimolar la vana 
Cascaggine dell' ozio e della noia. 
Si tuffa nella schiuma oltramontana ; 

E ne' teatri gioventù squarquoia 
E vecchiume rifritto^ ostenta a prova 
False carni, oro falso e falsa gioia ; 

Idalinconico pazzo che si giova 
Del casto amplesso della tua beltade. 
Sempre a tutti presente e sempre nova; 

Lento 8' inoltra per le mute strade 
Ove più lungo è il morbo delle genti. 
Ed ove l' ombra più romita cade. 

paragona Locande e Monumenti 
E l'antica larghezza e il viver greMo 
Del posteri mutali io semoventi; 



X ITO X ^ 
E degli avi di sasso nel cospetto. 
Colla meote io lumuito e l' occhio grosso 
Di lacrime d' amore e di dispetto : 
Gli vico la voglia di stracciarsi addosso 
Questi panol ridicoli, clìe fuore 
Moslraoo aperto il canchero deirosso 
E la strigliata asinità del core. 



Tra i mille ergastoli 

Di mille Unte 

Che tutta, io pagine 

Chiare e distinte. 
Se reggi il vomito, 

Ti fan palese 

La bassa cronaca 

D'un reo paese; 
Vince lo stomaco 

Vince l'acume 

D'ogni occhio intrepido 

Al laidume. 
Primo in obbrobrio 

Di tanti e tanti, 

11 lombricaio 

Degli Aspiranti, 
Immonda chiovina. 

Ove caduto 

Del Fòro il fetido 

sterco e il rifiuto, 
in sé medesimo 
, Pulre e fermenta, 

E immedicabili 

Miasmi avventa. 
A gran caratteri 

In gran cartello, 

sta sul vestibulo 

Scritto : Bargetlo j 
Parola mistica 

Che il fiato in bocca 

Gela, e significa 

Bazza a chi tocca. 
Dai Sacri Canoni 

Dalle Pandette, 

Passato al codice 

Delle manette. 



Ringhia lo spirilo 
Del mio Iodato 
Neil' abominio 
Lì rotolalo. 

Scorda l' ambrosia 
Del tuo Parnaso, ^ 
Calza gli zoccoli, 
Turati il naso, 

Musa, e tenendoli 
Su la sottana. 
Scendi al motriglio 
Dell'empia tana. 

come in immagini 
Lerce e falsate. 
Nella Tebaide 
Al Santo Abate 

Piovean le luride 
Torme deli' Orco. 
Sporcando il trogolo 
Perfino al porco; 

Per furia idrofoba 
Che giù gli mena, 
Così nel baratro 
St)occa una piena 

D'infami Rabule, 
Di Birri e Spie, 
A mucchi, a vortici, 
A litanie. 

Ohimè che l' aere 
Maligno e tetro 
Ea casta vergine 
RespiagQ indietro. 

La casu Yerdioe 
Ond' io m'jhdiro, 
A CBl quell'alito 
Mozia il respiro. 



il* V 



Naia ailc vivUle 
'Fonti, all'ameno 
Rezzo dei lauri^ 
Al ciel sereno, 
Di quella bozzima 
Cbe là 8' infogoa, 
Senle IMogenua 
schiro e vergogna. 
La turpe t)Olgia 
Sdegnando io stesso. 
Ove alleluia 
canta il Processo, 
Varco allo stabbio 
Che aduna a sera 
1 Birrocratici 
Di bassa sfera. 
Giace in ub vicolo 
Sgeoibo e remoto. 
Tra le pozzangli^ 
D* eterno toii^ 
Nera casipola 
A uscio e tetto. 
Che d' una trappola 
Ti dà l'aspetto. 
Dal bugigattolo 
De' Magistrati, 
Dal serbatoio 
Degli Avvocali, 
La sozza Frucola, 
La vii Tartuca, 
La talpa e 11 Granchio 
Là si trabuca ; 
Là dai venefici 
Rovi del-iPisco, 
Si striscia l'Aspide 
E il Basilisco. 
Là, grogiolandosi 
Le invidHs fnernoi, 
Miste all' ossequio 
Degli altri vermi. 
Sbuffa e si gloria 
L' ozio bracalo 
del tarlo pubblico 
Già giubilalo. 



Là, colle nubili 
Sciolte e vistose, 
Recan le vedove, 
Le mogli annose 
De' Coramissarii, 
De'cabelloUi, 
Rigiri, scandali. 
Pania e ceroni: 
Là per libidini 
Di contrabbando 
vanno, e cimentano 
Di quando in quando 
La lor nullaggine 
Che par persona. 
Le Cariatidi 
Della Corona. 
Tutto si rumina. 
Tulio s' indaga, 
Tulli si sgolano 
Li per la paga ; 
Tulli colorano 
Al caso proprio 
L' ombre, le nuvole 
D' un Motuproprio ; 
Ogni bazzecola. 
Ogni bisbiglio. 
Che bolle in pentola 
Del Gran Consiglio. 
E li si predica, 
Li si dibatte 
La compra e vendila 
Delle Mignatte 
Che i Re ci azzeccano 
Filli alte vene, 
Per controsttmolo 
Del troppo bene. 
Come del chimico 
Nel cavo rame 
Si scioglie in glatlne 
L'accollo ossame, 
cosi l' intingolo 
D' un' altra colla, 
Dal gran carnaio 
Che là s'affolla. 



X <^2 



Tira una Taide^ 
Che adesso è nonna, 
Di quel postribolo 
Donna e madonna. 

Fu già da giovane 
Cuoca e pietanza 
D' un Rodipopolo 
Su di Finanza, 

Clie dietro un seguito 
D* apoplessie, 
D'ire, di scrupoli. 
Di trullerie, 

Jn [ade Ecclestae, 
Tirando innanzi. 
Di se, del pubblico 
Biasciò gli avanzi : 

Finché, lasciandole 
Sgombro 11 canile, 
col copertoio 
Del vedovile. 

Fece all' erario 
costar salato 
Anco il rimedio 
Del suo peccalo. 



Se al mondo è femmina 
Garga e maestra, 
Costei del Diavolo 
Può stare a destra; 

Costei che, a titolo 
Di ben servilo, 
Rosola fi Principe 
come il marito. 

L'Eccellenti ssi mo 
Dottor Gingilla, 
Entrato in grazia 
Della Sibilla, 

Dopo un proemio 
ly incensi abietti, 
Di basse lacrime 
Di sconci affetti. 

Le ciìiese il bandolo 
Che mena al varco, 
E «li^de i pascoli 
Del regio Parco. 

A cui l'ex-guattera. 
Tirando fuori 
Delia domestica 
scuola i tesori. 



Senza metafora 
Tracciò distinto 
L' itioeirario 
Del laberinio 

IIL 



O Merli tarpati 

Su su da piccini, 

O Galli pouii 

Ja u8um Delptìlni j 
O Gufi pennuti 

Dell' antro di Cacco, 

O Falchi pasciuti 

Dei pubblico acciacco-; 

Ma intanto, brigata, 
Udite la Strega 
Che dà l' imbeccata 
Al vostro collega : 



O Nibbi vaganti 
Stecchiti di fame, 
O Corvi anelanti 
Al nostro carcame; 

sparvieri, calate. 
Calale, Avvoltoi; 
pappate, pappate } 
Si scanna per voi : 



ehe bisogna scansare i liberali, 
I giovani d* ingegno, i ma} ?edutì f 
Non chiacchierar di libri e di giornair, 
Come non visti mai né conosciuti ; 
Chiuder V ahiroo a tutti e stare a sé, 
so di buon luogo che lo sai da te. 

Questo appartiene all' arte del non Tare, 
E in quest'arte sei vecchio e ti conosco ; 
E sarebbe, il volertela insegnare. 
Portar acqua alla fonte e legne al bosco : 
Ora air ingegno tuo bene avviato 
Resta r altra mela del noviziato. 

Prima di tatto incurva la persona, 
Personifica in te la reverenza; 
Insaccali una giubba alla carlona, 
E piglia per modello un' Eccellenza : 
Io questo caso l'abito fa il monaco, 
E il muro si conosce dall'intonaco. 

Piglia quel su e giù del saliscendi, 
Quell' occhio del ti vedo e non li vedo ; 
Quel tenlennio, non so se tu m' intendi, 
Che dice sì e no, credo e non credo ; 
E piglia quel sapor di dolce e forte. 
Che s' usa dal Bargel fino alla Corte. 

Barba no, ci s' intende : un impiegato, 
(Cosa chiara, provata e naturale) 
Quanto più serba il muso di castrato. 
Tanto più enira in grazia al Principale : 
Ma io questo, per piacere a chi conviene, 
Anca la mamma t' ha servilo bene. 

Non lasciar mai la predica e la messa, 
E prega sempre iddio vistosamente ; 
Vacci nell'ora e nella panca slessa 
Dei Commissario, oppur del Presidente ; 
Anzi, di sentinella alla piletta, 
Dagli, quand'entra, r acqua benedetta. 

Fatti introdurre, e vai sera per sera 
Da qualche scammonea fatto Ministro ; 
E là, secondo l' indole e la cera, 
Muta strumento e gioca di registro: 
se ti par aria da farci il buffone. 
Fallo, e diverti la conversazione. 



X «74 ;:< 

se poi si gioca e si sta sulle sue, 

Chiappa le carte e fai da comodino, 

Perdi alla brava, ingozzati del bue, 

Doventa il Papa*Sei del tavolino ; 

Che quando t'ha sbertato e pelacchiato, 

Ti salda 11 conto a spese dello Stato. 
Fa di tenerlo lo giorno, e raccapezza 

La chiacchiera, la braca, il fattarello; 

Tutto ciò che si fa da Su' Altezza 

(Per così dire) Inflno a stenterello 

Sia P ozio. Il poeto o la iDe8Chinit&. 

Chi comanda è petlegOlo, si sa. 
Se il Diavolo si dà (1) che li s'ammali 

visite, amico, visite e dimolte : 

Metti sossopra medici, speziali. 

Fa' quelle scale centomila volte; 

piantagli un senapismo, una pecetta» 

E bisognando vuota la soggetta, 
se V omo guarirà, fattene bello : 

se poi vedi che peggiora e che muore, 

À caso perso, bada il chiavistello, 

E lascia nelle péste 11 confessore. 

Il morto giace, il vivo si dà pace, 

E sempre s-* appuntella al più capace, 
colle donne di casa abbi giudizio; 

perchè credilo a tne, ci pool trovare 

Tanto una scala quanto un precipizio^ 

E bisogna saper barcamenare. 

Tienle d' accordo, accattane il suffragio ; . 

Ma prima di andar oltre, adagio Biagio. 
Se avrà la moglie giovane, rispetto, 

E rispetto alle serve e alle figliuole : 

Se r ha vecchia, rimurchiala a braccetto, 

Servila, insomma fai quello che vuole : 

Oh le vecchie, le vecchie amico mio, 

Portano chi le porta ; e lo so io. 

Occhio alla servitù venale e scaltra ; 
Ungi la rota, o tlenli soli' avviso 
Di non urtarla; una man lava l' altra, 

(I) Darsi il Diavolo, cioè darsi la disgrazia, «iodo usato dal 
popolo che con molto acoorgimento fa luti' una cosa di disgrazia 
e di Diavolo. 



Suol dirsi, e tulle e due lavnno il viso: 
Nei moDdo va giocalo a giova giova, 
E specialmente se galla ci cova. 
Sempre e poi sempre un pubblico padrone 
Ha un servi lore pia padron di lui, 
Cile suol fare alla roba dei padrone 
Come a quella di lutti ha fallo lui: (i) 
Se l' amico avrà il suo, con questo poi 
Sii pane e cacio, e datevi del voi. 
Se mai nasce uno scandalo, un diverbio, 
un tafferuglio in quella casa là, 
Acqua in bocca, e rammentali il proverbio: 
Molto sa ctìi non sa, se tacer sa ; 
A volfe, in casa propria, un Consigliere 
Pare una bestia, ma non s' ha a sapere. 
In quanto a Iodi poi, tira pur via ; 
Incensa per diritto e per traverso ; 
Loda l' ingegno, loda la matiia. 
Loda I* imprese, loda il tempo perso : 
Quaod' anco non vi sia capo né coda. 
Loda torna a lodare, e poi ri loda. 
Pesca una dote e ridi del decoro 
(Della virtù, si sa, non ne discorro) ; 
Che se piacesse all' Eccellenze loro 
D' appiccicarli un canchero, un camorro, 
Purché li sia la pillola dorata. 
Beccala e non badare alla facciala. 
Briga più che tu puoi : sia suir inlese ; 
Piglia quel che vien vien, pur di servire: 
Ma chiedi, che la Bolla che non chiese. 
Non ebbe coda : e poi devi capire 
Che non sorrette dai nostri l>isogni 
Le loro autorità sarebber sogni. 
L' animo d' un Ministro, il mio e il tuo, 
Son presfl'a poco d' uno stesso intruglio: 
Dunque un Nebbione che non fa sul suo, 
E si può fare onor del sol di luglio. 
Nella sua dappocaggine pomposa, 
È quando crede di poter qualcosa. 
Non ti sgomenti quel mar di discorsi. 
Quel traccheggiar la grazia ai caso estremo, 
Quel nuvolo di se, di ma, di forsi, 

<i) Idiotismo non in grazia della rima, ma del dialogo. 



X *'^ X 
Quel solilo vedremo penseremo.... 
Eterno gergo, eterna paoiomiiDa 
Di queste zucche che lu vedi In cima. 

Abbi per non saputo e per non visto 
Ogni mal garbo ogni alto d'annoialo; 
Fingili grullo come Papa Sisto, 
se ti preme di giungere al papato : 
11 dolce pioverà dopo V amaro, 
E r importuno vincerà I» avaro. — 

E Gingillino non inlese a sordo 
Della volpe faiidica il ricordo. 
Andò; si scappellò, s* inginocchiò, 
si strisciò, si fregò» si strofinò ; 
E soleggialo, vaglialo, e stacciato, 
Abburallaio da Erode a Pilato, 
Fatta e rifalla la storia medesima, 
Ricevuto il Ballesimo e la Cresima, 
Di vile e di furfante di tre colle. 
Lo presero nel branco, e buona notte» 

Qui, non potendosi 
Legare al collo 
La grazia regia 
col regio bollo, 

A capo al letto 
IO un sacchetto 
se l' inchiodò ; 

Mattina e sera 
Questa preghiera 
Ci bestemmiò. 

lo credo nella zecca onnipolenle 
E nel figliuolo suo dello Zecchino, 
Nella cambiale, nel Conto corrente, 
E nel Soldo uno e trino : 
credo nel Motuproprio e nel Rescritto, 
E nella Dinastia che mi tien ritto. 

credo nel Dazio e nelP imposizione. 
Credo nella Gabella e nel Catasto; 
Nella docilità del mio groppone, 
Nella greppia e nel basto : 
E con tanto di core attacco 11 voto 
sempre al santo del giorno che riscuoto. 



X t95 >=: 

A dura vila, a dura ditcìpUn, 
Muli, ^rlal, talliari tlamio. 
Strumenti cieebl d' ocdkiuia nptm 
Che lor DOD loon eebe forse non sanno: 
E quest' odio che hmI non «vvlelMi 
Il popolo lonterdo aiP aleounno, 
Giova a chi regna dividendo, e teoie 
PopoH avversi affratellali insieme. 

Povera gente 1 lontana da' suoi. 
In un paese qui che le vuol male. 
Chi sa che io fondo alPaoinM po' poi 
Non mandi a quel paese il principale! 
ifrioco che V hanno in lasca come noi. — 
Qui, se non fuggo, abbraccio un Caporale, 
Colla su' brava mazza di noccìuolo. 
Duro e piantalo li come un piolo. 

LA RASSECHfAnONE 

At PADRE *•• 
COirSBRVATOBI DBI.L' ORDIIfB DILLO STÀTU-QUO 

Dite un po'. Padre mio, sarebbe vero 
Che ci volete tanto rassegnati 
Da giulebbarci in -casa il forestiero 
come un cinzia a sconto de* peccati, 
E a Dio lasciare la cura del poi. 
Come se il fallo non Istesse a noit 

Eh via. Padre, parlianoo da Cristiani : 
se vi saltasse un canehero a ridosso. 
Lascerete là M d'oggi In domani 
Che col comodo suo v'arrivi all'osso T 
Aspetterete li senza Chirurgo 
Che vi levi da letto vm Tbomatargo? 

uno che nasce qaì nel suo paese. 
Che di nessuno non Invidia II eovo, 
se non fa posto, se non fai le spese 
A chi gii entra nel nido e ci fa l'ovo. 
Se non gli fa per giunta anco buon viso, 
Secondo voi, si gioca il mradiso r 

45 



X «9*X 
Noi Siam vernili su esUa credfentft 

Che il nMNKlo è laiv» da ìmUf a tuMi : 
E ci pare «na bella ImpcrllBeoia, 
Che ooa ladv» geo!» di terabocii 
Tenga a Inbrogttar le parli di leMano 
Che fo DomiM Dio^di propHa «ano. 

Quella donf%ia di succhiarsi in pace 
uno che ci spélliocia allegramente, 
padre, non è in natnra, e non ci piace 
Appunto perchè piace a certa gente : 
caro PadHna flilo, questa dottrina, 
secondò noi^ non è scfaietla farina. 

vedete r Ognuno di scansar molestia 
Si studia a plCt non posso e s' arralMtla : 
E morsa e tafanala, anco> una laeslia 
vedo che si rivolta e che si gratta : 
E noi staremo qui come stivali 
senza grattarci quesl' altri aaimali ì 

«. Siamo fratelli, slam agli d'Adamo, 
H Creati tutti a immagine d^ Iddio -, 
u Siam pellegrini sulla te<*ra, siam»^ 
N senza distindon di tuo né mio, 
m una fMOlgHa di diverse gentf . . . i^ 
Bravo, grazie, non fate complimenti ;. 

E facciamo piuuoaio hi earM 
Tanti fratelli, altreltaoU CMlAlli i 
Di quella vawa di Iraleroitò 
Anco Abele e Cala» eran Iraielli t 
Finché ci fano» il pelo • tt eoolnppek^» 
Che e* entra «Uraoetiiare aoco H Vangelo r 

Questo vostro doloiUHie Jiimmlfério, 
Questa frmmitit tanlo esemplare. 
Che di santa ebe lu là sul Calvario 
L' baooo i-idotU ad w imercalare, 
vo' i' usereste, dkemir appualioo 
Tanto al ladro diritta ebe al maocioe? 

Oh io, per ora, a dirvela sioeera, 
Mi sento paesano paesano v 
B nel caso, sapete la qual maniera 
sarei fratello del genere «manoT 
come dice U proveebio : amici eari. 
Ma patti chiari e la borsa del peri. 



X WS' >•: 

prtoia, padroD di casa io casa mia ; 
poi, ciUadiQO oeila aia ci uà ; 
lUliano ìd Italia, e cosi via 
Discorrendo^ uomo neH' umaoiià : 
Di questo plsso do vita per vita, 
E abbraccio tu4lf e aon cosinopolila. 

La Carità Ve santa, e tra di noi 
Cile siamo al sitio venga e si iratteoga ; 
He verso ohi mi scortica, po' poi, 
IO ooD Rii scolo carità die tenga: 
padrino, chi mi fe fabula rasa, 
pociii discorsi, non lo voglio io casa. 

Questa marmaglia di starci sui collo 
Non si cootenla, ma Lira a dividere, 

, Tira n castrare e a pelacctiiare il polio, 
come suol dirsi, senza farlo stridere: 
E ia paaioiiea in questo struggibuco 
La mi dovonta la virtù del ciuco. 

L'ira è peceaiol SJ, quq^^ por ì'4ra 
Se ne va la giustizia a gambe all'aria : 
Ma se le cose giuste avrò di mira, 
L' ira non ^Mo alla virtù contraria. 
Fossi Papa, scusatemi, a momenti 
V ira la metterei tra' Sacramenti. 

Cristo» a quttlo #PO|K>sito, c\ ba 4ato. 
Dolce com' etm^ un beUiosimo esompio 
(E lo lasciò perchè base iaiUftto) , 
Quando, oonre so^tc, ootrO :nel vempio 
E sbarazzò le soglie poofiiotte 
A furia di aioiisslttie fusate. 

Fino a non far pasticci, e all' utopie 
Tenere aperto l'oocliio e r uscio chiuso ; 
Fino a sfdare 11 carcere, le spie^, 
L' esilfo, il boia, e ridergli sul muso ; 
Fino a dar tempo al tempo, ob Padre mio, 
Fin qui ci sono, e nói ci firmo anch^ io. 

Ma la prudenza non fu mai pigrizia. 
Vosigooria se canta o sesia o nona. 
Canta : Servile damino in laetitia -, . 
E non canta : servitelo in poltrona. 
Chi fa da santo colle mani in mano. 
Padre, non è caitolico, è pagano. 



IL DELBffDA CARTAGO 

E pcrcliè paga vostra Signoria 
Un grullo finto, un sordo di roenierer 
uno che a conio della Polizia 
Ci dorma accanto per dell'ore intere r 
Questo danaro la lo butta via. 
Per saper cose che le può sapere. 
Nette di spesa, dafla fonte viva : 
Gliele voglio dir io : la aeou, e scrìva. 
m primis, la saprà che il n^ondo e V uomo 
vanno col tenopo; e il tempo, sento dire, 

' Birba per lei e per noi galantuomo, 
verso la libertà prese Fa ire. 
Se non lo crede, li caropanil del Duomo 
E là che parla a chi lo sa capire : 
A battesimo suoni o a funerale, 
Muore un Brigante e nasce un Liberale. 

Dunque, senta, se vuol rompere i denti 
Al tarlo occulto che il mestier te rode, 
O scongiuri le tossi e gli accidenti 
Di risparmiar quest'avanzo di code; 
se no, compri le Balle, e d* Innocenti 
Faccia una strage, come fece Erode: 
Ma avverta, che il Messia si salva in fasce j 
E poi, quando l' uccidono, rinasce. 

I sordi trameni! delle congiure, 
il far da Gracco e da Robespierrioo, 
È roba smessa, solite imposture 
Di birri, che ne fann* un botteghino. 
Questi Romanzi, ia mi creda pure. 
Furono in voga al tempo di Pipino ^ 
Oggi si tratta d' una certa razza 
Che vuole Storia, e che le dice in piazzav 

sicché, non sogni d'averla da fare 
col Carbonaro, oè col Frammassone, 
O Giacobino che voglia chiamare 
Chi vive al moccoHn della ragione; 
Si tratta di doversela strigare 
con una gente che non vuol padrone; 
Padrone, intendo, del solito conio, 
Che un po' tarpati, e' non sono li Demonio^ 



X»91 X 
mioque. Padrone noi L* ha scritto ? o bravo! 

Padrone noi Sia bene e aodiamo avanti: 

BepubbUca, oramai, Tiranno, Schiavo, 

E altri nomi convinsi e stimolanti, 

S\y lasciamoU là : giusto pensavo 

Che senza tante storie e senza tanti 

Giri, si può benone in due parole 

Tirar la somma di ciò che si vuole, 
scriva. Vogllam che ogni figlio d' Adamo 

Conti per uomo, e non vogliam Tedeschi: 

vogliaoM» i Capi col capo; vogliamo 

Leggi e Governi, e uoa vogliam Tedeschi, 

scriva. Vogliamo, tutti^ guanti siamo, 

L' Italia, Italia, e non vogliam Tedeschi ; 

Vogliam pagar di borsa e <li oervello, 

E non vogliam Tedeschi: arrivedello. 

A GINO CAPPONI 

Fedi un po% Gino miOj che cota vuol dire V aver che fare 
€0* Poeti I Non conlenti <U scapriceirsh rimafuio sul cerno degli ol- 
ir i e sul proprio j chiamano anco gli amici a parte dei toro capricci, 
chi per affetto e ehi per far gente* Anni sono^ intitotai a te quella 
tirata tulle Mvmmie Itaiiche^ scherzo cagnesca ehe risente della stiz- 
za dei tempi nei quali fu scritto j ogqk elle abbiamo tuui il sangue 
più addolcito^ accetta questa aspirazione a cose migliori j scritta, cO' 
me tu saij quando il buonok era sempre di ià da venire j e anzi pa- 
reva lontanissimo, A cM sapesse che tu sei il solo al quale ho ri- 
corso in tuitociò che passa tra me e me^ non farà meraviglia questa 
pubblica confessione che io t* indirizzo j a cài non lo sapesse ^ ho 
voluto dirlo in versi, tanto più che dai Petrarca in poi pare wta legge 
poetica che le affezioni dei rimatori siano sempre di pubblica ragio- 
ne. Lasciami aggiungere^ e lascia sapere a tuui^ ehe io ti son tenuto 
di molti conforti e di molte raddirizzature j che se tuttavia mi resta- 
ito addosso delle magagncj la colpa non é dell' Ortopedico, 

Tuo Affezionatisstmo 
OjDSBPPE Giusti 



A GUfO CAPBOOH ^n 



come colui cte auriga a i 
per correnii di rapide I 
cbe star gli MmlM-a imaioiBile, e la spanda 
Fuggi rQ, e i nomi e la selve lentane; 
cosi l' iDgegoo mio varca per l' oada 
Precipitosa delle sorci umane; 
E mentre a lui dell' oniversa vita 
Passa dinansi la seena iafiaiia. 
Muto e percossa di stiipor rimane. 

E di sordo. toMUlto aiètiGariiM 
Le posse arcane #eU' anima sento, 
E guardo» e penso, e comprender non panne 
La vista che si sveWe all'^cehlo lotisme, 
E non bo spirila di si pieno carme 
Che in me risponda a quel fiero concento: 
così rapito in meiao al ■moto e al suono 
Delle cose, vaneggio e m^ abbandono, 
come la teglia che mulina il veotd. 

4fa quando poi remoto dalla gente. 
Opra pensando di soltit lavoro, 
Mie dolci failche della mente 
M travaglio dei cor cereo ristoro, 
ficco assalifmi tulle di repente, 
come d' insetti iw nufoto sonoro, 
Le rimeubranae delle cose andate ; 
E larve orrende di scherno alleggiate • 
Azzuffarsi con aaeeo ed I» con Iona. 

così tornata alia solinge stanza 
La vaga giovinetta io eoi Pacuta 
Ebriei& del suono e della danza 
Kò stanchezza oè somìo non attuta. 
Il fragor della festa e r esultanza 
Le romba intorno ancor per V aria muti, 
E il senso impresso de* cari sembianli, 
£ de* lumi e da' vortici festanti, 
lo faticosa vision si muta. - 



(1) Ho tentato <li rimettere in corso questo metro antico, dsl qn.ile. 
sebbene difficilissimo, credo si possa trar partito per aggiungere gra^ 
vita e solennità all'ottava. Direi d* usarlo ne' componimenti brevi; alU 
lunga forse stancherebbe. 



come partem a cui ratto bal«» 
Subita ooM che d* oWar lèao, 
coti la paiNMi allBiTo in quella jifteM 
Del caldo innagiiiar etoe dmtro rrtae. 
Ma se sgorgando dt 4IÌBoli vena 
La parola e il peosler pugnano lntieaw« 
lo« di me aleuo dilfldkado, poso 
. Dal metro audace,, e rimango peutoM^ 

E P aogoacia d^un dubbio in cor mi geme. 
Dunque su questo mam a cui li Ade 
Pericolando con si poc» veli. 
Il nembo 8eaH>re e la procelln stride, 
E de* sommersi II pianto e la qoeraia t 
E mai non pos^ l'onda, e mai non ride 
x'aere, e il sol di perpetue ombre si veto? 
ui questa ardita e iraìogUata polve 
Gbe teco spira, e a Dio teoo- si volve, 

Altro 4tw viato a te non sf rhrela ì 
E chi lei tu ebo ll<IMm> iagello 
Raod, acoanaando duramente II vero, 
E che pareo d» lode al buono e ài bello, 
Amaro canne intuoni a vttnpero? 
cogliesti tu, seguendo il tuo modello. 
Il segreto delP aree e il ministero T 
Diradicasti 4)a te «tesso in prte 
E la vana superbia e la foNla, 

Tu ebe rampogni, e altrui mostri il sentiero? 
Alior di duol 'Compunto, sospiraodo, 
De' miei pensieri il freno a me raccolgo; 
E ripetendo il dove. Il cóme, il quando. 
La breve istoria mia volgo e rivolgo. 
Ahi del passato Porrne ricalcando 
Di mille spine un ^r misero «olgoi 
Sdogaaeo delForror d' error tnaccblato, 
o^ mi sento eo^ pochi allo levalo. 

Ora giù caddi e vaneggiai col volgol 
Misero sdegno, «he mi spiri solo, 
Dr te si stanca e si rattrista II core ! 
o farlbletta che rallegri il volo, 
Posandoti' per ria di fiore in fiore, 
e tu che sempre vai, mesto usignolo, 
Di bosco in bosco cantando d' amore. 
Delle vostre dolcezze al paragone, 
in quanta guerra di peaaier mi pone 

Questo che par sorriso ed è dolora i 



Olire la nube dim mi cerchia- e io seno 
Agiu \ venU e \ faloBtoi dell' ira, 
A più largo oritaoate, a più sereno 
cielo, a più lieto voi r animo aspira. 
Ove congiuoil con libero freno 
I forti canti alla pietosa lira, 
Di feconda armonia l'etere suoni, 
E slan gV inni di lode acuti sproni 
Alla virtù cbe tanto si sospira. 
. o Gino mio, se a te questo segreto 
conflitto delia mente io non celai. 
Quando accusar del canto o mesto o lleio- 
in me la nota o la cagione udrai. 
Marra quel forte palpilo inquieto, 
Tu cbe in altrui l' intendi e in te lo sai. 
Ut quei cbe accesso alla beltà del vero 
un raggio se ne sente nel pensiero, 
E ogoor lo segue e non lo giunge mai. 

E aneli' io quell'ardua Immagine dell'arte. 
Che al genio ò donna e figlia è di natura, 
E in parto ha forma dalla madre, in parte 
Di più allo esemplar rende figura ; 
Come l'amante che non si diparte 
Da quella' che d'amor più l'assecura, 
vagheggio, inteso a migliorar me stesso, 
E d' innovarmi nel pudico amplesso 
La trepida speranza ancor mi dura. 

AL MEDICO CARLO GHINOZZI 

COKTRO l'abuso DBLL' BTBRK SOLFORICO 

Ghinòzzi, or che la gento cbe l' uom, gii sonnolento. 

Si sciupa umanamente. Dorma perfto del piaoio 

E alla morbida razzn All'alio insegnamento? 

Solletica il groppone Gioia e salute scende 

Filantropica mazza Dal pianto» a chi I* intende ; 

Fasciala di coiooe, Nò solo il bambinello 

Lodi tu che il dolore. Per le lacrimo fuori 

severo educatore. Riversa dal cervello 

C'impaurisca laniot I mal concetti umori. (4) 



(I) Oicono che i bambini, piangendo, si ripurgbtno il cervello; sim- 
bolo forse di ciò che accade a tutti coli* andare dcgU anni, parteci- 
pando alle comuni avversili. 



»«x 



A Chi 8è slesso apprcoza. 
Chiedi se io vile ebbrezza 
Cercò rifiifio a* guai: 
Se sofisma di scuola 
Gli valse il dolce mai 
D' una lacrima sola l 

Liberameote H forte 
Apre al dolor le porte 
Del oor^ come all' amico ; 
E a consultar s' avveiia 
Il consigliero antico 
D'ogni umana grandezza. 

Ma a gente incarognita, 

I mail della vita 
Sentono di barbarie ; 
E bel trovato d'ora 
Accarezsar la carie 
Che l'osso ci divora. 

Se dal vietato pomo 
Venne la morte, ali? uomo^, 
Oggi è medicinale 
All' umana semenza, 
cotto dallo speziale^ 
L'albero delia Scienza. 

Su, la fronte solleva. 
Povera figlia d'Eva;^ 
Lo sdegno del Signore 

II Fisico ti placa, 
E tu senza dolore 
Partorirai briaca. 



Chiudi, diiudi le ciglia. 
E sogna una quadriglia: 
Che importa saper come 
Del partorir le doglie 
Ti fan più caro il nome 
E di Madre e di Moglie ? 

BOIto, in prò del soffrente 
corpo, anaebbiar la mente ! 
E quasi inutil cosa, 
Nella raoHale argilla 
Sopire inoperosa 
La divina scintilla ! 

Ma, dati* atto vitale. 
La parte spirituale 
Rimarrà senza danno 
Nello spaslfoo, assente r 
Forse i Gblmlcl sanno 
DelP esser la sorgente? 

sanno come si votve 
Nell'animata polve 
La sostanza dell'Io? 
E la vita e la noorte, 
segreti aKi d'iddio, 
SoggiaodoBo alle Snrieì 

Amico, io non m' impenno. 
Poeta inquisitore, (1) 
Se benefico senno. 
Guidato dall'amore. 
Rimuove utili veri 
Dall'ombra de' misteri; 



Sol dell'Arte ho paura. 
Quando orgogliosa in toga, 
La sapiente Matura 
D'addottorar s'arroga, 
E l'animo divelle 
Per adular la pelle 



(1) Qui^ nel calore del comporre, mi venne fatto senza aUdarmene 
di capovolgere le due uUrme strofe e non so rimediarle. Mi »u perdo- 
nato, purché il senso comune no» sia andato anch'esso a capo all'ingiù. 



1 1H860RSÌ CHE CORROMO 
QueUQ Di»l999 è toUo da una Commedia inktaiaia, 

1 DMCm»! CHE COBROBO* 

X' aUcne é in un paes^ a scelta deUa platea^ ptitlié i éiseomi 
che eorroìHi adeeeo, corrom mezzo mondo, I Pwiomgqi iono .- 

Gbavchio^ GiiUf^iiato e pentkmaio. 

SbauguOj Pouiéenu. 

Archstto, Emissario. 

v«fiT0CA« Scroccone. 

