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Jacopo {Frate) Da Cessole - Volgarizzamenta del •
libro di costumi e degli OflGlzii de' Nobili sopra il ^
giuoco degli scacchi - Milano, Ferrano, 1829 - iii-8,
con fig. in legno, m. pelle ...» ;
Di Crusca.
\/cfc, ^cJL^ Hf B. 129
t
J.
% 1
N*
. Cli-l
<i
VOLGARIZZAMENTO
DXI. LIBRO
^ DE'COSTUMlEDEGUOFFIZnDE'NOBIU
SOPRA IL GIUOCO DEGLI SCACCHI
FRATE JACOPO DA CESSOLE
TRATTO nUOVAMSirrB DA UN CODICE MAGLUBBCHIANO.
MILANO 1829.
BALLA TIPOGRAFIA BEL BOTTORE GIULIO VJSEBAIUO
Contrada del Bacchetto al Nf" 2465.
JL CORTESE LETTORE
PIETRO MAEOGGO.
K
rA Jacopo (i) da Cessole nella Diocesi di
Reìms^ nativo di Tierache in Piccardia (come
abbiamo dal Quetif nella sua Biblioteca del-
V Ordine dei Predicatori) fiori sulla fine del se^
colo XIII. o sull'entrare del seguente^ e fu mae-
stro di teologia^ valente predicatore ^ e sollecito
nel formare i costumi degli uomini^ secondo lo
stato di ciascuno. Compose egli (a) in lingua
latina un Trattato del Giuoco degli Scacchi ^
nel quale anti che dar precetti sul giuoco me-
desimo immaginò di recare a senso morale quanto
r inventore di esso^ o a caso^ o a tutti' altro in-
tendimento avea stabilito. Sì fatto opuscolo do-
(i) Taluno il chiamò Fra Jacopo di Tenace, e tale altro di
Tessalonica, come nell* edizione latina d'Utrecht; e fuvvi ancora
chi, prendendo equìvoco dalla somiglianza del nome, lo disse di
Casale nel Monferrato. Di quest' autore fa piir menzione il Mannì
Stor. Decctìn, pag. 357 e s'accorda col Quetif,
/a) Stefano Marcheselli nelle Orazioni in difesa di M. Gir.
Vida pag. 40 sostiene che quest'operetta sia stata scritta original-
mente in francese/ Vegga altri con qual fondamento ciò si possa
asserire.
lY
vette riuscir nuoi^o e bizzarro a que' tempi j ed
essere tenuto in conto di qualche gran cosa; e
di fatto lo stesso Quetif sopraccitato afferma,
che niun altro libro in quel secolo ottenne mag-
giore celebrità. Né mi sembra che al nostro debba
esso cadere in disprezzo; perocché^ mediante
racconti e novellette morali , vi è felicemente ax>
coppiató Inutile col dilettevole; ed il pensiero
di trarre da un giuoco i più scrii insegnamenti
del retto vivere^ può riuscir vago e commende-
vole anche in una età^ che è tanto innanzi
nella filosofia. Il qual pensiero^ dopo il Da Ces-
sole , è caduto irt^ animo ed altri , come sarebbe
a Marco Aurelio Severino, che compose La Fi-
logofia, ovvero II Perchè degli Scacchi (i); e,
sovr' altra simile materia a quelV ingegno j coÀ
sciagurato come vivace^ di Pietro Aretino^ che
fece^ sotto l^ anagramma di Partenio Etiro ^ quei
suoi talora così spiritosi Dialoghi delle Carte
Parlanti (si).
Il Trattato di Jacopo , come fu poi tras-
dotto in francese , in tedesco 9 e in altre lìngue ^
ebbe la buona ventura d'' essere traslatato altresì
I nella nostra , in quel secolo che vien detto au-
reo ^ ossia, per non offendere gli schizzinosi, il
Trecento. Per cui opera, ed in quale anno pre-
cisamente sia stato volgarizzato^ né si sa^ né
sarebbe agevole a sapersi; certo è bene^ (chi si
(i) Napoli, Bulifon 1690 in 4*° cca ritratto. Il medesimo au-
tore scrisse un altro opuscolo sull'inventore di questo giuoco»
intitolato Deir antica Pettia^ ecc. ivi 1690, in 4.° Vedi il Gamba
Seri^dei Testi di lingua ^ ultima edizione, pag. 894.
{?.) Oltre alla presente opera, il Tritemio attribuisce a Fra
Jacopo anche de' Sermoni.
Y
conosca punto de^ nostri antichi scrittori^ ap-
parir esso dettai nel secolo sopraddetto , ed
anco nella sua prima metà. E ardisco soggiun-^
gere che fra le scritture di que' tempi questa
traduzione va più tosto colle più apprezzevoli ^
che non colle mezzane; \l che per avventura
die cagione allo 2jeno di asserire (i) senz'altro
argomento (ch'io mi sappia) esseme stato tra'-
duttore un Fiorentino o Toscano; dalla quale
opinione io pure non vo lungi ^ considerata la
somma purità delle voci^ e quella speziaiissima
eleganza^ e dilicatezza^ che usiam chiamare
atticismo^ e che mai non si trova tanto ^ come
nei trecentisti natii di quella provincia,.
Prima eh' io faccia parola circa al modo
per me tenuto nella edizione presente^ è bene
manifestar quella massima^ che mi son preso a
norma ^ cioè: non doversi stampare libro di tal
guisa né per lettura de' ragazzi e de' scolari^ né
per lettura de' più fra' letterati; ma soltanto in
servigio di coloro (tuttavia assai pochi) i quali
traggono diletto da quel candore^ e schietta
proprietà^ e ingenua venustà di dettato^ che lo
stile de' nostri vecchi ci presenta^ e che noi mo^
demi 9 sopraccarichi di cose ^ potremmo a mala
pena e per lungo studio imitare^ agguagliare
non mai.
I Compilatori del Vocabolario della Crusca
citarono di Frate Jacopo da Cessole un testo
a penna^ che fu già di Francesco Venturi ; ac-
cennano poi nelle note alla Tavola delle ab-
breviature degli Autori (nota ia3^ la Stampa
(i) Ànnotaz. alla Bibliot del Fontanìni, tom. JI. pag. 208.
TI
antica di Firenze per Mofestro Antonio Misco-
mini, anno 149^ in 4*'' ^ soggiungono:, ce Nella
passata impressione (i primi compilatori) non
dicono in chi passasse il testo del Venti;ri, ma
noi ci'ediamo che sia quel medesimo testo, che
fu spogliato dallo Stritolato (cioè Pier France-
sco Cambi) ^ corno si può vedere da' suoi scritti 9
che si conservano traile scrittijre dell'Accade-
mia nel fascio segnato col numero Vili. Il Redi
nelle note al Ditirambo fa menzione di un testo
a penna di Fra Jacopo da Cessole da lui ve-
duto nella libreria del Dottor Giuseppe del
Teglia. r> Un manoscritto esistente nella Maglia^
bechiana viene ora alla luce , mercè lo z^bIo per
la nostralingua d^el signor Don Gaetano de'Conti
Melzi il quale a eccellenti qualità d' animo con-
giunge particolare cultura^ e in fatto di biblio^
grafiche cognizioni è così addentro come altri
mai^ È desso un Codice membranaceo in 4.° del
secolo XIV. con miniature esprimenti le allusioni
degli Scacchi ^ ed è segnato N. gì. ci. XIX^
pale. IF. V antichità di esso , la conformità sua
colli esempi citati dalla Crusca e coir originale
Latino mi assicurarono del suo pregio (i). E
(i) In un articolo dell'Antologia di Firenze (Anno VH!.
Voi. XXXII. Nov-Dic. 1828, pag. 120) che rende conto dell'A-
dunanza solenne dell'Accademia della Crusca si accenna come
r Accademico Gelli fece discorso del libro presente. « Questi nella
prima parte della prosa (sono parole dell'articolo) parlò deWaur
tore dell' opera y accertando che nacque suljine del secolo XIL in
Cessole y villaggio della Piccardia^ e correggendo chi fu di contrario
avviso -^ NeUa seconda die ragguaglio delt opera stessa facendo
chiaramente palese il metodo da lui tenuto netto sviluppo dei quat-
tro Trattati in che si divide. Nella terza finalmente favellò del Co-
dice Magliabechiano y che contiene la genuina lezione ^ e forse egli
è queUo che fu citato da^i Accademici del Vocabolario ^ non senza
VII
certo migliare dello stampato a Firenze mi si
fé" vedere a un colpo adocchio , poiché in questa
appare manifestamente la mano di chi lo volle
ammodernare^ ed acconciar di suo capo (i).
U altra stampa poi che se ne ha di Venezia pel
Sindoni i534, in 8/ non merita piire d^ essere
nominata, tanto ella è svisata e malconcia (a).
ragionare degli altri^ che ben sovente si dilungano dotta retta det-
tatura y che sarà presto puMioata, » Mi è liusctto carissimo il
poter arrecare una autorità di tanto. peso al proposito nostro.
(i) Così e avvenuto di più altri Testi di lingua, a mo' d'e-
sempio del Cavalca Specchio tu Croce pubblicato a Brescia nei 1822,
. e delle Favole Ewpiane date alla luce dal Manni, dove non già
cbe gli editori svisassero il MS., ma il MS. da lor messo alla
luce era svisato. Chi per altro mise mano a rafìàszonare il Testo
per la stampa del Miscomini non dovette essere imperito in opera
di lingua, perchè il dettato vi è sempre puro e corretto , e sa
appena un poco di quattrocentismo nell'uso di Lui, e Loro in
caso retto, e dell'uscita, nell'imperfetto prima persona, in oj
p. es., crédevondy per credewmdy ecc. Vuoisi avvertire che quel-
r editore non solo pensò d'acconciare il volgarizzamento, ma il
Testo latino pur anche, e valga per tutti il seguente esempio.
Trat ni , cap. 5. Lat. zz. At Josephus videns ( qui romani contra
Judeos belli texit historiam ) medicu8 pcritissimus, ^usam aegri-
tudinis intelligens, ecc. U M. è pienamente conforme, ma la S.
E Josefoy che compuose le storie de Romani contra a^ Giudei^ dice
che Arca medico savissimo y conoscendo la cagione della iì^fermi^
tadcy ecc. Ripete poi questo nome intruso di Area, sempi*e ove
il L. dice Josephui. Oltre a ciò poco iq[>presso, la Si mefite que-
ste parole, che non ha il L., e che forse guastano, come vedrà
chi esamini tutto il luogo: E poi disse a Tito: se tu vuoi ch^io
ti guarisca y comanda a costoro che una volta m' ubbidischino di
queUo eh' io dico loro. Allora Tito così comandò. Quanto Giuseppe
eseguì non era stato in verità comandato espressamente da Tito»
ma sì bene implicitamente, e dovendosi poi Tito risqwenir di
leggeri della sua ampia Ucenza conceduta a Giuseppe , non sembra
che dovesse prenderne tanta ira e dispiacere, da sopraffare l'ecces-^
siva allegrezza avuta poc' anzi , e la quale lo avea latto infermare.
(2) In essa, come già osservò il Gamba, Serie dei Testi, ecc.
pag. 72, è tati* affatto sconvolta la dicitura per opera di scrittore
che dell'antica naturalezza non s'è mostrato punto curante. Bastino
in prova le prime linee del Proemio: Da molti frati del ordine
nostro y qualjra noi ogni nostro pregho in comando tramutasi y e
da diversi scolari pregato y che 'l soUaccievole giuoco de Scacchi per
vili
Ben è il "Oero che siccome it nostro MS. aoea
qua e là o smarrita la scrittura, o manifesta--
mente storpiata la lezione dalV amanuense ^ mi
fu d^ajuto a supplire e correggere la medesima
edizion Fiorentina. Al quale uopo ebbi altri
non pochi sussidii, cioè in primo luogo le va-
rianti d^ altri Codici della stessa Bibliotèca che
furon potuti consultare da chi ebbe cura di tra-
scrivere il manoscritto adottato per V edizione;
in secondo quelle cavate espressamente e per
intero da un Codice esistente nella Riccardiana^
non che tratto tratto alcune altre di altri Con-
dici della medesima libreria (i); in terzo luogo
il riscontro di un MS. prestatoci dalla cortesia
del signor Marchese Trivulzi (a) ; e finalmente
r originale Latino^ che mi tenni sempre sot-
f òcchi.
