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Full text of "Vita e costumi degli animali"

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VITA E COSTUMI DEGLI ANIMALI 


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(6 + ITA E COSTUMI DORLI ANNALI 


I MAMMIFERI 


LUIGI FIGUIER 


QUARTA EDIZIONE ITALIANA 


con 307 incisioni 
DISEGNATE PER LA MASSIMA PARTE SOPRA GLI ANIMALI VIVENTI 


E NUMEROSE NOTE ED AGGIUNTE 


MILANO 
FRATELLI TREVES, EDITORI 
1882. 


lì INCI 


La presente opera e le relative incisioni sono messe dagli Editori FRAT 
TREVES, sotto la tutela delle vigenti leggi di proprietà letterar 


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AVVERTENZA ALLA NUOVA EDIZIONE DEL 1880. 


Le opere di Luigi Figuier godono in Italia altrettanto 
credito e popolarità quanto in Francia e in Inghilterra; 
sicchè nel procedere alla ristampa di questa importan- 
tissima fra le opere sue, ogni parola di elogio sarebbe 
superflua. JI fatto che ne presentiamo oggi una nuova 
edizione completamente rifatta, è più eloquente di. qua- 
lunque raccomandazione. 

La nostra traduzione è dovuta ad un egregio scien- 
ziato, che arricchì l’opera di numerose note ed aggiunte, 
così per quel che risguarda il progresso delle scienze 
naturali, come per quel che risguarda l’Italia. Nol pre- 
sentiamo quindi un’opera nuova e relativamente originale, 
non avendo nulla trascurato che valga a mantenerci quei 
favore con cui il pubblico ha ricompensato 1 nostri sforzi. 


Dai mammiferi passeremo agli uccelli, ai rettili ed ai 


pesci, e quindi agl’insetti,, ai molluschi, ai raggiati 0 z00- 
fin, agli aracmidi, crostacei e vermi; tratteremo infine 
delle razze umane e dell’uomo, che vuol essere messo 
al di fuori del Regno animale, siccome spettatore, piut- 
tostochè parte di esso. 

É questo, a detta di tutti, il più compiuto lavoro, e 
il meglio popolarmente istruttivo ed attraente di quella 


scienza tanto bella e feconda che è la Storia naturale: 


INDICE DEI CAPITOLI 


AVVERTENZA DEGLI EDITORI. . 0.0.0... . Pag. VII 
E ZI OE e LL O e i i I 


ORDINE DEI MONOTREMI. 


Bamiplia/degli Ornitorinchi . 00... 0... 0...» I 
bamisliasdegli Echidni. fi: crt RL. n 47 
ORDINE DEI MARSUPIALI. 

Famiglia dei Fascolomi o Vombati . . . . quae 22 
Famiglia di Sindattili (Kanguri, Falangiste, i e Perameli) dic" 20 
eni change Das ee nare) 27 
femichiaSdelle*Sariohe:, “0 (f.le ae led 


ORDINE DEI CETACEI. 


Famiglia dei Cetacei veri (le Balene, costumi e vita della Balena, 
la pesca della Balena, Capodoglio, Delfino, Focena, Narvalo). » 36 
Famiglia dei Cetacei erbivori (Lamantini, Dugonghi) . . . . » 78 


ORDINE DEGLI ANFIBI. 


Bamigha dei Tricheehis® 0 000800 pl i] oi 8 
Mampiotia? delle:-Foehe® /1+1 1000; 20 hot seni 87 


ORDINE DEI PACHIDERMI. 


Famiglia degli Elefanti o Proboscidati (l’Elefante d’Asia, l’Elefante 
d'Africa, il Miammuth). . . .. HI a i.409 

Famiglia dei Pachidermi ordinari Thjjspolamno) Fiiocerohin il Ri- 
noceronte d’Africa, il Rinoceronte antidiluviano, Irace, Tapiro, 
Cinghiale, i Maiali, Facocero, Pecari, Babirussa) . . . . . ©» 120 


È 

Famiglia dei Solipedi (Cavallo, le sue parti, il suo mantello, suoi 
denti, sue andature e sua età), Cavalli domestici e loro razze, 
Cavalli arabi, i cavalli inglesi e le corse, Cavalli francesi, italiani, 
altri cavalli . . . Me 

Asino, il Mulo, l’Emione, Zebra, or To. i 


ORDINE DEI RUMINANTI. 


Famiglia dei Cammelidi (Cammello e Dromedario, l'utilità del Cam- 
mello e le carovane, Llama, Alpaca, Vigogna . . . . » 
Famiglia dei Ruminanti ordinari (Giraffa, tribù dei Ruminanti ca- 
vicorni, Camoscio, Gazzella, Saiga o Antilopi, Portace, Gnu, Al- 


celafo, le Capre, i Muffioni . . . » 
Le Pecore, varie utilità delle Pecore, n Jana. della Porn e la sua 
tosatura, le razze ovine in Italia . . . . » 


Bisonte e Bue muschiato, Auroch, Bufalo del Capo, Yach, e So 
delle Giungle, Bufalo, il Bue, il Toro e la Vacca, allevamento 
del Bue, le razze bovine in Italia . . . . » 

Tribù dei Ruminanti dalle corna decidue, generi Renna! ‘Alco, 
Cervi, la caccia del Cervo, Cervi americani e indiani, Ssniù e 
Caprioli, tribù dei Ruminanti senza corna, il Mosco e Muschio » 


ORDINE DEGLI SDENTATI. 


Famiglia dei Tardigradi ..-..._. .. ./.L. 5, 
Famiglia degli Armadilli . SI, qa A ERE 
Famiglia degli Oritteropi . . . ..... fato 
Famiglia dei Formichieri . 
Famiglia dei Pangolini . 


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ORDINE DEI CARNIVORI. 


Famiglia dei Mustelidi (generi Lontra, Martora, Zibellino, la Faina, 
le Puzzole, Ghiottone, Moffetta, Tasso, Mellivora . . . . . » 
Famiglia delle Iene (generi Iena, Protele). . . . » 
Famiglia dei Felini (genere Gatto, Leone, la caccia del ea Ti- 
gre, Pantera, Leopardo , Onza, Servalo, Gatto selvatico e Gatto 


domestico, Giaguaro e Coguaro, generi Lince, Ghepardo) . . » 
Famiglia dei Cani (genere Volpe, caccia della Volpe, Volpe turchina, 
Zerdo, argentina, tricolore, genere Cane, Sciacallo, Lupo . . » 
Cani, la rabbia, vàrie razze di Cani (genere Ienoide). . . . » 
Famiglia dei Viverridi (generi Icneumone, Civetta -e Zibetto, Ce 
netta, Cinogolo, Ictide, Coati, Procione, Cercoletto)- . . . . » 


159 
196 


215 


227 


2594 - 


274 


296 


322 
329 
925 
326 
327 


398 
449 


457 


Famiglia degli Orsi .:...\.citoji ani nia RA 


ORDINE DEI ROSICANTI. 


Topi (genere Arvicola o Campagnuolo, Lemming , generi Ondatra, 
Criceto od Hamster, Ghiro, Gerboa e Topi-Talpe, generi Dipo, 
Pedete, Saccomidi e Saccofori, i Chinchillidi, Topi spinosi o 
Echimidi o Capromidi, gli Istrici, le Cavie o porcellini d’ India, 


Castori, Miopotamo . . . Ta: 


Generi Scoiattolo, Sciurottero, Pieromide e > Anomaluro, sTamia, Sper - 
mofilo, Marmotta, Lepre, Conigli, Lagomide . . /..... 0» 


ORDINE DEGLI INSETTIVORI. 


Famiglia delle Talpe (genere Talpa, costumi della Talpa e sue gal- 
lerie, le Talpe e l’agricoltura, la Talpa cieca, genere Condilura. 


Scalope, Crisoclori) . . . . » 5 


Famiglia dei Toporagni (genere gg i; il Toporagno Uk usco, 


generi Solenodonte, Macroscelide, Rincocione, Miogale). . . » 


Famiglia dei Ricci (generi Riccio, Centete, Gimnuro , Gladobate o 
WIP SR Ra 


ORDINE DEI CHIROTTERI. 


bamiehasdei Vespertigli ..0/0.0. .0 0. n... 0. 
Banpelratdelle Rossetto. 0 0.0.0. o Lu. 04 0 
felici Vampiri i i e da e I 


ORDINE DEI QUADRUMANI. 


‘ Famiglia dei Galeopiteci ) 
Famiglia dei Chiromi » 
Famiglia dei Maki (genere Maki propriamente detto, Indri, Tarsio, 

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deanelandegli Misti e n e e e 
Bamiehasdelle Scimmie 0. 0. LL). e 
Scimmie del nuovo mondo . . . . » 
Tribù delle Scimmie dalla coda prensile delen Micete, Me 

Eriodo, Atele, Gebo). . . . . » 


Tribù delle Scimmie dalla coda non Prensile (GOndri Callitrice, Sai- 
miri, Noctoro, Saki). CRE e i » 
Scimmie del mondo antico : . . » 
Tribù dei Cinocefali (generi Mandrillo, Cinocefalo propriamente detto) » 
Tribù dei Macachi (generi Cinopiteco, Bertuccia, Macaco propria- 


menierdeto,Mangabey) to. i e 
Tribù dei Cercopiteci . . . MO 
Tribù dei Semnoplteci (generi Nasica, Semnopitco propriamente 

detto, Colobo). . . . » 


Tribù delle Scimmie onorato dol (n Orsi Goria, 


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VITA E COSTUMI DEGLI ANIMALI 


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MAMMIFERI 


I Mammiferi sono la parte più importante dei Vertebrati. 
Fra tutti gli animali son quelli che meritano maggiormente la 
nostra attenzione, perchè ci somministrano gli ausiliari a noi 
più utili, pel nutrimento, pei lavori e pei bisogni delle nostre 
industrie. 

A prima vista si riconosce un animale di questa classe, per- 
chè ne sono numerosi i segni esterni e caratteristici. 

Soli fra i Vertebrati, questi animali hanno, siccome indica 
il loro nome, mammelle, collocate talora sul petto, talora sul 
ventre,. talora agli inguini, per mezzo delle quali allattano i 
loro piccoli. Generalmente, il numero delle mammelle è in rap- 
porto col numero dei piccoli, di cui si compone ogni parto. 

Il maggior numero dei Mammiferi son coperti di pelo. Tut- 
tavia alcuni hanno la pelle nuda: per esempio la balena e il 
capodoglio. 

La statura dei Mammiferi è svariatissima. La scala di gran- 
dezza va dall’elefante fino al sorcio ed al toporagno. 

Il pelo dei Mammiferi, sebbene meno brillante delle piume 
degli uccelli e delle scaglie dei pesci, presenta nondimeno tinte 
piacevolissime. La natura particolare di questo pelo varia al- 
l’ infinito. Basta ricordare, come tipo di queste differenze, il 
pelo delle belve, le setole del maiale o del cinghiale, gli aculei 
dei ricci, e la lana della pecora. 

Meno svariato è il colore di questo pelo. Sono quasi sem- 


4 MAMMIFERI 


pre modificazioni dal bianco al nero, dal bruno fulvo al gial- 
lastro. 

Generalmente, i peli dei Mammiferi cadono verso la prima- 
vera o l’autunno, e sono sostituiti da altri; ciò si suol chiamare 
la muta. Le scaglie, le unghie, le corna, cHe certi mammiferi 
portano, son prodotte soltanto dal sommo ravvicinamento del 
bulbo dei peli, i filamenti cornei dei quali saldandosi assieme 
compongono solide laminette. 

La forma generale del corpo dei Mammiferi è determinata 
dal loro scheletro osseo. Quanto più l’animale è collocato in alto 
nella scala organica, tanto più il suo cranio divien sporgente, 
e le mascelle e le fosse nasali vanno diminuendo. 

La forma ossea del capo varia molto nei Mammiferi. Taluni, 
come i rinoceronti, hanno sul capo o sul naso certe appendici. 
Talvolta queste appendici son fatte dalla riunione dei bulbi 
dei peli, e sono produzioni della pelle; quest’è il caso del corno 
che porta sul naso il rinoceronte. Altre volte le corna stanno 
sul capo e appartengono all’osso frontale. Tutti gli animali for- 
niti di queste corna dalla radice ossea son compresi nell’ordine 
naturale dei Ruminanti. 

Quando queste appendici cadono ogni anno e rinascono, si 
sogliono chiamare corna decidue, come nel cervo. Quando son 
cave e non si rinnovano mai, allora si dicono corna permanenti; 
di tal fatta sono quelle del bue, della pecora, della capra, ecc. 
La forma delle corna è molto varia: citiamo come esempio il 
corno cilindrico del bue ed il corno a foggia di ventaglio della 
renna. 

Altri animali nello sviluppo del naso presentano una singo- 
lare anomalia. Nell’elefante si osserva quest’organo allungarsi 
notevolmente, e foggiarsi in una proboscide che serve come or- 
gano di prensione. Altre volte quest’ organo è meno allungato, 
meno retrattile, come nel tapiro, e in parecchi animali insetti- 
vori che sono obbligati a scavare la terra per cercarvi il nu- 
trimento. 

Le membra dei Mammiferi variano di forma secondo l’ uso 
che deve farne l’animale. Quasi tutti i Mammiferi hanno quat- 
tro membra, od estremità. Ai Cetacei mancano le membra ad- 
dominabili, e quelle anteriori, son disposte a foggia di remo per 
nuotare. 

Gli organi dei sensi sono più sviluppati in questa classe di 
animali che non in tutte le altre. Il senso del tatto, che in al- 
cuni è quasi nullo, come nel cavallo e nel bue, perchè hanno 
le estremità ricoperte dall’unghia, è nelle scimmie sviluppatis- 


MAMMIFERI 5 


simo 4. In questi animali le membra superiori terminano con 
un organo di prensione che può, per così dire, modellarsi su- 
gli oggetti, e dare alla sensazione del tatto una estrema deli- 
catezza. 

| L’apparato della vista è, generalmente, più sviluppato nei 
Mammiferi che vivono una vita notturna, che non in quelli 
che cercano il loro nutrimento di giorno. Alcuni, come la talpa 
che abitano sotterra, hanno occhi sommamente piccoli. | 

Il senso dell’odorato, sviluppatissimo nei carnivori, è quasi 
mancante nelle altre classi di Mammiferi. L’udito è tanto più 
acuto quanto più l’animale è timido e debole 2. Del resto, que- 
Sto senso subisce grandi modificazioni nei Mammiferi. Nei Mam- 
miferi acquatici è quasi affatto mancante. 

Parimente il gusto varia, secondochè i Mammiferi sono er- 
bivori, insettivori o carnivori. 

Il sistema muscolare dipende dalla forma e dal modo di lo- 
comozione e dalla lunghezza dell’animale. | 

Il sistema nervoso non differisce, tra gli animali di questa 
classe, che pel maggiore o minore sviluppo di alcuni dei suoi 
elementi anatomici. Generalmente, il cervello è abbastanza vo- 
luminoso, e le sue proporzioni aumentano man mano che l’a- 
nimale s’innalza nella scala organica. 

‘In quasi tutti i Mammiferi le funzioni della nutrizione si 
compiono nello stesso modo; quindi gli organi che servono alla 
digestione variano pochissimo in questa grande classe. 

L’orifizio superiore del tubo digerente, o bocca, è munito di 
. denti *, la forma dei quali dipende dal genere di nutrimento 
dell'animale. I denti si distinguono in incisivi, canini e molari. 

Questi ultimi sono i più utili. Nei carnivori sono taglienti e 
disposti a foggia di lame di forbici. Negli erbivori sono ap- 
piattiti con qualche scabrosità. Negli insettivori sono irti di 
piccole punte che s’incastrano le une colle altre. I denti canini, 
che sono indispensabili ai carnivori per dilaniare la preda, hanno 
talvolta uno sviluppo considerevole, e formano ciò che si suol 
chiamare le zanne del cinghiale e di altri animali. Le zanne 
dell’elefante non sono altro che il prolungamento dei denti ca- 


Il tatto nei Mammiferi si esercita sovente non per mezzo delle estre. 
mità, ma di altre parti, come le labbra e i lunghi peli che in certe 
specie stanno sopra la bocca od un prolungamento del naso. (N. del Tr.) 

2 L’udito è talora finissimo nei Mammiferi coraggiosi e feroci : così nei 
felini, e segnatamente nel gatto domestico. . (N. del Tr.) 
5 Alcuni Mammiferi sono al iutto sprovveduti di denti. (N. del Tr.) 


6 MAMMIFERI 


nini, che sporgono fuori della bocca. Nella balena tengono luogo 
di denti certe lamine flessibili, fornite di peli, e saldate alla ma- 
scella; queste laminette si chiamano fanoni. 

Nei Mammiferi l’osso mascellare superiore, che forma la ma- 
scella, è immobile. 

Mentre gli alimenti stanno masticandosi, si impregnano di un 
liquido detto scialiva. L'apparato che somministra questo liquido 
si compone di tre ghiandole, parotide, sublinguale e sottoma- 
scellare, e varia nello sviluppo secondo il genere di alimentazione. 
Nei Mammiferi acquatici è sviluppatissimo. 

La deglutizione si opera dalla faringe e dall’esofago, che ser- 
vono di condotto per portare il cibo nello stomaco. 

Quest’organo è unico in tutti i Mammiferi, ad eccezione dei 
Ruminanti*. Questi animali son forniti di quattro stomachi. Il 
primo più ampio ha nome rumiîne: occupa una gran parte del- 
l'addome. Gli alimenti vi rimangono per poco tempo, e passano 
nel reticolo o cuffia. Questo secondo stomaco dei Ruminanti è 
una piccola cavità collocata sul davanti del rumine, e riceve 
da quel serbatoio la materia alimentare. Dopo averla impre- 
gnata dei succhi maceratori la rimanda all’esofago, e di là nella 
bocca per subirvi una seconda masticazione. Gli alimenti poi 
scendono nel’'terzo stomaco, cui si è dato il nome di omaso, ed 
ha grandi pieghe longitudinali, che ne ricoprono la parete in- 
terna. La quarta cavità, che è il vero stomaco, ha ricevuto il 
nome di abomaso o centopelle, ed ha la proprietà, per via del 
succo gastrico che impregna la sua superficie, di coagulare 
o far rapprendere il latte. I tre primi stomachi, il rumine, 
il reticolo ‘e l’omaso, comunicano coll’ esofago, onde lasciar 
libero il campo agli alimenti acciò possano ritornare nella 
bocca. 

Dall’abomaso gli alimenti varcano un’apertura detta piloro, e 
penetrano negli intestini. Qui la massa alimentare abbandona 
tutti i suoi elementi nutritivi, e viene finalmente evacuata al 
di fuori. 

Secondo il genere di nutrimento, varia nei Mammiferi la lun- 
ghezza dell’intestino. Per conseguenza, nei carnivori non è lungo 
più di tre o quattro volte la lunghezza del corpo dell’ animale, 
mentre negli erbivori l’intestino offre da dodici a ventotto volte 
questa dimensione. 

L’apparato della circolazione del sangue ha per organo cen- 


' Oltre i Ruminanti, altri mammiferi hanno stomaco più o meno com- 
plicato; per esempio il Delfino (Nota del Trad.) 


MAMMIFERI 1 


trale il cuore, muscolo cavo e composto di quattro cavità: due 
orecchiette e due ventricoli. 

In tutti i Mammiferi il circolo del sangue è doppio; havvi 
un grande ed un piccolo circolo. Il sangue venoso che da tutte 
le parti del corpo giunge nell’orecchietta destra del cuore por- 
tato dalle vene cave passa nel ventricolo destro, che lo manda 
per mezzo dell’arteria polmonare fino ai polmoni. Qui si muta 
in sangue arterioso, vale a dire assorbe l’ ossigeno dell’aria 
poi ritorna nell’orecchietta sinistra, per mezzo delle vene pol- 
monari. Passa quindi nel ventricolo sinistro del cuore ed è 
spinto nell’arteria aorta, e di là in tutte le altre arterie, che lo 
distribuiscono in tutto il corpo. Da tutte le parti del corpo del- 
° l’animale il sangue ritorna poi dalle vene all’orecchietta destra 
del cuore, mercè una comunicazione che forma, fra le vene e 
le arterie, nell’interno dei tessuti, il sistema capillare. 

L’apparato respiratorio occupa, nei Mammiferi, la parte su- 
periore della cassa ossea formata dalle coste e dallo sterno. 
Questo apparato si compone dei polmoni, organi doppi sospesi 
dai due lati del petto e della trachea, che mette i polmoni in 
comunicazione coll’aria esterna. La trachea è un tubo membra- 
noso cilindrico, semplice dapprima, il quale poi si divide in due 
parti dette bronchi, che vanno a perdersi in un numero infi- 
nito di piccole ramificazioni in mezzo alla sostanza del polmone. 
Le diramazioni dei bronchi si possono comparare, per la forma, 
alle radici di un albero. Le pareti di queste ramificazioni dei 
bronchi sono formate da una membrana di tessuto smagliato 
permeabile all’aria, che lascia libero accesso all’aria in tutte le 
cellule del tessuto polmonare. Si è in questo tessuto che ven- 
gono a far capo i vasi capillari che debbono giungere alle vene 
polmonari; ed è in tal modo che il sangue venoso si trova 
esposto all’azione dell’ossigeno, che modifica la sua natura e lo 
muta in sangue arterioso. 

Il meccanismo della respirazione si compie mercè il solleva- 
mento delle costole e la contrazione del diaframma. 

Il diaframma è un muscolo piatto, che separa la cavità del- 
l’addome da quella del petto. Da una parte è attaccato alla co- 
lonna vertebrale, e dall’altra al fondo della impalcatura ossea 
fatta dallo sterno e dalle coste. Allorchè si contrae diminuisce 
il diametro trasversale del petto, aumentando il suo diametro 
antero-posteriore; allora, e per l’effetto della pressione atmosfe- 
rica, l’aria dalla bocca e dalle fosse nasali si precipita nei pol- 
moni, e seguendo la via dei bronchi, va e penetrare in tutte le 
cellule polmonari, Si è questo il fenomeno della inspirazione. 


8 MAMMIFERI 


In seguito, rilasciandosi il diaframma, le coste e le cellule pol- 
monari, mercè la loro elasticità, riprendono il loro posto e re- 
spingono i gas che le occupavano. Quest’altro fenomeno si dice 
espirazione. Durante il tratto di tempo in cui l’aria rimane nelle 
diramazioni del polmone, l’ossigeno dell’aria inspirato si .com- 
bina cogli elementi del sangue; per modo che la composizione 
del gas che esce dai polmoni è ben diversa da quella dell’aria 
inspirata. Il gas emesso dal polmone nella espirazione contiene 
minor copia di ossigeno, ed è carico di una notevole quantità 
di gas acido carbonico. | 
I movimenti respiratorii variano molto di frequenza secondo 
il mezzo in cui vive il Mammifero, secondo la sua statura, e 
secondo il suo vigore. 


Fra tutti gli animali i Mammiferi son quelli che dimostrano 
maggiore intelligenza; ma questa intelligenza differisce molto 
secondo gli animali. Essa si applica specialmente alla necessità 
della conservazione, alla ricerca del cibo, ed alla riproduzione 
della specie. Questa facoltà si manifesta pure in moltissime al- 
tre circostanze, come avremo campo a dimostrare con maggiori 
particolari procedendo in questo volume. 

Con stupenda cura e con una previdenza infinita, la natura 
ha provvisto a tutti i bisogni della vita dei Mammiferi. All a- 
nimale di indole mite e pacifica, cui fu vietata la lotta e il 
combattimento contro avversari troppo poderosi, essa diede i 
mezzi di evitare e di fuggire il suo nemico. Alcuni sono or- 
ganizzati a meraviglia per la corsa, come la lepre e la gazzella. 
Altri si nascondono in buchi sotterranei, che servono, loro nel 
medesimo tempo di ripostiglio per conservarvi le jprovviste pel 
tempo invernale; cosifatti animali sono il sorcio, la marmotta, ecc. 
Altri, come l’armadillo, presentano ai loro nemici una salda, 
corazza. Alcuni, rialzando la loro pelle irta, presentano al ne- 
mico una foresta di aculei. Non v’ha animale, per quanto sia 
debole, che non abbia le sue astuzie e i mezzi acconci per di- 
fendersi contro i più terribili nemici. Senza ciò tutte quelle 
deboli creature in breve sarebbero state distrutte. 

L’uomo ha ridotto in domesticità, ha piegato ad obbedirlo, 
onde farne buoni ausiliari per i suoi lavori, parecchie razze 
di Mammiferi. Nello stato di addomesticamento l’ animale si 
trasforma fisicamente, ed i suoi discendenti si modificano an- 
cora maggiormente. Insisteremo particolarmente, nel corso d. 
questo libro, sulle abitudini e sui costumi degli animali do- 
mestici. 


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Figurer. I Mammiferi. 2 


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MAMMIFERI 11 


La classificazione dei mammiferi seguita in questa opera è 
«quella di Cuvier, modificata dalle scoperte e dalle osservazioni 
moderne. 

Seguendo il sistema di parlare degli esseri meno perfetti, 
prima di venire ai meglio perfetti, noi distribuiremo i Mam- 
miferi incominciando da quelli che hanno meno complicata 
struttura, e venendo su mano mano ai più complicati. 

Comincieremo da quegli esseri singolari che stanno in mezzo 
tra gli Uccelli, i Pesci ed i Mammiferi, che si chiamano Orni- 
torinchi, e di cui Blainville ha fatto con ragione un ordine a 
parte, col nome di Monotremi. Studieremo poi i Marsupiali, che 
presentano una anomalia di organismo del tutto particolare. I 
piccoli, invece di nascere in stato perfetto, come il rimanente 
dei Mammiferi, nascono imperfetti, e sono conservati dalla ma- 
dre in una borsa speciale fino al tempo del loro completo 
sviluppo. { 

Dopo quest’ ordine di Mammiferi anormali verrà un ordine 
che presenta esso pure qualche anomalia di organizzazione; 
vogliamo parlare dei Mammiferi marini o Cetacei. Differenti in 
ciò dalla maggior parte dei Mammiferi, i Cetacei sono quasi 
tutti acquatici, e nella Balena, nel Capodoglio, ecc., le membra 
superiori ed inferiori sono talmente modificate che non ram- 
mentano per nulla la disposizione delle membra degli altri Mam- 
miferi. Tutte queste singolarità nella struttura spiegano il posto 
che accordiamo loro nell’ ordine della nostra distribuzione, fon- 
data sul perfezionamento progressivo della organizzazione. 

Dopo i Mammiferi marini collocheremo gli Anfibi ', i quali 
presentano la particolarità di essere costituiti in modo atto alla 
doppia vita terrestre ed acquatica. 

Dopo questa serie di ordini di Mammiferi, per così dire anor- 
mali, passeremo a mammiferi di una organizzazione più rego- 
lare, ma lontani ancora dall’avere tutte le disposizioni di strut- 
tura dei Mammiferi superiori; vogliam dire i Pachidermi e i 
Kuminanti, ai quali manca il senso del tatto 2, poichè l’ organo 


1 Il nome di Anfibi, che letteralmente significa, come qui pure è detto 
nel testo, animali che possono vivere nell’acqua e sulla terra, non si 
addice a questi Mammiferi, che sebbene si muovano nell’ acqua, hanno 
tuttavia. bisogno dell’aria atmosferica per la loro respirazione. Questo 
nome viene oggi più acconciamente dato dai naturalisti ad una intera 
classe di vertebrati, che una volta facevano parte della classe dei ret- 
tili (Nota del Trad.) 

2 L'organo del tatto non manca in questi Mammiferi, anzi in taluni è 
assai delicato. Vedi Nota 41 a pag. 5. (Nota del Trad.) 


12 MAMMIFERI 


principale di questo senso, vale a dire l’ estremità delle mem- 
bra, è sovente racchiuso in parte in un invoglio corneo detto 
zoccolo. i 

Coi Pachidermiì ed i Ruminanti entriamo in un piano di strut- 
tura organica già perfezionato, e questo carattere spicca sem- 
pre più col progredire nello studio dagli altri Mammiferi. Gli 
Sdentati sono quegli esseri singolari, designati coi nomi di Tar- 
digradi e di Armadilli, di cui € carattere distintivo l’assenza dei 
denti incisivi, e che hanno talora il corpo coperto di piastre 
scagliose. Ma i Carnivori, i Rosicanti, gli Insettivori, i Chirotteri 
non presentano più nessuna anomalia di organizzazione, e ri- 
spondono esattamente al tipo, per così dire normale, che rap- 
presenta questa classe di animali. | 

L’ ultimo ordine dei Mammiferi, quello dei Quadrumani, com- 
prende esseri superiori, per la loro organizzazione, al rimanente 
degli animali che testè abbiamo menzionato. Infatti sono prov- 
visti, per la maggior parte, di un organo di prensione e di - 
tatto che manca agli altri animali; hanno una mano, e questo 
carattere trae con sè un grado d’intelligenza più alto di quello 
che esiste in tutte le altre classi di animali. 

I Quadrumani sono il più alto scalino della scala animale. 
Con essi terminano gli animali, e nell’ ordine della creazione 
perfezionata, vien subito dopo l’ Uomo, essere superiore che 
non si deve punto comparare, ravvicinare, assimilare per nes- 
sun rig uardo all’ animale. 

Il quadro seguente riassume la classificazione dei Mammiferi 
che seguiremo in questo lavoro: 


14.° Ordine, Monotremi; 
2.° Ordine, Marsupiali ; 
3.° Ordine, Cetacei; 
4.° Ordine, Anfibi; 
o.° Ordine, Pachidermi; 
6.° Ordine, Ruminanti; 


7.° Ordine, 
8.° Ordine, 
9.° Ordine, 
10.° Ordine, 
11.° Ordine, 
12.° Ordine, 


Sdentati; 
Carnivori ; 
Rosicanti; 
Insettivori ; 
Charotteri ; 
Quadrumani. 


ORDINE DEI MONOTREMI 


Natura non facit saltus, ha detto Linneo. Ciò significa, in 
volgare, che fra tutti gli esseri viventi esistono gradazioni, 
transizioni, passaggi, che rendono difficilissima e talora impos- 
sibile una classificazione ben esatta. La natura fa transizioni, 
i naturalisti fanno divisioni, diremo noi; infatti non esistono 
negli esseri organizzati quelle divisioni nettamente decise che 
i naturalisti hanno inventato per agevolare gli studi. Ogni cosa 
nel creato si collega e si concatena. Gli esseri passano grada- 
tamente, senza scosse, senza sussulti, dall’ organizzazione più 
semplice alla più compiuta, dalla più grossolana alla più} com- 
plicata. La natura spiega ‘un’ arte infinita nell’ apparecchiare 
queste transizioni; con sfumature intermedie addolcisce ciò che 
vi potrebbe essere di troppo scabro nell’ opposizione di tinte 
assai differenti. Tutte le parti, quindi, della grande opera si 
fondono in una sublime armonia, che riempie di una giusta 
ammirazione l’ anima dell’ osservatore. 

Nel primo ordine dei Mammiferi troveremo una conferma 
sorprendente di queste idee. I Monotremi partecipano ad un 
tempo della natura dei Mammiferi, degli Uccelli e dei Rettili. 
Nei Monotremi, come negli Uccelli, 1’ orina, gli escrementi e i 
prodotti della generazione si evacuano da un orifizio comune 
detto cloaca. Il nome di Monotremi, che fu loro dato da E. Geof- 
froy Saint-Hilaire, esprime abbastanza bene questa capitale 
particolarità della loro organizzazione: significa in greco un 
solo foro (monos solo, trema foro). Tuttavia questo carattere solo 
non basterebbe a far riconoscere gli animali di cui parliamo ; 
perchè si osserva pure in certi Sdentati. Quindi Blainville 
ha creduto di sostituire alla denominazione precedente quella 
di Ornitodelfi, volendo in tal modo indicare che gli organi ri- 
produttori di questi Mammiferi e il modo in cui compiono la 
loro funzione generatrice, rammentano fino a un certo punto, 


14 MONOTREMI 


quello che segue negli Uccelli. Tuttavia questa denominazione 
non ha prevalso, e conserveremo la prima più conforme al- 
l’ uso. 

I Monotremi si avvicinano agli Uccelli anche per la loro 
bocca, la quale è sprovvista di denti, e termina a foggia di 
becco corneo e singolarissimo. 

Si avvicinano ai Rettili per la. forma della spalla, che pre- 
senta, come nei Saurii, una doppia clavicola. 

Per tutto il resto, sono veri Mammiferi. Hanno mammelle, 
invero rudimentali, ma che secernono un liquido latteo desti- 
nato a nutrire i piccoli. Queste ghiandole sono sprovviste di 
capezzoli e quindi son poco apparenti; il che spiega come per 
tanto tempo si potè negarne l’ esistenza. I Monotremi son for- 
niti di quattro membra unguicolate; il loro corpo è coperto di 
peli, e posseggono ossa marsupiali, come gli animali che com- 
pongono il secondo ordine. dei Mammiferi, sebbene queste ossa 
non sostengano, come in quelli, la borsa che distingue questi 
ultimi. | | 

Si è per un pezzo discusso se i Monotremi fossero ovipari 0 
vivipari. Oggi è ben riconosciuto che danno alla luce esseri vi- 
venti; ma non si può porre in dubbio che il loro modo di ge- 
stazione differisce sensibilmente da quello dei veri vivipari. 
Tutti i naturalisti sono unanimi nel dire che, per questo riguardo, 
rassomigliano molto ai vertebrati ovipari, vale a dire nei quali 
l’uovo si schiude nel seno stesso della madre, mercè una incu- 
bazione interna e diretta: così sono la vipera nei Rettili, e fra 
i Pesci le razze e gli squali. 

Finora non si conoscono che due famiglie di Monotremi: gli 
Ornitorinchi e gli Echidni. La scoperta di questi strani animali 
risale soltanto all’ anno 1792. 

L’Ornitorinco e l’Echidna abitano esclusivamente la Tasmania 
o Terra di Van Diemen e l’Australia, quel paese tanto singolare 
per la stranezza della sua fauna, e nel quale si direbbe che si 
sono conservati i tipi botanici e zoologici delle creazioni che 
appartengono alle epoche più antiche del nostro globo. 


FAMIGLIA DEGLI OrNITORINcHI. — Gli Ornitorinchi (becco d’ uc- 
cello, dai due vocaboli greci ornis, uccello, e rinchos, becco) sono 
animali organizzati. per la vita acquatica. I loro piedi hanno 
cinque dita, terminate da forti unghie. I piedi anteriori sono 
compiutamente palmati, e la membrana interdigitale vi è svi- 
luppatissima, perchè sporge oltre le unghie. La coda è larga, 
di iunghezza media, e piatta inferiormente per agevolare il 


ORNITORINCHI 15 


nuoto. Il becco è piatto e si può paragonare senza troppa inve- 
rosimiglianza a quello del cigno o dell’anitra. Due grosse pro- 
tuberanze cornee, poste ad ogni mascella, sostituiscono i mo- 
lari. Il loro pelame è abbastanza fitto, e di color bruno più o 
meno rossiccio. 

Nei maschi il calcagno delle na posteriori è munito di 
uno sprone, con un foro alla cima. Questo sprone manda fuori, 
a piacimento dell’ animale, un liquido, cui secerne una ghian- 
dola collocata lungo la coscia, e con cui lo sprone comunica 
mercè un grande condotto sottocutaneo. Si son fatte varie con- 
getture sull’ ufficio di questo sprone e del liquido che sommi- 
nistra. Si è pensato per un pezzo che esso costituisse un’ arma 
offensiva e difensiva, e che la secrezione fosse velenosa, come 
quella dei denti di certi serpenti. Ciò che aveva dato ori- 
gine a questa interpretazione era il racconto di un accidente 
accaduto ad un cacciatore, in conseguenza della puntura di un 
Ornitorinco, racconto che fu trasmesso nel 1817 alla Società 
linneana di Londra da sir John Jameson, residente allora in 
Australia. Si narrava che il braccio del cacciatore erasi imme- 
diatamente enfiato dopo la ferita, e che tutti i sintomi di un 
avvelenamento in modo analogo a quello dei serpenti eransi 
dichiarati. Il male aveva ceduto dopo l’ applicazione esterna di 
olio e l’uso interno dell’ammoniaca; ma ci era voluto un mese 
prima che quell'uomo Da PRI libertà dei suoi mo- 
vimenti. 

Molti viaggiatori moderni negano che lo sprone dell’ Ornito- 
rinco sia un’arma pericolosa; alcuni anzi asseriscono che non 
ne fa mai uso per difendersi. Senza dubbio la verità sta nella 
relazione del signor Verreaux. Secondo questo naturalista, il li- 
quido secreto dalla ghiandola che comunica collo sprone non 
ha nulla di velenoso. L’organo di cui parliamo, sviluppatissimo 
nei maschi, è al tutto rudimentale nelle femmine, ove scompare 
interamente cogli anni. 

Infine, nulla v’ ha di più singolare della organizzazione di 
questo animale, che partecipa dell’Uccello, del Pesce, del Rettile, 
del Mammifero, e che sembra creato per far disperare i classi- 
ficatori. 

L’Ornitorinco abita le sponde dei laghi e dei fiumi della Nuova 
Olanda e della Terra di Van Diemen. Quest’animale si scava delle 
tane, da cui esce pochissimo durante il giorno. Tuttavia non è del 
tutto notturno. Allorchè ha una famiglia da allevare, crescendo 
l’ energia del bisogno, egli si arrischia benissimo alla luce del 
sole. Nuota in modo da destare invidia ai pesci, e corre sulla 


16 MONOTREMI . 


terra con pari sveltezza. Però debbono venire ‘sovente alla su- 
perficie dell’acqua per respirare. Si nutrono di larve acquatiche, 
di vermi e di molluschi. Anche il limo del fondo basta a tenerli 
in' vita, in mancanza di altro cibo. Quando si vuol. prenderli 
essi cercano di mordere, ma il loro becco è troppo debole per 
poter far male. Si è in fondo alla loro tana, in una specie di 
nido fatto di radici intrecciate, che le femmine depongono. i 
piccoli. Il signor Verreaux ha segnalato pel primo il loro modo 
di allattamento. Sembra che la madre si faccia seguire nell’acqua 


Fig. 3. Ornitorinco paradossale. 


dai piccoli, e versi allora intorno a. sè il suo latte; il liquido 
galleggia ed è in breve assorbito dai giovani animali. Questo 
modo di procedere, che non ha nulla di analogo in nessun al- 
tro ordine di Mammiferi, basterebbe a rendere l’Ornitorinco una 
delle più sorprendenti bizzarrie della natura. 

Quest’ animale sembra molto restio alla schiavitù. Il signor 
Bennett ne ha posseduto due piccoli, che aveva preso egli stesso 
in una tana: e quantunque non li avesse tolti dal loro paese 
nativo e prodigasse loro le cure più assidue, non riuscì a 


conservarli; morirono in capo a cinque settimane di prigio- 


ORNITORINCHI. — ECHIDNI L7 


nia. Erano, dice il signor Bennett, di umore vivacissimo e scher- 
zavano come giovani gatti, si compiacevano di sguazzare in 
un piatto pieno d’acqua adorno di un ciuffo di erba; dormivano 
molto, specialmente di giorno. Il loro cibo consisteva in pane 
bagnato nell’acqua, uova sode, carne sminuzzata finamente. 

‘ Finora non si conosce che una sola specie di Ornitorinco: 
l’Ornitorinco paradossale (fig. 3), animale del volume di una pic- 
cola lontra, indicato dai coloni australesi col nome di Talpa di 
fiume. Nessun individuo vivo è stato finora portato in Europa. 


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Fig. 4. Echidna spinoso. 


FAMIGLIA DEGLI EcHipNI. — Gli Echidni hanno il corpo tozzo 
e basso sulle zampe, la coda cortissima, il becco e la lingua 
stretti ed allungati, le dita munite di unghie scavatrici, il dorso 
coperto di aculei più duri di quelli del riccio, e frammisti di peli 
morbidi. I maschi hanno uno sprone come gli Ornitorinchi. Abi- 
tano in terreni sabbiosi, vi scavano tane e si nutrono di for- 
miche che acchiappano introducendo la lingua, ritoperta di un 
umore vischioso, nelle dimore di questi insetti. Da ciò il nome 
di Miîrmecofagi (mangiatori di formiche) che venne loro dato, 
ma che fu loro tolto onde non confonderli coi formichieri. 
FiGuiER. I Mammiferi. , kh) 


18 MONOTREMI 

Non si hanno maggiori ragguagli intorno agli Echidni. Al- 
cuni di questi animali vissero per qualche settimana in ischia- 
vitù a bordo di varie navi. Per lo più stavano immersi in un 
certo torpore, ravvoltolati su loro stessi, come i ricci. Ma non 
erano selvatici; anzi sembravano aver gusto ad essere acca- 
rezzati. I signori Quoy e Gaimard, che portavano sulla loro 
nave, l’Astrolabio, uno di questi animali, lo nutrivano con li- 
quidi zuccherati. Il signor Eydoux, che ne osservò uno per un : 
certo tempo, sulla Favorita, crede che si potrebbe benissimo 
portare Echidni vivi in Europa, giacchè al minimo freddo ca- 
dono in letargo. 

L’Echidna spinoso (fig. 4), la sola specie di questa famiglia, è 
grosso due o tre volte il riccio; sì trova nelle stesse isole in 
cui stanno gli Ornitorinchi. 


ORDINE DEI MARSUPIALI 


I Marsupiali, detti anche Didelfi nella classificazione di Blain- 
ville, sono caratterizzati dalla esistenza nella parte anteriore del 
bacino di due ossi lunghi, stretti, articolati e mobili, che ser- 
vono nelle femmine a sostenere, almeno nella maggior parte 
della specie, una borsa collocata sotto l’addome, e detta borsa 
marsupiale (da marsupium, borsa). Questi ossi, cui fu dato il 
nome di ossa marsupiali, non sono una prerogativa assoluta 
delle femmine; appartengono anche ai maschi. Gli animali che 
ne sono provvisti costituiscono dunque una fortissima ano- 
malia fra i Mammiferi, tanto più che questa modificazione 
dello scheletro si rannoda ad un modo speciale di riproduzione. 

Nei Marsupiali, infatti, i piccoli non escono dal seno della 
madre al tutto compiuti, come succede negli altri Mammiferi; 
son mandati fuori prima del tempo, e finiscono di svilupparsi 
nella borsa addominale. Quindi, due fasi nella gestazione : la 
gestazione uterina, e la gestazione marsupiale; la prima rela- 
tivamente breve, la seconda molto più lunga. Bisogna dunque, 
in questi animali, distinguere, per così dire, due nascite, una 
che coincide colla venuta del piccolo nella borsa, l’ altra colla 
sua uscita da quella culla naturale e il suo contatto col mondo 
esterno. La durata della gestazione, considerata nei suoi due 
elementi, varia secondo le specie. Nei Kanguri, il feto è portato 
nella borsa circa trentotto giorni dopo la fecondazione, e vi 
soggiorna otto mesi. 

Non è già, come si potrebbe credere, per via di una forza 
interna, per una azione muscolare più o meno energica, che 
si opera il trasporto dei piccoli nella borsa marsupiale. Secondo 
gli sperimenti di un dotto anatomico inglese, il signor Owen, 
la madre stessa ve li attira, afferrandoli colle labbra. Ecco 
come procede in questa circostanza. Applicando con forza le 
due zampe anteriori sui margini della borsa tira questi mar- 


20 MAMMIFERI 


gini in senso contrario, per distenderli ed allargare l’apertura, 
come si fa quando si vuol aprire una borsa. Introduce poi il 
suo muso nella saccoccia, e coricandosi in terra, per assumere 
la posizione più acconcia, estrae il feto, che ha già percorso 
la prima fase della sua vita. In seguito, senza mai adoperare 
le membra, lo trasporta sopra una delle mammelle, ove non 
potrebbe giungere da sè solo, e ve lo tiene fermo finchè abbia 
afferrato il capezzolo. A questo punto il piccolo non ha più bi- 
sogno dell’aiuto della madre, aderisce fortemente alla mammella 
e non può esserne separato che con violenza esterna. Tuttavia 
non è ancora capace di nutrirsi colle sole sue forze, vale a 
dire, non può succhiare il latte che deve alimentarlo. Onde 
por riparo a questa causa di deperimento la femmina è prov- 
vista di un muscolo, le cui contrazioni sulla mammella produ- 
cono l'iniezione del latte nella bocca del piccolo. 

Da ciò che abbiamo detto si scorge che la differenza essen- 
ziale che passa fra i Marsupiali e gii altri Mammiferi consiste 
in ciò: che i loro piccoli esigono un nutrimento mammale in 
un tempo molto meno avanzato del loro sviluppo. Gli ossi mar- 
supiali e la borsa cui essi sostengono, non sono che la conse- 
guenza di questo bisogno. 

Durante il secondo periodo della gestazione, l’organizzazione 
si compie; il nuovo individuo va avvicinandosi man mano alla 
sua forma e costituzione definitiva. Nel Kanguro i peli com- 
paiono al sesto mese. Al principio dell’ ottavo mese il piccolo 
Kanguro sporge sovente il muso allo sportello, vale a :dire 
solleva il capo dalla borsa marsupiale, e comincia la sua pros- 
sima e vera esistenza, abboccando qua e là l’erba fresca. Final- 
mente entra nel mondo, e si arrischia a saltellare timidamente 
dietro a sua madre. Comincia a vivere per conto proprio: ma 
per qualche tempo ancora ritorna all’ asilo primiero, sia per 
rifugiarvisi in caso di pericolo, sia per supplire col latte ma- 
terno all’ insufficiente cibo che le sue deboli forze gli hanno 
permesso di procurarsi. Allora si può vedere il latte succhiato 
nel tempo stesso da grandi figliuoli quasi emancipati e da de- 
boli creature che vengono da parti più recenti e appese alle 
loro rispettive mammelle. Si è per questa ragione che le fem- 
mine dei Marsupiali posseggono sempre un numero di mam- 
melle superiore a quello dei piccoli di ogni parto. 

Quasi tutti i Marsupiali appartengono esclusivamente all’Au- 
stralia, ove d’ altronde non si trovano molti altri Mammiferi. 
Alcune specie sono sparse nelle isole vicine; e finalmente una 
sola famiglia, quella delle Sarighe, abita l'America. 


MARSUPIALI 21 

Ciò che v’ha di prodigioso si è, che si ritrova in questo or- 
dine una serie di gruppi analoghi a quelli dei Mammiferi or- 
dinari: Insettivori, Rosicanti, Carnivori, Ruminanti, Quadru- 
mani. Non s’ingannava dunque il Cuvier allorchè nel 1829 
scriveva nel suo Régne animal ciò che segue : « Si direbbe che 
i Marsupiali formano una classe a parte, parallela a quella dei 
Quadrupedi ordinarii, e divisibile in ordini simili. » 

Questa opinione è stata ancora confermata dalla scoperta de- 
gli avanzi fossili appartenenti a specie grossissime che dovevano 


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Fig. 5. Vombato. 


corrispondere ai nostri Pachidermi. Il signor Owen ha fatto 
conoscere due specie di fossili di questo genere, che erano grandi 
all’ incirca come un cavallo. 

| Si sono trovati parimente degli avanzi di Marsupiali nelle 
cave di gesso dei dintorni di Parigi, nell’Alvernia ed in Inghil- 
terra. Nei tempi geologici dunque l’ Europa ha posseduto ani- 
mali colla borsa ventrale, e forse in quell’epoca remota i Mar- 


supiali formavano una intera classe parallela a quella dei Mam- 
miferi, come ha detto Cuvier. i 


22 MARSUPIALT 
L’ordine dei Marsupiali si divide in quattro famiglie: i Fa- 
scolomi, i Sindattili, i Dasiuri, e le Sarighe. 


FAMIGLIA DEI FascoLomi 0 VomBatI. — I Fascolomi, o Vom= 
bati, rappresentano i Rosicanti fra i Marsupiali. Come questi, 
sì distinguono per la mancanza dei denti canini, e per uno 


Fig. 6. Kanguro gigante. 


spazio vuoto che esiste fra gl’incisivi ed i molari. Le loro dita, 
in numero di cinque ad ogni estremità, sono fornite di unghie 
acconce a scavare. 

Non si conta che un genere in questa famiglia, e questo ge- 
nere non contiene che una sola specie: è il Vombato (fig. 5). 

Il Vombato è un animale tozzo, senza coda, dal capo largo, . 
dal pelame fitto, dalla andatura plantigrada. Ha orecchi corti ed 
occhi mediocri. Si scava le sue tane e si nutre di sostanze vegetali, 
specialmente di radici. Di carattere dolce, ma stupido, potrebbe 
agevolmente essere addomesticato, e sarebbe atto a fornire al-. 
l’uomo buoni guadagni, perchè la sua carne è buona, ed il suo 
pelame, sebbene grossolano, si potrebbe adoperare. Metterebbe 


MARSUPIALI 230: 


conto tentare di acclimarlo in Europa. Esso abita la Nuova 
Olanda e la Tasmania. É grosso come un cane ordinario. 


FAMIGLIA DEI SINDATTILI. — I Sindattili (dita riunite, dalle 
voci greche sin, insieme, e dactilos, dito) son così chiamati 
perchè hanno il secondo ed il terzo dito delle membra poste- 
riori riuniti fino all’ unghia da una pelle comune. Del resto 

- il numero delle dita varia secondo 
i generi. I Sindattili vivono sulla 
terra o sugli: alberi; la maggior 
parte sono erbivori o frugivori ; al- 
cuni si cibano d’ insetti. Compren- 
dono quattro generi: i Kanguri, le 
Falangiste, i Tarsipedi e i Perameli. 

Kanguri. — Il carattere più saliente 
dei Kanguri (in lat. Halmaturus) sta 
nella sproporzione fra le membra 
anteriori e le posteriori. Mentre le 
prime sono corte e deboli, le seconde 
sono notevolmente lunghe, grosse 
e robuste. Da ciò il nome di Ma- 
cropodì (piedi grandi) che certi scrit- 
tori danno ai Kanguri. 

La coda è lunga e forte. In certo 
modo costituisce un quinto membro, 
che agevola, 


i ge ai Kanguri 
ue 1% il modo di 
i = locomozio - 
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i a) ne che € lo- 
Fig. 7. Scheletro di Kanguro fuliginoso. ro partico- 
lare. 


La figura 7 dimostra con evidenza la struttura della impal- 
catura organica del Kanguro, la sproporzione che esiste fra le 
sue membra anteriori e posteriori. Vi si osservano pure le due 
ossa dette marsupiali. : | 

- Secondo le circostanze, questi animali camminano o saltellano 
e in ambi i casi la loro coda ha un ufficio importante. Per tam- 
minare cominciano a posare a terra le quattro zampe, poi ap- 
poggiandosi‘sulle anteriori, e sulla coda, tesa come una rigida 
verga, sollevano la parte posteriore del corpo, riaccostano ad 
un tempo le zampe di dietro a quelle anteriori e portano in- 
‘“nanzi queste, per ricominciare la stessa manovra, e così di 


24 MARSUPIALI 


seguito. Si comprende che in tal modo non possono progredire 
molto velocemente; quindi si appigliano ad un altro partito’ 
allorchè sono inseguiti o vogliono superare un ostacolo. Allora 
le zampe anteriori non hanno verun ufficio; stanno penzoloni 
lungo il corpo. Seduto sulle zampe posteriori, colla coda rigida 
ed appoggiata sulla terra, come la tiene mentre cammina, l’a- 
nimale salta, quasi fosse spinto da una molla, e va a dere un 
po’ più in là, ove ripete lo stesso esercizio, e così indefinita- 
mente finché gli piaccia di fermarsi. Le grandi specie di Kanguri. 
fanno salti lunghi fino a dieci metri e si sollevano all’ altezza 
di due o tre metri. Curiosissima cosa è vederli attraversare lo 
spazio colla velocità di una freccia, e simili al gigante della mi- 
tologia, riprendere nuovo vigore ogni qual volta toccano terra. 

Per compiere la descrizione del. Kanguro diremo che ha il 
muso aguzzo, le orecchie grandi e diritte, il corpo snello sul 
davanti, e molto grosso invece nella parte posteriore; — che ha 
solo quattro dita alle estremità posteriori, e che uno di questi 
diti è fornito di un’unghia formidabile; — che il suo pelame 
è di peli morbidi sul capo, sulla coda, e di peli lanosi sul 
resto del corpo; — finalmente che il suo regime è essenzial- 
mente erbivoro. 

I Kanguri abitano l'Australia e la Terra di Van Diemen, solo 
alcune specie si trovano nella Nuova Guinea. Vivono in pic- 
cole schiere, sotto il comando, si dice, dei vecchi maschi, e 
preferiscono rimanere nei luoghi boscheggiati. Le femmine 
partoriscono uno o due piccoli al più per volta. La loro carne 
@ squisita; quindi si fa loro una caccia attiva, per la quale si 
ammaestrano a bella posta i cani. 

La coda di questi animali non è soltanto un apparato di 
propulsione, ma serve loro anche di arme di difesa. 

Si son veduti parecchie volte certi Kanguri, inseguiti dai cani, 
dare a questi forti codate. Ma ciò che li protegge ancor più 
efficacemente di questo organo contro le imprese dei loro ne- 
mici è l’ unghia poderosa che termina il loro dito anulare po-. 
steriore. Geoffroy Saint-Hilaire dice che, per adoperarla, si riz-. 
zano contro un albero, ove si appoggiano colle loro zampe 
anteriori, mentre d’altra parte si sostengono sulla coda. Quel- 
l’albero, o qualunque altro ostacolo abbastanza alto, è loro ne-. 
cessario, poichè movendo sempre ad un tempo ogni paio di 
membra, non possono appoggiarsi sopra l’uno e adoperare. 
l’altro per combattere. 

Allorchè si impegna la lotta fra due Kanguri, allora le cose: 
seguono molto più semplicemente. Gli avversari stanno ritti 


KANGURI 25 


l’uno contro l’altro, faccia contro faccia, e, sostenuti solo dalla 
coda, si lacerano il ventre, come potrebbero farlo due buoni 
Giapponesi, I soli maschi si battono in tal modo fra loro. 

I Kanguri si adattano facilmente alla schiavitù, sopportano a 
meraviglia il clima dell'Europa e si riproducono anche nei no- 
Stri serragli. Sarebbe dunque da desiderare che si propagassero 
coi mezzi più acconci nei nostri paesi, come si è già cominciato a 
farein Inghilterra; tanto più, ha detto con ragione il signor Flo- 
rent-Prévost, ch’essi si segnalano pel grande sviluppo delle parti 


K!LDIBRAND sa | M ECHEL ) 
Fig. 8. Kanguro ratto. 


di cui la carne è più stimata, come i lombi, le natiche e Je co- 
scie. Certe specie hanno inoltre una bellissima pelliccia e molto 
apprezzata. Si potrebbero allevare in domesticità e lasciarli vi- 
vere liberamente allo stato selvatico insieme colle lepri, coi co- 
nigli e coll’altra selvaggina. 

Si conoscono presso a poco cinquanta specie di Kanguri, che 
hanno varia statura. Alcuni sono più lunghi di un metro, come 
il Kanguro gigante (fig. 6), il Kanguro lanuto, ecc. Altri, e sono 
in maggior numero, non oltrepassano la lunghezza di un me- 
tro. Finalmente havvene taluni di statura tanto piccola che si 

FiGuier. I Mammiferi. 4 


26 MARSUPIALI 
è loro dato il nome di Kanguri ratti (fig. 8); si chiamano an- 
che Potorù. | 
Falangiste. — Gli individui che appartengono al gruppo delle 
Falangiste (in fr. Phalanger, ted. Kuskus) si avvicinano alle scim- 
mie per alcuni caratteri, per le forme generali e pel genere dì 
vita, di cui sembrano infatti essere i rappresentanti in Austra- 
lia. Hanno il pollice delle membra posteriori opponibile alle al- 
tre dita e sprovvisto d’unghia; la maggior parte hanno la coda 
prensile, come le scimmie di America: Abitano le foreste, sî 


Fig. 9. Koala (orso d’Australia). 


arrampicano con sveltezza sugli alberi e si nutrono di frutta, 
alle quali uniscono talora uova di uccelli e di insetti. Si dà 
loro la caccia e si mangiano, sebbene mandino un odore sgra- 
devole. Sono di statura piccola e mezzana. ‘MERI 

Si dividono in tre gruppi: Fascolarti, Falangiste propriamente 
dette e Petauri. 

I Fascolarti hanno per carattere principale la mancanza della 
coda. Non se ne conosce che una sola specie, detta Koala (fig. 9). 

Le Falangiste vere hanno coda prensile; la specie principale 
è il Cuscà, che abita le isole dell’arcipelago Indiano. La fig. 10 


FALANGISTE, TARSIPEDI, PERAMELI, DASIURI 27 


rappresenta la Falangista fuliginosa. Finalmente i Petauri, o Fa- 
tangiîste volanti, sono forniti di una membrana a foggia di ala 
tra i fianchi e si sostengono nell’aria come gli scoiattoli volanti. 

. Tarsipedi e Perameli. — V’ha poco da dire intorno ai Tarsi- 
pedi ed ai Perameli *. Sono piccoli Marsupiali che hanno, spe- 
cialmente i primi, molta analogia colle Falangiste. 

Il Tarsipede rosirato è un grazioso animale, grosso appena 
come un sorcio, dal muso allungato a foggia di becco, e che si 
mutre, non solo d’insetti, ma anche del nettare dei fiori. 


e — Ò 
4 S/N 


Fig. 10. Falangista fuliginosa. 


I Perameli non vivono sugli alberi; hanno unghie robuste, e 
si scavano gallerie, nelle quali si rintanano. Gli insetti e le ra- 
dici sono il loro principale nutrimento. Non hanno il pollice 
posteriore opponibile. 


| Famistia DEI Dasiuri. — I Dasiuri ?, veri carnivori dell'ordine 
dei Marsupiali, non vivono che di sangue e di rapina. Hanno 


; 


4 In ted. Beuteldachs. _ 2.In ted. Raulschwanz. 


23 i MARSUPIALI 


le tre sorta di denti, un pollice mancante o rudimentale alle: 
estremità posteriori, unghie aguzze, la coda lunga e molto pe- 
losa, ma non mai prensile. I loro costumi sono più o meno not- 
turni. Alcuni giungono ad una statura assai grande, e son 
molto temuti dai coloni australesi, che li considerano come : 
certe specie di veri carnivori. Questa famiglia comprende i ge- 
neri Tilacino, Sarcofilo, Dasiuro propriamente detto e Fascogalo. 
L’unica specie del genere Tilacino è il Tilacino Cinocefalo 
(fig. 11), il più forte e il più feroce di tutti i Marsupiali. È co- 


Fig. 41. Tilacino cinocefalo. 


mune in Tasmania, ove si compara sovente al lupo, del quale 
possiede, del resto, la statura e gli appetiti sanguinarii. Come il” 
lupo, si avventa spesso sulle gregge di pecore che gli porgono” 
facile preda. Comunissimo sul litorale, si nutre principalmente, 
dicesi, di avanzi animali che il mare ricaccia sulle SpORLo 
mangia pure i granchi. 

Sebbene meno grossi dei precedenti, i Sarcofili hanno lo stesso” 
istinto di distruzione e il medesimo gusto per la carne: il loro 
nome lo dice. Havvene una sola specie, il Sarcofilo orsino, che 


DASIURI. — SARIGHE i 29. 
abita la terra di Van Diemen, e che i coloni inglesi di quel. 
paese chiamano Diavolo. | 

Quest'animale è di una selvatichezza e di una stupidità inau- 
dita; invano si cercherebbe di addomesticarlo. Ha il corpo tozzo, . 
robusto, è grosso come il tasso, e fa la caccia al pollame; ag- 
gredisce anche i piccoli quadrupedi. ITROTE, 

. Pel suo volume e pel complesso delle sue abitudini, il Da-, 
siuro, propriamente detto (fig. 12) rammenta le martore, le puz- 
zole, le viverre, ecc. Ha il pelo morbido, abbondante, e in ge- 


Fig. 12. Dasiuro. 


nerale macehiettato. Si nutre di piccoli mammiferi e di uccelli 
che va a prendere nei loro nidi. Come i Sarcofili, i Dasiuri 
fanno molti danni al pollame domestico. 

I Marsupiali che compongono il genere Fascogalo sono tutti. 
piccolissimi e piuttosto insettivori che carnivori. Stanno quasi 
sempre sugli alberi, e colà vi cercano il loro nutrimento. Va- 
riano di grossezza dal ghiro al surmolotto. 


‘FamieLIA» DELLE SarIGHE. — Le Sarighe sono le specie di 
Marsupiali più anticamente conosciute. Appartengono . esclu-' 


30. È —— MARSUPIALI 


sivamente al nuovo mondo, ove sono sparse dagli. Stati Uniti 
fino alla Patagonia. Sono animali rampicanti che hanno l’ap- 
parenza ed il regime dei carnivori e di cui la statura non 
supera quella del nostro gatto domestico. Hanno il pollice op- 
ponibile e non unguicolato alle quattro estremità, e ‘general- 
mente la coda nuda e prensile. La loro bocca, largamente fessa, 
è munita di cinquanta denti, costrutti a meraviglia per dilaniare 
la preda viva. Sono crepuscolari o notturni: durante il giorno 
rimangon nascosti in mezzo ai cespugli, nei cavi degli ‘alberi 


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Fig. 45. Sariga di Virginia femmina coi suoi figli. 


o sui rami. Si nutrono di piccoli quadrupedi, d’uccelli, di uova, 
di insetti, di molluschi ed anche di frutta, o di giovani germo- 
gli vegetali di cui suggono la linfa. Le femmine sono fecondis- 
sime, in ogni parto danno alla luce da dieci a quindici piccoli. 
ed accudiscono la loro figliuolanza con affetto incredibile, af- 
fetto che Florian ha descritto tanto bene nella sua bella favola 
La sarîga e î suoi piccoli. 

. La specie più grossa e più comune è la Sariga. di. Virginia 
(fig. 13) o Sariga dalle orecchie bicolori, chiamata anche . Opos- 


SARIGHE 31 


sum dagli Americani. L’Opossum ha una predilezione partico- 
lare per le uova di tacchino selvatico, e le cerca avidamente. 
Talora si introduce nei cortili ove si tiene il pollame, e allora 
vi fa una strage spietata. Se viene sorpreso dal massaio sul 
fatto, si corica in terra, fa le viste di esser morto, e si piglia 
le bastonate senza muoversi; ma appena l’uomo, credendo di 
averlo utciso, se ne va; il ladro fugge in fretta e ritorna alla 
foresta. L’Opossum è molto selvatico e non si riesce ad addo- 
mesticarlo. 

La Sariga granchiaiola è una specie grossa quasi come la 
precedente, e deve il suo nome al suo nutrimento speciale. 
Siccome abita le spiagge del mare, si nutre sopratutto di gran- 


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= 


—esestre, — === ===: gEvaLet., 
Fig. 14. Chironetto Oyapock. 


chi, che pesca con molta destrezza. Si trova al Brasile e alla 
Guiana. 

Buffon descrisse, col nome di piccola Lontra della Guiana, 
una specie di Sariga, grossa appena come un surmolotto, e 
che va debitrice della facoltà di nuotare come le lontre alla 
palmatura delle sue zampe posteriori: è questa il Chironetto 
Oyapock (fig. 14) dei naturalisti moderni, che l’hanno innalzata 
alla dignità di genere, a motivo di questa particolarità. 

Si è fatto pure un altro genere Micurè, per un certo numero 
di specie, le quali invece della saccoccia addominale hanno 
una semplice ripiegatura della pelle, che non basta a proteg- 
gere i piccoli durante la gestazione mammale. Tuttavia il modo 


32 MAMMIFERI 

di generazione è lo stesso in questi Marsupiali come ‘negli al- 
tri; se non che, quando cominciano a camminare e qualche 
‘pericolo li minaccia, i piccoli, invece di ricoverarsi nel seno 
‘della madre, come fanno i piccoli Kanguri, gli Opossum, ecc., 
salgono sul dorso di questa e vi rimangono in equilibrio av- 
: voltolando la loro coda intorno alla coda materna. Questo spet- 
tacolo attira vivamente la curiosità dei viaggiatori che lo osser- 
vano per la prima volta. 


‘60UBI) VUO]CY ‘GI ‘St 


20 


Ficuier. I Mammiferi. 


ORDINE DEI CETACEI 


I Cetacei sono animali essenzialmente acquatici, che somi- 
gliano ai pesci, ma che appartengono, in realtà, pel complesso 
della struttura, alla classe dei Mammiferi. Infatti, sarebbero pe- 
sci ben singolari questi esseri che hanno mammelle per allat- 
tare i loro piccoli, che non respirano per branchie, ma per 
polmoni, che hanno un cuore fornito di due ventricoli e di due 
orecchiette. 

I Cetacei son dunque mammiferi. Soltanto, invece di essere 
organizzati in modo da vivere sulla terra, sono meraviglio- 
samente conformati per le condizioni del mezzo acquatico; acqui- 
stano sovente dimensioni enormi, e sono i giganti del reguo 
animale. 

Il loro corpo, foggiato più o meno in forma di fuso, termina 
posteriormente con una coda che si allarga in modo da for- 
mare una natatoia; questa natatoia è trasversale, e non verticale 
come nei pesci. Questa coda è il motore principale di quelle 
masse viventi. 

Sul dorso dei Cetacei si vede sovente un’altra pinna, che non 
è altro che una modificazione della pelle. 

I Cetacei non hanno membra posteriori. Le anteriori sono 
trasformate in pinne, che son poco utili per muoversi in mezzo 
alle acque, e l’ ufficio principale delle quali è certo quello di 
equilibrare i loro movimenti. Queste membra anteriori mutate 
in remi presentano in fondo la medesima struttura del membro 
corrispondente in altri Mammiferi, come la zampa del cane, 
l'ala del pipistrello, ecc. 

Generalmente le narici di questi animali si aprono nella parte 
superiore del capo. Mercè la disposizione delle narici che sono 
più superficiali della bocca, questi animali possono aspirare 
l’aria senza uscire troppo dall’acqua. Questi stessi organi com- 
piono anche un’ altra funzione, di cui parleremo in breve. 


36 CETACEI 


La pelle dei Cetacei è per solito sprovvista di peli, ciò che è 
raro nei Mammiferi. I loro denti sono generalmente conici, 
uniformi e numerosi. Tutti i loro tessuti, ma in ispecial modo 
il tessuto cellulare sottocutaneo, sono compenetrati di grasso. 
Hanno sangue caldo. Gli emisferi cerebrali sono sviluppatissimi 
e ripiegati in numerose circonvoluzioni. 

Questi sono i principali tratti caratteristici dei Mammiferi 
che compongono l’ ordine dei Cetacei. 

Comparati ai Cetacei, i più grossi animali appaiano piccoli; 
nondimeno questi esseri colossali nuotano con somma velocità. 
Mercè l’ aria racchiusa nel loro petto, la grande copia di grasso 
di cui son pregni tutti i loro tessuti, e la robustezza del remo 
caudale, si muovono agevolmente in mezzo alle onde, vi fan 
caccia vorace di pesci, di molluschi e di crostacei, di cui fanno 
un enorme consumo. een 

La caccia dei grossi Cetacei origina spedizioni nautiche im- 
portantissime, e somministra all’ industria olii animali, fibre 
elastiche ed avorio. 

Quest’ ordine si divide in due famiglie, che si distinguono pel 
loro regime, pei denti, e specialmente per la posizione delle na- 
rici. Sono i Cetacei veri e i Cetacei erbivori. Queste due famiglie 
comprendono circa ottanta specie, quasi tutte marine. 


FAMIGLIA DEI CETACEI VERI. — I Cetacei veri hanno le narici 
collocate sulla parte superiore del capo, e le loro fosse nasali 
offrono una particolare disposizione, che permette a questi ani- 
mali di lanciare una colonna d’acqua al disopra del capo. L’an- 
gusta apertura delle narici dei Cetacei veri ha ricevuto un nome 
particolare: si chiama sfiatotoio. Le loro mammelle son collocate 
presso il termine del corpo. Hanno i denti aguzzi quando 
ne sono forniti; ma per lo più i denti sono sostituiti da un’ar- 
matura al tutto speciale della macchina di cui dobbiamo occu- 
parci. Il regime di questi animali è carnivoro. 

La famiglia dei Cetacei veri si divide in due tribù, che è fa- 
cile distinguere per la grossezza relativa del capo: la tribù dei 
Balenidi, nella quale la testa costituisce da sola il terzo o la 
metà della lunghezza totale dell'individuo, e quella dei Delfinidi, 
nella quale nella testa è proporzionata al corpo. 

I Cetacei della tribù dei Balenidi vanno debitori dello svi- 
luppo enorme del capo, non al cervello nè al cranio, che con- 
servano le loro proporzioni ordinarie, bensì alle ossa della 
faccia, che prendono dimensioni straordinarie. Questi compren- 
dono il genere Balena e il genere Fisetere o Capodoglio. 


BALENOTTERE E BALENE ST 


Le Balene. — Le Balene si dividono in due gruppi, le Bale- 
nottere e le Balene propriamente dette. 

Le Balenottere 1 hanno il capo meno grosso delle balene, una 
natatoia dorsale più o meno grande, e ripiegature nella parte 
inferiore del corpo. La fig. 16 rappresenta una Balenottera, di 
cui la pelle, conservata meravigliosamente, occupa, sotto una 
tettoia e dentro una ringhiera, un vasto cortile del LL 
delle Piante di Parigi. 

Le Balene propriamente dette hanno il capo molto voluminoso, 
molto arcato, il dorso sprovvisto di natatoia, e il corpo levigato. 

Le balene propriamente dette sono la Balena franca del Nord, 


DETEZIO I 
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Fig. 16. Balenottera. 


o semplicemente la Balena franca, e la Balena franca del Sud, 
0 Balena del Capo. 

La Balena franca è specialmente il punto di mira della cu- 
pidigia dei pescatori, che la inseguono nei due emisferi. Essa 
resiste meno delle altre alle aggressioni dell’uomo, e da un gran 
tempo è sorgente di ricchi guadagni. Ciò che diremo ora delle 
Balene riguarda in particolare la Balena franca del Nord. ’ 

Le Balene franche sono gli animali più grossi che esistano 
nel mare, ed anche gli animali più voluminosi della creazione 
contemporanea. Frequentemente se ne incontrano che hanno 
venti metri di lunghezza, e che in tal caso pesano settanta ton- 
nellate (settanta mila chilogrammi). Se ne son vedute di lun- 


i In ingl. Rorqual, in ted. Finner. 


38  w GETACEI 


ghe trentacinque metri, e pesanti oltre cento tonnellate (cento 
mila chilogrammi). 

Secondo Lacépède, non si potrebbe dubitare che in certe epo- 
che sianvi state Balene lunghe quasi cento metri. Le dimensioni 
delle Balene variano d’altronde secondo il sesso, l’età, i luoghi 
che abitano. L’ emisfero nord somministra ordinariamente le 
più voluminose. 

Le Balene pel volgo non sono che masse informi, come se 
questi esseri, i quali per la loro mole e per la loro grandezza 
sì discostano dagli altri, se ne allontanassero anche per la 
mancanza di quelle proporzioni che noi consideriamo come 
unite alla bellezza. Esaminiamo però questa massa apparente- 
mente informe, e osserviamo se invece non presenta un com- 
plesso bene ordinato. 

Il corpo della Balena franca (fig. 15) ha la forma di un ci- 
lindro immenso ed irregolare, di cui il diametro sarebbe uguale 
presso a poco al terzo della lunghezza. La parte anteriore di 
questo cilindro smisurato è il capo, di cui il volume è eguale 
al quarto e talora al terzo di quello dell'animale. Questo capo, 
convesso superiormente, rappresenta quasi una parte di sfera. 

Verso il mezzo di questa volta, e un tantino all’indietro, sorge 
una eminenza nella quale si aprono gli orifizi dei due sfia- 
tatoi. 

La bocca è enorme; si prolunga fin sotto agli orifizi supe- 
riori degli sfiatatoi, e si prolunga anche verso la base della 
natatoia pettorale. L’interno di questa gola è tanto vasto che 
in un individuo che non aveva ancora che ventiquattro me- 
tri di lunghezza, due uomini potevano starvi in piedi dentro. 

Questa gola, che può raggiungere internamente persino tre 
metri di larghezza e quattro di altezza, è sprovvista di denti. 
Essa porta sulla mascella superiore delle làmine strette e lun- 
ghe, che si dicono fanoni. 

Ogni fanone è appiattito, e somiglia discretamente, per la sua 
curva, alla lama di una falce. Infatti, si piega un tantino nel 
senso della lunghezza, diminuisce gradatamente di altezza e di 
spessore, e termina in punta. Il suo orlo concavo è foggiato a 
lama tagliente fornita di crini che formano una sorta di fran- 
gia lunga e folta. 

Il fanone è per solito nero e variegato di tinte più chiare. 
Non di rado si trovano fanoni di balena lunghi cinque metri, 
e le fauci ne contengono ordinariamente settecento. Ciò che nel 
linguaggio volgare dell’ industria si suol designare col nome 
di balena, è proprio uno di questi fanoni. Il valore dei fanoni 


BALENE 39 


che si trovano in un solo individuo non è minore di quattro a 
cinque mila franchi. 

Queste fauci, sprovviste di denti, ma fornite copiosamente di 
organi che li sostituiscono, racchiudono una lingua enorme, 
lunga talora otto metri e larga quattro. È una specie di mate- 
rassa spessa, molle, impregnata di grasso, e che produce cinque 
o sei barili di olio. 

L’ occhio dell’ animale, cosa singolarissima, è posto immedia- 
tamente sopra la commessura delle labbra, e per conseguenza 
vicinissimo alla spalla. Fra i due occhi passa un grande spa- 
zio, di modo che ognuno di questi organi non può veder altri 
oggetti che quelli collocati da uno dei lati dell’ animale. Però 
l’ occhio è incastrato sopra una specie di piccola convessità, la 
quale, sporgendo sopra la superficie delle labbra, permette 
all’ animale di vedere coi suoi due occhi un oggetto poco di- 
scosto. 

Il più strano è la piccolezza di quest’ occhio che si stenta 
sovente a trovare. Come negli altri Mammiferi, esso è fornito 
di palpebre; ma queste palpebre, sprovviste di ciglia, sono tanto 
gonfie pel grasso oleoso che le riempie internamente, che riman- 
gono quasi prive di mobilità. 

Dalla struttura di quest’ occhio Lacépède SERIAL che ei sia 
meravigliosamente acconcio al mezzo acquatico. Secondo questo 
naturalista, le Balene avrebbero una vista eccellente. 

Si aggiunga che questo grande cetaceo ha l’odorato e l’udito 
squisitissimi, che riconosce da lungi la presenza di corpi odo- 
ranti, e sente da grandi distanze i suoni e i lievissimi rumori. 

La Balena ha due pinne pettorali, lunghe tre metri, e lar- 
ghe quasi due. Il tronco si distingue dal capo per una lieve 
depressione. Al corpo propriamente detto si applica la base 
della coda, che è conica, fatta di muscoli robusti, e termina con 
una grande pinna orizzontale. Questa pinna, presso a poco trian- 
golare, è larga non meno di sei a sette metri. 

La coda e la pinna della Balena costituiscono il suo più 
potente strumento pel nuoto; ma bisogna anche tener conto 
delle sue braccia, o pinne pettorali, le quali, per la forma e le 
dimensioni, possono anche far ufficio di remi. 

La pelle della Balena è forte, spessa oltre due decimetri, 
fornita di grandi pori: ma non è coperta di peli, come suole 
nella maggior parte dei Mammiferi. L’ epidermide che la rico- 
pre è liscia, lucida, untuosa, e tanto brillante che l’animale, 


allorchè è esposto ai raggi del sole, splende qual lama di 
acciaio. 


40 CETACEI 


Il colore consueto dalla Balena è il nero. Se ne veggono 

però di nere screziate di grigio. Sovente la parte inferiore del 
capo e il ventre sono bianchi. 
. Costumi e vita della Balena. — Dopo questo breve sunto in- 
torno alla conformazione esterna di questo grande cetaceo, ve- 
diamo ora quali sono i suoi costumi, e il suo modo di vivere. 
Prima di tutto parleremo dei suoi movimenti, prendendo per 
guida il pregevole libro del dottor Thiercelin, intitolato: Gior- 
nale di un baleniere. 

La Balena passa una parte del tempo alla superficie dell’ a- 
cqua e l’altra giù nel mare, alla profondità di due o trecento 
braccia. Quando sta per uscire da questi abissi, un largo re- 
molio che si scorge alla superficie del mare annunzia la sua 
venuta. Si vede da principio emergere un punto nero: è la 
estremità del muso. In breve compaiono gli sfiatatoi, poi una 
superficie più o meno lunga del dorso, e infine anche la coda 
fa la sua comparsa. 

Appena gli sfiatatoi appaiono alla superficie dell’acqua, sorge 
una doppia colonna di vapor bianco più o meno denso, a foggia 
di V, e sale a parecchi metri di altezza nell’ aria. 

Dopo questo soffio, gli sfiatatoi s'immergono di nuovo, e per 
trenta o quaranta secondi l’ animale scivola a fior d’ acqua, di 
modo che lo spettatore può scorgere, in mezzo all’ acqua che 
lo ricopre, la tinta azzurrognola del corpo. Un minuto dopo il 
punto nero ricompare, poi gli sfiatatoi, poi il soffio. 

Questo movimento alternato di respirazione e di movimento 
alla superficie dell’ acqua dura otto o dieci minuti. Durante 
questo tempo vi sono stati sette od otto getti di liquido. Il primo 
è più fitto di quelli che vengono dopo; l’ultimo, pur fitto e pro- 
lungato quanto il primo, annunzia che la Balena sta per af- 
fondare. Infatti, ella esce dall’ acqua un po’ più di prima, e fi- 
nisce per non avere più che la coda nell’aria; la fa ondeggiare 
parecchie volte avanti e indietro, e scende nel mare: è ciò che 
si dice gli scandagli della Balena. Vi rimane trenta o quaranta 
minuti, e talora anche più, poi ritorna a galla e riprende i suoi 
soffi irregolari e periodici. 

È a questo modo, dice il signor Thiercelin, che le Balene 
passano la vita; talora sull’ acqua, talora sotto, di giorno, di 
notte, con tempo buono o con tempo cattivo, in tutte le sta- 
gioni. Perciò taluni asseriscono che la Balena non dorme mai. 
Se dorme, ciò che è certo, vuol dire che quei movimenti alter- 
nati si operano anco durante il sonno, perchè necessari alla respi- 
razione, e sono quindi automatici come i movimenti respiratorii. 


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COSTUMI E VITA DELLA BALENA 43 


Quando la Balena respira, il rumore della sua respirazione 
si sente soltanto a qualche centinaio di metri, se però è tran- 
quilla. Ma allorchè è commossa dal timore o dalla collera , il 
rumore della sua respirazione si sente fino a parecchi chilo- 
metri. Il signor Thiercelin lo compara al rumore di una forte 
colonna d’aria spinta da un grossissimo soffietto da fucina, entro 
un largo tubo di rame o di bronzo: è una nota solenne e for- 
tissima, sostenuta per lo spazio di otto o dieci secondi. 

Secondo lo stesso osservatore, il soffio non sarebbe composto 
di acqua liquida; sarebbe un miscuglio di aria calda che esce 
dal petto dell’animale unita ad una certa quantità di vapore di 
acqua, e a particelle grasse. Quindi, con una temperatura poco 
elevata, col mare calmo, e sopratutto allorchè il sole è presso 
lo zenith, questo so/fio diviene invisibile. Allorchè il vapore di 
questo soffio è disseminato nell’ aria, esso si scioglie, e tutto 
scompare: non ricadono più che poche goccioline di materia 
grassa. Queste goccioline, allargate sull’acqua, e unite alle esa- 
lazioni della pelle, lasciano sulla superficie del mare lunghi 
segni di macchie oleose, che dimostrano il passaggio del ceta- 
ceo. In ogni caso, v'è sempre una certa quantità d’ acqua che 
è penetrata nel canale aereo che termina nello sfiatatoio, e 
quest’acqua (presso a poco uno o due litri) si mescola, in istato 
di polvere, ali’aria espirata, e si dissemina nell’atmosfera, come 
l'umidità polmonare. 

Parlando più sopra dell’andatura della Balena, non abbiamo 
toccato che del suo modo, per così dire, di passeggiare. Ma 
quale è la rapidità della sua corsa quando viaggia? Lacépède 
asserisce che essa percorre 660 metri al minuto: sarebbe più 
veloce dei venti alisei. Quando la sua velocità fosse doppia, su- 
pererebbe i venti più impetuosi; trenta volte più rapida, percor- 
rerebbe lo spazio colla celerità del suono. 

Partendo da questa ipotesi, Lacépède fa un calcolo ancor più 
curioso. Supponendo che dodici ore di riposo al giorno siano 
sufficienti alla Balena, le basterebbero solo quarantasette giorni 
per fare il giro del mondo, seguendo l’equatore, e ventiquattro 
giorni per andare da un polo all’ altro lungo un meridiano. 
Questi calcoli dell’illustre naturalista francese riposano sopra 
una velocità un po’ esagerata dell’ animale. D’ altronde, certi 
autori, tenendosi anche molto al disotto del vero, hanno asse- 
rito che la Balena non faccia che tre leghe marine all’ora. Ciò 
asserisce il troppo ingegnoso Boitard. 

Per conservare la vita nell’immenso complesso dell’organismo 
della Balena, per bastare al suo movimento continuo, per con- 


44 CETACEI 


servare il soffio che anima quegli esseri straordinari, qual massa 
d’alimenti, quale nutrimento particolare le fa d'uopo? 

Ebbene, questo nutrimento non si compone che di picco- 
lissimi esseri. Secondo Lacépède, la Balena si nutre partico- 
larmente di molluschi e di granchi. Il gran numero di tali 
animali che il cetaceo inghiottisce compensa la loro poca so- 
stanza. 


Secondo il dottor Thiercelin, sul luogo della pesca, in prima- 


vera e specialmente in estate, il mare è, qua e là, di un co- 
lore bruno, che deriva da piccoli crostacei della forma di gam- 
beri, ma il cui diametro non supera :i due millimetri. Questi 
crostacei costituiscono banchi di materia animale che i bale- 
nieri chiamano bdoete, e che sono lunghi dieci, quindici o venti 
leghe, larghi qualche lega, e dello spessore da tre a quattro 
metri. 

Ecco una mensa bene apparecchiata, se non pel volume della 
preda, almeno per la massa che compone! La Balena se la 
gode in mezzo a sì abbondante banchetto, e bruca, per così dire, 
in questo immenso e formicolante prato. 

Il signor Thiercelin dà qualche ragguaglio sul modo che ado- 
pera la Balena per abboccare gli alimenti. 

Essa abbassa ia mandibola inferiore, stende bene la lingua 
sul piano mascellare inferiore, e procede lentamente in mezzo 
agli infinitamente piccoli che si dispone ad inghiottire. Allora 
la bocca presenta una apertura anteriore, di forma irrego]ar- 
mente triangolare, che offre sei o sette metri di circonfe- 
renza (questo antro immenso si può egli chiamare bocca?). 
Mano mano che la Balena si avanza l’acqua ch’essa attraversa 
e che le entra in bocca sfugge lateralmente per gli intervalli 
che separano i fanoni, mentre la preda si attacca ai peli dei 
fanoni, e si appiccica al suo palato. Quando ha percorso in tal 
modo uno spazio di quaranta o cinquanta metri rallenta il suo 
cammino, rialza la mascella inferiore, applica le labbra sui fa- 
noni, e gonfia la lingua per modo che questa. occupa tutta la 
capacità della sua bocca chiusa. L’ acqua esce dagli interstizii 
dei fanoni; la punta della lingna raccoglie, con un movimento 
di rotazione, tutti gli animaletti che sono impigliati nelle fila 
interne, li unisce in un boccone e li porta alla faringe, ove 
s’opera il movimento di deglutizione che fa discendere questo 
enorme boccone nell’esofago, e di là nello stomaco. Ciò fatto, la 
Balena abbassa nuovamente la sua mascella e ricomincia la 
sua facile pesca. 

A noi riesce un po’ difficile a credere che la Balena non si 


COSTUMI E VITA DELLA BALENA 45 


nutra che di questi piccoli crostacei. Perchè respingerebbe essa 
le meduse, i molluschi, ed anche alcuni pesci? 

Ma la Balena non si limita a muoversi, a passeggiare, a 
viaggiare, a pascersi per mantenere il suo immenso organismo. 

Sente anche il bisogno di perpetuare la sua specie. 

«Sul cominciare della primavera, si trovano dei maschi iso- 
lati, che vanno in cerca di femmine. In breve s’incontrano in- 
sieme sei od otto Balene, di rado un numero maggiore. Man 
mano che si va formando amicizia tra un maschio ed una 
femmina la coppia si allontana dalla piccola compagnia, e gli 
sposi vanno, uno accanto all’ altro, a compiere il loro viaggio 
nuziale. Viaggiano, si sollazzano, pescano assieme. Si danno 
allora a salti giganteschi; fanno parecchi giri su loro stessi, e 
l’acqua del mare s’ innalza, si agita, gorgoglia a loro dintorno 
a grandissime distanze. 

I maschi vanno prima a scegliere i seni marittimi ove le 
femmine debbono dare alla luce i piccoli. Dopo aver visitato i 
luoghi ritornano. Allora le femmine giungono e si pongono in 
un seno ben riparato, sopra un alto fondo di sabbia; e parto- 
riscono verso la metà dell’ autunno. 

Appena nato, il piccolo gira e nuota intorno alla madre. 
Questa si corica sul fianco per allattarlo, dig modo che il ca- 
pezzolo sfiora l’ acqua. Dopo molti inutili tentativi, il giovine 
afferra il capezzolo col suo palato, che non è ancora for- 
nito di fanoni; e colla sua lingua, già bene sviluppata, suc- 
chia il latte materno. Che sorta di nutrice e di pargolo! Quanti 
litri di latte manda giù ogni volta che succhia? 

Ma la piccola Balena è in breve svezzata. Dopo sei settimane 
o due mesi, i suoi fanoni son già grandi, e può prendere già 
da sè il suo cibo nel seno della grande nutrice, nell’ Oceano | 
La madre ha per essa un amore ardente, estremo. La sorve- 
glia, la guida, la difende, per salvarla sagrifica perfino la vita. 

Quando un pescatore si accosta ad una Balena col suo piccolo, 
‘i comincia per aggredire quest’ ultimo, il quale è meno forte, 
meno agile, meno esperto. Ma la madre si colloca fra il nato 
e l’ aggressore, spinge il piccolo colle pinne e col corpo onde 
agevolargli la fuga. Se, malgrado ciò, egli non può nuotare 
abbastanza presto per sfuggire il pericolo, la madre gli passa 
sotto il ventre una delle sue pinne, lo solleva, e tenendolo così 
stretto tra il collo e il dorso, fugge con esso. Meraviglioso e 
commovente spettacolo, che ci mostra come in mezzo agli abissi 
dei mari boreali, e nel cuore delle creature più gigantesche, 
brilla il sentimento divino dell’ amore materno! | 


46 CETACEI 


Si rallegri il lettore sensibile! La Balena madre riesce talora 
a portar via il suo piccolo, sano e salvo. Ma la sua vigilanza, 
la sua attività rimangon vinte sovente dalle armi terribili di 
cui dispone l’ uomo. i 

Essa allora palesa il suo dolore con la vivacità e l’ irregola- 
rità dei suoi movimenti. Non rinunzia a salvare il suo diletto 
ferito. Non pensando più alla propria salvezza, fa ogni tentativo 
per afferrarlo di nuovo col pericolo della vita, e riceve il colpo 
mortale per non abbandonare colui ch’essa ha difeso inutilmente. 

Del resto, questa è la sola fase della sua vita in cui la Ba- 
lena si mostra coraggiosa e resiste ai suoi nemici. Quando non 
è più madre, è timidissima. 

Il maschio fa prova di una grande devozione verso la sua 
femmina. Quando questa è aggredita, egli fa mille sforzi per 
liberarla. Le gira attorno, cerca di toglierle l’ arma che l’ha 
ferita, e, se non aggredisce i suoi aggressori, non abbandona 
neppure la sua compagna, e spesso finisce per morire con lei, 
vittima del suo affetto. 

Questo gigante dei mari ha altri nemici, oltre l'uomo; dopo 
di questo, il più terribile e il più crudele è il Delfino gladiatore. 
Secondo Lacépède, questi Delfini si raccolgono in stuoli, si 
avanzano in eserciti contro la Balena, l’ aggrediscono da ogni 
lato, la mordono, la tormentano, la stancano, la costringono ad 
aprire le fauci, e le divorano la lingua. 

Laccpède soggiunge che anche i narvali e i pesci-sega la 
feriscono colla loro lunga lancia, e gli squali le piantano nel 
ventre le cinque file dei loro denti aguzzi e seghettati, strap- 
pandole, con quelle terribili tenaglie, enormi pezzi di tegumenti 
e di muscoli. } 

Secondo lo stesso autore, la Balena ferita, avendo perduto 
molto sangue, essendo esausta dalla stanchezza, può essere al- 
lora aggredita dagli orsi bianchi, animali voraci, tremendi, e 
che la fame rende ancora più audaci. 

Quando è morta, il suo immenso cadavere galleggiante di- 
vien facile preda degli squali, degli uccelli marini e degli orsi 
bianchi. 

Si citano ancora fra i nemici della Balena alcuni molluschi 
e crostacei, che si attaccano alla sua pelle e vi si riproducono 
come sopra uno scoglio. Attaccati in tal modo sul dorso della 
Balena, questi animaletti divengono preda degli uccelli di mare, 
che vengono a saziare la loro fame e la loro ghiottoneria sul 
dorso del gigantesco cetaceo; ciò che per altro ha il vantaggio 
di liberarlo da sì pericolosi parassiti. 


LA PESCA DELLA BALENA 47 


| Le Balene non frequentano che i mari freddi. Si accerta che 
non se incontrano mai nella zona torrida, e che l’equatore 
è per quest’ animale un insuperabile ostacolo. 

I punti principali ove la s'incontra al nord sono la Groenlandia, 
lo Spitzberg, lo stretto di Davis, lo stretto di Behring, il mare di 
Okhotsk, il Giappone, la costa nord-ovest di America, ecc. Nell’e- 
misfero sud si può dire che la Balena s'incontra ovunque dal tren- 
taquattresimo o trentacinquesimo grado fino al circolo polare. 
Citeremo come punti principali le coste ovest e sud dell’Africa, 
le isole Tristan, il Capo di Buona Speranza, le isole Maurizio, 
Madagascar, San Paolo e Amsterdam, Van Diemen, l’Australia, 
la Nuova Zelanda, il Chili, il capo Horn, le isole Maluine, la 
costa del Brasile, ecc. 

Del resto, non si potrebbero indicare con esattezza i punti 
principali ove, in un dato tempo, la Balena deve necessariamente 
trovarsi. Per ragioni che sono ignote o appena supposte, essa 
emigra inaspettatamente da una delle regioni marittime ove ha 
per lungo tempo dimorato. 

Si chiamano /uoghi di pesca i tratti di mare ove la Balena, 
in certi tempi dell’anno, è più o meno numerosa. Questi tempi 
sì soglion chiamare stagioni di pesca. Essi sono determinati 
dalla temperatura e dalla presenza del nutrimento, di quella 
preda cioè, o doete, di cui abbiamo parlato più sopra. 

In un dato luogo si distingue, dalle abitudini della Balena, 
la stagione del largo, vale a dire il tempo in cui la Balena sta 
al largo, come dicono i marinai, in alto mare, cioè a venti, 
trenta o quaranta leghe dalla terra, e la stagione dei seni, vale 
a dire quando la Balena si riavvicina alla terra, e si confina 
nei bassi fondi, al riparo dal vento, in un seno, in una baia 
presso la costa. La stagione del largo viene in primavera e d’e- 
state, quella dei senî l'autunno e l’inverno. Fuori di queste due 
ultime stagioni, i luoghi di pesca non contengono nessun cetaceo. 

Benchè obbediscano, come vedete, al giro delle stagioni, pure 
questi animali abbandonano le loro dimore, o cessano dal ri- 
tornarvi, allorchè per molti anni sono stati perseguitati dai 
pescatori; oppure allorchè, per qualche azione misteriosa, il 
loro nutrimento vi diviene meno abbondante. Del resto non si 
sa dove vadano quando abbandonano quelle regioni. 

La pesca della Balena. — Prima di descrivere la pesca della 
Balena e di far conoscere i congegni e i modi che si adoperano 
oggi, faremo una corsa nella storia di questa pesca. 

Chi potrebbe mai dire quando la prima Balena venne uccisa? 
Su questo riguardo non si possono fare che congetture. 


48 CETACEI 


La temperatura dell’ ambiente o mezzo acquatico in cui vive 
la Balena, influisce molto sulla rapidità dei suoi movimenti, 
sulla sua sensibilità. Nei mari dell’estremo nord, i suoì movi- 
menti sono lenti; sente poco il dolore, si difende male, e fugge 
lentamente. Senza dubbio, fu in quelle regioni che per la prima 
volta si concepì il pensiero di aggredire questi colossi del mare. 

Gli abitanti delle regioni boreali erano tanto più spinti a 
tale impresa, in quantochè vedevano in questi esseri mostruosi 
un immenso serbatoio d’ olio, materia di cui avevano gran bi- 
sogno, una provvista di carne, che durante l’inverno si con- 
servava gelata, ossa adattissime a formare l’ impalcatura delle 
loro dimore, e diversi altri utili prodotti, somministrati dagl’in- 
testini e dai tendini di questa selvaggina gigantesca. 

Su questa pesca primitiva si sono fatti racconti stravagan- 
tissimi. P 

‘Avrete letto in qualche luogo che quando i selvaggi della 
Florida scorgevano una Balena, uno di essi le saliva sul dorso, 
le chiudeva con una specie di enorme turacciolo uno degli 
sfiatatoi, le teneva dietro fino in fondo al mare, risaliva con 
essa, le chiudeva l’ altro sfiatatoio con un secondo turacciolo, e 
in tal modo la faceva morire asfissiata. Ciò è affatto impossibile. 

Gli antichi Eschimesî solevano adoperare, per aggredire la 
Balena, un sistema ingegnosissimo, che. praticano anche oggi. 
La Balena che si vuol prendere, è circondata da un gran nu- 
mero di piroghe. Coloro che vi stanno sopra lanciano contro 
di essa freccie o ramponi, attaccati a specie di palloni, molto 
grossi, fatti di pelle di foche, di intestini di cetacei, ecc. Quando 
l’animale vuol affondare, non vi riesce, perchè i palloni lo 'ten- 
gono su: egli è obbligato quindi a rimanere a fior d’acqua. 
D'altronde e’ si muove assai lentamente in tale posizione, e: 
perciò non può sfuggire ai colpi dei suoi nemici, che allora 
lo uccidono lentamente a colpo sicuro. 

Veniamo ora ai tempi in cui la pesca. della Balena fu messa 
in pratica non solo dai selvaggi abitanti del nord dell'Europa e 
dell’ America, ma dai popoli civili. 

Si fa menzione per la prima volta della pesca della Balena 
in un libro che risale all’ anno 875, i Miracoli di San Waast. 
Il popolo basco è quello che si vede all’ opera. 

Presso a poco nello stesso tempo, Otèro, navigatore tedesco, 
visitava le coste della Norvegia, il capo Nord, e si spingeva 
fino all'ingresso del mar Bianco. In quei mari settentrionali 
incontrò un gran numero di pescatori, e in due giorni vide 
prendere oltre duecento Balene. 


LA PESCA DELLA BALENA 49 


‘. Dal secolo undicesimo al dodicesimo, questa pesca prende 
radice nelle Fiandre ed in Normandia, e i principali arma- 
menti si fanno nei porti di quei paesi. 

L’autore di una Vila di Sant Arnoldo, vescovo di Soissons, de- 
scrive la forma dei ramponi, il loro uso, cd enumera le decime 
che i pescatori pagavano agli ecclesiastici di quel cantone. 

Al secolo dodicesimo, i marinai norvegi facevano attivamente 

la pesca della Balena. 
— Nel secolo decimoquarto, i naviganti baschi cominciano a 
imprendere vere spedizioni nei mari del Nord. Gli armamenti 
delle loro navi sì facevano nei vari porti del litorale oceanico 
della Francia. Le loro spedizioni erano sempre felici, perchè 
ogni anno si vedevano ritornare con carichi compiuti. Fu al- 
lora che si stabilirono e si resero regolari i procedimenti clas- 
sici della pesca di cui parleremo fra breve. 

Fino dall’anno 1372 i Baschi giunsero al gran banco di Terra 
Nuova, donde spinsero le loro escursioni fino al golfo di San 
Lorenzo e alle coste del Labrador. Nel secolo decimoquarto ta- 
luni armatori di Bordò allestirono, pel mare Glaciale, alquante 
navi peschereccie, che s’inoltrarono fino alla Groenlandia, ed 
anche fino allo Spitzberg. 
| L'esito felice ottenuto dai Baschi destò la gelosia e la cupidi- 
gia delle altre nazioni. Siccome non erano protetti dalla ban- 
diera nazionale, venivano molestati, e si finì per escluderli dai 
luoghi della pesca, in parte colla forza, in parte coll’ imporre 
pesanti tributi. Per conseguenza, fino dal principio del secolo 
decimosettimo essi cominciarono a veder scadere la loro indu- 
stria, la quale andò interamente perduta per essi e per la Fran- 
cia, allorchè nel 1636 gli Spagnuoli s’ impadronirono di quat- 
tordici grandi navi montate da Baschi che venivano dai mari 
della Groenlandia, riccamente cariche di grasso e di fanoni. 

_ I pescatori baschi si decisero allora ad accettare una parte 
secondaria, rassegnandosi a servir di guide ai loro potenti ri- 
vali; essi insegnarono l’arte della pesca della Balena agli Olan- 
desi, ed anche agli Inglesi. 
| La pesca fatta dagli Olandesi prese rapidamente un grande 
sviluppo. Sostenuta da ricche compagnie, la nuova industria 
divenne una sorgente di prosperità per l’ Olanda, fino al prin- 
cipio del secolo decimottavo. Ma in quel tempo si trovò inter- 
rotta dalla guerra marittima; e dopo ia pace, non si potè riu- 
scire a ricostituirla. | | 
. Finchè la pesca della Balena dava agli Olandesi profitti 
tanto ragguardevoli, non prosperava nelle mani degli armatori 
FiGuier. I Mammiferi. 7 


50 CETACEI 


e dei naviganti inglesi. Ma questa nazione attiva e \perseve- 
rante raddoppiò i suoi sforzi per rendere certa la buona riu- 
scita. Nel 1732 accordò premi importanti a tutti i bastimenti 
balenieri, e li raddoppiò nel 1749. D’allora in poi questo ramo 
d’industria marittima prese in Inghilterra un rapido accresci- 
mento. | 

Inseguite indefessamente da una guerra spietata nei luoghi 
ove solevano dimorare, le Balene si allontanarono a poco a poco, 
volgendosi sempre più a settentrione. 

Fin verso il secolo decimoquinto, la pesca si faceva sulle. 
coste francesi dell’Oceano, vale a dire nel golfo di Guascogna. 
Essa era, come abbiamo detto, privilegio dei Baschi. Ma dal 
principio del secolo decimosesto, le Balene, divenute sempre 
più timorose, cercarono rifugio nei mari della Groenlandia e 
dello Spitzberg. Erano allora numerosissime presso le coste e 
nei seni !. I pescatori vi completavano prontamente i loro ca- 
richi rimanendo vicini a terra. Eserciti di Balene nuotavano 
fiduciose lungo le coste ed i seni più vicini della Groenlandia 
e dello Spitzberg. Non fuggivano le navi e si abbandonavano 
inermi alla cupidigia dei pescatori. 

Gli Olandesi avevano fabbricato, nell’isola d’Amsterdam, espres- 
samente il villaggio di Smeeremburg (villaggio del grasso). Vi 
avevano fondati magazzini e approvvigionamenti di varie mer- 
cauzie. Dietro le loro squadre baleniere spedivano navi cariche 
di vino, d’acquavite, di tabacco e di commestibili. In questi sta- 
bilimenti si faceva liquefare il grasso delle Balene che si con- 
ducevano morte, e poi si portava quell’olio in Europa. 

Ma in breve le Balene divennero timorose al tutto. Emigra- 
rono man mano e lentamente, come se provassero rincrescì- 
mento nel lasciare le coste ed i seni ove erano nate, ove ave- 
vano vissuto e si erano riprodotte libere e felici. 

Così esse giunsero alle regioni dei ghiacci mobili, e i pesca- 
tori ve le seguirono. Allora esse andarono ad affondarsi sotto i 
ghiacci fissi e scelsero per asilo principale l’ immensa costa di 
ghiaccio che i Batavi avevan chiamata Westy (i! gelo dell'ovest). 
I pescatori investirono quei ghiacci immobili. Spingendo le loro 
barchette fino sui loro margini, spiavano il momento in cui le 


i Secondo le osservazioni dei più autorevoli naturalisti moderni che 
si sono occupati di proposito di questo argomento, la Balena del golfo 
di Guascogna sarebbe stata una specie diversa da quella che si trova ora 
nei mari della Groenlandia e dello Spitzberg.! Quella specie sarebbe stata 
distrutta dall’ uomo. | 


LA PESCA DELLA BALENA DI 


balene erano obbligate ad abbandonare quella vòlta protettrice, 
per venire a respirare a fior d’acqua. 

Fu così che i pescatori furono obbligati ad abbandonare le 
acque dello Spitzberg, per andare verso il gran banco di 
ghiaccio che limita, verso il nord-ovest, il mare della Groen- 
landia. 

Fu principalmente in questi luoghi, vale a dire verso il 780 
o l’840 di latitudine nord, o nello stretto di Davis, verso l’isola 
Disco, che la pesca della Balena venne continuata con mag- 
giore attività dalla metà del secolo decimosettimo. Ma questi 
ultimi mari sono alla lor volta divenuti deserti, per modo che 
i balenieri inglesi sono oggi obbligati ad inoltrarsi in mezzo 
ai ghiacci, nel golfo di Baffin, fino allo stretto di Lancaster, ed 
anche fino al golfo di Melville. Se è vero che intorno al polo 
del Nord esiste un mare libero dai ghiacci durante la stagione 
estiva, come lo suppongono gli arditi avventurieri che in que- 
sto stesso momento imprendono la scoperta del mare artico, è 
probabile che si troveranno eserciti di Balene ricoverate in quei 
luoghi ancor vergini di ogni opera umana. 

Non è solo verso i mari artici che i pescatori spinsero ‘le 
loro coraggiose svedizioni. Le regioni antartiche sono state e 
sono parimente esplorate. Sul principio del secolo decimottavo 
certi pescatori del Massachussets (America) cominciarono a di- 
rigersi verso il polo sud. Essi navigarono nelle acque del capo 
Verde, sulle coste del sud-ovest dell’Africa, e lungo quelle del 
Brasile e del Paraguay, fino alle isole Falkland. Allora gl’ In- 
glesi fecero anche una pesca al sud, e le navi di queste due 
nazioni hanno solcato, non solo le parti australi dell’ Oceano 
Atlantico, ma tutta la distesa del .Grande Oceano. Gli Ameri- 
cani hanno oggi più di trecento navi baleniere, che danno buo- 
nissimi guadagni. Alcuni bastimenti di altre nazioni, ma in nu- 
mero assai limitato, hanno esplorato questi stessi luoghi. 

La costa ovest dell’Africa, la baia di Lagoa, la foce della 
Plata, le coste della Patagonia, la Nuova Olanda, Van Diemen, 
la Nuova Zelanda, e le isole Sandwich, sono i luoghi princi- 
palmente frequentati dai Balenieri dei due mondi. Quanto ai 
luoghi antichi di pesca, abbiamo già parlato del loro spopola- 
mento. 

L’apparizione di una Balena nel golfo di Guascogna è ora 
un fatto inaudito. La costa della Groenlandia, che un tempo 
era un luogo di pesca eccellente, è oggi deserta. Il golfo di 
Baffin è stato spopolato dagli Inglesi, e lo stretto di Davis, che 
al principio del nostro secolo era percorso da centinaia di navi 


52 | CETACEI 


baleniere di varie nazioni, non ne conta più che cinque o set, 
di cui il bottino non è mai sicuro. 

Non possiamo omettere di riportare qui una osservazione 
fatta dal signor Paolo Gervais. Questo naturalista crede che le 
Balene che un tempo si cacciavano tanto vicine alle nostre 
sponde, erano Balenottere anzichè Balene franche. I cronisti 
del medio evo, che nelle loro descrizioni non erano molto esatti, 
possono aver dato il nome di Balene ad altri grossi Cetacei che 
ne differiscono ancor più che non le Balenottere, e che produ- 
cono egualmente molta copia d’olio. | 

Così si spiegano probabilmente, secondo il signor Gervais, le 
asserzioni prese dagli autori di quel tempo, che si consumava 
olio di Balena nei monasteri del litorale oceanico francese; — 
che le chiese di Saint-Bertin e di Saint-Omer prelevavano un di- 


Fig. 18. Balena presa coi ramponi. 


ritto per ogni Balena; — che l'abbazia di Caen aveva diritto 
alla decima sulle Balene prese a Dives, e la chiesa di Coutances 
sulle barche di Balene condotte a Merri. 


Dopo questo sunto storico, descriveremo la pesca della Balena; 
pesca tanto diversa dalle altre, perchè si tratta di un immenso 
guadagno e di un immenso pericolo. 

Comincieremo facendo conoscere il metodo adoperato più an- 
ticamente, il metodo, per così dire, classico; ne indicheremo 
poi un altro nuovo che è più conforme alle esigenze dei tempi 
presenti. 

Le navi di pesca appartenenti alla. Francia, all’Inghilterra, 
agli Stati Uniti, ecc., son sempre accompagnate ognuna da cim-. 
que © sei barchette. Ogni barchetta o scialuppa è per solito mon- 


PESCA DELLA BALENA 5g: 


tata da quattro marinari, un -uomo destinato a gettare il ram- 
pone, ed un ufficiale. 
Quando si è giunti ai paraggi ove sperasi trovare le Balene 
«| un uomo si colloca in vedetta sul punto più alto del bastimento, 
d’onde può estendersi la vista in lontananza. Appena egli ha. 
scorto una Balena, dà il segnale convenuto, e le bar- 
chette son messe in mare. Alla prora di ognuna sta 
l’uomo che deve gettare il rampone, a poppa sta l’uf- 
ficiale. L’uno e l’altro attenti, col collo teso, spiano l’av- 
vicinarsi della gigantesca preda. La si riconosce da 
un remolio, da un fremito sottomarino e da un ru- 
more analogo a quello di un tuono lontano. L’animale 
finalmente ha mostrato sull’acqua l’ estremità del suo 
muso nero. Sappiamo già, secondo il signor Thiercelin, 
con quali alternative di soffio e di immersione l’animale 
compie le sue evoluzioni nell’elemento liquido. Il pe- 
scatore osserva in qual mcdo la Balena ha piegata la 
sua coda, per indovinare la direzione presa, e tien 
conto anche della presenza della preda di cui si pasce 
la Balena, se questa è alla superficie o al fondo del 
mare, per sapere se le sue immersioni saranno più 0 
meno lunghe, e quindi modificare la sua condotta se- 
condo, i bisogni del momento. La cognizione esatta di 
questi particolari costituisce il buon baleniere. Quindi 
le manovre delle’ barchette variano infinitamente, se- 
condo le circostanze. 

Si può accostare agevolmente la Balena fino a quin- 
dici o venti braccia. Ma la difficoltà sta nel poter 
giungere alla distanza voluta per aggredirla, vale a 
dire a due o tre braccia. C'è da temere i colpi di coda 
o quelle delle pinne. Quando la barchetta è abbastanza 
vicina, il ramponiere si dispone a lanciare il rampone 
sulla Balena. Ora è necessario descrivere questo ordi- 
gno, di cui diamo il disegno alla fig. 19. 

Esso è fatto di due parti: il ferro e il manico. Ù 
Il ferro è una verga di metallo cava a foggia d’im- Fig. 19. 
buto a uno dei suoi cavi e terminata all’altra da una Rampone. 
specie di V arrovesciato. I margini esterni di questo V son 
taglienti, mentre i margini interni sono spessi e diritti, per 
modo che, una volta entrato nella carne, il ferro, trattenuto 
dalle due punte, non può esserne estratto. I margini pos- 
sono anche essere frastagliati. Questa freccia è lunga più 
di un metro. È tenuta ferma in un manico provvisto di un 


54 CETACEI 


buco, nei quale si attacca una corda lunga circa quattrocento 
metri. 


Il ramponiere sta in piedi, la coscia trattenuta nella scana- 
latura della poppa della barca, tenendo fra le mani la sua arma. 
Allorchè l’ufficiale crede giunto il momento opportuno esclama: 
« Getta!» Ora lasceremo parlare il signor Thiercelin, storico 
ed attore di questi combattimenti pieni di emozione: 


« L’arma vibrata, dice egli, attraverso lo spazio, penetra nel grasso, e 
va a piantarsi nelle parti carnose e ricche di tendini. Qui debbo far notare 
quanto pochi siano i ramponi che penetrano alla profondità voluta: su 
cinque o sei balene trafitte, talora segue che una sola sia bene impi- 
gliata. Quando per un calcolo inesatto della distanza, per poca maestria, 
o per timore, l’uomo che getta il rampone non lo ha lanciato bene, la 
balena si libera prontamente dall’arme che l’ ha ferita, mercè una forte 
contrazione dei suoi muscoli. 

«.Appena libera, parte, e indarno si cercherebbe d’ inseguirla; dopo 
quindici o venti minuti si perde di vista, e per lo più si strascina seco 
le sue compagne, e diviene sempre più malagevole farsele accosto. Se 
invece è presa fortemente, si scuote e pare rimpicciolirsi sotto il colpo; 
infuriata dal dolore, sta per fuggire, trattenuta dalla freccia che ha pe- 
netrato nella sua carne, esita dapprima tantochè un pescatore accorto 
può lanciarle un secondo rampone: in ogni caso però dopo alcuni mi- 
nuti la Balena si affonda. L’ ufficiale muta allora di posto e va a collo- 
carsi nel campo dell’azione. Fino allora ha comandato le manovre, ma 
ora deve agire egli stesso, a lui incombe il diritto e il dovere di ucci- 
dere l’animale. 

« Già oltre duecento braccia della corda legata al rampone sono in 
mare, e l’animale va sempre più affondando. La forza d’immersione è 
cosiffatta che se incontra un ostacolo nel movimento, la barchetta può 
essere sommersa. Si è anche veduta la corda, mentre si svolgeva, attor- 
cigliarsi al braccio, alla gamba o al corpo di un uomo, trascinarlo nel 
mare e non lasciarlo più tornare a galla se non allorchè la parte presa 
in tal modo sia stata amputata mercè lo sfregamento. Sarebbe difficile 
farsi un’ idea del sangue freddo di cui ha bisogno chi eseguisce quelle 
manovre: fa d’uopo, nel tempo stesso, di una grande risolutezza, di una; 
grande prontezza, e di una grande prudenza. Se si manca alla prima 
occasione, può scomparire ogni probabilità di riuscita, e allora si perde 
il frutto di un lungo lavoro. Vedendo il piglio inquieto di certi ufficiali 
si crederebbe che son presi dalla paura, tanto guardano attentamente da 
ogni lato e vigilano ogni cosa; dalla direzione della corda sanno se la 
Balena si affonda a piombo, se corre sott'acqua o risale alla superficie, 
e allora dirigono la manovra secondo il caso. In tal punto l'equipaggio 
deve obbedire ciecamente; esso non può essere che una macchina per 
segare e remare, giacchè si tratta della salvezza comune. In quei mo- 
menti solenni il timore invade certi marinai; appena la Balena è. stata; 


LA PESCA DELLA BALENA 55 


colpita dal rampone, li vedi cospersi di un pallore di morte: perdono 
la testa, non veggono più nulla, non sentono nulla, e non potrebbero 
più obbedire a nessun comando. Cosa strana! i vecchi marinai sono 
esposti più dei giovani a questo pazzo terrore. Quando gli uomini non 
guariscono presto da questa impressionabilità morbosa non si lasciano 
più entrare nelle barchette ove la loro presenza non porterebbe che 
danno. Si son visti perfino dei ramponieri destri a gettare il rampone 
intrepidamente divenire a un tratto e senza causa conosciuta inetti a 
lanciarlo con forza e precisione. Il solo accostarsi della Balena gela loro 
il sangue dallo spavento; le loro braccia paralizzate lasciano cadere 
l’arme di piatto sul cetaceo, che fugge, avvertito da quel solo tocco. Il 
vero baleniere non sa che cosa sia paura: sfida la morte, ma con 
precauzione. Quando l’animale risale dopo il primo tuffo, accorcia la 
distanza, si avvicina diffidentemente, senza fretta, e con apparente len- 
tezza. Sa che deve evitare la coda e le pinne pettorali; sa che il capo 
è invulnerabile, che una piaga nel ventre non produce mai immediata- 
mente la morte, e che quasi sempre bisogna che si affretti a ferir 1’ a- 
nimale nelle parti vitali. Quante difficoltà, e talora quanto tempo ci 
vuole per lanciare il primo colpo di rampone! Tuttavia non uno, ma 
dieci, venti e più ci vorranno per produrre la morte, e ancora a condi- 
zione che i colpi siano diretti sopra parti vulnerabili. Se non si ferisce 
la Balena mortalmente nel primo quarto d'ora, essa si rimette dal suo 
sgomento, ripiglia i sensi e fugge trascinandosi dietro l’inimico: allora si 
alternano i tuffi lunghi e le rapide corse nel vento. La barchetta, tratta 
via come una freccia, attraversa le onde come se fossero pareti di va- 
pore; indarno due o tre altre barchette gettano i ramponi su quella che 
è attaccata alla Balena e si uniscono al rimorchio per aumentare il 
peso trascinato: la corsa generale non rimane perciò sensibilmente ral- 
lentata. 

« Questa fase della lotta richiede una nuova manovra, più malage- 
vole e più pericolosa di quelle che l'hanno preceduta. Il baleniere, mu- 
nito di un istrumento a foggia di palla tagliente, aspetta che il cetaceo 
sollevi la coda all’altezza di qualche metro sull’acqua, e spingendosi fin 
sotto quell’ organo potente, lancia la sua arma al livelio delle ultime 
vertebre caudali. Se riesce a recidere l’arteria e i tendini, il sangue 
sgorga a rivi, e la mobilità scema moltissimo. Mercè però questa ag- 
gressione dal di dietro, la Balena sovente muta direzione; la barchetta 
le rimane sul fianco, e l’ufficio della lancia può ricominciare. Mi sarebbe 
impossibile descrivere le astuzie, le false aggressioni, le fughe, e infine 
gli accaniti combattimenti dell’uomo contro quella massa vivente, di cui 
un sol colpo di pinna basterebbe a spezzare tutte le scialuppe di una 
nave. Fortunatamente, l’animale non ha coscienza della propria forza, 
e gli è solamente quando cerca di fuggire che produce disgrazie. Quando 
Y occasione lo permette; si attacca un’ altra’ barchetta onde scemare al 
cetaceo lo scampo nella fuga, e giungere più presto al risultato finale. 
Ad ogni colpo l’ animale manda certi rumori rauchi e metallici, che 
sì possono sentire a varie miglia di distanza ; il soffio è bianco, spesso, 


56 CETACEI 


carico di liquidi polverizzati, e s’innalza a grande altezza, finchè dopo . 
un colpo felice due colonne di sangue escono dagli sfiatatoi, s'innalzanò 
nell’ aria, e cadendo arrossano il mare sopra una vasta superficie; da’ 
quel momento la Balena è considerata‘ come morta. Infatti, dopo al- 
cune nuove ferite, i soffi si alzano meno alti, il sangue è più denso, i 
tuffi si prolungano meno; le forze dell'animale si spengono, ed i pesca- 
tori cessano dal combatterlo. Talora la morte segue subito dopo la com- 
parsa del sangue nel soffio, ma sovente la vita si prolunga ancora 
un’ora 0 più; questa circostanza è considerata siccome favorevole, per- 
chè la gran perdita del sangue prepara per l'avvenire un corpo speci- 
ficamente ieggero che galleggia meglio. Tuttavia l animale può ancora 
venir perduto, se la lontananza, la notte, o la condizione del mare, non 
permettono alla nave di tenergli dietro. Vicina a morte la povera Balena 
raccoglie quel po’ di forza che le rimane, e in una fuga disordinata, 
senza scopo, senza coscienza del pericolo, senza speranza di salvezza, 
nuota, nuota, rovesciando tutto che incontra sulla sua strada, non vede 
nulla, si caccia a caso nelle scialuppe, sopra uno scoglio o sulla spiaggia. 
Ben presto un brivido generale le invade il corpo, le sue convulsioni 
fanno bianco e ribollente il mare, finalmente solleva per l’ ultima volta. 
il capo, per l’ultima volta cerca il sole e muore: divenuta oramai un 
corpo inerte, si arrovescia o galleggia col dorso all’ingiù, il ventre a 
fior d’acqua, il capo un tantino affondato pel vario peso dei suoi diversi 
organi. La morte segue talvolta durante il tuffo; allora il cadavere risale 
e galleggia senza che siansi potuli osservare i fenomeni che hanno ac- 
compagnato la sua agonia! ». 


Il signor Thiercelin ci ha raccontato quale testimonio ocu- 
lare le sanguinose peripezie della lotta fra l’uomo e la Balena. 
La lettura di questa curiosa descrizione avrà certo destato molto 
interesse ; il lettore prova sicuramente una viva ammirazione 
pel coraggio dell’uomo, un senso di pietà pei terrori, pei do- 
lori della gigantesca vittima. Ma la ciurma della nave baleniera, 
animata dalla lotta, è ben lungi da tutte queste impressioni di 
sensibilità. Essa si abbandona ai trasporti di gioia cagionati 
dalla vittoria. | | 

Ma la gioia del trionfo è sostituita talora da una profonda 
costernazione. La Balena è morta, sta galleggiando sull’ acqua, 
e appartiene alla ciurma, quand’ecco tutto ad un tratto essa si 
affonda lentamente, colla testa per la prima, e scompare. ‘Quante 
pene, quanti pèricoli incontrati inutilmente. La BaluHi si è 
affondata ! E 

Nel momento in cui si affonda, un gran numero di bollicinè 
di gas vengono a rompersi a fior d’acqua, e producono: una 


1 Giornale di un baleniere, tomo I, pas. 997, 931. 


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LA PESCA DELLA BALENA 59 


specie di ebollizione, che dura per lo spazio di un minuto. 
Questo accidente può essere prodotto per molte circostanze di- 
verse: nondimeno si è osservato che il più delle volte accade: 
1.° quando la Balena è relativamente magra; 2.° quando è . 
morta senza gettar sangue dagli sfiatatoi, o, come si suol dire, 
soffocata ; 3.° quando ha avuto l’addome crivellato dai colpi di 
lancia. Se, per una circostanza qualunque, per esempio, in se- 
guito ad una ferita, l’acqua penetra nei bronchi, essa. ne scac- 
cia l’aria, rende tutta la massa più pesante, e l’animale si affonda 
sempre più in fretta mano mano che l’aria vien compiutamente 
respinta dai bronchi ed è sostituita dall’acqua. 

Il metodo, da noi detto classico, della pesca della Balena, e 
che abbiamo testè descritto, è oggi insufficiente, perchè le Ba- 
lene, divenute timide e conoscendo il pericolo che corrono, fug- 
gono innanzi al pescatore, mentre egli spera di raggiungerle. 

Un archibugiere francese, il signor Devisme, ha inventato per 
la caccia della Balena un proiettile esplosivo. La palla fulminante 
o a percussione del signor Devisme, è munita di due alette, le 
quali, aprendosi nel corpo dell’animale al momento di esplodere, 
formano una specie di rampone. 

La ‘palla fulminante proposta dal signor Devisme per la 
caccia di quegli animali pericolosi che bisogna uccidere al primo 
colpo, come i leoni, le tigri e gli elefanti, e che egli crede pa- 
rimente atta a combattere i grossi cetacei, non è altro che una 
sorta di obice ridotto a dimensioni abbastanza piccole per poter 
essere lanciato da una carabina rigata ordinaria. Questa palla 
contiene una certa quantità di polvere che può infiammarsi per 
la percussione esercitata sopra una capsula fulminante conte- 
nuta nel suo interno. 

Questa palla fulminante (fig. 21) è cilindrica e lunga otto 
centimetri; è fatta di un tubo di rame, ricoperto alla sua base 
da una lastra di piombo sopra una lunghezza di circa due cen- 
timetri. Questa lastra di piombo viene spinta, al momento di 
sparare, nelle scanalature della canna della carabina, di cui il 
calibro è uguale a quello delle carabine di Vincennes. La parte 
superiore di questa palla è un cono di rame che si avvita sopra 
il tubo. Questo cono è armato di una verghetta, all’estremità 
inferiore della quale sta collocata una capsula comune, che 
viene ad appoggiarsi sopra una verga trasversale di ‘acciaio. 
Quando il proiettile ha raggiunto la meta, questa verga d’ac-. 
ciaio schiaccia la capsula fulminante, ed i sei grammi di pol- 
vere che contiene la palla prendon fuoco e fanno volare tutto 
il proiettile in frantumi micidiali, 


60 CETACEI 


Di tutti i mezzi tentati fin oggi per colpire ed uccidere da 
lontano la Balena, il solo che sia entrato nella pratica comune - 
è il proiettile americano che ha ricevuto il nome di bomba-lancia. 

Questo congegno (fig. 22) si compone di un tubo di ghisa, 
lungo trenta o quaranta centimetri sopra due o tre di diametro. 
Questo tubo è ripieno di circa cento grammi di polvere da cac- 
cia. Termina sulla punta con una piramide triangolare a.faccie 
incavate con angolo e punte molto acute; la parte inferiore si 
unisce, mercè una vite, ad un tubo più stretto che racchiude 
una miccia. Questo proiettile può essere lanciato dalla carica: 


im 
x 


) 


Fig. 241. Palla fulminante Fig. 22. Palla-rampone americana. 
di Devisme. LIBANO 


di un fucile ‘pesante, il quale, bene appuntato, tira giusto alla 
distanza. di quindici, venti, ed anche trenta braccia. Sparato il 
colpo, la bomba che forma il proiettile penetra nelle parti ‘car- 
nose dell’animale, colla miccia che è stata accesa dall’esplosione 
stessa del fucile. Alcuni secondi dopo, si fa sentire un sordo 
rumore. È la bomba che scoppia nei fianchi dell’animale. 'La 
Balena fa un salto violento, e se l’esplosione segue in mezzo 
al polmone, la morte può essere quasi istantanea. 

L’ uso della bomba-lancia si combina egualmente con goeltà 
del rampone. Quando una Balena è stata presa e tenuta ‘in 
treno dal rampone lanciato colla mano, invece della lancia per. 
uccidere l’animale, si adopera il proiettile esplosivo. |" >). 


LA PESCA DELLA BALENA 61 


Il signor Thiercelin ha reso più micidiale ancora la bomba- 
fancia americana, aggiungendovi un veleno potentissimo, la 
stricnina mista al curare. 

Dopo molti esperimenti, il signor Thiercelin si è assicurato 
che un miscuglio composto di un sale molto solubile di stric- 
nina e di un ventesimo di curare basta per uccidere gli animali, 
quando è amministrato alla dose di un mezzo milligrammo per 
ogni chilogrammo del peso dell’animale sul quale si sperimenta. 
Egli dunque ha fabbricato una specie di cartucce, del peso di 
trenta grammi, che contengono questo miscuglio velenoso. Una 
sola di queste cartucce deve essere sufficiente per uccidere una 
Balena del peso di 60,000 chilogrammi; con due ce ne sarebbe 
d’avanzo per le più grosse Balene del polo nord, di cui il peso 
non supera i 100,000 chilogrammi. 

Il signor Thiercelin ha poscia racchiuso ogni cartuccia nel 
proiettile, detto palla-rampone, più noto in America col nome 
di bomba-lancia, da noi testè descritto. Questo proiettile, lan- 
ciato nei fianchi dell’animale, scoppia e vi proietta il miscuglio 
velenoso. 

Nel suo primo viaggio a Terra Nuova, il signor Thiercelin 
ha fatto lanciare le sue bombe avvelenate sopra dieci Balene 
di varia grossezza. L'effetto corrispose perfettamente alla aspcet- 
tazione. Le dieci Balene morirono in uno spazio di tempo che 
variava fra i quattro ed i diciotto minuti. Sei hanno prodotto 
olio e fanoni. La carne non era rimasta per nulla impregnata 
della materia velenosa, perchè le loro spoglie furono maneg- 
giate da uomini che avevano le mani coperte da graffiature e 
anche da piaghe recenti, senza che nessuno di essi provasse il 
benchè minimo inconveniente. 

Quattro di questi cetacei, appartenenti a varietà di cui non 
si curano i pescatori in grande, andarono perduti, in seguito a 
circostanze indipendenti dal nuovo metodo. 

Gli effetti di questa campagna non lascian più dubbio sull’av- 
venire serbato al trovato del signor Thiercelin. Oramai non si 
avrà più il timore, aggredendo una Balena, di vederla fuggire, 
coperta di ferite. Qualunque cetaceo colpito sarà, per così dire, 
fulminato. La presa sarà quasi certa. In ciò dunque vi è un 
germe di rivoluzione per la pesca della Balena. Ù 

Questo modo di aggressione ha il vantaggio di paralizzare in 
brevi istanti i movimenti dell’animale. 

Sei od otto minuti dopo la ferita, il pescatore può accostarsi 
alla Balena e colpirla colla lancia, per farla sanguinare, e ren- 
derla in tal modo più leggera, e impedirle di affondare. 


62 CETACEI 


— Noi non dubitiamo punto della terribile efficacia del processo 
del signor Thiercelin. Anzi confessiamo che ci coglie il timore 
che, in un avvenire non molto lontano, la specie tanto straor- 
dinaria, tanto innocente, di questi Mammiferi marini, venga al 
tutto distrutta con questo metodo di pesca. 

Speriamo che il signor Darwin non spiegherà colla sua teo-. 
ria la scomparsa di questa specie animale; il signor Thiercelin 
e la sua bomba avvelenata ci avranno certamente contribuito. 
alcun poco. 

Per dire tutto ciò che riguarda la pesca della Balena, ci ri- 
mane a parlare del modo con cui si fa a pezzi l’animale e si. 
fa sciogliere il suo grasso per estrarne l’olio. 

Quando la Balena è morta, la si attacca alla nave, col ven- 
tre in su, la coda in avanti e le narici alla poppa del bastimento. 
Non è senza fatica che si riesce a rimorchiare, per portarla a 
terra, questa enorme massa, che pochi momenti prima attra- 
versava il mare tanto rapidamente. | 

GJi antichi pescatori del nord d’ Europa facevano a pezzi la 
Balena scendendo sul suo dorso, muniti di stivali con uncini 
di ferro. In tal modo portavano via brani di grasso, in tutta la 
lunghezza dell'animale, dalla testa alla coda. Ma questo metodo 
era lungo, malagevole ed anche pericoloso. 

I pescatori dell'Oceano meridionale usano un metodo preferi- 
bile, che consiste nel tagliare, lungo il corpo della Balena, una 
larga striscia a foggia di elice continuata, che comincia al capo, 
e termina alla coda, presso a poco come fanno i fanciulli quando, 
sbucciano un’arancia. 

Il dottor Thiercelin racconta molto minutamente l’operazione 
del fare a pezzi, sulla quale non possiamo dilungarci di sover- 
chio. Basta dire che si scava, con paletti taglienti, uno dei lati. 
del labbro inferiore e si toglie via questa. parte; che in seguito. 
si stacca la lingua, che pesa parecchie migliaia di chilogrammi; 
poi l’altra metà del labbro, poi la mascella superiore coi suoi 
fanoni, i quali divengono sempre più ricercati nel commercio. 
Finalmente, si comincia a tagliare una fitta striscia di grasso 
e di pelle, che si seguita a staccare mano mano che è sollevata 
e tirata sul ponte. Si dipana, per così dire, in tal modo la 
Balena, facendola girare su sè stessa. Al secondo piano della 
figura 17 (pag. 41) che rappresenta una pesca della Balena, si 
vede l’operazione del fare a pezzi l’animale, praticata a bordo 
di un’altra nave. 

Nei mari del Sud, appena il carcame è gettato nel mare e 
staccato dalla nave, è interamente ricoperto di uccelli, special- 


CAPODOGLIO 63 


mente di procellarie e di albatros. I pescicani vengono essi pure 
a prender parte al festino. Le ossa, rotolaie e ammucchiate nei 
seni, sono poi portate via dai bastimenti; sono una vera mi- 
niera di nero animale. 

Prima di esser portate in fondo alla nave, come prodotti.di 
ritorno, le parti tolte al corpo della Balena debbono sopportare 
varie preparazioni. 

Con una certa macchina, ogni pezzo di lardo è diviso in fette 
dello spessore di un centimetro, poi si comincia a farlo scio- 
gliere, onde separare l’olio da quella enorme cotenna adiposa. 

Questa operazione si fa sul ponte della nave, per mezzo di 
un fornello mantenuto acceso coi frammenti del tessuto cellu- 
lare che vengono a galla sull’olio quando è sciolto. Una Balena 
comune basta a farsi sciogliere da sè stessa, ed ‘anche lascia 
un residuo sufficiente per poter cominciare una seconda ope- 
razione. 

La base del fornello non posa direttamente sul ponte; ne 
riman separata da uno spazio libero, nel quale circola costan- 
temente acqua fredda, che mantiene le parti vicine al ponte della 
nave ad una temperatura inferiore a 100°. Senza questa pre- 
cauzione, l’ incendio sarebbe sempre da temere. 

La quantità d’olio somministrato da una sola Balena può giun- 
gere fino a venticinque o trenta ettolitri. 

Le operazioni che abbiamo testè brevemente descritte fanno di 
una nave baleniera un luogo poco piacevole. Per darne un’ i- 
dea, citeremo ancora qualche linea del libro del dottor Thier- 
celin. 


« Mi rammento di una serata di dicembre 1858; io era a bordo della 
Ville-de-Bordeaux. Avevamo nella giornata ucciso quattro Balene. Una 
di queste erasi potuta tirar su a bordo, la seconda era legata a poppa, 
e le altre due galleggiavano tenute con corde. Il ponte sguazzante d’0- 
lio era ingombro di botti vuote, di fanoni, di natatoie pettorali, spoglie 
in parte del loro lardo. La stanza delle vesciche era piena zeppa, e 
due lampade affumicate lasciavano vedere in essa due o tre novizii 
tutti unti che stavano trinciando i pezzi piccoli. Che carnaio era quel 
luogo! » 


Capodoglio. — Il Capodoglio 0 Fisetere 1 è di una dimensione 
considerevole. La Balena sola lo supera per questo riguardo. 
Esso può giungere alla lunghezza di ventiquattro o ventisei me- 
tri ed alla circonferenza di diciassette. Il capo forma quasi il 


È Lat. Physeter macrocephalus , franc. Cachalot , ingl. Spermaceti Wale, 
ted. Pottwall. 


64 CETACEI , 


‘ terzo della Le del corpo; è di forma cilindrica, legger- 
mente compresso e troncato in avanti. Il Gapodoglio dunque è 
un'enorme massa cubica, larga dieci o dodici o quindici metri; 
sopra un ‘altezza di quattro o cinque. Quando l’animale , morto 
galleggia lungo una nave, ci vuole un po' di riflessione. per ri- 
conoscerne la testa; si sarebbe tentati di DEERACRE quella massa 
per un bastimento a metà sommerso. leo 
Le fauci si aprono a livello del piano inferiore di, questo 
ammasso di carne e di grasso. La mascella inferiore è . prov- 
vista di grossi denti conici, similari, di cui il, numero può 
ascendere fino a cinquantaquattro. Di riscontro ad ogni dente 
nella mascella superiore si trova, una cavità atta a riceverlo 
allorchè le fauci si chiudono. Dietro e sopra la commessura 
delle labbra sta l'occhio, collocato per modo da, poter, vedere 
obliquamente da ogni lato, in. un angolo di quaranta a cin- 
quanta gradi rispetto all’asse del corpo. Quest’occhio è piccolo 
e nero. Dietro l’occhio viene. l’orifizio dell’orecchio, ;che appena 
è visibile, e più lontano si vede la pinna pettorale, molto di- 
minuita. All’estremità della faccia superiore si osserva lo sfia- 
tatoio o l’orifizio unico delle fosse nasali. Da questo scaturiscono 
piccole nuvolette intermittenti di vapore grigiastro. Tia 
L’enorme testa del Capodoglio si unisce, senza nessuna trac- 
cia di collo, a un corpo conico e massiccio, terminato da una 
larga pinna caudale, la quale si divide in due lobi, ognuno, dei 
quali è tagliato a foggia di falce., La: punta di uno di questi 
lobi è sovente lontana quasi cinque metri dall’estremità dell’al- 
tro. Il dorso dell'animale è nero o nerastro, qualche volta mi, 
sto a riflessi verdastri o tinte grigie. Il ventre è bianchiccio, la 
pelle è liscia ed ha la morbidezza della seta. - 
Quando si considera la resistenza che deve opporre al movi- 
mento la grande superficie verticale del muso di questo , ani- 
‘male, non si può comprendere a tutta prima la velocità delle 
sue evoluzioni e del suo cammino. Infatti il Capodoglio, mal- 
grado la sua enorme massa, fa. circa due leghe ‘all’ora, ma può 
raddoppiare questa velocità. Allora si vede alzare e abbassare 
la sua immensa coda; il corpo segue questo movimento; emerge 
e si tuffa Men ono nel mare. Ad ogni impulsione si 
solleva. in tal modo da otto a‘dieci metri sopra l’acqua, e ta- 
lora si slancia interamente al disopra della superficie del mare. 
‘Secondo il'‘dottor Thiercelin, il Capodoglio può rimanere. EDI 
lungo nel fondo ‘dell'Oceano: C'è è spesso da aspettare quaranta, 
Ninna minuti, ed anche un’ora senza vederlo ricomparire. 
‘Si avvicina alle coste e specialmente ai bassi fondi: presso le 


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CAPODOGLIO 67 


isole, durante le lune piene e le nuove lune; riprende il iargo 
al momento delle basse acque. Secondo Thiercelin , il Capodo- 
glio si ciba quasi sempre di seppie, e di parecchie varietà di 
polpi, che galleggiando nell’acqua, quasi senza moto volontario, 
non possono sfuggire ad un così vorace nemico. Secondo La- 
cépède, invece, il Capodoglio sarebbe parimente ghiotto dei 
pesci, specialmente dei ciclotteri, inseguirebbe gli squali, le foche 
e i delfini. 

Del resto, non viaggia sempre solo. Si sono incontrate frotte 
di due o trecento Capodogli, orde erranti, guidate da un capo, 
che nuota sul davanti, pronto a dare, con un grido particolare, 
il segnale della fuga o della lotta. 

Le madri sono affezionatissime ai loro piccoli. Al minimo 
pericolo li trascinano con sè, e se sono aggrediti li difendono 
fino alla morte. Se uno di loro viene ad arenarsi, ia madre, 
tutta intenta agli sforzi che fa per soccorrerlo, non tarda a di- 
viderne la sorte. 

Il Capodoglio si trova in molti mari. Citeremo le coste dello 
Spitzberg, presso il capo Nord, e le coste della Finlandia; — i 
mari della Groenlandia; — la maggior parte dell’oceano Atlan- 
tico settentrionale; — il golfo Britannico (nel 1720 uno di 
questi animali, spinto dalla tempesta, venne a dare in secco 
presso la foce dell'Elba); — il banco di Terra Nuova; — il 
golfo di Guascogna, ecc. Di tratto in tratto si sente la notizia 
che qualche individuo di questa specie è stato veduto sulle 
nostre spiaggie. 

Nel 1784, trentadue Capodogli vennero a dare in secco sulla 
costa di Aldierna (Bretagna). Erano stati preceduti da una mol- 
titudine di pesci e di focene, e i loro muggiti si sentivano a 
più di quattro chilometri dentro terra. Vissero sulla sabbia per 
lo spazio di circa ventiquattro ore. 

Nel 1767 un Capodoglio fu preso nel golfo della Somma, 
presso Saint-Valery. 

Un altro diede in secco nel 1741 alla foce dell’Avon, sulla 
costa di Baiona. 

Nel 4866, un paio di questi cetacei è venuto a perire sulle 
coste dell’Inghilterra. 

Gli Americani e gl’Inglesi vanno alla pesca del Capodoglio 
nei mari dell’India, del Giappone, delle Molucche, del Corallo, 
caccia pericolosa, per l’ agilità, la violenza e la forza dell’ ani- 
male. La spedizione dura da tre a quattro anni, ed è piena 
di rischi e di pericoli senza pari nelle altre imprese marittime. 

Il Capodoglio non fugge in faccia al nemico, come la Balena; 


68 CETACEI 


esso difende valorosamente la sua vita. Col suo capo enorme, 
il quale sembra un ariete mostruoso, batte e spezza le barche. 
Con un colpo della sua forte coda, spazza e getta all’aria tutto 
ciò che trova sulla sua via. 

La pesca del Capodoglio è importantissima, dal punto di vi- 
sta dell’industria. Uno di questi animali può somministrare 
cento tonnellate d’olio. Il prezzo di ogni tonnellata essendo di 
duecentocinquanta franchi, il valore totale dell’olio fornito da 
uno di questi esseri marini è di venticinquemila franchi. 

Le arti e le industrie traggono anche altri prodotti dal Ca- 
podoglio, e precisamente avorio, ambra grigia, e adipocera. 

I denti somministrano avorio, ma questa sostanza è di qua- 
lità abbastanza cattiva. 

L’ambra grigia è una specie di calcolo intestinale; o meglio 
una parte degli alimenti del Capodoglio digeriti incompiuta- 
mente. È l’effetto di una malattia, o, se volete proprio saperlo, 
è il risultato di una forte stitichezza. Gli escrementi del Capo- 
doglio, alterati, modificati, coagulati, solidificati, divengono am- 
bra grigia. 

L’origine di questa sostanza, tanto. apprezzata per la sua fra- 
granza, non ha quindi nessuna nobiltà e fa meravigliare dav- 
vero la sua proprietà odorante. 

Lacépède fa osservare che gli escrementi di parecchi Mam- 
miferi, come i buoi ed i maiali, emanano, quando son conservati 
per un certo tempo, un odore analogo a quello dell’ ambra 
grigia. Lo stesso naturalista osserva che i molluschi di cui 
si ciba il Capodoglio esalano, durante la loro vita, ed anche 
dopo che sono seccati, un odore poco differente da quello del-. 
l’ambra. 

‘Dove va a cacciarsi il buon odore! 

L’Ambra dunque si trova nel canale intestinale del Capodoglio, 
in forma di quattro o cinque pallottole, o pezzetti irregolari. E 
per solito abbastanza dura per essere friabile; aderisce come 
la cera alla lama del coltello col quale si raschia; si rammol- 
lisce e diviene untuosa sotto l’azione di un lieve calore. Il suo 
odore cresce collo sfregamento o col calore; la sua densità è 
tanto poca, che galleggia sull’acqua. Perciò si raccolgono abba- 
stanza spesso delle masse d’ ambra grigia sulla riva del mare 
o sul mare stesso. Quelle che si traggono dalle intestina di un 
solo Capodoglio pesano 500 grammi. Se ne trovano.tuttavia del 
peso di 5 a 10 chilogrammi. 

I profumieri adoperano grandi quantità di questa. materia 
dall'odore soave e penetrante. | 


DELFINO 69 


L’adipocera (spermaceti, bianco di balena) è un olio con- 
creto, il quale è fluido durante la vita dell’animale. Col raffred- 
damento si rassoda. È bianco, brillante, madreperlaceo, dolce 
al tutto, e cade in scaglie facilmente. Si adopera per farne 
candele di lusso, e per varie preparazioni della profumeria e 
della farmacia. Un Capodoglio lungo 19 metri ha somministrato: 
fina a tremila chilogrammi di spermaceti. 

Questo prodotto naturale sta in una sorta di canale allungato 
che formano riunendosi le ossa del cranio e quelle della faccia. 
Questo bacino all’indietro ha non meno di due metri di profon- 
dità. D'altronde è molto distinto dalla’ cavità che contiene il 
cervello, cavità che è anche piccolissima. 

La materia grassa, e per conseguenza leggera, che sta intorno 
alla testa del Capodoglio, sembra essere una previsione della 
natura. L'enorme capo che l’animale avrebbe dovuto sollevare 
con tanto stento, che avrebbe aumentato tanto il peso del suo 
corpo, mercè l’olio di cui è pieno diviene una specie di appa- 
rato per galleggiare; per conseguenza questo essere marino può 
con lieve sforzo spingere all’aria l’orifizio o sfiatatoio collocato 
alla cima del suo muso. 


Nella seconda tribù della famiglia dei Cetacei veri menzione- 
remo i generi Delfino, Focena e Narvalo. 

Delfino. — Il Delfino comune ha forme più piacevoli che non 
tutti gli altri cetacei. La sua figura par fatta di due coni allun- 
gati, quasi uguali, applicati dalla loro base. Il capo forma l’e- 
stremità del cono anteriore; si riunisce insensibilmente al corpo, 
e. termina con un muso ben distinto dal cranio, piatto dall’alto 
al basso, e arrotondato nel suo contorno. Questa testa fu para- 
gonata da molti scrittori ad un enorme becco di cigno, e i marinai 
la sogliono denominare sovente: Oca di mare. La bocca è uguale 
ad un ottavo della lunghezza totale dell’ animale. Del resto è 
bene armata, perchè contiene da ogni lato delle due mascelle 
da 42 a 45 denti, fini, conici ed aguzzi, ciò che fa in tutto da 
168 a 180 denti. 

Gli sfiatatoi si uniscono in una sola apertura, collocata presso 
a poco sopra gli occhi; l'orecchio è benissimo organizzato; quindî 
il Delfino sente a grande distanza i gemiti sordi che mandano 
gli individui della sua specie. Il suo dorso è nerastro, i fian- 
chi grigi, ed il ventre bianco. Porta una pinna dorsale aguzza 
e alta, natatoie pettorali in forma di falce, la caudale a mezza- 
luna, tagliata in mezzo a corna aguzze. 

Questa pinna e la coda stessa possono venir mosse con tanto 


70 CETACEI 


maggior vigore, in quanto che i muscoli potenti che le fanno 
agire si attaccano alle alte apofisi delle vertebre lombari. 

Si è sempre avuto un gran concetto della forza del Del- 
fino, talchè al tempo di Rondelet si diceva di coloro che pre- 
tendevano eseguire una cosa impossibile, che « vogliono legare 
‘un Delfino per la coda. » 

Infatti, egli è principalmente per mezzo di questa coda pos- 
sente che il Delfino nuota con tanta. rapidità, e si acquisto il 
nome di freccia del mare. Allorchè questi cetacei, che vanno 
in schiere numerose e con certo ordine, incontrano una nave, 
essi la seguono, per far preda dei pesci che sono attirati in 
gran numero dai resti gettati dalla nave. Qualunque sia la 
velocità impressa dal vento o dal vapore, essi gareggiano di 
rapidità col bastimento, non l abbandonano in una lunga tra- 
versata, e scherzano in mezzo ai flutti, saltando, urtandosi con 
capricci e giuochi senza fatica, che sono per le ciurme oggetto 
di continuo divertimento. I loro salti, i loro giri e rigiri, le loro 
svelte manovre, la grazia della loro forma e del loro colore, 
danno una ricreazione piacevolissima ai naviganti stanchi della 
monotonia e dell’immensa solitudine del mare. 

Parecchi autori hanno detto che il Delfino» si slancia talora 
tant’ alto sopra la superficie del mare da oltrepassare i piccoli 
bastimenti. Si è detto che in questo caso, l’animale incurva 
con forza il suo corpo, tende la coda come un arco, e la di- 
stende in seguito, per modo da scoccare come la freccia di 
quest’arco. 

Vedendo questi animali tener dietro alle loro navi (fig. 23), 
i naviganti sì sono immaginati che li accompagnino per istinto 
di sociabilità; si volle perfino ammettere in questi animali una 
specie di affezione pel marinaio. Tutte queste idee sono affatto 
gratuite. 

Nel Traité de la navigation del P. Fournier si legge un aned- 
doto assai curioso intorno al Delfino. Il 1.° settembre 1638 quin- 
dici galere francesi si disponevano a dar battaglia ad altrettanti 
vascelli ispano siciliani, che portavano, oltre il personale ordi- 
nario dei rematori e dei marinai, tremila cinquecento uomini 
d’infanteria. 


« Appena'dati gli ordini, dice il P. Fournier, ognuno prese il suo 
posto, e il capitano dei nemici era già in mezzo alle sue quattordici 
galere, allorehè ecco ad un tralto appaiono ottanta o cento Delfini alla 
superficie dell’ acqua e si dispongono in bell’ ordine intorno alla galera 
capitana di Francia, saltando sulle onde, guizzando dalla prua alla poppa, 
slanciandosi verso l’inimico facendo mille giravolte, per modo che tutta 


DELFINO noi 
la ciurma esclamò con voci allegre: Viva « re! Avremo un Delfino , 
prendendo questa repentina ed inattesa comparsa del re dei pesci, non 
solo come presagio di prossima vittoria, ma anche come l’annunzio si- 
curo che la regina darebbe alla luce felicemente un Delfino, e infatti , 
quattro giorni dopo, nacque il Delfino di Francia ». 


Questo Monsignore Delfino, di cui la nascita era stata tanto 
stranamente annunziata, secondo i marinai, durante il preludio 
di una battaglia navale, doveva essere Luigi XIV. 

Gli antichi hanno riempito di favole singolari la storia del 
Delfino. Era per essi un animale dolce, famigliare, sensibile 
alla musica. Aveva aiutato Nettuno a ritrovare la sua Anfitrite. 
Filanto, dopo aver fatto naufragio sulle coste d’Italia, era stato 
salvato da un Delfino. — Arione, minacciato di morte dai ma- 
rinai del bastimento sul quale si trovava, essendosi gettato in 
mare, era stato raccolto da un Delfino, attirato dai dolci suoni 
della sua lira, e condotto al porto sul dorso dell’ animale. — 
Apollo aveva preso la figura di un Delfino per condurre la 
sua colonia verso le spiagge di Delfo. — Nettuno s’era trasfor- 
mato in Delfino per rapire Melanta, ecc. Quindi questo essere 
meraviglioso fu presso gli antichi oggetto di culto religioso. 
Nettuno era adorato a Sunio nella forma del pesce gradito dalla 
sua amante; e l’Apollo delfico onorato a Delfo, aveva Delfini 
per simbolo. 

Siccome le figure che ornavano quel tempio datavano da 
tempi antichissimi, erano rozze ed inesatte. Progredita l’arte, gli 
artisti greci incaricati di riprodurre le stesse immagini non 
vollero mutar nulla ai disegni consacrati dalla tradizione, e l’im- 
magine dei Delfini di Delfo si perpetuò nei quadri e nelle scol- 
ture. Per questa ragione pittori e scultori moderni rappresentano 
ancora il Delfino come facevano gli artisti greci del tempo di 
Omero, vale a dire colla coda ritta, col capo grosso, colle fauci 
enormi, ecc. 

Queste favole, queste ammirazioni, queste superstizioni, re- 
taggio dell’antichità, si sono conservate nelle varie contrade 
bagnate dal Mediterraneo. Per molti popoli, dice Lacépède, il 
Delfino è rimasto simbolo del mare. 


‘ « Attorcigliato ad un tridente, soggiunse questo naturalista, egli ha 
rappresentato la libertà del commercio; intorno ad un tripode, ha in- 
dicato il collegio dei quindici preti che officiavano a Roma nel tempio 
di Apollo; accarezzato da Nettuno, è stato segno della tranquillità delle 
onde o della salvezza dei naviganti; disposto intorno ad un’ Ancora, 0 
messo sopra un bue col volto umano, ha voluto indicare quel misto di 
velocità e di lentezza che esprime la prudenza. » 


43 CETACEI 

La figura del Delfino si osserva sulle antiche medaglie di 
Taranto e di Pesto: sulle medaglie di Corinto, che danno alla 
sua testa lineamenti veri: su quelle di Egeo, di Acaia, di Eu- 
bea, di Bisanzio, di Brindisi, di Larino, di Lipari, di Siracusa, 
di Tera, di Velia, come su quelle degl’imperatori Nerone, Vitel- 
lio, Vespasiano, Tito, ecc. 

Siccome il Delfino comune è abbondantissimo anche oggi nel 
Mediterraneo e nell’Oceano, è molto probabile che sia la stessa 
specie di cui parlano tutti gli scritti degli antichi. Faremo però 
‘osservare che alcuni naturalisti, avendo riconosciuto che le de- 
scrizioni lasciate dai Greci non hanno che una relazione im- 
perfetta col Delfino comune, che leimmagini sono sovente dissimili 
e generalmente inesatte, hanno creduto dover conchiudere che 


l’animale meraviglioso di cui tanto parlarono gli antichi, fosse 
an essere di fantasia, 

Ma questa opinione non potrebbe essere ammessa dopo la 
spiegazione data da Lacépede, dalla quale risulta che i difetti 
che rendono inesatta la iconografia del Delfino derivano sol- 
tanto dal rispetto che i pittori e gli scultori greci hanno mo- 


strato per l’immagine tradizionale dei primi artisti contem- 


poranei d’Omero. 


Focena. — Le Focene (in francese, Marsowin) differiscono dai 


Delfini pel loro muso corto, uniformemente arrotondato, che non 
rassomiglia più al becco di un uccello. La focena comune (fig. 24) 
è il più piccolo dei Cetacei; non è lunga più di un metro e 
venticinque centimetri. Vive in frotte numerose, e si distingue 


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FicuieR. I Mammiferae. 10 


Fig, 25. Pesca dei Narvali in Islanda, 


FOCENA, NARVALO 75 


pei suoi guizzi giocondi in mezzo alle onde. Innanzi agli eser- 
citi turbolenti di Focene fuggono il maccarello, l' aringa ed il 
salmone. Queste schiere sono talora tanto numerose che, allor- 
chè gli individui di cui si compongono si sollevano sull’ acqua 
per respirare, rendono oscura la superficie dell’ Oceano. Allora 
si veggono i loro corpi oleosi e nerastri luccicare da ogni lato. 

Le Focene fanno guerra aîcanita ai pesci da noi menzionati, 
‘e particolarmente ai salmoni. Indarno questi tentano di sfuggire 
al nemico; le loro manovre sono per lo più rese vane con me- 
ravigliosa destrezza. I viaggiatori che videro la caccia del sal- 
mone operata dalle Focene dicono che è uno spettacolo curio- 
sissimo e molto divertente. 

La Focena abbonda nei nostri mari; risale anche i fiumi, e 
fu veduta talvolta a Rouen e fino a Parigi. Nel medio evo la 
pesca di questo animale era di una certa importanza pei po- 
poli di Europa, perchè la sua carne era ricercatissima in tutte 
le classi della società. Anche oggi si pesca nel Nord, sia per 
mangiarne la carne, come fanno i Lapponi e i Groenlandesi, sia 
per portarne il grasso in Europa. 