E altri che non parlano o cUt'wm itogUomo parlare. 

Questi sopraummi, l* Amore non gU ha sUHaii per iepiéuza 
suntereUescoj ma per la paura di dare in gualche scagtlo pimmuio i 
nomi usuali. 

La Commedia è in versi, percké f J More sentendoti éeita scuota 
che corre, e eapendo per conseguenza di donar inutero ti. capa^ o in 
ima prosa poetica^ o in una poesia prosaica, ha scelto spmetaiiimaj 
sicuro di non essete uscito di chiave. 

Siccome U tempo va di carriera , e U mettere in iseenauna Cam' 
media che non sia del tempo, è lo stesso che uscire in piotsa a fare 
il bello con una yteMa taglieta, per esempio, nel udUeostoeentoquat- 
tordici, poiretfàe dorsi che l' Amore ritardato dalla famosiayuon po- 
tesse finire il lavoro a tempoj e che il pubblioo non ne vedesse aitro 
che questo brano. 

ATTO SECONDO 

$CBWA QUISTA 

salolU) ' 

Da un lato una tavola mezza sparecehiauu Gravchio e Vbktola ^i 
poltrona al camminelto. Granchio pipa j Ventola si stuzzica i 
denti. Dopo un minuto di silenzio. Ventola s'alza e va a guar- 
dare il barometro. 

GRÀNCHIO 

Cbe ci dice il barooMiro t 

* VBHTOLA 

{tentennando il barometro colle nocca) 
Par che annunzi burrasca. 



ORAKCHiO (p^ aUtmar ^scorso) 
Meglio 1 

vsHTObA tcof^ce e lo seconda) 
scusi, a proAQiUo, 
se vo di palo ip frasca: 
L'ba veduta la Civica ? 

ORANGHI» (90$UmtOÌ 

L'ho vedNia. 

VENTOLA 

. i^ Placet 

GRANCHIO (aotmo'mUij 
NOD me oMoleodo. 

VENTOLA (per dargli nel genio) 
£ uo riderò. 
Che giMf rieri dti pacei 

GRANCHIO (iésfndoh) 
Che la pigltaao io celia ? 

VEKZOLA {con ammirazione burlesca) 
Io celia? e ood Co ehiasaoi 
La pigliano ayl «erio i 
Per queslo mi ci spasso. 

GBjMGBIO 

Pale malo. 

VBKTOIiA 

M'arresUooi 
O la scusi : che quella 
Le par gente da toltersi ? 

GRANCHIO (ironico) 
O to% sarebbe beltei 
voa volta che il Prlnolpt 
Le arrischia armi e bandiere. 
Che gliele dà per dargliele r 

TINTOLA (mostrando di leggergli in viso) 
La mi faccia il piacerei 
Già la lo sa ... . Diciamola 
Qui, che nessuD ci sente : 
cf crede lei? 

GRANCHIO (con affeiwtione) 
MoUiasimoi 

VENTOLA 

IO 000 ci creda c^ieoie. 

Per me queste commedie 

Di feste e di soldati^ 



X «4 X 
soo perditempi, bubbole, 
Quaitrini arraodellalii 

GftAircHio ifaceufio P indifferente) 
Può «ssere T 

VEKTOLA 

Può essere? 
È 'Bensa dubbio... in fondo. 
Con quailro molupreprii, 
Cbe si rimpasià il mondo ? 

GRANCHIO (agrodolce) 
Dleon di si. 

VENTOLA 

LO dicano: 
Allru è dire, aliro è fare. 

GRAScmo (come sopra) 
Eb^ crederei i 

VENTOLA 

Le chiacchiere. 
Non fan farina. 

GRANCHIO {come sopra) 

Pare i 
VENTOLA (riniosia) 
E poi, quelli cbe mesiano 
Presenleraenle, scusi, 
con me la pud discorrere, 
O che le paioo musi ? 

GRANcmo (asciulto) 
Non so. 

VENTOLA (con sommissionc adutaioria) 
Non vada in collera; 
Badi, sarò una beslia ; 
Ma lei, sia per incomedi^ 
Sia per iroppa modestia 
sia per disgusti, eccetera. 
Da non rìofrancescarsi. 
Ci servi nelle regole! .... 

GRAKCBio (facendo f indiano) 
cioè direi 

VENTOLA 

A ritirarsi, 
GRANCHIO (con modestio velenosa) 
Oh per codesto, a perdermi 
Ci si guadagna un tanto: 



LO volevano? L' ebbero: 

La cosa sia d' incarno i 
Ora armeggiaoo, canUno, 

proleggono i Sovrani, 

Hanno la ciarla liber». 

Lo sialo è in buone mani ; 
va tulio a vele gonfie ! , 

Il paese è felice: 

Si vedranno miracoli l 

VBHTOLA 

La dice Iti, la dice. 
Badi se la mi èlamca, 
E un pezxo ohe la bolle i 

GBAHCH10 (pw auizzario) 
Miracoli ! 

■ VISTOLA, (ci dà dentro) 
spropositi 
Da preoder colle niolle l 

ORAHCHio (ewtenio) 
Oh, là là. 

VEHTOLA 

Sesia dubbio 1 
E il male è nelle cime. 

GRAHCBio (come sopra) 
Povertà voi t CheUlevil 
Quella gente sublime ? 

VENTOLA {mettendosi una mano al petto) 
creda .... 

GRANCHIO (gode e non vuol parere) 
ZiUo, linguaccia^ 
facciamola flnila. 

VENTOLA (serio serio) 
creda sul mio carallere, 
Non né voglion la vila. 

GRANCHIO {gongolando) 
Oh, non ci posso credere : 
Se mai, me ne dispiace. 

VENTOLA 

Dunque, siccome è storia, 
Metta l' animo in pace. 

GRANCHIO (riman li in tronco) 
. VENTOLA {non lascia cadere il discono) 
Vuol KUa aver la noia 



Di ftentira a che Biamo r 
Per me fo predio a dìrglieto. 

CMMcmo.ffe ne itmu/gt) 
AAimo Nìi, MotiiMno. 

TCHTOLA {aUéggi(mé<mi) 
in primìé in aule ^mnia, 
sappia cbe gì* {mptegati, 
con codesti Sustilsslmi 
Sor tulli disperati. 
A queli'ora^ lì, al tPit)olo : 
E o piova o tiri vento. 
Non e' è cristi : Dio Kt>eri, 
A sgarrare un moaieMoi 
Nulla nulla, Faoiifòna : (caricando la voce) 
•* Signore, ella è pagalo 
• Non per fare li snò oomodo, 
«• Ma per servir lo Stato. 
« La m' Intenda, e sia V oiiliBa. 

etikKcmo (sgusciando gii occhi) 
Alia largai 

yvmoLK (trionfante) 
O la veda 
se a tempo suo... 

OllAffCflfO 

(dandogli sulla vece nato contemo) 
ohetlainodi 

VB5T0LA. 

O dunque la mi creda. 

GRAMCHio (ride e pipa) 

VENTOLA 

La ridet Aspetti al meglio i 

Quand'uno è II, bisogna 

Per se'ore continue. 

Peggio d' una carogna. 
Assassinarsi il fegato. 

Logorarsi le sctiiene; 

E C è anco di peggio, 

Che bisogoa far beoe. 
Se no, con quella mutria: (wricando la voce) 

u Noi, non siamo contenti : 

«• Noi, voglianx) degli uomini 

« Capaci, onesti, allenii ; 
« Degli uomini che iniendano 



X 2»7 X 

«• Quale è il loro dovere* » 
Ma eli r 

GRAKCBio (con tff» ottaccio) 
Pare imponibile i 

VEUTCOiA 

Son quelle tenaolere?* 

GRiMCBio r^Mle e pipaj 
VBRTOLA (coniinuando) 
IM se* ore di gabbit. 

Con lei, »ia benodeMo, 

E' ne pottfvaa roéere, 

Non è Toror US paletto. 
Mezz' ora a dondolaraela 

Prima di andare al aieio ; 

vn> altra mezza^ a cblaoohlerw 

Girando per P Ofllalo ; 
un' altra, aciorlnaodeei 

Fuori con un preieaio; ' 

E un'altra, «allo steddefe» 

Andando via più presilo. 
Poi la fede del medko 

Ogni quiildfef gtornf ; 

I Bagni; uo mete d'dHa 

Qui per questi diatomi; 
Via, tra niónoll-e oamioli, 

W^ pftiea campare. 

Ora? Bisogna striderci 

o volere o volare. 
Eccoli là che sgobbano 

Piantati a tavolino ; 

E li coir orologio, 

E dìciollo di vino. 
Che le pane ? 

ORAncaio {Éisprezzante) 
Seocaggini i 

WBtTfULL 

Ma mi burla! E' si lascia 
Rifiatare anco un bufalo! 
Quelli r o deot» e.gaoascia. 

GRAKOBIO f9Hi9 « pipai 

TEKtOLA frincarmntoj 
Senta i Un povero diavolo 
Che sia nato un po' tondo, 



>:; 308 X 

sensa uà modo di vivere^ 

senza un noetllere al nioado. 
Che notato di Uarsene 

Li bruco e derelHto, 

cerchi di 8gai3eHarieia 
Ali' ombra é* un Reecriito; 

Non c'è mtaerioorilia: (contraffacendo) 

« Scusi, ie vengo schietto, 

- li posto che desidera, 

« veda, è diOiciletto. 
« Elia, non per offenderla, 

N Ma non è per la quale. »> 

È carità del prosalmo T 

GRAHCHIO 

carità liberale i 

VENTOLA 

E vo' potete t)aiter6, 

vo' potete annaspare! 

Moltiplicar le suppliche* 

Farsi raccomodare. 
Impegnarci la moglie. 

Le figliole... è tuli' una i 

con questi galaniuomini. 

Chi sa poco, digiuna. 
Guardi, non voglion asini i 

GRANCHIO (iti «M^eSCO) 

cari I 

VENTOtiA 

Gesusmaria I 
S'è vista mai, di grazia, 
Questa pedanteria ? 

GRAHCHIO (gongola) 
YBNTOLA (con tuono derisorio) 
Del resto poi, son umili, 
son discreti, son savi. 
Fanno il casto, millaoiano 
Di non volere schiavil.... 

GRAHCHIO 

(scuotendo la pipa sul fmco, e facendo l'atto d'alzarsi 
per andane a posarla) 
Filantropi, filantropi. 
Filantropi amor mio ! 



X i^^ X 
speix) così d' andanseoe là U. 
O su su ano all' uUimo scaliDo, 
Di strappare uo ceocin di nobilià, 
Di ficcarmi a! Catino, 
E di iDorlre In Oepositeria 
Colla croce all'occhiello, e così sia. 

UNA LEVATA DI CAPPELLO INVOLONTARI. 
Rise Emilio, perchè oella funesta 
casa dei folli uo dì con esso entrando. 
Confuso allo spettacol miserando 
Scoprii la testa. 
Ohi s' ci dovesse a chi non ha cervello 
Passar dinaoci dei villani al modo, 
Teiwr potrebbe in capo con un chiodo 
Fisso il cappello. 
Onorar la svemura ò mio costume, 
£ senza farisaica vernice 
Nei casi meditar delP Infelice 

La man di un Nume. 
Accanto a illustre mMiecalio, avvezzo 
Al salutar d' un popolo di schiavi. 
Accanto ai pazzi che la fan da savi 

Passo, e disprezzo. 

CONTRO UN LETTERATO PETTEGOLO E COPISTA 

O chiarissimo ciuco, 
O cranio parasito 
All'erudita greppia Incarognito ; 

Tu del cervello eunuco 
Air anime bennate 
Palesi la virtù colle pedate. 
Somigli .uno scaffale 
Di libri a un tempo idropico e digiuno, 
Grave di tutti, inteso di nessuno; 

O m^lio un arsenale 
Ove il sapere, in preda alle tignote. 
Non serba altro di sé che le parole. 
Poiché sfacciatamente 
Copri de' panni altrui l'ania» nuda^ 
scimmia di forti ingegni e Zoilo e Giuda ; 

. Smetti, o zucca impotente. 
Di prenderti altra briga ; 
strascica l' estro sulla falsariga. 

43 



IL GIOVINETTO 



Misero ! a dicioU' anni 
Si sdraia nel dolore 
D' aerei disinganni^ 
E alleggia al mal umore 
Il labbro adolescente, 
cbe pipa eteniaroenie. 

Beccando un po' di, lutto 
Oisia nulla di nulla, 
col capolino asciutto 
sì sventola e si culla 
In un presuntuoso 
Ozio> senza riposo. 

Pallida, capelluia 
Parodia d' Assalonne, 
circuendo alla muta 
GerogliGche donne. 
Almanacca sul serio 
TJn pudico adulterio. 

K mentre avido bee 
L* insipido veleno 
Delle Penelopee, 
Che si smezzano in seno 
Il pudore, 1' amore, 
il ganzo e il confessore, 

Peirarca da commedia, 
Eunuco insalirìto. 
Frignando per inedia 
Elegiaco vagito, 
Rimeggia il tu per lu 
Tra il vìzio e la Virtù. 

convulso, semivivo. 
Sfiaccolalo, cascante; 
Amico putativo 
E putativo amante, 
Annebbiando il cipiglio 
Tra \* inno e lo sbadiglio ; 



in asmatiche scede 
Di Dio cincischia il nome: 
Ma il lume della fede 
m lui scoppietta, come 
Lucignolo bagnalo, 
crislìanello annacquato. 

canta l' Italia, i lumi, 
Il popolo, il progresso. 
Già già retioricumi 
Per gli Arcadi d' adesso : 
Tuffato in cene e in balli. 
Martire in guanti gialli ; 

Per abbuiar la monca 
Vanità della mente. 
Geme (UU'ala tronca 
JU'tngegno creseeniej 
Di doturelli in erba 
Queremonia superba. 

Si paragona al fiore 
Che innanzi temffo cade, 
A 'cui manca il lepore 
E le molli rugiade j 
E non ha cuor né senno 
Dì dir: mi sento menno. 

Ricco dell* avvenire, 
casca sull'orme prime; 
Balbetta di morire . . . 
E di che ? Di lallime ì 
O anima leggera, 
Stiorila in primavera, 

spossate ambizioni, 
scomposti desidèri, 
Mole, aborti, embrioni 
Di stuprati pensieri, 
E un correre alla matta 
Col cervello a ciabaiia. 



In torbida anarchia 
Ti tengono impedita. 
Per troppa bramosia 
D' affollarli alla vita : 
T'arrabalii nel Limbo, 
Paralitico bimbo. 



k ENRICO Mà^ER E A LEOPOLDO ORLANDliNI 
Miei Cari 

Nel 1844^ quando io era quasi disperato della safuiej voi due 
fn* accoglieste succensivamertte in casa vostra j e per me^i e mesi mi 
<i teneste come fraiettOj sopportando infiniti fastidi per causa mia, e 
dividendo meco i patimenti e le malinconie di quello stalo ango- 
scioso. 

Io non potrò mai rimeritarvi di tanto benefizio j ma per mostrarvi 
in qualche modo la mia riconoscenza^ ho pensato di pubblicare col 
vostro nome questo Racconto j assicurandovi che non intendo offerirvi 
cosa degna di voij se non quanto alto scopo al quale è diretto il 
componimento. ' 

Vostro 
GIUSEPPE Giusti 

IL SORTILEGIO 

11 Lotto, ve lo dissi un' alira vòlta. 

Il Lotto è un gioco semplice, innocente, 

Che raddirizza ogni testa stravolta ; 

E chi si fonda in lui, non se ne pente: 

Lo dissi e lo ridico, e o' ho raccolta 

La più limpida prova uUimaroenie 

In un bel fatlo accaduto tra noi. 

Che slamo al tempo che sapete voi. 
4n un fastello de' nostri Appennini, 

E il nome non imporla, era saltalo 

Tanto neir ossa di que** montanini 

L' estro del giocolio soprallodato. 

Che nelle gole giù de' Botteghini, 

In ambi e in terni avean precipitalo^ 

colia speranza certa d' arricchire. 

Fin le raccolte di là da venire. 
i.a voce Botteghino non è mìa : 

E una protesta mi pare opportuna, 

se mai pensaste che la poesia 

Parli a maliila, o secondo la luna : 

U BottegMno e la Prenditoria 

volgarmente soa due in carne una. 

Se il nome è brutto, il popolo inventore 

N' ha colpa, e non ne sto mallevadore. 



Dunque (ornaodo a ooi^ que* mootanari 
Fino alle scarpe a?eair data la via, 
sognando negli spazi immaginari 
Di fare un buco in Depositeria. 
Di giocato^ di prodighi e d* avari 
Olire la borsa va la brarooaia, 
E come obi più n> ba pii!^ ne vorrebbe, 
chi più ne sciupa e più ne sciuperebbe; 

Bazzicava lassù per cfue* paesi 
Un di que' rivenduglioli ambalanti, 
che fan commercio a denari ripresi 
Di berrelU di scatole, di Santi, 
E di ferri da calze, e d^ alUi arnesi 
Quanti n' occorre per cucire, e quanti 
Ne poru in petto, al collo e sulla test». 
La villana elegante il di di festa. 

Oltre a codeste bricciche, costui 
La sacca d 'un gioiello avea provvista, 
Che tra le cose che giovano altrui 
va messo per ossequio in capo lista > 
Cosa mirabilissima per cui 
splende alla mente una seconda vistai 
cosa che serve per tutti i bisogni ; 
E questa peria era il Libro de* Sógni. 

La famosa Accademia del cimento, 
L'Istituto di Francia e d'Inghilterra, 
È tutta roba di poco momento 
Appetto a quella cbe il gran libre serra. 
•• Credete a chi n' ba fatto esperimento » 
Che quello è il primo libro della terra, 
Onde lo privilegia, e con ragione. 
La sacra e la profana inquisizione. 

Questo libro utilissimo, non solo 
Egli lassù l'avea disseminato, 
Ma nel mezzo di piazza al montagnolo 
Spiegato con amore e postillato ; 
E il giorno dell'arrivo, al Merdaiolo» 
Il popolo. Il comune, e il vicinato 
correano a dire i sogni della notte, 
Ladri, morti, paure, e gambe rotte. 

Ed ei, presa la mano a far l'Oracolo, 
O rispondeva avvolto o stava mulo ; 
Anzi, tra l'altre, avea un tabernacolo 
con dentro un certo santo sconosciuto. 



X «* X 
Dal qual, cecondo lui, pici d' un Mirteolo, 
E più d' uo terno a molli era piovuto, 
Pur di desiare la sua corlMia 
Pagando un «oldo ed un'Avemmaria. 

1.0 spolverava, l' apriva, e gridava 
Che tut(i si levassero il cappello^ 
Poi bronlolaodo Paleroosirf, andava 
Torno lorao a raocorr» il sol<lareilo: 
E meoire ognufio pregava e pagava. 
Più numeri, di souo dal gonoelio. 
Tirava fuori agli occhi della folla 
Il moneberino di <|uel Saolo a molla. 

Uè volendo, se a vuoto eran giocali, 
parer col Santo e tutte, uo Impostore. 
Egli è, dicoa, per i voalri peccati. 
Che non Irovan la via di veoir fuore. 
Smunti così gran tempo e bindolati 
Avea quo* mammaluccbi io quell' errore, 
E col Governo il traffico diviso, 
E mescolato al vizio il Paradiso. 

stanchi alla fine, e come accade spesso 
D'uno cUe al gioco giochi, anco il cervello, 
che invece di pigliarla con se stesso 
E' se la piglia eoo questo e con quello. 
Va dì che il ftìveDduglioio avea messo 
Fuori i fagotti e il solilo zimbello. 
Da sei gli SODO addosso, e con molt'arte 
x» attorniano, « lo traggono in disparte. 

e dopo averlo strapazzato, e dette 
cose del fatte suo proprio da chiodi, 
GÌ' intuonaron minacele maledette, 
£ che voieaoo il terno in tutti i modi. 
Messa 11 su quel subito alle strette 
La volpe che maestra era di frodi. 
Facendo V imbrogliato e il mentecatto, 
Te gU abboni che non parv« suo fatto. 

poi protestando, che del truiiamenlo 
Non iacea caso e k> mandava a mo&te. 
Accennò rolM, parlò d' un portento. 
La prese larga, te II tenne in ponte, 
E finse di raccogliersi un momento^ 
E chiuse gli occhi, e si fregò la fronl^, 
E disse: attenti, che non diate poi 
A. me la colpa che si spetta a voi. 



Bisogoerebbc, qutodo il gallo caata 
Sul!' alba, o appeoa il sole è andato soitoy 
NovaoU ceci secchi, sulla pianla 
Córre, seoz' esser vlsli o farne mollo ; 
E dall' uno giù giù fine al novanta 
scriverci sopra i numeri del Lotto, 
con una lioia ctie non si cancella. 
Fatta di pece e d' unto di padella. 

Affliare un coltello, essere aeoorto 
Che chi r affila non tocchi nessuno; 
E un corpo maschio, defunto di oortov 
scavar di notte, in giorno di digiuno ; 
E tagliala e vuotata a questo morto 
Ben ben la testa, dentro a uno uno- 
Meitere i ceci, stand* inginocchiati, 
Tre volte scossi e Ire voUe contati. 

Avere un pentolone, e a queste. gore 
Qua sotte, empirlo dì quell' aequa gialla, 
E bollirci quel capo, e che di fuore 
Non vada l'acqua. Dio guardi a versali» t 
A mala pena spiccato II bollore, 
Da' primi ceei che verranno a galla 
Avrete il terno; e se dico bugia. 
Che non possa salvar V anima mia. 

Quel dettar tutto sì minutamente, 
Quel morto, quella pentola, e il gran guaio 
D' aver bisogno, fece a quella gente 
Girar la testa come un arcolaio ; 
E creduto per fede agevolmente 
E rimandato libero il Mereiaio, 
stillano il modo di venire a capo 
D' aver in mano, e di bollir quel capo. 

Di fresco era lassù morto il Curalo, 
E l'aveano sepolto dirimpetto 
Alla porla di Chiesa, ove il sacralo 
Ha una lapide anticha a questo effetto. 
Quel Prete, per disgrafia, Infarinato 
D'Algebra, se di tempo un rìtaglietto 
Crii concedea la cura di montagna, 
Era sempre a raspar sulla lavagna. 

Quell'armeggio di numeri venuto 
A risapersi nel paese, il Prete 
Per un gran cabalista era tenuto, 
E che de* Cerni avesse in man la relè. 



X <83 X 
E scalzarlo parecchi avean voluto, 
Mentre che visse, sufi' arti segrete 
Di menar la Fortuna per il naso, 
Pescando il certo nel gran mar del caso. 
L' ultima carne maschia seppellita 
Era il Prete, la cosa è manifesta; 
Dunque la testa che andava bollila 
Era la sua, certissima anco questa ; 
E tanto più che avvezzi erano, in vita, 
I numeri a bollirgli nella l«sia. 
Cosi dicendo quella gente grossa 
Pensò del Prete violar la fossa. 
Risoluti s' accordano costoro, 
E si partiscoo l' opere e le veci; 
Anìmannisca il coltello uno di loro, 
un altro il pentolone, un altro i ceci, 
E poi tutti si trovino al lavoro 
Di nottetempo, là dopo le dieci, 
Nel giorno da Mosc dato all' altare, 
Ed alle streghe nell' era volgare. 
Tutto quel giorno che precesse il fallo, 
Maso un di quelli dell'accordellalo. 
Girò per casa mutolo, distratto 
E lorbo come mai non era stato: 
La moglie era presente e di soppiatto 
coli» occhio che alle donne' Amore ha dato, 
Lo guardava e guardava, a quella vista 
Facendosi anco lei pensosa e trista. 
Erano sposi da cinqu' anni, e stati 
Sempre insieme su su da piccoUni, 
poi colP andar del tempo innamorali, 
S' eran congiunti da onesti vicini. 
E dal di che V aliar santificati 
Avea gli affetti lor, già tro bambini 
Rallegravan la rustica dimora 
Che tre rose pareao còlte d' allora. 
A forza di risparmio e di lavoro 
conducean vita semplice e frugale. 
Poveri si ma in pace, e con decoro, 
contenti nel pudor matrimoniale ; 
Quando ecco il Lotto a ficcarsi tra loro,, 
Il Loilo, gioco imperiale e Reale, 
E quella pace e quel viver onesto 
Subilo in fumo andar con tutto il resto. 



vani usciti I consigli eran», e vami 
con lui gli afEMinl di quella meschina, 
Che sempre più vedea d^'oggl in domani 
ESSO e la rotM andarsene io rovina ; 
Ed or facea concelti e sogni strani 
Del vederselo lì dalla matiina 
senza toccar lavoro, o far parola, 
O consolarla d' un' oectiiaia sola. 

E come più la sera s'^ appressava. 
Più lo vedea smanlante e pensieroso, 
un po' sedeva, un po' cantarellava, 
come fa I' uom che aspetta e non ha poso : 
Ed or prendeva In braccio, ora scansava 
un ranci ul letto, che tutto festoso 
con più libero pie degli altri dui. 
Salterellava dalla madre a lui. 

V aria imbrunì, suonò I' Avemmaria, 
E sorla in pie la <jK>nna, a' figlioletti 
Incominciò malinconica e pia 
A suggerir garrendo i sacri detti r 
Maso, fermo sull' uscio, o non udia 
La squilla, vaoegglando in altri obielli ; 
O se l'udr, non ebbe in lineila sera 
Né parola né cuor per la preghiera. 

Notò la donna l' atto e avendo piena 
Già già la testa di ntille paure, 
i>enlro se ne seuti crescer la pena, 
Ma la represse, e attese ad altre eure. 
E acceso il lume e il folm, e dato een» 
E messe a letto quelle creature. 
Ritrovò Maso come addormentalo, ' 
col capo siiiia mensa abbandonalo. 

Volea parlar, ma non le delie ti cuore 
D' aprir la bocca, e ste'sopprappensiero, 
E quello immaginar pien di dolore 
Le cose più che nvii le volse in nero; 
Poi, come fa chi dubbia e sente amore. 
Che cerca e teme di sapere il vero. 
Soavemente a lui che amava tanto 
Si volse, e disse con voce (fi pianto : 

Maso, per carità, parla, che hai ? 
Via, parla, non m dar questi spavenii: 
Cosi confuso non t' ho visto mai ; 

'oh, Ma<o mio, perchè non mi conlenlit 



>■:. *8S .:■•; 
Se non io fai per me, m non lo fai, 
Fallo per que' ire |»oteri iooocenli. 
Che 800 di là che dormono : e noo «anno 
Lo snaturalo di padre die hanno. 

Maso, bada alla gente l II viciname 
Sparla di le; che U se' mal riduUo, 
Che un giorno o l' altro quel glocaceio infame 
T' ha da portare a qualcosa di brullo: 
Oh semi, Maso mio, meglio la fame. 
Andar nudi, accattare, è meglio tulio ; 
Ma, se non altro, non darmi il rossore 
Che tu perda col pane anco l' onore. 

E si dicendo, a lui s' era accosiau 
£ dolcemente gli leodea la mano, 
continuando con voce affannata 
A interrogarlo, a scongiurarlo invano. 
Che da sé la respinse, e dispìeiata* 
-mente la minacciò quel disumano, 
E di tacer le impose, e che di volo 
Andasse a lelto> e io lasciasse solo. 

Andò la dolorosa, e mezza morta 
Senza spogliarsi io letto si distese : 
E là piange, e si strugga e si sconforta. 
Cheta, in sospetto e sempre sull'intese; 
Né molto sia, che cigolar la porta 
Udendo, sorge, e coli' orecchie tese 
Sente, pian. piano, con sordo stridore, 
A doppia chiave riserrar di fuore. 

Balza da letto, e prima che s' involi 
Del tulio, vuol seguirlo arditamente: 
E poi non si risolve, e de' figlioli 
Sorge il pensiero a divider la mente; 
Ma tosto II dubbio di lasciarli soli 
cede al Umor più vivo, e più presente ; 
Scende e tenta la toppa, e nulla avanza, 
E del forzarta è vana ogni speranza. 

Più r ostacolo é forte, e più s' esalta 
L* animo in quello; ond'essa audace e destra 
si lancia ove ricorre angusta ed alta 
cinque braccia da terra una flnestra ; 
L* apre la donna e su vi monta, e salta 
speditamente nella via maestra, 
E per molti sentieri erra, e s' invesca 
Senza mollo saper dove riesca. 



m questo mentre i compagni di Naso 
À mezza costa, fuor dell' abitalo, 
celatamente avean le legna e II vaso 
Per la strana cottura apparecchiato : 
Egli co' ferri che faceano al caso 
D' alzar la pietra e scorciare il Curalo, 
Per altra via, coli' animo scontento, 
Ultimo venne al dato appuntamento. 

Qui ci vorrebbe una notte arruffata, 
una notte di spolvero, che quando 
Alla tedesca fosse strumentata. 
Paresse un casa-al-diavolo, salvando. 
Se, per esempio, la nota obbligala 
D' un par di gufl avessi al mio comando. 
E fulmini a rifascio, e un'acqua tale 
Da parere 11 diluvio universale ; 

E una romba di vento, e 11 rumor cupo 
D' un fiume, d' un torrente, o che so io. 
Che giù scrosciando d'un alto dirupo 
Rintosiasse de* tuoni II brontolio; 
Di quando in quando un beli' urlo di lupo,. 
Un morto che gridasse Gesù mio, 
E una campana che sonasse a tocchi. 
Riuscirebbe una notte co' fiocchi. 

A farlo apposta, tra le notti belle 
vedute al mondo, questa, a mia sfortuna.. 
Si potea dir bellissima : le stelle 
Erano fuori, tutte, fin a unal 
Se a sciuparmi le tenebre con quelle 
Fosse venuta in balio anco la luna, 
Piantavo la novella, e buona sera : 
Tiriamo avanti, la luna non e' era. 

Zitti, spiando intorno, e come un branco 
Di lupi ingordi... Adagio, e colle buone; 
li lupo è detto. ~ Di corvi? — Nemmanctt. 
Che di notte non vanno a processione; 
Sicché dunque dirò, lascialo in bianco. 
Per questa volta lanto, il paragone, 
che s' avviò la frotta' al Cimitero, 
(R passi per la rima) aU*aer nero. 

Inlaolo qua e là s' era aggirala 
Ralla, intendendo la vista e I' udiiu. 
Quella povera donna sconsolata 
inutilmenie cercando il marito; 



X i9l X 

£ slanca per que* sassi, e disperata 

Della traccia, per ultimo partito V 

Alla Chiesa risolse incarominarsi, 

E là piangere, e a Dio raccomandarsi. 
Su per una viottola scoeitesa 

Va la mescbina risolatamenle, 

E all' orlo del sacrato appena ascesa 

Che Ta piazzetta, sul poggio eminente. 

Ode, o le pare, là, verso la Chiesa 

Un sordo tramenio, come dì gente 

Che soprarrivi cheta e frettolosa, 

E s' argomenti di tentar qualcosa, 
insospettita fermarsi e s'acquatta 

Giù rannicchiata, dietro a certi sassi 

D' una vecchia casipola disfatta. 

Distante dalla Chiesa un trenta passi : 

E di li guarda e scorge esterrefatta 

Un gruppo strano, e parie che s' abbassi 

10 alto di sbarbar con violenza 
Di terra, cosa che fa resistenza. 

Ecco, si smuove una lapide, e tosto 
S' alza quel gruppo, e indietro si ritira, 
E di subito giunge là discosto 

11 grave puzzo che l' avello spira. 
Senza alitare o muoversi di posto, 
Trema la donna misera, e s' ammira 

Qual chi dorme e non dorme, e in sogno orrendo 

Volteggia col peosier stupefacendo. 
Lenta calarsi dentro e risalire 

Una figura vede dall' avello, 

E sorta, accorrere i compagni, e dire 

Un non so che di testa e di coltello. 

E allor le parve vedere e sentire 

Ricollocar la lapide bel bello; 

Poi tutti verso lei tendere al piano, 

E innanzi un d'essi con un peso in mano. 
Quel vederli ventre alla sua volta 

Tanto le crebbe tremito e spavento, 

che dentro si sentì tutta sconvolta 

E chiuse gli occhi e usci di sentimento. 

Quelli che con moli' Impeto e con molta 

Fretta correano in basso all'altro intento, 
. Raccolti io branco e presa la calata^ 

L'ebber senza notarla oltrepassata. 



X *99 X 

Non molto andaro io giù, che dalla via 
Torsero a manca^ e pervennero in loco 
Ove per rnoUi ruderi s* uacia 
Ne* campi, aooaU dalle case un poco. 
La poverella che si riseoUa, 
Ecco vede laggiù sorgere un foco, 
E parecclii d' ioiorno affaccendati 
Dal baglior delle fiamme illuminali. 

Brillò la fiamma appena, che non luoge 
Da lei, più gente a gran corsa si sferra, 
E giù piombata in un atiiroo, giunge 
Là dove lo splendor s' alza da terra : 
E altra gente gridar che aopraggiuoge, 
E d' un' altra che fugge 11 serra serra. 
E su e giù per fossi e per macchioni 
Stormir di frasche, e salti e stramazzoni. 

S* alza un alterco. . . ahi misera l è la voce. 
È la voce di Maso ; e par che tenti > 
Di liberarsi d' uno stuol feroce 
Che lo serri d' intorno e gli s' avventi. 
Tosto drizzala in pie, scende veloce 
Onde veniale il suon de* fieri accenti, 
Quand* ecco che la ferma un duro sgherro 
con UD arligiio che parea di ferro. 

Le spie dei luogo avean raccapezzalo, 
Noo si sa come, un che dì quel ritrovo, 
E un Ser vicario già n' era avvisalo 
Famoso per trovare il pel nell'ovo: 
Ma tardi e male postisi in agguato 

I bracchi, mossi a chiapparli sul m^vo, 
Fallilo il colpo delia sepoltura, 

E gli avean còlti alla cucioaiura. 