Fedele alla massima più sopra indicata ri-
me a luce con la penna posto vi fosse ^ che del reggimento deaeri"
stianif e di battaglie deU! umana eenerasdone è vero ammstramento
qual già per me in pubhUcù premeato , tal materia sì al popolo
tjuahto atti nobili fu di modo piqgevole che U animi loro misseno
a giungere prego, a prego, ecc. È curiosa questa smania di tra-
sposizioni , e fa risoTvenire del Bandiera che stimò bene di ac-
conciare il Segneri alla Boccaccevole.
(i) Siccome da questi Godici le varianti furono tratte in ri-
scontro al Testo stampato , è non si accennò icol numero da quale
fra essi si cavasse quella o questa variante» così pensai di con-
trassegnarle con la nota Postilla S, E qui avverto pure che circa
alle varianti di tutti i Testi, io non le misi già tutte ^ ma sola-
mente le più notabili; altrimenti mi sarebbe bisognato ricopiar
quasi per intero la S. che tanto diversifica dal MS.
(2) La dovizia di Codici pregevolissimi che sta presso il sul-
lodato Marchese è conosciuta abbastanza; né certo può scemar
punto d' onore a quella collezione il trovarvisi questo Codice ,
che sa molto di Lombardismo, o meglio dirò, del dialetto ve-
neziano. . Io ne ho tratte le sconce lezioni, non mai a spregio ,
ma per dar saggio di quanto differiscano i Còdici secondo 4I
luogo ove furonp scritti.
copiai colle stampe puntiMlissimamente il MS.
(saharinterpt^ione);nè ho già schivate quelle
storpiature di nomi , quelle voci o di conio af-
fatto antico^ o con ortografia strana e dismes-
sa{i)j quelle superfluità^ e quelle stravolte sin-
tassi che vi s' incontrano di frequente. Tutte sì ,
fatte cose y ben mi sapeva^ non essere comfnen-
devoli, e molto meno da imitarsi, ma sapevami
ancora che qué^ dotti j, ai quali verrà sott^ occhio
volentieri V opera presènte , non si sogliono pren-
der fastidio^ né rimaner impacciati dai vezzi
della antichità, che tornarono magagne ai più
colti nepoti. È a tutti palese come al presente
si scrii^a^ ma a coloro che hanno vaghezza di
conoscere lo stile de primi Italiani , ed in ìspe-
zialtà la loro naturale squisitezza nel fatto d'ar- ,
monia e la loro disinvolta non curanza della
precisa grammatica, convien porre innanzi i loro \
scritti come per lo appunto uscirono dalla lor |
penna. Ciò non di meno veri spropositi e la^ '
cune non mi parve di doverveli comportale; «
a tale effetto ^ onde servire aW un riguardo ed
air altro ho sempre distinto col carattere corsivo,
e quindi avvertito in pie di pagina 9 quanto mi
verme fatto di supplire sì dai Codici e dalle
(i) Alcune pochissime foggie di ortografia ho per altro schì-
Tate, le quali possono piuttosto riguardarsi come singolarità di
pronunzia, ,p. es., degnio, kggi€y cierchio, admonire^ ozzipy per
degno, legge y cerchio^ ammonire y ozioj ed inoltre il ^ usato quasi
sempre in luogo del e, p. es., diUgato, per diUcato, Porse avrei
anche potuto rigettare il gli, per egUy stanteché sempre dove è
scrìtto COSI 9 è precèduto da una parola finiente in e, e mi sem-
braTa pure un idiotismo raro nelle più belle scritture degli an-
tichi: ma considerato che costantemente il MS. leggea in quel
modo;' lo ritenni.
Stampe sopraddette, come dalla Critica; ma da
una Critica^ se non fina (che il mìo poco in-
gegno noi mi diede) , la più schiva certo e men
presuntuosa che mai.
V esempio de^ più valenti editori de^ nostri
giorni mi consigliò di formare V Elenco delle
voci e dei modi che, mancando al Diziona^
rio (i), vi si potrebbero inserire. In ciò fare
però non ardii mai d^ entrare a formar giugno
sul pregio delle voci cKìo registrai; né vorrei
si credesse^ che io le dbbia tutte per tali 'che
si possano adoperare sicuramente nelle niodeme
scritture. Oltrecchè talvolta una voce va notata
in servigio della Storia della lingua (studia
prafittepolìssimo a voler possederla a fiondo)^
in questo affare vuoisene lasciar fnenamente il
giudizio e la scelta a chi meglio sia da ciò,
od anzi al consentimento dei più; che senza
dubbio una sola autorità di qualsiasi ottimo
scrittore, non avrà mai bastevole forza da porre
nel patrimomo della bella lingua una^ voce od
un modo. E questo medesimo riguardo mi spinse
a notare pur quelle voci, che sebbene già si
trovino nei Dizionarj ^ vi sono tuttavia appog^
giate ad un esempio solo. Sarà forse taluno che
mi biasimi dello aver comprese in questo Elenco
non solamente quelle voci e quelle frasi che il
Testo che viene or pubblicato somministrava^
ma sì ancora quelle rinvenute nei Codici thè
mi servirono soltanto d^ajuto, e dalla Stampa
(i) Ho sempre ricorso altresì alla inoomineiata edBEÌone del
DiEionario della lingua italiana , ohe si esegnisce in Padova» Tip«
della Minerva , e che sino ad ora è giunta al T, III. cioè alla
lettera F, inclusive.
XI
medesima la quale ho rìgettata siccome scon^
datura. V antichità di questi Codici^ e dello
Stampato^ e Vautontà degli Accademici^ (^) ^ ,
quali spesse volte citarono più Testi fra loro
diversi cT un medesimo autore , spero che possa
valere a levarmi tal biasimo: alla peggio, avendo
distinte queste cotali voci di uno asterisco^ e
della nota del testo onde sono tratte^ à, cui non
garbino^ si le hisci da un canto.
Vuoisi qui dare la giusta lode al signor
Dottor Giulio Ferrano , il quale cooperò alla
tipografica eleganza e correzione del Testo; ed
in ispecialtà dello aver fatto sì che la nostra
edizione andasse fregiata dei fac-simili di tutte
quelle incisioni in legno che trovansi neWantica
stampa Fiorentina; cosa che per la prima volta
in Italia viene eseguita.
Quanto caro mi sarebbe^ che questa non
legger fatica (benché a^sai legger merito) avesse
la menoma parte a produr queir effetto a cui
adoprano già da pezza ingegni di vaglia; dHn^^
calorire cioè la gioventù ad uno studio della
nostra lingua^ bellissima tra le spante e le vU
vCy non già superficiale e rapido^ ma che par-
zientemente s^ addentra nelle prime fonti ^ e dirò
così, nel midollo di essa. Presso coloro che sono
facili al compatire (e sono i piti sapienti) vair
gami almeno la volontà di ben fare.
Ìi) Cosi a cagìon d'esempio, fii adoperato col Villani, colle
e di Seneca, e colle Favole d'Esopo. Y. TaTola delle ab*
breTiature degli Autori, ecc.
NOTA
Delle Edizioni e Manoscritti delt Opera presente
sì in latino y che in volgare y e in altre lingue.
MANOSCRITTI LATINI.
I. Trovasene uno nella Biblioteca del Seminario di
Padova, come ci avverte Vindice degli autori sul
giuoco degli Scacchi, che trovasi in fine alla Dis-
sertazione sul gioco medesimo del Ch. Signore
D. Benedetto Rocco Napoletano. Roma iSin^ presso
Francesco Bos^roliè , in 12.® Non è per altro bea
chiaro se intenda un Codice in latino, o in volgare:
ma certo è in latino il seguente, che pure ci viene
indicato dallo stesso autore.
IL Solatìum Ludi Scachorum^ sciUcet regitninis ac mo-
rum hominum^ et officium virorum. Trovasi nella
Biblioteca di Dresda. Nel fine leggonsi questi versi
giocosi ==
Detur prò poena scriptori pukra pueUaj
Penruiy praecor, cessa, quoniam manus est miki fissa j
Explicit hic totumj prò poena da mihi potum.
Avvertono i bibliografi che ì MS. latini di questa
operetta sono molto comuni. V. Montfauconii Bibl.
EDIZIONI LATINE.
I. Incipit solatìum ludi schacorum^ scìlicet regiminis ac
morwn hominum et officium virorum nobiUum^ etc.
A tergo deir ultimo foglio leggesi: Explicit sola-
tium ludi schacorum^ in fog.® picc.^ senza luògo,
nome di stampatore, anno, richiami, segnature
e numeri ;^ fogli 39, con linee Za sopra ogni pa-
gina intiera.
XIV
Prima e rarissima edizione, eseguita coi me*
desimi caratteri che usarono Niccolò Ketelaer, e
Gerardo Leempt quando diedero alla luce nel 1473
in Utrecht V Historia Scholasiica novi Testamenti.
L'esemplare del signor de La Sema Santander, da
cui abbiamo tratta questa descrizione fu venduto
franchi i4o.
Un'altra antica edizione mancante di data
viene accennata dal Denis (pag. 660)^ che non
sappiamo se sia la presente, non dandosi sopra
la medesima dal suddetto bibliografo indizio al-
cuno,
II. Incipit liber quem composuit frater Jacobus da Ces-
soUs, etc. qui iniitulaiur liber de moribus hominum^
et officiis nobilium super ludo scacorum. In calce
ài libro: Impressum Mediolani ad impensas Pau-
Uni de SuariUs Anno a natali christiano M. CCCC.
LXXVlin. die XXIII. mensis Augusti, infoi.
Prima edizione con data, composta di car-
te 24.* trovasi nella R. I Biblioteca di Brera, e
servi all'editore per confronto col volgarizzamento.
III. Incipit libellus de ludo schaccorum et de dictìs fac-
tisque nobilium virorum et antiquorum. Nel recto
dell' ultimo foglio leggesi : Explicit tabula super
ludum schaccorum. Deo gratias. Senza anno, ma
circa il 1480, in 4«*
È impressa in carattere gotico con le segna-
ture a - h. Tutte le pagine hanno linee 29, ec-
cetto l'ultima che ne ha solamente i5.
IV. Jacobi de Cessolis Ord. Praed. Informatio morum,
excerpta ex modo et ratione ludi Scachorum, sive
de moribus honànum ojjficiisque nobilium , et super
eo commentarius. Mediolani 1497 in fol.
EDIZIONI VOLGARI.
I. labro del gtuocho di Scacchi intitolato de* costumi de-
gthuominiy et degli offitii de* nobili. Avanti la ta-
vola de' capitoli leggesi la data in tal modo, //n-
pt^esso in Firenze per Maestro Antonio Miscominiy
Anno MCCOCLXXXXnL Adi primo di Marzo,
in 4-'' P^^^- ^^ figure in legna
Le figlila ohe adomatio la nostra ristampa
farono copiate dalla presente rara edizione. An-
clie nel Catalogo Spencer (iEdes Althorpianag T. II.
^ag. SyCseg.^ si dà un Jac5//7iife delle medesime.