Se la Focena comune è il più piccolo degli animali di questo 
genere, una seconda specie di Focena, nota col nome di Del- 
fino gladiatore (franc., Epaulard), è invece il più grande degii ani- 
mali di questo gruppo: può giungere alla lunghezza di otto metri. 
«Questo cetaceo è comunissimo nei mari del Nord. È un ani- 

male fortissimo e voracissimo. Giuseppe Banks racconta che 
un Delfino gladiatore uncinato dai ramponi rimorchiò il battello 
dov’ erano le quattro persone che l’avevano ferito, lo trascinò, 
malgrado una forte marea che percorreva otto miglia all’ ora, 
da Blackwall fino a Greenwich, e poi fino a Depttord. 

Quest’animale è rinomato per le battaglie che imprende col 
gigante dei mari, colla Balena! I Delfini gladiatori vanno a 
stormi, e se incontrano una Balena vi si precipitano contro, la 
incalzano; allorchè questa, stanca, apre le fauci, i Delfini le 
divorano la lingua. 

Narvalo. — I Narvali ! differiscono poco dalle Focene per la 
forma generale e pel colore del corpo; ma si distinguono a 
prima vista da tutti gli altri Cetacei per la singolare arma di 
difesa di cui sono stati muniti dalla natura. Dei due denti in- 
cisivi collocati nella mascella superiore del Narvalo uno si 
atrofizza quasi interamente, mentre l’ altro, per un certo com- 
penso organico, si allunga straordinariamente in linea retta, e 


1 In lat., Monodon. 


76 ‘CETACEI 


finisce per formare un enorme pugnale, arrotondato, scanalato 
a spira, aguzzo in cima, e lungo quanto il terzo o la metà del- 
l’animale. Questo strano animale non ha dunque che un dente, 
ma qual dente! Si può dire che è una spada di avorio. 

Presso gli antichi ed i moderni sonvi state molte storie in- 
torno al dente di questo Narvalo. Un tempo lo si considerava 
come il corno dell’unicorno, che lo portava in mezzo al fronte. 
Si diceva che quest’essere favoloso rassomigliasse al cavallo ed 
‘al cervo. Aristotile e Plinio lo hanno descritto, e si ritrova la 
sua effigie in parecchi monumenti antichi. La sua effigie fu 
adottata dall’ araldica del medio evo, e ornò sovente i trofei 
delle feste militari di quel tempo. 

I nostri antenati attribuivano al dente del Narvalo, che chia- 
mavano dente di Unicorno, prodigiose virtù medicinali. Lo si 
credeva antidoto infallibile contro ogni sostanza tossica; si as- 
sicurava che distruggesse tutte le proprietà nocive delle sostanze 
velenose. Carlo IX, temendo di essere avvelenato, aveva gran 
cura di immergere nella sua coppa un pezzo di dente di uni- 
corno. Il celebre medico Ambrogio Pareo fu il primo che osò 
protestare contro questi errori. ; 

In breve l’unicorno cessò di essere un oggetto di prezzo esor- 
bitante a cagione della sua rarità e delle sue pretese virtù. Dal 
laboratorio degli speziati passò nello studio dei naturalisti, ove 
fu conservato per un pezzo col nome di corno o dente di Uni- 
corno. | 

La vera natura di questo dente fu dimostrata, per la prima 
volta, da uu naturalista del Rinascimento, Wormius, il quale 
l'aveva trovato aderente ad un cranio simile a quello della ba- 
lena. Ma fu soltanto nel 1671 che Federico Martens diede una 
descrizione abbastanza esatta del Narvalo. 

Questi cetacei vivono nelle vicinanze dell’Islanda e nei mari; 
che bagnano le spiaggie della Groenlandia. Si riuniscono nei 
piccoli seni delle isole di ghiaccio, e viaggiano a stormi. Sa-' 
rebbe assai difficile il prenderli se non avessero l’ abitudine di: 
vivere in società; perchè, isolati, nuotano con tanta velocità 
che sfuggono ad ogni persecuzione. Ma quando sono insieme 
s’intralciano a vicenda, e si prendono agevolmente. Quando le 
barche dei pescatori s’ introducono con cautela in mezzo alle 
loro lunghe file, i Narvali si riaccostano l’ uno all’ altro e si: 
stringono per modo che paralizzano i loro scambievoli movi- 
menti; s'imbrogliano nei denti dei loro vicini, oppure, alzando 
il capo in aria, posano quelle difese (così sono chiamati tecni- 
camente i loro lunghi denti, del pari che quelli degli elefanti) 


+ NARVALO Lar A 


sul dorso dei compagni che stanno loro dinanzi. Allora non 
possono nè voltarsi, nè avanzarsi, nè combattere, e cadono sotto 
i colpi dei pescatori che stanno nelle barchette (fig. 25). 

Gl’Islandesi fabbricano coi denti dei Narvali le freccie per le 
loro caccie e i piuoli per la costruzione delle loro capanne: ma 
mon ne mangiano la carne, credendola velenosa! Non è lo 
Stesso presso i Groenlandesi e gli altri abitanti del Nord, che 
la considerano eccellente, e la fanno seccare esponendola al 
fumo. L’ olio che somministra il Narvalo si dice preferibile a 
quello della Balena. 


VIE 
= to ra ee 
Silone n sa e = ee pad 

== MILE 


Fig. 26. Narvali. 


I naturalisti non sono concordi intorno all’uso di questa for- 
midabile arme del Narvalo. Si è detto che l’adopera per aggredire 
la Balena, ed ucciderla immergendogliela nel ventre. Lacépède 
narra che queste difese sonsi trovate immerse profondamente 
nel corpo delle Balene, ma altri autori negano formalmente i’ 
combattimenti di questi due. possenti giostratori. 


! Sono gl'Islandesi che hanno dato a questo animale il nome che esso 
porta e che significa: Balena che si nutre di cadaveri, perchè il voca- 
bolo nar nella lingua di quel paese significa cadavere, e la parola whal, 
balena. 


78 CETACEI 

I Narvali si gettano talora con velocità ed impeto straordi- 
nario contro le navi che senza dubbio appaiono loro prede gi- 
gantesche. Se l’animale aggredisce lateralmente il bastimento 
mentre cammina, il dente infitto nel legno si spezza; ma se 
lo aggredisce da poppa, il Narvalo rimane inchiodato nella nave; 
allora vien trascinato e rimorchiato finchè muore. 

Certi naturalisti appoggiandosi sul fatto che il dente del Nar- 
valo è levigato verso la punta, la quale talora è anche mani- 
festamente rotonda come se fosse consumata, hanno arguito da 
ciò che l’animale lo adoperi per rompere il ghiaccio, quando 
vuol venire a respirare, e risparmiarsi un cammino troppo 
lungo per giungere fin dove il mare è libero. Altri hanno cre- 
duto che quei segni di logoro derivino dallo sfregamento del 
dente nella sabbia o contro gli scogli, allorchè l’ animale vi 
cerca il suo cibo, che consiste per lo più in seppie, sogliole, 
merluzzi, razze, ostriche ed altri molluschi. È stato infine ri- 
conosciuto che il Narvalo si serve della sua lancia naturale 
per aggredire la preda, ucciderla, e forse anche sbranarla prima 
di cibarsene. Quindi il dente del Narvalo sarebbe ad un tempo 
un istrumento che serve a soddisfare ai bisogni della vita or- 
dinaria dell'animale, alla sua respirazione, al suo nutrimento, 
e nello stesso tempo sarebbe anche un’ arme offensiva e. di- 
fensiva. | 

I Narvali non sono sempre brutali e bellicosi. Scoresby ha 
veduto stormi di questi animali marini di ottimo umore; al- 
zavano le corna e le intrecciavano, come se volessero far di 
scherma, e seguivano la nave con una certa curiosità tran- 
quilla. 

L’avorio del dente del Narvalo è oggetto molto prezioso, per- 
chè più compatto, più duro e capace di essere reso più levi- 
gato di quello dell’ elefante. Si è per questa ragione che si fa 
vedere nella biblioteca di Versailles un bastone fatto di avorio 
di Narvalo intarsiato di madreperla. Tal è parimenti il trono 
dei re di Danimarca, che si vedeva, e si vede forse ancora nel 
castello di Rosembersg. 0 


FAMIGLIA DEI CETACFI ERBIvORI. — L'alimentazione di questi 
Cetacei trae seco il bisogno assoluto di denti molari a corona 
piana, e la facoltà di trascinarsi sulla terra per venire a pa- 
scolare sulle spiaggie del mare. Le loro membra anteriori sono 
più flessibili di quelle di qualunque altro Getaceo, e non vanno 
mai in alto mare. 

Citeremo in questa piccola famiglia i Lamantini ed i Dugonghi. 


LAMANTINI, DUGONGHI 79 


Lamantini. — I Lamantini (fig. 27) hanno il corpo oblungo, 
terminato da una pinna semplice. Le natatoie anteriori si com- 
pongono di cinque dita, ognuno fatto di tre falangi, e di cui 
almeno qualcheduno è munito di unghie piatte e arrotondate, 
che rassomigliano da lontano a quelle dell’ uomo. Mancano di 
membra posteriori. Hanno il capo quasi conico terminante in 
un muso carnoso, nella parte superiore del quale stanno due 
piccolissime narici. I loro occhi sono pure piccoli, ed il labbro 
superiore è munito dia baffi a peli irti. Le loro mammelle col- 
locate sullo stomaco divengono grosse e rotonde durante la ge- 
stazione e l’allattamento. Fu per quest’ ultimo motivo, e anche 


Fig. 27. Lamantino, 


per la destrezza colla quale i Lamantini adoperano talora le na- 
tatoie per portare i loro piccoli, che questi animali vennero chia- 
mati donne pesci, donne di mare, ecc. 

Questi animali si uniscono e formano mandre numerose. Il 
loro carattere è dolce, affettuoso e socievole. Il maschio, affe- 
zionatissimo alla sua femmina, non l’ abbandona e la difende 
fino alla morte. I piccoli non sono meno affettuosi per la loro 
madre. 

I pescatori sanno approfittare di questo affetto che unisce i 
membri di una stessa famiglia. Essi cercano impadronirsi delle 
femmine, certi che i maschi e i piccoli terranno loro dietro per 
difenderle o dividerne la sorte. Vanno in caccia dei Lamantini 


80 i CETACEI 

sulle spiaggie poco profonde ed erbose, intorno alle isole, alla 
foce dei fiumi, ove questi innocenti e dolci animali si recano a 
pascolare le alghe marine. Il pescatore aspetta il momento in 
cui questi animali vengono a respirare a fior d’acqua; oppure 
li sorprende nel sonno, mentre, fidenti nell’onda che li culla, 
si lasciano dondolare col muso sulla superficie liquida. Allora 
si lancia il rampone. L’animale ferito perde il sangue; questo 
sangue attira altri Lamantini che corrono in soccorso della vit- 
tima. In questo terribile momento, alcufii cercano di estrarre 
l’arme micidiale, altri tentano di tagliare la corda che trascina 
il ferito; ed in tal modo i pescatori riescono a uccidere tutta la 
comitiva. Il sacrificio generoso di quegli animali è causa della 
loro rovina. 

I Lamantini lasciano sovente il mare per risalire i fiumi. 
Perciò si riuniscono in grosse mandre. I maschi più forti e più 
vecchi aprono la marcia; seguono le femmine; i giovani stanno 
nel mezzo. 

Si dice. che la lor6 carne sia buona da mangiare. Secondo 
taluni rammenterebbe il sapore del bue, secondo altri quello 
del maiale. Il loro grasso è doice e si conserva a lungo senza 
alterarsi. 

Tutto ciò che abbiam detto finora riguarda particolarmente 
la specie americana, che si trova alla foce dell’ Orenoco, del 
fiume Amazzone, e di tutti i grandi corsi d’acqua dell’America 
meridionale. Esistono altre due specie, di cui una abita il Se- 
negal. 

Dugonghi. — Il Dugongo si distingue dal Lamantino per le 
pinne pettorali sprovviste d’unghie e per qualche altra parti - 
colarità di struttura che sarebbe inutile qui menzionare. Di- 
remo soltanto che i due denti incisivi esterni della mascella 
superiore si allungano a mo’ di zanne. I costumi del Dugongo 
sono analoghi a quelli del Lamantino. 


P9AYLIL ‘88 ‘SA 


===> IMINIEEEEEEEE=—— == == === 


Ii 


FiGuIER. I Mammiferi. 


ORDINE DEGLI ANFIBI 


Preso nel suo senso più ristretto, il nome di Anfibio (amphi, 
da una parte e dall’altra; bios, vita) non dovrebbe darsi che a 
quegli animali che possono vivere alternamente nell’aria e nel- 
l’acqua: cosiffatti sono i Batraci, che dapprima respirano nel- 
l’acqua, colle branchie, in seguito nell’aria per mezzo dei polmoni. 
Questa espressione in cui si accordano i naturalisti moderni è 
stata falsata dal suo vero senso, quando Cuvier fece entrare 
tra gli anfibi i Mammiferi organizzati essenzialmente per la 
vita acquatica e che possono difficilmente muoversi sul terreno: 
sono tali il tricheco e la Foca. Per questa specie di mammiferi 
la denominazione di anfibi dovrebb’essere abbandonata, e pre- 
ferirsi quella di Pinnipedi. Ad ogni modo, per noi è qui il luogo 
di parlarne. 

I Trichechi e le Foche hanno il corpo ailungato cilindrico e 
pesciforme, vale a dire rassomigliante a quello di un pesce. Le 
loro membra, cortissime, non sporgono al di fuori che dalle 
estremità, che son mutate in natatoie mercè larghe palmature. 
Le estremità anteriori pendono lungo il corpo e agiscono dal- 
l’innanzi allo indietro, come nella maggior parte dei quadru- 
pedi acquatici: invece le estremità posteriori, stese orizzontal- 
mente e parallelamente, sono disposte per modo da batter l’acqua 
con moto obliquo. Il pelo è fatto di una specie di lana, è più 
o meno fitto e morbido quanto più il clima è freddo, e questa 
pelliccia è ricoperta di peli assai grossi, spalmati di olio ab- 
bondante, che ha per iscopo d’impedire che l’acqua giunga fino 
alla pelle. Un fitto strato di grasso protegge il corpo contro il 
freddo, principalmente nelle specie che abitano le regioni estreme 
dei due continenti. | 

Gli anfibi hanno testa rotonda, occhi grossi, la conca del- 
l'orecchio rudimentale o nulla, il labbro superiore guarnito di 
grossi baffi. Le loro mascelle portano tre sorta di denti, ed il 


84 ORDINE DEGLI ANFIBI 


loro cervello è solcato da circonvoluzioni abbastanza numerose. 
Vivono in mandre e si nutrono di pesci, di molluschi, di cro- 
stacei, ecc., ai quali uniscono talvolta anche sostanze vegetali. 
Si tuffano con molta agevolezza, e sebbene obbligati a venire a 
respirare l’aria alla superficie del loro prediletto elemento, pos- 
sono rimanere un pezzo sott'acqua. Questa circostanza si spiega 
per una particolarità del loro apparato circolatorio. Sono forniti 
di vasti serbatoi venosi (seni), nei quali il sangue si accumula, 
mentre i polmoni non funzionano. L'animale non può quindi 
essere soffocato, perchè l’asfissia è prodotta dall’arrestarsi della 
circolazione del sangue, tosto che la respirazione è sospesa; ed 
i seni suppliscono a questa circolazione nelle cellule polmonari, 
mentre l’animale si tuffa sott’ acqua. Grazie a questa precau- 
zione della natura, gli Anfibi possono liberamente andar in cerca 
del cibo in seno delle onde; non è che quando il sangue tra- 
bocca dai loro serbatoi venosi che sentono il bisogno di risalire 
alla superficie del mare per respirare. 

Siccome le loro membra non sono atte alla locomozione ter- 
restre, gli Anfibi non escono dall’acqua che per dormire, par- 
‘torire, e allattare i piccoli. Sulla terra sono obbligati a strisciare 
stentatamente, ed allorchè si sorprendono sulla spiaggia, riman- 
gon preda dei loro aggressori, perchè non possono nè fuggire 
nè resistere a chi si fa ad ucciderli. Non v’è dunque da far le 
meraviglie che grandi quantità di questi animali sian distrutte 
ogni anno, e che i prodotti che somministrano (olio, pelli, cuoio, 
avorio) diano origine ad un vistoso traffico. 

Sebbene gli Anfibi siano sparsi in tutti i mari del mondo, 
se ne trovan pochi nelle regioni intertropicali, e si fanno sem- 
pre più numerosi quando si procede verso i poli. Non mancan 
neppure sulle coste d’Europa; i mari del Nord, la Manica, il 
Mediterraneo e il mar Nero, ne sono provvisti con certa abbon- 
danza. Noti ai Greci ed ai Romani, gli Anfibi hanno dato ori- 
gine alle favole dei Tritoni e delle Nereidi. 

Gli Anfibi comprendono due sole famiglie:i Trichechi ele Foche. 


FamIGLIA DEI TRIcHEcHI. — L’unica specie di questa famiglia 
è il Tricheco !, volgarmente detto Cavallo marino, Vacca marina, 
o Vacca daì ‘grossi denti. Questo animale è lungo da tre metri 
e mezzo a quattro, su tre metri di circonferenza; le asserzioni 
dei viaggiatori che pretendono averne veduti della lunghezza 
di 6 a 7 metri devono essere considerate come esagerazioni. Il 


! Frane., Morse; ingl., Walrus; ted., Walross. 


TRICHECHI 1 85 
Tricheco è coperto di un pelo corto, poco abbondante, rossiccio; 


il suo muso, grosso e sporgente nella parte superiore, termina 
in un musello carnoso, nel quale stanno le narici volte verso 
il cielo. In complesso è una creatura dall’aspetto massiccio e 
poco gradevole. I Trichechi sono distinti per due forti denti 
canini i quali, scendendo verticalmente dalla mascella superiore, 
vengono a sporgere al di fuori, e costituiscono armi formida- 
bili. Queste difese giungono alla lunghezza di 65 centimetri, 
con una larghezza proporzionata. I Trichechi adulti mancano 
di denti incisivi e di canini alla mascella inferiore; ma nell’età 
giovanile posseggono due piccoli incisivi. I molari, in numero di 
otto ad ogni mascella, sono atti a triturare materie dure, e 
agiscono gli uni sugli altri, come il pestello del mortaio. 

Î Trichechi abitano esclusivamente i mari polari artici; stanno 
sopratutto nel contorno dello Spitzberg, della nuova Zembla, e 


Fig. 29. Una strage di Trichechi. 


sulle coste della Siberia. Si trastullano agevolmente in mezzo 
alle acque, cibandosi di granchi, di molluschi che distaccano 
dal terreno sommerso, mercè le loro difese, che funzionano 
come i nostri rastrelli. I lunghi denti canini son loro utilis- 
‘“simi in special modo per arrampicarsi sulle sponde o sui ghiacci 
«che ne chiudono l’adito; servon loroscome punto d’appoggio, e 
quindi possono progredirre, strisciando sulle membra anteriori. 
Sovente salgon sui ghiacci galleggianti, e si lasciano andare 
colla corrente fin dove convien loro di tuffarsi. 

La femmina partorisce, d’inverno, uno o due piccoli, ai quali 
aecudisce con cura, e li difende energicamente. . 

I Trichechi, di indole dolce e inoffensiva, divengono audacis- 
simi appena sono aggrediti o feriti. Allora si fanno furiosi, e 
coi loro atti dimostrano un violento desiderio di vendetta. Se 
sì trovano a terra e perciò incapaci d’ inseguire i loro nemici, 


86 + ORDINE DEGLI ANFIBI 


il sentimento dell’ impotenza strappa loro grida furibonde; sol- 
cano il terreno colle loro zanne e spezzano tutto che trovano. 
Per evitare i loro colpi non c’è altro che rimanersene a certa 
distanza. Nel mare invece, ove possono adoperare tutta loro 
agilità, i Trichechi son veramente temibili, tanto più che una 
grande solidarietà li unisce e non mancan mai di accorrere 
numerosi in aiuto dei compagni aggrediti. Circondano le bar- 
chette e fanno ogni sforzo onde farle affondare forandole coi 
loro denti, o rovesciarle appoggiandovisi sopra con tutte le 
loro forze e fracassandole a colpi di mascelle. Talora anche 
tentano di penetrarvi, con poca soddisfazione dei marinai, che 
non gradiscono la loro vicinanza. Se le barche fuggono le se- 
guono per un pezzo, e non si fermano che quando le hanno 
perdute di vista. 

I Trichechi debbono lottare, non solo contro gli uomini, ma 
anche contro gli orsi, che abitano quegli stessi luoghi. Sebbene 
gli orsi bianchi siano forniti di mezzi formidabili d’azione, non 
sempre riescon vincitori nella lotta. Dalle loro battaglie contro i 
Trichechi riportano profonde ferite, ie quali attestano sufficiente- 
mente il coraggio e la forza degli animali di cui volevano far preda. 

Un tempo i Trichechi erano tanto numerosi in certe parti 
dell'oceano Glaciale artico, ed erano tanto fiduciosi che si la- 
sciavano avvicinare da truppe di marinai, senza cercare di 
fuggire; talchè in una mezza giornata se ne potevano uccidere 
quantità prodigiose. Gmelin dice che gli Inglesi nel 1705 ne 
uccisero 700 od 800 nello spazio di sei ore; e tre anni dopo, 
900 nello spazio di sette ore. Nel 1640, un capitano di bastimento, 
per nome Kykyrez, ne uccise un tal numero, che in una sola 
campagna fece fortuna. 

Ecco come si operava questa caccia. Gli uomini dell’ equi- 
paggio scendevano sulla spiaggia, impedivano la fuga ai Tri- 
chechi, stesi senza timore a qualche distanza: poi si avanzavano 
e li colpivano colle loro lancie. Allora era una strage spaven- 
tosa; mano mano che i cadaveri cadevano, venivano ammuc- 
chiati in lunga fila, e formavano quindi una specie di diga, 
contro la quale venivano a dar di cozzo i fuggitivi; così tutto 
il branco era trucidato e fatto a pezzi (fig. 29). 

Oggi una tale manovra riesce ben di rado. Ammaestrati dal- 
l’esperienza, i Trichechi si tengono in branchi meno numerosi 
sugli scogli e sui ghiacci; si allontanano pochissimo dalle sponde 
del mare, per modo da potersi tuffare al minimo allarme, e 
durante il sonno mettono sentinelle, onde non essere sorpresi 
imprevedutamente. Per lo più è d’uopo andare in barca, inse- 


TRICHECHI, FOCHE 87 


guirli a furia di remi, e colpirli col rampone nell’ acqua. Ma, 
come abbiamo detto, questo modo di caccia è assai pericoloso. 
I Trichechi feriti divengon furibondi: circondano la barca che 
porta i cacciatori, e nei loro sforzi disperati tentano di rove- 
sciarla (fig. 34). Non son troppo i ramponi e le fucilate per 
trionfare della loro resistenza. 

I Trichechi forniscono all’ industria vari prodotti molto sti- 
mati: per questa ragione si fa loro una guerra accanita. Prima 
di tutto, le loro zanne danno un avorio più duro e più bianco di 
quello dell’elefante. Questi denti o zanne sidistaccano naturalmente 
allorchè si fa cuocere il capo dell’ animale entro una caldaia 
piena d’acqua bollente. Dal loro grasso si estrae un olio di mi- 
glior qnalità di quello della balena; ogni individuo ne produce 
una mezza tonnellata. Finalmente la loro pelle, lavorata a do- 
vere, diviene un cuoio molto spesso e molto resistente, che si 
adopera nella fabbricazione delle carrozze. Nel medio evo si fa- 
cevano con questo cuoio cordami e funi di una solidità a tutta 
prova. Alberto il Grande, nel secolo decimoquarto, dice che quella 
pelle era un oggetto di gran commercio sul mercato di Colonia. 

L’antichità non conosceva il Tricheco. 


. FamieLIA DELLE FocHE. — Le Foche ' hanno grandissima ana- 
logia di forme coi Trichechi; ma sono sprovviste dei poderosi 
denti di questi ultimi. Hanno il capo rotondo, somigliante un 
poco a quello del cane; i loro occhi son grossi, brillanti e dol- 
cissimi. Possono chiudere le narici tuffandosi, e così impediscono 
che l’acqua penetri nelle fauci. Le loro orecchie, che per lo più 
non sono altro che semplici aperture senza padiglione esterno, 
hanno la stessa proprietà. La loro bocca è munita, sopra 0 
sotto, di tre sorta di denti: incisivi, canini e molari. I molari 
differiscono poco da quelli dei carnivori, ma non vi si osser- 
vano, come in questi, i molari detti tubercolosi. Delle loro 
membra non si vedono che le estremità, composte di cinque 
lunghissime dita, riunite da una larga membrana. I piedi po- 
‘steriori, accosto l’uno all’altro, hanno l’aspetto di una natatoia 
incavata, di cui una corta coda occupa il centro. La spina dor- 
sale è tanto flessibile che possono sollevare la parte anteriore 
del corpo quasi verticalmente, mentre la parte posteriore ri- 
mane orizzontale. Bell’ esempio da citare all’emulazione dei 
«cortigiani dalla schiena flessibile! 

Il volume considerevole del loro cervello fa indovinare l’ al- 


i In ingl., Jeal; ted., Robbe. 


88 ORDINE DEGLI ANFIBI 


tezza della loro intelligenza. Nondimeno i sensi di questi ani- 
mali non sembrano molto sviluppati. Secondo le osservazioni 
di F. Cuvier, il senso della vista sarebbe migliore di tutti. Le 
Foche veggono abbastanza bene a qualche distanza, ma troppa 
luce le offusca; quindi hanno, come i gatti, la pupilla contrat- 
tile. L’ udito deve essere debole, perchè gli organi di questo 
senso mancano del padiglione esterno per raccogliere i suoni; 
anche l’ odorato non sembra guari più fino. Il tatto funziona 
probabilmente mercè i peli lunghi e duri che coprono il lab- 
bro superiore; perchè finiscono ivi nervi di una certa dimen- 
sione. Quanto al gusto, è al tutto rudimentale, se si giudica 


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Fig. 50. Foche. 


dalla ingordigia di questi anfibi. Sovente inghiottono la preda 
intera senza masticarla, sebbene non possano ingoiarla che a 
furia di grandi sforzi. Allorchè è troppo grossa per poterla di- 
vorare tutta in una volta, la dividono in molti pezzi, coi denti 
o colle unghie, senza darsi la briga di masticarla. 

La voce della Foca è una specie di latrato, analogo a quello 
del cane. Quando è in collera soffia come i gatti, digrignando 
i denti. Certe specie accentuano abbastanza. bene .la sillaba pa, 
ripetendola parecchie volte. Ciò basta perché gl’ impresari di 
mostre fenomenali adeschino la credulità degli oziosi annun- 
ziando la comparsa di un animale straordinario, di un mostro 
marino che dice papà e mama, come io e voi. 


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Ficuier. I Mammiferi. 12 


Fig. 51. Caccia al Trichechi. 


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Le Foche hanno a un dipresso gli stessi costumi dei Tri- 
chechi; ma non sono confinate, come questi ultimi anfibi, fra 
i geli del nord, sebbene vi si trovino in maggior numero e ge- 
neralmente più forti che non altrove. Abbondano pure nei mari 
australi, e se ne trovano perfino presso il Giappone e l’America 
centrale. S’incontrano su tutte le coste di Europa, ed anche in 
certi laghi o mari interni, come il mar Caspio, il làgo di Baikal, 
finalmente i laghi Ladoga e Omega (Russia d’Europa), se dob- 
biamo credere ad alcuni autori. Vivono in grandi schiere nei 
golfi, nei seni ed in mezzo agli arcipelaghi ingombri di scogli. 

Non tutte le specie ricercano gli stessi punti siccome campo 
ai loro trastulli: alcune preferiscono le spiaggie sabbiose e ri- 
parate, altre gli scogli battuti continuamente dalle onde, altre 
gli specchi coperti di fitte erbe. Amano sopra ogni cosa la 
tempesta, il fragore delle onde, il sibilo del vento, la voce for- 
midabile del fulmine e’ la luce fuggevole dei lampi. Amano 
vedere rotolare le grosse nubi travolte dal vento sopra un cielo 
burrascoso, che versi torrenti di pioggia. Allora escono in folla 
dal mare, e vengono a trastullarsi sulla spiaggia in mezzo agli 
elementi infuriati. Il turbinio dell’uragano è il loro elemento 
naturale, ed è in mezzo a queste crisi della natura che lascian 
libero corso a tutte le loro facoltà, che spiegano tutta l’attività di 
cui sono capaci. Quando il tempo è bello si addormentano in 
sonno profondissimo, e si abbandonano mollemente alle dolcezze 
del far niente. 

Le Foche si cibano principalmente di pesci, che pescano con 
grande destrezza; a questo nutrimento uniscono anche mollu- 
schi, crostacei, e talvolta anche uccelli acquatici, quando questi 
vengono a volare a fior d’acqua sulla superficie del mare per 
cercarvi il loro nutrimento. Autori segnalati affermano che questi 
animali sogliono, prima di gettarsi nell’acqua, inghiottire una 
certa quantità di ciottoli, che fan loro l’ufficio di zavorra come 
ad un bastimento, peso maggiore che rigettano allorchè tornano 
a terra. Se il fatto non è vero è ben trovato. 

Le Foche nuotano col capo e colle spalle fuor dell’acqua; non 
c'è da meravigliare che in quella posizione e vedute da lontano 
sieno state considerate, dagli antichi, come esseri straordinari, 
incaricati di far corteggio a Nettuno nelle sue passeggiate in 
mezzo al suo instabile reame. Per uscir dall'acqua scelgono un 
luogo di dolce pendio; e si attaccano colle mani e coi denti a 
tutte le scabrosità vicine, procedono a stento, ma più rapida- 
mente di quel che lascierebbe supporre l’imperfezione dei loro 
organi propulsori applicati alla locomozione terrestre. Si arram- - 


92 ORDINE DEGLI ANFIBI 


picano destramente sopra i ghiacci galleggianti, e si lasciano 
andare tranquillamente alla corrente. 

Hanno un sentimento molto spiccato della proprietà, e difen- 
dono con energia i loro diritti. Appena una famiglia ha preso 
possesso di uno scoglio o di un masso di ghiaccio, non permette 
che altro individuo della brigata venga a disturbarla; il maschio 
s’incarica di respingere qualunque invasione del suo domicilio. 
Da ciò derivano lotte sanguinose, che non cessano se non colla 
morte del proprietario o la fuga dell’invasore. Quando lo spazio 
© limitato, si veggono invero parecchie famiglie rimanere sullo 


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Fig. 52. Caccia delle Fcche. 


stesso scoglio, o sul medesimo pezzo di ghiaccio, e vivere in 
«buon accordo; ma lasciano sempre tra loro una certa distanza, 
c rimangono nella parte che è loro destinata. 

Le Foche, come i Trichechi, collocano sentinelle per vegliare 
durante il sonno alla sicurezza comune. Appena un uomo o una 
frotta d’orsi bianchi appare, Ie sentinelle mandano urla prolun- 
gate, e tutta la brigata si precipita nel mare. 

Il modo più efficace per uccidere le Foche. consiste nel dar 
loro sul.naso forti colpi di mazza; le ferite che si fan loro colle 
armi taglienti devono essere profondissime per metterle in pe- 
ricolo di morte. Quando si veggono circondate si difendono va- 


FOCHE Ì3 


lentemente, ma con esito poco felice. Nella loro collera spez- 
zano le armi dei nemici colle robuste mascelle. Del resto la 
caccia delle Foche non differisce molto da quella dei Trichechi. 
Sul mare si prendono col rampone stando sopra barchette, op- 
pure s’inseguono sui ghiacci, o si uccidono a colpi di picca 0 
di mannaia (fig. 32). 

. Tutti i popoli che abitano le spiagge dei mari polari fanno 
la caccia delle Foche, e ne distruggono quantità incredibili, 
perchè trovano in questi animali più di un aiuto prezioso a 


Fig. 33. Eschimesi in agguato d'una Foca. 


ripararsi contro il loro clima crudo e desolato. Specialmente 
per gli abitanti della Groenlandia, la Foca ha un’utilità senza 
pari. Soddisfa quasi tutti i loro bisogni e rende la vita pos- 
sibile nel freddo paese che abitano. 

I Groenlandesi mangiano la carne della Foca, e se ne con- 
tentano, sebbene sia coriacea e di odore sgradevole. Bevono il 
suo olio e lo adoperano per illuminazione. Colla pelle si fabbri- 
cano vestiti, coperte, tende e barchette; oppure la tagliano in 
striscie e cinghie. I nervi ed i tendini son mutati in filo per 
cucire, ed in corde per gli archi. Col sangue, misto ad altre 
sostanze, fanno una specie di minestra. Perfino le membrane 


94 ORDINE DEGLI ANFIBI 


dell’interno del corpo vengon adoperate, disseccate acconciamente, 
e servono, per la loro trasparenza, a chiudere le aperture che 
rischiarano a mala pena le meschine dimore di quei pcpoli. 

Quindi è quasi unica occupazione del Groenlandese la caccia 
alle Foche. Fino dai primi anni egli è ammaestrato a questo 
esercizio, che per lui è questione di vita o di morte. Ora si 
slancia sul mare, nella sua fragile barchetta, e getta il rampone 
sulla sua preda quando viene a respirare alla superficie; ora si 
ricopre di una pelle di Foca, e steso sulla spiaggia cerca di attirare 
con questo stratagemma qualcuno di questi innocenti animali. 

Gli Eschitnesi s'impadroniscono della Foca anche col metodo 
seguente. Fanno un buco nel ghiaccio, e nel punto in cui uno 
di quesi animali si presenta alla nuova apertura per respirare 
lo prendono (fig. 33). x 

Gl’Inglesi e gli Americani degli Stati Uniti sono i soli po- 
poli che organizzano la caccia della Foca in grande. Ogni anno 
vi destinano una sessantina di navi di due a trecento tonnellate 
ognuna. Lo scopo commerciale di queste imprese consiste nel 
raccogliere l’olio di cui è satura la carne di questo mammifero 
acquatico. I corpi, tagliati a pezzi, vengono gettati entro caldaie 
, collocate sulla spiaggia. Quando il grasso si è separato con la 
fusione vien messo nei barili, per portarlo in Europa od in 
America, ove si vende a ragione di ottanta franchi il barile. 
Ogni Foca può produrre mezzo barile d’olio. 

Per raccogliere uno scarso guadagno, i contadini delle coste 
e delle isole del Baltico vanno ogni anno incontro ai più grandi 
pericoli facendo la caccia alla Foca. Allorchè i ghiacci comin- 
ciano a sciogliersi, quella povera gente s’imbarca in cinque o 
sei, anche meno, sopra una barchetta, con viveri ed armi. Cor- 
rono rischio di vedere il loro schifo spezzato dall’urto dei massi 
di ghiaccio e di essere trascinati sopra un pezzo di ghiaccio 
galleggiante, ove perirebbero di fame e di freddo. Ogni anno un 
buon numero di Norvegiesi restano vittime di queste pericolose 
spedizioni. i 

Gli abitanti delle coste settentrionali della Scozia danno la cac- 
cia alle Foche con un metodo strano e non meno pericoloso. 
Essi sanno che questi animali, per partorire e allattare i loro 
piccoli, si ritirano entro vaste caverne, l’ingresso delle quali è 
strettissimo. D’ ottobre e novembre, essi penetrano, nel cuore 
della notte, in quelle cupe grotte, avanzandosi verso il fondo 
sopra fragili barchette. Allora accendono torce, mandando forti 
grida. A quella luce subitanea, a quel frastuono inusitato, le 
Foche escono dalle loro tane, in grande confusione, man- 


FOCHE 95 


dando forti muggiti. Il loro numero è tale che i cacciatori 
resterebbero da esse schiacciati se non si accostassero subito 
alle pareti della grotta per lasciarle uscire, ma alla fine si 
gettano su quelle che son rimaste indietro e le uccidono a colpi 
di bastone sul naso; trasportano poi fuori i cadaveri. In questa 
sorta di spedizioni vi è il timore che un colpo di vento spenga 
le torcie; e in tal caso quegli uomini perirebbero in fondo a 
quegli antri oscuri. 

La Foca è fornita di un complesso di facoltà molto notevoli, 
che la rendono atta ad addomesticarsi; è sorprendente perciò 
che l’uomo non abbia pensato finora ad addestrarla alla pesca, 
come ha fatto della lontra. La sua dolcezza, la sua socievo- 
lezza, e sopratutto la sua intelligenza, pari a quella del cane, 
le assicurerebbero un bel posto nell’ amicizia dell’uomo. Sonvi 
molti esempi di Foche, che, addomesticate fino dalla prima 
giovinezza, si preserò di tanto affetto pei loro padroni da seguirli, 
ovunque, e tornare a trovarli dopo che si eran lasciate smar- 
rire a bella posta ad una grande distanza. Non disturbano 
molto; una vasca piena di acqua ove possano bagnarsi, e una 
capanna fornita di paglia per riposarsi, bastano a mantenerle 
in buona salute. Si nutrono di pesci; ma siccome ne consu- 
mano una gran quantità, le spese per mantenerle si opporreb- 
bero, più di qualunque altra ragione, a ridurle in domesticità. 
Un fatto strano si è che quando sono abituate ad una qualità 
di pesce non vogliono più mangiarne altre e muoiono di fame 
piuttostochè adattarsi a mutare. 

Si distinguono molte specie di Foche, in varii climi. Esami- 
niamo brevemente le principali. 

La Foca comune, volgarmente detta Vitello marino, abita l’Eu- 
ropa ed è lunga circa un metro. E quella che è stata meglio 
studiata 4!. 

L’Atak, o Foca della Groenlandia, ha dimensioni doppie della 
precedente. Si trova anche sulle coste della Nuova Zembla e 
del mar Bianco, ma in quest’ultima regione solo d’inverno. 


.* Accidentalmente ed ora assai di rado , la Foca comune enira nel 
Mediterraneo e nell'Adriatico, ove fu presa non lungi dalle coste ita- 
liane. Ii Cornalia, nella sua Fauna d’Italia, dice che un individu) si 
conserva preparato nel museo di Trieste, e fu preso a Cherso. Parecchie 
volte ne furono presi nel golfo di Cagliari (Carnuccio). Fra le località 
italiane frequentano le coste di Galatone neHa terra d'Otranto. Nel mu- 
seo di Genova ne esiste una presa a Monte Rosso sulla riviera orientale. 
Fu tenuta a lungo in schiavitù e si trovò domesticabile ed intelligente. 

(Nota del Trad.). 


96 ORDINE DEGLI ANFIBI 


La Foca monaca, o Foca dal ventre bianco, trovasi nel Medi- 
terraneo, specialmente sulle coste dell’Adriatico. La sua statura 
varia da due metri e venticinque centimetri a tre metri venticin-. 
que centimetri. É una delle più intelligenti. Boitard dice averne 
veduto una, da due anni addomesticata, che, lasciata libera ne- 
gli stagni ed anche nei grandi fiumi, accorreva quando era 
chiamata dal suo padrone *. 

La Foca del cappuccio, 0 cappuccina, lunga circa due metri e 
mezzo, è così nominata perchè, quando è adulta, porta sul capo 
una specie di sacco mobile, di cui si copre il muso a piaci- 
mento: può anche gonfiare le sue narici per modo che pren- 
dono l'aspetto di una vescica. Trovasi nei mari dell’ America 
settentrionale e della Groenlandia. 

Il Leone marino è lungo ordinariamente quattro metri; talora 
anche otto, secondo Pernetty. Il maschio ha il collo coperto 
di una fitta criniera, che gli scende sulle’ spalle egli valse 
questo nome. Abita il Kamsciatka, le isole Aleutine, e le coste 
della California. 

La Foca detta Lupo marino è speciale delle coste del Chili. 
Gli abitanti di questo paese traggon partito della sua pelle in 
modo singolare. Ne chiudono ermeticamente tutte le aperture, 
la gonfiano d’aria, attaccano gli uni accanto agli altri questi 
corpi galleggianti, vi dispongon sopra delle traverse di legno 
coperte di giunchi e di paglia; tutto ciò forma una zattera, che 
può sostenere parecchie persone. 


i Questa specie, la Foca Monaca, è propria del Mediterraneo e _ del- 
l'Adriatico. Nell'estate venendo a terra, dice il Gené, ama di preferenza 
stare sulle roccie e passarvi alcun tempo dormendo allo scoperto. D’in- 
verno poi si rintana nelle profonde caverne delle rive per dormirvi del 
pari. Dai marinai dell'Adriatico dicesi che sia avida dell’ uva, e che ne 
‘ vada in cerca nelle vigne prossime al mare. Non sembra avverarsi di 
questa specie quello che si sa di quasi tutte le altre specie di Foche, 
cioè che viva in numerose frotte. Presa viva, si addomestica facilmente 
come il Vitello marino; acquista molta docilità, mostra grande affezione 
a chi le dà nutrimento, ne distingue la voce, e da lui chiamata accorre 
prontamente. Il professor Trois, citato dal Cornalia nella sua Fauna d’ iL 
talia, scrive conservarsi nel museo di Trieste un Pelagius preso ad 0s- 
sero in Istria; a Venezia si conserva un cranio d’un individuo preso a 
Neleda. Sulle spiaggie della Sardegna, accerta il professor Lessona che 
nel 1821 se ne prese un individuo che ora sta preparato nel museo di 
Torino, come pure un secondo se ne conserva preso nell’ Adriatico nel 
1810 e morto in quella città. Nel 1865. ne fu preso un individuo all'isola 
di Ponza. (Nota del Trad.) 


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Ficuier. I Mammiferi. 


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Fig. 54, Elefanti 


FOCHE 99 

Non lungi dal Chili, fra gli arcipelaghi vicini allo stretto di 
Magellano, abita la Foca della proboscide o Elefante marino, la 
più grossa di tutte. É lunga da otto a dieci metri con cinque 
o sei di circonferenza. Nel maschio il naso si allunga in una 
sorta di proboscide membranosa, erettile, lunga da quaranta a 
cinquanta centimetri, che gli serve a schermirsi dai colpi che 
fossero diretti sul naso. Questa specie somministra molta copia 
d’olio; il solo peso della carne è di mille chilogrammi. Questo 
enorme anfibio è sonimamente indolente, si lascia accostare con 
agevolezza e ammazzare sulla terra. 

L'Orso marino è comune sulle coste del Kamsciatka. La sua 
statura varia da un metro e venticinque centimetri a due metri. 
Il suo pelo brunastro è finissimo, morbido, e molto pregiato 
in Cina, ove si vende a prezzi assai elevati. Quindi i Russi gli 
fanno una guerra accanita, che finirà forse per distruggere la 
specie. 

Le Otarie si distinguono dalle specie precedenti per avere 
un’orecchia esterna. Sono proprie dei mari australi, e non di- 
vengono mai, generalmente, molto grosse. 

Il giardino d’acclimazione di Parigi contiene un certo numero 
di Otarie, che sono il divertimento dei passeggiatori della dome- 
nica. Il © aprile 1879 le Otarie del giardino d’'acclimazione diedero 
una prova toccante della loro intelligente bontà. Alessandro, 
guardiano di questi animali, a cui le Otarie da lungo tempo si 
erano affezionate, essendo caduto per caso dall'alto della rocca 
sulla sponda della pietra del bacino, si ruppe il cranio e ruz- 
zolò nell’acqua. Subito le Otarie si riunirono, si tutfarono tutte 
insieme nell’acqua, e ricondussero, portandolo sul dorso, il be- 
stiario che deposero sulla sponda del bacino, poi si posero a 
schiamazzare, come per chiamare soccorso. Ma l’infelice guar- 
diano era già morto. 


ORDINE DEI PACHIDERMI 


La maggior parte degli animali che costituiscono quest'ordine 
sono notevoli per lo spessore e la durezza della pelle, e si è da 
questo carattere che traggono il loro nome (gr., pachis, spessa; 
derma, pelle). In quasi tutti le dita sono racchiuse in un invoglio 
corneo, detto zoccolo, che impedisce loro di poter afferrare gli 
oggetti, e spegne al tutto in questa parte il senso del tatto. Gli 
organi digestivi non sono disposti per ruminare; ciò che li se- 
para dall’ ordine che ci occuperà dopo di essi. Finalmente non 
hanno mai corna; anche questo li separa dai Ruminanti. 

Nell’ ordine dei Pachidermi si trovano i più grossi animali 
terrestri. 

I Pachidermi si dividono in tre famiglie: gli Elefanti 0 Pro- 
boscidati, i Pachidermi comuni, ed i Pachidermi solipedi. 


FAMIGLIA DEGLI ELEFANTI 0 ProBoscipatIi. — Gli Elefanti, o 
Proboscidati (dal vocabolo latino proboscis, tromba), sono i più 
grandi mammiferi terrestri, come le balene sono i più grandi 
animali acquatici. Se la statura e la forza fossero un diritto al 
comando, questi due esseri avrebbero potuto dividersi l'impero 
del mondo. 

Le proporzioni dell’ Elefante sono massiccie, il suo corpo è 
tozzo, l’ andatura pesante, ma la sua fisonomia è imponente e 
nobile. Questi giganti della creazione hanno la testa notevole 
per l’ enorme sviluppo del cranio. Fra tutti gli animali l’ Ele- 
fante è quello in cui il capo'ha maggiore altezza verticale in 
proporzione della sua lunghezza orizzontale. Nondimeno il ri- 
gonfiamento enorme prodotto nella parte superiore, temporale 
e posteriore del cranio, non è l’ effetto del grande sviluppo del 
cervello, ma deriva dall’esistenza d’una quantità di larghe cel- 
lule, incavate nella sostanza delle ossa. Il volume del cervello 
è quindi molto inferiore a quello del cranio. 


ELEFANTI E PROBOSCIDATI 4101 


Nella parte laterale e superiora di questa enorme testa stanno 
due ampie e sottili orecchie, che si allargano in alto, indietro 
e in basso. L'animale le fa muovere e scoppiettare a piacimento: 
gli fanno l’ ufficio di ventaglio contro il caldo. L'occhio è pic- 
colo, perchè ii suo globo non è il terzo della grossezza del 
globo dell’ occhio del bue ,»:comparativamente alla grandezza di 
questi due animali. La bocca è parimente piccola e quasi al 
tutto nascosta dietro le zanne e la base della proboscide. 

Questa proboscide, organo particolare dell'Elefante, non © altro 
che il naso allungato smisuratamente, a foggia di tubo, e che 
termina colle aperture delle narici. Questo naso prodigioso è un 
braccio ed una mano. La proboscide dell'Elefante è ad un tempo 
un organo di tatto, di odorato, di prensione, e un’arme potente. 
Negli atti ordinari della vita è uno strumento che compie tutti 
gli uffici della mano. Afferra e prende gli oggetti più piccoli, 
come una moneta o un fuscellino di paglia. Può sturare una bot- 
tiglia e sparare una pistola. Nelio stato di natura, l’Elefante se 
ne serve per portarsi il cibo alla bocca, per sollevare carichi 
pesanti e collocarseli sul dorso, per bere, riempiendola d’acqua 
e lasciandola cadere in gola. Con questo strumento si difende 
od aggredisce; afferra l’inimico, lo ravvolge nelle sue spire, lo: 
stringe, lo stritola, lo lancia in aria, e lo getta in terra per 
calpestarlo poi co’ suoi larghi piedi. i 

La struttura di quest’ organo meraviglioso è singolarissima. 
È un tubo conico, di forma irregolare, molto allungato, tronco 
ei allargantesi alla cima. La parte superiore di questo tubo è 
convessa e scanalata sulla sua larghezza, e la parte inferiore è 
piatta; è fornito di due file longitudinali di piccole protuberanze 
che rassomigliano alle zampe del baco da seta. 

La prima parte della proboscide trovasi nel punto che forma 
l'estremità del naso negli altri animali; questa gli tien luogo 
di naso, perchè la parte interna serve di labbro e le narici son 
collocate in dentro. Infatti quest’ organo è cavo nell’ interno, e 
un tramezzo lo divide in due canali. Nel punto in cui questi 
canali sono al contatto delle pareti ossee che li terminano, e 
che contengono l’ organo dell’ odorato, sono forniti di una val- 
vola cartilaginosa ed elastica, che l’animale può aprire o chiu- 
dere a piacimento. Questa disposizione impedisce che i li- 
quidi che servono di bevanda entrino nell’organo speciale del- 
l’odorato. 

Fra i canali interni della proboscide e la sua membrana 
esterna stanno piantati molti muscoli longitudinali e trasversali 
e a raggi, di cui la contrazione o }a dilatazione produce i mo- 


102 ORDINE DEI PACHIDERMI 

vimenti e le inflessioni più repentine, più forti, più varie. La 
proboscide termina in una concavità, in fondo alla quale si 
trovano le aperture delle narici, e di cui il margine è sporgente. 
La parte superiore di questo margine si prolunga in una specie 
di dito, che è lungo circà cinque pollici. Questa estremità afferra 
gli oggetti con tanta delicatezza che-raccoglie un grano di fru- 
mento, una mosca o un fuscellino. 

Le zanne dell'Elefante non sono altro che i denti incisivi im- 
mensamente prolungati. Dirette obliquamente in giù, in avanti 
e all’infuori, si ricurvano in alto. La loro lunghezza può essere 
maggiore di due metri e mezzo, e possono pesare fino a cin- 
quanta o sessanta chilogrammi. Nelle femmine talora sono poco 
allungate e non sporgono fuori delle labbra. 

Le zanne servono all’ Elefante di arme offensiva e difensiva. 
Proteggono la proboscide, che si ripiega nella loro curva, quando 
l’animale passa in mezzo a fitti boschi spinosi; gli servono an- 
che per allontanare e tener discosti i rami, allorchè la probo- 
scide va a cogliere le punte dei ramoscelli fronzuti. 

L’avorio che presta tanti servigi nell’industria umana, e che 
è tanto notevole per la sua finezza, la sua bianchezza, la sua 
durezza e la bella levigatura che gli si può dare, non è altro 
che la zanna dell’Elefante. La struttura speciale di questa zanna 
la rende agevole a riconoscersi. Sulla sezione trasversale di essa 
si osservano strie che vanno in circolo dal centro alla circon- 
ferenza, e formano figure romboidali col loro incrociamento. 

Fin dai tempi più antichi l’uomo adoperò l’avorio per orna- 
mento. Salomone aveva un trono d’avorio ricco di fregi d’oro, 
‘ e l’interno di molte case di gente agiata di Gerusalemme ne 
era guarnito. Omero parla dell’ avorio come oggetto di orna- 
mento. La statua di Giove Olimpico, dello scultore greco Fidia, 
era d’avorio e d’oro. Presso gli antichi l’avorio aveva un prezzo 
elevatissimo, perché le zanne dell’ Ejefante non figuravano che 
nelle cerimonie pubbliche più importanti. 

L’Elefante non ha denti canini. I suoi molari son fatti di un 
certo numero di lamine di sostanza ossea, coperte di smalto e 
tenute assieme da una materia corticale. 

I) modo in cui si succedono i denti degli Elefanti merita’ at- 
tenzione. Negli altri Mammiferi si è verticalmente che i secondi 
denti si sostituiscono ai denti di latte. Ma nell’ Elefante si suc- 
cedono dall’ indietro all’innanzi, per modo che man mano che 
un molare si consuma, è spinto innanzi da quello che deve sosti- 
tuirlo. Un molare solo può essere quindi sostituito fino ad otto’ 
volte. Ma le zanne non rinascono che una volta sola. 


| ELEFANTI 0 PROBOSCIDATI 103 


L’enorme testa, che abbiamo esaminata nelle varie sue parti, 
si attacca ad un collo tanto corto che i movimenti rimangono 
difficilissimi e molto limitati. Il dorso è curvo e la groppa ca- 
dente. La coda è corta e sottile. Le gambe anteriori mancano 
di clavicole e sembrano massicci pilastri collocati sotto il corpo 
per sostenerne la massa pesante. Le loro ossa, come quelle delle 
membra posteriori, sono poste in posizioni perpendicolari al 
corpo ed al terreno; ciò che dà all’animale un aspetto pesante 
ed impacciato. Inoltre le gambe anteriori son più lunghe delle: 
posteriori, che sono cortissime, e di cui la gamba propriamente 
detta e fors'anco il ginocchio sono soli liberamente operanti. 
Sotto i piedi trovasi una specie di suola callosa, abbastanza 
spessa per impedire che gli zoccoli tocchino terra. Gli zoccoli, 
innumero di tre a cinque, sono informi e non indicano neppure 
il numero delle dita (cinque ad ogni piede) che rimangono in- 
crostate e nascoste sotto la pelle. 

‘Questo corpo informe, colossale e pesante, è ricoperto di una 
pelle callosa, screpolata, spessa, di un colore bigio sporco e ne- 
rastro, fornita di rari peli che si scorgono meglio sulla pro- 
boscide, sulle palpebre e sulla coda terminata da un ciuffo di 
crini. I 

Gli Elefanti abitano nei paesi più caldi dell’Africa e dell’Asia. 
Cercano di preferenza le foreste e i lùoghi paludosi, vivono in 
compagnia più o meno numerosa e sono guidati sempre da un. 
vecchio maschio. Il loro nutrimento si compone di erbe, radici 
e semi, e sovente vanno a cercarlo nei campi coltivati, ove ca- 
gionano danni considerevoli. 

Gli Elefanti addomesticati son ghiotti delle banane, delle noci 
di cocco; ma loro cibo comune è il fieno, la paglia, il riso crudo 
o cotto, il pane e le foglie d’ albero. Cosa singolare, si avvez- 
zano agevolmente a bere vino, acquavite, ed altri liquori spi- 
ritosi. 

Per nutrire la loro massa enorme, questi animali devono 
mangiare gran copia di alimenti. Nell’India si dà loro per solito 
50 chilogrammi di riso al giorno, a cui si unisce, per mante- 
nerli in buona salute, una certa quantità d’ erbe o di foglie 
fresche. 

L’Elefante che fu condotto a Versaglia al tempo di Luigi XIV, 
mangiava ottanta libbre di pane al giorno e due secchie di mi- 
nestra, beveva dodici litri di vino, e consumava anche una gran 
quantità di biscotti che gli portavano i visitatori. 

L’ andatura degli Elefanti è più veloce di quello che si po- 
trebbe credere osservando il loro passo pesante. Secondo certi 


104 ORDINE DEI PACHIDERMI 


autori, questi animali potrebbero fare da venti a venticinque 
leghe al giorno. Nuotano anche benissimo. 

Si è asserito per un pezzo che gli Elefanti non possono coricarsi 
e che dormono sempre in piedi. È vero che negli Elefanti, come 
nei cavalli, si trovano individui che possono dormire in piedì 
e non si coricano che di rado; ma ordinariamente dormono co- 
ricati sul fianco, come la maggior parte dei quadrupedì. 

L’ Elefante femmina porta venti mesì il suo piccolo. Il gio- 
vane Pachidermo alla nascita è alto circa un metro. Ha l’uso 
di tutti i suoi organi ed è abbastanza forte per seguire i suoi 
genitori. Quando vuol poppare, arrovescia all’ indietro la sua 
proboscide e succhia il latte alla mammella della madre colla 
bocca e non colla proboscide, come hanno asserito certi autori. 
L’allattamento dura circa due anni. 

L’ Elefante è fornito di molta intelligenza; ne daremo ora 
qualche esempio. 

Esso comprende la giustizia, vale a dire rende bene per bene 
e male per male. Il conduttore di un Elefante del Madagascar 
spaccò un giorno; per cattiveria, una noce di cocco sul. capo 
del suo animale. L’indomani l’Elefante passando per una strada 
vide noci di cocco esposte in una bottega. Ne prese una colla 
sua proboscide, e ne colpì violentemente la .fronte del suo con- 
duttore, che rimase morto sul colpo. 

Un giovane aveva fatto le viste di offrire parecchie volte un 
pezzo di zucchero ad un Elefante, poi lo aveva dato finalmente 
ad un altro Elefante. Il primo, offeso da quella canzonatura, 
afferrò quel giovane colla proboscide, lo ferì sul volto e gli la- 
cerò le vestimenta. Bisognò accorrere in soccorso dell’impru- 
dente e liberarlo dall’animale furibondo. 

Un Elefante soleva allungare la proboscide nei viali o alle 
finestre delle case di Achem (isola di Sumatra) come per chie- 
dere frutta o radici, e gli abitanti lo regalavano con piacere. 
Un mattino, presentò la sua proboscide alle finestre di un sarto, 
e questi, invece di dare all’Elefante ciò che desiderava, lo punse 
con un ago nella proboscide. L’animale parve prendersi in pace 
l’ insulto. Continuò la sua strada, ed andò tutto tranquillo al 
fiume, ove lo conduceva ogni giorno la sua guida per lavarlo. 
Soltanto, smosse il limo del fondo con uno dei suci piedi ante- 
riori ed aspirò nella proboscide gran copia di quell'acqua fan- 
gosa. Ripassando nella strada ove era la bottega del sarto si 
accostò alla finestra, e gli lanciò una tromba d’acqua con forza 
così prodigiosa che il colpevole e i suoi operai furono rove- 
sciati dal loro sedile e rimasero colpiti dallo spavento. 


UB]A9D V ‘OMTRIE JE O1EDOEHE 01UEJ9]sT 7] ‘ce ‘Sd 


14 


FIGUIER. I Mammiferi. 


ELEFANTI 0 PROBOSCIDATI 107 
| Buffon narra il fatto seguente: 


« Un pittore voleva disegnare l’Elefante del serraglio di Versailles in 
una posizione straordinaria, cioè colla proboscide sollevata e le fauci 
aperte. Il garzone del pittore, onde farlo rimanere in quell’atteggiamento, 
gettava in bocca delle frutta, 0, più sovente, faceva le viste di get- 
targliene. L’ Elefante parve sdegnarsi di ciò, e, come se si fosse accorto 
che il desiderio del pittore di disegnarlo in quel modo fosse causa della 
sua noia, invece di prendersela col garzone si rivolse al padrone, e 
colla proboscide gli gettò tant’ acqua che macechiò tutta la carta sulla 
quale il pittore disegnava. » 


Nella Decade philosophique si legge che un Elefante innaffiò 
nello stesso modo una sentinella che voleva impedire al pub- 
plico di dargli da mangiare! Anzi, la femmina dello stesso Ele- 
fante prese le parti del maschio, e afferrò il fucile del severo 
sorvegliante, lo fece girare nella sua proboscide, lo ruppe coi 
piedi, e non lo restituì che dopo averlo torto come un cavatu- 
raccioli. L’Elefante, che conosce la sua forza, sa adattarsi onde 
la sua massa pesante non sia nocevole alle creature più deboli 
di lui. Se passa in mezzo alla folla si apre la via per modo, 
colla sua proboscide, da non far male a nessuno. Il dottor 
Franklin dice che è stato testimonio dell’ affetto dell’ Elefante 
pei fanciulli. 


«< Ho veduto io stesso, egli scrive, nell’India la moglie di un mahud 
affidare un suo bambino giovanissimo ad uno di questi giganteschi ani- 
mali. Mi sono anzi compiaciuto osservando la sagacia e le cure delicate 
di cui quella nuova specie di balia era prodiga pel suo fanciulletto. L’e- 
lefante aveva preso sul serio il suo incarico. Il bambino che, come tutti 
i suoi coetanei, non amava rimanere un pezzo nella stessa posizione, e 
voleva che si pensasse a lui, appena si sentiva abbandonato a sè stesso 
sì metteva a piangere. Talora anche egli si imbarazzava nelle gambe 
dell'animale, o nei rami d’albero di cui questo si cibava. Allora l’ Ele- 
fante con affetto meraviglioso liberava il bambino sollevandolo colla 
proboscide oppure allontanando gli ostacoli che potevano impacciarne i 
movimenti. » 


L’Elefante è molto puntiglioso. Ecco un tratto che narra lo 
stesso dottor Franklin, a cui ne lasciamo per altro tutta la re- 
sponsabilità. 

Il proprietario di un antico serraglio di animali dell’Exeter- 
Change, chiamato Pidcock, aveva da parecchi anni l’uso di of- 
frire tutte le sere al suo elefante un bicchierino di un liquore 
spiritoso. L’animale sembrava gradire molto questa attenzione, 


108 ORDINE DEI PACHIDERMI. 


perchè beveva quel liquore con una certa sensualità, come la 
maggior parte degli individui della sua specie. Pidcock versava. 
sempre all’ Elefante il primo bicchierino, poi ne prendeva egli 
un altro. Una sera mutò pensiero, e si volse all’ animale di- 
cendo: « È già un pezzo che sei stato servito pel primo, ora 
tocca a me a bere prima di te. » Il compare Elefante prese la 
cosa in mala parte; non volle esser servito il secondo, e non 
volle più tener compagnia al padrone nelle sue libazioni quo- 
tidiane. 1 

Gli Elefanti ‘che si veggono esposti in vari paesi sui teatri 
danno prova di una intelligenza svariatissima. Si muovono sul 
palco scenico con singolare leggerezza. Sopra una scena in- 
gombra di attori cercano di evitare ogni urto che possa distur- 
bare l’ordine della rappresentazione; procedono in cadenza, con’ 
passo giusto che s’accorda colla musica. Distinguono un attore: 
dall’altro. Se, per esempio, si tratta di collocare la corona sul 
capo di un re legittimo, non v'è pericolo che vadano a deporla 
su quello di un usurpatore. A Parigi, nel 1867, si è veduto un 
Elefante che dava rappresentazioni nell’arena del boulevard del 
Principe Eugenio, far esercizi ginnastici ed altri giuochi di de- 
strezza che davano un’alta idea della sua docilità e della sua 
intelligenza. L’ Elefante funambolo riusciva perfino a sostenere 
la sua enorme massa sopra una corda tesa, come Blondin. È 
un giuoco a cui non si arrischierebbero molti uomini. 

Pare che l’ Elefante abbia certe facoltà musicali. Nel 1813 
alcuni suonatori di Parigi si raccolsero insieme per dare un 
concerto all’ Elefante maschio che allora esisteva nel Giardino 
delle Piante. L’ animale dimostrò un vero. piacere nel sentir 
suonare alcune ariette popolari. Una specialmente gli piacque 
per modo che egli batteva il tempo facendo oscillare la sua 
proboscide da destra a sinistra, e dondolando il suo enorme 
corpo. Mandava anche colla voce qualche suono più o meno 
d’accordo con quelli dei suonatori. Le grandi sinfonie non sem- 
bravano piacergli tanto. Pareva comprender meglio la melodia 
che non l’ armonia scientifica. Conosco molti uomini che per 
questo riguardo sono come gli Elefanti. Terminato il concerto, 
il sensibile Pachiderma s’ accostò ad uno dei suonatori, che 
suonava il corno e che pareva averlo particolarmente commosso. 
Gli si inginocchiò innanzi, lo accarezzo colla proboscide, e con 
ogni sorta di moine gli espresse il piacere che aveva provato 
udendolo suonare. 


Dopo queste considerazioni generali sull'organismo e sui co- 


. ELEFANTE D'ASIA 109: 


stumi dell’Elefante, passeremo allo studio particolare delle spe- 
cie di questa famiglia. 

Del resto queste specie non sono cbe due nella creazione at- 
tuale, l’Elefante d’ Asia e l’Elefante d’ Africa. 

L’Elefante d' Asia vive oggi in tutto il continente delle Indie, 
principalmente nel regno di Siam, nell'impero dei Birmani, 
nel Bengala e nell’Indostan propriamente detto. Si trova anche 
nell’ isola di Ceylan, a Sumatra e nell’isola di Borneo. La sua 
testa è larga, piatta sul davanti della fronte, rigonfia sui lati; le 
sue orecchie sono meno grandi di quelle dell'Elefante d'Africa, 
e le loro proporzioni sono un po’ differenti. Il suo colore è di 
un grigio terreo che passa al bruno. In alcuni individui, in 
certo modo, albini, il colore è di un bianco roseo. Certi popoli 
delle sponde del Gange credono che questi Elefanti bianchi o 
rosa diano asilo alle anime degli antichi regnanti. I principi 
di Siam e del Pegù, alteri di possederne, li alloggiano nei loro 
palazzi, e li fanno servire magnificamente da un gran corteggio 
di adoratori. | 

Gli Elefanti d’Asia sono i soli che si possano oggi addome- 
sticare. Giova notare anche che gli individui che si adoperano 
non sono nati in schiavitù. Sono individui selvaggi addome- 
sticati. Questi animali vivono sempre in compagnia; quelli che 
si trovano isolati sono stati respinti dai compagni per qualche 
motivo a noi ignoto. 

Senza l’uomo sulla terra, l’Elefante sarebbe forse divenuto il 
padrone del creato. Ma l’ uomo si è affrettato ad impadronirsi 
di questo forte ed intelligente servitore. Ecco il modo adoperato: 
più comunemente in Asia per rendersi padroni degli Elefantì 
selvatici e ridurli in servitù. 

Allorchè gli abitanti del Bengala, di Siam, ecc., hanno sco- 
perto una mandra di Elefanti, o solo due o.tre piccole società 
di questi animali, che si possono riunire agevolmente, gli in- 
digeni dei paesi vicini si raccolgono per circondare la piccola 
comitiva. Si muniscono di armi da fuoco, di tamburi, di trombe, 
di fuochi d’artifizio, infine di tutto ciò che può spaventare que- 
sti animali: allora formano un circolo intorno ad essi, a poco 
a poco li spingono verso un recinto artefatto, il cui ingresso 
ornato di fogliame rassomiglia al viale di una foresta. Questo 
ingresso va man mano restringendosi e termina in un recinto 
chiuso da una palizzata fatta di tronchi d’albero e che contiene 
un fosso profondo. 

La mandra di Elefanti inseguita in tal modo giunge lenta- 
mente fino all’ estremità della trappola. Il capo che precede e 


110 ORDINE DEI PACHIDERMI 


dirige la banda esita un pezzo prima di andar avanti. Lo si 
adesca ponendo in vicinanza di quel luogo funesto frutta e ra- 
moscelli, di cui è molto ghiotto, come canne di zucchero e 
banane. Appena è entrato il duce, il resto della brigata gli 
tien dietro. Non basta però, giacchè prima di tutto fa d’ uopo 
isolare gl’ individui, per potersene impadronire ed addomesti- 
carli separatamente. Perciò si collocano erbe e frutti all'ingresso 
di un andito strettissimo, e tale che l’ animale non possa vol- 
gersi indietro. Appena uno è entrato là dentro se ne chiude la 
porta. Colà si ferma l’ animale gettandogli nelle gambe delle 


striscie di legno, poi si finisce per legargli con corde i piedi: 


mercè nodi scorsoi. Allora ogni prigioniero è lasciato ai guar-' 
diani i quali, colla pazienza e col tempo, colle carezze e colle’ 
minaccie, privandoli del nutrimento, o accarezzandone la ghiot- 


toneria, riescono a poterli avvicinare senza pericolo. Ci vogliono 


circa sei mesi prima che l animale permetta alla sua guida di’ 
montargli sul dorso. Nondimeno l’amore della libertà è così’ 


potente in questi alteri colossi, che sovente approfittano dell’oc- 
casione che si offre loro per fuggire nei boschi e ritornare alla 
vita selvatica. i 


Diremo anche che gli Elefanti addomesticati servono alla: 


loro volta ad addestrare gli Elefanti selvatici ed abituarli al- 
l’uomo. Singolar prova d’intelligenza o di filosofia per animali 
che conservano sempre un intimo amore vivissimo della libertà 
perduta. 

Quanto agli Elefanti che vivono isolati nelle foreste, gl’Indiani 
li prendono in vari modi. Per esempio, gettano un nodo scorsoio 
ad uno dei piedi posteriori dell’Elefante, che hanno potuto avvi- 
cinare senza svegliarne la diffidenza; poi legano ad un albero 
l’altro capo della corda e finalmente ravvolgono l’animale in una 


rete di altri legami. Si fa un tetto sull’ albero al quale il pri- 


gioniero è legato, e quando la fatica e la fame lo hanno inde- 
bolito lo si viene a prendere con un Elefante addomesticato, il 
quale lo rassicura, lo tranquillizza e lo conduce verso la stalla. 

In Asia un Elefante bene addestrato ha un gran valore. La 
sua forza è quasi cinque volte quella del cammello. 

Allo stato selvatico l’Elefante dell’India giunge all’età di due- 
cento anni; ma in servitù non vive più di centoventi. 

In guerra si adopera a trasportare malati, tende e utensili. 
Gl’ Inglesi hanno provato ad attaccarlo ai treni di artiglieria. 
Anzi i proprietarii delle grandi pianure coltivate di certe parti 
dell’ India son riusciti a fargli tirare l’ aratro. Più mostruoso 
aratore di questo non aveva mai solcata la terra col suo po- 


ELEFANTE D'ASIA 4111 


tente zoccolo. L’E/efante aratore fa da solo il lavoro di una tren- 
. tina di buoi. In Inghilterra si fabbricano enormi aratri che si 
spediscono alle Indie per l’istmo di Suez: l’Elefante fu avvez- 
zato a tirare un tale aratro. Ogni mattina 1’ Elefante prende il 
cornac per la cintola, se lo colloca sul dorso e lo porta al campo. 
Due uomini tengono i due bracci dell’aratro, e per tutto il giorno 
l’ Elefante cammina, e camminando solleva, dictrò di sè, una 
lunga e alta striscia di terra, facendo un solco largo un metro 
e mezzo e profondo un metro (fig. 35). E un peccato per l’a- 
gricoltura indiana che le prove fatte onde addestrare 1’ Elefante 
al lavoro dei campi non siano state continuate. 

L’Elefante nelle Indie è l’ornamento indispensabile di tutte le 
feste pubbliche. Figura nel corteggio dei principi, e nelle pro- 
cessioni. 

Nella caccia alla tigre è specialmente utile per portare i cac- 
ciatori, e per difenderli quando quella terribile fiera si rivolta 
e li aggredisce. 

Van Orlich, viaggiatore naturalista, ha descritto il singolare 
senso di sorpresa da lui provato quando per la prima volta 
nell’India viaggiò sopra un Elefante. Sul dorso dell’animale fu 
collocato un cuscino imbottito di crine; sul cuscino fu gettato 
un lungo drappo rosso ricamato in oro: su questa coperta per 
mezzo di corde venne legato un sedile per due persone e pel 
loro seguito. La guida, o mahud, sedette sul collo dell'animale, 
dietro alle orecchie, dirigendolo con una forca di ferro avente 
uno dei denti ricurvo. Un uomo correva lungo la strada con 
un gran bastone per affrettare il passo dell’Elefante colle grida 
e coi colpi. L’andatura dell’animale talora era piacevole, talora 
stancava. Sollecitato dalla guida andava in certi momenti tanto 
velocemente, che un uomo a cavallo avrebbe potuto a stento 
seguirlo al trotto. Ma ciò durava poco, e l’ animale non faceva 
più di ventiquattro miglia al giorno. 

Fino dalla più remota antichità, l’ Elefante d’ Asia è stato 
addestrato al servizio domestico e militare, e quest’ uso è con- 
tinuato fino ai nostri giorni. Nelle guerre che seguivano fra i 
popoli dell’Asia, si caricavano di torri occupate da uomini ar- 
mati di frecce, di fionde e di giavellotti. I primi eserciti che 
condussero Elefanti nel loro seguito eran certi della vittoria. 
La semplice vista di questi animali, equipaggiati in guerra, 
colpiva di terrore tutti i soldati. I Romani furono atterriti al- 
lorchè videro per la prima volta, nelle loro guerre contro 
Pirro, quelle macchine viventi. Tuttavia impararono a combat- 
tere gli Elefanti africani. Spaccavano colle scuri le loro gambe 


112 ORDINE DEI PACHIDERMI 


colossali; in mezzo alle loro file lanciavano enormi piuoli, per 
intralciarne il cammino. Più tardi i Romani stessi condussero 
Elefanti in guerra, e Cesare ne fece un uso fortunato nelle cam- 
pagne della Gallia. Gli avanzi degli Elefanti condotti dai Ro- 
mani sono stati ritrovati nel mezzogiorno della Francia. A 
Roma. si fecero sovente comparire nel Colosseo gli Elefanti, per 
combattere i gladiatori, e sovente furono attaccati al carro che 
portava itrionfatoriin Cam- 
pidoglio. i 
Cesare per far più splen- 
dido il suo trionfo fece con- 
durre a Roma gli Elefanti 
che aveva preso alla bat- 
taglia di Thapso. Si videro 
allora quaranta di questi 
superbi animali, disposti 
in due file; e ‘osnuno.di 
LL Di i... essi portava una fiaccola 
Nidi edi nella proboscide. L’idea di 
CON NUTI RAI VANO \\ UL - 
un questo spettacolo, che pia- 
cque molto ai Romani, era 
stata presa ai re d’ Egitto 
e di Soria, che si facevano 
in tal modo accompagnare 
da Elefanti addestrati a por- 
tare le torce. 

Negli Stratagemmi di quer- 
ra di Polieno si legge che 
Giulio Cesare, durante la 

dn conquista dell’isola di Bre- 
Fig. 56. Testa dell'Elefante d'Asia . tagna, si servi di un Ele- 
fante per attraversare più 

presto il Tamigi. Ecco i particolari dati da Polieno. 


« Cesare voleva attraversare un gran fiume, di cui Cassivellauno, uno 
«dei re barbari della Bretagna, difendeva la sponda opposta, con nu- 
merosa cavalleria, forte infanteria e molti carri da guerra. Il generale 
romano, vedendo la difficoltà di vincere il nemico, fece avanzare un 
grande Elefante coperto di una armatura di ferro e carico di una torre 
piena di arcieri e di frombolieri. Questa strana apparizione atterrì gli 
abitanti di Albione, che non avevano mai veduto una cosa. simile: 
i loro cavalli s’ inpennarono, tutti fuggirono, e Cesare rimase padrone 
del varco. » 


Fisuier. I Mammiferi. 


lefante colla spada, in Africa. 


4 


57. Caccia dell’I 


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Fio. 


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- oe ienno 7 


ELEFANTE D'AFRICA 115 

Intorno all’ uso degli Elefanti negli eserciti giova notare che 
la specie indiana è più coraggiosa dell’ africana. I Romani co- 
‘noscevano questa differenza, perchè nelle guerre ove non ave- 
vano che Elefanti africani da opporre agli Elefanti indiani 

avevano cura di collocarli, non già sulla fronte dell’esercito, ma 
| dietro ai soldati. Ciò fecero i Romani, secondo Tito Livio, alla 
battaglia di Magnesia. 

L’Elefante d’ Africa ha la testa più rotonda e meno larga su- 
periormente di quella dell'Elefante asiatico. La sua fronte non 
ha la doppia protuberanza laterale che si trova in quest’ultimo. 
Le sue orecchie sono più grandi e più vicine pel loro margine 
interno; le sue zanne sono più ferti. Alcune altre particolarità 
relative alla forma delle ossa e a quella dei denti molari di- 
stinguono ancora l’Elefante d’Africa da quello dell’Asia. 

Si incortrano gli Elefanti d'Africa dal Capo di Buona Spe- 
ranza fino all'alto Egitto ed al Capo Verde. Per conseguenza 
vivono nel Mozambico, in Abissinia, nella Guinea ed al Se- 
negal. 

Gli Elefanti africani vivono in mandre più o meno numerose, 
come quelli dell’India. Se ne trovano anche di solitari; gli Olan- 
desi li indicano col nome di vaganti. Altre volte eran molto più 
comuni che non ora nei dintorni del Capo di Buona Speranza. 
Thumberg narra che un cacciatore gli asserì di averne ucciso, 
in quelle parti, quattro o cinque al giorno, e ciò regolarmente. 
Soggiungeva che parecchie volte il numero delle vittime era 
salito a 12 e 18, e fino a 22 al giorno. Ma forse queste erano 
millanterie da cacciatore. Checchè ne sia, si può oggi viaggiare 
nell’ interno dell’Africa senza incontrare un solo di questi gi- 
ganti, un dì tanto abbondanti in quei paesi. 

Per ciò che riguarda le sue relazioni coll’ uomo, l’ Elefante 
d'Africa differisce molto dall’ Elefante asiatico. Non si può ri- 
chiedere dall’ africano ciò che si ottiene dall’indiano. Se ne va 
a caccia pel nutrimento abbondante che somministra colla sua 
carne, e specialmente per l’avorio delle sue zanne. 

Si caccia l’Elefante d’Africa col fucile e con frecce avvelenate. 
Alle volte lo si attira e lo si fa cadere entro fossi, in fondo ai 
quali si ferisce sopra piuoli affilati. 

Il celebre viaggiatore Baker nelle sue Esplorazioni degli af- 
fluenti abissini del Nilo, ha recato parecchie interessanti de- 
scrizioni di questa caccia, sì piena di pericoli e d’emozioni. Lì, 
i cacciatori, detti aggagîir, li ammazzano colla sciabola o colla 
Spada. 

Ecco la narrazione di una di queste caccie singolari: 


116 ORDINE DEI PACHIDERMI 


« Il giorno si avanza. Abbiam passato e ripassato il fiume più volte, 
quando infine arriviamo ad una curva, il cui fondo sabbioso è inondato 
nella stagione delle piene, e che, d' una estensione di più acri, è fian- 
cheggiata da un bosco d’ alberi ad alto fusto. Gli aggagir, i quali par 
che conoscano ogni pollice di terra del paese, dichiarano che se gli 
elefanti non hanno lasciato quel paese, devono esser li fra gli alberi. 
Mentre noi cerchiamo la direzione del vento, si fa sentire un colpo di 
proboscide, e un superbo elefante, uscendo dalla foresta, si avanza mae- 
stosamente verso il fiume. 

« Siamo nascosti da un banco di sabbia, dietro il quale scendiamo da 
cavallo. La striscia che separa la foresta dal margine d’ acqua è larga 
circa trecento passi. È una cala del Settite, che da quel punto si piega 
ad angolo retto e rade il piede d’un dirupo, composto di ciottoli uniti 
mercè un cemento caleare. Il piano d’assalto è ben presto fatto: ‘voglia 
tentare di raggiungere la belva strisciando al riparo del banco di sabbia 
se non ci riesco, gli aggagir taglieranno la ritirata all’elefante, e avremo 
la probabilità di un combattimento colla spada. 

« Io apro la marcia, seguito da uno dei miei Takruri che porta la mia 
seconda carabina; Florian ci accompagna. Varchiamo rapidamente metà 
della distanza; siamo ancora a cento cinquanta passi della belva, che è 
giunta al fiume e si è messa a bere. 

« Il banco di sabbia diminuisce di altezza, nè ha più di due piedi; i 
riparo è sottile, e noi raddoppiamo di cautela. Non c’ è un albero, non 
una pietra; la sabbia è nuda e così mobile che vi si affonda sino alla 
caviglia. Nondimeno ce’ inoltriamo. L'elefante cessa di bere per lanciare 
un getto d'acqua che ricade sopra di lui a guisa di acquazzone; quindi 
sì abbevera e s'innaffia alternativamente senza darsi briga della nostra 
presenza. Noi frattanto ci avanziamo. Quindici passi tutt’ al più ci se- 
parano, quand’ecco che egli volta la testa e ci scorge; rialza le enormi 
sue orecchie, suona la tromba colla sua proboscide e sta titubante fra 
l'assalto e la fuga. Io corro a lui gridando: esso rivolgesi verso il bo- 
sco, ed io gli tiro alla spalla. Ho la mia grossa carabina, quella che gli 
Arabi chiamarono Figlio del cannone e che per abbreviatura io chiamo 
Bébé. La sua carica è di ventidue grammi di polvere, la sua palla di 
una mezza libbra. Come accade sempre, la spaventevole sua rinculata 
mì ha quasi rovesciato a terra; ma vedo il segno sulla spalla dell’ ele- 
fante e in una linea eccellente, sebbene sia un poco in alto. Tuttavia, 
il solo risultato del colpo è quello di mettere in salvo la belva, che sta 
per internarsi nella foresta quand’ ecco che gli aggagir le tagliano la 
ritirata, come-si era convenuto. L’ animale furibondo corre diritto sul 
nemico. Allora incomincia la parte eroica e insensata della caccia. In- 
vece di occupar l’elefante colla fuga di un cavaliere, secondo il metodo 
usuale, i miei tre aggagir saltano da cavallo nello stesso tempo, eda 
piedi sull’arena in cui s’affondano, assaltano l'enorme belva. 

« Io non ho mai visto nulla, in fatto di sport, che sia così bello e 
pazzamente pericoloso. Non ostante la rabbia che lo divora, l'elefante ri- 
conosce che lo scopo dsi cacciatori si è di passar dietro a lui: il che 


ELEFANTE D'AFRICA 117 


egli evita con incredibile destrezza; si volta rapidamente sopra sè stesso 
carica i tre assalitori l’un dopo l’altro, sempre in faccia a quello che è 
più da temersi, e sparge per aria nuvole di sabbia ch’egli lancia con la 
sua proboscide mandando grida di furore (fig. 37). i 

« Gli aggagir non riescono a trionfare di questa manovra; la mobile 
sabbia, che non conta nulla per quel colosso, è loro talmente contraria, 
che non evitano il nemico se non con estrema difficoltà. Solo a forza di 
bravura e d’intrepidezza salvano alternatamente quello tra loro che la 
belva sta per colpire. Intanto io attraversava faticosamente l'arena. Nel 
momento in cui 
arrivo, l’elefan- 
te, ilquale passa 
fra gli aggagir, 
riceve insieme 
una palla che io 
gli invio alla 
spalla, e un col- 
po di spada che 
gli dà Abù Do. 
Costui, sgrazia- 
tamente, non ha 
potuto colpire 
nella posizione 
voluta, attesa la 
velocità della 
belva. 
— «L'elefante si 
rivolge, varca 
la sabbia e s’in- 
terna nella fo- 
resta. Noi siamo 
ben presto sulle 
sue traccie; egli 
fa correndo Fig. 58. Testa dell'Elefante d'Africa. 
quattrocento 0 
cinquecento passi, e cade estinto nel letto d’un torrente inaridito. » 


Delegorgue, viaggiatore francese, ha pubblicato recentemente 
curiosi particolari sui costumi degli Elefanti africani. 

In questi animali che vivono in comunità regna un tale 
spirito d’imitazione, che talora tutti ripetono ciò che i primi 
hanno fatto. Su questo fatto Delegorgue narra l’ episodio se- 
guente avvenuto in una delle sue caccie. Una mandra di Elefanti 
veniva verso di lui e due suoi compagni di caccia. Egli tira sul 
primo della brigata; l’Elefante cale piegando le ginocchia. ‘Un 
secondo Elefante viene ucciso, ed esso pure cade, inginocchiato 
sul primo. Un altro cacciatore tira anch’esso, e l’Elefante mi- 


118 ORDINE DEI PACHIDERMI 


rato cade parimente sui due primi. Tutti fino all’ultimo quegli 
Elefanti caddero così inginocchiati (ed erano undici!) colpiti dal 
piombo dei cacciatori. 

‘ L’Elefante africano non fu sempre un essere inutile, e buono 
soltanto a cadere sotto le palle dei cacciatori. Nell’antica civiltà 
dell’ impero di Cartagine si era saputo trarre un grandissimo 
profitto da quella massa vivente. Veniva esso adoperato per tutti 
quegli uffici a cui negli altri paesi del globo sì adoperano i ca- 
valli e gli altri animali da soma. Nelle battaglie eran messi in 
prima fila, e la storia c’insegna qual parte notevolissima ebbero 
nella guerra contro i Romani gli Elefanti africani che Anni- 
bale portò nei suoi eserciti, allorchè invase l’Italia e mise in 
tanto rischio la potenza del popolo sovrano. 


Il Mammuih. — Assai frequentemente si trovano negli strati 
superficiali del terreno in Europa, in Asia, in Africa, in Ame- 
rica, zanne e denti molari e ossa di Elefanti. L’origine di que- 
sti avanzi ossci ha messo per molto tempo gli scienziati nell’im- 
barazzo. Prima che si creasse lo studio della geologia, quegli 
avanzi giganteschi si prendevano per ossa di giganti, la cui razza, 
secondo certe cosmogonie, avrebbe preceduto la nostra sulla 
terra. E fu in tal modo che gli Spartani videro il corpo di Oreste 
nelle ossa di un Elefante lungo dodici piedi che fu trovato in 
Tracia; — che si attribuì ad Aiace una rotula gigantesca tro- 
vata presso Salamina; — e le ossa gigantesche trovate in Si- 
cilia furono credute gli avanzi del gigante Polifemo. Mercè i 
progressi della scienza, tutti sanno oggi che questi avanzi ossei 
appartenevano ad una specie di Elefante omai scomparso, |’ E- 
lephas primigenius, o Mammuth (fig. 39). 

Nessuna terra è così feconda di ossa di Elefanti fossili quanto 
il nord dell’Asia. Se ne trova in tal copia nelle isole che cir- 
condano le spiaggie del mare Glaciale, che il terreno è quasi 
al tutto composto di queste ossa cementate colla sabbia e col 
ghiaccio. Le zanne di Mammuth sono talmente abbondanti nella 
Siberia settentrionale, che gli czar, volendo serbarsene il mo- 
nopolio, proibirono agli abitanti di raccoglierle. L’avorio fossile 
è una materia che oggi si sfrutta in grande neil’ estremo nord 
della Siberia. Ogni anno innumerevoli carovane si dirigono 
verso quelle plaghe gelate, e ne riportano veri carichi di avo- 
rio, che l'industria dell’ Europa adopera pei medesimi usi del+ 
l’avorio degli Elefanti attualmente vivi. 

Si è molto discusso, e si discute ancora, per ispiegare la 
presenza, in quelle gelate latitudini, di animali che non vi- 


MAMMUTH 149 


vono oggi se non nelle regioni ardenti dell’Africa e dell'Asia. 
Si domanda se gli animali cui hanno appartenuto vivessero 
sotto l’equatore come oggi fanno i loro congeneri, e fossero 
stati trasportati verso il nord da qualche cataclisma geologico, 0 
se. potessero esistere negli stessi luoghi in cui si trovano adesso 
i loro avanzi. Quest ultima ipotesi è stata riconosciuta vera in 
seguito ad una meravigliosa scoperta che dimostra che l’Elefante 
fossile, noto agli scienziati col nome di Mammuth, viveva sotto 
le zone del Nord. Ecco la scoperta di cui parliamo. Nel 1799, 
un cadavere di Mammuth fu trovato sotto i ghiacci della Si- 
beria. L’Elefante, ch’era già danneggiato, fu esaminato nei 1806 - 
dal professore Adams di Mosca. 

I Jakuti lo avevano tagliato a pezzi ed avevano nutrito i loro 
cani con quella carne. Gli orsi ed altri. carnivori ne avevano 
pure consumato una gran parte. Ma una porzione della pelle 
ed una orecchia erano intatte: si distingueva persino il globo 
dell’occhio, e si poteva riconoscere il cervello. Lo scheletro era 
ancora intiero, fuorchè un piede anteriore. Il collo era tuttavia 
coperto da una folta criniera, .e la pelle rivestita di crini ne- 
rastri e di una specie di lana rossastra così abbondante, che 
ciò che ne restava potè essere trasportato a mala pena da dieci 
uomini. Si raccolsero, inoltre, più di trenta libbre di peli e di 
crini, che gli orsi bianchi, nel divorare la carne, avevano affon- 
dati nel suolo umido. I resti di questo animale dissepolto dopo 
più di un migliaio d’ anni sono conservati nel museo dell’Ac- 
cademia di Pietroburgo. 

Il museo di storia naturale di Parigi possiede un pezzo della 
pelle e dei ciuffi di crini con dei. fiocchi di lana di un altro 
Mammuth che fu trovato intiero e perfettamente conservato nei 
ghiacci, sulle spiaggie del mar Glaciale 4. 

Abbiamo notati questi due fatti, con tutti i loro particolari, 
nel nostro libro La terra prima del Diluvio, al quale riman- 
diamo il lettore per questo riguardo. Ciò che vogliamo affer- 
mare qui si è che la scoperta del Mammuth fatta sulle sponde 
della Lena dimostra che questo animale viveva nelle regioni 
del nord, il cui clima era allora molto più caldo che ai nostri 
giorni, e che era perfettamente distinto dalle due specie attual - 
mente vive. 

Al Mammuth (Elephas primigenius) bisogna aggiungere tra 
le specie di Elefanti fossili il Mastodonte (animale dell’ Ohio). 


! Reliquie di Mammuth furono pure trovate in Lombardia ed in Si- 
Giliaz:i (Nota del Trad) 


120 ORDINE DEI PACHIDERMI 


Mentre il Mammuth ha le zanne eccessivamente’ ricurve a 
mo di arco, il Mastodonte ha le zanne diritte. I denti molari 
differiscono pure in ognuna di queste specie. Gli avanzi ossei 
del Mastodonte si trovano nelle.regioni medie dell’America e 
nell'Europa centrale. Questo essere fossile sembra formare l’a- 
nello di transizione tra il Mammuth e l’ Elefante della creazione 
contemporanea. Tuttavia la questione delle vere specie da am- 
mettere fra gli Elefanti fossili è ancora malissimo studiata, 
e la connessione fra quelle e le specie contemporanee diffici- 
lissima ad afferrarsi. Havvi pure una scuola di naturalisti che 


Fig. 59. Mammuth, o E/ephas pramgenius. 


non vede alcuna differenza veramente caratteristica tra il Ma- 
stodonte ed anche tra il Mammuth e l’Elefante dei nostri 
giorni. 


FAMIGLIA DEI PACHIDERMI ORDINARI. — I generi compresi in 
questa famiglia sono i generi Zppopotamo , Rinoceronie, Irace, 
Tapiro, Cinghiale, Facocero e Pecari. 

Ippopotamo. — L’Ippopotamo (fig. 40) è un animale enorme 
e di forme massiccie. Talora giunge fino alla lunghezza di tre 
metri e mezzo, sopra più di tre metri di circonferenza. Dopo 


7 VS / 
LT, 
log 


Fig. 40. Ippopotami, maschio e femmina. 


li il IMTTIRINIA 


FiGuier. I Mammiferi. 16 


IPPOPOTAMI © 123 


l’Elefante e il Rinoceronte, è il più grande dei Mammiferi ter- 
restri. La sua testa, molto voluminosa, specialmente nella parte 
facciale, termina in un grosso muso rigonfio. La sua bocca, 
“smisuratamente grande, è fessa fino oltre gli occhi. Quanti 
hanno veduto al Giardino delle Piante di Parigi quella bocca 
mostruosa aprirsi per un pezzettino di pane, sono stati sorpresi 
dall’aspetto spaventoso di quell’ abisso vivente, munito di denti 
canini enormi, e di incisivi grossi e aguzzi. Quando si chiude, 
il labbro superiore scende in avanti e sui lati, come un enorme 
lembo che ricopre l’estremità della mascella inferiore e ne na- 
sconde in parte il labbro: ma sui lati questo labbro risale. Le 
narici forate sul dinanzi del muso sono circondate da un ap- 
parato muscolare che le chiude ermeticamente allorchè l’ ani- 
male è sott’ acqua. Gli occhi sono di grossezza mezzana, ma 
sporgenti. La parte superiore del capo, priva di peli, di color 
roseo, rammenta l’ aspetto di una testa di vitello apparecchiata 
pel macello. Un corpo enorme, arrotondato e in certo modo 
defluente, si accascia, per dir così, sopra gambe tanto brevi e 
tozze che il ventre tocca quasi la terra. I piedi hanno tutti 
quattro dita, coperto ognuno da un piccolo zoccolo. La coda, 
brevissima, è fornita di pochi peli. Tutto questo complesso mas- 
siccio è ricoperto di una pelle nuda e brunastra, fuorchè alle 
giunture, intorno agli occhi, agli inguini, ecc., ove è rosea. Dalla 
superficie della pelle trasudano numerose goccioline, e questa 
pelle è tanto spessa che giustifica pienamente il posto assegnato 
a questo animale nell’ordine dei Pachidermi. 

Gli Ippopotami abitano l’Africa meridionale ed orientale. Ma 
tutto fa prevedere che non staranno un pezzo a scomparire per 
opera dello incivilimento, cioè sotto il piombo dei cacciatori. 
Altre volte erano molto più numerosi nel Nilo di quello che siano 
oggi, e diminuiscono pure in altre località. Al tempo di Le- 
vaillant, vale a dire nel secolo decimottavo, erano abbondanti 
nella colonia del Capo di Buona Speranza. Nel 1838 non se ne 
contavano più di due nel podere di un ricco allevatore di ca- 
valli, che li conservava accuratamente. 

Questi animali vivono insieme in mandre, sulle sponde o 
nelle acque dei fiumi. A terra il loro modo di camminare è 
pesante, perchè la loro massa li stanca; ma nell’ acqua sono 
agilissimi; qui perdono, galleggiando, una gran parte del loro 
peso. Perciò passano tutti i loro giorni nell’ acqua, ove nuo- 
tano e-si tuffano con somma agevolezza. Allorchè nuotano 
non lasciano vedere che la parte superiore del capo, dalle orec- 
chie o dall’ occipite fino alle narici; ciò che permette loro di 


124 ORDINE DEI PACHIDERMI 


respirare, di vedere e di sentire i menomi rumori. Respirando 
lancian fuori e con gran rumore in forma di getti irregolari una 
parte dell’acqua che tende ad introdursi nelle loro narici. Questo 
soffio annunzia da lungi la presenza dell’Ippopotamo. 

Il nome d’Ippopotamo, che significa Cavallo di fiume (greco, 
hippos, cavallo; potamos, fiume), rammenta le abitudini essen- 
zialmente acquatiche di questo Pachiderma. 

Al cader della notte l’Ippopotamo viene a riva in cerca di nu- 
trimento. Mentre approda nelle parti meno profonde del fiume 
compie certe funzioni naturali, durante le quali batte con gran 
colpi di coda la superficie dell’ acqua. Un viaggiatore svedese, 
Anderson, dice di aver veduto una fila di una ventina di Ippo- 
potami in questa occupazione. Il pubblico che si accalca intorno 
alla gran vasca degli Ippopotami nel Giardino delle Piante di 
Parigi ride molto di questa manovra singolare a cui si abban- 
dona quest’animale mostruoso; soltanto ha cura di farsi indietro 
per timore di ricevere spruzzi poco piacevoli. 

L’Ippopotamo si nutre di giovani germogli, di giunchi, di ra- 
moscelli, di arbusti e di piante acquatiche, di radici e di bulbi 
succulenti. 

Il suo grido è rauco, ma largo, forte, di una sonorità incre- 
dibile. Coloro che l’hanno udito non si meravigliano dell’asser- 
zione di Adanson, che si riconosce la voce di questo Pachiderma 
alla distanza di un quarto di lega. 

Questo animale ha abitudini pacifiche; l’indole sua è genera]- 
mente dolce ed inoffensiva: non si mostra cattivo se non quando 
viene aggredito. Nessuno potrà fargliene un delitto. 

La caccia dell’ Ippopotamo si fa in vari modi. Si sorprende 
l’animale sul far della notte, allorchè esce dall’ acqua, quando 
va a pascolare nelle praterie e nelle pianure vicine; oppure lo 
si aggredisce di giorno nel fiume, sia con ramponi, sia con fuci- 
late, allorchè viene a respirare alla superficie. L’infelice animale 
tenta difendersi; nei suoi movimenti repentini solleva e rove- 
scia le barche che portano i suoi nemici. Talora il dolore e la 
rabbia che gli cagionano le ferite è tale che cerca spezzar colle 
sue terribili zanne le barchette. Guai allora agli uomini della 
barca! Un solo colpo delle sue mascelle potrebbe farli in due 
nel mezzo del corpo. 

Gli abitanti dell’ Africa equatoriale prendono l’ Ippopotamo 
alla trappola, come lo dimostra la fig. 42. Conoscendo i sentieri 
pei quali l’animale esce dal fiume per* pascolare sulla riva, so- 
spendono ad un cespuglio, mercè alte pertiche tenute in equi- 
librio, un piuolo terminato da una punta di acciaio. L’Ippopotamo 


IPPOPOTAMI © 125» 


attraversando il cespuglio sposta le pertiche, e l’ istrumento 
aguzzo cadendo da una grande altezza sul capo dell'animale lo 
uccide o lo ferisce abbastanza seriamente perchè possano acco- 
Starglisi e finire di ucciderlo. 

Ecco, secondo la citata Esplorazione del Baker, sugli affluenti 
abissini del Nilo, un altro modo di cacciar l’ippopotamo : 


« Arrivammo presso un largo stagno, che conteneva parecchi banchi 
di sabbia ed isolette rocciose. Fra i nicchi c’era una famiglia d’ippopo- 
tami, composita d'un vecchio maschio e di parecchie femmine. Uno dei 
loro figli stava ritto, brutta statuetta, sur una roccia sporgente, mentre 
un altro bambinello, nella medesima attitudine, ma sul dorso di sua ma- 
dre, vogava spensieratamente. 

« Il posto era bellissimo ; gli Ruarti, cacciatori d’ippopotamo, mi pre- 
garono di sdraiarmi, e scivolarono nelle macchie ove disparvero. Li vidi 
poì discendere carponi sul greto, e strascinarvisi fino a dugento passi 
dalle roccie ove gli ippopotami si scaldavano al sole. 

«La scena si faceva estremamente commovente; i nostri cacciatori 
avean preso l’acqua, e, filando con essa, dirigevansi verso il vecchio 
maschio, il quale non badava a nulla. Quando furono presso alle roccie 
si tuffarono tutt'e due nell’acqua, e ricomparvero «di li a poco sul canto 
del masso, ove si vedeva tuttora il piccino. 

«Fu il giovine ippopotamo che si buttò nell’ acqua prima che si sca- 
gliassero le fiocine, o queste che prime lasciarono le mani dei cacciatori? 
Non saprei dirlo; ad ogni modo fa affar d’un momento. Gli huarti si 
tuffarono subito, e non ricomparendo che ad una certa distanza, mossero 
alla riva in tutta fretta, temendo d’esser eòlti dal ferito : una fiocina si 
era infitta nella testa del vecchio maschio, alla quale era stata lanciata 
con mano ferma: l’altra aveva fallito il colpo. 

«Che bella caccia fu questa! L'animale furibondo balzò alla superfi- 
cie dell’acqua, sbuffando e soffiando nella impotente sua rabbia. Stimo- 
lato dal ferro, da cui non poteva liberarsi, tentava di fuggire da’ suoi 
immaginaril persecutori, e si tuffava, e risaliva subito per iscoprire il 
nemico. Tuttavia ciò non durò a lungo. I cacciatori avean chiamato i 
loro uomini, che erano nelle vicinanze coi miei due aggagir, Abù Do e 
Soliman. 

« L’intiera compagnia, fornita delle corde che fanno parte del corredo 
d’un fiocinatore, si schierò in riva all'acqua. Due uomini”presero il capo 
della corda più lunga, e si buttarono a nuoto: quando furono giunti al- 
l’opposta riva, vidi che una seconda corda era saldamente fissata in mezzo: 
alla lenza principale. C'erano così dal nostro canto due capi di corda, 
mentre sull’altra riva non se ne trovava che un solo; dal che risultava 
un angolo acuto, il cui vertice era al punto d’unione delle due corde, e 
l'apertura davanti a noi. 

: «L’oggetto di questa disposizione mi venne ben presto spiegato: due 
uomini collocati presso di me, pigliarono ciascuno un di quei capi di 
corda; uno di essi andò a mettersi a dieci passi dall’altro. La fune prin- 


126 ORDINE DEI PÀACHIDERMI 


cipale fu allora trascinata sulle due rive sino a che si fosse raggiunto 
il galleggiante, che ondeggiava qua e là, giusta i movimenti che l’ani- 
male faceva in fondo all’acqua. Con una scossa abilmente impressa a 
quella corda principale, il corpo galleggiante si trovò posto fra le due 
corde, e venne immediatamente afferrato nell’angolo acuto, i cui due 
lati si avvicinafono. Bentosto gli uomini, che erano sull’altra riva, allen- 
tarono il capo della gran fune, mentre quelli che m’eran vicini tirarono 
sul corpo galieggiante, tenuto saldo fortemente dalle due corde. 

« Non ho mai incontrato sforzi di resistenza pari a quelli del nostro 
prigioniero, a cui cedevamo a momenti, per malmenarlo in appresso. 
Più furioso che mai, egli fece un balzo fuori dell’acqua, digrignò ì denti 
e russò con rabbia, sollevando onde di spuma; poi’ essendosi immerso 
nell'acqua, si diresse scioccamente verso di noi. La fune rallentata fu 
prontamente tirata e arrotolata intorno al una roccia, ch’era sul margine 
del fiume. L’ ippopotamo ricomparve allora a dieci passi dai cacciatori, 
balzò d. nuovo, e facendo battere le sue mascelle tentò di afferrare la 
corda; ma nel medesimo istante due fiocine gli giunsero nel fianco. 

« Ben lungi dal fuggire, l’animale si slanciò con furia, prese piede sur 
un alto fondo, alzò l'enorme sua massa e colle fauci aperte scalò il banco 
di sabbia dove andò, arditamente, ad assalire i cacciatori. Egli conosceva 
poco il nemico; gli uomini che esso minacciava non erano gente da 
spaventarsi di fauci spalancate, quand’ anche armate d’ una formidabile 
dentatura. Esso ricevette subito una mezza dozzina di lancie, alcune 
delle quali, avventategli alla distanza di cinque o sei passi, gli entrarono 
nelle fauci (fig. 41). Nel medesimo tempo altri uomini gli inviavano ne- 
gli occhi pugni di sabbia, che gli riuscirono più fastidiosi. Esso aveva 
spezzate le lancie come fossero pagliuzze; ma la sabbia lo fece indie- 
treggiare. 

« Durante il suo folle assalto, due cacciatori aveano afferrato le corde 
delle tre fiocine che lo trattenevano. Tutto a un tratto una delle corde 
cedette, troncata dai denti della belva, che trovavasi in fondo all’acqua. 
L'animale ricomparve immediatamente, e, senza esitare, corse per la 
terza volta sui cacciatori, aprendo fauci talmente larghe, che vi avreb- 
bero trovato posto dufe persone. 

« Soliman balzò con la lancia in pugno, e colpì quell’orrenda testa, 
senza produrre alcun effetto. Abù Do, nello stesso tempo, si avanzava 
colla spada alta, rappresentandomi Perseo che andava ad uccidere il 
mostro da cui doveva esser divorata Andromeda; ma la ferita non fu 
che una scalfittura di nessun conto. Nuove manciate di sabbia che gli 
gettarono nel muso costrinsero l’animale a rituffarsi nell’acqua per la- 
varsi gli occhi. Sei volte durante il combattimento esso lasciò il suo 
liquido ricovero, e caricò bravamente i suoi avversarii. Egli aveva stri- 
tolato tutte le Jancie ricevute in bocca; il ferro delle altre, smussato nel 
cadere sul sasso, non penetrava nella sua fitta pelle. 

«La lotta era durata tre ore: il sole stava per tramontare, e il va- 
loroso ippopotamo, tirato verso la riva, si difendeva ancora. Gli huar, 
temendo che riuscisse a mozzare la corda, mi pregarono di dargli il 


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Fig. 41. Caccia all'Ippopotamo, 


Fig. 42. Trappola all’Ippopotamo. 


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1PPOPOTAMI. 131 


colpo di grazia. Aspettai un’ occasione favorevole; esso alzò fieramente la 
testa al disopra dell’acqua, a tre passi dalla mia carabina; e la palla, co- 
gliendo fra gli occhi, terminò quella lotta. » . 


Gl’indigeni dell’Africa danno la caccia all’Ippopotamo, prima 
di tutto per l’avorio delle sue zanne, avorio che non ha il va- 
lore di quello dell'Elefante, ma è tuttavia adoperato nelle indu- 
strie dei due mondi. La pelle spessissima, è pure venduta per 
farne vari istrumenti. Anche la carne dell’Ippopotamo e assai 
stimata. Anzi, nell’Africa meridionale, è ricercata come un cibo 
ghiotto. Gli epicurei delle città e del Capo non isdegnano di met- 
ter in opera tutto il loro potere sugli agricoltori dell’ interno 
del continente africano per ottenere un quarto di vacca di mare. 
Le parti della pelle dell’ animale coperte di grasso sono salate 
e seccate come il lardo. 

Queste sono le cause che minacciano di una piena e prossima 
distruzione uno dei tipi zoologici più curiosi, se non dei più 
‘eleganti. In seguito al perfezionamento delle armi da fuoco, la 
caccia di questi animali è molto più agevole che non altre 
volte, sicchè tutto annunzia che questa specie in breve sarà can- 
cellata dai quadri della storia naturale. 

La storia dell’Ippopotamo fu per molto tempo composta di 
mozioni incertissime. Erodoto gli attribuiva una coda guarnita 
di crini analoga a quella dei cavalli; Aristotile gli dava una 
criniera, e Plinio ha riprodotto senza commenti queste due as- 
serzioni. | 

Gli artisti dell’antichità, più fedeli degli storici e dei natura- 
listi, hanno lasciato buoni disegni di questo animale. Il basso- 
rilievo che forma il piedestallo della statua antica colossale del 
Nilo nel palazzo del Vaticano a Roma, rappresenta l’Ippopotamo 
con una certa esattezza. Si vedono altre figure molto esatte in 
certi mosaici di Pompei, e si ritrovano pure altrettanto fedeli 
sulle medaglie di Adriano, che tanto sovente rappresentano le 
sponde del Nilo. 

Non si videro che molto di rado Ippopotami in Roma; Scauro, 
meatre era edile, ne espose uno alla pubblica curiosità. Augusto 
ne fece vedere un altro durante le feste che si celebrarono in 
‘onore del suo trionfo sopra Cleopatra. Gl’ imperatori Commodo 
«ed Eliogabalo fecero venire a Roma alcuni di questi animali. 
Ma non ne comparve nessuno nell'Europa del medio evo, e 
‘soltanto in questi ultimi anni il Giardino delle Piante di Pa- 
rigi ha potuto procurarsi prima OE scheletri, pos degli esem- 
plari viventi. 


132 ORDINE DEI FACHIDERMI. 


Rinoceronti. — Notevoli per la grande mole e la forza smi- 
surata, i Rinoceronti debbono, per questa doppia facoltà, venir 
subito dopo l’Elefante. Il loro carattere più spiccato, carattere 
unico nei Mammiferi, si è che hanno sul naso uno o due corni 
pieni e solidi. Da ciò è venuto il loro nome, tratto da due vo- 
cabili greci (rhin, naso, e cheras, corno). 

I Rinoceronti eran molto più numorosi nei tempi antidilu- 
viani che non nei nostri. Allora ne esistevano circa quattordici 
specie, che vivevano mei climi temperati ed anche nei freddi, 
come nel luogo ove ora sono la Francia, la Germania e la 
Russia. Oggi questi animali non si trovano che nelle regioni 
più calde del mondo antico. | 

Aristotile non dice nulla del Rinoceronte; ma Ateneo, Plinio 
e Strabone ne fanno menzione nelle loro opere. Il primo Ri- 
noceronte citato nella storia figurò in una festa data in Egitto. 
dal re Tolomeo Filadelfo. Più tardi, Pompeo, Augusto, gli im- 
peratori Antonino ed Eliogabalo ne portarono in Europa, e li 
fecero combattere nel Colosseo, talora contro l’ Ippopotamo, 
talora contro i’ Elefante. Bisogna poi venire fino al secolo 
decimosesto per trovare nuovamente menzionato nella storia 
questo animale. Nel 1513 Emmanuele re di Portogallo ri- 
cevette dalle Indie un Rinoceronte unicorno. Alberto Durer 
ne fece l’ incisione sul legno, che per lungo tempo fu copiata 
e riprodotta nei libri di storia naturale. Se non che quella fi- 
gura è molta inesatta, perchè Alberto Durer l’aveva copiata da 
un disegno malfatto che da Lisbona gli era stato inviato in 
Germania. Durante il secolo decimo ottavo fu portato in Olanda 
un Rinoceronte; due furono condotti a Londra sul finire dello 
stesso secolo. Il serraglio di Versailles comprò uno di questi 
animali, che non potè essere conservato a lungo, e fu disseccato 
da Mestrud e Vicq d’Azyr. Dal cominciamento del nostro secolo 
l'Europa ha ricevuto parecchi di questi giganteschi e curiosi 
Mammiferi. i 

Esistono due specie di Rinoceronti: quello delle Indie e quello 
d'Africa. 

Il Rinoceronte indiano, come indica il suo nome, abita le 
Indie, ma più particolarmente le regioni collocate al di là del 
Gange. È lungo più di tre metri, ed alto due. È più grosso di 
quello d’ Africa. Il suo capo è corto e triangolare; la bocca, 
mediocremente aperta presenta un labbro superiore più lungo 
dell’inferiore, fatto a punta e mobile. Ad ogni mascella ha due 
forti denti incisivi. I suoi occhi sono piccoli; le orecchie sono 
lunghe e mobili. L’ unico corno che porta sul naso è aguzzo, 


RINOCERONTI. 193 


conico, poco compresso, lunghissimo, e lievemente ricurvo 
allo indietro. Quest’ arme singolare è fatta di un fascetto di 
peli agglutinati assieme, perchè sovente si vede la cima spun- 
tata dividersi in fibre simili ai crini di una spazzola o di un 
pennello. Tuttavia questo corno è solidissimo, duro, di colore 
rosso bruno al di fuori, giallo dorato dentro col centro nero. 

I) collo dell'animale è corto e pieno di rughe. Le spalle 
sono rotonde e tozze; il corpo, pesante, è coperto di una pelle 
singolare per le profonde pieghe che la solcano, allo indietro 
e attraverso alle spalle, allo innanzi ed attraverso alle cosce. 
Con questa apparenza il Rinoceronte sembra essere accomo- 
dato in un mantello disegnato da un sarto. Perciò è stato 
paragonato ad una corazza fatta di pezzi bene connessi. D’ al- 
tronde questa pelle è tanto spessa, dura e secca che, senza 
queste pieghe l’animale sarebbe come imprigionato nel suo 
invoglio, e potrebbe muoversi a stento. Essa è di color grigio 
violetto scuro, quasi nuda, e fornita solo di alcuni pochi peli 
grossolani ed irti alla coda ed alle orecchie, e di altri peli la-. 
nusì e ricciuti posti in certe parti del corpo. 

Il Rinoceronte delle Indie è pesante e molto più massiccio 
dello stesso Elefante, a cagione della brevità dei suoi piedi. 
Questi hanno ognuno tre dita, che non si scorgerebbero nep- 
pure senza lo zoccolo che li termina. La coda è corta ed 
esile. 

Questo grosso Pachiderma vive solitario nelle foreste più de- 
serte, in prossimità dei fiumi e delle paludi, perchè si compiace 
a sguazzare nel fango, come il cinghiale, di cui ha talune abi- 
tudini. Pacifico, quantunque feroce, non aggredisce mai pel 
primo; gli altri animali lo temono e non gli fan guerra. Il 
suo corno non gli serve ad altro che ad allontanare i rami ed 
aprirsi un passaggio in mezzo alla boscaglia, ove passa la sua 
taciturna vita. 

Alcuni naturalisti hanno detto che egli si serve della sua 
zanna per sradicare le radici onde si nutre; ma per far ciò, 
l’animale, a cagione della forma ricurva e del sito ove si trova 
questo corno, dovrebbe prendere un atteggiamento che non gli 
permettono la brevità del collo'e la conformazione generale. 

Il suo nutrimento principale si compone di radici, di piante 
succulente, di ramoscelli d’albero, che strappa, afferra e rompe. 
col labbro superiore, lungo e mobile, cui adopera molto de- 
stramente, presso a poco come l’Elefante adopera la proboscide. 
In schiavitù mangia pane, riso e crusca inumidita, fieno e 
carote. 


134 ORDINE DEI PACHIDERM!. 


‘ Le sue forme grossolane, le gambe corte, il ventre che 
trascina quasi a terra, lo rendono assai mal aggraziato. I 
suoi occhi piccolissimi sembrano indicare poca intelligenza. 
Quindi il Rinoceronte ha l’umore melanconico; movimenti duri, 
indole selvaggia ed indomita. Quando è tranquillo la sua voce 
sorda ha una certa analogia con quella del maiale; se è irri- 
tato manda grida acute che si sentono a gran distanza. 

La femmina non partorisce che un solo piccolo, lo porta nove 
mesi, e lo cura con molta attenzione. È pericoloso imbattersi 
con una femmina che viaggi col suo piccolo. 

Nell’India si fa la caccia al Rinoceronte con cavalli sh e 
vivaci. I cacciatori gli tengono dietro da lontano senza far ru- 
more, finchè la stanchezza lo abbia spinto a coricarsi per dor- 
mire. Allora gli si accostano, prendendo cura di mettersi sotto 
vento, perchè ha l’ odorato finissimo. Giunti a tiro di fucile, 
scendono da cavallo, mirano l’animale nel capo, sparano e fug-. 
gono in fretta, con tutta la velocità dei loro cavalli; perchè se 
il Rinoceronte non è che ferito si suole avventare con furia 
sopra i suoi aggressori. Colpito da una palla si abbandona a 
moti furiosi e disordinati. Si precipita innanzi a sè rompendo, 
calpestando, rovesciando ogni cosa che per disgrazia si trova 
sulla sua strada. I cacciatori possono ripararsi dai suoi terri- 
bili colpi divergendo un poco il cammino dei loro cavalli, per- 
chè il Rinoceronte va sempre in linea retta, e non si volta mai 
per tornare indietro. } 

Se gl’Indiani osano andare incontro ai pericoli di una così 
| fatta caccia, egli è perchè trovano nella carne, nella pelle, nel 
corno dell’animale preziosi profitti. I cacciatori traggono pure 
buon partito della pelle del Rinoceronte, colla quale si fa un 
cuoio tanto duro che l’ acciaio meglio temprato non lo taglia 
che a stento. 

Gl’Indiani stimano molto la carne del Rinoceronte; ma i Ci- 
nesi la stimano ancor più. Dopo i nidi di rondini, le uova di 
lucertole, e i cagnolini, non v’ ha nulla, secondo i Cinesi, di 
più saporito che una coda di Rinoceronte, od una gelatina fatta 
colla pelle del ventre di questo animale! S’aggiunga pure che 
i Cinesi attribuiscono facoltà meravigliose al corno dello stesso 
pachiderma, tra le altre quella di distruggere gli effetti mor- 
tali dei veleni più attivi. I re asiatici, che troppo sovente do- 
vevano temere le bevande avvelenate, facevano col corno del 
Rinoceronte certe coppe, che avevano PA essi un valore ine- 
stimabile. 

Nei serragli il Rinoceronte d’ Asia è per solito malinconico, 


_ RINOCERONTE. 135 


obbediente e dolce. Ma talora la soggezione che prova in schia- 

* vitù gli dà degli accessi d’impazienza e di furore, che sarebbe 
pericoloso affrontare. Talora, preso dalla disperazione, se la 
piglia con sè stesso, e picchia violentemente del capo contro i 
muri della sua stalla. In certi casi riconosce l’autorità dei suoi 
guardiani, mostra di accorgersi delle loro cure e della loro pre- 
senza. 

Esiste a Giava una specie particolare di Rinoceronte d’ Asia. 
Questa specie è unicorne. Ma un’altra specie propria di Suma- 
tra, è bicorne. 

Il Rinoceronte d'Africa. — Questo Rinoceronte era noto agli 
antichi, perchè si trova la sua effigie sulle medaglie coniate 
sotto l’imperatore Dominiziano. Il suo naso è munito di due 
corna coniche, volte allo indietro; il corno anteriore è lungo 
circa sessanta centimetri, il secondo è molto più corto. Ha una 
grande mole, e la pelle, priva di rughe e di pieghe, è quasi al 
tutto nuda. 

Questo Rinoceronte abita la Cafreria, il paese degli Ottentotti, 
e probabilmente tutto l'interno dell’Africa meridionale. Vive 
nelle foreste deserte che ombreggiano le sponde dei grandi fiumi 
e si mostra ancora più feroce del Rinoceronte asiatico. Lo si 
caccia per ottenere gli stessi prodotti. 

Una specie, o piuttosto una semplice varietà, di Rinoceronti, 
della quale il viaggiatore inglese Bruce ha narrato minuta- 
mente i costumi e il modo di caccia, si trova sulle sponde delle 
paludi e dei fiumi di Abissinia. Nascosto il giorno: nella bosca- 
glia, ne esce la notte, per mangiare i giovani rami coperti di 
foglie. Poi va a sguazzare nel fango del quale ei si forma una 
specie di corazza per ripararsi dalla puntura dei tafani, suoi 
deboli ma crudelissimi nemici. Quando questo fango si secca e 
cade, allora l’ animale è nuovamente esposto ad altre aggres- 
sioni. Per liberarsi da questi importuni insetti, si sfrega con- 
tro i tronchi degli alberi, e durante questa operazione manda 
grugniti che svelano il suo nascondiglio ai cacciatori. Questi lo 
aggrediscono, lo uccidono a frecciate nel fianco, parte in cui le 
ferite sono mortali in questi animali. 

Altri cacciatori, chiamati nella lingua del paese ayageer, in- 
seguono a cavallo ed uccidono il terribile Pachiderma, con co- 
raggio e destrezza meravigliosa. Due uomini montano lo stesso 
cavallo. Uno è vestito ed armato di freccie; l’altro, nudo, tiene 
in mano una lunga spada. Il primo sta sulla sella, il secondo 
in groppa. Appena banno scoperto la mostruosa preda, si met- 
tono ad inseguirla. Si tengono per forza lontani quando il 


136 ORDINE DEI PACHIDERMI. 


Rinoceronte si addentra nella boscaglia, in mezzo alla quale si 
apre un largo passaggio che si richiude appena passato; ma 
quando egli giunge in un luogo scoperto, essi gli passano in- 
nanzi e gli sì pongono in faccia. L’ animale selvaggio esita un 
momento, poi si avventa furioso sul cavallo e sui cavalieri. 
Questi con un movimento repentino a destra o a sinistra evi- 
tano l’urto, e l’uomo della lunga spada scivola a terra senza 
esser veduto dal Rinoceronte, che bada soltanto al cavallo. Al- 
lora l’ardito cacciatore, con un colpo della sua terribile durlin- 
dana, taglia il tendine del calcagno di una gamba posteriore del 
mostro: questo cade, e viene finito a frecciate e a colpi di 
spada. i 

I signori abissini amano pure la caccia al Rinoceronte, ma 
lo aggrediscono a fucilate. Nello stesso modo gli Ottentotti ed i 
coloni del Capo di Buona Speranza cacciano questo terribile 
pachiderma. 

Rinoceronte antidiluviano. — Si trovano in gran numero ossa 
fossili di Rinoceronte nei terreni terziari e diluviani. Gi limi- 


teremo qui a far, menzione del Rhinoceros tichorinus, la cui 


mole era più grande di quella del Rinoceronte d’ Africa, e la 
testa molto allungata e sosteneva due lunghe corna. Molto s0- 
vente s’incontrarono gli avanzi di questo pachiderma. nelle ca- 


verne ossifere di Francia e d’ Inghilterra, e nelle alluvioni dei 


fiumi di questi paesi. In Siberia, gli avanzi del Rhinoceros ti- 
chorinus sono abbondantissimi; sono misti a quelli del Mammuth. 
Nel 17714, fu scoperto, in mezzo ai ghiacci di quella regione, un 
cadavere quasi intero di Rinoceronte antidiluviano, colla sua 
pelle, i suoi peli e la sua carne. Negli scavi fatti per le nuove 


costruzioni del palazzo municipale di Parigi si è trovata una 


scapola di Rhinoceros tichorinus. Ossa, denti, mandibole di que- 
sto Rinoceronte antidiluviano, furono pure disseppeliti nel Ve- 
ronese, nelle ghiaie del Po tra Pontalbera ed Arena, tra  Ga- 
steggio e Montalba, e a Torre dei Negri vicino a Pavia. 


Irace. — Cuvier ha collocato accanto al Rinoceronte un bel- 
l’animaletto, l’Irace (fig. 44), (lat., Hyrax; fr. e ted., Daman), del 
Capo di Buona Speranza, che non supera per statura il coniglio. 
Le sue forme sono tozze; il corpo è.allungato e corto sulle 
gambe; la testa. è grossa, il muso ottuso. Il colore del suo 
pelo, morbido e fitto, è grigio e bruno di sopra è bianco grigiastro 
di sotto. Abita le montagne boscheggiate nella regione del Capo 
di Buona Speranza, e vive in mezzo a rocce scoscese e ripide, 
talora in una tana da. esso medesimo scavata, talora nel fesso 


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IRACE, TAPIRO 139 


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di una roccia, o nel cavo di un albero. Vivace, svelto e timido, 
si nutre d’ erbe, come la lepre, e si addomestica agevolmente. 
Il naturalista Boitard, nel suo libro le Jardin des Plantes, si 
adira con Cuvier che ha rotti i legami della forma della gran- 
dezza, dell’aspetto, dei costumi, delle abitudini, dell’intelligenza, 
per riavvicinare questo piccolo animale, a cagione della strut- 
tura dei suoi denti, al mostruoso Rinoceronte. Partecipiamo an- 
che noi alla sua indignazione, ma mentre comprendiamo le 


7 


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Fig. 44. Irace, 


lamentazioni della zoologia sentimentale, è duopo mettere l’ I- 
race nel luogo assegnatogli della zoologia scientifica. 
 L’Irace della Siria è il Safan della Bibbia. 


‘ Tapiro. — Si conoscono tre specie di Tapiri. Due vivono 
nell'America meridionale, la terza appartiene all’India. La specie 
indiana ed una delle specie americane non son conosciute che 
da poco tempo; ma l’altra, il Tapiro americano propriamente 
detto, si vede frequentemente nelle nostre mostre di animali, 
ed ha servito particolarmente agli studi dei naturalisti, tanto 
per la sua struttura anatomica quanto pei suoi costumi. 


4140 ORDINE DEI PAGHIDERMI 


Il Tapiro d’ America (fig. 15) è lungo due metri, dal naso 
alla radice della coda; è alto un metro misurandolo dalla groppa. 
Il capo, assai voluminoso, è compresso sui lati, gli occhi son 
piccoli; le orecchie, allungate, possono accartocciarsi: il suo 
naso si allunga di alcuni pollici soltanto in una specie di grifo 
a mo’di proboscide. Questa appendice, che può contrarsi a 
metà ed allungarsi del doppio, è sprovvista di quel dito mo- 
bile che caratterizza la proboscide dell’Elefante, quindi non può 
servire all’animale per afferrare gli oggetti od aspirare l’acqua. 
Il Tapiro prende l’ alimento direttamente colla bocca. Per bere 
rialza la sua piccola proboscide onde non bagnarla. Il suo collo 
è assai lungo; le gambe forti. Le estremità anteriori termi- 
nano in quattro dita munite di piccoli zoccoli corti e arroton- 
dati; le estremità posteriori non hanno che tre dita. La coda, 
cortissima, è tronca. La pelle, spessa e dura, è ricoperta di peli 
corti, fitti e lisci, di color bruno più o meno cupo, se non che 
sotto il capo, il petto e la punta dell’orecchio, sono biancastri. Il 
maschio porta sul collo una piccola criniera di peli irti, lun- 
ghi un pollice e mezzo, che talora si osservano anche sul collo 
delle femmine. 

Questo pachiderma trovasi nell'America meridionale dall’istmo 
di Panama fin nelle terre dello stretto di Magellano; ma s’in- 
contra più comunemente nel Paraguay, al Brasile e nella Guiana. 
Vive solitario, nascosto nelle foreste e nei luoghi più remoti e 
selvaggi. Siccome segue sempre la stessa strada nelle sue escur- 
sioni in mezzo ai boschi, forma col suo passo sentieri battuti 
che il cacciatore riconosce agevolmente. Dorme durante il giorno 
ed esce la notte, per cercarsi il nutrimento. Talvolta però il 
tempo piovoso lo trae fuori della sua tana durante il giorno, ed 
allora va nei luoghi paludosi ove ama guazzare nel fango, 
oppure nelle acque correnti ove nuota con molta agilità. La 
sua andatura consueta è una sorta di trotto. Allorchè piglia 
il galeppo parte col capo basso, e con certa naturale goffaggine.! 

Si nutre per solito di frutta selvatiche, di germogli, di ramo-: 
scelli freschi. Cerca con cura una terra sparsa di nitro che al 
Paraguay nomasi barrero. L’indole sua è timida; non aggredi- 
sce l’uomo, anzi pare che lo sfugga. Tuttavia lo affronta còon 
risolutezza, col capo basso e senza timore; la forma carenata 
del suo cranio e la durezza della sua pelle sembrano favorevoli 
a questo modo di condursi. Sovente.è aggredito ‘esso pure da; 
una tigre di America, che gli si slancia sul dorso.’ Allora ‘ib. 
Tapiro .si precipita nel fitto della foresta e cerca di uccidere ib 
suo nemico urtandolo contro i tronchi degli alberi. 104 


TAPIRO 141 


La femmina non partorisce che un piccolo, e di questo Lo 
glia molta cura. 

Nell’ America meridionale si fa la caccia al Tapiro pol s suo 
cuoio e per la sua carne. La sua carne è secca e di un sapore 
poco gradevole, ma il cuoio spesso e solido può essere adoperato 
a varii usi. 

Questo è il Tapiro americano allo stato selvaggio. Non si è 
pensato finora ad addomesticarlo ; forse ne varrebbe la pena, e 
la fatica non sarebbe grandissima. Federico Cuvier ha dato 
qualche notizia sul modo di vivere di un giovane Tapiro da 
lui osservato. Questo animale era di una estrema dolcezza e 


Fig. 45. Tapiro americano. 


domestichezza: rinunziava compiutamente alla sua volontà. Non 
difendeva il suo cibo, e lasciava che i cani e le capre ne pren 
dessero la loro parte. Quando dopo averlo tenuto racchiuso per 
un certo tempo lo si lasciava libero, dava mostra di esser con- 
tento correndo intorno al suo recinto. Afferrava anche pel dorso 
alcuni giovani cani coi quali era stato allevato. Allorchè veniva 
obbligato a lasciare un luogo che gli piaceva, si contentava di 
mandare qualche piccolo grido. Cuvier assicura che se .il Ta- 
piro potesse esserci utile per qualche riguardo, sarebbe agevo- 
lissimo lo addomesticarlo. Quindi Isodoro Geoffroy-Saint-Hilaire 
voleva che si tentasse in Europa l lana di i quenta 
animale; ma questa idea non fu seguita. 00) và 


142 ORDINE DEI PACHIDERMI 

« Facile da nutrire quanto il maiale, dice Isidoro Geoffroy-Saini-Hilaire, 
il Tapiro mi è parso, pei suoi istinti naturali, molto disposto ad essere 
addomesticato. In mancanza della società dei suoi simili, 1’ ho veduto 
cercare quella di tutti gli animali che gli erano vicini, con una pre- 
mura senza esempio negli altri mammiferi. L’ utilità»del Tapiro sarebbe 
doppia per l’uomo, la sua carne, fatta migliore da un regime acconcio, 
somministrerebbe un alimento sano e saporito ad un tempo. Inoltre, 
essendo molto più grosso del maiale, il Tapiro potrebbe prestare im- 
portanti servizi come bestia da soma, prima agli abitanti dell’ Europa 
meridionale, poi col tempo, a quelli di tutti i paesi temperati. » 


Durante un soggiorno di alcuni mesi che il signor Roulin 
fece nelle Ande di America, egli scoperse una nuova specie di 
Tapiro, da lui detto Tapiro pinchaco. 

La testa di questo pachiderma rassomiglia a ‘quella di un 
animale fossile della stessa famiglia, il Paleotherium, ma esso 
è molto più piccolo del precedente. Questo Tapiro pinchaco, do- 
vendo vivere nelle fredde regioni delle alte montagne, è tutto 
coperto di lunghi peli, di color bruno. 

I Tapiro d'India è più grande del Tapiro comune, a cui ras- 
somiglia per la forma del corpo, grosso e tozzo. Il suo pelo è 
raso. La testa, il collo, le spalle, le membra e la coda sono di 
color nero cupo, il dorso, la groppa, il ventre, i fianchi e la 
punta delle orecchie sono bianchi. Non ha criniera sul collo. 
Abita le foreste dell’ isola di Sumatra e della penisola di Ma- 
lacca. 

Fra gli animali antidiluviani havvi un gruppo molto analogo 
ai Tapiri per la forma generale, la struttura del capo, e. per 
la esilità delle ossa del naso; è questo il Paleotherium, che è 
d’uopo collocare tra i più antichi mammiferi che abbiano esi- 
stito sulla superficie del globo. I Paleoteri abbondavano nei 
gessi terziari del bacino di Parigi. 

Cinghiale. — Appartengono alla famiglia dei Pachidermi il 
Cinghiale comune, le specie esotiche che gli rassomigliano, e le 
differenti varietà dei maiali domestici. 

Gli animali che fanno parte di questo gruppo naturale hanno 
il capo allungato e terminante in un grifo forte e molle. Il 
loro corpo è per solito coperto di peli irti, detti setole. La coda 
è corta e i piedi hanno quattro dita; due di queste dita son 
grandi; le altre due, più piccole; stanno dietro alle prime e non 
servono alla locomozione. I denti canini, fortissimi, si allungano 
a foggia di zanne. I denti inferiori divengon più lunghi dei 
Superiori. 

Il grifo è un prolungamento mobile del muso, sostenuto da 


CINGHIALE 143 


un osso particolare, che appoggia inferiormente sul davanti della. 
mascella superiore. È mosso da due muscoli collocati da ogni lato 
della faccia. Quest’osso è ricoperto da un tessuto fibro-cartilagi- 
noso, che sul davanti termina in una fascia circolare, incli- 
nata all’ingiù, e coperto di una pelle spessa e nuda. Sul margine 
superiore di questa estremità tronca del muso sta un grosso 
cuscinetto calloso, mercè il quale l’ animale scava la terra, 
mentre la parte inferiore del muso, fino al naso, gli serve per 
solcare la terra, come farebbe l’aratro. 

Il Cinghiale comune (in fr. Sanglier) può giungere alla lun- 
ghezza di un metro e venticinque centimetri, dalla pianta del 
muso fino alla’ radice della coda. Tutto il corpo è coperto di 
setole di un bruno nerastro, dure, irte, più lunghe sul dorso e 
intorno alle orecchie, e che formano una specie di criniera al- 
lorchè l’animale è in furore. 

Il corpo è grosso e tozzo. Il capo porta orecchie assai corte, 
diritte e mobilissime. I quattro denti canini, ricurvi in su € 
in giù, possono giungere a dimensioni tali da renderli armi 
terribili. I canini superiori son grossi, conici, e tronchi obli- 
quamente sulla loro superficie anteriore, pel loro sfregamento 
contro quelli di sotto. I canini inferiori, foggiati a piramide 
triangolare, sono parimenti ricurvi in fuori e all’insù; ma la 
loro punta è aguzza invece d’essere smussata. 

Col suo grifo, la cui forza è considerevole, il Cinghiale può 
scavare la terra fino alla profondità di 60 centimetri. 

Il piede del Cinghiale si appoggia sulle unghie così serrate 
che potrebbero dirsi pinzette. Camminando mette sempre il 
piede posteriore sul calcagno e un po’allo infuori del piede 
anteriore. Spesso l’unghia di uno dei piedi è più lunga dell’al- 
tra e si piega in forma di mezza luna. 

Fino all’età di sei mesi il Cinghiale porta una specie di li- 
vrea: è rigato longitudinalmente di strisce alterne color fulvo 
chiaro e fulvo bruno sopra un fondo misto di bianco, bruno e 
fulvo (fig. 46). x 

D’ estate i Cinghiali s’ incontrano specialmente sui margini 
delle foreste, presso i campi o le vigne, e accanto alle paludi, 
ove vanno, durante le ore calde del giorno, a rinfrescarsi e 
avvoltolarsi nel fango. D’autunno si nascondono nella boscaglia. 
È in fondo ai boschi che pongono la dimora d’inverno. 

Ordinariamente scelgono i luoghi molto cupi ed umidissimi; 
vi stanno nascosti durante il giorno e non escono che la sera 
e la notte per andare in cerca del nutrimento. Scavano la 
terra per trovarvi vermi e larve di maggiolini, ma divorano 


144 ORDINE DEI PACHIDERMI 


anche rettili, uova di uccelli, e tutti i piccoli animali che pos- 
sono sorprendere. Dissotterrano i topi, le talpe, e s'impadroniscono 
anche dei piccoli conigli. Raccolgono ghiande, castagne, i semi 
del faggio che possono trovare sulla terra mentre camminano. 
Sovente devastano i campi di patate, di grano turco e di altri 
semi. Un’intera raccolta «può essere distrutta da questi animali 


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Fig. 46. Cinghiale. 


in una sola notte. Allorche scavano il terreno in cerca di cibo 
vanno sempre in linea retta, e siccome il solco che formano è 
largo quanto la loro testa, quelli che se ne intendono conoscono 
da ciò la statura dell'animale di cui seguono le traccie. 

Se i cinghiali amano avvoltolarsi nel fango, non vogliono 
tenerselo sul corpo, e vanno a lavarsi nelle pozzanghere o nei 


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Figuier. I Mammiferi. 19 


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Fig. 47. Mandra di Maiali in un bosco di querce. 


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CINGHIALE 147 


ruscelli prima di ritornare alla loro tana, celata nel fitto dei 
boschi. | 

I vecchi maschi vivono solitari, ma le femmine rimangono 
in famiglia coi loro piccoli, almeno per lo spazio di due anni. 
Nelle foreste quasi deserte accade talora che parecchie femmine 
sì riuniscano, e formino colla loro figliolanza una banda consi- 
derevole. I membri di queste riunioni animali sembrano cono- 
scersi vicendevolmente; vivono in buona armonia e si difendono 
tra loro. Se la comitiva viene aggredita, fanno un circolo, di 
cui .i più deboli occupano il centro. Disposti in ordine di batta- 
glia, oppongono ai loro nemici una resistenza accanita. 

Allorchè una femmina sente il desiderio di divenir madre, 
abbandona la comitiva e si rintana, con un maschio, nel fitto 
delle foreste. Se un altro maschio riesce a scoprire il loro ri- 
covero, allora s'impegna una lotta terribile, che talora ha fine 
colla morte di uno dei rivali. 

La femmina dopo quattro mesi dà alla luce dai quattro ai 
dieci piccoli, che nasconde in boscaglie inaccessibili di spine 
e rovi, per sottrarli alla voracità dei lupi non solo, ma an- 
“cora a quella dei maschi della sua specie, che non manche- 
rebbero di divorarli nei primi giorni della loro vita. Li allatta 
per tre o quattro mesi, non li abbandona, insegna loro a cer- 
car il cibo, li protegge e li difende con una energia ed un co- 
raggio inauditi. 

Secondo le varie età si danno al Cinghiale nomi diversi dai 
cacciatori 4; quando è vecchio e vive solo, lo chiamanòo Cin- 
ghiale sclitario 0 vecchio eremita. Vive da venti a ventisei anni. 

La caccia del Cinghiale non è sempre senza pericolo. Questo 
animale selvaggio si spaventa assai poco della. persecuzione dei 
cani e dei loro latrati; ma il suono del corno, le grida dei cac- 


? {n francese, il cinghiale piccolo sì chiama marcassin; a sei mesi, 
béte rousse; a un anno, bele de compagnie; a due anni, ragot: a tre, è 
un Cinghiale al suo terzo anno; a quattro, un quaternario ; poscia lo si 
designa, com'è dette nel testo, col nome di solitario e di vecchio eremita. 
Questa ricca nomenclatura non ha il corrispondente in italiano. Noi l’ab- 
biamo cercata invano in tutti i dizionarii. Di queste mancanze ve n’ ha 
all'infinito, e imbarazzano chi si fa a scrivere di cose tecniche o scien- 
tifiche nella nostra lingua. Talvolta si è costretti a dare desinenza ita- 
liana a qualche voce straniera; ed ecco i pedanti gridare alla profana- 
zione, invece di insegnarci a mettere qualche cosa in loro vece. Il mini- 
stero ha negli anni scorsi nominato una commissione per comporre un 
Dizionario tecnico della lingua italiana. La commissione ce’ è dunque; a 
quando il dizionario? (Nota del Trad.). 


148. ORDINE DEI FACHIDERMI. 


ciatori e lo scoppio delle armi da fuoco, gli fanno perdere la. 
testa. Fugge tanto rapidamente e leggermente che è una mera-. 
viglia, quando si badi alle sue forme tozze e pesanti. Va sem- 
pre diritto innanzi a sè, e allora se qualche cacciatore impru-. 
dente si lascia cogliere sulla sua strada e non gli cede subito. 
il passo, lo rovescia e lo ferisce a colpi di zanne; in caso con-, 
trario non devia mai dalla sua via per aggredirlo. Se è ferito 
cambia metodo, e se la prende col suo nemico cercando di fe-, 
rirlo. Allorchè la stanchezza o la perdita del sangue non gli. 
permettono di scampare colla fuga, si mette contro un cespuglio. 


Fig. 48. Cinghiale che tien testa ai cani. 


o contro un albero, e si difende coraggiosamente dai cani. 
Quelli che gli si accostano troppo da vicino rimangono sven- 
trati. Ma in una banda di cani bene addestrati se ne trova 
sempre qualcuno più intelligente e più astuto degli altri, che 
gli gira intorno, fuori di tiro dei suoi denti, lo stordisce a furia 
di abbaiare ferocemente, aspetta il momento propizio, poi con 
uno slancio lo afferra nel sito più debole, vale a dire all’orec- 
chia, e non lo lascia più andare. Si dice allora che 1’ animale 
selvatico ha la cuffia: egli ha perduto tutta la sua forza, è vinto. 


La palla di un cacciatore o una coltellata sotto la spalla lo fi- 
niscono in breve. ical 


CINGHIALE, MAIALI ’ 149 

La maggior parte dei cacciatori si contentano di far aggre- 
dire il Cinghiale nella sua tana da forti mastini; poi gli tirano 
addosso appena lo scorgono. Altri si mettono in agguato, spe- 
cialmente verso sera, non lungi da una vigna, da una bosca- 
glia di querce o da una palude, e tirano sull’ animale appena 
compare. 

Preso giovane, il Cinghiale è atto ad una certa educazione. 
Riesce ad affezionarsi al suo padrone, a seguirlo e cercarne le 
carezze. Nondimeno conserva i suoi modi naturali, rozzi e sgar- 
bati. Si son veduti cinghiali domestici fare certi esercizi, atteg- 
giarsi in varii modi, eseguire diversi giuochi, e ciò per otte- 
nere un pezzo di pane o qualche ghiottoneria. 

Il Cinghiale vive in una gran parte della Francia, ove il suolo 
è ancora coperto di grandi foreste. In Inghilterra è un pezzo 
che è stato distrutto; nel secolo decimosecondo lo si trovava 
ancora nei contorni di Londra. Anche oggi si trova in una 
gran parte del continente di Europa, nel nord e nell’est dell’A- 
sia. Lo albergano parecchie isole del Mediterraneo, la Corsica, 
l’Algeria e l'Egitto. 


I Maialî. — Senza parlar qui più oltre delle specie di Cinghiali 
proprii dell’India e delle sue isole, nè di quelle che appartengono 
all’Africa, passeremo al Maiale o porco domestico, che non è al- 
tro che un Cinghiale modificato da una lunga servitù nel fisico 
e nel morale. 

L'origine del Maiale domestico è stata dimostrata da speri- 
menti di prova e controprova. Certi cinghiali sono stati messi 
in domesticità e si son veduti acquistare i caratteri dell'animale 
domestico, da una generazione all’altra. Al contrario, certi Ma- 
iali essendo stati resi alla vita selvatica, hanno ripreso dopo 
un certo tempo le forme, le abitudini ed i costumi del cin- 
ghiale. 

Il Maiale ha la testa a piramide, grossa, quadrangolare, più 
o meno allungata secondo le razze, tronca obliquamente alla 
sua estremità. Gli occhi sono piccoli. Le orecchie son collocate 
nella parte superiore, e variabili nella forma e nella direzione, 
secondo le razze. La bocca è molto fessa. I denti canini degli 
individui maschi sono ricurvi e sporgenti. Il corpo è più o 
meno lungo, largo, arrotondato e ricoperto di setole, che va- 
riano in abbondanza, in lunghezza ed in colore. Mentre negli 
altri animali domestici il grasso è sparso nei muscoli, nel Porco 
forma, tra la carne ed i muscoli sottocutanei, una massa che 
costituisce. il lardo; e nell'interno del corpo, vale a dire sotto 


150 ORDINE DEI PACHIDERMI i 
il peritoneo, una massa di cui il grasso fornisce la sugna. Gli 
epiploon hanno il nome di rete. 


Le gambe son sottili, e più o meno corte, secondo le razze; 


le dita sono in numero di quattro, due grandi sulle quali l’ani- 
male si appoggia e che posano in terra, e due piccole che 
non toccano il suolo. L’ultima falange di ogni dito è ravvolta 
da un’ unghia triangolare, detta lo sprone. La coda è” piccola, 
sottile e attortigliata. 


Secondo certi autori, il Maiale domestico non avrebbe per- 


duto nulla della brutalità e dell’ indole rustica del cinghiale; 
sarebbe divenuto meno intelligente, e conservando tutti i difetti 
del cinghiale sarebbe sprovvisto di tutte le sue buone qualità. 
Secondo altri invece, il Maiale sarebbe dotato di abilità, di sa- 
gacia, e potrebbe venire educato ed istruito. 

Per dimostrare questa buona opinione sì citano episodi com- 
moventi dell’ amicizia di un maiale e di un cane. Si ricorda 
che ci furono Maiali addestrati per la caccia; che un Maiale fu 
esposto sulle scene a Londra ed in America ove era il prota- 
gonista di molte commedie; finalmente alcuni vanno in entu- 
siasmo per la varietà del suo linguaggio. « Le sue grida di 
spavento sono strazianti, dice il dottor Jonathan Francklin. In- 
vece, quando è contento, allorchè passeggia libero al sole, con- 
versa coi suoi amici, pronunziando frasi brevi, energiche, in- 
terrotte, che senza dubbio esprimono il suo buon umore e i 
suoi sentimenti socievoli. » 

Questa interpretazione indulgente dei grugniti del Maiale è 
soggetta a qualche dubbio. Senza fermarvici sopra, faremo os- 
‘“sservare che ciò che non è soggetto a dubbio, si è che questo 


animale non vuol mai fare ciò che gli si chiede, ma fa esatta- 


mente il contrario. Questo spirito di contraddizione ostinata è 
tanto conosciuto, che l’uomo lo volge a suo profitto, come ve- 
daremo ora. Allorchè un porcaio vuol far prendere suo malgrado 
ad un Maiale una certa direzione, lo tira per la coda con tutta 
la sua forza in una direzione opposta, e siccome l’animale osti- 
nato crede che si voglia farlo retrocedere, allora si precipita 
innanzi con tanto maggiore ardore quanto più è tirato forte- 
mente indietro. Ecco come le persone di spirito sanno trar par- 
tito dei difetti del prossimo. 

La voracità è altrettanto nota quanto la sua testardaggine. 
Ogni alimento gli serve. Divora indifferentemente la carne ed 
i vegetali. Ciò che v’ha di più singolare si è che può man- 
giare senza soffrirne danno la cicuta ed il giusquiamo nero, 
che farebbero morire qualunque altro animale. 


MAIALI 151 
Si può dire che l’uomo ha fabbricato il Maiale, e lo foggia a 
suo piacimento. Le modificazioni che questo animale sopporta, 
mercè un allevamento bene immaginato, sono in vero strane. 
Quest’arte fu spinta molto innanzi in Inghilterra. Non soltanto 
si a fatta più fina e più succolenta la carne di questo pachi- 
derma, ma si sono anche modellate, per così dire, in una forma 
convenzionale le sue primitive proporzioni. Col nutrimento e 
coll’ allevamento si è fatto una specie di mostro, se guardiamo 
al tipo primitivo e selvatico. Ma questo mostro zoologico è un, 
capolavoro, guardando l’economia domestica. Allorchè ha rag- 
giunto questo tipo ideale della perfezione, il Maiale ha forma 
quadra; la sua testa scompare in una coltre di grasso; il ven- 
tre scende fino a terra, tutto il suo corpo esprime la copia e 
l’importanza del grasso. Quanta differenza fra questi singolari 
prodotti della civiltà e i Maiali delle nostre campagne, esseri 
sfiancati e miseri, che dividono il vitto del contadino di cui lo 
stato è cattivo, la terra ingrata, e il modo di allevamento an- 
cora molto imperfetto ! 

In un libro sul Maiale, il signor Gustavo Heuzé divide in tre 
scompartimenti le razze porcine che vivono in Europa. La prima 
comprende le razze francesi e le loro varietà; la seconda tutte 
le razze che hanno origine straniera; appartengono al terzo 
scompartimento le varietà che derivano da incrociamenti delle 
razze francesi colle razze straniere. Daremo ora i caratteri che il 
signor Heuzé ha indicato per distinguere ognuna di queste razze. 

Tra le razze francesi, la razza comune ha il capo e il muso 
allungati; il collo sottile e lungo; le orecchie grosse, pendenti 
a metà e spinte verso gli occhi; il corpo sottile; il dorso inar- 
cato; la groppa cadente; le gambe poco carnose; la pelle dura 
e muita di setole grossolane. 

La razza normanna è meglio conformata. Il suo corpo è lungo 
e il dorso orizzontale. È stata perfezionata nella valle dell’Auge. 

La razza di Craon (fig. 49) è notevole per la finezza dell’ossa- 
tura, della pelle e delle setole. La sua carne è eccellente, come 
i suoi prosciutti. La razza lorenese somministra carne e larde 
di qualità eccellente. 

Tutte queste razze hanno pelo bianco, costumi dolci. Ad un 
altro gruppo appartengono altre razze dal pelame color nero 
bigio e bigio bianco, colle orecchie per metà cadenti. Tale è la 
razza del Périgord (fig. 50), di cui i migliori individui si ven- 
dono alle fiere di Sant'Yriex e di San Leonardo; tale è pure la 
razza della Bresse (fig. 54), la cui carne è un po’ ordinaria e fi- 
lamentosa. | 


$62 ORDINE DEI PACHIDERMI 


‘ Fra le razze straniere citeremo solo la razza Middlesex, da 
vazza di Windsor e la razza RENE Leicester, notevole per la sim-, 


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Fig. 49. Maiale della razza di Craon. 


metria delle forme, per la sua pelle fina e rosea, che in dieci 
© dodici mesi acquista una tale pinguedine, che il collo e la fac- 


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Fig. 50. Maiaie del Périgord. 


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cia, gli occhi scompaiono sepolti nel grasso. La ‘sua :carne. è 
fina e tenera, ma la sua costituzione è delicata. RE 
° La razza Berkshire (fig. 52), rustica, precoce, è la più. profit-. 
tevole di tutte; quando le si dà un buon nutrimento, sommini- 


153 


MAIALI 
stra carne eccellente e lardo molto più sodo di quello delle 
incrociamenti 


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razze inglesi dalla pelle bianca. 
‘Come esempi di razze miste vale a dire di 
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Fig. 51. Scrofa della razza della Bresse. 


tra le razze francesi e le razze inglesi, ci limiteremo a citare 


il New-Leicester-Craonats. 


La fecondità del porco è enorme. Si possono avere dalle 


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Fig. 52. Maiale della razza del Berkshire. 


femmine due parti all'anno, ed ogni parto può produrre dai dodici 
ai quindici piccoli. Gli Annali di agricoltura ci informano che 
20 


una sola Scrofa della contea di Leicester ebbe in venti parti 


Ficuier. I Mammiferi. 


154 ORDINE DEI PACHIDERMI 


trecento cinquantacinque piccoli. Vauban, quando si occupava 
delle vettovaglie delle città, consigliava di allevarvi questi ani- 
mali; egli aveva calcolato che in dieci generazioni una sola 
Scrofa avrebbe potuto produrre 6,434,838 individui. 

Allorchè la Scrofa ha partorito, si lasciano i piccoli alle mam- 
melle, ponendo i porcellini più robusti presso i capezzoli più 
grossi. Tutti i porcellini conservano lo stesso capezzolo per 
tutto l’ allattamento. Quando il loro numero eccede il numero 
dei capezzoli, si sacrificano gli individui più piccoli. D'altronde 
fa d’uopo sorvegliare costantemente la madre mentre partori- 
sce, perchè talora è tanto feroce che divora i suoi piccoli. 

Non vogliamo qui estenderci troppo sull’ allevamento o sul 
modo d’ingrassare il Maiale. Ci contenteremo di fare osservare 
che quest'animale è onnivoro, si addatta ad ogni regime; man- 
gia tutto quello che gli si presenta, e digerisce ogni sorta di 
alimenti. Agli animali giovani fa duopo dare materie azotate 
vegetali, onde compiere il loro sviluppo muscolare. Le materie 
azotate saranno: trifoglio, erba medica, cicoria selvatica, lat- 
tuga, cavoli, foglie di carote e di barbabietole, radici e tuberi 
di barbabietole, di carote, di patate, ghiande, crusca, resi- 
dui di fecule, acqua della cucina. Ai Maiali che si vogliono 
ingrassare giova dare quegli alimenti che i fisiologi chiamano 
respiratoriî, vale a dire semi (orzo, grano turco, avena, grano 
saraceno, fave, piselli), e farine. 

Veniamo al modo di ammazzare e di trar profitto del Maiale. 

In tutti i villaggi, all'avvicinarsi di Natale, si suol uccidere 
un Maiale grasso, per avere sanguinacci e salsiccie, e a Pasqua 
il prosciutto. 

Quando l’ animale è ucciso, si comincia a ripulire la pelle. 
In molti luoghi si fiamma il maiale, vale a dire lo si ricopre 
di paglia, alla quale si dà fuoco, per bruciarne le setole; poi 
si lava e si raschia il corpo. Altrove, si mette il Maiale in 
una tinozza con acqua calda, ed allora gli si radono agevol- 
mente i peli. Preparato l’animale in un modo o nell’altro, viene 
aperto. Si tolgono i polmoni, il cuore, la lingua e gli intestini. 

{ In seguito lo si divide come meglio conviene nelle sue varie 
parti. 

Non v’ha nissun animale che somministri tante parti ali- 
mentari quanto il Maiale; questa è la ragione della sua grande 
utilità economica. Diremo qualche parola di tutti questi pro- 
dotti. 

Il sanguinaccio si fa col sangue, condito di droghe, salato, 
che si introduce in un budello, il quale vien poi chiuso alle 


MAIALI 155 


due estremità. Allora si fa cuocere per venti minuti in acqua 
tiepida ma non bollente. La salsiccia si prepara con un mi- 
scuglie di carne magra e lardo fresco, salati e conditi di droghe. 

Il salame detto di testa si fa colla testa dell’ animale. Colla 
carne magra mescolata con filetto di bue si apparecchia la 
salsiccia comune. Vi si unisce del lardo tagliato in piccoli dadi. 

La carne di Maiale di seconda qualità, frammista con lardo, 
condita e triturata, serve a fare il cervellato. 

Le lingue di maiale bene apparecchiate sono un cibo delicato. 

Il salame comune si apparecchia tagliando il filetto ed il petto 
in pezzetti quadri, che si conservano in un vaso di terra 
con sale. 

La massa di grasso che ricopre il petto, fatta sciogliere sul 
fuoco, somministra il grasso di Maiale, che porta il nome di 
strutto, che sostituisce con vantaggio il burro in alcune pietanze 
di cucina. 