Raggranellali tulli e fatto il mazzo, 

La donna fu credula della lega : 

II Merdaiolo citalo a Palazzo, 
Svesciando il caso dall'alfa all'omega. 
Provò che per uscir dell'imbarazzo 
Àvea dato una mano alla bottega. 
Taoi'e chi ruba clie chi tiene il sacco: 
Dunque fu dello ciie battesse il tacco. 

Con più giustizia della lalsa accusa 
Usci nella la misera innoeenlc, 
Ma di vergogna e di dolor confusa 
pericolò di perderne la mente; 



Perocché fissa in quella noUe, e diiusa 
Nel proprio afbDDO oonlìDuameDle, 
Da paurose imroagini assalila 
S' afflisse e tribolò tulla la vita. 

veggano ialanio 1 Re, vegga l' avaro 
Geniame iolenlo a divorar lo Stato, 
Di quanti errori il pubblico denaro 
E di che pianto sia contaminato l 
Fipinan del sangue sottratto allMgnaro 
Popolo, per voi guasto e raggirato. 
Le lazze die con gioia invereconda 
Vi ricambiate a tavola rotonda. 

Dritto e costume nel consorzio umano 
così, per vostre frodi, tianno discordia : 
E cupidigia vi corrompe in mano 
E la giustiaia e la misericordia } 
che assolver non si puote un alto insano 
Che con legge e ragion rompe concordia ; 
Né giustamente l'error mio si danna. 
Quando il giudice stesso è che m' inganna. 

Premesso questo, è tempo di sbrigare 
Anche quegli altri dhe lasciammo presi. 
Dopo un gran chiasso e un grande almanaccare 
Di spie, di birri, e di simili arnesi; 
Dopo averli tenuti a maturare, 
come le sork>e, in carcere se' mesi. 
Dopo un processo lungo, lungo, luogo. 
Si svegliò la Giusiizra e nacque il fungo. 

E fu, che resultava dal processo 
Violalo Isepolcro, e sortilegio : 
Ma visto che il delitto fu commesso 
Per il Lotto, e che il Lotto è un gioco regio, 
Chi delinque per lui, di per sé stesso 
Partecipa dei Lotto al privilegio. — 
Se fosse stata briscola o primiera, 
Pover'a loro, andavano in galera. 



LI GUERRA ({) 



Eh no^ la guerra, in fondo, 
non è cosa civile : 
D' incivilire il mondo 
Il genio mercanifle 
S'è addossata la bega: 
Marie ha messo bottega. 

Le nobili utopie 
Del secolo d'Ariù, 
son vecchie poesie 
Da novellarci su : 
Oggi a pronti contanti. 

I cavalieri erranti 
con tattica profonda 

Nell'arena dell'oro, 
A tavola rotonda 
Combattono tra loro, 
strappandosi condenti 

II pane delie genti. 

SI, sj, pensiamo al cuoio, 
£ la gotta a' soldati. 
Cannone fliaioio 
Si sono affratellali; 
E frutto di stagione 
Polvere di cotone. 

Di guerresco utensile 
Gli arsenali e le rocche 
Ridondano : il fucile 
Sbadiglia a dieci bocche 
De* soldati alle spalle, 
Affamato di palle. 

JXè mai tanto apparato 
D'armi, crebbe congiunto 
A umor sì moderalo 
Di non provarle punto. 
Dormi, Europa, sicura; 
Più armi e più paura. 



Popoli, respirate; 
E gli eroi macellari 
Cedano alle stoccate 
Degli eroi milionari : 
La spada è un' arme stanca, 
scanna meglio la banca. 

Bollatevi tra voi. 
Re, ministri e tribune; 
Gridate aU' arme, e poi 
Desinando in comune. 
Gran proteste di stima, 
E amici più dì prima. 

La pace dal quattrino 
ci valga onore e gloria: 
Guerra di tavolino 
Facilita la storia. 
O che nobili annali. 
Protocolli e cambiali i 

Hanno unto gridato 
Sulla tratta de' Negri i 
Eppure era mercato 1 
Tedeschi, slate allegri ; 
Fioche la guerra tace^ 
ci suochierete in pace 

Ma cos'è questo scoppio 
Che Introna la marina ? 
Nulla : un carico d' oppio 
Da vendersi alia China : 
È una fregata inglese 
che l'annunzia al paese. 

Qui, 1' oppio capovolta 
Dritti e filantropie! 
Ma i Barbari una volta. 
Oggi le mercanzie 
Migran da luogo a luogo, 
Bisognose di sfogo. 



(I) Questo scherzo punge i predicatori deità pace a esni costo, 
anco delle più Nergognose bassezze: 1 quali poi, se capila il destro dt 
guadagnare danno un calcio ai loro sistemi, e rovesciano il mondo. 



sirumenio di cooquisin 
FU già la guerra ; adesso 
E afTar da compuUsla : 
vedete che progresso i 
Pace a lulla la terra : 
A chi non compra, guerra. 

SANT'AMBROGIO 

Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco 
Per que» pochi scherzucci di dozzina, 
E mi gabella per anU-ledesco 
Perchè metto le birbe alla berlina, 
o senta il caso avvenuto di fresco 
A me che girellando una mattina, 
capito in Sant' Ambrogio di Milano, 
in quello vecchio, là, fuori di mano. • 

M'era compagno il figlio giovinetto 
Un di que'capi un po' pericolosi, 
Di quel tal Sandro, autor d* un Romanzetto 

Ove si tratta di Promessi Sposi 

Che fa il nesci. Eccellenza? o non l'ha letto! 
Ah, intendo i 11 suo cervel. Dio lo riposi. 
In tuli' altre faccende affaccendato, 
A questa roba è morto e soiierrato. 

Entro, e ti trovo un pieno di soldati. 
Dì que' soldati settentilonali, 
come sarebbe Boemi e Croati, 
Messi qui nella vigna a far da pali : 
Difaito se ne stavano impalati, 
come sogliono in faccia a' Generali, 
co' baffi di capecchio e con que' musi. 
Davanti a Dio diritti come fusi. 

Mi tenni indietro ; che piovuto in mezzo 
Di quella maramaglia, io non lo nego 
D'aver provato un senso di ribrezzo 
Che lei non prova in grazia dell'impiego, 
Sentiva un'afa, un alilo di lezzo; 
scusi. Eccellenza, mi parean di sego, 
in quella bella casa del Signore, 
Fin le candele dell' aitar maggiore. 

Ma in qoella che s' appresta il Sacerdote 
A consacrar la mistica vivanda. 
Di subita dolcezza mi percuote 
Su, di verso l'altare, un suon di banda. 



Dalle trombe di guerra usclao le oote 
come di voce che si raooomaoda, 
D' una gente che gema in duri stenti 
E de* perduti beni si rammenti. 

Era un coro del Terdi; il coro a Dio 
Là de' Lombardi miseri assetati; 
Quello : O Signore, dal letto natio, 
Che tanti petti ha scossi e Inebriali. 
Qui cominciai a non esser più lo ; 
E come se que* cdsl do ventati 
Fossero gente della nostra gente. 
Entrai nel branco invoioniariamenl^ 

che vuol ella, Eocelleoa, il peaio è bello. 
Poi nostro, e poi suonato come va ; 
E coli' arte di doibizo, e col cervello 
Datoi all' arte, l'ubbie si buttan M* 
Ma cessato clie fu, dentro, bel beilo 
lo ritornava a star, come la sa; 
Quand' eccoti, per farmi un altro tiro. 
Da quelle bocche che pareao di ghiro. 

Un cantico tedesco lento lento 
Per l'aer sacro a Dio mosse le penne : 
Era preghiera, e mi parea lamento, 
D' un suono grave, flebile, solenne. 
Tal, che sempre nell'anima lo sento: 
E mi stupisco che in quelle cotenne, 
in que' fantocci esotici di legno. 
Potesse 1' armonia fino a quel segno. 

Sentia nell' inno la doloezaa amara 
De' canti uditi da fanciullo: Il core 
Che da voce domestica gì' impara. 
Ce li ripete i giorni del dolore : 
un pensier mesto della madre cara, 

. Un desiderio di pace e d'amore, 
uno sgomento di lontano esilio. 
Che mi faceva andare in visibilio. 

E quando tacque, mi lasciò pensoso 
Di pensieri più forti e più soavi. 
Gostor, dicea tra me. Re pauroso 
Degl' Italici moti e degli slavl^ 
strappa a' lor tetti, e qua senza riposo 
schiavi gli spinge per tenerci schiavi ; 
Gli spinge di Croasia e di Boemme, 
come mandre a svernar nelle Maremme. 



VINTOLA 

(rizzandosi di iianoio e togllendogiti 4i mano la f/ipa) 
Dia qua, la mm •' ImonMKN, 
G4ieia poterò io. 

: GBMTGBIO 

(piglia le moUe e aHiztait fuoco) 
Giacché ci sicce, o venlola.., 

<TEiiTOL A (4i vtfita in frttla) 
comaDdi. 

GRANCHIO 

Il fuoco è spello ; 
Pigliale un pezio. 

VBIITOLA » 

(posa la pipa e IroUa aHa paniera delle legna) 
SutMlo» 
La àervo.oel momeoto. (mette eu ii pezzo e 
ti sdraia daccapo) 
Del res(o per concludere. 
Io, con tutta la stima 
Di tutti.... Il» a dirla? 

GRAVOBIO 

Ditela. 
VBSTOLA {in nmeica) 
Sì slava meglio prima. 

GRABCBio {modesto} 
Non saprei. 

vBKroui 

Per esempio, 
Dica, secondo lei, 
Questa baracca, all' ultimo, 
<:ome andrà? 

«RAHCBIO 

Non saprei. 
vBinroLA 
Oh male i Tutti scrivono. 
Tutti stampano, tutti 
Dicon la «la 

GRANCflio (/fonico) 

Bravissimi i 
veutola 
Senta, son tempi iMrutti J 

GRANCHIO {come sopra) 
Perchè? 

i4 



X9I0X 
VUROLA 

Quando un «iriuoolo, 
UD otte» uo fettunte, 
' La M lo vede io faeeia 
compitare uo oiornale ; 
QuaiKto il più laiaeraMe 
Le parla di diriUti 
E' 000 Qfè più rifoedio^ 
I GOTeroi 800 frinii 

GBAacBio {come sopra) 
Bencl 

vbutqla 
Quelli s' ioipaocaDo 
A farci il maggiordomo; 
Questi a trattare 11 Priocipe 
come fosse un altr* uomo : 

GRAHCHio {come sopra) 
Benone 1 

VINTOLA 

uno s'indiavola^ 
un altro sModemonia*... 
Questa e la vita libera ? 
Questa è una Babilonia. 

GKANCBio {con ÌUOH0 dottorale) 
Che volete, s' imbrogliano, 
E vanno compaliti. 

VBKTOLA. 

O quella di pigliarsela 
sempre co' Gesuiti, 
Non si chiama uno scandolo ? 
OBANCHio {serio) 
Codesta, a dire il vero, 
E una cosa insoffribile i 

VSRTOCÀ 

La dica un vitupero l 
O toccare il vespaio 
Di chi gli può ingollare, 
Non è un volerle? 

GRANcmo {allegro) 
O catterà. 
Lasciategliele dare. 

YBVTOLA 

E che crede, che dormano ? 



X 511 X 

QUdmemo 
Dove'7 

VBKTOUL. (ocMnnofMlo lontano toittom) 

In Offt Magogal (!) 
CBAKCHio (aUegro) 
Ebi€bi Ip M? 



€te durifloi 
'Per adessOj si voga^ 
MA se l'aria raftwivola? 

•onAiicBio «wtf/fer«file) 
•€be wouTola p«r noi ? 



<veroi Beoe l Bravissimo i 

Li vedreao g^ eroi i («'(Uni e cerca i7 cappello) 

GBAHCHIO 

«Che andato «ia? 

La lascio 
^percM sono aspett«K>« 

'ORAKCHIO 

Se avole un'ora d'ocio»... 
vnfroLA. ' 
^,fa ma rei'ema4i.,$'incamminaw ogni tmMo ai veHa) 
Grazie, iroppo garbalo. 

oBiaiaiK) 
4JQa zuppa da poveri.,.. 

ynTOi;^^ i€om6$opru) 
Da poveri t Gnorsìei 
Anzi.... 

GB AH cmo ifaoetiéo PumiUaio) 

oioa vedo uo' animai 
v«irro]i4 (cofR« «opro) 
<<ìuardi cbe porcherie i 

. oiuiwaiio. 4om$ «opraj 
Eh-guaM.... 

vwTOi^ {come sopra) 
Ma la non 4ubi4i, 
siamo Imo cucinali i 



i\) lìalt* og magog deuaSeriimre è naio i'itticiitmo oga Magoga 
.p€r Accennare un poeto remolo, da nifi* 



X a» X 

GRAiKino {come topra} 
Questo, M mai, lasciatelo 
A noi saerilloaii. 

▼WTOLA (come topra) 
A loro t a noi ! 

GKAiicMO iin ntono meato} 
Fioiamoia, 
NOD toc«liianio una plaga i... 
Addio. 

vmnoLA 
(fa una reveretna e neif andartem dice tra sé) 
pofera tittifiia, 
con quel tòceo di paga i 

STORIA COefTEWPORAlfEA 

Nel marzo andato, uo asino di spia. 
Fissato il chiodo in oeru paternale 
Buscata a conto di poltroneria, 
Fu riuchiuso per matto allo «pedale. 
Dopo se* mesi e più di frenesia. 
Ripreso lume e svaporato il male. 
Tornò di schiena al solito mestiere 
Per questa noia di mangiare e liere. 

Si butta a girellar per la citlA, 
s' imbuca ne' Caffé, neH' Osterie^ 
E sente tutti di qua e di là, 
« Saette a' birri, saette alle spie, 
Popolo, Italia, unione. Libertà, 
Morte a Tedeschi, — ed altre porcherie -, 
Porcherie per orecchi cerne 1 suoi 
Quasi puliti dal trentuno in poi. 

Corpo di Giuda t che faceeoda è questa r 
Dicea tra sé quel povero soffione, 
O io vagello sempre colla testa, 
O^'qui vanno i dementi a processione. 
Basta, meglio cosi : cosi atta lesta, 

.• jsensa ficcarmi o star qui di piantone^ 
Vado, m' affaccio sulla via maestra, 
E sbrigo il fatto mio dalla finestra. 

Entra in casa, spalanca la vetrata 
Con lì pronta la carta e il calamaio^ 
E un' ora sana non era passata 
Che già n'avea bollali un centinaio. 



X"3» X 

txmteoto per <|iiel di dalla reiftta, 
chiappia le acale e troua aralllo e gaW>, 
De* lami Commiaiari al più vicino^ 
E U, te sM aplaiieiìa U taeculiK). 

eoo una gran risala II Comòabaarlo, 
Lette tre rigbe, lo guardò nel muto, 
E diiae: bravo il sor Refereodario i 
La fa r obbligo suo aeeondo P ubo : 
Sì Tede proprio ebe ha perso il Looario, 
E die De'PaiserellI é stato cbiaso. 
La non sa, Signor mio, che Su' Alteasa 
Ora al Buonsenso ha aciolia la cavezza? 

^ Su' Altezza f al Buonaensot E non cortellol 
Al Buonsenso...T O non era un crlmenlesef 
Ma ^ul c'è da rlperdere II cervello i 
O dunque adesso chi mi fa le spese? — 
So io dimoilo T gli rispose quello; 
Che fo l'oste alle birbe del paese? 
Animo» venga qua, la si consoli. 
La metterò di «uardia a' borsaioli. 

ALLI SPETTRI DEL 4 SETTEMBRE IS47 

Quella notizia gli aveva dato una 
distnvollim, una parlantina. In- 
solita (la gran tempo. 

moMBMi Sposi, cap. 36. 

Su Don Abbondio» è morto Don Rodrigo, 
Sbaca dal guscio delle tue paure : 
È morto, ò mono : non temer castigo» 
Desiati pure, 
scosso dal Limbo degt' Ignòti automi. 
Corri a gridare in meaao/al viavai 
Popolo e llberii, oogli altri nomi, 

Seppur li sai. . 

Ma già corresti : li vedemmo a sera 
Tra gente e genie entrato in eomltiva, 
E seguendo alla coda una bandiera 
Biaseiare evviva. 
Creaciuu l' onda ciUadina, e visto 
Popolo e Re festante e rimpaciaio,/ 
E Ja spia moribonda, e albirro tristo ' 
Mancare il fiato, 



Tu, leiolio dair taglilo traHprc, 
sallMU la cipoflte alar •ubta«lfo> 
Biatio tra I tav^ e il flMaafl aoore 

Del aol di lòglio. 

Bravo 1 coraggio r iA tan^o M oomiglior 
CoostgUati <aol lonago «H» oecaalaiie : 
Ma loiattlo «bo pu6>liaf« anco tt «oolgli»' 
«nardi Jaanc, 

FiocaU, Abbondi»} e al pa^lo^aandralo 
Di le, che ameggi e M lanio I 
urla cba fai 



Toi« liberali, che per :aaai ed mal 
▲linieoiaaie il atio degU orecchi. 
Largo a' aiottiiacM r e andate ea^il»aanif 
Tra I Carri «eeehl. 
à queste fungo di ge n wu b r é ra qOeila 
civica larva aAirfallala. d'ora. 
Si schioda ir labbro a gli ribatte in test» 
Elbara gom. 
Grià gl& con piglio d*^ orator baecaote 
Sia d' un Gaffi, tiranno alia tribuna;. 
Già la canèa de'bololi arrogante 

Scioglie e raguna;. 
Briaoo di gaixette ImppavviMte, 
Pazzi assiomi di governo sputa 
Sulle aiionUe suecba, erba d'esule 

Che 11 verno muta. 
«< Diverse lingue, orribili iivollo, » 
Scoppiano intorno ; e alldro in bafA acancì 
Succhia la pairiolllca anbeìle 

Sigari e ponei. 
Dall' un de* caoli, un^ombea Ignoto é seda- 
Tlen l'occhio a! eeofcnlicalooMuiito, 
E vagheggia il .futaro, e sioanifolà 
Del pan saenatov 
Stolta 1 se v'ha laiim che qui rinnova 
L' orgie soan^MMte di eanfos» Tebe, 
Popol non è che aorga a viia bnoai^. 
B poca plebe. 
È poca plebe: e d* oro e di pèauila 
sorge, a guerra di eenoi e di galtone : 
censo e Banca ne da, Parnaso e Oaria^ 
TMalo e Blasone.. 



xwx 

E iMM» plelie: e prode di ganUs, 
Prode di boria e d* Olio e d' ogni lezM), 
Il maestoto italico oottfUo 

Desta a ribreizo. 
, ^e il fuoco tace, torpida a' avvalla 

Al fondo, e i giorni in vanilà eoBMma; 
se ribollono I tempi, eeoela a galla 
«ordida aGbiuma 
Lieve all'amore e all' odio^ oggi t' ioalfa,> 
De' primi onori soli' lira emittente, 
Doman t* aborre, e nel fango li tbeii», 
Sempre demente. 
Invado, invano in lei pone sfi 
La sconsolata gelosia del ] ' 
Di veri prodi eletta flgiiolanaa 

sorge concorde, 
E di virila, d' imprese alte e leggiadre 
L'Italia affida: carità la sprona 
Di ricomporre aUa dolente madre 
La tua corona. 
O popol vero, o d' opre e di oostwne 
Specchio a tutte le plebi in toUl i tempi, 
Levali in allo, e lascia al bastardame 
«li stolti esempi. 
Tu modesto, tu pio> tu solo nato 
Libero, tra llcema e tirannia. 
Al volgo in furia e al volge Impasteieto 
segna la via. 

ISTRUZIONI A UN EMISSARIO 

Andereie in itaNn ; eeoo qui pronte 
Le lettere di «ambio e II passaporto, 
viaggerete cbiamandovi €oote, 
E come andato per vostro diporto. 
Là, fate 11 pano, fate il Kodoraooie, 
L'ozioso, il giocatore, Il cascamorto; 
E godete e scialate altegramente, 
Gbè son cose che fermano la gente; 

Quando vedrete (e accederà di certo) 
calare I filunguelli al paretaio, 
Fate raua ; pariate a cuore aperto ; 
Ifostratevi con lutti ardito e ipiio. 



\ 



X «« X 
D\i» cbe nitorde è uà eireere, uo éeteno, 
UD vera dowloHio MGconaio, 
Paragonato al fterdlao del iiioodo, 
Bello, ubeneto, libero e giooondo. 

Questa parola ilétro, buiiata 
LA ael diaeorte come per ripieoo, 
Guardale qoA e la nella bH«Ma 
se vi d* anta di pMrllar terreno, 
se caaca, e voi baliele in ritirata. 
Seguitando » portar del più e del meno ; 
Se» vioeverta, v* è chi lar raocatla, 
Andate franco, cM la strada è fatta. 

Franco ma daatro. ▲ primo non è bene 
Buttarsi a nuoto come fa tainnoi 
Che quando ha dato il tulio e' non al tiene, 
E tanto annaspa che lo scopre ognuno. 
Prender la lepre col carro conviene, 
Girar largo» non esaere Importuno, 
Tastare e lavorar di retlcenu, 
con quel gludiaio che pare imprudenza. 

Far la vittima no, non vi consiglio, 
Perchè li rlpiegoé nolo alla giomaia ; 
Da sedici amil in.qoa, codesto appiglio' 
Tanta gente in quel luoghi ha bindolata. 
Che si conosce di leniano un migHo 
La piaga vera e 1» falsUcate, 
Anzi vaniate, efMevene belloy 
Che nessuno v' tia mai torlo un capello. 

Fallo che vi sarete un bravo letto 
Neil' animo di molti, e decantalo 
Vi sentirele per un uomo schietto, 
E dei fotti di qua bene informalo. 
Dite coroa di nw, ve lo permetlo, 
Dite che dormo, che fono.ineecchfato; 
inventatene pur, se ve ne manca, 
Che, come dico, vi dn carta bianca. 

Del ministro di lA dite lo stesso 
Ne' Caffè, ne* Teatri, in ogni crocchio ; 
Anzi, a questo propoalto, v' ho messo 
Sul passaporto un cerio acarabocohio, 
Cbe vuol dire, Mtt nos, ordine espresso 
Di lasciar fare e di chiudere un occhio. 

' Andiamo: ora che eiele in alto mare, 
ECCO la strada che vi resta a fare. 



Fatevi centro Mia parte caM* 
Cbe campa di «murri e digamile, 
E sia rote ia giactìbatla e r atia io fold», 
DeUia tenfire a mal captoee uà ette. 
igevolroaBle a quesu si rìacalda 
eoo nulla II capo, e quando ano la melle 
Nel cai4> di raifiara In tempi (orbi, 
Arruffìi lullo, e fa eoee da orbi. 

compiangete il paeae; aonedllate 
QuelP andamento, quel modo unUòrme; 
Deridete le zucdie moderale, 
come gente che ciondola e che dorme ; 
Censurale il Governo.; predicate 
Che la paca, ie leggi, le riférme, 
soo bagattelle per chetar gli idocebi, 
E per dar delia polvere negli occhi. 

soprattoiio aillizate I malcontenti 
Sul ministrume della nuova scuola^ 
Che sopprime I vocaboli stridenti, 
E vool la cosa senta la parola. 
Quello è uo boccone che m' allega i demi, 
E che mi pianta un osso per la gola, 
Mentre per me sarebbe appetitosa, 
Colla parola intorbidar la cosa. 

Spargete delie idee repubblicane; 
Dite che i ricchi e tulli i ben provvisti 
Fan tuU'uno del popolo e del cane, 
E son iuui briganti e sanfedletl : 
Che la questione significa pane. 
Che chi l'intende sono 1 comuoisii, 
E che il nemico della legge agraria 
condanna 1 quattro quinti a campar d'aria. 

Quando vedrete a tire la burrasca, 
E che il vento voltandosi alla peggio, 
La repubblica santa della tasca 
cominci a brontolare e a far mareggio, 
Dateli fune, e fatemi che nasca 
Una sommossa^ uo tumulto, un saccheggio : 
Tanto che i ra di là messi alle strette^ 
Chleggano qua congressi o baionette. 

se v'occorre di spendere^ spendete» 
Che i qoaUrini non guastano : vi sono 
Birri in riposo, spie se ne volete. 
Sfaccendati, spiantati ... è tutto buoiMk 



se ¥i <t* di cMiniHinMK alta>reit, 

DI far tàaUM inMliM i» ti^no, 

speodetemi tMOri, e md oontraio, 

Che gli «tré meNl al Meeoio per eeoteib 
Olle, nel dukMo die qtnlea» vi «isopra, 

4Tvia«ieoe ow : UHI» ad un tratto 

Vi scoppia addotto un folwiiie di acipra» 

E doveotale martire oeN' atto : 

Eceo il mìDisiro a Are ud aottosopra, 

ECCO il Gwemo cbo vi dA lo afrlrtio: 

E eosi la frittata ai rivolta» 

E Itole iMNMio per od» altra volta. 
Ter DOQ dar luogo all' ufBilo postale 

Di sospettar tra noi quest' artnegglo» 

Gorviapoodelo qoa col Tal di Vale 

E siale certo pur che ravrò io. 

Egli, come sapeiey è Liberale, 

E ribella il paese a conto mio. 

ci aiamo inleal : lavorale, « poi,> 

se e* incastra una guèrra, Inioo per voi. 

. CONSIGUO A lUi CONSIGLIERE 

Signor consigliere» por tutto si vede 

Ci faccia il piacene ch« il carro procedo,. 

Di dire al padrone con dietro una calca 

Che il mondo ha ragtono Che seco travalca 

D' andar come va. , Con libero p\é. 

Dirà : Padron mio, E mentre cammina» 

La mano di Dio con sorda rapina 

Gli ^iH dato Pandore; i fneai, 1 poltroni. 

Di farlo fermare l servi, i padtponi, 

Maniera non v'ha. Travolge eoo sé. 

se il volo si tarpa Tra 1 ne del paese 

calando la scarpa Qualcuno IMniese; 

A ruota nostrale, E a dirla tal quale. 

Che ratta suU'ale PiO bene che male 

Precipita in già, H* ottenne fin qui. 

La ruota del mondo stentando la briglia. 

Andrà lino in fondo ; Tornò di fnnlglia; 

Ile un molo s' arresta Temeva io qnol passo 

(Stiam li colla lesta) Di scendere in basso. 

Che vien di lassCu E iOvece salì. 



X •» X 
Giudizio^ matmtfit p«nnntfo ira ripiego, 

Facendo il oeoohiore Io salvo Pimpleso; 

IO urto alla mot», E voi (daodo r6(U), 

Si va nella moia. Rivista e eorrelta, 

credetelo a me» La paga di re. 

IL CONGRESSO DE' BIRRI 



À scanso di rettorica, bo pensato 

Di non fermarmi a descriver la i 

Che io grembo accolse il nobile senato, 
solamente dirò» che V adunania 

In tre scbiume di Birri era distinU, 

Delle Camere d'oggi a somiglianza, 
1 dritta, I Birri a cui balena in grinta 

11 sangue puro; » manca, ^11 arrabbiati ; 

Nel ceniroy i Birri di nessuna tinta: 
Birrueoli eioè dinoccolati, 

Birri obe fanno il birro pur cbe sia ; 

Bracchi no, ma locuste degli stati, 
Tagliere oorio anco alla dicerìa 

Che fece con un tuono da compieta 

Il Gran Cafieecia della Sbirreria; 
Che deplora g i^ già dall' J alla Zeta, 

E le glorie birresche, e i guasti •orrendi 

Che porla il lompo come l' acqua cheta ; 
E parlò di pericoli tremendi, 

E d' averli chiamati a parlamento 

Per consultarli sul moda uaemii 
Di riparare in tempo al fallimento. 

Dalla manca, oratore 
Di que' Birri bestiali. 
Sbucò pton di f uroi» 
un Maoglalibeffalt; 
E sgretolando 1 denti, 
proruppo in questi aneenli : 

Pare impossibile, Anco gì' ipocriti 
Cbe in un Paese, Del noMro uffizio, 

nel quale ammorbano €1 perda in chiacchiero 

Di crimenlese «ompo e giudizio i 




staio o 1 

E a suoli di Qioóoli 

Maodar la tareaf 

stollo chi regvere 
Penta uà Governo 
Colle biufgìoi 
D'un Cir paiemol 

Riforme graaie 
Leggi, perdono, 
son vanaglorie 
Paole, sul trono. 

Lasciare un Popolo 
Che Ci il padroner 
Supporre in bestie 
Dritto e ragione ì 

Lodare un regio 
Senno, corrotto 
Di qoesU logica 
Da Sanculotto r 



¥ive lo Sialo 

Ogni politica 

sa d* iMUceih 
E un Aocbe a4 

La Otto si I 

se CMca, al diavolo i 

caacM, su bene. 
Cbe €> entra U prosaimo r 

loco' ribelli 



Hon ho fratelli. 
Man dloo al Principe 



La serpe in seno; 

E quando il pelilo 
Sale in burrasca, 
AflBga,e ficcati 
Le leni in tasca. 

lo veccblD, io t 
D* idee si lorle, 
colia canaglia 
vo per le oorte. 

Tenerli d' occhio, 
(Sia chi si sia) 
impadronirsene 
colpirli, e via. 



i£ooo la 



Galera e boia. 
Boia e galera. 

Disse: e al tenero discorso 
Di quell' orso ^ a mano manca 
Ogni panca — si commosse. 
Non si soo4se -- non fé segno 
O di sdegno ^ o d' ironia 
L' albagia — seduta a dritta, 
E ste* zitta — la platea. 
Si movea •* lenta in quel mentre 
Già dal ventre — della sUoaa 
La sambiansa — rubiconda 



XMI-X . 
E bistonda — tf' ud Vicario 
. Del salario — inoamoralo; 
Che, sbozzalo -«• uno sbadiglio, 
con un piglio — di maiaìe 
Sciorinò questa morale. 



I i>ron dico: la mannaia. 

Purché la voglia il tempo. 
Rimette a nuovo un popolo, 
E il resto è un perditempo. 

Ma quando de* filantropi 
Crébbe la piena, e crebbe 
Questa flemma di Codici 
Tuffati nel giulebbe ; 

Quando alla moltitudine 
Bestia presuntuosa, 
11 caso ha fatlo intendere 
Che la tesla è qualcosa ; 

Darete un fermo al secolo 
Li, coi Boia alla mano? 
«oilega, riformatevi, 
Siete antidiluviano. 

Voi vi pensate d' essere 
A quel tempo beato. 
Quando gridava Italia 
soltanto il Letterato. 

Amico, ora le balie 
L'insegnano a' bambini ; 
E quel nome, dagli Arcadi 
Passò ne* Contadini. 

Si, le spie s'arrabatlono, 
E lo so come voi : 
Ma in fondo, che conclusero 
Da^ì 'quattordici in poi ? 

Se allora le degnavano 
Perfino i Cavalieri, 
Ora, non ce le vogliono 
Nemmanco i caffettieri, 

I processi, le carceri 
Fan più male clic bene : 
un Liberale, In carcere, 
c'Ingrassa, e se ne tiene ; 



E quando esce di gabbia 
Trattato a pasticcini 
È preso per un martire, 
E noi per assassini. 

Gua'spero anch'io che 1 Popoli 
vadano in perdizione 
Ma se toccasse ai Principi 
A dare 11 traballone 7 

colleghi il tempo brontola : 
E ovunque mi rivolto. 
Vi dito che per aria 
C'è del buio, e dimolto i 

Il mondo d* oggi è un diavolo 
DI mondo si viziato. 
Che mi pare il quissimile 
D' un cavallo sboccato: 

9e lo mandale libero, 
O si ferma, o va piano ; 
Più tirate la briglia, 
E pio leva la roano. 

lo, queste cose, al pubblico. 
Certo, non le direi : 
In piazza fo il cannibale. 
Ma qui. Signori miei. 

Qui, dove è presumibile 
Che non sian Liberali, 
Un galantuomo, é in obbligo 

* Di dirle tali é quali. 

Sentite : lo per la meglio 
Mi terrei sull'Intese; 
vedrei che piega pigliano 
Le cose del paese; 

E poi, senza confondermi 
Né a stnlsCra né a destra, 
O Principe o Repubblica, 
Terrei dalla minestra. 



Il amn 
La maoGa sbuffò: 
uo terao Denoiteoe 
la piede salì» 
Ai quale agUauitofli 
La dritta annuì, 
silenzio, •llenzio. 
Udite la parte. 
La parte che sfodera 
IlFff>6o dell Arte. 



Gli onorandi CoUegbi, a cai fu dato 
Prima di me d' emettere un parere». 
Non hanno a senso mio bene incarnate 
LO scopo deli' ufficio e l' art I vere: 
Qui non si iraiu di salvar io Stato, 
Di cattivarsi il Popolo o Messere, 
D' assicurarsi nella paga un poi i 
si traila d'aver braccio e d' esser Moì. 

Io non ho per articoli di fede 
E non rifiuto il sangue e la vendetta: 
Dico, che il forte è di tenersi in piede ; 
Rispetto al come> è il caso «be lo detta. 
Senza sistema il saggio <>pera e crede 
Sempre ciò cbe egli toma e gli dileua: 
Mirare al fine è regola costante, 
E chi ao0re di scrupoli é pedante. 

Ciò che preme impedire è, cbe tra loro 
S* intendano Governo e governati : 
se s' ioiendoQO> addio : r età dell' ore. 
Per noi tanto, finisce, e siamo andati. 
Dunque oonvien raddoppiare il lavoro 
D' intenebrarli tutti, e d* aroèo i lati 
Dare alle cose una 'Certa apparenza 
Da tenerli in sospetto e in diffidenza^ 

Noi non Siam qui per prevenire il male: 
Giusto! va li» sarebbe un -bel mestiere 1 
La così detta pubbUca morale 
Ansi ò l' inciampo cbe ci dA pensiere. 
Il veglerò alla quiete universale 
È u» reggere a' poltroni il candeliere : 
Quando uno Stato è sano e in armonia, 
che figura ci fa la Polizìa ì 



Se ceMeranoo i moU rivoUo»(« 
Se scemeraooo i tretolM al gov^ao» 
Mei pubblico rifttagpo inoperosi 
Dormirete sei Caogo ud soooo etereo. 
Popoli io fuffia e Briiicipi gelosi 
soo del D08U^ edifUio il «doppio perno. 
Perchè giri la ruota e giri bene> 
Che la mandi il disordine conviene. 