II. Opera nuova nella quale sUnsegna il vero f^gg£-
mento delU huondnly e dette donne , ecc. composta
per lo Reverendissimo Padre Frate Gracopo da Ce-
sole j ec. sopra il Giuoco delti S cacchi ^ ec. In finer
Stampata in Vineggia per Francesco di Alessandro
Sindoni y et Mapheo Pasini compagni: Nelli anni
del Signore i534. del mese ài Zenaro.
Edizione da farsene nessun conto. Vedi la
Prefaas,
EDIZIONI IN LINGUE STRANIEBIL.
La Crusca nelle note all'Indice degli Autori citati,
nota .1123. . dice.; <c Di^l latino fu poi trasportai^
nel francese diti Giodkinni Duvigny frate. Ospita-
lario di S. Jacopo dAltopascio nel i33o, e da
' Fra Giovanni Ferrod nel i347^ nella qual lin-
gua ne è un Testo a penna nella Librerìa Vati-
cana j segnato cól numero 480 1. »
La traduzione Francese di Giov. de Vignay o Duvigny
fu pubblicata a Parigi per Michele le Noir nel
i5o5. Nel Catalogo del Rocco^ più sopra mento-
vato si nota la seguente:
Le Jeu des Escher moraiisè. In fine si legge: Cf finii
le livre des EscheZj et tcrdre de chavalérie tran-
siate de Latin en Frangors^ imprimé nouvellament
à Paris , et ju ackevè le Vendredy VI. jour de
Septembre fan. i5o4j pour Antoine Verart. fol.
La Traduzione Belgica fu impressa a Gouda per Ge^
rardo Leeu nel 1479 in fol., ed a Delft nuova-
mente nel i483 in 4*"" ^d ancora due altre volte
senza luogo ed anno in fol.
La Inglese fatta da Guglielmo Caxton sopra la tradu-
zione Francese fu parimente impressa due volte.
XVI ^
cioè aenza luogo nel i479t ^à a Weismister coi
tipi dello stasso Gaxtoo circa il 1490. Il Dildia
nella nuova edizione del Ganes (^typographical
aniiquìes) inclina a credere, che la prima- di que-
ste due edizioni sia venuta alla luce ne' Paesi
Bassi.
MLANOSCEITTI VOLGARI
(a) Nella Libreria Mofjfkihechiana.
L Codice membranaceo in 4*'' del secolo XIV con mi-
niature del tempo esprimenti le allusioni degli
Scacchi. Segnato di N."* 91 ci. XIX. palch. 8.
Questo è il Codice che viene ora pubblicato.
n. Codice cartaceo in folio del secolo XV. segnato di
N.^9 palch. IV.
in. Codice cartaceo in fol. del see. XV. segnato N.® 53
ci. XIX. palch. a.
IV. Codice membranaceo in J^^ del sec. XV. segnato
di N.^ 89 clas. XIX. palch. 9.
(&) Nella Libreria Biccardiama.
L Codice cartaceo in fol. sec. XIV sul fine, con figure.
N.^ a5i3.
Ilt Codice cartaceo in fol. sec. XV. unito al Cicerone
dell'Amicizia y Dicerie diverse , e Cronichetta di
Firenze; segnato N.® i64i.
in. Codice cartaceo, fol. sec. XV. unito ai Proverbi
di Salomone, Ecclesiaste, ecc. N.^ i644*
(e) Nella Libreria Trivubio.
Codice cartaceo in 4*^ àel secolo XV.
BRANO
Del da Cessole citato dal Be^ nelle note al Ditirambo
secondo un Codice da lui veduto^ col confronto
dello stampato in Fireme e del nostro MS.
CODICE DEL REDI.
Questi cotali Ciivalieri^ (i) quando si fanno ci-
gnere la spada della cavalleria^ (:2) se si bagnano id
prima acciocché menino nuova vita e novelli costu-
mi. (3) Vegghiano la notte, che sono bagnati ^ in ora-
zione , addomandando da Dio, che per grazia doni
loro quello che manca loro dalla natura* Per mano
di Re, o di Principe son fatti Cavalieri novelli, ac-
ciocché da colui ^ di cui debbono esser guardiani, ci*
cevano la dignità e le spese. In loro dee avere sa-
pienza, fedeltade, liberalitade^ fortezza, misericordia,
guardia de' pupilli , zelo delle leggi ; acciocché quelli
che ^ono armati d'armi corporali, sieno splendientl
di costumi; perocché quanto la degnità de' Cavalieri
avanza gli altri in reverenzia e in onore, tanto dee egli
più risplendere di costumi e di virtudi, e di soper*
phiare in ciò l'altre persone; conciossiacosaché. l'onore
non é altro, che rendimento di reverenzia in testi*^
monianza di virtudi.
STAMPA.
, Costoro quando si vengono a far Cavalieri si ba-
gnano per menare nuova vita e nuovi costumi. Ve-
ghiano la notte in orazioni, e domandano a Dio che
doni loro per grazia quello che manca loro della na-
tura. Per Re o per Principi sono cinti, acciochè da
Ìi) L. cum adcingimtur.
2) Forse 9a ietto: sì si bagnano.
(3) // L. senz'altro*, peraoctant.
XVUI
colui ricevino la degnitade e le spese di cui debbono
essere guardiani. Saptenzia , fedeltà , larghezza , for-
tezza, misericordia^ guardia de' pupilli^ zelo delle leg^i
debbono averq in loro; acciochò q^nelli che sono or-
nati d^arme corporali sieno risplendenti di costumi:
però che quanto la degnità, cavalleresca avanza gli al-
tri di reverenzià e d'onore, cotanto più dee super-
chiare di costumi e di yirtudi. Conciossiacosaché onore
non è altro che rendimento di riverenzia in testimo-
nianza di yirtude.
CODICE MAGLIABECHIANO.
E costoro quando si vengono a fare Cavalieri si
bagnano (i) il capo per significare, che debbono me-
nare novella vita e novelli costumi. Vegghiaoo la
notte in orazione, addomandando da Dio che doni
ìoro di grazia quello che manca loro di natura. Per
mano di Re o di Principe sono cinti, acciò che da
colui abbiano la dignità e le spese, di cui debbono
essere guardiani. Sapienza, fedeltà, larghezza , fortezza ,
misericordia, guardia de' pupilli, zelo delle leggi, tutte
queste virtudi debbono essere nel Cavaliere; che come
egli e armato d'arme corporale cosi sia risplendente
di costumi; però che ^'quanto la dignità de' Cavalieri
avanza gli altri di riverenza e d'onore, tanto più dee
avanzare di virtudi. Conciò sia cosa che onore non è
altro che reddimento di reverenzià in testimonianza di
virtudi.
(i) Le parole il capo, sono un'aggùmta^ mentre il L. dice
semplicemente: balneantur.
XIX
SAGGIO
m CONFRONTO
Fra alcuni esempi citati dalla Crusca , colla Stampa e*
col MS. Soaosi presi i primi della lettera A e B,
onde non sembri che siensì scelti in bello studia
quelli che più ^offerissero.
CRUSCA.
Abbiente. E foe formato io forma d' uomo 'abbiente
nella mano ritta il martello.
Abrostine $. Noè trovò prima la vite salvatica, cioè
gli abrostini.
Arare. $. L Tutto il voltò si venne arando con lan-
ciuole, e con ferruzzi.
Assennato» Sì gli eonvìene essere savio e assennato.
A trabocco. Il detto Codro s'acconciò in abito pelle-
grino, e non cavalleresco, e misesi in battaglia
centra i nimici a trabocco.
Battaguevolmentb. Fr. Jac. Cess. 3. Poicbè ebbe ve-
duto il detto giuoco, molti Cavalieri, e Baroni
giuocare battagltevolmente.
Borbottio. I Senatori si maravigliarono di tale stem-
peramento , e borbottio delle femmine.
C. MAGMABECHIANO.
CI ftie formato in forma d'uomo abbiente nella mano
ritta il martello.
Noè trovò prima la vite salvatica^ cioè gli abrostini.
Tutto il volto si venne ardndo con lanciuole , e con
ferruzzi.
Si 1 conviene essere savio et assennato.
Il detto Q)dro si acconciò in abito pellegrino , e non
cavalleresco, e miseei a trabocco in battaglia cen-
tra i nemici.
XX
Poi ch'ebbe veduto questo giuoco molti Cavalieri^ e
Barooi giuocare battagliermeote.
E' Sanatori si inaravigliaro di tale stemperamento e
borbottìo delle femmine.
STAMPA.
E fu fatto in forma d'uomo che ha nella man diritta
il martello.
Noè troYÒ prima la vite salvatica, cioè Tabrostiùo.
Arandolo con lancinole e ferri.
E però gli conviene esser forte e savio.
Questo Codro s'acconciò in abito pellegrino e non ca-
valleresco^ e messesi a traboccamento nella bat-
taglia contro agli nemici.
Poi che ebbe veduto il detto giuoco molti Cavalieri
e Baroni giuocare battaglievolmehte.
I Senatori si maravigliarono che stemperamente e bor-
bottio di femmine quello fusse.
Nota dette abbreviature usate in questa ristampa .
a pie di pagjina.
Cr. 2= Vocabolario della Crusca , edizione Veronese
del i8o4-
L. = Il testo Latino, della Stampa Milanese per Pau-
lino de Siiardi i479*
M. o MS. = Codice Magliabechiano membranaceo
in ^"^ segnato N."* 91 ci. XIX. palch. 8. e che è
il testo che pubblichiamo. ^
Post. S. = Con questa nota s'accenma alcuno dei Co-
dici Riccardiani mentovati di sopra nella Nòia ,
eccetto il seguente.
R. =? Codice Riccardiano, cartaceo, ecc. N."* 35i3 di
cui si ebbero le varianti per intiero.
S. =3 La stampa volgare di Firenze per Miscomini
nel 1493.
T. = Codice Trivalzio. j « :
NB. Talvolta si è fatto uso della segnatura di qual-
che Codice, il che si riscontri, nel Cataloga dei Mano^
scrìtti che abbiam posto qui addietro.
IN NOMIISIE DOMMINI AMMEN.
Qai incomincia il prolago di questo libro il
quale compose Frate Jacopo da Cessole del*
rOrdine de' Frati Predicatori, sopra il Giuoco
VEGLI Scacchi.
Pregato io da molti (i) frati ch'erano dell' ordine
nostro^ e da diversi secolari (a) di qaa dietro di dono
richiesto sii negai; cioè di trascrivere (3) il sollaz-
zevole giaoco degli Scacchi nel quale si contiene (4)
ammaestramento de' costami e di battaglia deli'u-.
mana generazione. Ma conciofossecosaché io l'avessi
m^edicato al popolo in boce , e la materia fos^e pia*
<nuta a molti nobili uomini^ a l'onore e la dignità
di loro mi diedi a scrivere loro, ammonendoli che
se (5) incoreranno bene nella mente loro, (6) ìeggier»
mente potranno avere nel cuore loro quella battaglia
e la virtù del giuoco. Et ordinai in questo libretto,
se vi piace , che sia intitolato de' costumi degli uo-
mini e degli offizii de' nobili; et accio che vada me-
glio in quella , dinanzi a. questa opera ho posti
alquanti capitoli , acciò che più pienamente si manife-
sti (7) quello che seguita. Et in quattro trattati sappi
quegli che legge, che questa opera è distinta.
Il) Aggiunto dal T. e da postilla al M. conforme al lu
%\ Il L. non ha Toce corrispondente.
I p) IL il sollazzevole libro del Oioocd degli Soacohì. L. htdum
scaocorum. St. cioè quello {dono} òt^ Scacchi..
(4) B.. r ammaestrameato dij redimento de' costumi e di bat-
taglia.
(5) Così legge pure la Crusca alla V. Incorare. Cod. aSiS,
inooiporeranno. T. s'incorporano. L. zmpresserant.
(6) Qui manca qualche cosa corrispondente alle tocì Latine :
Jormas ipsorum^ iÀoe seaccorum j e dìfatti il T, legge: Za forma
de^ scacchi j S. se per ayrentura imprenderanno nella loro mente
la forma degli scacchi.