Il prosciutto (vale a dire la gamba e ia coscia del Maiale 
preparate e conservate acconciamente) ha un grande ‘ufficio 
nella alimentazione pubblica. In Francia i migliori prosciutti 
sono preparati nei dipartimenti del Basso Reno, dell’Alto Reno, 
della Meuse, della Mosella, delle Ardenne, dei Vosgi e dei Bassi 
Pirenei. I prosciutti tedeschi vengono da Magonza, dalla Vest- 
falia e dal Jutland. I migliori prosciutti inglesi son quelli delle 
provincie di York, di Hants e di Berks. 

La superiorità dei prosciutti di Baiona dipende dalla bontà 
delle rezze di Maiali che li forniscono, e dalla buona qualità 
del sale che si estrae dalle sorgenti di Salies, capoluogo del Di- 
partimento dei Bassi Pirenei. 

I prosciutti squisiti di Magonza si apparecchiano in altro 
modo. Si comincia a salarli e ad impregnarli di un miscuglio 
conservatore, poi si attaccano, per sei settimane, nell’ interno 
di un camino, per far loro sopportare l’ azione del fumo. In 
seguito, si pongono varie volte in un barile con entro un fornello, 
nel quale si abbrucia legno di ginepro. 

Il piccolo prosciutto di Vestfalia per tre settimane si affumica 
con rami di ginepro. 

Nè si creda che qui finiscano gli innumerevoli prodotti del 
Maiale. 

La pelle, dopo essere stata conciata, è adoperata dai sellai, e 
serve a far finimenti pei cavalli, selle, crivelli, bauli; in Ispa- 
gna si adopera anche per far otri onde trasportare e conservare 
il vino, 

Le setole, ripulite, aggiustate e preparate, servono a fare 


156 ORDINE DEI PACHIDERMI 


spazzoline pei denti, per Je unghie, pennelli, ecc. Infine le ve- 
sciche, dopo essere state vuotate, gonfiate e disseccate, servono 
a vari usi nell’industria e nell'economia domestica. 

« La Francia consuma ogni anno più di 60 milioni di chilo- 
grammi di carne di Maiale. Questa carne, quando è di prima 
qualità, è tenera, saporita, ricca di sugo, e di un aromatico 
piacevole. In Italia specialmente si può riconoscere la eccellente 
qualità di questa carne, perchè in questo paese il Maiale è al- 
levato nelle migliori condizioni onde possa somministrare un 
prodotto alimentare saporito e riparatore. 

A Roma, a Bologna, a Modena, ed in alcune altre città del 
nord dell’Italia, la carne di Maiale è estremamente succulenta 
e non ha nessuna delle qualità riscaldanti che le si rimprove- 
rano nelle altre parti d'Europa. 

Il Maiale non aspetta la morte per divenire utile. Tutti‘sanno 
che questo animale è l’ ausiliare naturale dell’ uomo -nella ri- 
cerca dei tartuffi. In Piemonte specialmente e nel Péerigord il 
Maiale rende questa sorta di servizi. Il Maiale ama il tartuffo, 
e lo cerca per sè. Quando è stato ammaestrato a questa ricerca 
scopre prestissimo coll’ odorato il prezioso fungo sotterraneo. 
Appena lo ha scoperto rimane alcuni minuti immobile; col 
naso sulla sua preda, senza mangiarla; ma se si indugia un 
po troppo, allora la sùa ghiottoneria, prevale, e divora la fra- 
grante preda. 


Un maiale da tartufi bene ammaestrato vale circa duecento 
franchi. 

In Normandia sovente si legano i Maiali ai tronchi dei pomi. 
Essi coltivano in certo modo quest’albero scavando e rivolgendo 
il terreno tutto intorno al tronco. 

In certi punti della Scozia si adoperano i Maiali come beskie 
da tiro; non di rado si veggono aggiogati allo stesso aratro un 

cavallo, un asino, ed un maiale. 

Un punto della storia economica del Maiale che non dobbiamie 
dimenticare, si è il divieto che parecchi legislatori antichi fe- 
cero dell’ uso della sua carne. Questo divieto era fondato su 
questo fatto, che in ogni stagione nei paesi caldi, e in estate 
nei paesi temperati, la carne di questi animali è sovente in- 
fetta di uova e di larve di vermi. Un imperfetta cottura non 
distrugge questi germi, di cui lo sviluppo può continuare nel 
corpo dell’uomo. 

Le malattie che derivano dall’uso della carne di Maiale con- 
sumata in tal modo sarebbero state frequenti in Asia, senza 
questo tutelare provvedimento per la salute pubblica. Nei nostri 


MAIALI 457 


climi è stato ben riconosciuto che i pizzicagnoli son soggetti più 
‘spesso all'invasione della tenia (verme solitario) che non le per- 
sone di altra professione. 

Del resto la carne dei Maiali cagiona una malattia particolare 
‘di cui si è molto parlato in questi ultimi anni in Germania ed 
in Francia: vogliamo dire la triehinosi. 

La trichina è un: verme microscopico, o almeno difficile a 
‘vedere ad occhio nudo, perchè ha appena il diametro di un 
«capello finissimo, e di rado la sua lunghezza giunge a due 
millimetri. Esiste nell’intestino del Maiale. Colà vive e riproduce 


Fig. 50. Facocero. 


i suoi piccoli, i quali sono dapprima allo stato di larve o vermi. 
Quando l’intestino del Maiale o la carne che contiene larve di 
trichina è mangiata dall’uomo, queste larve giungono nel suo 
intestino e vi si fermano per qualche tempo. Ma siccome que- 
sto luogo non è per loro il più acconcio, esse forano l’intestino, 
e cadono nelle vene. Colà son trasportate col sangue nel tor- 
Tente circolatorio, e finalmente giungono nei muscoli. 

Infatti, il muscolo è il luogo di predilezione e di nutrizione delle 
trichine. Rodono le carni. separano e disseccano le fibre mu- 
‘scolari e tendinee, producono dolori intollerabili, e danno ori- 
«gine alla malattia nota col nome di trichinosi. 


158 ORDINE DEI PACHIDERMI 


Questa malattia ha prodotto molti danni sopratutto nella Ger- 
mania del nord, ove l’uso del prosciutto crudo è molto sparso; 
ed ha pure fatto molto male in America. Ma l’Italia sembra 
esserne stata completamente immune. 

Sebbene ora questa epidemia sia quasi scomparsa, dobbiamo 
far menzione delle precauzioni indicate onde impedirne lo svi- 
luppo; queste precauzioni sono le seguenti: 

1.° Badare al nutrimento dei Maiali, e non dare mai loro so- 
stanze animali sospette; 2.° Esaminare accuratamente le carni, 
e, quando sia possibile, mettere un microscopio in ogni ma- 
cello; 3.° Cuocere con moltissima cura la carne di porco che 
deve andare in tavola. 

Gli sperimenti che sono stati fatti per determinare il tempo 
di cottura necessario a far morire le trichine contenute nella, 
carne di maiale, hanno dato i seguenti risultati: 

4.° Le trichine si uccidono salando prolungatamente i pro- 
sciutti, o affumicando con fumo caldo le salsiccie per lo spazio 
di ventiquattro ore. 2.° Resistono ad una fumigazione fredda di 
tre giorni, ma questa prolungata oltre questo tempo, sembra 
distruggerle. 3.° Non par certo che la cucinatura nell'acqua 
bollente le uccida, a meno che non si continui per parecchie ore. 

Facocero. — I Facoceri (fig. 53), che somigliano molto ai 
maiali propriamente detti, si distinguono da questi per la 
struttura dei denti molari. Le loro zanne sono grandi. Da 
ogni lato delle guancie pende un rigonfiamento carnoso, che dà 
loro un aspetto schifoso. Abitano l’Africa. Il Facocero del Capo, 
o Maiale dal largo grugno, è molto coraggioso e di una forza 
prodigiosa. I suoi costumi son quelli del cinghiale. Al Capo di 
Buona Speranza esiste un’altra specie di Facocero. 

Pecari. — I Pecari (fig. 54) sono animali propri dell'America 
meridionale. Hanno la forma generale e i denti dei nostri maiali, 
ma i loro canini non escono dalla bocca, e i loro piedi poste- 
riori mancano del dito esterno. Non hanno coda, e sul dorso 
presentano un’apertura glandulosa, d’onde sgocciola un umore 
di odore penetrante e fetido. 

Il Pecari dal collare, dal quale appena morto si tolgono le 
ghiandole, vien mangiato in America, ove lo considefano un 
cibo eccellente. 

Termineremo la storia dei generi interessanti dei Pachidermi, 
dicendo qualche parola del Babirussa. 

Il Babirussa (fig. 55) è un genere di Pachidermi proprio esclu- 
sivamente della Malesia. I Malesi lo dicono « Porco-cervo » per 
le gambe lunghe e sottili e le zanne somiglianti a corna. Que- 


BABIRUSSA, CAVALLO 159 


st'animale ha l’aspetto del porco, ma non fruga nella terra col 
grifo e si nutre di frutti caduti sul suolo. Le zanne della ma- 
scella inferiore sono a punta e lunghissime; le superiori, invece 
di tenere la direzione consueta, crescono dal basso in alto ed 
uscendo da orbite ossee da ogni lato della testa s’ inflettono in- 
dietro fin sopra gli occhi. Nei vecchi maschi queste zanne arri- 
vano a otto o dieci pollici. È difficile capire l’uso di questi 
denti singolari, e gli autori vecchi pretendono che loro servano 
di uncino per riposare la [testa sui rami. La curva descritta 
proprio davanti agli occhi suggerì l’idea che preservassero gli 
occhi dagli aculei e dalle spine quando l’animale cerca dei 
frutti fra i bambù od altre piante spinose. La femmina è priva 
di questi denti ricurvi. Nei vecchi porehi cervì le zanne sono 
in generale tronche in punta, certo per le zuffe a cui si danno 
fra loro, 

Il Babirussa 0 Porco-cervo sembra formare un genere tutto 
particolare di Pachidermi; non si incontra, fuori delle Celebe 
e di Sula, che a Burù (isole Molucche). | 


FAMIGLIA DEI SoLIPEDI. — Questa famiglia, che ha per carat- 
tere distintivo l’esistenza di un solo dito apparente, e di un 
solo zoccolo ad ogni piede, si compone di un genere unico, il 
genere Cavallo, il quale comprende le sei specie seguenti: il 
Cavallo propriamente detto, l’ Asino, l'Emione, la Zebra, il Dauw 
e il Cuagga. 

Cavallo. — Nel Libro di Giobbe, Jehovah, parlando dal seno 
delle nuvole, interroga il giusto, e rammentandogli la magni- 
ficenza della creazione, parla in tal modo del Cavallo: 


« Hai tu dato la forza al Cavallo? Hai tu fornito il suo collo di un, 
nitrito fragoroso come il tuono? 

« Farai tu balzare il Cavallo come la locusta? Il suono magnifico delle 
sue narici è spaventoso. Scava col piede la terra, si rallegra nella sua 
forza; egli va incontro agli uomini armati. 

« Si ride della paura; nulla lo spaventa, e non retrocede in faccia ad 
una spada. 

« Non teme le frecce che gli sibilano d’intorno, nè il ferro lucente 
della alabarda o del giavellotto. 

< Scava la terra pieno d’ardore e di emozione al suono della tromba, 
e non può trattenersi. 

« Al suono rumoroso della tromba, dice: Aht Ah! sente da lontano 
l’odore della battaglia, il tuonare dei capitani, ed il grido del trionfo. » 


Linneo nel suo stile meno biblico, ma esattissimo nella sua 
concisione, ha detto del Cavallo: 


‘ 


160 ORDINE DEI PACHIDERMI 


« Animal herbivorum, rarissime carnivorum; generorum, superbum, 
fortissimum in currendo, pontado, trahendo; aptissimum equitando; 
cursu furens; sylvis delectatur; hinnitu soctam vocat; calcitrando pugnat.. 


Fig. 54. Pecari. ; 


Buffon ci ha lasciato un ritratto del cavallo che fu da tutti 
ammirato, perchè segna nel modo più spiccato e più vero i 


Fig. 55. Il Babirussa. 


costumi ed il carattere del Cavallo quando l’arte ne ha perfe- 
zionato le qualità naturali, e lo ha ammaestrato pel servizio 
dell’uomo. Rileggiamo questa stupenda pagina. 


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Ficuier. I Mammiferi. 


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 « La più nobile conquista fatta dall'uomo è quella del fiero ed ardente 

animale che divide con esso i pericoli della guerra e la gloria dei com- 
battimenti; intrepido quanto il suo padrone, il cavallo vede il periglio e 
lo affronta; si avvezza al rumore delle armi, lo ama, lo cerca, si anima 
dello stesso ardore; divide con esso i piaceri della caccia, dei tornei, 
della corsa; brilla, scintilla; ma docile quanto coraggioso, non si lascia 
trasportare dal suo ardore; sa reprimere i suoi movimenti; non solo 
cede alla mano di chi lo guida, ma sembra consultare i desideri del- 
l'uomo ; obbedendo sempre alle impressioni che ne riceve, si precipita, 
si modera o si ferma, e non agisce che per soddisfarvi; è una creatura 
che rinunzia al suo essere per non esistere che colla volontà di un al- 
tro, e sa anche prevenirla; che colla prontezza e la precisione dei suoi 
movimenti, l’ esprime e l’ esiguisce, che sente quanto si vuole e non 
rende che quanto si vuole; che, abbandonandosi senza riserva, non si 
rifiuta in nulla, serve con tutte le sue forze; si esaurisce ed anche muore 


per obbedire meglio. » 


Il servaggio del Cavallo all'uomo risale alle società primitive. 
Mosè raccomanda agli Ebrei di non temere, in guerra, i ca- 
valli dell’ inimico. Nel Libro dei Ke, si legge che Salomone 
aveva 1400 carri tirati da cavalli, e 12,000 cavalli da sella. Nel. 
capitoli IV, al versetto 26, si legge: 


« Salomone raccolse un gran numero di carri e di gente a cavallo. 
Ebbe 4400 carri, 12,000 cavalieri, e li distribui nelle città fortificate, ri- 


tenendone una parte presso di sè in Gerusalemme. » 
L 


Secondo lo stesso libro, quei cavalli erano comprati in Egitto, 
e condotti nel paese degli Ebrei. 

Omero parla nell’Iliade delle moltissime mandrie che posse- 
deva il re Priamo. I bassorilievi dei monumenti assiri danno 
un'alta idea della bellezza dei Cavalli dell'Asia Minore; e le pit- 
ture dell’antico Egitto ci dimostrano che eranvi anche nella 
valle del Nilo bellissimi Cavalli. 

I Greci sembra adoperassero di preferenza i Cavalli dell'Asia 
Minore e dell’Egitto, perchè gli splendidi avanzi delle statue del 
Partenone dimostrano che al tempo di Pericle gli Ateniesi ne 
aveano di bellissimi. Diversi autori antichi ci informano d'’ al- 
tronde che dalla Cappadocia e dai paesi vicini si traevano i 
Cavalli che figuravano nei giuochi olimpici. Infatti, gli abitanti, 
o meglio i re della costa dell’Asia Minore, facevano attivo com- 
mercio di Cavalli, e contribuirono a spargere la razza araba. 

L’Armenia forniva pure i Cavalli ai primi trafficanti di Tiro 
e di Sidone. Ciro nelle sue scuderie aveva raccolto 800 stalloni 
e 16,000 giumente. I cavalli numidi erano celebri per l’eleganza 
delle forme e la velocità del corso. 


164 ORDINE DEI PACHIDERMI. 


Dicesi che l’arte dell’equitazione fosse inventata dagli Sciti. 
Allorchè questi popoli comparvero in Grecia, gli abitanti della 
Tracia furon colpiti di terrore credendo dapprima che uomo e 
animale non formassero che un solo corpo. Questa fu l'origine 
dei Centauri della mitologia. Lo stesso sbaglio e lo stesso spa- 
vento si ritrovarono nei selvaggi americani. Allorchè gl’ indi- 
geni delle spiagge del Messico videro per la prima volta i 
cavalieri di Ferdinando Cortez, li credettero creature ignote, par- 
tecipanti dell’uomo e del cavallo. 

Il tempo remoto a cui risale l’ addomesticamento del Cavallo 
rende difficilissima cosa stabilire la patria di questo animale. 
Per un pezzo fu posta in Arabia; mai fatti storici, ed altre con- 
siderazioni tratte dalla natura stessa del Cavallo; rendono questa 
ipotesi poco probabile. Oggi si considera generalmente il Cavallo 
come originario dell’Asia; si crede sia comparso, per la prima 
volta, o sul grande altipiano centrale che occupa una sì vasta 
porzione di quella parte del mondo, o al nord-est del Caucaso. 

Il Cavallo selvatico non esistendo più in nessun paese, è 
tanto impossibile ritrovarne le prime traccie nei tempi istorici, 
quanto dire con certezza ove vissero i primi buoi, le prime ca-| 
pre, i primi maiali, le prime pecore o i primi cani. 

Tuttavia anche oggi alcuni Cavalli selvaggi vivono nei deserti 
dell'Asia e nelle praterie dell'America. Ma tutti i zoologi si ac- 
cordano nel eonsiderarli come discendenti di razze domestiche, 
modificati nella forma e nei costumi dall’ essere ritornati allo 
stato libero. 

Allorchè fu scoperto il Nuovo Mondo, non esisteva in quelie 
regioni nessun animale del genere Cavallo; oggi, invece, vi si 
trovano mandre considerevoli di Cavalli selvatici, i quali hanno 
perduto nel loro stato di libertà i caratteri dovuti alla loro por 
miera educazione. 

Questi Cavalli, detti Tarpani, vivono in mandre di quindici 
o venti, sempre composte di un solo maschio, delle sue giu- 
mente e dei suoi puledri. Nelle pampas o praterie del Paraguay 
queste mandre sono talora composte di oltre diecimila individui. 
Son condotte da capi, che vanno sempre in prima fila, nei 
viaggi come nelle battaglie, e che son capi perchè hanno mag- 
gior forza e maggior coraggio. Ogni mandra abita un luogo 
particolare, cui difende contro l’invasione delle orde straniere, 
e non l’abbandona se non vi è costretta dalla mancanza di pa- 
scolo o dalle aggressioni di grossi carnivori. 

Quale meraviglioso spettacolo pei viaggiatori è la vista di 
quelle immense migrazioni di Cavalli selvatici che attraversano 


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le pianure del Nuovo Mondo, facendo tremare il terreno sotto 
i loro passi misurati! Preceduta da alcuni vigili, divisa in bat- 
taglioni composti di un maschio colle sue femmine, la schiera 
viaggia sicurissima. Quando sulla sua via incontra Cavalli do- 
mestici li invita coi suoi nitriti ad unirsi a quelle erranti fa- 
langi, per riprendere la libertà perduta. Sovente i Cavalli do- 
mestici accettano l’offerta dei loro fratelli, e vanno ad unirsi 
alla coorte libera. 

I Cavalli selvatici si lasciano domare agevolmente dagli Spa- 
gnuoli o dagli Indiani, e riprendono senza fatica la vita nto 
stica dei loro antenati. 

Allorchè gii Spagnuoli 0 gl Indiani vogliono prendere i Ca- 
valli liberi, si sforzano di farne entrare uno stuolo in un re- 
cinto detto coral, e un cavaliere, armato di un lasso, scaglia que- 
sto ordigno, fatto di corde terminate da piombi e da nodi scorsoi, 
intorno al collo di un Cavallo selvatico. Quando se ne è impa- 
dronito in tal modo, lo trascina fuori del recinto. Allora si getta 
in terra l’animale, mercé corde scagliate intorno alle sue gambe; 
gli si mette in bocca una cinghia di cuoio, e si sella. Subito 
un Indiano lo cavalca. Dopo vani tentativi per liberarsi dal- 
l’uomo che gli sta addosso, il Cavallo parte di galoppo, animato 
del resto dalle spronate del suo cavaliere. Dopo aver corso per 
un tempo più o meno lungo, si lascia ricondurre al cora! ove è 
stato preso. Allora è domato. Si può lasciarlo assieme agli altri 
Cavalli domestici; non cerca più di fuggire. Per questa caccia 
l’Indiano deve dirigersi per quanto è possibile agli animali più 
giovani, perchè i vecchi Cavalli selvatici sono al tuito indo- 
mabili.. 

I Cavalli liberi delle pianure dell’ Asia possono pure venire 
domati senza fatica. Quelli che abitano i dintorni del Caucaso, 
dicesi che discendano da un certo numero di Cavalli che furono 
abbandonati da Pietro il Grande nel tempo dell’assedio d’Azof, 
perchè non v'era di che nutrirli. 

Accanto a queste razze che hanno ricuperato la primiera li- 
bertà, sonvene parecchie che servono, per così dire, di anello 
intermedio fra queste e quelle che sono al tutto sottomesse. Di 
tal numero sono i Cavalli d’Islanda, che i loro padroni lasciano 
pascere in libertà sui monti per riprenderli allorchè ne hanno 
bisogno. Citeremo anche le mandre che i Cosacchi del Don gui- 
dano senza custodirle nei deserti dell’ Ukrania; — quelli della 
Finlandia, che passano l’estate in assoluta libertà ritornando 
l’inverno alla dimora consueta; — finalmente i Cavalli della 
Camargue, che vivono liberi e all’ aria aperta nelle paludi 


166 ORDINE DEI PACHIDERMI 


e nelle terre salmastre alle foci del Rodano, da Arles fino al 
mare. 

Dopo questa digressione sulle razze libere dei Cavalli, dob- 
biamo dare il ritratto del Cavallo quale esiste in ogni luogo. 
Sebbene questo animale sia perfettamente noto ai nostri lettori, 
non potremmo dispensarci dal dare un’occhiata al suo aspetto 
generale, per far spiccare la bellezza della sua struttura. In una 
pagina meno nota di quella citata precedentemente, Buffon si 
esprime in tal guisa: 


« Fra tutti gli animali il Cavallo è quello che unisce ad una grande 
statura le proporzioni più giuste e la maggiore eleganza in tutte le parti 
del corpo, perchè, comparandolo cogli animali che stafino immediata- 
mente sotto o sopra di lui, vedremo che l’asino è mal fatto, il leone ha 
il capo troppo grosso, il bue ha le gambe troppo sottili e troppo corte 
per la mole del corpo, il cammello è deforme, e i più gressi animali, come 
il rinoceronte e l’elefante, non sono, per così dire, che masse informi... 
La regolarità delle proporzioni della testa gli dà un piglio svelto al 
quale contribuisce pure la bellezza del suo collo. Si direbbe che il Ca- 
vallo vuol mettersi al disopra del suo stato di quadrupede alzando il 
capo; in questo nobile atteggiamento guarda l’uomo in faccia; i suoi 
occhi son vivaci e bene aperti, le orecchie sono ben fatte e ben propor- 
zionate, senza essere corte come quelle del toro, nè troppo lunghe come 
quelle dell’asino; la sua criniera gli sta bene sul capo, adorna il collo e 
gli dà un piglio forte ed altero; la coda lunga e folta copre e finisce 
bene l’estremità del suo corpo. Ben diversa dalla coda breve del cervo, 
dell’elefante, ecc., e da quella nuda dell'asino, del cammello, del rinoce- 
ronte, ecc., la coda del Cavallo e fatta di crini fitti e lunghi che sem-. 
brano uscire dalla groppa, perchè la parte d’ onde escono è cortissima. 
Esso non può sollevare la sua coda come fa il leone, ma stando essa 
abbassata lo adorna meglio, e siccome può moverla da ogni lato se ne 
serve utilmente per scacciare le mosche che lo molestano; perchè seb- 
bene la sua pelle sia molto spessa e coperta ovunque di pelo fitto e ser- 
rato, è nondimeno sensibilissima. » 


Le parti del cavallo. — Non sarà inutile menzionare qui i 
vocaboli, consacrati dall’ uso, mercè i quali si indicano le parti 
principali del Cavallo. Queste particolarità non saranno super- 
flue, perchè i vocaboli di cui daremo la spiegazione sono fre- 
quentemente menzionati nel discorso. 

Le due parti della testa del Cavallo che corrispondono alle 
tempie del capo dell’uomo, si dicono orbite (a). La fig. 57 ren- 
derà molto più chiare queste indicazioni. Le conche (0) stanno 
fra l’occhio e l’orecchio, sopra le sopraciglia, una da ogni lato. 
Il musello (c) è la parte dinanzi della testa, dagli occhi fino alle 


CAVALLI 167 


narici; questa parte corrisponde alla parte superiore del naso 
dell’uomo. Molto sovente con questo nome di musello si vuole 
indicare una striscia di color bianco che ricopre la suddetta 
parte. 

Il collo (4) del Cavallo è da un capo all’altro limitato sopra 
da una criniera, sotto dalla gola. Il ciuffo (e) è quella parte della 
criniera che trovasi sopra il capo, tra le orecchie, e che ricade 
sulla fronte. 

Il garrese (f) è il punto ove le spalle si accostano superior- 
mente, tra il dorso e il collo; colà finiscono la criniera e lo 
stesso collo. 

I riscontri g sono la parte che sta davanti al petto e sotto 
alla gola, nel luogo ove le spalle si terminano anteriormente. 

Il dorso del Cavallo è comunemente segnato col nome di 
lombi (h), comincia al garrese e si stende lungo tutta la spina 
dorsale fino alla groppa. Allorchè i Cavalli son grassi, hanno 
lungo la spina dorsale una specie di canale. Allora si dice che 
‘hanno i lombi doppii. 

La capacità che vien formata dalla curva delle coste si chiama 
il torace (i). Si dà pure il nome di ventre (j) alla parte infe- 
riore del corpo, che corrisponde all’osso sterno e alle parti in- 
feriori delle coste. 

I fianchi stanno alla estremità del ventre. Si estendono fino 
alle ossa delle anche. Nella coda si distinguono due parti: i 
crini ed il tronco. 

La prima parte della gamba anteriore del Cavallo si dice 
braccio (m), sebbene corrisponda all’antibraccio dell'uomo; l’an- 
tibraccio (n) gli tien dietro. Si chiama ginocchio (0) la giuntura 
che sta sotto al braccio; si trova dove sta la giuntura della 
mano nell'uomo e forma un angolo di dentro allorchè la gamba 
è piegata. Lo stinco (p) è la seconda parte della gamba ante- 
riore; comincia all’articolazione del ginocchio e corrisponde al 
metacarpo dell’uomo. Dietro allo stinco avvi un tendine, che si 
stende da un capo all’altro, e che si chiama impropriamente 
nervo della gamba. La mnocca (q) è l'articolazione che si trova 
sotto lo stinco. Il fiocco o barbetia è un ciuffo di peli che copre 
una specie di corno molle, collocato dietro alla nocca, e che si 
chiama sprone. Il pastorale (r) è la parte della gamba che si 
stende dalla nocca fino al piede. La corona (s) è una protube- 
ranza che si trova sotto il pastorale ed è fornita di peli lunghi 
che cadono sulla parte cornea tutt'intorno al piede. Lo zoccolo 

_ (1) è per così dire l’ unghia del Cavallo, è fatto di materia 
cornea. 


168. ORDINE DEI PACHIDERMI 


Per menzionare le parti che compongono le gambe posteriori, 
bisogna risalire fino alle natiche del Cavallo. Ognuna contiene 
il femore e corrisponde alla coscia dell’uomo. Quindi è la co- 
scia del Cavallo che riunita al corpo ha il nome di natica. Essa 
termina nel basso e. sul davanti, colla grassella (k), che è l’ar- 
ticolazione del ginocchio, ove trovasi la rotula. E collocata al 
basso dell’anca, all’altezza del fianco e muta di luogo allorchè 


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Fig. 57. Le differenti parti del corpo del Cavallo. 


a Orbite. — » Conche. — c Musello. — d Collo. — e Ciuffo. — / Garrese. — 9 Ri- 
scontri. —- Ah Lombì, — è Torace. — j Ventre. — K Grassella, — 7? Groppa. — # 
Braccio. — 7’ Coscia. — n Antibraccio. — n’ Gamba. — o Ginocchio. — o’ Gir- 


retto. — p Stinco. — qQ Nocca. — r Pastorale. — s Corona. — t Zoccolo, 


il Cavallo cammina. La prima parte della gamba posteriore che 
sia distaccata dal corpo è quella che si dice coscia (m’); e cor- 
risponde alla gamba dell'uomo. Si estende dalla grascella e dalla 


parte inferiore delle natiche fino al garretto (0’) o tarso. 


Il garretto è l’articolazione che sta al basso della coscia e si 
piega allo innanzi. Questa articolazione corrisponde al collo del 
piede dell’uomo, vale a dire al tarso; la parte del garretto che 


sta indietro e si chiama la punta del garretto, è il tallone. 


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CAVALLI 474 


Sotto al garretto stanno lo stinco, la nocca, il pastorale ed il 
piede, come nelle gambe anteriori. 

Il mantello del cavallo. — Diremo ora qualche parola sulle 
varietà del colore del mantello del Cavallo, onde formare il 
senso che si dà ai vocaboli che gereralmente si adoperano per 
indicare le tinte che rivestono questo mantello. 

Il baio è il color castagno rossiccio; ha parecchie sfumature. 
I Cavalli baio bruno sono di un color bruno oscurissimo e quasi 
nero, tranne ai fianchi e sulla punta del naso, ove sono di co- 
lor rosso; ciò si suol dire essere fuocati. Il baio dorato non è 
che una tinta gialla. I Cavalli baio pomellato hanno sulla groppa 
macchie di color baio più oscuro di quello del resto del corpo. 
Tutti i cavalli bai hanno le estremità, i crini e la coda neri. 

Hannovi tre sorta di mantelli neri o morelli: il morello mal- 
tinto od affumicato, che è brunastro; li morello giaietto o cor- 
vino, che è molto oscuro; allorchè è liscio e molto vivace, si 
suol dire morello deciso. 

Il mantello isabelle è giallo; i crini e la coda son bianchi in 
certi Cavalli color isabella, e neri in certi altri. Questi hanno 
una striscia nera che si estende sul dorso e che si chiama la 
riga del mulo, o linea dorsale. Del resto l’isabella hà varie tinte. 

Il sauro (che alcuni dicono malamente alla francese alezano) 
è una sorta di baio rosso o cannella. Ve n’ha parecchie sfuma-" 
ture, e sono il sauro chiaro, che ha il colore del pelo della 
vacca; il sauro concime, che non è né bruno rè chiaro; il sauro 
carico, che tende al rosso; il sauro bruciato, che è oscuro e 
molto bruno. Trovansi certi sauri che hanno la criniera e la 
coda bianche ed altri che le hanno nere. Il rovano è misto di 
rosso e bianco. | 

I Cavalli grigi hanno il pelo misto di bianco e di nero o di 
baio. Si distinguono parecchie sorta di Cavalli grigi: i grigio 
pomellati, i grigio argentati, i grigio sporco, ecc. I grigio pomellati 
hanno sulla groppa e sul corpo parecchie macchie rotonde, le 
une più nere, le altre più bianche, distribuite assai disugual- 
mente, ecc. 

I Cavalli pezzati hanno delle chiazze bianche o di colore che 
formano come grandi macchie disposte irregolarmente. Si di- 
stinguono varie sorta di Cavalli pezzati, per i differenti colori 
‘ che si trovano col bianco, vale a dire: i pezzati morelli, che son 
bianchi e neri; i pezzati bai, che son bianchi e bai, e i pezzati 
sauri che son bianchi e sauri. 

Si chiamano tigrati i Cavalli che, sopra un fondo bianco o 
grigio hanno macchie nere disegnate irregolarmente. 


172 ORDINE DEI PACHIDERMI 


I denti del cavallo, sue andature e sua età. — Finora abbiamo 
considerato il Cavallo selvatico ed il Cavallo domestico in ge- 
nerale, nella loro struttura, nel loro colore, in una parola nel 
loro aspetto esterno, senza tener conto delle razze, di cui ora 
parleremo. Prima di imprendere lo studio delle razze cavalline, 
crediamo sia oppurtuno dare alcune spiegazioni sul modo in 


Fg. 59. Dentizione del Cavallo adulto. 


a incìsivi. — Db Canini o scaglioni. — c Intervallo detto darre, o meglio le barre. 
d Molari o mascellari. 


cui il morso governa le varie andature del Cavallo; ciò che ci 
condurrà a parlare della struttura della sua bocca, utilissima 
del resto a conoscere per molti altri riguardi. 

Il cavallo cammina al passo, al trotto, al galoppo, va all’ambio, 


Fig. 60. A diciotto giorni. Fig. 61. A tre anni. 


o, come meglio si dice italianamente, di portanie. Tutti cono- 
scono il significato di questi vocaboli. 

Le andature del Cavallo vengono profondamente modificate e 
promosse dal morso e dallo sprone. Lo sprone sollecita la pron- 
tezza dei movimenti; il morso imprime loro la precisione. La 
bocca del Cavallo è tanto sensibile che il benchè minimo mo- 


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CAVALLI Lis 


vimento, o la più lieve pressione che riceve, rende avvertito 
l’animale e lo fa obbedire al comando. Ma non bisogna abusare 
della estrema sensitività di quest’organo, onde conservagli tutta 
da sua delicatezza. 

L’uomo approfitta della posizione dei denti del Cavallo nella 
mascella; ciò gli rende agevole il collocarvi il morso, mercè il 


Fig. 62. Sel anni. Fig. 65. Nove anni. 


quale doma e dirige questo altero e vigoroso animale. Quindi 
giova studiare l'armatura della sua bocca. 

Ad ogni mascella (fig. 59) si trovano sei denti incisivi, cui 
‘tengon dietro da ogni lato un dente canino, che sovente manca 
alle giumente, specialmente alla mascella inferiore, ed una se- 
rie di sei molari dalla corona quadra, solcata di quattro rialzi 


disposti a ghirigoro fatti dalle lastre di smalto che vi si affon- 


Fig. 64. Quindici anni. Fig. 65. Trenvanni. 


«dano. Tra i canini ed i molari trovasi un grande spazio vuoto 


detto barra, che corrisponde all’angolo delle labbra: si è in que- 
sto intervallo che si colloca il morso. Così pure dai denti si ri- 
conosce con sicurezza l’età del Cavallo, cognizione utilissima, 
perchè il Cavallo cresce di valore man mano che si avvicina all’età 
in cui potrà rendere servizi, e scema di prezzo man mano che 


174 ORDINE DEI PACHIDERMI 


si fa vecchio. Fino a otto o dieci anni si riesce a riconoscere 
questa età, mercè il mutamento che si opera nei denti. 

Nascendo, il puledro è in generale privo dei denti davanti: 
non ha che due molari da ogni lato della bocca (fig. 60). Dopo 
qualche giorno, i due incisivi del mezzo spuntano in ogni ma- 
scella: si chiamano picozzi. Nel corso del primo mese, appare 
un terzo molare. Verso il quarto mese spuntano pure i due in- 
cisivi mezzani, e fra i sei mesi e mezzo e gli otto mesi appa- 
iono gl’ incisivi laterali che si dicono cantoni, come pure un 
quarto molare. Allora la prima dentizione è compiuta. I muta- 
menti che seguono prima dei tre anni non dipendono che dal 
consumo sempre più profondo degli incisivi, di cui le fossette 
tinte di nero dagli alimenti vanno man mano dileguandosi. Dai 
tredici ai sedici mesi la cavità della superficie terminale dei 
picozzi scompare; allora si dice che si uguagliano 0 sgualivano.. 
Da sedici a venti mesi gl’incisivi mezzani si uguagliano parimenti,. 
e da venti a ventiquattro mesi i cantoni fanno lo stesso. 

Il lavoro della seconda dentizione comincia a due anni e 
mezzo o tre anni (fig. 64). I denti di latte si riconoscono dalla 
brevità, dalla bianchezza, e dal restringimento della loro base, 
che dicesi colletto. I denti che vengono sostituiti non hanno que- 
sto ristringimento e sono molto più larghi. I picozzi son quelli 
che cadono e rinascono pei primi. Da tre anni e mezzo ai quat- 
tro gl’incisivi mezzani sono soggetti allo stesso mutamento, ed 
i canini inferiori 0 scaglioni cominciano a spuntare. I cantoui 
si rinnovano pure da quattro anni e mezzo a cinque anni; i 
canini superiori, quando esistono, forano la gengiva, e nello 
stesso tempo si mostra il quinto molare. 

Si osserva sulla superficie della corona di questi secondi in- 
cisivi una depressione, a foggia di fossetta, come si osserva ne- 
gli incisivi di latte, la quale si consuma nello stesso modo. 

I picozzi della mascella inferiore perdono la loro cavità dai 
cinque ai sei anni (fig. 62). L’anno dopo sono gl’incisivi mez- 
zani che si uguagliano. Il segno dei cantoni si scancella dai 
sette agli otto anni. Nello stesso ordine, ma più lentamente, si 
opera la distruzione degli incisivi superiori (fig. 63 e 64). 

Allorchè questi diversi mutamenti si sone compiuti, il Cavallo | 
è fuori marca (fig. 65), perchè i denti non somministrano più 
i caratteri che indicano con sicurezza l’età dell'animale. Non si 
hanno più che indizi approssimativi nella lunghezza e nel co- 
lore dei canini che vanno sempre piu scalzandosi, nelle rughe 
del palato, ecc. | 

Cavalli domestici e loro razze. — Sembra che 1’ addomestica- 


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mento del Cavallo abbia cominciato fin dal comparire dell’uomo 
sulla terra. Siccome questo animale si piega ad ogni necessità, 
ad ogni bisogno, o meglio ad ogni capriccio del padrone, dal 
suo servaggio risultò un gran numero di razze, vale a dire di 
varietà della specie. Queste razze sono caratteristiche non solo 
per la forma dol corpo, ma anche per le qualità morali. In ge- 
nerale il Cavallo è intelligente, affettuoso, e dotato di grande 
memoria: ma queste qualità vengono profondamente modificate 
dall’educazione e dai climi. Acciocché la sua intelligenza e le 
sue qualità si svolgano, fa d’uopo che l’uomo mentre è suo pa- 
drone sia suo compagno ed amico, non mai suo aguzzino. Sotto 
la frusta di un grossolano carrettiere il Cavallo si abbruttisce e 
degenera, più ancora nel morale e nel fisico. 

L’affezione del Cavallo per l’uomo che lo tratta bene è un 
fatto notissimo. Gli aneddoti che ne fanno fede sono moltissimi 
e svariatissimi, ma i limiti di questo libro non ci permettono 
di farne menzione. Citeremo solo una storia commovente che 
ha il merito d’essere autentica. 

Pel 1809, durante una delle loro insurrezioni, gli abitanti del 
Tirolo presero alle truppe bavaresi quindici cavalli e li caval- 
carono. In breve segue un incontro tra i partiti nemici. Ma nel 
punto che stavano per battersi, i Cavalli bavaresi, che avevano 
mutato padrone, sentono la tromba e riconoscono l’ assisa del 
loro primiero reggimento. Allora prendono subito a galoppare, 
e, malgrado gli sforzi dei loro cavalieri furibondi, li portano 
allegramente in mezzo alle file dei soldati bavaresi, e quindi 
tutti i Tirolesi rimangono prigionieri. 

Si riconosce la memoria del Cavallo dal risentimento che 
conserva delle ingiurie e dei cattivi trattamenti. 

Molti cavalli restii con persone che li avevano maltrattati 
son docili con altri cavalieri che non li hanno mai battuti 
senza motivo. Hanno dunque la coscienza del bene e del male; 
si ribellano contro l’arbitrio e l’ingiustizia. 

L’emulazione è pure un sentimento molte spiccato nei Ca- 
valli. Nelle corse di Cavalli, i vincitori manifestano col loro 
atteggiamento l’ orgoglio che il trionfo fa loro provare; ed i 
vinti, invece, hanno un piglio tutto contrito ed umiliato. 

In molte altre occasioni si manifesta l’intelligenza di questo 
nobile animale. Osservatelo, per esempio, nella tenda dell’Arabo, 
ove è stimato ed amato, come un membro della famiglia. Am- 
miratelo nei circhi ove eseguisce esercizi e prodigi di forza e 
di grazia, guidato solo dalla voce di una donna o di un caval- 
ierizzo. Si son veduti i cavalli più bizzarri e più viziosi la- 


176 ORDINE D£I PACHIDERMI 


sciarsi cavalcare e condurre da ragazzetti, con una maestosa 
benevolenza. 

Per le sue attitudini nei movimenti, il Cavallo è atto a due 
diverse funzioni. È cavallo da sella, quando porta un cavaliero 
in viaggio, in guerra, a diporto o al passeggio; è cavallo da tiro, 
quando tira pesi di vario genere. Quindi bisogna distinguere il 
cavallo da carrozza, il cavallo da tiro leggero, ed il cavallo da tiro 
pesante. | 

Il cavallo da sella deve avere i movimenti eleganti e facili. 
Deve poter obbedire immediatamente alla volontà del cavaliere, 
manifestata da ciò che suol dirsi gli aiuti, secondo il linguaggio 
della equitazione. | 

Il cavallo da carrozza, acconcio alle vetture di lusso, solo 0 
appaiato, deve unire la forza, la statura e l’eleganza. È dunque 
un cavallo da sella più grande, don maggior sostanza in tutte. 
le sue parti. i 

Il cavallo da tiro manca di nobiltà e di eleganza. Ha forme 
massiccie e un po’ tozze, il collo corto, grosso, carico di crini 
un po’ ordinarii. 

Se osserviamo un individuo di statura mezzana, dotato di mo- 
vimenti facili, che possa sostenere il trotto tirando un grosso 
peso, risultato che si ottiene da una corpulenza mezzana unita 
ad energia di temperamento, si avrà il tipo del cavallo da tiro 
leggero. Tali sono i cavalli da posta, da diligenza o d’artiglieria. 

Il cavallo da tiro pesante ha masse muscolari enormi. I lombi 
son larghi e corti, onde resistere alle violente scosse che deve 
sopportare. Il petto è sviluppatissimo, le membra e le artico- 
lazioni sono in relazione col volume del corpo. Questo tipo è 
imponente per la sua statura e per la sua forza. 


Abbiamo ora considerato i quattro tipi di conformazione ac- 
conci a speciali funzioni economiche. Ci riman ora a dare una: 
occhiata alle razze cavallin©, e le divideremo, col signor San- 
son, autore di un eccellente libro sulle Applicazioni della zoo- 
tecnia, in due grandi categorie: quella dei cavalli fini, e quella 
dei cavalli comuni. 

Cavalli arabi. — Onore al merito! Cominceremo l’ istoria dei 
Cavalli di prezzo da quello del Cavallo arabo. 

Il cavallo arabo, puro da ogni alleanza eterogenea, è il tipo per- 
fetto della bellezza della specie. E perfetto nel fisico e nel morale. 

La fronte è larga e piatta; le arcate orbitali sono sporgenti; 
le cavità orbitali grandi e molto distanti; la faccia corta col 
musello diritto, piatto e largo. Le narici sono larghe e molto 


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evase; le labbra sottili, le guancie piatte, la bocca è piccola; le 
orecchie poco sviluppate, diritte, distanti, mobili. L’ occhio è 
sporgente, vivace ed energico; la fisonomia dolce ed altera. Tali 
sono i principali caratteri della testa in questa nobile animale. 
In Oriente la sua statura varia da metri 1,45 a metri 1,56. Il 
suo mantello è per lo più bianco, o di un bigio chiaro; può 
anche esser nero, baio o sauro. Il suo collo è diritto; le sue lar- 
ticolazioni, larghe e forti, servono di punto d’inserzione a mu- 
scoli poderosi, che spiccano sotto una pelle lascia, dal pelo 
raso, solcata in ogni direzione da vene sporgenti. Il suo petto 
è largo, le gambe son sottili e nervose; il piede termina in un 
duro zoccolo. Tanto vigoroso quanto agile, può fare abitual- 
mente fino a venti leghe al giorno. Siccome col suo sangue ge- 
neroso trasmette alla sua discendenza le sue qualità è la pura 
sorgente ove si migliorano tutte le razze. 

Allevato sotto la tenda, e facente, per così diroo parte della 
famiglia, il Cavallo arabo ha pel suo padrone un affetto ed una 
fedeltà a tutta prova. L’ Arabo, del pari, sagrificherebbe tutto 
pel suo Cavallo. Per riprodurre e conservare questi meravi- 
gliosi ausiliari, gli Arabi simpongono cure di cui stentiamo a 
farci un’ idea. La genealogia di ogni Cavallo è tenuta colla 
stessa cura ed ha la stessa autenticità di quella delle più altere 
famiglie patrizie. Si può risalirne regolarmente la genealogia 
fino a quattro secoli. Gli Arabi vanno fino a dare duemila anni 
d’esistenza alla nobile razza che chiamano Kochlani. Essa inspira 
i più bei canti ai poeti della tenda. 

Abbiamo detto testè che il Cavallo arabo è oggetto di cure e 
di continue attenzioni. Alla mammella, oltre il latte della ma- 
dre, gli vien dato anche latte di cammella. Appena i denti co- 
minciano a poter tritare, gli si offre orzo spezzato ed immol- 
lato; dopo che è svezzato si pasce delle erbe migliori, ma l’orzo 
e sempre il suo principale nutrimento. Tutti gli abitanti della 
tenda gli son prodighi di carezze, come a un figlio della fami- 
glia. Appena la sua groppa offre una certa resistenza lo si fa 
cavalcare da un fanciullo, e si esercita a piccole corse; esso 
. porta così mano mano l’adolescente, l’uomo adulto, il guerriero. 
Le sue membra, le sue articolazioni, sono oggetto di una co- 
stante sollecitudine. Poco a poco lo si foggia, gradatamente, c 
con ogni sorta di precauzioni, a sopportare, senza soffrire, la 
stanchezza, la sete e la fame. L’Arabo identifica il suo corsiere 
. alla. propria esistenza. La nobiltà della sua razza, il modo di 
. educazione, l’affetto di cui è circondato, il mezzo nel quale cre- 
sce e svolge tutte le sue qualità, fanno del Cavallo arabo il 


deg ORDINE DEI PACHIDERMI 
più bello, il più acconcio per le lunghe e rapide éorse, il più 
sobrio, il più affettuoso, il più intelligente di tutti i Cavalli. 

I Cavalli inglesi e le corse. — Secondo il signor Sanson, il 
Cavallo inglese detto di puro sangue deriva dalla razza araba 
portata in Inghilterra e modificata nelle sue attitudini per l’uso 
delie corse. Di là sarebbe stato portato in Francia unitamente 
a questa istituzione. I caratteri tipici dei corridori inglesi non 
differiscono da quelli del Cavallo arabo. È dunque un errore, dice 
lo stesso autore, considerare i Cavalli da corsa inglesi come una 


Fig. 67. Cavallo normanno. 


razza distinta. Ora, in qual modo la razza araba ha messo ra- 
dice in Inghilterra? LEV 


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Il primo stallone straniero di cui facciano menzione le ariti- 
che cronache sassoni, come introdotto in quel paese, è Ture 
bianco, che fu comprato da Giacomo I, da un certo signor Place, 
in seguito direttore delle mandrie di Cromwell. Williers, 
primo duca di Buckingham, introdusse poi Helmsley Turk, poi 
Fairfax-Moroco. Ma, in generale, non si fa risalire questa ge- 
nealogia oltre il principio dell’ ultimo secolo, con Darley-Ara-. 
bian, nato in Soria, il quale ebbe ‘grande riniomanza. Fra i suoi 


CAVALLI 181 


discendenti non menzioneremo che il famoso: Eclipse, rimasto 
il tipo del cavallo di corsa, e che conta innumerevoli vittorie 
ippiche. |. i 

Oltre venti anni dopo l’introduzione di Darley-Arabian, Lord 
Godolphin' ammise nelle sue mandre il celebre stallone Ara- 
bian- Godolphin, che fu comprato per una meschina somma a 
Parigi, ove tirava la carretta di un portatore d’ acqua. Eugenio 
Sue ha raccontato in uno dei suoi romanzi la storia patetica di 
questo stallone. Zaih, uno dei suoi figli, fu uno dei primi Ca- 
valli del suo tempo. | 


Il cavallo inglese da corsa (fig. 58) ha i caratteri tipici della 
razza araba, uniti a certi caratteri secondarii, mercè i quali si 
può distinguerlo dal tipo orientale. Il Cavallo inglese è più alto 
del Cavallo aràbo. Ha le linee del corpo più allungate, meno 
arrotondate. La ginnastica del galoppo di corsa ha allungato la 
coscia, innalzato la groppa e comunicato a queste parti una 
forma spéciale. È più voluminoso dell’arabo in ogni sua parte, 
e sul suo mantello dominano il colore baio ed il sauro, con 
tutte le loro varie sfumatùre. | | Ù 

‘Le qualità speciali del Cavallo inglese risultano dall’ azione 
combinata del clima, dell'allevamento e dell’uso delle corse. 


182 ORDINE DEI PACHIDERMI 


Le corse sono molto anteriori alla introduzione degli stalloni 
arabi. Un autore inglese del secolo dodicesimo parla delle corse 
di Cavalli che erano in uso al suo tempo, a Smithfield. L'isti- 
tuzione regolare delle corse data dal regno di Carlo I, e il re- 
golamento di esse risale all'ultimo anno del regno di Giacomo I. 
Da quel tempo sono sempre state conservate. 

Le qualità dei più rinomati corridori dell’Inghilterra si deb- 
bono al modo di educazione che vien loro imposto, onde pre- 
pararli agli esercizii dell’ippodromo. Se non che la leggerezza 
e la velocità si sono ottenute a spese della forza e della resi- 
stenza dell'animale. Aggiungeremo che sovente il premio della 
corsa non è vinto se non mercè i crudeli eccitamenti dei fan- 
tini, che oggi hanno una parte grandissima in una lotta ove 
non dovrebbe aver parte che il solo Cavallo. Altre volte eravi 
nel Cavallo inglese un sentimento molto più sviluppato d’emu- 
lazione e di obbedienza. Allorchè era cominciata la corsa, sa- 
peva ciò che doveva fare, senza che il cavaliere dovesse. ricor - 
rere allo sprone ed alla frusta. 


« Forester, dice Guglielmo Vouat, aveva già vinto parecchie corse for- 
temente contrastate; ma un giorno l’infelice entrò in lotta con un Ca- 
vallo straordinario, Elefante, che apparteneva a Sir James Shaftoc. La 
distanza che si doveva percorrere era di quattro miglia in linea retia. 
Avevano varcato la parte piana del terreno, e nella salita si trovavano 
allo stesso livello. A poca distanza dalla meta, Elefante, avendo in quel 
momento un po’ guadagnato sopra Forester, quest’ ultimo fece tutti gli 
sforzi possibili per ricuperare il terreno perduto. Ma vedendo che riu- 
scivano vani, con un salto disperato si accostò al suo antagonista, e lo 
afferrò alla mascella per tenerlo indietro; ci volle molta fatica T9o8 fargli 
abbandonare la presa. 

« Un altro cavallo, appartenente al signor Quin, nel 1753, vedendosi 
superato dal suo avversario, lo afferrò ad un membro, e i due fantini 
dovettero scendere da cavallo per separare le loro cavalcature. » 


L’autore inglese dal quale prendiamo i fatti narrati qui sopra, 
deplora che il sistema presente sia tale che il Cavallo da corsa 
abbia bisogno di essere eccitato dal fantino, che sia sagrificata 
ogni cosa alla velocità a danno della forza, che il Cavallo vin- 
citore esca dall’ippodromo coi fianchi lacerati dallo sprone, le 
coste sgocciolanti di sudore, i tendini sforzati, e inetto a ricom- 
parire con successo nella lotta. Del resto, persone competenti si 
meravigliano di vedere, tanto in Francia quanto in Inghilterra, 
tutti gli sforzi tendere ad un solo scopo, la velocità vertiginosa 
nel minor tempo .possibile; non è certo esigendo dai cavalli la 
sola qualità della velocità del che si otterrà da essi il vigore e la 


CAVALLI 183 


energia, qualità necessarie prima di tutto al servizio del Ca- 
vallo. La più parte dei trionfi sul campo delle corse prova solo 
una eccitabilità nervosa, passeggiera e ingannevole, ma non la 
solidità e la forza. 

Cavalli francesi. — Veniam0ò ora al Cavallo normanno (fig. 67). 
Prima che si creasse l’amministrazione delle mandrie, esisteva 
in Normandia una razza di Cavalli che per lungo tempo aveva 
somministrato le pariglie dei gran signori di altri tempi. Erano 
d’origine danese. La razza presente deriva dall’ incrociamento 
operato tra le giumente normanne o danesi e lo stallone inglese 
detto puro sangue, e gl’individui che la costituiscono partecipano 
delle due origini. Si producono in Normandia in due località 
o centri di allevamento: uno comprende la pianura di Caen, e 
i pascoli succulenti del Galvados e della Manica; l’altro è  po- 
sto in quella parte del dipartimento dell’ Orne che ha nome 
Merlerault. Di là son venuti i vincitori delle corse di questi 
ultimi anni, Surprise, Wermout, Fille de’ |’ air, Eclipse, ecc. 

Il circondario di Cherbourg possiede una razza eccellente, di 
statura atletica e di grande forza di restenza, le cui giumente 
portano al mercato le contadine del paese di Caux. Sopra que- 
sta sorta di ronzini normanni, tutti i venditori di erbe face- 
vano i loro viaggi di parecchie giornate per andare a fare ac- 
quisto di buoi, prima dell’ uso delle ferrovie. Questi Cavalli, 
puri da ogni incrociamento, che camminano a passo rialzato, 
sono ad un tempo corpulenti ed elegenti. 

Nelle lande della Bretagna si trova una razza di piccola sta- 
tura, la quale ha evidente affinità col tipo arabo, e di cui la 
resistenza, la sobrietà e la forza sono a tutta prova: sono i 
Cavalli bretoni (fig. 68). Queste qualità e questa piccola statura 
non si trovano che nei Cavalli allevati nella landa e in libertà 
assoluta, perchè altrove si sono fatti incrociamenti, per cre- 
scerne la statura, dei piccoli Cavalli bretoni cogli stalloni in- 
glesi. 

Sul litorale dell'Oceano, tra la foce della Loira e quella della 
Gironda, esistevano un tempo inmense paludi, le quali, mutate 
in praterie, furono destinate all’ allevamento del Cavallo. In 
questa località furono introdotte giumente molto corpulente, dal 
capo lungo e stretto, dalle membra voluminose e coperte di 
crini, di cui parleremo in seguito: poi, mercè gli stalloni an- 
glo-normanni, queste giumente servirono alla produzione dei 
Cavalli destinati a rimontare la cavalleria francese. 

Non faremo menzione qui dei cavalli lorenesi, alsaziani, della 
Sciampagna e della Borgogna, che non hanno caratteri proprii 


134 ORDINE DEI PACHIDERMI 


e distinti. Citeremo solo i Cavalli limosini, che formavano i Ca- 
valli da sella più eleganti e più stimati dei nostri padri. Si 
dico che discendessero da quei Cavalli arabi che furono ab- 
bandonati dai Saraceni vinti da Carlo Martello. Questa razza, 
dalle forme svelte, dalle membra sottili e nervose, energica, 
coraggiosa, è stata guasta, secondo il signor Sanson, dall’accop- 
piamento cogli stalloni inglesi. | 

I Cavalli dell’Alvernia non differiscono, pel tipo, dai Cavalli 
limosini. Sono stati soltanto modificati e si sono adattati al 


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Fig. 69. Cavalli dei Pirenei (mandre di Tarbes). 


soggiorno dei paesi montuosi. La loro fisonomia ;è meuo pia- 
. cevole; hanno piccola statura, e la loro groppa è più corta e 
più bassa di quella dei Cavalli limosini. Sono servitori eccel- 
lenti, sobrii e resistenti, pieni di energia, di vivacità, dalle forme 
in rilievo e che non differiscono dai limosini se non perchè sono 
“montanari. Si è concordi nel riconoscere che l’azione degli stal- 
loni inglesi. è stata -perniciosa in questo paese; i Cavalli sono 

| divenuti da ciò «bizzarri e viziosi. 
.I cavalli delle Lande; dell’ Aude ‘e della Camarga, provengono 


CAVALLI 185 


‘tutti dal tipo arabo. Sono ancora più piccoli dei limosini e de- 
gli alverniesi e hanno forme più irregolari; ma son dotati della 
stessa energia ce di una certa indipendenza selvaggia. Abitano i 
paesi incolti presso il Mediterraneo. Ecco, secondo il signor 
Gavot, il carattere del Cavallo camargo. 


È piccolo, e la sua statura misura da metri 41,52 a metri 1,54; di 
rado cresce tanto da divenire acconcio per l’arme della cavalleria leg- 
 giera. Ha sempre il mantello bigio-bianco. (l suo capo, sebbene grosso e 
talora come incavato, è generalmente quadrato e bene attaccato; le orec- 
chie son corte e distanti; l’occhio è vivace, a fior di testa; il collo di- 
ritto, esile, talora arrovesciato, la spalla è diritta e corta, ma il garrese 
non manca di elevazione, il dorso sporgente, i lombi larghi ma lunghi 
e mal collocati; la groppa è corta e cadente; le coscie son magre i gar- 
retti son stretti e chiusi, ma spessi e forti. ..; il piede è sicurissimo e di 
buona natura, ma largo e talora un po’ piatto. Il Cavallo camargo è 
agile, sobrio, vivace, coraggioso , atto a resistere alle lunghe astinenze, 
come al'e intemperie. Si riproduce sempre lo stesso da secoli, malgrado 
lo stato di miseria in cui lo mantiene l'abbandono e la trascuratezza. » 


Si conservano questi piccoli Cavalli nelle paludi c nelle pra- 
. terie deserte della Camarga, che si estendono da Arles. fino al 
mare. Colà vivono liberi, in piccole frotte, misti coi tori sel- 
vaggi. Nel tempo delia messe si adoperano questi Cavalli li- 
beri per battere i grani. Si portano sulle aie a calpestare 
i covoni e distaccare il fromento dalle spighe. Il loro zoccolo 
. duro, ma elastico, è un correggiato eccellente per battere questi 
covoni. Quando hanno compiuto il loro contingente di lavoro, 
si lasciano ritornare alla loro vita indipendente, negli spazii 
incolti che circondano le paludi. Colà si nutrono di giunchi e 
di alcune piante grossolane. 

La razza dei Cavalli camarghi è poco stimata, anche nel 
mezzogiorno della Francia. Nondimeno i migliori Cavalli ven- 
gono scelti, allevati, e venduti nel paese. Si asserisce che i Ca- 
valli della Camarga siano i discendenti di alcuni Cavalli la- 
sciati dagli Arabi della costa d’Africa, nelle frequenti discese 
ed escursioni che facevano nei primi tempi della storia di Fran- 
cia sul litorale meridionale di questo paese. 

La razza Berbera, che ha preso radice sul versante settentrio- 
nale dei Pirenei, ha prodotti i Cavalli dei Pirenei, con modifica- 
zioni intorno alle quali non ci dilungheremo. La fig. 69 rap- 
presenta il Cavallo dei Pirenei, chiamato anche Cavallo di Tarbes, 
. a cagione delle stupende mandrie erette nei contorni di questa 
città, e d’onde vengono i più bei Cavalli di questa razza. 


FiGuiER. I Mammiferi. 2h 


186 ORDINE DEI PACHIDERMI 


Cavalli italiani 3. — Sappiamo che la Reale Società Nazio- 
nale di Medicina Veterinaria si è rivolta ai veterinarii d’ ogni 
provincia della penisola, onde avere nozioni esatte sulle razze 
e sottorazze di tutti gli animali domestici esistenti in ogni pro- 
vincia, nozioni che serviranno alla pubblicazione di un trattato 
sulle razze esistenti in Italia, del quale si prova sempre più il 
bisogno. Mentre si attende che in tal modo venga colmata una 
sì grande lacuna, non crediamo poterci dispensare dal porgere 
un brevissimo cenno delle razze equine principali che esistono 
nelle varie parti dell’Italia. 

Dalle provincie subalpine nel secolo scorso erano forniti al- 
cuni cavalli robusti, vigorosi, e non privi di un certo grado di 
eleganza, sia da tiro che da sella, e questi pochi risultamenti 
favorevoli si dovevano alla munificenza dei regnanti di Casa 
.Savoia, i quali avevano riunito nella magnifica mandria di Chi- 
vasso alcuni rari tipi equini delle razze Limosina, Normanna, 
Romana, Napolitana, e quindi in quella della Venaria Reale 
rinomati stalloni arabi, persiani, turchi, spagnuoli, sardi, romani, 
napolitani, normanni, ecc. Per sola regia munificenza e poscia 
col concorso del governo questi preziosi elementi di riprodu- 
zione venivano distribuiti nelle singole provincie a beneficio 
dei proprietarii, ed in grazia di un così lodevole mezzo non 
mancarono alcuni distinti prodotti, ma giammai si potè fondare 
° in Piemonte una vera razza, nemmeno più tardi, quando nei 
depositi governativi agli stalloni orientali furono sostituiti stal- 
loni inglesi, prussiani, meclemburghesi, anglo-normanni. Si mi- 
gliorarono bensì e si migliorano tuttora le condizioni dell’ alle- 
vamento equino nelle dette provincie, ma non si giunse ancora 
‘a stabilire in esse una vera razza con caratteri speciali, persi- 
stenti. 

Devesi qui far astrazione dalla mandria Reale della Venaria, 
ove tanto collo stallone arabo quanto coll’ inglese si ottennero 
‘ eccellenti prodotti, particolarmente col sangue inglese, essendo 
‘ nota la riputazione che acquistarono sugli ippodromi, per il 
‘ servizio della sella, e parecchi ancora per la carrozza. 

In Lombardia si hanno duc razze con caratteri abbastanza 
distinti: la prima :s’ incontra dalla’ Lomellina verso Mantova, 
Verona; generalmente i cavalli di questa razza peccano per 
‘ avere la testa un po’ pesante, la groppa rotonda e le estremità 
non ‘abbastanza robuste in proporzione dello sviluppo del loro 


" Questo capitolo sui cavalli italiani è stato aggiunto appositamente da 
noi per questa edizione italiana. (Nota del Trad). 


CAVALLI 187 


corpo; l’altra, detta Cremonese, è più adatta al tiro; i cavalli di 
‘questa razza più elevata hanno testa lunga, secca, groppa larga, 
sovente scanellata, ma le estremità secche, abbastanza tarchiate. 
Nei cavalli nati ed allevati nella gran pianura della Lombardia 
hassi a lamentare la disposizione all’oftalmia periodica, che si 
ha cura di allontanare colla scelta di riproduttori più distinti, 
e con ben adatti agenti igienici. 

Godevano di una gran rinomanza ancora nello scorso secolo 
e nei primi anni del secolo corrente i cavalli ferraresi e quelli . 
del Polesine per la loro statura, robustezza, belle forme, ed 
erano essi molto ricercati anche dagli stranieri per migliorare 
le loro razze, particolarmente i nati ed allevati nel Polesine; e 
sebbene oggigiorno non siano più così preziosi, non si tralascia 
però in quei paesi di allevare con diligenti cure eccellenti ca- 
valli tanto per la sella quanto per la carrozza, e per il tiro 
pesante; le prove fatte da qualche ricco possidente di introdurre 
in quelle razze lo stallone di sangue inglese hanno già dati 
buoni risultamenti. 

Una delle razze che si mantiene in buona riputazione per 
fornire eccellenti cavalli da sella e per il tiro leggero è la friu- 
lana; chi ha visto una volta le corse che si fanno coi cavalli 
friulani tanto alla sella quanto alle bighe al Prato della valle in 
Padova non può a meno di ammirare l’ energia, la libertà dei 
movimenti, la leggerezza di questi cavalli discendenti diretta- 
mente dallo stallone arabo o dall’ungherese; essi hanno gene- 
ralmente una statura mediana, ma sono tarchiati, hanno fronte 
spaziosa, collo muscoloso, groppa ed anche rotondate, ed estre- 
mità d’appiombo, nerborute. In quei paesi pare si abbia poco a 
fare per migliorare la razza equina, bensì si debba maggior- 
mente pensare all’allevamento. 

L’Emilia pure nei tempi andati produceva eccellenti ed ele- 
ganti cavalli, quindi le razze private tralignarono alquanto, ma 
oggi in grazia dei distinti stalloni del deposito di Reggio si ot- 
tengono nell'Emilia prodotti che lasciano sperare il ritorno al- 
l’antico lustro. 

Nella Toscana sono molti i proprietarii che posseggono man- 
drie più o meno numerose, e ricchi signori ne hanno delle po- 
polatissime nelle Maremme; i cavalli che provengono da queste 
ultime sono assai robusti, resistenti alle intemperie, sobrii; la 
loro statura è piuttosto piccola, e la conformazione varia se- 
condo la: località; in generale però il cavallo toscano ha forme 
angolose , testa asciutta, groppa da mulo e buoni piedi; essi 
d’ordinario sono figli di stalloni indigeni oriundi. orientali, @ 


188 ORDINE DEI PACHIDERMI. 


non v'è dubbio che le pecche di conformazione andranno scom- 
parendo a misura che si andrà rinnovando il sangue in quelle 
razze, come vi è a sperare che si giungerà a dar loro una sta- 
tura più elevata. La mandria di S. M. a San Rossore, vicino a 
Pisa, dà eccellenti risultati in grazia degli stalloni arabi ed in- 
glesi in essa introdotti, e delle somme ed intelligenti cure che 
si hanno di allontanare da quel vastissimo stabilimento le ca- 
valle madri che manifestano il menomo difetto o la più lieve 
malattia trasmissibile ai discendenti. 


Fig. 70. Cavallo russo. 


. Eccellenti sono tuttora i cavalli romani tanto per la sella che’ 
per il tiro. Numerose ne sono le mandrie, ed i prodotti riescono 
forti, robusti, resistenti, sebbene la loro conformazione offra 
non poche mende, quali sono la testa piuttosto voluminosa, 
montonile, lunga, dorso e reni un po’ lunghi, groppa da mulo, 
e' piedi molto disposti alle setole ed all’ incastellatura, ma le 
estremità sono assai robuste, muscolari ed asciutte. 

Il cavallo della razza napolitana propriamente detta, era assai 

pregiato nei tempi andati ed alcune razze estere venivano mi- 
gliorate coll’ importazione di cavalli napolitani; oggigiorno. si 


CAVALLI, 189 


trovano ancora di questi riprodotti in pochissime razze tedesche, 
perchè la loro conformazione degenerò sensibilmente, la testa 
ne è piuttosto grossa, il collo carnoso, il tronco lungo; tuttavia . 
il cavallo napolitano è ancora pregevole tanto per il servizio 
della sella quanto per quello del tiro leggiero. 

Molto lodati sono ancora i cavalli calabresi, i quali, figli di 
arabi, ricordano il cavallo spagnuolo, avendo fronte spaziosa, 
occhi grandi a fior di pelle, collo arcato, petto largo, mem- 
bra tarchiate, con piedi eccellenti. Da qualche ricco proprieta- 


Fig. 74. Cavalli tedeschi. 


rio venne introdotto il sangue inglese in sostituzione dell’arabo, 
e se ne ottennero ottimi risultati, poichè i prodotti ritenendo 
una grazia delle loro forme acquistano una maggiore statura, 
e non pochi caratteri del cavallo inglese di mezzo sangue e di 
tre quarti sangue.: 

Il cavallo allevato nelle Puglie è forte, ma di forme comuni, 
di staturà piuttosto bassa, con estremità. asciutte, nervose, seb- 
bene siano frequenti in esse i difetti d'appiombo. 

‘Anche nella Sicilia un tempo si allevavano cavalli rinoma-. 
tissimi per eleganza di forme e resistenza, ma pur troppo _o0g-: 


190 ORDINE DEI PACHIDERMI 


gigiorno il cavallo siciliano ha anch'esso tralignato per l’abban- 
dono che si fece delle razze. L’introduzione dei distinti stalloni 
orientali testè avvenuta per cura del Governo, l’istituzione d’un 
deposito di stalloni governativi, e di numerose stazioni in quella 
fertile isola miglioreranno in breve tempo le razze equine 
nell’istesso modo che già si verificano miglioramonti nelle razze 
di altri preziosi animali domestici per le cure speciali ad esse 
rivolte. 

L’isola di Sardegna possiede cavalli nervosi, vigorosi, resi- - 
stenti alle fatiche ed all’influenza dell’intemperie, se non che 
hanno una statura bassa; tuttavia alcuni possono far parte 
della cavalleria leggiera, ed i Francesi fecero ottimi acquisti di 
cavalli in Sardegna per la guerra del 1859. Sono divenuti ra- 
rissimi i cavalli di mediocre statura, con forme rotonde, ele- 
ganti che attestavano la loro origine spagnuola; cavalli che 
erano ricercati per l’eleganza delle forme, la nobiltà di carattere, 
e per la statura. Si conserva tuttora la razza nana degli achebìi, 
la quale però sembra che vada di giorno in giorno tralignando. 
I difetti più comuni dei cavalli sardi sono di avere la testa 
grossa, le spalle troppo muscolari, la groppa cadente, ed i piedi 
molto soggetti all’ incastellatura ed alle setole; per contro, essi 
hanno andature sicure e riescono perciò molto adatti per i 
viaggi in luoghi montuosi ed alpestri. L’introduzione di stalloni 
orientali fatta dal Governo in questi ultimi anni ha già arre- 
cato buoni frutti, come l’attestano i cavalli che ad ogni anno 
vengono incorporati nei reggimenti di cavalleria leggera. 

Tutte queste cure che si sono date in ogni parte d’Italia allo 
allevamento del Cavallo, ed al perfezionamento delle sue razze 
non potevano a meno di essere accompagnate dallo studio delle 
cure di cui abbisogna il Cavallo in istato di malattia. 

In ogni parte d’Italia sorsero scuole veterinarie e sussistono 
anche oggi. 

La scuola veterinaria più antica in Italia è quella del Pie- 
monte. A mezzo dello scorso secolo, quanto per opera di Clau-.. 
dio Bourgelat nacque in Francia la prima scuola di veterinaria, 
i Reali di Savoia mandarono alcuni giovani chirurghi ad am= 
maestrarsi in quella scuola. Fra questi si segnalò il Brugnone : 
che nel 1769 ebbe incarico di istruire una scuola di Veterina- . 
ria alla Venaria Reale presso Torino, e fu nominato capo dei 
maniscalchi del Regno. I gravi tempi che seguirono non die- 
dero modo a quella scuola di molto svilupparsi. Il governo fran-. 
cese istituì una. scuola di veterinaria al Valentino presso To- 
rino, e vi pose a capo il Brugnone. La ristaurazione diede . 


CAVALLI 191 
. fondamento alla Venaria nel 1818 ad una scuola di veterinaria 
che pei tempi si poteva ben dire perfetta. Ne fu direttore Carlo 
Lessona allora giovanissimo, e che doveva poi in una lunga 
carriera illustrare con molti ed importanti scritti le Scienze 
Veterinarie. Quella scuola, dopo varie vicende, ha sede ora a 
S. Salvario presso Torino, ed ha acquistato molto sviluppo in 
rapporto coi tempi progrediti. Ne è direttore il professor Felici 
Peresino, uomo degnissimo di sì importante posto, pienamente 


— 
_- 


& 


Fig. 72. Cavalli di Boulogne. 


consapevole dell’altezza del proprio incarico, e ad esso devoto 
con tutte le sue forze. ahi 

Scuole veterinarie importanti in Italia, oltre a quella di Torino, 
sono quella di Milano, quella di Bologna, e quella di Napoli. ’ 


.. Altri cavalli. — La razza Berbera, che appartiene alla stirpe ca- 
.vallina dell'Algeria, è sparsa nelle tribù arabe sedentarie e fra i 
«+Kabili. Introdotta dagli Arabi e dai Mori in Ispagna, questo 
tipo prese il nome di razza Andalusa. Come abbiamo detto, si 
trova nelle regioni meridionali delle Lande, dell'Aude, nelle 


‘492 ORDINE DEI PACHIDERMI 

pianure della Camarga. Esiste pure nei Pirenei, ove ha il noîme 
di razza di Navarra, mista al tipo arabo. Il suo fronte è largo 
e leggermente convesso; la faccia corta, larga, dal musello 
spesso e molto prominente al livello delle orbite, le narici poco 
aperte, la bocca piccola, l’ occhio grande, l’ orecchia diritta e 
sottile; la sua fisonomia è tranquilla durante il riposo, ma'si 
va animando nell’ azione. Anche la statura ne è piccola; il 
collo grosso è fornito di crini lunghi e morbidi; le membra son 
forti dai lunghi stinchi; il dorso e le reni son corti e larghi, 


Fig. 75. Cavalli Shetlandesi. 


la coda ben folta. Il mantello è di colore vario, ma bigio in 
generale. Questi piccoii Cavalli son robusti, resistenti e  sobrii. 
Durante la guerra di Crimea i Cavalli francesi ed inglesi fu- 
rono decimati, mentre i cavalli berbèri montati dai cacciatori 
d’Africa resistettero. 

Faremo ora menzione del Cavallo russo (fig. 70), razza ma- 
gnifica che riunisce in un tipo armonico la bellezza delle pro- 
porzioni, la grande statura, il vigore e la pieghevolezza. Alla 
Mostra del 1867 si son potuti ammirare stupendi esemplari ‘di 
Cavalli russi, | 


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CAVALLI | 195 


Finora non ci siamo occupati che dei Cavalli fini; ora passe- 
remo in rassegna i Cavalli comuni, tenendoci sempre all’ eccel- 
lente libro del sig. Sanson (Applications de la zootechmie). 

Il Cavallo fiammingo è di alta statura e molto corpulento. La 
sua faccia è allungata, stretta, un po’ incavata all’ estremità, le 
narici son piccole, la bocca è grande, le guance piatte, l’ orec- 
chia spessa, lunga e un po’ cadente, l’occhio piccolo; il collo è 
corto e carico di crini; il corpo lungo, la groppa doppia. Ha 
membra grossissime, molto fornite di crini grossolani. I piedi 
son larghi e piatti: il suo temperamento linfatico, freddo al 
lavoro e senza vigore; tutta la sua forza sta nella sua enorme 
massa. Questa razza, migliorata dall’ allevamento, somministra 
ai birrai di Parigi quei colossi della specie cavallina che  for- 
mano l'ammirazione degli oziosi. 

Molto più bello è il tipo del Cavallo tedesco che rappresenta 
la fig. 71. 

I Cavalli della razza di Boulogne (fig. 72), conformati come i 
precedenti, tranne la statura e la forma del capo, sono buoni, 
docili, vigorosi, energici; il loro sguardo è risoluto. Nascono 
nel dipartimento del Passo di Calais, principalmente nel cir- 
condario di Boulogne. I puledri vengono mandati nei circondari 
di Arras, di San Pol, di Abbeville. Altri attraversano il dipar- 
timento della Somma, per essere allevati nel paese di Caux, di 
Vimeux, e spargersi poi nei dipartimenti dell’Oise, dell’ Aisne, 
di Senna e Marna, di Eure-et-Loir e nella Senna Inferiore. Di 
là hanno origine i Grossi Percherons, i Cavalli di Caen, i Vi- 
roîs, gli Augerons, ecc. La varietà delle condizioni climateriche 
e agricole imprime al tipo di Boulogne, e principalmente alla 
corpulenza, variazioni relative. Da questa razza vengono quasi 
tutti i Cavalli che si adoperano a Parigi nell’industria dei grandi 
trasporti al passo. 

Menzioneremo di passo la razza delle Ardenne, che fornisce 
buoni servitori per l’artiglieria, ed è molto analoga al tipo del 
litorale bretone, di cui parleremo ora. 

I Cavalli bretoni adoperati pel tiro hanno la fronte alta e 
quadrata; la faccia corta dal musello depresso; le narici aperte, 
la bocca piccola, l’ occhio vivace, la fisonomia espressiva. La 
loro criniera è doppia e molto fornita di crini, la coda è spessa, 
le loro membra son forti; il piede è buono. Hanno i movimenti 
vivaci e facili; la costituzione è buona, il carattere è dolce. 

La razza della Perche (fig. 66) è il modello del Cavallo da 
tiro leggero. Al tempo delle corriere e delle diligenze, forniva 
eccellenti Cavalli di posta. Oggi, divide quasi esclusivamente col 


196 ORDINE DEI PACHIDERMI 


tipo bretone il servizio degli omnibus di Parigi e quello dei tras- 
porti rapidi delle mercanzie. 

Il fronte degli animali di questa razza è lievemente convesso 
fra te arcate orbitali, che sono sporgenti. La faccia è lunga, 
dal musello stretto, diritto alla base, ma leggermente incavato 
verso la punta del naso; le narici son aperte e mobili; le lab- 
bra spesse, la bocca grande, l’ orecchia lunga, diritta, l’ occhio 
vivace; la fisonomia animata. La loro criniera è fornita mezza- 
namente; la coda è ben fornita; le membra forti, solidamente 
articolate, gli stinchi un po’ lunghi, sforniti di crini. In generale 
il mantello è bigio pomellato. 

Abbiamo già fatto menzione dei Cavalli russi. come Cavalli 
fini. Come bestie da tiro, citeremo fra le razze straniere quella 
che abita le isole poste al nord della Scozia. I Cavalli shetlan- 
desi (fig. 73) sono vere miniature. Havvene taluni che giungono 
appena alla statura di un cane di Terra Nuova. Malgrado la 
loro piccolezza, sono robusti e reggono ammirabilmente ad ogni 
fatica. 


Oltre ai servigi che il Cavallo rende all’ uomo durante la 
sua vita, gli fornisce anche dopo morto varie utili sostanze. Si 
raccolgono e si adoperano vantaggiosamente parecchie sue. parti, 
la pelle, lo zoccolo dei piedi, i crini della coda o del collo; i 
tendini di cui si fa colla, e le ossa dalle quali si ricava il nero 
animale. Finalmente, si può citare il Cavallo come specie ali- 
mentare. Tutti conoscono i tentativi, coronati di esito felice, 
che furono fatti in questi ultimi tempi per introdurre la carne 
di cavallo nell’ alimentazione pubblica. A Parigi ed in alcune 
città di Francia, la carne di cavallo ha oggi una parte notevole 
nell’alimentazione del povero. Da molti anni, la Prussia ed il 
Nord d’Europa l’avevano preceduta in questo ritrovato econo- 
mico: e i Calmucchi se ne nutrono abitualmente: si dice anche che 
debbano alla carne del cavallo lo loro vivacità. 


Asino. — Come il cavallo, l’ Asino è il servitore e l’ausiliare 
dell’uomo, ma il suo stato di domesticità è più recente. Il tipo 
selvaggio di quest’'animale, noto col nome di Onagro, abita an- 
cora i deserti dell’Asia. 

Gli Onagri nelle loro periodiche migrazioni scendono fino 
al golfo Persico e fino alla punta sud dell’ Indostan. Non var- 
cano, al nord, il quarantacinquesimo grado di latitudine. Sic- 
come vivono in frotte innumerevoli, viaggiano sotto la scorta 
di capi, ai quali obbediscono con intelligente sommessione. Se 


ASINO DOMESTICO 197 


vengono aggrediti dai lupi, si mettono in giro, ponendo nel cen- 
tro i vecchi e i giovani, e si difendono tanto valentemente coi 
loro piedi anteriori e coi denti, che rimangon sempre vincitori. 
I Tartari inseguono l’Onagro per migliorare le razze dell’Asino 
domestico, per impadronirsi della sua pelle, la quale, dopo es- 
“ sere stata conciata, diviene la pelle detta zigrino, e per nutrirsi 
della sua carne, che trovano delicatissima. | 
L’Onagro ha passo sicuro, andatura rapidissima, ma è d’ in- 
dole indomabile. Per prenderlo si tendono agguati e lacci di 


= 


EEDDII 


Fig. 75. Asino ed Asina (razza comune). 


corda, che si pongono nei luoghi ove sogliono passare le comi- 
tive di questi animali per andare a bere. 

Quest’animale è più grande dell’Asino domestico. Ha il petto 
stretto, il corpo compresso, le orecchie molto più corte; ha gambe 
lunghe, musello arcato, il capo leggero, e quando cammina lo 
tiene alto come il cavallo. La parte superiore del capo, i lati 
del collo, i fianchi e la groppa sono color isabella, con strisce 
di bianco sporco. Ha nera la criniera, porta lungo il dorso 
una striscia color caffè, che si allarga sulla groppa, ma che 
non è attraversata da un’altra striscia sulle spalle che dai soli 
maschi. 


198 ORDINE DEI PACHIDERMI 


L’Onagro era ben noto agli antichi, perchè è menzionato nei 
libri di Mosè. Ha fatto la sua comparsa nelle feste che gl’ im- 
peratori romani davano al popolo, per fargli dimenticare la 
perduta libertà e grandezza. 

L’ Asino domestico (fig. 74), figlio degenere di quest’ animale 
selvatico, è per solito color grigiotopo, o grigio argentino, lu- 
cente o misto a macchie oscure. Ha quasi sempre sul dorso 
una striscia nera longitudinale, formante una croce sulle spalle 
mercè un’ altra striscia trasversale. Le sue orecchie sono lun- 
ghissime, la sua coda è disposta a mo’ di fiocco sulla cima. 

Comparando l’Asino al cavallo per la figura e pel portamento, 
si vede subito che l’asino ha il capo più grosso del cavallo, in 
proporzione del corpo, ie orecchie più allungate, la fronte e 
le tempie coperte di un pelo più lungo, occhi meno sporgenti, 
il labbro superiore più appuntito, e in certo modo cascante; il 
collo più spesso, il garrese meno alto e il petto più stretto. Il 
dorso è convesso, la spina dorsale sporgente, le anche son più 
alte del garrese, la groppa è appiattita e cadente, la coda sguar- 
nita per tre quarti della sua lunghezza. 

Questa grossa testa, questa fronte e queste tempie ici 
di pelo spesso, dUesio muso rigonfio alla estremità, e queste 
lunghe orecchie, danno all’ asino una fisonomia ben differente 
di quella del cavallo. E quanta diversità nel suo portamento! 
Se si aggiunge che il cavallo ha un nitrito tanto notevolmente 
forte ed altero, mentre il raglio dell’ Asino è così discorde e . 
sgradevole, si sarebbe molto propensi a dir male di questo po- 
vero animale. Tuttavia esso merita un posto importante nella 
nostra stima. Dobbiamo considerare che 1 Asino non è un ca- 
vallo degenere, ma bensì che costituisce una specie distinta in 
zoologia. Dobbiamo ricordare che ha una individualità sua pro- 
pria, e quindi giudicarlo senza altro paragone. Allora si vedrà 
che riunisce tutte le buone qualità della sua natura. 


« Perchè tanto disprezzo , dice con molta ragione Buffon, per questo 
animale tanto buono, tanto paziente, tanto sobrio, tanto utile? Gli uomini 
disprezzerebbero forse, anche negli animali, coloro che li servono troppo 
bene e troppo a buon mercato? Il cavallo si educa, si cura, si istruisce, 
si esercita, mentre l’ Asino abbandonato ai modi rozzi di un villano 
mozzo di stalla o alla malignità dei monelli, invece di acquistare, non , 
può a meno di perdere colla sua educazione, e se non avesse un fondo 
di buone qualità, invero le perderebbe pel modo in cui vien trattato. È 
il trastullo , il punto di mira, il zimbello dei villanzoni che lo condu- 
cono col bastone in mano, che lo battono, lo caricano soverchiamente, 
lo straccano senza precauzione, senza nessuna sorta di cure. Non si 0s- 


ASINO DOMESTICO ‘199 
serva che, senza il cavallo, l’Asino sarebbe per sè stesso e per noi l’ani- 
male meglio foggiato e il più aggraziato. » 


Mentre il cavallo è pieno di fierezza, d’ impeto e d’ ardore, 
l’Asino è mite, umile, paziente. Soffre con rassegnazione i più 
cattivi trattamenti. Molto.sobrio, si appaga di certe piante du- 
rissime, che l’ altro bestiame non vuole. La paglia sminuzzata 
è per esso una ghiottoneria. Pochissima acqua gli basta; solo 
vuole che sia limpida e pura. Non si avvoltola, come il ca- 
vallo, nel fango o nell’ acqua: e siccome dimenticano sovente 
di strigliarlo, vi supplisce egli stesso rotolandosi sull’erba, sui 
cardi e sulle felci. Quando può, compie questa operazione di 
pulizia senza badare molto al carico che porta in quel momento. 
Ha buona vista, odorato eccellente e orecchie acutissime. Al- 
lorchè è troppo carico, ne dà segno, chinando il capo ed ab- 
bassando le orecchie. « Quando vien tormentato, dice Buffon, 
apre la bocca, e stringe le labbra in modo sgradevole, ciò che 
gli dà un aspetto schernitore e derisorio. » 

L’Asino cammina, trotta, galoppa come il cavallo; ma tutti i 
suoi movimenti son più limitati e più lenti. Qualunque sia 
l'andatura che assume, è in breve sfiancato se lo costringete ad 
affrettare il passo. Dorme meno del cavallo, e non si corica per 
dormire che quando è proprio oppresso dalla stanchezza. Buffon 
dice che il suo grido prolungato, discorde, che passa per via di 
dissonanze alternanti dal grave all’acuto, dall’acuto al grave, non 
lo manda se non quando ha fame od è spinto da qualche desi- 
derio amoroso. 

L’ Asino si affeziona agevolmente e sinceramente. Da lungi 
sente il suo padrone, lo distingue fra gli altri uomini ed esprime 
la sua gioia quando esso gli si avvicina. Riconosce benissimo 
i luoghi che abita ele strade che frequenta. Giovane, è simpa- 
tico per la sua allegria, la sua leggerezza, la sua gentilezza; 
ma l’età ed i cattivi trattamenti lo rendono triste, lento, indo- 
cile e testardo. 

Fra tutti gli animali, l’Asino è quello che, relativamente al 
suo volume, può portare maggior peso. Siccome non costa quasi 
nulla per nutrirlo, e non richiede, per dir così, nessuna cura, 
è utilissimo in campagna, al mulino, nei paesi montuosi ove 
si coltiva la vite, o le proprietà sono molto divise. L’ Asino è 
quello che porta sulla cima del poggio un carico di concime, 
e porta in cantina, durante le vendemmie, i cesti pieni d’ uva. 
Sale e scende con piede sicurissimo. Esso è la cavalcatura dei 
piccoli proprietari; è il compagno sobrio e devoto del povero. 


200 ORDINE DEI PACHIDERMI 


È il martire rassegnato dei piccoli mercanti di carbone, i quali 
vanno sulle strade battendogli il dorso ad ogni passo; per modo 
che finisce per essere copèrto di grandi scorticature, e segni 
di battiture. Se si dà il caso che egli serva di cavalcatura ai figli 
di un ricco proprietario, e talvolta anche alla massaia, quando 
va a sentir messa in un villaggio vicino, allora il suo destino 
è meno precario, se ne ha una certa cura. Nei paesi ove È 
terreno è leggero, si aggioga talora l’Asino all’aratro. 

L’Asino vince il cavallo nella energia, nella potenza nervosa, 


Fig. 76. Mulo e Mula. 


nella tempra. Lo supera anche per la tenacità al lavoro, per la 
sua resistenza alla stanchezza e la sobrietà. Come mai dunque, 
quest’ animale tanto utile ed affezionato, questo amico, questo 
servitore del debole, questo cavallo del povero, ha una riputazione, i 
ormai proverbiale, di ignoranza e di cocciutaggine. Non vi sono 
applausi sufficienti pel brillante ed inutile corridore inglese, ma 
per l’animale modesto di cui ora ragioniamo non 'v’hanno che 
scherni e bastonate. Come spesso l’ uomo è ingrato e ca- 
priccioso nelle sue affezioni e nei suoi odii! Troppo sovente 


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ASINO DOMESTICO 203 


gli si veggono calpestare, senza motivo e anche con danno dei 
suoi medesimi interessi, le regole più semplici della giustizia 
e del buon senso. 

Secondo Paolo Gervais, le principali varietà dell’ Asino sono 
le seguenti: 1.0 1’ Asino del Thibet; 2.° l’ Asino di Persia (quest’ul- 
timo, dal mantello rossiccio, è molto stimato in Persia per la 
sua forza e la sua leggerezza: se ne ha gran cura, e talora 
acquista un gran valore; soltanto è più testardo di tutti i suoi 
congeneri, quindi ne è venuto il motto: Tesiardo come un asino 
rosso); 3.0 1° Asino di Toscana che è grande come un mulo; 
4.0 V’Asino di Sicilia, che è il più piccolo; 5.° il piccolo Asino 
che i Marhatti chiamano Gudha, e che non è più grosso di 
un cane di Terranuova, ecc. 

Fra gli Asini che abitano il nostro clima, il signor Sanson, 
nella sua Zootecnia, riconosce due razze, di cui una viene dal- 
l'Oriente, mentre l’altra ha abitato, da tempi immemorabili , il 
mezzogiorno di Europa, e specialmente le isole Baleari e la 
Catalogna ove è tuttora fiorente. Giova quindi distinguere come 
varietà e razze asinine: la razza comune, che si trova ovunque 
in Oriente, e la razza detta mulattiera che differisce dalla prima 
per la forma del cranio, pel capo corto, spesso e largo, pel collo 
più grosso e più ampio. 

In quanto alla statura ed al collo, l’ Asino varia secondo le 
località nelle quali è nato. Nei paesi meridionali della Francia 
ha forme molto svelte; specialmente nel Poitou ottiene il suo 
maggior sviluppo. Colà è grosso e tarchiato; la groppa è ro- 
tonda e breve, le membra sono voluminose. È ricercato come 
stallone. Il suo mantello, di colore oscuro, varia dal buio bruno 
al nero assoluto. Mentre nel mezzogiorno della Francia l’Asino 
ha il pelo raso, esso è molto velloso nel Poitou. I conoscitori 
apprezzano questa sorta di bellezza. 

La carne dell’Asino in età ha cattivo sapore, e non ha potuto en- 
trare, come quella del cavallo, nell’alimentazione pubblica. In- 
vece quella dell’Asino giovane è molto tenera, e per questo ri- 
guardo differisce poco da quella del vitello. 

Tutti sanno che il latte d’Asina si adopera in medicina come 
fortificaate, o come alimento dolce e leggero pei convalescenti. 
Si adoperava per questo uso anche dai Greci. Contiene minor 
quantità di materia caseosa che non il latte di vacca. Si deve 
mungerlo da un’Asina giovane, sana, bene in carne, nutrita di 
fieno, di avena, di orzo e di erbe salutari. 

Anche dopo morto l’Asino ci rende qualche servizio. La sua 
pelle durissima e molto elastica, si adopera per vari usi. Il 


204 ORDINE DEI PACHIDERMI 


tamburo è fatto della pelle dell’ Asino conciata e stesa sopra 
una cassa sonora. Colla stessa pelle si fanno crivelli, scarpe 
eccellenti, ecc. Se ne fa anche una sorta di grossa pergamena 
pei portafogli: su queste tavolette spalmate di un leggero strato 
di gesso, si possono cancellare con un po’ di acqua le traccie 
della matita. Il pelo dell’ Asino serve ai sellai per farne cusci- 
netti pei finimenti dei cavalli. 


Il Mulo. — L’ Asino e il Cavallo producono meticci, i quali 
partecipano delle forme e delle qualità delle due specie distinte 
. da cui provengono. Nondimeno questi prodotti d’ incrociamenti 
non formano una specie intermedia, perchè sono sempre sterili ; 
la loro razza non può moltiplicarsi. 

Il prodotto dell’accoppiamento dell’Asino colla giumenta si chia- 
ma Mulo o Mula. Si suol indicare col nome di Bardotto il meticcio 
che nasce dall’accoppiamento del cavallo e dell’asina, ma questo 
caso è molto meno comune. i 

Il Mulo ha la statura, il collo, le belle forme della giumenta. 
Dall’ Asino riceve le lunghe orecchie, la coda quasi nuda, il 
piede fermo, e la robusta salute. Il suo pelo è raso, ruvido, e 
di un nero rossiccio. Nondimeno hannovi molti Muli di ‘man- 
tello sauro o grigio, con una striscia dorsale di peli più oscuri, 
come pure con segni della stessa tinta sulle membra. 

Il Mulo è forte, e può portare carichi pesantissimi. 

Quest'animale vive un pezzo; giunge fino a quarantacinque 
o cinquant'anni. È sobrio e poco schifiltoso pel nutrimento. Pro- 
spera bene tanto nei paesi di pianura come nelle regioni mon- 
tuose. Solo non ama l’ umido. Sebbene paziente, sopporta mal 
volentieri i cattivi trattamenti e ne conserva lungamente ran- 
core. i 

Nel dipartimento delle Deux Sévres si trovano i più belli, i 
più grandi ed i migliori Muli di Europa; quelli che si trovano 
in Spagna ed in Italia sono originari di questo centro di pro- 
duzione. I dipartimenti della Vandea e della Charente forniscono 
i Muli che si adoperano pel trasporto delle mercanzie nei pas- 
saggi più pericolosi e più ardui delle Alpi e dei Pirenei. Quelli 
che son nati nei dipartimenti del Giura, dell’Herault, dell’Avey- 
ron, dell’Isère, si adoperano a coltivare le terre, a tirar l’erpice, 
a trasportare concime, in breve a tutti i lavori dell’agricoltura. 
Il Mulo è pel mezzogiorno della Francia un potente ausiliare 
pei lavori agricoli. Eseguisce i lavori di forza che si fanno: 
fare dai buoi nelle provincie centrali e settentrionali della 
Francia. 


IL MULO, L’EMIONE 205 


L’ Emione (fig. 77) sta in mezzo fra il cavallo e l’ asino per 
le proporzioni e per le forme. Ciò indica il suo nome, tratto 
dal greco (hemionos, mezzo asino). Rassomiglia al mulo, ma ha 
le gambe più sottili e l’aspetto più leggero. Il suo pelo è co- 
lor isabella, con criniera e linea dorsale nera: la sua coda 


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termina in un ciuffo nero. 

Quest’ animale vive nei de- 

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i DK, ) RE < ticolarmente nella Mongolia, 

Li nell’Indostan e nell’Imalaia, 

| in frotte composte sovente 

di oltre a cento individui. È 

Fig. 78. Zebre. vigorosissimo, e di una ve- 

locità proverbiale presso i 

Mongoli. È difficile accostarlo, e siccome il suo cuoio e la sua 

carne sono ricercatissimi, gli si tendono agguati, oppure si uc- 

cide mettendosi dietro a qualche rialzo vicino ai prati salati 
che frequenta di preferenza. 

Nel 1838, il signor Dussumier, armatore di Bordò, procurò 

pel Giardino delle Piante di Parigi tre Emioni adulti, un ma- 

schio e due femmine. Era la prima volta che la specie figu- 


206 ORDINE DEI PACHIDERMI 


rava in questo giardino zoologico, e da quel tempo non se ne 
ottenne più nessun altro individuo venuto dalle Indie. Questi 
tre Emioni non tardarono a dare prodotti. Non solo si sono 
moltiplicati, ma hanno pure dato meticci coll’asino e coll’asina. 

Nel giardino zoologico di lord Derby, a Knowsley, l’ Emione 
ha prodotto col Daw; ma non si è potuto ottenere un suo in- 
crociamento col cavallo. 

Allorchè si parlò di tràr partito di questo animale, si temette 
un momento di non poterlo domare e ammaestrare. Oggi si sa 
a che cosa attenersi intorno a questo importante argomento. In 
pochi mesi uno degli Emioni del museo ha potuto divenire tanto 
docile da esser guidato da Versailles a Parigi. Secondo il signor 
Richard, l’Emione non offre per addestrarlo maggiori difficoltà 
di quelle che presenta un cavallo cresciuto nei pascoli della 
Francia e ammaestrato all’ età di quattro o cinque anni. Due 
individui del Museo affidati al signor di Pontalba, dopo un tempo 
brevissimo, sono stati cavalcati senza difficoltà. 


Zebra. — La Zebra (fig. 78) è più grande dell’ emione; ha 
quasi la statura di un cavallo. Lo splendore del suo mantello 
che tutti possono ammirare al Giardino delle Piante di Parigi, 
ove se ne conserva un individuo vivo, sarebbe sufficiente a 
distinguere quest’ animale da tutte le altre specie dello stesso 
genere. Iì fondo del suo pelame è bianco, sfiorato di giallo, e 
questa tinta domina solo sotto il ventre e nella parte superiore 
ed interna delle cosce. In ogni altra parte è rigata di striscie . 
nere e di un bruno quasi nero. 

Questo elegante animale abita il Capo di Buona Speranza, e 
probabilmente anche tutta l’Africa meridionale e parte dell’ A- 
frica orientale. Si asserisce. essere stato incontrato al Congo, 
in Guinea ed in Abissinia. Ama i paesi montuosi. Il suo corso, 
sebbene meno rapido di quello dell’Emione, è assai leggero, e 
i migliori cavalli non possono superarlo. 

La zebra vive in frotte; il suo carattere è selvaggio. È do- 
tata di sensi tanto dilicati, che si accorge dell’ accostarsi dei 
cacciatori anche a distanze grandissime, e allora fugge prima 
di essere stata veduta. E dunque quasi impossibile impadronirsi 
di una Zebra viva; non si può prendere che giovanissima, al- 
lorchè si è riusciti ad uccidere per sopresa la madre. 

Tutti i tentativi che si son fatti per addomesticare questo 
quadrupede sono tornati vani. Gl’individui più giovani son sem- 
pre rimasti indomabili, restii e capricciosi. ; 

La rassomiglianza che esiste fra l’Asino e la Zebra ha fatto 


ZEBRA, CUAGGA, DAW 207 


pensare che si potrebbe agevolmente riuscire a produrre incro- 
ciamenti fra queste due specie. Infatti si son potuti ottenere in 
Inghilterra, al tempo di Buffon, dei meticci della Zebra e del- 
l'asino, e oggi si sono ottenuti meticci della Zebra e del ca- 
vallo. | 

La Zebra non era ignota agli antichi, che le davano il nome 
di ippo-tigre, vale a dire cavallo-tigre. Un istorico narra che 
l’imperatore Caracalla mise un giorno, in un combattimento del 
circo, un elefante, un rinoceronte, un tigre, ed un ippo-tigre. 
Diodoro di Sicilia ha parlato dell’ippo-tigre, sebbene in termini 
abbastanza oscuri. 

In certe feste religiose, i re di Persia immolavano al sole 
certe Zebre che tenevano a quello scopo in alcune isole del 
mar Rosso. 


Cuagga. — Il Cuagga è un po’ meno grosso della Zebra, e 

nelle forme generali si riaccosta sempre più al Cavallo. Ha il 
capo piccolo e le orecchie corte. Il colore del capo, del collo e 
delle spalle è di un bruno scuro che tira al nero; il dorso e 
i fianchi sono di un bruno chiaro, e questo colore passa sulla 
groppa al bigio rossigno. Il disopra è rigato trasversalmente 
di bianco; il disotto, le gambe e la coda sono bianchi. Questa 
coda termina con un ciuffo di peli allungati. 
- Il Cuagga abita gli altipiani della Cafreria, ove si nutre di 
piante grasse e di una specie particolare di mimosa. Vive in 
frotte alla rinfusa colle zebre. Al contrario di quest’ultimo ani- 
male, si addomestica agevolmente. I coloni olandesi ne allevano 
spesso col bestiame comune, che egli difende contro gli animali 
feroci, e specialmente contro le iene. Se uno di questi formi- 
dabili carnivori minaccia la mandra, il Cuagga domestico colpi- 
sce il feroce nemico cogli zoccoli anteriori; lo rovescia, gli rompe 
i reni coi denti, lo calpesta e lo uccide. 

Il giardino del Museo di Storia naturale di Parigi ha per 
qualche tempo posseduto un Cuagga maschio. ‘Quando vedeva 
cavalli e asini, esso mandava a varie riprese un grido acutis- 
simo che si può rendere abbastanza esattamente così: Cua-ag! 


Daw. — Il Daw (fig. 79) sembra stare fra la zebra ed il cuagga. 
Partecipa del primo per le forme e le proporzioni, e del se- 
condo pel suo pelame. È color isabella nelle parti superiori, 
bianco nelle parti inferiori. Tutta la parte superiore del ‘corpo 
è rigata di strisce nerastre trasverse in avanti e obblique al- 
l’ indietro, che si ramificano e si anastomizzano specialmente 


208 ORDINE DEI PACHIDERMI 


nel mezzo del corpo. La punta del muso è nera, e da questo 
punto partono quattordici strisce dello stesso colore. Quelle del 
collo si prolungano: sulla criniera che non ricade sul collo 
come quella del cavallo, ma è dura e dritta come quella della 
zebra. 

Il Daw abita il Gapo di Buona Speranza, e certamente una 
distesa notevole di montagne dell’ Africa. Vivendo in frotte in 
luoghi ariosi e solitari, è selvaggio, capriccioso, irascibile e dif- 


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Fig. 79. Daw. 


ficile da addomesticare. Certi Daw allevati nel giardino del 
Museo di Storia naturale di Parigi si sono riprodotti, e parec- 
chi piccoli vi sono nati. 


IL’ emione è la specie cavallina che appartiene alle regioni 
dell'Asia incluse nella Mongolia, nell’ India e nell’ Imalaia. La 
zebra, il cuagga e il daw sono le specie del genere cavallo pro- 
prie dell’Africa. hi 


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Fig 80. Cammello del Caucaso (Dromedario d’Asia). 


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ORDINE DEI RUMINANTI 


Gli animali che son contenuti in quest'ordine vanno debitori 
del loro nome collettivo alla singolare proprietà di cui sono 
forniti di riportare in bocca, onde rimasticarli nuovamente, gli 
alimenti già inghiottiti. Questa facoltà deriva dalla struttura del 
loro stomaco, che è più com- 
plicato di quello degli altri 
Mammiferi. Questo stomaco 
è diviso in parecchi scom- 
partimenti, che furono con- 
siderati, con qualche esa- 
gerazione, come altrettanti 
stomachi distinti. Il primo 
ed il più ampio di questi 
scompartimenti è il rumine 
(bb) (fig. 81), che tien die- 
tro all’esofago (a) ed occupa 
una gran parte dell'addome, 
specialmente dal lato sini- 
stro. Gli alimenti vi si am- 
mucchiano mano mano che 
l’animale li ha presi e di- 
visi in parte mercè una pri- Fig. SI. I quattro stomachi di un 
ma masticazione. ruminante (Pecora). 

Dopo il rumine viene la 
cuffia (c), che è piccola, e di cui la membrana mucosa interna 
è coperta di rughe fatte a mo di cellule poligonali. Si è nella 
cuffia che gli alimenti si foggiano poco a poco in pallottoline, 
che risalgono in bocca, per via di un movimento naturale, per 
nulla convulso o anormale come negli altri animali, e allora 
vanno soggetti a una insalivazione e ad una vera masticazione. 
Questo è il fenomeno del ruminare. 


212 ORDINE DEI RUMINANTI 


Allorchè gli alimenti, trasformati cosifattamente in una pol- 
tiglia semifluida, sono ritornati nello stomaco, passano diretta- 
mente inun terzo viscere, detto omaso (d), coperto internamente 
di grandi pieghe longitudinali che rassomigliano ai fogli di un 
libro. Dall’ omaso passano finalmente nell’abomaso (e), che è la 
vera sede della digestione, e di cui la superficie interna, sol- 
cata di rughe irregolari, è sempre umida di succo gastrico, 
umore il quale, come tutti sanno, ha la proprietà di coagulare 
il latte. Dopo aver sopportato l’ elaborazione digestiva gli ali- 
menti passano dall’abomaso (e) nell'intestino duodeno (f) Diremo 


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Fig. 82 e 85. Teste di Cammelli. 


pure che i liquidi passano direttamente nell’ omaso e nell’ abo- 
maso senza fermarsi nè nel rumine nè nella cuffia. 

Tutti i Ruminanti si nutrono essenzialmente di erbe, di steli 
e di foglie. Il loro sistema dentario è molto uniforme. Non 
esistono incisivi nella mascella superiore. Havvi uno spazio 
vuoto fra gl’ incisivi inferiori ed i molari, che hanno la loro 
corona larga e marcata di due doppie solcature a ghirigoro. 
Durante la masticazione, il movimento delle mascelle si opera 
quasi circolarmente. In tutti questi animali i piedi terminano 
con due dita, di cui le due ossa del metatarso e del meta- 


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CAMMELLO 213 


carpo sono riunite in un osso, detto stinco. Talora esistono 
inoltre, nella parte posteriore del piede, due piccoli sproni, ru- 
dimenti di dita laterali. In tutti, tranne i cammelli ed i llama, 
gli zoccoli, che coprono al tutto l’ultima falange delle due dita 
di ogni piede, s'incontrano in una faccia piatta che li fa rasso- 
migliare ad un unico zoccolo fesso nel mezzo. Perciò si suol 
dire sovente animali dal piede forcuto, 0 fissipedi, quando si parla 
di certi Ruminanti. Ra; 

Notiamo infine che questi animali sono i soli Mammiferi for- 
niti di prolungamenti ossei delle ossa frontali. Però non tutti i 
Ruminanti ne sono forniti. 


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Fig. 84. Dromedario d'Africa. 


L’ordine dei Ruminanti si divide in due famiglie: quella dei 
Cammellidi e quella dei Ruminanti ordinari. 


FAMIGLIA DEI CAMMELLIDI. — Questa famiglia comprende i due 
generi Cammello e Llama. 

Cammello e Dromedario. — Linneo, e con esso la maggior 
parte dei naturalisti moderni, ammettono due specie distinte 
nel genere Cammello: il Cammello propriamente detto , che ha 
due gobbe sul dorso, ed il Dromedario, che non ne ha che 
una sola. 

Gl’ individui del genere Cammello hanno il capo piccolo e 
molto arcato. Le orecchie son poco sviluppate, ma l’ udito loro 
è eccellente. Gli occhi sono sporgenti e dolci, protetti da una. 


214 ORDINE DEI RUMINANTI 


doppia palpebra con pupilla oblunga ed orizzontale. Il senso 
della vista sembra sviluppatissimo in questi animali. Le loro 
narici sono forate assai lontano dalla estremità del muso, è 
formauo nella pelle due semplici fessure, che l’animale apre e 
chiude a piacimento. Intorno alle narici dei Cammelli non si 
trova traccia del corpo glanduloso che forma il muso degli al- 
tri Ruminanti, e che, per esempio, ottiene uno sviluppo tanto 
notevole nel bue. Il senso dell’odorato è finissimo nei Gammelli. 
Il labbro superiore è fesso nel mezzo, e le sue due metà, su- 
scettive di vari movimenti, possono muoversi separatamente. 
Costituiscono un organo di tatto delicatissimo. 

Questa testa singolare (fig. 82 e 83) è sostenuta con certa 
nobiltà da un collo assai lungo, il quale, allorchè l’ animale 
non fa movimenti straordinari, forma una graziosa curva. 

Il loro corpo voluminoso, tanto singolare per la gobba ‘o le 
gobbe che gli si scorgono sul dorso, è sostenuto da lunghe 
gambe che, relativamente alla massa che sostengono, appaiono 
sottili. | 

Nel Cammello propriamente detto, il colore della pelle è di un 
castagno bruno più o meno oscuro. Il pelo si allunga e divien 
crespo sulle gobbe e nella parte superiore del collo. Sotto que- 
sto collo forma lunghi ciuffi pendenti, i quali fanno fitta guarni- 
zione alle gambe anteriori. 

Nel Dromedario, che ha forme meno massiccie del Cammello, 
e statura più piccola, il pelame è di un grigio rossiccio più 0 
meno scuro; in certi casi è assai chiaro, e quasi isabella. Il pelo 
del Dromedario è dolce, lanuto, e mediocremente lungo quasi 
in ogni parte del corpo, ma è più fitto e più lungo sulla gobba 
e sul collo, Del resto il pelame varia secondo le diverse razze 
di Cammelli descritti dai viaggiatori. 

Non dobbiamo trascurare le callosità che si osservano nei 
Cammelli sul petto, sul gomito e alla articolazione del piede, 
come sulla rotula e al calcagno. I loro piedi sono biforcati. Le 
dita che esistono ad ogni piede non sono ravvolte dallo zoccolo, 
e portano soltanto sull’ ultima falange un’ unghia assai corta 
e fatta a uncino. Una specie di suola callosa ricopre la faccia 
inferiore delle lore dita, disposizione che permette loro di cam- 
minare agevolmente nei luoghi sabbiosi e nelle sabbie. Su quel 
suolo mobile 1’ elefante sarebbe quasi sepolto, ed il cavallo non 
se 'la caverebbe se non con somma fatica, che in breve consu- 
merebbe ogni sua forza. 

Il Cammello è originario dell’ antica Battriana, oggi il paese 
degli Usbecki. Esiste in una gran parte dell’ Asia, ove da tempi 


L’ UTILITÀ DEL CAMMELLO E LE CAROVANE 215 


antichissimi fu adoperato pel servizio domestico e militare. Si 
è acclimato benissimo in Africa, ove senza dubbio esiste fin dal 
tempo della conquista di quel paese fatta dagli Arabi. 

Il Dromedario è oggi sparso in tutta l’Africa ed in gran parte 
dell’ Asia. Pare aver avuto origine in Arabia. 

L’ utilità del Cammello e le Carovane. — Dopo queste consi- 
derazioni intorno alla struttura del Cammello ed ai paesi ove 
abita, ci fermeremo un poco per far parola degli immensi ser- 
: vizi che questo animale rende all’ uomo, per la sua forza, la 
sua rapida eorsa, per la sua sobrietà e la sua indole docile e 
paziente. 

Buffon ha detto che le vere ricchezze dell’ Oriente non sono 
loro e la seta, ma il Cammello, che è il tesoro dell’ Asia. 
Infatti questo animale nutre gli abitanti di quelle contrade col 
suo latte e colla sua carne: li riveste col suo lungo e morbido 
pelo. Per molti secoli, egli solo ha somministrato all’ industria 
il sale ammoniaco che si estraeva dai suoi escrementi. Ma si è 
in special modo come cavalcatura e come animale da soma che 
esso rende all’uomo moltissimi servizi. Senza l’opera sua, i po- 
poli che gli oceani di sabbia tengon separati fra loro, non potreb- 
bero riavvicinarsi per trafficare. Senza di lui, V’ Arabo non 
potrebbe abitare gli aridi paesi ove conserva la sua selvaggia 
indipendenza. Con esso, con questa nave del deserto, come lo 
chiamano gli Orientali nel loro simbolico e figurato linguag- 
gio, la vita è possibile in quei luoghi che Buffon chiamava «le 
lacune della natura. » 

Da tempo remotissimo il Cammello è il solo mezzo per cui 
possono sussistere relazioni commerciali attraverso il deserto, 
sopra una notevole distesa di territorio. Mercè questo paziente 
e robusto animale le mercanzie passano dai paesi orientali 
dell’ Asia fino alle estremità occidentali di Europa. I ricchi 
prodotti dei confini dell'Arabia arrivavano altre volte a schie- 
na di Cammello verso la Fenicia, ed ai nostri giorni vengono 
nello stesso modo in Alessandria, per allargarsi di là sul conti- 
nente europeo. 

Se l’uomo ha ‘potuto attraversare ed anche rendersi pa- 
drone, mercè l’ aiuto del Cammello, di quegli immensi e de- 
solati spazi, si è perchè è riuscito ad ammaestrare questo 
animale a sì faticoso servizio. L’ Arabo avvezza il Cammello a 
fare a meno di dormire, a sopportare la fame, la sete, il caldo. 
Pochi giorni dopo che è nato gli piega le gambe sotto il ventre, 
lo obbliga a rimanere a terra, e lo carica di un peso abba- 
stanza forte, che va mano mano aumentando. Ne regola i pasti, 


216 ORDINE DEI RUMINANTI 
facendoli sempre più lontani, lo esercita al corso ed alla 


fatica. 


Fig. 86. I Cammellai del Sahara. 


Del resto sembra che la natura abbia previsto ogni cosa 
per far vivere questo animale nei luoghi più aridi. La confor- 


Fig. 87. Cammello d’Algeria. 


FiguieR. I Mammieri. 28 


» 


L’ UTILITÀ DEL CAMMELLO E LE CAROVANE 219 
‘mazione dei piedi, forniti di una suola larga e piatta, gli per 
mette di correre sulle sabbie mobili. La sua naturale sobrietà, 
sviluppata dall’ educazione, è tale che un cammello,’ carico di 
quattro 0 cinquecento chilogrammi, e che fa dieci o dodici 
leghe al giorno sotto un sole ardente, non ha spesso altro ali- 
mento che una manata di semi, alcuni datteri, o una pallottola di 
pasta di grano turco. Sovente passa otto o dieci giorni senza bere. 
Soltanto, quando il povero animale passa in vicinanza di una 
pozzanghera d’ acqua, la fiuta alla distanza di mezza lega; al- 
lora raddoppia il passo, e piegando le ginocchia innanzi alla 
sorgente sospirata, beve pel passato, pel presente, e pur troppo 
anche per l’avvenire. 

Si dicono carovane (fig. 85) , le riunioni numerose di viag- 
giatori nel deserto, i quali. in tal modo sfuggono agli insulti 
ed ai ladronecci dei briganti disseminati in quei luoghi. Queste 
carovane si valgono dell’ opera dei Cammelli e dei Dromedari. 
Si caricano i Cammelli di bagagli e di provviste, ed i Drome- 
dari sono destinati a trasportare i viaggiatori. Ogni Cammello 
è carico secondo la sua forza. Conosce tanto bene il peso che 
può portare, che, se lo si carica di troppo, non vuole alzarsi, 
e manda grida strazianti. 

Al momento di partire, un Arabo incaricato della condotta 
della carovana si pone alla testa, ed è seguito dai Cammelli; 
i Dromedari chiudono la marcia. La guida intuona una specie 
di canto monotono e modulato. Subito allora gli animali si 
mettono a camminare. Questo canto indica loro, col rallentare 
o affrettare il metro, se fa duopo accelerare o rallentare il passo. 
Quando il canto cessa, tutta la comitiva animale si ferma. I 
Cammelli piegano le ginocchia; si toglie loro il carico, e si 
addormentano in mezzo ai bagagli. Fra breve essi medesimi 
offriranno il loro dorso, per farsi ricaricare, allorchè sarà pas- 
sata l’ ora del riposo, e riprenderanno la loro via coraggiosa- 
mente, al canto monotono della guida della carovana. I Mongoli, 
nelle loro emigrazioni frequenti in cerca di pascoli, caricano 
sui Cammelli tutte le loro masserizie e insieme i loro bam- 
bini (fig. 90). 

In Africa si adoperano Dromedari non solo nel Sahara, ma 
anche nelle altre provincie. Certi trasporti da Philippeville a 
Costantina o a Setif si fanno a schiena di Cammello. 

Il Cammello per l’Africano è anche un animale ausiliare nelle 
guerre o nelle battaglie. I Tuareg lo adoprano specialmente 
per questo ufficio. La fig. 91 rappresenta un Tuareg montato 
sul suo Cammello equipaggiato in guerra. Dicevamo più sopra 


220 ORDINE DEI RUMINANTI | © 


che la natura sembra aver previsto ogni cosa pe riparare, 
quanto è possibile, alle privazioni che aspettano questi corag- 
giosi e pazienti servitori dell’ uomo del deserto. Una specie di 
riserva alimentare può dirsi quella quantità di alimenti solidi 
che si trova sul lor corpo e che essi possono consumare allor - 
chè se ne fa sentire il bisogno. Vogliamo dire quelle protube- 
ranze di grasso che portano sul dorso e che sembrano com- 
piere questo ufficio. Dopo un viaggio lungo e penoso, queste 
gobbe ricadono come tante saccocce vuote, fatte solo di pelle. 
Il corpo intero dimagra nel tempo stesso. 


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Fig. 88. Llama. 


Le forze e l’ energia di questi animali si sostengono un 
pezzo a spese di queste materie grasse che sfruttano colla com- 
bustione respiratoria; ma non ritrovano le loro forze vive che 
mercè una alimentazione regolare ed abbondante, che li rende 
tanto grossi quanto lo erano prima del loro viaggio faticoso. 

La facoltà che ha il Cammello di fare a meno di bere du- 
rante un tempo assai lungo è stata in generale attribuita a 
questo fatto, che l’animale porta con sè una provvista d’acqua 
che sa sfruttare in un momento di bisogno. Infatti, l’ apparec- 


L’ UTILITÀ DEL CAMMELLO E LE CAROVANE 221 


chio digestivo dei Cammelli, come quello degli altri Rumi- 
nanti, si compone ‘di quattro stomachi caratteristici; ma il 
rumine presenta una particolarità assai notevole. Esso si di- 
‘vide in due sacchi distinti, uno dei quali offre certe specie di 
cellule cubiche che costituiscono’ col loro complesso una specie 
di serbatoio. In qualunque tempo s’ apra il corpo di un Cam- 
‘mello, si trova in questo serbatoio una certa quantità d’acqua; 
per un pezzo si è creduto che quest’acqua fosse stata deposta, 
raccolta colà dentro dall’ animale previdente, che la prendeva 


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Fig. 89. Alpaca. 


ogni qual volta ne aveva il destro. Ma pare più ragionevele con- 
siderare quest’acqua come proveniente da una vera secrezione, 
analoga al fenomeno fisiologico che riempie d’ aria la vescica 
natatoria del pesce, o che riempie d’ acqua l’ urna dei nepenti 
nel regno vegetale. | 


Llama. — I Llama sono, nel nuovo mondo, i rappresentanti 
dei Cammelli del continente antico. Le differenze consistono 
nella mancanza di gobbe sul dorso, nei piedi con due dita che 
non si appoggiano sul suolo se non che colle loro parti ter- 


223 ORDINE DEI RUMINANTI 


minali ed i zoccoli meno schiacciati, nelle forme più svelte 
che costituiscono un complesso meno voluminoso e più ele- 
gante. 

Esistono tre specie di Llama: il Llama propriamenie detto, 
il Llama Alpaca e la Vigogna. 

ll Llama propriamente detto (fig. 88), o Guanaco, era la sola 
bestia da soma che adoperassero i Peruviani al tempo della 
scoperta dell’ America; esso non esisteva allo stato selvaggio. 
La sua statura è a un dipresso quella di un piccolo cavallo. 
Il capo è poco voluminoso e ben piantato. Porta callosità allo 
sterno, ai ginocchi e ai carpi. Il suo pelame è ordinario, e il 
colore del suo mantello assai variabile. Per solito è bruno o 
nero; altre volte dal bruno chiaro passa al giallo fulvo, al gri- 
gio ed anche al bianco. Il pelo è sempre più lungo e più ric- 
ciuto sul corpo che sul capo, sul collo e sulle gambe. 

Gli antichi abitatori del Perù si servivano di questa specie, 
che ha somministrato parecchie razze di bestie da soma e di 
animali per l’agricoltura. Ma dopo l’introduzione dei cavalli in 
America, il suo uso è molto diminuito. Tuttavia questi animali 
sono utilissimi anche oggi pel trasporto dei carichi nelle mon- 
tagne e nelle strade faticose delle Cordigliere, per la meravi- 
gliosa sicurezza del loro piede. Camminano lentamente, e non 
portano oltre 75 chilogrammi circa. È inutile cercare di rendere 
più celere la loro andatura, perchè se si adopera ‘la |violenza 
per affrettarne il passo si lascian cadere a terra, si ostinano a_ 
rimaner coricati, e si farebbero ammazzare sul luogo anzichè 
procedere avanti. 

Il clima che questo animale preferisce è quello degli altipiani 
collocati ad una altezza media di 3000 a 3500 metri. Colà si 
trovano le mandre più numerose di Llama. Gl’indigeni li ten- 
gono racchiusi entro recinti particolari presso le loro capanne. 
Allo spuntar del sole li lasciano uscire in libertà per cercarsi 
il nutrimento, sotto la scorta di alcuni maschi. La sera ritor- 
nano nei loro recinti, scortati da alcuni individui selvatici che 
sì fermano e ripartono, non volendo dividere la prigionia degli 
individui della loro specie. 

Iì Llama è per l’abitante delle Cordigliere un ausiliare pre- 
zioso per molti riguardi. La carne dei giovani è buona da man- 
giare. La loro pelle produce un cuoio assai pregiato, e il pelo 
serve a fabbricare stoffe. 

Alpaca. — Il Llama Alpaca (fig. 89) vive negli stessi luoghi 
del Guanaco. Si riconosce agevolmente per‘lo sviluppo dei 
suoi peli, che si allungano molto sul collo, sulle spalle, sul 


Fig. 90. Cammello d’emigrante mongolo. 


Fig. 91. Cammello di Tuareg equipaggiato per la guerra. 


Fisurer. I Mammiferi. 29 


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ALPACA, VIGOGNA 227 


dorso, sui fianchi, sulla groppa, sulle coscie, sulla coda, e. che 
ricadono, da ogni lato del corpo, in lunghe ciocche che celano 
le forme .dell’ animale. Questi lunghi peli sono di un bruno 
fulvo. Il muso ed il ventre sono ‘nudi. Il capo, generalmente 
grigio, offre in certe parti differenti tinte. Il ventre e la parte 
interna delle coscie sono bianchi. 

Il Zlama Alpaca è dolce, timido, si lascia guidare con una 
corda da quelli che gli danno il cibo e lo custodiscono; ma se 
un estraneo cerca di accostarglisi comincia a menar calci e gli 
getta contro la saliva con soffio violento. Vive negli stessi 
luoghi del Guanaco. La sua andatura ordinaria è il galoppo. 
Il suo nutrimento è quello che conviene alle pecore. La sua 
lana è finissima, molto elastica e molto lunga. 

Vigogna (fig. 92). — É la più piccola specie del genere Llama. 
È grossa come una pecora, e rassomiglia molto al Llama, ma 
le sue forme sono più leggere. Le sue gambe sono più lunghe, 
proporzionatamente al corpo, più sottili e. meglio foggiate. Il 
suo capo è più corto, il suo fronte più largo. Isuoi occhi sono 
grandi , intelligenti e dolci. La gola è giallastra, il petto, il 
ventre, l’interno delle coscie son bianchi, il rimanente del corpo 
è bruno. La lana che pende sul petto è lunghissima. 

Il ricco pelo di questo animale supera, per la finezza e la 
morbidezza, tutte le lane conosciute. Per impadronirsi della sua 
pelle i cacciatori americani lo inseguono fino sulle cime più 
scoscese delle Ande, ove vive in mandre numerose. Si spingono 
innanzi quelle mandre innocenti; si fanno entrare in recinti 
preparati prima, fatti di corde tese, coperti di cenci di vari co- 
lori, che atterriscono quei timidi animali. Quando sono riuniti 
si uccidono sul sito, con inaudita crudeltà. Una .sola di queste 
cacce produce talora da cinquecento a mille pelli. Invece di 
distruggere le Vigogne, l’ uomo dovrebbe sottometterle e addo- 
mesticarle, e troverebbe grandissimo profitto: tosando regolar- 
mente la loro ricca e morbida lana. 

Si è cercato molte volte d’introdurre nei nostri paesi le due 
ultime specie di Llama da noi testè citate. Se l’industria riuscisse 
a diffonderle nei nostri monti, diverrebbero una nuova ed impor- 
tante sorgente di produzione. 


FAMIGLIA DEI RUMINANTI ORDINARI. — Questo gruppo naturale 
comprende quasi tutti i Ruminanti. Ciò che distingue gli animali 
che lo compongono dalla famiglia dei Cammelidi, si è l’esistenza, 
quasi generale, di due corna sulla fronte del maschio, e talora 
anche della femmina, 


228 ORDINE DEI RUMINANTI 


La struttura di queste appendici presenta differenze caratte- 
ristiche, che hanno fatto dividere questa grande ed importante 
famiglia in tre tribù, vale a dire: i Ruminanti. dalle corna co- 
perte di pelle e persistenti, i Ruminanti cavicorni ed i Ruminanti 
a corna decidue. DIA 


Si è creduto necessario di formare nella stessa famiglia una 


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Fig. 52. Vigogna aggredita da un carnivoro (Coguaro), 


quarta divisione che comprende i Ruminanti ordinari mancanti 
di corna. Questa divisione comprende solo il genere Mosco. 


Giraffa. — La prima tribù si compone di un solo genere, quello 


delle Giraffe, il quale, a sua volta, non contiene che ‘una sola 
specie. 


GIRAFFE © ©’ 229 

La grande statura delle Giraffe, le proporzioni singolari ‘del 
loro corpo, la bellezza del mantello, la strana loro andatura, 
sono tante singolari particolarità che spiegano la curiosità che 


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questi animali 
hanno sempre 
destata, 

Il loro capo, 
lungo e sottile, è il- 
luminato da due gran- 
di occhi, vivaci e dol- 
ci. La fronte è ornata 
di due corna composte 
.di una parte 1avvol- 

Fig 95. Giraffe. gente che è la pelle 

divenuta spessa e co- 

perta di alcuni peli, e di una parte ossea ravviluppata. In 

mezzo al musello sta un tubercolo della natura stessa delle 

vere corna, ma più largo e più corto. Le orecchie sono mem- 
branose, foggiate a cartoccio e volgenti allo indietro. 


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230 ORDINE DEI RUMINANTI 


Le narici non son forate in un muso, ‘vale a dire, la pelle 
che le circonda non è nuda come quella, per esempio, del bue. 
La bocca ha labbra lunghe e mobili, ma il labbro superiore: 
non è fesso come quello dei Cammelli. Lascia uscire frequen- 
temente una lingua nericcia e allungata, di cui l’ animale fa 
girare sovente la punta sulle labbra o sulle narici. 

Questo capo è sostenuto da un collo lunghissimo, che tutta- 
via non si compone, come quello degli altri Mammiferi, che di 
Sette vertebre. 

Una piccola criniera diritta domina dall’ occipite fino al gar- 
rese. Il tronco è corto e molto inclinato sulla linea dorsale; è 
collocato sopra gambe alte e sottili. Come si vede in alcuni 
pochi animali, e specialmente nelle Iene, la parte anteriore del 
corpo è più alta della posteriore. Si è sopratutto’ negli stinchi, 
come negli antibracci e nelle tibie, che le gambe sono mag- 
giormente sviluppate. Le quattro estremità terminano in zoccoli 
fessi che non presentano dita rudimentali. La coda, di mezzana - 
lunghezza, finisce in un ciuffo di crini nerastri. La pelle, che 


‘ ricopre questo corpo e queste svelte ed eleganti membra, è 


tappezzata di peli corti, segnati di grandi chiazze triangolari 


o quadre oblunghe, di color fulvo sopra un fondo più pallido. 


Queste macchie, tanto notevoli, non si osservano sulla faccia 
interna delle membra, sugli stinchi, nè sul ventre che è di un 
bianco più o meno puro. 

Le Giraffe si trovano solo in Africa, ed anche là non sono 
numerose. Vivono in famiglie di dodici a sedici individui, talora 
venti, sul limitare dei deserti, s’ incontrano dal Capo di Buona 
Speranza fino alla Nubia, ed in alcuni altri paesi dell’ ovest e 
del nord dell’ Africa. 

L’ andatura solita delle Giraffe è l’ ambio, o portante, vale 
a dire muovono contemporaneamente le due membra dello 
stesso lato. Il loro camminare è singolarissimo. Allorchè cor- 
rono muovono ad un tempo le due membra posteriori, o ante- 
riori; tenendo prima queste ultime ben lontane, vi portano bru- 
scamente in mezzo le gambe. posteriori, e talvolta anche più 
innanzi; dopo che queste hanno preso il loro punto di appog- 
gio, fanno avanzare le prime. Nel tempo stesso muovono stra- 
namente il corpo, facendo ondeggiare il loro lungo collo dalio 
indietro allo innanzi. Questo collo, tanto lungo, è loro utilissimo 
per strappare colla lingua dalla cima degli alberi le foglie, di 
cui fanno il loro principale nutrimento. 

Nei serragli si nutrono le Giraffe a un dipresso come tutti 
gli altri ruminanti, con frumento, grano turco, carote, fieno. 


GIRAFFE 231 


Nella vita selvatica, le foglie di qualche specie di mimosa sono 
la base del loro nutrimento. Facendo sporgere da trenta a qua- 
ranta centimetri la lingua fuori della bocca, la quale è lunga, 
sottile e aguzza, e avvolgendola intorno ai ramoscelli, riescono 
ad afferrare il leggiero fogliame delle piante testè citate. 

Questi animali hanno indole dolce come il loro sguardo. 
Generalmente, non fuggono la vista dell’uomo; ma se si va” 
loro accosto in modo da inquietarle, fuggono rapidamente. In 
istato di schiavitù, la Giraffa è docile fino ad essere timidissima; 
un bambino può condurla con un nastro. Se la si irrita, o si 
contraria, non accenna mai a cozzare colla testa, o far uso 
ostile delle sue corna; solo batte il terreno colle gambe ante+ 
riori o tira calci come un cavallo, colle gambe posteriori. 

È difficilissimo, se non impossibile, prender vive le Giraffe 
adulte. Esse fuggono con tale velocità, con una serie di salti 
tanto prodigiosi, che lasciano indietro tutti i più veloci cavalli. 
Per prenderle vive bisogna aggredirle allorchè allattano. Se si 
può aver la fortuna di conservarle per alcuni giorni, divengono 
tranquille, e in breve famigliari. Ma sovente le povere schiave 
rifiutano qualunque nutrimento e in breve muoiono. 

La Giraffa ha per nemici il leone e la pantera. In pianura 
riesce a tenersene lontana; ma se è sorpresa da una di queste 
belve posta in agguato, fa prova di un certo coraggio e di una 
certa forza per resistere ai suoi terribili nemici. Li colpisce 
coi piedi anteriori, e sovente i suoi colpi sono mortali. Ma 
quasi sempre il leone, con un salto, le si slancia sulla groppa, 
e allora non ha più scampo. 

La Giraffa conta fra i suoi nemici anche l’uomo. Gli Otten- 
totti ne pregiano molto la carne. Colla pelle, che è molto spessa, 
fanno cinghie, vasi ed otri per conservare acqua. Essi aspettano 
al varco la Giraffa, e ne seguono le traccie quando è ferita, 
per prenderla quand’ è morta. L’ uso, quasi generale ora, delle 
armi da fuoco per la caccia della Giraffa, produrrà certamente 
la totale distruzione di questa bella e pacifica specie animale. 

Gli antichi conoscevano la Giraffa. L’ Ippardion di Aristotile 
non è altro che la Giraffa mal definita. Gli Egiziani hanno la- 
sciato nelle loro pitture, o nei bassorilievi, certe figure in cui 
si riconosce perfettamente la Giraffa. Plinio, Appiano, Eliodoro, 
ne hanno parlato. I Romani la possedettero viva e la mostra- 
rono nei loro circhi. Comparve anche nei corteggi dei trionfa- 
tori. Vennero in Europa alcune Giraffe nel Medio Evo e nel 
rinascimento. Buffon non ha mai potuto esaminare questo ani- 
male vivo. L’illustre viaggiatore Levaillant, il quale, dopo aver 


DIR ORDINE DEI RUMINANTI 


consumato quasi tutta la sua fortuna in lunghi e pericolosi 
viaggi in Africa, morì quasi nella miseria, mandò al Giardino 
delle Piante di Parigi la prima Giraffa imbalsamata che Sa 
stabilimento abbia mai posseduto. i 
Levaillant racconta nei termini seguenti ù l'episodio delle sue 
cacce pel quale potè impadronirsi di nl rarissimo _ ani- 
male. i | 


« Mi ero messo in caccia allo spuntare del sole ‘sperando di trovar 
qualche selvaggina per le mie provviste. Dopo qualche ora di cammino 
scorgemmo allo svolto di una collina sette Giraffe che i miei cani' ag- 
gredirono immediatamente. Sei presero la fuga tutte insieme; la settima, 
impedita dai cani, volse da un’altra parte. In quel. momento, Bernfry 
camminava a piedi tenendo il suo cavallo per la briglia; in un batter 
d’occhio fu in sella e si mise ad inseguire le prime sei. Io presi a te- 
ner dietro a briglia sciolta all’ altra Giraffa; ma ad onta di tutti gli 
sforzi del mio cavallo, essa guadagnò tanta strada che allo svolto di un 
monticello la perdetti di vista, ed abbandonai il pensiero di inseguirla. 
Nondimeno i miei cani non tardarono a raggiungerla; in breve le furono 
tanto vicini che fu costretta a fermarsi per difendersi. Dal’ luogo ‘ov’ io 
mi trovava, sentivo i cani abbaiare a squarciagola; ma’ quelle voci 
sembrandomi venir sempre dallo stesso luogo, ne dedussi che l’animale 
era tenuto fermo dai cani, quindi galoppai subito in quella direzione. 
Infatti, avevo appena girato il piccolo poggio, che vidi la Giraffa cir- 
condata dai cani, che tentava di tenerli lontani a furia di calci. Non 
ebbi altro che a smontare da cavallo, ed ucciderla con un colpo di ca- 
rabina. 

« Lietissimo della mia vittoria, tornai indietro per chiamare la mia 
gente onde far loro scuoiare e tagliare ‘a pezzi l’animale. Mentre li cer- 
cavo collo sguardo vidi Klaas Baster che mi faceva con gran premura 
dei segni che io non riusciva a capire. Ma avendo guardato nella di- 
rezione che egli m’ indicava colla mano, vidi con mia gran sorpresa 
una Giraffa in piedi sotto una pianta di ebano assalita dai miei cani. 
Credetti che fosse un’altra e corsi da quella parte. Era la mia la quale 
erasi rialzata, e che cadde morta, mentre stava per tirarle un secondo 
colpo. 

« Chi crederebbe che quella presa m’ispirasse una gioia quasi i 
Pene, fatiche, crudeli bisogni, incertezza dell’ avvenire, sconforto talora 
del passato, tutto scomparve, tutto fu dimenticato innanzi a quella nuova 
preda; non potevo saziarmi di quella vista; ne calcolavo la statura enorme. 
Dall’animale caduto riportavo i miei sguardi meravigliati allo strumento 
di distruzione. Chiamavo e richiamavo a vicenda i miei servitori; e 
sebbene ognuno di essi avrebbe potuto fare altrettanto, sebbene aves- 
simo già ucciso altri animali più grossi e più pericolosi, io pel primo 


1 Second voyage dans l’interieur de l'Afrique, t. II, p. 220. 


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Fig. 94. Caccia alla Gazzella. 


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GIRAFFE 235 


aveva ucciso questo; io ne avrei in breve arricchito un museo; io avrei 
distrutto le favole e avrei detto alla mia volta il vero. » 


Queste sono le gioie pure, intense, e sempre nuove, che 
aspettano il viaggiatore naturalista, nei lontani paesi ove lo 
spinge l’amore della scienza e del progresso. 

Fino al 1827, nessuna Giraffa era stata veduta viva, nè 
a Londra, nè a Parigi. In quel tempo, il pascià di Egitto avendo 
saputo che gli Arabi della provincia di Sennaar, nella Nubia, 
erano riusciti ad allevare due piccoli di Giraffa, con latte di 
cammella, fece condurre al Cairo questi due ànimali.. Ne diede 
uno al console d’Inghilterra, e l’altro al console di Francia. 

La Giraffa mandata dal pascià di Egitto aveva fatto il tra- 
gitto dal Sennaar al Cairo, parte a piedi, parte sul Nilo, in una 
barca specialmente preparata per riceverla. Giunse in Francia 
nel mese di gennaio, rimase tutto l’inverno a Marsiglia, e non 
si rimise in via per Parigi che al mese di maggio. Il 5 giugno 
era a Lione. 

Il 30 giugno fece il suo solenne ingresso a Parigi. Dovette 
andare a Saint-Cloud onde essere presentata al re prima 
di prendere il suo posto definitivo nel Giardino zoologico del 
Museo. 

Tutti a Parigi ricordano ancora l’effetto che fece la comparsa 
di quella strana visitatrice. Generale era l'ammirazione per la 
sua singolare andatura, la sua alta statura, il suo lungo collo, 
la singolarità del suo mantello e la vivacità dei suoi colori. 
Se ne fece un numero incalcolabile di ritratti e di disegni. Vi 
furono per essa curiosità ed entusiasmi infiniti. Tutta Parigi 
ha potuto satollarsi a lungo di quella vista, perchè la Giraffa 
del Sennaar menò ne! Giardino delle Piante un’ esistenza lunga 
e tranquilla, che non ebbe termine che nel 1845 4. 


Tribù dei Ruminanti cavicorni. — I Ruminanti che hanno le 
corna ravvolte in una guaina elastica, rassomigliante a peli 


1 A Torino nel Giardino zoologico privato del Re, dietro il Palazzo 
reale, da parecchi anni si vedono Giraffe, e talora in numero di quattro 
o cinque ad un tempo. I vari individui di questa specie che sono ve- 
nuti in Piemonte hanno sopportato benissimo il viaggio, e vissero bene 
più o meno a lungo. L’inverno del Piemonte è pericoloso a questi ani- 
mali; ma potrebbero sopportarlo benissimo ove fossero tenute più al 
caldo, per esempio, nelle scuderie coi cavalli. Le varie Giraffe venute 
in Piemonte non hanno smentita la loro riputazione di animali docilis- 
simi. (Nota del Trad.) 


236 ORDINE DEI RUMINANTI 


‘agglutinati, si possono dividere in due gruppi. Nel primo, il 
fusto osseo dei prolungamenti frontali non presenta all’ interno 
nè pori nè cellule; mentre negli animali del secondo gruppo, 
il fusto è scavato di cellule che comunicano coi seni frontali. 

Nei primi gruppi si comprendono i generi Camoscio, Gazzella, 
Saiga, Portace, Gnu, e Alcelafo. 


Appartengono al secondo gruppo i generi Capra, Muffione, 
Pecora e Bue. 


Fig. 95. Camoscio d Europa. 


Studiamo prima di tutto le specie più notevoli che apparten-. 
‘gono ai generi del primo scompartimento. Questi generi son tutti 
compresi in un gruppo omogeneo e naturalissimo, anticamente 
«conosciuto col nome di Antilopi. Comprende circa un centinaio 
di specie, di cui nessuna è divenuta domestica, e che per la 
più parte abitano l’ Africa. In generale sono animali dal corpo 
«svelto e leggero, dal corso rapidissimo, dall’ indole dolce e timida, 
«che vivono in grandi frotte, e si distinguono specialmente per 
da forma delle corna. 


CAMOSCI 231 


Passeremo in rassegna rapidamente, seguendo la nomencla- 
tura del signor Paolo Gervais, alcuni fra i generi più notevoli 
che risultano dalla divisione dell’ antico gruppo delle Antilopi, 
generi in numero di sei, di cui abbiamo dato la lista più sopra. 


Camoscio. — Il genere Camoscio ha per principale carattere le 
corna lisce, poste immediatamente sulle orbite, salienti, rivolte 
allo indietro, e fatte a mo’ di uncino sulla cima. {Queste corna 
esistono in ambo i sessi, e hanno a un dipresso la medesima 


Fig. 96. Antilope algazzella. 


forma. Le mammelle sono in numero di due soltanto; la coda 
è corta; mancano i lacrimatoi, e le cosidette spazzole. 

Il Camoscio d’Europa (Rupicapra Europxa, fig. 95) ha la statura 
di una piccola capra. È coperto di due sorta di peli, uno lanoso e 
bruno, abbondantissimo, l’ altro morbido, secco e fragile. Il suo 
mantello è bruno scuro all’ inverno e bruno fulvo all’ estate *. 


1 Nelle Alpi italiane non è rara la varietà dei Camosci albina, si 
incontrano cioè individui dal pelo tutto bianco, fin dai primi tempi 
della vita. Tutti i Camosci poi, almeno nelle Alpi italiane, invecchiando 
tendono al bigio, ed i vecchissimi appaiono bianchi. (N. del Trad) 


238 ORDINE DEI RUMINANTI 


Il suo capo fine ed intelligente è di un giallo pallido, con una 
striscia bruna sul muso e intorno all’occhio; una linea bianca 
termina il corpo. Le sue corna sono nere, piccole, corte, lisce 
e un po’ arrotondate, verticali e dritte, poi ricurve bruscamente 
indietro sulla punta. 

Questo grazioso ruminante vive nei Pirenei e nelle Alpi, 
come pure in certi siti elevati della Grecia. È divenuto rarissimo, 
per modo che i cacciatori di Camosci non brillano ora che sopra 
i teatri *. 

Il Camoscio vive in piccoli stormi, in mezzo alle rocce sco- 
scese delle più alte cime. Di una impareggiabile rapidità, varca 
i precipizi, si arrampica con sicurezza sui più ripidi pendii, 
saltella nei più stretti sentieri che costeggiano i precipizi, balza 
da una roccia all’ altra, e riman ritto sulla punta più aguzza, 
ove trova appena il posto per posare i suoi quattro piedi, e 
tutto ciò con occhio tanto preciso, con tanta energia, con tanta 
eleganza, con una precisione di movimenti e con una disinvol- 
tura senza pari. Da ciò è agevole comprendere quanto sia piena 
di pericoli la caccia di queste leggere e ardite creature. 

Siccome 1 unica arme difensiva del Camoscio è la fuga, 
esso ha la vista, l’odorato, l’ udito, e gli organi del moto nella 
massima perfezione. Non è sorpreso che rarissime volte e 
non si può tirargli contro che molto da lontano, con cara- 
bine di grande portata. In questa inutile caccia, che rende as- 
sai poco, molti montanari cadono nei precipizi. Talora il Ca- 
moscio inseguito precipita il cacciatore in un burrone per 
aprirsi una via, allorchè è circondato o incalzato troppo. da 
vicino. 

All’ avvicinarsi dell’ inverno i Camosci abbandonano. il. ver- 
sante settentrionale dei monti, per andare ad abitare quello 
meridionale, ma non discendono mai nella pianura. 


Gazzella. — Il genere Gazzella comprende animali dalle forme 
eleganti, un po’più piccoli dei Camosci. Non hanno muso car- 
noso, ma hanno lacrimatoi. La loro coda è corta, le mammelle 
sono in numero di due. Il loro colore è fulvo © isabella sul 
dorso, separato da quello del ventre che è bianco da una stri- 


1 Nelle Alpi piemontesi il Camoscio è ancor oggi un animale comune. 
I cacciatori ne uccidono parecchi tutti gli anni, e i viaggiatori alpini ne 
vedono frequentemente in distanza gli stormi. È molto apprezzata la carne 
del Camoscio, e si tira partito del cuoio, sovratutto per farne calzoni da 
cavallerizzi, e guanti. ‘N. del Trad.) 


GAZZELLA 239 
scia bruna o nerastra. Le corna, più grosse nei maschi che 
nelle femmine, sono a doppia curva, in forma di lira e senza 
spigoli. Le narici sono per solito circondate di peli. 

Gli occhi di questo grazioso abitante del deserto sono tanto 
belli e dolci, i suoi movimenti son tanto eleganti e leggeri, 
che serve di paragone e d’ immagine ai poeti arabi. 

Le Gazzelle propriamente dette sono le specie di questo genere 
che si veggono per solito nei nostri parchi e nei nostri giardini 
zoologici. Tale è, per esempio, la Gazzella comune che abita 


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Fig. 97. Antilope Cudù. 


una’‘gran parte dell’ Africa settentrionale, nelle grandi pianure 
e nella regione del Sahara. Ha la statura del capriuolo, ma le 
forme son più leggere e più graziose. 

La Gazzella vive in numerosi branchi, « che sembrano for- 
mati espressamente, dice con cinismo Boitard, per fornire un 
pasto sicuro ai leoni, alle pantere, alle iene, agli sciaccali, ai 
lupi, alle aquile ed agli avvoltoi. » Questa preda, pur troppo, 
sì compone di creature inoffensive, dolci e timide, che non 
hanno che la rapida fuga onde resistere ai loro implacabili 
nemici. Nondimeno questi animali danno. prova talvolta di un 


240 ORDINE DEI RUMINANTI 
coraggio disperato. Se le loro frotte sono sorprese, essisi strin- 
gono gli uni contro gli altri; atteggiati in circolo, resistono 
agli aggressori colle loro corna impotenti. L’aggressore, se 
una tigre, ha il campo di scegliere la sua vittima; si slancia 
‘-sopra di essa, la schiera atterrita si disperde e fugge. 

Si fa la caccia della Gazzella col cane o col cavallo (fig. 94). 
La si prende anche lasciando liberi in mezzo alle loro frotte 
alcuni individui addomesticati, le corna dei quali sono coperte 


Fig. 98. Antilope namsa. 


di corde e nodi nei quali s’ impigliano le Gazzelle selvatiche. 

Presa giovane ed allevata in schiavitù, la Gazzella diviene 
domestica; allora ama molto essere accarezzata. Non cerca di 
fuggire per ricuperare la libertà; se non che langue, e rifiuta 
di dare al suo padrone una discendenza di schiavi. 

Altre specie di Gazzelle vivono nel Marocco, al Senegal, nella 
Nubia, al Capo di Buona Speranza. Sarebbe/inutile menzionarle 
tutte particolarmente. 


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Fig. 99. Antilopi delle paludi. 


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SAIGA O ANTILOPI 243 


Saiga o antilopi. — Il genere Saiga comprende certe specie 
di Antilopi dalle corna a spirali, a doppia e tripla curva, annu- 
lose, senza spigoli, le quali non esistono che nei maschi. 
Non hanno muso carnoso, ma sono fornite di lacrimatoio ; 
hanno i peli del capo disposti a mo’ di spazzola, hanno pori 
inguinali, due sole mammelle, ed una coda corta senza fiocco. 

Tale è il Saiga delle Indie, o Antilope algazzella (fig. 96), che 
ha il corpo svelto come la Gazzella, il pelame di un bruno 
fulvo sopra e bianco sotto; le corna nere, lunghe, disposte ad 
anelli per la maggior parte della loro lunghezza. Con queste 
corna i Fakiri indiani fanno un’ arme che portano nella cintura, 
come una spada od un pugnale. © 

Questi animali sono rapidissimi al corso. Si accerta che fanno 
salti di quattro metri di altezza, e con uno slancio attraversano 
uno spazio di dodici metri. Abitano le pianure aperte ove si 
può vederli da lontano; vivono in famiglie composte di dieci a 
sessanta femmine per un solo maschio adulto. Allorchè pasco- 
lano o ruminano, pongono alcuni giovani maschi in vedetta, 
a due o trecento metri di distanza, onde vigilare alla comune. 
sicurezza. Al minimo allarme, tutta la schiera fugge, col vec- 
chio maschio alla testa. 7 

Citeremo ancora il Saiga di Tartaria, che è grosso come un 
daino. Le sue corna lunghe come il capo sono trasparenti, 
gialle, disposte a lira ed ad anelli fino all’ estremità. Il suo 
muso cartilaginoso è molto sporgente. Vive nell’Asia settentrio- 
nale, principalmente nella regione dei monti Altai, e si estende 
fino alle frontiere dell'Europa. 

Gl’individui di questa specie si raccolgono per viaggiare in 
schiere di parecchie migliaia. Vivono di foglie di assenzio e 
d’ altre piante alpine. Hanno vista corta, ma l’ odorato è tanto 
fino che sentono il nemico da molto lontano. I maschi fanno 
la guardia, difendono i piccoli contro le aggressioni dei lupi e 
delle volpi. 

Fra le Antilopi d’Africa citeremo il Cudù (fig. 97), l Antilope 
namsa (fig. 98), l Antilope delle paludi (fig. 99), a cui Speke 
diede il suo nome. Quest’ ultima vive fra i canneti, la sua 
pelle presenta leggere macchiature, e la lunghezza della parte 
anteriore del piede le impedisce di correre sulla terra asciutta. 
Il suo pelo, perfettamente in relazione coll’ umido elemento in 
cui vive, è molto lungo e folto; e si nutre esclusivamente di quelle 
spighe vellose che producono le grandi canne del genere papiro. 


Portace. — Al genere Portace (Portax) appartiene il Nil- Gau, 


244 ORDINE DEI RUMINANTI 


che è il Toro-Cervo delle Indie (fig. 400). È un bell ani- 
male, che ha a un dipresso la statura e le forme generali del 
cervo. Par più pesante per .la grossezza delle gambe. Perciò 
alcuni viaggiatori lo hanno sovente pafogonato ad un bue, 
e il suo nome di Nil-Gau, in lingua indiana’, vuol dire bue 
azzurro. 

Il suo capo è sottile e assai lungo; il suo collo porta una 
criniera nerastra che forma una specie di lungo ciuffo sul gar- 
rese; le corna, lunghe la metà del capo, sono coniche, lisce, 


Fig. 100. Nil-Gau o bue azzurro. 


molto discoste tra loro, lievemente piegate allo innanzi, e non 
si osservano se non nel maschio. Questo ha un pelame grigio 
ardesia, mentre la femmina è color fulvo. La coda è lunga e 
termina con lunghi peli. 


Questo singolare animale abita il bacino dell’ India, i monti. 


del Cascemir e di Guzarate. Se ne fa caccia per la sua carne, 
che è molto stimata. È d’ indole timidissima; ma innanzi al 
cacciatore non si dà per vinto senza prima aver coraggiosa- 
mente difeso la vita. Si sono allevati vari Nil-Gau nel Giardino 
zoologico del Museo di Parigi. Erano mansueti, leccavano !e 


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GNU 245 


mani di coloro che li accarezzavano e non hanno mai fatto 
male a nessuno !. 


Gnu. — Gli animali di questo genere hanno aspetto bovino, 
muso carnoso, allargato, denudato; una giogaia; una coda lunga 
e a fiocchi; cornaevase alla base; le quali esistono nei due sessi, 
e discendono poi obliquamente allo innanzi per raddrizzarsi ad 
un tratto. 4 

Così il Gnu, o Antilope Gnu? (fig. 101), che vive nell’ Africa 


Fig. 101. Gnu. 


meridionale, è grosso come un asino. Col corpo tarchiato e 
muscoloso, ha il muso carnoso di un bue, le gambe di un cervo, 
il collo e la groppa di un piccolo cavallo. Ha il capo compresso, 
il pelame è raso, di un grigio fulvo. Porta sul collo una. fitta 
criniera di peli grigi, neri e bianchi; sotto il mento gli pende 


1 Alla Reale Mandria presso la Venaria, in Piemonte, il re d’Italia 
ha da molti anni buon numero da Nil-Gau che si riproducono benissimo 
è paiono al tutto acclimati. DAL del T.) 

2 In francese, chiamasi anche Counochéte. 


246 ORDINE DEI RUMINANTI 


una barba fitta e bruna. Questi animali vivono in frotte nume- 
rose nei monti al nord del Capo di Bnona Speranza. CGorrono 
in una sola fila, seguendo una guida. 


Alcelafo. — Ci contenteremo di far menzione in questo genere 
del Bubalo del nord dell’Africa (fig. 102), dal capo allungato, dalle 
corna che rassomigliano ai due rami di un tridente, che vive 
in grandi frotte, e che talora si unisce alle gregge domesti- 


Fig. 102. Bubalo. 


che, non abbandona più, e dal quale forse potrebbesi cavare qual- 
che utile. 


I ruminanti cavicorni che hanno il fusto osseo di queste 
corna occupato in gran parte da cellette che comunicano coi 
seni frontali, comprendono, come abbiamo già detto, i generi 
Capra, Muffione, Pecora e Bue. 