Tempo già fu, lo dico a malincuore, 
€he di Giuatiisia. noi. basM strumenti, 
Addosso al ladro» addosso al matfaiiore. 
Miseri cani, eaercltamnio i denti ; 
Ma poi che i, Ho ci presero io fasore» 
E ci fecec Mioisiri eoonfidentia 
Noi, di servi de'secvi io. ire boocooi. 
Eccoci qui padroni dei' padroni. 

Dividete e regBaie..*^ A queato punto 
Suonò d* evviva 1^ piazaa vicina 
Al Principe col Fopol ricongiunto, 
Ali' Italia. e alla Guardia cittadina. 
Fecero a un. trillo un muso di defunto 
Tutu, nel centro» a dritta ed a mancina ; 
E mori sulle labbra accidentato 
Il genio di quel Birro illuminalo. 

A LEOPOLDO SE<X!)NDO 

Signor, sospeso il pungolo severo, 
A le parla la Musa alia e sicura. 
La Musa onde ti venne in prò del vero 
Acre puntura. 
Libero Prence, a gloriosa mela 
v^lto col Popol suo dal cammin vecchio, 
con nuovo esempio, a libero poeta 
Porga r orecchio. 
Taccian V accuse, e l' ombre del pasaaio. 
Di scambievoli orgogli acerbi frutti.: 
Tutti un duro letargo ba travagliato. 
Errammo tutti. 
Oggi in più degna gara a.tulU giova. 
Gessar miseri dubbi O: delti amari. 
Al fiero ittcareo delta vita nuova 
sroovi del pari 



X M4 X 
se al PofM>lo Doo recM impedlmenio 
L* abito «wne, la dormlfa pace. 
La facil saiMleoaft U braoeio feoto^ 

La llngiia audace ; 
se Don turbino II Re larve bugiare, 
vuote superbie, ambizioni oscure, 
Frodi, minacce, ambagi^ Ire codarde, 
Stolte paure ; 
Piega Popolo e Re le mansuete 
Voglie a concordia con aperto riso ; 
E il lungo ordir detta medicea rete 
Ecco è redso 
Che se dell' Avo industiloao istinto, 
strigato il laccio che vUa ci spense. 
Nostra virtù da cieco laberlnto 

Parte redense. 
Tardi d' astuta signoria lasciva 
La radice mortirera si schianta : 
Serpe a guisa di rovo, e usanza arriva 
La mala pianta. 
Ma vedi come nella Mente eterna 
Tempo corregge ogni cosa mortale : 
Nasce dal mate il ben con vece alterna; 
Dal bene il male; 
Né questo è cerchio, come il volga crede, 
Che salga e scenda e sé In sé rigiro ; 
È turbine che al vèr sempre procede 
Con alte spire. 
Nocque licenza a libertà; si franse. 
Per troppa tesa, I' arco a tirannia ; 
E Puna e V altra fu percossa, e pianse 
L' errata via. 
Dalla nordica illuvie Italia emerse 
Ricca e discorde di possanza e d' arte; 
calò di nuovo ii nembo, e la sommerse 
Di parte In parte. 
Or, come volge calamita al polo, 
volta alla luce che per lei raggiorna, 
compresa d' un amor, d* un voler solo, 
una ritoma, 
scosso e ravvisto ilei comune inganno 
Che avvolse Europa In tenebroso arcano, 
Lei risaluta 11 Franco e l' Alemanno, 

L'Anglo e l'Ispano; 



X241X 

Per lui già già lìorìa l' eletto fieme 
Che del più nella mente inerzia cela. 
In lui grazia e virtà creaeeano insieme. 

Ma di repente s* infranse la vela 
Che prometter parea sì lieto corso; 
Né valse alPuopo la oomun querela. 

Se dunque 11 tempo d' impixìvvlso morso 
L' «pre migliori di natura offende, 
Alle lusinghe ree si volga 11 dorso. 

Folle -è colui che d' evitar pretende 
La Gomun sorte: su ciascuno eguale 
La provocala man di Dio si stende, 

E nostra possa ad arrecarla è frale. 



AL PADRE BERNARDO DA SIENA. 

noa disse Cristo al suo primo convento: 
Andate, e predicate al mondo ciance ; 
Ma diede lor verace rondamento. 
Damtb Farad. Xiix. 

Al Secol tolto nell'età più bella, 

E unito al Cielo in vincolo d' anoore 

Nel sacro asilo di romita cella^ 
Fra gi' inni penitenti e lo squallore, 

Da questa terra misera non hai 

Sdegnosamente allontanaio il core. 
Ma ripensando agli inOniti guai 

Che ti lascliisti a tergo, e Tatto pio 

Del nostro mal^ peregrinando vai 
Fido e diletto Apostolo d' Iddio, 

Che mal s' appaga del Pastor che giace 

Lento all' ombre, e l'Ovil lascia in oblio. 
Di quella Mente Interprete verace 

Che detiò P evangelica parola, 

Sublime. pegno di beata pace; 

. Come erOuvio di rosa e di. viola 
Dalle tue labbra il nettare divino 
Spira soave, e l'anima consola. 
Panesi, per udirti, In sul mattino 
Dalla capanna sua la vecchiarella 
Per lungo e malagevole cammino : 

16 



X 243 X 

Poi torna a casa a dar di (e novella 
Al piccoli Dipoli, e ne raromeoia 
Gli alti» le YesU , il volto, e la (avella. 

s* asside al focolar tutta oomenta, 
vigilando la vita che le avanza, 
E le miserie sue par che non senta: 

che d' altro gaudio e di più lieta stanza. 
Abbandonando questo triste esigilo. 
Dalle parole tue prende speranza. 

La giovinetta, cui Unge in vermiglio 
Un primo amor la gota pudibonda. 
Tacila ascolta serenando II ciglio : 

Che tu le annunzi i di quando, feconda 
Di bella prole, con materna cura 
La famigliola sua farà gioconda : 

E ne sospira, e a Dio volge secura 
Il secreto pensiero e gii occlìi belli, 
Specclii dell' alma innamorata e pura. 

Tu ridesti a viriude o rinnovellì 
I giovanili pelli, e gii richiami 
Agli amplessi d'amici e di fratelli. 

Che il Signor di santissimi legami 
Volle cootcoio il suo popol diletto. 
Perchè s' unisca giubilando e s'ami. 

per occulta virtù, che dall' espello 
Di bella verità prende argomento, 
<Tu n' avvicini al Ben dell' inlelleiio. 

E in estasi di pace e di contento 
L'anima lieta s'abbandona, e riede 
Teco all'Amor che mosse il firmamento. 

Per te gentil desio sorger si vede 
E d' onorati studi e d' alti onesti, 
Di virtù sante e d' incorrotta fede. 

celeste verità, che i brevi e mesti 
Giorni di vita esalti e rassereni 
Quando al guardo mortai li manifesti ; 

E godi ai raggio dell' Eterno, e tieni 
V alto segreto dalla man del Nume 
Degli arcani superni e dei terreni; 

Avvaloralo del tuo santo lume 
Questi che svolge all' avida pupilla 
Delle allenite genti il tuo volume, 



X 245 ;< 

ToUo ai cari silenzi e alla tranquilla 

Aura del cliiostro, tornerà sovent« 

A desiar fiamme della tua favilla. 
E la terra commossa e riverente 

Il suo Profeta esalterà, che porge 

Nuovo conforto al core ed alla mente 
€he ornai dal fango si sviluppa e sorge. 

FRAMMENTO 

Con la fida lucerna 

spesso del meditar prendo diletto, 

virtù che l' uomo eterna 

Derivando dai libri all' intelletto. 
Il solitario lume 

Guizza full' alba, e inaridito manca. 

La parete e il volume 

Trema, e svanisce alla pupilla stanca. 
Tace la mente, ed erra 

Da subiti fantasmi esagitala, 

E il cor mesto si serra 

come perdendo una persona amala, 
Ma nel buio profondo 

Splende alla fantasia luce divina : 

E oblia la vita e il mondo 

L' innamorata mente peregrina, 
varca i secoli, e gli anni 

scorda che il elei le die mesti e fuggenti : 

Poi torna ai noti affanni, 

O rivive nei suoi giorni ridenti. 

PER LA MORTE 
DELL' UNICA FIGLIA DI URANIA £ MARCO MASETTI. 

Tu di un tenero padre 
Eri l' unica gioia e la speranza : 
Per te nei dì venturi, 
come in gaio dipinto. 
Alla sua stanca eia crescer vedea 
Spettacol nuovo di sante dolcezze. 
Ed in altre carezze 
Ai tardi anni senili 
Restituirsi i luci baci infantili. 



X «44 >' 

Perchè da lui l'involi 
or che V uopo di le senUa maggiore r 
vedi, nel suo dolore 
Il misero non ha chi lo ceoseli t 
o aoima gentil, pietà il muoTa 
Del QMsto genitor ebe t* amò tanto i 
A lui ritorna colle nuore piume 
D' Angelo a serenarlo in mezzo al pianto. 
Tu soave pensiero e caro lume 
Eri della sua vita : 
Ogni dolcezza sua leco è perita. 

FRABfMBNTO 

Questa nuova Susanna, a cui d' intorno 
un nuvolo di nonni ognor vedete 
Di reumatico amor febbricitanti. 
Più d' un Allocco ha preso a questa rete ;. 
Ma a lei la castità non preme un corno. 
Paura ha d'epigrammi e non di sanii; 
GogH arrembati amanti 
palesemente va per darla a bere: 
La notte chiama a sé chi piace a lei, 
E di giorno a* babbei 
Fa regger santamente 11 eandelliere. 

passano tra la baia universale 
Gii amanti paralitici e grolieschì. 
Che a mala pena rodon la minestra: 
Addosso ognun di loro ha guidaleschi 
Quanti può contenerne uno spedale; 
E ciondolando per la via maestra, 
compongono un' orchestra 
Di tossi e di staroull : il vago stuolo 
Guida sputando un Cavalier gentile 
Che patisce di bile, 
E d' amor piange eoo un occhio solo. 

non ha tanto cordame un bastimento 
Quanto n' hanno costor, che rieerchiali 
vanno di qui e di là come una bolle: 
Diversamente son tanto sfrollaii> 
Che se non li reggesse il finimento 
si disfarebber come pere colte. 
Quando arriva la notte. 



X a*5 ;< 

Svita pezzo per pezzo il cameriere, 

E ripostigli mezzi in un casselio, 

Versa il resto nel letto ; 

Ma proprio è un far la zuppa oel paniere. 
Oh quante volte, tutta spaventata. 

Si vide far la venere bigotta 

Invece d' uo inchino un traballone i 

Oh quante volte differì la gotta 

Le visite amorose, e soiboata 

Restò nell' asma una dichiarazione i 

M Di tanta affezione <• 

Disse un di lor toccandosi la zucca 

•* Dolce pegno, amor mio, resti tra noi : •* 

E non potendo I suoi, 

un ricciolo taglio della parrucca, 
insorse un di rivalità d'amore 

Fra loro, e per seguirne era una strage ; 

Ma tirò vento e disturbò l'assalto; 

Tenerli bisognò nella bambage 

Tre mesi, e ogni Speziale, ogni Dottore, 

£d ogni ciuca prendere in appalto: 

Le fiere gruceie in alto, 

I formidabilissiflii accidenti, 

Brandian con un catarro da leoni ; 

Era cinque i campioni, 

E in cinque digrignavano tre denti. 
À questi Adoni col mal della pietra 

Amor saltella Intorno, e i iremolaoli 

Passi ne guida pe' sentier lascivi ; 

Arco non ha, ma pillole, purganti. 

Gomma, siringhe, e invece di faretra 

Una canna da dare i lavativi : 

E più morti che vivi 

vedendoli, tien 1' ali ripiegate. 

Che a quello sventolio più d' uno intasa^ 

E gira per la casa 

Le bussole tappando e le vetrate. 



ALL'AMICA AMALIA ROSSI RESTOIff 
PER LA. KASC1TA DEL DI LEI PRIMO FIGLIO (1). 

L' abito é disadorDO, 

Negletto il cullo delle molti ebiome ; 

Ripete un caro nome ; 

E alle carezze, ai baci, è bre^e il giorno. 
Nelle forme leggiadre 

Del bambinello assorta, 

D' etereo cibo in lui si riconforta 

Che mai gustar non può chi non è madre. 
Dalla romita stanza 

Per poca ora s' invola, 

E fra le genti le par d' esser sola 

Pensando a quella sua dolce speranza. 
Con lui parla, e risponde 

Una favella da lei sola intesa, 

E 1' uno all' altro il suo desir palesa, 

E l'un nell' altro l' amor suo trasfonde. 
Presso la culla amata 

Tacila siede, e iramobil la diresti ; 

Ma parla il volto, e si trasmuta in questi 

Pensieri della mente innaoKNrata. — 
A questa prima vita 

Nove mesi in me stessa io il formai. 

Or dal mio latte avrai 

Nuovo incremento a questa prima vita. 
Teco vegliar m' è caro. 

Gioir, pianger con te: sublime e pura , 

Si fa l'anima mia di curajn cura. 

Che in ogni pena un nuovo afifetto imparo. 
Come sul caro viso 

Per me ti spunta di bellezza il fiore, 

A te cosi nel core 

Il giglio educherò di Paradiso. 
Deh cresca alla materna ombra fidalo 

Il peregrino stelo, 

E ognor benigno il cielo 

vivido a me lo serbi, e intemerato. 

(I) Questi versi scritti per occasione furono poi rifusi dal poeta 
nel componimento intitolato jéffetli d'una Madre. Ambedue queste poe- 
sie risplendono peraltro di tanta grazia, ed hanno forme sì elette, da 
meritare di far parte di questa Raccolta senza rimprovero d' inutile ri- 
petizione. 



X av7 X.. 

oh se per nuovo obietlo 
un dì l'affannerà geniil desio 
Ti risovvenga del materno affedo l 
Nessuno l' amerà dell' amor mio. 

E lu nel tuo dolor mesU) e pensoso 
Ricercherai la madre, e in queste braccia 
Asconderai la faccia. 
Come sull'origlier dei tuo riposo. 



SONETTI 



cosi di giorno in giorno inoperoso 
Seguo a gran passi di mia vita il corso, 
E penso sospirando il tempo scorso 
E in quello che verrà sperar non oso. 

Quella per eh' io mi dolgo e sto pensoso. 
Sei vede, e non può darmi alcun soccorso : 
In altra parte ornai non ho ricorso 
Ove l'anima mia trovi riposo. 

Né già, se non da Lei cerco quiete. 
Che m' è dolce il penar pensando eh' Ella, 
Benché lontana, all'amor mio risponde. 

E so che ne sospira, e di scerete 
Lacrime bagna il viso, e a me favella, 
E di tristezza tutta si confonde. 



China alla sponda dell' amato letto 
Veggo la Donna mia, vigile e presta 
Precorrendo ogni molo ogni richiesta 
Dell' adoratoued egro pargoletto. 

Ora sospira, ed or lo stringe al petto, 
E i lini e l' erbe salutari appresta ; 
E nella faccia desolala e mèsta 
Parla la piena del mal'erno afTetlo. 

Ebbro di nuova conit>nlezza e pura, 
Tacilo seggo dall' opposto laiQ, 
Tutto converso all' amorosa cura. 

E negletto quantunque ed obbliato, 
Non mi lagno di Lei, che di natura 
Basta la voce a rendermi bealo. 



X 34» X 

poidiè m'e lolle saziar la iMuni» 
Di quell' aspetto angelico e serena, 
E il cor dielro il desio che non ha freno 
Sì riconduce a Lei cbe onora ed ama -, 

Seguo un mesto peosier che a sé mi chiama 
Fuor d'ogni vaneggiar falso e terreno ^ 
E solitario vivo, e di Lei pieno 
Sulle carte mi volgo a cercar fama. 

E se fortuna tanto mi concede 
Che nome acquisti in opera d' inchiostro , 
A Lei ritornerò pieno d'amore 

E le dirò: lo studio e il dolce onore 
E questa fama ^ e beneficio vostro: 
E le mie rime deporrolle al piede. 



per occulta virtù , che delF aspetto 
Di l)ella verità prende argomenio , 
A quella meta soUevarmi io tento 
Ch' è principio e cagion d' ogni dllello. 

E se per un sentiero aspro e negletto , 
Giovine e solo , io mi conduco a slento , 
Di giorno in giorno con dolcezza sento 
Avvicinarmi al Ben dell' inlellello. 

Ogni basso pensier fuggo , e discaccio 
Da me la soma deiP antico limo 
Onde ha virtude e il buon volere impaccio. 

E fissando lo sguardo al Centro primo, 
Arditamente I» universo abbraccio , 
E dai nulla mi sciolgo e ini sublimo. 



Da questi colli (1> i miei desiri ardenti 
volano sempre come amor gli mena , 
Ove dietro al pensier giungono appena 
Gli Oijclii per ntolie lacrime dolenti. 

E allor che la cillà per le crescenti 
Ombre dispare, e la campagna amena. 
Cerco del elei la parte più serena 
E le stelle più care e più lucenti. 

E se vicino a me muove uno stelo. 
Muove spirando la notturna aurelia , 
credo tu giunga , e al cor mi corre un gelo. 

E quando le non vedo , o mia diiella , 
Gli occhi si vòlgon desiosi al cielo, 
come alla parie onde lalun s' aspetta. 



IN MORTE D»UNà SORELLA DI LATTE 

Noi pargole.Ui al sonno lusingava , 
Dolce acchetando i puerili affanni , 
Il canto istesso , e fra gli stessi panni 
Una stessa mammella alimenta?a. 

Perchè la nostra compagnia ti grava , 
£ ad altra region dispieghi i vanni? 
Teco , sorella mia , degli ultimi anni 
Partir V ultimo pane ornai sperava i 

Tu dalla mensa di quaggiù levata 
Prima dì me , t' assidi innanzi a Dio. 
E al convito degli Angeli beata 

D'ogni cosa mortai bevi l'oblio; 
lo della vita incerta e sconsolata 
Crescer sento amarezza ai labbro mio. 

A GIOVAN BATTISTA VICO 

Di norma social nei tuo volume 
Chiuse FilosoQa germe profondo , 
Che per cultura diverrà fecondo 
E darà frutti di miglior costume 

La mente vagheggiando il nuovo lume , 
Che dell' eterna idea rivela il fondo , 
Per r intellettuale ordin del mondo 
Di volo in volo a Dio leva le piume. 

virtù m' ispiri , ond* io spezzato il laccio 
Che mi fa servo di caduco limo, 
All' ocean de' secoli m' affaccio. 

E fissando lo sguardo al Centro primo , 
Arditamente l' universo abbraccio , 
Mi rinnuovo, m'intendo, e mi sublimo. 



POESIE SCRITTE A DICIOTTO ANNI 

MA RIFIUTATE DALL'AUTORE 



UN INSULTO D'APATIA 
(VARIANTE) 

Si disperi la vecchia galante 
Che dicembre vendè per aprile. 
Che fallita coli' ultimo amante 
Senti crescersi, a forza di bile 
Ogni giorno una grinza di più, 
E coli' asma ritorna a Gesù. 



;•:: 250 X 

Si disperì chi fece la spia 
parteggiando per Cesare o Pietro, 
Anelante con lunga mania 
una striscia, una chiave di dietro, 
E gli par d»aver fallo il babbeo 
se la morte lo trova plebeo. — 
Ohi poltrona virtù d'Ermolao, 
TU consigli U raeschin che s' affanna 
S' anco II mondo ritorni nel Cao 
Di pigliarsela un tanto la canna : 
senza chieder miracoli ai Santi 
lo ti seguo e risparmio i purganti. — 
Ne ho vedute parecchie. — Già stufo 
Son li li per serrar la finestra: 
come secca, mangiata anche a ufo. 
Ogni giorno la stessa minestra , 
parimenti m'uggisce e mi tedia 
veder sempre la stessa commedia, 
un falsarlo che Cristo e il Demonio 
Tien d' accordo con santi cavilli : 
Demagoghi del solito conio : 
Negozianti di Bruti imbecilli: 
un tribuno che il braccio e la mente 
Appigiona al maggior offerente: 
un Pilato con lucco e pianeta 
Che le parti sì fa coir accetta: 
La gazzetta che fa da profeta, 
E il profeta che fa da gazzetta : 
un Tiberio da dieci alla crazia 
Che ti spoglia persin la Dei Gratta. 
ECCO il mondo. - Negli anni passali 
Per sincera asinaggine, ordita 
Dì lusinghe, di sogni beali 
Delirando mi parve la vita, 
Questa terra una cara illusione, 
una fitta di brave persone. 

Eran quelli l dì santi ed amari, 
I di quando una febbre epidemica 
Ci spingeva a sognar de» lunari, 

I dì quando con nuova polemica 
Ci faceva morir dalle risa 

II bali sanfedista di Pisa. 



X 251 X 

Se nel mezzo all'umana famiglia 
Mi accennavano un bindolo, un porco, 
Stupefallo incarnava le ciglia 
Come il bimbo al racconto dell' Orco : 
Questa razza impastata di scisma 
La vedeva attraverso d' un prisma. 

Ora il polso è più quieto — V occlilaie, 
Gbe gli oggetti alterava, è spezzato : 
Ora H mondo lo veggo tal quale, 
E sorrido sul tempo passalo. — 
È finita l' età del pupillo : 
Son tranquillo, tranquillo, tranquillo. — 

LA MAMMA EDUCATRICE 



Viva Adelaide 
Che il cuor m' infiamma 
E in omnia saecala 
Viva la mamma. 

Donna mirabile 
Donna famosa i 
È un capo d'opera, 
E una gran cosa. 

Una domenica 
LMocontro io piazza 
Che aveva a icuef 
La sua ragazza ; 

Mi ferma, e affabile 
come conviene 
comincia al solito 
«• Che fa ? sta bene? » 

Ed alla figlia 
Che stava zitta. 
Gridò, «* su, animo, 
» Che fai li ritta? 

»* Via, grulla, avvezzali. 
Fa il tuo dovere... » 
Che mamma amabile t 
non è un piacere? 

E poi tenendomi 
Le mani ai panni, 
Soggiunse: « Oh passano 
« Pur presto gli anni I 



•• L' ho visto nascere 
«i E malaonaggio i 
•• S' invecchia, e termina 
«L'erba di maggio.* 

« Eh bimba, andiamcene, 
« Stamane ho frena : 
« Venga un po' a veglia 
** Venga, s' aspetta. 

« Siam gente povera 
« Ma di buon cuore, 
** Ci fa una grazia... 
« Anzi un onore. 

« Vai, bimba, pregalo; 
« Stai il impalata! — 
« Ma santa vergine 
u sei pur sgarbala ! 

« È sempre giovane » 
Dissi, « aspellate, 
« Lasciate correre, 
u Non la sgridate; 

« L'eia, la pratica 
« È molto, e poi 
(t Farà miracoli 
« Sotto di voi — •' 

Ai panegirici 
1^00 sempre avvezza 
Fece una smorfia 
Di tenerezza 



La vecchia» e a battere 

Sul primo iotUo 

Tornò, dicendomi : 

« — Dunque lia capito •* 
« Sa dove s' abita, 

- Verrà? — • Terrò. » 

E chi rispondere 

Potea di noT — 
V andai col giubilo, 

Con quei sembiante 

Che per le visite 

D'un zoccolante 
HO visto prendere 

Dalle massaie 

Quando alla questua 

Gira per 1' aie. 
Quelle vedendomi 

In un baleno 

precipitarono 

A pian terreno; 
Poi risalirono 

Con meco, ed ambe 

« Badi « gridavano 

u Badi alle gambe. 
« È poco pratico : 

« La scala é scura — 

« Ma quanti incomodi t 

« Quanta premurai » 
Salgo, si chiacchiera 

Sul più> sui meno^ 

Mi dan del discolo. 

Del capo-ameno. 
Tutta sollecita 

La Mamma intanto 

scotea la seggiola. 

Puliva un santo. 
Da un certo armadio 

Fra pochi stracci 

Sceglieva in furia 

Due canovacci, 
D'acqua io un angolo 

La brocca empia: 

Che mamma provvida i 

Che pulizia i 



Fioile alF ultimo 
Tante faccende, 
Disse « e per tavola 
« cosa si prende ? 

« credi. Delaide, 
« Sono sgomenta - 
E a me voltandosi 
Diceva • senta, 

m con unti ninnoli 
« Ci va un tesoro, 
« Le voglie cretcono 
« Manca il lavoro; 

m Oh ripensandoci 
« M' affogherei 
« Almeno, catterai... 
« Felice lei... • 

capii l' antifona 
Ed un testone 
Le offersi a titolo 
Di compassione ; 

La vecchia ingenua 
Per \t sorpresa 
M'urtò col gomito. 
Si finse offesa. 

Ma per imprestito 
Poi l'accettò, 
E per andarsene 
S'incamminò, 

E nell' orecchio 
Mi disse: » Ohe! 
** Ritomo subito , 
« Badiamo ve. •• 

IO per non ridere 
Alzando il ciglio 
Risposi: » Diamine, 
« Mi meraviglio. » 

Esce di camera 
Chiude la porta 
Sta fuori un secolo 
Che mamma accorta I 

Poi tosse e strascica 
Prima d* entrare.... 
Il elei moltipllchi 
Mamme si rare. 



IL MIO NUOVO AMICO 



HO un amico nel paese 
Che sostiene a faccia (osta 
Aver fallo un criraeDiése, 

lo lo credo , — e a farlo apposta 
Se lo iroTO all'* osleria 
pago il conio e vado via. 

LO conobbi non so come, 
E mi disse che per Pisa 
Era celebre il mio nome. 

stelli clieto ; — ma le risa 
A ripieghi sì balordi 
Mi strapparono i precordi. 

Porta un nastro tricolore , 
E dal trenta al trentadue 
E' si è fallo mollo onore: 

lo lo credo, «— e non son bue 
Da far si che al Irentalrè 
s' immortali anco per me. 

È sciancalo allo spedale 
Sette mesi ha tribolato 
Per la causa liberale : 

lo l' ascolto ^ e son teotato 
Di passargli un tanto al giorno 
Per levarmelo d' intorno. 

se mi vede di lontano 
Mi raggiunge come il vento 
E mi prende per la mano; 

lo vo seco — e sul momento 
AfTetlando indifferenza, 
Fo l'esame di coscienza 



Di profetiche scappale. 

Mi lardella, e fa man bassa 

Sulle teste coronale, 
lo lo scanso ^ e quando passa 

Di fuggirlo ho per sistema 

Quasi avesse il diadema. 
Mille cose mi domanda, 

Mi ragiona di progresso 

E de fide propaganda ; 
lo P ascolto — e gli confesso 

Colla massima modestia 

Che su ciò sono una bestia. 
Parla forte, e si protesta 

Che si ride del bargello 

£ non teme della lesta. 
Io lo credo — ma bel bello, 

Quando a caso a lui m' imbatto 

Cangio tuono e fo l'astrailo. 
Dice cose ereticali 

Del pontefice Gregorio 

E di tutu i cardioali; 
Io l' ascollo — ma mi glorio 

seco lui d'esser cristiano 

Apostolico, romano. 
Ma fra i piedi mi si mette. 

Mi conduce per i vicoli, 

E mi legge le gaizelte; 
lo V ascolto — e fra gli arlicolì 

solamente lodo quelli 

Del Bali Samminialelli. 



IL CHOLERA 



Nina, risolviti, 
Non far l'austera. 
Eh via sbrighiamoci, 
Viene il cholèra. 



Per controsCimolo 
Spargendo il male 
La morte, in looaca 
Ministeriale, 



X 2»4 X 



SgoneoU i popoli. 
Giova ai sovrani; 
Possiamo andarcene 
D* oggi ia domani^ 

Dunque che scrupolo 
Ti salta In testa 
Di far la slilica. 
Di far V onesta T 

Pensare ali' anima 
E una chimera -, 
Nina , rammentati , 
viene il cboléra. 

Invano il principe 
E monsignore 
Prescrivon tridui 
E quarant' ore. 

Il mate, aht credilo 
Idolo mio , 
Ci vien dagli uomini 
Non vien da Dio. 

sicché superflua 
È la preghiera; 
Nina rassegnati , 
Viene il cholèra. 

Pure il pericolo 
Me non attrista, 
Son buon cattolico, 
Son fatalista. 

Morir di vomiti , 
Morir di stento , 
E la medesima; 
Non mi sgomento. 



Il mondo 6 un carcere 5 
È una galera, 
Dunque finiamola. 
Viene il cbolèra. 

poi sulP articolo 
Dei giorni corsi, 
Variando libero. 
Non ho rimorsi. 

fio tatto l calcoli > 
E nel totale 
Non trovo deficit 
Di capitale. 

Le somme tornano, 
E per Io più 
Fra il danno e V utile 
È un su per giù, 

Però mettendomi 
Fra i casi rari 
Di quei che muoiono 
coi coati in pari. 

Io dando al secolo 
La buona sera , 
Volentierissimo 
Prendo il cholèra ^ 

Ma se B* accomoda < 
Fra noi la lite. 
Che possa metterli 
Fra le partite^ 

vederli docile ^ 
Stringerti al seno , 
Io vado al diavolo 
col sacco pieno. 



PROFESSIONE DI FEDE ALLE DONNE 



Donne , lo slimolo 
Di fare il bello 
Non mi solleiica 
Punto il cervello; 

Né mi dilettano 
L' ani , gì' inganni 
Dei nostri Paridi, 
Dei don Giovanni. 



Altri di vittime 
segrete liste 
Mostri , ed esageri 
Le sue conquiste. 

Per me l' ingenuo 
Piacer d' amore 
Non sta nei numero , 
Ma sta nel cuore. 



Lascio che ridano 
Alle mie spese 
Quelli che cangiano 
Di mese in mese. 

Non ho in tal genere 
Idea sì vasta ^ 
son discretissimo, 
Una mi basta , 

E posso scrìvere 
A mia fortuna 
Se in certi articoli 
Basto per una. 

Tengo per massima 
Che il Galantuomo 
Debba riflettere. 
Che Dio fé 1' uomo 

Non perchè domini^ 
Ma per diletto 
Di quella costola , 
Che in altro aspetto 

Al suo principio 
Ha riunita 
Quanto d'amabile 
E nella vita. 

Questo il prim' ordine 
Fu del creato. 
Furbi e filosofi 
Ce l' han guastato, 
£ con le cabale 
E coi rigore 
Hanno degli uomini 
Sviato il core. 



Ma chi ha giudìzio. 
Chi teme iddio 
Se ne fa scrupolo -, 
cosj son io : 
lo che per ìndole 
In generale 

V» amo, e serbandomi 
con tutte eguale. 
Ne osservo i meriti 
Comodamente. 
Né mi do r aria 
Di pretendente ; 
Non son nel numero 
De cascamorti, 
I gusti esamino. 
Guardo ai rapporti. 
Se 11 colpo capita. 
Se viene il bello. 
Non fo lo stolido, 
Non fo il corbello; 
Ma sto nei lìmiti 
E in mezzo a voi 
cerco quell' unica 
Che m'entri... e poi 
Assicuratevi, 
Donne mie belle. 
Che fedelissimo 
Son per la pelle; 
E posso ascrivere 
A mia fortuna 
Se in certi articoli 
Basto per una. 



UNA TIRATA CONTRO LUIGI-FILIPPO 



Di nuova tirannìa mostro novello 
Che sulla prole instabile di Brenno 
Ruoti un aureo flagello, 
E lusingando sai domar col senno ; 
Empio moriifer angue 
Che il seno ospite addenti, 
E il leon con obliqui avvolgimenti 
Franger vorresti e pascerti di sangue ; 



Odi : r Kuropt aspcua e io le le ciglia 

Tieo fisae, io le cui d* agiUre è dato 

La lem, e roeraTìglia 

Come nella tua man coauneila 11 fato 

Di lanla mole 11 pondo ; 

Dubllaódo lo le cerea 

L' eroe, ma trova il vii che cambia e merca, 

E per un trooo impon la pace al moodo. 
Quando ti salutò maestro e duce 

L' irrequieta popolar baldanza. 

Te di maligna iuce 

Del trooo abbarbagliò l' ardua sperana ; 

E lo seguisti io caccia, 

come bramosa Jena 

Luogo i deserti d' infuocala arena 

Dello smarrito peregrio la traoda. 
Ovunque ba pregio uo cor geolile, umano, 

A esempio di virtù, di cortesìa 

Del sigoor d'Orleano 

La casa e il nome celebrar si odia ; 

Ma il tempo ecco rivela 

Il mite animo scbielto 

E i domestici studi, ecco perfetto 

Il luogo ordir della patema tela. 
Odi strepito d» armi, e nella fera 

Pugoa la romba del bronzo tonante : 

La tricolor bandiera 

Tre di combatte e al quarto è trionfante 

Miseri I 11 sangue e l'ossa 

spendete invanì La lesta 

solleva altro tiranno e vi calpesta 

11 cener santo e T onorata fossa. — 
Non salute alla patria, alle tue frodi 

Que* di famosi il campo han preparato: 

Di dieci mila prodi 

La gloria e la speranza bai divorato. 

La libera divisa 

Che giovaoeuo in guerra 

vestisti un tempo per la patria terra. 