(7) Leggeasi in quello , e mi è sembrato errore d'amanuense.
L. qwd ecc.
2
Cominciasi il libro il cui titolo è questo.
de' COSTUMI £ DEGLI OFFIZII DI NOBILI
SOPRA IL GIUOCO D£GLI gGAGGHn . '•
TRATTATO PRIMO.
Della cagione del trovamento di questo giuoco.
CAPITOLO PRIMO.
Som il quale Re Jue trovato.
Infra tutti i mali segni che sieno nell' uomo si è
l'uno questo, cioè quando alcuno uomo non temè
d'offendere Iddio per la colpa, e gli uomini per la
disordinata vita; però che uoh solamente (t) ha in
negghiezza le correzioni, ma dà afflizione a* correttori ;
secondamente che noi leggiamo di Nerone Imperadore
che uccise Seneca suo maestro^ imperò che non pò-
lca patire le sue reprensioni. Or vi dico che questo
giuoco fue trovato al tempo di Vilmoderag Re di Bain-
billonia uomo lussurióso , ingiusto e crudele ; il quale
del corpo del padre, ciò fue Nabucodònosor, fece fare
C. C. C. parti, et a G. C. C. avoltoi lo diede a man-
giare. Questo Re fra gli altri tutti mali segni ctie avea
in se uno n'avea molto pessimo, che coloro chél
correggevano si uccideva , e le reptensioni odiava ; (2)
la quale cosa procedea da somma mattez^sa. A costui
simigliava il padre suo Nabucodònosor, il quale poi
eh' ebbe sognato alcuno sogno , non ricordandosele
quando si sveglioe , volle uccidere tutti i Savi di.Bam-
billonia che non sapeano dire che avesse sognato il
Re^ siccome si legge nel libro di Daniel profeta. Et (5)
(i) Diceva hanno^ correa» .secondo il L. he^'gii* S. HBneghiC-
tisce le correùoDÌ.
(3) Parole aggiunte dal traduttore, e cbe sono pure nel 5.
e nel T.
(3) Supplito dal L. aUtfui,
4 >
3
alcuni hanno opinióne in loro che questo giuoco fosse
trovato, al tempo della battaglia di Troia ; ma qoesto
non è vero , imperò che da'Caldei venne questo giuoco
a' Greci, sì come dice il Greco Filometer, o vero Dio*
mede (i).
CAPITOLO SECONDO.
Del tromtore del Giuoco degli Scacchi.
Trovatore di questo giuoco e di questa novitade
si fue uno filosafo d'Oriente il quale ebbe nome
Xerses appo i Caldei, et in greco suona a dire Filo-
metor, che tanto è a dire in latino come amatore di
giustizia o di misura. La fama di questo uomo fue
tanto manifesta appo i Greci et appo quegli d'Attenia,
òhe dipo lui molti valenti (ilosafi, et amatori della
scenzra ebbero questi nomi da' loro padri ; però che
fue uomo di tanta iustizia che maggiormente elesse di
morire, che di finire sua vita seguitando (a) infigni-
mento in dilicanze reali , disprezzata la iustizia. Che
vedendo il (Y) filosofo la vita abominevole del Re, e
non essendo veruno ardito di riprenderlo per la cru-
deltà sua la quale egli avea dimostrata (4) in fare
morire gli uomini savi, a priego del popolo, non cu^
rando sua vita, (5) si mise a pericolo di morire, vo-
(i) Qui il L. ha alcpiante righe, che non si trovano volga-
rizzate in Tcruno dei testi, e sono zn qui Inter philosophos primo
famam irUer Graecos accepity et postmodum Alexandrì regis temr
porìbus tam EgipUrnif qucan partes australes orbis fama sua occu-
pavit Quare i^ero sic in modo famosus extiterìt in seguenti tertio
capitulo nos dicemus,
(i) K. figmento di costumi, in delizie di re, S. seguitando i
figmenti e diUcanze reali dispregiare la giustizia. T. vivere nelle
reali delichanze spregiando la justitia.L. morìpotius elìggerit quam
sinudtatem sequens in delictis regaUbus^ spreta JusUtia^vitum^finiret
Forse il traduttore lesse simulationem^ e deUciis; ma certo le parole
del L. danno un senso piuttosto strano; non mette conto il con-
getturare.
Si) Diceva , come anche il R. popolo, corressi secondo il L. e S.
4) A. facendo dare morte;
(5) R. si dispose alla morte.
4
gliendo maggiormente per la iustizta finire sua vita,
che menarla piccolo tempo infamata di sozzi costumi*
Ciò fue simigliantemente , siccome dice Valerio Mas-
simo^ d'uno ch'ebbe nome Teodoro Cireneo, il quale
fue confitto in croce perchè gli era stato ardito di ri-
prendere il Re (() Lisimaco per le sue malvagie et
ingiuste opere; il quale, stando (2) impeso al tor-
mento, disse al Re: A' tuoi Consiglieri imporporati
possa venire questa pena della quale egli hanno paura ;
io per (3) me non fo forza d'infracidare o in basso
o in alto. E volle dire che poco curava di quella
morte (4), pur cV egli morisse innocentemente e per
la iustizia. Leggiamo ancora che Democrito filosafo si
trasse gli occhi per non vedere avere bene a mali
cittadini et iniusti. E di Socrate leggiamo anche, che
andando alla morte, e la moglie dopo di lui pian-
gendo e dicendo , che sanza colpa era condannato, si
che le rispuose e disse : Taci femmina ; pensa che me-
glio m* è morire innocente che (5) morire per colpa*
Et in questo modo il trovatore di questa novitade per
difendere la iustizia si mise alla morte e disprezzò la
vita presente.
CAPITOLO TERZa
Delle tre cagioni del trovamento di questo giuoco.
Le cagioni del trovamento di questo sollazzo si
furono tre : la prima fue per correggere il Re ; la se-
conda si fue per ischifare ozio; la terza per trovare
in molte maniere sottili ragioni.
Intorno alla prima si è da sapere che '1 detto Re,
del quale facemmo ricordo nel primo capitolo, poi
lì\ L. Lisimatum.
(2) Così R. e Cr. alla V. Impeso. S. appiccato. T. languendo
in sul tormento. Il M. leggea, forse per errore, impreso.
(3) Il M. leggea meime. R. a me non fa cavelle perch'io
infracidi o in terra, o in acqua, o in alto. L. mea nihil interest^
R. agg. secondo il L. e del modo del morire.
^ per colpa finire il sezzajo di della mia Tìta.
(4)R.
(5)R.
5
crébbe reduto questo giuoco molti Cavalieri > Baroni
e Capitani giuocare (i) battagliermente col detto filo-
safo , maravigliandosi della bellezza del giuoco e della
novità del (s) non usato sollazzo, (3) vollevi essere pre*
sente , e venneli disiderio d' imparare lo giuoco , e
fermoe di combattere giuocando col detto filosafo; e
rispondendo il filosafo, che il Re non potea cioè farfS,
se prima non pigliasse forma di discepolo, (4) U Re
rispose che ciò era bene cons>enevole \ e disiderando
d'imprenderlo al poséuUo prese in se forma di disce-
poh. Allora il filosafo disegnandoli la forma dello (5)
scacchiere e degli scacchi ,- e i costumi che il Re dee
avere, e quegli che debbano avere i nobili e popolar j^,
e loro offizii, come ne' seguenti capitoli dichiareremo,
rì'l trasse a correaione, et ad (6) inform3ziooe di co-
stumi, e di virtudi. Per la quale cosa udendo la suu
correzione, per la quale già molti Sari avea fatti uc«
cidere, con minaccevole comandamento dimandò il
filosafo per che cagione avea trovato il sopra detto
giuoco. E '1 filosafo rispose :0 Signore mio Re, io de-
sidero la tua Vita che sia gloriosa , la quale non posso
cosi vedere se tu non t'armi di iustizia e di buone
opere o vero costumi, e cosi sie amato dal popolo.
Adunque desidero che tu sie altrimenti fatto in
reggimento; cioè che tu (7) signoreggi in prima te
medesimo y il quale signoreggi gli altri non per forza,
ma per ragione ; però eh' egli è ingiusta cosa che tu
vogli comandare agli altri non potendo tu comandare
{\\ R. S. Cr. battagUevolmente.
(ti) R. disusato.
(3) L. interesse vobiit La traduzione corrisponde male, e dà
Un senso sciocco; perocché, se lo vedeva giocare, certo Vera
presente (benché potrebbe dirsi, che una cosa è il vedere sem-
plicemente, e un'alti*a lo starvi presente a vederlo). Ma il L.
interesse etc. importa tutt' altro, cioè: partecipare al giuoco, es-
sere uno dei giocatori. Bene aggiusta lo S. essendo ti presente. 11
T. presso a poco legge come il M.
(4) Supplito conforme al L. da St e R»
(5) R. tavoliere. L. tabuUerii.
(6) S. informamento.
(7) Suppl. da R. S. e L.
6
a te medesimo, (i) È sì ti stea a mente che gli sfor**
zati comandamenti non possono durare. Questa è dun-
que stata Tuna cagione^ la tua correzione; però che
pazientemente debbono i Re sostenere le correzioni
de' suoi Savi et udire volentieri cotali correttori. Se-
condo che d'Alessandro nari*a Valerio , che alcuno
Cavaliere di Alessandro nobile e di grande opinione
vogliendo correggere che troppe cose desiderava mas-
simamente d'onori, si gli disse: Se i nostri Iddei il
corpo tuo^ lo quale è piccolo, avessono fatto appa-
recchiare alla volontà et al disiderio dell' animo tuo,
tutto il mondo non ti potrebbe comprendere; però
che coir una mano, cioè con la ritta, toccheresti il
Levante, e con l'altra^ cioè con la manca, toccherei
sti il Ponente. Conciosia dunque cosa che il corpo
tuo non risponda all'animo, o tu se' Iddio, o tu se'uo*
mo , o tu se' nulla. Se tu se' Iddio , certo tu dei segui-
tare Iddio, cioè che (2) dei benefizii agli uomini, e
non tolghi loro il suo. Ma se tu se' uomo, or consi-
dera che tu se'mortale, e che verrai meno; e se tu
se'neente, di questo ti ricordi che tu non dimentichi
te medesimo. Ninna cosa è sì ferma che non gli sia
pericolo da cosa non forte. (3)// leone ^ re delle bestie ^
doventa talora pasto de^ minimi uccelH
La seconda cagione di questo trovarne nto si fue
per schifare ozio, del quale dice Seneca a Lucilio:
l'ozio, sanza (4) lettera , è morte e sepoltura dell'uo-
mo vivo. E Varrò dice nelle Sentenzie, che'viandanti
non vanno per andare , e così la vita non è fatta per
vivere , ma perchè si faccia in essa alcuna cosa chia-
ra. E però questo trovatore del presente giuoco non
solamente il trovò per correggere il Re , ma per am-
maestrare di schifare l'ozio (5) e la tristizia j la quale
prende cagione dall'ozio; però che molti hanno usato,
(il R, e siati a mente ima cotanta cosa.
On R. cioè di dare benefizj.
(3i Supplito dal R. secondo il L.
(4) Dicea erroneamente la terra.
(5) Supplito da R. e S.
7
qàando Ja veniurà abbonda trop{>a^ ili darsi ad ozio (i);
e però è bisogno spessa volte che stando l' uomo oeìo-
so^ si oaggia in alcuna follia ; però che di cotale vizia
s' ingenera l' amaritudine dell' animo colla (a) quale si
spegne 1' allegrezza dello spirito y e nel principio della
disperazione la mente si sòv^ertisce in se medesima.