Le Capre. — Le Capre hanno per caratteri le corna ascen- 
denti, curvilinee, grandi e divergenti. La sezione di queste 


CAPRE: x 247 


‘ corna è prismatica o elittica, e sovente la loro faccia anteriore 
è nodosa; la loro base riposa sopra una sporgenza delle ossa 
della fronte. Il musello è diritto, e non arcato come quello 
delle pecore. H mento, specialmente nei maschi, è ornato di una 
lunga barba. La coda è corta, il corpo poco fornito di grasso. 
I piedi son più tozzi di quelli delle pecore; le mammelle sono 
in numero di due. 

Si conoscono parecchie specie di Capre selvatiche; citeremo 
particolarmente lo Stambecco delle Alpi e Vl’ Egagro. 

Lo Stambecco (fr. Bouquetin) è grosso come un caprone (fig. 103). 
Il suo pelame d’inverno si compone di peli lunghi e ruvidi, 
che ricoprono un pelo dolce, fino e spesso, che dura lungo tutta 
l'estate. Disopra è color grigio fulvo, disotto bianco con una 
striscia dorsale nera, e una linea bruna che attraversa i fianchi. 
Una barba nera e ruvida gli cade dal mento; le sue corna son 
nerastre, con due spigoli longitudinali, e le sporgenze trasver- 
sali. | 

Questi animali abitano quasi tutti le alte montagne dell’ Eu- 
ropa, e dimorano in una zona ancor più alta di quella del 
camoscio. Hanno l’ occhio vivace e brillante, l’ orecchio mobile, 
l’andatura altera, indipendente. Sospesi alle cime vicine ai 
ghiacci eterni, si nutrono di rare graminacee, di gemme di 
salice alpestre, di nane betule e di rododendri. 

Basta loro la punta di uno scoglio ove possano raccogliere i 
loro quattro piedi per cadervi a piombo da un'altezza di otto 0 
dieci metri, rimanervi in equilibrio o lanciarsi di là nello stesso 
momento sopra altre cime, sia basse sia più alte. Sentono il 
cacciatore molto prima di esserne veduti. Se un cacciatore 
accorto li ha circondati fino al margine di un precipizio ove 
non v’ ha a tiro nè una punta di ghiaccio nè una cima di roccia, 
si slanciano nell’abisso, col capo fra le gambe e le corna in fuori, 
onde diminuire la violenza della caduta. Talora lo Stambecco 
incalzato molto da vicino prende un altro partito. Si volta ad 
un tratto, corre difilato sul cacciatore e lo precipita nell’ abisso, 
passandogli innanzi come una freccia !. 


1 A differenza del camoscio che si dà a precipitosa fuga incalzato dal 
cacciatore, lo stambecco cerca un nascondiglo, si appiatta nel fesso di 
una roccia, e vi rimane molte ore immobile. 

Nelle Alpi piemontesi gli Stambecchi si erano fatti in questi ultimi 
anni tanto scarsi, che rarissimamente riusciva il cacciatore a trovarne. 
Il re Vittorio Emanuele ne promosse la riproduzione lasciandoli in certi 
luoghi tranquilli e difesi contro i cacciatori. Alla R. Mandria, presso la 


248 ORDINE DEI RUMINANTI 


L’ Egagro non si distingue dallo Stambecco che per le corna 
taglienti allo innanzi. Abita i monti dell’ Asia, del Caucaso, 
fino all’ Himalaya. Ne facciamo menzione solo perchè le nostre 
capre domestiche hanno avuto origine dell’ Egagro, la cui razza 
si è mescolata con quella dello Stambecco. 

La Capra domestica è stata chiamata la vacca del povero. 
Non sempre si può avere una vacca, ma sempre si può 
avere una capra. E un animale resistente, sobrio, che dà 
gran copia di eccellente latte. Se per causa di malattia od. 


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Fig. 105. S'ambecco. 


altro una madre non può allattare il suo bambino, nessun latte 
può sostituirlo meglio di quello della Capra, e questo animale 


Venaria, dove il re Vittorio Emanuele teneva un grandioso. istituto di 
acclimamento e perfezionamento di razze di animali, esotici e nostrali, 
con diligentissime ed intelligentissime cure si riuscì ad ottenere la ri- 
produzione dello Stambecco in schiavitù, e ad allevarne i piccoli fino 
all’età di tre anni. Oltre questa età non vissero. Nella stessa R. Mandria 
sì ottennero degli ibridi dallo accoppiamento dello Stambecco colla 
(Capra. (Nota del Trad.) 


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Ficuier. I Mammiferi. 92 


Fig. 104. Mandra di Pecore della Brie. 


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CAPRE 251 


si lascia agevolmente poppare, ed anche si affeziona mirabil- 
mente al bambino che allatta. 

Queste qualità sono accompagnate da qualche difetto. La 
Capra è indocile, vagabonda, capricciosa; ma l’uomo può age- 
volmente trar partito dalle sue buone qualità e sopportare 
senza troppi inconvenienti i suoi difetti. 


Fig. 105. Capra comune. 


Le due principali varietà europee di questo ruminante sono 
la Capra comune e la Capra dalle orecchie penzoloni. 

La Capra comune (fig. 105), il cui mantello è al tutto bianco, 
bianco e nero, bruno o bigio, di varie tinte con macchie bian- 
che, e la più sparsa e la più resistente di tutte. Havvene una 
sotto-varietà senza corna. Tenuta con cura, dà, in ricambio di 
pochissimo cibo, due capretti all’anno, latte abbondante, e il 
suo pelo che si può tosare una volta all’ anno. 


dd ORDINE DEi RUMINANTI 


La Capra dalle orecchie penzoloni è sprovvista di corna molto 
più sovente della precedente. Ama rimanere nelle province del 
mezzogiorno, perchè è un po’ meno resistente e teme il freddo 
più della Capra comune. 

In Oriente esistono due razze caprine: quella del Tibet e del 
Cascemir, e quella d’ Angora. 

La Capra del Tibet (fig. 106) si trova specialmente molto nume- 
rosa nella magnifica valle del Cascemir e nel Tibet. 

La Capra del Tibet è, senza dubbio, la più preziosa di tutte 
le razze caprine. La sua lanuggine, che sta sotto il pelo il 
quale è poco abbondante, serve a tessere quelle stoffe preziose, 


Fig. 106. Capra del Tibet. 


quei tessuti meravigliosi delle Indie, che si dicono cascemir e 
che sono stimati in tutto il mondo per la loro morbidezza e 
la loro finezza. Questa lanuggine si toglie via ogni anno con 
un pettine a denti doppi acconcio per quest’ uso. 

L’ acclimamento di questa razza in Francia non ha presen- 
tato nessuna difficoltà; ma la lanuggine che produce nei nostri 
climi non avendo potuto sostenere con vantaggio la concorrenza 
del prodotto esotico, questa razza non si è propagata che in pro- 
porzioni insignificanti. 


La Capra d’Angora (fig. 107) vive nell’estremo Oriente. L’accli- 
mamento di questa razza, tentato a varie riprese in Francia, 
non ha incontrato nessuna difficoltà. Questi animali nati nel 


CAPRA, MUFFIONE . 253 


Giardino delle Piante di Parigi vivono colà come nel loro 
paese nativo. 

Fra tutte le razze straniere la Capra d’Angora è quella che 
è più facile da propagare nei nostri paesi, e quella che dà 
maggior profitto, e sembra destinata a far la ricchezza dei paesi 
montuosi. Somministra tanta copia di latte quanto la capra 
di Europa, ed il suo vello si compone di una lana lunga e fina 
che conserva anche tinta la sua lucidezza. Questa lana rasso- 
miglia perfettamente alia seta tinta; è lucida come questa, e 
riceve tutte le tinte che si possono dare alla seta. Per tessere 


Fig. 107. Capra d’Angora, maschio e femmina. 


il velluto di lana è superiore alle lane che si sono stimate 
finora le migliori. Se ne fanno pure buonissimi tessuti leggeri: 
per esempio quelli che si chiamano in commercio draps zéphir. 

Le capre d’ Angora sono in generale piccole: il loro pelo, 
sempre bianco e in fiocchi a spira, è lungo e morbido. 

Esistono altre razze di Capre, fra le quali menzioneremo la . 
Capra della Nubia che si alleva nel Giardino delle Piante di 
Parigi. 


I Muffioni. — I Muffioni, animali dei monti come gli stam- 


254 ORDINE DEI RUMINANTI 


becchi, sono sparsi sopra una grande estensione del mondo. 
Non solo havvene nel continente antico, ma anche nell’ America 
settentrionale. 

Il Muffione comune della Corsica e della Sardegna è a un 
dipresso alto quanto una pecora comune, ma è più robusto. Il 
suo vello, lanoso e grigio, sta sotto a un pelo lungo e morbido, 
color fulvo o nero. Le sue corna son grandi, triangolari alla 
base, e piatte verso la punta; mancano affatto nella femmina. 
Questo ruminante vive in frotte molto numerose. 


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Fig. 108. Muffione a frangie. . 

Il Muffione di montagna, che abita le montagne Rocciose e la 
California, è notevole per la grosezza delle sue corna. 

Il Muffione a frangie (fr. Moufton a manchettes) è una specie 
africana (fig. 108) notevole per la criniera che gli copre le spalle, 
e pei lunghi peli in forma di frangia che gli ornano le gambe 
anteriori. 

Esiste in Asia una specie di Muffione, detto Argali (fig. 109), 
che è grosso come un daino, e le cui corna rassomigliano fino 
a un certo punto a quelle dei nostri arieti. 


Le Pecore. — Secondo Milne-Edwards, sembra che dal muffione 


PECORE 255 


comune 0 dall’ argali vengano le innumerevoli varietà di Pecore 
che l’uomo alleva allo stato domestico. Il signor Paolo Gervais 
crede però che le Pecore siano animali domestici che non si 
sono mai conosciuti allo stato selvatico. 

I caratteri principali delle Pecore consistono nella maggior 
lunghezza della coda, che scende loro per solito fin sulle 
calcagna, e nella natura ossea delle corna, che alla base sono 
più discoste e più a spirale di quelle dei muffioni. Finalmente 
certe Pecore mancano di corna, anche nei maschi. 

È certo che le Pecore hanno aspetto ben differente dal muf- 
fione o dall’ argali. Non hanno nè le forme svelte e graziose, 
nè la leggerezza di andamento di questi due ruminanti selvaggi. 
Camminano con passo lento e pesante. I peli lunghi e morbidi 
del muffione e dell’ argali sono quasi intieramente scomparsi 
in esse; mentre la lanuggine, prendendo un estremo sviluppo, 
costituisce un fitto vello. L’ intelligenza di questi animali è 
limitatissima, e la loro costituzione debole. Se l’ uomo non ne 
avesse assidue e continue cure essi scomparirebbero in breve. 

Nei nostri paesi le Pecore non partoriscono, in generale, che 
un piccolo alla volta, e una volta all’ anno; ma nei paesi più 
caldi partoriscono due volte, e certe razze danno anche due 
agnelli ad un tempo. La durata della gestazione è di cinque 
mesi. Le pecore conservano il latte per sette od otto mesi dopo 
la nascita dei piccoli; ma gli agnelli non si lasciano poppare 
che due o tre mesi. 

A un anno le Pecore possono già riprodursi e continuano 
ad essere feconde fino all’ età di dieci o dodici anni. 

Esistono differenze grandissime nelle varie sorta di Pecore. 
Una razza notevole per la singolarità delle forme è quella delle 
Pecore dalla coda adiposa, nelle quali questa appendice è tanto 
gonfia di grasso, che sovente ha la forma di un tumore allun- 
gato. Questa razza esiste nelle parti temperate dell’ Asia, nel 
mezzogiorno della Russia, nell’ alto Egitto. Alcuni viaggiatori 
hanno anche narrato che in certe parti dell’ Africa orientale 
s’ incontrano queste Pecore attaccate a una specie di carretta, 
destinata solo a sostenere il peso della loro coda. 

Un’ altra razza, parimente notevole, è conosciuta col nome di 
Pecora dal capo nero. Non ha corna, ed il suo collo è provvisto 
di un rudimento di giogaia, che fino ad un certo punto ram- 
menta quella dei buoi. 

La Pecora di Valacchia si distingue per le sue corna dirette 
in su e disposte a spire, come quelle delle antilopi. 

La Pecora d’ Islanda può avere tre, quattro e fino a otto 


256 ORDINE DEI RUMINANTI 


corna. Parlando dell’ allevamento delle Pecore diremo qualche 
cosa delle altre razze che sono molto sparse da noi e nei paesi 
vicini. 


Varie utilità delle Pecore. — Le Pecore formano una delle 
principali sorgenti di ricchezza agricola, e forniscono all’industria 
manifatturiera prodotti di una grande importanza. Le mandre 
di Pecore migliorano notevolmente il terreno pel concime che 
vi depongono. Il tener questi animali in un campo destinato 


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Fig. 109. Argali, o pecora selvaggia. 


alla coltura del frumento produce buoni effetti che si risentono 
per lo spazio di tre anni consecutivi. Per lungo tempo si son 
chiamate le pecore nella economia rurale bestie lanute, ed infatti 
la lana fu per un pezzo il prodotto più pregiato; ma sono del 
pari, e sopratutto, animali alimentari. La loro carne è un ali- 
mento sanissimo, saporito e molto nutriente. Il grasso di mon- 
tone, o sego, è parimente uno dei prodotti più importanti di 
questi animali: in certe razze può formare uno strato spesso 
da sette ad otto pollici lungo le coste e intorno ai reni. La loro 
pelle, spoglia di lana, serve pure a molti usi. Si è con questo 


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Fig. 110. Caccia degl’Indigeni al Bisonte. 


PECORE 259 
tegumento che si fabbrica la maggior parte delle pelli sottili 
ehe si adoperano per far guanti e scarpe. Apparecchiato con 
altri processi prende in commercio il nome di camoscio, perga- 
mena, ecc. Finalmente, il latte ed il formaggio sono altri prodotti 
che ci fornisce questo prezioso ruminante. 

Il latte di Pecora, caratterizzato principalmente per la sua 
qualità butirracea, si adopera direttamente come cibo, in molti 
paesi, ma entra per solito più sovente nella fabbricazione dei 
formaggi. 

In nessuna parte della Francia sono le pecore tanto bene 
allevate per ottenere latte e formaggi quanto nel dipartimento 
dell’ Aveyron, e principalmente in quella parte di paese di cui 
il centro è Roquefort. Intorno a questo villaggio si allevano 
circa duecentomila Pecore lattifere. La base dei formaggi è il 
latte rappreso e impastato con una piccola quantità di pane 
ammuffito ridotto in polvere. Questi formaggi nelle cantine di 
Roquefort son sottoposti ad una serie di operazioni, delle quali 
non è qui il luogo di parlare, e che danno loro un sapore 
particolare, e qualità speciali. 

I prodotti essenziali che somministra la Pecora, per ciò 
che riguarda l’ industria e l’ agricoltura, sono in complesso la 
lana e la carne. Per fornire questi due prodotti l’ animaie deve 
presentare un tipo di bella conformazione. 

Esamineremo con cura le differenti razze di Pecore; ma 
prima di far ciò diremo qualche cosa dell’ origine, della strut- 
tura, delle qualità della lana e della tosatura. 


La lana della Pecora ela sua tosatura. — Allo stato naturale, 
i bulbi della pelle della Pecora danno origine a due sorta di 
peli; l uno ruvido e diritto, detto giarra, è più abbondante; 
l’altro ondato o arricciato, detto lana, più scarso. Allo stato dome- 
stico, queste proporzioni sono arrovesciate: domina la /ana, ed 
essa costituisce il vello. La giarra, o pelo rigido, in seguito agli 
sforzi della coltura, tende a scemare sempre più. Il vello, o 
complesso della lana, risulta dalla riunione delle ciocche, e queste 
dall'insieme dei fili. 

Il filo si compone di tanti tubi incastrati l’ uno nell’ altro 
che non son visibili che col microscopio. Ha un diametro 
variabile; perciò si dividono le lane in sopraffine, fine, mezzane, 
comuni e ordinarie. Il filo che ha un diametro uguale in tutta 
la sua lunghezza è molto apprezzato; quando è dritto, la lana 
è liscia; quando è flessuoso, la lana è ondulata: quando presenta 
flessuosità molto vicine, allora è arricciata: quando nella sua 


260 ORDINE DEI RUMINANTI 


distesa presenta pieghe alternanti, ad angoli opposti, più o 
meno aguzzi, è a ghirigoro: questo carattere sembra esser pro- 
prio esclusivamente della razza merinos. Del resto, queste fles- 
suosità sono generalmente in relazione col grado di finezza. 

Nella lana si ricerca la pieghevolezza, la morbidezza, la dolcezza, 
che significano che il filo conserva la direzione che ha avuto, 
qualità che non presentano le lane dette dure, ruvide 0 giarrose. 
Quando è fornita di tutte queste qualità la lana è più facile 
da lavorare, da feltrare, e comunica ai tessuti manifatturati 
quella dolcezza al tatto e quella morbidezza tanto apprezzata 
nelle stoffe. Si cerca parimente l’ estensibilità e 1’ elasticità del filo, 
senza le quali le lane non potrebbero servire alla fabbricazione 
delle stoffe lavorate alla gualchiera. 

La maggior parte delle qualità che abbiamo testè menzionate 
sembrano dovute alla materia grassa che compenetra più o 
meno il filo della lana. Questa materia grassa è molto com- 
plessa, e la sua composizione varia secondo gli individui. Certi 
follicoli particolari la secernono dalla pelle del montone, e, 
così secreta, è più o meno fluida ed untuosa. Questa materia 
si dice il sucidume della lana. 

Quando la lana è molto sucida alla superficie del filo, esso 
acquista in morbidezza e pieghevolezza. Allorchè la materia 
sovraindicata è spessa e molto colorata, dà alla lana una certa 
ruvidezza al tatto, ed allora fa d' uopo adoperare certi processi 
particolari per ripulirla. "I 

La lana è naturalmente bianca, fulva o nera. Le Pecore 
fulve e nere sono poco pregiate, e si tolgono dalle grandi 
gregge. i 

Le migliori lane del vello si trovano nelle parti laterali del 
corpo dalle spalle fino alla groppa, e disotto fino al livello 
della faccia inferiore del ventre, sulle spalle, sulle coste e sui 
fianchi. 

Sulla faccia inferiore del ventre le ciocche son fitte, fel- 
trata e corte, perchè sovente vengono compresse e tenute 
umide allorchè l’ animale si corica. Nelle razze più ricche di 
lana questa parte ne è sempre meno provvista, e in altre razze 
non v’ha che la giarra. Sul dorso, sulla groppa e sull’alto delle 
coscie, la regolarità della ciocca e l’uniformità del filo diminui- 
scono. In queste parti del corpo la lana non ha la morbidezza 
nè la pieghevolezza di quella delle coste. La lana della parte 
inferiore e della superiore del collo è spessissimo molle e ca- 
dente, invece di essere corta e forte, come il resto del vello. 
Generalmente è più ruvida e più dura, con ondulazioni larghe, 


PECORE 261 


con ciocche irregolari, molli, e cadenti sul capo, sulla fronte, 
sul petto. La lana del garrese è quasi sempre ordinaria. All’e- 
stremità delle membra non è pregiata per nulla. 


Le razze ovine. — Veniamo ora alle varie razze di Pecore. 
Nel suo libro sulla Zootecnia il signor Sanson classifica le razze 
ovine in due categorie: le razze dalla lana lunga, vale a dire 
distesa o solo ondulata, e le razze dalla lana corta, vale a dire 
dalla lana ricciuta. 

Nelle razze dalla lana lunga, il vello non ha che un valore 
relativamente piccolo, dal punto di vista industriale; queste 


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Fig. 411. Pecora di razza Leicester. 


razze sono specialmente destinate alla produzione della carne. 
Citeremo ora le principali di queste razze. 

La razza di Leicester o di Dishley (fig. 111) da una carne 
filamentosa, poco soda, spesso troppo grassa e senza sapore. 

La razza Cotteswold (fig. 112), presentemente molto sparsa € 
comune in Inghilterra, rassomiglia molto alla razza Leicester. 

La razza New-Keuth (fig. 113) somministra una carne stimata 
in Inghilterra. 

La razza Fiamminga produce molto sego, ed una carne carica 
d’ossa e poco saporita. 

La razza Bretone acquista sul litorale del Morbihan e del Fì- 


262 ORDINE DEI RUMINANTI 


nistère un certo valore per la qualità della sua carne. Produce 
i piccoli montoni detti dei prati salati. Questi montoni non 
sono per nulla oggetto di grande cura; mangiano e si riprodu- 


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112. Pecora della razza Cotteswold. 


cono a loro piacimento e s’ingrassano nei prati salati del 
litorale. 


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ig. 115. Ariete della razza New-Keuth. 


La razza Tuareg (fig. 144), che è molto sparsa in Algeria, è 
quella delle tribù indigene, di cui forma la ricchezza. Queste 
‘Pecore cercano il loro nutrimento sopra vastissime distese di 


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PECORE IRR 263. 
terreno, e passano dal deserto nel Tell, o terra coltivata, e dal 


Tell nel deserto, secondo la stagione. Si riproducono come. 
piace ad Allah; la considerevole fecondità è tutto il loro merito. 


Fig. AI4. Ariete della razza Tuareg. 


Fra le razze dalla lana corta citeremo prima la razza di 
Southdown (fig. 115) che abita le dune dell’ estremo sud delle 


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Fig. 115. Pecore e Montoni della razza Southdown. 


Isole Britanniche, nella contea di Sussex, lungo il litorale della 
Manica. 


Questa razza è la più notevole della Gran Bretagna; la loro 


204 L ORBINE DEI RUMINANTI 


carne è la più ricercata in Inghilterra. Prendendo la media delle 
qualità speciali sulle quali si basa la macelleria di Parigi 
per classificare le carni, si è dato agli individui della razza 
Southdown allevati in Francia il numero 8, mentre il maxi- 
mum è 10. 

La razza Merinos trae il nome dal suo modo di vivere in 
Spagna (merino, in spagnuolo, significa errante). Fu portata in 
quel paese dai Mori, poi dalla Spagna introdotta in Francia, per 
la finezza e la bellezza della sua lana. 


Fig. 116. Ariete e Pecora dalla razza Merinos di Rambouillet. 


I Merinos di Spagna, durante l’ inverno, vivono nelle ricche 
valli e nelle fertili pianure della Estremadura, dell’ Andalusia, 
della Nuova Castiglia, ove il clima è dolcissimo. Passano l’ e- 
state sulle alte montagne dell’antico regno di Leon, della Vecchia 
Castiglia, della Navarra e dell’ Aragona, regioni della Spagna 
dotate di fresca temperatura, ed ove crescono erbe saporite che 
il calor del sole non dissecca. I Merinos si mettouo in via sul 
principio di aprile. Si tosano lungo il viaggio. I luoghi destinati 
in Spagna a questa operazione son tanto bene preparati, che 


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PECORE . 267 


‘in un sol giorno si può tosare la lana preziosa di un gregge 
di mille capi. Arrivano al loro destino alla fine di maggio, sul 
principio di giugno, vi rimangono fino al mese di settembre, 
e allora ripartono per allogarsi nelle loro dimore invernali. 

Animale cosmopolita, il Merinos si trova sotto le latitudini 
più lontane: in Germania, in Francia, nelle colonie inglesi del 
Capo di Buona Speranza e dell’ Australia. 

Dall’ anno 1766 data l’ introduzione definitiva di questa razza 
sul suolo francese. Daubenton fece venire di Spagna un gregge 
che mise nel suo podere di Montbard, tra Chatillon-sur-Seine 
e Semur (Còote-d’ Or). Questo gregge fu lo stipite da cui ven- 
nero tutti i Merinos che oggi esistono in Borgogna. {Nel 1786 


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Fig. 118, Ariete della razza Merinos di Mauchamp. 


Luigi XVI fondò il celebre ovile di Rambouillet, d’onde la 
‘ razza dei Merinos si sparse per tutta la Francia. 

Collocati in diverse condizioni di regime e in climi differenti, 
i Merinos hanno provato variazioni cosifatte che si son dovuti 
distinguere coi nomi di Merinos di Rambouillet (fig. 116), della 
Beauce, della Brie (vedi fig. 104 a pag. 249), del Soissonnais, 
della Champagne, della Borgogna, ecc., e particolarmente i Me- 
rinos di Mavuchamp (fig. 118). 

La lana dei Merinos varia pel grado di finezza del filo, ma 
essa sola dà la qualità sopraffina, perchè riunisce al più alto 
grado la morbidezza, le resistenza e la elasticità. È la sola che 
per le piegature del suo filo che si moltiplicano e si incontrano 
tanto, produce la lana detta a ghirigoro. La ‘lana ricopre al 
tutto la superficie della pelle dell’ animale, sovente fino alle 
unghie, e non lascia libera che la punta del naso. In compenso, 


268 |» ORDINE DEI RUMINANTI » 


il Merinos è un mediocre animale da macello. La sua carne, 
carica d’ ossa, sa di lana sucida in modo particolare. 

Le razze del Berry e della Sologna somministrano una carne 
molto apprezzata pel macello, ma la lana che producono è 
‘ordinaria. 

La razza del Poitou somministra ai mercati di Sceaux e di 
Poissy montoni grassi in gran copia, ma la carne è mediocre. 

La razza de’ Pirenei è preziosa per la carne che sommini- 
stra, la quale è fina e di gusto squisito. 

La razza delle Lande (fig. 119) ha lana nera, ma produce carne 
assai pregiata. 

La razza del Larzac (fig. 120) passa l’inverno sugli altipiani 
del monte del Larzac (Aveyron), e la buona stagione nelle pia- 
nure. Di forme sottili e coperta di una lana poco abbondante, 


Fig. 119. Ariete della razza nera delle Lande. 


questa razza fornisce latte eccellente, che si adopera Der far 
formaggi e specialmente una carne saporitissima. 

La lana della Pecora si raccoglie ogni anno. Talora si vende 
la lana greggia; talora non si vende che dopo una lavatura 
precedente alla tosatura. 

Per compiere questa operazione, che si suol fare nei mesi 
di maggio e giugno, si fanno bagnare le Pecore, si frega la 
iana sotto l’acqua colla mano, per toglierle il sucidume, poi si 
taglia la lana colle forbici. Tutte le parti del vello tagliate deb- 
bono esser tenute collegate insieme, senza lacuna né strappi. 
Prima di metterla in vendita si piega, si rotola, e si lega sal- 
damente. 

Il commercio delle lane è importantissimo in Francia. Si 
calcola che le gregge francesi producono in complesso novan- 


PECORE 269 


tun milioni di chilogrammi di lane sucide, che si riducono a 
trentacinque milioni di chilogrammi di lane lavate. L° esporta- 
zione della lana è insignificante in Francia: le fabbriche com- 
prano anzi da trentacinque e quaranta milioni di chilogrammi 
di lane forestiere. 

Le stoffe francesi dette merinos hanno una fama bene meri- 
tata. In nessun paese si può fabbricarne che abbiano tanta 
morbidezza e lucidezza. Ciò viene dacchè le lane francesi sono 
di qualità eccellente ed i fabbricanti sono abilissimi per mi- 
schiare in proporzioni acconcie la lana francese con quella di 
Australia. 


Le razze ovine in Italia!. — In tempi non molto lontani 


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Fig. 120. Pecora della razza Larzac. 


l Italia non era seconda a nessuna altra nazione per la copia 
e la bontà delle razze owine. Si prestavano alle Pecore cure 
molto intelligenti. 

Le provincie di Napoli, la Puglia, gli Abruzzi e le Calabrie, 
primeggiarono un giorno su tutte le altre parti d’ Europa per 
le finissime lane delle loro Pecore. Plinio riferisce che la lana 
migliore veniva dalle Puglie; che veniva seconda quella fornita 
dal golfo di Taranto e che tutte superava in candore la lana 
delle Pecore pascolanti lungo le rive ubertose del Po. Molto 
stimata era la razza ovina della Sicilia per la bontà della lana; 


1 Questo capitolo viene da noi aggiunto alla edizione italiana. (N. del T.) 


270 ORDINE DEI RUMINANTI 


e le Pecore padovane alimentarono già l’ industria dei ricchi 
paesi della Lombardia. Oggi la cosa non è più così; la purezza 
delle razze ha molto perduto: tuttavia, sebbene si veggano so- 
vente in Italia Pecore non molto bene conformate, la lana so- 
vente è pur sempre molto buona. | 

Le Pecore della Sicilia, di Padova e di Bergamo, sebbene 
abbiano perduta l’ antica bellezza tipica, e non diano più le 
finissime lane di una volta, non sono ciò non ostante da dis- 
prezzare. 

Nelle Romagne, nel Padovano, la razza comune è senza 
corna, ha buona statura, muso convesso, lana grossa, abbon- 
dante, non arricciata, in grosse ciocche cadenti solo sul corpo 
e la parte superiore del collo. | 

In Piemonte si trovano bellissimi tipi di meriînos, e molti 
meticci derivanti dallo incrociamento delle nostre razze colle 
spagnuole. Possonsene ammirare bellissimi tipi nel piano in- 
torno a Torino, dovuti segnatamente alle cure intelligenti ed 
assidue dei signori fratelli Brun. 

Molto stimata è la razza biellese di cui le femmine sono ottime 
lattifere. Le Pecore biellesi vagano la state sui monti e sui colli 
lungo il torrente Cervo, e l’inverno scendono nei piani del Ver- 
cellese. Hanno statura elevata (fino ad 84 centimetri di altezza 
e lunghezza), muso convesso, orecchie larghe, lunghe e pendenti; 
mandibole grosse, come pure il musello: fronte e guancie al 
tutto coperte di lana; grossa e lunga coda, ed una depressione 
al collo ove questo si unisce al garrese: maschi e femmine man- 
cano di corna: corpo coperto di una lana lunga e notevolmente 
fina: si tosano due volte l’anno, in marzo ed in agosto. S’ ac- 
contentano di poco cibo ed hanno molta resistenza: vedonsi 
talora l’inverno pascersi delle ginestre che sporgono dalla neve. 
Danno buona carne, son molto docili ed intelligenti. Le razze 
piemontesi delle Langhe, ed in generale delle colline, sono con- 
suetamente assai degenerate. Preseatano tuttavia una certa 
resistenza; forti e robuste, sopportano lunghe privazioni ed 
inclemenze di clima, danno carne discreta e buon latte. Hanno 
gambe alte, testa piuttosto voluminosa e coperta di ruvido 
pelo, muso molto convesso, orecchie grosse e qualche volta 
pendenti, lana grossolana, piuttosto lunga, e con moltissima 
giarra; coda pendente e lunga, che d’ ordinario viene tagliata: 
corpo piuttosto allungato e cilindrico; per lo più hanno corna 
tanto i maschi quanto le femmine. | 

Nelle pianure e nelle valli del Piemonte trovansi alcune varietà 
pecorine che si considerano come sotto-razze. Così le Pecore 


BISONTE, BUE MUSCHIATO AD 


di Ormea, le quali sono di statura molto elevata, corpo allun- 
gato, resistenti; buone lattifere; maschi e femmine con corna. 
Taluni annoverano una sotto-razza detta di Frabosa, altri la 
negano. Le Pecore di Carraglio sono larghe, corte, basse, ec- 
cellenti lattifere: alcune si allevano esclusivamente per la 
produzione dei formaggi. Le Pecore d’Aosia son piccole, volgari, 
con lana grossolana, mediocremente lattifere. In Lomellina 
havvi una sotto-razza priva di corna, con lana lunga e liscia, 
gambe lunghe, corpo piuttosto smilzo, orecchie lunghe e pen- 
denti, testa lunga e stretta, fronte stretta e tondeggiante, mu- 
sello aguzzo. 

In Piemonte trovansi pure alcune sotto-razze discendenti dalle 
Pecore padovane: queste danno castrati che acquistano talora 
una mole molto voluminosa. 

Contrariamente al proverbio antico: tante pecore tanti uomini, 
in Italia le pecore sono al terzo degli abitanti: ve n’ ha cioè 
3,805,000, con un prodotto di non più che un chilogramma di 


lana per ciascuna. 


Bisonte e Bue muschiato. — Il genere Bue si distingue age- 
volmente dagli altri gruppi della divisione dei ruminanti ca- 
vicorni. Esso si compone di animali grossi e pesanti, colle 
corna che si dirigono dai lati, e quindi ritornano in su e allo 
innanzi a foggia di mezzaluna. La testa termina in un largo 
muso carnoso. Le gambe sono forti e robuste. La pelle del 
collo rilasciata e pendente forma inferiormente una grande ri- 
piegatura detta giogaia. 

Nel genere Bue si distinguono otto specie, cioè: il Bisonte, 
il Bue muschiato, il Bufalo del Capo, l’Auroch, il Yack, il Bue 
delle Giungle o Zebù (Bos indicus), il Bufalo, il Bue comune. 

Il Bisonte (fig. 121) ha forme tozze, la groppa ed il capo 
bassi ed il garrese altissimo. Il suo capo è corto, grosso; le 
corna son piccole, laterali, separate, nere e arrotondate. Una 
lana crespa e fitta, di un bruno nero, che d’inverno diviene 
lunghissima, gli copre il capo, il collo e le spalle. Il rimanente 
del corpo è invece coperto di un pelo raso e nero. La coda è 
corta e finisce in un fiocco di lunghi crini. 

Questo animale dall’aspetto cupo e selvaggio vive in tutte le 
parti dell'America settentrionale, e specialmente nel Missurì e 
nelle Montagne Rocciose. In primavera delle truppe di venti- 
mila Bisonti, che camminano in file serrate, risalgono dal 
mezzogiorno al nord di queste vaste contrade; d’ autunno emi- 
grano in massa dal nord al mezzogiorno. Queste selvaggie 


22 ORDINE DEI RUMINANTI 


coorti si separano quando viene l’estate. I Bisonti si uniscono 
in coppie, o in piccoli branchi, sotto la scorta di due o tre 
vecchi maschi, e vanno a rintanàrsi nell’ interno delle foreste 
paludose. 

I Bisonti non sono feroci; non aggrediscono l’ uomo: solo si 
difendono se vengono feriti. Allora sono nemici molto formi- 
dabili, perchè il loro enorme capo, fornito di corna, e i loro 
piedi anteriori, sono terribilmente potenti. Del resto, nelle loro 
migrazioni, che si compiono in falangi di parecchie migliaia, 
la loro massa è tanto enorme e si avanza con tale mostruosa 
unità, che ogni cosa è devastata sul loro passaggio. Gl’ Indiani 


Fig. 121. Bisonte. 


delle Praterie li inseguono a cavallo, come il Toreador insegue 
il Toro nel circo; cercano di coglierli nel fianco con le loro: 
frecce (vedi fig. 110 a pag. 157), e di rado sbagliano il "colpo. 
Si mira il Bisonte dove mancano le costole, non mai alla testa, 
perchè le ossa del cranio sono di tale spessezza, che la palla 
stessa non le intacca. 

Il Bue muschiato (v. fig. 117 a pag. 265) è molto meno grande 
del Bue comune: ha l’apparenza di un enorme montone. Il suo mu- 
sello è arcato, la bocca piccola. Il muso è al tutto coperto di peli; 
le corna larghissime, che si toccano alla base, vanno a toc- 
care poi i lati del capo, indi si rialzano repentinamente allo 
indietro. Il suo pelame abbondante e lungo è di un bruno 


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Fig. 122. Caccia al Bufalo del Capo. 


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AUROCH, BUFALO DEL CAPO, YACK, E BUE DELLE GIUNGLE 275 


scuro. Manda un forte odore di muschio di cui s’ impregna 
anche la sua carne. 

Quest’animale, che è ad un tempo bue, capra e pecora, abita 
l'America sotto il circolo polare. Vive in frotte di ottanta a 
cento individui, fra i quali non esistono che due o tre maschi. 
Al mese di agosto questi ultimi divengono tanto gelosi che si 
battono fino alla morte, e il vincitore fugge nei boschi colle 
sue conquiste. 

Malgrado la sua apparente pesantezza, il Bue muschiato si 
arrampica sulle roccie quasi come una capra per nutrirsi dei 
germogli delle piante. La sua carne manda un odore di muschio 
sgradevolissimo a chi non ne ha l’abitudine. 


Auroch. — Dopo l’elefante, il rinoceronte e la giraffa, l’Auroch 
è il più grande dei mammiferi terrestri. È alto fino a metri 
1,80 misurato dal garrese. Le sue corna son grosse, rotonde, 
laterali. La coda è lunghissima. La parte anteriore del corpo 
fino alle spalle è coperta di pelo bruno, duro e grossolano; il 
disotto della gola fino al petto porta una lunga barba pen- 
dente: il rimanente del corpo è coperto di peli rasi, corti, ne- 
FiCci. 

L’Auroch è V’Urus degli antichi. Viveva un tempo in tutte le 
foreste paludose dell'Europa temperata. Al tempo di Cesare si tro- 
vava ancora in Germania, ma l’uomo e le sue conquiste lo hanno 
fatto divenire più raro. Oggi lì’ Auroch non esiste che in due 
provincie russe. La foresta di Bialewicza, nel governo di Grodno, 
è uno degli ultimi asili di questo Bisonte europeo; l’ altra 
provincia è l’Awhasia, che dipende dalla regione del Caucaso. 
Il distretto di Zaadan è il luogo ove gli Auroch si mostrano 
più sovente. Furono emanati ordini severissimi per impedire la 
distruzione di questi animali, e non si può prenderne un solo 
senza il consenso dell’imperatore di Russia. 


Bufalo del Capo, Yack, e Bue delle Giungle. — Il Bufalo del 
Capo si distingue da tutte le specie proprie del continente an- 
tico per le sue grosse corna, le quali colla loro base appiattita 
ricoprono come un elmo tutta la parte superiore della testa, 
non lasciando in mezzo che uno spazio triangolare. Le corna 
di questo ruminante africano sono nere; il suo pelame è 
bruno. Abita, in numerosi branchi, le foreste più fitte dell’ A- 
frica meridionale, del Capo di Buona Speranza fino alla Guinea. 
Nella pianura è selvaggio ma guardingo. Quando si va a farne 
caccia nei boschi che sono il suo dominio, allora diviene for- 


276 ORDINE DEI RUMINANTI. 


midabile ed aggressivo. La caccia del Bufalo è una delle grandi 
occupazioni degli indigeni del sud dell’Africa, ma non è senza 
pericoli per essi. Sovente succede che le parti vengono inver- 
tite, ed è la mandra di Bufali che dà la caccia agli eserciti di 
cacciatori africani (fig. 122). 

Il Yack, o Bue dalla coda di cavallo, porta sul capo un 
grosso ciuffo di peli crespi e una specie di criniera sul collo; 
la parte inferiore del corpo e il principio delle gambe sono 
coperti di crini molto fitti, lunghissimi e cadenti: la coda 
tutta irta di peli rassomiglia a quella di un cavallo; la sua 
voce è una sorta di grugnito grave e monotono come quello 
del maiale. 

Allo stato selvatico il Yack si trova sui confini della Tarta - 
ria cinese. In queste condizioni è selvaggio, irascibile, e pe- 
ricoloso. Ma quando è ridotto in domesticità è un animale 
utilissimo per gli abitanti del Tibet e del nord della Cina, i 
quali non hanno altro bestiame. Adoperano il suo latte come 
quello delle nostre vacche. Gli fanno trasportar carichi, tirar i 
carri e l’aratro. Ma quest’animale si assoggetta mal volontieri 
all’ uomo. È sempre di umore irrequieto, e fa mostra del suo 
mal volere con suoni che somigliano a quelli del maiale. La 
sua carne è stimata buona; il pelo serve a fabbricare stoffe 
ordinarie. 

La coda di questo ruminante ha sopratutto un valore commer- 
ciale. Appesa ad una lancia è, presso i Musulmani, il contrasse- 
gno del grado di pascià, e più alta è questa dignità, più sono 
numerose le code. I Cinesi si atlornano colla coda del Yack, 
mettendola sui loro berretti, dopo averla fatta tingere di rosso; 
ne fanno pure dei scacciamosche. 

Si è riusciti ad introdurre in Europa il Yack, e questi ru- 
minanti si sono riprodotti in Francia. I visitatori del Giardino 
delle Piante di Parigi li conoscono a meraviglia. Si spera in 
Francia trarre gran partito di questi animali, pei loro peli lun- 
ghi e morbidissimi !. 1 


1 La Società di acclimazione delle Basse Alpi, a Digne, ha messo i 
. yack che le furono affidati dalla Società imperiale di Parigi a Vernet, 
in un villaggio sulla montagna sprovvisto di strade carreggiabili. Quivi 
tutti i trasporti si fanno a dosso di bestie da soma o mediante piccoli 
traini stretti per poter passare nei sentieri. I veicoli a ruote non vi sono 
conosciuti. Tutti i lavori agricoli, come i trasporti, si fanno coi muli. 
Cotesto paese era adunque convenientissimo per istudiare le attitudini 
dei yack e conoscere l’ utilità loro reale per sentieri dirupati e quasi 
insormontabili sopra alte montagne e nella regione delle nevi, dove gli 


YACK, BUFALO UT 


Il Bue delle Giungle rassomiglia molto al nostro; ma le sue 
corna son piatte dallo avanti allo indietro e si dirigono in fuori 
e in alto. Il suo pelame è sempre nerastro, colle gambe bian- 
che. Si allevano questi Buoi in domesticità, nei paesi montuosi 
del nerd-est dell’India. 

La fig. 123 dimostra in che modo si dispone il carico sul 
dorso del Zebù. ì 


Bufalo. — Il Bufalo comune sembra essere originario delle 
parti calde ed umide dell’India e delle isole vicine, d’onde si è 


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Fig. 125. Zebù da carico. 


altri animali domestici che possediamo non possono essere utilizzati 
che difficilmente. 

I yack furono affidati ad un agricoltore chiamato Maunier, sotto la 
vigilanza del signor Richauld, veterinario a Digne. Sottoposti al lavoro, 
sia per trasporti a dosso, sia per l’ aratura , sia per tirar pesi, quegli 
animali fecero prova di molta forza ed energia. Si fecero inoltre notare 
per grande resistenza e molta sobrietà. 

I signori Richauld e Maunier compresero che si poteva nelle Alpi 
trarre gran pro delle qualità eccezionali di questo animale di montagna. 
Lo incrociarono con vacche del paese, e i meticci che ne vennero dal- 
l’inerociamento , più sviluppati e di carattere più docile, furono sotto- 
posti agli stessi lavori dei yack puri. Finalmente dopo una esperienza 


278 ORDINE DEI RUMINANTI 


diffuso in Persia, in Arabia, in tutta la parte orientale dell’ A- 
frica, nella Grecia ed in Italia. Ha la statura a un dipresso 
del Bue. Il suo fronte, convesso, più lungo che largo, porta 
due corna nere, che si dirigono dai lati, e son segnate in 
avanti da uno spigolo longitudinale sporgente. Il suo pelo è 
poco lungo, tranne sulla gola e sulle guancie. Non ha che una 
piccola giogaia al collo. Vive in schiere numerose, nelle pra- 
terie paludose e basse ove ama ravvoltolarsi. È d’indole selvaggia, 
ed indomabile. Per ottenere qualche servizio da quelli che sono 
meglio addomesticati si infila nelle loro narici un. anello di 
ferro, mercè il quale si possono dirigere. La loro carne è me- 


comparativa fatta sul lavoro del mulo e quello del yack e dei suoi me- 
ticci fu riconosciuto senza contestazioni, che il yack era sotto ogni 
aspetto preferibile al mulo. 

Del resto le ragioni che fanno preferire il yack al mulo al signor 
Maunier, e che possono essere le stesse in tutte le montagne come le 
Alpi, mancanti di strade, sono facili da comprendere, e chiedo licenza 
di dirne una parola. 

Un mulo comperato all’età di quattro anni per lavorare perde ogni 
giorno di valore. Dopo dieci anni di servizio si considera quasi come 
annullato il capitale che ci volle a comperarlo, perchè all’ età di quai- 
tordici anni, se vi giunge, il suo valore è minimo affatto, Il yack, invece, 
che potè essere sottoposto ad un lavoro leggero per guadagnarsi il suo 
nutrimento fino all’età di due anni, acquista valore ogni giorno più. Il 
contrario accade del mulo. E quando il ruminante è pervenuto all’ età 
adulta può essere mandato con vantaggio al macello col suo meticcio. 
La loro carne è stata riconosciuta di qualità eccellente. Il mulo non pre- 
senta egual vantaggio. 

D'altra parte la femmina del yack, pura o meticcia, dà, oltre il suo 


lavoro, un prodotto ogni anno, e latte grassissimo e molto butirroso. Il 


mulo e la mula al contrario, non danno che lavoro, inferiore pur questo 
a quello del yack, supponendo la spesa del mantenimento eguale per 
l’uno e per l’altro animale. 

Dunque sotto tutti gli aspetti il yack e i suoi meticci adoperati nel- 
l’azienda del signor Maunier la vincono sul mulo sia per portare che 
per tirare. È più forte, più robusto, più resistente; dà lavoro più vantag- 
gioso; dà lana per quanto tenue ne possa essere il valore, carne da 
macello di buona qualità, latte assai butirroso e ogni anno un parto. Il 
mulo non dà assolutamente che il suo lavoro. E il suo deprezzamento a 
misura che invecchia non tocca nè il yack nè il suo meticcio. 

Queste ragioni, che furono osservate sui luoghi, colpiscono per la 
verità loro. Importa infatti dimostrare con fatto incontenstabile l’ utilità 
dell’ allevamento del yack sulle alte montagne, dove gli altri animali 
domestici, anche i più stimati, non potrebbero venir adoperati con van- 
taggio eguale. (Nota del ’Trad.). 


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BUFALO, IL BUE, IL TORO E LA VACCA 279 


diocre, il loro latte è buono. In certi paesi servono a lavorare 
la terra e trascinare carri. Il Bufalo si adopera nella campagna 
di Roma pei lavori di agricoltura ‘. 

La sua pelle è eccellente per fare vestiti che resistono alle 
armi taglienti, ma, siccome s’ impregna molto facilmente d’ a- 
cqua, è poco acconcia a fare suole di scarpe. L’ introduzione 
del Bufalo in Italia ed in Grecia data solo dal medio evo. 

Giova considerare come una semplice varieià di questa spe. 
cie l’ Arni, le cui corna sono grandissime, lunghe cinque 
piedi circa, come corrugate sulla loro concavità e appiattite 
allo innanzi. Si trova principalmente nelle alte montagne del- 
l’Indostan. 


Il Bue, il Toro e la Vacca. — Veniamo al Bue propriamente 
detto. 

Il maschio e la femmina di questa specie sono il Toro e la 
Vacca. Il Bue non è altro che un Toro al quale si sono tolti 
gli attributi del suo sesso, onde renderlo più docile, più man- 
sueto e più acconcio allo impinguamento. 

Il Toro cammina alteramente alla testa della mandra di 
vacche, annunziando il suo arrivo con un gran muggito, quando 
questi animali vanno a prendere possesso d’un pascolo. Se, 
nello stesso pascolo, si incontrano due mandre di vacche gui- 
date ciascuna dal loro toro, i due maschi si staccano e si 
avanzano l’ uno contro l’ altro, stuzzicati da gelosia. Vengono 
all’assalto colla testa e le corna, ripetendo i cozzi e non ces- 
sando di combattere finchè il bifolco non li separi, o il più 
debole non sia costretto di cedere al più forte. 

Il toro non è dunque che uno stallone, dedicato alla riprodu- 
zione. Il suo carattere ombroso, selvaggio, talora anco violento 
non permette di adoperarlo, come si fa col Bue, nei lavori del- 
l’ agricoltura; e d’altronde la sua carne asciutta e nervosa, lo 
fa considerare molto inferiore pel macello. Quindi non si ten- 
gono maschi interi che quel tanto che è puramente necessario 
per conservare la specie in istato di prosperità; fin dalla 
prima gioventù la maggior parte dei Tori vengono operati per 
trasformarli in Buoi, e acquistano perciò attitudini preziose pei 
bisogni industriali, agricoli ed alimentari dell’ uomo. I ma- 


1 Il Bufalo si trova pure in Toscana e nelle Calabrie: per la sua 
forza viene tenuto in miglior conto del bue: non così per la carne: 
il latte delle femmine è scarso ma buono, e se ne fanno ottimi for- 
maggi. (Nota del Trad.) 


280 ORDINE DEI RUMINANTI 


schi giovani si dicono Vitelli, e le femmine giovane Gio- 
venche. 

Alle foci del Rodano, dalla città di Arles fino al Mediterraneo, 
esiste una vasta pianura paludosa interrotta da boschi, e fatta 
dai depositi successivi del fiume: questo luogo è la Camargue. 
Grandi mandre di Tori vivono in istato quasi al ‘tutto selvag- 
gio in queste pianure umide ed in questi boschi solitari. I Tori 
della Camarga, tutti di color nero e di statura mezzana, hanno 
grandi corna aguzze. Sono d’indole selvatica, agilissimi e moltò 
robusti: ciò li rende assai pericolosi e facili alla lotta; perciò 
si adoperano nei combattimenti di Tori, nelle corse, diverti- 
menti che amano molto i Provenzali e gli abitanti della Bassa 
Linguadoca. | 

Le mandre della Camarga sono sorvegliate da pastori detti 
gardians. Muniti di un tridente, cavalcano piccoli cavalli molto 
vivaci (cavalli Camargnhi), che pascolano come i Buoi, in'piena 
libertà, nel delta del Rodano. Verso la fine della loro vita, si 
accorda ai Tori un po’di riposo in una stalla, per quindi con- 
durli al macello, ma la loro carne è poco stimata. © 

Nell’America meridionale, particolarmente nei vasti pampas 
del bacino della Plata, si trovano pure immense schiere di 
Buoi selvatici, che discendono dai Buoi domestici che ci vennero 
introdotti dagli Europei dopo la conquista. Si uccidono quan- 
tità sterminate di questi Tori dei pampas, e se ne spediscono 
le pelli conciate su tutti i mercati del mondo, col nome di cuoto 
di Buenos-Ayres. Altre volte non si spediva in Europa che la 
pelle di questi ruminanti; ma ora si è imparato a prepararne 
la carne, per spedirla, secca e compressa, a grandi distanze. 
Si adoperano pure queste sorta di carni, per fare, secondo gli 
insegnamenti di un illustre chimico, un prodotto noto coì 
nome di estratto di carne di Liebig, il quale serve a fare istan- 
taneamente il brodo. Questo nuovo prodotto è l’ estratto con- 
centrato e secco del brodo che si prepara nei paesi dell'America 
centrale, colla carne dei Tori selvatici. Oggi l’ Europa con- 
suma una notevole quantità dell’ extracium carnis del chimico 
di Berlino. 

Ad onta di questa periodica ecatombe, il numero di Tori 
selvatici che vanno errando sul continente americano non scema 
punto, perchè la riproduzione annua compensa la. distruzione 
che se ne fa. | 

Si è consumato molto inchiostro e si è annerita molta carta 
per sciogliere il quesito intorno all’ origine del Bue; ma oggi 
non siamo molto più avanti di quello che al cominciamento della. 


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Fig. 124. Buoi al lavoro, 


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IL BUE, IL TORO E LA VACCA 283 


discussione, e dobbiamo contentarci di semplici congetture. Il 
Bue domestico discende egli da qualche specie selvatica del 
genere, come sarebbe il Bufalo o l’Auroch? Questa opinione di 
Buffon è oggi abbandonata. Dobbiamo noi cercarne il tipo pri- 
mitivo in Europa o in Asia, che fu la culla dello incivilimento ? 
Ovvero le razze bovine dell’ Oriente e quelle di Occidente non 
hanno esse una origine propria, e non saremmo troppo te- 
merari asserendo che queste derivano da quelle? Ma anche 
questo asserto non si appoggia che su dati incertissimi at- 
tinti a sorgenti troppo antiche per potersi agevolmente scru- 
tare. 

Checchè ne sia, i più remoti documenti dei tempi istorici ci 
mostrano il Bue associato all’ uomo, col cane, col cavallo e 
colla pecora. Portato in America, poco dopo la scoperta di 
quel continente, il Bue è sparso oggi su tutta la terra, e forma 
uno degli elementi più importanti della ricchezza delle popo- 
lazioni. Infatti, chi può dire a che si ridurrebbe l’ agricol- 
tura se il Bue scomparisse ad un tratto? Questo umile e 
paziente animale è il più utile ausiliare del piccolo coltivatore, 
mentre è la forza delle grandi imprese agricole. Esso ara la 
terra, trascina immensi carri pesantemente carichi; si presta 
ad ogni lavoro della campagna, e dopo quindici o sedici anni 
di una vita tanto attiva, ci fornisce, non solo la sua carne, ma 
anche le ossa, il grasso, la pelle, le corna, gli zoccoli, il san- 
gue, prodotti tutti che fanno vivere moltissime industrie. In 
compenso di tanti servigi prestati liberalmente, che cosa ri- 
chiede egli? null’altro che cure, nettezza, una stalla bene aerata, 
un cibo sano e sufficiente, che si ricava dallo stesso podere. 
Non è desso invero un animale incomparabile ? 

Il Bue non è nè tanto pesante nè tanto stupido quanto si 
| crede generalmente. 

È invece dotato di una intelligenza che, in certi paesi, l’uomo 
ha saputo sviluppare e volgere a proprio vantaggio. I popoli 
dell’ Africa australe affidano ai Buoi la guardia delle loro 
gregge, ufficio che questi docili ruminanti compiono con zelo 
ed intelligenza degna di lode. La prudenza, il sentimento del 
pericolo, sono pure qualità del Bue. Se si trova in un cattivo 
passo, per colpa sua o della sua guida, ha, per uscirne illeso, 
certi mezzi che, per ogni riguardo , valgono quelli del cavallo. 


Allevamento del Bue. — Il Bue domestico può essere consi- 
derato sotto quattro differenti aspetti, riguardo ai vantaggi che 
. la società ne ritrae: come animale da soma, vale a dire come 


284 ORDINE DEI RJUMINANTI 


produttore di forza meccanica applicata alla coltivazione della 
terra, — come produttore di latte, — come produttore di 
carne, -— finalmente come produttore di materie fertilizza- 
Unici. 


Fig. 125. Toro normanno. 


Ciò posto, è egli possibile dirigere l’ educazione del Bue in 
modo che dia il massimo prodotto, secondo questi quattro or- 
dini di servizi ad un tempo? A questa domanda, tutti gli agro- 
nomi che hanno qualche esperienza in fatto di allevamento del 


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Fig. 126. Toro brettone. 


bestiame, rispondono negativamente. Non è possibile, dicono 
essi, che queste qualità tanto varie, vigore di muscoli, abbon- 
danza di latte, attitudine ad ingrassare, ricchezza di prodotti 
fertilizzanti, siano gli attributi di un individuo o di una razza : 


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ed 


ALLEVAMENTO DEL BUE 285 


essi si escludono a vicenda, ed uno non può essere accresciuto 
se non a spese dell’altro. Una buona razza pel lavoro non può 
essere nel tempo stesso una razza eccellente pel macello. 
Quindi se si desidera svolgere una particolare attitudine, fa 


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Fig. 127. Toro della Garonna. 


d’ uopo rinunziare a svolgere le altre. In tal modo si potrà 
ottenere la perfezione in un punto, mentre che procedendo dif- 
ferentemente non si ottiene che un prodotto mediocre per ogni 


Fig. 128 Vacca bearnese. 


riguardo. Questo è il principio che deve guidare l’ agricoltore 
nell’allevamento del bestiame. 

Qual è il prodotto più utile che ci dà il Bue? Evidentemente 
la sua carne. Dunque tutti gli sforzi debbono essere diretti verso 


286 ORDINE DEi RUMINANTI 


questo scopo; questa è la meta cui deve cèrcare di giungere 
l’allevatore intelligente. 

Il problema sta nel riprodurre il più presto e il più econo- 
micamente possibile un anima!e fornito grandemente di. molta 
e di buona carne. Bisogna cercare di svolgere maggiormente le 
parti che somministrano i pezzi più scelti, che sono, pei nostri 
paesi, la groppa e la coscia. 

Secondo questo ragionamento, il tipo del Bue «da macello è 
quello di cui la massa del corpo è più grossa comparativamente: 
a quella delle membra; è quello le cui parti posteriori son 
rese più grosse a spese del collo, perchè il collo somministra 
carne mediocre, e non sarebbe mai soverchio diminuirne le di- 
mensioni sull’animale destinato al macello. 

Quali sono i segni dai quali si può riconoscere se un Bue si 
accosta all’ideale dell'animale da macello? Sono l’ AIDRIRZZA del 
petto e la lunghezza del corpo. 


« Quanto più l’animale, dice il signor Sanson, ha il torace profondo, 
comparativamente alla statura, quanto più esso è vicino a terra, come 
si dice in termini volgari, ed oltre a ciò, quanto è più lungo di corpo 
e di groppa, e spesso in tutte le parti, volgarmente bene arrotondato, 
tanto più esso è nelle condizioni atte a dare la maggior proporzione di 
carne, relativamente al suo peso assoluto 0 peso vivo » 4. 


Certi caratteri accessorii, che hanno pur essi la loro impor- 
tanza, sono parimente la prerogativa del Bue tipo destinato al 
macello. Ha ossa sottili, il capo fino, la pelle morbida, poco 
spessa, sfornità di giogaia al collo e sotto lo sterno, il pelo 
leggero, lanugginoso, la fisonomia tranquilla, lo sguardo dolce 
e sereno. Si può esser certi che il Bue che aggiunge queste 
condizioni alle precedenti, possiede attitudini speciali per un 
eccellente impinguamento. 

Dopo la carne, il prodotto più prezioso del Bue, o meglio 
della Vacca, è il latte. Infatti, il latte è una notevole sorgente 
di profitto per gli agricoltori che allevano molto bestiame. Si 
comprende dunque quanto sia importante pel compratore poter 
conoscere, a priori, sul mercato, da certi segni esterni, le qua- 
lità lattifere di una Vacca, di poter affermare, quando trattasi 
di una Giovenca, se sarà o non sarà buona produttrice di latte. 
Fu dunque con soddisfazione pari alla sorpresa, che nel 18347, 
si accolse la scoperta di un coltivatore della Gironda, France- 


1 Applications de la Zootechnie, A vol. in-8. Parigi. 


ALLEVAMENTO DEL BUE 287 


sco Guenon, che pretendeva determinare, dietro al semplice 
esame dell’ animale, la quantità e la qualità del latte che 
una Vacca è capace di produrre, come pure la durata della 
produzione del latte. Questa asserzione non era forse esagerata 
dall’ inventore di questo metodo? Avevano gl’ indizi sui quali 
egli si fondava un qualche valore scientifico? Di farne l’esame 
fu incaricata una commissione nominata dal governo nazionale 
del 1848. 

Ecco d’ onde prende le mosse il metodo del signor Guenon, 
mercante di Vacche, e coltivatore nel tempo stesso, e quindi in 
condizioni di osservare moltissimrni individui. Guenon aveva no- 
tato che, nella specie bovina, i peli della faccia posteriore delle 
mammelle sono disposti dal basso in su, invece di essere dal- 
l’ alto in giù, come sul resto del corpo; che, inoltre, questi peli 
si estendono più o meno su la regione del perineo, per modo 
da formare una figura, che si indicò col nome di stemma. Mercè 
molteplici osservazioni, Guenon in seguito si persuase che l’atti- 
tudine lattifera è in ragione della maggiore o minor grandezza 
di questo stemma, e divise le Vacche in ordini ed in classi, sc- 
condo la figura del detto stemma: asserendo di poter valutare 
esattamente, con quella sola ispezione, le attitudini di ogni Vacca. 
Ciò era esagerare un po’ il metodo ed esporsi a vedere, in certi 
casi, le proprie previsioni pienamente smentite. Questo scacco 
non mancò di prodursi innanzi alla commissione incaricata di 
esaminare il sistema di Guenon. Si dovette nondimeno riconoscere 
che questo sistema si appoggia sopra una base certa, cioè : che 
più è largo e lungo lo stemma dell’ animale, maggiore ne è 
l’ attitudine alla produzione del latte. Da ciò viene la possibilità 
di riconoscere prima, approssimativamente, osservando solo lo 
stemma, la quantità di latte che si ha ragione di aspettare da 
una Vacca '. Tenendo conto di alcune altre indicazioni, come 
il volume, la grossezza, la consistenza del capezzolo, lo svilup- 
po delle vene lattee, ecc., è raro che l’ osservatore possa ingan- 
narsi. 

Per ciò che riguarda la qualità del latte, vale a dire la mag- 
gior copia di principii grassi, Guenon ha trovato che raggiunge 
il massimo in quelle Vacche che hanno la pelle delle mammelle 
giallastra, sparsa di macchie nere o rosse, guarnita di peli 


1 Per più ampie spiegazioni vedi il libro di Guenon Choix de Vaches 
laritières. Pari,s 1847, con figure. — Un'ottima traduzione italiana di questo 


libro con note fu fatta, appena venne pubblicato in Francia, dal prof. 
Carlo Lessona. (N. del T.r) 


288 ORDINE DEI RUMINANTI 


fini, poco numerosi, e ricoperta di una sostanza untuosa che 
si distacca in piccole particelle allorchè si gratta la superficie 


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Fig. 129. Vacca di Bazaz. 


coll’ unghia. Ciò sia detto, ben inteso, per tutte le forme pos- 
sibili di stemmi. Si è riconosciuta tutta la giustezza di quest’ul- 
tima osservazione. 


Fig. 150. Buoi ungheresi. 


Lo stemma esiste nei Tori come nelle Vacche, ma nei primi 
è meno esteso e meno vario nelle forme. Anche qui deve esser 


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ALLEVAMENTO DEL BUE 291 


preso in considerazione, come caratteristico dell’ attitudine a 
procreare Vacche lattifere. 

Negli individui giovani dei due sessi, è più malagevole da 
scorgere, tanto per la sua esiguità quanto perchè sovente ne 
sono celati i margini sotto i peli fitti. che coprono la regione 
posteriore. Nondimeno, con un po’di attenzione, si può scoprir- 
velo colle forme precise che prenderà in seguito, ed allora la 
classificazione si fa agevolmente. È più spiccato sulle Giovenche 
che sui Vitelli; ma non ottiene i suoi limiti definitivi che dopo 
il secondo o terzo parto, ed allora si può distinguere bene. 

Le Vacche non danno la stessa quantità di latte in ogni tempo 
della loro vita. Non è che dopo che hanno nutrito parecchi 
Vitelli, quando sono state munte regolarmente e per lungo tempo, 
che ne forniscono maggior copia. 

In tutte le razze vi hanno le buone e le cattive Vacche lattifere; 
nondimeno la proporzione delle une e delle altre presenta una 
certa stabilità, che permette di riconoscere in certe razze una 
superiorità lattifera incontestabile. 

Il clima e la natura dei pascoli hanno una grande azione 
sulle qualità lattifere delle razze. Si può dire in modo generale 
che in Francia le migliori Vacche lattifere sono quelle che abi- 
tano i paesi di clima dolce e umido , per conseguenza le coste 
del nord e dell’ ovest. Le Vacche lattifere più stimate son quelle 
di Olanda, di Fiandra, di Normandia, di Bretagna. Tra gli indi- 
vidui che appartengono a queste razze di Vacche, taluni danno 
da venticinque a trentacinque litri di latte al giorno. 

Tra le varie razze bisogna citare quelle delle isole della Ma- 
nica, note col nome di razze di Alderney e di Jersey, la razza 
d’Ayr (Scozia), la razza di Schwitz o razza svizzera, e la razza 
del Giura, che appartiene tanto alla Francia quanto alla 
Svizzera, poichè comprende tutto il 'bestiame sparso sui due 
versanti di questa catena di monti. Quest’ ultima razza ali- 
menta le fabbriche sociali di formaggi collocate nei diparti- 
menti del Doubs, del Giura e dell’ Ain. Diamo qui rappresen- 
tate due razze francesi: le razze normanna e brettona (vedi 
fig. 125 e 126 a pag. 284). 

Veniamo ora alle razze che hanno maggiore riputazione pel 
lavoro e pel macelio, facendo però osservare che vengono ado- 
perate generalmente per ottenere entrambe queste qualità ad un 
tempo. 

Pei Buoi lavoratori, la Francia ha una superiorità incontra- 
stabile, tanto che le sue razze sono a un dipresso le sole che si 
possano menzionare per questo riguardo. Sono la razza della 


292 ORDINE DEI RUMINANTI = 


Vandea, la razza dell'Alvernia, la razza della Garonna (v. fig. 127 
a pag. 285), la razza guascona, la razza bearnese (v. fig. 128 a pag. 
285), la razza dei dintorni di Bazaz (v. fig. 129 a pag. 288), la razza 
della Camarga, le razze del Maine e del Morvan, le quali per sfor- 
tuna vanno scomparendo, infine la razza algerina. 

L’ Inghilterra invece è prima fra tutte le nazioni pei suoi 
Buoi da macello; ciò che del resto è naturale, quando si riflette 
all’amore che ogni buon Inglese ha pel rosbif. La più celebre 
fra le razze britanniche è quella di Durham, o razza dalle corna 
corte; introdotta sul continente, ha dato, mercè intelligenti in- 
crociamenti, prodotti stupendi. È la più precoce di tutte le bo- 
vine: la maggior parte degli individui che ne fanno parte sono 
adulti dall’ età di tre anni, mentre il Bue, nelle sue condizioni 
naturali di sviluppo, non è formato compiutamente che all’ età 
di sei anni. 

Vengono in seconda linea le razze di Mereford, di Devon, di 
Dishley, di Angus (Scozia) o razza senza corna, del West-Hingland 
o delle alte terre di Scozia; poi, sul continente, la razza unghe- 
rese (vedi fig. 130 a pag. 288), notevole per le sue lunghe corna, 
che è propria dei bacino del mar Nero, e la razza del Charolais, 
la quale, circoscritta dapprima ai dintorni di Charolles (Sonna 
e Loira), si è andata estendendo in tutto il bacino della Loira 
e tende a sostituirsi ovunque alle razze del Maine e del 
Morvan. 

Talune di queste razze sono rappresentate nelle figure da noi 
poste sotto gli occhi del lettore. 


Le razze bovine in Italia!. — Tutta l’Italia, per dirla col Bru- 
gnone, è ricca di bestie bovine d’ogni qualità, corporatura, sta- 
tura, mantello, secondo le diverse provincie. 

Le varie razze bovine delle numerose provincie italiane, seb- 
bene molto diverse fra loro, si possono ridurre a due tipi carat- 
teristici ben noti, quello della pianura e quello della montagna. 
Variamente modificati amendue a seconda delle località in cui 
si propagano, conservano pur sempre i caratteri essenziali dello 
stipite da cui provengono, che vuolsi sia l’ ungherese, conside- 
‘ rato dai Tedeschi come il prototipo della specie bovina. 

I bovini domestici della Romagna sono piuttosto snelli, ben 
proporzionati, sciolti e vivaci nei movimenti: lavorano molto 
bene, ma danno carne mediocre, e le femmine non sono fra le 


1 Questo capitolo fu aggiunto da noi per la presente edizione ita- 
diana. 


LE RAZZ8 BOVINE IN ITALIA 293 


migliori lattifere: hanno ordinariamente pelame grigio cenerino 
uniforme. 

La razza parmigiana viene paragonata da Huxore a quella di 
Schwitz, dichiarandola di più elevata statura. Il prof. Carlo Les- 
sona considera le razze bovine del Parmigiano siccome molto 
atte al lavoro, alla produzione della carne e del latte, e ciò in 
rapporto ai ricchi pascoli ed ai foraggi di quella provincia. Quelle 
razze hanno statura elevata, mantello fromentino zaino; in 
montagna gl’ individui son meno alti, meglio lavoratori e più 
grossi d’ossa. 

La razza di Reggio nell’ Emilia, secondo quanto si legge negli 
scritti dello stesso prof. Carlo Lessona, che con lungo studio si 


i CALENABSI 


Fig. 152. Toro di Val di Chiana in Toscana. 


è occupato degli animali domestici italiani, ha statura più ele- 
vata della Parmigiana, forme più allungate, pelame d’ordinario 
fromentino chiaro; è parimente buona pel lavoro, la carne ed 
il latte. 

In Toscana taluni considerano i vari bovini siccome appar- 
tenenti ad una sola razza, altri ammettono varie razze distinte. 
Le bovine Maremmane son molto atte al lavoro, ma producono 
solo mediocre la carne. Hanno statura mezzana, testa ben con- 
formata, pelame bianco. Le bovine di Val di Chiana it) 
hanno altissima statura, testa e corna piccole, collo sottile ed 
elegante, corpo lungo e smilzo, pelo morbido e fino, bianco, con 
macchie nere sovente al collo. Secondo alcuni scrittori, la razza 
francese del Charolais, sopramenzionata, avrebbe avulo origine 
da queste bovine bianche di Val di Chiana. La razza Pisana è 


294 ORDINE DEI RUMINANTI 


molto pregiata per la buona carne, e la copia del latte; ma val 
poco al lavoro. La razza nera Toscana, che probabilmente de- 
riva da incrociamenti con razze svizzere, è pregiata per la carne, 
ma sovratutto per la copia del latte. 

Nelle provincie Meridionali si trovano tre razze ben distinte. 
La razza ordinaria della pianura, comune nelle Puglie, nella 
terra di Lavoro, nella Basilicata, ed in alcune parti dell'Abruzzo, 
è sovratutto utile pel lavoro; dà però anche una discreta copia 
di latte, con cui si fanno ottimi formaggi. La razza scelta della 
pianura trovasi comunemente in Terra di Lavoro, nei dintorni 
di Napoli e nelle provincie limitrofe: non si cerca altro da 
questi animali che il lavoro, a cui sono atti a meraviglia per 
la grande robustezza e l’ indole mite. Son meno brutti, con 
pelame per lo più candido e lucente. La razza di montagna dà 
pure bovini eccellenti pel lavoro, mediocri pel latte e la carne: 
son piccoli, piuttosto diversi di forme, con pelame bigio o nero 
pezzato: trovansi nelle montagne dell’ Abruzzo, dell’ Avellinese, 
della Calabria e della Basilicata. 

Le bovine della Sicilia hanno statura elevata e molta attitu- 
dine al lavoro: non sono senza pregio anche pel latte. Si di- 
stinguono a colpo 4° occhio per la smisurata lunghezza delle 
corna; hanno sguardo vivace, e pelame fulvo più o meno scuro. 
Oltre a questa razza se ne trova un’altra di statura più piccola, 
molto atta al lavoro, meno pregevole pel latte, ed anche meno 
per la carne. 

In Sardegna le bovine hanno statura piccola, corpo breve, 
corna lunghe ed aguzze, generalmente pelame morello: sono 
consuetamente macilente, poco atte al lavoro ed alla produzione 
del latte, danno carne mediocre. 

Secondo la maggior parte degli scrittori, la Lombardia non 
possiede veramente una razza propria e particolare di animali 
bovini. E gli individui molto pregiati che si trovano in quella 
ricca provincia provengono generalmente dalla Svizzera, dalla 
Germania, e dal Piemonte. 

In Piemonte si trovano varie razze di animali bovini, e varie 
sottorazze più o meno bene caratterizzate. 


Razza della pianura. — I migliori bovini di questa razza tro- 
vansi nei contorni di Sommariva, Sanfrè, Racconigi, Vigone, 
Brà, Savigliano, Caramagna, ed anche Fossano. Hanno statura 
elevata, testa quadrata, occhi vivaci, sguardo mansueto, corna 
piuttosto lunghe e ricurve, collo alquanto voluminoso, corpo 
lungo, ossatura grossa, ed estremità lunghe: mantello per lo 


LE RAZZE BOVINE IN ITALIA 295 


più fromentino chiaro, o bianco; sono rarissimi i morelli ed i 
pezzati, siccome già notava il Brugnone. Si possono allevare 
con grande vantaggio tanto al lavoro quanto alla produzione 
della carne, come a quella del latte. Le Vacche, belle e mem- 
brute, possono lavorare come i Buoi. 


Razza di Demonte. — Questa razza ha statura più piccola della 
precedente, ha testa ben conformata, corpo tarchiato, raccolto 
e piuttosto corto, pelame ordinariamente rosso carico o bruno; 
viene apprezzata principalmente pel copioso buon latte. 


Razza di montagna. — Questa razza val molto meno delle al- 
tre due, ma in alcune località rende servigi abbastanza impor- 
tanti. Ha statura piccola; forme meno eleganti, anzi grossolane; 
pelle fitta e resistente; pelame grossolano, bigio, molto spesso 
cinerino. 

Oltre altre razze sopranominate, si trovano molte sottorazze 
che si collegano colla razza della montagna più che non colle 
altre. 

Ma i bovini che trovansi nei paesi di collina non spettano 
tutti alle sottorazze montanare, perchè gli allevatori hanno sa- 
puto introdurre ed allevare in molte colline, massime del Mon- 
ferrato e nell’ Astigiano. ed anche nelle Langhe, il vero tipo 
della pianura, che coll’ andare delle generazioni perde là al- 
quanto della statura, ma acquista sveltezza, ed attitudine al la- 
voro ed alla produzione della carne. 


Sottorazza d’ Aosta. — I bovini d’ Aosta sono più atti e più 
massicci di quelli della Savoia, sono tenuti in conto di buoni 
produttori di latte, e di non ispregievole carne: hanno corna 
lunghe ed aguzze, pelame generalmente morello, o rosso bruno, 
ed anche pezzato. 


Sottorazza delle Valli di Pinerolo. — Si trovano in queste valli 
bovini di statura mediocre e talora piccola, discretamente atti 
alla produzione del latte ed al lavoro. Hanno corpo raccolto e 
ben fatto, corna corte e grosse, testa ben conformata, pelame 
grigio o fromentino. Impinguano facilmente, ma danno carne 
mediocre. 


Sottorazza del Canavese. — I bovini di questa sottorazza sono 
piuttosto piccoli, ottimi lavoratori, e resistenti alla fatica, me- 
diocri produttori di carne e di latte. 

Buoni in generale sono questi bovini nelle valli di Lanzo e 
di Pont, in rapporto cogli ottimi pascoli, e di là si hanno spe- 


296 ORDINE DEI RUMINANTI 


cialmente i vitelli da latte che in gran numero si macellano 
in Torino. Questi bovini hanno conformazione abbastanza rego- 
lare, testa non molto voluminosa, corna ordinariamente Do 
e corte, pelame vario, spesso, bigio o fromentino. | 

Trovansi inoltre nella Lomellina sottorazze che non discen- 
dono, come le precedenti, dalle razze della montagna, bensì da 
quelle della pianura: danno Buoi alti e grossi e SATA - 
le femmine buon latte. 

Nell’ alto e basso Monferrato, nell’ Alessandrino, nel Torto. 
nese, su quel di Bobbio e di Vigevano, avvi copia di bestiame 
bovino, ordinariamente piccolo, in rapporto colla siccità dei 
pascoli e lo scarseggiar dei foraggi. 


Tribù dei Ruminanti dalle corna decidue. — Il carattere che 
distingue gli animali di questo gruppo sta nel modo in cui 
sono costrutte le protuberanze frontali, nella loro forma e nel 
loro modo di accrescimento. Queste corna sono ossee, massiccie, 
più o meno ramificate, e sprovviste di quell’ invoglio corneo 
che esiste in tutti i Ruminanti cavicorni. Queste corna cadono 
e si rinnovano periodicamente ogni anno, oltre una certa età; 
onde il nome di Ruminanti dalle corna decidue. | 

Nell’ animale adulto il corno è fatto di uno stelo cilindrico 
o piatto, secondo i generi, sul quale si impiantano, di tratto in 
tratto, steli più sottili e più corti, detti rami. La base dello 
stelo è circondata da un giro di piccole protuberanze ossee, che 
danno passaggio ai vasi sanguigni destinati a produrre iS accre- 
scimento delle corna. 

Quali sono le varie fasi dello sviluppo delle corna? Dan 
sì veggono comparire sulla fronte del giovane animale due pic-. 
cole protuberanze, sopra ognuna delle quali sorge in breve un 
prolungamento cartilaginoso che non mette molto ad ossificarsi. 
Questi due primi rami son protetti fino ‘alla piena solidifica- 
zione da una pelle vellutata contro ogni sfregamento esterno, 
e questa pelle serve di veicolo alla materia calcarea, e si dis- 
secca appena terminata l’ ossificazione. 

L’animale se ne libera fregandosi il capo contro li alberì. 
Sul principio del terzo anno cadono le prime corna; ma qual- 
che tempo dopo vengon sostituite da altre più lunghe, che hanno 
una prima diramazione. 

Ogni anno, ad un certo tempo, subito dopo_il tempo. degli 
amori, le corna cadono, e quando tornano a spuntare mettono 
una diramazione di più, finchè siano sul limite del numero 
proprio ad ogni specie. 


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FicuieR. I Mammiferi. 38 


Fig. 155. Renne. 


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RUMINANTI DALLE CORNA DECIDUE 299 


È un fenomeno assai curioso quello della caduta e del rina- 
scimento periodico di queste ramificazioni ossee, talora svilup- 
patissime. Sembra che dovrebbero passare parecchi anni per 
produrre corna di cosiffatte dimensioni; tuttavia tornano ad 
essere belle e compiute nello spazio di poche settimane. La 
spiegazione di questo fatto è semplicissima. La pelle che rico- 
pre, sul principio, il corno dell’animale, è percorsa da un gran 
numero di vasi sanguigni che vi portano il fosfato di calce 
necessario alla solidificazione della parte ossea. Finchè il corno 
non abbia ottenuto l’ accrescimento che deve avere ogni anno, 
questa pelle continua a ricevere il flusso sanguigno, continua 
a vivere e a perdurare. Ma appena l’accrescimento è compiuto 
e l’ossificazione è terminata, le protuberanze ossee della base 
aumentano in numero e in dimensione, strozzano i vasi e ar- 
restano il fluido che l’ alimenta. Allora la pelle si dissecca e 
si distacca dal corno, il quale, messo così allo scoperto, e non 
ricevendo più alcun nutrimento, deperisce a sua volta man 
mano, si caria, come suol dirsi, e dopo alcuni mesi cade, per 
rinascere poi nella prossima stagione. 

Le corna sono l’attributo esclusivo dei maschi in tutti i Ru- 
minanti a corna decidue, tranne la renna. Non si può porre 
in dubbio che esiste una relazione tra gli organi della genera- 
zione e questi ornamenti; perchè cadono in seguito alla debo- 
lezza che risulta, pei maschi, dai rapporti sessuali; e mediante 
la castrazione si può prolungarne la durata. È probabile che 
le funzioni particolari proprie delle femmine, gestazione, parto, 
allattamento, divergano i fluidi nutrienti dal capo, per portarli 
verso altri organi, e che questa sia la ragione fisiologica che 
priva le femmine di corna. Ciò che rende verosimile questa 
ipotesi si è che sovente si veggono prodursi corna nelle fem- 
mine infeconde.. 

Quasi tutti i membri di questa famiglia sono notevoli per 
l’ eleganza «delle forme, per la nobiltà degli atteggiamenti, per 
la grazia e vivacità dei movimenti, la finezza delle membra e 
la velocità sostenuta della loro corsa. Hanno la coda cortissima, 
le orecchie mezzane e appuntite. Le narici stanno per solito 
nella parte carnosa del muso; il loro sguardo è sereno e pieno 
di dolcezza. Nella maggior parte delle specie si osserva sotto 
l’ angolo interno dell’ occhio una fossetta, chiamata lacrimatoto, 
che non è altro che una sorta di ghiandola che secerne un 
umore più o meno abbondante. Questo non ha, come potrebbe 
far credere il suo nome, l’ ufficio di produrre lagrime. 

Il pelame dei Ruminanti dalle corna decidue è generalmente 


300 ORDINE DEI RUMINANTI 


di color fulvo o bruno. È fatto di peli rasi, fitti e facili da rom- 
persi, che nelle freddissime regioni dell’estremo nord divien di 
natura lanosa, specialmente d’ inverno. 

Questi ruminanti vivono in piccoli branchi o in grandi frotte 
nelle foreste, sia in pianura sia sui monti, cibandosi di foglie, 
di gemme, di erba, di musco, di scorza d’ alberi, ecc. Sono 
sparsi su tutta la superficie del globo, dalle contrade più fredde 
alle più calde. La renna e l’alce sono propri delle regioni 
boreali dei due continenti; invece le numerose specie dei cervi 
sono distribuite nei paesi temperati o caldissimi. 

La famiglia dei Ruminanti dalle corna decidue comprende i 
tre generi Renna, Alce e Cervo, distinti per la forma e lo svi- 
luppo delle corna. 


Genere Renna. — Le corna della Renna presentano una dispo- 
sizione caratteristica, per cui l’animale si riconosce agevol- 
mente. Lo stelo principale, cilindrico e cortissimo, dà origine 
a due rami notevoli, di forma piatta, l’ uno dei quali, il più 
lungo, sale a spira in su, e termina in un numero indetermi- 
. nato di ramicelli; mentre l’altro, che si dirige orizzontalmente 
sopra il muso, è meno fornito alla sua estremità di queste piccole 
diramazioni. Ben inteso, non si parla qui che di una confor- 
mazione generale di queste corna, in certo modo di un tipo, 
che può variare all'infinito, senza che le forme principali ces- 
sino di esistere. 

Abbiamo già detto che le corna non sono nella Renna l’attri- 
buto esclusivo del maschio; anche la femmina ne ha, ma di 
minori dimensioni. Queste corna nel maschio prendono talora 
dimensioni invero straordinarie: si sono vedute corna di Renna 
che erano lunghe oltre un metro. In otto mesi, questo orna- 
mento naturale si rifà compiutamente; nelle femmine bastano 
cinque mesi. I maschi e le femmine sterili perdono le corna 
nel mese di ottobre; invece le femmine fecondate non le depon- 
gono che al mese di maggio quando stanno per partorire. 

La Renna (fig. 133) ha la statura a un dipresso del cervo 
d’ Europa, ma ha forme più tozze. Il suo capo è largo e rasso- 
miglia un poco a quello del bue; non ha il muso carnoso, e 
le narici stanno in mezzo ai peli. Le gambe, abbastanza fine, 
sebbene meno sottili di quelle del cervo, terminano con piedi 
robusti, ricoperti al tutto di peli duri, anche sotto, circostanza 
che agevola singolarmente l’ andatura dell’ animale sul ghiaccio 
e sulla neve indurita. Il suo pelo è ordinario, di un bruno 
grigiastro, e si allunga un tantino sotto la gola; all’ inverno 


GENERE RENNA 301 


divien lanoso e sovente anche bianco. Una precauzione della 
natura che non è mai ammirata abbastanza, è quella che si 
osserva destinata a proteggere l’ occhio della Renna contro 
l’ abbagliante candidezza della neve: una terza palpebra nitti- 
tante può ricoprire, a piacimento dell’ animale, tutto il globo 
dell’ occhio. 

La Renna abita le solitudini gelate del polo artico ed i paesi 
più settentrionali in cui l’uomo ‘abbia’ posto dimora. Si trova 
allo Spitzberg, nella Groenlandia, nella Lapponia, nella Finlan- 
dia e in tutto il nord della Russia, in Siberia, in Tartaria, 
finalmente al Canadà e in tutte le isole vicine, ove è comunis- 
sima. In Russia scende talora fino ai piedi del Caucaso. 

La Renna è un animale prezioso per le popolazioni misere 
che son sparse lungo il circolo polare. 

Senza la Renna, non sarebbe possibile l’esistenza in quei 
rigidi climi. Non si può avere una idea esatta dei servizi che 
rende a certi popoli settentrionali, specialmente ai Lapponi. 
Pel Lappone la Renna è ad un tempo cavallo, bue, e pecora. 
Infatti, addomesticata, sì aggioga come un cavallo da tiro, e 
trascina rapidamente slitte e vetture, anzi è più veloce di un 
cavallo, sebbene corra sulla neve e sul ghiaccio. Sopra un ter- 
reno piano può percorrere da sette a otto leghe all’ ora; ma 
la sua andatura ordinaria è di quattro a cinque leghe. Vedesi 
nel palazzo del re di Svezia l’immagine di una Renna che 
condusse un ufficiale, incaricato di dispacci pressanti, alla di- 
stanza di trecentoventi leghe in quarantotto ore, ciò che rap- 
presenta una velocità costante di sei leghe e mezzo all’ ora. 
L'animale cadde morto all’arrivo. 

La bardatura della Renna e il modo di condurla sono dei 
più semplici. Le si attacca un collare di pelle, d’ onde scende 
un’asta di legno che passando sotto il ventre va ad attaccarsi 
a un foro praticato sul davanti della slitta. Le redini son fatte 
di una semplice corda, legata alla base delle corna dell’animale 
e che il conduttore gli lascia cadere sul dorso, a dritta o a si- 
nistra, secondo vuol fargli mutar direzione. Siccome il veicolo 
è leggerissimo, si viaggia rapidamente. in questa foggia, ma non 
sempre senza il pericolo di rompersi il collo; perchè ci vuole 
una grande abitudine a questa sorta di locomozione per non 
rovesciare nei punti più scabrosi. Il Lappone è maestro in 
quest'arte. 

Diamo qui (fig. 135) una slitta tirata da Renne presso i 
Samoiedi. 

Non abbiamo ancora fatto menzione della qualità veramente 


302 ORDINE DEI RUMINANTI 


importante di questo ruminante dei paesi artici. La femmina 
somministra un latte migliore di quello della vacca, e da esso 
si ricava burro e formaggio di .buonissimo sapore. La sua 
carne, che è squisita, costituisce una sostanza alimentare pre- 
ziosa, quasi l’ unica nelle regioni polari. Il suo pelo fornisce 
una fitta e buona pelliccia, e la pelle si può mutare in cuoio 
pieghevole e forte, che serve a fabbricar scarpe solidissime. 
Coi peli ispidi dei suoi piedi si ricoprono le suole delle scarpe 
per impedirle di scivolare. I lunghi peli del collo si adoperano 
per cucire, mentre i suoi tendini somministrano un filo resi- 
stente. Colle corna vecchie della Renna si fanno vari utensili, 
come cucchiai, manichi di coltello, ecc., e quando le corna son 
più giovani se ne estrae la gelatina facendole bollire nell’ acqua. 
Gli escrementi stessi di questo animale quando sono disseccati 
formano specie di formelle acconcie per combustibile. Certi 
popoli traggon partito anche dei licheni rammolliti che contiene 
il suo stomaco. Gli Eschimesi ed i Groenlandesi uniscono a 
questi licheni carne triturata, sangue e grasso, e ne fanno un 
miscuglio di cui son ghiottissimi, I Tungusi, o abitanti nomadi 
della Siberia, vi aggiungono bacche selvatiche, e ne fanno una 
sorta di galletta che amano molto. 

Docile e mite, la Renna è divenuta la compagna indispen- 
sabile dei popoli del nord. Il più miserabile Lappone possiede 
almeno qualche paio di Renne; i più ricchi ne hanno mandre 
immense di quattro o cinquecento individui, talora di varie 
migliaia. Durante il giorno si portano a pascolare; la notte 
vengono rinchiuse entro stalle, oppure si lasciano fuori in un 
recinto che le mette al riparo dalle aggressioni degli animali 
selvatici. Queste mandre richiedono una grande sorveglianza, 
essendo la Renna assai propensa a ritornare alla vita selvatica 
allorchè le si lascia la libertà di farlo. Tutti gl’ individui che 
la compongono portano la cifra del proprietario, per modo che 
sì possano riconoscere quando si smarriscono nei boschi, Op- 
‘ pure allorchè le mandre si mischiano. i ( 

Il sentimento della socievolezza spinge le Renne selvatiche 
a riunirsi in grandi frotte che mutano di clima secondo le 
stagioni. D’ inverno discendono nelle pianure o nelle valli, si 
riaccostano alle spiaggie del mare e si nutrono di licheni che 
sanno scoprire meravigliosamente sotto la neve, scavandola coi 
piedi e colle corna. In estate salgono sui monti, per andare a 
brucare le gemme e le foglie degli alberi. 

Sono anche spinte a queste migrazioni dal desiderio di sot- 
trarsi alle punture dei tafani e degli estri, che le fanno soffrire 


GENERE RENNA, GENERE ALCE i 303 


+ moltissimo. Questi ultimi insetti poi scelgono il momento della 
muta per deporre le loro uova alla superficie della pelle del 
«quadrupede; le larve dopo nate, penetrando molto profonda- 
mente sotto l’ epidermide, cagionano dolori acutissimi. 

In tutti i paesi ove sonvi Renne selvatiche si fa loro guerra 
accanita. Per la loro caccia si sceglie il tempo in cui emigrano, 
vale a dire la primavera e l’ autunno. Allora sono esposte tutte 
ai colpi di quelli che stanno in agguato, e si può farne una 
vera carnificina. Siccome debbono sempre attraversare un fiu- 
me o parecchi, colà il cacciatore le aspetta , avendo ben cura 
di celarsi ai loro sguardi. Appena sono nell’ acqua gli uomini 
‘sì precipitano in una barchetta per inseguirle, e sebbene la 
Renna nuoti con molta agilità, pure se ne uccide un numero 
notevole. La caccia d’autunno frutta più di quella di prima- 
vera: prima di tutto perchè questi animali son molto più grassi 
alla fine dell’ estate che non dopo l’ inverno; poi, perchè i corsi 
d’acqua, allora al tutto sgelati, rendon più certa la loro cattura 
facendone più difficile la fuga. 

Il freddo estremo è necessario all’ esistenza della Renna. 
Portata in paesi caldi o solo temperati, vi perisce, e non vi si 
riproduce. Dalla fine dello scorso secolo, il Giardino zoologico 
del museo di storia naturale di Parigi ne ha posseduto un certo 
numero. i 

Nel dramma les Exilés, rappresentato a Parigi nel 1876 al 
teatro della Porta San Martino, si vedeva una coppia di renne 
attraversare la scena attaccate ad una slitta. 

Genere Alce. — L’Alce (fr. Elan), come la Renna, si distingue 
pel carattere particolare delle sue corna. Non vi si osservano 
piccole diramazioni nè alla base nè nel mezzo, dalla origine si 
‘espandono in una superficie larga, che termina con una serie 
di frastagli assai profondi. Queste corna son fatte di un tessuto 
compattissimo , e in conseguenza sono molto pesanti; il loro 
peso negli adulti giunge fino a venticinque chilogrammi. Per 
‘sostenere una cosifatta massa, era necessario un collo forte € 
massiccio; quindi si rimane colpiti, esaminando l’ Alce, della 
‘cortezza e dello spessore di questa parte del suo corpo. È il 
più grande degli animali della famiglia dei Ruminanti dalle 
‘corna decidue: la sua statura non è minore di quella del ca- 
vallo. Per sfortuna, non ha forme graziose, e manca di agilità. 
La parte anteriore è più alta di quella posteriore. Il suo capo, 
voluminoso, termina in un muso rigonfio, ove non esiste la 
| parte carnosa, e nel quale son forate larghe narici. Il labbro 


LI 


304 ORDINE DEI RUMINANTI 


superiore, lungo e mobile, costituisce un istrumento dilicatissi- 
mo di tatto e di prensione. Questa particolare organizzazione 
aveva dato origine nell’ antichità alla credenza che l’Alce non 
possa brucare che a ritroso. Il suo pelame, composto di peli 
grossolani, duri e facili da rompere, formano una piccola ‘cri- 
niera sulla nuca e lungo la spina dorsale. Sotto la gola, lunghi 
peli neri formano una specie di barba che ricopre, nel maschio; 
una forte prominenza.Il colore generale del pelame è un bruno: 
più o meno oscuro, secondo la stagione. DHIISO, II 
L’ Alce (fig. 134) abita, come la Renna, le parti settentrionali 


Fig. 134. Alce. 


dei due continenti; ma sale meno e discende più in basso : non 
si trova mai al di là del circolo polare. In Europa è sparsa in 
una parte della Scandinavia, della Prussia, della Polonia e della 
Russia. Altre volte viveva in tutta la Germania, e Giulio Cesare 
ne ha parlato come esistente in quella sterminata foresta Ercinia, 
di cui non si conoscevano i confini. La Siberia, la Tartaria ed 
il nord dell'Impero cinese sono i paesi dell'Asia ove s'incontra 
l’ Alce; in America abita, finalmente, al Canadà e nelle regioni 
vicine agli Stati Uniti. : 

Quest’ animale nuota agevolmente e ama molto l’ acqua; 


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Fig. 155. Renne che tirano una slitta presso 


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GENERE ALCE 307 


quindi riman per solito, tranne durante le inondazioni, nelle 
foreste umide e nei siti paludosi. In estate s’' immerge tutto, 
meno il capo, nell'elemento liquido, per ripararsi dalle punture 
dei tafani. Non ne esce quasi mai, nutrendosi delle erbe che 
stanno in fondo all’ acqua. Pascola con difficoltà sulla terra a 
cagione della brevità del suo collo; per giungeivi deve ingi- 
nocchiarsi, o allargare le gambe anteriori. Perciò preferisce le 
giovani gemme, i germogli e la corteccia degli alberi. In tal 
modo somministra ai cacciatori un indizio sicuro della sua 
presenza: la nudità degli alberi svela il suo passaggio. 

L’ alce vive in piccole famiglie, composte di un maschio, di 
‘parecchie femmine, e dei piccoli nati nell’ anno. Le femmine 
la prima volta partoriscono un piccolo solo, e in seguito sem- 
pre due alla volta; curano la loro figliuolanza e la proteggono 
contro le aggressioni dei loro nemici. 

Questo ruminante ha l’ udito e l’ odorato sviluppatissimi, il 
che gli permette di sfuggire in tempo a quelli che lo inseguono. 
Trotta abbastanza rapidament:, anche in mezzo alle fitte nevi 
che coprono la terra durante l’ inverno, e fa sentire allora lo 
stesso rumore della renna. Fugge l’uomo, e indietreggia in 
faccia alla civiltà. Quando è messo alle strette e non vede altro 
scampo che la morte in una - osizione disperata, allora si di- 
fende coraggiosamente. In quel punto critico non è agevole 
l’accostarlo senza pericolo: perchè un calcio ben dato può far 
morire l’imprudente aggressore. 

Nel continente antico come nel nuovo , l° Alce è il punto di 
mira di una guerra senza posa. S’ insegue come il cervo, con 
mute di cani e moltissimi cacciatori. Talora i selvaggi Indiani 
lottano di velocità con essa sulla neve; si calzano con certe 
calzature di legno di larghissima base che li sostengono sul 
suolo scivolante, mentre l’animale si affonda fino al petto; 
dopo una corsa più o meno lunga lo raggiungono e lo feriscono 
con un’ arma fatta di un osso aguzzo confitto in cima ad un 
bastone. Oppure lo adescano imitando il suo grido, e gli scoc- 
cano contro le loro frecce quasi a colpo sicuro, badando bene 
di mirare il capo, perchè conoscono quanto la sua pelle sia 
dura, e la resistenza che opporrebbe ai loro colpi. 

Fra i carnivori, i nemici dell’ Alce sono gli stessi di quelli 
della Renna: gli orsi, i lupi e i ghiottoni. 

L’ Alce è d’indole dolcissima; si addomestica agevolmente e 
il più compiutamente possibile. Conosce la persona che l’ha 
allevata, la segue come un cane, e manifesta la sua gioia 
quando dopo una lunga separazione la rivede. Si aggioga tanto 


308 ORDINE DEI RUMINANTI 


bene quanto la renna, e corre con certa velocità. Due o tre 
secoli fa, si adoperava anche a quest’ ufficio in Isvezia; ma ciò 
adesso non si fa più. La sua carne ha un sapore buonissimo ed © 
è molto nutriente; la pelle, il pelo, le corna si adoperano molto 
utilmente. Non si comprende dunque perchè non siasi fatto 
nessun tentativo per addomesticare un animale tanto prezioso 
nei climi ove può vivere, e sottrarlo quindi alla distruzione che 
minaccia di distruggerlo in un tempo più o meno lontano. 


I Cervi. — Il genere Cervo comprende moltissime specie, 
sparse nelle regioni calde e temperate dei due continenti. 

Notevoli per la grazia, l’eleganza, la leggerezza delle forme e 
dei movimenti, hanno per carattere comune di avere un muso 
carnoso, o spazio nudo, nel quale stanno le narici. Queste spe- 
cie differiscon tra loro per la forma delle corna e pel colore del 
pelame, il quale è talora di tinta fulva, uniforme in tutte le età, 
talora sparso di macchie bianche nella prima gioventù, talora 
anche macchiettato per tutta la vita. Le principali specie sono 
il Cervo comune, il gran Cervo del Canada, o Wapiti, il Cervo di 
Virginia, il Cervo axis, il Cervo cinghiale, il Daino, ed il Caprio- 
lo. Il Cervo Comune (fig. 136) è uno dei piu begli animali di Eu- 
ropa. Esso è l’ornamento delle nostre foreste, delle quali è per 
così dire la vivente personificazione, per le corna maestose che 
gli adornano il capo. Ha la statura a un dipresso del cavallo; 
il suo pelame, che muta nelle varie stagioni, è bruno fulvo in 
estate, e diviene d’inverno di una tinta grigiastra. Naturalmente 
dolce, timido, teme la presenza dell’ uomo, e fugge al più 
piccolo rumore. Invece quando nulla lo inquieta mostra nei 
suoi movimenti una grande indolenza, che contrasta colla sua 
straordinaria agilità. Giunto ad una certa età, e nella pienezza 
delle sue forze, ama la solitudine: si rintana per tutta l’estate 
nella bassa boscaglia, non uscendo che la notte per cercarsi il 
nutrimento. Si ritira sempre nel fitto della foresta per ripo- 
sarsi e digerire tranquillo. Nel tardo autunno si riaccosta alla 
pianura, s’introduce negli orti malchiusi, e ladro notturno viene 
a saziarsi delle frutta che sono cadute dagli alberi. Se la 
raccolta e scarsa l’accresce drizzandosi lungo il tronco, e ado - 
pera le corna a guisa di bacchetta per far cadere le frutta 
mezzo mature. 

Si nutre ordinariamente di erbe, di foglie, di frutta, di gemme. 
Durante l’ inverno non v’ ha nulla di tutto ciò; allora il 
Cervo si volge ai muschi, alle eriche, ai licheni. Quando la 
neve ricopre il terreno, si appiglia tranquillamente alla cortec- 


“I CERVI 209 


cia degli alberi. In questo tempo i Cervi si raccolgono in nu- 
merose truppe, sotto gli altissimi tronchi degli alberi, nei iuoghi 
più riparati del bosco, e si stringono gli uni presso agli altri 
per riscaldarsi. 

Verso i primi giorni di settembre si opera un grande muta- 
mento nel carattere e nel modo di vivere del Cervo; è il mo- 
mento in cui va in amore. Gira pel bosco mandando sonori 


Fig. 156. Cervo comune. - 


muggiti. Eccitato, quasi furibondo, corre per ogni verso, con 
piglio convulso, solcando il suolo col piede, quasi fosse in- 
vaso da febbre, dando del capo contro i tronchi e facendo strage 
del fogliame. Si direbbe che ha perduto ogni timore del pe- 
ricolo, perchè quando un oggetto gli appare sospetto, contro 
ogni sua consuetudine vi corre addosso come per riconoscerlo. 

Finalmente raccoglie intorno a sè un certo numero di fem- 
mine, se ne fa un serraglio per suo uso esclusivo. Tien d’oc- 


310 ORDINE DEI RUMINANTI 


chio le sue cerve molto gelosamente. Se giunge un rivale, non 
tarda a seguire una lotta senza tregua. 

I due avversari si scagliano con impeto l’uno sull’altro, e 
cercano di ferirsi a vicenda colle loro acute corna, riparando 
i colpi col capo. Talora le loro corna s'intrecciano per modo 
che non possano più separarsi. Stretti indissolubilmente l’uno 
all’ altro, i due combattenti si sforzano invano di liberarsi, e 
alcune coppie nemiche, così strettamente intrecciate, muoiono 
miseramente di fame, dopo alcuni giorni. Quando il duello ha 
avuto termine colla fuga di uno dei campioni, il vincitore rimane 
padrone delle cerve , finchè un altro competitore non lo scacci 
a sua volta, e simpadronisca del suo privilegio. 

Dopo due o tre settimane di questa vita di emozioni e di 
stanchezza, resa ancora più grave pel poco nutrimento e la 
mancanza di sonno, il Cervo è sfirito; la sua magrezza fa pena 
a vedere. Allora si allontana e si mette in disparte, e si occupa 
a ristorare le sue forze ‘esauste. Ma la stagione è avanzata, e 
solamente in primavera può rimettersi in carne. 

La gestazione della cerva dura otto mesi. Di maggio, in mezzo 
a un cespuglio, depone un solo piccolo, di rado due, col corpo 
macchiettato di bianco, sopra un fondo fulvo. Questo piccolo 
si chiama cerbiatto. Poi secondo le varie età, e le corrispondenti 
differenze nelle corna, si danno ai cervi diversi nomi nel lin- 
guaggio dei cacciatori. 

Le corna del Cervo sono cilindriche; le ramificazioni sono 
distribuite con una certa regolarità a destra ed a sinistra, in 
numero maggiore o minore, secondo l’età dell’animale. Del 
resto, a parità di anni, il numero delle ramificazioni varia nei 
Cervi, secondo l’azione delle diverse circostanze. 

Quando il Cervo ha fornito una vita di dieci anni, o circa, 
lo stelo delle corna si appiattisce e si allarga alla cima, che 
riceve il nome di palmatura; poi emette prolungamenti a foggia 
di dita, che non sono altro che le ramificazioni superiori. Se 
ne contano due, tre, quattro o cinque. In quest’ultimo caso, sì 
dice che l’animale è palmato. Quando le corna sono disposte circo- 
larmente, il Cervo porta candelabro. Soltanto 1 vecchi Cervi por- 
tano candelabro. 

Lo sguardo del Cervo è dolce. La sua vista è cattiva, ma l’u- 
dito è eccellente e l’ odorato finissimo. Le ferite - che fa colle 
corna sono pericolose. 


La caccia del Cervo. — La caccia del Cervo è, come si,sa, 
il tipo delle caccie alla corsa. Da molti secoli questa caccia è 


I CERVI 3511 


considerata come esercizio nobilissimo; e infatti porta con sè 
enormi spese, per cui fu sempre il privilegio dell’alta nobiltà. 

. Questa caccia difficilissima è in sè stessa un’arte che ha 
tutto un vocabolario speciale. Ci vuole un gran concorso di cani, 
di valletti, di lacchè e di uomini a cavallo. È diretta da un cac- 
ciatore capo, che deve conoscere a fondo e in tutti i loro parti- 
colari i costumi del cervo; questa abilità non si ottiene che 
dopo una pratica costante di parecchi anni. Il capo-caccia cerca 
le tracce o gli escrementi dell'animale; ne osserva la forma, la 
consistenza e l’odore; esamina le impronte lasciate dai piedi 
dell'animale sul terreno, le tracce delle corna sugli alberi e 
sulla boscaglia; scruta il luogo ove si è posato sul ventre; 
fa moltissime osservazioni che sarebbe superfluo. menzionare 
qui, e con tutti questi dati riconosce l’animale colla stessa esat- 
tezza come. se lo avesse veduto. Può dire se ha trovato la 
tratta di un cerbiatto, di un giovane Cervo, di un cervo adulto o di 
un vecchio, o di una cerva. 

Quando l’animale è riconosciuto e tutti i cacciatori raccolti, 
sì sguinzagliano alcuni vecchi cani sulla traccia, per mettere 
il Cervo in movimento. Infatti esso non tarda a balzar fuori 
e fuggire: allora comincia la caccia. Il nostro Cervo, fidente 
nel vigore delle sue gambe, comincia a correre pieno di sicu- 
rezza, colla testa alta; ma, in capo a un certo tempo, sente 
mancare le forze e cerca ‘qualche astuzia. Passa e ripassa 
sulla medesima traccia, per ingannare i segugi: cerca di far 
loro prendere abbaglio. Sovente, per riuscire nell’intento, si 
accosta ad un giovine Cervo nella foresta, e a furia di colpi 
lo obbliga a partire invece di lui, gli corre dietro per qualche 
minuto, poi, ad un tratto, fa un salto da un lato, e va a ripo- 
sarsi nel fitto di una boscaglia, o fugge in opposta direzione. 
Qualche volta questo stratagemma riesce bene, e allora il Cervo 
è salvo. In ogni modo però mette un po’ di confusione nei 
cani, che ritardano ad inseguirlo, e ciò lascia campo all'animale 
inseguito di allontanarsi notevolmente o di ristorare, con un po’ 
di riposo, ie sue forze esaurite. 

Malgrado tutti i sotterfugi che gli detta la sua intelligenza, 
malgrado ia sua meravigliosa leggerezza, di rado il Cervo 
fugge a coloro che si son proposti fortemente di farlo morire. 
Dopo una corsa continua di dodici o quindici leghe, il povero 
animale si sente dietro i cani, rinnovati frequentemente da, 
riserve fresche. Sente il latrato dei cani e il suono del corno 
che come funebre rintocco gli percuote le orecchie. Allora non 
potendo lottare più a lungo, tenta uno sforzo supremo; si 


312 ORDINE DEI RUMINANTI 


slancia nello stagno o nel fiume più prossimo; e cerca di 
mettere un ostacolo liquido fra sè e i suoi nemici: Ma anche 
questa è una fallace illusione. I cani gli /si  slanciano dietro, 
lo accerchiano, lo stringono, e lo superano. Nello stesso punto 
i suoni giulivi del corno che annunzia l’ hallalh eccheggiano 
sulla sponda (fig. 138). 


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Fig. 137. Cervo d’Aristoli!e. 


Il fatale momento è venuto: bisogna morire. Il nobile ani- 
male, uscendo dalle acque ove aveva trovato un temporaneo 
rifugio, raccoglie tutta l’energia che gli rimane, e si prepara a 
vendere a caro prezzo la vita. Distribuisce a destra e a sinistra 
colpi di corna che fanno rotolare nella polvere i cani più ar- 
diti. Ma poi, oppresso dal numero, straziato da quelle tenaglie 
viventi, riceve l’ultimo colpo dal personaggio più ragguardevole 


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CERVI AMERICANI E INDIANI 315 


della caccia. Si fa omaggio del piede della vittima a quel fa- 
cile vincitore che ha raccolto un esercito di uomini e di cani 
per sgozzare un pacifico abitante delle foreste! Finalmente il 
corpo del Cervo é gettato per pasto alla muta, sia sul mo- 
mento, sia alla sera, dopo il ritorno a casa al lume delle 
torcie. 


Cervi americani e indiam. — Nelle differenti regioni dei due 
continenti il Cervo comune è rappresentato da un certo nu- 
mero di specie analoghe. Nell’America settentrionale s'incontra 
un Cervo di altissima statura; è il gran Cervo del Canada, 0 
Wapiti. Quest'animale ha una certa analogia coll’ alce, è d’in- 
dole dolcissima e si addomestica agevolmente. Gl’ Indiani del 
Canadà lo prendono giovanissimo con reti, e lo allevano con 
gran cura. Nell’ inverno gli fanno trascinare le loro slitte, 
gli fan portare pesi e si nutrono della sua carne, che è ec- 
Gellente" +. 

Agli Stati Uniti si trova il Cervo della Virginia, animale di 
cui fanno grandi caccie gli Americani del nord. È alto come 
un nostro daino. È abbondantissimo agli Stati Uniti, ma se 
ne fanno tali carneficine che prima di un secolo, dice Audu- 
bon, diverrà eccessivamente raro. Sempre la stessa imprevi- 
denza e gli stessi abusi per parte dell’uomo verso i doni della 
Provvidenza! 

Nel continente indiauo e nelle isole della Malesia vivono 
parecchie notevolissime specie di Cervi. In primo luogo citiamo 
il Cervo d’Aristotile (v. fig. 137 a pag. 312), così chiamato perchè 
è stato descritto dal celebre filosofo dell’antichità ; poi il Cervo Axis, 
animale elegantissimo dal mantelio fulvo punteggiato di bianco, 
colle corna fornite di due sole diramazioni; finalmente il 
Cervo cinghiale, che va debitore del suo nome alla sua bassa 
statura ed alle sue forme massiccie. 

Al Bengala queste due ultime specie sono allevate ed ingras- 
sate per la tavola. Siccome si riproducono a meraviglia nel- 
l’ Europa calda e temperata, come lo dimostra l’ esempio dei 
vari individui che hanno vissuto ai nostri giorni al Giardino 
delle Piante di Parigi, sarebbeda desiderare che si riuscisse 


4 Nella R. Mandria presso la Venaria Reale in Piemonte , dove, sic- 
come abbiamo già detto, si fanno grandi prove di acclimamento e di 
inerociamenti e miglioramenti di razze esotiche, il Wapiti d'America vive 
da vari anni e si riproduce a meraviglia. (N. del Tr.) 


316 | ORDINE DEI RUMINANTI 


ad acclimarle nelle nostre foreste, onde renderle in un certo 
grado acconcie alla alimentazione pubblica. 


Daini e Caprioli. — Il Daino (fig. 139) per la statura sta in 
mezzo tra il cervo ed il capriolo; è alto circa un metro, mi- 
surato dal garrese. Si riconosce dalle corna, rotonde alla base, 
e terminate da una parte piatta, divisa da profonde scanalature. 
Il suo pellame è fulvo come quello dell’ Axis, o bruno sparso 
di macchie bianche, che d'estate sono molto marcate, ma d’in- 
verno appena visibili. I suoi costumi non differiscono da quelli 
del cervo. 


Fig. 159. Daino. 


* 


Come il cervo, il Daino ha l’onore di essere tenuto in conto 
di selvaggina principesca. Quindi lo si conserva nei parchi, 
per cacciarlo quando ciò si desidera. In istato di natura, il Daino 
preferisce alle grandi foreste i boschi frammisti ai campi ed ai 
poggi. Adopera le medesime astuzie del cervo per far perdere 
le sue traccie ai suoi persecutori. 

Il Daino si trova in una gran parte di Europa, nel nord del- 
l’Africa, come in Persia ed in Cina. 

Il Capriolo è uno dei più svelti e graziosi rappresentanti del 
genere cervo; non misura oltre a un metro di lunghezza. Le 
sue corna son piccole e semplicissime, si compongono di uno 
stelo rugoso, diritto in tutta la sua lunghezza, e munito sulla 


IL CAPRIOLO 314% 


cima di due brevi diramazioni, una delle quali forma una 
biforcazione coll’estremità del corno. Il suo pelame è di un fulvo 
uniforme, di cui la tinta varia secondo la stagione. Non ha nè 
lacrimatoi nè traccia di coda, e porta sulla punta del muso una 
riga bianca orlata di nero. 

Il Capriolo pei costumi differisce dal cervo: non vive in 
strupi, nè è poligamo. Rimane per tutta la vita affezionato 
alla femmina che ha scelta; non l’ abbandona un momento, e 
con essa si consacra ad allevare la sua famiglia. I rapporti 


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Fig. 4140. Caccia del Capriolo. 


più affettuosi si formano fra i due sposi: bastano a sè stessi, 
e si chiudono di buona voglia in quella solitudine tanto dolee 
ai cuori amanti. Il loro legame è tanto più forte e durevole, 
quanto che comincia per solito dall’età più giovanile. Infatti, la 
capriola partorisce due piccoli, quasi sempre di sesso diverso. 
I due piccoli Caprioli crescono l’uno accanto all’altro; in breve 
la loro amicizia fraterna si muta in un sentimento più vivace, 
e allora legami indissolubili li uniscono a vicenda. Sebbene 
vivano sempre insieme, non si riproducono, come la maggior 
parte degli animali selvatici, che in un tempo determinato: 


318 ORDINE DEI RUMINANTI 


dalla fine di ottobre alla metà di novembre. Questo periodo non 
è distinto nel maschio da nessun sovreccitamento del genere 
di quello che si vede nel cervo. 

I Caprioli stanno nei piccoli boschi e nei boschi cedui vicini 
a terreni coltivati: Amano le gemme e i giovani ramoscelli 
degli arbusti, e per questo riguardo fanno grandi guasti alle 
foreste. Sono timidi, intelligenti e dolci; il menomo rumore 
insolito li spaventa e li fa fuggire. D’ altronde le precauzioni 
non sarebbero mai troppe per ripararsi da tanti cacciatori sempre 
disposti ad ucciderli; cosa scusabilissima, perchè il Capriolo è 
una delle selvaggine più delicate. 

La caccia del Gapriolo (fig. 140), si fa con minore apparato 
di quella del cervo, ma il sistema di caccia è lo stesso: mute 
di cani, gente a cavallo. L’hallalè del Capriolo segue nel mede- 
simo modo di quello del cervo, ma è meno solenne. È una 
caccia più borghese. 


I Caprioli sono sparsi in tutta l’Europa temperata e in varie 
parti dell'Asia. 


Tribù dei Ruminanti senza corna. — Il Mosco e il muschio. — 
Il Mosco * è il solo ruminante che sia sprovvisto di corna, se 
ne eccettui il cammello. Per le forme generali e pel complesso 
della sua organizzazione si accosta alle piccole specie di cervi; 
manca d’ incisivi alla mascella superiore, ma è fornito di due 
lunghi e forti canini, che oltrepassano il labbro inferiore, ser- 
bati esclusivamente pei maschi. I Moschi hanno muso carnoso 
come i cervi, ma mancano di lacrimatoi; la coda è breve. La 
loro piccola statura, le forme eleganti, la grazia e la legge- 
rezza dei movimenti ne fanno animali molto piacevoli da guar- 
dare. | 

La famiglia dei Moschi non comprende che un numero li- 
mitatissimo di specie, che appartengono per la maggior parte 
al continente indiano e alle isole vicine; non se ne trova nessuna 
in America. Le due principali sono il Mosco propinenanz detto 
e il Mosco pigmeo. 

Il Mosco propriamente detto è grosso come un capriolo; abita 
le parti montuose del centro dell’Asia, sopra uno spazio di più 
di 1000 leghe in latitudine e di circa 1500 in longitudine: si 
trova fino nella Siberia meridionale. Vive solitario sopra roccie 
inaccessibili, in prossimità dei ghiacciai. D’ inverno, scende 


4 Lat. Moscus, fr. Chevrotain, ingl. Musk-deer. In italiano, parlando del- 
l’animale, si dice Mosco. Muschio è il prodotto. (Nota del Trad.) 


IL MOSCO 319 


nelle valli. Siccome è molto diffidente e fugge costantemente la 
presenza dell’ uomo, per impadronirsene bisogna tendere ag- 
guati e trappole. Nondimeno i Tungusi, vale a dire gli abi- 
tanti nomadi delle sponde del mar Glaciale, nella Russia asia- 
tica, lo uccidono a frecciate, dopo averlo attirato serven- 
dosi di un pezzo di scorza d’ albero col quale imitano la voce 
dei giovani. 

Si dà la caccia a questo animale per impadronirsi di una 
sostanza fragrantissima, che secerne una saccoccia che porta 
sotto il ventre. Questa sostanza, molto conosciuta da tutti, è il 
muschio, odore insopportabile a chi ha l’olfato dilicato, ma di 
cui alcune persone eleganti, ottuse dai piaceri, amano impre- 


Fig. 444. Mosco pigmeo. 


gnarsi le vestimenta. Solo i Moschi maschi hanno il privilegio 
di questa produzione, che si trova in istato solido, in forma di 
piccoli grumi di varia grossezza di un color rosso cupo. La 
qualità migliore si ritrova d’inverno nella stagione degli amori; 
è anche questo il tempo che si sceglie per dar caccia al 
Mosco. 

Il muschio non si adopera solo per la profumeria, ma 
anche in medicina come antispasmodico; si vende in com- 
mercio colla tasca che lo racchiude, ed il suo prezzo è sem- 
pre alto. 

La carne del Mosco dicesi sia eccellente, purchè si tolga la 
saccoccia del muschio appena morto l’animale. Si approfitta 
anche della pelle e dei suoi lunghi canini. 


320 ORDINE DEI RUMINANTI 

Il Mosco pigmeo (fig. 141) è il più piccolo dei ruminanti ; la 
sua statura non è maggiore di quella della lepre. Le sue mem- 
bra sono di una delicatezza infinita ed i suoi salti straordinari ; 
ma non ha resistenza e si lascia prendere alla corsa dagli 
Indiani e dai negri dell’ Africa che lo ricercano per la sua 
carne. 

Poco si sa dei suoi costumi; senza dubbio non differiscono 
molto da quelli delle antilopi. 


ORDINE DEGLI SDENTATI 


La denominazione di Sdentati, data ai Mammiferi che con 
pongono quest'ordine, non significa che siano al tutto privi di 
denti, sebbene ciò succeda effettivamente per alcune specie, ma 


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Fig. 142. Bradipo. 


solo che mancano sempre di incisivi, per modo che esiste uno 
spazio vuoto sul davanti delle mascelle. 

Un altro carattere particolare degli Sdentati si è che i loro 
denti, quando ne hanno, sono a un dipresso simili, e non di 
varie forme, come nella maggior parte dei mammiferi; inoltre, 
la radice è semplice e non presenta che una sola dirama- 
zione. 

Gli sdentati hanno le estremità terminate da unghie somma- 
mente robuste, che servono loro per arrampicarsi o per sca- 


FIGUIER. Mammiferi. 44 


SL ORDINE DEGLI SDENTATI 


vare. Generalmente sono animali di forma singolare, di anda- 
tura lenta e pochissimo intelligenti. Taluni, invece d’esser coperti 
di peli, hanno scaglie; ciò che rende ancor più bizzarro 
il loro aspetto. Secondo le famiglie, variano le loro abitudini 
o il loro regime alimentare; alcuni si nutrono di vegetali, 
altri di sostanze animali; questi abitano entro tane, quelli vivo- 
no sugli alberi. Appartengono tutti ai paesi caldi dei due conti- 
nenti; l'Europa non ne possiede, e si trovano molto numerosi 
nell’America meridionale. Non acquistano mai una grande 
statura: le specie più grandi son lunghe circa un metro, non 
contando la coda. 

La cosa non andò sempre così. Nelle profondità del terreno 
sì son trovati avanzi di sdentati, la cui razza si è spenta da 
lungo tempo, che ci colpiscono per le loro grandi propor- 
zioni. 

Tali sono il GIyptodon, il Myloedon, il Megaiherium, ecc. La 
maggior parte di questi fossili appartengono all’America; le loro 
dimensioni erano uguali a quelle del bue, del rinoceronte, ed an- 
che a quelle dell’ elefante. L’ Europa ne allevava una specie 
tanto notevole quanto il Megaterio americano : è il Macrotherium 
di Lartet. 

Gli sdentati comprendono cinque famiglie, poco numerose: 
i Tardigradi, gli Armadilli, gli Oritteropiì, i Formichieri ed i 
Pangolini. 


FamiGLIA DEI TarpIicranpI. — I PBradipi, o Tardigradi, sono 
strani animali, che i loro caratteri più apparenti e l’abito di 
arrampicarsi hanno fatto per un pezzo collocare fra le scim- 
mie; ma che uno studio più accurato e più ampio ha ricondotto 
nell’ordine degli Sdentati. Osservati a terra, sembrano deformi 
e al tutto maltrattati dalla natura; perchè non si muovono che 
con somma lentezza. Questa particolarità valse loro il nome di 
Tardigradi, da certi autori. I Francesi li chiamano anche Pol- 
troni (Paresseur). Infatti le loro membra anteriori sono 
molto più lunghe delle posteriori; ciò che li obbliga a trascinarsi 
sui gomiti per procedere avanti. Non possono accostare le 
ginocchia, per la larghezza del loro bacino e delle cosce arcate 
all'infuori. I loro piedi non posano sul terreno che col margine 
interno; finalmente le dita, che non superano mai il numero. 
di tre, sono ravvolte dalla pelle fino alla loro estremità, e son 
sempre tenute in una mutua dipendenza. 

È facile comprendere che membra conformate in tal modo. 
non siano atte alla locomozione terrestre; quindi nulla può 


FAMIGLIA DEGLI ARMADILLI 323 


dare l’idea dell’ impaccio di cui fa mostra un Tardigrado a 
terra. 

Ma quando li osservi sugli alberi, in mezzo alle loro condi- 
zioni naturali di esistenza, i Bradipi fanno una impressione 
ben diversa. Allora si riconosce che non v'ha in essi nessun 
disaccordo, e che hanno ricevuto come tutte le altre creature 
i mezzi per sottrarsi ai loro nemici. Colle loro grandi braccia 
circondano i rami degli alberi, piantando in essi le unghie enormi 
che terminano le loro quattro estremità. Siccome l’ultima falange 
delle dita è mobile, possono darle una certa inclinazione, 
convertendo le loro zampe in forti uncini, utilissimi per te- 
nersi sospesi agli alberi. Nascosti nel fitto del fogliame, brucano 
a loro bell’agio tutto intorno; oppure, appesi solidamente colle 
tre zampe, si servono della quarta per cogliere le frutta e portar- 
sele alla bocca. Se si mostrano indolenti e dormiglioni, si è 
che i loro occhi non sono fatti per la brillante luce del sole; 
ma i loro movimenti non svelano nessun impaccio, e non si 
può dire che siano creature maltrattate dalla natura. La loro 
intelligenza è presso a poco nulla; ma, per questo riguardo, 
non son da meno degli altri Sdentati. 

I Tardigradi hanno lo stomaco diviso in. quattro scomparti- 
menti, come i ruminanti; ma non si sa se ruminano davvero. 

Il loro pelame è asciutto, abbondante e lungo; non si scorge 
in essi nè orecchio esterno, nè coda. Abitano le foreste vergini 
dell'America del sud. Le due specie più note sono l’Unaw e 
l'A, che si trovano nella Guiana, al Brasile, al Perù e nella 
Colombia. 

L’Unau (fig. 142) non ha che due dita ai piedi posteriori 
ed è lungo circa 75 centimetri; i serragli di Parigi e di Lon- 
dra ne hanno posseduti alcuni esemplari, che si nutrivano di 
pane inzuppato nel latte, di legumi e di frutta. L’A} è un po’ più 
piccolo dell’Unau. 


FAMIGLIA DEGLI ArRMaDILLI. — Gli Armadilli (fig. 143) sono 
singolarissimi per la natura dei loro tegumenti, che potrebbero 
a prima vista farli considerare come rettili. Invece di esser coperti 
di peli come gli altri mammiferi, hanno la testa, le parti supe- 
riori e laterali del corpo, la coda, protette da una corazza di 
squame, molto resistente. Questa corazza è fatta di piccole pia- 
stre ossee, disposte in serie parallele e di varia forma; non è 
separata dalla pelle, di cui costituisce una bizzarra modifica- 
zione. 


Sul capo, sopra il corpo e sulla groppa, queste piastre sono 


324 ORDINE DEGLI SDENTATI 


una contro l’altra solidamente tenute assieme: ma sul mezzo» 
del dorso hanno una certa mobilità e possono scivolare le une 
sulle altre. In tal modo, l’animale può eseguire vari movimenti 
di flessione e di estensione; per esempio ha la facoltà di 
foggiarsi a pallottola quando è aggredito, per nascondere sotto 
la sua corazza tutte le parti vulnerabili del corpo, vale a dire 
quelle che sono soltanto coperte di peli. 

Gli altri caratteri degli Armadilli 4 sono: gambe corte, com- 
poste di cinque dita e terminate da unghie robustissime, che 
servono loro a scavare la terra; orecchie abbastanza svilup- 


IVAVAVAVATA! 
IVA 


Da: 
z 
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Fig. 143. Armadilli. 


pate, raddrizzate in punta; narici forate in un muso carnoso e 
dotate di un olfatto delicatissimo; coda lunga e arrotondata, o 
corta e piatta. In certe specie il numero dei denti è considere- 
vole: l’Armadillo gigante non ne ha meno di novantotto. Gli Arma- 
dilli abitano le vaste pianure dell’America meridionale, ove si 
scavano tane, composte di una camera, cui sì giunge per varie 
gallerie. Si nutrono in parte di vegetali, in parte di sostanze 
animali, particolarmente d’insetti e di cadaveri. 

Sono inoffensivi e stupidi. Generalmente hanno piccola statura; 


1 Latino Dasypus ; fr. Tatou; ted. Gùrtelthier. 


FAMIGLIA DEGLI ORIFTEROPI 925 


la specie più grossa, che supera di molto le altre, non è più 
lunga di un metro: è l’Armadillo gigante. La più piccola ha iì 
volume di un grosso sorcio: si suol chiamare Clamiforo (porta- 
mantello). 


FAMIGLIA DEGLI ORITTEROPI. — Questa famiglia si com- 
pone di un solo mammifero, proprio di varie parti di Africa, 


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Fig. 4144. Formichiere. 


c più specialmente delle regioni australi di questa parte del 
mondo. 

L’Oritteropo ha corte zampe; le sue unghie forti, taglienti, 
quasi simili a zoccoli, dimostrano costumi essenzialmente sca- 
vatori; la sua pelle dura è fornita di peli radi e ruvidi. Il 
capo, allungatissimo, termina in una specie di grugno; la bocca 
è fornita di denti molari di struttura particolare. Son piccolì 
cilindri, colla corona piatta e senza smalto, di un tessuto meno 
denso del consueto e in certo modo spugnoso, perchè son fatti 
dall’ agglomeramento di moltissimi tubi microscopici, addossati 
gli uni agli altri in senso verticale. Quando in uno di questi 


326 ORDINE DEGLI SDENTATI 


denti si fa una sezione orizzontale, essa presenta l’aspetto di 
un pezzo di giunco. 

L’Oritteropo è lungo circa un metro, non compresa la coda, ch'è 
lunga 50 centimetri. È alto 50 centimetri. Abita in gallerie, e 
scava molto rapidamente. Quando ha il capo ed i piedi ante- 
riori confitti nel suolo, vi si attacca con tanta forza che l’uomo più 
robusto non potrebbe strapparnelo. Il suo nutrimento si compone 
di formiche o meglio di termiti, insetti volgarmente indicati 
col nome di formiche bianche, per la loro rassomiglianza con 
grossissime formiche. Tutti sanno che le termiti si racchiudono 
entro certi grandi monticelli di terra, a foggia di cupole, costrutti 
da esse medesime. Quando l’Oritteropo sente il bisogno di man- 
giare, sì mette in cerca di uno di questi giganteschi formicai; 
e accovacciandovisi accanto, lo scava per modo da intaccarne le 
pareti. In breve parecchie legioni di termiti escono per difendere 
la loro dimora aggredita. Senza perdere un istante, l’animale 
spinge la sua lingua, spalmata di un liquido viscoso, in mez- 
zo a quella brulicante popolazione; poi la ritira coperta di for- 
miche prese in quell’agguato, e ricomincia la stessa manovra 
finchè sia interamente satollo. 

Questo nutrimento esclusivo comunica alla carne di questo 
animale un sapore molto acidulato; tuttavia gli Ottentotti ed 
i coloni del capo di Buona Speranza la mangiano volontieri; 
ed anzi fanno caccia attiva all’Oritteropo per procurarsela. 
Per ucciderlo basta un leggero colpo di bastone sul capo. 

L’Oritteropo si trova, non solo nei dintorni del Capo di Buo- 
na Speranza, ma anche nell’Abissinia e nella Senegambia. 


FAMIGLIA DEI ForMIcHIERI. — Come indica il loro nome, i 
Formichieri si cibano, al pari degli oritteropi, di formiche, alle 
quali uniscono però anche altri insetti. Sono meglio organiz- 
zati di questi ultimi per questo genere di alimentazione. In 
primo luogo mancano al tutto di denti; quindi hanno la testa 
che termina in un lungo tubo, il quale racchiude una lingua 
sottile, molto protrattile, vermiforme, che esce da una piccola 
apertura collocata all’estremità di questa sorta di astuccio. Vi- 
brata nei formicai e in tutte le fessure ove si nascondono in- 
setti, questa lingua esilissima s° impadronisce di numerosa 
preda, rimastavi appiccata per la saliva che la ricopre. 

Per compiere la descrizione dei caratteri dei Formichieri, 
aggiungeremo che son muniti di unghie taglienti, che sono 
ad un tempo arma di difesa e strumenti per scavare. Appar- 
tengono ai paesi più caldi d'America. 


FAMIGLIA DEI FORMICHIERI 324 


La specie più notevole della famiglia è il Formichiere pro- 
priamente detto (fig. 144), ch’ è il più grosso dei Formichieri 
ed anche degli Sdentati. Giunge fino alla lunghezza di un 
metro e mezzo , dalla estremità del muso fino alla radice della 
coda. Il suo pelame è ruvido, abbondante e di color nerastro. 

La coda, ornata di peli lunghissimi e molto folti, è capace di 
rialzarsi a mo’ di pennacchio ed ha un metro di lunghezza. 

Esso è molto forte; si difende con buon esito contro il feroce 
giaguaro, cui stringe fra le braccia, come fa l’orso, o sbrana 
colle sue unghie potenti. 

È un animale notturno, solitario ed indolente, che preferisce 
stare nelle foreste umide e paludose, ove sono abbondanti i formi- 
cai; la femmina partorisce un solo piccolo, che porta sempre 
sul dorso. Il giardino zoologico del Regent's Park a Londra ne 
ha posseduto due, li nutriva col pane inzuppato nel latte e 
con uova; ma in breve si acquistò la certezza che amavano 
anche il sangue, allorchè si vide uno di essi suggere la carne 
di un coniglio che si era loro dato. 

Esistono altre due specie di formichieri che vivono più o 
meno sugli alberi e per questa ragione sono dotati di una 
delle facoltà caratteristiche delle scimmie americane, quella 
di afferrare i rami colla coda, che è nuda nella parte posteriore 
in tutta la sua lunghezza, e atta a ravvolgersi intorno agli 
oggetti, ovvero sia prensile. Queste due specie sono: il Tamandua, 
formichiere lungo circa un metro, che vive in parte nel fogliame 
degli alberi e in parte sulla terra, e il Formichiere didattilo, 
così chiamato perchè non ha che due dita ai piedi anteriori, 
invece di quattro. Quest’ ultimo Formichiere vive al Brasile 
ed alla Guiana; di rado scende a terra, e non è più grosso 
. di un topo. La femmina partorisce un solo piccolo, e lo depone 
nel cavo di un albero cui ricopre di foglie. 


FAMIGLIA DEI PANGOLINI. — Sono pure Formichieri i Pangolini, 
ma tali che la natura particolare della loro pelle non permette 
di collocare nella stessa famiglia dei precedenti. I loro peli sono 
agglutinati per modo che formano grosse scaglie, inserite nella 
pelle a un dipresso come le unghie dell’uomo, imbricate come 
le tegole di un tetto. Queste scaglie ricoprono interamente il 
corpo, comprese le estremità, meno il ventre e la parte inferiore 
del capo. Da ciò il nome volgare di ZLucertole squamose, dato 
ai Pangolini, e che rammenta la loro rassomiglianza con 
questi rettili. 

IPangolini (fig. 145) hanno estremità corte e fornite di unghie 


28 ORDINE DEGLI SDENTATI 


robuste; sono privi di orecchie esterne, e non presentano 
traccia di denti. Si nutrono perfettamente come i Formichieri; 
ma il loro capo, sebbene allungato, non è conformato tanto 
singolarmente, e la loro lingua è meno sottile. Abitano le 
foreste, ove scavano tane, o si nascondono nei tronchi degli 
alberi. 

Allorchè sono aggrediti, si rotolano in palla come gli arma- 


Fig. 145. Pangolino. 


dilli: nello stesso tempo le loro scaglie divengono irte e servono 
loro d’impenetrabile corazza. 

I Pangolini sono tutti di statura mezzana o piccola; non sono 
mai più lunghi di un metro. Abitano esclusivamente il mondo 
antico. L’India, le isole Malesi, il mezzodì della Cina e una 
gran parte dell’Africa, sono i paesi che la natura ha destinato 
per la dimora di questi animali. 


ORDINE DEI CARNIVORI 


Fra tutti i Mammiferi terrestri, i Carnivori sono i più forti 
e i più terribili; comprendono tutti gli animali volgarmente 
detti fiere. Dotati d’ istinti violentissimi, organizzati per la strage 
e per la carnificina, si nutrono tutti, più o meno, di carne e 
di sangue, e spargono il terrore intorno a loro. Essi hanno un 
ufficio provvidenziale nella natura, quello di limitare la molti- 
plicazione delle specie erbivore; e, per quanto ciò appaia a 
prima vista strano, ia loro scomparsa dalla faccia della terra 
produrrebbe veri disordini. 

Sebbene le materie animali compongano sempre una certa 
parte del cibo dei Carnivori, pure non tutti ne fanno il loro 
nutrimento esclusivo; taluni vi uniscono in varie proporzioni 
sostanze vegetali. Anzi ve n’ ha che sono più erbivori che car- 

° nivori. Da ciò derivano differenze più o meno spiccate negli 
organi dell’ apparato di nutrizione, sopratutto nel tubo dige- 
rente e nel sistema dentale; per conseguenza caratteri impor- 
tantissimi. 

I Carnivori hanno costantemente tre sorta di denti: incisivî,. 
molari e canini. Gli incisivi, posti sul davanti, sono in numero» 
di sei ad ogni mascella, eccettuata la lontra marina che ne ha 
quattro alla mascella inferiore. I canini sono forti, lunghi, 
taglienti, bene adatti a dilaniare le carni, e costituiscono armi 
terribili; se ne contan due ad ogni mascella, posti precisamente 
ad ogni lato degli incisivi. Vengono ultimi i molari, variabi- 
lissimi nella forma e nel numero, secondo il genere di nutri- 
mento, e divisi in falsi molari, molari ferini e molari tubercolosi. 
Generalmente i falsi molari sono aguzzi, e aumentano in volume 
dal primo all’ ultimo. Avvene almeno uno, e al più quattro. 
Sono seguiti da un dente a corona tagliente, il più forte di tutto 
il sistema, che s’ indica generalmente col nome di dente ferino. 
I molari iubereolosîi vengono così nomati per la loro corona 


Ficuier. I Mammiferi. 42 


330 ORDINE DEI CARNIVORI 


larga e ottusa; sono in numero di due o quattro ad ogni ma- 
scella; talora anche mancano al tutto nella inferiore, oppure 
sono più rari che nella superiore. 

I molari ferini e i molari tubercolosi differiscono non solo nella 
struttura, ma anche nel modo con cui si incontrano nell’ atto 
della masticazione, e per le modificazioni. particolari che fanno 
sopportare agli alimenti. I ferini sono alterni, vale a dire sci- 
volano lateralmente l’ uno sull’ altro come le lame di un paio 
di forbici; sono dunque meravigliosamente acconci a tagliare e 
dfvidere la carne. Invece i molari tubercolosi, opposti esatta- 
mente l’ uno all’ altro e che vengono ad applicarsi corona con- 
tro corona, sono benissimo costrutti per frangere e triturare le 
materie vegetali. 

“Da quanto abbiamo detto si può trarre la conseguenza che 
se i denti ferini saranno più sviluppati ed i tubercolosi meno, 
tanto più l’ animale sarà carnivoro; ed invece quanto più esso 
sarà onnivoro, vale a dire erbivoro e carnivoro ad un tempo, 
tanto più i suoi denti tubercolosi saranno larghi, e i denti ferini 
meno sviluppati. Per modo che si può asserire, con Isidoro 
Geoffroy Saint-Hilaire, che « il grado di carnivorità di un ani- 
male è sempre espresso, con precisione quasi matematica, dalle 
modificazioni del sistema dentale, e in ispecial modo dai denti 
ferini. » | 

I Mammiferi carnivori sono animali ben fatti ed agilissimi. 
Aspettano la preda in qualche luogo oscuro, e, appena passa 
a tiro, le si slanciano sopra e la sgozzano. ; 

Le loro membra sono bene proporzionate, e le dita, per- 
. fettamente separate tra loro, terminano con unghie robuste , 0 
artigli, più o meno aguzze, secondo gli istinti della specie, e che 
coi denti compongono i soli mezzi di aggressione e di difesa. 
In tutti i membri della famiglia dei gatti, vale a dire nei car- 
nivori per eccellenza, gli artigli sono retrattili, cioè hanno la 
proprietà di rientrare nella zampa a piacimento dell’ animale, 
mercè una particolare disposizione delle falangi e l’ azione di 
un muscolo speciale. Lo scopo di questa ingegnosa combina- 
zione è di conservare le unghie bene aguzze c taglienti, ripà- 
randole contro tutto ciò che potrebbe consumarle, come il 
camminare e lo sfregamento; sono una spada che si conserva 
nel fodero. 

I Carnivori variano molto nel modo di posare la zampa a 
terra. Alcuni, come gli orsi, i tassi, ecc., si appoggiano sopra 
tutta la superficie inferiore del piede, e si fanno notare per le 
loro forme tozze: si dicono Plantigradi; gli altri, come i gatti, 


FAMIGLIA DEI MUSTELIDI 951 


i cani, ecc., non toccano il suolo che colla punta delle dita, ed 
hanno corpo più svelto, movimenti più vivaci: si chiamano 
Digitigradi. Tra questi due tipi bene spiccati si schiera la serie 
delle specie più o meno semi-plantigrade e semi-digitigrade. 

I caratteri che derivano dal modo di camminare sono utili 
per distinguere i generi; ma non sono tanto importanti da 
dividere-i Carnivori in due grandi tribù, come avevano fatto i 
| naturalisti. del cominciamento del secolo. 

Gli organi dei sensi sono sviluppatissimi nei carnivori, 
ma secondo le specie talora predominano gli uni, talora gli 
altri. L’ udito e la vista giungono alla massima perfezione*in 
quelli più avidi di carne; mentre l’ odorato ed il gusto sono 
sviluppatissimi nelle specie il cui regime è più o meno vege- 
tale. La maggior parte dei Felis (gatti) hanno gli occhi orga- 
nizzati per vedere di notte. 

I Carnivori sono per intelligenza superiori a tutti gli animali 
degli ordini precedenti. Il loro cervello è molto voluminoso, e 
presenta sempre delle circonvoluzioni. 

Rispetto all’ integumento, la natura ha molto bene provvisto 
i Carnivori. Parecchi di essi ci danno pelliccie ricercatissime, 
sia per i loro splendidi colori, sia per la morbidezza e lo spes- 
sore del pelo. Menzioneremo in particolare quelle della martora, 
del zibellino, del visone, dell’ ermellino, della volpe, del leone, 
della tigre, della pantera, dell’ orso, e in generale tutte le pel- 
ficcie dei felini. 

Eccettuata l’Australia, ove sono, come abbiamo veduto, rap- 
presentati dai Mammiferi marsupiali, i Carnivori sono di- 
stribuiti in numero ragguardevole sopra tutta la superficie 
del globo, Le specie più terribili abitano le regioni ardenti 
dell’ Asia, dell’ Africa, e dell’ America. La specie più grossa di 
carnivori che oggi possegga l’ Europa, è l’orso. Nondimeno 
l’ Europa non è stata sempre così sprovvista di animali feroci. 
Vi dimoravano orsi ben più grossi di quelli che vi si osservano 
oggi; come pure jene, pantere, ed un gatto enorme che differiva 
pochissimo dal leone. 

I Carnivori si dividono in sei grandi famiglie: 1.° i Mustelidi, 
il cui tipo è la Donnola (Mustela, donnola); 2.° le Jene; 3.° i 
Felini (da Felis, gatto); 4.° i Canidi (da Canis, cane); 5.°i Viver- 
ridi (da Viverra); 6.° gli Orsi. 


FamicLia DEI MustELIDI. — I Mustelidi sono, in generale, ani- 


mali di piccola statura, dal corpo basso ed allungato, dagli 
istinti sommamente distruttori. Il nome di Vermiformi, dato a 


3320. ORDINE DEI CARNIVORI 


molti di essi, come le lontre, le puzzole e le martore, rammenta 
questa conformazione particolare. Sono digitigradi o plantigradi, 
ma più spesso digitigradi. Caratteri anatomici più salienti sono 
in essi un paio di denti tubercolosi ad ogni mascella. 


Comprendono i generi Lontra, Martora, Ghiottone, Moffetta, 
Tasso, Mellivora. 


Genere Lontra. — Le Lontre sono organizzate specialmente 
per la vita acquatica. I loro piedi palmati, le forme svelte, il 
capo piatto, le rendono abilissime a fendere l’acqua con velo- 

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Fig. 146. Lontra comune. 


cità, mentre a terra non si muovono che molto stentatamente. 
Abitano le sponde dei laghi, dei fiumi e dei corsi d’ acqua, sia 
che si scavino una galleria in comunicazione col fondo del- 
l’ acqua, sia che si collochino in qualche nascondiglio naturale 
situato a poca distanza dalla riva. 

Siccome si nutrono quasi esclusivamente di pesci, che affer- 
rano tuffandosi, producono nelle acque che frequentano danni 
incalcolabili, non solo per lo spopolamento che risulta dai loro 
gusti particolari, ma anche pel danno che recano alle reti dei 
pescatori, perchè quando vi rimangono impigliate si dibattono, 
le lacerano e le tagliano per liberarsi. 


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GENERE LONTRA 333 


Le Lontre mangiano anche piccoli mammiferi, molluschi, ret- 
tili acquatici, ed anche sostanze vegetali. 

La femmina della Lontra partorisce tre o quattro piccoli, nei 
primi giorni di primavera. Li cura con grande affezione, e sa- 
grifica la vita per difenderli. Se, malgrado la sua difesa, non 
riesce a salvarli, manda gemiti lamentevoli e talora anche muore 
dalla disperazione. 

Questo animale è intelligentissimo e si addomestica agevol- 
. mente. Solo fa d’ uopo prenderlo giovane, e aver cura di non 
nutrirlo troppo presto di sostanze animali. Senza questa pre- 
cauzione, conserva la sua indole selxaggia, e rimane sempre 


Fig. 147. Martora ordinaria. 


indocile e brutale. Bene ammaestrata, si può trar partito della 
Lontra, che volentieri impiega a favore del suo padrone la sua 
intelligenza. Pesca per gli altri, e si dimostra contenta, purchè 
le si lasci qualcuno dei pesci che è andata a cercare in fondo 
all’ acqua. 

La pelle della Lontra ebbe altre volte ed ha ancor oggi grande 
valore come pelliccia fina, ma non si adopera più che nella 
fabbricazione dei cappelli. Il pelame di questo animale, come 
quello del castoro, dell’ ondatra e di quasi tutti i Mammiferi 
acquatici, si compone di due strati: uno sta proprio sulla pelle 
ed è fatto di peli corti, fini e lanugginosi; l’ altro sta sopra, è 
lungo, lucente e più ruvido. Le pelliccie del nord son più ri- 
cercate, perchè più calde e più morbide. 


* 


934 + ORDINE DEI CARNIVORI | 

Si fa attiva caccia alla Lontra tanto per la sua pelle, quanto 
per i guasti che produce nei fiumi. Del resto questa caccia è 
difficilissima. Tutta la strategia consiste qui nello spinger l’ani- 
male in un luogo ove le acque sieno basse; solo in tal modo 
si riesce ad ucciderlo e ad impadronirsene. 

Trovansi Lontre in tutte le parti del mondo; ma in Europa 
ed in America sono più sparse. La Lontra comune (fig. 146) è 
lunga circa 70 centimetri dalla estremità del naso fino alla 
radice della coda, che ha una lunghezza di 30 a 35 centimetri. 
Il colore generale del suo pelame è il bruno, più o meno 
scuro. 

Al Kamtsciatka e sopra tutte le coste dell’ oceano Pacifico 
boreale esiste una specie di Lontra che differisce da tutte le 
altre per la statura, per la morbidezza e lucentezza della sua 
pelliccia, e per le sue abitudini al tutto marine; è lunga un 
po’ più di un metro. I costumi della Lontra marina sono curio- 
sissimi. Il maschio e la femmina sono affezionatissimi fra loro 
ed amano molto la loro figliuolanza; i legami che contraggono 
sono durevoli. Si trastullano coi loro piccoli e li prendono sul 
dorso allorchè imprendono qualche tragitto acquatico. D’altronde 
questi animali sono d’ indole buonissima. Quando sono aggre- 
diti non cercano difendersi contro i loro aggressori, e tentano 
di salvarsi fuggendo. 

La pelle delle Lonire marine è ricercatissima. In Europa, ove 
sono molto rare, ha un prezzo di 800 a 1500 franchi. La mag- 
gior parte è recata sui mercati della Cina o del Giappone, ove. 
serve d’ ornamento ai mandarini .cd a tutti i personaggi rag- 
guardevoli. Per quanto ne sia alto il prezzo oggi, esso aumen- 
terà ancora, poichè gli animali che le forniscono si ritirano 
innanzi all’ azione usurpatrice dell’ uomo, e vanno a cercare 
una vita tranquilla in paesi meno accessibili. | 


Genere Martora. — Le Martore o Mustele sono piccoli carni- 
vori, ma i più feroci, senza eccettuarne il leone, la tigre e la 
pantera. Non vivono che di preda viva, e non son contente che 
in mezzo alla carnificina. Soltanto per prudenza non aggre- 
discono che animali proporzionati alla loro statura. I topi e i 
sorci, gli scoiattoli, gli uccellini sono loro cibo principale; 
perchè si arrampicano molto agevolmente sugli alberi e sono 
il terrore degli uccelli. 

Certe specie di Martore, come la faina, la puzzola, la donnola, 
vivono presso i luoghi abitati. Mercè la sottigliezza e pieghe- 
volezza del loro corpo possono passare per le piccole buche e 


GENERE MARTORA 335 


ne traggono partito per introdursi nei pollai, nei casotti dei 
conigli, e uccidere tutto ciò che vi trovano. Sembrano spinte 
da un istinto disordinato di distruzione e di inutile ferocia, 
perchè sovente sgozzano molte più vittime del necessario a 
soddisfare la loro fame. Ma giova notare, a loro discolpa, prima 
di tutto, che siccome uccidono per suggere il sangue e man- 
giare il cervello delle loro vittime, necessariamente il consumo 
deve essere assai notevole; poi, che spinte dai loro feroci ap- 
petiti e non potendo portar via la preda dalle strette aperture 
d’ onde son passate, debbono per forza cibarsi sul luogo, e perciò 
spengono tutte le vite che stan loro d’ intorno onde impedire 
il concerto di voci accusatrici che non mancherebbero di farsi 
sentire, e che attirerebbe loro la collera di un personaggio 
particolarmente sgradevole, cioè il proprietario o qualcuno della 
casa. 

Le Martore sono astute, piene di precauzioni, e sanno girare 
intorno alla loro preda senza svegliarne la diffidenza; dimo- 
strano anche molta intelligenza in questa loro continua ricerca 
di nutrimento. S’ addomesticano con una certa agevolezza, ma 
non si affezionano. L'uomo può fare uno scniavo di quest’ani- 
male, non mai un amico. 

Come singolare particolarità della loro organizzazione, giova 
menzionare l’ odore sgradevole, talora anche fetido, che span- 
dono questi animali, specialmente allorchè sono irritati. Quest’o- 
dore emana da un liquido cui secernono due ghiandole poste 
all’ origine della coda. 

Nel genere Martora si distinguono due gruppi: le Martore 
propriamente dette, e le, Puzzole. 

Le specie principali del primo scompartimento sono la Mar- 
tora comune, il Zibellino e la Faina. 

La Martora comune (fig. 147) è lunga circa 50 centimetri; 
abita le foreste più selvaggie del nord d’Europa e di America, 
ed è divenuta più rara dacchè sono scomparse le grandi fo- 
reste. Come la maggior parte dei suoi congeneri, rimane na- 
scosta lungo il giorno, e solo la sera si mette in caccia, avendo 
bisogno del buio della notte per compiere le sue violenze. Ogni 
sorta di uccelli, lepri, conigli, scoiattoli, ghiri, surmolotti, e 
qualche volta anche serpi e lucertole, tutti cadono sotto i suoi 
terribili denti. È ghiotta anche del miele delle api selva- 
tiche. 

Quando gli uccellini la veggono nel giorno, si riuniscono in 
molti, la circondano, l’ assordano coi loro garriti e l’ obbligano 
a fuggire. 


330 ORDINE DEI CARNIVORI 


La Martora pone la sua dimora in mezzo ad un cespuglio o 
in un tronco d’albero. Quando la femmina è prossima al parto, 
cerca un nido di scoiattoli, sorprende e divora il proprietario, 
poi se ne impadronisce, dopo averlo aggiustato a suo piaci- 
mento. 

La pelliccia della Martora comune ha un certo valore, ma non 
ha la riputazione di quella di alcune altre Martore di cui par- 


leremo ora. 


Zibellino. — Lo Zibellino (Mustela Zibelina) è fornito di un 
pelame fino e morbido..Il suo collo è grigiastro, il resto del 
corpo di un bel colore fulvo. Questo animaletto, tanto ricercato 


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Fig. 148. Faina. 


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per la sua pelliccia, è confinato nelle regioni settentrionali del- 
l’Asia e nella Russia di Europa, specialmente in Siberia. Infatti 
è in quest’ ultimo paese che se ne fa la più attiva caccia. I 
Turchi, i Russi, i Cinesi comprano sul luogo le pelli di Zibel- 
lini, per portarle sui mercati di Europa e di Asia. Le pelli più 
care son quelle il cui colore tende al nero. La pelliccia d’inverno 
è superiore a quella d’ estate; è al tutto nera e meglio fornita. 

I Russi esiliati in Siberia fanno la caccia dello Zibellino, e 
per cercarlo si espongono, in mezzo ai deserti di ghiaccio, a 
miserie e ad ogni sorta di patimenti. Quanti di quei disgraziati 
muoiono di freddo e di fame in quei paesi, la cui temperatura 
può scendere fino a 20° sotto lo zero! Quanti vengono sbranati 
dal dente feroce degli orsi e dei lupi rapaci! Stringe il cuore 


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FicuierR. I Mammiferi. 


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FAINA, PUZZOLA, VISONE, ERMELLINO 999 


il pensiero di tanti patimenti, che si sopportano per soddisfare 
il lusso vano di alcuni privilegiati della società! 


La Faina (fig. 148). — Vive in tutta l’ Europa ed in una 
parte dell’Asia occidentale. I boschi, le siepi, gli orti, ogni luogo 
è acconcio per essa, purchè possa nascondervisi e fare le sue 
operazioni di soppiatto. Sta volontieri presso i luoghi abitati, e 
la sua vicinanza è pericolosa pei piccoli animali domestici dei 
poderi. Si arrampica fino sui colombai. I granai, i fienili sono 
luoghi ove si nasconde volontieri. Quando può vi partorisce i 
suoi piccoli. Si addomestica, e in ischiavitù mangia ogni cosa, 
tranne l’ erba. 

Boitard narra il fatto curioso di un contadino che era riuscito 
a nutrirsi a spese del prossimo, mercè l’azione riunita di una 
faina e di un cane, entrambi meravigliosamente ammaestrati a 
questo scopo. Questo contadino andava a ronzare intorno ai poderi 
seguito dal suo cane e colla faina in un paniere. Quando vedeva 
una gallina sbandata vi lanciava contro la sua faina, che in un 
batter d’ occhio la sgozzava. Poi se ne andava con piglio tran- 
quillo, mentre il cane afferrava il volatile malignamente ucciso, 
e tornava dal suo padrone colla preda nelle fauci. Questo ma- 
neggio finì per essere scoperto, e il furbo villanzone dovette 
rinunziare a sfruttare in tal modo l’ abilità naturale della sua 
faina. i 


Le Puzzole. — Nel gruppo delle Puzzole si distinguono la 
Puzzola comune, il Visone, V Ermellino, il Furetto, la Donnola. 

La Puzzola (fig. 150) va debitrice del suo nome all’ odore 
fetido che emana quando è in collera. Questo odore è insoppor- 
tabile, e ripugna anche agli altri animali. Come la faina, fre- 
quenta i luoghi abitati e vi commette i medesimi danni. 