Clamide è fotta e teoo in soglio assisa. 
E tu potesti varcar V Oceano 
Lasciando il suol della tua gloria antics, 
E a lui porger la mano 
Da cinquani'anoi a liberlade amica 7 



E un abitarsi, tm franger di ritorte. 
Una voce dal elei per lutto udita 
Glie riscuole i sepolcri, e dalia morte 
Desta la vita. 
E in Te speranza alla Toscana Gente 
Del 4^uinlo Carlo dagli eredi uscio ; 
Rinasce n Giglio cbe stirpò Clemente> 
Diletto a Pk). 
Al cullo antico di quel santo stelo 
Dèlia libera lUlia ultimo seme. 
Di Re dovere e cittadino zelo 

Muovano insieme. 
Già da Firenze il fior desiderato 
Andò, simbol di pace e di riscatto. 
Di terra in terra accolto e ricambiato 
Nel dì del patto, 
Cbe ogni altro patto vincerà d' assai 
Mille volte giurato e mille infranto, 
• signor, pensa quel dlJ versasti mfH 

Più dolce pianto! 
E noi piangemmo, e lacrime d' aax)re 
Padre si>ricambiàr, figli e fratelli: 
Quei pianto che finì tanto dolore 
Nessun cancelli. 
Ed or che a noi per nuovo atto immortale 
La tua benignità sì disasconde, 
E n'avesti dal Sercbio al orlo regale 
Debita fronde. 
La gioia austera de' cresciuti onori 
Cresca conforto a Te nell'ardua via; 
Tra gente e gente di novelli amori 
Cresca armonia. 
Al secolo mSgiior, de* tuoi figliuoli 
Sorga e de* nostri nobile primizie, 
E di gemma più cara orni e consoli 
La tua canizie. 



1S 



VERSI INEDITI 

tciiiTTi m GRAif pautb dopo il 1847 

LA REI^UBBLICA 
A PIITKO CIAVVOirK 



NOD mi pare idea si slrana 
La repul>blica italiana 
una e indivisibile, 
pa senlirmenc sciupare 
Per un tuffo airabì Ilare' 
li cervello, o II fegato. 
Fossi re, certo, conres^o 
ctie il vedermi iiUorno adesso 
Balenare i popoli, 
E sapere^ affeddeddioi 
Che codesto balenio 
SigniQca — vattene, 
lo vedrei questa tendenza, 
A parlare in confidenza. 
Proprio contro stomaco. 
Pietro mio, siamo sinceri : . 
La vedrei mai volentieri 
Anclic, per esempio. 
Se ogni sedici del mese. 
Alla t)arba del Paese 
Trottassi a riscuotere. 
Non essendo coronato. 
Non essendo salariato. 
Ma pagando l'estimo; 

Che mi decimi il sacchciio 
O In Clamide o il Berretto, 
Mi par la medesima. 
Anzi, a dirla tale e quale, 
vagheggiando V ideale 
Per vena poetica. 



Nella cima del pensiero. 
Senza fartene mistero, 
Sento la repubblica. 
Ma se poi discendo all'atto 
Dalla sfera dell'astratto. 
Qui mi casca P asino. 
E Ri' inciampi che ci vedo 
Non noi svogliano del Credo ; 
Temo degli Apostoli, 
cornei appena stuzzicato 
11 moderno tpostoiaio, 
Pietro, ti rannuvoli? 
Mi terrai si tcimuoito, 
Che grettezza di partito 
Mi raggrinzi 1' anima ? 
Oh lo so: tu, poveretto. 
Senza casa, senza tetto. 
Senza refrigerio, 
ventoit' antl hai tribolato. 
Ostinato nel peccato 
Dell' amor di patria i 
All' amico, al galantuomo, 
Che sbattuto, egro, e non domo 
Sorge di martirio, 

DO la sferra nelle mani, 
E sul capo ai ciarlatani 
Trauengo le forbici. 
Dunque, via, raggranellale 
Queste genti sparpagliale 
Tornino in famiglia. 



2àT ■•;< 



Senta iddugio, senza chiasso, 
Ogni spalla il proprio «asso 
porli alla gran fabbrica 
E sia casa, Curia, Ospizio» 
orQcioa, sodalizio. 

Torre e l^bernacolo, 
E non sia Duova Babelle 
Che t' arruffi le favelle 
Per toccar le nuvole. 
Percbè, vedi : avendo testa . 
Di cercare a mente desta 
Popolo per Popolo^ 
Ogni cura io fondo in fondo 
Si rannicchia a farsi un mondo 
Del suo Paesucolo^ 
E alla barba del vicino 
Tira 1* acqua al suo mulino 
Per amor del prossimo. 
La concordia, l' eguaglianza, 
1/ unità^ la fratellanza. 
Eccetera, eccetera, 



Son discorsi buoni e bolli; 
Tre fratelli, tre casiclli, 
Eccoti l' Italia. 
O si svolge in largo amore 
Il gomitolo del cuore 
(Passa la nietnrura), 
E faremo in compagnia 
Una tela, che non sia 
Quella di Penelope 
O diviso e suddiviso 
Questo nostro paradiso 
Coi sistema d' Hanneman, 
Ottocento San Marini 
Comporranno i Governini 
oell' Italia in pillole 
Se non credi all'apparenza 
Fa' repubblica Firenze, 
' E vedrai Peretola. 
E così spezzato il pane. 
Le ganasce oliramoniane 
Mangeranno meglio. 



AD UNA DONNA 

FRAMMENTI 

Vent' anni son trascorsi 
Dal dì Cile t' incontrai la prima volta, 
E che per un sospir nuovo m'accòrsi 
D' una parie di me che ni' era tolta. 
Ond' io per calle ascoso 
Tutto quel giorno andai muto e pensoso. 

Muto e pensoso andai 
Tutto quel giorno; e un sospirar frequente, 
Una mestizia non sentila mai, 
E l' immagine tua viva e presente, 
Facean tumulto al cuore, 
Dolce tumulto che precede amore. 

Oh come eri gentile. 
Modesta e cara agii atti e alle parole ! 
Che nobile schiettezza in veste umile! 
Germogliano così rose e viole 
Le vergini campagne, 
Allor che l'uslgool più dolce piagne. 



f 






Ridea schieUo e bmìo 
Sul fior del labbro il fior della favella: 
E 86 Dfl capto 11 tacito desio 
Sfogavi delia mente verginella, 
Oh quale i» quelle note 
veslian nuova t>eltà le belle gote i 



E noi, del par caogiaii^ 
L' animo e il volto, e* iocooirammo adesao- 
Novellamente : e gii occhi agli occhi amatv 
E desiose dell' an.Uco amplesso 
Ci Corsaro le braccia, 
Aml^o tremanti e scoloriti in faeda. 



Di cari pargoletti 
La semplice dimora è consolala ; 
E nella pace di più santi affetti 
corre senza dolor la tua giornata, 
come di fonte vivo 
un chiaro, fresco e solitario rivo. 



I 



lo sdegnoso e ramingo 
col pie vo innanzi, e col pensiero a tergo : 
Disamorato come y uom solingo 

Che non ha casa E muU albergo. 

Di qua di là m^ involo, 

sempre in mezao alle genti e sempre solo. 



« sospiro la pace 
Che a questo colle solitario ride : 
S piA t»i:no M guastarla, e più mi spiace 
La garrala città clie il cuor m'uocide, 
Ove Bull' altro imparo 
Che riarmar di dardi il verso amaro. 

DELLO SCRIVERE PER LE GAZZETTE. 



sdegno di far più misere 

eoo diuturno assalto 

Le splendide miserie 

Di chi vacilla In alto ; 

Sdegno, vigliacco astuto. 

Insultare al cadavere 

Dell' orgoglio -caduto. 
9(è bassa contumelia 

.Che l'uomo in volto accenna, 

Uè svergognato ossequio 

Mi brulieisft la penna, 

La penna, a cui frementi 

Spirano un voi più libero 

Più liberi ardimenti. 
Oh se talor, neglMmpeti 

Ciechi deli' ira prima. 

In aperto motteggio 

Travierà la rima, 

A lacerar le carte 

Tu, vergognando, aiu(afDi> 

casto amor dell' arte, 
li riso malinconico 

Non suoni adulterato M 

Dell'odio o dell'invidia 
Dal (riPgno avvelenato, 
Né ambizlon delusa 
Sfiori la guancia ingenua 
Alla vergine Musa. 
Neil' utile silenzio 
Dei giorni sonnolenti, 
con periglioso aculeo 
Osai tentar le genti ; 
Osai ritrarmi quando 
cadde Sciano, e sorsero ''^^ 

1 Bruti ciogueuando. 



seco Licurghi, e Socrali, 
catoni, e cincinnati, 
E Gracchi pullularono 
D'Oslo nell'ozio nati: 
come io pianura molle 
scoppia fungaia marcida 
Di suolo che ribolle. 

Ahi, rapita nel mobile 
Jtagllor della speranza, 
Non vide allora 11 vacuo 
Di facile iattanza 
L' illusa anima mia. 
Che s'abbandona a credere 
11 ben che più desiai 

£ le fu gioia il subito 
Gridar di tutti e festa, 
E sparir nelle tenebre 
La ciurma disonesta. 
Ed io, pago e sicuro. 
Aver posato il pungolo 
Glie ripigliar m'é duro. 

O Libertà, magnanimo 
Freno e desio severo 
Di quanti in petto onorano 
Con (e l'onesto e il vero. 
Se del tuo vecchio amico 
saldo tuttor nell' animo 
Vive 1 ' amore antico, 

aleggi all' usalo termine 
La mano e la parola. 
Quando in argute pagine 
caldo II pensler mi vola. 
Quando in civile arringo 
La combattola patria 
A sostener m' accingo. 



950 



Teco \a aperla insidia 
O in pubblico bordello 
Dell'adulato popolo 
Non mi faro sgabello. 
Ali* amico le gote 
Non segnerò col bacìo 
Dì Giuda Iscariote. 

Dell'orgia, ove (reaeilca 
Licenza osa e schiaroazzn, 
con alta verecondia 
Respingerò la tazza, 
con verecondia eguale 
Respinsi un tempo i calici 
Di circe in regie s^ile. 

O veneranda Uali^» 
Sempre al tuo santo qome 
Religioso brivido 
Il cor mi scosse, come 
Nomando un caro ol>ielto . 
Lega le labbra il irepido 
E reverente 9ftetlo. 



povera Madrei II ga«dio 
yaoo 1 superbi vanti. 
Le garrute dittondie, 
Perdoaa «i tgli erranti -, 
Perdona a me l« amare 
Dubbiene» e il labbro attonito. 
Nelle fraterne gare. 

Sai ctoe nel prtmo strazio 
Di colpo imprevedutOy 
Per l'abbondar sovarcfaio 
Anche il dolore ò muto ', 
E sai quai duro peso 
M' ba tronchi I nervi e P Igneo 
vigor dell' alma offeso. 

Se trarli di miseria 
A me non si concede. 
Basti l' amor non timido, 
S P incorrotta fede ; 
Basti cbe io tresca oscena 
Mano Mon ^òrsi a Okigerti 
Nuova e peggior calen». 



A UNO SCRITTORE DI SATIRE ICf GALA 



Satirico chiarissimo, lo stile 
Torrai forbire, e eolla dotta gente 
Rivaleggiar di chiarissima bile? 

vorrai di porcherie, tenute a mente 
Spogliando Fiacco, Persio e Giovenale, 
Latinizzare II secolo presente ? 

vorrai di greco e di biblico sale 
Salare idee pescate alla rinfusa, 
E barba di cassone e di scaffale ? 

Farai trionfare e declamar la Musa 
Stitica sempre, sempre a corde tese, 
Sempre in cerchio retorico rinchiusa ì 

Oh di che razza di muggir cortese 
Muggiscono per tutto in tuo favore 
Tutte l' Arcadie del nostro paese ! 

TU del cervello altrui lucidatore? 
Libero ingegno, insaccherai nel branc<» 
Del servo pecoran^e imitatore? 



vedi piuttosto di ehiamare a fianco 

I vizi del tuo popolo in toscano : 

Di chiamar aero il nero e biaoco il bianeo ; 
E di pigtlare arditamente in mano 

II dizionario che ti suona in bocca. 
Che se BM altro è schietto e paesano. 

Curar l' altrui magagne a noi non tocca : 
Quando nel vicinato ardon le mura^ 
Ognuno a casa sua porti la brocca. 

Di te> deli' età tua prendili cura ; 
Lascia a' ripetitori e agi' indovini 
Sindacar la passata e la futura. 

Scrivi perchè t' intendano 1 vicini 
A tuUo pasto, ed a tempo avanzato 
Ci scriverai di Greci e di LatioU 

Uno che non la voglia a letterato, 
Che non ambisca a poeta di stia, 
DI becchime dottissimo inghebbiato. 

Ci -preferisca In prosa e in poesia. 
Pur di cantare a chiare note il vero, 
un idiotismo » vna pedanteria: 

poi non si cresca onor nò vitupero 
Pefcbè lo pianti all'indice quel Prete 
Che mal si chiama succeduto a Piero ; 

Z(è calcoiatameote nella rete 
Dia di capo del birre, onde gli venga 
celebrità d' esilio o di segrete : 

E non lasel che d' anima lo spenga 
He diploma, né paga, né galera: 
Chi le vuol se le pigli e se le tenga. 

Che ognuno è malto nella sua maniera. 



FRAMMENTI 



Di tenersi nei confine 
Della propria intelligenza,' 
E l'umane discipline 
E l' eterna sapienza. 
Ammoniscono le menti 
D'ogni freno impazienti. 



il divieto di que! pomo 
Che, sedotta dal serpente^ 
Pregoatato offerte all' uomo 
La consorte iocootlneote ; 
E lo afono di Babele 
Che coofoiMle le loquele; 

E Fetoote che alle prove 
Si scottò la mano ardita» 
E colei che fu di Giove 
NelH amplesso iocenerita^ 
Fanno il saggio circospetto 
Neil' ardir dell'intelletto. 

colla vista in alto assorta 
Muove Empedocle le piante, 
E cadendo non ha scòrta 
La voragine davante. 
Che ti vai studio del vero» 
Se fallisci il tuo sentiero r 

Cile ti vale il forte acume 
Della mente irrequieta, 
Se t'abt>agli in troppo lume. 
Se sk)atluto oltre la meta 
Ricadesti in cieco errore. 
Per trascorso di vigore ì 

k ciascuno è dato un punto 
Al suo sé conveniente: 
O varcato o non raggiunto, 
TU disperdi egualmenle 
La virtù che ti misura 
11 Signor della natura. 

Chi per manco di potere, 
O per troppa loolaoaoza. 
Inesperto fromboliere 
Non avvista la distanza. 
Vide il sasso andar distratto, 
O morire a mezzo il tratto. 

Chi sostenne a ferie altezza 
Del pensier la gaglìardia. 
Moderò colla saviezza 
Del saper la bramoslu, 
'xiosse a certo segno 
'a dell' ingegno. 



nobilmeiiie obbedienti 
Alla man che e* incammina 
Slamo arnesi differenti 
pi mirabile oifMntL, 
E fomime indailu) spera 
Uno aolo all' opra intera. 

S la vita ona magione 
Che e' è data a seguitare 
Sol disegno del Padrone 



Quando, il compito hai pagato> 
Cedi l'opera; e conviene 
Ripigliar l'addentellato 
A colui che sopravviene ; 
E cosi di mano in mano 
Acquistar l'ultimo piano. 

Ogni secolo, ogni ^ente. 
Lavorando alla diritta, 
E* pensando arditamente 
D'arrivare alla soffitta. 
Si ooQdiisse a fio di salmo 
A procedere d' uil palmo. 

E noi pur tirando innanzi. 
Aggiungiamo il nosiro tanto, 
Proeacciaro che in bene avanzi 
L'edificio altero e santo, 
.Rimettiamone anco noi 
Il suo tanto a cM vien poi. 

FinirA l'opra mortale 
Un artefice divino : 
Si contenti il manovale 
Di porure il sassolino 



Che non so dell' Architello 
Agguagliar gì' inieodimentì. 
Lascerò mettere il tetto 
A chi pose i fondamenti, 
E la fabbrica compila 
Goderò nell* altra vita. 



AD UNA DÒNNA 

Per poco accanto a te, qufisi smarrito 

Della dolcezza, il cor quietò le piume ; 

Per poco ahimè,, rapito 

De' tuoi begli ocelli nel feoàve lume, 

sentii lieve ogni pena 

Farsi, e l'anima mia tornar serena. 
Quanti éoWÀ pensieri i baci tuoi 

valsero, o mia diletta, a suscitarmi l 

E quante volte poi 

Tornai tacito a piangere e lagnarmi 

Dal di cbe mi fu tolto 

Tornar di nuovo al desiato volto i 
Ma se il destino a liie sempre nemico 

Da te, mia cara, a un tratto mi divise. 

Al tuo lontano amico 

A cui privo di te più non sorrise 

La vita sconsolata, . 

Vengano i tuoi pensieri, o donna amata. 
Ad incontrarli tenderò le braccia 
Come a messaggi di novelle liete, 
E per la stessa traccia 
Rivoleranno a te le mie segrete 
Speranze, i miei desìri, 
E voti e baci e lacrime e sospiri. 
Oh sento sempre il tuo tenero amplesso. 
Sento una voce che mi fa beato i 
Giacer mi sembra adesso 
col capo sul tuo seno, abbandonato 
In dolce atto d' amore, • 
Suggendo 1 labri tuoi com' ape un flore. 
Da quell'ora la mente desiosa 
Sempre d' intorno a le vaneggia ed erra : 
Ab più leggiadra cosa 
E più cara di te, non spero io terra 
Di ritrovar più mai I 
coi primi baci il cor teco lasciai. 



SONETTI 
I TREMTACIKQOE kKfil 

Grossi, bo ireniacinque anni, e in' è passata 
Quasi di testa ogol corbeUeria; 
O se vi resta uq graoo di paz^ia^ • 
Da qualche pelo bianco è temperala. 

Mi comincia un'età meno agiuta. 
Di mezza prosa e mezza poesìa ; 
Eia di studio e d'onesta allegria, 
Parte nel mondo e parte ritirala. 

poi, calando giù giù di questo passo 
E seguitando a corbellar la fiera, 
Verrà ia morte, e fioeremo il chiasso. 

E buon per me, se la mia vita inlera 
Mi frutterà di meritare un sasso 
Che porti scritto : « non mutò bandiera. » 



Tacito e solo in me stesso mi volgo 

interrogando il cor per ogni lato. 

E con molti sospir del tempo andato 

Tutta dinanzi a me la lela svolgo. 
E dure spine e fior soavi colgo. 

Qua misero mi trovo e là bealo ; 

Or mi sento coi pochi allo levato. 

Ora giù caddi e vaneggiai col volgo. 
Già del passato I' avvenir più breve 

Farmi ; e il pie che va innanzi stanco e tardo, 

Ricalca l'orme sue spedilo e lieve. 
E ia mente veloce come dardo. 

Quasi a un diletto che lasciar si deve, 

Tolge d' intorno desiosa il guardo. 



La numéa di poeta e letterato 
Ti reca, amico mio, di gran bei frutti, 
E il più soave è l'essere da tutti 
E lodato e cercato e importunato. 

Il grullo, l'ebete, il porco beato, 
Lo spensierato, ed aHri farabuUÌ« 
Fanno in pace i lor fatti o beHi ò bruiti. 
Ed hanno tempo di ripigliar fiato. 

Ma i' ingégno die spopola e che spaica 
^ r asino d* un pubblico insolente 
Che mai lo pasce e sempre lo cavalca. 

E gli bisogna, o disperatamente 
Piegar la groppa a voglia della calci, 
O dare in bestia come i' altra genie. 



A notte oscura, per occulta via 
Volsi Alla tua 'dimora i passi erranti. 
Pur coro' è stil dei dubitosl amaoii 
Te sospirando o fior di leggiadria. 

E m\ feri da lunge un'armonia 
Di dolci suoni e di soavi canti. 
Onde suil' ali del desio tremanti 
Venne a starsi con te l'anima mia. 

E tu parevi nelle care noie 
Confondere 1 «ospiri, e dir parole 
Che del pensier la mente si riscuote.. 

Ah compiangendo a chi per te si duole 
Forse bagnavi dì pietà le gole, 
E le lacrime non eran sole. 



1 Più tirano i 

PBOVXBBIO. 

€he i più tirano 1 meno é veritA, 

Posto che sia nei più senno e virtù ; 

Ma i meno, caro mio, tirano i più, 

se i più iraitiene inerzia o asinità; 
Quando' un intero popolo ti dà 

Sostegno di parole e nulla più^ 

Non impedisce che ti .bulli giù 

Di pochi impronti la temerità. 
Fingi che quattro mi baslonin qui, 

E li ci sien dugenlo a dire: ohibò 1 

Senza scrollarsi o muoversi di lì ; 
E poi sappimi dir come starò 

Con quattro indiavolali a far di si. 

Con dugenlo citrulli a dir di no. 

A DANTE 

La colpa seguirà la parte offensa 
m grido, come suol. 
. DAKTB, Parofiiso. 

Altor che ti cacciò la parie Nera 

Coll'inganno d'un papa e d' un Francese, 

Per giunta al doro esigilo, il tuo Paese 

TI die d' anima ladra e barattiera. 
E ciò perchè la ra^nte alta e severa 

Con Giuda a palleggiar non condiscese : 

cosi le colpe sue torce in offese 

Chi ripara di Giuda alla bandiera. 
E vili adesso e traditori ed empi 

Ci cbiamao gli empi, i vili, i traditori, 

Ruttando sé, devoti ai vecchi esempi. 
Ma tu consoli doI» tanto minori 

A te d' Affanni e di liberi tempi, 

pi cuor, d'ingegno, e dì persecutori. 



X W6X 

Felice le che nella tua carriera 
T'avveone di ctalaf>par la via più trita, 
E li 8' affi! la scesa e la salita. 
E set omo da bosco • da riviera. 

stamaDe a Corte, al Circolo stasera. 
Domattina a braccetto a un Gesuita ; 
Poi ricalcando P orme della vita, 
Doman l' altro daccapo, al siculera. 

Che se codesta eterna giravolta 
A chi sogna Plutarco e i vecchi esempi 
Il delicato stomaco rivolta. 

va pure innanzi e iascia dir gli scempi, 
Che tra la gente arguta e disinvolta 
Questo si chiama accomodarsi al tempi. 



Se leggi Ricordano Malespinl. 
Dino compagni e Giovanni Villani, 
E 1 cronisti Lucchesi ed 1 Pisani, 
senesi, Pistoiesi, ed Aretini, 

Genovesi^ Lombardi, Subalpini, 
veneti, Romagnuoii e Marchigiani, 
E poi Romani e poi Napoletani, 
E giù giù fino agli ultimi confini, 

vedrai che 1' uom di setta è sempre quello: 
pronto a giocar di tutti, e a dire addio 
Ai conoscente, all'amico e al fratello. 

«• E tutto si riduce, a pater mio, » 
(Come disse un poeta di Mugello) 
- A dire : esci di II, ci vo* star lo. •» 



signor mio. Signor mio. sento il dovere 
Di ringraziarvi a fin di malattia. 
Per avermi lascialo tuttavia 
Della vita al difficile mestiere. 

se sia la meglio andare o rimanere 
lo non lo so, per non vi dir bugia ; 
Voi lo sapete bene, e così sia; 
Accetto, vi riograaio, e ci ho piacere. 
Che se mi tocca a star qui confinato 
• Perchè il polmone non mi si raffreschi. 
Ci sto tranquillo e ci sto rassegnato. 

lo faccende non ho, non ho ripeschi, 
Non son un Oste o un Ministro di Stalo, 
Che mi dispiaccia il non veder Tedeschi. 



EPIGRAMMI 

11 Buonsenso^ che già fu capo-scuola, . 
ora io parecchie scuole è morto affatto ; 
La scienza, sua figliuola, 
L' uccise per veder com' era fatto. 

Gino mio, l'ingegno umano 
Partorì cose fCupeo<|e 
Quando V uomo ebbe tra mano 
Meno libri e più faoeeode. 

Il fare un libro è meno che niente. 
Se il libro fatto non rifa la gente. 

Chi fé calare i Barbari tra noi ? 
Sempre gli Eunuchi da Narsete in poi. 



VERSI GIOVANILI 

SDITI BD IKEDITI 



PER LE FESTE TRIBBUIALI DI PESCI A. 



VERSI LIRICI 



Quando lieto Israele 
Movea cotl'arca santa ai di festivi, 
E coi Leviti il popolo fedele 
Alternava armonia d' inni giulivi : 
Davidde umile e pio, 
Dimessa ogni grandezza innanzi a Dio, 

in man 1' arpa togliea, 
E precedendo il carro benedetto, 
sciolta Paura vocal che gli firemea 
Entro i meati del divino petto. 
Del caotico ispirato 
Empia d'intorno il eiel rasserenato. 



Il nona Uio> Signot«« 

narrano i Cieli' e annunzia il firmamento ; 

E dolce tento di vitale odore 

Come da vato d* incorrotto unguento - 

Dal tuo favor ditcende, 

All'anima dì lui cbe in te t'intende. 
Tu beato in te stetto 

Quand' anco il tempo e la vita non era, 

Pur di te nel creato un segno espresso, 

Qual di suggello d' oro lo molle cera, 

Toletti, e ti compose^ 

Questo mirabil ordine di cote, 
come pugno d' arena 

Disteminatti pel vano iofioito 

L' eteree faci : il moto e la catena 

Tu reggi delle sfere, e tu col dito 

Segni r ultime sponde 

Ai fuochi occulti e al fremilo dell* onde. 
D'ìnvitibili penne 

Armi la ruinosa ala dei venti ; 

Per te si versan da fonte perenne 

I fiumi, e quasi oorridor fuggenti 
La verga ina gli spinge 

Nel mar che tutto intorno il suol recinge. 

L' aere, la terra e l'acque 
Di varia moltitudine infinita 
Diversamente popolar ti piacque. 

II cerchio uni versai di tanta vita 
<:he il tuo valore adorna» 

Da le muove, in le vive, a (e ritorna. 
Or dall' empirea reggia 
D' onde piove di grazia almo ristoro, 
come artista che infuse e rivagheggia 
T.inta parie di sé nei suo lavoro, 
Padre,, rivolgi a noi 
La benigna virtù degli occhi tuoi. 

come l' umii villano 
La casa infiora, e tien purgalo e nello 
L' ovile intorno, se li signor lontanp 
Ode che venga al suo povero letto; 
Oggi cosi le genti 
T' invocano fra loro, e reverenti 



Questa pompa devola 

T'offrono ne) desio dì farti onore. 

Mille voci concordi in una nota 

E mille alme che infiamma un solo amore^ 

come vapor d' incenso 

Salgono a te pel chiaro etere immenso. 
I colli circostanti. 

In tanto lume di letizia accesi, 

Ridono a te che di luce t' ammanti 

£ nella luce parli e ti palesi. 

Rompendo col fulgore 

Della tua mestade ombre d' errore. 
Tale il pastor di Jetro 

Che tolse al giogo il tuo popol giudeo^ 

Prima che tanta si lasciasse addietro 

Ruina di tiranni all' Eritreo, 

Sul rovo fiammeggiante 

Ti vide t' adorò tutto tremante, 
nello dei nostri cuori 

Farti santo olocausto in primavera, 

Or che l'erbe novelle e i nuovi fiori 

Tornan la terra alla bella primiera, 

E rammentar ne giova 

Quell' aura di virtù che ci rinnova. 
Era così sereno, 

così fecondo il cielo, sorridea 

Di vivace uberlà ricco il terreno, 

Quando l' uomo^ di te gentile idea. 

Prese' lieta, innocente 

vita, nell' allo dell* eterna mente. 



ALLA MEMORIA DELL'AMICO CARLO FALUGl. 



Anch' io del Tempio fra i devoti marmi 
Dunque l'estremo vale intuunar deggio 
Al dolce amico con pietosi carmi? 

Sacra è l' opra, ma tal clic ben m' avveggio 
Che saggio avvisa quei che della vita 
Non cura i mali, perchè lemo il peggio. 



Dalla pura aorgeole dipartila, 
L'alma si veste del caduco limo 
Oode la drtiu via spesso è smarHla. 

indi saaia sdegnando U tristo ed Imo 
LOCO d' esigilo, qual sollU vapore. 
Lieto si rìcoDduce al «ntro primo. 

Àllor perdono I sensi ogni vigore» 
E la fragile spoglia, a cui vien manco 
Virtù motrice. Illanguidisce e nwore. 

Giunge di ucit' ali faaàst II fianco 
L' età fugane, e telda io suo diriiio 
sperde ciò che rimai» del ceoer stanco. 

Ma Impressa nella mente dell'afflitto 
La memoria rlman dei cari estinti. 
Me volgon gli anni a cancellar lo scritto. 

E d'Infausto cipresso il crin ritìnti, 
Corron gli amici del perdalo ntt' urna 
k tributar le lacrime e l giacinti. 

E la tenera sposa taciturna 
cova la doglia acerba, che l' isUga 
L' odiata a fuggir luce diurna. 

E di debito pianto il volto riga, 
O splenda In cielo la benigna lampa, 
O Febo asconda In mar la sua quadriga. 

cosi, diletto Carla, in noi si sumpa 
Tua sospirala Imago, e del desio 
Degli ampiessi cessati ognuno avvampa. 

Ood' è che intento a mesto uìBcìd e pio 
icuovesi di compagni un ordin denso 
m bruna veste alla maglon di Dio. 

Ed implora a te requie, ed all' immenso 
Offre voti che al ciel ratti sen vanno, 
siccome nube candida # incenso. 

Gli ode placato il Nume, e il duro affanno 
Dell'orbata famiglia appoco appoco 
calma pietoso, e ne conforta 11 danno. 

O voi, che offiwde lo questo basso loco 
Cura molesu, o morbo grave e tento, ^ 
sprezzate di Fortuna il vario gioco. 

Questo Garzone Innanzi tempo spento 
V addili che quaggiù vana è la speme. 
Ed ombra che dileguasi il contento. 



TU die' di doppio serto 

Il crin bianco clrcoodi 

Tu caro a yasiiuoho, e di due moudi 

Nelle vicende e nelle genti esperto T 
Te gli anni gravi e l'animo che dona 

Della patria virtude hani^o ingannato; 

Ma civica corona 

Cinge il tasso che t' ebbe intemerato. — 

Ne' tuoi legali fasti 

Questa solenne gloria 

Scrivasi, re : •• La vita e la meoooria 

Di Lafayette avvelenare osasti. » 
Dubbio grida la &aa il tuo natale; 

Ma se guasti coli' or celando il ferro , 

La patria tua , che vaia 

se tu regal nascesti , o di un sgherro T 

Ben hai di regia volpe 

insidioso ingegno : 

Togli il valore , a mantenere un regno 

HA tutte le virtù , tutte le colpe. 
Ti fiancheggian color che la fortuna 

Ha incatenati al tuo mal fermo seggio; 

Te di venal tribuna 

La /uria investe e il puèril molleggio ; 

Patti firmar ti gio^ 

Co' re » ma v' assicura 

Di fede invece la comun paura; 

Che sia patto di re tu sai per prova. 
E ancor non sazio , insidioso fingi 

Moversi ne' tuoi danni armi e furori , 

E di nuove li cingi 

pretoriane guardie e di littori l 

Ma chi Yitellio ha spento , 

E chi Neroo , non sai ? 

Dimmi non vaga ne' tuoi sonni mai 

Lo spettro di Berry sanguinolento! 
Tremi del nome ? e n' hai ragion... ma quale 

Dubbio mi Prende ^ e che pallore è quello ? 

Nella notte ferale 

Dimmi , il peggior dei re non fu L^uvello ? 

Chi sa per quanto inganno 

Costui sublima emerse ; 

Chi gli vendè la vita e chi gli aperse 

Cieco sentiero al violato scanno i ~ 



D' oade laul' ani in poco d' ora? forse 

Da luogc la corona bai iraveduia ì 

He di paura morte 

Te dell' aquila il volo e la caduta? 

Ahi I varia eli , feconda 

D'esempio a luUi è questa 

Nelle vicende di ci vii leropesla 

Tersile a Achille galle^iar soli' onda i 
Ma pensa , o re , che la vernai bufera 

Sul pelago die eorri ancor sovrasta , 

Che uon sei giunto a sera. 

Che dar le vele ad aquilon non basta : 

A Dio pensa, che i regi 

D* armi e di senno avanza.. . 

Ma tu , re nuovo, il serto e la possanza 

Da lui non tieni , e il suo favor non pregi» 
Da Dio la possa non conosci , e nome 

Del popol prendi , e il popolo t' inspira 

Dispregio , e a lui le some 

Aggravi : e il credi a Dio minor nell' irar 

Paventa > o re , paventa ; 

Soffre anch' ei le catene 

Come I' altro gli oltraggi : ecco il dì viene , 

Ei sorge , ei sorge e V oppressore annienta. 
Mei delirar dalla città partila 

Sogna altri sparta e il buon vivere amico ^ 

Altri il tuo giogo evita , 

E quel di Carlo invoca o il quinto Enrico : 

Tu per lubrica via 

Nella discordia audace 

prosegui intanto ; ma se un giorno tace 

Se un' ora il parteggiar , che fla T 
Vedi, di mare in mar, di lido in lido 

Serpe , un' eterea fiamma e si diffonde : 

A una querela , a un grido 

Anco l' estrema Tarlarla ris{)onde , 

Corre al fraterno amplesso 

L' europa ripentita , * 

Viver anela d' una sola vita 

In una brama, in un pensiero stesso. 
Guai , guai , potenti T Al primo urlo di guerra 

Quella querela si farà più forte ; 

Per lunghi anni la terra 

Di mille genti sosterrà la morte ; 



S' infrangerà V ai ligHo 
Ai boreali augelli; 

Cadran , cadranno ali' urto dei fraielU 
notle le chiavi e disfiorato il giglio. 
Tu noi vedrai , che intorno a te si oscura 
Già il lume della vita , e 1* ora e giunta : 
Trema , una man secura 
p' uB ferro al cor ti premerà la punta. 
Fia viuima il tiranno 
D' uom Che morir non teme : 
Vieta fortuna dissipare il seme 
A man tremanti che ferir non sanno. 