E pero che per questo sollazzo se ne schifa l'ozio e
la tristizia y però per ischifare queste cose fue trovato
questo giuoco dal detto Xerses.
La terza cagione si è perchè ciascuno natura U
mente. desidera di sapere et udire novitadi, (3) onde
si legge degli ateniesi , che studiavano molto in questo y
cioè di sapere e udire alcuna cosa nuova. E perchè
il vedere corporale talora (4) impedisce a pensare
molte cose sottili > però leggiamo noi che Democrito
filosàfo si trasse gli occhi per avere più acuti e pii\
sottili pensieri; però che molti e' hanno torto il ve*
dere o che non veggiano neente cogli occhi del corpo,
sono stati pia acuti in trovare cose sottili e belle. E
ciò si manifesta nella persona d'uno Vescovo d'Ales*
sandria, il quale ebbe nome Didimo ^ che non vidde
neente e si ebbe tanto alto intendimento che fue de-
gno d' avere per discepolo Gregorio Nazzanzieno e Gi-
ronamo Cardinale di Róma , (5) li quali stando sotto
(i) Nel L. qui Ti hanno parole non tradotte dal nostro MS.
ma bensì dal T. che soggiunge: unde de ciò Quintiliano: lor
quando viene la ventura ad ogni desiderio^ allora nassie (sic) otio.
Lo S. poi oltre il non tradurre guasta anche il senso.
(ft) Cui corressi , come volea il senso, e come' ha lo S. Leg-
geasi: col quale.
(3) Supplito da.S. e T. conformemente al L.
?4) B.. ìmpedimentìsce di pensare.
(5) Simile garbuglio è nel R. — i quali cónciossia cosa che
fosseno incominciati già ad essere sotto altri grandi uomini dot-
tori , ad essere dottori degli altri, furono discepoli sotto la scuola
di Didimo d'Alessandria — Il L. qui cum Jam incaepissent esse sub
aUis juris doctoribuSy sub .schpla Didimi Alexandrini incaeperunt
esse di^ipulL Lo & traduce peggio ancora dei due MS* PotreJ>b«
adottarsi la lezione. R. ommettendo le parole: ad essere dottori
degli cdtri. Il T. e quilli da poi foro doctori de altri grandi mai-
stri sotto la Scola de Didimo Vescovo predicto.
8
la scuola a studiare, sotto altri grandi dottori , vieti*
taro d'essere dottori degli altri, stando discepoli di
questo Didimo Vescovo d'Alessandria; per la cui al-^
tezza d' intendimento leggiamo che il grande Antonio
Romito venne a visitare questo Didimo; et in fra T al-
tre parole da consolare sii dimandò se si dolea d'a-
vere perduto }\ vedere degli occhi. E rispondendoli
Didimo; io mi maraviglio se tu non credi ch'io me
ne doglia; Antonio gli rispose: anzi, o padre, mi
maraviglio io che tu ti doglie d' avere perduto questo
che tu avei a comune jcoUe bestie, quando e' ti ricordi
d'avere nella mente quello che tu hai a comune con gli
agnoli. Per questa cosa adunque il truovatore di questo
sollazzo, abbattuto dell'angoscia della morte, (t) uscitosi
di sé, e delle cose da toccare e da sentire fatto di-
mentico, ricolsesi nella mente e truovò giuoco pieno
di svariate ragioni e sànza numero; e per la molti-^
tudine delle ragioni e delle isvariate simiglianze et in-
gegni di battaglie che sono in esso^ fue (2) faunoso
a' combattenti.
TRATTATO SECONDO.
Delle forme degli Scacchi nobili.
Primo capitolo. Della forma del Re e di quelle cose
che si pertengono al Re.
Secondo capitolo. Della forma delia Reina ^ e d^ suoi
costumi.
Terzo capitolo; Delle forme degli Alfini^ e degli oJfizU
e costumi loro. .
Quarto capitolo. De' Camlieri e delV offiùo e de co^
stami loro.
Quinto capitolo. Delle forme de' Rocchi e deVH ojfizio e
de^ costumi loro.
(i) R. uscito quasi fuori del coi^o, e fatto dimentico delle
cose che si possono Tedere e toccare recossi alla mente un gioco
pieno di srariate ragioni. S. è pih conforme al M.
(2) S. famoso combattitore. T. molto famoso tra combattenti.
I* decertantibus famosus fmt
PRIMO CAPITOLO.
Delia forma del Re e de" suoi cosUmL
Il &e ptese cosi folrtna ^ clie dal principio e^ fue
posto in sedia vestito di porpora , lo quale è vesti*
tnento regale, et (i) avea la corona in capo , e nella
mano retta avea la verga reale; nella manca si avea
la palla tonda dell'oro; però che sopra gli altri ha
avuta la dignità. Ciò dimostra la corona del capo,
però che grande gloria del popolo è la dignità del Re.
Ài Re dehhano attendere gli occhi di tutti et ob*
bedire a' suoi comandamenti, et egli infra tutti, anzi
sopra tutti, dee risplendere di virtudi e di grazia; e
ciò dimostra la reale porpora; che siccome il corpo
s' adorna di belli vestimenti , cosi dentro la mente e
l'anima si dee vestire delle virtudi morali, siccome
d'alcuni abiti. Nella manca (2) rapporta la palla ro-
I) R. abiente.
^) R. porta.
tonda, per mostrare.ok" egli ubbia a governare tutto
il Reame , et acciò che si consideri amministratore e
providitor^ p^irauoi vicariì. Ma 'operò che a lui s'a-
pertiene di costringere coloro (i) che non fanno per
amore , nella mano ritta porta la verga della iustizia
e dell'asprezza.
E però che la misericordia e la verità (a) guar-
dano il Re, e fermasi con la iustizia la sedia sua, però
dee risplendere in lui la pietà e la misericordia, della
quale parla Seneca a Nerone Imperadore : A, nulla per-
sona si confà , siccome al Re o a Principe , la pie-
tade e la misericordia; però che chi vuole essere amato
segnoreggi colla mano inferma.
E però dice (3) Valerio che la dolcezza dell'uma-
nità trapassa eziandio i feri ingegni de' Barbari et am-
mollisce i crudeli occhi de' nemici. (4) Pisistrato duca
degli Atteniesi , essendo alcuno giovane preso et in-
fiammato d'amore d'una sua figliuola virgine, avendo
colto luogo e tempo , nel quale la detta donzella pas-
sava per una via insieme con la madre , vegnendo
r uno a petto dell' altro nella detta via , il detto gio-
vane le diede un bascio; per la quale cosa la madre
della fanciulla conturbata molto, avendo richiesto il
Duca, padre della donzella, che des^e la sentenzia del
capo sopra il giovane,. il duca PisistratQ rispvi(>5e ^cp^l
a lei : se coloro che ci amano noi gli uccidiamo, che
faremo noi a coloro che ci hanno in odio? Questa
boce^ che usole dì bocca del Principe, procedette da
radice d'umanitade e di piétade. Et in questo modo
fae paziente della ingiuria che fue fatta alla figliuo^
la sua propia (5)» Ancora questo medesimo Principe
ebbe uno amico che avea aome (6) Arispo, il qua*
(i) S» che non vogliono ubbidire, né servire per amore. L,
^UQS amor non retinet
(2) S. riguardano, L. custodumt, ' .
(3^ Il L. Jegge sti-feinameìite Liherhis.
(4) Il MS. legge in tutti i liloghi FiU&tarco. R. Fisistarcò. Ik
Pissistarcus.
(5) S. aggiunge conforme alL. — e molto. fiiìi. lodevole gli fu
(6) Cioè Trasippo , benché e S. e T. e L. .^b^iano. 4^ispo^
n
le (i) s'accese tanto ad' ira contro lui, et in villane
parole che sputò nel volto al Principe; ma il Prin^
cìpe constrinse in tal modo l' animo e la boce e 1
portamento dell' ira che non penseresti eh' egli a-
vesse ricevuto o udito ingiuria , ma onori di lode.
Anche ritrasse dalla vendetta i suoi figliuoli , (2) vo*
gliendo soccorrere all'ofiesa grande del padre loro.
Ma il seguente die considerando Arispo la colpa la
quale egli avea commessa nel Principe, se mede-
simo di sua volontade volse uccidere. Udendo ciò Pi-
sistrato andossene a lui e dielli fede, e fermògli con
iuramento di rimanere con lui amico (3), come di
prima. E così (4) il ritrasse dal micidio eh' avea pen*
sato di fare di se.
Per iguale modo fue anche (5) mansueto l'animo
del re Pirro , il quale poi eh' ebbe udito che alcuni
Tarentini aveano detto di lui molte cose e (6) sanza
modo da infamare, et avendosi fatti venire tutti
quelli ch'erano suti al convito cominciolli a do-r
mandare s'egli aveano (7) dette cotali cose (8) disor-
revoli. Allora uno di loro rispuose: se'l vino non ci
fosse venuto meno , queste parole che ti sono state
rapportate sarebbono state giuoco appo quelle che noi
avevamo a dire di te. Maraviglia fue , che con si cor-
tese scusa di troppo (9) satollamento , e così semplice
confessamento di veritade l'ira del Re si convertette
in rìso. E però per questo temperamento e pietade gli
seguitò questo, che ritornati i Tarentini in loro buono
(i) S. sì riscaldò tanto di grosse parole con lui.
(2) R. Togliendo i figliuoli suoi vendicarsi dell'offesa maestà
dei padre loro si li trasse ecc.
(3) S. di stare in quello medesimo grado della prima amì-
stade. — • Il Latino di Massimo : in eodem grada anUcitiae mansunun,
(4) R. lo ritrasse da! cominciato omicidio.
Lo S. con grosso errore: manifesto.
(6) Altro Cod. sanza nosfero. L. multa et mirabilia.
Il MS. leggea udite \ corressi col IL S. L.
S. discorrevoli. L. inhonorabilia.
Cosi pure la Gr. a questa voce. S. ebrietade, R. troppo
mangiare.
13
conoscimento rendettero grazia al Re, et essendo ebbri
li mandavano buone (i) ramognie. Veritade sempre
attenda nel cuore e nella bocca ^ et abbia in abomi-
nazione le false labbra, secondo quello che é scritto:
La veritade penserà il (s) gozzo mio, e le mie labbra
avranno in abominio l'uomo empio. Imperò che es-^*
sendo in alcuno modo per ragione dell' ofiizio simi-
gliante a Dio (et esso Iddio si è essa verità), però
sia in lui ogni parola vera , che quello che promette
in tutto attenga. E però dice Valerio Massimo, che
oonciosiaoosachè Alessandro mosso ad ira andasse col-
l'oste sua a furore a (3) distruggere e nabissare una
città che avea nome ^4) Lampsaco, essendone cittadino
uno filosafo detto Anassimenes, il quale era già stato
maestro d'Alessandro, udendo che il Re Alessandro
veniva sì fattamente , uscio dalla città acciò che facesse
preghiera al Re per salvamento della città. La quale
cosa vedendo Alessandro , acciò che non avesse materia
d'esaudire colui che volea domandare, il Re (5) prese
a parlare innanzi al filosafo e giurando disse: Io giuro
per gli Dei, di fare nulla cosa di quelle che tu di*
manderai* Allora il filosafo , attendendo saviamente
il giuramento, si gli rispose: Adunque ti domando
io che la città di Lampsaco, onde io sono natio, (6)
tu la guasti e rovini. La quale domanda attendendo
Alessandro , si racconta che disse : Non dee essere lo
discepolo sopra il maestro ; et in questo modo salvoé
la città. Onde volle anzi lasciare l' ira e '1 male vo-
lere ch'egli avea contra la città, che andare contra
il giuramento. E per questo modo s'acquistoe salva-
mento a una città per lo benefizio d'uno giuramento.
Quintilliano dice , che giurare , (7) se non colà
(i) Istessamente la Cr. a questa voce, ed anche il R. -^ S.
ne dicevano bene. L. bona praecarentur.