Dopo il tempo degli amori che segue in primavera, il maschio 
sì rintana nei boschi e vive con quel che gli capita. Se ha la 
fortuna d’ incontrare una conigliera penetra in una tana, e vi 
pon dimora, dopo aver uccisi i proprietari legittimi. Allora fa 
vita allegra fino all'autunno, perchè la preda gli brulica d’in- 
torno. 

La Puzzola s’ incontra in tutta l’ Europa. 

Il Visone è il rappresentante nell'America settentrionale della 
Puzzola; la sua pelliccia ha un certo prezzo in commercio. 

L’ Ermellino (fig. 151) abita come il zibellino le regioni più 
fredde del globo. La Svezia, la Norvegia, la Russia, la Siberia, 
l'America boreale sono i paesi ove trovasi in abbondanza. L’Ér- 


340 ORDINE DEI CARNIVORI 


mellino si trova nelle Alpi Piemontesi; l’ nverno non vien 
mai candidissimo, ma conserva sempre una tinta leggerissima- 
mente gialliccia. 

I cacciatori di Zibellini son dunque nello stesso tempo caccia- 
tori di Ermellini. Tutti conoscono l’ alto prezzo che hanno le 
pelli di questi animali e il notevole commercio cui danno ori- 
gine. Nei nostri paesi i magistrati, i dottori ne fanno gran 
consumo, senza parlare delle signore che si compiacciono di 
adornarsene le graziose personcine. 

D'estate l’ Ermellino è di un bel colore fulvo sopra e bianco 
sotto, colla coda bruna e la punta nera; d’inverno divien tutto 


Fig. 150. Puzzola comune. 


«d’ un bianco di neve o un tantino gialliccio, tranne l’ estremità 
della coda che rimane nera. È questo il tempo in cui se ne fa 
la caccia. Quest’animale non è lungo più di 25 centimetri, non 
compresa la coda. Non v' ha nulla degno di menzione partico- 
larmente nelle sue abitudini. 

Il Furetto (fig. 152), che certi autori considerano come una 
varietà della Puzzola, ha il pelame di un bianco giallastro e gli 
occhi color di rosa. È venuto di Spagna, ove era andato dalla 
costa d’ Africa. Nei nostri paesi non può vivere allo stato sel- 
yatico: vi muore in breve, vittima della rigidezza del clima. 

L’ uomo ha saputo trar partito dell'odio naturale che questo 


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FURETTO 541 
animale ha pel coniglio, e lo addestra per la caccia di questo 


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Fig. 151. Ermellino. 


rosicante. Quando scopre una tana di conigli, il cacciatore vi 


Fig. 152. Furetto. 


porta il Furetto e lo fa entrare dall’apertura della tana. Il Fu- 


342 ORDINE DEI CARNIVORI 


retto non sta molto a far fuggire i conigli presi dallo spavento; 
ma i disgraziati fuggono da Cariddi per cadere in Scilla; perchè 
una trappola tesa all’ingresso della tana li aspetta, ed essi ven- 
gono a gettarvisi a capo fitto, oppure il fucile del cacciatore li 
uccide appena si presentano all’ ingresso della tana. 

Bisogna sempre mettere la museruola al Furetto; senza questa 
precauzione esso dissangua i conigli e si riempie di sangue per 
modo che rimane per vari giorni intorpidito in uno stato di 
sonnolenza, che può durare parecchi giorni. 

Allora è impossibile farlo uscire, a meno di affumicarlo nella 
sua tana; ed anche questo spediente non sempre riesce. 

Tranne questo servizio, ch'è anch’ esso bene interessato, il 
Furetto non è di nessun utile pel suo padrone; non gli porta 
verun affetto, e anzi non mostra di conoscerlo. 

La Donnola (fr. Belette) è il più piccolo dei Carnivori: non 
è lunga più di 15 centimetri. Trovasi in tutta l'Europa tempe- 
rata, presso i luoghi abitati. La sua audacia e il suo coraggio 
sono meravigliosi: aggredisce animali molto più grossi di lei, 
e talora anche ben terribili, come il surmolotto. Secondo il dot- 
tore Jonathan Franklin, fu veduta una Donnola aggredire un’a- 
quila, lasciarsi portar su nell’aria, e riuscire dopo una viva lotta, 
ad aprirle la gola, e ricadere a terra, strettamente avvinghiata 
al vinto nemico. 

La Donnola (fig. 153) fra tutte le Mustele o Martore è quella che 
si addomestica con maggiore agevolezza, e mostra un certo affetto 
al suo padrone. In ogni modo è un grazioso animaletto. 


Genere Ghiottone. — Comincia col "Ghiottone una serie di 
Mustelidi, dall’ andatura più o meno plantigrada e dalle forme 
‘ più tozze delle precedenti. Quest’ animale è il più grosso e il 
più robusto della famiglia. Ha il capo grosso, il corpo medio- 
cremente alto, la coda di mezzana lunghezza e abbastanza for- 
nita, le unghie affilate e taglienti. Il suo nome gli fu dato per 
la sua voracità, che invero è notevole. 

Il Ghiottone appartiene alle regioni artiche dei due continenti. 
Ecco in qual modo si procura il cibo. Si arrampica sopra un 
albero, e rimane in agguato finchè una preda gli passa a tiro; 
allora le si slancia sopra, si avvinghia al dorso della vittima 
e la dilania nel petto a furia di morsi. Invano l’animale tenta 
con sforzi disperati di sbarazzarsi del feroce compagno; finisce 
per soccombere alla sua terribile stretta. Il Ghiottone non teme 
di aggredire i più grossi Ruminanti, come la renna, l’alce, e 
riesce ad ucciderli. 


GENERE GHIOTTONE 343 


Buffon ha posseduto vivo un Ghiottone che in schiavitù era 
divenuto d’ indole molto più mite. Mangiava moltissimo, e con 
tale avidità che parecchie volte rischiò di soffocare. Se gli aves- 
sero dato quattro libbre di carne in un pasto solo, esso le 
avrebbe divorate. 


Genere Moffetta. — Le Moffette sono affini alle grandi specie 
di Mustele per le forme generali e per la statura; ma ne diffe- 
riscono molto pel sistema dentale, organizzato più specialmente 
per un regime onnivoro. Il loro pelame è molto fornito, mor- 
bido e variegato di nero e di bianco; la coda fitta si rialza a 
foggia di pennacchio. 


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Fig. 155. Donnola. 


Le Moffette abitano le due Americhe, dalla baia d’ Hudson 
fino al capo Horn. Sono famose pel loro fetidissimo odore. Stuz- 
zicate, spandono un liquido tanto puzzolente che non v’ha crea- 
tura che possa sopportarlo; e se per disgrazia si è colti, si ri- 
mane per un pezzo impregnati di quest’ odore. 

Kalm nel suo viaggio nell’ America settentrionale, ne parla nel 
modo seguente: : 


« Nel 1749, uno di questi animali venne presso il podere ove io di- 
morava; era d'inverno e di notte;i cani erano svegli e lo inseguirono. 
Allora, sparse un odore tanto fetido, che io nel mio letto eredetti di 
soffocare; le vacche muggivano fortemente. Verso la fine dello stesso 
‘anno, una Moffetta s’' introdusse nella nostra cantina; una donna che la 


344 ORDINE DEI CARNIVORI 

scorse di notte dal scintillamento dei suoi occhi, Îa uccise, e tosto la 
cantina si riempi di un tale puzzo che non solo la donna rimase amma- 
lata per parecchi giorni, ma il pane, la carne e le altre provviste che 
si conservavano in quella cantina ne furono per tal modo infette che 
non se ne potè conservare alcuna, e bisognò gettar fuori tutto, per non 
appestare il luogo nel quale erano quegli oggetti. » 
‘ / 

Genere Tasso. — Il Tasso ! è un animale tozzo, di gambe corte, 
grosso a un dipresso come una volpe, e, tranne la statura, s0- 
migliante all’orso per l’aspetto generale. Ha il muso allungato, 
molto sensitivo alla estremità, le mascelle forti, i denti aguzzi, 
i piedi anteriori muniti d’unghie robuste e acconce a scavare. Il suo 
pelo è lungo, di un grigio nerastro, e al contrario di tutto ciò che 
si osserva negli altri mammiferi, è di una tinta più chiara sulle 
parti superiori del corpo che non sul ventre o sulle gambe; la 
sua coda è corta e villosa. Presso l’ano ha una borsa che secerne: 


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Fig. 154. Ghiottone. 


un umore puzzolente e viscoso. La sua andatura è pesante ed 
Impacciata, 

Il Tasso ( fig. 156) è comune nelle parti temperate dell'Europa 
e dell'Asia, e nel nord dell'America; si incontra assai di fre- 
quente in Francia. È comune anche in Italia. In Piemonte, 
l’anno 1865, una femmina di Tasso, cui si era affumicata la tana 
per prenderne i piccini, si avventò ad una donna,.la seguì per 
un certo tratto, mordendola ripetutamente. Quella donna mor 
in breve con sintomi di idrofobia. 

Il Tasso vive solitario, nei luoghi più scuri e più isolati, 


1 Lat. Meles, fr. Blaireau, ted. Dachs, ingl. Badger. 


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' GENERE TASSO © 347 


ove si scava una tana che ha varie uscite, e con molte gallerie 
che s'intrecciano e che talora sono lunghissime È diffidente, 
teme la luce, e passa tutta la giornata nel suo covile, uscendo 
solo la sera per cercarsi il nutrimento. Si ciba di ogni sorta 
di piccoli animali, mammiferi, uccelli, rettili e insetti; di radici, 
di frutta, di miele: è dunque schiettamente onnivoro. Per altro 
può sopportare una lunghissima astinenza: se ne è veduto uno 
al tutto privo di nutrimento per quarantotto giorni, senza che 
sembrasse averne molto sofferto. 

Si dice che in tempo di carestia e’ si sostiene leccando la 
borsa che porta sotto la coda. Molto astuto, sa evitare con 
grande avvedutezza le trappole che gli vengon tese. È anche 
molto coraggioso e si difende bene allorchè viene aggredito. Se 


Fig. 156. Tasso. 


è inseguito dai cani, il suo primo impulso è di correre alla sua 
tana, ove sta in sicurezza, ma se ne è lontano, di rado riesce 
a giungervi, perchè corre male e non può gareggiare di velocità 
coi cani. Allora si rovescia sul dorso e non muore che dopo 
aver ferito gravemente i suoi nemici. Se invece riesce a giun- 
gere nel suo covile, è difficile poterlo prendere; sovente biso- 
gna demolire le sue gallerie a colpi di zappa. Ma le tane son 
tanto profonde, e occupano uno spazio tanto grande, che ci 
vogliono parecchi giorni a poter scoprire l’animale. Se i cani 
non guidassero gli uomini che zappano il terreno per scoprire 
il Tasso, non si riuscirebbe mai a trovarlo. 

Preso giovine, il Tasso si addomestica agevolmente, e divien 


348 ORDINE DEI CARNIVORI 


‘famigliare quasi come un cane. Del resto, per la varietà dei 
suoi appetiti riesce facile nutrirlo. La sua pelle serve ai sellai, 
« @ i peli entrano nella fabbricazione dei pennelli per la barba. 

Il Tasso nelle Indie e nelle isole vicine è rappresentato da 
due specie, di cui alcuni naturalisti hanno fatto due generi dis- 
tinti: sono l’Arctonya, e il Mydaus, quest’ultimo molto più 
piccolo del Tasso comune. 


Genere Mellivora. — La Mellivora (fr. Ratel) rassomiglià 
molto al Tasso; ha le medesime forme oblunghe, gli stessi 
movimenti impacciati, le stesse disposizioni nel colore del pelame, 
gli stessi istinti scavatori; soltanto il suo muso è più grande, 
e la sua statura è circa un metro. E ghiottissima del miele, 
e passa la maggior parte del suo tempo in cerca di sciami di 
api selvatiche. La sua pelle, coperta di peli duri e spessi, è 
riparata quindi dall’aculeo di questi insetti. Trovasi in molte 
parti dell’Africa, specialmente al capo di Buona Speranza, e 
anche nell'India. 


FAMIGLIA DELLE lenE. — Questa famiglia di animali è di 
statura assai grande, ha istinti carnivori e andatura digitigrada : 
comprende le Zene propriamente dette, ed il genere Protele. 


Genere Iena. — I caratteri principali degli animali del genere 
Iena sono: denti spessi e forti, più atti a stritolare che a tagliare; 
mascelle fortissime, che ritengono agevolmente enormi prede; 
testa larga terminante in un muso ottuso; fisonomia arcigna; 
lingua ruvida, come quella dei gatti; orecchie larghe e quasi 
nude; peli abbondanti, che formano una sorta di criniera lungo 
la spina dorsale; coda mediocre e villosa, la parte posteriore 
del corpo più bassa di quella anteriore, d’onde ne deriva un’anda- 
tura ob'iqua e incerta; piedi tetradattili; unghie corte e robuste, 
meglio atte a scavare che a dilaniare. 

Le Iene s’incontrano nelle varie regioni dell’Africa e nell'Asia 
occidentale. Abitano caverne, d’onde escono a sera, per mettersi 
in cerca di cibo. 

Le Iene non sono quegli animali tanto feroci che l’immagina-= 
zione popolare si figura. Non aggrediscono l’uomo e le altre crea- 
ture se non spinte da necessità assoluta. Preferiscono i cadaveri 
putrefatti e le carogne. S’introducono nei cimiteri, disotterrano 
i cadaveri, li tiran fuori dei loro lenzuoli, e ne fanno avido 
pasto. Entrano anche, la notte, nelle abitazioni, per divorare 
gli avanzi delle mense. Divorano tutto, carne ed ossa; e fa 
meraviglia il modo spiccio con cui fanno sparire i carcami più 
resistenti. 


FAMIGLIA DELLE IENE 349 


Queste abitudini immonde, queste replicate violazioni di sepol- 
cri, hanno reso la Iena un oggetto di avversione e di ribrezzo. 
Tuttavia bisogna esser giusti, e riconoscere i servizi che ci 
rende questo animale. Le Iene sono nei quadrupedi ciò che gli 
avoltoi sono negli uccelli. Compiono lo stesso ufficio, in modo 
ancor più esteso, perchè non lasciano sussistere neppure gli 
scheletri dei cadaveri di cui si nutrono. ln quelle città e in quei 
villaggi africani ove la polizia è lasciata al caso, le Iene tolgon 
via tutti gli avanzi di cui la fermentazione, resa più attiva da 
un sole ardente, genererebbe miasmi pestilenziali, e compromet- 
terebbe la salute pubblica. Per questo rispetto non si può negare 
l'utilità di quegli animali. 

Sfortunatamente, nei luoghi ove abbondano le Iene esse non 
trovano materie putrefatte abbastanza in copia da poter vivere. 
Quindi sono obbligate a ricorrere alla natura vivente. I viag- 
giatori narrano che esse rompono durante la notte i muri che 
attorniano le case dei villaggi africani, e che vi strangolano gli 
animali domestici, allorchè non sono rinchiusi. 

Se ne son vedute perfino portar via gli asini: ciò che dimostra 
la forza straordinaria delle loro mascelle. In mancanza di ogni 
sostanza animale, mangiano radici e giovani germogli vegetali. 

Un naturalista inglese parla di una specie di Iena che gira 
di giorno intorno alle mandre di buoi, si accosta di soppiatto 
dietro a loro mentre riposano, e strappa loro la coda; crudele 
privazione per quegli animali, che non hanno altro riparo contro 
le punture delle mosche, tanto insoffribili in quel clima ardente. 

Sonvi due specie principali di Iene: la Zena rigata e la Iena 
macchiata. 

La Iena rigata (vedi fig. 149 a pag. 337) va debitrice del suo 
nome alle strisce nere che traversano il suo pelame di un 
grigio giallastro. Ha la statura di un grosso cane, ed abita 
l’Abissinia, l'Arabia, la Soria e la Persia. 

La Iena macchiata abita anche la Barberia, ma si trova inoltre 
nella Cafreria e più generalmente in tutto il mezzodì dell’Africa. 
Si addomestica molto agevolmente. Certi coloni africani l’alle- 
vano come un cane, e ne ottengono gli stessi servizi. Trattan- 
dola bene, si riesce a renderla affezionata; ma la violenza la 
fa diventare pericolosa. 


Genere Protele. — I Proteli differisgono così poco dalle Iene 
pei caratteri esterni, che si possono confondere i due generi l’uno 
coll’altro. Ma oltre che hanno cinque dita ai piedi anteriori, 
mentre le Iene ne hanno solo quattro, i Proteli debbono essere 


350 ORDINE DEI CARNIVORI 


collocati in un’altra classe pel loro sistema dentale, che è 
di un tipo al tutto eccezionale e unico in tutto l’ordine dei carni- 
vori. Questi animali non hanno che quattro paia di molari ad 
ogni mascella, molto staccati gli uni dagli altri e ridotti a sem- 
plici rudimenti. 

Si può quindi concludere da ciò che i Proteli non hanno una 
forza di masticazione sufficiente per potersi nutrire di carni 
grosse e muscolose, ed hanno duopo di carni tenere, facilmente 
divisibili, mercè un principio di scomposizione. L’osservazione 
conferma queste congetture. I Proteli vivono della carne di 
agnelli giovanissimi o di altri ruminanti. Aggrediscono anche le 
pecore adulte, per pascersi dell’ enorme ammasso’ di grasso 
che circonda la loro coda, e che forma un carattere particolare 
delle pecore africane. Questo alimento è loro graditissimo, perchè 
è in rapporto coi loro denti. Si nutrono anche di cadaveri. 

Non si conoscono bene i costumi di questi animali. È noto 
soltanto che si scavono delle tane ove rimangon nascosti per 
tutto il giorno. Abitano l’Africa australe, la costa di Mozambico, 
la Nubia e l’Abissinia. 


FamigLIa DEI FELINI. — I Felini, o Gatti, formano una famiglia 
molto naturale e facile da riconoscere pei suoi caratteri. 

Hanno testa rotonda: mascelle corte e per conseguenza fortis- 
sime, munite di molari taglienti; lingua irta di papille cornee 
che fanno l’effetto di una raspa sulla pelle nuda, cui anche 
lambendola, feriscono; dita in numero di cinque alle estremità 
anteriori e quattro alle posteriori; unghie taglienti, aguzze e 
retrattili, tranne nel ghepardo; occhi gialli, dallo sguardo feroce, 
organizzati per vedere di notte; orecchie bene aperte, ma poco 
sviluppate. A questi vari caratteri aggiungeremo andatura di- 
gitigrada, forme eleganti, membra robuste, una pieghevolezza. 
ed una meravigliosa sveltezza, per cui non corrono agevolmente, 
ma possono far salti molto lunghi, e così avremo un’ idea ge- 
nerale di questi formidabili animali. 

Formidabili invero!Fra loro si annoverano i più grossi car- 
nivori, i meglio armati e i più sanguinari: il Leone, la Tigre, 
la Pantera, ecc. Non si nutrono che di preda viva, di carni 
palpitanti, che dilaniano con gioia selvaggia. Sebbene abbiano 
mole molto varia, hanno tutti lo stesso modo di aggredire, di 
combattere e di sgozzare le loro vittime. Se ne impadroniscono 
sempre per sorpresa, giacchè non hanno il coraggio per cui 
vanno rinomati. Accovacciati nell’ ombra, in silenzio, aspettano 
pazientemente la preda; e appena questa appare, la colpiscono 


GENERE GATTO, LEONE [851 


alle spalle senza darle tempo a difendersi. Del resto scelgono 
con prudenza; onde non incorrere in qualche pericolo, se la 
pigliano con animali innocui. La fame soltanto, la fame crudele, 
li induce a slanciarsi sulla prima preda che incontrano, qua- 
lunque essa sia; e allora, se trovan resistenza, vanno terribil- 
mente in furia. 

La famiglia dei Felini comprende i tre generi: Gatto, Lince, 
Ghepardo. 


Genere Gatto. — Questo genere comprende i carnivori che 
hanno per tipo il Gatto domestico. Sono: nel mondo antico il 
Leone, la Tigre, la Pantera, il Leopardo, l Onza, il Serval, il 
Gatto selvatico , e il Gatto domestico; nel nuovo continente, il 
Giaguaro, il Coguaro, il Gattopardo. 


Leone. — Se si deve badare soltanto all’impressione che pro- 
duce sopra di noi l’ aspetto del Leone (vedi fig. 155 a pag. 345), 
bisogna confessare che cesso non ha usurpato il titolo di re degli 
animali, che gli fu dato fin dai tempi più antichi. Porta alto 
il capo, e procede con tale lentezza che si potrebbe scambiare 
per gravità; la sua fisonomia tranquilla e dignitosa, dimostra 
che egli conosce la sua forza. La filta e magnifica criniera che 
gli ombreggia il capo e il collo aggiunse ancora al suo aspetto 
un certo piglio maestoso che incute rispetto. 

Alcuni Leoni adulti giungono fino alla lunghezza di tre metri 
dalla punta del muso fino all’origine della coda; ma in generale 
non superano metri 1,75 a metri 1,30. Eccettuata la criniera e 
un ciuffo di peli che termina in coda, hanno il corpo al tutto 
raso e di una tinta fulva molto uniforme. La femmina si di- 
stingue per la mancanza di criniera e per la testa meno grossa; 
è quasi di un quarto più piccola del maschio. 

Buffon ha dettato uno stupendo elogio del Leone, che rimarrà 
uno dei più begli squarci della letteratura francese. Gli accorda 
coraggio, magnanimità, generosità, nobiltà di carattere, grati- 
tudine pei benefizi, sensibilità ed altre qualità morali. Sfortu- 
natamente tutta questa pompa di frasi cade innanzi alla realtà 
ed alla osservazione. 

Prima di progredire più oltre, è duopo far qui una osserva- 
zione: ed è che la statura, l’indole ed i costumi dei Leoni 
differiscono molto, secondo le loro varietà e secondo i paesi che 
abitano. Le asserzioni di vari viaggiatori non permettono di 
mettere in dubbio che il Leone dell’Africa australe differisce assai 
dal Leone di Barberia, varietà a noi meglio nota. 


352 ORDINE DEI CARNIVORI 


Questa osservazione serve a spiegare le numerose contraddi- 
zioni che finora hanno esistito nella storia del Leone, considerato 
come tipo unico. Nondimeno queste contraddizioni sono soltanto 
apparenti, perchè hanno fondamento sulla confusione delle 
varietà della specie leonina; appena cessa la confusione, si dile- 
guono esse pure. Tuttavia vi sono dei caratteri comuni a tutti i 
Leoni del mondo: son quelli che costituiscono la fisonomia della 
specie. 

Generalmente il Leone non esce durante il giorno: non già 
che i suoi occhi non siano conformati per vederci di giorno, ma 
l’indolenza e la prudenza lo fanno rimanere fino a sera nel suo 
ricovero. Se nei dintorni avvi uno stagno, va a porsi in agguato 
sulle sponde di quello, sperando far preda delle antilopi, delle 
gazzelle, delle giraffe, delle zebre, dei. bufali, ecc., che la sete 
vi conduce. Non riesce sempre a impadronirsene, perchè questi 
erbivori, conoscendo il pericolo, non procedono che con somma 
precauzione. Quando uno di questi ruminanti è venuto a mettersi 
a tiro del terribile carnivoro, guai a lui! Un enorme salto basta 
al Leone per raggiungerlo, e con un colpo solo della sua potente 
zampa gli rompe la spina dorsale. Se il suo colpo manca, non 
tenta una inutile caccia: sa che non riesce a gareggiare di velo- 
cità con quei rapidi figli delle praterie. Ritorna dunque a met- 
tersi in agguato, finchè gli si presenti una migliore circostanza 
o che la notte affatto oscura abbia allontanato ogni sorta di 
preda. Nondimeno il Leone non può rimanere un pezzo a sto- 
maco vuoto. Allora si accosta all'abitato per sorprendere qualche 
animale domestico. I recinti di 3 metri di altezza non sono 
ostacoli sufficienti: per esso. Dopo averli varcati, come per giuoco, 
piomba in mezzo al bestiame raccolto nel recinto, e afferra un 
bue, un cavallo, un cammello, e in mancanza Den; una capra, 
una pecora, ecc. 

La forza che dimostra in questo caso è invero siero) 
Si è veduto, al Capo di Buona Speranza, un Leone portar via 
una giovenca colla stessa agevolezza colla quale un gatto porta 
via un sorcio, e saltare, tenendo sempre la sua preda, un largo 
fosso che si trovava sulla via. In quei casi non divora mai 
sul luogo la preda. Calcolate un po’ la forza necessaria a sal- 
tare un muro alto tre metri, con un carico di parecchie centi- 
naia di chilogrammi! 

L’audacia del Leone aumenta coi suoi bisogni. Allorchè ha 
«esaurito ogni mezzo facile di procurarsi il nutrimento, ed è 
affamato all’estremo, non ha più nessuna paura, va incon- 
tro ad ogni pericolo, per non morire d’inedia. Di giorno, viene 


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a ronzare intorno alle mandre di buoi, delle pecore, e non esita 
un momento a slanciarsi sopra uno di questi animali, lo afferra, 
poi fugge in fretta. Spinge l’ardire fino ad aggredire mandre di 
bufali, cosa audacissima, perchè un solo bufalo, allorchè non è 
sorpreso alle spalle, può benissimo atterrarlo, Quindi il carnivoro 
mon sempre esce vincitore in questi vari tentativi. 

« Ho saputo da persone degne di fede, dice Sparrmann, che 
un Leone è stato spinto, ferito e calpestato fino a morte, da una 
mandra di bestiame, che egli, incalzato dalla fame, aveva osato 
aggredire di pieno giorno. » 

Livingstone, celebre viaggiatore inglese, ha veduto una man- 
dra di bufali difendersi contro un certo numero di Leoni, presen- 
tando loro le corna. I maschi erano sul davanti, le femmine ei 
piccoli stavano di dietro. 

Quando è affamato, il Leone si contenta benissimo delle carogne 
che incontra, anche se sono vecchie di parecchi giorni. In tempo 
ordinario, torna sovente l'indomani a mangiare gli avanzi del 
suo festino del giorno prima: ciò che altri Felini non fanno mai. 
Un carattere che sembra proprio al Leone dell’Africa australe 
è quello di riunirsi in frotte per dar caccia agli animali che 
isolato non potrebbe vincere. Delegorgue narra che si vedon di 
frequente durante il giorno, d’inverno, una ventina o una trentina 
di Leoni riunirsi per far.andare la selvaggina in luoghi difficili, 
ove stanno in agguato alcuni di loro. Son caccie fatte con tutte 
le regole, dice egli, ma senza rumore; le emanazioni dei Leoni 
bastano a far fuggire gli erbivori appena le sentono. 

Il rinoceronte è sovente inseguito in tal modo da strupi di 
Leoni. 

Si è fatto molte volte una importante osservazione; ed è che 
il Leone, quando è affamato o irritato, si batte i fianchi colla 
coda, e scuote la criniera. Quindi, allorchè taluno trovasi ina- 
spettatamente in faccia ad un Leone, basta esaminare la sua coda 
per conoscere le sue intenzioni, e in conseguenza per prendere 
questa o quella risoluzione. Se la coda non si muove, passate 
pur senza timore accanto all’animale; non solo egli non vi si 
slancerà addosso, ma anche basterà gettargli un sasso per farlo 
fuggire. 

Nel caso contrario, cercate rapidamente un luogo per ripararvi, 
se non potete impegnare una lotta; e se siete armato, prepara- 
tevi a difendere energicamente la vostra vita. 

Siccome il Leone non si avventa mai sopra una creatura 
vivente quando è satollo, e non prende che una vittima per volta, 
si è creduto poterne dedurre che è molto magnanimo. Tanto 


356 ORDINE DEI CARNIVORI 


varrebbe lodare la sobrietà di un uomo che ha fatto un buon 
pasto. Nessun animale uccide pel gusto di uccidere. Se certi 
carnivori sembrano andar contro a questa legge, gli è che sono 
spinti da motivi che sfuggono al nostro giudizio, ma che un 
giorno forse scopriremo, allorchè lo studio della natura sarà 
più avanzato. Tutto ciò che finora si può dire, è che il Leone 
è meno irritabile di molti altri animali. 

Il Leone sa tutto ciò che può temere dall'uomo; quindi lo 
tratta con rispetto, e non si arrischia ad aggredirlo che quando 
è alle strette, a meno che questo non l’abbia provocato sul serio. 
E, anche in quest’ultimo caso, si allontana talora dall’ uomo 
che l’ha ferito. Numerose testimonianze attestano questo fatto. 


« Si vedono ogni giorno, dice Delegorgue, i Cafri, privi di armi da fuoco, 
attraversare colle loro famiglie tratti di terreno ove vagano questi animali, 
ed a quegli uomini la presenza dei leoni non fa paura. Anzi, sia per 
prudenza o per timidezza, il terribile carnivoro, quando è sorpreso e non 
è spinto dalla fame, fugge in faccia ad un uomo, ad un fanciullo, e se 
la dà a gambe anche alla distanza di cinquecento passi al solo rumore 
delle voci umane che gli porta il vento. Queste abitudini, che sembrano 
indicare un senso di timore, sono ben note a certe popolazioni. » 


Un giorno Sparrmann e i suoi compagni videro, dinanzi a 
sè alla distanza di due o trecento passi, due grossi Leoni, che 
fuggirono appena ebbero veduto .i cacciatori. Questi avendoli 
inseguiti a cavallo, mandando grida, i Leoni atfrettarono il passo 
e penetrarono in un bosco ove scomparvero. 

Il signor Moffat dice di aver veduto alcuni Bushmen obbligare 
un Leone ad abbandonare la sua presa soltanto con le grida 
e facendo un gran rumore. 

Un ricco fattore passeggiava sulle sue terre, col fucile in mano. 
Ad un tratto vide un Leone. Credendosi certo di ucciderlo, 
mira e spara. Ma l’arme falla il colpo; il che vedendo, il nostro 
uomo fugge in fretta inseguito dal Leone. Ad un tratto incontra 
un piccolo monticello di pietre, vi monta sopra e si volge tenendo 
il fucile dalla canna e minacciando il nemico. A quella vista 
l’animale si ferma e rimane accovacciato a pochi passi, con 
piglio tranquillo. Nondimeno il fattore non osava scendere. 
Finalmente, dopo una mezz’ora, il Leone se ne andò lentamente 
come di soppiatto, dice Sparrmann che narra questo fatto; e 
appena fu un po’ distante se la diede a gambe. In tal modo 
l’animale e l’uomo avevano avuto paura l’uno dell’altro. 

Un'altra prova del timore che invade il Leone alla vista del- 
l’uomo è il modo con cui lo tratta quando lo ha in suo potere. Men- 


LEONE 357 


tre uccide con un colpo solo l’animale di cui vuol fare sua preda, 
non uccide immediatamente l’uomo che ha messo fuori di com - 
battimento. Evidentemente esso opera in tal modo perchè lo 
teme ancora, anche quando è prostrato a terra e ferito; il timore 
di qualche colpo imprevisto, e non la generosità, trattiene la 
sua vendetta. 

Ci son molti esempi di fatti simili. Un cacciatore mira il 
Leone e lo manca, o lo ferisce leggermente. L’animale furente 
gli si precipita addosso, lo atterra con un colpo di zampa, e lo 
mantiene fermo sotto la sua terribile stretta, senza finire la sua 
opera di distruzione. Allora accade sovente che, distratto dall’ag- 
gressione di un altro cacciatore, abbandona la sua prima vittima.. 
Fu in tal modo che Livingstone sfuggi un giorno a certa morte. 
Un Leone lo teneva fermo a terra sotto i suoi artigli, e stava per 
divorargli il capo (fig. 157), quando una fucilata di uno dei suoi 
compagni chiamò a sè per fortuna l’attenzione dell'animale. Ab- 
bandonando subito il dottore, la terribile fiera si slanciò sul nuovo 
nemico, il quale sfuggì anch’esso ai suoi colpi. 

Sembra che quando il Leone ha fatto una volta un buon pasto 
di carne umana la trova tanto di suo gusto che non ne vuole 
più di altra sorta. In tal modo diviene, come dicono gli Arabi, 
mangiatore di uomini. Lungi dal fuggire la presenza dell’uomo, 
la cerca allora con insistenza. Soltanto, siccome ha avuto occa- 
sione di riconoscere la superiorità dell’ uomo bianco su quello 
di colore, siccome sa che deve temere più il primo del secondo, 
sceglie di preferenza il nero per farne sua vittima, trovando 
così il modo di conciliare il suo gusto colla prudenza. Nell’Africa 
australe è cosa notissima che gl’indigeni sono più dei coloni 
esposti alle aggressioni di questi animali. 

Uno dei tratti caratteristici del Leone è la vanità: gli piace 
di farsi ammirare. 


« Di pieno giorno, dice Livingstone, il Leone si ferma uno o due secondi 
per guardare la persona che incontra; poi le gira lentamente attorno, 
si allontana di qualche passo, sempre adagino, guardandosi indietro; indi 
comincia a trottare, e fuggire saltando come un levriere, appena crede 
di non esser più veduto. » 


Il Leone è sommamente diffidente. Quando teme un agguato, 
non osa aggredire. Perciò sovente gli accade di dover lasciare, 
sebbene a malincuore, una preda che gli sembra troppo agevole 
per non nascondere un agguato. Talora questa supposizione non 
è giusta: ancorchè l’uomo o l’animale che la sua cattiva stella. 


358 ORDINE DEI CARNIVORI 


aveva portato senza difesa sulla via del Leone, sfugga per mira- 
colo alie sue formidabili zampe. 

Eccone un esempio. Un colono del Capo di Buona Speranza 
incontrò un giorno inaspettatamente un Leone, e rimase tanto 
atterrito a quella vista, che cadde svenuto. Sorpreso da ciò, il 
Leone esplora accuratamente i contorni e non vede alcuno. Ma 
temendo qualche tranello, batte rapidamente in ritirata, senza 
toccare l’uomo, sempre svenuto. 

In ogni tempo si è ammirato il ruggito del Leone. Quando 
fa rintronare le foreste, nel silenzio della notte, mette lo spavento 
in tutti gli esseri viventi, a una lega di circonferenza. Quelle 
note solenni, profonde, cavernose, miste ad intervalli ad altre 
note più acute, hanno un non so che di spaventoso che gela il 
sangue. Quando quella voce potente si fa udire, il bestiame 
trema nelle stalle e ne segue con ansia le varie modulazioni, 
per rendersi conto del cammino del nemico che s’avvicina. Se 
il Leone viene a girare intorno al recinto ove sono racchiusi 
gli animali domestici, essi danno segno di profondo terrore e 
tentano di fuggire. L’odorato solo fa loro sentire l’accostarsi 
della fiera anche da grande distanza, perché questo carnivoro 
manda emanazioni fortissime. 

Intorno al ruggito del Leone, Livingstone fa alcune riflessioni 
che contrastano in modo singolare collo stile pieno d’enfasi 
della maggior parte degli autori che ne hanno parlato. Egli 
asserisce che il ruggito del Leone rassomiglia tanto al grido 
dello struzzo da scambiarlo. Il grido dello struzzo, dice egli, è- 
tanto forte quanto quello del Leone, e nessun uomo ne fu mai 
atterrito. Livingstone dichiara aver consultato intorno a ciò varii 
Europei che hanno inteso entrambe queste grida; tutti gli hanno 
risposto che non vi trovavano la benchè minima differenza. So- 
vente gli stessi indigeni vi rimangon presi; solo dopo le prime 
note, e con molta attenzione, riescono a distinguere la voce del 
carnivoro da quella dell’uccello. Livingstone riconosce che in gene- 
rale il grido delto struzzo è meno profondo del ruggito del Leone; 
ma, aggiunge egli, io non ho potuto finora distinguerli con cer- 
tezza, perchè si fanno sentire il primo di notte e il secondo 
di giorno. Forse il Leone dell’Atlante ha la voce più forte di 
quello dell’Africa australe di cui parla Livingstone: in tal caso 
tutte le opinioni sarebbero conciliabili. 

In primavera il Leone si cerca una compagna e si mostra 
sposo affezionato. Finchè non {abbia partorito, la Leonessa lo 
segue ovunque, e per lo più il maschio si incarica di provvedere 
al nutrimento comune. 


LEONE 359 


Dicesi anche che spinge la gentilezza fino a non voler man- 
giare pel primo, e che non s’accosta alla preda finchè la sua 
sposa non sia satolla. In ricambio, questa lo difende coraggio- 
samente se esso viene aggredito. 

La gestazione della Leonessa dura cento otto giorni, e partorisce 
da due a cinque piccoli, che cura e protegge con un amore gran- 
dissimo. Il coraggio che mette a difenderli è proverbiale. Guai a 
chi volesse dar loro noia, o rapirglieli! Proverà allora gli effetti 
della sua collera, e non si salverà se non uccidendo quella 
madre furibonda. 

Siccome il maschio ha la perversa abitudine di divorare i 
suoi figliuoli appena nati, così 1a Leonessa cerca un luogo ap- 
partato, qualche nascondiglio inaccessibile, per partorire. Per 
maggior precauzione, ha cura di moltiplicare le sue traccie in- 
torno alla tana. Allatta i suoi piccoli per sei mesi, non lasciandoli 
se non per andare a bere o per procurarsi il cibo qualora il 
maschio non abbia potuto provvederlo. Dopo che sono svezzati, 
li conduce alla caccia col padre. Allora le devastazioni della 
coppia leonina divengono inaudite; perchè questi animali ucci- 
dono non solo per nutrire i loro piccoli, ma anche per insegnar 
loro a strangolare e dilaniare una preda. Le popolazioni vicine 
sanno quel che costa una cosifatta educazione. Ciò dura finchè 
i piccoli Leoni son divenuti abbastanza forti per provvedersi il 
cibo da soli; allora i genitori li scacciano. 

I Leoni appena nati son grossi come un gatto giunto alla metà 


«del suo accrescimento; a un anno, hanno la statura di un grosso 


cane. Non camminano prima del secondo mese. Il loro pelame 
differisce da quello degli adulti. È fulvo, e rigato di piccole 
strisce brune, che non scompaiono al tutto che all’ età di cinque 
o sei anni. La criniera viene al maschio verso i tre anni. La 


| media della vita del Leone sembra essere da 35 a 40 anni. 


Nei costumi del leone giova notare il fatto che, pel suo re- 


. gime carnivoro, e il grande suo appetito, egli è obbligato a fare 


una vita solitaria, in un luogo dove prende assoluta padronanza. 


Nessun altro animale della stessa specie o di una specie affine 


può metter piede sul suo dominio, senza dover combattere acca- 

nitamente. I viaggiatori ci hanno narrato queste terribili lotte, 

che sovente hanno termine colla morte dei due combattenti. 
Un’ altra cagione di guerra tra i maschi è il possesso delle 


‘femmine nella stagione degli amori. Pare che quelle signore si 


compiacciano malignamente, con perfidi raggiri, ad eccitare la 
gelosia dei loro adoratori, e non sono dispiacenti di vedere 
quei fieri campioni uccidersi a vicenda pei loro begli occhi. 


ORDINE DEI CARNIVORI 


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Fig. 158. Una caccia al leone all’ agguato. 


Il Leone è invero il re degli animali, se si giudica dalla cifra 
enorme della sua lista civile. Fa meraviglia il pensare alla 
quantità di bestiame ch’ esso divora in tutta la sua vita. Il ca- 
pitano degli spahis, Giulio Gerard, detto 1’ Uccisore di Leoni, 
celebre per le sue caccie in Algeria, calcola a 6000 franchi il 


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Fig. 159. Tigre reale. 


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LA CACCIA DEL LEONE 363 


valore dei cavalli, muli, buoi, cammelli e montoni, che un solo 
Leone porta via ogni anno agli Arabi. Prendendo la media della 
sua vita, che è di trentacinque anni, ogni Leone che frequenta 
quelle regioni costa dunque 210,000 franchi agli Arabi. Giulio 
Gerard soggiunge che, dal 1856 al 1857, sessanta Leoni, nella 
sola provincia di Bona, hanno portato via 10,000 teste di bes- 
tiame, tra grosso e piccolo. Infatti la quantità di cibo che di- 
vora questo carnivoro in un pasto solo è prodigiosa: lo si è 
veduto divorare sul luogo una giovenca intera. 

Quindi si comprende agevolmente che il Leone sia molto odiato 
dalle popolazioni africane, di cui tutta la ricchezza consiste in 
gregge; odio tanto più violento, in quanto che gli Arabi hanno 
di raro il coraggio di esporre la propria vita per arrestare le 
depredazioni del loro nemico. Quindi esistono molti metodi per 
dar caccia al Leone. 


La caccia del Leone. — Prima di tutto si può adoperare l’a- 
stuzia. Questo metodo, che ha il vantaggio di non presentare 
alcun pericolo, è adoperato più spesso. I negri del Sudan e gli 
Ottentotti scavano un fosso profondo sul cammino del Leone 
che vogliono prendere, ben nascosto sotto un intreccio di rami 
ricoperti di verdura, il quale deve cedere alla prima pressione. 
Su questo terreno falso mettono un animale qualunque, un 
agnello vivo, o un quarto di bue o di cavallo ucciso di fresco. 
Il Leone sopraggiunge, vede la preda, dà un salto e cade nella 
trappola. Allora i suoi nemici vengono ad insultare la sua furia 
impotente, e lo mitragliano a loro piacimento dai margini del 
fosso, in fondo al quale il Leone si è accovacciato cupo e in un 
silenzio pieno di calma dignitosa. 

Gli Arabi scavano sovente questo fosso nell’ interno stesso 
del duar (riunione di tende); ciò che li dispensa dal cercare di 
nasconderlo e rende più sicura ancora la buona riuscita dell’a- 
stuzia. Quando il ladro notturno riesce a saltare la siepe della 
cinta, cade in quella fossa spalancata, ove trova una morte 
ignobile. La presa diviene una festa per quel duar, e per gli 
altri vicini, ed è occasione di frenetici applausi e di ogni sorta 
di divertimenti. Uomini, donne, ragazzi, tutti vanno a contem- 
plare il vinto colosso, e gli son prodighi d’ingiurie e di sassate. 

La caccia che si pratica mettendosi in agguato sotto terra o 
sopra un albero, non è neppur essa molto pericolosa. Nel primo 
caso (vedi fig. 158 a pag. 360) tre o quattro uomini si nascon- 
dono in un buco profondo circa un metro, scavato sul margine 
di un sentiero frequentato dal Leone. Sopra di esso, grossi tron- 


3604 ORDINE DEI CARNIVORI 


chi d’alberi, carichi di enormi pietre e di un fitto strato di terra, 
formano un solido tetto: alcune piccole aperture fatte sui lati 
servono a vedere ciò che segue all’ intorno, e a collocarvi le 
canne dei fucili; una porta di dietro è chiusa ‘da grossi massi 
di rocce; finalmente si pone un’ esca in faccia all’ agguato per 
obbligare il Leone a fermarsi. Infatti, questo viene, e fiuta la 
preda posta sulla sua strada; in quel momento riceve una sca- 
rica generale. Di rado cade morto sul colpo. Appena è colpito 
spicca un salto verso l’agguato, credendo di trovarvi il nemico; 
ma, dopo inutili ricerche, si allontana senza essere inseguito 
e va a morire nella sua caverna. i 

Altre volte i cacciatori si nascondono nel mezzo di un albero, 
al quale aggiungono anche altri rami, per rimaner meglio na- 
scosti. Da quel luogo operano perfettamente nello stesso modo 
come nell’agguato sotterraneo. Queste due sorta di agguati sono 
molto in uso fra gli Arabi. 

Ma sovente la diffidenza del Leone fa fallire queste astuzie. 
Allora bisogna venire a fargli guerra aperta. Un certo numero 
di cavalieri, accompagnati da grossi cani, sì riuniscono, si acco- 
stano alla boscaglia ove si appiatta la belva, e tentano in vario 
modo di farnela uscire ed attirarla nella pianura. Se l’animale 
in queste condizioni accetta la lotta, è perduto. I cacciatori gli 
sparano addosso successivamente e fuggono a briglia sciolta 
lungi da lui; poi dopo aver ricaricato le armi, ritornano mano © 
mano sul Leone, ricominciano a sparare, finchè sia caduto. 

I coloni dell’ Africa australe non procedono altrimenti, ed è 
senza esempio che un solo di essi sia morto in questa sorta di 
torneo. Quindi sogliono far sovente questa caccia, non solo 
senza timore, ma con gusto, e cercano tutte le occasioni per 
effettuarla. In quei paesi si fa la caccia al Leone come in Europa 
s’ insegue il Cervo. 

Fra gli Arabi ciò non segue tanto agevolmente. Quando un 
certo numero d’uomini si unisce per andare a cercare il Leone 
nel suo covo, quasi sempre ne segue la morte di un uomo. 
È vero che i cacciatori arabi non fuggono come gli Africani 
del Sud, dopo avere sparato, ma aspettano imperterriti l’urto 
dell’ animale, dopo averlo accolto con una salva di palle. Ora 
il Leone non è mai tanto terribile come quando è pericoiosa- 
mente ferito e sul punto di morire: allora, non v'è misericordia! 
tutto che gli cade sotto gli artigli è sbranato; e siccome è do- 
tato di una forza vitale straordinaria, si può contare sul terreno 
insanguinato il numero delle vittime della sua terribile ed an- 
gosciata agonia, 


LA CACCIA DEL LEONE 365 


Avvi un modo di far caccia al Leone, che richiede sangue 
freddo, intrepidezza, e sopratutto un colpo d’occhio sommamente 
giusto: questo metodo è la caccia fatta all’ agguato scoperto, 
resa celebre in Algeria da Giulio Gerard e Chassaing. Il cac- 
ciatore penetra solo nei luoghi abitati dai Leoni. Se ne cerca 
uno, si studia il suo modo di vivere, lo si osserva, lo si sor- 
veglia per vari giorni, onde conoscerne bene le abitudini. Poi 
una bella notte, si va ad aspettarlo nel luogo più acconcio, e 
sì mira in faccia. Allora bisogna vincere o morire. Se l’ ani- 
male non è ferito mortalmente alla prima o alla seconda scarica, 
il cacciatore è spacciato. Gli artigli e i denti del suo terribile 
avversario lo sbranano. 

Chassaing ha in tal modo ottenuto effetti sorprendenti: uccise 
quattordici Leoni in quattro notti, e gli è capitato talora di 
ucciderne quattro in una sola notte. 

Le gesta di Giulio Gerard, detto l’uccisore di Leoni, sono note 
e furono ammirate da tutti. Le sue caccie piene di emozioni 
sono state raccontate molte volte. Ci limiteremo per darne un’i- 
dea generale a scegliere qualche brano delle sue caccie nel vo- 
lume che ha pubblicato. 

Giulio Gerard narra ciò che segue nel capitolo XVI del suo 
libro che ha per titolo: l’ uccisore di Leoni: 


« Appena giunto a Ghelma, ricevetti nuove richieste e lagnanze, mo- 
tivate dalla presenza di un grosso Leone fulvo che era venuto a por 
dimora dopo la mia partenza presso i miei amici della Makuna. 

« Io aveva sempre la febbre, ma sapevo quanto fossero salubri l’aria 
e l’acqua di quei monti, quindi partii nei primi giorni d’ agosto. 

« Fra tutti gl’indigeni del paese, quello che aveva sofferto maggiori 
danni era un cotale chiamato Lakdar, che aveva esso solo perduto ven- 
tinove buoi, quarantacinque montoni, e parecchi muli o giumente. Bi- 
sogna dire che questo povero diavolo aveva scelto per sua dimora il sito 
meno abitabile di quel paese, che sembra più acconcio pei Leoni che 
per gli uomini. Immaginatevi, sul versante di una montagna coperta di 
fitti boschi, piena di burroni, selvaggia, un pezzo di terra ignoto a tutti, 
ove mai non penetra il sole, e avrete un’idea del luogo ove Lakdar 
aveva posto i suoi penati. Tuttavia, debbo aggiungere che aveva innanzi 
alla sua tenda un giardino pieno di alberi fruttiferi, un campo che aveva 
coltivato ed una fontana che dava un'acqua deliziosa, ricchezze naturali 
che per tutto l’oro del mondo non avrebbe forse trovate altrove. Ecco 
la ragione per cui Lakdar sopportava con stoico coraggio le perdite che 
gli cagionava il Leone. Al mio arrivo presso l’ ospite della Makuna, fui 
accolto come un salvatore. 

« Io aveva scoperto il recinto circondato da una siepe alta sei piedi 
e larga un metro, che il Leone varcava quasi ogni notte per venirsi a 
cercare la cena. 


366 ORDINE DEI CARNIVORI 


« Passai varie notti consecutive nel mezzo del recinto senza vedere 
l’affamato visitatore. 

« Il giorno, andai a rovistare con cura tutte le boscaglie vicine, e 
non fui più fortunato. 

« Vedi, mi diceva Lakdar, appena sei venuto il nemico è scomparso; 
ma quando sarai partito tornerà, e allora tutti saremo immolati , le mie 
ultime bestie, mio figlio, mio fratello, io stesso; questo è certo! 

« — Prendi moglie fra noi, mi diceva la moglie di Lakdar, così non 
ci lascerai più. Ti faremo vedere le più belle fanciulle della montagna; 
te ne sceglierai due o tre; la tribù ti darà una bella tenda, un gregge, 
e in tal modo avremo la pace. 

« Non è raro il caso di un cosifatto accanimento del Leone contro 
uno stesso duar e una medesima tenda.... 

« ... La sera del 26 agosto, mentre stavo in giardino seduto osser- 
vando un vecchio cinghiale che veniva rivoltolandosi poco discosto da 
me, Lakdar venne ad annunziarmi che il suo toro nero non era tornato 
colla mandra, e doveva esser caduto vittima del Leone, e che all’ alba 
sarebbe andato a cercarne gli avanzi. 

« L'indomani, svegliandomi, trovai il mio ospite accovacciato accanio 
al mio letto. Era raggiante di gioia. 

« — Vieni, mi disse, l’ho trovato! 

« Un quarto d’ora dopo giunsi in mezzo ad una fitta boscaglia, in- 
nanzi agli avanzi del toro; le coscie e il petto erano stati divorati , il 
resto era intatto. Appena Lakdar mi ebbe portato una galletta e un 
vaso d’acqua, lo rimandai a casa; poi sedetti al piede di un olivo, a tre 
passi dagli avanzi del toro. [l bosco ove mi trovavo era tanto fitto che 
mi era impossibile scorgere qualche cosa alla distanza di cinque, o 
sei metri intorno a me. Ebbi cura di riconoscere, osservando le traccie, 
la direzione presa dal Leone per andarsene, onde averlo in faccia. Poi 
mi tolsi il turbante, onde sentire meglio il più piccolo rumore. 

« Al tramonto, tutto ciò che popolava quel luogo cominciò a muoversi, 
e dovetti tenermi in guardia, talora per una lince, talora per uno scia- 
callo, talora anche per meno. 

« Quanti rumori, quante emozioni di vario genere! posso dire che 
nello spazio di mezz'ora ne provai tante da contentare il più ardito de- 
gli avventurieri. 

« Verso le otto della sera, al punto in cui la nuova luna rischiarava 
per metà il luogo ove io mi trovava, sentii da lungi lo scericchiolio di 
un ramo. Questa volta non v'era alcun dubbio: solo il peso del Leone 
poteva esser cagione di quel rumore. 

« Poco dopo, un sordo e compresso ruggito rintronò sotto la bo- 
scaglia. 

« Finalmente potei distinguere la sua andatura sorda e lenta, ch'egli 
ha sempre quando esce dal suo nascondiglio. 

« Io aspettava col fucile alla spalla, col gomito sul ginocchio e il 
dito sul grilletto, il momento in cui sarebbe parsa ia testa. 

« Non la vidi che quando l’ animale era giunto presso il toro, suì 


LA CACCIA DEL LEONE 3607 


quale si mise subito a far passare la sua enorme lingua, senza cessare 
pure per un istante dal tenermi d’occhio. Mirai alla meglio e feci fuoco. 

« Il Leone cadde ruggendo, e si rialzò quasi subito sui piedi poste- 
riori, come un cavallo che s'impenna. 

« M’ero alzato anch’io, e facendo un passo avanti, sparai.a bruciapelo. 
Questa volta si arrovesciò come fulminato. 

« Indietreggiai qualche passo per ricaricare il fucile; poi vedendo che 
l’animale si moveva ancora, m'accostai col pugnale alla mano. 

« Dopo di aver ben cercato il posto del cuore, levato il braccio, vibrai 
un colpo. 

« Ma nello stesso istante l’antibraccio del Leone fece un movimento 
allo indietro, e la lama del mio pugnale si ruppe sopra una costa. 

« Siccome egli rialzava l'enorme suo capo, indietreggiai di due passi 
e gli diedi un colpo di grazia. 

« La mia prima palla, entrata un pollice sopra l’ occhio sinistro ed 
uscita dietro la nuca, non era stata sufficiente ad ucciderlo. Mentre 
esaminavo i miei colpi pensando di nuovo quanto sia difficile uccidere 
un Leone 2 sito, udii un gran rumore dietro di me. 

« Era Lakdar che spuntava fra la boscaglia come un cinghiale dalla 
sua tana. 

« — Son io, sclamò anelante, tentando farsi strada in mezzo ai fitti 
cespugli. Io era là vicino, ho udito tutto. É morto l’infedele! è morto il 
mostro! è morto il flagello, il malanno dannato. 

« Poi rideva e parlava solo. 

« — Ecco un giorno fortunato! ripeteva egli staccando un lembo 
del suo burnus dalle spine che lo trattenevano. 

« Poi chiamò suo fratello, suo figlio, sua moglie, come se avessero 
potuto sentirlo, gridando a squarciagola: — Venite da me, da me! con- 
ducete i cani, è morto, è morto! 

« Finalmente venne a cadere accanto alla vittima dicendomi: — Gra- 
zie, fratello, di quello che oggi hai fatto. D’ ora innanzi son tuo, corpo 
e beni; puoi disporre d’ogni cosa; perchè tutto ti appartiene. 

« — Guarda, gli dissi, è questo il tuo amico? 

« Egli si accovacciò silenzioso accanto al Leone, lo esaminò con at- 
tenzione, poi cercando di sollevargli il capo. 

« — Tutto ciò che mi hai preso, gli disse, tutto il male, che mì hai 
fatto non è nulla, dacchè hai trovato un padrone, dacchè sei morto, bri- 
gante, ladro, assassino! e posso ora colpirti colla mia mano. 

« E alle parole unendo i fatti, dava giù colpi da orbo. 

« Poco dopo il fratello ed il figlio di Lakdar, attirati dagli spari, ac- 
corsero essi pure, e non fu senza fatica che potei deciderli a venire con 
me sotto la tenda per aspettarvi il giorno. 

« L'indomani tutti gli uomini, tutte le donne, i ragazzi e i cani della 
montagna si avviarono verso la dimora di Lakdar. 

« Malgrado questo rinforzo di braccia, il bosco era tanto fitto e il peso 
di quel Leone era così grande che ci fu impossibile farlo uscire dal 
“luogo ove era caduto, e si dovette scuoiarlo sul posto. 


368 ORDINE DEI CARNIVORI 

« Lahdar mi chiese come una grazia di accompagnarmi a Ghelma 
onde fare il suo ingresso con me, carico egli stesso delle spoglie opime. 
Vi acconsentii, e per meglio assapcrare tutte le gioie del trionfo egli 
stese la pelle dell'animale sul mulo che cacalcava, badando bene di avere 
il capo del Leone sul davanti e sotto è propri occhi. 

« È inutile dire che l’animale carico di un cosifatto peso non ne era 
tanto lieto quanto il suo padrone, e in istrada il mio COLPA andò a 
rischio di essere scavalcato più una volta. 

« Per dare un’idea della statura che questo Leone poteva avere, ci- 
terò il fatto seguente. Il generale Bedeau, che era di passaggio a Ghelma 
allorchè vi giunsi, dimostrò il desiderio di vedere la sua spoglia. Mi 
affrettai a scegliere fra i Francesi uno degli uomini più forti del batta- 
glione, onde portar la pelle dell’ animale colla sua testa, che io non 
faccio mai distaccare. Appena la pelle fu posta sulla spalla dello spahz 
questi si incurvò dal peso, e fu duopo trasportarla sopra una carretta 
di scuderia, ove a mala pena entrava. Lakdar tornò la sera a vederla, 
e l'indomani era ancora presente quando la portavano via per conciarla. 
Questo Leone, a petto dei Leoni più belli che si veggono nel Giardino 
delle Piante, pareva un cavallo accanto ad un asino.» 


Il celebre uccisore di Leoni è morto nel 1866, ma non sotto 
gli artigli di uno dei suoi terribili nemici. È morto accidental- 
mente, attraversando. un fiume durante una escursione in cui 
non si trattava neppure della caccia. del Leone. 

Termineremo questa breve storia del re degli animali par- 
lando dei tentativi che si IGEA IS per domare i suoi Istinti 
carnivori. 

In generale, si ha una falsa idea dei grandi animali carni- 
vori. Si crede cosa quasi impossibile poter domare la loro indole 
feroce e addomesticarli compiutamente. Da ciò deriva l’ammi- 
razione del volgo per quei domatori che entrano dentro gabbie 
piene di Leoni, e coi quali. si trastullano assai liberamente. 
Questi fatti non hanno nulla di sorprendente, quando si sa che il 
Leone, lungi dall’esser ribelle ad ogni educazione, si sottomette 
agevolmente, purchè sia preso abbastanza giovane. Se ne son 
veduti vari esempi nei diversi stabilimenti zoologici dell’ Eu- 
ropa. 

Verso il 1825, il serraglio della Torre di Londra possedeva 
due piccoli Leoni maschio e femmina; eran venuti dall’India, - 
ove erano stati presi in età di pochi giorni. Una capra era stata 
incaricata di allattarli nei primi mesi della loro vita. Erano 
tanto docili che si lasciavano girare nel cortile, ove i visitatori 
potevano accarezzarli e trastullarsi con essi senza alcun pericolo. 
In seguito si credette bene di chiuderli, per evitare ogni acci- 
dente; ma questa prigionia più severa non mutò per nulla 


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Fig. 160. Cavalieri indiani sorpresi da una tigre 


LA CACCIA DEL LEONE 119 | 


l'indole del maschio. Invece la femmina, quando ebbe partorito 
i piccoli, divenne intrattabile, circostanza che si spiega benissimo 
con l’amore violento di questo animale per la sua figliuolanza. 

Nei serragli, il guardiano che accudisce le fiere fa ogni giorno, 
senza credere di far prodigi, ciò che noi ammiriamo tanto 
quando è fatto dai domatori di professione. Entra nella gabbia 
del Leone che gli dimostra non solo indifferenza, ma anche un 
certo affetto. 

Tra l’uomo e l’animale segue un ricambio di carezze vera- 
mente singolare. Si è conservata la memoria della stretta inti- 
mità che esisteva fra due Leoni maschio e femmina, portati al 
Giardino delle Piante di Parigi nel 1799, ed il guardiano del 
giardino di quel tempo, un certo Felice. Quest'uomo si ammalò 
e si dovette sostituirlo con un altro; ma il maschio non volle 
assolutamente essere accudito dal nuovo guardiano, e non lo 
lasciò mai avvicinare. Quando ricomparve Felice, il Leone gli 
si slanciò intorno, accompagnato dalla sua femmina. Gli lam- 
biva il volto e le mani con ruggiti di gioia, e gli mostrava 
con ogni movimento il piacere che provava nel rivederlo. 

In Inghilterra si è veduto una Leonessa lasciarsi montare 
«sul capo da un guardiano, il quale, non contento di questa. fami- 
gliarità, tirava l’animale per la coda mettendogli la propria 
testa fra i denti. Ma l’arte del domatore, illustrata già da Carter 
e Van Hamburg, è oggi diventata volgare. Si veggono persino 
delle donne, delle giovinette, entrare in gabbia di leoni e tra- 
stullarsi con loro. 

Gli antichi, più destri o meno pusillanimi di noi, ammansa- 
vano melto meglio le fiere. Annone il Cartaginese si serviva di 
un Leone per farsi portare una parte del suo bagaglio. Marco 
Antonio sovente si faceva tirare in un carro da Leoni. I principi 
indiani degli ultimi secoli conoscevano l’ arte di ammaestrare 
.la Tigre ed il Leone per cacciare altri animali. Anche oggi gli 
Orientali addomesticano frequentemente il Leone, Per esempio, 
, il famoso negus, o re di Abissinia, Teodoro, che morì nel 1868 
tanto tragicamente sotto i colpi di una intera armata inglese, 
aveva nel suo palazzo parecchi Leoni che oggi fanno bella mo- 
stra fra gli ospiti del Giardino zoologico di Londra. 

Questi fatti basterebbero a dimostrare il potere della educa- 
. zione sul Leone. 

Il Leone si è riprodotto molte volte in ischiavitù, tanto a 
. Parigi quanto a Londra, a Napoli ed a Firenze; ma è rarissimo 
. che si possano allevare i piccoli che nascono: muoiono quasi 
, tutti nel tempo della dentizione. Se si riuscisse a conservarli, si 


Ur2 ORDINE DEI CARNIVORI 


potrebbe certamente rendere domestico il Leone; perchè i pochi 
individui che si riuscì a far vivere per un certo tempo nei no- 
stri paesi si son mostrati dolcissimi; tanto che uno di essi figurò 
parecchie volte nell’ opera Alessandro e Dario, rappresentata al 
teatro di Covent-Garden a Londra. 

Nel 1824 seguì un bel notevole incrociamento fra una Tigre 
ed un Leone nel serraglio di Windsor. Nacquero da questo con- 
nubio due piccoli, d’indole pacifica, e molto differenti dal padre 
e dalla madre. i ò 

I Leoni erano un tempo numerosissimi anche in Europa. 
Secondo Erodoto, Aristotile e Pausania, eranvene molti nella 
Macedonia, nella Tracia, nella Tessaglia: da secoli sono scom- 
parsi da quei paesi. L’ Armenia, la Soria, e la Babilonia pure 
ne possedevano moltissimi. Oggi sono molto rari in Asia: non 
se ne trovan più che pochi in Arabia e sui confini della Persia 
e dell’ India. 

Si può avere un’ idea del loro numero pensando alla quantità 
che se ne uccideva presso i Romani nei combattimenti dei circhi. 
Silla fece combattere cento Leoni in un piccolo tratto di tempo. 
Pompeo seicento e Cesare quattrocento. 

Presentemente la specie leonina non si trova guari che in 
Africa, ove diminuisce ogni giorno, e dove scomparirà in breve 
del tutto, se sì continua a decimarla con tanto accanimento. I 
nostri nepoti conosceranno il Leone solo dai nostri racconti. 

Si distinguono parecchie varietà di Leoni. Il più terribile è il 
Leone bruno del Capo, accanto al quale ne esiste un altro molto 
meno pericoloso, il Leone giailo del Capo. Vengon poi il Leone 
del Senegal o di Numidia, il Leone di Barberia, e il Leone di 
Persia e d’ Arabia. 

Un viaggiatore ha osservato una varietà di Leone senza criniera, 
‘nel nord dell’ Arabia; ma la sua sola testimonianza non basta 
perchè si presti una fede intera all’ esistenza di questa varietà. 


Tigre. — LaTigre (vedi fig. 159 a pag. 361) è tanto grande quanto 
il Leone ed è ancor più terribile. È anche più svelta, più sottile, 
più pieghevole, e nelle forme e nelle movenze rammenta mag- 
giormente il Gatto domestico, che è il tipo di tutto il genere. Il 
suo pelame, elegantissimo, è color giallo fulvo sopra e di un bel 
bianco sotto; ovunque è rigata irregolarmente da strisce brune 
traversali. La coda è ad anella nere, ed assai lunga; le serve di 
maggior ornamento. Ha pure peli bianchi intorno agli occhi e 
sulle guancie. Infine, è una delle più notevoli figure del creato. 

La Tigre è propria dell’ Asia. Abita Giava, Sumatra, una gran 


TIGRE Si 


| parte dell’ Indostan, la Cina ed anche la Siberia meridionale 

| fino all’Obi. Talora viene a smarrirsi fino in vicinanza d'Europa; 
secondo il signor Nordmann, uno di questi animali fu ucciso 
presso Tiflis nel 1835. 

La Tigre ama abitare nelle jungle, vale a dire nei siti bo- 
scheggiati vicini ai corsi d’acqua. Ha una tana, come il Leone, 
in fondo alla quale suol riposarsi. Quando ha fame si mette 
in caccia. Si appiatta in un cespuglio sul margine di un sentiero 
frequentato; e colà, nascosta a tutti, aspetta una vittima. Appena 
la scorge il suo occhio manda lampi, tanto è ripiena di una 
gioia selvaggia; la lascia avvicinare, e quando crede sia a tiro 
le si slancia addosso con un salto immenso. Se a qualche dis- 
tanza ha fiutato una preda, striscia nelle alte erbe con movi- 
menti serpentini, e, senza darle tempo pur di accorgersene, le 
si slancia sopra, e la strozza. 

La Tigre ha da lungo tempo una riputazione di crudeltà tanto 

,immeritata quanto quella di generosità attribuita al Leone. Gli 
antichi naturalisti asserivano che la Tigre non si compiace che 
in mezzo al sangue, e non può vedere un essere vivente senza 
voler sbranarlo. Questa asserzione è falsissima. La Tigre non 
uccide pel gusto di uccidere; uccide per saziarsi, e siccome ha 
un appetito formidabile, fa molte vittime. In ciò segue l’impulso 
della sua natura: ma quando è satolla non dimostra nessuna 
intenzione ostile e si limita a difendersi se viene minacciata. 
Ecco la verità pura. L'espressione, « Tigre assetata di sangue » 
e una figura rettorica che non bisogna accettare che in senso 
molto limitato. 

Ciò che ha potuto far credere che la Tigre sia dotata di un 
alto grado di ferocia, è la sua audacia inaudita. In ciò differisce 
dal leone. Quando ha fame, nessun ostacolo l’ arresta. Non 
aspetta, non esita, non adopera sotterfugi per impadronirsi della 
preda; non l’abbandona, anche se la trova troppo terribile; non 
aspetta di essere ridotta agli estremi per affrontare ogni pericolo. 
Questo no; si getta senza indugio sulla prima preda che le si 
affaccia, uomo od animale, dovesse anche andar incontro a mille 
morti per afferrarla e portarsela via. Sovente la sua temerità è 
coronata da buon esito. |, 

Una comitiva di cavalieri indiani attraversa una foresta. Una 
Tigre balza fuori dai cespugli che stanno sul margine della 
strada, si getta sopra uno di essi, lo atterra, lo stringe colle sue 
terribili mascelle, e ritorna nel bosco, ove va a divorarlo a suo 
bell’agio. Questi vari movimenti si compiono con tanta rapidità, 
che appena si ha il tempo di scorgere l’animale. 


374 ORDINE DEI CARNIVORI 


La Tigre è ancora più ardita. Viene a prendere i soldati che 
stanno in mezzo al campo, sotto gli occhi delle sentinelle. Un 


fatto di questa sorta fu narrato da un ufficiale inglese, degno - 


di fede, che ne fu testimonio. 
Si è veduta una Tigre venire a scegliere una vittima in mezzo 
ad una immensa riunione di uomini. Il fatto seguì alla fiera 


di Hurdwar, che raccoglie una grande popolazione accorsa da . 


ogni parte delle Indie. L’animale balzò fuori da un cespuglio 
situato in mezzo ad un campo di frumento, e, quasi sotto gli 
occhi di una folla attonita, atterrò un indigeno, che stava tran- 
quillamente mietendo il grano. 

Questi fatti e molti altri ancora che sarebbe troppo lungo 
enumerare, giustificano pienamente il terrore che ispira la 
Tigre in Asia. Ogni anno dà segno della sua presenza con eca- 
tombe umane. Secondo una statistica pubblicata recentemente 
in un giornale inglese, 148 persone sono state divorate dalle 
Tigri a Giava in un solo anno, e 131 in un altro anno. 

La caccia della Tigre ha una gran parte nella vita dei nabab: 
indiani e degli ufficiali superiori inglesi che comandano nell’India. 
Questa caccia si fa con Elefanti ammaestrati all’uopo, sui quali 
ci collocano i cacciatori. Gli Elefanti penetrano nelle giunghe, 
le percorrono per ogni verso, ed obbligano la Tigre ad uscir 
fuori. Allora le armi da fuoco fanno la loro parte. 

Sovente il feroce carnivoro si slancia sulla groppa dell'Rle- 
fante, e tenta di portar via l’uomo che lo monta. 

Allora l’Elefante non trova nulla di meglio che dare uno 
scrollo violento per sbarazzarsi di quell’importuno. Quasi sem- 
pre vi riesce; soltanto accade talora che con quel formidabile 
scrollo getta giù colla Tigre anche l’uomo. Talvolta la Tigre 
si getta fra le gambe dell’Elefante, ma in tal caso guai a lei! 
Rimane schiacciata sul luogo, o va a cadere più lungi in uno 
stato miserando. 

La Tigre femmina è, come la leonessa, affezionatissima ai 
suoi piccoli, che difende contro tutti ponendo a repentaglio la 
propria vita. Li nasconde anche per sottrarli alla voracità del 
maschio. Ogni parto si compone in generale di tre a cinque piccoli. 

Checchè se ne sia detto, la Tigre è capace di educazione e si 
addomestica benissimo; sente anche un certo affetto. Quella che 
viveva nel 1835 al Giardino delle Piante di Parigi era stata 
portata dalle Indie sopra una nave, ove girava libera. La fiducia 
che ispirava era tanta che i mozzi si coricavano fra le sue 
gambe, e dormendo appoggiavano il capo sui fianchi di lei. 

Una Tigre femmina era stata trasportata in Inghilterra nelle 


PANTERA STO 


stesse condizioni; sul bastimento non aveva fatto mostra di 
nessuna cattiva disposizione, ma divenne di mal umore appena 
fu rinchiusa nel serraglio della Torre di Londra. Dopo qual- 
che tempo, uno dei suoi compagni di viaggio, un marinaio, 
essendo andato a visitare il serraglio, e avendo chiesto il per- 
messo d’entrare nella gabbia della Tigre, questa lo riconobbe 
subito, gli fece mille carezze, e si lamentò tutto il giorno dopo 
partito l’amico suo. 

Nerone aveva una Tigre femmina, chiamata Febe; se la teneva 
sempre vicina, nelle sue stanze, e si narra che parecchie volte 
la fece ministra delle sue private vendette. Alla fine di una di 
queile orgie, ove, per compiacerlo, i più illustri patrizi lascia- 
vano in disparte ogni dignità, l’imperatore mostrava all'animale 
uno dei convitati; e in breve una vittima sanguinosa si dibatteva 
‘ai piedi del mostro dalla faccia umana. La vera Tigre era 
Nerone. 

Fatto imperatore, Eliogabalo fece il suo ingresso in Roma 
‘sopra un carro tirato da quattro tigri e da quattro pantere, che 
lasciò poi passeggiare liberamente nel suo palazzo. 

Chi ai nostri giorni non ha veduto parecchi domatori, fra gli 
altri Martin, Carter e Van Hamburg, trastullarsi colle Tigri 
come se fossero cagnolini? Si racconta, in proposito’, che un 
Inglese non mancava mai ad una sola delle rappresentazioni di 
Martin sperando, diceva egli, di vederlo mangiato un giorno 
dalle sue Tigri. Questo amante di emozioni violente non ebbe 
la soddisfazione che meritava dopo tanta costanza: Martin ed 
i suoi animali non vollero compiacerlo. Dopo aver raccolto una 
bella fortuna, il celebre domatore vendette il suo serraglio e 
andò a dimorare in Olanda, senza aver lasciato la menoma por- 
‘zione di sè stesso fra le zanne dei suoi antichi compagni. 


Pantera. — La pantera è un bell’ animale, lungo circa 90 
«centimetri, non compresa la coda, e si distingue dai Felini 
precedenti pel suo pelame di un fulvo giallastro cupo, sparso 
di moltissime macchiette. Queste macchiette al tutto nere sul 
‘capo sono disposte sul rimanente del corpo a mo di rosa, vale 
a dire son fatte di cinque o sei macchiettine nere, messe ad anella 
«intorno ad una parte dello stesso colore del pelame. 

Per lungo tempo tuttavia si è scambiato, e ciò segue anche 
‘oggi, la Pantera col Leopardo, il quale, infatti, le rassomiglia 
molto. Quindi ne sono venute moltissime contraddizioni nella 
‘sua storia e molta incertezza riguardo ai limiti dei paesi ove 
abita. Sembra ora affatto dimostrato che la vera Pantera ron 


876 ORDINE DEI CARNIVORI 


si trova in Africa, ma solo nell'India, al Giappone, e nelle isole 
vicine, come a Giava, Sumatra, ecc. L'Isola di Giava ne possiede 
una varietà al tutto nera. È la celebre Pantera nera, terrore 
di Giava e di Sumatra. 

Diamo qui rappresentata la Pantera d’ Asia, che porta il 


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Fig. ACL. Pantera d'Asia (Leopardus Japonicus). 


nome scientifico di Leopardo del Giappone (Leopardus Japo- 
nicus). 

La Pantera si arrampica agevolmente sugli alberi, vi insegue 
le scimmie e gli altri animali di cui si nutre. È un animale 
selvaggio, indomabile, che abita solo nelle foreste più solitarie. 
Nei combattimenti è più terribile di tutti i carnivori, anche 
della tigre, e quindi la sua caccia è molto più pericolosa di 
quella del leone. Di rado si avventa sull'uomo se non è provo- 


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Fig. 162. Negro assalito da un Leopardo. 


FicuieR. I Mammiferi. 48 


LEOPARDO 379 


cata; ma un nulla la irrita, e la sua collera si riconosce dalla 
rapidità meravigliosa della sua aggressione, seguita dalla morte 
repentina dell’imprudente che l’ha fatta divenire furibonda. La 
sua agilità, la sua leggerezza, la sua perfidia, superano tutto 
ciò che si può immaginare; tutte queste facoltà la rendono tanto 
formidabile. 

Malgrado la sua innata ferrocia, la Pantera, presa giovane, 
s’addomestica benissimo. Si mostra tanto mansueta, tanto affet- 
tuosa quanto il più docile dei cani, e gira libera nella casa del 
suo padrone, senza che ne segua il benchè minimo inconveniente. 


Leopardo. — Il Leopardo è più grande della Pantera; la sua 
statura eguaglia quasi quella della Leonessa. Se ne son veduti 
taluni individui lunghi m. 8.20 dalla estremità del muso fino 
alla punta della coda (questa rappresenta un terzo della lun- 
ghezza totale), e che pesavano oltre 200 chilogrammi. 

Anatomizzando uno di questi animali si è trovata una diffe- 
renza che indica bene che le due specie sono distinte: la coda 
del Leopardo non ha che 22 vertebre, mentre quella della Pan- 
tera ne ha 28. Il Leopardo differisce dalla Pantera anche pel 
pelame, che è di un color fulvo più chiaro, mentre le sue mac- 
chie son meno vicine ed il centro ne è più scuro. Abita tutta 
l’Africa ed una gran parte dell'Asia; si trova fin nei paesi 
vicino al Caucaso. o 

In molte opere recenti di Storia naturale ed in molte narrazioni 
di caccie o di viaggi, il Leopardo d’Africa viene indicato col 
nome di grande Pantera; il che è conforme all'opinione di Tem- 
mink, e contrario a quella di Buffon e di Cuvier. Conserveremo 
al Leopardo d’Africa il nome di grande Pantera, appellazione 
che ha, in fin dei conti, la sua ragione d’ essere, poichè i soli 
caratteri che distinguono il Leopardo dalla vera pantera consi- 
stono nelle dimensioni più grandi del primo e nelnumero delle 
vertebre della coda. Quando chiameremo grande Pantera e Pan- 
tera d'Africa il Leopardo, non sarà quindi possibile alcun errore; 
si saprà di quale animale si intende parlare. Non ci serviremo 
del resto di questo vocabolo, che per conformarci all’uso gene- 
rale. | 

Il Leopardo (grande Pantera, Pantera d'Africa) è ancor più 
terribile della Pantera; perchè alla stessa indole feroce unisce 
una forza più potente. Spicca salti di dodici metri con una me- 
ravigliosa sveltezza, e cade sulla preda colla velocità di una palla 
da cannone. Preferisce rimanere nei luoghi boscheggiati ia riva 
ai fiumi o presso la spiaggia del mare, di rado trovasi sulle 


380 ORDINE DEI CARNIVORI 


alte montagne. Credesi generalmente che si arrampichi sugli 
alberi; ma ciò non è vero. Talora gli capita di saltare sopraun 
albero basso ed incurvato, ma questo è un caso. Certo è che 
ogni giorno, prima di mettersi in caccia, va ad affilare gli ar- 
tigli sul tronco d’ un albero, contro il quale si drizza in piedi; 
e le tracce. che lascia sulla corteccia sono un indizio sicuro 
della sua presenza nei dintorni. È anche una eccezione quando 
si ricovera nella anfrattuosità delle rocce; per solito la sua tana 
sta in mezzo ad una fitta boscaglia. 

La grande Pantera non caccia mai nel mezzo del giorno, 
perché allora appena discerne gli oggetti; ma, venuta la notte, 
vede meravigliosamente bene. Infatti di notte. si mette in cerca 
del nutrimento. Quando si è accorta di una preda, striscia, con 
movimenti da serpente, finchè crede di poterla cogliere con un 
salto solo; allora prende lo slancio, e la atterra in un batter 
d’ occhio. In Algeria, ove è comune, reca molti danni alle man- 
dre degii indigeni, i quali la temono al pari del leone. Buoi, 
cavalli, cammelii, capre, pecore, di tutto ciò si compone il suo 
pasto solito. Non aggredisce l’uomo senza provocazione, a meno 
tuttavia che non lo veda a tiro di un suo salto, perchè in tal 
caso si slancia su tutto ciò che si muove, senza neppur sapere 
che cosa troverà; non è sempre innocua pei bambini: testimo- 
nio il fatto narrato dai giornali negli ultimi mesi del 1850. Una 
donna lavorava in un campo nei dintorni di Baraki (Algeria); 
per far il suo lavoro con maggior libertà, aveva posto a. terra 
vicino a lei la bambina. Ad un tratto un Leopardo, sentendo 
gridare la fanciulla, sbuca fuori da un boschetto vicino, e la 
porta via. Quando la povera madre si volge, vede la fiera ri- 
entrare nella boscaglia colla creatura sua nelle fauci. Si pone 
ad inseguirla, finchè non udendo più nulla, sviene. La bambina 
era perduta! | 

Un’altra volta, un fanciullo di una diecina d’anni che custo- 
diva un gregge di capre fu aggredito da un enorme Leopardo, 
che lo ferì gravissimamente: ma l’ animale fuggi spaventato 
all’ arrivo di parecchi Arabi accorsi alle grida del fanciullo. La 
vittima morì dopo due giorni di atroci patimenti. 

Se la caccia del Leone ha reso illustre Giulio Gerard, la caccia 
della Pantera ha pure fatto acquistare una certa rinomanza ad 
uno dei suoi rivali in suesta ardita professione. Vogliamo parlare 
di Bombonnel, libraio di Digione. Quest’ ùomo intrepido si è 
dedicato alla caccia del Leopardo, in Africa, caccia che non può 
farsi all’ agguato come quella che facevano Gerard e Chassaing 
contro i leoni, ed è più pericolosa. 


581 


Bombonnel ha pubblicato, nel 1862, un libro curiosissimo che 
contiene la storia delle sue gesta piene di emozione. Riprodu- 


LEOPARDO 


ciamo qui il capitolo nel quale racconta la lotta spaventosa che 
dovette avere con una Pantera, che egli aveva ferita: lotta terri- 


il cacciatore di leopardi. 


o} 


Fig. 165. Bombonnel 


gine di un profondo burrone, 


l mar 


guì su 
ove andò a un filo di perdere la vita. Il volto dell’ardito caccia- 


bile e drammatica che se 


tore porta ancora le traccie di quella lotta, come qui si vede 


‘. dal suo ritratto. 


Bombonnel racconta questo fatto nel modo seguente: 


382 ORDINE DEI CARNIVORI 


« Erano le otto della sera; si desinava tranquillamente, discorrendo 
dei nostri progetti dell’ indomani, allorehè un Arabo della tribù Ben 
Assenat arrivò tutto anelante. Mi disse che al calar del sole una Pan- 
tera aveva portato via una capra sotto gli occhi del pastore; che que- 
sto l'aveva veduta entrare in un burrone ove io certo l’ avrei ancora 
trovata. Detestava troppo quella bestia malnata per esitare pur un istante. 
Non terminai neppure il mio pranzo e presi in fretta le mie armi senza 
badare alle rimostranze di quei signori che cercavano di trattenermi, 
facendomi osservare che la notte era molto oscura e il tempo cattivo; 
ma sapendo che la luna sorgerebbe alle dieci e che prima di quell’ora 
sarei giunto al luogo della tribù, io partii. 

« L'uomo che mi serviva di guida per abbreviare la strada mi faceva; 
passare per stretti sentieri e sovente nel fitto della boscaglia. Il mio 
coltello di caccia mi batteva sulle. gambe e si attaccava ai rami; per 
sbarazzarmene, feci fare un quarto di giro al cinturino, per modo che 
l'impugnatura, invece di essere sul fianco, era dietro di me. Accenno 
queste fatto che pare poco importante, solo perchè, come si vedrà in 
seguiio, fu la principale circostanza per cui ebbi la vita salva. 

« Giunti alla tribù , trovai gli Arabi che mi aspettavano ed avevano 
già apparecchiata Ja capra, e il palo per legarvela. Mi condussero alla 
distanza di circa quattrocento metri dal duar, sul margine di un grande 
e profondo burrone, e mi dissero: « La pantera è là dentro; ecco un 
piccolo cespuglio nel quale devi collocarti; pianteremo ora un palo. » 
Rimasi meravigliato di vedere come mi avessero scelto una posizione 
tanto acconcia, ciò che sovente non riusciva neppure a me senza molta 
difficoltà. Il terreno era un piano inclinato che discendeva con un 
pendio assai ripido fino al burrone , sul margine del quale mi collocai 
voltandogli le spalle. Gli Arabi piantarono il piuolo sulla parte alta del 
suolo, sei metri da me, e sentendo belare la ‘capra si affrettarono a 
legarvela, poi si allontanarono in fretta, augurandomi buona fortuna; 
sapevano bene che l’animale non era lungi, e non volevano esporsi a 
servirmi d’esca. 

« Erano passati pochi minuti dopo la loro partenza, io m'era appena 
seduto in mezzo al cespuglio; non avevo ancora sfoderato il mio col- 
tello da caccia per piantarlo in terra a portata dalla mano; allontanai 
i piccoli rami che potevano incagliare i miei movimenti, quando, più 
rapida del baleno, e prima che avessi potuto prevederlo, la Pantera si 
getta sulla capra che manda il rantolo della morte. ‘Trattengo il respiro, 
e aspetto per sparare che la luna venga ad illuminarmi; è affare di 
pochi secondi, perchè la sua luce brilla già sulla cima di un albero 
vicino. 

« Ma quale non è la mia meraviglia, vedendomi passare accanto la 
Pantera che trascina la capra colla leggerezza di un gatto che porta 
via un topo. Non è lontana da me che tre metri e mi si presenta di 
traverso; non scorgo nè la coda, nè la testa, non veggo che una massa 
nera che passa, che sta per scomparire... La rimembranza di quelle 
trentaquattro notti in cui ho vegtiato mi lampeggia nella mente; la 


LEOPARDO 383 


. collera mi prende, e dimenticando ogni prudenza, abbasso il grilletto 
della canna del mio fucile col quale ho tenuto dietro alla massa nera. 
| « La carica conteneva ventiquattro grossi pallini di piombo fuso, cen- 
todieci grani di polvere in una cartuccia del calibro di dodici. L'animale 
cade contorcendosi sulla capra mandando grida rauche e spaventose. 
Io gli aveva rotto le zampe anteriori; non aveva veduto d’ onde era 
venuto il colpo, poteva credere che la capra gli fosse scoppiata negli 
artigli. i 

« Il più piccolo movimento per parte mia avrebbe potuto richiamare 
su me la sua altenzione; la ragione mi comandava la più assoluta im- 
mobilità; ma temendo una sorpresa, volli mettermi in piedi nel mio ce- 
spuglio per dominare la Pantera e spararle un secondo colpo. Un ramo 
si attacca al cappuccio del mio pastrano e me lo fa cadere sulla spalla. 
Fu quello pure un caso provvidenziale a cui andai debitore della vita. 
Dovetti sedermi. 
 « Al lieye rumore prodotto da quel ramo, il mio malizioso animale 
mon mandò un grido, non fiatò; guardava attentamente il cespuglio 
ascoltando. Passa un momento; non sentendo nulla, credetti fosse morto. 

« Tutto ‘curvo, con mille precauzioni, esco dal mio cespuglio, tenendo 
il fucile colla canna bassa e il dito sul secondo grilletto. Io non mi 
era ancora alzato in piedi, quando la Pantera, scorgendomi, sì in- 
curva, si spinge avanti sulle sue zampe posteriori e striscia sul petto 
per circa tre metri. Dirigo il mio secondo colpo sul capo; ma la rapidità 
colla quale procede l’ animale è così grande, e l’ ombra in quel luogo 
tanto fitta, che manco il colpo; la palla si conficca nel terreno , e la 
fiamma del fucile le brucia i peli del collo. 

« Il terribile animale divenne ancor più furiosog si slancia sopra di 
me, e mi rovescio come se fosse stato una vaporiera. Caddi sotto di esso 
colle spalle e il dorso impigliati nel cespuglio ove mi ero posto in 
agguato. Cercò di strangolarmi, tentando mordermi furiosamente il collo. 
Per fortuna il bavero del mio soprabito, che avevo rialzato per ripa- 
rarmi dal freddo della notte, lo garantiva, e anche lo spesso cappuccio 
del pastrano serviva. da imbottitura contro i morsi dell'animale. 

« Cercai colla mano sinistra di difendermi e di respiagere la Pantera, 
mentre colla destra faceva sforzi inauditi per afferrare il mio coltello di 
caccia che avevo sotto di me. L'animale mi afferra prima la mano e la 
trafora da una parte all’altra, malgrado la manica di lana che la rico- 
pre; mi morde terribilmente il volto: una delle zanne della sua mascella 
superiore mi lacera la fronte, mi fora il naso; l’altra zanna mi entra nel- 
l’angolo dell’occhio e mi rompe l’osso del zigoma (vedi fig. 164 a p. 585). 
Non potendo con una mano sola trattenere la terribile fiera, lascio an- 
dare l’inutile ricerca del mio, coltello, e colle mani raggrinzate la prendo 
pel collo. Allora essa mi afferra il volto per traverso, e confiecandomi 
nelle carni Je sue formidabili zanne, mi stritola la mascella. Il rumore 
da ciò prodotto risuonò tanto dolorosamente nel mio cervello, che cre- 
detti avere il capo al tutto stritolato. Il mio volto sta dentro alle sue 
fauci, donde esce un alito ardente e fetido che mi soffoca; afferro il 


384 ORDINE DEI CARNIVORI 


suo collo che è grosso come un cappello e duro come il tronco d'un. 
albero, e stringendolo colla forza della disperazione, allontano dalla 
mia la sua orribile testa. L’ animale si getta sul mio braccio sinistro e 
lo trapassa al gomito facendovi quattro enormi buchi. Senza tutti 
i vestiti che lo coprivano mi avrebbe rotto il braccio come se fosse stato 
di vetro. 

« Ero sempre rovesciato sul dorso, sul margine estremo del burrone, 
colle gambe più alte del capo, e avevo sopra di me la fiera colle due 
zampe posteriori in mezzo alle mie gambe. La Pantera mandava rug- 
giti spaventosi che facevano tremare come foglie gli Arabi e il loro be- 
stiame alla distanza di quattrocento metri. 

« L'animale cerca nuovamente di afferrarmi al volto ;. lo respingo ; 

ma quella resistenza non poteva durare a lungo. In un momento in cui 
rilascio un po’ la stretta, la Pantera mi afferra di nuovo il capo e me 
lo serra al tutto nelle sue ampie fauci. Allora raccogliendo in uno sforzo 
supremo tutto quel che mi resta di forza e di rabbia, mi libero, i suoi 
denti scivolano sul mio cranio cui lacerano spaventosamente; il mio 
berretto di panno imbottito le rimane nella bocca. Io l’aveva sollevata 
con tanta forza, che scivolò sopra di me sul ripido pendio. Le sue zampe 
anteriori son rotte; non può trattenersi, e rotola ruggendo fino al fondo 
del burrone. 

« Libero alfine, e non troppo presto, vi accerto, mi rialzo sputando 
via quattro denti e un grumo di sangue che mi riempie la bocca ; ma 
non bado al male. Preso da una rabbia furente che m’invade tutto, sfo- 
dero il mio coltello da caccia, e non sapendo che cosa sia accaduto 
dell'animale, lo cerco da ogni parte per ricominciare la lotta, perchè 
non credevo dover sopravvivere un pezzo alle mie ferite. Fu in questa 
posizione che mi trovarono gli Arabi appena giunsero. 

« Mi dissero che avevano udito benissimo la Pantera, i ruggiti della 
quale li avevano fatti rabbrividire; che il bestiame e i cani tutti sgo- 
menti non sapevano dove nascondersi; che non credevano che lottasse 
con me, ma ognuno pensava che fossero le sue ferite che la facevano 
lamentare a quel modo, e non avevano osato uscire che quando non 
avevano inteso più nulla. 

« La sete di vendetta e sopratutto il dispetto di non essere stato vin- 
citore in una lotta che avevo tanto desiderata, mi dominavano al punto 
che volevo ad ogni costo ritrovare il mio animale, ucciderlo o farmi 
uccidere da esso. Gli Arabi mi trascinarono al loro duar; volevano la- 
varmi il volto e medicarmi le ferite, ma non volli, e mi feci condurre 
al podere *del Corso. Giunsi alla mezzanotte. Immaginatevi la meraviglia 
degli abitanti, i quali la sera stessa mi avevano veduto partire fresco e 
sano, e mi vedevano tornare col capo che rassomigliava meglio a un 
pezzo di carne sanguinolenta che non a un volto umano. 

« L'uomo che m’ aveva portato sul suo mulo parti subito, secondo il 
mio desiderio, per andare ad Algeri a richiedere il dottore Rodichon, 
mio ottimo amico, nel quale avevo molta fiducia. 

« Mentre tutte le persone del podere mi erano prodighe di cure in- 


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LEOPARDO, ONZA, SERVALO 387 


telligenti e benevole, cure che non dimenticherò finchè avrò vita, chiesi 
uno specchio, volendo giudicare del mio stato. Ma tutti temevano che 
mi spaventassi vedendomi, e fingevano di non trovarne. Allora presi 
una candela, e malgrado ogni rimostranza , andai a mettermi in faccia 
ad uno specchio. La guancia sinistra era lacera e mi cadeva sulla bocca, 
lasciando scoperto e rotto l’ osso del zigoma; anche l’osso frontale si 
vedeva per la lunghezza di otto centimetri; quanto al mio povero naso, 
prima aquilino, era divenuto schiacciato, lacero e rotto spaventosamente : 
io era orribile a vedere. 

« Coloro che mi stavano attorno erano più dolenti e meno tranquilli 
di me. Sui loro volti leggevo chiaramente che mi consideravano come 
un uomo morto. Io cercavo di far loro animo, dicendo che il cuore era 
sempre sano e vigoroso; che l’animale non mi aveva neppure spaven- 
tato; che sovente avevo detto e ripetuto che il più bel giorno della mia 
vita sarebbe quello in cui lottassi corpo a corpo con una Pantera o con 
un leone ferito, tanta fede avevo nella forza delle mie braccia, armato 
del mio coltello da caccia. O Sant’Uberto! perdonami questa pazza. pre- 
ghiera. 

« Ora, quando leggo o sento narrare qualche caccia ove si uccidono 
ogni sorta di belve colle scuri o coi pugnali, non posso a meno di ri- 
dere. È mai possibile aggredire un animale così forte ed fagile come 
una Pantera con altra arme che non sia un fucile? un animale che 
pesa da due a quattrocento libbre, di cui il peso è quadruplicato dalla 
lunghezza e dall’impeto del salto? Un animale che vi si slancia addosso 
più rapido del baleno, prima che abbiate potuto fare un movimento? 
Quale dunque è l’Ercole atto a resistere a un cosifatto urto? 

« Malgrado il caso provvidenziale che mi aveva collocato sul margine 
pendente del burrone, malgrado le altre favorevoli circostanze che mi 
protessero, se la mia Pantera avesse avuto una zampa libera, io era 
certamente perduto. Anche nello stato in cui si trovava, se avessi potuto 
armarmi del coltello non lo avrei più abbandonato: con una mano non 
avrei potuto respingerla, coll’altra non avrei potuto ucciderla abbastanza 
in fretta, e le sue terribile zanne mi avrebbero stritolato il capo. Come si 
vede, ebbi molta fortuna. Se sono uscito salvo da questa terribile lotta 
lo devo all’accanimento della mia difesa tanto grande quanto 1’ aggres- 
sione furibonda dell’animale; ma lo devo specialmente alla protezione di 
Dio e di Sant’Uberto. » 


Il ritratto di Bombonnel dato più sopra (vedi fig. 163 a pag. 381), 
è accompagnato dalla testa del terribile carnivoro di cui ab- 
biamo letto le gesta e la morte. 


Onza, Servalo. — L’Onza (fig. 165) sta, per la statura, fra la 
pantera ed il leopardo. Il fondo del suo pelame non è fulvo, ma 
grigiastro; le macchie son più irregolari di quelle dei prece- 
denti Felini. Abita le regioni settentrionali dell’Asia. Non si sa 


388 ORDINE DEI CARNIVORI 


nulla di particolare circa i suoi costumi, che debbono essere a 
un dipresso quelli di tutti i grandi carnivori. 

Il Servalo, detto anche Gatto-pardo o Gatto-tigre, non è lungo 
più di 75 centimetri; è sparso nelle foreste dell’ Africa meri- 
dionale; si trova anche nella Senegambia, in Abissinia ed in 
Algeria. Si nutre di piccoli mammiferi, sopratutto di scimmie 
e di rosicanti che insegue sugli alberi. L’educazione non riesce 
ad ammansare la sua indole selvaggia; riman sempre intratta- 


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Fig. 165. Onza. 


bile. La sua pelliccia è molto stimata, è variegata di righe e di 
macchie nere sopra un fondo fulvo. 


Gaito selvatico e gatto domestico. — Il Gatto selvatico (fig. 166) 
è un animale di un rosso bruno, a striscie nere più o meno 
distinte secondo: le varie parti del corpo. La sua lunghezza 
è di circa 60 centimetri. Per i costumi non differisce dai più 
grossi Felini. Si arrampica sugli alberi e si nutre d’ uccelli, di 
scoiattoli, di lepri, di conigli, ecc. Altre volte comunissimo in 


GATTO SELVATICO E GATTO DOMESTICO 382 


Francia, non si trova oggi che nelle grandi foreste. Abita quasi 
tutta l’ Europa e gran parte dell’ Asia. i 
«Accanto al Gatto selvatico si debbon collocare moltissime spe- 
cie che differiscono da esso soltanto nella disposizione del pelame 
e che si possono considerare come suoi rappresentanti nelle re- 
gioni ove non esiste. Sono tali: il Gatto del Bengala, il Gatto 
dal guanto che abita l’ Egitto, il Gatto di Cafreria, il Gatto bruno 
indigeno del Capo, ecc. 

Certi autori propendono a credere che le numerose varietà di 


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Fig. 166. Gatto selvatico. 


Gatti domestici derivano non solo dal Gatto selvatico, ma anche 
dal suo incrociamento col Gatto dal guanto. Comunque sia, si 
contano parecchie razze di Gatti domestici bene distinte; sono il 
Gatto tigrato, il Gatto di Spagna, il Gatto dei Certosini, il Gatto” 
rosso di Tobolsk, il Gatto della Cina dalle orecchie penzoloni, il 
Gatto malese senza coda. 

Il Gatto (fig. 167) è uno dei pochi animali che anche in do- 
mesticità abbiano saputo rimanere indipendenti; vive accanto 
“all'uomo, ma nen sotto il giogo di esso. Se vi rende qualche 
servizio, si è perchè vi trova il suo tornaconto. Non si osserva. 


390 ORDINE DEI CARNIVORI 


nel. gatto il disinteresse che distingue il cane. Malgrado ciò che - 
ne hanno detto Buffon e molti altri, è capace di affezione, ma 
questo affetto si limita a qualche rara carezza, e non va mai 
fino ad una vera devozione. Chi ha mai veduto un Gatto arri- 
schiare la vita per difendere il suo padrone? Si è detto che-si 
affeziona più ai luoghi che alle persone; tuttavia soggiungeremo, 


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Fig. 167. Gatto domestico. 


per sua discolpa, che si conoscono molte eccezioni a questa 
regola. 

Il Gatto ha certi difetti che lo rendono poco simpatico: è diffi- 
dente, vigliacco e ladro. La diffidenza è ciò che gli si perdona 
meno. L’ uomo rimane indignato del sospetto, come di un’offesa 
alla sua lealtà, come di una ingiuria alle sue buone intenzioni. 
Del resto il cane, quel modello di fedeltà e di fiducia, fa risal- 
tare la diffidenza del Gatto. Paragonando fra loro questi due 
esseri, tanto diversi l’ uno dall’ altro, si prova una certa ripu- 


GIAGUARO E COGUARO 391 


gnanza pel primo, mentre l’altro attira maggiormente. Allo 
sguardo obliquo del Gatto si oppone l’ occhio dolce e sincero 
del cane; e nelle buone qualità di questo si trovan sempre 
nuovi motivi per odiare quello. 

Non v’ ha nulla di più terribile del Gatto, allorchè minacciato 
di qualche correzione o di un pericolo qualsiasi non vede altro 
scampo che la lotta per sfuggire ad una posizione critica; di- 
viene allora veramente pericoloso. Non potendo fuggire, si di- 
. fende con energia senza pari. Finchè l’ inimico rimane a certa 
distanza si contenta di una resistenza passiva; solo tien d’occhio 
i suoi movimenti, e riman pronto ad ogni evento. Se l’avversario 
si avanza per afferrarlo, spicca salti disperati, graffia e miagola 
spaventosamente. Quasi sempre rimane vittorioso in così fatta 
lotta, perchè la sua agilità rende quasi impossibile poterlo af- 
ferrare. 

Il Gatto non è tanto nemico del cane quanto si crede comu- 
nemente. Quando non si conoscono hanno poca simpatia l’uno 
per l’altro; ma quando hanno vissuto qualche mese assieme, 
divengono i migliori amici del mondo. Si leccano a vicenda, 
dormono l’uno sull’altro, si fanno qualche reciproca concessione 
per vivere in buona armonia; infine, la pace più assoluta regna 
fra loro. Tutti coloro che hanno insieme cane e gatto, potranno 
attestare la verità di queste asserzioni. 

Veniamo ora ai gatti del nuovo continente. 


Giaquaro e Coguaro. — Il Giaguaro (fig. 168), detto anche 
Tigre d’ America, è il più grande dei carnivori del nuovo mondo. 
Ha quasi la statura, la forma e la violenza della tigre; è lungo 
a un dipresso 2 metri dalla estremità del muso fino alla radice 
della coda, che è lunga circa 60 centimetri. Non presenta striscie 
come la tigre, ma è macchiettato come la pantera. Le sue 
macchie sono piene sul capo, sulle coscie, sulle gambe e sul 
dorso, ma sempre irregolari; sui fianchi son foggiate a rosa con 
un punto nero in mezzo: Il fondo del pelame è di un fulvo vivo 
sopra, e bianco sotto. 

Il Giaguaro si trova in quasi tutta l'America meridionale, e 
nell'America dal Nord fino al Messico. Abita le grandi foreste 
attraversate dai fiumi, e fa attiva caccia dei vari mammiferi 
acquatici, particolarmente delle lontre. Nuota a meraviglia come 
la tigre, e passa le ore del giorno a riposarsi sulle isolette che 
sono sparse in quei fiumi. La sera si mette in cerca di nutri- 
mento. Fa ampio bottino tra immense mandre di bufali e di 
cavalli selvatici che pascolano nei pampas della Plata. Con un 


392 ORDINE DEI CARNIVORI 


: solo colpo di zampa spezza la colonna vertebrale delle sue vit- 
time, e le porta via. Dicesi anche che peschi molto destramente, 
‘€ non tema di aggredire i più grossi alligatori. Neppur l’uomo 
non lo fa retrocedere; egli ne fa preda ogni volta che può sor- 
‘ prenderlo. . "Re 6 1 

Il Giaguaro si arrampica con sveltezza sugli alberi, con grande 
sgomento delle scimmie che insegue. Compie sempre le sue im- 
prese di notte; e malgrado i fuochi che mantengono i viaggia- 
tori vaganti per quelle solitudini, tanto per scaldarsi quanto per 
tener lontane le fiere, essi non sempre sfuggono alle aggres- 


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Fig. 168. Giaguaro. 


sioni di quest'animale. Allo spuntare ed al tramontare del sole 
manda due gridi, notissimi agli indigeni ed ai cacciatori. In tal 
modo annunzia alla natura vivente il principio e il termine 
«delle sue tenebrose operazioni, e promuove a vicenda la gioia 
ed il terrore. In certe parti d'America i Giaguari son tanto nu- 
merosi che. secondo ciò che narra l’Azara, se ne uccidevano ‘al 
Paraguay, nel secolo decimo settimo, duemila all’ anno. Oggi, 
in quel paese se ne trovano ancor molti, sebbene siano notevol- 
mente scemati. 

Il Coquaro 0 Puma (fig. 169), detto altre volte molto impropria- 
mente Leone d'America, è un animale lungo circa m, 1,30 e di 


COGUARO ‘398 


colore fulvo uniforme, senza macchia alcuna; abita il Para- 
guay, il Brasile, la Guiana, il Messico e gli Stati Uniti. Ha l’ap- 
parenza generale della leonessa, senza averne le dimensioni. Il 
‘maschio non ha criniera. 
Questo animale è molto codardo: fugge in faccia all'uomo e 
in faccia ai cani. Produce molti danni alle gregge, e differisce 
‘dagli altri gatti in ciò, che sgozza molte vittime prima di divo- 
rarne una. Durante la notte si avvicina alle abitazioni, e cerca 


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Fig. 169. Coguaro. 


di penetrarvi onde portar via i piccoli animali domestici. Prefe- 
risce rimanere nelle praterie. Sale sugli alberi, non arrampican- 
dosi, ma di slancio. 

Il Coguaro s’addomestica molto agevolmente; conosce il suo 
‘padrone e si compiace delle carezze. Lo si può lasciar correre 
liberamente nelle case senza alcun inconveniente. Il celebre 
attore inglese Kean aveva un Coguaro che lo seguiva come 
un cane, e stava benissimo in mezzo ad una società numerosa. 

Il Gattopardo (in fr. Ocelot) è un carnivoro d’aspetto grazioso, 

FicuieR. I Mammiferi. 50 


394 ORDINE DEI CARNIVORI 

lungo circa un metro; il fondo del suo pelame è di un grigio fulvo, 
‘ sul quale si disegnano grandi macchie di un fulvo vivace, orlate 
dinero. Mena vita al tutto notturna, non esce che a sera. per dar 
caccia alle scimmie, ai rosicanti ed agli uccelli. Si arrampica d’al- 
tronde sugli alberi con agilità meravigliosa. Si incontra nelle 
varie parti dell'America meridionale, specialmente al Paragnay. 
- Come il Coguaro, diviene agevolmente famigliare all’ uomo. 
“Azara: ne ha veduto uno che non cercò mai di abbandonare il 
suo padrone, sebbene fosse molto libero. 


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Fig. 170. Lince o Lupo cerviero. 


. Genere Lince. — Gli animali che appartengono: al genere 
Linee differiscono dai gatti pel loro pelame più lungo, per la 
coda più breve e per le orecchie che terminano con ciuffetto di 
peli; anche il sistema dentale non è al tutto lo stesso. Si cono- 
scono moltissime specie di Linci, tanto nel continente antico 
quanto nel nuovo. Le due principali sono: il Lupo cerviero ed 
il Caracal. 

La Lince comune, o Lupo cerviero (fig. 170) si trova nelle 
grandi foreste del nord dell'Europa e dell’Asia; se ne trovano 


LINCE . | 395: 
anche alcune nelle Alpi e nei Pirenei !; le sierras della Spagna 
ne posseggono parimente. Questo carnivoro misura da 80 a 90 
centimetri, non compresa la coda che è lunga 10 centimetri. 
Ha le parti superiori di un rosso chiaro con macchiette brune, 
mentre sotto è bianco. Da ogni lato della faccia un ciuffo di 
peli bianchicci ha aspetto di barba. I 

Il nome di Lupo cerviero gli fu dato probabilmente perchè urla 
la notte come il lupo, e aggredisce volontieri i cerbiatti. Sì 
arrampica lestamente sugli alberi, sgozza gli uccelli nel nido 


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Fig. 174. Caracal. 


e insegue gli scoiattoli, nonchè i piccoli carnivori, come le 
martore, gli ermellini, ecc. Fa suo pasto anche delle lepri e 


4 Nelle Alpi italiane la Lince è frequente. In Piemonte le antiche leggi 
sulla caccia davano 100 lire a chi uccideva un Lupo cerviero. Questo 
premio è maggiore di quello che si dava pel Lupo. Ciò per un pregiudizio 
popolare, cui partecipava pure il legislatore, che il Lupo cerviero fosse un 
animale pericolosissimo all'uomo, mentre, siccome si vede da quanto è 
detto qui sopra nel testo, ciò non è assolutamente. (N debTr.) 


396: ORDINE DEI CARNIVORI 


dei conigli. Non mangia la carne delle grosse prede, a.meno di. 
non essere estremamente affamato. Di solito non fa che sug-. 
gerne soltanto il cervello, da un foro che pratica loro dietro il. 
cranio. 

Presa giovane, la Lince si avvezza alla schiavitù, e si mostra 
anche carezzevole; ma appena le capita l’occasione torna alla 
vita selvatica. Non si affeziona dunque mai davvero al suo 
padrone. È sommamente pulita, come il gatto passa buona parte 
del suo tempe a ripulirsi ed a lisciarsi. 

Il Caracal (fig. 171) ha la statura a un dipresso del Lupo 
cerviero. Il suo pelame è rosso sopra, senza macchia alcuna; 
il petto è color fulvo con macchie brune. È la lince degli antichi. 
Abita il settentrione e l’oriente dell’Africa, l'Arabia e la Persia. 
I suoi costumi non differiscono molto da quelli della precedente. 


Fig. 172. Lince delle paludi. 


Aggredisce le antilopi, le gazzelle, per succhiarne il sangue e 
divorarne il cervello. Anche in schiavitù conserva sempre una 
certa selvatichezza e un gran desiderio di esser libero, 

I Greci l’avevano consacrato a Bacco, e Plinio ha narrato 
sul suo conto favole assurde. Fra le altre, gli accorda la facoltà 
di vedere attraverso ai muri: da ciò è derivato il motto, occhio 
di lince, che è venuto fino a noi, per indicare una vista acu- 
tissima. 

Dopo queste due specie, citeremo la Lince delle paludi, così 
nomata pei suoi abiti eccezionali fra tutti i Felini. Quest’animale 
che abita il Caucaso e l’Africa orientale, è essenzialmente acqua- 
tico. Si compiace a rimaner nell'acqua, nuota benissimo, fa la 
caccia agli uccelli di palude, e afferra anche i pesci tuffandosi. 
Non parleremo delle Linci d’America, che non hanno nulla di 
particolare nei loro costumi. 


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GHEPARDO 397 


Genere Ghepardo. — Il Ghepardo è come un anello di unione 
tra i Felini ed i Cani. Infatti, per l’organizzazione fisica e per 


l’indole partecipa di entrambi. Ha unghie deboli, non retrattili, 


e inette a dilaniare una preda; ma pel sistema dentale fa parte 
dei gatti. Ha pure le gambe più alte, la colonna vertebrale 
meno flessibile e il corpo più svelto degli altri Felini; d’onde 
ne deriva una maggiore agevolezza per correre. La sua coda 
gira sovra sè stessa alla estremità, disposizione comunissima 
nei cani, ma che nei Felini non si trova se non nel Ghepardo. 
La sua dolcezza, l'obbedienza e l’affetto che dimostra in schiavitù 
segnano con certezza il posto che occupa sui confini della - fami- 
glia felina, subito prima la razza canina. 

Il Ghepardo abita l’Asia meridionale e varie parti dell’Africa. 
È lungo m. 4,10 e alto m. 0,65. Il suo pelame è elegantissimo; 


di color fulvo chiaro sopra, e tutto bianco sotto, è sparso ovun- 


que di macchiette nere. Dodici anelli, alternatamente bianchi c 
neri, ornano l’ultima metà della coda. Sulla parte posteriore 
del capo e del collo peli più lunghi degli altri gli fanno una 
sorta di scarsa criniera. 

Il Ghepardo non sale sugli alberi; afferra la preda di slancio 
e di corsa. Da ciò è venuta, nell’India ed in Persia, l’idea di 
ammaestrarlo alla caccia di certi animali, tanto più che la sua 
indole docile si presta a questo genere di ufficio. L’uso di 
adoperare alla caccia la femmina del Ghepardo risale ad un’ e- 
poca assai remota, perchè l’Arabo Rhasès ne parla nel decimo 
secolo. 

Ecco in qual modo si pratica in Mongolia questa caccia. Si 
parte a cavallo con un Ghepardo in groppa o sopra una carretta 
costrutta a questo scopo. L’animale è incatenato ed ha una 
benda sugli occhi. Si percorrono i punti ove stanno più di fre- 
quente le gazzelle, sperando trovare alcuno di questi graziosi 
animali. Appena uno è alle viste, i cacciatori si fermano, sciol- 
sono il Ghepardo e gli mostrano con un dito la gazzella. AlV’'i- 
stante l’astuto carnivoro striscia di nascosto in mezzo alle alte 
erbe protetto dai cespugli, e trae partito con meravigliosa 
maestria dei più piccoli rialzi del suolo onde celare i suoi 
maneggi. Quando gli pare di essere abbastanza vicino alla sua 
vittima, per modo che non gli possa più sfuggire, si svela ad un 
tratto, prende uno slancio impetuoso, con qualche salto prodi - 
gioso la raggiunge, la sgozza, e si mette subito a suggerne il 
sangue. i 

Allora il suo padrone, che ha tenuto d’occhio tutte Ie peripezie 
di quel dramma, entra in campo. Per allontanarlo dalla sua 


398 ORDINE DEI CARNIVORI 
preda gli getta un pezzo di carne, gli parla con dolcezza, lo. 
accarezza; poi gli benda nuovamente gli occhi, lo ripiglia in’ 
groppa e lo ripone sulla carretta. Intanto i servitori portan via 
la gazzella. Un po’ più in là si ricomincia la stessa operazione 
quasi nello stesso modo, e la caccia non termina se non quando 
i cacciatori sono stanchi. 

Questo genere di caccia è sommamente apprezzato nella Mon- 
golia. Quindi un Ghepardo bene ammaestrato ha un: altissimo 
prezzo fra i Mongoli. 

In Persia non si procede nello stesso modo. Uomini e cani 
frugano i boschi per ogni verso facendo andare la selvaggina. 
verso il CAGCIorO, che scioglie il Ghepardo al momento oppor- 
tuno. 

Questi fatti dimostrano abbastanza che il Ghepardo differisce 
essenzialmente, per l’indole, dagli altri Felini. Si addomestica 
quasi come un cane, conosce ed ama il suo padrone, ne ascolta 
la voce e corre appena chiamato. Colle altre persone fa mostra 
di grande dolcezza; perciò si può lasciarlo al tutto libero. Nei 
giardini zoologici europei non lo si tien mai chiuso come gli 
altri Felini. Si lascia girare in un recinto, come gli animali più 
innocui; è molto docile col suo custode, e si presta volontieri 
alle carezze dei visitatori. 

Il giardino delle Piante di Parigi ne aveva uno alcuni anni 
or sono, che era stato portato dal Senegal. Era d’indole dolcis- 
sima. Un giorno in mezzo ai curiosi vide un piccolo nero, che 
aveva fatto il viaggio dal Senegal sulla stessa rave con lui; 
subito gli mostrò, con molte carezze, il piacere che DEORRTE nel 
rivedere un’antica conoscenza. 


FAMIGLIA DEI CANI. — I Cani sono animali digitigradi, che non 
hanno unghie taglienti nè retrattili, le quali non sono acconce 
quindi nè ad aggredire nè alla difesa. Hanno gambe alte, muso 
allungato, e solo quattro dita posteriormente e cinque anterior- 
mente. | 

Al contrario di quella dei gatti, la loro lingua è Milo la 
coda assai lunga, più o meno fitta. 

Sono i più intelligenti fra i Carnivori; il loro cervello presenta 
circonvoluzioni abbastanza profonde. Hanno i sensi sviluppatis- 
simi, sopratutto quello dell’odorato. Si trovano sparsi sopra 
tutto il globo, dalle più alte latitudini alle più basse. 

I Cani comprendono' i tre generi, Volpe, Cane e Iena. 


Genere Volpe. — Questo genere comprende, oltre la Volpe 


VOLPE COMUNE 399 


‘comune, un certo numero di carnivori che ne differiscono poco 
| esono sparsi sopra i due continenti. Hanno tutti pupilla notturna, 
‘muso aguzzo e coda molto fitta. In generale mandano un odore 
sgradevolissimo, che svela la loro presenza. 

Descriveremo i costumi della Volpe comune, siccome animale 
più noto, e quello che è. stato meglio studiato. Con leggere 
«modificazioni, ciò che diciamo di essa. si puo applicare a tutte 
le altre. 

La Volpe comune , (fis. 173) è anche oggi molto sparsa in Europa. 
Da tempi remotissimi ha una riputazione di astuzia che fu 
decantata in ogni modo: astuto come una Volpe, volpone, è uno 
dei motti più popolari in tutte le nazioni. 

La volpe! non a ggredisce mai gli animali che possono farle 

una certa resistenza. Si mette in caccia al crepuscolo. Allora gira 
silenziosa la campagna, esplora i cespugli e le siepi, sperando 
«sorprendere qualche uccello che abbia fatto il suo nido in luogo 
basso. Se vede lepri e conigli brucar tranquillamente, striscia 
senza far rumore fino ad essi, e slanciandosi in mezzo alla 
schiera riesce quasi sempre a fare una vittima. In mancanza 
di cibo più succolento, mangia surmulotti, lucertole, rane ed 
altri piccoli batraci. Non disprezza neppure certi frutti, ed ha 
per l’uva una preferenza particolare. 
. È molto dannosa pel pollame. Quando il canto del gallo le 
«colpisce l’orecchio durante le sue passeggiate notturne, si dirige 
in fretta verso il luogo d’onde le è venuta quella musica piace- 
vole. Gira e rigira intorno al podere, esamina, scruta, osserva, 
cerca i luoghi deboli della fortezza, e medita il modo di potervi 
penetrare. Se esiste in qualche luogo un adito da cui possa 
-passare, state certi che lo troverà; se questa apertura è troppo 
‘angusta pel suo corpo, sa allungarsi, farsi piccola, oppure cer- 
cherà di allargare il foro. Quando poi è riuscita a penetrare 
nel pollaio, fa una strage spaventosa di tutto ciò ch’esso contiene 
e questo non solo pel piacere di versar sangue, ma per previ- 
denza. Difatto, una alla volta porta via le sue vittime e va a 
nasconderle in luogo sicuro nel bosco ove ha la sua tana. Non 
sempre le basta il tempo di trasportarle tutte; allora si dice che 
uccide senza scopo per pura crudeltà. Ma il vero è che le duole 
assai di dover abbandonare una parte, sovente abbondante, delle 
sue rapine; la prudenza sola l’obbliga a partire definitivamente 
all’approssimarsi del giorno. 

Talora ogni suo sforzo per introdursì in un DELA rimane 


4 Fr., Renard; ingl, Fox; ted. Fuchs. 


400 ORDINE DEI CARNIVORI 


senza effetto; in questo caso cerca di spopolarlo poco per volta: 
e sgozza in uno o in parecchi mesi ciò che non può uccidere 
in una notte. Perciò si pianta. tutto il giorno in sul margine di 
un bosco in vicinanza di un podere, e spia tutti i movimenti 
del pollame. Se la sua preda si allontana nei campi, raddoppia 
di vigilanza; se il cane di guardia si è allontanato, approfitta 
di quel momento e, strisciando sul ventre, si accosta inosser- 
vata all’ uccello di cui vuol far suo pasto. Lo sgozza in fretta, 
e ritorna con mille precauzioni al bosco, per non far nascere 
diffidenze. Solo là divora la sua vittima con piena sicurezza. 
Quando questi maneggi le sono riusciti una volta, li rinnova di 
frequente; tanto che in Di: ad un anno il pollaio rimane spo- 
polato. 

Due Volpi sanno mettersi bene d’ accordo per dar caccia alla 
lepre, nei luoghi ove abbonda questo rosicante. Una si mette in 
agguato nel bosco, sul margine di un viottolo; l’ altra fa sbu- 
car fuori la lepre, la fa fuggire e si mette ad inseguirla acca- 
nitamente, senza lasciarsi ingannare dalle sue astuzie. Fa in 
modo che riesce a condurre la preda nel viottolo ove sta vigi- 
lando la. sua compagna, che di tratto in tratto avverte con un 
grido. Questa atterra la selvaggina mentre passa, e Duno due la 
divorano di buon accordo. 

Nondimeno segue talora che l’animale che sta in agguato 
non piglia bene la misura del suo slancio e fallisce la lepre, 
quando gli passa rapidamente davanti. Rimane dapprima un 
po’ turbato; poi, come se volesse trovar la causa del suo sbaglio, 
ritorna al suo posto, salta sul sentiero, e ricomincia parecchie 
volte lo stesso slancio. Il compagno, che arriva mentre l’altro 
fa quell’ esercizio, ne comprende la ragione; irritato di aver la- 
vorato indarno, con qualche graffiata mostra il suo risentimento 
al suo maldestro socio; ma una guerra di pochi minuti basta 
per fargli passare il malumore, e le relazioni anueheKpi non 
tardano ad essere riprese. 

La Volpe si fa anche dar aiuto dai suoi piccoli appena comin- 
ciano ad essere abbastanza forti per procurarsi il cibo. Li con- 
duce seco, li colloca nei luoghi più acconci e manda verso di 
essi la selvaggina. 

Talora per poter acchiappare gli uccelli acquatici si arrischia 
in mezzo ai giunchi e alle canne che riempiono le paludi e 
stanno sul margine degli stagni. In tal caso si-avanza sempre 
con somma prudenza, e bada bene a non avventurarsi ove non 
tocca terra. D’ inverno, quando l’acqua è gelata alla superficie, 
fa la prova della solidità del ghiaccio prima di andare avanti. 


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VOLPE COMUNE / 403 


Quando le sembra troppo sottile per sostenerla, va a cercare 
più lungi un passaggio. 

Nel suo libro sulla Caccia coì cani da corsa, il signor La Vallèe 
narra un fatto curiosissimo che dimostra la singolare astuzia 
che adopera la Volpe per compiere le sue rapine. La Volpe di 
cui si parla era stata presa giovanissima, da un farmacista di 
Chateau-Tierry. Era benissimo addomesticata, si mostrava carez- 
zevole, docilissima; veniva appena chiamata dal padrone, e lo 
seguiva alla caccia, ove faceva l’ufficio di un buonissimo cane. 
Ma la domesticità non le aveva nondimeno fatto perdere il gusto 
del predare. Sebbene nella casa avesse tutto il necessario, rubava 
a dritta e a sinistra, solo per soddisfare alle sue inclinazioni 
naturali. 

Questa volpe fu protagonista di un’ avventura che tenne in 
curiosità per lungo tempo la buona città di Chateau-Tierry. La 
casa posta sul canto della piazza del Mercato aveva sulla strada 
due spiragli di cantina strettissimi, in faccia ai quali avevano 
l’uso di andarsi a mettere i mercanti che comperavano le uova 
dai contadini dei dintorni, per spedirle a Meaux e a Parigi. 
Prima di essere aggiustate per la spedizione, le uova erano vi- 
sitate, e quelle in cui si vedeva qualche fessura si mettevano 
in disparte. Ora una buona donna avendo un giorno posto dietro 
di sè due dozzine d’ uova screpolate, rimase ben meravigliata, 
quando . dopo qualche minuto si volse per prenderle e non le 
rinvenne. Accusò la vicina di avergliele rubate, e forse la di- 
-scussione sarebbe giunta fino alle busse, se non si fossero in- 
. tromesse alcune comari. i 

Al mercato seguente, si rinnovò lo stesso ladrocinio. Si credette 
che fosse uno scherzo di un monello del vicinato, e cadde anche 
il sospetto sui giovani scritturali dell’ usciere che abitava il 
pianterreno di quella casa. 

L’ altro mercato, si mise un osservatore in faccia alla vendi- 
trice, per tener d’ occhio i dintorni; ma esso non vide nulla, 
sebbene la metà delle uova rotte fossero scomparse. 

L’ affare si faceva serio. La mercantessa allora pensò di collo- 
care la merce avariata sotto la sua sottana, in mezzo ai piedi, 
certa che colà sarebbe sicura. Ma quale prodigio! le uova scom- 
parivano colla stessa rapidità. Decisamente doveva esserci qual- 
che magia. 

Non fu che molto tempo dopo che si scoperse il vero. La Volpe 
del farmacista stava accovacciata nei spiragli, fatti a mo’ di fe- 
ritoia e ove non si sarebbe mai creduto che ci fosse potuta 
capire, tanto anguste ne erano le aperture. Appena un uovo 


404 ORDINE DEI CARNIVORI 


era posato a terra, allungava il capo, lo prendeva e tornava nel 
suo buco. Poteva compiere tranquillamente i suoi maneggi na- 
scosta come era, non solo dai piedi e dalle gonnelle della ven- 
ditrice, ma anche dalle ceste che aveva davanti. 

Una delle astuzie più frequenti di questo astuto animale, e 
che dimostra una rara intelligenza, è quella di sdraiarsi a terra 
e fare il morto, quando è sorpreso all’ improvviso dai cacciatori 
o dai viandanti, e non può più fuggire. Allora si ha un bel 
scuoterlo, spingerlo per ogni verso, soilevarlo anche per la 


Fig. 175. Volpe in agguato. 


coda, bilanciarlo nell’ aria, gettarselo sulla spalla, esso non dà 
segno di vita. Ma appena si cessa di osservarlo, o si parte, 
fugge in fretta, lasciando attoniti quegli che ha ingannati tanto 
bene. | 

La Volpe abita una tana, che scava sul margine dei boschi, 
più spesso in mezzo ai sassi, alle rocce, o sotto i tronchi d’albero; 
talora anche nella terra, ma in tal caso la pone sopra un terreno 
elevato e in pendio, onde essere riparata dall’ umido e dalle 
innondazioni. 

Talora trova più comodo impadronirsi della tana di un coniglio 


CACCIA DELLA VOLPE 405 


o di un tasso, e aggiustarsela a modo suo. Nel primo caso stran- 
gola semplicemente il proprietario; nel secondo ammorba colla 
sua orina l’ antro che desidera, ed obbliga il legittimo padrone 
ad allontanarsi. 

= Divide sempre la sua dimora in tre scompartimenti; nel primo 
sta di solito ad osservare le vicinanze prima di uscire, e di 
| là aspetta il momento propizio per sfuggire ai suoi persecutori, 
quando una attiva caccia l’ ha obbligata a rifugiarsi nella sua 
sotterranea dimora. Il secondo scompartimento ha varie uscite, 
ove stanno ammucchiate le provviste dell’ astuta comare; è la 
dispensa della famiglia. Finalmente dietro a questo si trova il 
terzo scompartimento che sta al fondo della tana, ed è la camera 
da letto e la vera dimora dell’animale. Colà dorme, partorisce 
e allatta i suoi piccoli, colà la femmina si ricovera nei momenti 
di pericolo. Tuttavia la Volpe non riman guari nella sua tana 
che nel tempo in cui alleva la sua figliuolanza. Salvo questi 
casi, dorme quasi sempre in un cespuglio, talora alla distanza 
di due o tre leghe dalla sua dimora, accanto alluogo ove spera 
poter rapinare. 

Nella Volpe l’istinto materno è sviluppatissimo. Veglia sui 
suoi piccoli con gran sollecitudine, provvede ai loro bisogni, e 
li difende coraggiosamente contro i loro nemici. 

Il parto si compone di tre a cinque piccoli, che nascono verso 
il mese d’aprile. Il maschio e la femmina abitano insieme, finchè 
la famiglia sia cresciuta; dopo si separano e vivono solitari. 
La vita della Volpe dura dai tredici ai quattordici anni. 

Le prede della Volpe l’hanno fatta considerare come animale 
nocevolissimo. Quindi le si fa attiva guerra ovunque opera le 
sue rapine. Si sono inventati vari mezzi per distruggerla. 


Caccia della Volpe. — I ricchi Inglesi sono amantissimi della 
i caccia della Volpe coi cani da corsa. In questo divertimento 
spendono somme considerevoli. 

Per questa sorta di caccia, fa d’uopo aver cura di chiudere, 
la notte precedente, tutte le tane dei dintorni; in tal modo si 
toglie all'animale la possibilità di nascondervisi, ciò che segui- 
rebbe certo appena fosse stanco. Adoperata questa precauzione, 
la Volpe è quasi certa di esser presa; perchè lascia dietro di 
sè un odore tanvo forte, che i cani più novizi ne conservano la 
traccia. Del resto quest’ animale tanto fecondo in astuzie per 
togliere agli altri la vita, non sa metterne in opera quasi nessuna 
per difendere la propria. Non fa altro che ritornare di tratto 
in tratto sulla sua traccia, e infilarsi nei luoghi più fitti. Dopo 


406 ORDINE DEI CARNIVORI 


alcune ore dunque è raggiunto. Allora si rivolge e si batte 
disperatamente; mai cani voraci in breve lo hanno sbranato. 

Hannovi tuttavia alcune vecchie Volpi che ingannano i loro 
persecutori gettandosi nei luoghi inaccessibili ai cani ed ai cac- 
ciatori. 

Tocca al capoeaccia di conoscere quelle località ed impedire 
che l’animale vi si rintani. Ciò si ottiene difendendole con una 
corda tesa orizzontalmente e ornata di piume o di pezzi di stoffa 
di color vivace. La Volpe vede quell’arnese, teme un inganno 
e torna indietro; perde quindi la vita per eccesso di prudenza. 

La caccia col fucile è molto più facile. Parecchi tiratori si 
uniscono assieme e si collocano nei passaggi più acconci di un 
bosco ove sanno esservi Volpi. L’animale, fatto levare dai cani 
segugi, viene allora sotto il tiro dei cacciatori, che se lo lasciano 
fuggire non debbono accusarne che la loro poca abilità. 

Quando la Volpe si è rintanata e non vuol uscire, si può 
mandarle contro certi piccoli segugi dalle gambe storte, i quali, 
infilandosi nel suo rifugio, riescono a mandarla fuori, a meno 
che non sia troppo stanca. I cacciatori l’aspettano al varco nel 
massimo silenzio, e le sparano addosso appena si mostra. 

Talora resiste alle provocazioni dei cani e si ritira in fondo 
alla sua tana, risoluta a non muoversi finchè i suoi nemici 
sono presenti. Allora non v'è altro rimedio che di affumicarla 
nella tana, o sfondare la sua dimora a colpi di vanga. Siccome 
il primo metodo è più semplice, viene adoperato di preferenza. 
Si chiudono tutte le aperture della tana tranne quella che riceve 
il vento: s’introduce in quest’ultima il più profondamente possi- 
bile una miccia insolforata, poi innanzi alla buca si accumula 
un fascio di rami e di foglie e vi si dà fuoco. Il fumo spinto 
dal vento, penetra fino in fondo alla tana, trascinando pure i 
vapori solforosi. Quando la cavità sotterranea è al tutto invasa, 
il fumo citorna contro il vento; allora si tura ermeticamente 
l’ultima apertura, e si lascian le cose in quello stato fino al- 
l'indomani. La Volpe si ritrova sempre vicino ad un’apertura ove 
viene a morire. 

Quando le volpi sono assai numerose in una regione si ricorre 
a mezzi più energici per liberarsene: si adoperano le trappole 
ed il veleno. 

I giorni di neve son più acconci per applicare questi mezzi 
estremi; perchè, oltre che l’animale spinto dalla fame rallenta 
un po’ della sua solita diffidenza, e si lascia prender meglio 
all’esca durante l’inverno che non in qualunque altra stagione, 
è agevolissimo seguirne la traccia sulla neve, e toglier via il 


> 


VOLPI TURCHINE 407 


cadavere avvelenato, che non bisogna lasciare in balìa dei cani 
e dei gatti del paese. 

Dalla storia della Volpe di Chateau-Tierry si è veduto che 
questo carnivoro può addomesticarsi quanto il cane. Tuttavia 
havvi una restrizione da fare. In esso gli istinti sanguinari sono 
invincibili; l’amore della strage è una necessità della sua na- 
tura. Forse si potrebbero distruggere per sempre gli istinti san- 
guinari di quest'animale rendendolo domestico, assoggettandolo 
alla servitù per varie generazioni, ma ciò non si può ottenere 
con l’ educazione di pochi anni. Questa è la ragione per cui è 
difficile conservare una Volpe adulta; le depredazioni che conti- 
nua a commettere sono una sorgente di noie incessanti pel suo 
padrone, il quale, ristucco, finisce col disfarsene. 

La carne della Volpe esala un odore tanto nauseante, che 
ripugna anche a molti animali. Tuttavia certuni se ne conten- 
tano, specialmente nei paesi viniferi ove mangia uva a sazietà. 
Pare che le si tolga una parte del suo cattivo odore esponen- 
dola al gelo. 


Volpe turchina, Zerdo, argentina, tricolore. — L’Isatis, o Volpe 
turchina, abita tutta la distesa dell’antico continente, al di là 
del 69° grado di latitudine, vale a dire la Scandinavia, la Russia, 
la Siberia. Il pelame di questa specie è lunghissimo, molto 
abbondante, morbido, talora bianco, talora di un grigio ardesia 
che tira sul turchino. Se ne fa un commercio grandissimo. 

Nei costumi l’ Isatis differisce un poco dalla Volpe comune. 
Invece di abitare i boschi ama le colline scoperte, e sul loro 
pendio vi scava una tana. Non teme l’acqua, spesso attraversa 
bracci di fiumi per andare a sorprendere gli uccelli accquatici 
o divorare le uova in mezzo ai canneti delle isolette. 

Una particolarità che caratterizza bene la Volpe turchina, 
perchè è un’eccezione nell’ordine dei Carnivori, è l'abitudine di 
emigrare in massa, quando la selvaggina viene a mancare nel 
paese ove ha vissuto fino allora. Rimane tre o quattro anni 
assente; dopo di che, credendo che la campagna debba essere 
tornata ricca di selvaggina, vi ritorna. Ma spesso devono digiu- 
nare, e la loro fame è tale che si appigliano a tutto. Quando 
Behring fece naufragio sull’isola dello stretto che porta il suo 
nome, le Volpi turchine cercavano di rosicciare le scarpe degli 
uomini addormentati (fig. 176), e nell’isola Jan-Mayen i viaggia- 
tori Vogt e Barna erano costretti a difendere contro di esse, 
a fucilate, i loro abiti e le loro provviste. 

La femmina dell’Isatis partorisce sette od otto piccoli, verso 


408 ORDINE DEI CARNIVORI 


il mese di maggio. E una fortuna pel cacciatore quando riesce. 
a prendere giovanissime cinque o sei Volpi turchine. Allora le 
alleva e trae: profitto della loro pelliccia, quando è divenuta 
bellissima. Alcuni viaggiatori narrano che s’ incontrano spesso 
nei paesi scandinavi certe povere donne che fanno parte del loro 
latte e delle loro cure al loro bambino e a parecchie Volpi azzurre. 

Diverse altre specie di Volpi abitano l’ Asia e l'Africa. Cite- 
remo in particolare la Volpe Zerdo, o Fennec, la più piccola 
del genere, che va debitrice della acutezza del suo udito alle 
sue enormi orecchie. Trovasi nel Sahara algerino, nella Nubia, 
nell’Abissinia e a Dongola. 

Fra le Volpi del nuovo continente, le due specie principali 
sono la Volpe argentina, e la Volpe tricolore. 

La prima abita il nord d’America. La sua pelliccia, sebbene 
meno stimata di quella dell’ Isatis, è nondimeno preziosa. La 
seconda è sparsa agli Stati Uniti e al Paraguay. La Volpe tri- 
colore è molto audace; si arrischia ad avvicinarsi, durante la 
notte, alle tende dei viaggiatori, per impadronirsi delle cinghie 
di cuoio, cui divora. 


Genere Cane. — Tutti i carnivori del genere Cane hanno la 
pupilla rotonda, e non verticale come le Volpi; non mandan 
cattivo odore e non scavano tane. Sono socievoli, e si riuniscono 
in grandi strupi per aggredire la preda, o difendersi contro 
animali più potenti di loro. In domesticità abbaiano tutti, niuno 
eccettuato; invece allo stato selvatico, urlano, tranne i momenti 
in cui inseguono la preda; allora mandano note brevi, in rela- 
zione colla rapidità della corsa. 

Nel genere Cane si comprendono come specie distinte lo 
Sciacallo, il Lupo, e il Cane propriamente detto. 


Sciacallo. — Questo carnivoro, di cui si conoscono cinque 0 
sei.varietà, è comune in tutta l’Africa, in tutte le regioni calde 
dell'Asia, e finalmente nella Grecia meridionale. È quasi lungo 
come la Volpe, ma è un po’ più alto di gambe. Il suo pelame 
grigio giallastro disopra, è bianchiccio sotto; la sua Cedo è se- 
gnata di nero alla punta. 

Gli Sciacalli (fig. 177) vivono in branchi, talora colo pasti di 
oltre a. cento individui. Sebbene abbiano gli occhi organizzati 
per vederci di giorno, dormono di. solito nelle ore diurne, e 
non escono che la notte, per cercare il pasto. Allora, per racco- 
gliersi nell'ombra mandano urli lugubri e sonori, ai quali biso- 
gna essere avvezzi per non perderne il sonno. Sono voracissimi 


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SCIACALLO 411 


ed audacissimi. Si accostano alle abitaZioni, vi penetrano quando 
le trovano aperte, e divorano tutti i commestibili che possono 
prendere. Divorano perfino le scarpe, i finimenti dei cavalli e 
altri oggetti di cuoio. Nel deserto tengono dietro alle carovane, 
si accostano di soppiatto la notte agli accampamenti, e si sfor- 
zano di toglier via qualche cosa, senza però inoltrarsi di troppo. 
Dopo la partenza della carovana si precipitano sul luogo del 
campo, e divorano tutti gli avanzi che son sparsi sul suolo. 

Finalmente, come le iene, dissotterrano i cadaveri nei cimi- 
teri. Per proteggere le tombe contro le loro profanazioni, bi- 
sogna coprirle con grosse pietre e spine. 

Gli Sciacalli hanno altri mezzi di sussistenza; sfruttano anche 
‘la natura viva. Uccidono, per nutrirsi, un gran numero di pic- 
coli mammiferi, e si riuniscono per cacciare la gazzella, l’anti- 
lope, ecc. Quando sono molto numerosi non temono di aggredire 
i buoi ed i cavalli. Quanto all'uomo, lo rispettano, sebbene non 
sembrino temerlo molto, se si giudica dal loro piglio tranquillo 
allorchè si trovano inaspettatamente in faccia alla nostra specie. 
I racconti di donne e di fanciulli divorati da Sciacalli son dun- 
que una mera invenzione. 

È pure una favola ciò che si dice dello Sciacallo che provveda 
il cibo al leone. Gli antichi dicevano che lo Sciacallo cammina 
innanzi al leone per scoprire e indicargli la preda, e che la fiera 
ricompensa il piccolo animale dei suoi buoni servigi abbandonan- 
dogli gli avanzi del banchetto. Questa favola, che Aristotile prese 
da un apologo indiano, fu poi dai naturalisti del secolo decimot- 
tavo presa in prestito da quell’autore antico, e per un certo 
tempo godè di qualche fede, sebbene non abbia nessun fon- 
damento. | 

Lo Sciacallo s'addomestica -benissimo. Preso giovine è docile, 
carezzevole, conosce bene il suo padrone e tutte le persone che 
gli stanno d’attorno; si famigliarizza anche con quelle che gli 
sono estranee. Ma è timido e capriccioso; sovente, senza un 
motivo apparente, passa da un sentimento ad un altro al tutto 
opposto. Partecipa dunque molto dell’indole del cane. Gli ras- 
somiglia pure fisicamente; ed ha con esso accoppiamenti fecondi. 
Quindi si è potuto asserire, con qualche ragione, che lo Scia- 
callo sia l’origine e lo stipite di tutte le razze di cani domestici 
che esistono oggi. | 

Nondimeno questa non è l’opinione unanime dei naturalisti. 
F. Cuvier oppone a questa opinione l’odore sgradevole che manda 
lo Sciacallo; soggiunge che non v’ha nulla che autorizzi l’idea 
che la domesticità abbia potuto modificarlo al punto da fargli 


442 ORDINE DEI CARNIVORI 


perder quel cattivo odore. Si potrebbe rispondere a ciò, che 
quest’odore è un fatto accidentale, e probabilmente deriva dalle 
carni corrotte di cui si nutre in parte lo Sciacallo, e che d’al- 
tronde scompare alla seconda o terza generazione nell’animale 
domestico. Nondimeno è difficile affermare qualche cosa in un 
senso o nell’altro: le quistioni di origine delle specie animali 
sono oscurissime, e non si può sperare di renderle mai chiare. 


Fig 177. S 


iacalii. 


(©) 


Lupo. — Il Lupo, per così dire, non si distingue dal cane nei 
caratteri zoologici; ha solo gli occhi collocati obbliquamente e 
un tantino nella direzione del naso. Il suo pelame è di un color 
fulvo grigiastro, la sua statura variabilissima, secondo i paesi. 
Certi lupi non sono più lunghi di 75 centimetri, non compresa 
la coda; altri son lunghi quasi il doppio. Il Lupo è fortissimo 
e resiste a lungo alla fame ed alla stanchezza. Si trova in tutta 
l’Europa, fuorchè l'Inghilterra e le isole vicine, ove è stato di- 
strutto. Abita del pari le regioni fredde e temperate dell’Asia 
e dell'America. 

Il Lupo dimora in mezzo ai boschi, entro qualche tana natu- 
rale, dorme il giorno e fa le sue spedizioni di notte. Molto 


LUPO i 413 


prudente, cammina adagino, — a passo di lupo, come si dice, 
— e, per impadronirsi della preda, unisce la perfidia alla forza. 
Ha la vista, l’udito, e sopratutto l’odorato, sviluppatissimi. Tutte 
queste qualità gli servono molto per trovare il nutrimento, 
vedere il pericolo e fuggirlo. Si contenta di piccoli animali, 
rosicanti, uccelli e rettili, quando ne ha a sufficienza. Non gli 
ripugna neppure di divorare cadaveri ed immondezze. Certi 
frutti, principalmente l’uva e le mele fracide, sono anche di 
suo gusto. Ma se tutti questi cibi vengono a mancargli, e la 


Fig. 178. Lupo. 


fame gli rode lo stomaco, dimentica ogni prudenza! Allora diviene 
il terrore delle gregge e anche dell’uomo. 

Di giorno si accosta senza esser visto ad un gregge di pacifi- 
che pecore; inganna la vigilanza dei cani, si slancia, afferra 
una vittima che ha già adocchiata, la porta via fuggendo con 
piede leggero, ridendosi di qualunque persecuzione. 

Compiuto questo primo furto, ritorna parecchie volte alla 
carica, finchè la vigile e continua guardia che gli si fa, l’obbliga 
ad andare a compiere le sue gesta in altro luogo. 
| Allorchè è riuscito ad introdursi di notte iu un ovilc, allora 


414 ORDINE DEI CARNIVORI 


è un’altra cosa: fa un eccidio generale, uno sterminio di pecore. 
Quando questa carnificina è terminata, porta via una pecora. 
e la mangia. Poi ne porta via successivamente una seconda, 
una terza, una quarta, che nasconde nella boscaglia vicina, in 
vari luoghi sotto mucchi di foglie e di rami. Non si rintana 
che all’alba, lasciando l’ovile tutto cosperso di cadaveri che gli 
sono inutili. 

Questo furore di strage, che precede l’azione di mettere i corpi 
in luogo sicuro, dimostra maggiore previdenza che ferocia; il 
Lupo non è dunque al tutto quel mostro di crudeltà che ci ha 
dipinto Buffon. Ma perchè non mangia le provviste che ha preso 
tanta pena per sottrarre agli sguardi indiscreti? Senza dubbio 
le dimentica, oppure teme di cadere in qualche trappola, ritor 
nando nei luoghi stessi ove ha eccitato sì terribili ire. 

Sovente il Lupo aggredisce il cane, suo nemico acerrimo, e 
non v’ha astuzia che non metta in opera per farne sua preda. 
Se scorge qualche cane novizio che stia spassandosela nel cor- 
tile di un podere, vi si accosta, lo tira con salti e scherzi di 
ogni sorta per invitarlo a trastullarsi seco. Quando il giovine 
cane inesperto, sedotto da queste ingannevoli apparenze, cede 
alle sue lusinghe, lo atterra e lo porta via per divorarselo a 
suo bell’agio. Contro un cane forte e che possa difendersi bene 
adopera un’altra astuzia. Due Lupi si accordano per circondarlo; 
uno va a farsi vedere dal mastino, e se lo tira dietro in una 
imboscata ove il secondo sta appiattato. Allora entrambi lo 
aggrediscono di comune accordo, e lo vincono agevolmente. 

In circostanze ordinarie il Lupo non aggredisce l’uomo, anzi 
lo sfugge. In casi estremi, invece, gli si slancia contro, 0, se non 
lo aggredisce apertamente, gli tien dietro per lungo tempo, cer- 
cando di trar profitto di ogni sua debolezza per assalirlo. Se 
l’uomo è a cavallo 'o accompagnato da un cane, cercherà di 
strangolare prima la cavalcatura o il cane. 

I Lupi si mostrano feroci e formidabili l'inverno nelle grandi 
pianure della Germania, nelle vaste steppe della Russia e della 
Polonia, quando la terra è coperta di neve. 

« La fame fa uscire il Lupo dal bosco » dice un motto po- 
polare. Infatti, allora irrompono in massa dalle loro foreste, 
scendono dai monti, vanno in giro per la campagna in ogni 
verso, e i loro strupi affamati divengono un vero flagello. 

Un viaggio in islitta nelle pianure della Siberia infestate da 
Lupi non è molto piacevole. Sovente una truppa di questi fe- 
roci nemici si mette a inseguire accanitamente uomini e ca- 
valli, e s’ accosta fino a toccarli. Se la slitta si ferma solo per 


LUPO 415 


un secondo, uomini ed animali son perduti: la salvezza con- 
siste in una rapida fuga. Ne segue dunque una gara furiosa 
di velocità. I cavalli, frenetici pel terrore, sembrano avere ali; 
volano, come le ombre della ballata tedesca. I Lupi fanno al- 
trettanto; i loro occhi ardenti mandan lampi di cupidigia. È 
uno spettacolo terribilmente fantastico quello di questi spettri 
neri che corrono sul bianco lenzuolo di neve, colla rapidità 
vertiginosa che viene dalla disperazione. Di tratto in tratto si 
sente il rintronare di una fucilata; un lupo cade. Più ardito 
degli altri, ha tentato di dar la scalata alla slitta, ed un viag- 
giatore lo ha freddato. Questo incidente concede ai fuggitivi un 
po’ di spazio, perchè lo strupo di carnivori si ferma un mo- 
mento per divorare il corpo del compagno; in pochi secondi, 
è sbranato e divorato, e la caccia ricomincia. Ma finalmente si 
è presto al termine di quella corsa scapigliata: il villaggio e 
‘il castello si profilano sul cielo grigio: i Lupi non avranno la 
loro preda! Tuttavia certe volte la corsa termina tragicamente; 
«dopo una corsa di alcune ore, i cavalli stanchi non possono 
‘(lottare più oltre, si lasciano sopraffare ed arrestare dai nemici 
‘sempre più numerosi ; la slitta è circondata e presa d’ assalto: 
il resto s’indovina! 

Certi individui fra i Lupi, — per fortuna sono rari, — amano” 
straordinariamente la carne umana. Di questa sorta era l’ ani- 
.male terribile che desolò il Gevaudan, nella seconda metà del 
secolo decimottavo, e di cui è venuta fino a noi la fama. Quel 
lupo, di una statura colossale pel.paese (m. 1.86 dall’estremità 
del muso alla punta della coda), tenne testa per molti anni a 
tutti gli sforzi diretti contro di lui. Non ci volle meno di un 
piccolo esercito, composto delle guardie di caccia del re, dei 
duchi di Orléans e di Penthievre e del principe di Condè, per 
vincere quel Lupo formidabile : e tuttavia non si riuscì se non 
. dopo parecchi mesi. Le cronache del tempo portano a cinquanta 
o cinquantacinque il numero di donne e fanciulli che perirono 
sotto il dente affamato della bestia del Gevaudan. A questo nu- 
mero bisogna aggiungere venticinque persone che gli furono 
strappate con ferite più o meno gravi. 

Nell’India i Lupi sono considerati come animali sacri, e pren- 
dono sull’ uomo un gran tributo. I Lupi rapiscono ogni anno 
molti fanciulli, principalmente nei paesi ove sonvi pochi Eu- 
ropei, perchè in quei luoghi quegli animali son più rispettati. 

In aprile o in maggio la Lupa partorisce cinque o sei pic- 
coli, talora in una anfrattuosità naturale, od in una tana ab- 
bandonata ch’essa allarga, talora nel fitto della boscaglia, o an- 


416 ORDINE DEI CARNIVORI 


che in campagna aperta in mezzo al frumento. Essa ha loro 
apparecchiato prima un covo morbido, fatto di muschi e dei 
peli che si è strappati. Li allatta per due. mesi, e dà loro in 
seguito sostanze animali, e sopratutto piccola selvaggina, frutto 
delle sue rapine. Li ama teneramente, li abbandona il meno 
che può, veglia continuamente su loro, e sacrificherebbe la vita 
per difenderli. Se si accorge che in sua assenza sono stati toc- 
cati, o solo che qualcuno è andato a girar loro attorno, li porta 
a grandi distanze. Appena, verso i tre mesi, cominciano a cam- 
minare, li conduce seco per insegnar loro a cacciar. 

Per mettere un freno alle rapine dei Lupi, gli antichi re di 
Francia organizzarono la Zouveterie , istituzione che esiste an- 

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Fig. 179. Lupi e Lupicini. 


cora oggi, ma molto modificata e ristretta. Nell’ antica Corte 
francese eravi la carica di gran louvetier. Quest’ ufficiale aveva 
sotto di sè tutti i louvetiers delle provincie. I louvetiers, inca- 
ricati della distruzione dei Lupi su tutta la superficie della loro 
circoscrizione, prelevavano una tassa su ogni abitante che ri- 
siedeva in un raggio di due leghe intorno al sito ove uno di 
questi animali era ucciso. La Rivoluzione dell’89 aboli la ZLou- 
veterie, con tante altre istituzioni. Nel 1797, essa fu sostituita 
con un decreto che prescriveva di fare almeno ogni tre mesi 
nelle foreste e nelle campagne, caccie al Lupo, alla Volpe e ad 
altri animali nocivi. I premi accordati per la distruzione dei 
Lupi erano distribuiti come segue: 50 franchi per ogni testa 


LUPO 417 


di Lupo, e 20 per ogni testa di Lupicino. Il decreto del 1797 è 
ancor oggi in vigore, ma di rado viene applicato. Le caccie 
sono ordinate dal prefetto, dietro richiesta degli agenti forestali, 
quando lo esigono le. circostanze. I sindaci nominano in ogni 
comune gli abitanti che debbono prendervi parte; e una multa 
da 16 a 100 franchi è inflitta a quelli che contravvengono a 
queste misure di utilità pubblica. 

Nel 1818 i premi furono abbassati a 15 franchi per una Lupa 
non pregna, e a 12 franchi per un Lupo, e a 6 franchi per un 
Lupicino. 

Secondo uno scrittore molto autorevole di cose di caccia, il 
signor d’ Houdetot, si distruggono ogni annuo in Francia 1200 


Fig. 180. Lupo che porta via una pecora. 


Lupi, distribuiti nel modo seguente : vecchi Lupi, 300; Lupe, 
200; Lupicini, 700. / 

Non si caccia il Lupo alla corsa: l’impresa non sarebbe pos- 
sibile se non con veltri. Inseguire un animale che ha gambe 
di ferro, e che in una sola notte può fare sino a 40 leghe per 
cercarsi il cibo, sarebbe opera vana. I tiratori si dispongono 
dunque intorno ad un bosco, ove è supposta l’ esistenza di un 
Lupo. Nelle pianure ove si suppone che sbucherà fuori il Lupo 
vengono collocate molte compagnie di cani robusti, che lo af- 
ferrano e lo arrestano mentre passa. Presi questi provvedi - 
menti, di buonissima ora si battono i boschi, per obbligare l’a- 
nimale ad uscire, 0, se prima si è conosciuta la sua tana, lo 
si fa fuggire con cani specialmente ammaestrati a questa cac- 

FIGUIER. I Mammiferi. dI 


418 ORDINE DEI CARNIVORI 


cia. Il Lupo fugge in linea retta, e non sta molto a varcare il 
recinto ove deve essere abbattuto se i cacciatori sono bene ap- 
postati. 

Contro questo animale malefico ogni mezzo è buono; si pos- 
sono adoperare anche con vantaggio le trappole, i tranelli, le 
reti, e anche il veleno. Tutti questi mezzi che sovente son giu- 
dicati traditori e indegni di un cacciatore quando son adoperati 
contro il cervo, il capriuolo o anche la lepre, sono ammessi e 
riconosciuti legittimi quando si tratta del Lupo. Bisogna pro- 
teggere le campagne contro le rapine di questo ladro che non 
bada alle proprietà, e non rispetta sempre neppure gli uo- 
mini 4; 

Sebbene il Cane ed il Lupo abbiano l’uno per l’altro un odio 
istintivo e profondo, si osservano talora accoppiamenti fecondi 
tra queste due specie, senza che nulla li abbia sforzati a un 
cosifatto riavvicinamento. L’unione del cane colla Lupa è più 
rara di quella del Lupo colla cagna; nondimeno hanvene esempi. 

Buffon ha asserito che il Lupo non può affezionarsi, è impos- 
bile addomesticarlo; ma in ciò è caduto in grave errore. E Cu- 
vier narra la storia di un Lupo che visse nel Giardino delle 
Piante di Parigi, dopo essere stato allevato da una persona. 
che dovette separarsene il dì che imprese un lungo viaggio. Il 
più docile cane non avrebbe mostrato pel suo padrone un affetto 
maggiore, un amore più costante di quello manifestato da quel 
selvaggio animale. E questò non è un fatto unico. Molte persone 
potrebbero attestare l’influenza dell’educazione sul Lupo. Preso 
giovine, si potrebbe, come il cane, ammaestrare alla caccia. 