AVE MARIA 
ALLA 8IGKOBA MARIA F. 

Ave Maria i — servita e supplicata 
Da una corte di gente riscaldata , 
Eserciti d'amor la tirannia , 

Ave Maria. 

Ma il tuo gioco è dolcissimo, e permeile, 
La libertà di stampa e dj gazzelle. 
Ed. anche un po' di chiasso e d'anarchia, 
Ave Maria. 

S' affoUao per le sale e per le stanze 
1 minislri di guerra e di finanze, 

I mangiapane e la diplomazia. 

Ave Maria. 
L' alcova per gli affàr di gabinetto 
Fa da burò, da tavolino il lello. 
La cameriera è ciambellano e spia. 
Ave Maria. , 
Sulle poltrone e sugli strati molli 
si stendono trattati e protOi^x>lli, 
Ma non producon guerra e carestia. 
Ave Maria. 
Tu che proprio da Dio tieni il dominio 
Reputi la confisca un assassinio, 

II crimeniese una pedanteria. 

Ave Maria. 

Le imposizioni, i dazj, le gabelle 

Raschiano tutto al più la prima pelle. 

Ma non va tutto io deposlterìa. 

Ave Maria. 



Ed è uo coororio al suddito pelalo 
Che il suo daoar si spenda nello stalo» 
Né teme che iruggi io uoglieria, 
▲ve Maria, 
IO quaoio al cullo fai da le medesioia; 
Fero non e* è vigilia ne quaresima, • 
E lasci dire In pace un'eresia. 
Ave Maria. 
Ciascuno a tomo è gran cerimooiere, 
celebra, incensa, e regge il caodelliere 
Senta scandalo e sema ipocrisìa, 
Ave Maria. 
Per dirti tt vero io soo repobblicaoo. 
Ma tu fin qui sei V unico sovrano 
Che mi lenti a peccar di apostasia. 
Ave Maria 
Si, solamente in cosi buon governo 
Esser vorrei ministro dell' intemo, 
O prete per entrare in sagrestia 
Ave Maria 



LAMENTO DELL'IMPRESARIO RICOTTA 

VETTURALE 

CHE ITBL 1835 PBBSE L' APPALTO DEI. TBATIO P;SAIiO. 



Bravo impresario! 

(Diceva un tale 

Gran capo armonico 

E originale) ; 
Bravo impresario! 

così si fa, 

Ci ha data un' opera. 

Ma come va t 
Cos' è la Pergola T 

Cos' è la^ scala ? 

se fosse a Napoli 

sarebbe gala. 
Buona la musica 

Buoni i caoianii 

Bravo impresario 

Tiriamo avanii! 



Ricolla udendosi 

Così lodare 

Rispose — Eh 1 caspita t 

Mi lasci stare : 
Spendo, ma proprio 

Getto i denari 

Ed e un miracolo 

se n'esco pari. 
Molli che vedono 

Le panche piene 

Senza riflettere 

Chi va chi viene, 
- L' amico cesare, •» 

Gridan ira loro, . 

« Quesl' anno caspita l 

- S' è fatto d» oro. » 



:«6i X 



Perchè ho il sopraMto 
E i guanti? — or ora 
Mi vado a roìettere 
La cacciatora. 

Facciamo il calcolo — 
Lunai, soklaii, 
MògU di comici^ 
Birri, impiegali 

veogooo, ed empiono 
Faocbe e corsie 
Cento aocademtei, 
Dugeoto spie; 

fi uo visibilio 
Di mangia a vfù 
E poi •* inquietano 
Se sono stufo I 



Parliamo liberi. 
Con questa festaj 
Mi dica, alt' ultimo 
Cosa mi resta t 

lo servo il pubblico, 
E mi confondo; 
E poi T lo dicano 
Ganelfa e Dondo. 

SOD Potto — ed eccomi 
Ritto, impalato 
à udir l' antifona, 
• Passi ^ abbonato- » 

Le nov§ saonano, 
Né paga alcuno, 
E dopo un secolo: 
« Prenda per uno. » 



Ma se si seguita. 
Per me fo monte. 
Li mando al diavolo 
E u>rno al ponte. 

PAROLE DI UN CONSIGLIERE AL SUO PRINCIPE 



Altezza^ — il secolo 

Decimonono 

Pareva un'epoca 

Fatale al trono ; 
Cavai l' oroscopo 

Segnai le stelle, 

E minacciavano 

l4a vostra pelle: 
L' ardire, il giubilo 

Dei liberali. 

Dei periodici 

Fogli e giornali 
Era di prossime 

Sciagure indizio : 

Ohi andate I — i popoli 

Metteaù giudizio. 
La Senna al solito 

Urtate e rotte 

Le dighe e gii argini 

Fé* il don Chisciotte; 



FonUedlavano 

in ogni banda 

I missionari 

Di propaganda. 
Intenti a chiedere 

DI qua e di là, 

Non l'elemosina. 

Ma libertà ; 
B d* apostolico 

Zelo invasati 

Su, IH», gridavano. 

Su, svenluraU J 
E giunto il termine 

Di tanto affanno. 

Si uccida il despota 

Muoia il tiranno i ^ 
Su via levatevi 

Fate da eroi, 

E se vi toccano 

Ci siamo noi. 



Si armò la Belgica, 
Si amò varaaTia, 
Pedhi P Italia 
sootae r ignavia, 

E balbeiiarono 
D* iodipeodenia 
Bologoa e Modena 
Che impertlneosat 

Eppure a dinrela 
Questi arfasaui, 
se il Gallo ipocriU 
Teneva i palli. 

Fone acantaTaoo 
Fruste e Tedeschi : 
Amalo principe 
Si suvft freschi i 



Madibeoeiche 



Toma «n period» 
Fropiiio ai troni, 

Ond* é che redael 
Rei driui antichi 
Serfoiano intrepidi 
La panda ai fichi ;. 

E delU torbida 
Senna le ondale 
Son fuochi laifli, 
Soo ragasaie, 

E la volubile 
Genia di Breono 
Che infuria e prodig» 
La vita e il senno. 



Che le repubbliche 
Distrugge e crea 
Noo cangiò d'indole 
Cangiò livrea. 



POESIE APOCRIFE 



ALL' AMICA LONTANA 



Te solitaria pellegrina , il lido 
Tirreno e la salubre onde ritiene , 
E un doloroso grido 

Distinto da te per lutto aere non viene , 
Né il largo amaro piamo 
Tergi pietosa a qnei che l' ama tanto. 

£ tu ooQOsci ancora e sai per prova 
Che nelF asseoia óeW obietto amato ^ 
Al cor misero giova 
Interrogar di lui lutto il crealo. 
Oh se gli affanni accheta 
Qoesla di cos^ simpatìa segreta 



X 985 >:. 

Quando la hina io suo candido veto 

Ritorna a consolar la fiotto estiva ^ 

Se volgi gli occhi al cielo , 

E uo^ aoìorosa lacrima furtiva , 

Bagna il viso pudico 

Per la memoria del lontano amico. 
QuelP occulta virtù che li richiama 

Ai dolci e malinconie! pensieri, 

E di colui che t' ama 

un sospir, che per taciti sentieri 

Giunge a te , donna mia , 

E dell'anima tua troica la via. 
Se il ventìcel con leggerìssira' ala 

Increspa l' onda che lieve l' accoglie , 

E sussurrando esala 

intorno a te dei fiori e dello foglie 

Il balsamo , rapito 

Lunge al pomarii dell' opposto lito , 
Dirai : quesl' «oda che si lagiftì e questo 

Aere commosso da soave flato , 

un detto , un pensier mesto. 

sarà del giotinetto innamorale , 

cui deserta e sgradita 

Non divisa con me fugge la vita. 
Quando sull' onda il turbine imperversa 

Alti spingendo al lido 1 flutti amari , 

E oscurità si versa 

Sull'ampia solitudine del mari , 

Guardano da lontano 

U ira e 1 perìgli del ceruleo piano. 
Pensa , o cara , che in me fugge sovente 

DI mille e mille effetti egual procelia: 

Ma se 1* aere fremente 

Ragi^io dirada di benigna stella , 

E il tuo sereno aspello 

che reca pace all'agitalo petto. "^ 

Anch' io mesto vagando all' Arno io riva 
Teco parlo e deliro^ e veder parmi 
come persona viva 
Te muover dolcemente a consolarmi 
Riscosso alla tua voce 
jVeli' imo petto il cor balza veloce. 



Or flebile Itti tuona e par che dica 

Nel doleDti tospiri ; Oh mio diletto , 

All' inreliee amica 

serba intero il pensier, serba 1' •flètto ; 

siccome amor la guida 

Essa io le al oanaola , in te t'alBda. 
Or mi oootiglia e da bugiardi amici ^ 

E da Tane eperanae a se mi chiana. 

Brevi giorni infelici 

Avrai i mi dice , ma d' intatta fama 

Dolce perpetuo raggio 

RiscbiarerA di tua vita il viaggio, 
conscio a te slesso » la letisia , il duolo 

Premi e l'amor di me nel tuo segreto: 

A me tacito e solo 

Pensa, e del core ardente*. Irrequieto 

Apri l'interna guerra, 

A me che soia amica hai sulla terra. 
Torna la cara immagine celeste 

Tutta lieta al pensier che la salota , 

E d' un Angelo veste 

L' ali / e riede a so stessa , e M trasmuta 

QuelP aereo portento , 

Come una rosea nuvoletta al vento, 
cosi da lungo ricambiar tu puoi 

Meco le lue dotcexze e le tue pen» ; 

Interpreti tra noi 

Fien le cose supreme è le terrene : 

in un pensiero unita 

Sarà così la tua colla mia vita. 
II sai, d' uopo ho di te: sovente al vero 

Di cari sogni io mi formava inganno , 
' E ornai l' occhio, il pensiero 

Altre sembianze vagheggiar non sanno. 

Ogni più dolce cosa 

Fugge l'animo stanco e in te si posa. 

Ma cosi solo nel desk) che m' arde 
virtù vien manco ai sensi e all' ìntelielio, 
E sconsolate e tarde 
Si fiiruggon 1' ore che sperando aftretio : 
Ahimc, por ntiile affanni 
Già declina II scntlcr de' miei begli anni. 



:< ae» X 
Forse mcDlr' io ti cliiaino e lu noi sai 

Giunge la vita affliila aH' ore estreme. 

Né ti Tedrò più roai^ 

Sé i nostri petti s' uniranno insieme : 

Tu deli' amico intanto 

Piangendo leggerai l' ultimo canto. 
Se lo spirilo infermo e travagliato 

Compirà sua giornata innanzi sera, 

Non sia dimeniicato 

Il tuo misero amante ; una preghiera 

•Dal Idbbro mesto e pio 

Voli nel tuo dolore innanzi a Dio. 
Morremo, e sciolti di quaggiù n' aspetta 

Aiiro amore, altra sorte ed altra stella : 

Allora, o mia di iella. 

La nostra vita si farà più bella ; 

Ivi le nostre brame 

Paghe saranno di migfior legame. 
Di mondo in mondo con sicuri voli 

Aodran l' alme di Dio candide figlie, 
. Negli spazi! e nei Soli 

Numerando di Lui le maraviglie, 

E la mente nell'onda 

Dell'eterna ariuoxaa sarà gioconda. 



IL CI\EATORe E IL SUO MONDO 
(15 GiUGKO 1840) 



Messer uomeneddio dopo laot' anni 
Mosso a pietà dei nostri lunghi alfanni. 
Aperto su nel cielo un finestrino 
Fé' capolino ; 
E con un colpo d' occhio da maestro 
Scorse il lato sinistro e il lato destro ; 
Restò confuso e si rivolse a Pietro 

che avea di dietro, 
E disse : O Pietro I o eh' io non son più Dio, 
O che è venuto men r ingegno mio t 
AfTacciati e rimira l' universo, 

Oli lempo perso l 



E Pìeiro mesto il capo al floeslrioo 
Disse: Cos'è, Signor, quel burallioo 
Che in Roma vedo di gran pompa ornalo 
E imbavagliato T 
K sorridendo a lui disse il Signore : 
O Pietro, Pietro, è il tuo gran successore ; 
Gli hanno le man, la testa, i pie legali 
I Potentati, 
E col flio a vicenda se lo tirano 
Lo volgono, lo piegano, io aggirano ; 
E il popolo ignorante lutto vede, 

Eppur ci crede. 
Ed ei povero vecchio l la cuccagna 
Si gode di far niente e di Sciampagna 
Vuotarsi la bottiglia senza spesai 
Povera Chiesa ! 
E sclamo Pietro : OV è la primitiva 
Semplicità che al mondo si fé' viva f 
OV è quella miseria che provai T 

Cangiata è assai l — 
E quel che è peggio, o Pietro, in nome mio, 
Che solo il ben degli uomini desio, 
ti vendon gli dnaieroi e le indulgenze 
Dalle Eminenze. 
SI lucra sul battesimo e la cresima, 
E si guadagna ancor sulla quaresima : 
E poi chi può pagar, per quanto n' odo, 
Mangia a suo modo. 
Senti quei corvi neri appollaiati 
Che urlando vao contro gli altrui peccati, 
Minacciando ruine e distruzioni. 

Come padroni! 
E tutto io nome mio che non so niente, 
Che felice vorrei tutta la genie; 
Ma lor farò veder che non son schiavo: 
B Pietro : Bravo t 
E questi re, che cinti di splendore 
Van gridando : slam unii dal Signore : 
Darò lor l'unlo come si conviene : 
E Pietro: Benel 
yanian diritti, ed io non ne so nulla. 
Eguali 11 creai Gn dalla culla ; 
E son re perchè gli altri son balordi ; 
Pietro l* accaldi ? 



Almen se il beo dei sudditi cereassero^ 
se con buone maniere comandassero. 
Se le leggi facessero da savi, 

Direi lor bravi • 
Se mostrassero al popolo buon cuore, 
Per V ani e per le scienze un vero amore, 
B vivi affetti, d' onorevoi storia 

Avrebber gloria. 
Ma invece fanno a chi le fa più belle, 
II mondo par la lorre di Babelle, 
Non commetton che stragi ed uccisioni, 
Oh I che birboni l 
Rubano a più non posso, e poi fan guerra, 
scavano le prigioni sotto terra. 
Innalzano teatri e Insiem patiboli. 

Chiese e posiriboli ; 
E poi chi n' é r autor T se senti i frati . 
_£ Dio che il castiga dei peccati : 
Tutto s' addossa sulle spalle mie. 
Anche le spie! 
E il popolo ignorante, oppresso e gramo 
va dicendo che il popolo non amo, 
E bestemmia e mi manca di rispetto ; 
Se mi ci metto l.... 
Io che creai, può dirsi, in on moroenlo 
La terra, il mare e tutto il firmamento, 
E che credei di far facendo P uomo 
Un galantuomo ; 
Che mi detti persino la premura 
Di porre al suo servizio la natura. 
Mi veggo io modo tal rimunerato! 

Oh mondo ingrato I 
E Pietro Allor : Signor non v' affliggete. 
Di tanti mali la cagion non siete: 
Sono I principi, 1 frati, 1 preti, il papa, 
Teste di rapa. — 
Senti Pielro, il bambin non 1' ho mai fatlo , 
Ma se mi salta un ghiribizzo matto 
Con le mie mani li bastono forte: 

E Pietro : a morte ! 
Dunque, Plerin, guardami bene in viso. 
Tu che il guardiano sei del paradiso, 
se e* entra un sol, non so se ben mi spiego. 
Perdi V impiego. 



X 268 ;< 
così dicendo chiuse fi llneslrìoo, 
B messo bravtmeoie II noiiolìDO, 
Se ne andò a passeggiare inosseristo 
Sopra U crealo. 

% 
IL GURIMNO 



A parer di chi ha girato 

Dell' llalìa ciascun lato 
Un giardino e la Toscana, 

E non sembra cosa strana, 
perché fertile é n paese, 

Perchè gente v' é cortese. 
Perchè pura è la favella 

E qualche altra coserella.... 
Che si fosse coltivato. 

Ripulito e ben trattato 
lo sarei di tal parere; 

Ma con questo giardiniere, 
Se si va di questo passo, 

Kidurrassi a nudo sasso, 
lo non dico che 11 mestiere 

(Poiché nato è giardiniere) 
Non conosca; ma d'altronde 

(Se bestemmio o' ho beo donde) 
vedo far tai buscherate 

Che non poono esser passate. 
Per esempio, non si cara 

La minuta sua cultura, 
à* abbandonan fiorellini 

Tanto cari nei giardini'. 
Che olezzanti e variopimì 

Quivi son sempre distinti. 
Se un beli' albero vi nasce 

$> accarezza fin eh' é in falce 
Ma se estolle e si dirama^ 

Coltivarlo non si brama : 
Anzi al suol presto è glttato, 

Messo in pezzi ed abbruciato : 
E si pianta con gran cura 

Altro tronco per natura 
Assuefatto ad altro clima, 

E sol quel s' onora e stima. 



Ben pasciuto e vigoroso 

SI fa grande e rigoglioso. 
Protettore ei già si vanta 

D' ogni stelo e d' ogni pianta 
Che avvicina, e in conclusione 

Toglie a lor ìa provvisione, 
fi calore, il nutrimento, 

E morir denno di stento. 
Si profondono tesori 

Per far suolo e piantar fiori. 
Ove Ingrata la natura 

Mai non volle la cultura. 
Ha rivolto 11 giardiniera 

(Ben cocciuto in suo pensiere) 
A tal opra gigantesca 

Crede ben che gli riesca; 
Non si accorge mescbinello 

Nella rete qual uccello 
Esser preso daifurboni 

Che gli mangiano i ruaponi 
E via torni a coltivare 

Quella terra che può dare. 
Quando sia ben coltivata 

Fioritissima derrata. 
Né più cerchi d* innovare 

Co* sistemi d' oltremare 
Che passar vuol far per suoi, 

E adattati fosser poi.... 
Non ostante meno male 

FOsser dati tale e quale 
Che i cullor d* altro paese 

Impararo a proprie spese; 
Ma 11 tentar delle riforme 

sopra varie certe forme 
Ba ripieno d' impiegati 

Che quantunque mal pagati 



^Taiidar deano il bel giardino 

In rovina, poverino! 
Se 8ì contano gì' impiegali, 

valutando i pensionali. 
Noi vedremo ch'ogni flore 

Puote avere il suo cultore -, 
Ma ogni fiore non può dare 

A un cultore da noangiare; 
E tu, caro giardiniere. 

Se non cangi il tuo penaiere, 
oiaccliè sei sì indebolito 

Anderai presto fallito.... 
peh 1 se pure non è tardi 

Volgi indietro aloieo tuoi sguardi: 



Prendi a norma i tuoi maggiori. 

Se non buoni a te migliori ; 
sappi sceglier con giudizio: 

Gonsiglier che al precipizio 
Sappia togliere il giardino. 

Ed allora pian pianino 
Alle regole tornando 

Trapiantando e ripiantando, 
E sterpando l' erbe vane 

Che son più di quelle sane, 
Rifiorito, rinverdito» 

Ben condotto e ripulito 
Sarà allor giustificato 

11 ben nome che gli è dato. 



IL FALLIMENTO OEL PAPA 

IKKO nEI VERI CHE DENTI 



LAMENTO DEL VWK 



Vestitevi a lutto 
Fedeli credenti. 
Gridate per tutto 
Con voci dolenti: 
Oh ! caso inaudito, 
li papa è fallito. 

Fallita la fede T 
No, bestia: la Chiesa ; 
Di Pietro l'erede 
Crescendo la spesa^ 
L' argento ha finito : 
Oh! caso inaudito, 
Il papa è fallilo. 



Né basta il talento 
Del gran Lambruscbini 
Al cento per cento 
Non trova quattrini: 
Ohi caso inaudito. 
Il papa è fallito. 

Ma quei che nel core 
Nulriscon la fede. 
La fede d' amore 
Che Cristo lor diede , 
Invece di pianto 
Inalzano un canto. 



CANTO 



Fallito è l' infallibile 
sovrano dei sovrani. 
Che spesso ne* suoi popoli 
insanguinò le mani. 



Fallito è 1' infallibile 
Che per un lusso insano 
Fra poco l' appigionasi 
vedrà sul vaticano. 



570 



Fallito è l'infallibile 

Che Cristo sbugiardò, 

Quando sull' ara in maschera 

La religioo sposò : 
c:he un di per rea libidine 

Di temporal domìnio 

Sirisciossi nella polvere 

A pie del re Pipino; 
E p«r serbare I (iioli 

Di papa e di sovrano, 

A benedire i desjMii 

Distese la sua mano 
La alessa man che al povero 

Per domandar si schiuse, 

E avuta relemosina 

Vilmente la profuse : 
La man che un dì le libero 

Genti chiamava a guerra^ 

E le spingeva in vortici 

A devastar la terra. 



La man che il legno misiico 
Alza del gran riscatto, 
Mentre di morte l'ordine 
Segnato ha di soppiatto : 

Si quella man benefica 
Che un Popolo diviso 
Per mezxo del carnefice 
Riunisce in paradiso. 

Esulta, esulta, o misera 
Gente della Romagna, 
Se manca Toro al despola 
Finita é la cuccagna. 

Oh ! fatto memorabile l 
h* argento Israelita 
. Il capo dei cattolici 
Fioor manteoue in vita. 

Ma or che allo scismatico 
11 credito ha girato, 
Oh povero pontefiee! 
Rolscbild l' ha buggerato. 



Ma qual mai lamento 
Ferisce rorecchio? 
E il papa sgomento 
Qual debole vecchio, 
Che sfoga del cuore 
La pena, il dolore. 

Piangendo egli dice: 
" Ma popolo mio, 

- se tu se' infelice 

" che colpa ci ho io ? 

- lo son come le 
•< zimbello de' re. 

« Olì 1 quante ne passo 
» con questi sovrani: 
» Se facdo il gradasso 

- Mi legan le roani, 
«•se faccio lo schiavo 
» Allora son bravo. 



« Aggiungi una frotta 
« Di preti volponi, 
« Che veston la cotta 
M Per far da padroni, 
« E a me stanno addosso 
<• Quei cani ad un osso 

« Con fichi, e moine^ 
« Parole melate 
M In lusso e sgualdrine 
« oivoran l'entrate: 
« Chi paga la spesar... 
u La povera Chiesa. 

« Decrepito, oppresso, 
« che cosa ho da fare? 
n HO solo il permesso 
« Di bere e mangiare : 
« Sul trono che faccio 7 
'< Ci fo da Pagliaccio' 



> Fra poco morrò: 
•* Faran relezione 
- Andranno però 
•• Cercando un coglione, 
** una lesta di rapa 
« Per meuerlo papa. 



• Ah 1 popolo mio, 
« Deb, credilo a me, 
«* Se Domeneddio 
« Non e' entra da se, 
«• E a quedi regnanti 
« Superbi, ignoranti 



< Con mano potente 
m lì fulmio non scaglia 
• Gbe scenda repente 
** Su questa canaglia, 
•* Le cose, lo veggio, 
*• Andran sempre peggio. 

COME VANNO LE COSE 



Che imporla il vivere 

Male al presente 

Se il tempo perdesi 

senza far niente. 
Tutto va a rotoli 

Ognun il vede, 

Tulli si lagnano 

Ma oiun provvede. 
Vecchi decrepiti 

Fanno le carte; 

Valenti e giovani 

stanno in disparic. 
e sol che annuncino 

Di fare un pa.sso, 

Ecco gli opprimono. 

Gridano: abbasso l 
Ma dunque credonsi 

For'se immortali ? 

Oppur ci slimano 

come slìvali T 
Di speme languido 

Si vide un raggio. 

Ma fu, noi miseri l 

Sol di iiassnggio. 

L' acuto pungolo 
t>iantanci a imo ; 
Poi gonfl gridano 
Abbiamo aralo. 



Che il morbo asiatico 

Non gli uccidea, 

E solo al popolo 

Guerra facea. 
E sordo un giudice ? 

si mandi via : 

No : a questo opponesi 

L' economia. 
Ma un volo perdere 

Può un innocente i 

Meglio è che appicchisi 

Qualcun per niente 
Gli affari slagnano 

Quel magistrato 

Per gli anni e torbido 

Rimbambolato. 
Tranne il rimuoverlo,. 

Provvederemo, 

O per dir meglio. 

Ci penseremo, 
intanto imbiancano 

Le chiome a noi, 

E al giogo aiiaccanci 

Siccome buoi ; 



I CONSIGLI DFX MIO NONNO 



'Inaili del merito 
Oioeami U dodoo: 
Bada 000 vincati 
La gola e il sonno, 

se vuoi le cariche 
Se vuoi gli onori. 
Sui libri iotislca 
Lascia gli amori. 

sempre veridico 
Sarai con tutti 
Non far l' ipocrita 
Né ti ributti 

Vederli il premio 
Cbe li è dovuto 
Di bocca toglierti 
Da qualche astato 

Ligio devi essere 
Al tuo dovere, 
Né altrui per grazia 
Dei far piacere. 

Bada non vincati 
La prevenzione. 
Solo a giustizia 
Farai ragione. 

Segui, diceami, 
L' avviso mio, 
Quella buon' anima 
eh' ora è con Dio. 

Né ti spaventiQo 
Contrari eventi. 
Raggiri e cabale 
Di maivivenii. 

L* invidia fiaccasi 
E chi ha il potere 
Il giusto e l'equo 
Torna a vedere. 

Allor ripunti 
sei presso il porto, 
E delle angustie 
Avrai conforto. 



Così diccvami 

L'avolo mio 

Quella buon' anima 

Ch' ora é con Dio. 
Giusto sembravaroi 

Quanto e' dicea : 

Ma l'uomo é instabile; 

Cangiai d' idea 
Fui istaocabile: 

sodai, gelai, 

E' il beo promessomi 

Non veooe mai. 
Servigi e titoli 

Produssi invano. 

Posso forbirmene 

li deretano, 
eoo gran rammarico 

lo mi accorgea 

ette Don intesero 

Quel eh' io dicea. 
Perché i vocaboli 

Hanno al presente 

Senso dai pristino 

Ben differente. 
Or verbigrazia 

Per verità 

Si suol intendere 

Temerità. 
Raggiro e cabala 

E saper fare ; 

Zelo lodevole 

li calunniare. 
Esser veridico 

È far la spìa : 

Chi è avaro e sordido 

Fa economia. 
Bigotto e ipocrita 

Suona al presente 

Per uom piissimo. 

Vero credente. 



X *» X 

L' usura é utile, Chi delle lettere 
cauzione è il pegno : Fra gli ozii suoi, 

Di bontà d' animo, È uomo dubbio, 

^ ,j0^ '!c e segno. Lungi da noi. 

'ae alcuno eslellesi Leggere e scrivere 
E si fa chiaro. Gli è necessario: 

La taccia acquistai Basta che il popolo 

Di carbonaro. Legga il lunario. 

Deh 1 nonno svegliali, 
E dimmi poi 
A che giovarono 
4»« avvisi tuoi II 

DIALOGO 

Fra «Ita Marchesa e un Astrologo 

Js» se a questa verga magica 

Signora voi credete. 

Il sospiralo bambolo 

Fra novi mesi avrete. 
Sta pure In voi lo sciegliére 

L' indole sua, lo stato. 

Da voi dipende II renderlo 

Illustre e fortunato. 
Volete un sommo astronomo, 

un intelletto forte t 
Mar, Di Galileo spaventami. 

Di Niccolò la sorte. — 
As. Un gran guerrier cui pieghino 

I re la fronte Irata t — 
Mar. Lo scoglio di Sant* Elena 

Troppo è di fresca data. — 
As. Or ben del fuoco etereo 

Fiamma su lui discenda 

Sia delP Italia il Pindaro 

ed immorlal si renda. — 
Mar. Fra noi, mio caro astrologo. 

La poesia che vale ? 

Dante morì in esilio, 

Torquato all' ospedale. — 
As, Facciamo un' alma Intrepida, 

un Regolo, un Catena — 

t8 



X 314 X 
jfar. Poffai t che il c\e\ m\ lìberi 

pariorirei in prigione. — 
jis. Tempo non vi è da perdere. 

Le tlelle, o mia signora, 

L' impero mi concedono 

Un sol roìDUlo ancora. ^ 

Mar, Facciamo 

yff, orsa decidasi 

La sorte dei fanciullo. — 
Mar, Percbò sia felicissimo 

Facciamolo cilrullo. 

APOLOGO CONTRO 1 FALSI LIBERALI 

un comico fu già ciie d' amoroso 
Facea le pani, ma cresciuti gli anni 
E di?enialo ormai curvo e grinzoso. 

Lasciò le dolci smorfie e i lieti paoni, 
che male i cigni ooniraffar presume 
con voce spennacchiala un Barbagianni ; 

E messo a torchio il naturale acume. 
Le parti fatte, e quelle poche idee 
Dell' arte de) teatro e del costume, 

S' infilò le ciabatte sofoclee, 
Né lo ritenne il non sapere aUingere 
Alle fonti del Lazio ed alle Achee. 

A schiccherar si dette ed a dipingere 
Genti novelle, inaudite storie 
Ch'altri sognar non seppe. anzi che fingere; 

perocché lesse in non so qual memoria. 
Che i dogmi d' Aristotile oggimaì 
Son vani sogni e regole illusorie. 

Ma Rii altri un dramma superò d' assai. 
Per quello che ne disse il manifesto. 
Di un certo re che non è stato mai ; 

E perchè non finisse tanto presto, 
volle darlo in tre sere, e nella prima 
venne condotto fino all' atto sesto. 

Ruine, Incendi, balli e pantomima 
Nelle parti di mezzo e nelle estreme 
V' erano, e versi sciolti e colla rima ; 

E ghirlande e berreltr e diademe. 
Tribunali, osterie, spade e forchette. 
Allegramente mescoUle insieme; 



ir' er^it irenti eavalli ^e ireDlasetie 
prolagODisii^ UD bove, un elefante, 
B Bell'uUimo grandine e saeiie 

La compagnia che non aveva a unte 
Parti diverge analogo il vestiario. 
Me degli attori il numero bastante, 

A una stessa persona, a uno scenario 
Facea &r mitle parti, ed era bella 
Veder ebe un-, solo al calar del sipario 

Cuoco era stalo e giudice e donzella, 
B il generale della prima sera 
Far la seconda il boia o il pulcinella. 

Questo strano spettacolo è la vera 
hninagioe del mondo ; un istesso atto 
Ti pFeaeolai la reggia e la galera, 

E l^uomo oneste unito all'arfasatto, 
Il denoto alla spia, col birre il prete, 
E la Mffba e il filosofo a contatto. 

E v'^é ebt grida al popolo : « Sorgete ! 
« E gimito il tempo sospirato ed almo, 
« Morto al t'^anni, uccidete, struggete. 

« Destati «Alia » ed alla fin del salmo 

LA nedi io luoco, oppur colla pianeta 

O uo crocione all'occhiello lungo un palmo. 

Ma frustar la canaglia è cosa vieta: 
Meglia sarebbe un picchio sulla tesu, 
S correndo dalla a fino alla zeta 
Sbrigarli tutti e poi suonare a festa. 



PARLA IL MASCHERONE DELLA FONTE DEL TETTUCCIO 

lo son probatica E mi si aftodiano 

Fonte novella Da tutti i lati 

propizia ai fegati» Afflitti stomachi 

E alle budella. Corpi gonfiali. 

Non bo gli antidoti col mio specifico 

Dell' Uomo^Dio, Non vale un et(e 

Ma i miei miracoli il geroglifico 

Li faccio aodi'io. Delle ricelle; 

Quantunque inutile Per me le pillole, 

Al gobbo, al zoppo. Gli olii, gli unguenti 

Mi trova un balsamo Sono ammlnicoli 

Chi mangia troppo; Da cavadenti. 



«6 



Senza Ipdcratica 
Dotta impostura, 
seosa le cat>a1e 
Di lunga cura, 

10 mando libera 
V età senile 
Dai duri calcoli 
Di Teccbia bile ; 

Dal giallo itterico 
▲niieipato 
lo delle giovani 
Salvo il carnato ; 

Per me la suocera 
Arzilla e gala 
scorda le invidie 
Della vecchiaia, 

E già si pettina, 
Già s'innamora, 
E lascia vivere 
Anco la nuora, 

11 ser canonico 
penitenziere 
Sala gli scrupoli 
Qui nel bicchiere, 

E se mostravasi 
Già per V avaote 
Per acrimonia 
intollerante. 

Ora portandosi 
Da galantuomo 
con larghe maniche 
Bitorna in Duomo, 

Per me il vicarie, 
Pascià toscano. 
Disostruendosi 
Diventa umano ; 

Purgati i visceri, 
sano 11 pilòro. 
Scosso e famelico 
Ritorna al Foro ; 



lo quel prim' inpeto 

Più moderalo 

▼uota le carceri 

Del vicariato. 
Di più nel rapido 

Giro d' un mese 

Qui riunendosi 

D'ogni paese, 
vtQani, nobili. 

Birri, crociali. 

Spie, preti, monache, 

scrocconi e frati, 
in laot' amalgamo 

Fra tante sette, 

senza disordine. 

Senza etichette, 
sorge repubblica 

Breve Innocente, 

col beneplacito 

Del presidenteu 
Ch<t se mi chiamano 

II Mascherone 

Perché l' immagine 

HO di leone. 
Contro I malevoli 

Mi rassicura 

Il noto simbolo 

DeHa scrittura, 
Là dove trovasi 

Nel forte il miele 

Da lui che 1' Ercole 

Fu d' Israele. 
E poi se il pubblico 

Mi trova brutto, 

Non vo' confondermi. 

Concedo tutto. 
Ma sono a prendermi 

In fonido in fondo. 

La meglio maschera 

Di questo mondo. 