(2) S. la mia bocca. L. guttur meum.
R. guastare e mettere in kiiina.
Il MS. Lassaco.
R. SI li entrò innanzi nel parlare.
R. tu la debbi distruggere e dirovinarc.
R. fuori di necessità,
iS
ove fa mestiere, poco si confò a uomo grave ^ cioè
nobile e famoso; però che (i) nella parola^ assai
semplice , del Re o del Principe dee essere più fer-
mezza che nel saramento del mercantante.
Dee ancora avere in abominio 1' empiezza. Ma*-
lageyole cosa mi pare , che '1 pietoso uomo perisda
di ria, morte; et i crudeli uomini leggiamo morti
per crudele tormento. Onde racconta Orosio , che uno
ch'ebbe nome Perillo, grande maestro di rame e dì
metallo, credendosi piacere a uno crudele tiranno
detto Fallaride, il quale guastava una gente che si
chiamavano Agrigentini, e tormentavali per diversi tor-
menti y fece uno toro d' ottone grande , e dal lato uno
usciuolo, laonde vi si mettessero quegli che doveano
essere indicati a morte; acciò che per lo fuoco sotto-
posto ardessero, e da che vi fossero rinchiusi entro,
traendo guai per la pena, non paresse voce d'uomini,
ma di bestie; e per questo il detto Fallaride si mo-
vesse meno a pietade. E quando venne a presentarli
r opera cosi fatta , dono acconcio a crudelezza , lodò
il Re r opera ; ma , (2) dispiacendoli il maestro che
r avea fatta , si gli disse : Primieramente in te rice-
verai e proverai quello che hai presentato a me cru-
dele , tu più crudele. Onde puniò il detto artefice col
suo trovato; però che non è veruna legge più di-
ritta, che quegli che sono artefici di morte periscano
con l'arte loro; ciò dice Ovidio.
Nel Re dee essere iustizia. Or che sono i reami
sanza iustizia, altro che grandi (3) ladronecci? E però
racconta Santo Austino nel libro che fece della città
di Dio , che si era uno che avea nome (4) Dionidés
il quale con una galea (5) molestava il mare pi*-
gliando gli uomini e rubando, il quale faciendo que-
sta iniuria per molti temporali, al Re Alessandro fue
!i) Leggeasi con istorpio di sintassi: la parola.
2) R. Tegnendoli schifo di colui che n* era stato troYatorje»
(3Ì Così pure R. ma S. ladroncellerie, ' ' *
(4) Nome supplito da altri Codici.
(5) &. teaea in briga tutto il mare.
detto. Intendendo ciò Alessandro fece apparecchiare
diverse galee^ e comandando che fosse giunto Dionide^
^, preso che fosse, si gli fosse appresentato^ fatto
ciò, domandò Alessandro Dionide, e disse: Perchè dai
questa briga al mare? Rispose Dìonìde: Per quello,
che tu la dai a tutto il mondo ; ma perchè io fo que-
sto con uno navilio sono chiamato corsale; e per che
tu fai quello medesimo con molte navi se' detto Im-
peradore (i); ma se la ventura (a) inmansuisse verso di
me io sarei migliore. Ma il contrario diviene di te (3);
che quanto tu se' più avventurato > tanto se' peggiore.
Hispaose Alessandro: Et io muterò la ventura^ acciò
che non sia impòsta alla ventura la malìzia tua, (4) ma
ifmeriti.E cosi addivenne che quegli che era in prima
corsale di mare e ladrone^ divenne Principe e maravi-
.glioso amatore della iustizia.
La continenza della carne massimamente dee ave-
re^ e ciò dimostra sola una Reina che li siede dal
lato manco. (5) Credevole cosa è, che quando il Re
riìsplende di buoni costumi^ e di giuste opere ^ i fi*
gliuoli che nascano di lui seguiscano i detti costumi;
-però che non dee il figliuolo tralignare dal padre, ma
considerare che da cui egli ha ricevuta la natura, si
tenga quelli costumi, però che con tra natura fa in
-alcuno modo il Re e ciascuno uomo,quando lascia la
.(i)'S. aggiunge,: perocché la causa: quanto di se non ha dif-
ferenza, se non che è peggior colui che iuTola» che colui .che
per forza toglie palesemente. E più malvagio è colui che più
vilmente la giustizia abbandona, che colui che palesemente
et in aperto la combatte. Le leggi ch'io fuggo, tuie perseguiti:
6 qualunque cosa io onoro e fo riverenza, tu dispregi. La ini-
-quitade della mia fortuna, e la strettezza della mìa casa mi fanno
Jadro: te la superbia intolerabile e l'avarizia che non si può
empire , ti rendono ladro. Di tutto ciò non ha nulla il L.
(2) S. mi venisse mansueta. T. si la ventura doventasse
mansueta verso di mi. .
.. . (3) S. ma perchè tu se' più fortitaiato, se' più mighore. Il M.
è più conforme al L. quanto fortunaiiory tanto deterior.
(A) Nel M. era lacuna suppUta da altri Codici.
(5) R. da credere è.
sua moglie e (i) prcDdé tifi' altra; e negli (j^y ammali
e negU uccelli massimamente si manifesta, dove il
maschio ha cura de^Sgliuoii,' che '1 ^mastio (3) si con-
giugne a una sola ; ciò si dimostra nelle colombe e
nelle passere et in simigliane uccelli , ne' quali si il
mastio , come la femmina nutrisce il suo figliuolo; ma
in quelli che il mastio non nutrica il figliuolo, quello
mastio sanza differenza (4) vae a molte femmine; ciò
si vede nel gallo che non nutrica i pulcini, e però san-
za differenza (5) va a molte galline* Onde perchè l'uo-
mo tra gli altri animali ha grandissima rangola de'fi-
gliuoli nutricare , e lasciarli reda , e d' ornarli , però
contra natura pare che faccia che , «pregiata la mo-
glie , (6) vada ad' un'altra. Di questa contiuenzia narra
Valerio Massimo, che Scipione Africano (cosi chia-
mato perchè vinse Africa , essendo Romano di nasci-
mento) d'età di XXIin. anni^ avendo recata in sua si-
gnoria la città di Cartagine , et avendo ricevuti molti
stadichi 9 in tra' quali essendoli offerta Cina virgine
d' alta bellezza , e di compiuta etade , perchè usasse
di lei suo diletto, il giovane Principe e famoso vin-
citore , poi eh' ebbe saputo eh' ella era disposata a uno
Cartaginese eh' avea nome (7) Indibile della nobilis-
sima gente (8) Geltibeifina, fece chiaìmare i parenti della
fanciulla , él quali rendette la ivir^ne non Goriiotta,e
non toccata; et aricora fece più, cheToto^iheigli era
stato recato (9) per^ ricomperare la fanciulla si Tarrose
alla somma della dote;per làqoafé'Qontin^inzia e' libe^
ralitadé il detto Indibile, sp(^o d^lla fanciulla virgioe,
gli animi di tutti i nobili dèlia sua ^^ute accostò a'Rp»-
mani. E queste cose bastino che sieno dette del fie.
R. per andare .ad altra.
Lcggeasi semplicemente womf/w- corrersi dal R. e S. e X.
' À. sì congiunse carnalmente a una sola.
R. s'accosta a tnóite; '<
S. calca molte galline.
R. intende ad altra.
L. Indebili. S. Indebile. T. Indiblfe. . f
L. gentó Celtiberiat, ' S. Geleàtib^ritti. Il M*- teggea*: Cel-
tSbérìna. • ' •' "''•'- "' ": •■.:■■" •- '' '• • ' • .
(9) I^' P^r ricomperamento. .'i : . .
i5
i6
cABrrbLO secqhoo. .
Ddiajòrma e de* costumi della Beino.
mm^{^mm.iimm(^Wi^(!r(3rmm^
La forma della Belna fue così ordinata; che so-
pra la sedia (i) fue po^ta uaa bella donna con co-
rona in testa^ elvestitnento dorato, e di mantello am-
mantata iisrariato. Dal lato manco è posta la Reina
per li maritali ablnracciamenti; , onde nella Cantica
parla la sposa e dice; La sua mano manca tiene lo
sposo sotto il, capo mio^ e la sua mano retta m'ab-
braccierà.
Et (a) è posta dal lato manco del Re per grazia;
la quale cosa è donata al Re per natura, però che
gli è meglio avere Re per successione di primoge-
nito, (3) che per elezione o per volontà di Principi ;
al L. l
fue allogata.
La traduzione (che è pur la medesima nello S.) è confor-
me al L. benché vi si vegga poco costrutto. U T. non dà lume.
(3) SuppL da S.
però cher spesse volte i Princìpi per diterse cagioDi
che intervengono sì diventano Qi) scordevoli, e (a)
scordansi le volontadi. Bisogno fa o che la le2Ìone
s'indugi, (3) o ch*elli attendendo alle propie utili-
tadi, quando sono sopra eleggere > non eleggono il mi-
gliore o '1 più degno, ma considerano chi può essere
loro più utile. Ma coloro che salgono a reale dignità
per ordine di primogenito conviene che sieno nudriti
in bontà et in costumi et in giuste operazioni, delle
quali cose il padre Re è informato. £ bisogno fa che
i Principi temano di muovere discordia nel reame
quando considerano che vivendo il Re^ il suo primo
figliuolo dee regnare. La Reina fa bisogno che. sia sa •
via, casta, costumata, d'onesti parenti nata, liel nu-
trimento de' figliuoli sollecita. La sua sapienza appare^
non solamente ne' belli portamenti, ma nella parola,
e massimamente quando contra natura di femmine
conserva secretamente le scerete cose nel cuore, e
non le manifesta ad altri; però ch'egli è naturale
cosa delle femmine celare male le scerete cose, (4)
che non le manifesti. Di ciò parla Macrobio nel
libro del Sogno di Scipione , che uno fanciullo di
Roma detto Papiro, essendo una volta col padre
suo, entroe con lui nel Sanato de' Savi di Roma, là
dove ebbe uno secreto consiglio^ lo quale non era
licito di rivelare altrui sotto pena della testa. Quando
il fanciullo tornò a casa, la madre il domandò onde
egli reddia e dove era andato, e'I fanciullo rispuose
che era stato col padre al consiglio de' Sanatori. E
quella disse : or che v' hanno fatto i nostri mag-
giori? Et egli rispuose: non m' è licito di dire quello,
\A S. discordeToli. L. discordes. T. scordcToIi.
21 S. discordansi. .
d) R. o che s'elli eleggono attendono più alle proprie uti-
litadi, e così non eleggono sempre la miglior e più degna per-
sona che sanno,, ma quella che desiderano, e che credano essere
più utile al bene loro.
(4) Queste parole superflue mancano nel R. eS. e T. U L.
per altro, che male si decifra, pare che abbia qualche cosa di
corrispondente.
i8
elle fue fermato per lo consiglio, che non si manife-
stasse sotto pena del capo. Allora la donna più. diside*
rosa fue di sapere il secreto fatto, e brigossi or eoa
losinglie, or con prieghi, orcon minacce e con paure,
di rompere il silenzio del fanciullo, (i) Conciofosse-*
cosachè ella desse molta briga a questo modo al fanciullo,
elU per fuggire dalle mani della madre, e per tenere il
segreto in cuore^ prese a dire uno consiglio d'una leggera
bugìa. Disse dunque ch'era domandato consiglio nel Sa-
nato y se gli era meglio , o che uno avesse due mogli,
o che una avesse due mariti o più. Quando quella
l'udì ammonio il fanciullo che non dicesse il secreto
fatto a persona; ma ella incontanente in secreto il
disse alle altre donne , e tanto andò il fatto innanzi
che tutte le femmine di Roma ebbero questo secreto
come palese; e l'altro di si ragunaro tutte al Sanato
pregandoli , che facessero anzi che una avesse due
mariti, che uno avesse due mogli. E' Sanatori si mara-
yigliaro di tale stemperamento e borbottio delle fem-
mine , (2) e quello che volessono dire non sapeano, e
noi teneano per maraviglia di piccol fatto, però che
(emeano quella carnale pazzia della (3} vergognosa
generazione. Allora il fanciullo Papiro entrando nel
Sanato disse loro , che per paura della morte volendo
scampare dalle mani della madre trovai questa bugia;
acciò che il secreto del consiglio non si potesse pale-
siare. Allora i Sanatori commendarono molto lo'nge-
gno del fanciullo, et ordinare, che nullo fanciullo
da indi innanzi ardisse di andare al consiglio co'pa-
dri loro, escetto Papirio, lo quale vollero che sem-
pre fosse al Sanato presente.