Fra le varietà del Lupo comune, si può menzionare il Lupo 
nero, che abita specialmente il nord dell'Europa, e non si trova 
in Francia che per eccezione, sulle alte montagne; — il Lupo 
dall’odore ed il Lupo delle Praterie che vivono in strupi nelle 
immense pianure dell’America settentrionale, ove fanno la caccia 


1 Jn Italia il Lupo era in passato molto diffuso, tanto nelle foreste lungo 
l’Apennino quante e più assai nelle Alpi. In Piemonte ed in Lombardia 
i Lupi scendevano l’inverno alla pianura e destavano terrore per le stragi 
che facevano fra le pecore ed altri animali domestici, e pel loro non in- 
frequente aggredire anche l’uomo. Nel Museo zoologico dell’Università di 
Pavia si conserva un Lupo reo di parecchi omicidi, ucciso nel 18141 nella 
provincia milanese. Nel Museo zoologico di Torino vè un Lupo reo egual- 
mente di molte atrocità, ucciso nell’agro novarese nel 1816. 

Oggi però nell'Italia settentrionale, dove erano più frequenti, i Lupi 
si sono fatti molto rari, mercè l’opera distruggitrice dell’uomo. (N. d. T.) 


CANI 419 
ai cervi, ai daini, ed anche al bisonte isolato dalla sua mandra; 
— il Lupo rosso, che abita solitario i pampas della Plata, nei siti 
paludosi, e sulle sponde dei fiumi; — finalmente il Lupo del 
Messico ed il Lupo di Giava. Nelle regioni glaciali dei due conti- 
‘nenti trovansi Lupi bianchi, come Volpi bianche. 


Cani. — Fra il Cane propriamente detto, il Lupo e lo Sciacallo 
le differenze fisiche sono tanto minime che è permesso doman- 
dare se questi tre tipi di carnivori non siano altro che tre varietà 


di una medesima specie, invece di costituire, come vogliono la 
maggior parte dei naturalisti, tre specie distinte. È certo che 
havvi maggior distanza fra alcune razze di Cani ed alcune altre, 
come fra il Mastino e il /ling's Charles od il cane dell’Avana, che 
non fra il Mastino ed il Lupo e lo Sciacallo. Tuttavia il Ma- 
stino, il King's Charles, il Cane dell’Avana sono considerati come 
varietà della specie Cane, mentre non si accorda lo stesso grado 
di parentela fra il Mastino, il Lupo e lo Sciacallo. Per conse- 
guenza ne segue che i naturalisti per caratterizzare il Cane dome- 
stico son ridotti a dire che ha sempre la coda più o meno ricurva, 


420 ORDINE DEI CARNIVORI 


disposizione che gli è esclusiva. Ora questa distinzione non solo 
è puerile, ma in molti casi è falsa; perchè si son veduti certi 
lupi addomesticati, cedendo all’azione dell’ esempio, avvezzarsi 
a portare alta la coda come i Cani. 

Ammettendo che lo Sciacallo, il Lupo ed il Cane siano tre 
razze che derivano dalla medesima specie, la questione del- 


n= TT 


Fig. 182. Cani danesi. 


l'origine del Cane domestico si può spiegare agevolmente; almeno 
si. possono arrischiare su ciò alcune ipotesi abbastanza verosi- 
| mili. Allora non si dirà più con Buffon, che le nostre numerose 
varietà di Cani domestici derivano da un tipo unico; non si 
cercherà se questo tipo sia il Lupo, lo Sciacallo, Oppure se sia 
estinto da un pezzo. Ma ci contenteremo di fermare che, prima 
della venuta dell’uomo sulla terra, esistevano diverse varietà di 


CANI AZA: 
Cani corrispondenti ad alcune delle nostre razze domestiche. 
Dimostrato ciò mercè la paleontologia, si penserà naturalmente 
che, da tutte le combinazioni possibili fra le diverse varietà di 
Sciacalli, di Lupi e di Cani, son derivate alcune razze ben distinte 
sulle quali l’ uomo ha steso il suo dominio, ch’egli poscia ha 
modificate a suo piacimento, e di cui ha mano mano accresciuto 
il numero con successivi incrociamenti. Questa è l'opinione che 
ci sembra avere maggior fondamento. 
Checchè ne sia, non è possibile stabilire l’epoca in cui il Cane 


Fig. 185. Veltro o Levriere. 


divenne schiavo dell’uomo. Le più lontane tradizioni, i docu- 
menti storici più antichi, ci mostrano il Cane ridotto allo stato 
di domesticità. Nelle età preistoriche, all’ epoca del bronzo, si 
vede il cane compagno dell’uomo, e le sue ossa riunite a quelle 
del suo padrone. Il Cane è, per così dire, parte integrante del- 
l’uomo. Ciò fa dire con molta arguzia a Toussenel: « Quel che 
l’uomo ha in sè di migliore, è il Cane. » 

Il Cane ha tutte le qualità del cuore e tutte quelle dell’intelli- 
genza. -Dove si può trovare un amico più sincero, più costante,. 
più devoto, una memoria più fedele, una affezione più forte, una 


422 ORDINE DEI CARNIVORI 

devozione più continua, un’ anima più leale e più sincera? Il 
Cane non sa che cosa sia l’ingratitudine. Certo non abbando- 
nerebbe il suo benefattore nel pericolo o nella sventura! Sacri- 
fica volonteroso la sua vita a quello che lo ha nudrito. È tanto 
devoto che abbandona pertino la propria volontà: è tutto del suo 
padrone, e mette sempre in pratica l’ oblio di sè stesso. Non 
serba rancore dei castighi e dei cattivi trattamenti che gli sono 


Fig. 184. Cane da pastore. 


stati fatti in un momento di collera; è avido di carezze, e l’in- 
differenza di coloro ch’ egli ama lo rende. molto melanconico. 
Le carezze fatte colla mano, collo sguardo o colla voce, lo ren- 
dono felicissimo. Bisogna allora vederlo dimenarsi movendo 
la coda, far mille capriole, mille salti, mentre il suo occhio lim- 
pido e dolce brilla di una gioia vivissima. Buon animale! di- 
strazione del ricco, consolazione del povero, compagno fedele 


CANI 423 


nell’avversità! Tua mercè, l’infelice che muore solo lungi dalla 
società sa di avere almeno un amico dietro al suo povero funerale; 

‘ sa di non scender solo nel gelido sepolcro; tu vai a spargere sulla 
tomba lagrime sincere di affetto e di rammarico; e tanto è 
grande il tuo dolore che non si può toglierti via dal luogo ove 

riposa la salma di colui che hai amato ! 

E quanta intelligenza! quanta penetrazione! quanta finezza 
in questo impareggiabile compagno delle nostre gioie e dei nostri 
dolori! Come sa leggere sui nostri volti! Come sa distinguere 


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Fig. 185. Cane degli Eschimesi. 


gl’intimi nostri sentimenti sotto i gesti e le parole contraddittorie! 
Invano lo minacciate, invano volete fargli paura! Il vostro occhio 
vi ha tradito, il sorriso che appena sfiora le vostre labbra gli 
ha svelato la vostra indulgenza, e invece di fuggire accorre per 
essere accarezzato. 

Si scriverebbero molti volumi, volendo raccontare tutti i fatti 
straordinari di cui i Cani furono protagonisti. Ogni giorno, nella 
vita ordinaria, ne vediamo taluni, che, sebbene comunissimi, 
non sono però meno curiosi. È necessario forse menzionare il 
Cane d’Ulisse, modello di fedeltà; il Cane di Montargis, che 
svelo il delitto; Munito, brillante giocatore di domino? Dobbiamo 


ADAY ORDINE DEI CARNIVORI 


noi citare il Cane di Terra Nuova e il Cane del Monte San 
Bernardo, entrambi ‘salvatori d’ uomini, l’uno. nelle acque del 
mare o dei fiumi, l’altro nelle nevi dei monti? Dobbiamo noi 
far menzione del Cane che fa commissioni, che va al mercato 
pel suo padrone e compie fedelmente il suo ufficio? del Cane 
del lustrascarpe, ammaestrato a correre e porre le sue zampe 
macchiate di fango sulle scarpe più lucide, onde procacciare 


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Fig. 186. Spagnolo. 


avventori al suo padrone? Non si finirebbe più volendo menzio- 
nare tutte le gesta di questo prezioso compagno dell’uomo. 


La rabbia. — Il Cane va soggetto ad una terribile malattia, 
che invade anche il lupo: la rabbia. Questa malattia si sviluppa 
spontaneamente o per contagio. I sintomi più caratteristici, sul 
principio, sono la malinconia e l’inappetenza. L'animale ha l’oc- 
chio infiammato, brillante; la luce lo molesta; una sete ardente 
lo tormenta, ma ha cura di non soddisfarla, non già perchè 


CANI 425 
i liquidi gli facciano orrore, come si crede comunemente, ma 
perchè prova un gran dolore nell’inghiottire. Quest'ultimo sin- 
tomo, quest’orrore supposto dell’acqua, non ha del resto quasi 
nessuna importanza; perchè si veggono Cani arrabbiati bere 
come di solito fino al momento che precede immediatamente 
gli accessi. Un carattere più significativo della rabbia, è il mu- 
tamento che segue ad un tratto nell’indole del Cane: diviene 
indocile, rabbioso, manda un grido rauco tutto particolare, lugu- 
bre suono che svela il suo deplorabile male. Finalmente uno 
stato di furore indicibile, che si traduce in atti offensivi, segna 


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Fig. 187. Grifone. 


l’ultimo. periodo della malattia. L'animale corre qua e là, come 
furibondo, mordendo tutto ciò che incontra sulla sua via, 
gatti, cani, uomini, donne e fanciulli, e comunica così a tutte 
le vittime il veleno di cui è impregnata la sua bava. E molto: 
raro che si avventi contro il suo padrone, ed è probabile, per 
evitare questa disgrazia, che scompaia dalla casa appena sente 
i primi sintomi di quest’orribile male. 

Fa d’uopo prendere i provvedimenti più energici contro la 
rabbia. Ogni Cane che morde senza essere aggredito nè stuzzi- 
cato in nessun modo deve essere ucciso; lo stesso rigore si deve 
usare cogli animali ch’egli abbia morso nel suo furore. 

Ficuier. I Mammiferi. 54 


426 ORDINE DEI CARNIVORI. 


Rispetto poi all'uomo, subito dopo l’accidente bisogna scarifi- 
care la piaga, pulirla con cura, e cicatrizzarla profondamente con 
un ferro rovente o con qualche fortissimo caustico. Finora non 
si conosce nessun altro rimedio efficace, checchè ne dicano tutti 
gl’inventori di specifici pretesi infallibili. 

Nel 1868, i giornali hanno fatto un certo rumore di una be- 
vanda composta di piante insignificanti, rimedio al tutto ridicolo 
tratto in luce da un vecchio trattato di medicamenti da donnic- 
ciuole, e che non aveva altra raccomandazione che quella di essere 
stato patrocinato da un uomo politico del giorno, il signor di Saint- 


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Fig. 188. Cagnolini dell’Avana. 


Paul, segretario generale al ministero dell’interno in Francia. 
Non si può dire di questo rimedio ciò che si dice per solito: « se 
non fa bene, non può far male. » Invece farebbe gran male, 
perchè addormentando il malato e i suoi parenti in una fatale 
sicurezza, gl’impedirebbe di ricorrere, sul momento, al solo mezzo 
efficace di cura; vale a dire alla pronta e profonda cauterizza- 
zione. Insistiamo su questo particolare: non bisogna aver paura 
di cauterizzare troppo profondamente; senza di ciò, in certi casi, 
potrebbe non bastare, e potrebbero seguirne accidenti dopo pa- 
recchi mesi. 


È un fenomeno assai straordinario che il virus inoculato sia 


. CANI 427 
talora tanto lento a produrre i suoi effetti! Qualche volta un 
uomo è morsicato da un Cane che ha aspetto sanissimo; si cura 
la ferita coi rimedi comuni, oppure non si fa che cauterizzarla 
leggermente; dopo molto tempo, dopo parecchi mesi, quando si 
crede di non aver più nulla da temere, l’uomo invaso dalla rabbia 
spira in mezzo ai più atroci patimenti. 

Quale è la causa della rabbia? Su ciò le opinioni sono divise. 
Non deve essere attribuita nè al calore soverchio dell’estate, 
spiegazione volgarmente adottata, nè al freddo troppo rigido, nè 
alla fame, nè alla sete, nè alla cattiva qualità degli alimenti. Per 


Fig. 189. Bassotti o Segugi dalle gambe storte. 


un certo tempo si è creduto che dipendesse da una continenza 
troppo prolungata del maschio. Ma è dimostrato che le Cagne 
sono pure soggette a questa spaventosa malattia. La ‘statistica 
dimostra che la rabbia non è più frequente l’estate che in qua- 
lunque altra stagione; e, d’altronde, questa malattia è assolu- 
tamente ignota in tutti i paesi caldi, ove i Cani godono però 
di grande libertà; per esempio, in Turchia, in Soria, in Egitto, 
nella Cafreria, al Capo di Buona Speranza, nell’ America me- 
ridionale. Quindi il costume che impone ai cani la muse- 
ruola d’estate, e non nelle altre stagioni, non può giustificarsi. 


428 ORDINE DEI CARNIVORI 


Oltre la rabbia, che per fortuna trovasi limitata ad alcuni 
individui, i Cani soffrono un male tutti indistintamente, che ne 
fa morire più della metà, e da cui sono presi ordinariamente 
nel periodo della dentizione. 

E una infiammazione degli organi respiratorii, complicata con 
accidenti nervosi, e che dura dai venti ai quaranta giorni. 
L’uomo che desidera conservare il suo Cane non deve in questo 
caso indugiare a porlo nelle mani di un veterinario, o di per- 
sona per lunga esperienza pratica delle razze canine. Sopratutto 
badi bene a non applicargli quei medicamenti empirici creduti 


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Fig. 190. Barbone. 


infallibili, che per lo più lasciano qualche grave incomodo all’ani- 
male, se tuttavia non lo fanno morire. 


Varie razze di cani. — La gestazione della Cagna dura 63 
giorni, presso a poco come quella della lupa. I piccoli, il numero 
dei quali varia da sei a dodici, nascono cogli occhi chiusi, e 
non li aprono che verso il decimo giorno. All’età di due anni, 
hanno finito di crescere. 

‘La vita del Cane dura circa venti anni. 

L’odorato squisito del Cane fa sì che lo si adopera nella caccia 


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CANI 429 


degli animali selvatici. In certi paesi si sono perfino adoperati 
i Cani per inseguire gli uomini come belve. Così solevano fare 
i barbari Spagnuoli compagni di Pizzarro e di Fernando Cortez 
contro gli infelici indigeni del Perù e del Messico. Poco tempo 


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Fig. 191. Cane di Terra Nuova. 


fa anche gli Americani del nord, proprietari di schiavi, adope- 
ravano lo stesso sistema per la caccia dei negri fuggiaschi. 

I Cani da caccia formano due categorie: / cani da corsa c i 
Cani da fermo. I primi tengon dietro rapidamente a una traccia 
abbaiando, e non si fermano se non quando hanno presa o perduta 
la selvaggina. I secondi seguono in silenzio le traccie della 
selvaggina, scoprono con avvedutezza i vari suoi giri, le sue 
astuzie, e non si ristanno dal progredire se non quando il cre- 


430 ORDINE DEI CARNIVORI 


scere delle emanazioni fa loro scorgere prossimo l’ animale. 
Allora si dice che postano. Certi Cani da fermo si posano sul 
ventre aspettando il cacciatore; altri rimangono immobili e fissi 
colla zampa alta, le narici dilatate, e cercano di affascinare la 
selvaggina coi loro sguardi infuocati. 

Fra i Cani da corsa giova menzionare il Veltro o levriere, i 


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Fig. 192. Cane da corsa. 


Cani di Saintonge e del Poitou, i Cani Inglesi, i Bassotti 0 Segugi 
dalle gambe diritte e storte. 

Si adopera pure l’Alano, il Mastino ed il Grifone per cacciare 
la grossa selvaggina. 

I tipi principali di Cani da fermo sono il Bracco, lo Spagnolo, 
il Barbone, ed il Grifone che hanno prodotto coi loro incrocia- 
menti moltissîme varietà. 

L’educazione dei Cani da caccia esige cure e preparazioni che 
lo spazio limitato di questa opera non ci concede di esaminare. 


CANI 431 
Diremo solo che bisogna cominciare ad istruirli all’età di quattro 
o cinque mesi. Si deve lasciar riposare la loro intelligenza al 
tempo della malattia che viene dal settimo all’ottavo mese. Quindi 
non è in generale che dal decimo mese in poi che possono es- 
sere ammaestrati bene. 
Dacchè il Cane fu conquistato dall’uomo sulla natura selvaggia, 
la sua statura, la sua forza, il suo pelame, hanno sopportato 
infinite variazioni. È dunque difficilissimo classificare in un pic- 


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gila 


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Fig. 195, Bracchi francesi. 


colo numero di gruppi omogenei tutte le razze e sottorazze che 
esistono oggi. 

Cuvier e Desmarets hanno diviso tutte le varietà di Cani in 
Mastini, Spagnoli ed Alani. Seguiremo questo metodo che ha 
pure i suoi difetti, ma almeno presenta il vantaggio di rimanere 
meglio impresso nella mente. 

Le più grandi specie di Cani si trovano fra i Mastini. Citeremo 
il Mastino comune (fig. 181, pag. 419), il Danese grosso (fig. 182, 
pag. 420), che ha la statura di un asino, e al quale forse bi- 


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432 ORDINE DEI CARNIVORI 


sogna riferire quei terribili Molossi di Epiro tanto celebri presso 
gli antichi; — il Danese macchiettato; — il Piccolo Danese; — 
le differenti varietà di Veltri (fig. 183, pag. 4241); — il Cane da 
pastore (fig. 184, pag. 422), tanto intelligente ed affettuoso; — 
il Cane di monie; — il Cane del San Bernardo. 

Gli Spagnoli comprendono il Cane lupo, — il Cane della Cina, 
— il Cane degli Eschimesi (fig. 185, pag. 428), — il Cane di Si- 
beria: questi ultimi due sono adoperati nel loro paese nativo 
a tirar slitte sulla neve molto velocemente; — gli Spagnoli chia- 
mati francesi e inglesi (fig. 186, pag. 424), — il Piccolo Spagnolo, 


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Fig. 194, Bull-Dogs, o Molossi. 


stipite di moltissime varietà di Cani da signore, notevoli per 
la loro picciolezza, e anche sovente per la loro bruttezza, ciò 
che non impedisce che le signore eleganti li alloghino nei loro 
manicotti e sulle loro vesti. 

I principali Cani da salotto o da signore sono: il Piramo, il 
Cocker, il Kings" Charles, il Bleinheim, il Bichon, il Piccolo Grifone 
(fig. 187, pag. 425), il Cagnolino bianco di Cuba o dell’ Avana (fig. 188, 
pag. 426), il Cane Leone. Vengono poi i Bassotti (fr. Basset) dalle 
gambe diritte e dalle gambe storte (fig. 189, pag. 427), il Bassotto 
di S. Domingo adoperato con buon successo contro. ì topi che 


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FicuieR. I Mammiferi. 


195, Cane Dbracco, 


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CANI 435 
infestano le Antille; il Barbone (fig. 190, pag. 428), ch'è il più 
fedele e più intelligente di tutti i Cani '; il Piccolo Barbone, il 
Grifone, il Cane di Terra Nuova (fig. 191, pag, 429); i Cani da 
corsa, inglesi e francesi (fig. 192, 430), il Segugio ?, il Bracco 
(fig. 193 e 195, pagine 431 e 433). 

Fra gli Alani * stanno l’Alano grosso o Mastiff degli Inglesi, 
molto coraggioso, robustissimo e atto al combattimento quando 
è stato a ciò ammaestrato; l’Alano del Tibet, che ne differisce 


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Fig. 196. Bull-terriers. 


| pochissimo; — il Botolo *, — il Carlino, eecessivamente piccolo 
è rarissimo da noi; il Molosso, Bull-dog degli Inglesi (fig. 194, 
pag. 432), il Terrier ed il Bull-terrier (fig. 196). — Il primo è 
comunissimo in Francia, dacchè è divenuto alla moda; ha il 
più brutto muso di quadrupede che si possa immaginare; ma 
è abilissimo a trovare e strangolare i topi; V Alano inglese, 


t Quello che i francesi chiamano, oltre che Barbdet, anche Caniche. 
2 Fr., Limier. 3 Fr., Dogue; ingl., Buldog è Mastiff.  * Fr., Doquin. 


430 ORDINE DEI CARNIVORI 


meticcio del Mastino e del grosso Alano; — il Roquet; — il 
Cane turco, notevolissimo per la sua pelle al tutto nuda, e così 
chiamato molto impropriamente, perchè è originario'dell’Ame- 
rica; fu scoperto da Colombo alle Antille nel 1492, e non passò 
che dopo nell'Europa orientale ed in Africa; — finalmente il 
Cane di sirada che non ha carattere distinto, poichè risulta da 
tutte le combinazioni prodotte dal caso fra i Cani di razze dif- 
ferenti che girano per le pubbliche vie. 

In questa lunga nomenclatura abbiamo omesso a bella posta 
di parlare di alcune razze di Cani che vivono interamente sel- 
vatiche, o semi-selvatiche, semi-domestiche, nelle varie plaghe 
del globo. Si è generalmente d’ accordo di considerarli come 
provenienti da individui ritornati alla vita selvatica, dopo essere 
stati i compagni dell’uomo; tuttavia non si ha nessuna certezza 
a questo riguardo. Per la statura, il coraggio e la forza, possono 
essere messi nel gruppo dei Mastini. Sono il Dingo o Cane della 
Nuova Olanda, pericolosissimo per gli animali domestici, anche 
pel grosso bestiame; — il Dhole o Cane delle Indie orientali, che 
insegue in schiere i daini, le gazzelle, ecc., e che riunito in 
numerosi stuoli non teme di entrare in lotta col leone e colla 
tigre; — il Cane di Sumatra; — il Cane del Capo di Buona Spe- 
ranza; — il Cane da schiavi d’ America, finalmente il Cane gran- 
chiaiolo, che vive in piccoli stuoli nella Guiana, e si nutre esclu- 
sivamente di granchi e di gamberi. 


Genere Ienoide. — Non diremo che una parola di questo genere, 
che si compone di una sola specie, il Zenoide dipinto. 

Il nome dato a quest’animale indica che ha alcuni punti di ras- 
somiglianza colla iena. Infatti, come questo carnivoro, ha quattro 
dita a tutte le estremità, e tiene piegate alla stessa maniera non 
solo le membra posteriori, ma anche le anteriori, se dobbiamo 
credere a Is. Geoffroy, che narra questo fatto dietro l’asserzione 
di un viaggiatore degnissimo di fede. Si avvicina anche alla iena 
pel gusto che ha pei cadaveri e per le carni corrotte. 

L’Ienoide dipinto abita il mezzogiorno dell’ Africa. La sua 
statura è quasi quella del lupo, ma è meno robusto. Il suo pelame 
con fondo grigiastro è meno irregolare, sparso di macchie di 
vario colore. Ha orecchie grandi e diritte, la coda lunga e fitta. 

Sebbene gustino molto le carni corrotte, questi Jenoidi non 
ne fanno loro cibo esclusivo; mangiano anche prede viventi , 
come le gazzelle, le antilopi, ecc. Per raggiungerle e sgozzarle 
si riuniscono in strupi talora numerosi, diretti da un capo, e 
cacciano con accordo che non è superato neppure dai cani meglio 


LI 
FAMIGLIA DEI VIVERRIDI 437 
ammaestrati. Quando la selvaggina è raggiunta, la sbranano in 
comune tutti d’accordo; ma se qualche carnivoro, più forte 
individualmente, si accosta onde partecipare al festino, sî uni- 
scono tutti contro di lui, e non temono di resistergli. Ciò succede 
sovente col leopardo ed anche col leone. 


FamigLIA DEI VIVERRIDI. — Questa famiglia comprende mam- 
miferi assai differenti gli uni dagli altri per le forme generali 
e pei caratteri esterni, taluni plantigradi, taluni più o meno di- 
gitigradi, ma che tutti hanno per carattere comune: due paia 
di denti molari tubercolosi alla mascella superiore, e un solo 
paio alla mascella inferiore. Trae il suo nome da Viverra, nome 
latino della così detta Civetta. 

I generi principali di questa famiglia sono i generi /cneumone, 
Civetta, Genelta, Cinogale, Iclide, Coati, Procione, e Cercoletto. 


Genere Ieneumone. — Gl’Icneumoni, detti anche Mangoste, sono 
animaletti appartenenti alle regioni più calde dell’Africa e dell A- 
sia. Hanno il corpo poco alto e d’apparenza vermiforme; nel 
tempo stesso grande vivacità di movimenti, per modo che sem- 
brano strisciare anzichè correre sul suolo. La loro coda è lunga, 
grossa alla base, fittissima. Il loro pelame, morbido in generale, 
è segnato di anella variamente colorate; ciò che gli dà un aspetto 
macchiettato. Le dita, in numero di cinque ad ogni estremità, 
terminano con artigli, variabili nella lunghezza e poco retrat- 
tili. Hanno muso aguzzo e la lingua irta di papille cornee. In 
essi l’orifizio esterno del tubo digerente è circondato di una pia- 
stra circolare, sulla superficie della quale vengono ad aprirsi 
gli orifizi numerosi di due piccole borse che secernono una so- 
stanza muschiata. 

Gl’Icneumoni sono seminotturni; rimangono per lo più a terra, 
nei siti paludosi, ove trovano abbondanza di rettili, di cui si 
nutrono particolarmente; ma aggrediscono anche piccoli mam- 
miferi ed uccelli. Sanno pure trovar nella sabbia le uova dei 
rettili, senza trascurare però quelli degli uccelli che nidificano 
sul suolo. S'introducono talora nei pollai, e uccidono tutto, come 
le faine e le puzzole, non prendendo per sè che il sangue e il 
cervello delle loro vittime. Sono molto cauti; non s’introducono 
che con diffidenza e fuggono al minimo rumore. Non mancano 
d’ intelligenza, e possono addomesticarsi presso a poco come 
“iugatti. 

La specie tipo del genere è l’Icneumone o Tovo di Faraone, 
che abita l’Egitto e tutta la regione del Nilo. Quest’ animale è 


LA 


438 ORDINE DEI CARNIVORI 


lungo 40 centimetri, esclusa la coda che ne ha 45, ed ha forme 
sveltissime. È abilissimo a trovar le uova di coccodrilli. Una fa- 
vola che ebbe un tempo molto credito, asseriva che l’Icneumone 
s’introducesse nel corpo di quei rettili enormi per divorar loro 
le viscere. E forse a cagione dell’intimità delle loro relazioni, 
che gli antichi Egiziani avevano divinizzato l’Icneumone unita- 
mente al coccodrillo. Si trae oggi partito di quest’ animale in 
Egitto, per dar caccia ai sorci di una casa. La Manga è una 
specie di Icneumone che differisce da tutte le altre pel suo 
muso più allungato, e mobile come un grugno. Trovasi sulla 
costa occidentale dell’Africa, e sopratutto a Sierra-Leone. 

Accanto agli Icneumoni voglionsi collocare certi graziosi ani- 
maletti che hanno presso a poco le medesime forme ed i me- 
desimi costumi, e che abitano il Madagascar; sono la Galidia 
e la Galidittide. Il signor Coquerel, che li ha osservati in quel- 
l’isola, dice che sono graziosissimi e sommamente leggieri. Si 
addomesticano anche bene, e se ne ottengono gli stessi servizi 
dell’Icneumone. 


Genere Civetta, e zibetto. — Le Civette sono i più grandi fra 
i Viverridi; nondimeno la loro statura non supera quella della 
volpe. Come gli Icneumoni, vivono di piccoli mammiferi ed 
uccelli; ma non amano i rettili. Da molto tempo godono una 
grande celebrità, pel profumo che producono abbondantemente 
e che chiamasi zibetto. La materia fragrante viene prodotta da 
moltissime ghiandolette, che la versano in una doppia borsa 
sviluppatissima, collocata sotto l’ano, e che comunica coll’esterno 
per un’apertura longitudinale. Dopo che si conosce il muschio 
e l’ambra grigia, l’uso dello zibetto è diminuito; ma un tempo 
se ne faceva grandissimo consumo. Ogni anno l’Africa e l’India 
ne spedivano in Europa notevoli quantità, che si adoperavano 
in medicina ed in profumeria; perchè si amministrava molto 
come antispasmodico nelle malattie nervose. i 

Per procurarselo e trarne profitto, i popoli di Oriente alle- 
vano la Civetta entro gabbie, e con un nutrimento acconcio 
riescono a renderne più abbondante la secrezione. Uccelli, pol- 
lame, uova, pesci e riso, sono i migliori alimenti per attivare 
questa secrezione nell’animale. Due o tre volte la settimana si 
vuota la borsa con un cucchiaio, e si ripone la materia in un 
vaso ermeticamente chiuso. I maschi ne producono in maggior 
copia delle femmine, e questa differenza è ancor più sensibile 
al tempo degli amori. L’odore di questa materia è tanto intenso, 
che dura a lungo nelle pelli delle Civette dopo che sono 


GENERE CIVETTA E GENETTA 459 


state preparate. Lo scheletro medesimo ne conserva traccia an- 
che dopo parecchie lavature. 

Certe città dell’Abissinia allevano le Civette in gran numero e 
vivono quasi esclusivamente dei profitti che traggono da questo 
commercio. Il P. Poncet racconta di aver veduto ad Enfrar 
certi mercanti che conducevano più di trecento Civette. 

Questi animali hanno indole irosa e selvaggia, quindi non si 
| riesce a renderli veramente domestici. Avendo vista notturna, 
dormono quasi tutto il giorno. 

Si trovano molto di frequente Civette nei nostri giardini z00- 
logici. Gli Olandesi ne portavano altre volte dall’arcipelago In- 
diano per allevarle nel loro paese ed estrarne direttamente il 
profumo. Siccome non alteravano questo prodotto commerciale, 
il zibetto d’Amsterdam aveva acquistato grande riputazione. 


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Fig. 197. Viverra Civetta. 


Si distinguono due specie di Civette: la Civetta di Africa 0 
vera Civetta (fig. 197), e la Civetta dell’India, nota comunemente 
col nome di Zibetto. Questa abita non solo il continente indiano 
ma anche le isole vicine, Giava, Sumatra, Borneo, Amboina, 
le Celebe. Differisce dalla prima pel pelame meno lungo e più 
duro. Entrambe hanno il pelo di color fulvo rigato o a macchie 
brune. 


Genere Genetta. — Le Genette sono animali eleganti, molto 
‘affini ai precedenti per le forme ed i costumi; hanno solo il 
corpo più sottile, il capo più fino e la statura più piccola, per- 
chè non giungono mai alle dimensioni del gatto selvatico. Le 
unghie son quasi al tutto retrattili, e la loro pelliccia, segnata 
di macchie nere sopra un fondo fulvo pallido, è di un bell’ a- 


440 ORDINE DEI CARNIVORI 


spetto; quindi si fa un commercio considerevole di queste pel- 
liccie. 1 i 
Le Genette mandano, come le civette, un odor di muschio, 
ma la loro secrezione è troppo scarsa perchè si possa racco-' 
gliere. Rimangono volontieri sul margine dei ruscelli nei din-. 
torni delle fontane. | 

Se ne trova una specie in certe parti dell'Europa occidentale 
e meridionale : è la Genetta volgare (fig. 198), abbastanza co- 
mune nel sud della Francia, principalmente‘ nei contorni di. 
Perpignan. Le altre specie appartengono all’Africa, al Madaga- 
scar e all’Asia meridionale, come pure all’arcipelago Indiano. - 

Si possono collocare colle civette e colle ‘genette i ‘Parados- 
suri (vedi fig. 200 a pag. 453), animali dell'India e delle isole 
vicine, grossi presso a poco come gatti. Si arrampicano sugli 
alberi e si nutrono tanto di carne come di sostanze vegetali. 


Fig. 198. Genetta. 


Quello che Cuvier esaminò al Giardino delle Piante, aveva la 
coda costantemente ravvolta su sè stessa e sempre dallo stesso 
lato; perciò gli diede il nome di Paradossuro, volendo far no- 
tare che questo mammifero ha una’ coda straordinaria, para- 
dossale! I libri di storia naturale enumerano molte Apeclo di 
Paradossuri, di cui alcune certamente fittizie. 


Generi Cinogalo, Ictide, Coati. — Il Cinogalo rappresenta la 
lontra tra i Viverridi. Ha, come la lontra, i ‘piedi palmati, seb- 
bene meno ‘compiutamente, e costumi essenzialmente acquatici. 
Il suo’ corpo è allungato, ha gambe corte e la coda di lunghezza 
mezzana; la sua statura è come quella della‘ civetta. Fu ‘por- 
tata da Borneo dal signor Bennett; finora non s'è trovato in 
nessun altro luogo. 


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FiGuieR. I Mammiferi. 


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GENERI CINOGALO, ICTIDE, COATI 443 


Gli Zetidi sono animali di Giava e di Sumatra, ai quali certi 
ciuffi di lunghi peli, posti sulle orecchie, danno un aspetto sin- 
golarissimo. Adoperano la loro coda lunga e prensile per age- 
volare i loro movimenti sugli alberi. Non se ne conosce che 
una specie sola, tutta nera, tranne alcuni punti grigi sul muso 


‘ e sulle membra. 


I vari generi di viverridi che abbiamo ora esaminati son tutti 
particolari all’antico continente; il genere Coati appartiene all’A- 
merica. I Coati abitano le parti calde del nuovo mondo ; il Mes- 
sico, la Colombia, il Perù, la Guiana, il Brasile, il Paraguay. Il 
complesso dei loro caratteri permette di riconoscerli facilmente. 
Hanno la testa stretta terminata da un muso carnoso sporgente 
e mobile, come quello della Manga, hanno inoltre la lingua 


Fig. 200. Paradossuro. 


morbida ed estensibile. Il loro modo di camminare, al tutto 


‘plantigrado, dà ai loro movimenti un non so che di pesante. 


Le loro unghie sono fortissime, e le adoperano per portar gli 
alimenti alla bocca. Sono grossi a un dipresso come un gatto 
domestico, ed esalano odore sgradevole ; la pelliccia poi è dura, 
di colore sbiadito e senza valore. 

Si arrampicano agevolmente sugli alberi, e ne scendono col 
capo in giù senza nessuna difficoltà. Il loro alimento si com- 
pone di piccoli mammiferi, di uccelli, d’uova, d’insetti e di frutta. 
L’odorato è il senso che hanno più squisito; riconoscono la 
natura degli oggetti odorandoli. Quando annotta, vanno fru- 
gando qua e là, col naso a terra, o lungo i rami fronzuti, per 
cercarsi il cibo. 

D’indole docile, si famigliarizzano prontissimamente. Quel- 
l’individuo che i signori Quoy e Gaimard conservarono per 
qualche tempo, a bordo della nave Urania, si mostrava affezio- 


444 ORDINE DEI CARNIVORI 


nato alle persone che lo nutrivano, e accorreva ad accarezzarle 
appena lo chiamavano. Aveva abbandonato i suoi abiti notturni, 
e si era presto abituato al rumore ed al movimento della navo. 
Amava coricarsi nelle brande dei marinai, ed andava in col- 
lera quando si voleva mandarlo via di là. Mangiava indifferen- 
temente di tutto, anche pane inzuppato nel vino o nell’acqua- 
vite. Inseguiva e prendeva molto destramente i topi ed i sorci. 


Genere Procione. — Come: i Coati, i Procioni!\4apparten@ 
gono propriamente all’A- 
merica ; abitano il nord 
ed il sud di questa parte 
del mondo. Hanno una 
certa analogia, nelle for- 
me e nei costumi, col 
tasso, nondimeno sono 
meno sgarbati, sebbene 
manchino di leggerezza. 
Il capo, sviluppatisimo 
verso la regione frontale, 
termina in un muso af- 
filato, ma non mobile; 
le loro zampe, che si ap- 
poggiano bene sul suolo 
mentre camminano, sono 
munite d’unghie robuste 
ec un tantino aguzze: il 
loro pelame è abbondante 
—w e la loro coda lunga e 
ù ben fornita. 

I Procioni sono onni- 
vori; nondimeno le sostanze vegetali son quelle che predomi- 
nano nei loro alimenti. Le radici, le frutta cadute a terra, sono 
la parte principale del loro nutrimento. Talora salgono sugli 
alberi per prendere le uova, ed anche i giovani uccelli nei 
nidi. Sono assai intelligenti, e si addomesticano agevolmente. I 
giocolieri insegnan loro vari esercizi, e li mostrano poi al pub- 
blico curioso. In prigionia si nutrono tanto facilmente quanto i 
Coati; son pochi gli alimenti che rifiutino. 

Si conoscono due specie di Procioni: il Procione lavatore 
(fig. 202), sparso nell’America settentrionale, e così chiamato 


1) III 


Fig. 201. Coati.. 


‘ Fr., Ralon; ted. Waschbir ; ingl. Raccoon. 


GENERE CERCOLETTO. — FAMIGLIA DEGLI ORSI 445 


perchè ha la singolare abitudine di tuffar prima nell’acqua, per 
lavarle, le sostanze di cui si nutre; ed il Procione granchiaiolo, 
indigeno dell’America meridionale, specialmente della Guiana, 
ove cerca granchi sulle sponde dei laghi e dei mari. 


Genere Cercoletto. — Per molto tempo i naturalisti furono in- 
certi sul luogo dove collocare questo genere nella serie zoolo- 


EEE == 


Fig. 202. Procione lavatore. 


gica. Alcuni lo pongono nell’ordine dei Quadrumani, mentre al- 
tri hanno creato per esso una famiglia speciale fra i Carni- 
vori, volendo così indicare che lo considerano come anello di 
transizione fra i Carnivori ed i Quadrumani. Non si deve però 
esitare a collocarlo nella famiglia dei Viverridi, coi quali ha af- 
finità incontrastabili. 

Non si può negare che il Cercoletto (fr. Kinkajou) abbia una 


446 ORDINE DEI CARNIVORI 


certa rassomiglianza con alcune specie di scimmie, particolar- 
mente coi Gebi (fr. Sapajou). Il suo capo ha a un dipresso la 
forma di quello del Cebo, la sua coda è lunga e prensile, il 
pelame è di consistenza lanosa, ed anche in ciò presenta un 
altro punto di affinità coi quadrumani; ma questi caratteri non 
bastano per farne un quadrumano. È plantigrado e le sue un- 
ghie adunche lo rendono capace di arrampicarsi agevolmente ;: 
passa quasi tutta la vita sugli alberi; la sua statura è inferiore 
a quella del gatto, nel giorno dorme rotolato su sè stesso. Non 
manca di docilità, di grazia e d’intelligenza. 

Questo piccolo carnivoro trovasi nella Guiana, nel Brasile e 
nel Perù. 


FamIGLIA DEGLI Orsi. — Gli ultimi generi della famiglia pre- 
cedente hanno preparato il passaggio dai veri carnivori, digiti- 
gradi e viventi esclusivamente di carne, agli Orsi, vale a dire 
ad animali plantigradi ed onnivori affatto. In tutti gli Orsi i 
denti ferini sono rudimentali, mentre i denti tubercolosi sono 
sviluppatissimi. Si contano ad ogni mascella tre paia di denti 
tubercolosi, mentre non esiste che un paio di denti ferini nella 
mascella superiore, e l’inferiore ne è al tutto sfornita. Ripor- 
tandosi a ciò che abbiamo detto del sistema dentale dei carni- 
vori, prima di imprendere lo studio delle famiglie, il lettore può 
esser tratto a concludere che gli Orsi preferiscono ad ogni al- 
tro cibo le sostanze vegetali, e che la sola necessità può indurli 
a divorare prede vive o morte. E quest'è sul conto loro l'esatta 
verità, come risulta dal loro organismo. Havvi dunque molto 
da levare alle ferocia che si suol attribuire generalmente a 
questi animali. È vero che quando sono aggrediti. si difendono 
valentemente, ma da quando in qua si chiama crudeltà la cura 
della propria conservazione ? 

Gli Orsi son grossi Mammiferi, dalle forme tozze, dal pelame 
fitto, e quasi sprovvisti di coda. Le loro dita, in numero di cin- 
que ad ogni estremità, sono armate di unghie potenti, ma non 
retrattili. Hanno la pianta dei piedi eccessivamente larga; e la 
posano tutta intera sul suolo mentre camminano. La loro testa, 
larga nella parte posteriore, termina in un muso assai fino. Il 
loro occhi son piccoli, vivaci e dolci; le orecchie corte e vil- 
lose. Il cervello è voluminoso e solcato di numerose circonvo- 
luzioni, che svelano una certa intelligenza. Malgrado l’apparente 
pesantezza e la lentezza ordinaria dei movimenti, gli Orsi son 
più agili che non si creda. Vincono senza fatica un uomo alla 
corsa ed in generale si arrampicano bene sugli alberi. Possono 


FAMIGLIA DEGLI ORSI 447 


drizzarsi sui piedi posteriori; ed è ordinariamente in questa 
posizione che tengon testa ai loro nemici; ma allora non si 
avanza che lentamente. 

Il loro vigore è enorme; soffocano un uomo fra le loro brac- 
cia senza il menomo sforzo. Tschudi, nel suo libro sulle Alpi, 
narra che l’Orso delle Alpi può portar via una vacca dal tetto 
di una stalla e trasportare un cavallo attraverso un profondo 
ruscello. i 

Per mangiare, gli Orsi si seggono come i cani; prendono il 
cibo colle zampe, e mentre io alzano per portarlo alla bocca, 
abbassano contemporaneamente il muso per modo che lo in- 
contra a mezza strada. 

L’Orsa fa annualmente un solo parto, di due o tre piccoli che 
cura teneramente e protegge contro ogni pericolo, anche a ri- 
schio della propria vita. Impedisce al maschio di avvicinarsi alla 
prole nei primi mesi, perchè la divorerebbe senza il menomo 
scrupolo. Non abbandona la figliuolanza ‘se non quando un 
nuovo parto richiede le sue cure. Lecca i suoi Orsicini per te- 
nerli puliti. 

Quando ha cibo a sufficienza, il corpo dell'Orso è ricoperto, 
sotto la pelle, da un copioso strato di grasso. Altre volte si at- 
tribuivano a questo grasso proprietà medicinali meravigliose 
per molte malattie. Oggi queste idee sono andate in disuso; ma 
si sa che il grasso d’Orso può sostituire il burro nelle vivande 
senza inconvenienti, purchè gli si tolga prima il suo odore par- 
ticolare. Ciò si ottiene facendolo fondere e gettandovi dentro 
del sale quando è caldissimo, e bagnandolo poi con acqua fredda. 
In molti paesi si mangia la carne dell’Orso, il cui sapore, di- 
cesi, rassomiglia a quello del maiale. Finalmente si adopera la 
sua pelliccia, invero un poco grossolana, ma fitta, e acconcia 
a far Mantelli da viaggio e piccoli tappeti. 

Preso giovane, l’orso si addomestica agevolmente, e la sua do- 
cilità lo rende atto ad essere ammaestrato in vari modi. Gli s’in- 
segna a ballare a tempo sui piedi posteriori, a far salti ed al- 
tri giuochi simili. Ma e’si presta a questi capricci poco di 
buona voglia, e sempre brontolando, e siccome è caparbio, va in 
collera quando si vuol costringerlo a fare dei maneggi. È dun- 
que prudenza non fidarsi dell'Orso, e tenerio sempre colla mu- 
seruola, specialmente quando è divenuto adulto. 

Si può aver un’idea della sua bonarietà e della sua mansue- 
tudine nei giardini zoologici ove lo si alleva, per esempio, a 
Berna, a Londra, e nel Giardino delle Piante di Parigi. In que- 
sto stabilimento l’Orso da tempi antichissimi, non si sa il per- 


448 ORDINE DEI CARNIVORI 


chè, si chiama Martino. Martino dunque si volge in ogni modo, 
saluta pesantemente a destra ed a sinistra, sta ritto, monta sugli 
alberi, unicamente per ottenere un biscotto con' cui lo adesca 
una bambinaia belloccia, o un generoso soldato. Egli è stato 
accusato di avere divorato una sentinella che era scesa nella 
sua fossa, per portargli via una giambella regalatagli da qual- 
che fanciullo. Ma Martino non era capace di un atto così poco 
delicato. | : 

Gli Orsi non amano il caldo; sono comunissimi nelle regioni 


Fig. 205. Orso bruno delle Alpi 


settentrionali del globo, e se se ne incontrano nei paesi caldi 
e temperati, ciò è solo sulle alte catene dei monti. L'Europa, 
l'Asia e l’ America ne posseggono parecchie specie, o varietà; 
ma non è certo che ne esistano in Africa. Si possono colloecar 
tutti gli orsi conosciuti nelle cinque specie seguenti: l’ Orso 
bruno d'Europa, -— l'Orso grigio di America, — l’ Orso. bianco, 
— l’Orso labiato, — l’Orso malese. 


L'Orso bruno, od Orso delle Alpi (fig. 203), ha le unghie corte 
ed adunche; la testa è grossissima, e la sua fronte forma so- 


Ji 


Ficugr. I Mammiferi. 57 


Fig. 204. Caccia all’Orso bianco, nelle regioni polari. 


FAMIGLIA DEGLI ORSI 451 


pra i suoi occhi una sporgenza ben rilevata. Se ne contano 
non meno di dieci ad undici varietà, disposte ognuna in regioni 
speciali di Europa, d’Asia e d'America, e che differiscono fra 
loro per la statura, o pel pelame. La sua lunghezza varia da 
4,30, a 1",60; nondimeno certi individui superano di molto 
queste dimensioni, testimonio quello di cui si ammira la spo- 
glia nel Museo di Losanna, nella Svizzera, e che, secondo 
Tschudi, misura non meno di 2",30°en. L'Orso bruno pesa per 
solito da 100 a 150 chilogrammi; ma se ne sono uccisi che 
giungevano fino a 250 chilogrammi. Il suo colore varia dal 
fulvo chiaro al grigio e al bruno; se ne trovano accidental- 
mene alcuni bianchi o neri, ma sono casi eccezionali d’ atbini- 
smo 0 di melanismo. 

L’orso bruno vive solitario, nelle buie foreste di larici, in 
mezzo alle gole più profonde e sulle cime dei monti. Dimora 
nelle caverne, negli spacchi delle roccie, sovente anche nel cavo 
dei vecchi alberi. Talora si costruisce una specie di capanna 
con rami e muschi. Generalmente riposa di giorno, e eerca il 
suo pasto nelle tenebre; ma questa abitudine non è punto as- 
soluta. Si nutre delle frutta del faggio, del sorbo, dello spino 
berbero e di altre bacche selvatiche, sopratutto quelle che sono 
un tantino acide, di vari semi, di legumi e di radici. Ama 
molto il miele, le fragole, le pere; l’uva, e fa di Buona voglia 
‘ parecchie leghe per procurarsele. Anche le formiche sono per 

l’Orso un cibo gustosissimo pel loro sapore acido, ed è ben for- 
tunato quando può trovare una repubblica di questi insetti. 

Quando tutti questi alimenti, nelle alte regioni ove dimora, 
vengono a mancargli, allora scende sugli altipiani inferiori, e 
rovina i campi d’avena, di frumento e di granoturco. Non è 
raro che, spinto dalla fame o dalla ghiottoneria, si allontani 
otto o dieci leghe dalla sua tana; ma ritorna sempre prima del- 
l’alba nel luogo della sua dimora. 

L’orso ha buona vista, buon udito e buon odorato. Se si deve 
dar fede a ciò che dice Tschudi, non tralascia mai prima di 
mettersi in caccia di salire sopra un alto albero, onde esplo- 
rare, coll’odorato e collo sguardo, tutto il contorno. È prudentis- 
simo, e di rado cade nelle trappole che gli vengon tese; diffida 
di ogni oggetto un po’nuovo, e non vi si accosta che con somma 
circospezione. Se si tratta di un cadavere, non lo tocca se non 
dopo averlo ben guardato, fiutato e rivoltato. 

D'inverno non cade in letargo, come generalmente si crede, 
solo dorme talora parecchi giorni di seguito, perchè in quella 
stagione il suo appetito è minore. Nel tempo freddo non trova 


452 ORDINE DEI CARNIVORI 


più un nutrimento sufficiente fra i vegetali; allora gli si ri- 
sveglia il gusto per la carne, e prende largo tributo sul gregge 
di capre e di pecore. Preferisce la caccia delle pecore, perchè 
la cattura di questo ruminante è facile. Quanto alle capre, la 
loro agilità gli toglie di poterle inseguire e prenderle alla corsa; 
quindi per solito se ne impadronisce talora precipitandosi per 
sorpresa dall’alto delle rocce, talora introducendosi di notte in 
una stalla. Di rado aggredisce il grosso bestiame. Va ad aspet- 
tare le vacche presso l’abbeveratoio, salta loro sul dorso, e pren- 
dendole per le corna dilania loro la nuca finchè le abbia uc- 
cise. Nei tempi nebbiosi si arrischia anche ad avvicinarsi ai 
pascoli, perchè allora può farlo impunemente, e senza esser 
veduto dalla mandra avventarsi sopra un animale sbandato, di- 
vorando una parte a suo bell’agio, e portando via e sotterrando 
il resto. Non dà molta noia ai cavalli, che tiran calci, e ciò non 
gli conviene. 

In ogni modo l’Orso bruno è un animale assai mansueto, 
sanguinario soltanto per necessità, di indole sincera, e inoffen- 
sivo all’ uomo, quando non è provocato. Dobbiamo tuttavia con- 
fessare che invecchiando si fa sempre più carnivoro, perchè 
il gusto della carne cresce in lui in proporzione del numero 
di volte che gli è stato concesso di pascersene ; è il caso di dire 
che l’appetito vien mangiando. 

Quando è aggredito e ferito, o disturbato mentre dorme, o an- 
che allorchè i suoi piccoli corrono qualche rischio, l’Orso è ve- 
ramente pericoloso. Intrepido e fidente nella sua forza, accetta 
sempre la lotta. Affronta l'avversario, gli va sopra, ritto suile 
zampe posteriori, e cerca di stringerlo colle potenti sue brac- 
cia. Se in questa lotta fatta corpo a corpo, non rimane ucciso. 
sul colpo da una pugnalata nel cuore, il cacciatore è perduto. 
L’Orso gli dilania il cranio coi denti, o gli divora il volto; dopo 
di che lo abbandona mezzo morto, lo fiuta, lo rivolta, e se gli 
trova ancora un soffio di vita, con un colpo poderoso di zampa 
gli apre il ventre e ne estrae i visceri palpitanti. Quando un 
Orso è stato ferito da una o da parecchie fucilate, ma non uc- 
ciso, e riesce ad afferrare il suo nemico, uno dei due deve soc- 
combere ; in quel terribile duello gli avversari si sbranano a. 
vicenda, tanto che nè l'uomo nè l’animale si rialzano più. 

Un curioso particolare della storia dell’Orso è la piccolissima 
mole dei giovani, comparata al volume imponente dell’animale 
adulto. Gli orsatti nascendo non son più grossi dei topi; ma si 
sviluppano rapidamente. A cinque anni sono atti a riprodursi. 
Non si conosce con certezza la durata della loro vita. Tschudi 


FAMIGLIA DEGLI ORSI 453 


narra che si è conservato un Orso a Berna per quarantasette 
anni e che un’Orsa partorì ancora all’età di trentun’anno. 

L’Orso bruno s’ incontra non molto raramente oggi nell’Italia 
settentrionale, sulle Alpi. In Piemonte una volta questa specie 
era comune, ed anche oggi nelle valli presso Viù vi ha la Valle 
Orsera, dove erano abbondanti questi animali e dove i Principi 
di Casa Savoia ne andavano regolarmente alla caccia. 


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Abbiamo detto che la specie dell’Orso bruno comprende dieci 
od undici varietà, collocate in certe regioni dei due continenti. 
Queste varietà sono: l’Orso nero di Europa, che è una varietà 
molto bruna, ma non realmente nera; — l’Orso dei Pirenei o 
delle Asturie; — l’Orso di Norvegia, che trovasi anche in Po- 
lonia ed in Russia; — l’Orso dal collare o di Siberia; — lOrso 
di Soria (fig. 205) che abita il monte Libano ed il monte Tauro, 
nell'Asia minore: — l’Orso del Thibet; — l’Orso isabella, indi- 


454 ORDINE DEI CARNIVORI 


geno dei monti Himalaya: — l’Orso nero, l’Orso grigio d' Ame- 
rica, particolari agli Stati Uniti, e l’Orso adorno, confinato nelle 
Ande del Chilì o del Perù, così detto perchè il suo pelame, di 
un bel nero lucido, è macchiato di bianco o di fulvo al petto ed 
alla gola, mentre sopra l’occhio gli si delinea un semicerchio 
fulvo. 

L'Orso dal collare, e l’Orso d’ America, che hanno indole ed abi- 
tudini particolari, meritano di fermare un tantino la nostra at- 
tenzione, per dare un’ idea del loro modo di esistenza. 

L'Orso dal collare, o di Siberia, iva debitore del suo nome 
ad un largo collare bianco che gli ricopre le spalle e viene a 
terminare sul petto. Ma questo carattere non ha un gran va- 
lore scientifico, perchè tutti gli Orsi giovani lo presentano in 
modo più o meno distinto, ed è quasi certo che dopo alcuni 
anni scompare. Comunque sia, l’Orso di Siberia è molto più 
terribile dell’Orso d’ Europa, e ciò si comprende agevolmente. 
Nelle fredde e malinconiche regioni ove abita, la vegetazione 
non è sufficiente a soddisfare il suo robusto appetito: dunque 
per necessità deve rivolgersi alla natura animale. Si mutre di 
pesci, che pesca con maestria, e di cadaveri lasciati dal mare 
sulle sponde. Insegue la renna, e si avventa contro l’uomo 
senza esserne provocato. Gli abitanti del Kamtsciatka gli fanno 
guerra accanita. 

L'Orso d’ America invece è l’animale più mite che si possa 
immaginare. Non ha gusto per la carne; anzi quando ha fame, 
se deve scegliere fra una preda o delle frutta, non esita a pre- 
ferire le materie vegetali. Nondimeno nuota benissimo, ama il 
pesce e lo afferra con maestria. In nessun caso mai si avventa 
contro l’uomo; anzi non si difende che quando è aggredito, e 
cerca solo di fuggire. Abita nei cavi dei pini e dei larici, .sce- 
gliendo di preferenza quelli che son più alti; in tal modo alle 
volte è appollaiato a 12 o 13 metri di altezza. In questo caso gli 
Americani se ne impadroniscono dando fuoco all’albero. Se ne 
fa attiva caccia, non solo per mettere un argine alle devasta- 
zioni che produce nei campi di cereali, ma anche per la sua 
carne, il suo grasso e la sua pelliccia, che serve a fare in Fran- 
cia berretti pei granatieri. I prosciutti d’Orso, salati e affumi- 
cati, sono molto stimati agli Stati Uniti ed in Europa, ove se 
ne esporta una certa quantità. 

La seconda specie americana, l’Orso grigio (Greazzly Bear), 
detto anche Orso terribile o feroce, abita le grandi foreste degli 
Stati Uniti. Se si deve prestar fede alle narrazioni dei viaggia-. 
tori, l’Orso feroce sarebbe il più terribile dei carnivori, senza 


FAMIGLIA DEGLI ORSI 455 
eccettuarne neppure il leone e la tigre. Non si compiace, se- 
condo loro, che in mezzo alla carnificina; non teme di aggre- 
dire le immense greggi di bisonti che popolano le valli ove ta- 


n _ ___—__——_——_——: 


Fig. 206. Orso bianco in caccia della Foca. 


lora discende, e vi farebbe ad ogni volta una vittima, tanto è 
grande il terrore che ispira agli animali che lo circondano. 

Queste asserzioni sono esagerate. Che l’Orso grigio sia più 
forte, più carnivoro dell’ Orso bruno, ciò non deve sorprendere; 
ma non è probabile che abbia tutta la ferocia che si vuole at- 
tribuirgli. È certo che non si nutre di prede viventi che quando 
gli mancano i semi, le radici e le bacche. 


456 ORDINE DEI CARNIVORI 


L'Orso bianco (vedi fig. 199 a pag. 441) gode una riputazione 
altrettanto grande di forza e voracità, e la merita con più ra- 
.gione. Senza dubbio non è crudele per natura, ma l’aridità delle 
regioni che abita lo obbliga necessariamente a gettarsi sugli 
altri animali, che non possono del resto resistergli. Il suo do- 
minio comprende tutte le solitudini vicine al polo artico: la 
Groenlandia, lo Spitzberg, la Nuova Zembla, ecc. In questo am- 
pio campo di ghiaccio regna da sovrano assoluto. Insegue i 


Fig. 207. Marinai aggrediti dagli orsi bianchi. 


trichechi, le foche (fig. 206), e se ne impadronisce con certa 
agevolezza, perchè nuota e si tuffa con notevole destrezza. 

Gli Orsi bianchi si nutrono anche di tutti gli avanzi che il 
mare rigetta sulle spiagge, come cadaveri di pesci, di anfibi, di 
cetacei, ecc. L'estate, quando abitano le foreste, nell’ interno delle 
terre, aggrediscono i rari mammiferi di quelle regioni, special- 
mente le renne. Mentre si nutrono di quegli avanzi animali, si 
contentano benissimo anche di materie vegetali, e mangian frutti, 
semi e radici. 

Tutti i naviganti che sono stati chiusi dai ghiacci nel mare 
polare hanno avuto da combattere contro gli Orsi bianchi, che 
tenevan loro dietro perfino nelle barche, o tentavano d’ intro- 


‘liuto Ig 0]std Ut ojep 0 osIoon 0sI10 ‘808 ‘SI 


98 


Ficuier. I] Mammifer:. 


FAMIGLIA DEGLI ORSI 459 


‘trodursi la notte nelle loro capanne dal tubo del camino. Il dot- 
tor Hayes, nella descrizione del suo viaggio al mar libero del 
polo artico compito nel 1862, dà una interessante descrizione 
di uno di questi combattimenti. 

L’Orso bianco è terribile nelle sue aggressioni. Avvezzo a non 
incontrar mai nessuna resistenza, non sospettando neppure il 
pericolo, si avventa con cieca rabbia contro l’ uomo, se lo in- 
contra a terra, o in barca se è in mare (fig. 207). 

Non è rado vedere uno strupo d’Orsi bianchi salire sopra un 


Fig. 209. Orso malese. 


pezzo di ghiaccio galleggiante, addormentarvisi sopra, e lasciarsi 
portar dalla corrente senza darsi pensiero dei luoghi verso i 
quali saranno condotti dal vento o dalle correnti. Talora son 
portati in tal modo in alto mare; e allora si trovano ridotti 
nella più terribile condizione. Inchiodati fatalmente sulla loro 
zattera di ghiaccio, privi di ogni mezzo di sussistenza, in breve 
son costretti ad avventarsi gli uni sugli altri e divorarsi a vi- 
cenda. L’ ultimo che sopravvive muore di fame sui cadaveri dei 
compagni. Molto sovente si veggono arrivare sulle coste del- 
l'Islanda ed anche della Norvegia alcuni di questi Orsi famelici. 
Allora son terribili e si precipitano senza distinzione su tutto 


460 ORDINE DEI CARNIVORI 


ciò che si trovano innanzi, uomini o animali. Questa circo- 
stanza ha certo contribuito a dar loro una riputazione d’indo- 
mita ferocia. 

Siccome vive sempre in mezzo ai ghiacci, l’Orso bianco teme 
molto il caldo. Pallas, che ne osservò uno in prigione a Kra- 
nojack, in Siberia, dice che quell’animale non poteva stare a 
lungo in casa. Sebbene il clima fosse rigidissimo, si rotolava 
con gioia sulla neve. Anche gli Orsi bianchi del Giardino delle 
Piante di Parigi sono disturbati dal caldo dell’estate; quindi non 
si possono conservare a lungo. Cuvier dice tuttavia che si riu- 
scì a conservarne uno per lo spazio di quindici anni, mercè la 
cura che si ebbe di gettargli sul corpo ogni giorno, d’ inverno 
come d’estate, sessanta od ottanta secchi d’acqua per rinfre- 
scarlo. 

L'Orso bianco non si famigliarizza mai coll’ uomo. Ridotto in 
ischiavitù riman sempre selvaggio, taciturno, e si mostra pure 
incapace di sentire affetto o di essere educato. 

L'Orso labiato, 0 cerretano, è caratterizzato dalle sue labbra esten- 
sibili e dalla lingua lunghissima. Abita l’ India, non si nutre 
che di vegetali, ed è suscettivo di educazione. Gli s’ insegna a 
fare vari esercizi. 

Finalmente l’Orso malese (fig. 209), detto anche Orso del Giap- 
pone, è una specie più piccola delle precedenti. Abita la  Male- 
sia, il Giappone e le isole della Sonda. .Si arrampica agevol- 
mente sugli alberi e si nutre sopratutto di frutta. Si ammaestra 
esso pure come l’ Orso labiato. 


ORDINE DEI ROSICANTI 


Quest’ordine, uno dei più numerosi della classe dei Mammi- 
feri, comprende animali di statura piccola o mezzana, che hanno 
per carattere distintivo di aver solo due sorta di denti: incisivi 
e molari. Gl’ incisivi, in numero di due ad ogni mascella, e col- 
locati allo innanzi, sono notevolissimi. Il loro ufficio è di ta- 
gliare, come se fossero forbici, le radici ed i rami delle varie 
gemme vegetali: sono meravigliosamente conformati all’ uopo. 
Grandi, arcuati e robusti, questi denti non son coperti di smalto 
che sulla loro faccia interna; per conseguenza, si consumano 
molto più di dentro che di fuori, fregando l’ uno contro l’altro, 
e si tagliano naturalmente a scalpello. Questa disposizione è 
vantaggiosissima per ciò che i denti presentano sempre un mar- 
gine tagliente, durissimo, per esser fatto di smalto, e quindi bene 
acconcio a segare o rodere materie resistenti. Per un fenomeno 
ammirabile, gl’ incisivi conservano sempre la stessa lunghezza, 
malgrado il consumo continuo: ciò segue perchè non hanno 
radici, e crescono sempre dalla base, mano mano che si logo- 
rano sulla punta. Ciò spiega il fatto che, quando un incisivo a 
caso si rompe, quello che gli si oppone, non avendo più nes- 
sun sfregamento, cresce indefinitamente e si torce. 

Uno spazio vuoto, detto barra, separa i molari, dagli incisivi. 
Non v’ha mai meno di tre paia di molari, nè più di sei ad ogni 
mascella. Nella maggior parte dei casi lo smalto forma sulla 
loro superficie ripiegature di varia figura, che danno loro un 
aspetto scabro, e ne fanno, per così dire, una specie di raspe 
che agevolano la divisione degli alimenti. 

I Rosicanti si nutrono di semi, di frutta, di foglie, d’erbe, e 
più raramente di radici o di corteccie. Alcuni, come i topi, sono 
onnivori, e mangiano anche la carne putrefatta. Ma questa è 
una eccezione. Quindi i Rosicanti, come tutti gli animali erbi- 
vori, hanno il canale intestinale sviluppatissimo. Nel porcellino 


462 ORDINE DEI ROSICANTI 
d’ India è lungo 3",03; nel coniglio domestico, 4%,65; nell’aguti, 
5 47; nell’istrice, 7°,64.. * 

Gli organi della locomozione sono molto variamente disposti 
in questi animali. Sono organizzati in modo da correre, saltare, 
arrampicarsi, volare, nuotare o fuggire, secondo i generi. Le dita 
sono ordinariamente in numero di cinque e non posano sul 


suolo che colla estremità, circostanza favorevolissima alla leg- 


gerezza dei movimenti. Son muniti di artigli aguzzi che servono 
loro per arrampicarsi sugli alberi o per scavare la terra. 

La maggior parte dei Rosicanti hanno il corpo coperto di un 
pelo fino, morbido, abbondante, talora di tinte bellissime, e di 
cui l’uomo ha saputo trarre buon profitto. Lo scoiattolo petit- 
gris e il chinchilla ci forniscono pelliccie molto apprezzate; il 
castoro, la lepre, il coniglio, danno il pelo per la fabbricazione 
del feltro. 

L’ordine dei Rosicanti non comporta, come gli altri ordini 
della classe dei Mammiferi, grandi divisioni, fondate su carat- 
teri che si riconoscano con agevolezza. Non è che sopra certe 
piccole differenze organiche che i naturalisti hanno basato que- 
ste distinzioni. Quindi noi non adotteremo per loro la classifi- 
cazione per famiglie; ci limiteremo solo a presentare i generi 
gli uni dopo gli altri, aggruppando ed indicando sotto una ru- 
brica comune i generi veramente affini. 

L’ordine dei Rosicanti si apre con un gruppo numerosissimo, 
quello dei Topî o Ratti, che comprende oltre i Topi propriamente 
detti, le Arvicole, le Ondatre, i Criceti o Hamster, i Ghiri, ed i 
Gerboa. Tutti questi animali presentano una certa rassomiglianza, 
per cui l’occhio del volgo non scorge differenza fra loro, e sono 
confusi tutti in una denominazione generale. Sono i Muridi dei 
naturalisti (da mus, topo). 


Topì. — I veri topi sono caratterizzati da una testa oblunga, 
coperta di peli ruvidi da ogni lato del ‘muso; dalle orecchie 
bene sviluppate e coperte di peli cortissimi; da un corpo allun- 
gato, fornito di una coda pure lunga, quasi nuda, scagliosa, ci- 
lindrica, che va assottigliandosi dalla base fino all’estremità. 
Non hanno che quattro dita alle membra anteriori, il numero 
delle mammelle varia da quattro a dodici. Sono in generale di 
color fulvo o bruno. 

Questi piccoli animali pullulano in modo spaventoso; le fem- 
mine partoriscono varie volte all’anno, ed ogni parto dà dieci 
o dodici piccoli, che in breve sono in istato di riprodursi. Essi 
sono i più nocevoli tra i Rosicanti. Si nutrono specialmente di 


è Mo 
PRE ee o 6 


TOPI 463 


semi e di radici, ma sono realmente carnivori e inghiottono quanto 
possono arrivare a prendere. Penetrano e s’ insinuano ovunque; 
non v’ ha nulla che sia al riparo da questa distruggitrice coorte. 
Si allogano nei campi coltivati, nei giardini, nelle piantagioni, 
e distruggono il lavoro dell’ uomo. 

S’ introducono nelle case, nei granai, nei fenili, nei magazzini 
dove sono provvigioni, e vi recano danni inauditi. Le chiaviche, 
gli ammazzatoi, ogni immondezzaio, le macellerie, le botteghe 
dei pizzicagnoli, gli alberghi, ecc., ne sono pieni zeppi. Non si 
è mai sicuri di dormir tranquilli con questa sorta di ospiti. 

Quando i Topi che hanno preso dimora in una località 
non vi trovano più sufficienti mezzi di sussistenza, emigrano 
Ja notte in grandi eserciti, e vanno a conquistare un altro 
paese. Talora compiono all’ uopo grandi tragitti. I fiumi, i 
corsi d’acqua, anche larghissimi, non bastano ad arrestarli; li 
attraversano nuotando, lasciandovi sovenge taluni di loro, ma 
‘continuando senza turbarsi la loro via finchè non abbiano ritro- 
vato un sito di loro convenienza. In queste occasioni mostrano 
il loro spirito di fratellanza. Lungi dall’abbandonare i vecchi e 
gl’ infermi, li aiutano agevolando loro le difficoltà del viaggio. 

Il dottor Franklin accerta di aver veduto un vecchio Topo, 
cieco, che aveva in bocca l’estremità di un bastoncino, di cui 
l’altra estremità stava nella bocca di un altro topo, che condu- 
ceva in tal modo il povero cieco !. 

I Topi sarebbero un vero flagello per i’ umanità senza le 
cause potenti che ne limitano la moltiplicazione. Ne fanno strage 
non solo le civette, i gufi, le poiane, ed altri uccelli di rapina, 
o animali terrestri, ma essi medesimi hanno cura di distruggersi 
e divorarsi a vicenda sia per la possessione delle femmine, sia 
(e questo è il caso più comune) per la scarsità degli alimenti. 

Parent-Duchàtelet narra in proposito il fatto seguente, di cui 
fu testimonio Magendie. Il celebre fisiologo aveva fatto prendere 
dodici surmolotti pei suoi sperimenti, e li aveva messi in una 
scatola; ma quando andò a vederli non ne trovò che tre. Que- 
sti avevano divorato gli altri nove; alcuni vestigi e poche ossa 
sparse dimostravano solo che i loro compagni erano vissuti. 

Nelle città fa d’uopo necessariamente far guerra a questa in- 
comoda e pullulante genìa. Contro i sorci si oppongono i gatti; 
ai Surmulotti e ai Topi comuni si fa guerra coi cani grifoni e 


1 Questa storiella è raccontata da Jonathan Franklin, inglese, che 
scrisse racconti intorno ai costumi degli animali, dove raccolse molte 
cose al tutto inverosimili, siccome è questa. (N. del Tr.). 


464 ORDINE DEI ROSICANTI 


coi buldog; contro tutti poi $i adoperano le trappole ed il ve- 
leno. Malgrado questa caccia incessante, il numero dei Topi non 
diminuisce; anzi in certe località aumenta in modo inquietante. 

I Topi c’ ispirano tanta ripugnanza per le loro abitudini schi- 
fose e pei danni che ci cagionano, che non abbiamo mai tentato 
di addomesticarli, e non pensiamo neppure alla. probabilità di 
farcene degli amici. Nondimeno l’ impresa potrebbe compiersi. 
Sulle pubbliche piazze s’ incontra sovente un giocoliere che in 
mezzo ad un circolo di oziosi mostra una compagnia di topi 
ammaestrati. Questi animali riconoscono la voce del loro pa- 
drone, eseguiscono vari movimenti ad un suo cenno, come per 
esempio di entrare in un paniere, salutare il pubblico, ecc., e 


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Fig. 210. Topo comune. 


quando il padrone li chiama vengono a rannicchiarglisi sul os 


tra la camicia ed il panciotto. 


Il cavaliere di Latude, celebre per la sua lunga prigionia: 


alla Bastiglia, era molto tormentato dai Topi nella sua carcere, 
che gli correvano sul viso mentre dormiva, e talora lo ferivano: 


crudelmente. Non potendo scacciarli, risolvette di cattivarsi l’ami-' 


cizia di quegli importuni vicini. Cominciò ad adescarne uno con 
briciole di pane, cercando di non spaventarlo con movimenti 
repentini. Dopo tre giorni l’animale era divenuto tanto famigliare: 
che prendeva il cibo dalle mani del prigioniero. Il più difficile 
era fatto. Questo primo topo ne condusse altri, che non si mo- 
strarono più tanto selvatici; e in meno di quindici giorni la 
comitiva fu in numero di dieci Topi, a ognuno dei quali venne: 


TOPI 4605 
dato un nome. Allorchè Latude li chiamava, gli correvano ac- 
canto, e si lasciavano prendere senza alcun timore, anzi dimo- 


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Fig. 211. Surmolotto o Topo delle chiaviche. 


strando una certa compiacenza sentendosi grattare il collo; ma 


non volevano lasciarsi toccare il dorso. « Venivano a mangiare 


Fig. 212. Topolini o Topi casalini. 


con me sul piatto, dice l’ infelice prigioniero, ma ciò non m 
garbava molto, e per liberarmi da questa loro famigliarità, do- 
vetti metter un altro piatto in tavola per essi, onde evitare le 


loro sporcizie ». 
Ficuer. I Mammiferi. 99 


466 ORDINE DEI ROSICANTI 


Dopo un anno la famiglia di que’ Topi contava ventisei membri. 

Il gatto ed il cane sono nemici naturali del Topo. Nondimeno 
l'educazione può far star vicini questi animali, apparente- 
mente inconciliabili. 

Il dottor Franklin ha avuto un Topo bianco, che gli era affe- 
zionatissimo, e viveva in buonissima armonia con una cagna 
della specie dei grifoni. Il Topo e la cagna si trastullavano in- 
sieme nel giardino; bevevano il latte contemporaneamente nello 
stesso piattino, e da buoni fratelli dividevano ciò che veniva 
loro dato dal padrone, o che rubava il Topo, il quale non 
prendeva soggezione di arrampicarsi sulla mensa, e portava via, 
se non ci si badava, lo zucchero, i pasticcini o il formaggio. 
Quando un estraneo entrava nella stanza, Scugg (era il nome del 
Topo) si rimpiattava.in un cantuccio, mettendosi sotto la pro- 
tezione della sua amica, la cagna lora, che abbaiava con fu- 
rore finchè le intenzioni pacifiche del nuovo arrivato non le 
fossero state palesi. Era curioso vedere Sewugg dormire accanto 
al fuoco fra le zampe di Flora. In conseguenza di un lungo 
viaggio impreso dal dottore, il Topo si ammalò dal dispiacere 
di essere lontano dal suo padrone. Poi il dottore fece ritorno; 
accarezzo l’affettuoso animale, e dopo esserselo tolto dal seno 
con grande stento, lo ripose nella gabbia. L'indomani il Topo 
era morto. Evidentemente fu la gioia che l’ uccise: la gioia fa 
paura ai Topi come agli uomini. 

I Topi son sparsi sopra tutta la terra; sembrano adattarsi ad 
ogni clima, e molte specie sono cosmopolite. Questo fatto si spiega 
sapendo che tutte le navi ne portano un certo numero, e che 
questi perniciosi animali possono in tal modo passare da un 
emisfero ad un altro. 

Faremo conoscere le principali specie del genere, cominciando 
da quelle dell’ Europa. 

In primo luogo stanno il Topo comune e il Surmulotto, che 
abitano le nostre città. 

Il Topo comune (fig. 210) è lungo circa 20 centimetri, non , 
compresa la coda; è originario dell’Asia Minore, e non abita da 
lungo tempo l’ Europa. Con paglia e foglie fa un nido per i 
suoi piccoli. Si ritira innanzi al Surmolotto, che è il più cattivo 
e il più vorace di tutti i Topi europei, e gli fa una guerra ac- 
canita ogniqualvolta lo incontra. Per questa ragione il Topo co- 
mune è divenuto rarissimo in Inghilterra dopo l’ invasione del 
surmulotto in quel paese. Cuvier asserisce tuttavia che queste 
due specie di Topi vivono in buona armonia quando non man- 
cano gli alimenti. 


TOP1 467 


Il Surmulotto, o Topo delle chiaviche (fig. 211), non esiste in 
Europa che dalla metà del secolo decimottavo; sembra essere 
stato portato dall’ India nei bastimenti. Certi Surmulotti diven- 
gon lunghi perfino 30 centimetri, e sono tanto forti da combat- 
tere coi gatti. In quasi tutte le grandi città si sono sostituiti ai 
Topi comuni. 

Il Topo selvatico (fr. Mulot), abita i boschi ed i campi; d’ in- 
verno si ricovera nei mucchi di grano e frequenta le abitazioni. 
La sua statura varia dai 10 ai 12 centimetri. 

Il Topolino (fr. Souris) o Topo casalino (fig. 212), è un po’ più 
piccolo del Topo selvatico. E inutile descriverne i costumi che 
sono ben noti a tutti. Ospite incomodo delle nostre case, questo 
animaluccio s’introduce perfino nei nostri mobili. Sebbene timido 
ed innocuo, spaventa molte persone, principalmente le donne, che 
quando lo veggono mandano altissime grida, e fuggono sgomen- 
tate. Nondimeno quando il Topolino appartiene alla varietà 
bianca, invece del terrore promuove la curiosità. Perciò si alle- 
vano talora nelle gabbie i Topolini bianchi. 

I Topolini non dimorano esclusivamente nelle case; si tro- 
vano pure nei giardini e nei campi. Si crede che questa specie 
sia originaria d’ Europa; è oggi sparsa ovunque. 

Il Topo nano, o Topo delle messi (fig. 213), è il più piccolo, il più 
grazioso, il più bello dei Topi di Europa. È grosso quasi la metà 
di un Topolino; ed il suo pelame, fulvo sopra, più chiaro sui 
fianchi e interamente bianco sotto la testa, sul ventre e sul petto, 
è uno dei più eleganti. I suoi costumi sono curiosissimi, Il nido 
che costruisce per ricevere la sua figliolanza è una vera mera- 
viglia. Questo piccolo capolavoro ha molta rassomiglianza col 
nido di certi uccelli, per esempio, con quello della Cinciallegra. 
Ha la forma di una sfera, e non è più grosso di una palla, di 
quelle con cui giuocano i fanciulli. Fatto d’erbe e di foglie in- 
trecciate con arte, si dondola mollemente in mezzo a due o tre 
calami di frumento intrecciati alla metà della loro altezza. In 
quella morbida culla la madre depone sette od otto piccoli; 
soltanto non si può comprendere come faccia ad allattarli, 
tanto è piccolo il nido da non potervisi allogare. L’ apertura 
della dimora è sì maestrevolmente celata, che ci vuol molta 
attenzione per iscoprirla. La femmina si arrampica agevol- 
mente sul suo nido; e ne discende pure facilmente avvolto- 
lando la coda ad un calamo di frumento, e scivolando rapi- 
damente. 

Nell’ inverno questo Topo si nasconde in un granaio, o si 
scava un covo che ricopre d’erbe e di foglie. 


468 ORDINE DEI ROSICANTI 


Queste sono le specie principali d’ Europa. Le altre parti del 
‘mondo ne hanno talune che sono loro particolari. 

Le più importanti sono: in Africa, il Topo del Nilo, il Topo 
«di Barberia, e il Topo d'Alessandria; in Asia, il Topo gigante, la 
‘specie più grossa del genere, che misura 40 centimetri di lun- 
ghezza, il Topo Caraco e il Topo Perchal; in Australia, l’/dro- 
mide o Topo d’acqua, che è grosso come un Surmulotto e vive 


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Fig. 215. Topo delle messi ed il suo nido. 


mell’acqua; in America, il Topo brasiliano o il Topo Piloris, più 
grosso del Surmulotto, che cagiona, alle Antille, immensi gua- 
sti nelle piantagioni. 


Genere Arvicola o Campagnuolo. — Mentre i veri Topi hanno 
in generale la coda nuda e lunga quanto il corpo, le Arvicole 
l'hanno molto più corta e villosa. È questo il solo carattere 
importante che distingue questi due generi. 

Trovansi fra le Arvicole specie curiosissime,.ma in pari tempo 


GENERE ARVICOLA 4509 


\ 
anche molto nocevoli. Siccome abitano i campi, si moltiplicano 
con rapidità prodigiosa, e possono divenire una vera calamità 
per l’agricoltura. Quindi i coltivatori ne fanno attivissima caccia. 

L’Arvicola comune (fig. 214) è sparso in tutta l'Europa; trovasi 
anche in Siberia. Grosso come un Topolino, abita i terreni ele- 
vati, ove si scava gallerie irregolari, che vanno a terminare in 
una piccola stanza. Colà, due o tre volte l’anno, sopra un letto 
di foglie secche, la femmina depone da 8 a 12 piccoli. Da questa 
cifra e dalla rapidità della loro riproduzione è facile compren- 
dere i danni immensi che producono talora nelle campagne. Si 
son vedute intere provincie ridotte alla miseria per tale ma- 
lanno. Nel 1816 e nel 1817 il solo dipartimento della Vandea 


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Fig. 214. Arvicola o Campagnuolo. 


dovette sopportare, pel fatto di questi nocevoli rosicanti, una 
perdita valutata a 8 milioni di franchi. Non se ne venne a capo 
che avvelenandoli in massa. 

L’Arvicola economo differisce poco dal precedente, solo è un 
tantino più grosso. Abita esclusivamente la Siberia, tra la Dauria 
ed il Kamtsciatka. Il nome che gli fu imposto viene da una delle 
sue abitudini caratteristiche, che è quella di raccogliere e serbare 
nella buona stagione le provviste per l’inverno. I lavori e la 
previdenza di questo piccolo animale sono una continua sorgente 
di ammirazione per gli amanti della natura. Il suo domicilio 
è complicatissimo. È. fatto di una camera principale, di 30 cen- 
timetri di diametro sopra 410 di altezza circa, d’onde partono per 
ogni verso moltissime gallerie che comunicano colla superficie 


470 ORDINE DEI ROSICANTI 


del suolo mercè pozzi di un pollice di diametro, acconciamente 
disposti. Tre o quattro gallerie sinuose, che si affondano più 
avanti nel suolo, conducono, inoltre, a spaziosi magazzini, ove 
i proprietari della dimora, maschio e femmina, ripongono ogni 
sorta di radici, ben ripulite prima e quindi seccate al sole e 
disposte in tanti mucchi secondo la natura della pianta. Se mal- 
grado tutte queste precauzioni, l’umidità invade le sue provviste 
l’Arvicola economo le riporta alla luce, e le fa seccare di nuovo. 
Innanzi a questi esempi d’intelligenza, si può ancora parlar sul 
serio dell’istinio degli animali ? 

Le quantità di radici che l’Arvicola economo raccoglie durante 
il tempo dell’abbondanza, è talvolta molto notevole ; talora giunge 
a 80 libbre, e costituisce allora una preziosa ricchezza per le 
misere popolazioni della Siberia orientale. Gli abitanti di quella 
regione cercano le tane dell’Arvicola Economo per saccheggiarle ; 
ma hanno cura di lasciarvi qualche cosa, onde non e alla 
disperazione il piccolo Rosicante. 

Come i Lemming, di cui parleremo fra breve, gli Arvicola 
Economi emigrano in massa, in certi tempi indeterminati. Rac- 
colti in grandi strupi, nella primavera di certi anni, vanno in dritta 
linea, superano tutti gli ostacoli, fiumi, bracci di mare, monti, 
lasciando dietro a sè molti ritardatari ed annegati, inseguiti da 
una folla di animali carnivori, che trovano iù quegli eserciti 
di emigranti una preda abbondante e facile. Dopo quei viaggi 
son tanto stanchi che non possono quasi muoversi. Sul princi- 
pio dell’inverno ritornano nel loro paese, e gli abitanti del Kamt- 
sciatka ne celebrano l’arrivo come se fosse una festa. 

L’Arvicola anfibio è un’altra specie di questo genere, un tari- 
tino più grosso del topo comune, ed abita le sponde dei ruscelli. 
Nuota agevolmente, si nutre delle radici delle varie piante acqua- 
tiche. Si scava una tana poco profonda, fornita di molte aperture. 
Trovasi in tutta l'Europa, in Asia ed anche, dicesi, in America. 
In Francia, è una selvaggina non tanto disprezzata. Ho veduto 
alcuni cacciatori miei amici mangiare Arvicole anfibie, uccise 
sulle sponde della Garonna, ma confesso che non presi parte 
a quel banchetto. 

Esistono differenti altre specie di Arvicole, come l’ Arvicola 
distruggitore, l Arvicola sotterraneo, lArvicola di Savi; ma la loro - 
storia non ci direbbe nessuna nuova particolarità 4. 


1 Tre specie di Arvicole sono notissime in Italia. L’ Arvicola campa-. 
gnuolo è comunissimo in tutta Italia, e nel linguaggio volgare nelle Ro- 
magne vien chiamato Sorcio cieco. Comune pure in Italia, ed in partico» 


LEMMING | 471 


Lemming. — I Lemming, che sono la specie più curiosa di 
questo scompartimento, abitano i monti della Lapponia, ove si 
nutrono di muschi e di licheni. Hanno la coda, le zampe e le 
unghie cortissime. Son grossi come un topo; il loro pelame, 
variegato di nero, di giallo e di bianco, è bellissimo. Durante 
il giorno sì nascondono nella loro tana per riposare; ma la 
notte la loro attività è grandissima. Quando sono aggrediti si 
difendono colle unghie e colle zampe, e se si vogliono prendere 
mandano altissime strida. 

In certi tempi molto irregolari i Lemming si riuniscono in 
gran numero, e si dirigono verso il sud, in colonne serrate. 


Fig. 215. Lemming. 


Sembra che una potenza invincibile li attiri verso un punto 
determinato, tanto diritti vanno pel loro cammino. Una palla da 
cannone non va con maggior precisione alla mira. Non girano 
attorno agli ostacoli se non quando v’ha assoluta impossibilità di 
superarli; e appena superati gl’impedimenti, riprendono la dire- 
zione primiera. In qualunque altro caso non deviano. Se un 
mucchio di fieno si trova .sulla loro via, lo forano da una parte 
all’ altra e l’ attraversano. Se una barca sopra un fiume impe- 
disce loro di progredire, danno la scalata al battello, lo attraver- 


lare nei dintorni di Roma, è l’Arvicola terrestre, che soggiorna nei luo- 
ghi colti, o intorno alle paludi, cambiando sede dall’ inverno all’ estate. 
È abbondantissimo sul monte Mario, chiamato dal volgo Sorca pantanara. 
Finalmente è pure comune in Italia l’Arvicola anfibio, che presso Roma 
abbonda sull’ Aniene e nelle paludi Ostiensi, e chiamasi volgarmente. 
Sorca d’acqua. (N. del Tr.) 


42: ORDINE DEI ROSICANTI 


sano e continuano a nuotare dall’altro lato. Non viaggiano che 
la notte ed al mattino. Guai al campo sul quale si fermano per 
far sosta; è divorato compiutamente. 

I Lemming scendono talora così fino in Germania. Durante 
il tragitto ne muoiono quantità incalcolabili; appena una cente- 
sima parte ritorna al suo paese. 

Si è molto discusso intorno alla ragione che induce eni 
Rosicanti, come anche gli. Arvicola economi, ad imprendere 
queste emigrazioni. Si è detto che prevedano gl’inverni rigidi, 
e che viaggino per sfuggirli. Ma l'ipotesi più probabile è che 
tali spostamenti sian dovuti al loro immenso numero, che pro- 
duce scarsità di alimenti. 


Fig. 216. Ondatra, o Topo muschiato. 


Genere Ondatra. — Le Ondatre (fig. 216) sono molto più grosse 
dei topi e delle arvicole; la loro statura è uguale a quella di un. 
coniglio. Molto sparse in tutta l'America del Nord, specialmente 
al Canadà, sono costrutte per la vita acquatica. I loro piedi poste- 
riori sono per metà palmati ed orlati di peli duri ad ogni dito; 
inoltre la loro coda, lunga quasi come il corpo, è compressa 
e coperta di scaglie. Mercè queste disposizioni, si slanciano e 
scherzano con somma agevolezza nell’acqua, loro elemento na- 
turale. 

Le Ondatre hanno una ghiandola che secerne un liquido latti- 
ginoso, di un odor di muschio penetrantissimo: da ciò è venuto 
il nome di topî muschiati, che sovente vien loro dato. 

Questi animali hanno lo spirito di costruzione molto sviluppato; 
in ciò si accostano ai castori, che studieremo in seguito. Sanno 


GENERE ONDATRA 473 


mettere in pratica il principio di associazione per guarentire il 
ben essere di ciascun individuo. Uniscono tutte le loro forze 
per edificare villaggi, ove trovano un riparo sicuro contro il 
freddo e contro i nemici. Il loro modo di procedere e gli effetti 
che ottengono meritano invero di fermare la nostra attenzione. 

Quando una colonia di Ondatre si è costituita, si reca sulle 
sponde di un lago o di un placido fiume, e cerca un luogo dal dolce 
pendio, per piantarvi il futuro villaggio. Scelto il sito, ognuno 
si mette all'opera, e le capanne sorgono rapidamente. Queste 
presentano esternamente la forma di una cupola, e son fatte di 
giunchi, infitti prima nel suolo come tanti piuoli, poi riuniti 
fra loro con altrettanti giunchi strettamente intrecciati. Gli inter- 


TTTRE TZ 
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Fig. 217. Criceto od Hamster. 


stizi son poi riempiti di argilla impastata e ridotta in cemento 
colle zampe anteriori e applicata, mercè la coda, in modo assai 
conveniente. Un ultimo intreccio di giunchi ricopre il tutto, e 
dà al muro lo spessore di circa 35 centimetri. | 

L’ondatra non tralascia di prendere le sue precauzioni contro 
le inondazioni o qualche altro pericolo pel suo domicilio. Nel- 
l'interno della sua capanna fa una sorta di gradinata, per cui 
può salire secondo il livello del fiume. Questo animale è fornito 
di una facoltà di osservazione veramente mirabile; perchè gli 
scalini superiori non sono invasi dalle acque, salvo nelle piene 
straordinarie. 

L’ampiezza delle capanne varia secondo il numero dei loro 
abitanti. Generalmente hanno un diametro interno di 60 a 70 

FicuieR. I Mammiferi. 60 


474 ORDINE DEI ROSICANTI 


centimetri, e possono contenere sette od otto individui; ma se 
ne trovano talune molto più vaste. Diverse gallerie le fanno 
comunicare, sotto al fiume, colla sponda opposta. Queste gallerie 
sono destinate a servir di rifugio in caso di pericolo, oppure a 
permettere all’Ondatra di andare, nell’inverno, a cercare le ra- 
dici di cui si nutre. Infatti, in questa stagione l’ingresso della 
loro dimora è otturato dall’ acqua, e vivono in una assoluta 
oscurità. | 

Le capanne dei topi muschiati son talora riunite in gran nu- 
mero; così accalcate, presentano l’aspetto singolare di tante ca- 
sette in miniatura. Colà questi industriosi Rosicanti si rinchiu- 
dono durante i mesi di freddo più rigido. 

Sul principio di primavera i topi muscati escono numerosis- 
simi dalle loro dimore sotterranee, si spargono per la campagna 
e si accoppiano. Appena fecondate, le femmine tornano nelle loro 
abitazioni; ma ì maschi continuano a vagabondare pei campi. 
Alla fine dell’estate maschi e femmine si riuniscono nuovamente 
in numero più o meno grande, e vanno a fondare una nuova 
colonia; perchè si asserisce che questi animali non dimorano 
mai due anni di seguito nello stesso accampamento. 


Genere Criceto od Hamster. — Gli Hamster o Criceti sono a 
un dipresso grossi come un topo comune; ma hanno il corpo 
più tozzo e la coda assai più corta. Si distinguono specialmente 
per la presenza alle guancie di vaste saccoccie o serbatoi del 
cibo, i quali si estendono fino sul dorso, dietro. al capo. 
Queste saccoccie rappresentano una gran parte nella loro vita. 
Il pelame di questi animali è grigio rossastro sopra, e nero o 
bruno sotto, con macchie bianche e gialle qua e là. Se ne fanno 
pelliccie molto apprezzate e di un prezzo discreto. 

Gli Hamster, che si dicono anche Marmotte di Germania e 
Maiali della segala (fig. 217), sono molto sparsi in Siberia, in 
Russia, in Polonia e in tutta la Germania: l’Alsazia era la sola 
provincia della Francia che ne possedesse !. Il loro modo di 
vivere rassomiglia molto a quello dell’ arvicola economo; ma 
invece di essere, come questo, una sorgente di guadagno per le 
popolazioni, porta seco la devastazione e la rovina. Per lo più 
i campi coltivati sono la scena delle loro rapine; soltanto colà 
trovano in abbondanza i semi di cui si nutrono. Vivono, invero, 
anche di erbe, di radici, allorchè non ne possono a meno; in 
certi casi aggrediscono anche altri Rosicanti più deboli di loro, 


i L’Hamster manca in Italia. (Nota del Trad.) 


i 
sa n 


GENERE CRICETO 475 


come i topolini, il topo selvatico, ecc.; ma il loro regime è prin- 
cipalmente granivoro. 

Si scavano tane, composte di una camera principale coperta di 
paglia, che serve loro di abitazione, e di varie altre cavità collo- 
cate a tre o quattro piedi sotto terra. Queste differenti stanzette 
comunicano fra loro e colla camera centrale; due gallerie vi 
porgono adito; una, obliqua, sinuosa, serve all’animale nelle 
circostanze comuni; l’altra, verticale, è serbata pei casi di peri- 
colo. Sono quelli altrettanti magazzini ove l’Hamster raccoglie 
semi di ogni natura: semi di frumento, segala, fave, piselli, vecie, 
semi di lino, ecc. Il mattino e la sera, forse anche la notte, 
riempie di semi le sue saccoccie dopo averne tolto gli invogli, 
e li porta nei suoi sotterranei, ove se ne libera prendendosi le 
guancie colle zampe anteriori. Dicesi che spinga l’amore del- 
l'ordine fino al punto di allogare in camere diverse i semi di - 
qualità ditferenti. 

La quantità di semi che ammucchia così l’Hamster è talora pro- 
digiosa; giunge fino a cinquanta chilogrammi, e non è mai meno 
di cinque chilogrammi. Queste cifre danno un’idea dei danni che 
si hanno da temere da ‘un animale che si riproduce tanto rapi- 
damente. Le femmine partoriscono tre o quattro volte all’anno: 
il primo parto è di tre o quattro piccoli, gli altri di sei a nove, 
talora di quindici a diciotto. 

Vi fu un tempo che il numero di questi Rosicanti crebbe 
per tal modo in Germania, che il governo di Gotha credette 
dover promettere un premio per la loro distruzione; quel- 
l’anno ne furono uccisi ottantamila nei dintorni della sola città 
di Gotha. 

Da ciò che abbiam detto testè si comprende che gli Hamster 
non siano molto amati dai contadini. Questi li inseguono acca- 
nitamente, tanto per distruggerli, quanto per impadronirsi delle 
loro provviste, e ricuperare in tal modo la loro roba. Del resto 
le loro tane si scoprono agevolmente, perché si riconoscono per 
una eminenza collocata accanto ad una galleria obbliqua, e che 
deriva dalla terra ammucchiata, seavata dall’ animale. Quando 
i contadini vogliono farne una carneficina, spargono nei campi 
piccole pillole avvelenate; ma quest’ uso può produrre gravi 
conseguenze, e si dovrebbe assolutamente proscrivere. 

Verso la metà d’autunno l’Hamster si rintana nella sua for- 
tezza, ne tura tutte le aperture, vi si confina fino alla primavera. 
In questo intervallo consuma le provviste che ha messo in serbo, 
e diviene grassissimo. Se la temperatura scende in modo ecce- 
zionale, si ravvoltola su sè stessso, e cade in letargo. 


476 ORDINE DEI ROSICANTI 


Genere Ghiro. — I Ghiri ! sono begli animaletti che rammen- 
tano gli scoiattoli pei caratteri esterni e per le abitudini. Hanno 
pelo morbido ed abbondante la coda lunga e folta, lo sguardo 
vivace, i movimenti rapidi. Un bel paio di basette guarnisce il 
loro muso. Si arrampicano con agevolezza mercè le loro un- 
ghie aguzze e ricurve che permettono loro di attaccarsi agli 
oggetti. 

Passano la vita sugli alberi, e si nutrono essenzialmente di 
frutta e di bacche selvatiche; nondimeno mangiano pure uova 
di uccelletti, e forse anche gli uccelletti medesimi quando pos- 
sono sorprenderli. 

La sera e la notte soltanto si mettono in cerca del nutri- 


== 


Fig. 248. Ghiro. 


mento. Durante il giorno dormono, nascosti, sopra un letto 
di muschio, nel cavo degli alberi o nelle fessure dei muri e 
delle rocce. Da ciò è venuto il motto: pigro come un ghiro. Giova 
notare che i loro covi son vòlti al mezzogiorno. 

Colà allevano la loro famiglia; colà pure passano l’ inverno 
in letargo. 

Infatti, questo stato di letargo è un carattere molto distinto 
della loro natura. Appena comincia il freddo, si avvoltolano nel 
loro nascondiglio, e si addormentano. Se per caso la tempera- 
tura sale alquanto, si svegliano e rodono i frutti che hanno 
raccolto l’estate per qualunque eventualità. 


1 Fr. Loir, ted. Svebenschlifer, ingl. Dormouse, lat. Myoxus. 


: 
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satin 


GENERE GHIRO ANI 


Una piccola specie di Ghiro, il Moscardino, prende le più in- 
gegnose precauzioni per ripararsi dal freddo o da una indi- 
screta curiosità durante il suo letargo. Si rotola intorno molte 
erbe secche e piccole pagliuzze per modo da farne una sfera 
benissimo compatta, di cui occupa il centro, nascosto agli sguardi 
di tutti e ben riparato dal freddo esterno. 

I Ghiri sono suscettivi di addomesticamento, e si possono al- 
levare nella gabbia per mangiarli, poichè la loro carne è gu- 


Fig. 219. Gerboa. 


stosa. Giò facevano i Romani: ingrassavano i Ghiri e li man- 
giavano. 

Questo genere ha rappresentanti in Europa, in Asia ed in 
Africa. Le specie di Europa comprendono il Ghiro propriamente 
detto, la Nitela (fr. Lérot), ed il Moscardino. 

Il Ghiro propriamente detto (fig. 218) è a un dipresso della 
statura del topo comune, o meglio, per esser più esatti, è un 
po' più piccolo; 1 Moscardino non è più grosso di un to- 
polino. 

Mentre queste due specie vivono nelle foreste dell’ Europa 
centrale e meridionale, la Nitela preferisce rimanere presso i 
luoghi abitati. Si alloga sovente nei parchi, nei giardini, negli 
orti, e fa gravi danni agli alberi fruttiferi. 


Gerboa e Topi-Talpe. — I Gerboa (fr. Gerbille) (fig. 219) sono 
specie di topi che hanno le membra posteriori più lunghe delle 


478 ORDINE DEI ROSICANTI 


anteriori; d’onde deriva un modo particolare di locomozione. I 
Gerboa non camminano nè corrono, ma saltano, e in ciò sono 
abilissimi. Abitano le pianure dell’ Europa orientale, dell’Asia, 
dell’Africa, e vi scavano tane, nelle quali raccolgono provviste 
di frumento. La statura di questi Rosicanti varia da quella del 
topolino fino a quella del topo comune. 

Coi Gerboa si chiude la grande famiglia o gruppo naturale 
dei topi. Dobbiamo parlare ora di un altro scompartimento di 
Rosicanti che, accostandosi ai topi per la dentizione, sono spe- 
cialmente organizzati per una vita sotterranea, e perciò hanno 
avuto la denominazione generale di Topi-Talpe. 

Questi animali sono armati di unghie robuste, e si scavano 
profonde gallerie in mezzo ai terreni mobili, tagliando, coi loro 
forti incisivi, le radici che incontrano sulla loro via. Vivono in- 
somma come le Talpe, di cui parleremo trattando degli Insetti- 
vori. Hanno forme tozze, il corpo massiccio, coda corta o quasi 
nulla; hanno inoltre la testa grossa, il cranio appiattito, l’orec- 
chio esterno poco sviluppato e gli occhi piccolissimi. Anzi nello 
Spalace mancano affatto ; 0, se esistono, non possono servire per 
vedere, essendo quasi impercettibili e interamente ricoperti dalla 
pelle. 

I Topi-Talpe si nutrono di radici e di semi, ma sopratutto di 
radici. Abitano l’ Europa orientale, l’Asia e l'Africa. Furono di- 
visi in parecchi generi, di cui i principali sono gli Spalaci, i Ba- 
tiergi, ed i Rizomidi. 

Lo Spalace (fig. 220) è il tipo del gruppo : ha la testa lunghis- 
sima, angolosa, e pare ne faccia uso come di un cono, per sca- 
vare la terra. È sprovvisto di coda, e per la statura differisce 
poco dal Topo comune. Fu descritto da Buffon col nome di 
Zemni. È sparso nell'Asia Minore, nella Russia meridionale, in 
Ungheria ed anche in Grecia. 

I Batiergi appartengono all’Africa. Pongono dimora nei ter- 

eni sabbiosi, particolarmente nelle dune che stanno sulle rive 
del mare. La specie più notevole è la Grande Talpa del Capo, 
le cui gallerie sono tanto profonde che i cavalli vi inciampano 
e vi affondano fino ai ginocchi; è della statura di un coniglio. 
Una specie di Abissinia, il Batiergo Brillante, vien così chiamata 
pel suo pelame rosso a riflessi metallici; non è più grossa. 
del Topo. | 

I Rizomidi abitano le fitte foreste di bambù della penisola di 
Malacca; si nutrono di radici e di gemme di quel vegetale; la 
loro statura è un po’ minore di quella del Batiergo del Capo. 


GENERE DIPO- 479 


Gli animali del gruppo seguente hanno per carattere l’enorme 
sproporzione delle loro estremità anteriori e posteriori. Sono ri- 
partiti in due generi principali: i Dipî o Gerboa in senso ri- 
stretto ed i Pedeti od Elamidi. 


Genere Dipo. — I Dipi (fr. Gerboise), (fig. 221), sono gra- 
ziosi Rosicanti dalla testa grossa, dagli occhi sporgenti, dalle 
larghe orecchie. Le ioro zampe anteriori sono cortissime e 
mon hanno che quattro dita fornite d’unghie eccellenti per 
iscavare; le posteriori sono cinque o sei volte più lunghe e 
terminano con tre o cinque dita, secondo le specie. Una così 
fatta organizzazione rammenta quella dei gerboa, già nominati, 
ma in modo molto più spiccato. La coda è lunga, coperta di 
peli rasi, e con un fiocco all’ estremità; il pelame morbido e 
abbondante. 

I Dipi abitano le vaste solitudini dell’Africa e le steppe della 
Tartaria e della Russia. Vi scavano tane, e vi passano tutto il 
giorno addormentati sopra un letto di erbe e di muschi. Ma la 
sera escono dai loro covi, e vanno in cerca di nutrimento, che 
si compone di radici e di semi. Adoperano le zampe anteriori 
per portarsi gli alimenti alla bocca. - 

In circostanze ordinarie, quando nulla li affretta o li inquieta, 
i Dipi camminano colle loro quattro zampe; ma allorchè la 
scarsezza degli alimenti o la necessità di sfuggire a qualche pe- 
ricolo li obbliga a fare in poco tempo un lungo tratto di cam- 
mino, non si servono che delle zampe posteriori, e progrediscono 
a salti come i gerboa: ma i loro salti sono molto più notevoli, 
giacchè sovente vanno fino a tre metri, Il modo in cui si com- 
piono questi movimenti è curiosissimo. L'animale si accascia sulle 
calcagna, stendendo ed irrigidendo la coda, per modo da prendere 
un altro punto di appoggio sul suolo; poi ad un tratto si slan- 
cia, come se scattasse una: molla, e va a cadere ad una certa 
distanza, ove ricomincia lo stesso maneggio, quasi senza inter- 
vallo apprezzabile. I Dipi possono in tal modo lottare di velo- 
cità con un buon cavallo. Considerando questo modo particolare 
di progressione, gli antichi erano stati indotti a credere che le 
zampe anteriori di questi Rosicanti fossero assolutamente inette 
al camminare; perciò si era dato loro il nome di Dipus, che 
significa a due piedi. 

I Dipi si addomesticano difficilmente; nondimeno si possono 
tenere in gabbia, e il Giardino delle Piante di Parigi ne ha 
avuto parecchi. Bisogna metterli in gabbie di filo di ferro, per- 
chè i legni più duri non resisterebbero ai loro denti. La loro 


480 ORDINE DEI ROSICANTI 
statura varia da quella del topolino fino a quella del sur- 


mulotto. | 
Fra le numerose specie conosciute citeremo il Dipo, comune 


Fig. 220. Spalace. 


in Algeria, specialmente nella provincia di Oran, e l’Alactaga, 
indicato anche col nome significativo di Saetta, che abita la Rus- 
sia meridionale e certe parti dell’Asia. 


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Fig. 221. Dipo. 


Genere Pedete. — I Pedeti od Elamidi sono i rappresentanti 
dei Dipi nell'Africa meridionale. Hanno gli stessi costumi ed 
abitano il Capo di Buona Speranza. I coloni olandesi li chiamano 
Lepri di monte e anche Lepri saltatrici. 


GENERE SACCOFORI 481 


In verità, rassomigliano ai conigli per la statura, sebbene ab- 


biano il corpo più sottile. Non se ne conosce che una sola spce- 
cie, il Pedete del Capo. 


Saccomidi e Saccofori. — Col nome ‘di Topi delle saccoccie 
riuniremo un certo numero di rosicanti americani, caratterizzati 


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Fig. 225. Chinchilla. 


dalla presenza di profondi serbatoi pel cibo, o saccoccie, nelle 
guancie. Sono i Saccomidi e i Saccofori. 
I Saccomidi si accostano ai Dipi per la lunghezza delle estre- 
mità posteriori e per l'abitudine di saltare. Dimorano per la 
Fisuier. I Mammiferi. 61 


482 ORDINE DEI ROSICANTI 


maggior parte nel golfo del Messico e sono a un dipresso grossi 
come l’arvicola anfibio. Non si conosce molto il loro modo di 
vivere. Sembra che il Succomide antofilo ami i fiori e se ne nutra. 
Nondimeno ì fiori non debbono entrare nel suo sostentamento 
se non come un aceessorio; perchè non potrebbero da soli 
nutrirlo, e sostenerne le forze. 

I Saccofori (fig. 222) abitano le stesse regioni dei Saccomidi. 
Il loro nome vuol dire porta sacchi. Hanno nelle guancie saccoccie 
immense, che talora pendono fino a terra, ed acquistano uno svi- 
luppo enorme. Servono ad ammucchiarvi le provviste, che con- 
sistono in radici, e in bulbi, che portano poi nelle loro tane. 
Questi Rosicanti sono, infatti, animali scavatori, armati di unghie 
robuste, colle quali si scavano gallerie. Da ciò il nome di Geo- 
midi o Topi di terra (dai vocaboli greci, geos che significa terra, 
e mus che significa topo) che fu loro dato da qualche autore. 


I Chinchillidi. — Il nuovo continente ha pure un gruppo di 
Rosicanti che si distinguono pei seguenti caratteri: unghie .robu- 
ste che possono servire a scavare la terra, occhi sporgenti, orec- 
chie sviluppate, pelame morbido ed abbondante, coda lunga o 
mezzana, assai bene fornita, statura e, fino a un certo punto, 
abitudini di conigli. Questo gruppo è quello dei Chinchilli, che 
comprende i tre generi Chinchilla, Lagotide e Viscaccia. 

I Chinchilla hanno orecchie rotonde, larghe, coda assai lunga 
e pennata, come quella degli scoiattoli; lunghi peli duri, a 
foggia di baffi, che ornano il labbro superiore. Il loro pelo è 
morbido, d’un bel bigio lucido, e si fa un commercio notevole 
tra l’America e l’Europa della loro pelliccia. 

I Chinchilla (fig. 223) abitano le montagne del Chili e del Perù. 
Si nutrono per lo più di piante a bulbi, di erbe secche e di 
semi. Sono socievoli, e le loro tane sono alle volte tanto vicine 
che rendon meno solido il terreno e nuocciono alla libera circo- 
lazione. Si riproducono rapidamente: le femmine fanno due 
parti all'anno, di tre o quattro piccoli ognuno. 

Sono d’ indole dolcissima e si addomesticano agevolmente. 
Secondo uno scrittore chiliano, l’Abate Molina, si può prenderli 
colla mano e porseli addosso, senza che tentino di mordere e 
neppure di fuggire; anzi, sembrano compiacersi d'essere accarez- 
zati. Quindi si allevano volontieri nelle case, ove d’altronde sì 
comportano civilmente, essendo essi pulitissimi. 

I Chinchilla costituiscono una sorgente abbondante di ricchezza 
per una parte della popolazione del Chili e del Perù. L’alto prezzo 
della loro pelliccia li fa molto desiderati. Si dà loro la caccia con 


LU A \ 
I CHINCHILLIDI. — TOPI SPINOSI 485 


cani guidati da fanciulli, e quei cani sono ammaestrati a pren- 
derli con delicatezza, in modo da non danneggiare la loro pelle 
preziosa. 

Sul principio del secolo, le pelliccie di Chinchilla erano tanto 
stimate in Europa, e la quantità che ne fu spedita d’ America 
era così notevole, che il governo chiliano dovette prendere ener- 
gici provvedimenti onde impedire che la specie fosse compiuta- 
mente distrutta. Dal 1828 al 1832 si son vendute, a Londra 
soltanto, più di diciotto mila pelli di Chinchilla. Oggi questa 
pelliccia è un po’ meno ricercata, ma è ben lontana dall’essere 
caduta in discredito. 

Mentre i Chinchilla haano cinque dita ai piedi posteriori, i 
Lagotidi (fig. 224) non ne presentano che quattro del pari che a 
quelli anteriori. Le loro orecchie e la loro coda sono più lunghe, 
e le loro forme più eleganti. Questi sono i tratti principali che 
giustificano il collocamento di questi animali in un genere a parte. 
« —Abitano le Ande della Bolivia, del Perù e del Chili, e nei co- 

stumi non differiscono punto dai Ghinchilla. Il loro pelame è 
tanto morbido quanto quello di questi ultimi animali, ma ha 
una tinta meno uniforme. Malgrado questo motivo d’inferiorità, 
non manca di un certo valore. 

Le Viscaccie (fig. 225) hanno per caratteri distintivi un muso 
carnoso molto largo, guarnito di basette nere grossissime, una 
coda mediocre, fatta a mo’ di granata, quattro dita ai piedi ante- 
riori e tre ai posteriori, queste armate di unghie robuste, parti- 
colarmente il dito di mezzo. Inoltre hanno le estremità posteriori 
più lunghe delle anteriori, e saltano come i Dipi. Nondimeno 
quest’ultimo carattere è molto meno spiccato nelle Viscaccie 
che nei Dipi. 

Questi animali stanno nelle grandi pianure o pampas dell’Ame- 
rica del Sud; il bacino della Plata ne contiene un gran numero. 
Vivono in società e scavano tane profonde. Le graminacee e 
le leguminose compongono il loro nutrimento principale. La 
loro posizione solita è quella dei conigli; stanno seduti sulle 
zampe posteriori. Si servono delle zampe anteriori per portarsi 
il cibo alla bocca. Hanno movimenti agilissimi, e quando si fa 
le viste di dar loro noia, fuggono rapidamente. Se ne fa caccia 
per la loro pelliccia che serve agli Americani per farne berretti. 


Topì spinosi 0 Echimidi o Capromidi. — Dopo i Chinchilla viene 
un altro gruppo di Rosicanti, analoghi ai topi per la forma e 
per la statura, ma che se ne separano pel sistema dei denti e 
la tessitura dei peli. Mentre i topi non hanno che tre paia 


484 ORDINE DEI ROSICANTI 

di molari ad ogni mascella, questi animali ne hanno quattro 
paia; inoltre, il loro pelame è in generale più o meno spinoso. 
Tuttavia quest’ultimo carattere non è assolutamente costante, 


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Fig. 224. Lagotide. 


ed alcune specie hanno una pelliccia assai morbida. Ciò nulla- 
meno daremo il nome di Topi spinosi a tutti gli animali di que- 


Fig. 225. Viscaccia. 


sto scompartimento. Questo ci dispenserà dal diffonderci sui 
particolari di una nomenclatura barbara e difficile da tener 
a mente. 

Questi Rosicanti sono al tutto particolari al nuovo continente, 
sopratutto all'America meridionale. Corrono sulla superficie del 


TOPI SPINOSI © 485 
suolo, e si nutrono di sostanze vegetali La loro coda è lunga, 
per lo più scagliosa, talora coperta di peli corti. I naturalisti 
li chiamano Echimidi (fig. 226). 


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Fig. 226. Echimide spinoso. 


Accanto a questi Rosicanti vengono i Capromidi, che hanno 
gli stessi abiti, ma sono grossi come conigli. I Capromidi abitano 
Cuba; si arrampicano agevolmente e montano volontieri sugli 


Fig. 227. Istrice. 


alberi. Il loro regime alimentare si compone di leguminose, di 
frutta e di piante aromatiche, di cui son ghiottissimi; hanno 
molta ripugnanza per le sostanze animali. Sono intelligenti e 


sì addomesticano prontamente. 
. 


486 ORDINE DEI ROSICANTI 


Gli Istrici. — Il gruppo precedente ci ha servito di transizione 
per venire agli Istrici, singolari animali, dotati di una proprietà 
curiosissima: quella di arricciare il corpo coperto di spine, facen- 
dosi così una corazza offensiva e difensiva. Prima di progredire 
più oltre diremo che la piccola famiglia degli Istrici si divide 
in quattro generi: /stricì propriamente detti, Sfigquri, Aulacodì 
e Seneteri. 

La specie tipo del genere e la più sparsa è l’Istrice crestato, 
che abita l’Italia !, la Grecia, la Spagna, l’Africa settentrionale 
c varie parti dell'Asia. È quella chg descriveremo e che ci ser- 
virà a caratterizzare il genere intero. 

L’Istrice è uno dei più grossi rosicanti conosciuti. La sua 
lunghezza totale supera i 60 centimetri. Oltre al pelame, i tratti 
principali dell’aspetto di questo rosicante sono: incisivi superiori 
fortissimi; dita corte, spesse, armate di unghie robuste; testa 
voluminosa, prominente nella. regione frontale; occhi piccoli ; 
orecchie poco sviluppate; fauci poco aperte, forme tozze; anda- 
tura lenta e intralciata (fig. 227). 

Il dorso, le coscie e la groppa son ricoperti di aculei aguzzi, 
lunghi dai 20 ai 22 centimetri, ad anella nere e bianche, confitti 
nella pelle mercè una sorta di picciuolo. Queste spine possono 
divenire irte e irradiate in ogni verso, per l’azione di un muscolo 
enorme, che agisce secondo la volontà dell'animale. Sembrano 
allora tante freccie minacciose che tengono in rispetto ogni 
aggressore, e permettono al nostro rosicante di sottrarsi a un 
pericolo imminente. La coda è rudimentale e non è coperta di 
spine come il dorso, ma di tubi bianchi al tutto cavi, che produ- 
cono urtandosi un certo rumore secco. Il muso è adorno di 
lunghi e grossi baffi; il capo ed il collo son coperti di peli flessi- 
bili, suscettivi di drizzarsi come un ciuffo, ma non pungenti. 
Le parti inferiori del corpo sono poi al tutto prive di spine, ed 
il pelame ne è assai morbido. Lunghi peli si veggono pure 
nelle parti superiori, ove son frammisti ai peli duri. 

In circostanze ordinarie gli aculei dell’Istrice stanno abbassati 
sul corpo, e nessuno supporrebbe a vederli che in un dato mo- 
mento possano divenire armi formidabili. Ma se la collera od 
il timore s’impadronisce dell’ animale, allora si vede spuntare 
ad un tratto una foresta di baionette, agitate da violente scosse, 
il cui fregamento produce una sorta di scricchiolio. Se è un 


‘ L’istrice in Italia è comune nelle Calabrie e nella campagna di Roma; 
al nord manca. È detto comunemente Porco spinoso, come il fr. Porc-Epic, 
l’ingl. Porcupine e il ted. Stachelschwein. (Nota del Trad.) 


GLI ISTRICI 487 


nemico che desta tutta questa agitazione, l’ Istrice gli volge il 
dorso, nasconde il capo fra le zampe anteriori, e facendo udire 
un sordo grugnito aspetta in tal modo di essere aggredito, spe- 
rando di sconcertarlo. Ma l’aggressore si avanza talora, malgrado 
queste disposizioni ostili; allora l’Istrice gli si avventa addosso, 
camminando da parte o all’indietro, per modo da non presentare 
le parti vulnerabili, e gli configge le spine nel corpo. Le ferite 
che produce in questo caso possono avere le più gravi conse- 
guenze. Alle volte accade che l’Istrice, scuotendosi, lascia cadere 
qualche suo aculeo, che si distacca per l’urto, 0 anche la sepa- 
razione segue nel momento in cui gli aculei penetrano nella 
carne di un nemico. Da ciò’ è venuta probabilmente la favola 
secondo la quale l’Istrice avrebbe il potere di scagliare lontano 
le sue spine contro i suoi avversari, come le frecce degli antichi. 

L’Istrice è un animale selvaggio, solitario e notturno. Abita 
i luoghi aridi e si scava tane profonde, con parecchie uscite 
ove si ricovera nel giorno. Non esce che la notte, per procurarsi 
il cibo, il quale si compone di erbe e di frutta. È innocuo, e 
non aggredisce mai gli altri animali: si limita a difendersi 
quando venga minacciato. Non è essenzialmente soggetto al 
letargo, e se durante la stagione fredda si addormenta, ciò è 
di un sonno assai leggero, che si dissipa ai primi giorni di bel 
tempo. La femmina partorisce una sola volta all’ anno tre 0 
quattro piccoli, che nascono già coperti di aculei. 

La carne dell’istrice è buona a mangiare, rammenta il sapore 
della carne di maiale. Forse perciò, e per un certo suo grugnito, 
quest'animale fu detto anche Porcospino. 

Si trae partito non solo della carne, ma anche delle spine di 
questo animale, che servono a vari usi; per esempio, se ne 
fanno portapenne. 

Nelle isole della Sonda vive una spece di Istrice che si distin- 
gue dalla precedente per avere una coda lunga e terminante a 
mo’ di pennello. È l’Istrice di Malacca, o Ateruro dal pennello 
(fig. 228); è più piccolo della specie comune, e vive a Giava, a 
Sumatra e a Malacca. 

Anche il nuovo mondo ha i suoi Istrici. Il più notevole è 
l’Istrice Americano (fig. 229), che si incontra in diversi Stati del 
Nord. Quest'animale è grosso come il suo rappresentante di 
Europa. Abita le foreste di pini e mangia la corteccia di questi 
alberi. Il suo covo è fatto sotto le radici degli alberi tarlati. 
Quando viene aggredito si rotola in palla, drizza i suoi aculei, 
e in tal modo è impossibile afferrarlo. 

Gli indigeni ne fan caccia per la sua carne che non è cattiva, 


488 ORDINE DEI ROSICANTI 
come pure per la pelle di cui si fanno una pelliccia dopo averne 
tolto gli aculei; questi servon loro di spille. 

Il genere degli Sfigguri è caratterizzato da una coda prensile, 


Fig. 228. Ateruro. 


nuda in parte, e dalle unghie adunche, molto aguzze, che li 
rendon atti ad arrampicarsi sugli alberi. I loro aculei non sono 


ig. 229. Istrice americano. 


no 


iunghi e stanno spesso nascosti sotto i peli; circostanza peri- 
colosa per chi non lo sa, perchè se si passa la mano sul dorso 


LI 


di taluno di questi animali, c'è da ferirsi assai gravemente. 


GLI ISTRICI 489 

Hanno fronte depressa, e non sporgente come i veri Istrici. Si 
trovano in una. gran parte dell'America meridionale. 

Lo Sfigguro Couiy è stato osservato al Paraguay dal natura- 


Fig. 250. Aulacode. 


lista spagnuolo Azara. La lunghezza del corpo è di 50 centimetri; 
quella della coda di 25 centimetri. Vive sugli alberi, ed ogni 


Fig. 251. Idrochero, o Cabiai. 


suo movimento è eccessivamente lento. Sembra che qualunque 
spostamento gli ripugni moltissimo; Azara ne ha veduto uno 
rimanere immobile per quarantotto ore. Insomma, è un animale 
pigro, indifferente e apatico, che non esce dalla sua immobilità 
Ficuier. I Mammiferi. 62 


490 ORDINE DEI ROSICANTI 


che per mangiare. Azara ne ha posseduti cinque, che nutriva 
di erbe, di foglie, di frutta di ogni sorta, di manioca, di gran 
turco e di pane. 

Del genere Senetere la sola specie conosciuta è il Coendù, che 
ha il corpo tutto coperto di aculei. Trovasi nelle foreste della 
Guiana, del Brasile e del Messico. 

Non facciamo menzione del genere degli Aulacodi (fig. 230) 
se non perché le loro forme differiscono essenzialmente da quelle 
degli altri Istrici. Hanno il capo ed il corpo molto più al- 
lungati, le zampe più corte. La coda è assai sviluppata, e 
coperta ovunque di peli spinosi. Questi animali sono grossi come 
conigli, ed abitano l’Africa occidentale. 


Le Cavie o porcellini d'India..— Il gruppo delle Cavie, che 
vien dopo quello degli Istrici, comprende un certo numero di 
Rosicanti che apparentemente sono abbastanza differenti fra loro, 
ma che hanno tuttavia alcuni caratteri comuni assai notevoli. 
I loro molari mancano di radici; le dita, in numero di quattro 
anteriormente e di tre nelle estremità posteriori, terminano con 
unghie rotonde analoghe a zoccoli; la coda non esiste o è affatto 
rudimentale. Le Cavie appartengono esclusivamente all'America 
meridionale, e si dividono in quattro generi principali: gli /dro- 
cheri, le Cavie propriamente dette, i Paca e gli Aguti. 

Gli Idrocheri, detti anche Cabiai (fig. 231), sono i più grossi 
di tutti i Rosicanti. La sola specie che finora sia stata osservata 
misura un metro di lunghezza su 50 centimetri di altezza, ed 
ha la statura di una pecora comune. È un animale dal corpo 
tozzo, dalla testa grossa, dalle orecchie corte e rotonde, dalle 
gambe abbastanza lunghe, dalle dita semi-palmate, dal pelo ru- 
vido e raro, generalmente di color bruno. Vive in società, sulle 
sponde dei laghi e dei fiumi, si nutre di erbe e si scava tane. 
Alla minima apparenza di pericolo si getta nell’acqua, ove nuota 
agevolmente. Gli animali carnivori, come il giaguaro ed il co- 
guaro, ecc., ne distruggono molti. L’uomo dà pure la caccia al- 
l’Idrochero per la sua carne che è, dicesi, buonissima. 

Questo Rosicante è d’indole docile, e si addomestica bene 
quando è preso giovane. E molto sparso nella Guiana e nella 
maggior parte delle regioni bagnate dagli affluenti del fiume 
delle Amazzoni. 

Riguardo a statura, le Cavie propriamente dette contrastano sim- 
golarmente cogli Idrocheri; perché la loro statura supera di . 
‘poco quella del topo. Questi begli animali sono in generale noti 
col nome di Porcellini d'India (in fr. anche Cobaye). 


CAVIE 4910 


Il loro addomesticamento risale a tempi antichissimi. Almeno 
ciò si deve dedurre dalle grandi macchie nere e gialle sopra 
un fondo bianco, genere di colore che avevano già prima della 
loro introduzione in Europa, fino dalla metà del secolo decimo- 
sesto, e che non può essere attribuito all’ azione della natura, 
giacchè nessun Mammifero selvatico si mostra dipinto in così 
vario modo sopra ogni lato del corpo. i 

I Porcellini d’India non mostrano in prigionia nessuna intelli- 
genza. Sono assorti unicamente nella soddisfazione.dei loro biso- 
gni materiali, e sembrano non aver coscienza delle cure che si 
dan loro. Siccome la luce li molesta, dormono sovente durante 
il giorno, e non spiegano qualche attività che la sera o la notte. 
Le femmine producendo molti piccoli ad ogni parto, e potendo 
i giovani riprodursi prestissimo, ne segue che si moltiplicano 
molto rapidamente. Buffon diceva che da una sola coppia si 
potrebbe averne un migliaio in un anno. 

È cosa assai rara fra i Mammiferi che i piccoli appena venuti 
al mondo abbiano quasi tutto il loro pieno sviluppo. Ebbene, 
questa particolarità, lasciando da parte la statura, hanno le Gavie. 
Appena nate, possono tener dietro alla madre, mangiare e pop- 
pare contemporaneamente, perchè i loro denti son già fortissimi. 
Dalla statura in fuori, non hanno nell’aspetto esterno nulla di 
diverso dai loro genitori. 

I Porcellini d’ India (fig. 232) son facili a nudrire; mangian 
pane, radici, cavoli, insalata ed erbe di ogni sorta. Si crede 
generalmente che non bevano mai; ma questo è un errore. 
Quando i loro alimenti sono di natura secca cd hanno acqua 
alla loro portata, non se ne privano. Non danno un gran profitto, 
e non si comprende come l’uomo abbia potuto indursi ad alle- 
varli in casa. La loro picciolezza e il poco sapore della carne 
danno loro un posto molto infimo fra gli animali commestibili. 
È dunque per.curiosità, anzichè per vero interesse, che il Porcel- 
lino d'India è stato naturalizzato in Europa, e che noi lo teniamo 
in conto di animale domestico. 

Si trovano le Cavie allo stato selvatico nell'America meridio- 
dionale, specialmente al Brasile, alla Guiana e al Perù. Hanno 
esistenza notturna, e, secondo le specie, si scavano tane o sì 
nascondono nell’erbe. Sono molto meno feconde della specie do- 
mestica. Si crede che questa provenga dal Cobaye Aperea, specie 
del Brasile e della Guiana. 

I Paca (fig. 233) sono intermediari, per la statura, fra gli Idro- 
cheri e le Cavie. Hanno il corpo tozzo, la testa grossa, fornita di 
saccoccie, le gambe molto basse, ma un po’ più lunghe allo in- 


492 ORDINE DEI ROSICANTI 


dietro che non allo innanzi; le dita fornite d’ unghie scavatrici, 
il pelo duro e poco abbondante. 

Abitaro le foreste del Brasile, della Guiana e del Paraguay, e 
sì scavano tane con tre uscite, in vicinanze delle acque. La loro 
carne è squisita; perciò se ne fa una caccia attiva. Si potrebbe 
acclimarli in Europa ed allevarli in domesticità, perchè sono 
d’indole mite, e si addomesticano agevolmente. Inoltre si nu- 
trono con facilità, giacchè mangiano qualunque sostanza vege- 


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1. - = 24 to; gd 
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Fig. 252. Porcellino d’India. 


tale ed anche carne; infine, il loro temperamento robusto resi- 
sterebbe benissimo al nostro clima. 

L’Aguti (fig. 234) rassomiglia in certo modo alla lepre; ma 
le sue gambe sono più sottili, più alte, e le forme più eleganti: 
anche le orecchie son molto meno sviluppate. Ne differisce poco 
per la statura. Il suo pelo, duro e corto, può divenire irto, sotto 
l'impulso della collera o del timore. 

Gli Aguti sono rosicanti dell'America meridionale e delle An- 
tille. Ordinariamente pongon la loro dimora nei boschi che ri-. 
coprono i poggi ed i monti; gli spacchi delle rocce, i cavi d’al- 
bero, ecc., servon loro di rifugio. Quando mancano queste 
abitazioni naturali, allora si scavano tane. Sono notturni, e si. 


CAVIE digita) 493 


nutrono sopratutto di frutta e di radici. Ma in prigionia sono 
realmente onnivori, e si mostrano anche troppe voraci, perchè 
rodono tutto ciò che cade loro sotto i denti. 


ii 


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Fig. 255. Paca bruno. 


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Si fa la caccia dell’Aguti in America, come in Europa quella 
della lepre e del coniglio. Lo si caccia coi cani alla corsa, 0p- 


A LZ 
NS SET Sp 
eZ n° al 


Fig. 254. Agutl. 


pure al fermo, o gli si tendono agguati, trappole, reti. Tutto 
ciò perchè esso costituisce veramente una eccellente selvaggina. 
Questo rosicante si addomestica molto agevolmente. 


494 ORDINE DEI ROSICANTI 


Castori. — Ora veniamo a descrivere quei Mammiferi celebri in 
tutto il mondo pei loro costumi e per la loro intelligenza, i Castori. 

Prima di tutto faremo un ritratto di questi curiosi rosicanti. 

Il Gastoro ! non ha nell’aspetto nulla che attiri lo sguardo. Le 
sue forme tozze, il suo grosso capo, forato da occhi piccoli e 
da una bocca il cui labbro superiore fesso lascia passare grossi 
incisivi; la sua coda lunga e larga a mo’ di spatola e coperta 
di scaglie; tutto ciò contribuisce a dargli un certo aspstto di 
stupidità apparente. I suoi piedi posteriori son più lunghi de- 
gli anteriori; inoltre sono al tutto palmati, mentre quelli da- 
vanti sono atti ad afferrare gli oggetti, mercè la profonda sepa- 
razione delle dita e la presenza di tubercoli carnosi, i quali per 
la loro posizione sulla parte inferiore delle estremità compiono 
in certo modo l’ ufficio di pollici opponibili. Il muso si prolunga 
un tantino oltre le mascelle, e le narici sono notevolmente mo- 
bili. Anche le orecchie, poco apparenti, son fornite di una così 
fatta mobilità, e possono a piacimento dell’animale applicarsi 
sul capo mentre si tuffa, per modo da impedire che l’elemento 
liquido penetri nell’organo dell’ udito. Il pelame, generalmente 
di color bruno, è benissimo acconcio ai bisogni della vita acqua- 
tica. È fatto di una specie di fina lanuggine, fitta e soffice, che 
ricopre immediatamente la pelle, ed è impermeabile all’acqua. 

Questo primo strato scompare sotto lunghi peli morbidi e lu- 
centi come la seta. Il Castoro è abbastanza grosso: è alto 30 
centim. circa, 60 centim. lungo, senza contare la coda, che essa 
sola è lunga 30 centimetri. 

Abbiamo veduto le Ondatre raccogliersi assieme per fabbri- 
carsi dimore accosto le une alle altre. I Castori ci daranno ora 
un esempio ancor più meraviglioso della forza di associazione 
e dei prodigi che questa compie negli animali. 

I Castori sono essenzialmente acquatici: nuotano benissimo, 
perchè i loro piedi posteriori somigiiano a larghi remi, e la 
coda ad un buonissimo timone. Egli è dunque nei paesi inter- 
rotti da laghi e corsi d’acqua che si debbono naturalmente tro- 
vare. Epperò nelle solitudini dell'America del Nord, principal- 
mente del Canadà, si veggono quasi esclusivamente oggi le 
ultime colonie di Castori. 

Verso il mese di giugno o di luglio i Castori si riuniscono 
in numero di due o trecento, per costrurre un villaggio. Dopo 
aver scelto un sito acconcio sulle sponde di un lago o. di un 
fiume, cominciano le loro operazioni. Se è un lago, imprendono 


1 Fr., Castor; ingl., Beaver ; ted., Biber. 


CASTORIO 495 


subito la costruzione delle capanne, perchè non hanno da te- 
mere mutamenti nel livello dell’acqua. Se invece è un fiume o 
una fiumana, fa d’uopo una diga onde formare al disotto un 
livello costante, e mettere le loro abitazioni al riparo dalle piene. 
Per compiere bene questa colossale impresa, si fa appello a 
tutte le forze della colonia. 

L’esercito industrioso comincia per scegliere un albero ab- 
bastanza alto collocato sulla riva del fiume. Parecchi Castori 
prendono ad intaccarlo alla base, lo segano letteralmente. coi 
loro forti e taglienti incisivi, e lo fanno cadere attraverso alla 
corrente. Quest’albero, che talora è grosso come il corpo di un 
uomo, costituisce la base, e, in certo modo, la chiave di volta 
di tutto l’edifizio. Quando è stato gettato giù, altri Castori gli 
tolgono i rami, onde possa solidamente attraversare il fiume 
sulle due sponde sulle quali posano le sue estremità. Nello stesso 
tempo il resto della comitiva si disperde sulle due rive; segano 
gli alberi più piccoli, tolgon loro i rami e ne fanno tanti piuoli; 
poi li mettono nell’acqua e li portano fino sul sito della diga. 
Ciò fatto, altri operai infiggono i piuoli nel letto del fiume; al- 
cuni coll’aiuto della bocca e delle zampe anteriori li tengono 
verticalmente, mentre altri scavano buchi che debbono riceverne 
la punta affilata. Questi piuoli vicini gli uni agli altri, ed ap- 
poggiati al grosso albero che attraversa il corso d’acqua, sono 
in seguito rilegati tra loro in modo da formare una diga che 
presenta molti interstizii. 

Finora abbiamo veduta all’opera i falegnami; l’ ufficio dei 
muratori sta per aver principio. I Castori salgono sulla sponda, 
impastano la terra coi piedi, la battono colla coda, poi traspor- 
tano questa specie di stucco fino alla loro diga, e ne turano tutti 
i buchi. La bocca e le zampe anteriori sono i veicoli che ser- 
vono a compiere questi trasporti. 

Dopo questa muratura la diga è terminata. Ha talora fino a 
30 o 85 metri di lunghezza su 3 o 4 metri di spessore alla base. 
Sulla cima l’edifizio non oltrepassa un metro di larghezza, per- 
chè è tagliato obliquamente dal basso all’alto, disposizione me- 
glio conveniente per ismorzare l’ urto della corrente, e soste- 
nere il peso dell’acqua. Dicesi anche che questa faccia della diga 
“ sia talora di forma convessa, e ciò anche per lo stesso scopo. 

Terminati questi preparativi, la massa dei Castori si divide 
in tante piccole compagnie, le quali procedono, isolatamente e 
ognuna per conto proprio, alla costruzione di una capanna co- 
mune. Questi intelligenti animali danno prova in questa nuova 
fase del loro lavoro deila stessa maestria e delle stesse facoltà che 


496 ORDINE DEI ROSICANTI 


avevano messo in opera prima. Le loro casette son fabbricate 
sopra palafitte, in riva. all'acqua. Sono di forma rotonda od 
ovale, cd hanno 2 a 3 metri di diametro interno. Si compon- 
gono di due, talora anche di tre piani, di cui il più basso servé 
di magazzino; gli altri son destinati più specialmente per l’abi- 
tazione. I muri hanno fino a 60 centimetri di spessore, e ter- 
minano in un soffitto a mo’ di cupola. Tutto, le mura e la cupola, è 
murato con cura e reso impenetrabile all’acqua, mentre nel tempo 
stesso può resistere ai più forti venti. Il legno, la pietra, la sabbia, 
il fango sono le principali materie di questi edifizi, cementati poi da 
uno stucco che il Castoro applica colla coda, che gli-fa ufficio di. 
cazzuola. La casa ha due ingressi: uno che si apre nel magaz- 
zino e dà adito al fiume, l’altro che è praticato nella parete del 
piano superiore sopra la superficie dell’acqua, e pel quale gli 
abitanti possono entrare ed uscire. 

Il numero dei proprietari di una medesima capanna varia 
molto : è ordinariamente di quattro o sei, accoppiati due a due, 
ma può andare fino a quindici o venti. Talora ogni famiglia 
sì mette in uno scompartimento particolare, diviso da tramezzi ; 
ma per lo più le varie coppie vivono accanto le une delle altre 
senza veruna separazione. Il magazzino è comune a tutti gli 
abitanti della capanna; ma ne è vietato l’ ingresso a quelli 
delle capanne vicine. Contiene corteccie e rami di legni teneri, 
come gli alni, i salici, i pioppi, di cui i Castori fanno loro cibo 
prediletto. Ben inteso, non è che d’inverno che si ammucchiano. 
queste provviste. Siccome il magazzino non potrebbe contenerne 
una copia sufficiente ad alimentare la comitiva per tutta la’ 
cattiva stagione, i Castori ne ammucchiano anche nell’acqua 
intorno alla loro dimora. 

La più perfetta concordia, l’armonia più esemplare, regnano 
nella colonia. Quando uno dei. soci sospetta qualche pericolo, 
ne fa avvertita la piccola repubblica, battendo a varie riprese 
l’acqua colla coda. Ne risulta un rumore il quale, mercè la 
pronta trasmissione del suono nelle onde liquide, si propaga 
rapidamente in tutte le abitazioni. All’ istante ognuno provvede 
a sottrarsi al pericolo: gli uni situffano, gli altri si rinchiudono 
nelle loro case, ove nessun nemico, fuorchè l’ uomo, potrebbe 
raggiungerli. 

La gestazione della femmina del Castoro è di quattro mesi, e 
nel gennaio partorisce da due a cinque piccoli. Li cura con 
grande altenzione. Dopo alcune settimane sono sufficientemente 
forti, non già per fare a meno di protezione, ma per seguir 
fuori la madre. In questo frattempo il maschio è scomparso; è 


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del Canadà 


ig. 255. Gli architetti 


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FiGuIER. I Mammiferi 


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CASTORI 499 


andato in giro pei boschi, in cerca di teneri germogli, di scorze 
fresche, di radici di ninfea e di altre piante acquatiche. La fine 
dell’estate riconduce nella colonia questi amanti della villeggia- 
tura, e tutti si mettono in opera per riparare la diga e le loro 
capanne, che hanno sovente sofferto dalle inondazioni della pri- 
mavera. 

Una circostanza che giova notare nei costumi del Castoro è 
la sua somma nettezza. Non lascia la menoma sporcizia sul 
pavimento della sua camera. Anche in prigionia fa lo stesso. 
Buffon, che ne ebbe uno, dice che quando lo si teneva rinchiuso 
troppo a lungo, deponeva i suoi escrementi accanto alla porta, 
e appena si apriva quella porta si affrettava a gettarli fuori. 
Quest’orrore della immgndezza pare derivare dalla squisita sen- 
sibilità del suo odorato, che non gli permette di sopportare i 
cattivi odori. 

V’ ha certi dotti, come Buffon, Federico Cuvier, Isidoro 
Geoffroy Saint-Hilaire, Flourens, ecc., che pretendono spiegare 
coll’istinto le azioni meravigliose che abbiamo raccontate. Que- 
sti naturalisti asseriscono tutti unanimi che il Castoro fabbrica 
per istinto, pel piacere di fabbricare: è una’ macchina da co- 
strurre. Federico Cuvier e Flourens invocano in appoggio di 
questa considerazione il fatto, che il Castoro in prigione si di- 
verte qualche volta a fabbricare, « senza scopo alcuno, » s0g- 
giungono quei dotti pensatori. Ma se si fosse imprigionato Pa- 
ganini, avrebbe suonato il violino per distrarsi; se si fosse get- 
tato in carcere Rubens, avrebbe dipinto per passatempo. Si sa- 
rebbe detto per questo che Paganini era una macchina per 
suonare il violino, e Rubens una macchina per dipingere? Non 
crediamo necessaria una discussione più seria della dottrina 
che nega l’ intelligenza al Castoro. 

Il Castoro non fabbrica più quando le condizioni di esistenza 
in vista delle quali è stato creato gli sono, per una causa o per 
un’altra, rese impossibili. Ciò spiega la ragione per cui i Ca- 
stori d’ Europa, invece di riunirsi per vivere e lavorare in co- 
mune, come i loro fratelli d'America, rimangono isolati ed abi- 
tann tane. Per questa ragione si chiamano Castori delle tane. 
Infatti, si comprende agevolmente che la vicinanza dell’ uomo, 
le sue incessanti persecuzioni, il via vai continuo che disturba, 
presso i popoli civili, la tranquillità dei corsi d’acqua, siano 
tanti motivi potenti che agiscono riuniti per modificare le abi- 
tudini di questi rosicanti. 

È doloroso da riconoscere, ma il Castoro va sempre scemando, 
tanto in America che altrove. La caccia che gli fu fatta è stata 


500 ORDINE DEI ROSICANTI 


tanto imprevidente che il numero di questi animali da un se- 
colo in qua è notevolmente diminuito, e si può prevedere il 
momento in cui la specie avrà cessato di esistere. L'uomo abusa 
di ogni cosa; volontariamente si priva di certi vantaggi, di cui 
con un po’ meno di avidità avrebbe potuto sempre godere. 


« Le società di Castori, dice il signor Ernesto Menault, in un articolo 
che avremo occasione di citare ancora in seguito, si sono mantenute nel 
nostro paese fino al termine del medio evo, malgrado la persecuzione 
dell’uomo. Mano mano però che questo ha perfezionato le sue armi e i 
suoi mezzi di caccia, i Castori raddoppiavano di prudenza, di astuzia, di 
sagacia ; finalmente dovettero soccombere innanzi alle armi da fuoco. La 
vita in società trascinava pericoli troppo grandi, per cui bisognò rinun- 
ciare alle dolcezze dell’ associazione. Le famiglie si dispersero, e non 
trovando più sicurezza nelle loro capanne che attraevano lo sguardo del- 
l'uomo, i Castori cercarono un asilo nelle fessure delle rocce scoscese 
che stanno sulle rive dei fiumi. In tal modo quest’animale ha rinunziato 
alla vita sociale, ha adottato costumi e abitudini tutte nuove, ha creato 
una nuova industria; e il muratore è divenuto minatore, facendo così il 
contrario dell’uomo, il quale, prima nascosto nelle caverne, si è costrutto 
più tardi capanne all'aria aperta, allorchè non ebbe più nulla da temere 
dalle belve. » 


Molte persone ignorano che la Francia possiede Castori. Tut- 
tavia ciò è esattissimo. Non si trovano invero in gran numero 
in questo paese, ma la loro esistenza non potrebbe essere ne-. 
gata. Il corso meridionale del Rodano, e in qualche caso l’ in- 
gresso dei suoi principali affluenti, come l’ Isére, il Gardon, la 
Duranza, sono i soli punti ove vivono i pochi Castori francesi. 
Sfortunatamente tutto lascia presumere che non godranno a 
lungo di questo privilegio; l’avidità dell’uomo per le pelli di 
quest’animale nè produrrà infallibilmente l’assoluta scomparsa 
dal suolo francese. 

I Castori del Rodano pongon dimora principalmente nelle 
isole. Essendo queste per lo più disabitate vi si trovano più 
sicuri che non sulle sponde del fiume. La loro tana comunica 
col Rodano per una lunga galleria, che s’apre sempre sotto al 
livello dell’acqua, onde sottrarre la loro abitazione agli sguardi 
malevoli. Questa tana è talora vastissima e vi si ricoverano 
parecchi individui. In un podere del dipartimento del Gard, es- 
sendo crollata una diga, si scoperse una di queste tane. Era 
lunga 145 metri, ed era divisa in parecchi scompartimenti. 

Tuttavia sussistono ancora in Europa colonie di Castori mu- 
ratori. Questo fatto fu riconosciuto nel 1837 da un osservatore 
tedesco, non lungi da Magdeburgo, sopra uno dei confluenti del- 


CASTORI 501 


l’Elba. Certi Castori si erano raccolti in quel sito, e vi aveano 
costrutti edifizi al tutto simili a quelli dei Castori d'America. 
Così fatte colonie sono, come si può credere, rarissime, ed ec- 
citano in sommo grado la curiosità di tutti. 

Il Castoro sta benissimo in prigionia, e sebbene l’acqua sia il 
suo elemento naturale, pure si può privarnelo senza inconve- 
niente. Quello che possedette Buffon, e che era stato preso gio- 
vanissimo al Canadà, manifestava anche un certo ribrezzo per 
l’acqua, e non voleva entrarvi dentro; ma dopo che gli ebbero 
fatto prendere per forza un bagno per alcuni minuti ne fu sod- 
disfatto, e ritornò a tuffarsi nell'acqua ogni volta che ne ebbe la 


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Fig. 256. Castoro del Rodano. 


comodità. Era famigliare, ma indifferente. Quando voleva man- 
giare agitava le zampe anteriori mandando piccole grida. 

Si è fatto l’esperimento curioso di allevare il Castoro in do- 
mesticità ponendolo in condizione di poter svolgere il suo istinto 
naturale, agevolando anche con vari mezzi la manifestazione di 
questo istinto. Una prova di questa sorta venne tentata dal si- 
gnor Exinger, di Vienna, sulle sponde di un vasto stagno collo- 
cato nei dintorni di Modlin (Polonia); il Bul. de la Soc. d’accli- 
matation ne ha dato il resoconto nel gennaio 1806. 

I Castori del signor Exinger erano di quelli che si scavano 
tane. L’osservatore potè studiarli per lo spazio di sei anni. Erano 
timidissimi, e non uscivano che la sera dalle loro dimore. Al- 
l’accostarsi dell’ inverno il signor Exinger faceva gettar giù sa- 


502 ORDINE DEI ROSICANTI 


lici e pioppi, che si deponevano sulla riva dello stagno, col 
tronco nell’acqua. Appena cominciò il freddo i Castori tirarono 
giù quegli alberi al fondo dello stagno, li collocarono uno ac- 
canto all’altro, intrecciandoli per modo da farne un complesso 
solido e resistente. Quando l'inverno si prolungava, il signor 
Exinger faceva rompere il ghiaccio, e faceva metter dentro l’acqua 
altri tronchi di alberi freschi, onde rinnovare le provviste dei 
prigionieri. 

Il dottor Sacc ha fatto osservare, a questo proposito, che vi 
sarebbe un mezzo eccellente di approfittare delle immense pa- 
ludi dell’ Est e del Nord dell’ Europa: consisterebbe nell’agevo- 
lare lo stabilimento e la riproduzione dei Castori. Basterebbe per 
ciò piantare presso a quelle paludi gli alberi preferiti da que- 
sti animali: salici, pioppi, alni, betulle, ecc. Impresa di poca 
spesa che in breve diverrebbe una sorgente di ricchezza per 
l'Europa, che troverebbe in casa le preziose pelliccie che com- 
pra oggi tanto care in America. 

Nel 1868, alcuni Castori son stati portati dall'America al Giar- 
dino delle Piante di Parigi, e colà diedero campo ad osserva- 
zioni curiosissime intorno alla loro intelligenza. Il signor Er- 
nesto Menault descrive nel modo seguente le meraviglie di quei 
piccoli architetti trasportati nel nostro clima. 


« Essi sono in numero di quattro. Due furono dati dal capitano Lay- 
nel che li aveva portati da Terra-Nuova, e sono in età di un anno; gli 
altri due furon comprati dal signor Douenel. Tutti sono stati messi in 
una gran cassa di legno il cui ingresso è a fior d’acqua. Appena i Ca- 
siori si accorsero di trovarsi colà in condizioni favorevoli alla loro esi- 
stenza, si son messi all’opera per render solida la loro abitazione, per 
difenderla contro le ingiurie del tempo e senza dubbio per mettersi me- 
glio al riparo. E, fatto notevole che non si potrà certo attribuire all’abi- 
tudine o al solo istinto, quei Castori hanno tolto via l'erba del piccolo 
praticello del loro dominio e l’hanno portata sopra la loro capanna, per 
modo da ricoprirla al tutto, e farle una sorta di tetto sul quale |’ acqua 
può scorrere, e che ripara i Castori dal freddo e dai rumori. Infine, essi 
hanno fatto un lavoro speciale che non era nelle loro abitudini. 

« Ecco un’altra prova della loro intelligenza. All’altra estremità della 
loro capanna era siata fatta un'apertura dalla quale si porgeva loro il 
cibo, pane e carote. Ciò sembrò loro inutile; forse credettero compro- 
messa la loro sicurezza. Cominciarono dunque a mmurare quell’apertura, 
la coprirono di terra. Ogni giorno il guardiano disfaceva il loro lavoro, 
ogni giorno essi ricominciavano. Si risolvette finalmente di lasciarli tran- 
quilli. I signor Milne-Edwards, che nutre per quegli animali molto inte- 
resse, fece mettere a loro disposizione molti rami d’alberi: essi si diver- 
tono a roderli e ne portano gli avanzi nella loro capanna, che è tenuta 


CASTORI 503 


con grande pulitezza; perchè questi animali intelligenti hanno cura di 
gettar fuori i loro escrementi. Quest’'inverno ebbero l’idea di chiudere 
l’ingresso della loro capanna per ripararsi dal freddo. Di tratto in tratto 
vanno a passeggiare sull'acqua, perchè dovete sapere che il Castoro è il 
solo fra i quadrupedi che abbia la coda coperta di taglie che gli fa. 
ufficio di timone per dirigersi sull’acqua; il solo che abbia.i piedi poste- 
riori palmati; il solo che mentre sembra appartenere agli animali terre- 
stri per le parti anteriori del corpo, si direbbe che nelle posteriori par- 
tecipi degli animali acquatici. Egli è, dice Buffon, la sfumatura fra i qua- 
drupedi ed i pesci, come il pipistrello fra i mammiferi e gli uccelli !. 
Un giorno dunque i nostri Castori si misero a nuoto nel loro fiumicello, 
e andarono a far visita ad un altro Castoro che viveva solitario in una 
capannuccia situata alla punta del loro dominio. Si videro, fecero due 
chiacchiere, e l'accoglienza parve cordialissima dalle due parti; l'indomani 
il povero solitario venne a restituir la visita ai nuovi venuti. Non so 
Airvi ciò che avvenne durante quest’incontro. Certo è che si trovò il 
povero Castoro giacente senza vita alla porta di coloro che aveva cre- 
duto suoi amici. Può darsi ch’egli abbia chiesto di vivere seco loro e 
che non conoscendolo essi abbiano rifiutato di ricerverlo, e dopo ne sia 
seguita una rissa in cui finalmente sia rimasto morto. 

« Ci fa pena supporre un tale atto di crudeltà per parte di animali 
che sono tanto avversi alla carne ed al sangue, che son nemici della 
guerra e della rapina, che hanno indole mite e pacifica, che sono essen- 
zialmente amanti della libertà. In molti casi si è osservato con quanta 
pazienza e con quale tranquillità i Castori rodono la porta della oro 
prigione. E si son veduti ultimamente i Castori del Giardino delle Piante 
irar partito di una maglia rotta nella rete metallica che chiude il loro 
dominio per allargare l’apertura e partire e passeggiare liberamente nei 
dintorni. Non fu senza fatica che si riuscì a ricondurli nel loro domicilio 
ed impedire la loro fuga. » 


Non è soltanto la pelliccia che si cerca del Castoro, ma an- 
che un prodotto particolare detto castoreum, e di cui la medi- 
cina fa uso come antispasmodico. Questo prodotto non è altro 
che una sostanza odlorosa, cui secernono due ghiandole collo- 
cate alla radice della coda. Altre saccoccie vicine alle prime 
producono l’olio che impregna l’integumento del Castoro e lo 


1 Questa asserzione del Buffon non ha più nissun valore oggi. dopo- 
chè s'imparò a considerare gli animali tenendo conto di tutti i rapporti 
che li collegano fra loro, e subordinando i caratteri più importanti agli 
altri; il nuotare agevolmente non significa in un mammifero analogia con 
un pesce. Un delfino sarebbe per questo riguardo la sfumatura del pesce 
assai più che non il Castoro, e tuttavia nissuno pensa a collocare il del- 
fino in un punto intermedio fra i mammiferi ed i pesci. L’attitudine al 
volo non fa che il pipistrello sia una sfumatura tra i mammiferi e gli 
uccelli. Il pipistrello è un mammifero genuino, e non ha affinità cogli 
uccelli di tal fatia da potersi collocare in un posto intermedio fra i mam- 
miferi e gli uccelli stessi. (Nota del Trad.) 


504 ORDINE DEI ROSICANTI 


rende impermeabile all'acqua. Si accerta che la carne del Ca- 
storo non è cattiva, e che le popolazioni indiane dell'America 
del Nord se ne contentano benissimo. i 

I Castori abitano le regioni settentrionali dei due continenti ; 
l'Europa, l’Asia e l'America. In Asia non si trovano che in Si- 
beria e nella grande Tartaria; in Europa vi sono Castori in 
iussia, in Polonia, in Prussia, in Austria e nel mezzodìi della 
Francia. Altre volte eranvene in tutte le varie parti di quest ul- 
timo paese. 

Si son trovati fin presso Parigi avanzi fossili di Castori, ed 
il fiumicello Bièévre sembra aver avuto quel nome”dai Castori 


Fig. 257. Miopotamo. 


che altre volte vivevano sulle sue sponde (i Castori del Rodano 
son detti Bievres dalle popolazioni del mezzogiorno della Fran- 
cia). L'Inghilterra ha posseduto Castori sino alla fine del dodi- 
cesimo secolo. 