SOTTO CHA CARICATURA 



DI DOM TOMMASO GORSUfi 



Questa eteroclita 
^iraoa figura 
È una patrizia 
caricatura^ 

Una serotina 
Coglia sdentata, 
Uo mostro giovine 
Di vecchia data, 

Va' illustrissimo 
Di quinta-essenza 



Cbe acquistò titolo 
Coll'indulgenza, 

Quando al Paraclito 
venne in idea 
Fare un pontefice 
Dì nome Andrea, 

E dei cattolici 
Ceder la brìglia 
A un abatucolo 
Della famiglia. 



AVVISO 



PEL KDOVO TEATRO DEL BEAL PALAZZO 

31 annunzia ai Fiorentini 

La nuova compagnia dei burattini; 

p' Austria l' Imperatore 

È il capo direttore, 

E dì Modena il duca è l' assistente : 

I ministri, il Granduca e la sua gente 

Sono le più perfette 

E care marionette. 
Il pubblico aggradire 

Si prega, e intervenire, 

Certo che si daran tutto l'impegno 

Dì mostrarsi qual soo teste di legno ; 

E del teatro a rendere 

Più viva V allegria 

Daran per prima recita 

La soppressione dell' Antologia. 

ALL' AMICO PROFESSORE N. N. 

9UAKD0 PER LE MALE ABTI DEGL' IPOCRITI FU DEPOSTO 

DALLA CATTEDRA DI FISIOLOGIA. 



Come torna nell'aprile 
Rondinella al nido antico, 
Tal nell' animo gentile 



La memoria dell' amico. 
Della gioia a lieti giorni. 
Dolcemente ti ritorni. 






se cedendo al parotiisno 
Dell' iDTldia che r affoga, 
Qualche volpe eolla toga 
Ti coDdaDoa aroslraciamo: 
se eoo dardo avreleoato 
Ti ferisce alla loaiana 
un filosofo lotarlato. 
Una mummia bacooiaoa: 
se un abate veoeraodo, 
Bottegaio d«Ila stola, 
Piamente mascherando 
Ogni gesto, ogni parola, 



nt iMiscare uo benefizio 
Ti consegna a! Sant'Uffizio : 
sciolto ornai da tanti aguati 
Fra gli amplessi invidiali 
Di colei che t' innamora 
Godi, e manda alla malora 
11 sofista, il professore, 
E il falsario del Signore : 
Yivi in pace, ne l' involi 
Questa pace altro nemico» 
E sovente ti consoli 
La memoria dell' amico. 



IN MORTE DELLO SGRICCI E D' ALTRI FEDELI 



SALMO 



Laudate pueri Domhiumt 

E morto chi profuse 

A danno del preterito 

L' entrata delle muse. 

Colui che zoppo zoppo 

di trotto, e di galoppo 

Teneva dietro agli uomini, 
Laudate pueri Dominum 
I«audate nomen Domini. 
Laudale pueri Dominum i 

U Satiro feroce 

Là dietro Michelangiolo 

Riposa in Santa croce. 

Il giorno del giudizio 

vedremo poi se il vizio 

O la virtù predomini, 

Laudate pueri Dominum 
Laudate nomen Domini. 



Laudate pueri Dominum t 
Che ci mandò la manna, 
sani la sera in seguilo 
Ritorneremo a Nanna. 
Air uomo di talento 
S'innalzi un Monumento 
A spese de' Buonomioi. 

Laudate pueri Dominum 
Laudale nomen Domini. 
Laudale pueri Dominum / 
La bisestile annata 
colà dietro la Cupola 
Ha preso la granala. 
Spazzando il vizio reo 
Che il Preie, e il Galauo 
NOn vogiion che si nomini. 
Laudale pueri Dominum 
Laudate nomen Domini. 
Laudate pueri Dominum i 
Che sempre si soccorra 
Da Caterina et reliqua. 
Da Sodoma e Gomorra, 
Mandando a prò dell'Ano 
Spessissimo a Trespiano 
Di questi Galantuomini, 

Laudate pueri Dominum 
Laudale nomen Domini. 



L' ARRUFFA POPOLI 

Ateo, sailniista, apostolo d' inganno 
vUe, se t' odia, se ti palpa^ abietto. 
Monco al ferro, centimano al sacchetiò, 
Nel no maestro di color cbe sanno ; 

Sotto l' ammanto dello stoico panno 
Gela il cor marcio e' 1 mal intelletto, 
infidloso, oltracotante, inetto, 
Libera larwa di plebeo tiranno, 

Tutto sfa, nulla fa, tutto disprezza, 
sonnambulo ha il cervello e la scrittura, 
sofista pregno d* infeconda asprezza, 

Fecondità del mulo, a cui natura 
Die forte il calcio e più I' ostinatezza. 
Ed 1 cog per cogl a. 

UN DESINARE IN TEMPO DI QUARESIMA 

ossia 

giovedì' vbkebdi' e sabato SAIìTO 



Mentre tu gongoli 
Fra lieti amici 
Per le tue floride 
Erme pendici. 

Più mesto il popola 
In veste bruna 
Piange sili Golgota 
La sua fortuna; 

Tulli col gemito 
E coi lamenti 
Pur cbe si dolgano 
W esser redeof^. 

se tanto strazio 
Tanto dolore 
He costi P opera 
Al Redenlore, 

I volti, gli abiti. 
Il prego e tutto 
Al core annunziano 
Disgrazia e lutto. 



La Chiesa celebra 

A faci spente' 

Le sue simboliche 

Nozze cruente ; 
L' alto Silenzio 

Dei sacro foro 

Non rompe il penduto 

Bronzo sonoro ; 
Sembra cbe il tempio 

Sole non schiari, 

vuoto è il Ciborio, 

Nudi gli altari ; 
Fiamma di lampada 

Al ciel non sale, 

Son l* urne vedove 

D' acqua lustrale, 
Né muove il chierico 

Al clero avanti 

D* incenso e aromaii 

Tazze fumanti; 



Luogbe serpeggiano 

Coi tanU riti 

Lisie d* acoona 

E di leviti. 
Che recan (imidf 

E rivereoti 

Del grao supplizio 

I rei strumenil, 
Le spine^ i vincoli, 

L' asla, il flagello, 

I chiodi, il calice. 
Guanti e martello; 

E oieolre pregano 
io fioco tuono, 
Ruscello sembrano 
▲1 corso, al suono : 

Ruscel di lagrime 
Che umile e pio 
Sen corre al tumulo 
che chiude un Dio. 

Scioline tremule 
D* opaca cera 

II lembo accerchiano 
Di coltre nera, 

E il corpo additano 
Del Dio fatto uomo,^ 
Che giace vittima 
Del fatai Pomo ; 

Prostrati al feretro 
Devoti e tristi 
Versi salmeggiano 
sacri coristi; 

ECO d' armonici 
Cupi slruroenlt 
Seconda i mistici 
Latini accenti, 

E quasi in fervide 
Gare divote 
Fra loro alternano 
E voci e no(e> 

Qua! fida tortora 
Che in flebil canto 
Piaoge e col piangera 
'ama al pianto ; 



non tuono d' organo. 

Ma gì' ioni accorda 

Soffio di flauto, 

TOCCO di corda. 
Che suoni spandono 

Melodiosi 

in mezzo a funebri 

Letei riposi. 
Intanto l' anima. 

Il cuor, la mente 

Inorridiscono 

Divotaroente, 
Mentre dal pergamo 

L'aria percuoie 

Voce patetica 

Di Sacerdote, 
che narra l'unico 

Terribil caso. 

Per cui tremavano 

Orlo ed Occaso; 
Marra fra i pàlpiti 

E fra i singulti 

Del giusto e misero 

L' onte , gì' insulti ; 
Il bacio perfido. 

Le ordite trame. 

Le accuse, il carcere, 

Lo sputo Infame 
Fitto nel cranio 

Fra il biondo crine 

Il crudelissimo 

Serto di spine t 
Le verghe in aria 

Di sangue rosse. 

Il peso, il numero 

Delie percosse; 
D' Eroffe perfido 

Pilato ed Anna 

Il reo giudizio 

E la condanna r 
Esclama: Infamia! 

Si duoi, si lagna. 

Quindi al Calvari» 

cristo aocoa 



Là sul patibolo 
Mostra pendente 
JNudo il cadavere 
Dcir innocente ; 

Reso ludiJM'io 
Di vili squadre, ' 
In onta a tenera 
Intatta niadre. 

Che il sen si lacera 
E Gssa il ciglio 
Sopra l' immobile 
Corpo del figlio, 
. morello V ultima 
Voce risuooa 
Dal labbro esausto: 
- Padre perdonai » 

E io, mezzo agli angeli 
Al Padre vola. 
Puro lo spirilo 
E la parola. 

Alfine tacita 
Il corpo addita 
Piagato e lurido, 
Privo di vita/ 

Sul quale versano 
Balsamo e baci 
Pietose vergini 
Fide seguaci; 

E fra le tenebre 
Del grao mistero, 
La fède, 1 simboli. 
Il falso, il vero. 
Anco l'incredula 
Ebrea falange, 
Degli empi l' empio 
P\\\ prega e piange. 

Regna mestizia. 
Cordoglio e duolo 
Apcbe oltre 1 limili 
Del sacro suolo ; 
Le vie non popola 
Moto di genti 
Per danze, crapule, 
Divertimenti ; 



compunto e tacito. 
Senza contesa. 
Ognuno circola 
Di Chiesa in Cliiesa 

Con gran mestizia 
E riverenza, 
Caralterisliclàe 
Di penitenza. 

Fin le più libere 
Del sesso imbelle 
Par che non curino 
Rendersi belle; 

Han mesto V abito, 
Nero e negletto, 
Né gemme portano. 
Me fiori in petto ; 

E sotto nobili 
Lievi gramaglie 
Velale brillano 
Lunglie medaglie. 

Lo mogli lasciano 
I favoriti, 
Lascian le praliclie 
1 lor mariti ; 

E nel cilizio 
E nel digiuno 
Al matrimonio 
Torna ciascuno. 

Qual torna rapido 
coir armi In fronte 
Cervo alla limpida 
Bramata fonte, 

E qual dall' Arabo 
Lontano lido 
Torna la rondine 
Al vecchio nido. 

Vinte da scrupolo 
Le innamorate 
kconomizzaoo 
Perfin le occhiate. 

Tentala nubile 
Dico al suo bello : 
m Dopo i capitoli, 
» Dopo l' anello; 



:««: 



selama la Tedova : 
» Oh amor fallace i 
• Buona memoria 
» Rimaoll lo pace ; » 

vecchie pinzochere 
Coi volli gialli 
Pregando purgano 
Gli amichi falli; 

L' orba rachitica, 
Celibataria 
Per pudicizia 
involontaria. 

Piange grinutili 
Peccati fatti 
Di desideri 
Non soddisfatti. 

Quello che invìdia, 
Quello che tenta. 
Quello che mormora, 
Quello che inventa, 

Fin che fa satire 
cattive e buone 
Fu gran proposito 
Di compunzione. 

Ogni cattolico. 
Giovane e vecchio 
Sue colpe al parroco 
Dice all'orecchio ; 

Di tutte nascile. 
Di tutti ceti 
Confusi gettansi 
A pie de* preti, 

E senza tìtoli. 
Senza burbanza, 
Con apostolica 
santa eguaglianza, 

il petto picchiansi 
Confusi e muti 
Tanto le Monache 
Che i dissoluti. 

Chi può descrivere 
I differenti 
E stati e spiriti 
Dei penitenti ? 



E BgU prodighi, 
E padri avari. 
Serve, denwstici, 
Referendari, 

Agenti, e biodMi 
£d usurai. 
Chirurghi medici, 
E macellai, 

E manutengoli, 
E parrucchieri 
Che il pelo radono. 
Ganze e banchieri, 

E pizzicagnoli, 
E bottegai, 
E furbi e despoti, 
Fatlor, vinai, 

E birri e musici, 
E professori. 
Devoti, apostati. 
Calunniatori, 

E gravi Satrapi; 
E liberlioi, 
E quei che rubano, 
E contadini. 

Fallili, nobili. 
Padroni e mozzi. 
Speziali, chimici 
E vuoia-pozzi, 

E ricchi sudici. 
Mamme pulite. 
Ed osti e comici, 
' E attaoca-lite, 

E 6lantropici 
E negoziami. 
Sensali e discoli. 
Scaltri e furfanti. 

Ciuchi discepoli. 
Bugiardi tristi. 
Sarte pettegole, 
E novellisti. 

Maligni critici, 
Ed impostori, 
E 6nti e poveri, 
E adulatori. 



Fabbri, geometri, 

Pigri insolenti, 

Oziosi e stupidi 

Impertinenti, 
E dal più inimo 

Nato nel fango 

▲ll'uom di merito, 

E d'alto rango. 
Legali e giudici, 

Dame e signori 

Fin si confessano 

I coiìfessori ; 
E tutti gridano : 

• Signor, mi pento ; 

« Fo di ben vivere 

«< Proponimento, 
« Pensando all' ultima 

** Quadrupla sorte 

•• cielo, Giudizio, 
• « Inferno e Morte. » 
Talché distinguere 

Si spera invano 

Chi sia l' ipocriia^ 

O il buon crìstiano. 
Tutti consimili 

E tutto eguale, 

Tristezza massima, 

E generale. 

1 NUOVI CROCIATI 



Ma nuovi strepUi 
Di fuochi e fonti. 
Lieti rimbombano 
Per vaiti e monti; 

Vessilli candidi 
Al vento gonfi 
Brillando annunziano 
Gioie e trionfi; 

Raggio di giubilo 
all'improvviso 
Sembra discendere 
Dal Paradiso; 

Canto festevole 
Canto giulivo 
Intuona gloria : 
È vivo, è vivo i 

Ahi se tu gongoli 
Fra lieti amici 
Per le tue floride 
Belle pendici. 

Non più tripudio, 
Non più diletto ; 
Ma perchè 1' anima 
Non regge in petto 

Allo spettacolo 
Di Cristo morto. 
Vieni, alleluia 1 
Cristo è risorto 1 
DEL 31 GENNAIO 



Stava Pietro d' ira acceso. 
D'una croce al pie prosteso 
Pien di triste immagini 
K a sfogare il duolo orrendo 
così andava ripetendo 
Con amare lacrime. 

povera croce 

Che in petto ai perfidi 

Hai nuovo aitar, 

Odi mia voce, 

'Deh tu li fulmina 

Torna a brillar i 



Te del reo supplizio estremo 
Vendicò il Reltor Snpremo 
Dalla turpe infamia. 

Ma un desiin di te non degno 
Di viltade or ti fa segno, 
E coi rei rilornatl. 
Povera croce ecc. 

In mercede al vero merlo 
Già tassestl a quello un serto 
Di vlrlude premio. 



.981 



Or disceM io petto ai tristi 
vile ai buoni divenisti, 

S'ecclissò tua gloria. 
Povera croce ec. 
ctie i più ladri, i più furfanti. 
Gli imbecilli e gì' ignoranti 

Or di le si fregiano ; 
K gì' ipocriti, e i buffoni, 
Bacia-pile e mascalzoni 

Sol di le si pregiano. 
Povera croce ecc. 
Mira Nando con Lisetta 
Canio un duo sulla spinetta 

In un luon cromatico. 
K perchè da cima a pie 
Toccò ben r A la mi ré. 

Tu dai 8cn gli ciondoli. 
Povera croce ecc. 
Perchè Bista seppe accorto 
Far con dama il cascamorto 

Ed il fumo vendere; 
Tu ben presto ricca e bella 
Sol loercè della gonnella 

Dal suo collo dondoli. 
Povera croce ecc. 
K percliè con un po' di foglio 
Esci ben da certo imbroglio 

D' un comparso bambolo, 
Raddoppiata fu la posta 
L'una all'altra sovrapposta 

E altre croci vennero, 
povera croce ecc. 
Meco Cario che si striscia 
Ratto al suol come una biscia 

Dietro un certo tanghero. 
Gli fa io casa la partita, 
Sua eccellenza è divertila. 

Croci a lui non mancano. 
Povera croce ecc. 
Anzi a coppia le commende 
Giù gii piovono^ e prebende 

Che pare un Calvario. 



Egli gonfia, e gli zecchioi 
Alla barba dei bambini 

Mette io tasca e seguita : 
Povera croce ecc. 
A severo sindacato 
Sta sugli altri Baldoriaio 

E il beo regio simula ; 
Ma frattanto scaltro aduna 
Quanti doni la fortuna 

Gli offre nella carica. 
Povera croce ecc. 
Benché mostri brutta cera 
Poi si adatta, e fa io maniera 

Di crescer la rendita. 
E gl'impieghi, e i beoeflzii. 
Le commende e I nuovi uffizii 

In sua casa eolaoo. 
Povera croce ecc. 
Renzo porta doppi occhiali 
Per poter gli originali 

Dalle copie scernere; 
E seduto sulla scranna 
con 1:1 visia d' una spanna 

Coli' accetta giudica. 
Povera croce ecc. 
Che se scritto noi rinviene 
Piglia granchi per balene 

E e... per fusoli. 
Che interessa T fé' uno sbaglio, 
E una croce al suo travaglio 

Renda il premio debito. 
Povera croce ecc. 
Passa Nanni curvo e chiotto 
Di rosari e messe ghiollo 

Tutto il di alla predica. 
Vada poi tutto V uffizio 
Sottosopra a precipizio 

Alla croce attaccasi. 
Povera croce ecc. 
Sia pur Brocco Impioconito 
Per il vin mal digerito 

Che noi fa connettere ; 



985 



S^Sga pure in Irìbunale 
Sonnacchiando, ciò gU vale 
Una croce splendida. 
povera croce ecc. 
Egli ha fallo un gran progetto 
A messere, ma in efreito 
Non ha base solida. 
Non importa, è troppo bèllo 
va premiato il gran cervello, 
Ei la croce merita. 
Povera croce ecc. 
vedi Cecco nuovo Marte 
Che di guerra apprese l'arte 

Nel pian di Peretola, 
Or quel brando distruttore 
Della croce abbia l' onore, 
Salva fé' la patria. 
Povera croce ecc. 
In due staffe tiene il piede 
Maso, e mentre nulla vede 

sempre par die invigili. 
Or per I» uno, ed or per l'altro, 
Mentre un occhio serra scaltro 
La commenda aumentasi. 
Povera croce ecc. 
M6mo avvezzo fra le balle 
Or si stringe nelle spalle. 

Che non sa di fabbriche. 
Poverin non se n'Intende ; 
E per presto le commande 
Non avran gli stupidi ? 
Povera croce ecc. 
Guarda Marco faccendiere 
Del comun spedizioniere 

Finta In ogni trafOco. 
Per l' Impiego basta un' ora 
poi si serva la signora. 

Le commende abbondano. 
Povera croce ecc. 
Lino prende come ciancia 
Di giustizia la bilancia, 

Benché siane preside; 



E con tutta- indifferenza 
Dà alia cieca la sentenza. 
Ma crocialo vcdesi. 
Povera croce ecc. 
A un cammin che rovinava 
Quel ripara, e a lui si dava 

Bella croce subito. 
Questo è il re degl'Imbecilli, 
Quel rovina è dei pupilli, 
Ma si fan crociferi. 
Povera croce ecc. 
E poi basta finger destri 
O in rubare esser maestri. 
Viene la croce subilo. 
E cosi in altre stagioni 
Ebt>er certi miei padroni 

Fiocchi, nastri e ciondoli. 
Povera croce ecc. 
vedi Giorgio, un vuoto io cassa 
Fé' pel giuoco, gli si p.t88a, 

E il riposo godesi. 
Anzi a schermo del suo onore 
vien la croce e il fa signore 
Pensionalo e libero. 
Povera croce ecc. 
Liscia beve tanto a isonne 
Cbe più cotto di tre* monne 

Per le terre rotola. 
Ed al suolo tramortito 
Quelle croci ond'è fiorito 
Brulla nella polvere. 
Povera croce ecc. 
E qua! fé' 1 mio Cencio imprese 
Che del merlo il posto prese? 

Ben si porta a tavola. 
E ancor ei le croci schiera; 
Avrà vitata la bandiera 
Al palio degli asini. 
Povera croce ecc. 
Bista prima liberale, 
Or^ scrivendo senza tale 

scaltro adula il Principe. 



Il passalo coti emenda, 
onde é forsa eh' egli ascenda 

Alle croci, ai titoli. 
POfera croce ecc. 
Spreca Sandro dello Stalo 
L' arclie ; vuole proBCii^lo 

Di Maremma l'umido* 

Ei fa peggio, ma i e 

Lo forniscon di rusponi, 

E più croci beccasi. 
Povera croce ecc. 
D* avaaiar sul punto è Fiata, 
Ma vien detto : ha corta vista, 

Piuttosto si giubbili. 
Un Untino brutto ei resta, 
Ma la pillola indigesta 

Colla croce indorasi. 
Povera croce ecc. 
Alil non più la Qnirei 
nei crociferi più rei 

Se facessi il novero t 
E se dato foase in cuore 
Ai più leggere, oli I cbe onore 

Molti si farebbero, 
povera croce ecc. 
Si vedrebbe che In galera 
ve ne son di più sincera 

E men trista tempera. 
E che son questi crociati 
Pieni zeppi di peccati, 

E per santi passano, 
povera croce ecc. 



A un Gran-croce si vedrebbe 
Quanto meglio si starebbe 

una di Camaldoli, 
Che sospesa al dorso reo 
Fosse, senza Cirineo, 
Da lui indivisibile, 
poyera Croce ecc. 
E più d'un Commendatore 
SI vedrebbe che l' onore 
Merita del canapo. 
A guarirlo di tal rogua 
fi collare della gogna 

Più saria a proposilo, 
povera Croce ecc. 
Alla tua loco primie^» 
Riedi, o croce, e insegna vera 

Di virtù riiornaii. 
Dell'onor sacra divisa 
sol del prode ai lato asaisa 
Deh si veda splendere 
Povera croce ecc. 
Né così contaminata 
Mai si scorga, e abbandonata 

A servile obbrobrio; 
Ma vi trovi alfin suo letto 
Ogni indegno che l'ha io petto 
Fatta a lui patibolo. 
Povera croce 
Lascia dei perfidi 
L'orrendo aliar; 
Odi mia TOtb, 
Tutti li fulmina 
Torno a brillar. 



A UN RITRATTO OD IMMAGINE DI SANT' ERMOLAO 



ECCO sant'Ermolao beato e duro, 
che a rompergli la testa co' malanni 
Era lo stesso come dire al muro. 



>■:. 281 X 

Placidamente vegeiò a»oll' anni > 
Questo tipo fratesco, e ogni tantino 
Mandava al sarto ad allargare i panni. 

Ridotto grasso e fresco al lumicino, 
V anima sbadigliò con un sorrìso, 
E a sant'Antonio se n'andò vicino 
A far da vice-porco in Paradiso. 

PER MESSA MUOVA 
(ÌIASDIT4 DEL PROFESSORE GIUSEPPE POZZOKi) 

se un madrigai volete od un sonetto 
Per una lauta cena al par di questa, 
Com' io so meglio voleolier ci metto 
Quel poco d.' estro che tuttor mi resta ; 
L' estro che col voKar del doppio venti 
Giù dal cervello mi passò nei denti. 

Ma d' un Preiin che dica Messa nuova 
Non ò'è, miei cari^ mollo beo da dire: 
lo che son Prete, anch' io lo so per prova 
Altro è parlar di morte, altro è il morire ; 
Meglio ò il tacer che farvi un' Elegia 
Nel patetico luon di Geremia. 

lo da buon confratello ammiro i versi 
D' un ex,-abate in poetar maestro. 
Di dolcezza serafica cospersi 
E spiranti soave angelic' estro : 
Ma il furtM) mariuol che sa il latino 
Loda l'acqua del pozzo e beve il vino. 

lo l' ho veduto, e non mi stava male, 
Nell'ascetico bruno imbacuccato; 
Ma quando fu vicino al carnevale, 
Addio messa, addio mitra', addio papato : 
Strappò il collar, l'appese ad una trave, 
E poi per devozion vi disse un' ave. 

Se alcun levasse contro me la voce 
Che imprudente tradisco il mio mestiere. 
Da Fariseo gridandomi la croce 
Siccome a un disertof dalle bandiere; 
Dirò che dedicarsi al buon Gesù 
E cosa bella, ma dai coppi in su. 



i 



Che ingiù dai coppia fili lo guarda bene, 
È lai che peggio non saria la rogna; 
Per esempio da giovin ti conviene 
Comprarli un po' d' amor con ina vergogna ; 
Da vecchio poi, se peggio non ti tocchi. 
Pagar ben caro chi del tuo t' imbocchi. 

Il che vuol dir, se d' uopo è pur di cliiosa, 
Che si sta mal tre quarti della vita : 
Prima pel caldo che non lascia posa, 
E poi pel freddo da gelar le dita 
Che or manca r acqua fresca e il veMioeio, 
Or r esca, r acciarino e il zolfanello. 

È ver che un beneficio parrocchiale 
Di mine scudi al* anno in aria buona 
Può servir di rimèdio a più d' un male, 
R darli un po' 41 ruszo alla persona ; 
Ma InRo dei conti é forse un gran piacere 
Guadagnar mollo e non poter godere ? 

▲I povero pievan h i conti addosso 
Qual più stremo è di roba o di credenza, 
E le lo paga In pronti ed all' ingrosso 
con una litania di maldicenza ; 
se per sottrarsi a questo e a peggior guaio 
Non gli apre tosto canova e granaio. 

Protali mo' d' andare all' osteria, 
▲I corso, ad un teatro, ad un festino : 
Oh che prete. sprelato.... Esus Maria! 
Grida tutta la genie, oh che ginginol 
Se dici due parole a una donnetta. 
Bacia la terra se la passi netta. 

Ti lascerao mangiar fagiani e starne 
E vuotar due bicchieri ad ogni salmo; 
Ma guai se a caso un lieve odor di carne 
Ti scende dal collar due spanne e un palmo T 
▲1 più minuto scando!o che viene 
Ti citeran l' esempio d' Origene. 

T' impon, se 'I credi, un pontificio breve 
11 tricornio, le fibbie e le calzette, 
E dèi tra il fango e la disciolta neve 
Quasi nude mostrar le tue gambette, 
Puoi sputar per la tosse anco i polmoni • 
Non l'è coAceno di mutar calaooi. 



Né vai di studio peregrino e vario 
Ornarsi il libro del oomuD sensorio ; 
Che il saperne più in là del breviario 
È un conto da saldarsi al pnrgaiorio : 
V ha di quei che del corpo e della mente 
Ti vorrebbero enntico ed impotente 

In via di grazia ammeilo pur che roolli 
Che d' anni e cipria han candida la chioma 
Neil' iDlaiio tcaffal serban raoeoUi 
I giornali di Modena e di Roma, 
E vi dan luogo i più sapuli e lini 
Ai prevosti Riocardi e Vittadioi* 

Questi per farti digerir la cena, 
se mai con loro a conversar ti «Detti, 
con tuon di voce dignitosa e piena 
Ti parlan di scomuniche, e inierdettl^ 
E ti fanno i compunti e gli eruditi 
colla storia gentil dei Sao-Venill. 

Se qualche autor Francese, Anglo o Tedesco 
Citi più che il Bollarlo, o 11 Tridentino» 
TU sei notalo, e poverio stai fresco! 
Quaì fautor di Lutero e di Calvino, 
Murator, Carbonaro, Giansenista, 
Che son tutt'uno nel sermon Suisittu. 

Queste e tant' altre che tacer bisogna 
Sono le ortiche della santa vigna. 
Ove con molta del cultor vergogna 
Ben altro germe di zizzanie alligna (I) ; 
Ma qui mi senio dir : son cose note. 
Ma stanno male in bocca a un Sacerdote. 

Per non veder nessuno arcigno e muto 
Guatarmi in viso e prendjs^mi io sinistro. 
Tutto il male del popolo chercuto 
Sia per non dello, muterò registro ; 
E farò chiaro senza tante ciance. 
Che II bene e il mal si libra in egual lance. 



(1) Che tanta fanno ai buon cullor i^ergogna 
E gii metton brucior pia. cht la tigna : 

19 



Qual è mai cosa si perversa e ria^ 
Che in se non abbia qualctie po'di buono? 

I vantaggi di cappa e sagrestia 

Ben li conosco* anch' io che Prete sono; 
E benché gli abbia avuti a buon mercato. 
Oggi non li darei per un ducato. 

E tanti sono e così grandi e grossi, 
eh' a esporli tulli non saria valente 
La penna non dirò dei Conte Bossi, 
Ma neppur di Detfendi e Deffendente; 
Basta dir ebe allegria, scialo, quiete 
Si chiamano tra noi viver da Prete. 

Pria di tutto saprei che per espressa 
Concessione de' Papi in cento brevi 
Nel primo giorno che tu dici Messa 

II diploma di Nobile ricevi; 

Né imporla che nell» opera del Lilla, 
La tua rarfiiglia ancor non sia descrìtta. 

Ai tocco della magica bacchetta 
Il più scempio Carlino divien Don Carlo, 
E sale in chiara nobiltà per fé Ila 
come se avesse un secolo di tarlo : 
Benché figiiuol d'un pover galantuomo. 
Guarda che Don Gianeppe anch' io mi nomo. 

Il qual prefisso, benché sia si corto. 
Ci vai come si dice e mari monti, 
E può servir di facil passaporto 
All' alte cose di marchesi e conti. 
Che quanto a dame di mezzana età 
valea beo altro quarant'anni fa (1). 

Mal per me che fui sempre un bietolone 
Né men seppi giovar secondo il caso, 
E quei poco che so per tradizione 
L' imparai tardi e a lume sol di naso ; 
Ma tu che sei nel fior degli anni lui 
Non sarai sì minchion siccome io fui. 



(I) Che presso €Ute marchese e alle contese 
Chi sa poi quetnio un eecol fa votene. 



X 29» X 

Non è però che da se stesso il fatto 
Seo vada liscio come P olio floo : 
Per fruir i> illustrissimo coniatlo 
€1 vuol la cberca larga e il collarino : 
Che s' io non ho potuto aver buon gioco. 
Egli ò che il collarin io porto poco. 

Se la parola d' ordine li chiede 
Sul limitare un servitor fedele, 
Tu ritto o solo e senza muover piede 
Rispondi tosto — Papa o Don Miguele : 
Ma può bastarli in cambio della voce 
Il collo torto, oppur le braccia io croce. 

Ti sovvenga però che quando vieni 
Privilegiato a qut^sto onor primario. 
Tua sacra legge è H dire tutti I beni 
Dei frati o del rettor del seminario, 
O, che toma lo stesso, tutto il male 
Dei Gaetani, un prete, un cardinale. 

Sovente manderai sospiri e voli 
Ai bei costumi degli antichi tempi; 
Che se i nostri bisavoli devoti 
Con pugnali o velen faceano scempi 
Ammazzandone ognun trenta o quaranta, 
Si segnavano almen «oli' acqua santa. 

Fia meglio ancor se in questa età si rea 
Tema forai de' dotti sermon tui 
La compagnia di santa Dorotea 
Che guarda gentilmente io casa altrui : 
O i miracoli di Santa Filomena 
Che tanto gridò ai nostri giorni mena. 

Molta lode fruttar vid'io sovente 
IO un gergo tra barbaro e toscano 
Con lunghe pause recitate a mente 
Seconda la giornata un qualche brano 
i>«i fasti della Chiesa, or messi in uso 
Dall' alla penna del Dottor Labuso. 

Ma il precetto più bel che mai non falla 
E il parlar senza Verre e senza Veste, 
Mormorar di chi canta e di chi balla. 
Non lodar che chi sente almen tre messe; 
Levarsi in piedi e dir V Angelus Domini, 
E non guardar mal fiso altro che gli uomini. 



X9W X 

Con questo meno di si lieve costo 
Io ti prometto cl>6 farei Inido gioco. 
Troverei a^emi^re a ricca mensa un poeto 
E quindi un buon caffft seduto al ftioeo; 
Poi quando parti, per miglior fortuna. 
Ti fioccberan le messo a un aovran 1* una. 

Né sovra te dell' abboodanai il corno 
Versano solo i nobili e I Potenti, 
Aocbe il celo minor ti fa d' inlomo 
Un diluvio d'inchini e complimenti; 
Basta sol cbe tu vada e capo Immso, 
vedrai che ogni animai ti cede II passo. 

E appar da cl6 (sia d^lo per pareniesi) 
Che qui gli estremi mollo ben si toccano. 
Né tra di loro quel divario sentesl 
Onde tanto l polillcl taroccano ; 
Se v'è divario alcun tra grandi e plcoolt 
Ei di tesU non è ma di test 

I pitocchi più furbi delle gaue 
Ti fan la seoUoella a dae per volta: 
Le beghine e le monadie disfatte 
Ti fan corona piverenfee e folta : 
I ragaizl U baciano la mena; 
E H fa di cappello ogni villano. 

Puoi farla da dottor pid di Platone 
Senza temer che alcuno t* Interrompa, 
Che chi non dormo ti darà ragione 
E mostrerà capirti almen per pompe : 
Ma il vero ben che vince ogni altro bene 
Egli é che chi ne sa da noi non viene. 

onde ponno bastarti i quàdemelti 
Ov' è la scienza più riposta e soda^ 
E l' orazioni del padre Mocehettl 
con un vecchio semoon contro la moda ; 
Se un secol fa pareva fatto espresso. 
Chi potrà dir che vada male adesso ì 

Mi ricordo aver letto un bel trattato 
Statistico-Ecooomico-Legale, 
Ove tra T altre cose ho pur notato, 
se la memoria non mi serve male, 
Che il sol guadagno a prova d' acqua e foco 
Fu sempre e ognor sarà lo spender poco. 