Casta et onesta conviene essere la Reina, acciò
ch^ella, alla qttale è conceduto tanto di grazia in di-
gnitade, sìa essemplo e forma a tutti di vivere ca-
stamente.
(i) Suppl. da R.
(2) R. e che volesse dire quella domandagione, e non l'a-
Teano per segnale di piccolo fatto.
(3) S. del Tergognoso sesso femminile. L. verecundi sexus.
... '9
Onde racconta Santo Gerolamo contra Gioviniano^
che Duello nobile Romano, (il quale fue il primo uo-
mo che avesse vittoria a Roma per battaglia di navi,
e ch'ebbe il triunfo de' nemici) tolse per moglie una
Tergine ch^ebbe nome (i) Ilia, la quale fue donna
di tanta castità, che a quel tempo, che la (a) carnalità
era anzi maraviglia, che vizio^ ella (3) fue essemplo
a chi volesse vivere castamente. Questo Duelio già
vecchio e tremante del corpo s'udìe rimproverare in
uno luogo dal nimico suo, che gli putia la bocca; si
che quando fue tornato a casa molto tristo ramari-
candosene alla moglie^ perch'ella non glie l'avea
detto, acciò che desse medicina, a quello vizio, ella
rispose e disse: io l'avrei fatto volentieri s'io non
avessi creduto che a tutti gli uomini putisse cosi la
bocca. Sì che in due cose fu da lodare la nobile e
casta femmina , cioè in non sapere il vizio del ma-
rito , et in sostenerlo pazientemente ; e che il marito
seppe prima la sciagura del suo corpo per lo rimpro-
verio del nimico , che (4) per fastidio, che ne venisse
alla moglie.
Una vedova eh' ebbe nome (5) Aninia (6) essendo
confortata da uno suo prossimano ch'ella si rimari-
tasse, allegandole buone ragioni, si dell'età perfetta,
si della bellezza del corpo y e spezialmente della fac-
cia I quella rispose cosi : non ne farò nulla , perciò
che s' io trovassi uno buono marito come io ebbi
di prima , sì temerei di perderlo ; ma se fosse rio ,
che bisogno mi fa di sostenerlo, il pessimo dopo il
buono? Onde io m' ho pensato di mantenere innanzi
castità per lo meglio.
^i^ L. TuUa anche S. Ilia.
(2) S. e T. contìnenzia. Grande storpiol
]ó\ R. doTentò.
?4) B. per fastidio della mogli^.
(5^ L. Arma, S. Ànigiia.
(6) R. essendo ammonita da uno suo parente , eh' ella H mat*
rìtasse, allegandole ch'ella avea Tetade intera e la faccia (cioè
la bellezza) buona, quella ec. L. allegans aetatan iniegmm et fa-
cientf idcst pulcritudinem^ bonam*
20
Narra Santo Austino nel libro della città di Dio,
che fue in Roma una eh' ebbe nome Lucrezia gentilissi-
ma donna, si di buoni costumi ^ come di parentado ,
il cui marito vdetto GoUatino invitóe una volta Sesto y
il figliuolo di Tarquinio Superbo Imperadore di Roma >
a vedere uno suo castello che si chiamava CoUazio; (i)
il quale poi che fae andato là colui , comunque an-*
davano veggendo dentro la casa, il detto Sesto veg«
gendo sedere Lucrezia , la moglie del signore del
Castello 9 tra V altre donne molto nobili, inconta,-
uènte fue preso di lei. E conciosiacosach'egli conver-
tisse r animo suo a lei , e ripensasse nella mente i
costumi , e (2) ì belli reggimeuti del corpo, e la ma-
turi tade di Lucrezia , (3) tratto dalla sua molta bel-
lezza , fu preso di (4) mal' amore carnale. Et osser-
vato eh' ebbe tempo , quando il Re non era in Roma,
e '1 marito di lei^ cioè Collatino , era andato neiroste,
Sesto il figliuolo del Re^ prese sua compagnia et an-
donne al detto castello Collazio con sua brigata là
dove era Lucrezia moglie di Collatino signore del ca-
stello ; et essendovi ricevuto onorevolmente, e venuto
il tempo nel quale gli uomini si sogliono riposare la
notte ^ essendo apparecchiato tutto il fornimento per
Jo figliuolo del Re, come si faceva alla sua grandezza,
quegli non come forestiere^ ma come nemico, consi-
derato ch'ebbe prima il luogo dove Lucrezia dormiva,
quando ogni cosa era già assicurata e tutti erano ad-
dormentati, entróe celatamente nella camera di Lu«
creala , e ponendo la mano manca in sul petto di co-
lei, col coltello nella mano ritta, si gli disse: Non fare
motto Lucrezia: io sono Sesto figliuolo di Tarquinio
Superbo; io abbo ferro in mano; se tu farai motto tu
morrai. Quella per lo sonno stupidita si tacéttè; al-
lora quegli si sforzava, or con grandi impromesse, or
(i) L. qid cum fidsset i^rgressus ibidem vidit Lucretiam inter
multas nobiles matronas residentem. Forse invece di coivi va letto:
^ùon lui,
(2) R. i portaimenti. L. gestus.
(3) R, toccato dalla troppo (sic) bellezza di lei.
• (4) Leggeasi erroneamente: mala morte; corressi con S. L. R,
21
con paure, or con minacce d'inchinare l'animo di
colei a consentimento Quando quegli vidde che tro-
vava Tanimo suo duro come marmo, si le disse que-
ste altre parole: Or vedi Lucrezia, se tu non mi vuoli
acconsentire faretti questo, ch'io prenderò il fante
tuo et (i) ignudo il metterò qui nel letto con teco,
e poi a te e lui segherò le vene , acciò che (a) corra
la voce per tutto il mondo che Lucrezia per avol-
terio che fue trovata commettere col servo suo sia
stata uccisa (3) di coltello. Allora quella temen-
do cotale infamazione , constretta in questa manie-
ra, si li consentio. Poi che'l figliuolo del Re ebbe
vinto la castità di Lucrezia si partio quindi. El se-
guente die quella fece sue lettere, e mandonne uua
al marito et un'altra a' fratelli et al padre, et una ne
mandò a Bruto proconsolo di Roma, il quale era nepote
del detto Tarquinio; per le quali lettere mandò dicendo
che sanza dìmoranza venissero a lei* Quando furono
tutti venuti, quella parlò e disse : Il figliuolo del Re
Tarquinio Superbo, cioè Sesto, entrò ieri in casa mia (4)
si come nemico in vece di forestiere; et a te CoUa^
tino sia conto che^l letto tuo è vituperato per altro
uomo (5); bene ti dico cotanto che'l corpo è cor-
rotto, ma l'animo è sanza colpa: laonde io mi pre-
sciolgo dalla colpa , ma dalla pena non mi dilibero.:
Colui che l'ha fatto, pogniamo che lo facesse in mio
danoaggio, e' ritornerà in suo, se voi siete uomini;
et acciò che neuno viva meno che castamente , al-
l' esemplo di Lucrezia , se vole prendere esemplo della
colpa, non sìa negligente a prendere esemplo della
pena, E però trasse fori il coltello ch'ella tenea (6)
^i^ R. ìgnudenato.
(a) R. scorrà la nominanza per lo mondo, che ogni uomo
sappia che Lucrezia sia morta a ghiado per lo peccato ch'ella
commise coi fante suo.
(3) Leggeasi per errore d'amanuense et coltello. Può andie
sostitmrvisi : a cobello.
(4) S. nimichevolmente.
(5) R. aggiunge conforme al L. — et hawi lasciate le vesti-
gie sue.
(6) R. appiattato.
nascosto sotto il yestimento, e se medesima trapassò
con esso, e cadde morta. Allora Brato, e'I marito, e'I
padre ^ e i fratelli, e tutti gli amici ch'erano presenti
presoro il coltello con che ella s'uccise, e giurarono
per lo sangue di Lucrezia di mai non cessare infino
a tanto che non avessono cacciato di Roma la schiatta
di Tarquinio, e di mai non lasciare regnare veruno
di quella schiatta. Onde intervenne che recando il
corpo della morta in Roma, (i) commossoro si la
terra a remore, che Tarquinio fue constretto d'essere
isbandito di Roma, e fue mandato (2) ad Ardona, la
quale è appo i Gabbi, « col coltello uccisono Sesto
il quale avea fatto quella male.
La Reina dee avere costumi maturi , acciò che
in lei sia ogni timore e vergogna ; però che quando
la femmina ha perduta la vergogna incontanente perde
la castità con essa. Onde dice Simmaco : Coloro che
hanno la mente onesta hanno la fronte (3) vergo-
gnosa. E Santo Ambrogio disse : In essa bellezza del
corpo rispleude più la vergogna ; sopra tutte le. altre
cose rende amabile la femmina , il vergognoso e mode**
sto isguardo ; la quale vergogna avegnadiochè sia lodata
neir uomo , tuttavolta più risplende nella femmina.
Racconta Seneca d' una eh' ebbe nome (4) Arce*
silla^ la quale fue di tanta vergogna, che ad uno suo
amico (5) povero et infingardo , il quale era infermo
e non ne dicea nulla, di celato e nascosamente li
pose sotto il (6) capezzale uno (7) sacchetto di denari ,
e (8) non s' adiede per la vergogna di dirli che! to-
R. mossero tanta conturbanza nel popolo.
L. apud Arcbuun. S. ad Arduna. T. ad Ardua.
L. mbeciUa,
L. Artisilla. T. Artixilla. S. Artesilia.
R. e ricoprente la povertà. L. pauperUUem dissimulaniL
R. piumaccio. L. phiviari.
(7) Dicea: saghetto ; quésto scambio di lettere mi parve troppo
strano.
(8) R. non essendo ardito per vergogna ch'egli il togliesse.
L. non attentans. // Tassoni Armot Crusc, alia f^. Infingardo ciVtt
questo esempio e legge per appunto come il M.
a3
gliesse^ (t) disiderando pitk d'avere trovato povero, che
d' avere rìcevato povero ; perchè alcuna volta quegli
che (3) ha avuto è da iuganoare acciò che abbia ^ e
non sappia da cui abbia avuto; però che le cose (3)
parlerauQO , tacendo noi.
Da scegliere è che 1^ moglie sia nata d'onesti
parenti; però che più delle volte le femmine segui-
tano i costumi di quelle femmine laonde sono ritratte^
Onde si dice d'alcuno che volendo prendere mo^-
glie andonne a diiedere consiglio ad uno filosafo
chente la dovesse tórre; et il filosafo gli disse: Togli
per moglie colei la cui madre et avola tu sappi che
sìeno state caste; però che cotale penso che debbia
essere la figliuola^ chente conobbi la madre.