Miopotamo. — I Miopotami (Topì di fiume) hanno molta ras- 
somiglianza coi Castori. Hanno a un dipresso la stessa statura, 
e, come i Castori, hanno piedi palmati; ma la loro coda è ci- 
lindrica e scagliosa come quella dei Topi. 

La sola specie conosciuta di Miopotamo (ted. Wassermaus) è 
il Coypù, comunissimo al Chili ed alla Plata, e che si trova 
pure, ma molto più scarso, al Brasile e negli altri Stati del- 
l'America meridionale. Gl’indigeni gli fanno guerra accanita 
per impadronirsi della sua pelle. Questa caccia si fa la notte 
coi cani, perchè il Coyp& non esce durante il giorno. Un tempo 


GENERE SCOIATTOLO 505 


l'esportazione delle pelli di Coyp si faceva in grande. Secondo 
il signor d’ Orbigny, se ne vendettero, dal 1327 al 1828, oltre 
a cento cinquanta mila dozzine, col nome di Castori della Plata: 
e in certi anni la cifra totale delle pelli portate sui vari mer- 
cati del mondo è salita fino a tre milioni. 


Genere Scoiattoloo — Veniamo ora all’ interessante gruppo 
degli Scoiattoli. Questo gruppo comprende, oltre gli Scosattoli 
propriamente detti, gli 
Seiurotteri,, i Pleromi, 
gli Anomaluri ed i Ta- 
mia. 

Gli. Scoiattoli sono 
graziosi animaletti, dal- 
le forme eleganti, dai 
movimenti svelti, dal- 
l’aspetto sveglio, dal- 
l'occhio vivace e spor- 
gente. Si riconoscono 
agevolmente per la loro 
lunga coda, rialzata a 
guisa di pennacchio fin 
sopra il capo, ornata di 
peli distici, vale a dire 
disposti come le barbe 
di una penna; per le 
orecchie soventissimo 
terminate da un ciuf- 
fette: di peli» per ‘la 
loro pelliccia morbi- 
da, abbondante, netta 
e ben lucida. Hanno 
unghie adunche, e si Fig. 258. Scoiattolo. 
arrampicano con som- 
ma velocità sulla cima degli alberi altissimi. La foresta è ‘il 
loro mezzo naturale. Sono sommamente mobili e petulanti. Se 
sono qui vogliono saltar là, si vedono passare senza posa di 
ramo in ramo, da un albero all’altro. Talora si slanciano a terra 
da tanta altezza che certo non tenterebbero quel salto altri ani- 
mali. Si direbbe che cadendo vanno a spaccarsi il capo. Niente 
affatto; cascano senza farsi alcun male, tanto hanno membra 
agili ed elastiche; poi si mettono a saltellare per ogni verso. 
La coda è per loro di grande aiuto -per eseguire questi salti 

FiGuiER. I Mammiferi. 64 


506 ORDINE DEI ROSICANTI 


pericolosi; come pure per lanciarsi quando vanno da un albero 
all’altro distante alle volte dodici o quindici passi. Irrigidita 
orizzontalmente nel momento di saltare, presenta una larga su- 
perficie, e concorre, colle membra stese, ad aumentare la resi- 
stenza dell’aria. 

Lo Scoiattolo si nutre principalmente di nocciuole, di semi 
di faggio, di ghiande, di mandorle, di castagne e di frutta. Quando 
trova qualche nido di uccellini ne sugge benissimo le uova, e 
divora anche gli abitanti. Nei paesi settentrionali mangia i semi 
dei pini e dei larici, dopo averli estratti con bel garbo {dalle 
pigne che li racchiudono. Spacca inoltre benissimo i noccioli 
più duri per divorarne la mandorla. Quando ha preso qualche 
frutto o qualche bacca si siede sulle zampe posteriori, e porta 
il cibo alla bocca colle due zampe anteriori. 

Ha l’istinto della previdenza, e fa le sue provviste durante 
l’estate per non morir di fame nella cattiva stagione. Spinge la 
precauzione fino a nascondere alimenti in vari luoghi, onde non 
manere sprovvisto se uno di questi magazzini gli viene a 
mancare. Ordinariamente conserva le sue provvigioni nei tron- 
chi d’alberi, talora anche nella terra; ha memoria eccellente, 
perchè sa trovarle benissimo quando è venuto il momento di 
adoperarle. 

Esso teme la piena luce del giorno, e non esce dalla sua di- 
mora che al tramonto. Questa dimora è un nido, un vero nido 
elegante, comodo, collocato per lo più all’incrociatura di grossi 
rami. È fatto di pezzettini di legno intrecciati solidamente con 
muschio, ed ha a un dipresso forma sferica; è sufficientemente 
grande per contenere il padre, la madre, e tre o quattro piccoli. 
Sulla parte superiore sta una stretta apertura, che appena ba- 
sta a poter entrare ed uscire; ma siccome la pioggia vi entre- 
rebbe agevolmente, lo Scoiattolo vi sospende sopra una sorta di 
tettoia obliqua che lascia scolare l’acqua del cielo, e ripara la. 
diletta abitazione dalle innondazioni. 

Questi graziosi rosicanti vivono appaiati; la loro unione non 
è passeggera come quella di molti altri mammiferi, perchè il 
maschio continua a vivere colla sua compagna dopo il tempo 
degli amori. La madre mostra pei suoi piccoli una tenerezza 
vivissima che le suggerisce vari stratagemmi onde sottrarli ai 
pericoli che li circondano. Quindi prima di partorire ha avuto 
cura di costrurre parecchi nidi ad una certa distanza gli uni 
dagli altri; e frequentemente le accade, anche senza apparenza 
di pericolo, per semplice prudenza, di prender colla bocca i suoi 
piccoli e mutarli di casa. Il mattino, appena è l’alba, li porta 


GENERE SCOIATTOLO DDT 


giù sull’erba, per far loro prendere un qualche esercizio. Se 
allora sopraggiunge qualche intruso, li trasporta il più presto 
che può, l’ uno dopo l’altro, all’ inforcatura del ramo più pros- 
simo, poi va a raggiungerli. Per ottenere il suo scopo adotta 
una tattica che adoperano tutti i suoi simili in faccia al peri- 
colo. Rimane nascosta dietro al tronco dell’albero, e gira con- 
temporaneamente con quello che la insegue, sia uomo od ani- 
male, per modo che riman sempre nascosta, Mentre gira sale 
però tanto bene, che finisce per giungere al porto sana e salva. 
Colà rimane immobile ed invisibile, finchè sia scomparsa ogni 
apparenza di pericolo. Perciò è difficilissimo ad un cacciatore 
solo sparare sopra uno Scoiattolo e colpirlo. 

Questo animale nuota a meraviglia, sebbene non abbia so- 
vente occasione di farlo: ma non si serve della coda per farne 
un timone, come hanno narrato parecchi autori. È eccessiva- 
mente pulito : e passa una gran parte del suo tempo a lisciarsi 
e pettinarsi. Quindi non manda mai cattivo odore. Quando viene 
irritato fa sentire una sorta di brontolio; ma il suo grido solito 
è una nota acuta, che svela sovente la sua presenza. 

La dolcezza, la vivacità e la grazia dello Scoiattolo gli hanno 
fatto acquistare la simpatia dell’uomo, che si compiace di alle- 
varlo in casa. Preso giovane si addomestica agevolmente, ma 
non dimostra mai grande riconoscenza a chi gli ha reso il ser- 
vizio di privarlo della libertà. Quando mai si cesserà dal rin- 
chiudere gli Scoiattoli in quelle orribili girandole, che essi ten- 
gono sempre in movimento pel gusto degli oziosi? Si crede 
forse che adoprandoli a questo mestiere si compiano i loro più 
ardenti voti? Finchè non ci sarà dato di ciò una prova convin- 
cente, ci permetteremo di dubitarne !. 

Si trovano Scoiattoli in tutte le parti del mondo, e ovunque 
essi hanno gli stessi costumi della nostra specie europea (fig. 238), 
alla quale si addice particolarmente ciò che abbiamo riferito ?. 


_ * Una prova convincente che l’esercizio nella girandola non deve di- 
spiacere agli Scoiattoli si è questa, che molte volte si vedono questi ani- 
maletti, liberi in una stanza, rientrare volontariamente nella loro pri- 
gione per far muovere la girandola. Vedi Gené, Storia naturale degl 
Animali, vol. 4, pag. 243. (Nota del Trad.) 

2 Carlo Bonaparte principe di Canino, nella sua iconografia della Fauna 
italiana, distingue dallo Scoiattolo volgare lo Scoiattolo italiano, cui con- 
sidera siccome specie particolare. Secondo questo naturalista, lo Scoiat- 
tolo italiano poco differisce nelle forme da quello che è comune nella 
maggior parte in Europa. Ha il capo arrotondato posteriormente, poco 


508 ORDINE DEI ROSICANTI 


Dobbiamo aggiungere tuttavia che in certi paesi gli Scoiattoli 
vivono, non isolati e appaiati, ma in strupi numerosi. È questo 
il soio punto essenziale per cui differiscono fra loro le nume- 
rose specie del genere. Ben inteso, non parliamo delle differenze 
nella mole, nei costumi, che sono invece molto spiccate. Quindi 
gli Scoiattoli dell’ India e delle isole Malesi sono notevoli per 
lo splendore e la varietà dei loro colori; e uno di essi, il grande 
Scoiattolo del Malabar, è grosso più del doppio dello Scoiattolo 
d’ Europa. Nelle regioni temperate di Europa, questo è ordina- 
riamente di un rosso più o meno vivo sul dorso, e bianco sotto; 
talora pure è brunissimo ed anche nero. 

Il pelame dello Scoiattolo varia del resto secondo la stagione : 
quest’animale ha il pelo di estate e il pelo d’inverno. Nella 
Svezia, in Russia ed in Siberia, diviene di un bel grigio ardesia 
sotto l’azione del freddo. La sua pelliccia, cui si dà anche il nome 
di petit-gris, acquista allora molto valore, e se. ne esportano 
quantità considerevoli. 


Generi Sciurottero, Pteromide e Anomaluro. — Gli animali ri- 
partiti fra questi tre generi sono volgarmente noti col nome di 
Srotattoli volanti. Hanno per carattere comune di esser forniti di 
membrane ad ali, che si stendono sui fianchi fra le membra 
posteriori e le anteriori. Queste membrane, pelose come il ri- 
manente del corpo, costituiscono veri paracadute che permettono 
agli Sciurotteri e agli altri di sostenersi un po’ più a lungo 
nell’aria di quello che facciano gli altri animali, e per con- 


declive nella sommità, depresso sui lati, e sopratutto nella fronte ; il muso 
piuttosto assottigliato; denti incisivi ranciati sulla faccia anteriore, bianchi 
d'avorio nel resto; gli occhi grandi sporgenti collocati forse più in basso 
che nello Scoiattolo volgare; le orecchie grandette con pomposi pennac- 
chi di lunghi peli che scaturistono dai margini loro. Il pelame di tutto 
l’animale è soffice, ma quello del petto è più tenero quantunque più 
folto; ed ogni pelo della parte superiore è cannellino in punta, scuretto 
nel mezzo, cenerino verso la radice; talchè il manto al disopra è di un 
color lionato scuro 0 vogliam dir cappuccino, che disotto nella regione 
dei genitali verge in cinereo cupo, o piombino, candidissimo però per 
tutto il resto del ventre e del petto, non meno che in una striscia an- 
solare, che disoito la giogaia rompe il colore del manto; e mette punta 
sul labbro inferiore. La coda è del color lionato del tronco, ma i ‘peli 
decisamente distici non sono così nettamente tripartiti di colore; ed è 
pomposa anche essa più delle orecchie. Le estremità vestono un sol co- 
lore, simile quasi a quello del manto, più cenerino che lionato; le un- 
ghie sono cenerognole con la punta cornea. (Nota del Trad.) ' 


GENERI SCIUROTTERO, PTEROMIDE E ANOMALURO 509 


seguenza di varcare con un salto solo distanze abbastanza 


grandi. 
Non son dunque ali; e, infatti, non possono servire all’ani- 


Fig. 259. Sciurottero. 


male a sollevarsi, come negli uccelli, ma soltanto a scendere 
ed a muoversì in senso orizzontale. Tranne questo tratto carat- 


Fig. 240. Pteromide splendido. 


teristico, questi tre generi di rosicanti hanno al tutto la fisono- 
mia e i costumi dei veri Scoiattoli. 

Gli Sciurotteri (Scoiattoli dalle ali) (fig. 239) sono i più pic- 
coli Scoiattoli viventi. Abitano le regioni settentrionali del globo, 


510 ORDINE DEI ROSICANTI 


specialmente la Russia, la Siberia e l'America del Nord. Sem- 
bra tuttavia che se ne trovino fino sul versante indiano del- 
l’ Imalaia. 

I Pieromidi (Topi dalle ali, da pteron, ala, mus topo) sono più 
grossi dei precedenti. Sono particolari all’Asia meridionale e al- 
l'arcipelago Indiano. La specie più notevole è il Pteromide splen- 
dido (fig. 240), il cui pelame è di un rosso bruno molto brillante. 


LITI 


| 


TALI 


I 


ili 


TULILIIMI 


dd 4 DABRAND 


lug. 231 Anomaluro. 


Gli Anomaluri non son conosciuti dai naturalisti che dal 
1840, tempo in cui il signor Fraser nè portò uno da Fer- 
nando-Po. Essi abitano la costa occidentale dell’Africa. Uno dei 
loro più singolari caratteri consiste nella presenza, alla base 
inferiore della coda, di grosse scaglie imbricate le une nelle 
altre, e che sembrano incaricate di fornir loro un punto di ap- 
poggio quando si arrampicano verticalmente sugli alberi. 

La fig. 244 a pag. 513 rappresenta gli Scoialtoli volanti pro- 
prii delle foreste della Florida, negli Stati Uniti d'America. 

La membrana alare è molto appariscente su questa specie. 


GENERI TAMIA, SPERMOFILO E MARMOTTA 511 


Genere Tamia. — I Tamia rassomigliano molto ai veri Scoiat- 
toli; ma hanno la coda un tantino più corta, e sono forniti di 
serbatoi pel cibo. La loro vita non è esclusivamente arborea ; 
corrono anche volentieri sul suolo, e, lungi dallo annidarsi su- 
gli alberi, si scavano tane, nelle quali ammucchiano vettova- 
glie, raccolte precedentemente nei loro serbatoi. Si nutrono non 
solo di scorze e di frutta, ma anche di semi. Sono animali eso- 
tici; non s'incontrano che in Africa, nell’ India e nell'America 
settentrionale. Le specie principali sono lo Scotattolo scavatore, 
del Senegal e lo Scotattolo delle palme dei continente indiano, 
così chiamato perchè preferisce rimanere sulle palme. 


Genere Spermofilo. — Gli Spermofili non appartengono invero 
al gruppo degli Scoiattoli, ma essi li rannodano alle Marmotte 
pel genere Tamia. Difatti, hanno serbatoi pel cibo come questi 
ultimi; ma mentre i Tamia sono metà terrestri metà arborei, 
gli Spermofili sono essenzialmente terrestri. La loro coda, seb- 
bene assai ben fornita, non è tuttavia nè lunga nè fitta, nè a 
mo’ di pennacchio come quella degli Scoiattoli. Il loro nome in- 
dica che amano i semi. Vale a dire che possono divenire un fla- 
gello allorchè si moltiplicano smoderatamente nelle terre coltivate. 

La specie tipo del genere è il Suslik, sparso in Austria, in 
Boemia, in Ungheria, in Polonia, in Russia, in Siberia, ed in 
Tartaria. Questo animale vive solitario, sì scava una profonda 
tana munita di parecchie uscite, ove raccoglie ogni sorta di 
semi. Queste provviste non gli sono di grande utilità, perchè 
nell’ inverno cade in letargo. Si dice che la sua carne sia buona, 
e la sua pelliccia molto apprezzata. 

Trovansi varie specie di Spermofili nell'America settentrio- 
nale. Una ha un pelame curiosissimo: è lo Spermofilo dalle tre- 
dici strisce (fig. 242), così chiamato perchè ha il dorso solcato 
da tredici strisce longitudinali, alternativamente chiare e brune, 
queste ultime sparse di macchie chiare. 


Genere Marmotta. — Fra gli Scoiattoli, vivaci, graziosi, ben 
proporzionati, e le Marmotte dal corpo tozzo, dall’andatura im- 
pacciata, la differenza è certo notevole. Nondimeno le Marmotte 
si collegano allo Scoiattolo per mezzo degli Spermofili. 

Le Marmotte 4! sono caratterizzate da incisivi fortissimi e molto 
lunghi, da unghie robuste, che dimostrano abitudini scavatrici, 
da una coda di mezzana lunghezza, ornata di peli assai abbon- 


1 Lat., Arctomys; ingl, Marmo! ; ted., Murmelther. 


512 ORDINE DEI ROSICANTI 


danti. Hanno le membra corte, d’onde deriva quell’ andatura pe- 
sante che è loro particolare. Le loro orecchie son poco: appa- 
renti, ed il loro labbro superiore è fesso nel mezzo, disposizione 
che loro è comune con molti altri rosicanti. Le Marmotte: abi- 


Fig. 242. Spermofilo dalle tredici strisce. 


tano le varie catene di monti dell’ Europa, dell’Asia e dell’Ame- 
rica settentrionale. Hanno tutte a un dipresso i medesimi .co- 


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Fig. 245. Marmotta. 


stumi; basterà dunque parlare della specie comune; la sola del 
resto che sia stata bene studiata. 

La Marmotta volgare (vale a dire molto sparsa dal vocaboio 
latino vulgus 0 vulgaris) vive sulle alte cime delle Alpi Svizzere 


Fig. 244. Stormo di Scoiattoli volanti sugli alberi della Florida. 


Ficuier. I Mammiferi. 65 


‘ MARMOTTA 515 


e Savoiarde, presso i ghiacciai 4. Forma piccole società, compo- 
ste di due o tre famiglie, e si scava tane sui pendii esposti al 
sole. Queste tane hanno la forma di un Y: le gallerie sono 
strettissime, e appena ci si può passare il pugno. All’estremità 
di una di queste gallerie oblique trovasi una stanza spaziosa, 
di forma ovale, nella quale si raccoglie la compagnia per ripo- 
sare e dormire. Il condotto verticale non conduce a nulla, sem- 
bra destinato a ricevere le immondezze della comunità. Forse 
anche di là sono stati presi i materiali necessari per rivestire 
e render più solidi gli altri due condotti che servono di galleria 
principale e di sala comune. 

Le Marmotte vivono esclusivamente di erbe, almeno allo stato 
di natura. Secondo Tschudi, brucano l’erba, anche la più corta, 
con somma rapidità. Nella bella stagione amano coricarsi e tra- 
stullarsi sotto gli ardenti raggi del sole. Sono molto prudenti, 
e non escono dalla loro dimora che con grandi precauzioni. Gli 
animali più vecchi cominciano ad uscir fuori, dopo avere esplo- 
rato il contorno collo sguardo, coll’udito e coll’odorato, sensi 
che nelle Marmotte sono sviluppatissimi. I giovani vengono in 
seguito, e poi tutta la brigata. Allora ognuno si mette a man- 
giare, a trastullarsi, e ad oziare deliziosamente. Tuttavia non 
abbandonano la loro vigilanza, e appena una ha il dubbio di 
qualche pericolo, manda una sorta di acuto fischio, che in breve 
vien ripetuto dai vicini; tosto la compagnia fugge e ritorna 
nella tana, o corre a nascondersi in qualche buco. 

Le Marmotte hanno abitazione per l’estate e abitazione per 
l'inverno, alloggio in città ed in campagna. L’estate, stanno 
nella parte più alta del monte. È il tempo degli amori e del- 
l’allevamento dei piccoli, il cui numero varia da due a quattro, 
e che rimangono coi loro genitori fino all’estate seguente. Quando 
viene l’autunno scendono nella regione dei pascoli, e si scavano 
una nuova tana, collocata ancor più profondamente della prima. 
E allora che vanno a raccogliere il fieno, cui tagliano, rivoltano, 
fanno seccare e trasportano così preparato nella stanza collocata 
in fondo alle loro oblique gallerie. 

Perchè queste provviste? Perchè l’ inverno si approssima, ed 
i nostri animali stanno per cadere in letargo. In questo caldo 
letto di erbe secche si affondano al tutto, dopo chiusa accurata- 


i In Italia questa Marmotta è comunissima nelle Alpi piemontesi. Se 
ne fa la caccia per la carne, pel grasso e per la pelle, negli stessi modi 
indicati più innanzi nel testo. (Nota del Trad.) 


516 ORDINE DEI ROSICANTI 


mente l’entrata del loro covile con terra e pietre onde premu- 
nirsi dai rigori del verno. I 

Si crede anche che questo fieno serva alla loro sussistenza 
nei primi tempi del loro svegliarsi, allora che nessuna vegeta- 
zione compare ancora sulla terra. 

Ordinariamente le Marmotte cadono in letargo verso la fine 
di novembre, e si svegliano in aprile; ma questi limiti non 
hanno nulla di ben preciso, perchè variano ogni anno colla tem- 


peratura. 


« Quando si scava l'abitazione invernale delle Marmotte , vi si trova, 
dice Tschudi, una temperatura di 8 a 9° R. Tutti i membri della famiglia, 
qualunque sia il loro numero, sono coricati gli uni accanto agli altri, 
ravvoltolati col capo presso la coda, in un letargo simile alla morte. 
Questo sonno, che fu detto con ragione un letargo conservatore, è in 
rapporto colle condizioni di clima della regione abitata da questi animali. 
I sette od otto mesi d’inverno dell’ alta regione li farebbero certamente 
perire, se questo sonno non li guarentisse facendoli vivere della vita tran- 
quilla della pianta ! ». \ 


Di indole dolce e socievole, la Marmotta si addomestica age- 
volmente. È capace di affeziono, e, trattata' bene, divien fami- 
gliarissima e fiduciosa. Impara a fare alcuni piccoli esercizi che 
eseguisce ad un cenno del suo padrone. I giovani Savoiardi 
sfruttano questa particolarità del suo carattere. Tutti quelli che 
nella buona stagione vengono nelle nostre città hanno una 
Marmotta colla quale divertono il pubblico ottenendone qual- 
che soldo. 

In schiavitù la Marmotta mangia ogni cosa: frutta, erbe, in- 
setti, pane, carne; ma il latte e il burro sono ghiottonerie per 
quest’animale. 

se la Marmotta viva rende qualche servizio alle povere po- 
polazioni delle Alpi, mercè i piccoli giuochi che impara, è loro 
ben più utile dopo morte. 

Somministra carne eccellente, che ha il solo difetto di man- 
dare un odore sgradevole; ma questo inconveniente può scom- 
parire quando sia cucinata e condita convenientemente. In com- 
mercio la sua pelliccia per la sua poca finezza non ha gran 
valore, nondimeno i montanari la tengono in conto di buona e 
ne traggon partito. Perfino il denso strato di grasso che la ri- 
copre quando si addormenta, viene adoperato dalle famiglie degli 
Alpigiani. 


i V. Le Monde des Alpes, di F. pe TscHupi, tradotto dal tedesco in 
francese da O. Bourrit, in-18°, vol. III, pag. 251. 


GENERE LEPRE D17 


Da ciò che abbiam detto sopra è facile immaginarsi quanto. 
desiderio desti la Marmotta. 

Vi sono cacciatori di Marmotte, come vi sono cacciatori di Ca- 
mosci. Non se ne fa molta caccia col fucile, a motivo della somma 
prudenza di questi rosicanti. I cacciatori se ne impadroniscono 
sul principio dell’ inverno, allorchè son da poco cadute in le- 
targo, ed incapaci quindi della menoma resistenza. Si ricono- 
scono agevolmente le tane, perchè il suolo è tutto all’ intorno 
cosparso di musco e di fieno. Allora non v'è che da cercare in 
quelle tane, e il giuoco è fatto. 

D'estate questo metodo è impraticabile, prima perchè le Mar- 
motte si difendono accanitamente, colle unghie e coi denti, con- 
tro chiunque vuole invadere il loro domicilio; poi perchè sca- 
vano tanto rapidamente quanto l’ uomo il quale deve fare una. 


Fig. 245. Lepre. 


fossa, e quindi man mano che il nemico si avanza esse si af- 
fondano sempre più nella montagna. 

In certi Cantoni della Svizzera il governo proibisce con molta 
ragione di cercare l'inverno le dimore delle Marmotte. E neces- 
sario proteggere questi animali inermi contro la cupidigia e la 
imprevidenza degli uomini. 

Dopo la Marmotta delle Alpi menzioneremo la Marmotta di 
Quebec e la Marmotta del Canada, o Monace, che sono partico- 
lari a certe parti dell'America settentrionale. 


Genere lepre. — Veniamo ora all’ ultimo gruppo dei Rosicanti, 
quello delle Lepri, che comprende le Lepri propriamente dette 
ed i Conigli. | 

Questi animali hanno quattro incisivi, posti due a due paral- 
lelamente uno dietro l’altro, i due davanti più lunghi e più 
larghi nascondendo al tutto i posteriori. Questo carattere ha un 
gran valore, poichè non s'incontra in nessuno dei Rosicanti 


518 ORDINE DEI ROSICANTI 


che abbiamo studiati precedentemente, i quali non hanno che 
“un paio d’ incisivi ad ogni mascella. 

Oltre le Lepri ed i Conigli il genere Lepre comprende altri 
animali, detti Lagomidi, di cui diremo qualche parola alla fine 
di quest’ordine. 

Gli animali che compongono il genere Lepre hanno ventidue 
. denti molari, fatti di laminette verticali saldate assieme; le orec- 
chie son grandissime, accartocciate, pelose di fuori, quasi nude 
di dentro; hanno occhi sporgenti e laterali, il labbro superiore 
fesso (d’onde è venuto il nome di labbro leporino dato alla stessa 
conformazione quando per caso esiste nell’ uomo); coda corta, 
villosa, per solito rialzata ; i piedi posteriori molto più lunghi 
degli anteriori e provvisti di cinque dita, mentre questi non ne 
hanno che quattro ; le unghie son poco sviluppate; le zampe al 
tutto coperte di peli, sopra e sotto. Questo complesso di carat- 
teri conferisce a questi animali un aspetto ben distinto. 

Parleremo prima della Lepre propriamente detta 4. 

Sarebbe cosa superflua descrivere la Lepre in tutti i suoi par- 
ticolari (fig. 245). Quest'animale è troppo noto perchè faccia 
d’ uopo insistere su questo argomento. Nondimeno, siccome si 
potrebbe confondere col Coniglio che le rassomiglia molto, fa- 
remo notare che la Lepre ha le orecchie e le gambe più lunghe, 
il corpo più svelto, la testa più fina e il pelame di una tinta 
più fulva del Coniglio. 

La lepre abita tanto il monte quanto la pianura, la foresta 0 
i campi; ma è più sparsa nei paesi piani o poco alti. Non si 
scava tana, ma si sceglie un covo, di cui varia il sito secondo la 
stagione. D'estate lo pone per solito sui poggi esposti al nord, 
all'ombra delle eriche e delle viti; d’ inverno invece rimane nei 
luoghi scoperti volti al mezzogiorno. Talora si rinviene acco- 
vacciata in un solco, fra due zolle di terra, che sono dello stesso 
colore della sua pelle; quindi riman confusa col suolo circo- 
stante, e non attira lo sguardo. 

Nel giorno la Lepre non si muove dal covo, a meno di es- 
servi costretta; ma appena il sole discende all’orizzonte, esce 
per non tornare che la mattina dopo: allora è il tempo in cui 
va in cerca del nutrimento. Mangia erbe, radici, foglie. Prefe- 
risce le piante aromatiche, come il timo e simili: d’ inverno 
rode anche la scorza degli alberi. 

Nessun animale ha tanti nemici come la Lepre. Agguati e 
trappole di ogni sorta la minacciano ovunque. Le volpi, gli uc- 


1 Lat. Lepus, fr. Lièvre, ingl. Hare, ted. Hase. 


L, 


GENERE LEPRE 519 


celli di rapina diurni e notturni, l’ uomo, che ha al suo servi. 
zio cani e che sa uccidere da lontano, son tutti nemici accaniti 
a suo danno. 

Per ripararsi da tutti questi pericoli il povero rosicante non 
ha che armi molto innocue, orecchie, invero, dotate di strana 
mobilità, e che sentono il più piccolo rumore a grandissima 
distanza; quattro gambe robuste, muscolose, che volano sul ter- 
reno, e portano l’animale rapidamente lungi dai colpi di coloro 
che lo inseguono. In una parola, tutta la sua difesa si può rias- 
sumere in questo: prevedere il pericolo, e fuggirlo. 

Quindi l’esistenza della Lepre non è che una lunga serie di 
paure, di inquietudini di ogni sorta. Sempre in allarme, non 
gode che di un mezzo riposo, interrotto da continui sgomenti. 
La sua indole timida le fa vedere la morte in ogni luogo. 

Non si deve credere che la Lepre, quando è inseguita, corra 
a caso, senza riflessione e senza scopo. Anzi adopera molti 
stratagemmi ed astuzie. Fugge quasi sempre col vento alle 
spalle, onde sentir meglio i cani e non portar loro le sue 
emanazioni. Ritorna sui suoi passi e fa molti incrociamenti, 
per ingannare i suoi nemici e guadagnar tempo; sovente an- 
che va loro incontro, ritornando sulla stessa via che ha già 
percorsa, poi si getta bruscamente da parte con un grandissimo 
salto. 

: Se è inseguita da vicino, non teme di attraversare un fiume; 
se ne son vedute alcune nascondersi in mezzo ad uno stagno, 
non lasciando che la punta del muso a fior d’acqua per respi- 
rare. Se ne son vedute altre rifugiarsi in mezzo ad una greggia 
di pecore, entrare nei villaggi, introdursi nei cortili, far cento 
giri e rigiri sopra i letami, poi saltare sopra un muro, e ripar- 
tire dopo un momento di riposo. Sovente riescono in tal modo 
a far perdere le loro traccie. 

Quando abitano il paese, ritornano invariabilmente al loro 
covo, e si può l'indomani tornare a stanarle. In questo caso 
non si allontanano guari, seguono un circolo assai ristretto, ed 
il cacciatore sa quel che ha da fare. Se invece l’animale va di- 
ritto e si allontana molto dal luogo ove è stato stanato, si può 
concludere che è una Lepre di passaggio, ed inoltre che è un 
maschio. Nel tempo degli amori, vale a dire da gennaio a marzo, 
esistono infatti molti di questi maschi viaggiatori, i quali man- 
cando di femmine nel loro paese vanno a cercarle altrove, alle 
volte percorrendo in tal modo notevoli tratti. 

In altri tempi si cacciava la Lepre colla muta (fig. 246), ma 
questa caccia di lusso è ora divenuta rara. Ordinariamente si 


ud 


520 ORDINE DEI ROSICANTI 
adopera il cane da corsa (fig. 247), o si caccia la Lepre stando 
in agguato. OLO CIZIIE SI ri 

La fecondità della femmina della Lepre è grandissima, e a 
questa legge della previdente natura si deve che la specie non 
sia stata distrutta, e neppure diminuita dalle ‘numerose’ cause 


sì 


Fig. 216. Caccia della Lepre colla muta. 


di distruzione che la minacciano. La Lepre partorisce tre o 
quattro volte all'anno, ed ogni parto si compone di cinque  pic- 
coli che nascono cogli occhi aperti e il corpo peloso. Senza ri- 
paro protettore, senza tepido covile per riceverli, vengon depo- 
sti sulla nuda terra, in mezzo all’erba o in un cespuglio. Non- 
dimeno la madre li cura con amore e anche all’ uopo li difende, 
invero senza grande buon successo, contro i loro nemici. Li al- 
latta per una ventina di giorni; dopo di che i Lepratti sono 


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I Mammiferi. 


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GENERE LEPRE 923 
abbastanza robusti per provvedersi il proprio sostentamento. 
Ognuno si allontana dall’altro e va a vivere da solo, ove in 
breve è in istato di riprodursi. La media della vita della Lepre 
è di otto o dieci anni. 

Se il nostro rosicante è dotato di udito finissimo, è ben mal 
provvisto riguardo a vista. Infatti, non solo i suoi occhi son 
debolissimi, ma anche per la loro posizione sui lati del capo 
nascondono all’animale gli oggetti posti direttamente innanzi a 
sè. Quindi non è raro che egli si getti addirittura tra le gambe 
del cacciatore, allorchè questo si trova nell’asse della sua 
strada. 

Sebbene eccessivamente timida e paurosa, la Lepre è nondi- 
meno suscettiva di addomesticamento, e anche di un certo grado 
di famigliarità. Il dottor Franklin ne ebbe una, la quale du- 
rante l’ inverno si sedeva innanzi al fuoco, fra un grosso gatto 
di Angora ed un cane da corsa, coi quali viveva in buonissima 
armonia. Si metteva a tavola accanto al suo padrone, e gli grat- 
tava il braccio colla zampa anteriore per avere qualche po’ di 
cibo. Si può anche insegnare alla Lepre qualche esercizio, per 
esempio, a battere il tamburo, a ballare a tempo, ed anche a 
sparare una pistola. Ma è tale la forza dell’istinto della libertà 
in questo animale, che anche fatto prigioniero giovanissimo, 
ritorna alla vita selvatica appena gli se ne offre il destro. 

Si conosce la parte importante che ha la Lepre nell’arte cu- 
linaria; un intingolo (civei) di Lepre è un cibo squisito, che fa 
le delizie degli amanti della selvaggina. Le Lepri di monte, seb- 
bene magre, son più saporite, perchè si nutrono principalmente 
di piante aromatiche. Quelle che abitano i luoghi bassi e palu- 
dosi, e che si chiamano Leprì grandinate, debbono essere al tutto 
respinte, perchè la loro carne è cattiva. 

La legge di Mosè ed il Corano proibiscono l’uso della carne 
di Lepre, forse a motivo delle sue proprietà eccitanti, che nei 
paesi d’Oriente potrebbero cagionare inconvenienti. 

Si adopera la pelliccia della lepre: la lanuggine che ne è la 
base serve per fabbricare il feltro. 

Nella specie della Lepre, come in quella dei topi, dei topo- 
lini, ecc., esistono individui al tutto bianchi: sono gli albini, 
caratterizzati pei loro occhi rossi. Bisogna badare a non con- 
fonderli con un’altra specie, il cui pelame, grigio fulvo d’estate, . 
divien bianco d’ inverno, conservando però nera l’estremità del- 
l'orecchio. È questa la Lepre variabile, che abita le alte cime dei 
monti e le regioni settentrionali dei due continenti. D'altronde, 
questo coloramento bianco, che si sostituisce ad un altro nella 


524 ORDINE DEI ROSICANTI 


stagione invernale, è un fenomeno comune nei paesi freddi, e 
ciò per impedire il raggiamento, e quindi la perdita di calore 
dell'animale. 

La Lepre è sparsa sopra tutta la superficie del globo, e a tutte 
le altitudini, tranne in Australia e al Madagascar. A un dipresso 
ha ovunque i medesimi costumi. 


Conigli. — Veniamo ora al Coniglio 4. 
Molto affine alla lepre per le forme, per l'aspetto esterno, il 


FZAO N il 


oli 


Fig. 248. Conigli in una radura o spiazzata di bosco. 


Coniglio ne differisce nondimeno moltissimo pei costumi. Vive 
in società e abita tane. Non si trova in pianura : i luoghi mon- 
tuosi, i poggi boscheggiati, sono i siti che preferisce per porvi 
dimora. Come la Lepre, non esce di giorno; ma verso sera va 
a correre nelle spiazzate dei boschi (fig. 248), a brucare l’erba 
fresca. Si compiace anche di trastullarsi in compagnia al dolce 
lume della luna (fig. 249). 

Del resto ha molti nemici, gli stessi della lepre, e la sua sola 


1 Fr. Lapin, ingl. Rabbit, ted. Kaninchen. 


CONIGLI 525 


salvezza consiste nell’andare a rifugiarsi nella sua dimora sot- 
terranea. Siccome non ha l’attitudine meraviglivsa del suo con- 
genere per la corsa, sarebbe in breve vinto in una cosiffatta 
lotta. Il suo spavento si esprime in modo singolare: batte il 
suolo coi piedi posteriori. Alcuni pretendono che fa così per 
avvertire del pericolo i suoi compagni. 

La fecondità della femmina della lepre, già tanto notevole, è 


Fig. 249. Conigli grandi e piccoli, la sera. 


un nulla a petto di quella del Coniglio, perchè una femmina 
può avere ogni anno sette od otto parti, di quattro a otto pic- 
coli ognuno. Alcuni giorni prima di partorire, la femmina scava 
una tana destinata alla sua figliuolanza. Questa tana, diritta od 
a gomito, secondo i casi, termina sempre in una cameretta cìir- 
colare, coperta di uno strato di erbe secche, e questo strato 
pure ricoperto da un altro di lanuggine, che la madre amorosà. 
si è strappata dal ventre. 


526 ORDINE DEI ROSICANTI 


Colà depone i suoi piccoli. Appena pnartorito, la nutrice lascia 
la tana, dopo averne ben chiuso l’ ingresso ; ed ogni giorno va 
ad allattare la sua famigliuola, rinnovando alla sua partenza 
le stesse precauzioni. Dopo una ventina di giorni abbandona i 
suoi piccoli, che son divenuti abbastanza forti per fare a meno 
delle sue cure. Questi rimangono uniti, e si scavano in breve 
una tana ove vivono in compagnia. 

Il Coniglio selvatico, detto anche Coniglio di conigliera (fig. 250), 


Fig. 250. Conigli di conigliera. 


si dice sia originario dell’Africa, d’onde passò in Spagna, poi 
in Francia, in Italia, e successivamente in tutti i paesi caldi 
e temperati d’ Europa; trovasi pure nell'Asia Minore e in Per- 
sia. Tutto fa supporre che questa specie sia lo stipite del nostro 
Coniglio domestico. 

Oggi in Francia si fa l’allevamento del Coniglio domestico in 
grande. Nei poderi di questo paese è divenuto, per così dire, il 
complemento quasi indispensabile di ogni opera agricola, grande 
o piccola. Siccome non richiede che poca spesa, poco lavoro, è 


- SAP 


CONIGLI 527 
alla portata di tutte le borse, e dà, quando sia ben diretto, gua- 
dagni certi. Di ciò è prova il celebre opuscolo intitolato: L’ Arte 
d’allevare i conigli e di farsene 3000 lire di rendita! 

Oltre gli allevamenti in grande che si fanno nei grossi po- 
deri, e che possono riuscire lucrosissimi, mercè d’ un complesso 
di cure e provvedimenti che l’esperienza ha dimostrato neces- 
sari, havvi pel Coniglio ciò che si potrebbe chiamare l’educa- 
zione di famiglia, le cui proporzioni sono molto più limitate, e 
che riesce generalmente male, perchè si fa in cattivissime con- 
dizioni. I Conigli così allevati, e che si chiamano Conigli da ca- 
voli (fig. 254), perchè il cavolo è la base del loro cibo, sono 
spesso racchiusi in una camera, o girano liberamente in un 
sucido cortile. Sono soggetti a moltissime malattie, che ne fanno 
morire un gran numero ; quelli che sopravvivono non hanno 
le qualità commestibili del Coniglio selvatico. La loro carne è 
scipita; le persone di buon gusto la tengono con ragione in di- 
spregio. 

Dal principio del secolo decimosettimo Olivier di Serres ha 
pubblicato diverse istruzioni intorno all’ allevamento del Co- 
niglio. Ma egli si proponeva di parlare del Coniglio semi- 
selvatico, semi-domestico, tenuto in una conigliera chiusa, 
della distesa di varii ettari di terreno. Non tutti possono far 
ciò. Il modo di allevamento più in uso è dunque quello di 


‘ privare il Coniglio della sua libertà, rinchiuderlo in certe ca- 


sette, e dargli il cibo che si crede meglio acconcio. Ecco le re- 
gole che si indicano, per giungere, in queste condizioni, ai 
migliori effetti. 

I Conigli son messi in una serie di capannuccie. Queste ca- 
pannuccie debbono essere di 2 metri quadrati circa, separate da 
un tramezzo a griglia onde i conigli possano vedersi fra loro, 


e non essere soggetti al regime della prigione cellulare. Per 


quanto è possibile, debbono essere esposte a mezzogiorno; è 
indispensabile che siano asciutte e bene aerate. Un letto abbon- 
dante e fresco, rinnovato sovente, deve ricoprire il suolo, che 
sarà fatto di legno, e leggermente inclinato per favorire lo scolo 
delle acque. All’età di sei mesi si isoleranno le femmine in 
scompartimenti separati, perchè allora possono concepire. Si 
colloca un maschio successivamente, e ad intervalli di otto in 
otto giorni, entro otto o dieci scompartimenti. Siccome la gesta- 
zione del Coniglio dura circa un mese, la femmina della prima 
capannuccia avrà già partorito da un mese o da un mese e 
mezzo, quando il maschio uscirà dall’ ultima cellula. Si può 
dunque ricominciare l’operazione nel medesimo ordine. Ma di 


528 ORDINE DEI ROSICANTI 


tratto in tratto giova rinnovare il maschio, onde farlo riposare. 
È pure indispensabile separare i piccoli dai genitori, appena 
sono svezzati. | | vd i DIE I Sto 

Si riuniranno in una capanna comune, le cui proporzioni va- 
riano secondo il. numero dei piccoli Conigli. Il nutrimento si 
deve dare a ore fisse: al mattino, al. mezzogiorno e alla sera. 


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Fig. 251. Conigli di capannuccia, o da cavoli. 


Nella bella stagione, si compone di erbe fresche e di vegetali 
di ogni sorta; l'inverno, di veccie, patate, fieno, ecc. E espres- 
samente raccomandato di non mescolare agli alimenti erbe ba- 
gnate. Non bisogna trascurare l’acqua, specialmente quando il 
cibo sarà di natura secca. Tenendo conto delle perdite che ne- 
cessariamente debbono seguire sotto l’azione di varie cause, ogni 
Coniglio femmina può produrre trenta Conigli l’anno, dando un 


CONIGLI 529 


benefizio di 20 franchi, dedotte le spese. Se l'operazione si fa 
in grande, darà quindi un certo lucro 41. 

Tra le varie razze di Conigli domestici, faremo menzione del 
Coniglio d'Angora, originario dell'Asia Minore, come i gatti e le 
capre dello stesso nome, e noto per la lunghezza e finezza del 
suo pelo. Si alleva per la sua pelliccia che ha molto valore. 


Fig. 252. Caccia del coniglio col furetto. 


Ogni anno, in primavera, si strappa al Coniglio d’Angora una 
parte del suo pelo, per venderlo ai fabbricanti di cappelli. 

Si trae partito non solo della carne e del pelo, ma anche 
della pelle del Coniglio, che serve a far gelatina. 


1 In Italia l'allevamento dei Conigli, anche nelle provincie dove meglio 
procede lo allevamento degli animali domestici ed è più in onore l’indu- 
stria agricola, non ha quello sviluppo che potrebbe. Chi imprendesse con 
qualche estensione cosifatta opera, sarebbe certo di far cosa vantaggiosa 
a sè ed agli altri. (Nota del Trad.) 


FiGuIER. I Mammiferi. 67 


580 ORDINE DEI RÒOSICANTI 


Il Coniglio domestico è quindi un animale prezioso. Non si 
può dir lo stesso del Coniglio selvatico, il quale, per il suo ra- 
pido riprodursi, per le sue abitudini scavatrici e i suoi gusti 
erbivori, è un vero flagello per l’agricoltura. Perciò se ne fa 
ovunque una caccia furiosa. Onde raggiungerlo nella sua tana 
si adopera per ausiliare anche il furetto, ammaestrato a questo 
genere di esercizio (fig. 252). 

Il Coniglio esiste anche in America; ma la specie di urto 
paese è differente dalla nostra. 


Lagomide. — I Lagomidi (Lepre-topo: da lagos lepre, mus 
topo) differiscono dalle altre Lepri per le orecchie piccole e ar- 
rotondate, per le membra corte, la coda nulla, e la piccola mole. 
Pei costumi si accostano molto ai Conigli. Abitano i monti sco- 
scesi, e si scavano tane in mezzo alle rocce. La maggior parte 
delle specie note sono proprie della Siberia; una sola è stata 
trovata nelle Montagne Rocciose, in America. 

La più interessante è il Lagomide Pika. Quest'animale si riu- 
nisce in società, nei mesi di agosto e di settembre, e fa in co- 
mune provviste per l’ inverno. Queste provviste si compongono 
di erbe che i piccoli Rosicanti fanno seccare al sole, ed am- 
mucchiano poi all’ ingresso della loro dimora. Formano così 
certi monticelli alti perfino 5 piedi sopra 8 di diametro, e sono 
in conseguenza facili da trovare, sebbene siano coperti di neve 
nella stagione rigida. Quindi non sempre i Pika approfittano 
delle loro provviste; perchè iselvaggi abitanti delle steppe della 
Siberia son felici di potersene impadronire. 


. ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


In quest'ordine si è riunito un certo numero di Mammiferi ,. 
i quali, colle forme generali dei rosicanti, hanno per carattere 
comune di cibarsi a un dipresso esclusivamente d’ insetti. Per 
questo riguardo si accostano, come vedremo in seguito, ai Chi- 
rotteri. Il loro sistema dentale è costituito per questo modo 
speciale d’alimentazione; hanno i molari irti di punte coniche, 
e gli altri denti (canini ed incisivi) ordinariamente molto 
aguzzi. 

Per quel che concerne i principali loro tratti esterni, sono 
animali di poca mole, con quattro estremità unguicolate, che 
son disposte per camminare, nuotare e scavare. Hanno le mam- 
melle collocate sotto il ventre, e posano, camminando, tutta la 
pianta del piede sul suolo. La loro intelligenza poco sviluppata 
non li rende suscettivi di educazione, e quindi sfuggono al do- 
minio dell’ uomo, il quale del resto troverebbe difficilmente da 
trarne alcun partito. 

Le abitudini degli insettivori sono svariatissime; ciò che non 
deve sorprendere quando si consideri la varia conformazione 
degli organi locomotori di questi animali. Così taluni, come i 
ricci, cercano il loro cibo sulla terra; altri, come le Tupaie 0 
Cladobati, lo cercano sugli alberi. Invece le talpe vanno in trac- 
cia del nutrimento nella profondità del suolo, e menano una 
vita al tutto sotterranea. 

Finalmente, i Migali ed alcune altre specie di toporagni sono 
essenzialmente acquatici. Parecchi di questi animali cadono in 
letargo allorchè la temperatura scende fino ad un certo grado, 
e passano l’ inverno addormentati. Egli è sopratutto nei paesi 
freddi che gl’ insettivori cadono in letargo; ma sembra che que- 
sto fatto si osservi anche nelle latitudini calde. 

Si trovano insettivori in tutte le parti del mondo, fuorchè in 
Australia, ove sono rappresentati dalle sarighe e da altri mar- 
supiali. L'America ne è meno provvista dell’antico continente. 


DZ ORDINE DEGLI ìINSETTIVORI 
4 


Divideremo quest’ordine in tre famiglie, composte ognuna di 
un certo numero di generi che vengono ad unirsi intorno ad un 
genere tipo: le famiglie delle Talpe, dei Toporagni e dei Ricci. 


FAMIGLIA DELLE TaLpE. — Questa famiglia comprende quattro 
generi molto affini gli uni agli altri: le Talpe propriamente 
dette, le Condilure, gli Scalopi ed i Crisoclori. Ci dilungheremo 
solo sul primo, che è il più noto; e ci limiteremo a far risal- 
tare le differenze che lo separano dagli altri tre. 


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Genere Talpa. — La Talpa! è animale scavatore per eccellenza. 

Tutta la sua organizzazione attesta i suoi istinti da minatore. 
Le estremità anteriori, cortissime e molto robuste, terminano in 
due larghe mani, col margine interno tagliente, e la cui palma 
ruvida e callosa, è rivolta all’ infuori, di modo che l’animale, 
quando scava, può gettar da una parte e dall’altra la terra. Le 
dita, in numero di cinque, son poco apparenti; ma sostengono 
unghie lunghe e robuste. Quanto poi alle membra posteriori, 
di cui l’azione è meno immediata e meno decisiva, sono più 
deboli delle anteriori, ed armate di unghie più sottili. 

Il corpo della Talpa ha l’aspetto di una massa cilindrica, ter- 
minata a cono ad una delle estremità. Non v’ha traccia di collo; 
la testa tien dietro al corpo senza transizione, senza depressione, 


1 In fr. Taupe; ingl. Mole; ted. Maulwurf. 


GENERE TALPA 533 


senza assottigliamento. Alla estremità di questo capo, che ter- 
mina in punta, trovasi una sorta di grugno, sostenuto da un 
osso particolare, nel quale stanno le narici. Questo grugno è 
contemporaneamente un istrumento perforante che aiuta l’ uffi- 
cio delle zampe dell'animale, ed un organo dilicatissimo di tatto. 
Porta un paio di baffi. Il cranio, molto appiattito, allungato e 
munito di muscoli vigorosi, è benissimo acconcio a sollevare 


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Fig. 254. Sezione li una tana di Talpe. 


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la terra dopo che è stata divisa. Tutto il corpo è coperto di un 
pelo fino, soffice, fitto, corto, irto, nerastro. 

Fu per molto tempo ammesso che la Talpa fosse priva della 
vista. Si asseriva che la natura, facendo per quest’animale una 
strana eccezione, avesse rifiutato gli occhi a questo essere sot- 
terraneo, perchè poteva farne a meno. Si dovette nondimeno ri- 
conoscere questa asserzione come un errore, quando Isidoro 
Geoffroy-Saint-Hilaire ebbe scoperto nella Talpa due occhi neri, 
invero quasi impercettibili e profondamente nascosti sotto la 
cupa pelliccia dell'animale; ciò che li aveva celati agli osserva- 


534 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


tori i. Certi anatomici, ostinandosi nel loro parere, pretesero 
allora che gli occhi della Talpa non costituissero che organi 
rudimentali, al tutto inetti a vedere. Ma alcuni ingegnosi spe- 
rimenti hanno dimostrato che la Talpa possiede, fino a un certo 
punto, il senso della vista. È vero che questo senso si esercita 
molto imperfettamente in questo animale, ma esiste, e oggi nes- 
suno lo pone più in dubbio. 

Se la Talpa non ha buona vista, ha l’ udito finissimo. L’orec- 
chio esterno manca affatto, ma l’interno è sviluppatissimo. 
L’odorato pure è eccellente. La bocca molto larga è benissimo 
fornita: vi sì contano non meno di quarantaquattro denti, ri- 
‘partiti in numero uguale in ogni mascella. Termineremo il ri- 
tratto di questo animale amico delle tenebre col dire che ha una 
coda corta; poco fornita e dieci mammelle sotto l’addome. 


Costumi della Talpa e sue gallerie. -— Tutti conoscono i co- 
stumi della Talpa: essa passa la vita sotto terra, intenta a sca- 
var gallerie, nelle quali corre con meravigliosa sveltezza. Pre- 
ferisce porre la sua dimora nei terreni mobili e fertili. I luoghi 
umidi o sassosi non le convengono; impedirebbero il suo la- 
voro. Siccome scava col capo e colle zampe, solca rapidamente 
e in tutti i sensi il suo oscuro regno. In tal modo forma un 
sistema di vie di comunicazione che merita di PASTE un mo- 
mento la nostra attenzione. 

Questo sistema (fig. 254) si compone di ùna camera centrale, 
scavata a mo’ di cupola, intorno alla quale si diramano sette od 
otto canali, che, rettilinei in origine, divengono poi tortuosi, e 
si prolungano fino alla superficie del suolo. I punti ove que- 
ste gallerie sfiorano il terreno, son segnati da piccoli rialzi di 
terra, detti talpaie, che tanto frequentemente . sì osservano nei 
prati, e che non sono altro che la terra superflua degli scavi 
ammucchiata dall’animale. La stanza centrale è il covo ordi- 
nario della Talpa. Colà viene a riposarsi allorchè ne sente il 
bisogno. Per giungervi deve prima entrare in una galleria cir- 
colare, situata allo stesso livello delle altre gallerie disposte a 
mo’ di raggi intorno; poi entrare in uno qualunque dei cinque 
condotti che salgono obliquamente verso un’altra galleria circo- 


, 


1 Qui l’autore parla «della Talpa comune, quella che si trova in Fran- 
cia, e nell'Italia superiore. Ma un’altra specie di Talpa, chiamata anche 
volgarmente Talpa cieca, 0 corrottamente Topa cieca, si trova in Italia; 
e l’autore la menziona di volo più sotto. Là dove egli la menziona, noi 
ne parleremo un po’ diffusamente con un’altra nota. (Nota del Tr.) 


COSTUMI DELLA TALPA E SUE GALLERIE 585 


lare, di minor circonferenza della prima, e posta un poco più 
in alto; finalmente penetrare nella fortezza per l’unico ingresso 
dell’alleggio, il quale si apre sopra quest’ ultima galleria. Di- 
ciamo l’ unico ingresso, relativamente alla galleria superiore ; 
perchè ne esiste un altro diametralmente opposto. Questo sbocca 
nella parte inferiore e nel centro stesso della camera; è il capo 
di un tunnel che scende fortemente sotto la linea degli altri 
scavi, e che poi si rialza per venire a sboccare in una delle 
strade principali che si concentrano nel covo dell’animale. 

Quale è il motivo di questo complicato labirinto? Il problema 
non è stato finora sciolto. La supposizione più probabile è che 
la Talpa faccia questo lavoro per isfuggir meglio alle insidie 
dei suoi nemici. Inseguita da una parte, può fuggire in un’altra 
direzione, e ripetendo parecchie volte questa manovra, riescire 
per un pezzo ad ingannare i suoi nemici. 

La Talpa lavora in tutte le stagioni; ma in primavera spiega 
maggiore attività. Durante gran parte dell’anno vive solitaria; 
ma nei mesi di marzo e di luglio cerca un individuo dell’altro 
sesso. L’ incontro si fa talor sotto terra, talora alla superficie del 
suolo. Dopo, ognuno se ne va pei fatti suoi, e ‘riprende i suoi 
costumi solitari. La gestazione della femmina non è molto lunga; 
partorisce ordinariamente quattro o cinque piccoli, talora meno, 
che nascono molto grossi, a petto del volume della madre e a 
quello cui giungeranno in seguito. 

La Talpa accudisce la sua famigliuola con molto affetto ; pri- 
ma di partorire ha disposto un comodo asilo per collocarvi i 
suoi piccoli. È una cameretta collocata nella parte più alta del 
suo dominio, e per lo più nel punto di riunione di parecchie 
gallerie. Il tetto di questa camera, sostenuto di tratto in tratto 
da una specie di pilastri, forma una vòlta discretamente vasta, 
la cui superficie interna è stata ben battuta, onde possa resi- 
stere alle infiltrazioni dell’acqua. Il suolo è coperto di un fitto 
strato di erbe e di foglie; colà dimorano i piccoli, finchè sono 
incapaci di cercarsi essi stessi il nutrimento. 

Il cibo delle Talpe si compone in gran parte di insetti e di 
lombrichi; mangiano anche molluschi, e cadaveri di piccoli mam- 
miferi e di uccelli. Amano pure le rane, e ne prendono molte 
nelle campagne. 

Infatti la Talpa è eminentemente carnivora. Nessun animale, 
neppure le belve più formidabili, non senton forse allo stesso 
grado il bisogno di distruggere e di pascersi di una preda viva. 
« La Talpa, dice Stefano Geoffroy-Saint-Hilaire, non ha fame 
come gli altri animali; questo bisogno in lei è fortissimo: è uno 


586 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


sfinimento che va fino alla frenesia ». Aggredisce la vittima dal 
ventre, immerge tutto il capo nelle viscere palpitanti di quella, 
e vi si pasce con immensa gioia. Prendete due Talpe del mede- 
simo sesso, e mettetele insieme in una camera; in breve la più 
robusta avrà divorato la più debole. Dopo essersi satollata, la 
Talpa è presa da una ardente sete e cerca ogni mezzo per sod- 
disfarla. 

Di rado le Talpe vengono alla superficie del suolo se non 
quando debbono mutar di luogo 0 quando i due sessi si cercano. 
Mutano abitazione secondo le stagioni. 

Durante il periodo delle pioggie, per es., vanno nei siti alti, 
per ritornar poi nelle valli allorquando viene il tempo‘asciutto. 
Malgrado queste precauzioni divengon vittime talora di un fla- 
gello terribile, l’ inondazione. Quando i fiumi straripano, se ne 
veggono moltissime fuggire a nuoto, che tentano giungere alle 
terre non ancora invase dall’acqua. Molte muoiono in tali fran- 
genti; i piccoli poi rimangono annegati nel nido. 


Le Talpe e l'agricoltura. — Sebbene le Talpe distruggano mol- 
tissime larve e molti insetti perfetti, vengon considerate nondi- 
meno come nocevolissime all’agricoltura, pei danni che produ- 
cono colle loro gallerie alle piante coltivate. Non si nutrono di 
radici di vegetali, come fu asserito troppo sovente; ma le ta- 
gliano per aprirsi un passaggio, e in tal modo metton sossopra 
piante e semi. Inoltre, quando stanno preparando il nido, af- 
ferrano le piante dalla radice e le tirano lentamente sotto terra, 
per farne un letto ai loro piccoli. In un solo nido di Talpa si 
son trovati 402 calami di frumento tirati giù colle loro foglie. 
Infine i mucchi di terra che sono sparsi sul suolo rendono più 
difficile all’agricoltore il falciare il fieno, impedendo di poter 
tagliar la pianta così vicino al suolo come si vorrebbe. 

Queste sono le accuse che l’agricoltura muove contro la no- 
stra scavatrice; non mancano di una certa ragione, ma si può 
rispondervi da un lato invocando i servizi che la Talpa rende 
come insettivora, dall’altro dimostrando come queste gallerie, 
considerate tanto nocevoli, costituiscono tanti canali naturali di 
scolo, di una utilità incontrastabile. Dopo aver ben pesato il pro 
ed il contro, forse si riconoscerà che la somma del bene .la 
vince su quella del male, e che infine la Talpa deve essere 
collocata nella categoria degli animali, se non utili, almeno in- 
nocui. 

Giova tuttavia dire che questa opinione non è per nulla ge- 
nerale fra gli agricoltori; che anzi inseguono le Talpe accani- 


Por ùi 
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LE TALPE E L'AGRICOLTURA 537 


tamente. Hannovi nelle campagne degli uomini destinati spe- 
cialmente a questo ufficio di distruzione. Il talpaio conosce a 
menadito le abitudini della sua selvaggina. La segue nelle sue 
gallerie, cogli occhi della esperienza; sa che la tal zolla, più 
alta delle altre, è il luogo del suo covo; che la tal’altra ricopre 
la sua tana. Quando si richiede l’ufficio di quest'uomo, egli ar- 
riva di buon mattino, ora in cui l’animale lavora più volontieri; 
si mette in osservazione; quando vede smuovere la terra, taglia 
vivamente con una vanga, dietro all'animale, la galleria nella 
quale si trova; in tal modo gli toglie ogni ritirata, e può tro- 
varlo certamente nel mucchio di terra che l’animale sta facendo. 

Nei casi difficili il talpaio ha certe trappole, di vario genere, 
che colloca nella galleria più recentemente costrutta dalla Talpa, 
dopo aver prima fatto il taglio nel terreno. 


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Fig. 255. Trappo:e per le Talpe. 


La trappola più comune è quella di Delafaille (fig. 255, AA’). 
Consiste in un cilindro di legno cavo, lungo da 25 a 30 centim., 
e del diametro a un dipresso di quello delle gallerie della Talpa. 
Ad ogni estremità trovasi una valvola che s’apre dallo infuori 
all’ indentro, ma non mai dall’indentro all'infuori. Si comprende 
ciò che accade allorchè una trappola è collocata lungo una delle 
gallerie. La Talpa, volendo aggiustare la sua galleria guastata, 
si accosta al tubo, spinge la valvola che si richiude dietro a 
lei, e la tiene prigioniera. L’inventore di questa trappola l’ ha 
ancora perfezionata mettendovi un’asticella sottile, posta vertical- 
mente nel tubo, e che termina al di fuori con un poco di carta. 
Il talpaio, avvertito dal muovere della carta, sa che la vittima 
è presa; quindi viene e rialza la trappola. 

Nella medesima figura 255 (B C) si veggono altri due appa- 
recchi di trappole per le Talpe. Sono trappole che si collocano 

Ficuier. I Mammifert. 68 


538 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


non nell’ interno delle gallerie, come quella di Delafaille, ma 
all’esterno, sul margine del mucchietto di terra. 

Per far la caccia alle Talpe si preferisce il momento in cuì 
sono da poco nati i piccoli. Appena hanno riconosciuto l’esi- 
stenza di un nido, i talpai vengono in certo numero ad accer- 
chiarlo; con una vanga tagliano le varie gallerie che vi fan 
capo; poi si aggredisce l’abitazione, e si uccide la nidiata. 

Si distruggono le Talpe anche col veleno, introducendo nella 
loro tana insetti ed altre materie animali imbevute di sostanze 
velenose. Talora bastano forti odori per iscacciarle, inaffiando 
le loro gallerie con una infusione di aglio nel petrolio. 

È difficilissimo conservar le Talpe in prigionia, perchè è molto 
difficile procurarsi l’ immensa quantità d’insetti che questo ani- 
male ingoia quotidianamente. Soggiungeremo ancora che la 
Talpa non potrebbe adattarsi ad una abitazione stretta; rinchiu- 
derla in una scatola, o anche in una stanza, sarebbe la sua 
morte. 

In breve è presa da nostalgia e rimpiange il suo sotterraneo, 
e muore, per non potere mettere in opera la sua febbrile at- 
tività. 

Il dottor Franklin narra tuttavia che un americano, il signor 
Tiziano Peale, era riuscito ad addomesticarne una. 

Questa Talpa mangiava e beveva molto; il suo regime si 
componeva di carne cotta o cruda. D’indole abbastanza allegra, 
veniva dietro alla mano del suo padrone, conoscendolo coll’odo- 
rato, andava a girare un po’ di tempo sotterra, poi tornava a chie- 
dere il cibo. Il suo grugno, tanto flessibile, le serviva a spin- 
gersi in bocca gli alimenti. 

La carne della Talpa non è buona da mangiare, manda un 
odore ributtante, e si corrompe prontamente. La sua pelliccia 
non può servire a gran cosa per la sua piccolezza; durante il 
regno di Luigi XV, le dame della corte ne fecero però un’ap- 
plicazione imprevista; per correggere la parsimonia della natura, 
ponevano sulle loro sopracciglia piccole strisce di pelle di Talpa. 
È questo un artifizio cui le nostre signore eleganti non sogliono 
pensare, e che crediamo dover loro indicare. 

Le Talpe abitano le regioni temperate. dell’antico e del nuovo 
continente; in Europa è dove sono più sparse; se ne conoscono 
tre specie: la Talpa comune, di cui esistono parecchie varietà; 
— la Talpa cieca, così detta perchè i suoi occhi non son altro 
che due piccoli fori, che non sono visibili più di una puntura 
di spilla, abita l’Italia; — finalmente la Talpa woogura, indi- 
gena del Giappone. 


TALPA CIECA 539 


La Talpa cieca '. — La Talpa cieca fu descritta dal prof. Paolo 
Savi, naturalista sommo, onore della zoologia italiana. Dopo aver 
detto che questa specie di Talpa non differisce per la forma del 
corpo dall’europea, ed appena differisce nei denti, egli prosegue: 


« .... Passando adunque immediatamente ad esaminare la struttura 
degli occhi, di quegli organi tanto particolari in quest’animale, dirò che 
per la situazione non differiscono in niente da quelli della Talpa europea. 
La pelle che li cuopre è priva dei suoi lunghi peli neri per uno spazio 
di una linea di diametro, ed invece ha dei peli scuri più corti, che vanno 
gradatamente diminuendo nell’avvicinarsi alla pupilla, cosicchè la pic- 
cola porzione di pelle che ricopre questa parte è quasi glabra. Essendo 
vivo l’animale, l’occhio nascosto fa rilevare un poco la pelle che gli è 
soprapposta e per conseguenza quei peli che la ricoprono si dilatano, e 
la lasciano vedere: e siccome la suddetta pelle ivi è molto sottile e tras- 
parisce il color nero dell’occhio, perciò ella comparisce in quel punto 
quasi cinerea. Ma quando l’animale è privo di vita, il globo dell’ occhio 
aggrizzandosi, sparisce la prominenza che prima produceva, ed i peli che 
la circondano e la coprono, e che erano dilatati, si riserrano, cosicchè 
allora è molto più difficile di ritrovare il luogo degli occhi. 

« Ho esaminato colla massima diligenza, ed anche col mezzo di lenti, 
fa pelle che copre gli occhi in questi animali, tanto quando la talpa era 
in vita, che quando era morta, ma non vi ho potuto ritrovar mai alcuna 
apertura palpebrale. è ; È 

« Ma la Talpa cieca ci vede samia attraverso la pelle che copre i suoi 
occhi? Per quel che ho potuto rilevare dalle osservazioni che ho fatte 
sopra un individuo che ho tenuto vivo in mia casa circa due mesi, mi 
par di poter concludere che l’unico servizio ritratto dalle Talpe cieche 
dai loro occhi, si è il distinguere la luce dalle tenebre. Difatti nella notte 
quando essa camminava quietamente sotto l’erba della cassa in cui abi- 
tava, se istantaneamente illuminavo la stanza, anche non facendo il mi- 
nimo rumore, e non dando all’aria alcun urto violento, essa cessava to- 
sto di muoversi, o si nascondeva sotterra, dando così dei segni d’ essere 
spaventata. Non mi sono accorto per altro che essa vedesse gli oggetti 
i quali le erano vicini, nè che la vista la guidasse ad impadronirsi della, 
preda che io le poneva in vicinanza. Come nei Mustioli (Sorer Etruscus) 
l’odorato ed il tatto sono i soli sensi che aiutano la Talpa cieca a cono- 
scere gli oggetti. Ma per quel che mi è parso, la Talpa si serve anche 
| più del naso di quel che faccia il Mustiolo ; difatto quando dopo averla 
levata fuora della terra la poneva in un luogo da poterla osservare, op- 
pure quando essa girava spontaneamente soltto l'erba, sempre la vedeva 
con le narici in moto; ed allorchè essa trovava qualche corpo che le 
premesse di conoscere, questo moto delle sue narici aumentavasi tanto 
da cagionare un rumore simile, in piccolo, a quello che fanno i bracchi 
per conoscere e seguitare la passata degli animali. 2 » 


) Questo capitolo fu da noi aggiunto alla prima edizione. (N. del Mi) 
2 V. Memorie scientifiche di PaoLo SAVI, Pisa 1828, pag. 33 e seguenti. 


540 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


Genere Condilura, Scalope, Crisoclori. — Le Condilure, animali 
dell'America meridionale, rassomigliano molto alle Talpe; ma 
hanno la parte anteriore del corpo più sviluppata, relativamente 
alla posteriore; anche la coda è più lunga e più fornita, e il 
loro grugno è terminato da appendici membranose che hanno 
l'aspetto di una stella. I loro costumi sono simili a quelli delle 
Talpe. La sola specie conosciuta è la Condilura stellata. 

Gli Scalopì si distinguono dalle Talpe principalmente pel si- 
stema dentale. Non hanno che trentasei denti, di cui venti nella 
mascella superiore e sedici nella inferiore. La loro coda è cortis- 
sima e al tutto nuda. Amano la vicinanza dell’acqua: si trovano 
sempre nei luoghi paludosi, o presso i ruscelli. Per questo 


N ù Va7? 7 «7 


Fig. 256. Toporagno comune. 


riguardo differiscono molto dalle Talpe; ma l’assieme delle loro 
abitudini è lo stesso. 

I Crisoclori sono i rappresentanti della Talpa nell’Africa au- 
strale. Il loro aspetto è singolarissimo. Non hanno che un rudi- 
mento di coda, ed il loro grugno, tronco bruscamente, è ben 
lontano dall’essere tanto sviluppato quanto quello della talpa; 
quindi guardando quest’animale a tutta prima non si vede che 
una massa informe, alla quale non si sa assegnare nessun scopo. 
Bisogna veder muovere quella massa per riconoscere che si ha 
sott'occhio un essere vivente. Allora si distinguono le estremità 
che sporgono appena dal corpo e che terminano, quelle anteriori 
con tre dita armate di enormi artigli adunchi e taglienti, quelle 
posteriori con cinque dita, come negli altri generi della famiglia ; 
le prime dita non hanno quella disposizione a paletta, propria 
delle Talpe e degli Scalopi. 

Il pelame dei Crisoclori presenta quei riflessi iridescenti e 


FAMIGLIA DEI TOPORAGNI 541 


splendidi che non si osservano che negli uccelli e nei pesci. 
Ciò valse loro nel secolo scorso il nome di Talpe dorate. 

I Crisoclori scavano come le Talpe, e passano la loro vita 
Sotterra. 


Fig. 257. Toporagno etrusco. 


FAMIGLIA DEI ToPporagnI. — Gli animali di questa famiglia 
hanno una certa rassomiglianza coi topi; ma il loro muso è 
una sorta di proboscide, aguzza o piatia, che li separa al tutto 
da questi rosicanti. Hanno costumi molto vari, secondo i generi. 

Questi generi sono in numero di cinque: i Toporagni propria- 


Fig. 258. Toporagno d’acqua. 


mente detti, i Solenodonti, i Macroscelidi, ì Rincocioni ed i Migali 
o Miogali. 


Genere Toporagno. — Un osservatore superficiale potrebbe 
confondere il Toporagno (fr. Musaraigne) col topolino. Hanno @ 


542 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


un dipresso le stesse forme e la stessa mole; ma nel Toporagno 
la testa è più aguzza, le orecchie più corte e la coda un po’ 
meno lunga. Inoltre, i caratteri desunti dai denti distinguono 
al tutto il Rosicante dall’Insettivoro; si è fra i Toporagni che sì 
veggono i mammiferi più piccoli: certe specie son più piccole 
del topolino. 

Questi animali sono, come le talpe, mal forniti in fatto di 
vista; hanno occhi tanto piccoli che è impossibile distinguerne 
la pupilla. Lunghe basette ornano il muso. Il loro pelo è mor- 
bido, fitto, e di un colore grigio che varia tra il grigio ed il 
bruno; è cortissimo sulla testa, sulla coda e sulle zampe. 

I Toporagni si nutrono di vermi, d’insetti, di piccoli molluschi, 
e anche in certi casi di semi. Vivono solitari entro buchi che 
trovano belli e fatti, o che si scavano essi medesimi; e di giorno 
escono poco. D'inverno, quando il cibo è scarso, s'introducono 
nei granai, nelle scuderie, ecc. Ma non tutte le specie amano i 
medesimi luoghi. Talune preferiscono i boschi e generalmente 
le regioni secche; le altre non stanno bene che nelle praterie 
umide e sulle rive dei ruscelli. Altre ancora nuotano agevol- 
mente mercé la loro coda, piatta a foggia di remo, e cercano il 
loro cibo in mezzo alle acque. 

I Toporagni portano sui fianchi una ghiandola, circondata di 
peli ruvidi, che secerne una materia grassa, di cui l’odore pe- 
netrante rammenta quello del muschio. Quest’ odore è tanto 
forte, che ripugna anche agli altri animali. I gatti inseguono i 
Toporagni e li uccidono, ma non li mangiano. Per molto tempo 
si è creduto che le morsicature fatte da questi piccoli insetti- 
vori agli animali domestici delle stalle fossero velenose. È un 
errore; le loro morsicature sono al tutto innocue 4. 

Si sono trovati degli ossi di Toporagni misti alle mummie 
egiziane, il che prova che gli abitanti dell’antico Egitto lo con- 
sideravano come animale sacro. Plutarco spiega questo fatto 
dicendo che il Toporagno è privo della vista, e che, secondo 
gli Egiziani, le tenebre erano più antiche della luce. La spie- 
gazione è tanto oscura quanto il fatto. 


1 Questo pregiudizio intorno al danno recato ai grossi Mammiferi dalla 
morsicatura dei Toporagni viene riferito da tutti gli scrittori stranieri, 
od almeno da tutti i francesi, ciò che dimostra ch’ esso è molto sparso 
nelle campagne della Francia. 

In Italia questo pregiudizio non pare esistere, secondo che hanno di- 
mostrato alcune investigazioni fatte all'uopo da un moderno naturalista. 

(Nota del Trad.) 


IL TOPORAGNO ETRUSCO 543 


I Toporagni sono sparsi su tutta la superficie del globo; se 
me incontrano sopra i due continenti e in tutte le latitudini. 
Tuttavia son sempre più numerosi in Europa, specialmente in 
Francia ed in Germania. Le specie principali sono il Topora- 
gno comune (fr. Musette) che abita l’Europa centrale e meridio- 
nale; — il Toporogno etrusco, proprio del mezzodì della Fran- 
cia e di certe regioni dell’Italia; è la specie più piccola del ge- 
nere, non supera sei centimetri di lunghezza, compresa la testa 
e la coda; — il Toporagno a coda di ratto o Toporagno gigante, 
il più grosso del genere; la sua mole è quella del topo, abita 
l'India e l’arcipelago Indiano; l’odore che emana è, dicesi, tanto 
forte che fa fuggire i serpenti, e basta a rendere infetta l’acqua 
del vaso accanto al quale sia passato: — finalmente il Topo - 
ragno di acqua ed il Toporagno portaremo, di costumi acquatici, 
e che trovasi in tutta l’Europa, ed è noto nei dintorni di Parigi. 


Il Toporagno etrusco !1. — Questa specie di Toporagno fu sco- 
perta e descritta dal prof. Paolo Savi, e però ci piace dedicar- 
gli una menzione speciale. I contadini pisani danno a questo 
animaletto il nome di Mustiolo o Mustietto per via dell’odore di 
muschio che da esso emana. Il prof. Savi, dopo aver detto che, 
contro la credenza di molti, questi animaletti non scavano cu- 
nicoli, secondo che egli osservò tenendoli in un vaso, soggiunse 
così nelle sue Memorie scientifiche (Pisa 1828): 


«€... . Appena posti in questo vaso essi cercarono da tutte le parti, 
e provarono il loro piccol muso a tutti ì fori che loro capitavano in- 
nanzi per nascondervisi, ma trovando che i fori erano troppo piccoli, e 
niuno adatto rinvenendone, si ritirarono in un angolo, vi si accucciarono, 
e per lo spazio di due o tre giorni che li tenni in quel medesimo vaso, 
non vidi mai che tentassero, o avessero tentato di scavarsi nemmeno 
un covo. 

« Quando i Mustioli hanno la temperatura che loro conviene, e che 
una luce troppo forte non gli offende, sono estremamente vivaci: cor- 
rono da un lato all’altro del vaso, si urtano insieme, si mordono, e stri- 
dono continuamente. Questo strido è l’unico suono, che io abbia loro 
sentito tramandare. Egli è fine, ed acuto, e somiglia perfettamente a 
quello che mandano i pipistrelli, quando volano sulla sera e vanno in cerca 
di nutrimento. 

« La luce incomoda molto i Mustioli, ed ancorchè sia debole, cercano 
sempre di andare nel luogo il più oscuro che lor si presenta. Sembra 
che i piccolissimi loro occhi adatti non sieno che per vedere nei luoghi 


t Questo capitolo venne da noi aggiunto alla presente edizione ita- 
liana. (Nota del Trad.) 


544 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 
ove è debolissima luce, o che sono quasi affatto oscuri: imperocchè an- 


cor quando gli illuminavo il meno che m'è possibile, tanto cioè che ba- 


stasse ai miei occhi per iscorgerli, con tutto ciò dai loro moti sempre 
incerti appariva che essi erano abbagliati, e che solo erano guidati dal- 
l'odorato e dal tatto. | 

« Quest'ultimo senso lo hanno squisito, e forse vien loro perfezionato 
lalla lunghezza, e dal numero delle loro basette. Il minimo moto che 
si faccia nell'aria, se è un poco brusco, essi lo sentono, ancorchè si fac- 
cia distante nove o dieci pollici, e non produca alcun rumore. Così il 
semplice urto impresso all’aria col fare scattare l’indice dal pollice anche 
un poco lontano dalla cassetta in cui gli tenevo, ed in un posto a loro 
invisibile, era più che sufficiente perchè contemporaneamente tutti si 
scuotessero, e come spaventati si ritirassero. Dal vedere il gran numero 
dei peli delle basette che hanno i Mustioli, dalla loro sottigliezza e lun- 
ghezza, e dall’essere questi disposti in bellissimo ordine intorno alle loro 
teste, sospettai da principio che a questi soli fosse dovuta una tale estrema 
sensibilità: ma una facile e semplice prova mi fece accorgere dell'inganno, 
giacchè ripetendo la solita esperienza con un Mustiolo a cui avevo ta- 
gliato tutti i peli delle basette, egli dimostrò presso a poco la sensibilità 
medesima di quelli a cui niuno n’era stato tagliato. 

« I loro alimenti ordinari sono insetti, come mosche, grilli, forbici, ra- 
gni, ecc. Ho provato a dar loro dei lombrichi e delle piccole chiocciole, 
ma non ho veduto mai che ne abbiano mangiati: e neppure hanno mai 
mangiato nè semi, nè foglie, nè alcuna sorta d’alimenti vegetabili, almeno 
che io me ne sia potuto avvedere. E l’è una cosa veramente piacevole 
il vedere la velocità, e per così dire la ferocia, con la quale si slanciano 
sopra gl’insetti che senton passare a loro vicini. Io dico che sentono 


passare, perchè giammai mi sono accorto che essi conoscano la presenza 


degli insetti mediante la vista. Il tatto e l’udito sono i sensi i quali gli 
guidano nelle loro caccie, almeno in quelle che essi fanno ad una luce 
sufficiente per i nostri occhi. In questo caso se un insetto sta fermo 0 
lentissimamente si muove, ancorchè gli passi accanto un Mustiolo, se non 
lo tocca, egli non se n’accorge, e seguita la sua strada. Ma se poi v’inciampa 
con qualche pelc delle sue basette, e l’insetto agitandosi con una certa 
celerità fa muovere assai forte l’ aria che lo circonda, o tramanda un 
qualche suono, allora il Mustiolo vi si slancia immediatamente sopra , e 
con due o tre morsi l’uccide. 

« Una cosa poi che fa meraviglia in questi animali, i quali per la loro 
piccolissima mole, per le loro forme rotonde e proporzionate, hanno un 
aspetto così delicato e grazioso, e il loro naturale tanto crudele, 
e cattivo. Se essendo molti riuniti insieme, punto la fame gli assale, 
incominciano fra di essi a battersi con i morsi, fintanto che qualcuno 
soccomba. Tutti allora si gettano adosso alla disgraziata vittima, ed in 
pochissimo tempo la divorano. Di rado ne lasciano avanzi; ma se pur 
qualcosa vi lasciano, ell’è quasi sempre o la punta del muso, ola coda. 
Terminato che hanno questo fiero pasto, incominciano un’altra battaglia, 
dipoi un altro pasto; e seguitano in tal modo fino a che o uno solo 


GENERE SOLENODONTE E MACROSCELIDE 545 


resti di tutti vincitore, e divoratore, o che spossati dalla fatica € 
dalla gran quantita di nutrimento, rimangano intorpiditi, ed assopiti. E 
non è solamente l’imperioso bisogno del nutrimento, la fame crudele, 
che gli trasporta ad un tale eccesso contro gl’individui della propria 
specie, imperocchè molte volie gli ho veduti divorarsi fra loro quando 
quasi eran sazi, e quando avevano a loro disposizione dell’ altro ali- 
MEDIO. 


Genere Solenodonte. — I Solenodonti differiscono pochissimo 
dai toporagni; li distingue principalmente il sistema dentale. 
Hanno la coda lunga, nuda e scagliosa, e abitano il nuovo 


Fig. 259. Macroscelide. 


mondo; vale a dire le isole di Haiti e di Cuba. Non se ne co- 
nosce che: una sola specie, il Solenodonie paradossale. 

Accanto ai Solenodonti giova collocare un piccolo animale 
scoperto al Giappone una ventina d’anni fa, e pel quale alcuni 
autori hanno creato un genere nuovo. È l’Urstrico, i cui carat- 
teri principali sono, colle forme generali dei toporagni, una pro- 
boscide allungata, mobile, e una coda lunga e fitta. 


Genere Macroscelide. — Alcuni caratteri bene spiccati distin- 
guono questo genere dai precedenti. I Macroscelidi sono animali 
| essenzialmente saltatori; è il tipo dei gerboa portato fra gl’inset- 
tivori. Hanno le membra posteriori molto più lunghe delle an- 
teriori; da ciò deriva il loro nome che, secondo l’ etimologia 
greca, significa grandi gambe (macros grande, skelos gamba). I 
loro occhi son più apparenti di quelli dei toporagni e delle 
talpe; le orecchie sono assai sviluppate, ed il muso sì prolunga 

Ficuier. I Mammiferi. 69 


546 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


a mo’ di proboscide sopra la mascella inferiore. Il corpo ‘è 
grosso e corto, la coda è lunga e poco fornita. Sono piccolis- 
simi: al più dieci centimetri quando stanno in piedi. D’indole 
amabile e di modi graziosi, sanno cattivarsi la simpatia del- 
l’uomo, e si sottomettono volontieri alla domesticità. D'altronde 
è facile nutrirli, poichè il loro regime è insettivoro ed erbivoro 
ad un tempo. 

I Macroscelidi abitano l’ Africa; rimangono nei siti aridi e 
sassosi. Se ne contano tre specie, due delle quali son partico- 
lari della Cafreria, e una degli Stati barbareschi. Quest’ ultima 
è il Macroscelide di Rozet, assai comune in Algeria, principal- 
mente nei dintorni di Bona e di Oran, ove è conosciuto col nome 
di topo dalla proboscide (Rat à trompe). 


Genere Rincocione. — I Rincocioni sono animali saltatori come 
i Macroscelidi; hanno pure la parte posteriore del corpo più 
alta della anteriore, ma sono più svelti e più grossi. Inoltre, 
sono tetradattili, vale a dire le loro zampe terminano solo con 
quattro dita. La sola specie del genere che si conosca appar- 
tiene al Mozambico; non si sa nulla dei suci costumi. 


Genere Miogale. — I Miogali * sono specialmente organizzati 
per l’esistenza acquatica. Hanno le zampe posteriori palmate e 
la coda appiattita in una certa parte della sua lunghezza, per 
modo da far l'ufficio di remo. I loro occhi son piccolissimi, e 
le orecchie quasi nulle. Il corpo è abbastanza allungato e co- 
perto di peli soffici, a riflessi iridescenti. Alla base della coda 
esistono molte ghiandole, che secernono un odore eccessiva- 
mente penetrante. Il muso termina in una piccola proboscide 
compressa; le zampe hanno cinque dita fornite d’ unghie ro- 
buste. 

I Miogali vivono sulle sponde dei laghi e dei fiumi; inse- 
guono nell’acqua gli insetti, i molluschi, le rane e anche i pe- 
sci. Se ne conoscono due specie che son proprie dell'Europa: il 
Miogale moscovita e il Miogale dei Pirenei. 

Come lo indica il suo nome, il Miogale moscovita (fig. 260) si 
trova in Russia. È grosso presso a poco il doppio del nostro 
topo d’acqua; l’ odore che manda è tale che si comunica alla 
carne dei pesci abbastanza voraci per nudrirsi dei cadaveri di 
questa specie. i 

Il Miogale dei Pirenei è molto più piccolo del precedente; è 


i Franc. Desmans ; ted. Russelmaus. 


FAMIGLIA DEI RICCI D4T 


comune nei piccoli corsi di acqua del dipartimento degli Alti 
Pirenei, 


FAMIGLIA DEI Ricci. — A questa famiglia appartengono i più 
grossi insettivori, e quelli che presentano meno bizzarrie nelle 
forme. Differiscono molto per le abitudini gli uni dagli altri; 
«ma hanno per caratteri comuni di nutrirsi nello stesso modo 
e di presentare il medesimo sistema dentale. I generi princi- 
pali sono i Ricci propriamente detti, i Centeti, i Cladobati o Tu- 
pate, ca i Gimnuri. 


Genere Riccio. — I Ricci * van debitori del loro nome alla 
singolare struttura dei loro peli, che sono vere spine, e diven- 
gono irti a piacimento dell’ animale. Hanno il corpo allungato, 
le membra cortissime, e le loro zampe comprendono ognuna 
cinque dita, armate di unghie relativamente deboli. Il loro muso 
è aguzzo, e termina in un grugno, sul quale si aprono le narici. 
Una piccola appendice carnosa, collocata all’estremità, è senza 
dubbio destinata a render più squisito il senso dell’odorato, che 
d'altronde è eccellente. Gli occhi son piccoli e la vista è corta. 
La coda è nuda, sottile e brevissima. I denti sono in numero 
di trentasei, di cui venti nella mascella superiore e sedici nella 
mascella inferiore; non hanno veri canini. 

Il carattere più curioso del Riccio è la facoltà che questo in- 
settivoro possiede di ravvoltolarsi a mo’ di palla, e ravvolgersi 
tutto come in una foresta di baionette allorchè è minacciato di 
qualche pericolo. Se un rumore insolito, sia esso prodotto dal- 
l’accostarsi di un uomo o di un animale, viene a turbarlo, su- 
bito si appallottola, si restringe in sé stesso, e portando il capo, 
le zampe e la coda sotto il ventre, drizza i suoi peli, prima 
disposti allo indietro, e non presenta più allo sguardo attonito 
che una palla ricoperta in ogni parte di aculei, sulla quale 
l’assalitore non ha presa. È molto difficile obbligarlo a disten- 
dersi; la volpe vi riesce; ma non senza molto stento, e dopo 
essersi insanguinate le fauci e le zampe. Per giungere al suo 
scopo la volpe rivolge l’attacco contro la parte ventrale del ne- 
mico, la quale essendo difesa da un numero minore di aculei, 
è fino ad un certo punto vulnerabile. 

Si ammaestrano i cani a questa sorta di caccia. Ma havvi un 
mezzo infallibile di vincere la resistenza dell’ animale: ed è di 
immergerlo nell’acqua. Allora lo si vede riprendere il suo stato 


! Lat. Erinaceus, fr. Herisson, ingl. Hedgehog, ted. Igel. 


548 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


normale, per tentare di salvarsi nuotando. Infatti, non. prova 
veruno stento nell’acqua, e nou esita un momento a gettarvisi, 
quando lo esiga un pericolo vicino. Sembra anzi che possa 
tuffarsi per lo spazio di dodici o quindici minuti, senza che ne 
risulti per esso nessun inconveniente; circostanza tanto più no- 
tevole che, in quasi tutti gli animali a sangue caldo, l’immer- 
sione produce l’asfissia dopo un tempo brevissimo. 

Un'altra singolare particolarità della vita di questo insettivoro 
fu svelata, nello scorso secolo, dal naturalista Pallas: il Riccio 
può mangiare centinaia di cantaridi senza esserne disturbato 
per nulla, mentre l’uomo e la maggior parte dei carnivori non 


Fig. 260. Miogale moscovita. 


possono mangiare due o tre di questi insetti senza sentire gli 
effetti di un vero avvelenamento. 

L’osservazione fatta da Pallas di questa facoltà del Riccio di 
divorare cantaridi senza soffrirne alcun disturbo, ha condotto 
un naturalista tedesco, Lentz, a scoprire che lo stesso animale 
è inaccessibile agli effetti del veleno della vipera. 

Lentz introdusse una vipera in una cassa che conteneva un 
Riccio femmina coi suoi piccoli. La vipera, che era grossa e 
robusta, si ravvolse in fondo alla cassa lontana dal Riccio. Ma 
questo le si accostò lentamente, la fiuto, e si allontanò dap- 
prima, allorchè quella si drizzò per mostrargli i denti. Siccome 
il Riccio si era tornato ad accostare senza precauzione, rimase 
morsicato nel muso, e ne uscì una goccia di sangue; egli in- 
dietreggiò, si leccò la ferita, poi ritornò alla carica. Ricevette 
una séconda ferita nella lingua; ma senza lasciarsi intimorire, 


GENERE RICCIO 549 


afferro il serpente pel corpo. I due avversari erano divenuti 
furibondi: il Riccio grugniva, si scuoteva; la vipera, dal canto 
suo, mordeva replicatamente, ferendosi talora da sè coi suoi 
denti veleniferi tante volte quante feriva il Riccio. Ad un tratto 
il Riccio le afferrò il capo, lo stritolò, e divorò sull’istante , 
senza alcun segno d’emozione, la metà anteriore del rettile, poi 


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Fig. 261. Riccio comune. 


tornò senza scomporsi ad allattare i suoi piccoli. L'indomani 
mangiò il resto della vipera. 

Questo sperimento fu ripetuto parecchie volte, e presentò 
sempre lo stesso risultato, nè il Riccio nè i piccoli furono am- 
malati per un solo istante. 

Un giornaie di medicina, il Courrier des familles, che narra 
questo fatto preso dalle letture del signor Vogt, soggiunge: 


« Dunque è bene non uccidere i Ricci, specialmente nel Limosino, ove 
abbondano. Sulle sponde della Vienne, nei dintorni di Limoges, e nei 
parchi più belli, se vi accade di passeggiare nell’ ora del mezzogiorno, 
vedete una infinità di code che si affondano nei buchi. Sono vipere. I 
viali sono simili a schiumatoie. A Fontainebleau, prima del 1848, si pa- 
gavano i cercatori di vipere a ragione di 1 franco per ognuno di questi 
incomodi ospiti. Il riccio è molto più eccnomico. » 


550 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


I Ricci sono animali notturni. Rimangono per la maggior 
parte del giorno nei buchi che servono loro di nascondiglio, 
sia sotto i sassi, sia ai piedi degli alberi tarlati, talora ia 
qualche altro ricovero, opera del caso o della natura. Allora 
sono immersi in uno stato di torpore, dal quale escono soltanto 
per cercarsìi il cibo. Comincia in quel punto la loro vita attiva. 
Percorrono il suolo, fiutando per ogni dove e scavando la terra 
col grugno. Il loro nutrimento si compone principalmente di 
insetti, di molluschi, di rospi, di rane e di piccoli mammiferi. 
Quando non trovano altro, si contentano di radici ed anche di 
frutta cadute dagli alberi; perchè non possono andarle a cercare 
là sopra, come hanno detto certi naturalisti. Bisogna conside- 
rare una favola il fatto che i Ricci si servano dei loro aculei 
come di uno spiedo per portar le frutta nel loro covo; in primo 
luogo non si vede in qual modo potrebbero sbarazzarsi del loro 
carico arrivando al loro domicilio, e poi è riconosciuto che non 
fanno provviste. 

Il Riccio è bensì un animale previdente. E° sa benissimo che 
non ha altro che la sua corazza per difendersi dai nemici, e 
quindi, che sarebbe senza dubbio divorato, qualora fosse sor- 
preso senza difesa dalle puzzole, dalle martore e da altri cattivi 
animali che gli vogliono male. Perciò, prima di addormentarsi, 
si appallottola per precauzione; così può riposare senza inquie- 
tudini. 

D'inverno i Ricci cadono in letargo. Appena la temperatura 
si abbassa a 6 o 7 gradi sopra lo zero, essi si rintanano nei 
loro buchi e rimangono addormentati fino alla primavera se- 
guente. In questo momento son coperti da un fitto strato di 
grasso, che serve alla loro vita respiratoria. per tutto il loro 
letargo invernale. 

Non si conosce la durata della gestazione di questi animali, 
ma si sa che i neonati non si mostrano prima della fine di 
maggio. Ogni parto si compone di tre a sette piccoli. Sulla loro 
pelle bianca compaiono certi punti neri, che mostrano il luogo 
degli aculei. 

Il Riccio ha intelligenza limitatissima e non si riesce che 
molto difficilmente ad addomesticarlo. ‘l'uttavia, sembra che 
sulle sponde del Don e del Volga lo si allevi nelle case come 
il gatto. Si lascia correre nei giardini, e si adopera utilmente 
alla distruzione di moltissimi animaletti nocivi. Del resto non 
vi cagiona alcun guasto. 

Si conoscono due specie di Ricci. 

Il Riccio comune (fig. 261) è molto sparso in Europa. A que- 


GENERE CENTETE E GIMNURO DI 


sta specie voglionsi riferire i particolari che abbiamo menzio- 
nati testè. Oggi questo animale non offre utile veruno; ma an- 
ticamente veniva adoperato in vari modi. Gli antichi gli face- 
vano una caccia molto attiva per impadronirsi degli aculei, che 
servivano a cardare la lana. In seguito la medicina lo adoperò 
in diverse malattie, specialmente contro l’incontinenza d’orina 
e nell’idropisia. 

Il Riccio dalle orecchie lunghe si distingue dal precedente non 
solo per la maggior ampiezza dell’ orecchio esterno, ma anche 
per gli occhi più grandi, per le gambe un po’ più lunghe, la 
coda più corta e gli aculei meno aguzzi. Abita l’est della Rus- 
sia, la Siberia occidentale e la Tartaria. Non tanto protetto 
come la prima specie, divien facilmente preda dei suoi nemici. 
Gli uccelli di rapina ne distruggono una gran quantità sulle 
sponde dell’Ural. 


Genere Centete. — I Centeti sono animali del Madagascar, che 
hanno molta analogia coi Ricci, tanto per le forme quanto pei 
costumi. Si distinguono in Centetì propriamente detti, e in Ericoli. 

Gli Ericoli o Tendrac non differiscono quasi dai Ricci. Hanno 
come questi il corpo molto spinoso, e si appallottolano del 
pari: ma sono un tantino più piccoli. 

I Centeti o Tanrec (fig. 262) sono più svelti, più sottili; i 
loro aculei sono meno rigidi e sono frammisti a peli morbidi; 
non hanno la facoltà di foggiarsi perfettamente a mo’ di palla; 
la loro coda è nuda. Si trovano non solo a Madagascar, ma 
anche nelle isole Borbone e Maurizio. Alcuni autori hanno as- 
serito che i Centeti cadono in letargo durante i forti calori, 
come fanno i Ricci sotto l’azione del freddo; ma questo fatto 
non è stato ben provato. Ciò che si può accertare si è che que- 
sti animali dormono durante il giorno, e vanno la notte in 
cerca di nutrimento. 


Genere Gimnuro. — I Gimnuri si distaccano in modo ben 
spiccato dai Ricci e dai Centeti. Non v’'ha in essi traccia di 
spine; il loro pelame è morbido in tutte le sue parti. Il loro 
muso è allungato, ia coda è lunga quanto il corpo, e le loro 
forme sono graziose. Non se ne conosce che una sola specie, 
il Giammuro di Raffles che abita Sumatra, e di:cui non si sono 
peranco studiati i costumi; è a un dipresso della mole del 
Riccio comune. 


Genere Cladobate o Tupaia. — I Cladobati, che abitano l’India 


552 ORDINE DEGLI INSETTIVORI 


e le isole della Sonda, rassomigliano molto agli scoiattoli; ne 
hanno pure le abitudini e vivono anch’essi sugli alberi, si nu- 
trono d’insetti e di frutta. Hanno il pelo morbido, abbondante, 
la coda lunga e ben fornita. Le loro dita terminano con un- 
ghie aguzze, cui affondano nella scorza degli alberi, per arram- 


Fig. 262. Centete dal pelo morbido. 


picarvisi e rimanervi in equilibrio. Sono i più eleganti fra gli 
insettivori, 

Accanto ai Cladubati bisogna collocare gli Zlomidi ed i Plilo- 
cerchi che abitano le stesse regioni, e che se ne distinguono, i 
primi per una coda rudimentale e quasi nuda, i setondi per 
una coda parimente lunga, ma guarnita di peli solo nel suo 
ultimo terzo. 


ORDINE DEI CHIROTTERI 


I Chirotteri sono que’ singolari animali che si denominano 
comunemente Pipistrelli. Per lungo tempo sisono avute le idee 
più false intorno a questi esseri bizzarri, e queste idee regnano 
ancora in molte persone. Aristotile li definisce col nome di uc- 
 cellì dalle ali di pelle. Dopo di lui Plinio, Aldovrandi, Scaligero, 
sono caduti nello stesso errore. 

I Pipistrelli 1 non hanno tuttavia altra rassomiglianza cogli 
uccelli che la facoltà di moversi nell’aria. 

. Dopo molti secoli, si è finalmente riuscito a conoscere, fino 

nei loro più intimi particolari, i vari caratteri che stabiliscono 
il posto di questi animali nella scala del creato. Oggi si sa cer- 
tamente che sono mammiferi. 

La conformazione al tutto particolare delle loro membra an 
teriori, le trasformazioni delle loro mani in ali, costituiscono il. 
loro carattere al tutto distinto fra gli altri mammiferi. Quindi 
la loro denominazione scientifica rammenta questa speciale di-- 
sposizione organica, giacchè il vocabolo chirottero vuol dire: 
mano alata 0 mano trasformata in ala (dal greco chir, mano, 
piéron, ala). I Chirotteri son dunque mammiferi dalle mani alate. 

Come mai la natura ha potuto compiere questo nuovo tipo? 
Tutte le dita della mano, eccettuato il pollice, il quale è corto, 
unguicolato e al tutto libero, sono smisuratamente lunghe, 
sprovviste di unghia, e riunite per mezzo di una membrana. 
trasparente, che è sprovvista di peli. Questa membrana, che rî— 
copre anche le braccia e gli antibracci, non è altro che un pro;- 
lungamento della pelle dei fianchi. Si compone di due strati sotti-- 
lissimi, uno che tien dietro ai tegumenti dei dorso, l’altro che- 
continua quelli dell’ addome. Si estende pure tra le membra. 
posteriori, ove si sviluppa più o meno, secondo i generi, e: 
prende allora il nome di membrana interfemorale; ma non giunge 


1 In lat. Vespertilio, fr. Chauve-Souris, ingl. Bat, ted. Fledermaus. 
FisuiER. I Mammiferi. 70 


554 ORDINE DEI CHIROTTERI 


mai fino alle dita dei piedi, che sono corti e unguicolati come 
il pollice della mano. 

Mercè questa specie di velo membranoso i Pipistrelli possono 
dirigersi nello spazio, come gli uccelli. Quando sono in riposo, 
ripiegano le loro ali intorno al corpo, e vi si ravvolgono dentro 
come in un mantello, nello stesso modo come si chiude un om- 
brello. per diminuirne il volume, quando non lo si adopera. 
Questo paragone è tanto più giusto in quanto che le lunghe 
dita filiformi dell’ animale rappresentano a meraviglia le bac- 
chette dell’ombrello. 

Da ciò che si è detto precedentemente, si comprende che i 
Pipistrelli siano poco atti alla locomozione terrestre: possiam 
dire senza esagerazione che non camminano, ma si trascinano 
sulla terra. Furono osservati molte volte i movimenti di questi 
animali in cosiffatte circostanze, ed ecco ciò che si è veduto. 
Quando vogliono spostarsi, slanciano il più lontano possibile 
l’ unghia adunca che termina uno dei loro pollici superiori, € 
la piantano in qualche punto del terreno; poi, facendo una tra- 
zione su questo punto, riaccostano il corpo nello stesso senso, 
per l’opera dei muscoli del braccio, nel tempo stesso in cui le 
estremità posteriori agiscono dallo indietro allo innanzi, per 
agevolare questo movimento. L’altro pollice fa poi la stessa ma- 
novra, e il corpo progredisce pel medesimo spazio, ma non 
nella stessa direzione. Difatti, è facile vedere che l’animale si 
porta talora a destra, talora a sinistra, secondo che si aggrappa 
con uno o coll’altro pollice, e quindi il Pipistrello non cammina 
in linea retta, ma con una serie di ghirigori, di cui l’asse del- 
l’animale rappresenta la vera direzione. 

Un naturalista inglese, White, che ha studiato i Pipistrelli 
nella schiavitù, dichiara falsa l’ opinione comune, secondo la 
quale essi non possono muoversi sulla terra che con grande 
difficoltà. Invece egli pretende che corrono abbastanza veloce - 
mente, ma nel modo, soggiunge, il più curioso e ridicolo. Mal- 
grado questa affermazione, non possiamo credere all’agilità dei 
Chirotteri come Mammiferi camminatori, e pensiamo che siavi 
una certa dose di esagerazione nelle asserzioni del naturalista 
. inglese. 

È certo che i Pipistrelli non scendono a terra nello stato or- 
dinario. Oltre il motivo testè menzionato, havvene un altro che 
li induce ad agire in tal modo: si è che sono in una cattivis- 
sima posizione per spiccare il volo. Allora si trovano a un di- 
presso nel caso di quegli uccelli grandi volatori, che, pieni di 
grazia e di sicurezza quando si slanciano da un punto elevato, 


» 


PIPISTRELLI 555 


sono poi costretti ai più penosi sforzi allorchè debbono pren- 
dere il volo da un suolo basso e liscio. 

I Chirotteri sono essenzialmente notturni. I loro occhi, seb- 
bene poco voluminosi, sono organizzati per vedere, non. nelle 
tenebre assolute, ma nella luce più mite del crepuscolo o al 
dolce luccicore della luna e delle stelle. Durante il giorno si 
ritirano nelle caverne, nelle cave di pietra abbandonate, nei 
granai, nei campanili delle chiese, nelle vecchie rovine, nei 
tronchi d’ alberi, e vi rimangono addormentati fino a sera. Si 
sospendono colle zampe posteriori alle pareti di queste cupe di- 
. more e le loro unghie forti ed adunche sono meravigliosamente 
fatte per questo uso, e riposano quindi col capo all’ingiù (fig. 263). 
Sovente si agganciano gli uni agli altri, e aliora formano masse 
compatte, di cui non può farsi una idea chi non abbia osser- 
vato queilo strano spettacolo. In certe caverne sotterranee è 
così grande il numero dei Pipistrelli, che un denso strato dei 
loro escrementi ricopre il suolo di quei luoghi oscuri. 

Ad eccezione della vista e del gusto, che non sembrano molto 

sviluppati, i sensi dei Pipistrelli sono meravigliosamente estesi 
ed acuti... 
— In generale, le orecchie sono grandi, bene aperte, e la per- 
cezione dei suoni si compie in modo perfetto. Quanto all’ odo- 
rato, è squisitissimo. In un certo numero di specie l’ apertura 
delle narici è ricoperta di ripiegature membranose, dette ripie- 
gature nasali, che comunicano una forza singolare alle impres- 
sioni dell’organo dell’olfatto. Infine, il tatto è di una sensitività 
squisita; ciò che non ci recherà sorpresa, se pensiamo alla 
prodigiosa estensione della mano di questi Mammiferi. 

E da attribuire a questa eccezionale dilicatezza del tatto la 
sicurezza con cuì i Pipistrelli volano nelle loro scure dimore, 
senza mai urtare negli angoli, nè agli spigoli delle roccie, nè 
ad altri ostacoli che pcssono trovarsi sulla loro via. Spallan- 
zani fece sperimenti decisivi a questo riguardo. Il. celebre fisio- 
logo strappò gli occhi ad alcuni Pipistrelli, e dopo averli la- 
sciati andare li vide volare intorno alla stanza, senza che nei 
loro movimenti si rivelasse la menoma esitazione, senza che 
andassero a dar del capo contro i mobili o contro il soffitto, in 
fine, senza che la privazione della vista sembrasse mutar nulla 
alle Joro condizioni di esistenza. 

Bastò questo perchè lo Spallanzani dichiarasse che i Pipi- 
strelli son forniti di un sesto senso, che svela loro la vicinanza 
dei corpi solidi. Ma una siffatta spiegazione non. è necessaria. 
Quando si conosce la prodigiosa sensività degli organi del tatto 


006 ORDINE DEI CHIROTTERI 


in questi animali, si può ammettere che essi sono impressionati 
da certi movimenti dell’aria, impercettibili a noi, e che il Pipi- 
‘strello può quindi rendersi conto della vicinanza di un oggetto 
per le correnti d’aria che esso medesimo spostandosi produce 
nell'atmosfera. 

I Pipistrelli sono animali letargici. Nelle regioni fredde e 
‘temperate, appena giungono gli ultimi giorni d’ autunno, si 
rinchiudono nei luoghi che servon loro di dimora abituale; ed 
ivi, coi piedi all’aria, la testa in giù, le ali ripiegate intorno al 
corpo, come se stessero per fare il loro solito sonno durante il 
giorno, cadono in uno stato di torpore che non cessa se non 
quando ritorna la primavera. Per tutto questo spazio di tempo 
sono affatto insensibili; la vita in essi sembra sospesa, si può 
toccarli, scuoterli, anche gettarli in aria, senza che facciano il 
meromo movimento. Ma se li tenete per un certo tempo in 
mano, o li accostate al fuoco, sotto l’ azione del calore si. ve- 
dranno in breve rianimarsi. da 

Mentre dura questo letargo, le funzioni vitali si compiono 
molto lentamente nei Pipistrelli addormentati, ma non sono al 
tutto sospese. I Pipistrelli non fanno a meno di nutrirsi du- 
rante questo periodo della loro esistenza. Non potendo, però, 
prendere alcun cibo, divorano la loro propria sostanza, vale a 
dire il grasso che hanno accumulato nel loro corpo durante i 
giorni di vita attiva. Ciò spiega la somma magrezza a cui son 
ridotti quando si svegliano dal loro sonno invernale. 

La maggior parte dei Chirotteri hanno i molari irti di punte 
coniche, e sono per conseguenza insettivori; solo le Rossette 
hanno molari con corona piana, e si nutrono di frutta. Han- 
novi anche alcuni Chirotteri, come i Vampiri, che si attaccano 
agli animali, ed anche all'uomo, per sugger loro il sangue. 

Appena il sole è sceso sotto l'orizzonte, i Chirotteri si preci- 
pitano a gara fuori delle loro dimore, per andare in cerca del 
nutrimento. ‘Allora si veggono inseguire e prendere al volo gli 
insetti crepuscolari: Quando sono sufficientemente satolli, tornano 
nelle loro oscure dimore, per ricominciare all’ alba del giorno 
seguente. Chi non ha osservato, dopo un bel giorno di estate, 
il volo circolare ed incerto del Pipistrello in cerca della preda? 
Chi non ha osservato le sue movenze esitanti? L’ufficio di questo 
animale consuona tanto bene, nella natura, alla poesia della 
sera, che ci sembrerebbe mancar qualche cosa alla sua cupa 
armonia, qualora il Pipistrello non passasse e ripassasse in- 
| nanzi a noi, ad intervalli regolari. 

Sulle sponde dei fiumi si vede il Pipistrello sfiorare costante- 


“he ia PA 


PIPISTRELLI 5OT 


mente la superficie dell’acqua, per afferrarvi gli insetti volanti; 
esso dimostra tanta preoccupazione in questa caccia fruttifera 
che si lascia prendere ai più grossolani tranelli. Un insetto con - 
fitto in un amo, che si agiti nell’aria basta a svegliare la sua 
ingordigia e farlo cadere nelle nostre mani. Del resto questo è 
il solo mezzo per afferrare un Pipistrello; chè non bisogna pensare 
alla caccia col fucile per i numerosi ghirigori del suo volo. 
Ordinariamente il Pipistrello non partorisce che un solo pic- 
colo. Appena nato, la madre lo ripulisce, ed avvolgendolo nelle 
sue ali, come in una culla, se lo stringe al seno, ove il piccolo 


Fig. 265. Pipistrelli appesi alle pareti di una caverna. 


trova il suo primo nutrimento. Dopo alcuni giorni il neonato 
puo agganciarsi, colle unghie posteriori, al pelo della madre, e 
non di rado si osserva quest’ ultima librarsi nell’aria, carica di 
questo strano peso. Quando per eccezione il parto è doppio, 
allora son due piccoli invece di uno che la nutrice alata porta 
così attraverso l’aria. 

Si è riconosciuto, non senza sorpresa, che questi animali non 
sono insensibili al gusto di far teletta. In prigionia furon veduti 
pulirsi il pelo con grande attenzione, servendosi delle estremità 
inferiori a mo’ di pettine, dividendolo in due, come fanno i 


958 ORDINE DEI CHIROTTERI 
nostri eleganti, con una scriminatura dritta che si stende lungo 
il dorso. | 

Difficilmente i Chirotteri sopportano la perdita della libertà :. 
ridotti in prigionia, muoiono dopo un tempo brevissimo. Hav- 
vene però taluni che sopravvivono al loro imprigionamento, e 
divengono persino famigliarissimi colle persone che hanno im- 
parato a conoscere in seguito a relazioni di ogni giorno. Iì 
dottor Franklin dice di aver visti alcuni Pipistrelli perfettamente 
addomesticati in parecchi poderi d’Inghilterra. Queste creaturine 
vivevano nella stessa stanza della famiglia del fattore. Se taluno, 
tenendo un insetto tra le labbra, si divertiva ad imitare il ronzio 
di una mosca, venivano a collocarsi sulle sue guancie, per cer- 
care sulle sue labbra l’insetto desiderato ed anche afferrarglielo 
sulla bocca. 

In Oriente sonvi poche case abitate nelle quali i Pipistrelli 
non abbiano dritto di domicilio. Se ne veggono molti aggan- 
ciati, durante l’estate, agli archi delle cantine di Bagdad, i qualì 
vivono d'accordo cogli indigeni, che hanno l’ abitudine di rin- 
chiudersi nelle cantine, per evitare il caldo eccessivo di quei 
paesi. Un certo numero di Pipistrelli vanno anche ad appen- 
dersi al soffitto alto e fatto a volta degli appartamenti al primo 
piano. Rimangono là tutto il giorno, senza spaventarsi del ru- 
more e del viavai delle persone. 

La maggior parte di quelli che non hanno osservato da vicino 
e per molto tempo i Pipistrelli sentono per questi animali, un 
certo ribrezzo. La loro natura ambigua, le loro movenze miste- 
riose, i loro costumi notturni, generano un senso di ripulsione. 
Sono odiati non meno dei gufi e delle civette, e la superstizione 
attribuisce loro le medesime proprietà malefiche. Fino dal tempo 
di Mosè eran fatti segno alla pubblica detestazione; perchè il 
legislatore ’ebreo li mette nel numero degli animali impuri di cui 
il popolo di Dio non deve mai mangiare la carne. L’ antichità 
sembra aver preso per modello il Pipistrello, quando cercò le 
sue favolose Arpie. Nel medio evo i Pipistrelli personificavano 
lo spirito del male, ed erano compagni inseparabili delle streghe. 
Oggi non si hanno più queste ridicole idee intorno ai Pipi- 
strelli, ma si continua a detestarli; ed il contadino che può uc- 
ciderne uno, si dà il gusto d’inchiodarlo sull’ uscio delia sua 
capanna. Questi animali non meritano tanto rigore. Anzi, il 
nostro odio contro di essi non è che ingratitudine, perchè ci 
rendono importanti servigi. Simili alle rondini, cui sostituiscono 
ogni sera nell’ aria, i Pipistrelli impediscono la riproduzione 
degli insetti nocivi all’agricoltura. A questo titolo hanno diritto 


FAMIGLIA DEI VESPERTIGLI 5599 


ad essere da noi rispettati. Cessi dunque l’uomo dal persegui- 
tarli! Dimostrerà in tal modo buon cuore e buona politica. 

I Pipistrelli sono sparsi su tutta la superficie del globo. Certe 
‘specie non si trovano ehe in regioni determinate; altre sono 
«cosmopolite. Conformemente a ciò che si osserva in tutti gli 
altri animali, ed anche nei vegetali, i paesi più caldi sommi- 
mistrano le specie più grandi e più forti. 

L’ ordine dei Chirotteri può dividersi in tre famiglie: i Ve- 
spertigli, le Rossette ed i Vampiri. 


FamicLIA DEI VESPERTIGLI. — Ripartiremo i Chirotteri appar- 
tenenti a questa famiglia in tre gruppi, secondo una distinzione 
che si appoggia alla conformazione del naso. Nel primo stanno 
le specie dal naso semplice, che comprendono i generi T'af0z00, 
Nottiglio, Vespertiglio e Molosso; nel secondo si trovano le spe- 
cie che hanno il naso scavato: comprendono il solo genere Nit- 
ero; nel terzo, le specie in cui il naso ha una ripiegatura di 
sopra; formano i generi Iinolofo Megaderma. 

I Tafozoi (fr. Taphien) abitano l'Africa e le parti calde del- 
YAsia. Sono caretterizzati da una fronte concava e da una coda 
«corta, la quale invece di confondersi nello spessore della mem- 
brana interfemorale, come nella maggior parte dei Chirotteri, si 
distacca formando di sotto una sporgenza. Hanno, in generale, 
25 0 30 centimetri di apertura d’ali. 

I Nottigli hanno le labbra grosse e tese, a guisa di becco di 
depre: ciò che dà al loro aspetto un non so che di ributtante, 
Non se ne conoscono che due specie, originarie della Guiana, 
del Brasile e del Perù. 

Il genere Vespertiglio comprende le specie indicate più spe- 
«cialmente col nome di Nottole. Hanno quasi tutte la coda lunga, 
«ela membrana interfemorale sviluppatissima. Generalmente sono 
piccole, e divorano moltissimi insetti. Una delle meno grosse, 
il Pipistrello, non mangia mai meno di 70 mosche ad ogni pa- 
sto. Come molti altri Chirotteri mandano un odore. muschiato, 
che svela sul momento la loro presenza. Sono numerosissime e 
contano rappresentanti in tutte le parti del mondo. 

Fra le più comuni menzioneremo la Nottola propriamente 
detta, che abita l’Italia e quasi tutto il rimanente dell’ Europa; 
— il Pipistrello, che trovasi pure in tutta l’ Europa, come pure 
nell’Africa e nell’ India: la sua apertura d’ali non supera 23 
centimetri; — l’Orecchione (fig. 264), così chiamato per le sue 
enormi orecchie, e che ha 830 centimetri di apertura d’ali, e si 
trova in tutta la Francia e in qualche altra parte d’ Europa, ma è 


560 ORDINE DEI CHIROTTERI 


raro ovunque, — il Vespertiglio marino che vive in strupi nu- 
merosi in Europa e in Algeria, ed è il più grosso dei Vesper- 
tigli: misura 45 centimetri di apertura d’ali. 

I Molossi sono animali dal capo grosso, dalle labbra spesse e 
sporgenti più o meno frastagliate, e di cui la membrana inter- 
femorale si distende solo fino alla metà della coda. In complesso 
il loro aspetto è ributtante. Abitano le regioni calde e temperate 
dei due continenti. Se ne conoscono otto o nove specie, di cui 
una sola è stata osservata in Europa; la più grande è il Mo- 
losso dal collare che abita Borneo ed il regno di Siam, ed ha 
un’apertura d’ali di 65 centimetri. 

Nei Niiteri il naso è scavato in una cavità nella quale si na- 
sconde la ripiegatura nasale. Questa ripiegatura esiste, ma non 
è visibile esternamente. La coda, di mezzana grandezza, sostiene 
in tutta Ja sua lunghezza la membrana interfemorale. Questi 
animali abitano differenti regioni dell’Africa, come l’ Egitto, il 


Fig. 264. Testa di orecchione. 


Sennaar, il Senegal, e si trovano anche a Giava. Tre specie 
soltanto sono state finora riconosciute. La loro apertura d’ali 
varia da 20 a 25 centimetri. 

I Finolofi sono benissimo caratterizzati per la presenza e le 
disposizioni della ripiegatura nasale, che si compone di due 
parti; a un dipresso come nei Vampiri: una, a mo di ferro 
di lancia, sta sulla parte inferiore della fronte, l’altra orla il 
labbro superiore, e rassomiglia più o meno a un ferro di ca- 
vallo; fra queste due membrane si aprono le narici. Le orec- 
chie e la coda sono di grandezza mezzana; la membrana inter- 
femorale comprende quest’ ultima quasi interamente. Presso l’ano 
si osservano due ghiandole, che hanno aspetto di mammelle, e 
secernono una materia odorante. Per la mole, i Rinolofi diffe- 
riscono dai Vespertigli; hanno il pelo lungo e fitto, general- 
mente di tinte pallide, talora anche eleganti. 

Questi Chirotteri sono molto sparsi nell’antico continente, in 
Europa, in Africa, in Asia e nelle isole della Sonda, ma nor 


“toi 


FAMIGLIA DEI VESPERTIGLI 561 


ne esiste nessuna specie in America. Vivono in strupi nume - 
rosi, per una gran parte dell’anno. Quando le femmine sono 
fecondate, si separano dai maschi, e vanno, in numero più © 
meno grande, a por dimora in altri luoghi, per partorire ed 
allevare i piccoli. 

Quando questi sono in istato di pravvedersi del bisognevole, le 
madri non ci pensano più e tornano a vivere insieme coi maschi. 

La specie più notevole del genere è il Rinolofo fumoso, che 


Fig. 265. Rossetta d'Edwards. 


abita Giava e le Molucche; misura 53 centimetri di apertura d’ali. 
La più piccola è il Rinolofo tricuspidato, che non ne ha che 21. 

L’Europa ne conta due specie : sono il piccolo Rinolofo a ferro 
di cavallo, il cui pelame è di un bel bianco lucido, e l’apertura 
d'ali di 25 centimetri circa: ed il grande Rinolofo a ferro di ca- 
vallo, che ha 45 centimetri di apertura d’ali; sono comunissimi 
in Francia, come in Italia. 

I Megadermi hanno il naso ornato di una ripiegatura amplis- 
sima e molto complicata. Le loro orecchie son molto grandi, e 
la toro membrana interfemorale sviluppatissima; non hanno 
coda. Si trovano esclusivamente in Africa ed in Asia. Delle 

Ficvier. I Mammiferi. 7) | 


902 ORDINE DEI CHIROTTERI 


quattro o cinque specie che si conoscono, le più importanti sono 
il Megaderma trifogliato, che abita il Malabar, e il Megaderma 
lira, che trovasi al Senegai. Quest'ultimo misura 35 centimetri 
di apertura d’ali. Accanto ai Megadermi si collocano i Rinopomi, 
che se ne distinguono per una ripiegatura nasale più piccola, e 
per una coda lunga e sottile assorbita solo in parte dalla mem- 
«brana interfemorale. Vivono in Egitto ed al Bengala. 


FAMIGLIA DELLE RosseTTE. — I Pteropî, volgarmente chiamati 
Rossette pel loro colore generalmente rosso e bruno, sono i più 
grandi fra i Chirotteri. Alcuni vengono grossi quanto uno scoiat- 
tolo, e non misurano meno di un metro e mezzo di apertura 
d’ali. Nella maggior parte delle specie la membrana interfemo- 
rale è rudimentale, come la coda; alcune mancano affatto di 
quest’ ultima appendice. 

Il carattere dominante dei Pteropi consiste nel sistema den- 
tale, e nel regime alimentare che ne è la conseguenza; hanno 
molari dalla corona appiattita, o solo tubercolosa, e sì nutrono 
di frutta. La faccia manca al tutto di ripiegature nasali, e le 
orecchie sono poco sviluppate. Abitano esclusivamente l'Africa, 
l’Asia e le isole dell'Oceania. Sono sparsi sopratutto in quest’ ul- 
tima regione. La Polinesia, la Micronesia, la Malesia, l’Austra- 
lia, e la terra di Van-Diemen, ne posseggono quantità innumere- 
voli; ma non se ne trovano nè in Europa nè in America. 

Le Rossette non sono quegli animali formidabili che ci hanno 
rappresentato i primi viaggiatori ai quali fu dato di vederne nei 
luoghi melesimi ove nascono e muoiono. Quegli esploratori si 
erano lasciati ingannare dalle dimensioni straordinarie di questi 
pipistrelli, e vi costrussero sopra i più strani racconti pieni di 
ridicole stravaganze. Il fatto è che le Rossette non aggrediscono 
mai nessun animale, neppure i più deboli, e che si nutrono 
quasi esclusivamente di frutta. E vero che in mancanza degli 
alimenti ordinari possono mangiare insetti ed anche carne 
cruda, ma è questa una rara eccezione. 

Le Rossette non son temute se non pei guasti incalcolabili 
che cagionano nei giardini e nelle piantagioni. Infatti, divorano 
‘ogni sorta di frutta che possono prendere, e divengono quindi 
una continua sorgente di danni per gl’indigeni. Fa d’uopo 
adoperare vari artifizi per sottrarre da essi i frutti più belli e 
saporiti. A Giava gli alberi fruttiferi vengono circondati da reti 
o cestini fatti di foglie di bambù. 

Hannovi certe specie di Rossette che invece di ritirarsi, . du- 
. rante il giorno, nei luoghi oscuri, come quasi tutti i Chirotteri, 


FAMIGLIA DELLE ROSSETTE E DEI VAMPIRI 563; 


si sospendono a centinaia ai rami di un grosso albero, ed 
aspettano così, col corpo arrovesciato, l’ora del crepuscolo. Sono 
queste ore di riposo che si scelgono per ucciderle. 

Infatti, si fa caccia di questi animali, non solo per dimi- 
nuirne le depredazioni, ma anche per la loro carne, che è molto 
apprezzata. Prima di mitragliarli, si ha la precauzione di spa- 
ventarli onde abbandonino l’albero ove stanno appesi; se non 
si facesse così, rimarrebbero agganciati al ramo, anche dopo 
la morte, tanto è potente la loro forza di prensione. 

Sebbene le Rossette abbiano, come gli altri Pipistrelli, co- 
stumi essenzialmente notturni, non è raro vederne alcune vo- 
lare di pieno giorno. Il dottor Forster, nel suo viaggio col ca- 
pitano Cook nel 1772, ne osservò un certo numero nelle isole 
degli Amici. Egli dice che sfiorano le acque con somma age- 
volezza; anzi asserisce averne veduto una nuotare. Del resto en - 
trano frequentemente nell’ acqua per lavarsi e liberarsi dagli 
insetti parassiti che le tormentano. 

Le Rossette impregnano l’aria di un forte odore muschiato, 
che non è punto piacevole. Hanno tanta forza nelle ali, che 
quando in molte spiccano il volo da un bambù, lo fanno incur- 
vare fino a terra. Mandano soventi acute grida, sia che si dispu- 
tino fra loro per collocarsi a loro piacimento, sia che vengano 
disturbate. Quando sono ferite e se si tenta di prenderle colla 
mano, mordono molto.vivamente. 

Furono portate in Europa alcune Rossette, nutrendole du- 
rante il viaggio di banane e di altre frutta, ec aggiungendo a 
questo cibo vegetale della carne cruda quando le banane erano 
finite. Sulla nave stavano sveglie tutta la notte, dimostrandosi 
tormentate dalla voglia di uscire di gabbia. Si è pure ricono- 
sciuto che sono capaci di affezione per la persona che le cura. 

I naturalisti hanno stabilito nella famiglia dei Pteropi un 
certo numero di generi, sui quali non ci fermeremo. Basti men- 
zionare fra le numerose specie, la Rossetta edule, la Rossetta di 
Edwards (fig. 265), la Zossetta volgare, la Rossetta dal collo rosso. 
Sarebbe noiosa una più lunga enumerazione. 


FamiGLiA DEI Vampiri. — I Vampiri! sono caratterizzati prin- 
cipalmente da due ripiegature nasali, una a mo’ di ferro di ca- 
vallo, collocata sul labbro superiore, l’altra disposta a ferro di 
lancia, che sta sopra la prima. Hanno le fauci sommamente 
larghe, la lingua irta di papille cornee e, ad ogni mascella, un 


1 In lat. Phyllostoma, fr. Vampires, ingl. Wampyres, ted. Blattnase. 


504 ORDINE DEI CHIROTTERI 


paio di forti canini che sporgono dalle labbra. Sono di mez- 
zana grossezza, il loro pelo è corto e lucido, e la loro mem-. 
brana interfemorale più o meno sviluppata, secondo i generi; 
la coda varia in lunghezza o manca, secondo le specie. 

I Vampiri, detti anche Fyllostomi, da uno dei generi princi-. 
pali, il genere Phyllostoma, sono i Pipistrelli dell'America cen- 
trale e meridionale. Sono molto temuti tanto per la loro forza: 
e la loro mole, quanto pei costumi carnivori. | 

I viaggiatori ed i naturalisti che hanno visitato quei paesi 


Fig. 266. Vampiro che sugge un uomo addormentato. 


sono unanimi nel dire che, non contenti di divorare gl’insetti, 
i Vampiri si attaccano agli animali domestici, ed anche al- 
l’uomo, per suggerne il sangue. I buoi, i cavalli, i muli, 
sono esposti alle loro aggressioni, quando non si ha la pre- 
cauzione di farli entrare la notte nelle stalle. Non bisogna 
tuttavia credere che quelle ferite siano tanto gravi da produrre, 
la morte, come si è talora.asserito; queste sono esagerazioni 
di cui la ragione fa giustizia. Soltanto l'emorragia più o meno 
lunga che producono è causa d’indebolimento, e può, in certi 
casi, condurre a conseguenze fatali. 


FAMIGLIA DEI VAMPIRI 5C5 


Il naturalista Azara, che ha osservato moltissimi di questi 
Pipistrelli d'America, diede sui loro costumi ragguagli molto 


Fig. 267. Vampiro spettro. 


esattti. Ordinariamente essi mordono gli animali da soma sulla 
groppa, sulle spalle, o sul collo, perchè trovano un punto d’ap- 


Ton) pÙ 


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TL, LZ 


Fig. 268. Fillostoma ferro di lancia. 


poggio nella criniera e nella coda. Le piaghe che fanno son 
poco estese e poco profonde; son piccole incisioni che, prati- 


5606 ORDINE DEI CHIROTTERI 


cate per mezzo delle papille cornee di cui è armata la loro 
lingua, intaccano solo la pelle. Il sangue di cui si riempiono i 
Vampiri proviene dunque, non già dalle vene o dalle arterie, 
ma dai vasi capillari della pelle. Talvolta aggrediscono an- 
che i gallinacei addormentati, e li mordono ora nella cresta, 
ora in qualche altra appendice carnosa che orna il loro capo. 
Molto sovente la gangrena si mette nella ferita e ne segue la 
morte. 

Azara conferma pienamente le loro aggressioni sull’ uomo; 
egli stesso ne provò parecchie volte gli effetti. A quattro ri- 
prese quel naturalista ebbe morsicate le dita dei piedi, mentre 
dormiva in certe capanne in campagna aperta. Ma la sensa- 
zione era tanto poco dolorosa, che non si accorse che l’ indo- 
mani mattina di quella ferita. Egli fece il calcolo che egni 
volta aveva perduto circa quindici grammi di sangue, di cui 
una parte colò dopo partito il Pipistrello. Azara sofferse per 
qualche giorno di quelle ferite, ma esse non ebbero conseguenze, 
sebbene non avesse giudicato a proposito di curarle. 

Lo stesso viaggiatore soggiunge che i Vampiri si nutrono di 
sangue soltanto quando mancan loro gl’ insetti. Riferisce an- 
che, senza entrarne garante, la credenza sparsa fra gl’indigeni, 
che per attutire il senso del dolore nelle loro vittime, questi 
animali accarezzano e rinfrescano, battendo le ali, la parte che 
stanno per ferire. 

Un naturalista contemporaneo, il signor di Tschudi, che viag- 
giò nel Perù, ha studiato questi Chirotteri, e dice che è molto 
comune trovare il mattino il bestiame in pessimo stato in se- 
guito alle punture fatte la notte da un Fillostoma. Con molta 
fatica, e mercè frizioni particolari sulla parte ammalata, il si- 
enor di Tschudi riuscì a salvare una delle sue mule che era 
stata ferita in quel modo. Un’altra notte un Indiano ubbriaco. 
fu ferito sul volto, e ne derivò una tale infiammazione, che i 
suoi lineamenti si trasformarono per modo da non esser egli 
più riconoscibile. 

I Vampiri sono stati divisi in un certo numero di generi, di 
cui non faremo l’esame, perchè non differiscono che pochissimo 
fra loro. 

I principali sono: i Vampiri propriamente detti, i FiMosiomi, 
i Glossofagi, gli Stenodermi ed i Desmodi. 

Al primo gruppo appartiene il Vampiro spettro (fig. 267), il 
re dei Vampiri per la mole. Non ha mai meno di sessantacin- 
que cent. di apertura d’ali e talora giunge fino a settanta. Ap- 
partiene alla seconda sezione il Fillostoma ferro di lancia (fi- 


FAMIGLIA DEI VAMPIRI 567 


gura 268), descritto da Buffon, una delle specie più grosse, e 
che misura trentacinque centimetri di apertura d’aii. 

I Glossofagi sì riconoscono per la lingua lunga, sottile, esten- 
sibile, ornata di peli sulla superficie; là tiran fuori e dentro 
con la massima rapidità ;. da ciò è venuto il loro nome che si- 
gnifica mangialingua. 

Riguardo agli Stenodermi, è stato riconosciuto che in certi 
casi si nutrono di frutta; questo fatto è sicuro per lo Steno- 
derma dagli occhiali. Secondo il signor Ricord, questi animali, 
‘Ogni sera, circa due ore prima del calar del sole, abbandonano 
le foreste vergini che abitano nel giorno, e si slanciano sulle 
sapote, o nespole d’America, di cui divorano le frutta. 

Talora vanno così a migliaia. Mordono indistintamente tutte 
le nespole, per accertarsi se sono mature o no, e producono in 
tal modo un grande guasto. 

I Desmodi costituiscono un genere caratterizzato da una con- 
formazione del sistema dentale differentissimo da quello degli 
altri generi di Vampiri. 


ORDINE DEI QUADRUMANI 


I Quadrumani occupano il posto più alto nella scala degli 
animali. Infatti le Scimmie, fra tutti i Mammiferi, per la loro. 
organizzazione fisica e pel grado della loro intelligenza presen- 
tano maggiori rapporti coll’ uomo, ultima ‘espressione della 
creazione animata. Questa analogia colpisce per modo in. ta- 
luni di essi, come nell’Urang, nel Gorilla, nel Chimpanzé, che 
parecchi naturalisti, del resto molto autorevoli, hanno di questi 
animali fatto tante semplici varietà della specie umana. 

In tal modo l’illustre Linneo confondeva l’uomo colle Scim- 
mie nel suo ordine dei Primati ossia primi animali, e compo- 
neva il suo genere Z/omo, non solo della specie umana (homo sa- 
piens), ma anche del Chimpanzè (homo troglodytes), dell’Orang- 
Utang (homo salyrus) e dell'Ilobate (homo lar). 

Questa cattiva filosofia naturale sollevò moltissime proteste; 
perchè l'orgoglio dell’uomo soffriva della strana parentela che 
gli si voleva imporre. 

Del resto l’opinione di Linneo non ebbe che un favore molto 
fugace, e oggi tutti si accordano per fare dell’uomo un ordine 
particolare, quello dei Bimani, collocato a capo della creazione 
organica. 

E un fatto incontestabile che, pel riguardo puramente anato- 
mico, certi quadrumani presentano tanti punti di rassomiglianza 
coll’uomo, da poterli comprendere in un medesimo genere na- 
turale. Come l’ uomo, questi quadrumani possono star ritti; 
come lui, son forniti di mani; ‘come lui, hanno il volto nudo 
e gli occhi diretti allo innanzi; finalmente, per le forme gene- 
rali come per la struttura interna, rammentano in piccolo il 
re della natura. Ma, come ha detto Buffon, ciò dimostra sol- 
tanto che il Greatore non ha voluto fare pel corpo dell’ uomo 
uno stampo assolutamente differente da quello dell’ animale, e 
che ha compreso la sua forma, come quella di tutti gli esseri, 
in un piano generale. 


QUADRUMANI I 569 


D'altronde, osservando ben accuratamente, la rassomiglianza 
fisica non è poi tanto completa quanto pare a tutta prima, e 
in breve si scorge che la Scimmia è ben lungi dall’essere così 
perfetta come l’uomo, precisamente in quegli organi che ren- 
dono l’uomo superiore a tutti gli esseri del creato. 

La Scimmia non riesce a star ritta sulle estremità posteriori 
se non mercè grandi e visibili sforzi. La struttura stessa dei 
piedi, che son vere mani, come quelle che terminano le estre- 
mità anteriori, è in essa un ostacolo alla progressione verticale, 
perchè le impedisce di posare il piede ben disteso sul terreno, 
e di conservare quello stato di equilibrio stabile, che è la con- 
seguenza di una differente disposizione nell’uomo. 

Invero, la Scimmia ha mani, vale a dire organi composti di 
cinque dita, di cui uno, il pollice, è opponibile agli altri quat- 
tro: organi propri alla prensione ed ai vari atti che ne deri- 
vano. Per questo riguardo è anche meglio dotata dell’ uomo, 
perchè ha quattro mani; d’onde il nome generico di Quadrumani 
che venne dato a tutto l’ordine. Ma questa molteplicità di mani, 
lungi dall’essere indizio di forza, è, come abbiamo veduto testè, 
segno di inferiorità, pel motivo che impedisce a questi animali 
la posizione verticale. Inoltre, la mano della Scimmia, ben con- 
siderata, non è quello stupendo strumento che permette all'uomo 
di compiere le meraviglie dell’arte e dell’industria. Il pollice è 
corto e molto distante dalle altre dita, alle quali non si oppone 
che imperfettamente; di più, le dita sono dipendenti a vicenda 
le une dalle altre, e non possono, come nell’uomo, agire sepa- 
ratamente. Invero, il paragone è per noi troppo vantaggioso. 

Infine, ciò che crea un abisso tra la Scimmia e l’uomo è che 
la prima, sebbene organizzata per produrre i suoni medesimi 
dell’uomo, sebbene abbia la stessa laringe e la stessa lingua, 
non può proferire una parola. 

Un filosofo arguto, Giuseppe de Maistre, ha dimostrato benis- 
simo la distanza che separa l’uomo dalla Scimmia. « Le Scimmie, 
dice egli, si accostano volontieri ai fuochi accesi la notte dai 
viaggiatori per scaldarsi o per spaventare le fiere, ma esse non 
ne accendono mai. » Questo atto, che a noi pare tanto semplice, 
accendere il fuoco, supera la loro intelligenza. Prendete invece 
il selvaggio più degradato, un Ottentotto, se volete: saprà sfre- 
gare due pezzetti di legno secco l’ uno contro l’altro, per ca- 
varne calore e luce; farà in tal modo un atto umano. 

Un altro carattere, che non può lasciare il minimo dubbio sul 
posto da fare alle Scimmie nella classificazione ‘zoologica, è 
l’indebolimento graduato delle loro facoltà mano mano che in- 

FiGuieR. I Mammiferi. 72 


570 ORDINE DEI QUADRUMANI 


vecchiano, indebolimento che corrisponde ad una depressione 
sempre più forte della parte anteriore del cervello, all’allunga- 
mento della faccia e ad una diminuzione considerevole dell’an- 
golo facciale i. Mentre dapprima sono miti ed obbedienti, cre- 
scendo in età divengono irose e ribelli alle abitudini della loro 
infanzia; tutto in esse indica che si vanno riaccostando al bruto, 
da cui sembravano da principio distaccarsi per alcuni riguardi. 
Altra cosa degna di essere notata è che questi animali cadono 
tanto più basso quanto più avevano dimostrato primitivamente 
disposizioni socievoli, ed una grande attitudine ad assimilarsi i 
fatti ed i gesti dell’uomo. Quindi, al contrario di ciò che segue 
nell'uomo, il progredire degli anni produce nella Scimmia il 
decadimento dell’intelligenza e la perdita di quelle facoltà di 
cui era dotata nascendo. 

Non spingeremo più oltre questa comparazione fra l’uomo e 
la Scimmia. Di questi due esseri il primo è infinitameute su- 
periore all’altro, e nessun rapporto di parentela li rannoda. In- 
dicheremo dunque, senza indugiare più oltre, i caratteri gene- 
rali dei Quadrumani, e le grandi divisioni che i naturalisti 
hanno introdotto in quest'ordine. 

Abbiamo detto che il carattere distintivo dei Quadrumani è- 
di essere forniti di quattro mani. A rigore, ciò non è bene. 
esatto. Alcune specie sono più o meno prive di pollici alle estre- 
mità anteriori: tali i Colobi, gli Ateli e gli Eriodi. Altri, come- 
gli Uistiti e la maggior parte dei Maki, son forniti delle cin- 
que dita consuete, ma non hanno il pollice opponibile se non: 
nelle estremità posteriori. Checchè ne sia di queste eccezioni, il. 
carattere tratto dal numero delle mani resta ancora abbastanza. 
generale, perchè si possa assegnargli il primo posto fra quelli 
che hanno determinato i naturalisti a formar l’ordine dei Qua- 

drumani. 

i Quindi, i Quadrumani sono Mammiferi forniti di quattro. 
estremità, colle dita unguicolate, disposte per arrampicarsi, e 
che possono servire a camminare ; ed hanno quasi sempre il 
pollice delle membra posteriori, e molto di frequente anche 


1 L'angolo facciale è quello che risulta dall’incontro di due linee rette, 
una che parte dal condotto dell’orecchio e va alla base del naso, l’altra 
tangente alla radice della fronte e alla parte più sporgente della ma- 
scella superiore. Il naturalista Camper fu il primo a far conoscere que- 
sto mezzo pratico di misurare approssimativamente la capacità intellet- 
tuale dell’individuo. Secondo Camper, l’angoio facciale è tanto più aperto. 
quanto più l’intelligenza dell’individuo è sviluppata. 


FAMIGLIA DEI GALEOPITECI 71 


quello delle anteriori, opponibile alle altre dita. Per lo più 
hanno due mammelle pettorali. I loro denti, in numero varia. 
bile, sono sempre di tre sorta; incisivi, canini e molari, e adatti 
ad un regime erbivoro, talora insettivoro. Il loro corpo è tutto 
‘coperto di peli, tranne la faccia (nondimeno questa eccezione 
non è costante nei Galeopiteci e nei Maki). Il loro cervello, 
rispetto all’organizzazione e al volume, offre una grandissima 
analogia con quello dell’uomo: ha tre lobi da ogni lato (il po- 
steriore ricopre il cervelletto), e presenta, nelle specie superiori, 
moltissime circonvoluzioni. 

I Quadrumani abitano tutta la zona intertropicale dei due 
continenti; si trovano in Africa, in America, nell’India; e nelle 
isole della Malesia. Una sola specie, la Bertuccia comune, abita 
oggi l'Europa; ed è limitata allo scoglio di Gibilterra. 

In generale i Quadrumani rimangono nei territorii boscheg- 
giati e poco elevati; se ne incontrano tuttavia sopra parecchie 
catene di monti, come le Cordigliere della Nuova Granata, i 
monti Imalaia, l’ Atlante, e la montagna della Tavola al capo 
di Buona Speranza. i 

Eccettuati alcuni popoli selvaggi che mangiano la carne dci 
Quadrumani, luomo trae poco profitto da questi animali. Per 
le nazioni civili non sono che un oggetto di curiosità e di tra- 
stullo. Piace osservare i loro rapidi movimenti e le loro bur- 
lesche pantomime; dopo questo, nessuno se ne dà pensiero. 

L’ordine dei Quadrumani comprende cinque famiglie: i Ga- 
leopiteci, i Chiromi, i Maki, gli Uistiti e le Scimmie. 


FAMIGLIA DEI GALEOPITECI. — Questa famiglia non ha che un 
solo genere, il genere Galeopiteco, che esso pure comprende 
pochissime specie. 

Il Galeopiteco (fig. 269) è stato per molto tempo collocato fra 
i Chirotteri, che abbiamo terminato di studiare. È uno di quegli 
animali che servono di transizione, e che tanto spesso s’ incon- 
trano nello studio della zoologia, sembrano destinati a ranno- 
dare fra loro le masse principali per modo da formare una ca- 
«tena non interrotta, che va, per una serie di insensibili modi- 
ficazioni, dall’essere più inferiore al più perfetto. Il Galeopiteco, 
pel complesso dei suoi caratteri, appartiene all’ ordine dei Qua- 
drumani, ma partecipa dei Chirotteri per la sua membrana o 
patagio, ed anche un po’ degli Insettivori pel suo sistema den- 
tale. Quindi, mentre si riaccosta ai maki per la configurazione 
del cranio e la assoluta rassomiglianza degli organi riprodut- 
tori, rimare affine ai pipistrelli per la membrana che lo av- 


DI? ORDINE DEI QUADRUMANI 


volge lateralmente dal collo fino alla punta della coda, e che, 
attaccandosi alle estremità delle quattro membra, funziona a 
mo’ di paracadute, e gli permette di sostenersi nell’ aria per 
qualche tempo, come gli scoiattoli volanti. Questa membrana è 
pelosa ed ha lo stesso colore del corpo; rende al tutto palmate 
le dita anteriori e posteriori, che hanno tutte la stessa dire- 
zione, ed in conseguenza sono inette a far presa. Le unghie 
sono compresse, aguzze, robustissime, e danno all’animale una 
grande facilità per arrampicarsi sugli alberi. Da ciò senza 


SEA VCHARI:= 


Fig. 269. Galeopiteco. 


dubbio gli è venuto il nome di Gatlo-Scimmia , traduzione dei 
vocabolo latino Galeopithecus. 

La femmina ha quattro mammelle, collocate simmetricamente 
da ogni lato del petto. Il parto per solito è di un solo piccolo. 

I denti dei Galeopiteci sono in numero di trentaquattro : dieci 
incisivi, quattro canini e venti molari; hanno di sopra due in- 
cisivi di meno; il totale dei denti della mascella inferiore è 
dunque di diciotto. I molari sono irti di punte come quelli 
degli insettivori, e gli incisivi inferiori presentano questa par- 
ticolarità che si dirigono allo innanzi, e hanno sul margine su- 
periore profonde intaccature simili a quelle di un pettine. 


FAMIGLIA DEI GALEOPITECI 573 


I Galeopiteci sono essenzialmente notturni; si nascondono di 
giorno nei luoghi più remoti delle foreste, e ne escono solo la 
sera, per mettersi in cerca del loro nutrimento. Si veggono al- 
lora percorrere agevolmente gli alberi, arrampicandosi 0 vo- 
lando, secondo il loro capriccio e le necessità della caccia. Sulla 
terra non sono tanto impacciati nei loro movimenti quanto si 
potrebbe credere; camminano e anche corrono con agevolezza. 
Fanno molto rumore volando; ma sebbene certi autori abbiano 
asserito che questi animali possono varcare distanze di cento 


fhyn I 


li 


SIAT UNIFILIA 


\ 


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spiltabttinito 


Fig. 270. Aye-Aye. 


metri, vi son buone ragioni per credere che di rado adoperino 
questo mezzo di locomozione. Gl’ insetti costituiscono la parte 
principale del loro cibo; tuttavia amano anche le frutta, e sembra 
dimostrato che talora divorano gli uccellini. 

Per dormire questi animali sì appendono, a mo’ dei pipi- 
strelli, colle zampe posteriori ai rami degli alberi. Gli indigeni 
dei paesi ch’ essi abitano scelgono quel momento per prenderli; 
e malgrado l'odore sgradevole che esala la loro carne, li man- 
giano senza disgusto. 

I Galeopiteci abitano le isole Molucche, le Filippine, le isole 
della Sonda e, dicesi, alcune parti del continente indiano. A 


574 ORDINE DEI QUADRUMANI: 


Giava, a Sumatra e a Borneo sono più sparsi. Non se ne con- 
tano che quattro o cinque specie. | 


FamiGLIA DEI CHIROMI. — Questa famiglia è ancor meno nu- 
merosa della precedente: non contiene che una sola ‘specie, 
originaria del Madagascar, l’Aye- Aye, che Sonnerat scoperse in 
quest’ isola, sul finire del secolo decimottavo. 

Questo singolare animale, del resto molto raro, non era cono- 
sciuto in quel tempo neppure dal popolo di quel paese, ed il 
nome di Aye-Aye che gli venne dato da Sonnerat rammenta 
l’esclamazione che mandarono gl’ indigeni medesimi dell’ isola 
di Madagascar quando quel viaggiatore lo mostrò loro per la 
prima volta. 

Per molto tempo si rimase incerti sul posto da assegnare ai 
Chiromi fra i Mammiferi. Questa indecisione era la conseguenza 
dei caratteri di ambiguità organica di questo quadrupede, e in 
certo modo dei contrasti che esistono fra i suoi caratteri prin- 
cipali, alcuni de’ quali rammentano i rosicanti, ed altri i maki. 
A prima vista l’Ayc-Aye (fig. 270) presenta molti punti di ras- 
somiglianza cogli scoiattoli: ne ha la mole e le forme generali, 
la coda lunga e fitta, e principalmente i denti. Infatti manca 
di denti canini, e, come tutti i rosicanti, ha sul davanti delle 
mascelle un paio di forti incisivi, isolati dai molari mercè uno 
spazio vuoto, simile alla barra che si osserva negli scoiattoli e 
in tutti gli animali dell’ordine dei Rosicanti. Ma, d’altronde, la 
grossezza e la forma rotonda del capo, indizi di un cervello 
voluminoso; la conformazione delle estremità, la lunghezza delle 
dita ed il pollice opponibile nelle membra posteriori; il cerchio 
orbitale intero, come nella maggior parte dei Quadrumani; l’e- 
sistenza nella femmina di due sole mammelle, sono caratteri 
tutti che rendono l’ Aye Aye molto affine ai maki, e debbono 
farlo collocare definitivamente presso questi ultimi quadrumani. 
Questa è l'opinione dei principali zoologi del nostro tempo. Cu- 
vier non era dunque nel vero classificando questo animale fra 
i rosicanti. 

I costumi dell’Aye-Aye sono pochissimo noti; Sonnerat dice 
che adopera le sue lunghe dita per frugare sotto le scorze degli 
alberi, ed afferrarvi gli insetti di cui si nutre. Tuttavia alcune 
particolarità del suo sistema dentale farebbero credere che a 
questa alimentazione insettivora unisca anche le frutta. 

Sonnerat conservò due Aye-Aye vivi per lo spazio di due mesi: 


« To li nutriva, dice egli, di riso cotto, e per mangiarlo si servivano 
delle dita sottili dei piedi anteriori, come i Cinesi si servono delle loro 


utt. catetere 


FAMIGLIA DEI MAKI 575 


bacchette. Erano come assopiti, coricandosi col capo posto fra le gambe 
dinanzi; bisognava scuoterli parecchie volte per poter riuscire a farli 
muovere. » 


In Europa non si conosce l’Aye-Aye che dagli esemplari pre- 
parati che si trovano nella collezione del Giardino delle Piante 
ui Parigi 4, 


FamicLia DEI Maxi. -- I Maki costituiscono, fra i Quadru- 
mani, una famiglia assai naturale, che conta rappresentanti 
nelle varie plaghe del mondo antico. Sono caratterizzati da una 
testa allungata, analoga a quella di certi carnivori, d’ onde il 
nome di Scimmie dal muso di volpe che venne dato ad alcune 
specie; dai pollici opponibili alle quattro estremità, e sopra- 
tutto per l’ unghia del secondo dito dei piedi posteriori, che è 
lunga, compressa, aguzza, e contrasta singolarmente con quelle 
delle altre dita. Sebbene il loro cervello sia poco sviluppato, 
hanno una certa intelligenza, e son suscettivi di educazione. 
Generalmente son piccoli ed hanno una coda corta o lunga; 
nondimeno alcune specie sono al tutto prive di coda. I loro 
occhi, molto sporgenti, indicano vita notturna; infatti i Maki 
non escono che la notte o la sera, al tramonto. Linneo aveva 
fatto allusione a questa particolarità inventando per essi il nome 
di Lemur, che, in latino, vuol dire spettro. Certi autori hanno 
conservato questo nome, e classificano i Maki col vocabolo di 
Lemuri. 

La famiglia dei Maki comprende cinque tribù, di cui alcune si 
suddividono in un certo numero di generi: sono i Maki propria- 
mente detti, gli Indri, i Tarsi, i Galagoni ed i Lori. 

I due primi appartengono. esclusivamente all’ isola di Mada- 
gascar, la cui fauna differisce totalmente da quella dell’Africa; 


1 L’Aye-Aye fu conosciuto in Europa e studiato diligentissimamente, 
non per gli esemplari preparati che si trovano al Giardino delle Piante 
di Parigi, ma per individui che arrivarono in carne, conservati nell’ al- 
cool, ed anche vivi, nel Giardino zoologico di Londra. 

Nel 1859 il signor Sandwith mandò al professore Owen, in ottime 
condizioni, il primo esemplare di Aye-Aye, preparato secondo le istru- 
zioni che lo stesso professore gli aveva date. Questo esemplare servi allo 
stupendo lavoro dell’Owen, intitolato: Monograph of the Aye-Aye, dove, 
col sussidio ancora di molti disegni, è trattato amplissimamente tutto ciò 
che riguarda i caratteri zoologici e l'anatomia di questa specie. 

Nel 1862, addi 12 agosto, il signor Odoardo Mellish faceva dono al 
Giardino zoologico di Londra di un Aye-Aye femmina vivente. (N. d. T.) 


576 ORDINE DEI QUADRUMANI 
gli altri tre son distribuiti nell’India e nelle ardenti regioni del 
continente africano. È 


Genere Maki propriamente detto. — Di tutti i Lemuri questi 
animali son quelli che hanno il muso più aguzzo; quindi si dà 


asi 


== === Sy, 

E 

==" 
= 


/ 


Fig. 271. Maki mococo. 


loro particolarmente’ ii nome di Scimmie dal muso di volpe. Buffon 
li chiama anche False- Scimmie. Hanno le zampe assai alte , e 
per la mole possono stare tra la faina e la volpe. Il loro pelame 
è fitto e soffice, la loro coda lunga e folta. Vivono nelle foreste 
e si nutrono principalmente di frutta. I loro movimenti son 


GENERE MAKI DINT 


leggeri e graziosi; la voce è un brontolio sordo e sonoro, secondo 
l’indole delle loro emozioni. Le femmine non partoriscono che 


esa 


Fig. 27 


TENua - = 


2. Maki dai piedi bianchi. 


un piccolo per volta, e gli portano molto affetto. Lo téngono 


Fig. 275. Indri. lau 


nascosto sotto il corpo e come sepolto nella loro spessa pelliccia, 
finchè il suo pelo sia diventato abbastanza lungo per proteggerlo 


Ficuier. I Mammiferi. 73 


578 ORDINE DEI QUADRUMANI 


efficacemente contro le intemperie. Lo allattano per sei mesi, 
dopo di che lo abbandonano alle proprie forze, e lo lasciano 
provvedersi da sè alla propria sussistenza. 

Sono animali socievoli: sovente si riuniscono in strupi nu- 
merosi. Per dormire scelgon luoghi poco accessibili. Si addo- 
mesticano agevolmente, e-si riproducono anche. in schiavitù. 
Federico Guvier ne ha studiato uno che dopo diciannove anni 
di soggiorno in Francia stava benissimo, sebbene sentisse molto 
il freddo. Durante l'inverno si accostava tanto al fuoco da bru- 
ciarsi le basette, e stendeva le mani verso il focolare, come 
avrebbe fatto un uomo. I Maki del resto son molto freddolosi, 
anche allo stato di natura; in tutte io stagioni cercano per dor- 
mire i raggi del sole. 