A noi puoie bastar d' dq mI ookM>e 
Per 1» inverno e la atale un» ampia vesie, 
Buona in imii i servizi In cMesa e fuore, 
P«i giorai feriali e pei* le fette^ 
Che se chiott ti va sino ai talloni^ 
Puoi far senza gilet^ senaa eateoni. 
È beo vero clie ai vescovi e prelati 
Fur concessi in onore del sacro cristna 
I color più vistosi e delicati 
ctie percosso dal sol rifi^oge il prisma : 
Ma I preticciuoli han sempre un sol colore 
Slmbol perfetto d' aaità di cuore. 
E si vogliano infatti un cotal bene 
Cbe più non è quel d' Ottorino e Bice^ 
Tal che se a caso un confratello è in pene^ 
Mesto è ciascuno in volto ed infelice; 
E benché vari d» indole e fortuna 
Nel difendersi almen son tutti ad una. 
A te siccome al buon Melchisedecco^ 
concesso è iin privilegio de» più rari. 
Viver senza paura d* esser becco, 
E morir senza eredi necessarii 
Onde io buona coscienza lasciar puoi ; 
Quel che resta alla serva e a'figli suoi. 
Poiché tra noi sarìa lusso e rovina 
Tutto che giovi della vita al vezzo : 
Ti basti un po' di lesso alla cucina 
E un soffice lettln d'un culo e mezzo 
Ove deposto r azzurrin soggólo 
Vai moltissime notti a dormir solo, 
vuoi tu di meglio ancori II secolare 
Trova un codice sol che lo protegge» 
Ma gli eletti che vivono d' aitare 
Han di rinforzo una seconda legge, 
O come a dire, un' altra polizia 
Piena anch' essa di zelo e cortesia. 
Che piano, senza far pettegolezzi 
Copre con cauta man le colpe tue, 
Oppur ti manda a Rò per pochi bezzi 
A far l' ammenda col mangiar per due. 
Ove pria di tornare al beneficio 
Impari se non altro a dir i' ufficio. 



ECCO i vaolaggi d' una cherca ; questo 
E l'alio onor del beoedelio salo; 
Dell' eaprioierlo appien sarla più presto 
vuotar I' acqua del mar eoo un coccbiaio : 
Se il paragon noo è di gusto 6no> 
Dei saper che l' usò Sant' Agostino. 

com' io promisi» e tu puoi faroe stima, 
Libralo ho oe'due gusci il male e il beoe ', 
Se per fretta o per obbligo di rima 
HO detto meno o più clie dod conviene, 
Tu prender non lo dei per un vangelo 
cui non si possa più toccare un pelo. 

Però se tanto il mollo ben ti alleila^ 
Portati in pace ancora il mal parecchio. 
Che se brami saper la mia ricetta, 
vieni, te la dirò ma nell'orecchio, 
Fa pur siccom' io fo già da veni' anni. 
Che rido e lascio dire al barbagianni. 

senza molto frugar salute e borsa 
Cerca viver quaggiù lieto e giocondo. 
Ma galantuomo, in mezzo a qualche scorsa 
Prepara un po' di ben per l' altro mondo. 
Che io morale e in politica ben sai 
Che il giusto mezzo non la falla mai. . 

LETTERA SCRITTA AD UN AMICO. 

Firenze^ 6 settembre 1856. 

CARISSIMO AMICO 

A che serve sciupare i purganti 

E star sempre col povero me, 

O pagare i miracoli ai Santi 

Per campar quanto visse Noè? 

A che serve con cento malanni 

zoppicar sulla curva degli annit 
Prete Olivo le sue gherminelle 

con la morte non caro davvero. 

Non vorrei per salvarmi la pelle 

Il panchetto, le Carte, ed il Pero, 

Nò potendo, passare la bara 

Rovinando il demonio a bambara* 



Moo disprezzo la vila e non tengo 
Il galoppo dei giorni fugaci; 
Se i capelli sod misio-marengo. 
Se d'amore mi maocano i baci, 
se vo gobbo più lardi o più preslo. 
Disperar non mi voglio per questo. 

Si disperi la vecchia galante 
Che Dicembre vendea per Aprile, 
che fallila per l'ultimo amante 
Vide crescersi a for«a di bile 
Ogni giorno una grinza di più 
E con k* asma ritorna a Gesù. 

Si disperi chi fece la spia 
Clnquant' aimi, mutando Bargello, 
vagheggiando con dolce mania 
Un impiego, una croce all' occhiello. 
Ne per anco può fare la coglia 
fi si trova a morir con la voglia. 

lo non son ciarlatano né vago 
Di mandar la parrucca al tintore. 
Non mi faccio pagare, non pago 
E non vo galvanismo io Ainure ; 
Né d' onori, o di nastri la smania 
Mi fa birro o mi da l' emicrania 

Poche lire, che Babbo ogni mese 
Con la predica d' uso mi manda, 
Son bastanti per farmi te spese 
Senza punto incensar chi comanda, 
vivo sciolto, la pentola è calda 
E nessun mi tira la falda. 

Se mi nega staffiere e Quadriga 
La fortuna volubile e stramba. 
Senza darmi pensiero né briga 
Questa vita farò gamba gamba» 
Non avrò mangiapani né ciarpe 
Ma buon nome» e pagale le scarpe. 

Che del resto a qualunque condanna 
Mi rassegno e propongo a me stesso 
Di pigliarmela, a un tanto la canoa ; 
in un canto mi tiro e professo, 
S'anco il mondo ritorna nel Cao, 
La tranquilla virtù d'Ermolao. 



né bo veduU parecchie, e già sliil» 
Soo li li per serrar la ftoettra^ 
come secca auogiaodo anch'a ufo 
Ogoi giorno la slassa nliieslra, 
Parimeole m' uggisce e ort tedia 
Veder sempre la slessa Commedia. 

uo bigoti» die burla li Demonio 
E ti spoglia seocaodo le croci. 
Demagoghi del solilo cooio, 
Ifegoziaatl di libere Tod 
uccellarci fregiati il groppooe 
Delle peooe rubate al Pavooe. 

Uo flguro eoo toga di seta 
Che senleoaa- U di eoa P accetta» 
La Gazielta che fa da profèta, 
il Profeu che fa da Gazzetta 
Delle geott rimesso il desttoo 
Nelle maoi di Padre Ambrogino. 

Ecco lutto. He' giorni passali 
D' ioooceote asinaggioe ordita. 
Di lusinghe, di sogoi beati 
Dolcemeote rol par?e la vita. 
Questa terra una cara iilusiooe. 
Una fitta di brave persone. 

Erao quelli i di santi, ed amari 
I di quando una febbre epidemica 
Ci portava a crear dei Lunari, 

I di quando con nuova polemica 
Ci faceva morir dalle risa 

II Bali San Fedista di Pisa. 

Se nel mezzo ali' umana famiglia 

Mi dicevan, e' ò un biodolo, un poroo,^ 

Slupefolto inarcava le ciglia 

Come il bimbo ai raccooU dell'Orco,. 

Questa razza impastala di scisma 

La vedevo a traverso di un prisma, 
ora il polso è più quieto, e l'occhiale 

Che gli oggetti alterava è spezzalo; 

Ora il mondo lo vedo tal quale, 

E sorrido sul tempo passalo 

La stagione dei sogni fini 

E. stvt ziiiu per fino il Bali. 



LÀMEIFrO DI M. N. 



Questo Papa benedetto 
Fin dal giorno che fu eletto 
m! guastò la bussola 
Kra meglio per l> Impero 
Che sul soglio di San Piero 
Si mettesse il diavolo. 
Questo almeno per lo zelo • 
Di rubar anime al cielo 
Strozzerebbe i sudditi. 
Ahi quest'uomo intraprendente 
Era bene veramente 
Che restasse ad Imola. 
E il Divino Paracielo 
Per dispetto cheto cheto 
Me lo fa Pontefice. 
Bella scelta è stata questa i 
Che ho da far colla mia testa 
Vuota come il sughero? 
come un papa liberale 
vi è da farla molto male, 
Me lo dice Metierriich. 
Dove diavolo ha imparato 
Sulle carceri di Stalo, 
Metter l' appigionasi T 
Tania gente che passeggia 
All' intorno della reggia 
Forma sempre ostacolo. 



Io per me mentre sto cheto 
Dò i miei sudditi in segreto 
A fedel carnefice 
Gli e venuto la manìa 
Di dar fuori l' amnistia.... 
Son cose da prìncipi ? 
1 sovrani un poco accorti 
Fan la grazia solo ai morti, 
come fece Modena. 
Oh ! quei birbi maledetti 
Se dal Papa son proteilì 
Buona notte Italia i — 
Se per caso anche il Chiappini 
Desse aiuto ai Papalini 
C* è d' andare a rotoli, 
lo per me non Ito paura 
Tengo il banco alla sicura 
Finché vive Meiternich ; 
Ma se muore, plano piano 
Me la batto e vò a Milano 
A riportar V olio. 
Or che a fare ha cominciato 
Dio lo sa nel suo papato 
Quante cose macchina. 
Se non torna nei confini, 
Vuol vedere se Lambruschini 
Gli dà un po' d'arsenico. 



EPIGRAMMA 



Quando l'almo drappel degli Scienziati 
Entrò nel Tempio della santa Croce, 
L'ombre de' nostri grandi trapassati 
Schiuser gli avelli e mossero la voce, 
E primo l'Alighieri a dir fu presto: 
u Sorgiamo, il giorno del Giudizio è questo. 

« Michel più che mortale Angel Divino »» 
Si oppose alla proposta e fé bordello, 
L' affermò 1' Astigiano, e l'Aretino, 
Sgriccl negollo, tacque Machiavello, 
Sorse il Segato, e mille; e allor si feo 
consiglio d' invocare il Galileo. 



Tocca a quiil grande: all'Improvviso vale. 
Si scosso e udì da maraviglia collo ; 
Quindi le luci affisse al canocchiale. 
Il suol mirando e il popolo raccolto ; 
Poi disse, e rimboraboone rediGzio, 
« Il giorno io veggo, ma non v'è giudizio. >* 

SUPPLICA 



Prego vostra Eccellenza 
Di darmi un Passaporto: 
Questa vita da morto 
Vince la sofferenza. 
Per vita voglio dire 
La piana e I' usuale, 
E non queirallra tale 
che non lascia dormire. 

Il nostro è un bel paese, 
Ma, a dirla, m' ha seccato ; 
Più d' uno che e' è nato, 
vede, ci fa I* Inglese : 
E anch' io delle freddure 
Di noi Peoisolani, 
Oramai, creda pure. 
Me ne' lavo le mani. 

Io non viaggio mica 
Per il minimo scopo ; 
Non vo' pensare al dopo, 
Non vo' durar fatica. 
Quel che vuol nascer nasca. 
Andrò dove mi porla 
Il vapore e la lasca. 
Sempre per la più corta. 



Di storia, di Beli' Arti 
N' ho troppo a casa min, 
vado, per andar vìa, 
E per provare i sarti, 
così batto la piana, 
E mi levo d' impegno : 
Eh lo so, coli' ingegno 
S^ impazza alla Dogana. 

Con questi sentimenti. 
Che dice! spererei 
Vedere arcicouteuU 
iHiUi de' fatti miei. 
Ma già del mio Governo 
Son nato, mi conservo, 
E viverò in eterno 
Umilissimo servo. 

A volle, senio dire, 
Scusi, che danno il foglio 
Per beccar quelle lire : 
Ma soUn c'è l'imbroglio 
n' un rabesco segreto, 
Che scopre ai letterati 
Del birresco alfabeto 
I sani e gì' impestati. 



Per girar spensierato 
Di città in città, 
E da Erode a Pilato 
Senza difficoltà, 
(Se di parer son degno 
Ferro di polizìa.) 
La mi ci metta un segno 
Che significhi spia. 



addìo 

Addio per sempre, albergo Hwenluraio 
Soave asilo di gioia e piacer : 
Teco abbandono il più felice stalo, 
Ogni speranza, ogni dolce pensier. 

Ti resti eiernamenle 

Qucsr anima dolente: 
Soave albergo di gioia e d' amor 
Teco abbandono la pace del cor. 
Da te lontano empio destin mi raena^ 
E mi 'divide per sempre da te. 
Andrò ramingo in qualche ignota arena. 
La tua memoria portando con me. 

Lunge da le sgradila 

Mi sembrerà la vita: 
soave albergo di' gioia e di amor, 
Teco abbandono la pace del cor. 
Da te mi parto e poi mi volgo addietro, 
E della vista staccarmi non so; 
Al ciel sospiro, e lagrimando impetro 
Quella fermezza che in petto non ho. 

Ah tu chi sa se inai 

Tornar mi rivedrai! 
Soave albergo di gioia e d'amor, 
Teco abbandono la pace del cor. 
lotatio serba il peregrino fiore 
Glie il cìel cortese t' elesse a serbar ; 
Basti alla sorie il lungo mio dolore, 
E il caro aspello non giunga a turbar. 

Felice asilo, addio! 
\ Ti resti l'amor mio. 

Soave albergo di gioia e d'amor, 
Teco abbandono la pace del cor. 

PREGHIERA 

Alla mente confusa Sai che la vita mia 
Di dubbio e di dolore Si strugge appoco appoco, 

Soccorri, o mio Signore, cometa cera al foco, 

col raggio della fé. Come la neve al sol. 

Sollevala dal peso AH* anima che anela 
Che la declina al fango. Di rlcovrarii in braccio 

A le sospiro e piango. Rompi, Signore il laccio 

Mi raccomando a te. Che le impedisce il voi. 



LE PIAGHE DEL GIORNO 

(1848) 

IL PAUROSO E L'IMDIFFBRBKTE 

Trippa e Ganghero 



T. 


Ma lai Che questi tlrepili 


T. 


Paura! 




SODO un brutto gingillo i 




paura no.... ma.... 


G. 


Secondo orecchi. 


G. 


Spicciati. 


T. 


Eall'uUImoT 




Si ODO? 


G. 


Indovinala grillo. 


r. 


Penso al poi. 


T. 


Si, tu la piglia al solito 


ti. 


HO capito, un quissimile t 




A un unto la calata. 


r. 


Pigliala come vuoi. 




Ma io.... 


6. 


Sia beoel O dunque seniimi: 


G. 


Sentiamo 




Ma ziUo tieni a mente. . 


T. 


A dirtela 


r. 


Non temere. 




lo la veggo imbrogliata. 


G. 


Rispondimi : 


G. 


Imbrogliata! Per gli asini; 




Ne vedi della gente? 




Ma non mica.... So io. 


T. 


Dove 7 


T. 


Come sarebbe 




Dove 1 In America i 


G. 


Oh, adagio 1 


r. 


In paese 7 


T. 


Via, per amor d' Iddio 


G. 


in paese. 




Dirami qualcosa : 


r. 


Ne vedo. 


G. 


£ inutile : 


G. 


A maravigliai 




Con te, gli ò fiato perso. 




In segreto o in palese 


T. 


No, da parte la celia, 


r. 


in palese. 




Parliamo a modo e a verso. 


G. 


Benissimo i 




C è qualcosa per arlat 




Dimmi ne vedi assai ? 


G, 


uccelli. 


r. 


Anche troppa. 


r. 


Animo, là 


. ^• 


Buaggini 1 




G* è nulla 7 




Eneicaffdci vai 7 


G. 


Uccelli e nuvoli. 


r. 


Ci vo. Che vuoi 7 ci badano t 


r. 


codesta ò crudeltà i 




Lo fo per non parere. 


G. 


Ma sai che mi fai ridere, 


G. 


con chi parli T 




E ridere di cuore i 


T. 


coi soliti. 


T. 


Ridi, dimmi cb&... 


G. 


Cioè. 




Cbe sono un seccntore ; 


T. 


col Cancelliere.... 




Ma non tenermi al buio. 


G. 


Male. 




Cbe e' è qualche congiura 7 


' T. 


Col. Commissario.... 


G. 


Plcciìlai Là, via, confessati; 


G. 


pegg'o. 




Hai paura ? 


r. 


Oche? 



X 3M 



G. Tira vìa. 

T. o cti6 credi 
G. Che! Sbrigati. 

T. Tò, che faccia la spia T 
G, Di che? Le spie fallirooo. 
T. Dunque, se sai codesto. 

Che c'enira il male e il peggio? 
G, Te le dirò. Del reslOa 

Per tornare a dov' erano, 

Parli con altri? 





k volte, per disgrazia. 






Li nel gran via vai. 






Mi batte di discorrere 






O con Tisio con Caio. 




G, 


E di che ? 




T. 


Di pericoli. 




G* 


Ci siamo : eccoti il guaio. 




T. 


Perchè ? 




G. 


Perchè vedeodoli 
Sempre spericolalo. 


, 




Sempre li con quel solito 


r. 




capanoello arrembalo. 






Sempre con mille Osime 


G, 




D' uno che se ne piglia. 






cose che li si leggano 


T, 




Sul viso a mille miglia. 






La genie, o li corbellano, 


G. 




O li pigliano in tasca. 


T. 


r. 


O con chi vuoi eh' i' bazzichi ? 
Come vuoi che mi nasca 


G. 




Nella testa altra voglia 


T. 




Che di pensare a male ? 


G. 




Lo sai pure, ho famiglia. 






HO qualche capitale.... 


T. 


G. 


LO SO, lo 80 : ma, sentimi, 
Giusto perchè lo so, 
Ti vo'dare un consiglio. 


G. 


T. 


Di stare a casa i 




G. 


No. 




T. 


Di star zitto ? 




G. 


Al contrario 





Anzi devi discorrere 
E eoo (ulti e di tutto : 
Non gridare sperpetue. 
Non fare il muso brutto. 
Se urtano^ che urlino ; 
se vanno all' aria i sassi. 
Lasciali andare, scusami: 
Che t' imporla de' chiassi ? 

Senti lodare il Popolo ì 
E tu Popolo. Senti 
Dir corna, per esempio. 
Dei Miotslrl presenti? 

E tu, corna. Ti dicono 
Bene del Principato ! 
Sissignore. Repubblica ? 
Signor si. Se lo Stato 

È in nMo de' galantuomini. 
Tieni dal galantuomo : 
Delle birbe ? Confondersi i 
Anco la birba è omo. 

O codesta poi, sentimi 
Non è da te. 
Sarà 
Da qualcun altro. 

Scusami, 
Ci va dell'onestà. 

Onestà? sei ridicolo! 
Son ridicolo t 

A questi 
Lumi di luna? 

O diamine ! 
Là, là, signor Onesti, 

Non venga coHI scrupoli. 
No, lo dico In coscienza. 
Anco codesta è ottima 
Per salvar l' apparenza. 

O che credi, perdiavolo. 
Che io mi ci baiocchi ? 
die non vegga le borie 
(Dicendola a quattr'occhi) 
Di questi gonfia nuvoli 
Che tirano al comando ? 
Di questa gente in auge 



X W» 





Che arruffando dipaDando! 




Di cW h> sa burlare . 


T. 


Di piano. 




Dice bene il proverbio! 


G. 


È fero... 


T. 


Dirà bene, ma io. 




Urlo e non me n' avvedo, 




Che vuoi 1 non mi capacHo 


T. 


Dunque?... 




Di certi.... 


G. 


Eh altro se lo vedo ? 


G. 


Trippa mio, 




vedo, 810 2iuo e gonfio ; 




Se tu non ti capaciti. 




Sai ? Chi chi ha nella testa 




Studia. 




un' oncia di mltidlo 


T. 


Sì, tu discorri.... 




Tira a campare, e festa. 


G. 


L' ho detto da principio 




in fondo , che concludono 




Che predicavo ai porri i 




I buoni, 1 dotti, 1 bravi T 


T. 


Vuoi eh' io faccia l' ipocrita. 




Oh, per me, nMianno voglia! 




E a me non mi riesce i 




Chi V ha a mangiar la lavi. 


G. 


Fa tu. 


T. 


Sicché dunque? 


T. 


Non so nascondermi... 


G. 


QuI^ con queste marmotte 


G. 


Eh, gua% me ne rincresce. 


T. 


Sentiamo. 


T. 


Dunque 7 


G. 


Un colpo al cerchio. 


G. 


Dunque ? 




E quell' altro alla botte. . 


T. 


consigliami. 




Insomma barcamenati 


G. 


Divertili a tremare. 




Cosi, tra le du' acque. 


T, 


Ma io... 


T. 


Ma.... 


G. 


Chi non sa fingere, 


G. 


zitto. Esempigrazia^ 




Bimbo non sa regnare. 




lo so che li dispiacque 


r. 


Si, ma se poi ti scoprano? 




Il tumulto di Sabato. 


G. 


Chi è minchione, suo danno 


T. 


È vero. 


T: 


O se mai, per casaccio. 


G. 


E là dal presto 




Ti si desse il malanno. 




Tu ne facesti un Passio, 




Che nel tempo medesimo 


T. 


È vero anco codesto. 




Ti venissero a mano. 




come sai ? 




Di qua, pula, un monarchico. 


G. 


Figurati 




Di là un repubblicano? 




se non lo so. Si sa 




Come se n'esce? 




Fin le mosche che volano. 


G. 


Facile : 


T. 


Pur troppoi 




coli' eh , coli' ah, coli' oh. 


G. 


E che ti fa 




coli' uh, coli' ih, lenendosi 




Se la gente tumultua 7 




Così tra si e il no. 




Che sci lo Stalo? 


1\ 


codesto passi. 


T 


È vero. 


G. 


Provati. 




Ma dunque, per non essere, 


T. 


Mi proverò, ma.... 




Non mi darà pensiero?... 


G. 


Mai 


G. 


Che pensiero 1 Divertili... 




Che c'onlra il ma? 


T. 


potere i 


T. 


proviamoci 


G. 


Eh lascia andare 1 
Il mondo è sempre.... 




Sarà quel che sarà. 



POESIE INEDITE 

SCRITTE IN TEMPI POSTERIORI 
V ITALIA W ELL* ANNO 1848. 



V anno miUe oUocenio e quaranloUo. 
Se mi ricordo ben, l' Ilalla offriva 
In spirilo e virlù di patriolto 

Da farla viva. 
Ciascuno s' aiutava, e s' intendeva : 
Ognun trattava l' altro da fratello : 
Il ricco ogni suo bene divideva 

Col poverello. 
L' amico era ognor franco e generoso. 
Vivean' felici ì sposi e in armonia ; 
Era il marito saggio e virtuoso 

La moglie pia. 
Il medico giammai non ammazzava, 
- Uo birbante nemmen per un miliardo 
CbMl salutasse ovunque non trovava 

D' un solo sguardo. 
Né scandali, ne intrighi e capogiri 
Venivano a turbare 1 buon successi : 
Né bancarotte inique, né raggiri; 

Nemmen processi!... 
Perdeva i passi suoi la stolidezza ; 
Non mentiva un giornal bianco ne rosso : 
Nei banchi avean saper, delicatezza 
A più non posso. 
Avvisi non s'offrivano agli sguardi 
Fatti per corbellar le oneste genti : 
Ai ricchi non s' avean maggior riguardi 
Ch' agli indigenti. 
Nessun faceva caso del danaro : 
Rimasto un Mercatante saria nudo^ 
Piuttosto che abbiisar taluno ignaro 
D' un solo scudo. 



,•- 30* . 
^oo n Tederà pia preso i sifaori 
Cbe aobiU deeesti, e fan igMHi, 
Què Krigni ricebi d* oro per di foori 
B dentro vuoti. 
Fdici eoo le momne le bocialle 
AoiaoU ODO aTcao ; con rìTcrenia 
Chi una ipon cbiedea, non TOlea Bnib 

Uoa comoda e Mopnceua vesta, 
Uo Sor poalo con gartio e eoo decoro, 
FeroD pattar di moda io ogni fetta 

Le gemme e l' oro. 
insomma, era ima tale iealiaie, 
uoa modestia, ooa bontà, un conlento, 
Uq' accordo, cbe rammentò l*eiaie.~ 
Almeo d'argento. 
U amor di Patria io tutu Italia, attorno 
Nel quaraoiotio aD' apice bealo. 
Era salito al più tuMime puolo^ 

O 1* bo togoalo... 
Aura di liberiA d' iodipeodenaa 
Spirò; poi vemie in campo la ragione, 
<:h* allo tiranier Iboeva retitieoza 
Senza, caoDone. 
Ma vitto d' eloquenza il vano effetto, 
sorsero i prodi; e armate molte tquadre. 
Pur benedette l'armi con affetto 

Dal Santo padre. 
E Prenci e Citiadio, viiliei e torvi. 
In un voto Impugoaròo l' atta e il brando : 
Perfin le donne a delicall nervi. 

Giurar... cantando. 
Le feste, li trìpodii gl'inni e i canti, 
OUrepattar d' Ilalia ogni confine 
Le grida ^ l' eotutiasmo, i fieri vanti 
Fur tenza fine. 
Si scosse Europa tutta al gran frattuooo 
De generosi cor> della ciurmaglia ; 
E più d'un Moogibel ruggiva il tuono 
Della battaglia. 
Brillavan l' armi bellicbe e i ttendardi, 
Brillavano le penne in tul cimiero. 
Brillavan più di tutto i fieri tguardi 
D» ogni guerriero. 



X 305 X 
Tulli volare al campo, ed in quell*anfì« 
S* i mmortalar gli eroi nel gran confliiio.... 
Come andrebbe a finir tulli lo sanno.... 
Però sto zitto i 

GLI ZINGANI 

Stregoni, saltirobaochì e borsaiuoli. 
Resti immondo 
D' un altro mondo. 
Stregoni, saltimbanphi e borsaiuoli, 

D-'onde venite o zingani mariuolì?.... 
D' onde veniam ? Nessun non ne sa nulla ; 
La Rondinella 
D' onde vien ella ? 
D' onde veniam? Nessun non ne sa nulla. 
Né sappian^^dove andlavi sin dalla culla. 
Senza patria, né principe, né legge, 
La nostra vita 
Invidia incita.... 
Senza patria, né principe, né legge. 

Pur Siam felici e il Ciel ci protegge. 
Al popolo zimbello dei furfanti. 
Che presta fede 
A. chi rac<»de; 
Al popolo zimbello dei furfanti, 

Ci vuole dei stregoni, oppur dei santi. 
S' incontriamo Plutone per la strada. 
La nostra banda 

Si raccomanda; ^ 

S'incontriamo Plutone per la strada, 

Stendiam la mano coniando ovunque vada. 
Tutti fra noi si nasce indipendenti; 
Nessun ci slezza, 
9é ci battezza. 
Tutti fra noi si nasce indipendenti. 
Al suon delle canzoni e dei strumenti. 
Liberi i primi passi son dai vizii, 
Di questo mondo 
D' error fecondo. 

20 



Liberi i prioìi passi sod dai vizff, 

K daUe fascie dei pregiudizii 
Poveri augelli siaio eh' io ogni lido 
Dagli abitali 
Furo etigliali. 
Poveri augelli slam eli' in ogoi lido, 
In fondo al bosco, pende il nostro nido. 

▲ uston r amor, spenta ogni luce. 

Fra tanta genie 
contusaroeote; ^ 

▲ uston I' amor spenu ogni luce, 

Ci accoppia sotto al carro cb* el conduce. 
Filosofastro 
O Poetastro; 
V occhio tuo per timor puerile, 

Non può staccarsi dal tuo campanile, 
Yedere, è possedere; bello è il vagare 
La vita errsole 
È più animante; 
Yedere, è possedere ; bello è n vagare : 

Tutto vedere ; è tutto conquistare. 
Dovunque V uomo sente un mormorio, 
S' agiti lieto, 
O posi quieto ; 
Dovunque V uomo sente un mormorio, 
S' ei nasce, ode, — buon giorno ! — muore, ~ addio ! 



FINE 



INDICE DEL VOLUME 



Ai Lettori . .' , PA©. 3 

Giuseppe Giusti, cenni bio^raOci di Leopoldo cempini ...» i 

Appendice dell'edizione delle opere di Giusti dopo la sua morte n 59 

Avvertenza dell'Editore - 63 



Vkrsi pubblicati dall' Autori dopo il 1843. 



L4 Guigliottina a Vapore •* 73 

Rassegnazione e proponimento di cambiar vita m ivi 

Il Dies Irae » 7S 

Legge penale per gì' impiegati >* ivi 

All' Amica lontana » 77 

LO stivale » 80 

La Fiducia In Dio, statua di Birtolini m 84 

A san Giovanni ^ *• ivi 

Brindisi « 86 

Apologia del Lotto » 90 

La vestizione « 92 

Preterito più cbe perfetto del verbo Pensare » 98 

AiliBtti d' una Madre ** lOl 

Per il primo congresso dei Dotti tenuto in Pis% nel 1839 . . •• i vi 
Brindisi di Girella, dedicato al signor di Talleyrand buon'anima 

sua . , " 102 



Il SMpiro dell' Anima pa«. IOó 

L* locoronai Ione • . . •• I07 

A un* Amico •• no 

per un reuma d* un cantante » ili 

GII umanitari ** 113 

A Girolamo Tommasi — Origine degli Scherzi » ii& 

All'Amico, nella primi) vera del 1841 » 118 

La ctaioticlola n lai 

Il Ballo — Parte Prima *. . •• 192 

» — Parte Seconda >* las 

" — parte Teria » 126 

Le Memorie dì Pisa ** 126 

La Terra dei Morti. ~ A. G. G » IS9 

Il Mementomo » I30 

Il Be Travicello » I3I 

Biell' occasione che fu scoperto a Firenze il vero ritratto di Dante 

fatto da Giotto h laa 

La scritta -< parte prima » I37 

M — parte seconda » 142 

Avviso per un settimo Congresso che è di la da venire ...» 145 

Ad una Giovinetta >* 146 

GÌ' Immobili e I semoventi » 147 

I Brindisi » 148 

L' Amor Paciaoo » 166 

li poeu • gli Eroi da poltrona . . . , - I6S 

I Grilli '» «63 

li papato di Prete pero •• iri 

Gingillino. — Ad Alessandro Poerio » 164 

una levata di cappello involontaria » 177 

contro un Letterato pettegolo e copista » ivi 

II Giovinetto - 178 

li Sortilegio » 179 

La Guerra » igo 

sant'Ambrogio » 191 

La RassegnazioDe. — Al Padre *** conservatore dell'ordine dello 

Slatu-^mo » IS3 

Il Detenda cartago » ì96 

A Gino capponi » 197 

Al medico Carlo Gtainozzi contro Pabuso dell'Etere Softorioo » 90O 

I discorsi che corrono » 902 

Storia contemporanea » 213 

AHI spettri del 4 settembre 1847 » 213 

Istruzioni a un Emissario • . . >* 9ib 

Consiglio a un Consigliere » 318 

II Congresso de' Birri — Ditirambo » 219 

A Leopoldo secondo » 333 

Versi iRtnin scftiTti nr obakfastb dopo it I847 

La Repubblica — a Pietro Gtannone »» 286 

Ad una Donna -^ Frammenti » 3S7 



X 309 X 

Delio seriTer« per le Gaisetle Pa6. 919 

A uno scrittore di satire in gala •* 390 

Frammenti h 931 

Ad una Donna » 933 

sonetti — I Trentacinque Anni » S34 

» Tacito e solo in me slesso mi volgo » ivi 

» La nomèa di poeta e letterato » ivi 

»* A notte oscura, per occulta via *» S36 

» che i più tirano i meno è verità » ivi 

» A Dante » ivi 

» Felice te che nella .tua carriera » S36 

^ se leggi Bicordano Malespini >» ivi 

*» Signor mio, signor mio^ sento il dovere ...» Ivi 

Epigrammi » 337 

Vkbsi giotakili sditi so inbditi 

Per le Feste triennali di pescia — versi lirici •* ivi 

Alla memoria dell* amico Carlo Falugi -< Elegia » 339 

Al padre Bernardo da Siena . . . . , » 341 

Frammento ** 913 

per la morte dell* unica flglia di Urania e Marco Nasetti . . >» ivi 

Frammento » 244 

aU* amica Amalia Bossi Bestoni, per la nascita del di lei 

primo nglio m 246 

sonetti — Così di giorno In giorno inoperoso *• 917 

» — China alla sponda dell* amato letto *• ivi 

» — Poiché ni* è tolto saziar la brama » 948 

** -< Per occulta virtù, che dall'aspetto - ivi 

» Da questi colli 1 miei destri ardenti ** ivi 

» in morte d* una sorella di latte » 349 

» A Giovan Battista Vico » ivi 

POISIB SCRITTE A DICIOTTO ANNI, MA BIFIUTATK DALL'AUTORE 

un insulto d' Apatia (Variante) » ivi 

La Mamma Educatrice '...*» SM 

11 mio nuovo Amico ^ . . ' - »» 2B3 

Il Gholèra •— A Nina • . . . » ivi 

professione di fede alle donne ** SS4 

Una tirata contro Luigi-Filippo » 2B6 

Ave Maria — Alla signora Maria F » 269 

Lamento dell* impresario Bicotta vetturale ** 380 * 

parole di nn Consigliere al suo Principe « 361 

POBSiB Apocrife 

All'Amica lontana •• 268 

Il creatore e 11 suo Mondo *• ^^ 

Il Giardino " ^^ 

Il Fallimento del Papa — inno del veri credenti " ^69 



X 5W X 

come vanno le mm pa6- 971 

1 Consigli di mio Nonno ^ . . >* 972 

Dialogo fra una Mar<4ie8a e vn Astrologo » S7i 

Apologo contro i fiiUi liberali •* S74 

parla II Mascherone della Fonte del Tettacelo » S7& 

sotto una caricatura di Don Tommaso Corsini ....... 977 

Avviso per 11 nuoro Teatro del Rea) palazxo . » ivi 

Air Amieo Professore N. n *• ivi 

in morte dello Sgricci e di altri fedeli . *• 978 

I.' arruffìi Popoli , » 279 

un desinare in tempo di Quaresima • ivi 1 

I nuovi crociati del Si Gennaio. — Lamento » 283 

A un ritratto ad Immagine di Saul' Ermolao ..,...>• 286 

per Messa nuova ■ » 287 . 

Lettera acritta ad un Amico » 994 

Lamento di H . il >. 997 

Epigramma » ivi 

supplica H 998 

Addio » 999 

Preghiera t. ivi 

Le Plaghe del aiorno (1848) li Pauroso e i' indifferente ... » 300 

lOBSia IMBDITX 9CRITTS IH TMMtl FOSTSaiORI 

L'Italia nell'anno 1848 » 303 

Gli Zingani ...» ao» 



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