I naturalisti moderni contan non meno di 15 specie di Maki: 
non ne menzioneremo che le più comuni. Sono: il Maki vari, 
il cui pelame è sparso di macchie bianche e nere; — il Maki 
mococo (fig. 271), che si riconosce subito per la coda segnata 
da anelli alternativamente bianchi; — il Maki bruno, o mongus, 
grigio sopra, bianco sotto, colle parti nude delle estremità e un 
cerchio intorno agli occhi di color bruno; — il Maki rosso, 
notevolissimo per le sue tinte vivaci; il corpo è quasi tutto di 
un bel rosso; il muso, le mani, il petto, il ventre e la coda son 
neri; sulla nuca ha una larga macchia bianca; due striscie, 
pure bianche, alla giuntura delle membra posteriori; — il Maki 
dal bavero, così detto per le sue fitte fedine; — il Maki dalla 
fronte bianca; — il Maki dalla fronte nera; — il Maki dai piedi 
bianchi (fig. 272); — il Maki coronato. 

A queste varie specie giova aggiungerne altre, per le quali 
alcuni autori hanno formato generi particolari coi nomi di Lepi- 
lemuri, Apalemuri, Chirogali e Microcebi. I Chirogali sono i Maki 
più piccoli. Uno di essi, il Chirogale nano, o Microcebo, è stato 
descritto da Buffon col nome di Ratto del Madagascar. 


Genere Indri. — La tribù degli Indri comprende tre specie, 
molto affini tra loro, che son divenute il tipo di tanti diversi 
sotto-generi. Sono: l’Indri propriamente detto, il Propiteco e 
l’Avahi. Poco si conosce dei costumi.di questi animali; si sa 
soltanto che abitano le foreste e vivono di frutta. Sono i più 
grossi Quadrumani di Madagascar, e quelli che si accostano 
maggiormente alle vere scimmie. Hanno le estremità posteriori 
più lunghe delle anteriori, ciò che rende loro più agevole la 
stazione verticale. 

L’Indri propriamente detto (fig. 273) è stato, come l’Aye-Aye, sco- 


GENERE INDRI, TARSIO 379 


perto da Sonnerat. Gli abitanti del Madagascar lo chiamano l’ Uomo 
dei boschi, per la sua rassomiglianza, quantunque lontana, colla 
nostra specie. Quando è ritto in piedi, è alto circa un metro; 
non ha che un rudimento di coda. D’indole dolcissima, si adatta 
facilmente alla schiavitù, e si riesce anche ad ammaestrarlo 
alla caccia. i 

Il Propiteco differisce dall’ Indri per la minore statura e per 
la coda lunga quasi come il corpo. Ha pelo giallo, variegato 
di bruno. Una larga fascia gli circonda la faccia, e sugli occhi 


Fig. 274. Propiteco diadema. 


va a terminare in una sorta di corona che gli valse il nome 
di Propiteco diadema (fig. 274). 

L’Avuhi lanoso si distingue dai quadrumani precedenti per 
la cortezza della faccia. Ha la coda lunga come il Propiteco, e 
nella statura differisce poco dal suddetto. Il suo pelame è lanoso, 
fulvo sopra, grigiastro sotto. | 


Genere Tarsio. — I Tarsii sono così nomati pei loro lunghi 
tarsi (ossa dei piedi). Per questo carattere, e per le forme ge- 
nerali rammentano abbastanza i gerboa. Hanno il capo grosso, le 


{ROL ) 


580 ORDINE DEI QUADRUMANI 


orecchie grandi, il secondo e il terzo dito dei piedi posteriori 
più corti degli altri, e forniti di un’unghia subulata, vale a dire 
lunga e aguzza, come in tutti i Lemuri. Non se ne conosce che 
una sola specie, il Tarsio spettro (fig. 275), che abita, oltre le 
Celebi, le isole di Borneo e di Banka. Questo animale è grosso 
come un topo: i suoi movimenti son graziosi, ma lenti. Si nu- 
tre di insetti. E armato di una lunga coda, in parte nuda, che 


EEE = AAIINIDES 


Fig. 275. Tarsio spettro. 


termina in un piumetto soffice. Il suo pelame è rossiccio, mac- 
chiettato di bruno e di bigio. 


Genere Galagone. — La tribù dei Galagoni comprende i Gala- 
goni veri ed i Perodittici. 

I Galagoni hanno molta affinità coi Tarsii. Come questi qua- 
drumani, hanno il capo grosso, le orecchie ben sviluppate, ed 
i tarsi elevati, ma in minor grado. La loro coda è lunga e 
molto fitta. Son grossi a un dipresso come gli scoiattoli, di cui 
hanno le forme eleganti e la grazia. Abitano le grandi foreste 


GENERE GALAGONE O8À 
del Senegal, della Guinea, della Cafreria, dell’Abissinia. Pre- 
feriscono i boschi degli alberi della gomma, perciò gli Europei 
del Senegal ii chiamano animali della gomma, 


4 ‘2 4 RA p//)' INC 
Fig. 276. Galagone dalla folta coda. 


Le specie principali di Galagoni sono: il Galagone del Senegal, 
il Galagone di Demidoff, ed il Galagone dalla folta coda (fig. 276). 


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ario ;) 


d È Th 
TINI, Ta 


Fig. 277. Perodiltico. 


Il Perodittico fu scoperto in Guinea nel secolo decimosettimo 
da Bosmann, viaggiatore olandese. Differisce dai veri Galagoni 
per la coda molto meno lunga, e per le orecchie parimente 


082 ORDINE DEI QUADRUMANI 


meno sviluppate, e perchè non possiede che un rudimento di 
indice alle estremità anteriori, per modo che pare non avere 
che quattro dita, di cui uno, il pollice, sarebbe molto più dis- 
costo degli altri tre. È un animale dalle forme tozze, dai movi- 
menti lenti, e più piccolo di un gatto domestico (fig. 277). 


Genere Lori. — I Lori sono caratterizzati per un corpo gra- 
cile, gambe mediocri, orecchie brevi e pelose, e in particolare 
per la mancanza di coda. I loro enormi occhi, dalle pupille strette 
e trasversali, dimostrano abitudini notturne. In qualunque luogo 
si trovino, in terra come sugli alberi, camminano con tale len- 


Fig. 278. Lori tardigrado 


tezza che n’ebbero il nome di Scimmie tardigrade. Procedono 
con somma diffidenza, come chi passeggiasse in un giardino 
sparso di trappole. Si nutrono di uova, d’insetti e di frutta. 
Son grossi a un dipresso come uno scoiattolo comune. Se ne 
veggono talora nei giardini zoologici di Europa; sono inoffen- 
sivi e si avvezzano ‘benissimo alla schiavitù. La loro intelli- 
genza è poco sviluppata. 

Non si conoscono che due specie di Lori: il Lorì gracile che 
abita l’ isola di Ceylan e l’ India meridionale, ed il Lori tardi- 
grado (fig. 278) che trovasi al Bengala, a Giava, a Sumatra ed 
a Borneo. 


FAMIGLIA DEGLI UISTITI 583 


FAMIGLIA DEGLI UrstITI. — I vari quadrumani esaminati fin 
qui appartengono tutti, niuno eccettuato, all'antico continente ; 
invece gli Uistiti vivono soltanto nel nuovo mondo. Segnano 
essi il passaggio tra i Maki e le Scimmie; parecchi autori li 
comprendono anzi in quest’ ultima famiglia, sebbene se ne di- 
stacchino per alcuni caratteri dei quali non si può disconoscere 
il valore. Sono sprovvisti di mani alle estremità anteriori, poi- 
chè il pollice non è opponibile alle altre dita; inoltre, le loro 
unghie sono veri artigli, analoghi a quelli dei carnivori, d’onde 
è venuto il nome di Arctopiteci o Scimmie dalle mani d’ orso, 
che diede loro Stefano Geoffroy Saint-Hilaire. Hanno il capo 
piccolo, rotondo, ed il loro cervello non presenta nessuna cir- 
convoluzione. Le narici sono aperte lateralmente nello spessore 
del muso carnoso, in conseguenza son ben discoste fra loro. Il 
muso è corto, le orecchie assai grandi e pelose. I denti sono 
trentadue, ed i molari forniti di punte che rassomigliano fino a 
un certo punto a quelle che distinguono gli insettivori. La coda è 
lunga, coperta tutta di peli, ed il pelame, abbondante ed un- 
tuoso al tatto, è in generale ben colorito. 

Gli Uistiti sono molto sparsi nella Guiana ed al Brasile ; abi- 
tano anche, ma in minor numero, il Messico, la Colombia, il 
Perù meridionale ed il Paraguai. 

Rimangono in piccoli strupi nelle foreste, e si sospendono coi 
loro artigli ai rami degli alberi, come fanno gli scoiattoli. D’al- 
tronde hanno altri punti di rassomiglianza con questi rosicanti; 
la statura, i movimenti vivaci e la grazia. Si nutrono in gran 
parte di insetti, e anche di frutta, di uova e di uccellini ai 
quali suggono il cervello. Mandano di tratto in tratto un pic- 
colo grido, dal quale è venuto il loro nome. 

Questi animali non si mostrano molto avversi alla schiavitu, 
e sopportano assai bene la rigidezza del nostro clima. Il Giar- 
dino delle Piante di Parigi ne ha posseduto sovente, ed alcune 
paia si sono riprodotte. In tal modo si è potuto riconoscere che, 
al contrario della maggior parte dei quadrumani, nei quali ogni 
parto si compone d’un solo piccolo, o tutt'al più di due, le 
femmine degli Uistiti ne hanno fin tre per volta. 
| Dalle osservazioni di Cuvier si ricava che la madre non mo- 
stra pei suoi piccoli quella affettuosa sollecitudine così commo- 
vente in tanti altri animali; talora anche li divora appena nati. 
Il padre sembra averne maggior cura. 

Un naturalista francese, Audouin, ha pure fatto osservazioni 
interessanti sopra alcuni Uistiti in ischiavitù, le quali hanno 
dimostrato ch’e’ sono intelligentissimi. 


+ 


084 ORDINE DEI QUADRUMANI 

« Audouin, dice Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire, con sperimenti ripetuti 
parecchie volte, si è accertato che queste scimmie sanno benissimo ri- 
conoscere in un dipinto, non solo la loro propria immagine, ma anche 
quella di un altro animale. Quindi l’ aspetto di un gatto, e ciò che è 
ancor più meraviglioso, quello di una vespa, cagiona loro uno sgomento 
manifesto, mentre quando vedono dipinto un altro insetto, come una 
locusta o una melolonta, si slanciano verso il quadro, come se volessero 
afferrare l’ oggetto che vi è rappresentato. 

« Un giorno, per caso, mentre uno dei due individui stava mangiando 
dell'uva si spruzzò nell’occhio un po’ del sugo di questo frutto: d'allora 
in poi non mancò mai, ogni volta che mangiava uva, di chiudere gli 
occhi. 

« Audouin ha pure osservato che gli Uistiti sono curiosissimi; che 
hanno vista acutissima; che tengono alle loro abitudini, sebbene siano, 
per certi riguardi, molto capricciosi; che riconoscono benissimo le per- 
sone che hanno cura di loro; infine che i loro gridi sono svariatissimi, 
secondo le passioni che li animano. » 


Oggi si conoscono circa trenta specie di Uistiti, distribuiti in 
due generi fondati sopra una distinzione molto speciosa:. gli 
Uistiti propriamente detti ed i Tamarini. Menzioneremo le spe- 
cie principali di Uistiti, facendo osservare che alcune di queste, 
quasi al tutto simili, non sono probabilmente che semplici va- 
rietà, cui gli studi ulteriori faranno riportare al tipo comune. 

Abbiamo prima di tutto sei specie, fornite di ciuffi di peli bian- 
chi o neri sui lati del capo: l’ Uistiti volgare, — l’ Uistiti del Buffon, 
— VUistiti dalle lunghe orecchie, — \ Uistiti dal mantellino, — 
l’Uistiti dal collo bianco, — lUistiti dalla testa bianca, — V Uistiti 
dai pennacchi neri (fig. 279). Poi vengono tre specie, che hanno il 
capo coperto di lunghi peli a mo’di criniera: l’Uistità. mari- 
chino, — l’Uistiti crisomele, — l’'Uistiti Leoncito. 

L’Uistiti pinche si riconosce per una: stretta fascia di peli 
rialzati sulla fronte a mo’di ciuffetto. Le altre specie hanno il 
pelo del capo al tutto raso. 


FAMIGLIA DELLE Scimmie. — Colle Scimmie veniamo ora allo 
studio dei Quadrumani superiori, quelli che hanno coll’ uomo 
vari rapporti di conformazione. Nelle generalità su questo or- 
dine abbiamo già fatto menzione dei caratteri principali che ac- 
costano le scimmie alla specie umana. Ora faremo più compiuti 
questi ragguagli dicendo che il sistema dentale di questi ani- 
mali comporta 32 o 36 denti, che le loro unghie son piatte 
come quelle dell’uomo, e che hanno due mammelle pettorali. 

Le dimensioni e l’ ufficio della coda variano molto secondo i 
generi. Nell’Orang e in tutte le Scimmie antropomorfe manca 


FAMIGLIA DELLE SCIMMIE 585 


affatto; nella Bertuccia cd in alcune specie di Macachi non è 
che un rudimento appena visibile, ed anche nel mandrillo è 
cortissima. 

I Cercopiteci e tutte le Scimmie americane, invece, hanno la 
coda lunga e più o meno folta. Ma, mentre questa appendice 
nei Cercopiteci non è in certo modo che un contrappeso che 
serve loro a tener il corpo in equilibrio, quando saltano da un 
albero all’altro, quest'’organo divien talora, nelle Scimmie di 
America, un vero strumento di prensione, mercè la facoltà di 


i NI \W 


Fig. 279. Ulstiti dai pennacchi neri. 


cui è fornito di stringere con forza gli oggetti sui quali l’ani- 
male lo vibra. 

Le scimmie hanno in grado molto spiccato il dono della imi- 
tazione; il loro nome lo indica, perchè il vocabolo latino simius 
viene da simulare, imitare. Ripetono, sovente con grande fedeltà, 
gli atteggiamenti e le azioni umane. La loro conformazione, 
affine alla nostra, rende loro agevolissimi la maggior parte deì 
nostri movimenti, e ciò che si considera come un effetto del- 
l’ intelligenza non è, in certi casi, che una conseguenza della 
loro organizzazione. 

Le femmine delle Scimmie non fanno che un piccolo solo 
ogni parto, di rado due. Durante l’allattamento, dimostrano 
grande affezione pei loro piccoli; ma dopo svezzate, quando pos- 
sono provvedere ai propri bisogni, le giovani Scimmie non deb- 

Ficuier. I Mammiferi. 74 


586 - ORDINE DEI QUADRUMANI 


bono più far assegnamento sull’aiuto della madre; abbandonano 
i genitori, e vanno da un’altra parte. 

I sensi delle Scimmie sono sviluppatissimi: il tatto è per- 
fetto, e 1’ udito, come la vista, sono buoni. L’odorato e il gusto 
vengon dopo, sebbene acquistino talora molta squisitezza. 

Questi quadrumani allo stato selvatico passano la maggior 
parte della vita sugli alberi; colà solo possono mettere compiu- 
tamente in azione le meravigliose facoltà che furon loro con- 
cesse dalla natura. Si nutrono di frutta, ed anche in certi casi 
di uova e di insetti. 

I movimenti loro sono di una velocità inconcepibile, e nello 
stesso minuto la loro attività si volge sopra venti oggetti di- 
versi. Su questo argomento non abbiamo nulla di nuovo da 
narrare alle persone che ie hanno osservate nella grande gab- 
bia del Giardino delle Piante di Parigi, che fu chiamata pom- 
posamente Palazzo delle Scimmie: un palazzo di fili di ferro! 

Alcune specie di Scimmie variano molto col crescer degli 
anni, sia nelle forme (sopratutto quelle del cranio e della fac- 
cia), sia nei colori. In tal modo l’Orang-Utang rosso ed il Pongo, 
che per molto tempo furono considerati come due specie di- 
stinte, non sono in realtà che una sola specie, osservata in gio- 
ventù e nell’età matura. Questa diversità di apparenza nello 
stesso individuo, secondo le fasi successive della sua esistenza, 
deve aver cagionato molti errori nella nomenclatura scientifica 
di questi animali. 

Cuvier ed i naturalisti del suo tempo credevano che la Scim- 
mia non avesse esistito nei primi tempi del nostro globo. Se 
non che nel 1837 si trovarono avanzi fossili di questo animale 
negli strati profondi del suolo. La scoperta fatta dal signor 
Lartet nel terreno di Sansan, presso Auch (Gers), di Scimmie 
fossili appartenenti ad una specie affine al Gibbone, distrusse 
queste congetture, e dimostrò che le Scimmie esistevano già in 
un’epoca geologica antichissima 4. | 


La famiglia delle Scimmie si divide in due grandi scompar- 
timenti, fondati sopra caratteri ben definiti: le Scimmie del 
continente antico, e quelle del nuovo. Spetta a Buffon l’onore 
di questa distinzione, che è stata sempre meglio giustificata dai 
progressi della zoologia. Nessuna specie americana ha rappre- 


1 Dopo gli avanzi fossili di Scimmie scoperti dal signor Lartet e qui 
menzionati, altri se ne trovarono. A Pikermi, in Grecia, furono recente- 
mente scoperte specie interessantissime di Scimmie fossili. (N. d. Tr.). 


SCIMMIE DEL NUOVO MONDO 587 


sentanti nel mondo antico, e viceversa; è questo un fatto in- 
contestabile, che è necessario di metter bene in chiaro per to- 
gliere ogni incertezza intorno alla storia delle Scimmie. 

Esamineremo prima le Scimmie del nuovo mondo, il cui po- 
sto viene naturalmente «dopo gli Uistiti. 


SCIMMIE DEL NUOVO MONDO. — Le Scimmie americane hanno 
le narici aperte lateralmente e separate da un largo tramezzo, 
come gli Uistiti. Hanno 32 o 86 denti, secondo i generì, ma 
comprendono sempre tre paia di molari ad ogni mascella; il 
numero dei denti di latte è sempre di 24. Abbiamo detto prece- 
dentemente che questi mammiferi hanno tutti la coda più 0 
meno lunga. Aggiungiamo, per terminare questa descrizione, 
che hanno forme svelte ed eleganti, e che in gioventù si mo- 
strano pieni di dolcezza e di grazia, e l’età non modifica que- 
ste qualità. 

Le Scimmie americane si dividono in due sezioni, secondo 
che hanno la coda preznsile o non prensile. 


TRIBÙ DELLE SCIMMIE DALLA CODA PRENSILE. — La tribù delle 
Scimmie dalla coda prensile comprende i generi Micete o delle 
Scimmie urlatrici, le Lagotrici, gli Eriodi, gli Ateli ed i Cebi. 


Genere Micete. — Queste Scimmie urlatrici (fig. 280) devono 
il loro nome ai gridi rauchi e formidabili che fanno sentire in vari 
momenti del giorno. Alte appena due piedi, queste Scimmie 
hanno la voce più forte di qualunque animale conosciuto. Al- 
lorchéè riunite in stormi numerosi fanno echeggiare tutte in- 
sieme le vòlte sonore delle grandi foreste americane, producono 
uno strepito tale che atterrisce le persone più coraggiose. Il 
viaggiatore che per la prima volta attraversa quelle foreste, si 
crede di dover vedere, da un momento all’altro, sbucar fuori un 
esercito di demoni mandanti urli spaventosi e danzanti un ballo 
infernale. Ma in breve cessa ogni rumore, e la natura riprende 
la sua tranquillità, poco prima tanto disturbata. 

Lo spuntare ed il tramontare del sole, talora anche l’appros- 
simarsi di un temporale, sono i momenti in cui le scimmie 
urlatrici fanno sentire le loro discordi note. Il viaggiatore Azara 
paragona la loro voce allo scricchiolio di moltissime carrette 
poco unte; altri 1’ hanno detta simile al rullo del tamburo. Go- 
munque sia, è certo che ha qualche cosa di spaventevole. 

Si è voluto conoscere la causa di questo strano fenomeno 
fisiologico, ed ecco ciò che si è trovato. L’osso ioide (vale a dire 


588 ORDINE DEI QUADRUMANI 


l’anello osseo che sostiene la laringe) nella Scimmia urlatrice è 
di una grandezza smisurata; è cavo, e costituisce una sorta di 
tamburo dalle pareti sottili ed elastiche, che aumenta notevol- 
mente l’ intensità dei suoni. Quest’osso occupa un vuoto enorme, 
che sta fra le parti laterali della mascella inferiore, e forma 
sotto questa mascella una grossa sporgenza, nascosta da una 
fitta barba. Mercè queste disposizioni, la voce della Scimmia 
urlatrice domina quella di tutti gli altri animali. 

Nelle Scimmie urlatrici la coda è lunghissima e sommamente 
prensile. È nuda di sotto, nella sua parte terminale, e perciò è 
dotata di molta sensitività. E propriamente una quinta mano, di 
cui l’animale si serve con sorprendente maestria, sia per so- 


Fig. 280. Miceti o scimmie urlatrici. 


spendersi ai rami degli alberi, per cogliere le frutta e portar- 
sele alla bocca per mezzo delle vere maai, od anche diretta- 
mente, se si deve prestar fede alle narrazioni di certi viag- 
giatori. 

Si può avere una prova sufficiente della forza di prensione 
di questa coda dal fatto seguente. La Scimmia urlatrice spesso 
sì slancia da una grande altezza, si ferma di colpo a mezzo 
della sua caduta, attaccandosi colla coda a qualche ramo iso- 
lato; si dondola per alcuni secondi in questa posizione, poi 
prende un nuovo slancio, e va a cadere sull’albero vicino. Ta- 
lora una di queste Scimmie, colpita a morte dal piombo del 
cacciatore, rimase sospesa per la coda dopo la morte, e sfuggì 
così alla ingorda ricerca di chi ne voleva la carne o la pel- 
liccia. 


GENERE MICETE 089 

Le Scimmie urlatrici sono malinconiche e selvatiche. Ridotte 
in ischiavitù perdono la voce, deperiscono e muoiono. Allo stato 
selvaggio, si riuniscono in piccoli strupi, guidati da un maschio 
esperto, e a questo affidano la sicurezza generale. Sebbene ti- 


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Fig. 281. Ateli o Scimmic-Ragni. 


morose, si lasciano accostare agevolmente; ma ove s'accorgano 
di intenzioni ostili, fuggono rapidamente. 

Talora la paura le domina al punto che lasciano uscire le 
materie fecali. Non v'è nulla di più semplice di questo effetto 
fisico prodotto da un’azione morale. Ma perché dire che queste 
Scimmie facciano ciò a bella posta? Perchè soggiungere sopra- 
tutto che prendono nelle mani i loro escrementi, per gettarli 
in faceia ai loro nemici? 


590 ORDINE DEI QUADRUMANI 


Certi autori asseriscono che le femmine dei Miceti son prive 
di amore materno, e che abbandonano i loro piccoli per fug- 
gire più in fretta, quando sono minacciate. Non tutti i viag- 
giatori la pensano in tal modo. Spix fu testimonio di un fatto 
commovente, che smentisce formalmente questa asserzione. Egli 
aveva ferito a morte una femmina che portava sul dorso il suo 
piccolo. La povera madre cadeva da un ramo all’altro, ed il 
suo piccolo stava per perire infallibilmente con lei, quando rac- 
cogliendo le estreme sue forze ed attingendo dal suo affetto un 
resto di vigore, lo slanciò, col suo braccio indebolito, sopra un 
alto ramo, e in tal modo riuscì a salvarlo dalla fine funesta di 
cui essa sola rimaneva vittima. 

Si conoscono quattro o cinque specie di Scimmie urlatrici, 
tutte originarie della Colombia, della Guiana, del Brasile e del 
Paraguay. S' incontrano principalmente sulle sponde dei grandi 
fiumi, come l’Orenoco, la Maddalena, ecc. 


Genere Lagotrice. — Le Lagotrici (Scimmie a coda di Lepre) 
son più piccole e più gracili delle Scimmie urlatrici; hanno 
anche la voce meno forte. Vivono in strupi, nelle foreste della 
Colombia, del Perù e del Brasile; sono dolcissime, molto intel- 
ligenti, e sì addomesticano con agevolezza; si dice anche che 
si affezionino alle persone che ne prendono cura. Hanno il pe- 
lame morbido, e rimangono ritte molto bene sui piedi posteriori. 


Genere Eriodo. — Gli Eriodi si distinguono dalle altre Scim- 
mie americane per le narici che son meno discoste che nella 
maggior parte di queste ultime, per la mancanza oper lo 
stato rudimentale del pollice alle estremità anteriori, e per le 
unghie, che sono compresse e taglienti come artigli. Si co- 
noscono poco i loro costumi. Sappiamo soltanto che si raccol- 
gono in piccoli strupi, e fanno sentire la loro voce chioccia per 
una gran parte del giorno. Ne esistono tre specie che abitano 
il Brasile. 


Genere Atele. — Negli Ateli, come negli Eriodi, non esiste il 
pollice anteriore, o, ciò che è più raro, si presenta come un 
semplice tubercolo senza unghia. È anzi questo carattere che 
da ragione del suo nome, Atele, dal greco atelys che vuol dire 
imperfetto o incompiuto. Ma le loro narici sono al tutto late- 
rali e le unghie semi-cilindriche, come in tutte le Scimmie. 
Inoltre i loro peli son lunghi e morbidi, mentre quelli degli 
Eriodi son corti e lanosi. 


GENERI ATELI E CEBO 591 


Gli Ateli (fig. 281) sono riconoscibili per l’eccessiva lunghezza 
e la gracilità delle loro membra, le quali, unite all’andatura 
lenta e misurata, valsero loro il nome di Scimmie-Ragni. Come 
le Scimmie dei tre precedenti generi, hanno la coda sviluppa- 
tissima, callosa sulla punta, e se ne servono forse ancor me- 
glio. In tal modo afferrano e portano avanti gli oggetti situati 
dietro, senza fare il benchè minimo movimento, e senza che. 
gli occhi cooperino in qualche modo a questa azione. Isidoro 
Geoffroy Saint-Hilaire asserisce tuttavia di non aver mai veduto 
questi animali servirsi della coda per portare gli alimenti alla 
bocca, come pretendono alcuni viaggiatori. 

Dampierre e Dacosta narrano che, per varcare un fiume 0 
per passare da un albero all’altro molto lontano, gli Ateli si 
attaccano gli uni agli altri per la coda, e formano così una 
lunga catena, alla quale imprimono un movimento di oscilla- 
zione verso il punto ove vogliono giungere, finchè il capo della 
fila ci possa arrivare. Questi, quando si è bene attaccato, tira a 
sé tutti gli altri, e il giuoco è fatto. Veramente è proprio un 
giuoco, di cui tante sono le difficoltà, che ne resta dubbia l’ese- 
cuzione anche per delle scimmie! 

Gli Ateli vivono in strupi nelle foreste, e si nutrono d’insetti 
che inseguono sugli alberi. Tuttavia scendono qualche volta in 
terra, e allora mescolano al loro alimento solito anche pescio- 
lini e molluschi che trovano nel fango e sulle sponde dei fiumi. 
Taluni asseriscono ch’essi si arrischiano fino sulle rive del mare, 
quando non ne sono molto discosti, per pescare ostriche ed al- 
tre bivalvi, che sanno estrarre benissimo dalla loro conchiglia. 

Sono d’indole dolce e timorosa, ma si adattano difficilmente 
al clima di Europa. Quando non muoiono durante il viaggio 
periscono poco dopo il loro arrivo, per lo più a cagione del 
freddo. Nondimeno se ne son potute osservare talune a Parigi. 
La loro voce è una sorta di fischio armonioso, analogo a quello 
degli uccelli. 

‘Si conoscono circa dodici specie di Ateli, che abitano la Guiana, 
il Brasile, il Perù e la Colombia. Sono molto sparsi nelle fo- 
reste che stanno sui margini del fiume delle Amazzoni, del 
Santiago, dell’Orenoco, della Maddalena, ecc. 


Genere Cebo. — I Cebi * segnano il limite delle Scimmie dalla 
coda prensile; in essi è molto debole questo tratto caratteri- 


stico della loro tribù. I::fatti, la loro coda è sfornita di vera 


1 Fr. Sapajou; ted. Rollschwanzaffe. 


592 ORDINE DEI QUADRUMANI 


callosità, e non è prensile che sulla punta. Nondimeno que- 
st’organo conserva un grande sviluppo, e contribuisce a render 
sicuri e svariati i movimenti dell’animale. 

I Cebi son meno grandi e mero svelti degli Ateli, ma più 
robusti. Vivono in strupi nelle foreste della Colombia, del Perù, 
della Guiana, del Brasile, del Paraguay, e rimangono per solito 
sui rami più alti degli alberi. Si nutrono di frutta, di insetti, 
di vermi, di molluschi, d’ uova, ed anche di uccellini quando 
hanno la sorte di prenderne. Trovano nemici terribili in parec - 
chie specie di carnivori e nei serpenti. Questi ultimi poi incu- 
tono loro in particolare una orribile paura. 

I Cebi sono vivaci, mobilissimi, meravigliosamente agili e 


i A 


Fig. 282, (0 bruno. 


petulanti, sempre in movimento e molto capricciosi. Nello stesso 
tempo sono intelligentissimi, dolcissimi, molto famigliari, e di- 
sposti ad affezionarsi alle persone che piglino per loro un certo 
interesse. Mostrano pure molta docilità, ma solo per timore dei 
castighi. Quindi sono ricercatissimi in tutti i paesi civili; nelle 
mani dei saltimbanchi e dei suonatori ambulanti divengono 0g- 
getto di divertimento per la moltitudine. Si ammaestrano in vari 
esercizii, seri o buffi, che eseguiscono con una disinvoltura ed 
ed una comica gravità imperturbabile. 

Nelle circostanze ordinarie la voce ‘dei Cebi è dolce e somi- 
glia in certo modo a quella degli Ateli; ma sotto l impulso di 
forti sentimenti, come la collera o il piacere, mandano grida insop- 
portabili. Quando si tormentano, fanno sentire una sorta di ge- 
mito lamentoso, che valse loro il nome di Scimmie piangenti. 


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TRIBÙ DELLE SCIMMIE DALLA CODA NON PRENSILE 595 


Si chiamano anche Scimmie muschiate, a cagione dell’odore di 
muschio che esalano. | | 

È difficilissimo valutare il numero delle specie dei Cebi: ne 
esistono moltissime varietà, ed è molto raro incontrare due in- 
dividui al tutto simili. I naturalisti son dunque molto discordi 
in proposito; gli uni prendono per specie distinte quelle che gli 
altri non vogliono ammettere che come varietà. Is. Geoffroy 
Saint-Hilaire ha descritto quattordici specie di Cebi, distribuite 
in gruppi speciali, secondo che hanno i peli del capo lisci, di- 
sposti a mo’ di spazzola, o rialzati in ciuffo, o circolari. Le più 
comuni sono il Cebo bruno (fig. 282) ed il Sai o Cebo Cappuccino. 
Al Paraguay si trova una varietà albina di questa ultima spe- 
cie, animale notturno, che manda grida lugubri nelle notti 
stellate. 

TRIBU' DELLE SCIMMIE DALLA CODA NON PRENSILE. — Apparten- 
gono alla categoria delle Scimmie dalla coda non prensile i ge- 
neri Calltrice, Saimiri, Noctoro e Saki. 


Genere Callitrice.— Le Callitrici hanno a un dipresso la mole 
dei Cebi; il loro pelame è abbondante, la coda lunga e molto 
pelosa. Sono animali notturni o crepuscolari, che vivono sugli 
alberi e nelle boscaglie, e si nutrono in gran parte di frutta e 
di insetti. Son pieni di brio, di grazia, e si addomesticano fa- 
cilmente; ma la loro intelligenza è mediocre. Vivono tutti al 
Brasile ed al Perù. Due belle specie, la Callitrice dal bavero e 
la Callitrice dal collare (fig. 234), sono notevoli per una fitta 
barba bianca che risalta sul fondo bruno del loro pelame. 


Genere Saimiri. — I Saimiri, o Scimmie Scoiattoli, son piccoli 
esseri dalle movenze rapide, dalla fisonomia sveglia, molto si- 
mili, nei caratteri e per la mole, agli scoiattoli, di cui fu loro 
dato il nome. Hanno il cervello molto sviluppato, e sono intel- 
ligentissimi. Notturni come i precedenti, vivono a un dipresso 
nello stesso modo; piace loro rimanere nei cespugli e in tutti i 
luoghi boscheggiatt; abitano anche gli scavi delle rocce. Sono 
carnivori, perchè, non solo fan caccia degli uccellini, ma an- 
che di certe specie di mammiferi. La Guiana ed il Brasile sono 
la loro patria. Buffon li proclama con ragione le più belle e le 
più gentili fra tutte le Scimmie. Quindi sono ricercatissimi; ma 
essendo anche rarissimi, se ne veggono pochi in Europa. Isi- 
doro Geoffroy Saint-Hilaire parla dei Saimiri nel modo se- 
guente : 


590 ORDINE DEI QUADRUMANI 
« La fisonomia del Saimiro è quella di un fanciullo; è la stessa espres- 


sione innocente, talora anche lo stesso sorriso malizioso, e costantemente 
lo stesso rapido passaggio dalla gioia alla melanconia ; sente anche viva- 


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Fig. 284. Callitrice dal collare. 


mente il dolore, e lo dimostra piangendo. I suoi occhi versano lagrime 
quando è inquieto, o spaventato. E ricercato dagli abitanti per la sua 


Fig. 85. Saki satanico. 


bellezza, pei suoi modi amabili e per la dolcezza dei suoi costumi. Fa me- 
raviglia il suo continuo agitarsi, nondimeno i suoi movimenti son pieni 
di grazia. Lo si vede sempre occupato a saltare, a scherzare e a pren- 
dere insetti, e sopratutto ragni, che preferisce a tutti gli alimenti ve- 
getali. » 


GENERE NOCTORO 597 


D'altra parte, Humboldt c’ insegna che il Saimiri ascolta con 
grande attenzione le persone che gli rivolgono la parola, e che 
accosta anche le sue mani alle labbra di quelle, come per ten- 
tare di sorprenderne le parole che pronunciano. . 


Genere Nocioro. — I nomi di Nocloro e di Nictipiteco, dati da 
Cuvier e da Spix agli animali di questo genere, rammentano 
le loro abitudini essenzialmente notturne o crepuscolari. Infatti, 


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Fig. 286. Brachiuro. 


queste piccole Scimmie dormono tutto il giorno, sia nel cavo 
degli alberi, sia in mezzo al fitto fogliame; e solo all’ imbru- 
nire si mettono in movimento. I loro occhi, molto grossi, sono 
fosforescenti, vale a dire luminosi nel buio. Humboldt dice che 
queste Scimmie sono monogame e vivono sempre appaiate; ma 
Spix asserisce che vanno in strupi. Queste duc opinioni possono 
conciliarsi: forse il modo di vivere differisce, per questo ri- 
guardo, nelle varie specie. | 

I Noctori si nutrono d’insetti e di uccellini. La loro voce è 


998 ORDINE DEI QUADRUMANI 

forte, e rammenta, secondo Humboldt, quella del Giaguaro. La 
specie più nota, il Duruculi, trae il suo nome dal grido che fa 
sentire quando la notte è in caccia nei boschi. I Noctori abi- 
tano le sponde dei fiumi del Perù, della Bolivia, del Brasile e 


del Paraguay. 


Genere Saki. — I Saki hanno molta rassomiglianza coi Cebi; 
ma se ne distingono per la coda non prensile e coperta di fitti 
e lunghi peli; ciò che fece loro dare il nome di Scimmie dalla 
coda di volpe. Abitano nei cespugli, solitari o in piccoli strupi, 
e sono piuttosto crepuscolari che notturni. Non escono dal loro 


nascondiglio che la mattina e la sera; il resto del tempo dor- 


mono. Si nutrono di frutta, d’ insetti, e vanno molto ghiotti del 
miele; quindi cercano ardentemente gli alveari di api selvati- 
che. I Cebi, che conoscono questo loro gusto, li seguono da 
lontano, onde impadronirsi della loro preda. Infatti, appena i 
Saki, senza sospetto, stanno per divorare il miele che hanno 
trovato, i Cebi accorrono, e traendo partito della ioro superio - 
rità fisica, a furia di colpi li obbligano a fuggire, poi assapo- 
rano il miele che si sono appropriati con poca fatica. Negli 


animali, come negli uomini, avvi sempre chi approfitta del-. 


l’opera altrui. 

Generalmente, i Saki son miti, timidi, paurosi;. perciò si ad- 
domesticano difficilmente, sebbene non manchino d'’ intelligenza. 
Mostrano grande sollecitudine pei loro piccoli, e si occupano 
con gran cura, tanto il maschio che la femmina, della ioro edu- 
cazione. Ma dopo un certo tempo li scacciano, e li obbligano a 
provvedere da sè stessi alla loro sussistenza. 

Si distinguono due gruppi ben caratterizzati fra i Saki: il 
primo contiene le specie nelle quali la coda è quasi lunga come 
il corpo, e costituisce la divisione dei veri Saki; il secondo si 
compone delle specie che hanno la coda brevissima, e che per 
questa ragione si indicano col nome di Brachiuri (Scimmie dalla 
coda corta: gr. brachys, corta; ura, coda). 

Fra i veri Saki alcune specie son fornite di barba abbondan- 
tissima e di capigliatura fitta, che ricade loro sulla fronte. Que- 
sti ornamenti contribuiscono non poco a dar loro un aspetto 
austero. Sono tali il Saki satanico (fig. 285), il Saki peloso, e il 


Saki cappuccino. 
Tutti questi animali sono originari del Brasile, della Guiana 


e della Colombia. 
Humboldt narra che quest’ultima Scimmia prende molte mi- 


nute precauzioni onde non bagnarsi la barba. Quando ha sete 


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SCIMMIE DEL MONDO ANTICO BUO 


si china sul margine di un ruscello, attinge l’acqua colla mano, 
se la porta alla bocca, e ripete questi movimenti finchè non 
abbia più sete, ma senza mai bagnarsi nè arruffarsi la sua ve- 
nerabile barba. Per questo rispetto molti uomini rassomigliano 
ai Saki. 

I Brachiuri (fig. 286) son notevoli per la nudità del capo e 
per la sporgenza della fronte. Ciò che v’ ha di curioso in essi 
è la coda, la quale, sebbene cortissima, è molto fitta; per modo 
che pare una palla. 

I Brachiuri camminano discretamente colle zampe posteriori. 
Gl’ Indiani danno loro la caccia per la loro carne, che trovano 
buona. S’ incontrano al Brasile e al Perù, sulle rive dell’alto 
Amazzone e dell’Orenoco. 


SCIMMIE DEL MONDO ANTICO. — Queste Scimmie hanno le na- 
rici terminali e separate da un sottile tramezzo. Inoltre sono 
caratterizzate, salvo qualche rarissima eccezione, da certe callo- 
sità e dai serbatoi del cibo. Le callosità sono piastre sporgenti, 
nude e indurite, che esistono nella parte posteriore del corpo, 
e sulle quali si riposano allorchè stanno sedute. I serbatoi son 
saccoccie più o meno grandi, collocate ai lati della bocca, nello 
spessore delle guancie, e costituiscono una sorta di magazzino 
provvisorio del cibo. 

Anche l'esame delle mascelle somministra un carattere im- 
portantissimo : tutte le Scimmie del mondo antico hanno il si- 
stema dentale della specie umana, cioé : otto incisivi, quattro 
canini e venti molari, distribuiti ugualmente nelle due mascelle; 
inoltre hanno nell’età giovanile venti denti di latte come il bam- 
bino umano. La loro coda è qualche voìta lunga, ma per lo più 
corta 0 mancante, e non mai prensile. Le unghie sono piane, 
e differiscono pochissimo dalle nostre. In una parola, la loro 
organizzazione fisica, i loro costumi, la loro intelligenza, ne 
fanno creature molto affini all’ uomo, e quindi degne del primo 
posto nella gerarchia animale. 

Le Scimmie del mondo antico comprendono le cinque tribù 
seguenti: i Cinocefali, i Macachi, i Cercopiteci, i Semnopiteci e le 
Antropomorfe. 


TRIBU' DEI CinoceFALI. — I Cinocefali (Scimmie dalla testa 
di cane: in greco chino, cane; chephali, testa) son chiamati con 
tal nome per la forma allungata del loro muso. Sono grossi 
animali, dalle forme tozze, dai muscoli forti. Questi vari van- 
taggi, uniti a un’indole brutale e feroce, ne fanno animali ab- 


600 ORDINE DEI QUADRUMANI 


bastanza terribili, sopratutto nell’età adulta. Hanno l’arco delle 
sopracciglia molto sviluppato, i serbatoi del cibo profondi, e le 
estremità a un dipresso della stessa lunghezza. Le loro mani 
sono bene costituite, e provviste tutte e quattro di un pollice 
opponibile. Generalmente il loro pelame è lungo e fitto, sopra- 
tutto sulle parti superiori del corpo. Questo pelame” presenta, 
intorno alle callosità, alcune grandi parti nude, che sono so- 
vente, come il volto, tinte di vivacissimi colori. I sensi sono” 
molto perfetti; l’odorato, in particolare, è delicatissimo. 

Abbiamo già avuto occasione di fare osservare che il cranio 
delle Scimmie del continente antico, e in conseguenza le loro 
facoltà morali, divengono coll’andar degli anni capaci di note- 
voli modificazioni. 

I Cinocefali danno un esempio molto evidente di questo fatto. 
Man mano che s’inoltrano nell’età, la loro faccia si sviluppa, 
senza che questo mutamento ne produca uno simile nella sca- 
tola del cranio: le loro qualità primiere, vale a dire una dol- 
cezza ed una intelligenza relative, divengono, invecchiando, scl- 
vatichezza e abbrutimento. Allora mostrano in tutte le loro vo- 
glie violenza ed impetuosità incredibile, manifestano i loro ap- 
petiti con gesti ed atti sguaiatissimi, e si avventano su chiun- 
que voglia impedirli di contentare le loro passioni. In questo 
periodo della loro esistenza sono invero pericolosi; perché i 
loro denti canini superiori, mutati in lunghe e acute zanne, 
producono gravissime ferite. Il timore che incutono nei paesi 
che abitano è così grande, che una loro specie ha avuto da- 
gli Inglesi il nome molto significante di Man- Tiger (uomo- 
ligre). I 

I Cinocefali abitano quasi esclusivamente l’Africa ; una sola 
specie trovasi in Asia. Rimangono talora nelle foreste, talora 
sui monti poco alti, nei siti rocciosi, e si nutrono di frutta e di. 
insetti. In prigionia sono a un dipresso onnivori. i 

I Cinocefali si trovano talora raccolti in strupi numerosissimi 
al Senegal. Il signor Mage, nella relazione del suo Viaggio nella 
Senegambia, pubblicato nel 1868, narra ciò che segue: 


« Avevamo osservato che i monti della riva sinistra si riaccostavano 
talmente al fiume (Senegal) da venire, in certo punto situato a mezza 
strada, a bagnarvisi. La montagna fatta a scaglioni di color rosso e nero, 
frastagliata dai cespugli d’alberi che sbucavano da tutte le sue screpo- 
lature, era coperta letteralmente di Scimmie in tutti i suoi rialzi; sopra 
tutte le fessure orizzontali queste erano allogate le une contro le altre; 
gli alberi s'incurvavano pel loro peso, e al nostro passaggio ci saluta- 
rono con incredibili capriole e latrati furiosi. Non credo di esagerare. 


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FicuieR. I Mammiferi. 76 


Fig. 287. Cinocefalo Amadriade. 


TRIBÙ DEI CINOCEFALI 603 


«dicendo che quel quartier generale comprendeva non meno di seimila 
Cinocefali (V. fig. 285 a pag. 5953) ‘ ». 


Un altro viaggiatore, il Mouhot, ne vide in quantità, nel 
Regno di Siam, scherzare coi coccodrilli vicino al fiume 
Paknam-Ven. | 


« Il coccodrillo (egli scrive) si pone vicino alla sponda col corpo im- 
merso nell’acqua, e non emerge che colle fauci spalancate, pronto ad 
afferrare l’animale che gli passi vicino. Una frotta di scimmie l’ha scorto ; 
par che si concertino fra loro, poi s’avvicinano bel bello, e cominciano 
il gioco, a vicenda attrici e spettatrici. Una delle più agili o delle più 
imprudenti si fa di ramo in ramo fino ad una certa distanza dal coc- 
codrillo; s'aggrappa con una zampa ad un ramo e, colla destrezza pro- 
pria della sua razza, s’avanza, si ritira, ora lasciando andare una zam- 
pata all’ avversario, ora contentandosi di far le viste d’acchiapparlo; le 
compagne, allettate dal gioco, vogliono prendervi parte, ma gli altri rami 
essendo troppo alti, formano catena tenendosi a vicenda colle zampe; 
e stan là penzolando dall’ albero, mentre quella che si trova più vi- 
cina all’anfibio fa il possibile per provocarlo. Talvolta la terribile 
mascella del coccodrillo si chiude, ma non si rapidamente da afferrare 
l’audace scimmia ; allora nel campo avversario mille grida di gioia e 
scambietti; ma talvolta altresì avviene che una zampa resti attanagliala 
fra quelle morse, e la povera ballerina è trascinata sott’ acqua in un 
lampo. Allora la truppa si disperde levando gemiti e strida, ciò che però 
non toglie che si ricominci lo stesso gioco pochi giorni, e forse poche 
ore dopo quel caso. » 


I Cinocefali son divisi in due generi, fondati sulle dimensioni 
della coda; sono i Mandrilli ed i Cinocefali propriamente detti. 

Genere Mandrillo. — I Mandrilli sono così caratterizzati: prima 
da una coda brevissima, poi da profonde rughe collocate da 
ogni lato del naso e più o meno colorite con tinte vivaci. Se ne 
conoscono due specie, proprie dell’Africa occidentale : il Mandrillo 
Choras ed il Mandrillo Leucofo o Drillo. 

Il Mandrillo Choras (fig. 288) è uno dei cinocefali che hanno 
colori più vivaci. Ha il viso striato di fascie rosse, azzurre e 
bianche, splendidissime. La parte superiore delle coscie è di 
un bel rosso vivo misto di turchino di bellissimo effetto. Ciò 
che v’ha di notevole, si è che questi vari coloramenti non hanno 
una durata fissa, e compaiono dopo o durante la malattia. Sem- 
brano prodotti da una iniezione sanguigna particolare, che 
acquista la sua maggiore energia quando l’animale è nell’impeto 
dei suoi sentimenti. 


1 Giro del Mondo, vol. IX, pag. 201. 


604 ORDINE DEI QUADRUMANI 


Il Mandrillo Choras, divenuto vecchio, è un animale veramente 
feroce. Perciò non è prudente lasciarlo in libertà quando si to- 
glie alla vita selvatica. Del resto, la schiavitù non mitiga per nulla 
la violenza del suo carattere. Nel libro intitolato La Ménagerie 
du Muscum, che fu pubblicato da Cuvier, col concorso di Lacé- 
pède e di Stefano Geoffroy Saint-Hilaire, il primo di questi 
scrittori da particolari molto curiosi intorno ai modi del Man- 


Fig. 288. Mandrillo Choras. 


drillo Choras. Dice che la vista di certe donne, principalmente 
le più giovani, lo faceva entrare in veri accessi di frenesia. 

« Le distingueva nella folla, dice egli, le chiamava colla voce 
e coi gesti, c senza dubbio se fosse stato libero avrebbe adope- 
rato contro di esse la violenza ». Le donne nere ne hanno, 
forse per questo, gran paura! 

Fra questi animali hanvene taluni che conservano per un 
certo tempo la loro primiera docilità. Ne è esempio quello che 
un certo signor Cross faceva vedere a Londra, e che si era 
acquistato, colla sua intelligenza, una grande riputazione. 


GENERE CINOCEFALO 605 


Questa Scimmia, chiamata Happy Jerry, sapeva sedersi sopra 
una seggiola, beveva la birra in un bicchiere di stagno, e tal- 
volta fumava la pipa con tutta la gravità voluta. 

Il Drillo rassomiglia molto al precedente; non se ne distingue 


Fig. 289. Papione. 


che perla faccia al tutto nerastra, e pel colore del pelame, un 
poco diverso. Abita pure la Guinea. 


Genere Cinocefalo propriamente detto. — I veri Cinocefali hanno 
la coda un po’ lunga, pendente, talora terminata in pennello. 
Sono meno robusti dei Mandrilli e si modificano meno profon- 
damente cogli anni. Le specie principali sono l’Amadriade, il 
Papione, cd il Chaorna. 

L’Amadriade (fig. 237) era nota agli antichi Egizi, che l’hanno 


606 | ORDINE DEI QUADRUMANI 


sovente rappresentata sui loro monumenti. Era il simbolo del 
dio Toth inventore dell’ alfabeto, ed era per questo tenuta in 
grande venerazione. Moltissime mummie di questo animale sono 
state raccolte nelle necropoli di Egitto. 

Nella società moderna le Amadriadi non fanno tanto bella 
figura. Gli Orientali le ammaestrano in vari esercizi, e le espon- 
gono al pubblico. Questa Scimmia ha la faccia color carne, e 
porta sul dorso, sui fianchi, e sulle parti laterali del capo, una 
specie di bavero olivastro, n la caratterizza distintamente. 
Abita l’Abissinia, il Sanndi e l'Arabia. 

Il Cinocefalo Chaorna è esclusivo dell’Africa australe: si incon- 
tra particolarmente sulla montagna della Tavola, nei dintorni 
della città del Capo. Strupi di venti e trenta individui percorrono 
le colline e penetrano sovente nei campi coltivati, ove producono 
grandissimi danni, specialmente nel tempo dei raccolti. Kolbe 
narra che il Chaorna ha talora l’audacia di portar via al viag- 
giatore che si trovi solo nella campagna le provviste che questo 
ha apparecchiate pel suo pasto, e che dopo essersi allontanato 
un tratto spinge l’impudenza fino a beffeggiare colle sue smor- 
fie il disgraziato che ha derubato poco prima. 

Il Chaorna è molto formidabile; ma siccome è nel tempo 
stesso molto intelligente, prendendolo giovane si può educarlo, 
e trarne qualche servizio. 

Così gli abitanti del Capo lo adoperano per. fargli custodire 
le loro case, ufficio che compie con molta vigilanza. Lo avvez- 
zano a riportare gli oggetti, come i cani bene ammaestrati, lo 
incaricano di mantenere il fuoco in una fucina, o di guidare 
un paio di buoi aggiogati a un carro. Questo animale ha un 
odorato finissimo, e rifiuta con insistenza quegli alimenti che 
il suo odorato gli fa supporre siano sospetti; quindi non si puo 
ucciderlo col veleno. i 

II Papione (fig. 289) è il più conosciuto fra tutti i Ginocefali: 
è quello che si vede più spesso nei serragli Europei. È intelli- 
gentissimo, e più docile delle altre specie; quindi si presta assai 
facilmente alla domesticità e all'educazione. E molto ghiotto: 
ciò fa sl che si può dominarlo coll’esca delle ghiottonerie. Mo- 
stra molto affetto per la figliuolanza, e mantiene le migliori re- 
lazioni coi compagni di prigionia. Di rado riman fermo in un 
luogo; il bisogno di esercizio è in lui molto imperioso , e il vo- 
lerlo privare del movimento nuoce alla sua salute. Il Papione 
vive in strupi assai numerosi nelle foreste del Senegal e sulla 
costa di Sierra Leona. 

Le altre specie di Cinocefali sono il Babbuino, il Cinocefalo 


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TRIBÙ DEI MACACHI 607 


olivastro, il Cinocefalo Anubis e il Cinocefalo Gelada, indicato da 
Isidoro Geoffroy col nome di Teropiteco. Non v’ha nulla a dire 
intorno a questa specie che non siasi già detto a proposito delle 
precedenti. 


TrIiBù DEI MacacHi. — I Macachi (ingl., Ape) per le forme 
generali e per le abitudini stanno in mezzo fra i Cinocefali ed i 
Cercopiteci. Hanno il corpo meno tozzo ed il muso più corto dei 
primi, senza cessare tuttavia dall'essere robusti. Le loro labbra 
sono sottili, i loro serbatoi pel cibo bene sviluppati, le loro cal- 
losità molto rilevate. La loro coda è nulla, o corta, o lunga, secondo 
le specie. Hanno gli stessi istinti dei Cinocefali, ma sono meno 
violenti, e non divengono tanto cattivi inoltrandosi negli anni. 

Generalmente le femmine sono d’indole più mite dei maschi 
e si piegano meglio alla domesticità. Del resto, ciò accade sem- 
pre per quasi tutte le Scimmie dell’antico continente. Hanno 
una certa intelligenza, e s'insegna loro facilmente ad eseguire 
vari giuochi di destrezza. Spesso si son portati i Macachi in 
Europa, e vi si son riprodotti. 

I generi principali dei Macachi sono i Cinopiteci, le Bertuccie, 
î Macachi propriamente detti, ed i Mangabey. 


Genere Cinopiteco. — Questo genere è stato creato per una 
specie di Scimmie delle isole Celebi, che, molto affine, per pa- 
recchi riguardi, ai Cinocefali, se ne distacca per una faccia meno 
allungata, pei canini molto più corti, e per l’assoluta mancanza 
di coda. 

Questa specie ha il pelame e le parti nude al tutto nere: donde 
il nome di Cinopiteco nero che le venne dato. Questa Scimmia 
e attiva, intelligente, e diviene agevolmente famigliare. IL giar- 
dino delle Piante di Parigi ed il Giardino zoologico di Londra 
ne hanno posseduto parecchi individui vivi. 


Genere Bertuccia. — Una sola specie, la Bertuccia comune 
(fig. 290), compone questo genere. Il carattere distintivo fonda- 
mentale del genere Bertuccia consiste nella mancanza della coda. 

Da moltissimo tempo si conosce la Bertuccia (fr. Magot). Gli 
antichi la chiamavano Piteco. Strabone ed Aristotile ne hanno 
parlato. Sullo scheletro di questa Scimmia, Galeno, celebre me- 
dico di Pergamo che fioriva a Roma l’anno 170 dopo Gesù Cristo 
sotto l’imperatore Marco Aurelio, compose la sua anatomia 
dell’uomo. In quel tempo, infatti, e fino al secolo decimoquarto 
della nostra éra, l'anatomia dei cadaveri umani era severamente 


603 ORDINE DEI QUADRUMANI 


proibita. Galeno aveva creduto di poter fondarsi sulla grande 
analogia apparente dello scheletro dell’uomo e quello della Scim- 
mia per comporre l’anatomia umana. Quello che v’ha di singolare 
è che questa anatomia dell’uomo, presa sulla Scimmia, bastò 
per molto tempo ai bisogni della chirurgia e della medicina. 
Quando nel secolo decimosesto l’illustre anatomico Andrea Ve- 
salio mostrò che Galeno aveva descritto gli organi della Scim- 


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Fig. 290. Bertuccia. 


mia per quelli dell’uomo, durò molta fatica a fare accettare questa 
verità. Ciò che prova due cose : prima di tutto che la struttura 
della Scimmia si discosta ben poco, checchè se ne dica, da quella 
dell’uomo; poi, che non v’ha verità, per quanto evidente e sem- 
plice sia, che non trovi i suoi contraddittori ed increduli. 

Le Bertucce abitano certe regioni del nord dell’Africa, princi- 
palmente l’ Algeria ed il Marocco. Vivono in strupi numerosi, 
sui monti boscheggiati di quei paesi. Gli Arabi hanno molto a 


GENERE BERTUCCIA 609 


soffrire dalle loro depredazioni. Questi quadrumani fanno fre- 
quenti incursioni nei giardini dei disgraziati indigeni, e mettono 
a ruba gli aranci, i fichi, le piantagioni di poponi, di cocomeri, 
di pomidori, ecc. Essi procedono a queste depredazioni con molta 
intelligenza e precauzione. Si mettono in fila lungo il muro di 
cinta fino ad un luogo sicuro, e passano l’uno all’altro le 
provviste che alcuni si sono incaricati di raccogliere; due o tre 


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Fig. 291. Macaco di Buffon. 


sentinelle, poste sopra un’ altura, vigilano i dintorni. Al più 
piccolo pericolo mandano un grido di allarme, e tutta la brigata 
sc la dà a gambe. 

Si trovano bertuccie in Europa sullo scoglio di Gibilterra, 
ma in numero limitato. Si crede generalmente che derivino da 
individui importati dall’Africa e sfuggiti alla schiavitù. Invece 
alcuni autori asseriscono che appartengono naturalmente alla 
fauna spagnuola; ciò che si spiegherebbe supponendo che lo 
stretto di Gibilterra non abbia sempre esistito, e che in altri 

Ficuier. I Mammiferi. 77 


610 ORDINE DEI QUADRUMANI 


tempi il continente europeo e l’africano fossero in quel punto 
riuniti da un istmo; ma questa ultima ipotesi, che rende la Ber- 
tuccia propria della fauna iberica, è poco probabile. Le Bertuccie 
che oggi si trovano a Gibilterra hanno in origine dovuto venire 
dalla costa africana, che ne è tanto prossima. 

In qualunque età si esamini, la Bertuccia ha la faccia rugosa 
e l’aspetto di vecchia. In gioventù è dolce, mansueta, e si com- 
piace nella società dell’uomo e degli altri animali. Una delle sue 
occupazioni predilette, e che si osserva più o meno in tutte le 
Scimmie, è quella di cercare nei capelli del suo padrone, o 
nei peli dei suoi compagni, scimmie, cani, o gatti, gl’ insetti che 
che vi si trovano, ed inghiottirli appena presi. 


Genere Macaco propriamente detto. — Certi caratteri anatomici 
che si trovano nel sistema dentale e nella forma dell’orbita, se- 
parano i Macachi dalle Bertuccie; ma il carattere più spiccante 
dei Macachi è la presenza costante della coda, che d'altronde 
varia di dimensione secondo le specie. Quando è lunga, questa 
coda è sempre pendente e non ha mai la proprietà di rialzarsi, 
come accade in altri generi. 

I Macachi si dividono in specie dalla coda lunga o mediocre 
ed in specie dalla coda brevissima. Fra le prime le più note- 
voli sono il Macaco di Buffon (fig. 291), il Mac co delle Filippine, 
il Macaco Berretto cinese, il Macaco Uanderù, il Macaco Resus; 
fra le seconde, il Maimone o Macaco dalla coda di maiale, il 
Macaco orsino ed il Macaco dalla faccia rossa, Tutte queste Scim- 
mie abitano il continente indiano o le isole della Malesia; l’ul- 
tima sola appartiene in proprio al Giappone, ove è il solo rap- 
presentante dell’ordine dei Quadrumani. 


Genere Mangabey. — I Mangabey formano l’anello di unione 
fra i Macachi e i Cercopiteci. Hanno a un dipresso la stessa 
statura e lo stesso modo di vita. dei Cercopiteci, ma sono meno 
leggieri. Hanno la coda lunga, e per solito la tengono rialzata 
sul dorso. I loro costumi differiscono poco da queili della mag- 
gior parte dei Macachi, e anche nel carattere la differenza è 
poco sensibile. Tuttavia si può dire che in generale son più 
dolci e più famigliari dei precedenti; almeno questo è ciò 
che sembra risultare dalle osservazioni di F. Cuvier sopra al- 
cuni di questi animali portati nel Giardino delle Piante di 
Parigi. 

I Mangabey abitano l’ interno dell’Africa. Finora non se né 
conoscono che tre specie. 


TRIBÙ DEI CERCOPITECI 611 


TrIBù DEI CERcoPITECI. — I Cercopiteci! sono Scimmie dalle 
forme sottili, dal cranio depresso e senza fronte, almeno nel- 
l’ età adulta, dai serbatoi del cibo larghi, dalle callosità ben 
rilevate, dai canini lunghi e taglienti, dalle estremità bene 
costituite e acconce ad afferrare gli oggetti, dalla coda lunga e 
rialzata come quella dei Mangabey, dal pelo fitto e più o meno 
macchiettato. I naturalisti danno loro il nome di Cercoptteci, che 
vuol dire Scimmie dalla coda (in greco, cherchos, coda; pithecos, 
scimmia). Il genere Cercopiteco comprende circa trenta specie. 

Questi animali vivono in strupi nelle foreste; son sempre in 
movimento da un albero all’ altro, e fanno, con straordinaria 
agilità, salti prodigiosi. In ogni brigata trovasi una sentinella 
incaricata di vegliare alla sicurezza generale. All’apparire di un 
nemico questa sentinella manda un grido particolare, e tutta la 
brigata, raccogliendosi sopra un’ altura, si mette a colpire l’in- 
truso. Le frutta e i rami piovono sull’imprudente, il quale, di- 
sarmato ed impotente contro questa orda aerea, é in breve 
costretto ad abbandonare il campo. I. neri non amano questa 
sorta di scaramuccie. 

Quindi di rado penetrano in quelle parti delle foreste ove i 
Cercopiteci hanno posto la loro dimora. Neppure i più grossi 
quadrupedì, come l’Elefante, son salvi da questo genere di ag- 
gressioni; credono bene di sottrarsi, fuggendo, alle conseguenze 
sgradevoli, se non pericolose, di una cosiffatta lotta. Due sole 
creature possono affrontarla senza timore: l’uomo, col suo arco 
o la sua carabina, ed il serpente, che striscia nell’ombra fin 
sui rami più alti degli alberi, e viene talora a raggiungere ed 
afferrare quei silfi delle foreste. 

Il cibo dei Cercopiteci è svariatissimo: si nutrono in gran 
parte di radici, di foglie e di frutta. Mangiano pure uova d’uc- 
celli, insetti, talora anche molluschi, e si mostrano avidissimi 
del miele. Devastano i frutteti e le piantagioni, e sembrano 
spinti a queste depredazioni non solo dal bisogno della fame 
ma anche dall’ istinto del rubare e del devastare, perchè di- 
struggono o guastano tutto quello che non possono portar via. 
Adoperano per compiere le loro devastazioni nei frutteti il si- 
stema delle Bertuccie, vale a dire incaricano taluni della bri- 
gata di far la raccolta, e poi fanno passare sveltamente da una 
mano all’ altra il prodotto delle loro rapine (V. fig. 1 a pag. 1). 
Ben si può immaginare la sorpresa dell’agricoltore allorchè si 
trova in faccia di questa ladra tribù. 


1 Fr., Guenon; ingl., Monkey; ted., Meekatze. 


612 ORDINE DEI QUADRUMANI 


I Cercopiteci sopportano benissimo il clima d’Europa; si 
sono anche spesso riprodotti nei nostri giardini zoologici. Quindi 
si son potuti studiare accuratamente c raccogliere sul conto loro 
molte interessanti osservazioni. 

Si è perciò riconosciuto che queste Scimmie formano due 
gruppi ben distinti pei caratteri organici e le disposizioni natu- 
rali della specie ripartite in ognuno di essi. Le Scimmie del 
primo gruppo si accostano ai Macachi pel muso un po’ lungo, 
per le forme lievemente tozze, per la coda relativamente corta 


Vj 


(/ 


4 


Fig. 292. Macachi. 


e per l’indole aggressiva nell’ età adulta. Il solo mezzo di do- 
marle, quando son giunte in quel periodo della loro vita, con- 
siste, secondo Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire, nel segare quegli 
enormi denti canini le cui ferite sono così pericolose: allora 
l’animale è consapevole della propria debolezza, e rimane tran- 


quillo. Al secondo gruppo appartengono i Cercopiteci, dalle. 


forme più gracili, dal muso più corto, dalla coda più lunga e 
dall’indole più mite. Son più ricercati dei precedenti per farne 
animali ammaestrati dai giocolieri. 

Malgrado queste differenze fisiche e morali, tutte le Scimmie 


dass. 


TRIBÙ DFI CERCOPITECI 613 


che appartengono al genere Cercopiteco sono costrutte secondo 
uno stampo uniforme e presentano uno stesso piano di orga- 
nizzazione. Si possono .menzionare come tratti distintivi del 
loro carattere, qualunque sia la specie sulla quale si facciano 
queste osservazioni, una estrema vivacità e mobilità, tanto nelle 
andature come nelle impressioni. 


« I Cercopiteci, dice Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire, hanno una singo- 
lare attitudine, e pei più futili motivi, a passare istantaneamente dalla 
allegria, che è il loro stato abituale, alla tristezza, da questa alla gioia, 
dalla gioia alla collera. Li vedi desiderare ardentemente un oggetto, mo- 


Fig. 293. Cercopiteco. 


strare la contentezza più intensa se riescono ad ottenerlo, e poco dopo 
gettarlo via con indifferenza, spezzarlo con collera. Li vedi compiacersi 
nella società di un altro individuo, mostrargli ogni sorta di affezione, 
poi ad un tratto irritarsi contro di quello, inseguirlo mandando rauche 
grida e mordendolo come se fosse un nemico; poi, fatta la pace, rico- 
minciar le carezze, finchè un nuovo capriccio produca una nuova crisi. » 


Le femmine dei Cercopiteci hanno molto affetto pel loro nato. 
Nelle prime settimane della sua vita se lo tengono stretto al 
seno, sostenendolo colle mani anteriori, come fanno molte altre 
Scimmie. Invece più tardi il piccolo si attacca da sé stesso alla 
madre, la quale va, viene, si arrampica e salta colla stessa 
sveltezza come se il suo carico non avesse nè peso nè volume. 
Il maschio non solo non divide colla femmina le cure dello al- 
levamento, ma sovente maltratta la madre e ii figlio. Quindi 


614 | ORDINE DEI QUADRUMANI 


nei giardini zoologici bisogna talora separarlo dalla sua fami- 
glia, per impedire le sue violenze. 

‘Il pelamedi queste Scimmie è quasi sempre piacevolmente co- 

lorito: le tinte ne sono vivaci e ben assortite. Per queste dispo- 

sizioni certe pelli di Cercopiteci hanno valore. 

Fra le specie che hanno forma svelta e indole pacifica, cite- 
remo il Cercopiteco minuto ', il Cercopiteco ammiccante ?, il Cer- 
copiteco dal naso bianco (fig. 294), il Cercopiteco dalle bianche 
labbra, il Cercopiteco Mona (fig. 295). Nella seconda sezione, il 
Cercopiteco cinosuro 3, il Cercopiteco verde-grigio *, il Cercopiteco 
di San Giacomo, il Cercopiteco rosso, Cercopiteco Nisnas °. 


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iti. 


Fig. 295. Cercopiteco mona. 


Il Cercopiteco minuto e la Mona sono i più miti e i più in- 
telligenti; i più intrattabili sono il Cercopiteco verde-grigio, il 
Cinosuro e il Rosso. Il Verde-Grigio, ed il Nisnas eran noti 
agli antichi Egiziani: ne abbiamo la prova nelle figure scolpite 
sulle tombe e sugli obelischi di quei popoli antichi. 


TRIBÙ DEI SEMNOPITECI. — I Semnopiteci (Scimmie gravi, dal 
greco semnos, grave; pithecos, scimmia) sono caratterizzati da 
un muso più corto, da un corpo sottile e svelto, da una coda 


1 Fr. Talapoum. 2 Fr. Hocheur. 3 Fr. Malbrouck. 4 Fr. Grivet. 3 Fr. Patas. 


GENERE NASICA 615 


‘muscolosa e più lunga di quella di tutte le altre Scimmie del 
mondo antico, da pollici sommamente brevi o nulli alle mem- 
bra anteriori, da callosità poco distinte, e dalla quasi assoluta 
mancanza di serbatoi pel cibo. Il loro pelame per solito è lungo 
e ben fitto. i 

Nel complesso dei° costumi non differiscono essenzialmente 
dai Cercopiteci; ma non hanno tanta petulanza nei movimenti 
e sono d’indole più mite, Come quelli, si addomesticano age- 
volissimamente in gioventù; ma inferociscono molto più di rado 
invecchiando. Si osserva piuttosto in essi un certo fondo di 
malinconia; questo stato va crescendo continuamente cogli anni, 
per terminare poi in una tristezza rassegnata, in una sorta di 
abbattimento morale, che finisce solo colla morte. Del resto 
sono sufficientemente intelligenti. 

La tribù dei Semnopiteci comprende i tre generi Nasica Sem- 
nopiteco propriamente detto e Colobo. 


Genere Nasica. — Le Nasiche (fig. 296) vengon così chiamate 
pel loro naso, che supera in lunghezza quello degli uomini per 
questo riguardo meglio provvisti. Questa particolarità le di- 
stingue a colpo d’occhio da tutte le Scimmie conosciute. Si ri- 
conoscono anche pei loro peli, che sotto il mento e intorno al 
collo son più sviluppati che sopra il resto del corpo. Sono i 
più grossi fra i Semnopiteci: quando son ritti misurano quasi 
un metro e mezzo. Sono anche i più feroci ed i più indomabili. 
Abitano l’ isola di Borneo, e in strupi numerosi percorrono i 
boschi situati in vicinanza dei corsi d’acqua. Di rado sì veg- 
gono sulla terra: vivon quasi sempre sugli alberi. Finora non 
se ne conosce che una sola specie. 

Gl’indigeni di Borneo asseriscono che la Nasica è un uomo 
che si è rintanato nelle foreste per non pagare imposte, e hanno 
un gran rispetto per un essere che ha trovato un mezzo così 
efficace per sottrarsi ai pesi della vita sociale. 


Genere Semnopiteco propriamente detto. — I caratteri dei veri 
Semmopiteci son quelli che abbiamo indicato per delimitare l’in- 
tera tribù. Diremo ancora che in generale hanno i peli del 
capo dritti a mo’ di ciuffo o cadenti sulla fronte come un cap- 
puccio. I loro costumi non hanno singolarità notevoli. Quindi 
ci limiteremo a menzionare le specie principali, indicando i 
paesi ove rispettivamente vivono. Diciamo prima di tutto che 
son confinate senza eccezione nell’Asia meridionale e nelle 
isole della Malesia. 


6.6 ORDINE DEI QUADRUMANI 


Menzioneremo pel primo il Duc, nativo della Cocincina. Que- 
sta specie, bellissima pei colori splendidi del suo pelame, ha 
il primo posto nella tribù dei Semnopiteci. Ha il dorso, i fian- 
chi, la parte superiore del capo e le braccia bigie macchiettate 
di nero; le coscie, le dita nere; le gambe e i tarsi di un rosso 
vivo; l’antibraccio, la parte inferiore delle gambe, le natiche, 


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Fig. 296. Nasiche. 


la coda, di un bel bianco: il petto pure bianco, circondato da 
una striscia di peli rossi. 

Vengono poi l’ Entello 0 Scimmia sacra degl’ Indi, che ha il pri- 
vilegio di devastare impunemente i giardini dei suoi adoratori; 
il Semmopiteco dal cappuccio; il Semnopiteco dal ciuffo; il Semno- 


piteco nero; il Semnopiteco dorato; il Semnopiteco mitrato; il Sem- 
nopiteco rosso, ecc. 


Genere Colobo. — I Colobi hanno grandissima analogia coi 
veri Semnopiteci; ma mentre questi hanno un pollice breve 
e nondimeno distinto, i Colobi ne sono al tutto sprovvisti; 


ii 


TRIBÙ DELLE SCIMMIE ANTROPOMORFE 617 


da ciò il loro nome, che significa in greco mutilato. Vivono e 
si nutrono nello stesso modo dei precedenti. Si può dire che 
rappresentano i Semnopileci in Africa, giacchè abitano l’Abis- 
sinia e l’Africa occidentale. Se ne conoscono quattro o cinque 
specie, di cui la più notevole è il Colobo guereza di Abissinia. 


Fig. 297. Semnopiteco dorato, mitrato e dal ciuffo. 


l'RIBÙ DELLE SCIMMIE ANTROPOMORFE. — Le Scimmie Antro- 
pomorfe son quelle che si accostano maggiormente alla specie 
umana; ciò è indicato dal loro nome (anthropos, uomo ; morphi, 
forma). Antropomorfo significa dunque: che ha la forma del- 
l’uomo. 

Queste Scimmie non hanno coda. Il loro sterno è largo e 
piatto, le loro estremità anteriori sono molto più lunghe delle 
posteriori. Camminano appoggiandosi sulle membra posteriori 
come se fossero stampelle. Il loro corpo quindi, nella locomo- 


Fisuier. I Mammiferi. 78 


618 ORDINE DEI QUADRUMANI 


zione, è chino e non verticale. Soltanto quando sono immobili, 
possono raddrizzarsi come l’uomo. Pel sistema dentale sono carat- 
terizzate dai piccoli tubercoli spuntati che coronano i loro molari. 

La tribù delle Scimmie antropomorfe comprende quattro ge- 
neri: i Gibboni, gli Urang, i Gorilla ed i Chimpanze. 


Genere Gibbone. — I Gibboni * sono i soli fra le Scimmie 
antropomorfe che abbiano callosità alle natiche. Si riconoscono 
per le estremità gracili, pei diti lunghissimi, specialmente gli 
anteriori, e pel loro spesso pelame. Alcune specie presentano 
la singolare particolarità di avere il secondo e il terzo dito dopo 
il pollice dei piedi saldati fra loro mercé una stretta membrana 
in tutta la lunghezza della prima falange; perciò una di quelle 
falangi è stata chiamata sindattila. 

Queste scimmie sono le meno intelligenti del gruppo che 
stiamo esaminando: la struttura ed il volume del loro cervello, 
e i loro costumi in prigionia, non mettono più in dubbio que- 
sta verità. Ma non sarebbe neppur giusto dire, con alcuni na- 
turalisti, che siano affatto prive di facoltà intellettuali. I fatti 
smentirebbero nettamente questa asserzione. 

Generalmente i Gibboni sono d’indole dolce e timida. Siccome 
del resto la loro statura nelle specie più grosse non supera un 
metro, ed i loro mezzi di difesa sono molto limitati, non pos- 
sono resistere quando vengono disturbati; fuggono, correndo 
sulla terra, o arrampicandosi sopra un albero. Ecco come pro- 
cedono per passare da un albero all’altro. Dopo esser saliti ad 
una certa altezza, afferrano l’ estremità di un ramo flessibile, 
si dondolano tre o quattro volte per prendere lo slancio, e, 
mercè un forte movimento muscolare, si slanciano verso un 
altro albero distante talora 12 o 13 metri dal primo. 

I Gibboni vivono in brigate numerose, o raccolti in famiglie 
nelle grandi foreste della Cocincina, del regno di Siam e delle 
isole della Sonda, di Giava, di Sumatra e di Borneo. Sono on- 
nivori, ma preferiscono le frutta e le radici, alle quali uniscono 
talvolta uova, insetti ed altri piccoli animali. Si addomesticano 
agevolmente, e, al contrario di ciò che segue nella maggior 
parte delle Scimmie del mondo antico, non manifestano nessun 
mutamento del carattere, nessuna disposizione malevola, quando 
sono adulti. Le specie principali del genere sono il Gibbon 
agile, il Gibbone Siamang ed il Gibbone Hooloch. 


1 Lat., Hilobates, tedesco Langarmaffen, che significa scimmia dalle 
braccia lunghe, come l’ingl. Long-armed Apes. 


resti 


GENERE GIBBONE 619 


A proposito del Gibbone agile o Ungka, che si incontra a Su- 
. matra e nella penisoia Malese, il dottor Franklin dice : 


« Alcuni anni or sono, una femmina di questa specie di Scimmie fu 
messa in mostra a Londra. Si è fatte osservazione ai suoni che faceva 
sentire mentre operava i suoi giuochi di agilità, ed i naturalisti vi hanno 
trovato una certa musica. Questo individuo era timido e grazioso. Pre- 
feriva la società delle donne a quella degli uomini. Si è creduto che 
questa circostanza dipendesse dagli strapazzi che aveva sofferto per parte 
del sesso forte. Era intelligente e osservatore; i suoi acuti sguardi pa- 
revano esser sempre all’ erta, volgendoli qua e là, scrutando ogni per- 
sona e non perdendo nulla di ciò che seguiva intorno ad esso. Quando 
una persona aveva saputo ispirargli un po’ di fiducia, dopo molti inviti 
acconsentiva a scendere dal suo albero e stringerle la mano. » 


Il Gibbone Siamang, o Sindattilo, è stato studiato con cura 
nel paese che abita, dal naturalista Duveaucel. Ha il pelame e 
la faccia al tutto neri. Si riconosce bene per una enorme 
saccoccia, che comunica colla laringe e che può gonfiare a suo 
piacimento, introducendovi una certa quantità d’aria. Questa 
saccoccia è collocata sul davanti della gola, ove piglia le pro- 
porzioni di un gozzo. Secondo Duveaucel, i Gibboni Siamang si 
riuniscono in grandi strupi, guidati da un capo esperto, e sa- 
lutano il nascere e il tramontare del sole con grida che si sen- 
tono alla distanza di parecchie miglia. Non sono molto svelti, 
ma hanno l’ udito estremamente fino; appena sentono un ru- 
more insolito, a qualche distanza, fuggono senza aspettar altro. 
Ma se si trovano a terra e non abbiano il tempo di giungere 
agli alberi, di rado riescono a sfuggire. Quando uno di essi è 
ferito viene spietatamente abbandonato dai compagni, i quali del 
resto non potrebbero difenderlo. Quando è un piccolo che vien 
colpito, la madre si ferma di botto, e si precipita sul nemico 
mandando grida orribili; ma tutta la sua vendetta si limita a 
questi segni di dolore. 

Un naturalista inglese, Giorgio Bennett, ha posseduto un 
Siamang che gli fu dato nell’isola di Singapore, ed ha pubbli- 
cato intorno a questo quadrumano, cui aveva dato il nome di 
Ungka, dei particolari curiosissimi. Sfortunatamente questo 
animale dopo aver fatto, senza nessun incomodo, quasi tutta la 
traversata dall’ Asia in Europa, dovette scccombere ad un at- 
tacco di dissenteria, provocata dal freddo dei nostri climi. Senza 
di ciò si sarebbero potute fare molte curiose osservazioni. 

Il signor Bennett narra in tal modo i fatti e le gesta di Ungka, 
quando era ancora col suo padrone: 


620 ORDINE DEI QUADRUMANI] 


« Un mattino entrando nel cortile ove la Scimmia stava lega:a con 
una corda, mi rincrebbe, dice il signor Bennett, di vederla occupata a 


spinger via la cintura di cuoio a cui stava attaccata la corda; nel tempo‘ 


stesso faceva sentire un grido lamentoso e acuto. Quando fu sciolta, si 
diresse verso alcuni Malesi che si trovavano colà. Dopo avere stuzzicato 
le gambe di parecchi di loro si accostò ad un Malese che stava coricato, 
gli saltò addosso, l’ abbracciò strettamente con certa espressione di ri- 


Fig. 298. Gibbone Hooloch. 


conoscenza. Compresi che quell’uomo, nelle braccia del quale la Scimmia 
si trovava tanto contenta, era stato il primo padrone dell’ animale. 

« .... Quando il cameriere di servizio veniva ad annunziare che il 
pranzo era in tavola, Ungka non mancava mai di entrare nella cabina, 
‘prendeva posto a tavola, ed accettava con piacere i buoni bocconi che 
le venivano offerti. Se per caso durante il pranzo si rideva alle sue spalle, 
dimostrava la sua indignazione per essere burlata. La nostra. convitata 
mandava un sordo latrato che: era la dimostrazione particolare della sua 


lintagi cri c 


GENERE GIBBONE 621 


collera. Nel tempo stesso gonfiava le sue saccoccie, guardando i burloni 
con piglio seriissimo, finchè avessero finito di ridere alle sue spalle. Al- 
lora ritornava tranquillamente a mangiare. » 


Il signor Bennett soggiunge che Ungka preferiva i vegetali, 


ZA 
\ petti sà 


YAN 


Fig. 299. Urang-Utang adulto. 


come il riso ed i legumi, alla carne. Beveva tè, caffè e ciocco- 
latte, non mai vino nè liquori spiritosi. 

Il Gibbone Hooloch (fig. 298) 0d ca, che è il wauwan dci Gia- 
vanesi (lat. Lewciscus) ha dato i medesimi segni d’intellisenza e 
di affetto. Le testimonianze di varic persone ne fanno fede. 
Questa specie si distingue agevolmente dalle sue congencri 


622 ORDINE DEI QUADRUMANI 

per la striscia bianca delle sopracciglia che spicca sul suo pe- 
lame nero. Perciò gl’Inglesi lo chiamano il Gibbone d’ argento 
(silvery Gibbon). 


Genere Urang. — Gli Urang (figura 299) hanno molta analo- 
gia coi Gibboni; ma son più robusti e più intelligenti; inoltre 
mancano di callosità alle natiche. Hanno forme tozze, il corpo 
coperto di pelo rossastro, e la faccia, in parte nuda, è ornata 
da fedine che si prolungano sotto il mento in una rossa barba. 
Come i Gibboni, hanno sopra lo sterno una saccoccia che co- 
munica colla laringe, e che può gonfiarsi di aria. Questa sac- 
coccia sembra destinata in essi, come nelle Scimmie precedenti, 
a rendere più forte la loro voce in circostanze particolari. 

Questi animali sono rari e confinati in una regione ristretta. 
Abitano le fitte foreste che ricoprono i terreni bassi ed umidi 
delle isole di Borneo e di Sumatra; d’ onde è venuto loro il 
nome di Urang-Utang 0 Pongo ', significante l’ Uomo dei boschi, 
che fu loro dato dagli indigeni di quei paesi. Compaiono solo 
per caso nei siti alti e scoperti, e presso le abitazioni. ÎNon. si 
conosce gran cosa dei loro costumi allo stato selvaggio. Sap- 
piamo soltanto che si arrampicano con somma agilità sugli 
alberi, che passano dall’ uno all’ altro con meravigliosa pron- 
tezza, e che si nutrono principalmente di frutta. Inoltre, si è 
potuto acquistar la certezza, mercè le lotte avute con alcuni 
individui smarriti, che hanno una forza prodigiosa, tanto da 
poter torcere una lancia od un fucile come fosse una penna; 
e che la loro potenza vitale è abbastanza grande da esservi un 
certo pericolo ad accostarli, anche dopo che abbiano perduto il 
sangue per gravi ferite, e sembrino quasi morti. 

Da ciò deriva che è pressochè impossibile prender vivo un 
Urang adulto. Si riesce meglio coi giovani. Parecchie volte sì 
è avuto l'occasione di impadronirsi di questi dopo aver ucciso 
la madre. Questi individui sono divenuti una preziosa sorgente 
di osservazioni pei naturalisti, che rimasero mecravigliati. dî 
trovare tanta dolcezza, tanta intelligenza e bontà, in animali 
tolti alla vita dei boschi, e portati senza transizione alcuna nella 
società degli uomini. Riporteremo qui alcuni dei fatti e delle 
gesta più notevoli di questi quadrumani. 

Menzioneremo prima certi brani curiosi del dottor Abele 
Clark intorno ad un giovine Urang che aveva portato da Giava 
in Inghilterra. 


‘ Lat., Pithecus sathyrus. 


GENERE ORANG 623 


- A Giava questa Scimmia stava sempre sotto un albero di 
tamarindi, presso l’ abitazione del dottore. Vi si era fatto un 
letto di ramoscelli intrecciati e coperti di foglie. Colà passava ‘ 
la maggior parte del suo tempo, spiando le persone che por- 
tavano frutta, e allora scendeva e si accostava a quelle per 
‘averne la sua parte. Al tramonto si acconciava definitivamente 
per la notte, e si alzava all’ alba per visitare i suoi amici, i 
quali le davano sempre qualche cosa da mangiare. 

Quando fu portata a bordo della nave, fu attaccata ad un palo 
con una catena di ferro; ma seppe sciogliersi, e scappò colla ca- 
tena, che si cera gettata sulle spalle, trovando troppo incomodo 
trascinarsela dietro. Siccome si sciolse così varie volte si finì per 
lasciarlo girare liberamente sul ponte della nave. Divenne fami- 
gliarissima con tutti i marinai; scherzava con essi e sapeva sfug- 
gir loro salendo sui cordami, ove era impossibile raggiungerla. 


« A bordo, dice il dottore Abele Clark, l'animale dormiva per solito 
ai piedi dell’albero di maestra, dopo essersi da sè ravvolto in una vela. 
Quando si aggiustava il letto aveva cura di toglier via tutto ciò che 
avesse potuto guastare la superficie liscia sulla quale voleva coricarsi. 
Dopo essersi aggiustato a suo piacimento, a questo modo, si sten- 
deva supino, portando la coperta sulla superficie del corpo. Sovente, 
per farlo stizzire, m’impadronivo del suo letto prima di lui. In tal caso, 
esso cominciava a tirare la vela che mi stava sotto o a spingermi fuori 
del suo letto, e non stava tranquillo finchè non fosse riuscito nell’ im- 
presa. Se il letto era largo abbastanza per due, allora mi si coricava 
tranquillamente accan!to. Quando tutte le vele erano spiegate al vento, 
girava qua e là cercandosi qualche altra cosa per farsi un letto. Allora 
rubava o le giubbe dei marinai, o le camicie che erano stese per asciu- 
gare, oppure qualche amaca priva delle sue coperte. 

«.... Mangiava volentieri ogni sorta di carne, sopratutto la carne 
eruda. Gli piaceva molto il pane, ma preferiva le frutta quando poteva 
averne. A Giava beveva ordinariamente acqua. A bordo la bevanda era 
varia come il suo cibo. Sopra ogni cosa amava il tè ed il caffè; pren- 
deva volentieri anche il vino. Anzi un giorno dimostrò la sua prefe- 
renza pei liquori forti, rubando la bottiglia di acquavite del capitano. 
Dopo che fu a Londra preferi a qualunque altra bibita la birra ed il 
latte; nondimeno beveva anche vino ed altri liquori. 

«€... Uno dei marinai era il suo prediletto. Quel brav’ uomo di- 
videva coll’animale il suo cibo. Bisogna tuttavia dire che la Scimmia 
di tratto in tratto rubava il grog ed il biscotto del suo protettore. Aveva 
da esso imparato a mangiare col cucchiaio. Più di una volta si poteva 
vedere l’Uran-Utang, sull’uscio della cabina del suo amico, che sorbiva il 
suo caffè, senza provar nessuna soggezione di quelli che lo osservavano, 
e dandosi un piglio grottescamente grave che pareva la caricatura della 
razza umana. 


624 ORDINE DEI QUADRUMANI 


« Questa scimmia era moito golosa; talora inseguiva una persona per 
tutta la nave onde ottenere qualche ghiottoneria, e, se non la si com- 
piaceva, mostrava una collera violenta. 

« Qualche volta, soggiunge il dottore Abele Cao” io legava un’ a- 
rancia con una corda e la faceva scendere sul ponte, dall’ alto dell’ al- 
bero. Ogni volta che l’animale voleva afferrarla io la tirava presto in su. 
Dopo aver tentato invano parecchie volte di prenderla, mutava sistema. 
Facendo le viste di non pensar più all’arancia, si allontanava un tan- 
tino, poi saliva con piglio indifferente sui cordami. Poi, con un rapido 
salto, afferrava la corda alla quale era appeso il frutto. Se per un mio 
rapido gesto falliva il colpo, si disperava davvero, abbandonava l’ im- 
presa, e correva nei cordami, mandando acute strida ». 


L'espressione dominante della fisonomia di quell’ Urang. era 
una gravità mista a dolcezza, e anche un po’ di melanconia. 
Praticava il perdono delle ingiurie, e per lo più si contentava 
di schivare quelli che sapeva volergli male. Ma poi si affezio- 
nava moltissimo alle persone che gli dimostravano amore. Si 


sedeva loro accanto stringendosi il più possibile contro il loro - 


seno, e prendeva le loro mani colle labbra. Quando aveva 
bisogno di essere difeso, si rifugiava presso di loro. 

Il dottore Abele Clark termina nel modo seguente la nar- 
razione: 


« Dopo il suo arrivo nella Gran Bretagna, acquistò, a mia conoscenza, 
due modi di agire che non aveva mai praticato a bordo del bastimento, 
ove del resto la sua educazione fu molto negletta. Uno fu quello di 


camminare diritto, o almeno sui piedi posteriori, senza appoggiarsi sulle... 
mani; il secondo fu di baciare il suo guardiano. Alcuni scrittori di- 


cono che l'Urang-Utang dà veri baci, e suppongono che sia un atto 
naturale di questo animale. Credo che s’ingannino: è un atto che impa- 
rano. E, anche in questo caso, non dà veramente un bacio come fa 
l'uomo, vale a dire avanzando le labbra ». 


Un altro Urang fu portato in Francia nel 1808, dal signor I 


Decaen, ufficiale di marina, che ne fece omaggio alla impera- 
trice Giuseppina. Visse alcuni mesi alla Malmaison, e colà Fe- 
derico Cuvier ebbe campo di studiarlo. I 

Quest’animale era socievolissimo, e si affezionava vivamente 
alie persone che lo trattavano con benevolenza. Aveva special- 
mente molto affetto pel signor Decaen, e parecchie volte gliene 
diede prove notevoli. Essendo entrato un giorno dal suo padrone 
mentre era a letto, gli si gettò addosso stringendolo con forza, 
e si mise a suggergli la pelle del petto, come faceva sovente 
del dito delle persone che gli erano simpatiche. 

Nella circostanza seguente, dice Federico Cuvier, dimostrò 


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FicuieR. I Mammiferi. 


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GENERE ORANG 627 


una intelligenza molto sveglia. Era stato chiuso in una stanza 
vicina al salotto, ove eravi per solito conversazione. Dopo un 
certo tempo, annoiato di star solo, s’ ingegnò di aprir l’ uscio, 
onde entrare nel salotto. Ma la stanghetta era troppo alta per- 
chè vi potesse arrivare. Allora prese una seggiola, la portò 
accanto alla porta, vi sali sopra, ed avendo tirata la stanghetta 
entrò tutto trionfante nella stanza dove stavan raccolti i suoi 
amici. 

Gli Urang posson sentire affetto, non solo per gli uomini, 
ma anche per gli altri animali. Questo si era affezionato a due 
gattini, che si teneva quasi sempre sotto il braccio, o che si 
poneva talora sul capo. Sovente capitava che i gatti per paura 
di cadere, si attaccavano colle unghie alla pelle della Scimmia, 
che sopportava molto pazientemente il dolore che ciò le cagio- 
nava. Tuttavia due o tre volte esamino attentamente le zampe 
dei suoi piccoli compagni; e cercò di strappar loro le unghie 
colle sue dita; ma non avendo potuto riuscire si rassegnò 2 
soffrire anzichè abbandonare la società di quei suoi piccoli 
compagni. 

Per mangiare prendeva il cibo colle mani o colle labbra; non 
era molto destro ad adoperare i nostri utensili da tavola, ma 
suppliva colla intelligenza alla sua poca destrezza. Quando non 
poteva riuscire a mettere sul suo cucchiaio gli alimenti che 
stavano sul piatto, presentava quell’ arnese al suo vicino per 
farselo riempire; beveva agevolmente in un bicchiere, tenendolo 
con ambe le mani. Un giorno, dopo aver posato il suo bic- 
chiere sulla tavola, si avvide che stava per cadere per man- 
canza di equilibrio; allora mise subito la mano dalla parte dove 
il bicchiere cadeva onde sostenerlo. 

Potremmo moltiplicare le prove d’intelligenza e di cuore date 
da altri giovani Urang; potremmo parlare di quello che abitò 
il giardino delle Piante nel 1836, e che certo non fu uno dei 
meno notevoli. Ma quello che abbiamo detto basta a dare un’i- 
dea delle loro facoltà intellettuali. 

Come abbiamo detto, per la sua selvatichezza, pel suo raro 
.vigore, è difficilissimo, per non dire impossibile, prender vivo 
l’Urang adulto. Del resto l’Urang è forse, fra tutte le Scimmie, 
quella che meglio giustifichi la legge indicata precedentemente 
della trasformazione dell’indole, nella maggior parte degli ani- 
mali, man mano che crescono negli anni. Quanto si è veduto 
mite e intelligente nell’età primiera, altrettanto diviene feroce 
e brutale allorchè giunge allo sviluppo compiuto delle sue fa- 
coltà fisiche. É tanto diverso da quello che era prima, che si 


(28 ORDINE DEI QUADRUMANI 


sarebbe tentati di prenderlo per un altro quadrumano. Ab- 
biam detto che sulla fede di molti fra. i più illustri naturalisti 
per molto tempo si è creduto che l’ Urang adulto fosse una 
specie distinta dal giovane, e che gli era stato dato il nome 
di Pongo. Questo errore non è stato riconosciuto che ai nostri 
giorni. 

Finora non si ha piena certezza relativamente al numero 
delle specie che compongono il genere Urang. Per non dare 
ipotesi incerte, diremo che una sola specie può essere am- 
messa con certezza nello stato presente della scienza: è quella 
«i cui abbiamo narrata la storia, l’Urang rosso. 


Genere Gorilla. — Non è gran tempo che abbiamo no- 
zioni precise intorno al Gorilla. Fino a questi ultimi anni 
la storia di questo mostruoso abitante dell’ Africa equatoriale 
era stata circondata da misteri e contraddizioni senza numero; 
gli esemplari ricevuti in Europa ed in. America avevano ori- 
ginato grandi discussioni. Nel 1864 un francese, il signor Paolo 
du Chaillu, figlio di un mercante europeo stabilito al Gabon, 
ha pubblicato molti interessanti ragguagli intorno a questi strani 
animali. i 

Ritornato in Africa, il signor du Chaillu ha fatto su questo 
feroce quadrumano nuove osservazioni che ha inserite in un’o- 
pera pubblicata nel 1867. Da questo viaggiatore. prenderemo i 
particolari più interessanti sul Gorilla. 

Innanzi tutto narreremo in poche parole la storia della sco- 
perta di questa mostruosa scimmia. | 

Nel Periplo, o Viaggio di Annone il Cartaginese, troviamo un 
brano interessante che sembra’ voler alludere a questa specie 
di Scimmie. Più di 2000 anni fa i Cartaginesi armarono una 
flotta onde fondare colonie sulla costa occidentale d’Africa. An- 
none, che comandava questa spedizione, di 30,000 persone sopra 
60 vascelli, narra questo episodio !: 


« Avendo messo alla vela il terzo giorno, e passando la corrente del 
fuoco, giungemmo al golfo detto Corno del Sud. {In questo golfo stava 
un'isola simile alla prima nella quale eravi un lago, ed in questo un’al- 
tra isola, piena di selvaggi, ma di cui la maggior parte eran donne dal 
<orpo coperto di peli, che i nostri interpreti chiamavano gorille. Aven- 
doli inseguiti, non riuscimmo a prendere nessun uomo, tutti fuggivano 
arrampicandosi in mezzo ai precipizi, e si difendevano con frammenti 


1 Hannonis Periplus, grace, cum annotationibus atque emendationibus. 
Edidit I. L. Hug Friburgi 1803. ( i 


GENERE GORILLA 629 


di rocce: ma prendemmo tre femmine che morsero e. graffiarono quelli 
che le conducevano, non volendo seguirli. Nondimeno, avendole uccise, 
si tolse loro la pelle che portammo a Cartagine, non avendo potuto 
navigare più lungi, perchè le provviste cominciavano a mancarci ». 


ERRO TT 


Fie. 501. Paolo du Chaillu. 


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Questa descrizione non può applicarsi che a grossi animali 
simili all’nomo nella statura e nelle forme, vale a dire ai Go- 
rilla, o ai Chimpanzé ancora giovani. 

Un celebre viaggiatore, Andrea Battel, che verso la fine del 
secolo decimosesto visitò l’Africa tropicale, menziona due spe- 


630° ORDINE DEI QUADRUMANI 

cie differenti di grosse Scimmie, il Pongo e l’ Engeco. Il primo 
era il Gorilla o l’Urang, il secondo era lo Nshiego del signor du 
Chaillu, vale a dire un Chimpanzé. 

Il primo ragguaglio autentico intorno al Gorilla è stato dato 
da una lettera del missionario inglese Savage, datata dal fiume 
Gabon, il 24 aprile 1847, che conteneva uno schizzo di cranio, 
destinato ad essere presentato al giudizio del naturalista inglese 
Riccardo Owen. Quel cranio era stato affidato al signor Savage da 
un missionario del Gabon, il reverendo dottor Leigton Wilson, 
di Nuova York. Questo stesso missionario si procurò in se- 
guito un secondo cranio ed una parte di scheletro, che presentò 
alla Società di storia naturale di Boston. 

I signori Savage, Jeffries, Wyman e Owen pubblicarono le 
prime dissertazioni scientifiche sulla nuova Scimmia, ed adot- 
tarono per indicarla il nome di Gorilla adoperato da Annone. 
I loro lavori hanno stabilita la distinzione che esiste fra le 
specie Troglodytes gorilla e Troglodytes niger, vale a dire tra il 
Gorilla ed il Chimpanzé. 

Da quel tempo i musei di Londra, di Boston, di Parigi, del- 
l’Havre, ecc., si sono arricchiti di scheletri, di esemplari interi 
del Gorilla !i. Finalmente, in questi ultimi anni, il signor du 
Chaillu, come abbiamo detto sopra, in parecchie escursioni nelle 
foreste di quei paesi ha osservato questi animali, e ne ha uc- 
eisi moltissimi. 

I due lavori neiquali il signor du Chaillu ha successivamente 
scritto le sue osservazioni, furono prima pubblicati in inglese, 
poi in francese, il primo nel 1865, il secondo nel 1867 2. Attin- 
geremo da quelli i particolari seguenti intorno al grande qua- 
drumano del Gabon. 

Il Gorilla giunge all’altezza media di metri 1,80. La sua forza 
muscolare è prodigiosa: è uguale a quella del leone. Quindi 
egli è sovrano nelle foreste in cui dimora, e forse ne ha egli 
stesso bandito il leone. I negri non lo aggrediscono mai che con 
fucili; uccidere un Gorilla è una prodezza che assicura per 
sempre la riputazione di un negro. 

L’ andatura naturale del Gorilla non è quella di un bipede, 


i Il museo zoologico di Torino ha un bellissimo scheletro di Gorilla 
adulto. Il museo civico di Milano ha una iesta di Gorilla modellata in 
gesso. (N. del Trad.) 

2 Voyages et aventures dans l’Afrique equatoriale , in 8.0, Paris 1865. 
Afrique sauvage, par Paul du Chaillu, in 8°, Paris 1867. — Un terzo la- 
voro, Aventures dans le Pays des Gorillas, fu iradotto in italiano dalia 
casa Treves. 


GENERE GORILLA 631 


bensi quella di un quadrupede. Nondimeno, meglio di qualun- 
que altra Scimmia, conserva più o meno a lungo la posizione 
verticale. Quando è ritto, ha le ginocchia piegate all’ infuori, e 
il dorso incurvato. Se corre sulle quattro zampe, la lunghezza 
delle braccia fa sì che abbia il capo molto alto sopra il corpo. 
Il braccio e la gamba dello stesso lato si muovono contempo- 
raneamente; perciò quando corre fa come un obliquo galoppo. 
Inseguiti, i giovani Gorilla non si ricoverano sugli alberi; cor- 
rono sulla ierra, e le loro gambe posteriori si avanzano tra le 
loro braccia, che .sono un po’ piegate allo infuori. 

Non vi sono parcle che bastino ad esprimere l’ orrore che 
inspira l’aspetto di un grande Gorilla, e la ferocia della sua 
aggressione, allorchè si trova in faccia ad un cacciatore. La 
sua indole è di una malignità implacabile. Nondimeno il si- 
gnor du Chaillu combatte molto i pregiudizi che da lungo tempo 
si hanno sul conto di questo formidabile quadrumano. Secondo 
questo viaggiatore, il Gorilla non si pone in agguato, come si 
è detto, sugli alberi della via, per afferrare i passeggieri cogli 
artigli posteriori; — non li tira su nei rami più alti onde stran- 
golarii; — non aggredisce l’ elefante, e non lo uccide a colpi 
di bastone sulla proboscide; — non costruisce capanne'di rami 
e fronde nelle foreste per coricarsi poi sul tetto, come fu nar- 
rato; — non vive in strupi, e non aggredisce i negri quando 
sono in un certo numero; — non porta via le donne nell’ in- 
terno delle foreste. - 

Il Gorilla vive nelle parti più solitarie e più recondite delle 
fitte foreste dell’Africa occidentale, sia nelle valli profonde, sia 
sulle alture scoscese, o sugli altipiani sparsi di grosse rocce, 
in mezzo alle quali ama di porre la sua dimora. Riman sem- 
pre in prossimità di un corso d’acqua. Animale nomade per 
eccellenza, di rado si ferma parecchi giorni di seguito nel me- 
desimo sito. La ragione di questo vagabondaggio dipende dalla 
difficoltà che ha di procurarsi il suo cibo prediletto, vale a 
dire le frutta, i semi, le noci, le foglie di ananas, i giovani 
germogli, di cui sugge la linfa, ed altre sostanze vegetali. In- 
fatti, malgrado i suoi enormi denti canini e la sua forza straor- 
dinaria, il Gorilla è esclusivamente frugivoro. Siccome mangia 
molto, quando ha devastato pel suo uso personale uno spazio 
assai esteso, è obbligato ad andare altrove, per soddisfare i 
bisogni del suo stomaco. Per questo motivo abbandona perio- 
dicamente certe regioni, divenute sterili in seguito ai mutamenti 
di stagione, per andare a cercarne altre meglio provviste: ciò 
che costituisce vere migrazioni. 


632 ORDINE DEI QUADRUMANI 


“Non solo non rimane abitualmente sugli alberi, come si suol 
dire, ma non vi soggiorna mai. Il signor du Chaillu l’ha sempre 
veduto in terra: se talora sale sopra un albero, per cogliervi 
frutta o noci, ne scende subito, appena ha preso il suo nutri- 


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Fig. 502. Cacciatore preso da un Gorilla. 


mento. Questi grossi animali non potrebbero invero saltare da 
un ramo all’altro, come le piccole Scimmie. 

Del resto tutto il nutrimento del Gorilla sta a poca altezza 
dal terreno. Questo animale ha una particolare preferenza per 
la canna da zuccaro selvatica, e per una specie di noce dal guscio 


GENERE GORILLA 633 
durissimo che spacca coi suoi forti denti, che possono all’uopo 
schiacciare la canna di un fucile. Talora i giovani Gorilla dor- 
mono sugli alberi, per ripararsi dai nemici; ma gli adulti dor- 
mono. seduti a terra, col dorso appoggiato al tronco di un 


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albero; il che fa che hanno ordinariamente consumato il pelo 
del dorso. 

Per lo più si trovano insieme un maschio ed una femmina; 
talora un vecchio maschio isolato. Questi individui solitari son 
più cattivi e più pericolosi degli altri, fenomeno che si osserva 

FiGuieR. I Mammiferi. 80 


634 ORDINE DEI QUADRUMANI 


anche nell’elefante. I giovani Gorilla camminano talora fino ad 
otto a dieci riuniti, più spesso quattro o cinque, non mai in 
maggior numero. Hanno udito finissimo, e quando sentono ac- 
costarsi un cacciatore fuggono mandando alte grida. È dunque 
molto difficile incontrarli. 


« Quando sorprendeva un paio di Gorilla, dice il signor du Chaillu, 
il maschio per solito stava seduto sopra una roccia o contro un albero, 
nel luogo più remoto della jungla, la femmina stava mangiando al 
fianco di lui, e il singolare si è che era quasi sempre quest’ ultima 
che dava l’allarme fuggendo e mandando grida acutissime. Allora il ma- 
schio rimaneva seduto un momento, e aggrottando il suo volto selvag- 
gio si drizzava lentamente sui piedi; poi lanciando uno sguardo sini- 
stramente brillante sugli invasori della sua dimora, cominciava a bat- 
tersi il petto, a sollevare la sua grossa e rotonda testa, mandando un 
formidabile ruggito. È impossibile descrivere l’aspetto orribile dell'animale 
in quel momento. Quando lo vidi, perdonai ai miei bravi cacciatori in- 
digeni di essersi lasciati prendere da terrori superstiziosi, e cessai dal 
meravigliarmi delle strane e curiose narrazioni che circolavano intorno 
ai Gorilla ». 


A torto si è asserito che il Gorilla fa uso di un bastone come 
arma offensiva; nell’aggredire un nemico non si serve che delle 


braccia, dei piedi e dei denti, e ciò basta benissimo. Con un. 


colpo solo del suo enorme piede, fornito di unghie corte e ri- 
curve, sventra un uomo, gli spacca il petto o gli schiaccia il 
capo. Non v’ha nulla di più pericoloso che il non colpire que- 
stanimale; quindi i cacciatori esperti riservano fino all’ultimo 
momento il loro colpo di fucile. Lo sparo dell’ arme da fuoco 
irrita quella terribile bestia. Se il colpo fallisce, il Gorilla si 
precipita con violenza inaudita sul suo aggressore, il quale non 
ha il tempo di ricaricare la sua arma o di fare un passo in- 
dietro; le braccia enormi della Scimmia furibonda spezzano ad 
un tempo il fucile ed il cacciatore (fig. 302). 

Il Gorilla, quando si vede aggredito, comincia per mandare 
un latrato breve, acuto ed interrotto come quello di un cane 
irritato, al quale tien poi dietro un sordo brontolio, che rasso- 
miglia al rumore del tuono lontano in modo tale da fare illu- 
sione. La sonorità di quel ruggito è tanto profonda, che pare 
uscire, non già dalla gola dell'animale, ma dalle spaziose cavità 
dei petto e del ventre; quel ruggito è cosi strano, così minac- 
cioso, che fa impallidire i più coraggiosi. Il grido della fem- 
mina e del piccolo Gorilla è acuto. Talora la madre fa come 
la chioccia per chiamare il suo piccolo; finàlmente i giovani 
Gorilla quando sono in pericolo mandano un grido rauco, che 
rassomiglia ad un gemito. 


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GENERE GORILLA 635 


Questa terribile Scimmia muore tanto facilmente quanto l’uo- 
mo; una palla ben diretta la fa cadere subito; cade colla faccia 
avanti allargando le sue lunghe braccia, e mandando un terri- 
bile grido di morte, che risuona lugubremente come il rantolo 
dell’agonia di un essere umano. 

Le femmine non aggrediscono il cacciatore; fuggono col loro 
piccolo, che si avviticchia colle mani al collo della madre, rav- 
volgendole il corpo colle sue gambe. L’amore di questi animali 
per la loro figliuolanza è tanto commovente, che un cacciatore 
eurepeo non avrebbe sempre il cuore di ucciderli. I negri son 
meno scrupolosi, ed è in tal modo che il signor du Ghaillu 
riuscì a possedere due o tre volte alcuni piccoli Gorilla, che i 
suoi servitori avevano strappato alla loro madre. Tuttavia non 
ha potuto conservarli a lungo. 

Nessun mezzo riesce a vincere la ferocia nativa e la tenace 
malignità di quei mostricini. 

Rimanevano accovacciati nell'angolo più remoto della gabbia, 
appena un uomo si accostava, si slanciavano per morderlo 0 
graffiarlo. Questa indole selvaggia non escludeva una buona 
dose di malizia. Quando, vinti dalla fame, venivano a prendere 
il cibo che offriva loro il padrone, lo guardavano fisso in faccia 
per attirare la sua attenzione; intanto sporgevano un piede, per 
afferrargli la gamba e gettarlo a terra. Per accostarsi ad essi 
ci volevano infinite precauzioni. 

La schiavitù finisce per inasprire tanto l’indole selvaggia del 
Gorilla, che in breve rifiuta ogni nutrimento, e muore, senza 
malattia apparente, di una sorta di rabbia concentrata. 

I Gorilla adulti sono al tutto indomabili; il signor du Chaillu 
non crede che si possa mai riuscire a prenderne uno senza uc- 
ciderlo, perchè il Chimpanzé adulto, che è meno feroce del 
Gorilla, non è mai stato preso vivo. Tuttavia si potrebbe fare 
una restrizione; ciò sarebbe nel caso che l’animale fosse stato 
ferito tanto pericolosamente da trovarsi in condizione da non 
poter fare una seria resistenza. In tal modo il signor du Chaillu 
ha posseduto una femmina adulta; ma non ha potuto conser- 
varla, morì l’indomani della sua presa. 

Il Gorilla giovane è di un bel color nero. Questo color nero 
della pelle perdura negli individui adulti; la pelle è nuda sulla 
faccia, sulla palma delle mani e sul petto. Il pelo di un Go- 
rilla che ha finito di crescere è grigio-ferrigno. 

Ogni pelo è rigato circolarmente di striscie alternanti nere e 
grigiastre, che producono l’ effetto del grigio. Sulle braccia il 
pelo è più scuro e più lungo; supera talora due pollici. I vec- 


636 ORDINE DEI QUADRUMANI 


chi Gorilla divengono interamente grigi. Il capo è ornato di 
una corona di peli rossi, corti, che scendono fino al collo. 

Il pelo della femmina è nero, con riflessi rossigni; non è 
rigato come quello del maschio; ella non ha la corona di co- 
lor rosso se non quando è vecchia. Gli occhi del Gorilla sono 
infossati sotto l'arco molto sporgente delle sopracciglia, il quale 
dà loro un aspetto sinistro. 

Le mascelle sono enormi e munite di grossi canini, che 
nella femmina sono un po’ più piccoli. 

Il collo di questo animale è tanto corto che il suo capo pare 


Fig. 504. Assalto d'un Gorilla. 


affondato fra le spalle. La fronte è fuggente. Le orecchie, pic- 
colissime, son quasi allo stesso livello degli occhi; il naso 
schiacciato, ma un tantino più sporgente di quello delle altre 
Scimmie. Il petto e le spalle sono estremamente larghi. L’ ad- 
dome è molto prominente e arrotondato. I caratteri che distin- 
guono maggiormente questa Scimmia dall’uomo sono la grande 
lunghezza delle braccia e le gambe poco alte. Inoltre queste 
non hanno polpaccio; le mani sono spesse e tozze, le dita 
grosse e corte. 

La parte superiore della mano è pelosa; le dita hanno un- 

hie nere, spesse e forti. Il piede è fatto come una mano di 


E 
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gigante; è più lungo della mano propriamente detta, come ve- 


GENERE GORILLA 657 


desi nell’ uomo. Questo piede è molto bene acconcio a mante- 
nere il corpo, per un certo tempo, in posizione verticale. 

La patria del Gorilla è quella parte dell’ Africa occidentale 
che si estende alcuni gradi al sud dell’equatore, e che è attra- 
versata dai fiumi Danger e Gabon. Gli indigeni la chiamano 
ngina. 

Il Gorilla è stato argomento di vivissime discussioni fra gli 
anatomici e gli antropologhi. Isidoro Geoffroy Saint-Hilaire ha 
fatto del Gorilla un genere distinto, cui separa dal Chimpanzé, 
scimmia che, secondo lui, si accosterebbe maggiormente al- 


Fig. 505. Chimpanzé (giovine). 


‘luomo che non il Gorilla. Questa è pure l’opinione del signor 
Wymann. 

Invece, il signor Riccardo Owen ha rivendicato pel Gorilla 
l’onore di essere collocato più vicino alia specie umana, e il 
signor du Chaillu è pure dello stesso parere : 


« Bisogna confessare, dice questo viaggiatore, che a prima vista, vo- 
lezdo giudicare dal suo cranio, il Gorilla presenta in tutti i suoi linea- 
menti qualche cosa di più bestiale del chimpanzé o dell’ orang. Tutti i 
caratteri del Gorilla, sopratutto nel maschio, sono spiccatissimi : il capo 
è più lungo e stretto, il cervello è collocato allo indietro, le creste del 
cranio sono enormi, le masceile molto sporgenti e di una forza prodi- 
giosa, i canini grossissimi. La cavità del cervello è segnata da uno 


638 ORDINE DEI QUADRUMANI 

sviluppo prodigioso delle protuberanze occipitali; ma il rimanente dello 
scheletro del Gorilla si avvicina all'uomo molto più di quello di qua- 
lunque altra Scimmia. Dopo aver bene studiato i caratteri zoologici che 
ho indicati, dopo avere osservato il genere di vita del Gorilla, e il 
modo in cui cammina, mi sono convinto che il Gorilla, per tutti i 
suoi modi di essere, si avvicina all’ uomo più di qualunque altro suo 
congenere ». 


Se poniamo lo scheletro di un uomo accanto allo scheletro: 
di un Gorilla, si osserva infatti che questo sembra lo scheletro 
di un uomo mostruoso. 

Ci affretteremo però a soggiungere che il parere del signor 
Owen, che ravvicina l’uomo al feroce animale del Gabon, non 
potrebbe essere ammesso. Uno studio accurato del cranio di 
questo quadrumano ha prodotto il convincimento che esso, dal 
punto di vista intellettuale, è molto lontano dall’ uomo, e che 
invece va collocato fra le Scimmie poste in un punto più basso 
della scala organica. 

Nondimeno la grande rassomiglianza esterna che esiste fra il 
Gorilla e l’uomo ha un non so che di spaventoso. 11 signor du 
Chaillu confessa che non ha mai ucciso un Gorilla senza sen- 
tire un certo ribrezzo. Gli fu sempre impossibile di assaggiare 
la carne di questi animali, perchè gli sarebbe parsa una specie 
di cannibalismo. 


« Non ho mai potuto, dice il signor du Chaillu, innanzi ad un (Go- 
rilla colpito da me, conservare quella indifferenza e molto meno pro- 
vare quella gioia trionfante del cacciatore che ha fatto un bel colpo. 
Mi pareva sempre di avere ucciso una creatura che, malgrado il suo 
aspetto invero mostruoso, conservava sempre qualche cosa di umano. 
Era questo un errore, lo sapeva benissimo: eppure questo sentimento 
era più forte di me ». | 


Queste impressioni morali non hanno tuttavia nessun peso, 
in faccia ai risultati delle comparazioni e degli studii anatomici 
che collocano il Gorilla molto lungi dalla nostra specie nella 
scala degli esseri. 


Genere Chimpanze. — Fra tutte le Scimmie conosciute, il 
Chimpanzé o Scimpanzé (Troglodytes niger) è certo quello che, 
pel suo modo di vivere, per la sua organizzazione anatomica e 
la vivacità della sua intelligenza, si accosta maggiormente alla 
specie umana. Prima di tutto ha le braccia meno lunghe di 
quelle delle Scimmie antropomorfe di cui abbiamo parlato ; esse, 
non scendono guari oltre ai ginocchi. Le mani ed i piedi si avvi- 


GENERE CHIMPANZE 639 
cinano di più ai tipi di perfezione compiuti nell’ uomo: il che 
gli rende più agevole la stazione verticale che non alle altre 
Scimmie dello stesso gruppo. Nondimeno la verticale non è la 
Sua posizione ordinaria, e non può rimanere ritto un certo 
tempo senza un bastone. Finalmente, nel Chimpanzé, come nel- 
l’uomo, si osserva il polpaccio, certo poco sviluppato, ma abba- 
stanza caratterizzato per giustificare il posto dato a questa Scim- 
mia fra i quadrumani 4. 

Il Chimpanzé abita le stesse regioni del Gorilla; le fitte 
foreste dell’ Africa intertropicale sono i luoghi ove lo s' in- 
contra esclusivamente. Ma da per tutto è assai raro, ad ec- 


1 A proposito delle scimmie antropomorfe va qui notato che il Museo 
Civico di Milano possiede nella sua raccolta dei rappresentanti di que- 
sto gruppo, in due giovani individui, uno di Orang-utang e }’ altro di 
Chimpanze (Simia satyrus e Simia troglodytes); e nel Gorilla, del quale 
però vi si.vede solo il modello in gesso del capo. — Nella classe dei 
Quadrumani poi vanta ancora dei magnifici esemplari ‘di specie raris- 
sime, come il Sennopiteco nasuto di Borneo, il Cinocefalo nero , la spe- 
cie più rara fra i Cinocefali delle Isole Celebe, il Nyctipithecus tririga- 
tus del Brasile, e il Tarsio spettro fra le Prosimie di Celebes. — 
Una bella spoglia del Galeopiteco ricorda questa rara specie della fauna 
di Giava. 

Prenderemo inoltre campo da questa occasione per ricordare ancora, 
per quanto lo consentono i limiti di una breve nota, le specie di Mam- 
miferi che nelle Gallerie del Museo milanese primeggiano per rarità 
e per importanza in mezzo a più di 600 spoglie che vi sono rac- 
colte. | 

Gli ordini dei Chirotteri e dei Rosicanti vi sono assai bene rappresen- 
tati, possedendosi quasi tutti i generi ora noti: — fra questi ultimi 
l’Istrice brevispinosa della Cina, che è ancora molto rara nei musei; il 
Kanguro gigante delia Terra di Van-Diemen, il Phascolaretos cinereus 0 
Coala, proprio della Nuova Galles, la Viscacia del Paraguay, ed il 
Vombah che rappresenta i Rosicanti fra i Mammiferi marsupiali. 

Un bell’ esempiare di Jena Crocuta proveniente dal Capo di Buona 
Speranza, il Canis melanogaster , specie del Bonaparte rarissima e pro- 
pria del suolo italiano, il Telacino, specie di cane fra i Marsupiali della 
Nuova Olanda, il Tarsipes rostratus dell’ Australia e l’ Aslurus fulgens 
dell’ Imalaya, spiccano frammezzo agli animali della classe dei Carni- 
vori, ai quali va aggiunta una nuova specie di gatto (Felis Jacobita, 
Corn.) portata non è molto dalla Repubblica Argentina dal prof. Paolo 
Mantegazza. 

Ricorderemo per ultimo il Gnù fra le Antilopi ed il Manalus austra- 
lis o Lamantino fra i Cetacei, che meritano pure una parola di menzione 
per la loro bellezza e per la loro rarità. (Nota del Trad.) 


640 ORDINE DEI QUADRUMANI 


cezione del Gabon e dei dintorni del capo Lopez. Nel fisico 
e specialmente nel morale differisce molto dal Gorilla. È meno 
alto: non giunge all’ altezza di oltre quatero piedi quando ha 
compiuto il suo sviluppo. La sua forza muscolare, sebbene no- 
tevolissima, è meno straordinaria di quella del gorilla, e non 
se ne serve che nei casi di assoluta necessità. Se si trova in 
faccia ad un, cacciatore e creda possibile salvarsi dal pericolo 
colla fuga, non tenta pure un momento di resistere, se la dà 
a gambe prontamente; ben diverso in ciò dal gorilla, il quale 


Fig. 306. Nshiego-Mbuvè (o Chimpanzé calvo) e il suo tetto. 


accetta coraggiosamente la lotta. E molto meno feroce di questo: 
preso giovane ed allevato con buone maniere, diventa famigliare 
e dà prova di grande intelligenza. 

I Chimpanzé, come i gorilla, vivono in piccole brigate quando 
son giovani, o isolati, o a coppie nell’età adulta. Sono essenzial- 
mente rampicatori, e passano quasi tutto il loro tempo sugli 
alberi, in cerca di bacche e di frutta, che compongono il loro 
nutrimento. 

Secondo il signor du Chaillu, che ha osservato questi animali 
nel suo viaggio attraverso l’Africa equatoriale, esiste una specie 
di Chimpanzé, chiamata dagli indigeni nshiego-mburé (fig. 306), 


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AITINIIETRIIAANIARI TERI VEBRI ERE EEtAFITANEVI NRE KA ERRE LETI R iii PEPvELEPIvvEttttn ì 


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GENERE CHIMPANZE 643 


che si fabbrica una specie di tetto di fogliame in mezzo ai rami 
degli alberi altissimi. Questo ricovero, fatto di ramicelli intrecciati 
e coperti di foglie bene ammucchiate, è impermeabile; attaccato 
ai rami principali dell’albero con liane solidamente legate, ha 
generalmente da sei ad otto piedi di diametro, ed ha la forma 
di cupola, disposizione che agevola lo scolo dell’acqua piovana. 
Ogni sera l’animale va sotto questo tetto per passarvi la notte. 

ì maschio e la femmina partecipano entrambi alla costruzione, 
ma stanno separati sopra alberi vicini. Se vi è un piccolo, 
si mette dalla parte della madre. Questi tetti son fatti per un 
tempo brevissimo; non servono più di otto o dieci giorni, ed 
eccone la ragione. Quando il nshiego ha devastato un certo 
tratto di terreno intorno alla sua abitazione, va in un altro sito, 
ove si fa una nuova dimora. 

Questa specie si distingue dal Chimpanzé comune ( Troglodytes 
niger) per mancanza di peli sulla testa; perciò il signor du 
Chaillu ha proposto il nome di Chimpanzé calvo ( Troglodytes 
calvus). 

In una delle sue escursioni, il signor du Chaillu uccise una 
femmina di nshiego che portava fra le braccia il suo piccolo. 
Egli prese quest'ultimo e lo portò nella sua residenza. In pochi 
giorni si addomesticò così compiutamente che si potè lasciarlo 
in libertà, senza timore che si perdesse. Il signor du Chaillu 
non poteva fare un passo senza aver dietro il piccolo Chimpanzé, 
non poteva sedersi senza che l’animale gli si arrampicasse sulle 
ginocchia e gli nascondesse il capo nel petto. Il poveretto tro- 
vava un estremo piacere ad essere accarezzato. 

Tomy, tale era il suo nome, prese in breve un brutto difetto: 
divenne ladro. Aspettava il momento in cui gli abitanti uscissero 
dalle loro capanne, e rubava loro il pesce o le banane. In que- 
sti ladrocinii non eccettuava neppure il suo padrone , sebbene 
questa infelice passione gli avesse molte volte fruttato severi 
castighi. 

Avendo osservato che il momento più propizio per compiere 
le sue imprese era al mattino, s’introduceva di soppiatto nella 
stanza de) suo padrone, si accostava ai letto, per vedere se aveva 
gli occhi chiusi, e quando era sicuro del fatto suo, si affrettava 
a rubare delle banane. Se invece il dormiente si muoveva nel 
letto, la Scimmia scompariva come un lampo, e ritornava poco 
dopo per compiere le stesse operazioni. 


« Se io apriva gli occhi, dice il signor du Chaillu, mentre era in 
procinto di commettere le sue birbanterie, esso prendeva subito l’ aria 


644 ORDINE DEI QUADRUMANI 
più ingenua e veniva ad accarezzarmi; ma io scorgeva benissimo gli 
sguardi furtivi che volgeva verso le banane. 

« La mia capanna non aveva uscio, ma era chiusa con una stuoia. 
Non v'era nulla di più comico che vedere Tomy che sollevava adagino 
un lato della stuoia per guardare se io dormivo. Qualche volta fa- 
cevo le viste di essere addormentato, poi mi movevo ‘nel punto in cui 
esso afferrava gli oggetti della sua cupidigia. Allora lasciava cadere ogni 
cosa, e fuggiva tutto confuso. 

« Allo approssimarsi della stagione asciutta, essendosi rinfrescata 1a 
temperatura, Tomy comincio ad aver desiderio di dormire accompagnato 
onde rimaner più caldo. I negri non lo volevano per compagno di letto, 
perchè rassomigliava loro un po’ troppo; neppure a me garbava molto 
avermelo vicino; per modo che il povero Tomy, respinto ovunque, era 
molto infelice. Ma in breve mi avvidi che spiava il momento in cui 
tutti dormivano per insinuarsi furlivamente presso alcuno dei suoi 
amici negri; dormiva là senza muoversi fino. allo spuntar del giorno, 
poi se ne andava per solito prima di essere stato scoperto. Parecchie 
volte fu preso sul fatto e battuto; ma ricominciava sempre ». 


Questo piccolo Chimpanzé era intelligentissimo; il suo pa- 
drone nutriva molte speranze sul conto suo, volendo portarlo 
in America, quando morì senza causa apparente, probabil- 
mente di malinconia e di languore, come muoiono tutti i 
Chimpanzé che si tolgono alle foreste natie ed all’ affetto della 
madre. 

‘Buffon ha dato dei particolari molto interessanti sul conto di 
un giovane Chimpanzé che fu condotto a Parigi nel 1740. Egli 
ci dice che quell’animale presentava la mano per accompagnare 
le persone che erano venute a. visitarlo; che passeggiava con 
gravità in loro compagnia; si sedeva a tavola, spiegava il tova- 
gliolo, si puliva le labbra con quello, adoperava il cucchiaio e 
la forchetta per portarsi il cibo alla bocca; si mesceva da bere 
nel suo bicchiere, toccava con questo per fare un brindisi allor- 
chè era invitato a ciò fare, andava a prendere una tazza ed un 
piattino, li portava sulla tavola, vi metteva lo zucchero, vi me- 
sceva il tè, lo lasciava raffreddare. prima di berlo, e tutto ciò 
senza altro invito che i cenni o la parola del suo padrone, e 
talora anche spontaneamente. 

Il dottor Franklin dice di aver veduto, alcuni anni or sono, 
nel Giardino zoologico di Anversa, un Chimpanzé che desinava 
qualche volta alla tavola del direttore, ove i giorni di festa be- 
veva un bicchiere di vino di Sciampagna alla salute della comi- 
tiva. Quella Scimmia amava i fanciulli della casa; si divertiva 
con essi, e acconsentiva anche a tirarli in un piccolo carretto. 


GENERE CHIMPANZE © 645 
L'estate, li accompagnava nel giardino, si arrampicava sopra 
un ciliegio e ne coglieva le frutta per essi. 

Un Chimpanzé, in età di circa diciotto mesi, fu comprato nel 
1835 dalla Società zoologica di Londra, e seppe conciliarsi le sim- 
patie di tutti coloro che l’avvicinarono. Era vivace e allegro, ma 
non tanto malizioso come la maggior parte delle altre Scimmie. 
Osservava ogni cosa con un piglio serio che moveva le risa. 
Viveva d’accordo coi suoi guardiani, che lo trattavano benissimo, 
e si prestavano volontieri ai suoi scherzi e ai suoi salti. Ogni 
giorno gli lavavano le mani e la faccia, operazione che soppor- 
tava con molta serietà. 

Il suo nutrimento si componeva di farinacei, di frutta, di 
latte bollito; beveva abitualmente tè, e rifiutava sempre i liquori 
fermentati. Fra le persone che conosceva prediligeva la cuoca e 
l’uomo incaricato specialmente di aver cura di lui. Li ricono- 
sceva al passo, e dava segni di gioia sentendoli venire. Appena 
li vedeva, mandava un sordo grido per dimostrare il suo piacere; 
correva loro accanto, si arrampicava sulle loro ginocchia o sulle 
ioro spalle e faceva loro mille feste. 

Sfortunatamente questa Scimmia fu rapita troppo presto alle 
osservazioni dei naturalisti: morì dopo una schiavitù di pochi 
mesi. 

Il signor Poussielgue, nel racconto del suo viaggio @Quatre 
“mois en Floride, vide un Chimpanzé che aveva nome Antonio, 
e serviva a tavola come un domestico. Il signor Poussielgue 
fece la conoscenza del singolare quadrumano nell’ occasione di 
un pranzo datogli da un generale delle truppe del paese: 


« — Volete vedere Antonio in servizio? — disse il generale al viag- 
giatore. 

« — Chi è questo Antonio? — gli domandai. 

« — È uno dei miei domestici e non è il più mal destro. 

« Il generale suonò un campanello; subito vidi entrare un essere 
strano, alto quattro piedi circa, che camminava un po’ curvo e facendo 
smorfie. Vestiva un calzone bianco, una casacca e un berretto scarlatto. 
Era una gran scimmia della specie dei Chimpanze, dell’ età, mi dissero, 
di dodici anni. 

« Ad un segnale del suo padrone, Antonio si mise a sparecchiare; 
portava una salvietta sotto il braccio, ed asciugava con una frenesia di 
nettezza i tondi che ci portava. Il Chimpanzé serviva da solo più presto 
e meglio dei quattro domestici neri; sgraziatamente era capriccioso e 
ladro: quando portava via un piatto, specialmente delle zuccheriere, 
cercava di darvi un colpo di lingua alla sordina, o almeno di far spa- 
rire gli avanzi di tavola colle sue mani adunche. Le tasche della sua 
veste, malgrado la sorveglianza che si esercitava sopra di lui, ribocca- 


646 ORDINE DEI QUADRUMANI 


vano alla fine del pranzo di confetture e di frutta. Il suo custode, un 
negro del Gabon che lo aveva allevato, era venuto con lui dall’ Africa 
e non lo abbandonava mai, gli allungava allora un colpo di sferza che 
gli faceva digrignare i denti, ma rendeva ciò che aveva rubato. Il suo 
servizio sarebbe stato piacevolissimo senza il moto convulso che agitava 
incessantemente le sue braccia, e il tremito nervoso che gli faceva con- 
torcere il viso. » 


In conclusione gli Orang e i Chimpanzé sono i più intelli- 
genti di tutte le scimmie della tribù delle Antropomorfe. 


FINE DEI MAMMIFERI, 


INDICE ALFABETICO 


DEI NOMI 


DEI MAMMIFERI CITATI IN QUESTO VOLUME 


Aguti . ; 
Me, , 
Alcefalo 
Alpaca 
Amadriade 
 Anomaluro 
Antilope . . 
Armadillo 


492 


303 


Arvicola o Campagnolo 


» comune . 
> economo . 
» anfibio 

Asmo . 

Atele . 

Ateruro 


Aulacodi . 
Auroch . —. 
Avahi . 
Ave-Ave, 


Balena franca 
Balenottera . 
Batiergi . 
Bertuccie. 
Bisonte 
Brachmit., 0, 
Bradipo 

Bue : 
Bue muschiato . 
Bufalo, : 
Bufalo del Capo 


090 


DI DO VI, 
i] I 0 
o DD © è 


[A] 
1 
2 


196 


10 Cinghiale. 
12 Cimocefalo. 
9) ) 

3° Cinogalo . 


296 Cimopiteco 
275 Civetta . 
279 Cladohate. 


(oati : 


Chaorna 


493 Gallitrice . 
308. Cammello. 
246 Camoscio . 
20, Cam 
605. Capodoglio 
. 910 Capre. 
246 Capriolo . 
524  Capromidi 
. 468 Caracal 
. 469 Castoro ‘. 

. Ivi Cavalli. : 
. 470 ) domestici 
204 ) arabi . 
591 ) inglesi 
. 485 ) francesi . 
. 490 ) italiani 

275 Cavie . 
579 Cebo 
54 Centete 
(‘ercoletto 
((ercopiteco 
Cervo . 
63. Chimpanze . 
. 37 Clunchilla 
. 478. Chiromi 


999 


2el 
298 
435 

69 
204 


310 
. 489 
. 396 


904 
196 


« Teto 


180 
183 
180 
90 


. 490 


090 


. 901 


440 
614 
310 
(546 


. 482 
NOGHE.! 


149 
605 


648 INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEI MAMMIFERI 
(CO CUATO RISI CN MI O G 
Uolobo 0 a OTO 
Condiluro. . . <>. - +. 940 Galagohe 
Coniglio . .- .(.... ‘024 —9301 Galeopifeco e. 
Goypu: 0 ERI 00 Glide 
Criceto ‘o Hamster. . . ||... 474 Gatto selvatico Mea 
Crisocloro eee e 010) » . domestico . . . 389 — 390 
Cuagga + 0. 0 eee 207 Gattopardo, | RR 
L'Gazzella SS /11M1i430. 008 I 
D Genetta . .L ari 
: Gerboà ... le 
Daino: in ta 0 1916 Ghopardo. o e ea 
Dasiuro <./.0. 0 ie D, (0 89.0 Ghiottore,. Re 
Daw... at 0 e 207 — 208 Glure ee 
Delfino: 20.20. 0.0 a 06972 Giaguaro 008, RI 
Desmodi-. 0 00 e a 80567 Gibbone- €85 0a Rena 
Dipo i eee e AMO Giuro RR 
Donmnola-.‘.: L01942: Giraffa —. LR 
Drillo SU Li en 605 A Glossofagi. — .. CS e 
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Formichiere . <. ..°. 326 — 327  Lagotrice. ©... A 

Furetto: ..°.° . 00.0. 340-342 Lamantino 0 e; 
“ Lemmine: 0.0 (0. RE 


3 — 20 


INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEI MAMMIFERI 


Ficuier. I Mammaferi. 


. Leone . » 9D1 — 372 
Leopardo . . 379 — 3987 
Lepre . AE DIT — 524 
Licaone (Vedi Ienoide). 

Lince 394 — 396 
Lama . Celi: ‘222 
Lontra 3352. — 334 
Lori RARI 
Lupo . 42 — 419 
M 
Macaco 640 
Macroscelide "I 545 
Maiali 149 — 158 
Maki . INT DIO 
Mammoth . . + 119 — 120 
Mandrillo 603 — 605 
Mangahey 0 ESA GIIÙ) 
Marmotta.. DI1 — 517 
Martora 334 — 33 
Mastodonte . 119 
Megaderma . . 561 
Meliveorae e e 348 
Micete o Scimmie urlatrici 587 — 590 
Miogale 546 
\liopotamo: .. .. +. . 904 
Moffetta . 5) 
Molosso 560 
Mosco . 318 
Muffione . 253 
Mulo . 204 
N 
Narvalo . -. . “o 7 
Nasiegfi. . 015 
Nittert. . 560 
Noctoro SUS; . 097 
Nodgichesstt:..., . 559 
O 
Ondatra . 472 — 474 
Onza . To II 
Oritteropo — 90 — 326 
Ornitorinco . 4T—- 17 


Orso . ‘446 

» bruno. . 448 

» grigio d'America . 

» bianco 4506 

) labiato, Rae 

» malese 

1a 
PACToa ide ia 0 
Pangolino 927 
Pantera . SUO 
Papione . 
Paradossuro . 
Pecari. agli; 
Pecore 294 
Pedete 
Perameli . 
Perodittieo 
Pipistrelli i 009 
Porcellini d'India . : 
Porco, 149 
Portace 243 
Procione . 
Propiteco . she 
Protele 349 
Pteromidi RSS E 
Pteropi o rossetta. . . 562 
Ptilocerchi . .. 
Piuma ale 
Puzzola . 
R 

Ratto lavatore . Le 
Renna set ate) e 900) 
Riccio comune . D47 


» dalle orecchie lunghe 
Rincocione 


Rinoceronte . . +. o 
Rinolofi 
Rizomidi . 

S 
Saccoforo . 
Saccomidi 


. 482 
- 481 


82 


650 INDICE ALFABETICO DEI NOMI DEI MAMMIFERI 


Saigon. ee le + 243 Topi casalimo 0 topolino RE 
Samir #0... 0008-8990 » nano 0-delle messi... Affi 
Saki 0. Le veti 298 pl spinosi! (9 O 
Sarcofilo |... LU. tati « (28 Topi-talpe | (oa 
Sariga. 23, 0Uo (e tale + #09) SHopora gio RO e 
Scalope, ra a » - portaremo . 543 — 544 
Sciacallo .. 0. +... 408 — 412 Toro eg. 00 I 
Scimmie ; 0. 0, 3984 — 587 Triehecho: 0... SZ 
Sciurotteri .. i... .. ‘. 908 —:509 

Scolattolo.. . . . . + 505 — 508 U 

Demnopiiee0, 0 ee eniolo 

Senetere =... . Lo. . 04907 Vistitài. .. <a. RR 
Senoledonte.. 9. i. 0 AVA Me 


Servalo ee e ai a 8885 Urang-Utane, Rea 
SHOguro . +. 0 488 — 490 
Spalaco/ fa Vv 


Spermoflo 0 ur 
Stambecco LL. 0. 0 Se 247 Vacca LR 
Stenodermi.. \. ..0...00 . ajt,067 Vampiro, 0. . RS 
Vespertiglio. . ..° . ($i. 
TE Vagogna ; 0... è... CONOR 
Vaseaccle, 1 07, Ca 
Tafozoo: </u t40. 0 1099I Visone. l'_EFKE'I 
Talpa... . +00... 532 —:589 Volpe. ea 
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Tarsipede, >. >, ene e i ac 
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Tore; >. a e N oo Z 
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»; “Surmolotto +. 0.0.4 a46075Zibeto). © Aa 
ME Scalo e 


276 


TO 
_l 
(DA | 


Fig. Pag. 
1. UNA TRIBÙ DI SCIMMIE SAC= 
CHEGGIATRICI . l 
2. Caccia AI KANGURI 9 
3. Ornitorinco paradossale. 16 
4. Echidna spinoso . . . , 17 
5. Vombato. 21 
6. Kanguro gigante e 
7. Scheletro di Kanguro Most 
i noso - 23 
8. Kanguro ratto 25 
9. Koala (orso d’ amano) 26 
10. Falangista fuliginosa . 20 
11. Tilacino cinocefalo 28 
12. Dasiuro . DIES Re Tinek e 20 
13. Sariga di Virginia femmina 
coi suoi fisli . 30 
14. Chironetto Oyapock 31 
15. BALENA FRANCA . 32 
16. Balenottera. VR RZ 
17. CACCIA ALLA BALENA COLLA 
PALLA ESPLOSIVA AVVELE= 
NATA . Re e 41 
18. Balena presa coi ramponi . 2 
19. Rampone Sk VOR. 
20. CAPODOGLIO MACROCEFALO . OT 
21. Palla fulminante di Devisme. 60 
22. Palla-rampone americana. ivi 
23. DELFINI CHE SEGUONO UNA BAR- 
CARTA 65 
24. Hocena ...-. o SRESCSIZI 
25. PESCA DEI NARVALI IN ai 73 
26. Narvali . 71 
27. Lamantino , 79 
28. TRICHECHI . 81 


INDICE DELLE 


INCISIONI 


Fig. Pace. 
29. Una strage di Trichechi . 85 
39. Foche. ba 88 
81. Caccia AI TRICHECHI . 09 
32. Caccia delle Foche. . . . . 92 
33. Eschimesi in agguato d’ una 
Foca . N, 93 
I4 WILEFANTI D'ASIA —.. 0 i . 97 
35. L’ELEFANTE ATTACCATO ALL’A- 
RATRO, A CEYLAN 3 105 
36. Testa dell’ Elefante d’Asia. 112 
37. CACCIA DELL’ ELEFANTE COLLA 
SPADA, IN AFRICA . , 103 
38. Testa dell’ Elefante d’ Africa. 117 
39. Mammuth, o ia ua 
nius . 3 d2,, 120 
40. IPPOPOTAMI, MASCHIO E FEM- 
MINA . DSi po 121 
41. Caccia tris oronsmo , 128 
42. TRAPPOLA ALL’IPPOPOTAMO. 129 
43. CaccIA AL RINOCERONTE. Ji87 
44. Irace . DE 139 
45. Tapiro americano . 3A 
46. Cinghiale AOL 144 
47. MANDRA DI MAIALI IN UN BO- 
SCO DI QUERCE A 145 
48. Cinghiale che tien testa ai cani 148 
49, Maiale della razza di Craon . 152 
50. Maiale del Périgord . ivi 
51. Scrofa della razza della Bresse 153 
52. Maiale della razza del Berk- 
shire . ivi 
53. Facocero 19% 
54. Pecari 160 
55. Il Babirussa . ivi 


652 
Fic. Far. 
DEMCAVALLISARABI Luo fd O 
37. Le differenti parti del corpo 
del“Cavallo (Coe 03 
PIRCAVALLICINGLESI. Sf e 0 
59. Dentizione del Cavallo adulto 172 
60. A diciotto giorni. i. set vi 
61 AEON eV 
02. A sel UDi di ri IO 
63. A MOVE LANDI 84, e A VI 
04. CA (quIndicl'anpi. e e 
CONCA trenta IM see Ne CR I 
66. CavaLLI DELLA PERCHE... . 1407 
67 Gavallo ‘normanno. e 1 100. 
68. Cavalli bretoni . . . cl 
69. Cavalli dei Pirenei (indie 
di*farbes) or ene o 
70*Cavallosrusso Reg e e e 88 
71/Cavalli:tedeschi 000 89 
72. Cavalli di. Boulogne .........:. 191 
73. Cavalli Shetlandesi . . . .192 
74. Asino ED ASINA DOMESTIC". . 193 
75. Asino ed Asina (razza co- 
MUD Li a REM ET 
“64 MuloteSMula te Re Rr8200 
TIVE MONES 00 SA ga 
TRAZebrert' ua tl 0 
TO DAWI AL . 208 
80. CAMMELLO DEL Guuc, ASO oi 
medario ld Asia) rar 200 
8I. I quattro stomachi di un ru- 
minante (Peeora)i.., 020211 
S2 e 83. Teste di Cammelli. . . 212 
84. Dromedario d’ Africa. . . . 213 
85. Una carovana nel deserto del 
Seal ZIO 
86. I Cammellai del Sarai avi 
87. CAMMELLO D’ ALGERIA . . . 217 
SSALlama Lie 220 
SOA ICARO EI 
99. CAMMELLO D'EMIGRANTE MON- 
GOLOSE 
91. CAMMELLO DI TUAREG EQUI- 
PAGGIATO PER LA GUERRA . 225 
92. Vigogna aggredita da un car- 
nivoro (Coguaro) ..:. .... 228 
9 GITA SA e229 
94. CACCIA ALLA TOI Re239 
95. Camoscio d’ Europa . . . . 236 
96. ‘Antilope algazzela 0. 0 7.-1237 


. Antilope Cud. ae239 
S. Antilope namsa. . . ....240 
. ANTILOPI DELLE PALUDI . . . 24l 


100. 


101. 


102. 


103. 


104. 
105. 


106. 


107. 


108. 


109. 


110. 


LI 


Hz: 
113. 


114. 


115. 


116. 


11% 
118. 


DID: 


120. 


121, 


122: 


123. 


124. 


125. 
126. 
127. 
128. 


129) 


130. 
131. 
132. 


133. 
134. 
135. 


136. 


137. 


133. 
139. 
140. 
14l. 
142. 


143. 


INDICE DELLE INCISIONI 
Fio 


® 


È Pas. 
Nil-Gau o bue azzurro . . . 244 
Goa. a e RR 
Bubalo . /./c a eo 
Stambecco . . . . . 248 
ManDRA DI PECORE DELLA Bai 249 
Capra comune .;.. (Rai 
Capra del Tibet ala? 
Capra d’Angora, maschio e 
femmina! Re 
Muffione a frangie. . . . . 254 
Argali, o pecora selvaggia. . 256 
CACCIA DEGL’INDIGENI AL Br- 
SONTEL 00 e 1) 
Pecora di razza Leicester . 261 
Pecora della razza Cotteswold 262 
Ariete della razza New-Keuth ivi 
Ariete della razza Tuareg. . 263 
Pecore e Montoni della razza 
Southdown 4. a. ivi 
Ariete e Pecora dalla razza 
Merinos di Rambouillet. . 264 
BUE MUSCHIATO . and 00208 
Ariete della razza Merinos di 
Mauchamp. . . . e LO 
Ariete della razza nera dallo 
Lande;. i. 0 ARI E 


Pecora della razza Larzac. . 26 

Bisonte N40 0) 
CACCIA AL Ra DEL Capo . 273 
Zebù da carico) Sa 
BuUor, AL LAVORO... e 
Toro normanno? Ri 
T'oro.brettone. i i i een 
Toro della Garonna Li. (008235 
Vacca bearnese. i. Lu 
Vacca di Bazazi.; ul US 01238 
Buoi ungheresi .-. Rea 


VACCHE LATTIFERE E VITELLO 289 
Toro di Val di Chiana in To- 
SCANA. e NO 
RENNE (eci. ea n OI 
Alce . o 20 ERRATE 
RENNE CHE TIRANO UNA SLITTA 
PRESSO I SAMOIEDI. . . . 305 
Cervo comune è... .. +. 309 
Cervo d’ Aristotile. . +. . . 312 
La caccia DEL CERVO 00.942 
DATO Me. 
Caccia del Cnisla cl 
Mosco pismeo . . . . . +.319 
Bradipo. 0.0. Lei 
Arvmadilli .. << / Rai 


RR pp 


INDICE DELLE INCISIONI 


Fig. : Pag. 
144. Formichiere . 320 
145. Pangolino . . 328 
146. Lontra comune . 332 
147. Martora ordinaria. 333 
148. Faina. ì 336 
149, IENA RIGATA . 337 
150. Puzzola, comune. 340 
151. Ermellino . 341 
152. Furetto . ivi 
158. Donnola . 343 
154. Ghiottone . 344 
155. Il LEONE 345 
156. Tasso . SAI 7 

157. LIVINGSTONE ATTERRATO DA UN 
LEONE IRE 

158. Una caccia al Loi all’ ag- 
guato . . 360 
159. Tigre reale del 301 

160. CAVALIERI INDIANI SORPRESI DA 
UNA TIGRE . - 309 

161. Pantera d’ Asia TT 
Japonicus). at SOR 

162. NEGRO ASSALITO DA UN Leo- 
PARDO. SAU VIT SAT 

163. Bombonnel, il cacciatore di 
leopardi . Serate 

164. DUELLO NOTTURNO FRA UNA 

PANTERA E IL CACCIATORE 

BOMBONNEL SUL MARGINE DI 
UN PRECIPIZIO , 389 
165. Onza . . 388 
166. Gatto selvatico . 389 
167. Gatto domestico . . 390 
. 168. Giaguaro 397 
169. Coguaro. ; 393 
170. Lince o Lupo cerviero . 394 
171. Caracal . 7 . 395 
172. Lince delle ri 396 
174. La VoLpE . . 401 
175. Volpe in agguato 404 
176. VOLPI TURCHINE CHE ROSIC= 

CHIANO LE SCARPE DEI MA- 
RINAI . 409 
177. Sciacalli. 412 
178. Lupo . 413 
179. Lupi e Lucini 416 

180. Lupo che porta via una pe- 
cora ALI 
181. Mastino . 419 
182. Cani danesi . 420 
183. Veltro o Levriere . . 421 
184. Cane da pastore. . 422 


Pig. Pie. 
185. Cane degli Eschimesi, 423 
186. Spagnolo . 424 
187 “Grifone”, = 985 =1429 
188. Cagnolini dell’ pa 426 
189. Bassotti o Segugi dalle gambe 
3 storte. 10427 
190. Barbone. 7 428 
191. Cane di Terra Rai 429 
192. Cane da corsa 430 
193. Bracchi francesi. 431 
194. Bull-Dogs, o Molossi 432 
195. CANE BRACCO . 433 
196. Bul-terriers. 435 
197. Viverra Civetta . 439 
198. Genetta . 440 
199. ORSI BIANCHI +. 44] 
200. Paradossuro . 443 
201. Coati. De E 444 
202. Procione lavatore . , 445 
203. Orso bruno delle Alpi »- . 448 
204, CACCIA ALL’ORSO BIANCO NELLE 
REGIONI POLARI 449 
205. Orso di Soria : 453 
206. Orso bianco in caccia della 
Foca. ; 459 
207. Marinai aggrediti das orsi 
bianchi . s 45) 
208. Orso UCCISO E DATO IN PASTO 
AI CANL. 457 
209. Orso Malese . - 459 
210. Topo comune, . è. 464 
211. Surmolotto o Topo dello chia- 
viche . i » 465 
212, Topolini o Topi A ivi 
213. Topo delle messi ed il suo 
nido . sf SU A105 
214. Arvicola o Campagnuolo » 469 
215, Lemming - vr eda 
216. Ondatra, o Tito oO . 472 
217. Criceto od Haraster +43 
218. Ghiro. 476 
219. Gerboa . 477 
220. Spalace . ada 480 
cela Dipor e a aeraii ivi 
222. Saccoforo . . 481 
223. Chinchilla . ivi 
224. Lagotide. . 484 
225. Viscaccia . : ivi 
226. Echimide spinoso . . 485 
227. Istrice 4 vi 
228. Ateruro. è 3 . 488 
229. Istrice americano . 1 ivi 


654 INDICE DELLE INCISIONI 


Fig. Pag. Fig. Pag: 
230 Aulaeode |... 3 è 4890. 267 Vampiro spettro. VR 
231. Idrochero, o Cabiai . . . . ivi 268. Fillostoma ferro di lancia. . ivi 
9232. Porcellini d'India... 0°. . 492. 269.(Galeopiteco. .. inn RI 
239. Paca bruno +... 0: è 493/270 /Age-Age . 0. sisalioe SONE 
RIGA ARIE SE n RCSIVITE 27M akiimacoco so 900 «ia LeS07 
235. GLI ARCHITETTI DEL sci «+ 497 272, Maki dai piedi i i AD 
226. (Castoro idel Rodano an. 00172 Mn ta Varg 
237. Miopotamo. . . + + +. . .504 274. Propiteco ian sii O 
238. ‘Scolattolo..-.. i: su co 0090 2/04 Tars io Ns peltrot e . 580 
239. Sciurottero. . . . . . . .509 276. Galagone dalla folta cha 1 (ret 


240. Pteronide splendido*. .'. .' ivi "277. Perodittico. . a 
241. Anomaluro.. . .- . i +0. 510/%278. Lori tardigrado.. |. (800500 


242. Spermofilo dalle tredici stri- 279. Uistiti dai pennacchi neri. . 582 
scie + è è °°. +. è +» 512 280. Miceti o. scimmie urlatrigit (088 
243. Marmotta . . . .,. ++ +.ivi 281. Ateli o Scimmie-Ragni.... . 589 
244. STORMO DI SCOIATTOLI VOLANTI 282, Cebo ‘bruno... CR 
SUGLI ALBERI DELLA FLO- 233. UNA MONTAGNA DI SCIMMIE CI- 
RIDARE OTO NOCEFALE, SULLE RIVE DEL 
245; Lepre. 4. Prandi SENEGAL. .. . . sf; via (098 
246. Caccia della Lo Colla muta 520 284. Callitrice dal Sor, »° go S0090 
247. LA cAccIA DELLA LEPRE COL 285.-Saki:satanico. n. i NM 
CANE DA CORSATSE 0% . DR1 236. Brachiuro .. uit 
248. Conigli in una radura o ‘piane 287. CinoceFALO AMADRIADE . + . 601 
zeta di bosco... i... 524.288. Mandrillo Choras.. . 4608 
249. Conigli grandi e piccoli, la 289. Papione. «i. 04; ti. erre 
sera, i sie ia l0R0. 290. Bertuccia: .. . ;.... Ira oo 
‘250. Conigli di i si 1... 926 291. Macaco di-Buffon. vg. 0008 
251. Conigli di capannuccia, o da 292, Macachi.3:a. ite anne 
covo eno . 528 293. Cercopiteco . . . . 613 
252. Caccia. del ei col do 294. Cercopiteco dal naso bots . 614 
retto ..... + ii + 11/029 295. Cercopiteco mona .. L.A 
203; TalpaxaBeo o. s Gli oi 10/592 296, Nasiche. .. 0. Ber 
354. Sezione di una tana di Talpe 533 297. Semnopiteco 0, mitrato e 
255. Trappole per le Talpe . . . 537 dal ciuffo‘. ..0/./ Re 


256. Toporagno comune. . . . .540 298. Gibbone Hooloch . . . +. . 620 
257. Toporagno etrusco. . .-. .541 299 Urang-Utang adulto ... . . 621 


2ossloporasno:d*acquar ‘io. (a; divi (1300.4Gorteza 00° e 80 « SIRO 
259. Macroscelide.. . .:. +... 549 301. Paolo di Chiaia 0 a 0) 
260. Miogale moscovita. . . . .548 302. Cacciatore preso da un Go- 
261. Riccio comune... 11949 Latera. «i greggi 
262. Centete dal pelo morbido. . .592 303. La caccia ai Gorilla? 1 3101028 
263. Pipistrelli appesi alle pareti di 304. Assalto d'un Gorilla. . . +. 636 
una caverna . . . . +. .997 305. Chimpanzé (giovine) . . . . 637 
264. Testa di orecchione . . . .560 306. Nshiego-Mbuvè (o Chimpanzé 
265. Rossetta d'Edwards . . . . 561 calvo) e il suo tetto . . . 640 
266. Vampiro che sugge un uomo 307. IL Caimpanzé Antonio +. + Gdl 
addormentato. <. \. 0000904 
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PARO 


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