Ammaestrare (4) dee le figliuole, et in tutta
castità mantenere y secondo che dice l' Ecclesiastico :
Se hai figliuoli ammaestrali : Se hai figliuole guarda
il corpo loro. Dice (5) Elmando, che necessaria
cosa è al Principe la scienza della lettera ; al quale
tutto di è comandato di leggere la legge del Signo*
re; (6) e ciò è che nelle lettere che il Re de' Ro-
mani si dice che mandava al Re di Francia confor*
(i) L. desiderans magis pauperem insanisse qtsam dccepisse.
Lo S. è pid conforme : — • piti desiderando che lui credesse d' a-
yergli trovati, che d'averli ricevuti. -^ Il T. svaria da tutti: ~
desiderando d' essere più contenta de averlo trovato povero, e de
averlo data (5ic), che avere ricevuto.
(1) Forse ha ajutOj poiché il L. juvatur. S. eh' è atato.— - Ha
avuto può stare y valendo: ha ricevuto. Il T. manca di questo
memhretto.
parlano. L. loqtdtur.'
La reina dee ammaestrare i figliuoli e le figliuole.
Eiimclndro. S* Helinado. L. Elintander. T. EUmado. G.
1641* Elimado.
(6) S. e questo è quel che si legge che il Re de' Romani
scriveva nelle lettere al Re di Frauda ecc. £t infra ¥ altre parole
gli mandò cosi dicendo. Forse nel M. il che sta per quello che ; ^
y. Elenco. La parola che intralcia la sintassi è U pronome; que-
sto; che' certo non h nel h: hoc est quod in Uteris quas regem
Bomanorum misisse legitur ad regem Franchorum, ortans eum
ecG. adjecit intcikr estera T. e ciò é che nelle lettere (ecc. infia
l'altre parole vi giunse questa.
24
tandolo che facesse ammaestrare li saoì figliaoU (i)
in scienze di lettere , fra V altre parole yi disse que-
sto : Il Re che non è alletterato è come (a) immagine
incoronata. Ottaviano Imperadore fece insegnare a' fi-
gliuoli suoi notare , saltare , armeggiare , (3) bale-
strare ^ e tutto ciò che si pertiene a cavalleria; e co-
mandò che fossero ammaestrate le figliuole di cuscire,
e tagliare^ e tessere^ e tutto ciò che si fa a femmina
di sapere d'arte di lino, e di seta , e di lana. Etes-
sendo domandato da alquanti più cari suoi amici per
quale cagione ciò facesse, dicesi che rispuóse cosi:
conciosiacosa (4) oggi sia ricco, domane potre' ve-
nire in strema povertade; e però se sapranno fare al-
cuna arte, si potranno menare la vita loro orrevol-
mente.
In tutta castità sono da conservare le figliuole.
Noi leggiamo che (5) alcune solamente per sapersi
munteaere vergini sono state degne d^ essere Reine.
Onde narra Pauk) che scrive de' Longobardi , che (6}
nel mercato di Giulio fue una Duchessa chiamata (7}
Rosinelda la quale ebbe quattro figliuoli e due fi-
gliuole , la qliale essendo in (8) uno castello che
si dice Civita, assediata da (9) Cacano Re degli Un-
gari , bellissimo del corpo, fu presa d'amore di lui e
mandolli a dire segretamente , che s' egli la volesse
tórre per moglie, si li darebbe il castello, et il Re
Ì)romise di farlo ^ fermando ciò con saramento. Ai-
ora fece aprire il castello, e gli Ungari s* andaro iscor-
n
S. in scienza delle sette arti.
^ L. asinus incoronatus. S. e T. asino.
f3i Anche S. balestrare. R. saettare.
(4) S. più conforme al L. sia oggi signore di tutto 1 mondo,
non so se i miei figliuoli -verranno ecc.
(5) Supplito da S. T. e L.
(6) Così anche S. R. nella corte.
S. Rosnelda. L. Rosmilda. T. Rosmalda.
L. Citaiensem castrum.
(9) S. Gaccano. L. Caucanem. R. dal Re delli Ungari, i quali
fion detti Àvarì, e i figliuoli, e le figliuole con lei insieme, ella
salendo in sulle mura per vedere Toste che ivi era, ecc. piU
conforme al L.
a5
rendo , pigliando gli uomini e femmine. E' figliuoli di
lei si misono a fuggire; e'I minore di loro, il quale
ebbe nome (i) Crimoaldo , fue poi Duca di/ Bene-
vento e poi fue Re de' Longobardi ; e le due figliuole
di costei tolsono la carne (2) del pollo e miseria
sotto le mammelle loro, acciò che riscaldandosi la
detta carne del pollo per lo caldo delle mammelle ,
si ne venisse puzzo, et in questo modo fossono la-
sciate stare e non perdessono la loro virginitade. Quan-
do gli Ungari (3) andavano ad esse^ sentendo molto .
puzzo, si le abbandonavano e diceano tra loro: deh
come viene grande puzzo di queste Longobarde! E
Tuna di loro fue poi Reina di Francia, e l'altra fue
Reina della Magna. Et il Re Cacano, vogliendo atte-
nere la impromessa ^ 9Ì tolse per moglie la detta Ro-
sinelda, et una sola notte (4) giacque con lei, e l'al-
tro die la diede in mano di XU Uugari per vitupe-
rarla; e'I terzo die fece ficcare uno palo di legno
per la natura e ^5) rispicciare insino alla gola , cosi
dicendo : a cotale moglie lussuriosa , che per concupi-
scenza di peccato carnale tradette la terra sua , si
confà d' avere cotale marito. E queste cose bastino es-
sere dette della Reina.
transjfigì
L. Cirimaldus. S. Grimaldo.
'2) S. de' pulcini. L. puUorum.
ó\ R. s'approssimaro.
4) B.. giacipie'con lei matrìmonialmenfe. :
(5) S. riuscire. L. eam per naturam fidi mque ad guhin
26
CAPITOLO TERZO.
Della forma e delC uffizio degli Rifinì, che sono giudici
et assessori nel Reame.
Da sapere è che gli Alfini farono formati a mo-
do di giudici assessori in (i) cattedra col libro aperto
dinanzi a gli occhi; e per che alcuni piati sonò di
criminale, alcuni sono di possessione, e di quistioni
di cose temporali (2) , però fu bisogno , che dna giudici
fusseno nel reame j uno al/ino nel bianco, e l* altro
nel nero; e V uno fisse oppiati civili^ e t altro a piati,
criminali. L' offizio di costoro si è di consigliare il
Re, di comporre le leggi per comandamento del Re,
e di informare di costumi tutto il Reame , di nutrire
insti piati, di sentenziare secondo le allegagióni, dare
(i) Leggeadi cafiera. La stessa storpiatura^ od arcaismo che
sia traveremo in idiro luogo*
(1) Supplito da S. conforme alla.
a?
buoni consigli diritti et eguali a coloro che gli addo*
mandano, sanza accettamento di persone; (i) ìnten*
dere la contemplazione delle scienze; acciò che quello
che gli altri adoperano con mano, egli nella loro
mente, e col loro senno dispongano et ordinino. Dee
il giudice essere fermo e constante, che non si cor-
rompa né per pecunia , né (2) per invidia, né per
parentado. Quanto al primo dice Seneca nel libro
de* benefizii , che pia era potente Diogenes che noa
era Alessandro, (3) il quale possedea tutte le cose;
perchè più era quello che Diogenes non volea tórre,
che quello che Alessandro potesse dare. Dice anche
che Marco Curzio dì gentile nome Romano^ (4) con-
ciòfossecosach'egli assediasse i Sanniti, cioè i Be-
neventani^ et eglino avessono udito ch'egli era po«
vero delle cose del mondo , si gli portaro uno grande
peso d'oro, e (5) trovandolo nel campo a cena et
usare vasella di legno non dorate quando mangiava ,
pensando che fosse povero e volesse diventare ricco,
si gli dissero: ecco il dono che ti recano i Beneven-
tani e domandanti che ti levi dall'assedio; acquali
egli rispuose così : direte a' Beneventani , che Marco
Curzio vuole anzi segnoreggiare li ricchi, ch'essere
ricco. E si y'istea a mente di lui ^ che non potrebbe
essere vinto né per schiera (6) di Cavalieri , né cor-
rotto per moneta. (7) Rio fine ha quella cosa che si
dee compiere per virtude e per merito , quando (8)
(i) R. anco hanno a contemplare la sentenza, aedo che eoe.
S. intendere dee a contemplar;ef nelle scienze.
(2) R. né per lividore d'mvidia, né per generazione di pa-
rentado. L. €ttit livore invidia ^ aut camis origine.
possedente.
avendo messo l'assedio ai Beneventani,
trovandolo nel castello del legname sedere alla cena
e uscire vassellamento di legno e non d'oro nelle sue vivande,
pensando di lui, conciossiacosaché fosse povero, elli volesse do-
Tentare ricco ecc. S. trovandolo nel campo sedere e cepare in
Tasi di legname sue vivande ecc.
(6) R. d'oste.
(7Ì S. a mal termine é. L. malum exitum habet
(8) Così anche R. e L. attemperatur. Ma S. stranamente: quando
è tentata. Nel T. manca questo membretto. «
si tempera con la pecunia. Racconta (i) Elmando che
quando Demostenes domandò (2) Arislodiuo truova*
tore delle favole, quanto fosse stato meritato di quella
opera ^ dicendo che n' avea ricevuto (3) Aristodiuo
uno talento d' oro , disse allora Demostenes : più sono
stato meritato io per lo tacere. La lingua de' giudici
de' piati è in questo modo (4) acconciata a fare danno
altrui nell'allegazioni (5), se tu non la leghi, come
si suole dire, con funi d' ariento; et ancora gli ay-
yocati et i procuratori (6) vendono il loro tacere.
Racconta Valerio, che essendo nel consiglio de' Sana-
tori di Roma una quistione di due iudici , (7) i quali
l'uno era povero, e l'altro era ricco ma avaro, quale
' di costoro fosse migliore a mandare a reggere et a
giudicare la Spagna; Scipione Emiliano si dice che
rispuose così : niuno di costoro mi pare da mandare;
E ero che l'uno non ha nulla, et all'altro non (ti)
asterebbe veruna cosa; riprovando igualmente ne' giu-
dici la povertade , e l'avarizia; però che 1* avaro ezian-
dio della medaglia abbisogna , conciossiacosach' elli
della pecunia sia servo e non signore. La povertà di
volontà è molto acconcia a giudicio; e però leggia-
mo noi, mentre eh' e' Romani amarono la povertade,
in ogni luogo di mondo ebbero la segnoria. Leggiamo
anche di molti Romani i quali (9) furono sopra la re-
pubblica, che furono si poveri (io) nascosamente, che
fi| S. Elinado. L EUSmander. T. EUmado.
(a) S. Aristodimo. L Aristodunum. T. Aiistos summo trova-
tore de fuole {sic).
(3) Questo nome sembra fuor di luogo ^ e me^o sarebbe: di-
cendo Arìstodino che n'ayea ecc.
(4) S. è molto danneTole. Qui il L. non si può al tutto de^
cifrare; tranne queste parole dì senso opposto alla traduzione: ubi
eam ut dici solet, funibus argenteìs vincas. // T. poi omette in--
teramente il periodo.
(5) Da S. eh.
{6f R. fanno Tcndereccio. Questa voce e anche nello S.
Forse: dei quali. Ma vedi Elenco. S. che l'uno ecc.
S. di nulla cosa ha assai.
R. che soprastettero alla Camera del comune.
(io) Il L. pauperes in privatis rebus. E perciò mrgUo lo S.
e T. poveri delle cose private.
«9
convenne che alla loro morte si facessoro (i) le spese
loro della pecunia del comune, e le loro figliuole fu«
rono maritate dell'avere del comune per comanda-
mento de' Sanatori (2). Ma poi ch'e' Romani sprezzare
la povertade e cominciarono a disidera re ricchezze, ^
nacquero tra loro battaglie dentro , laonde n' uscirono
diversi peccati. Onde Santo Austino dice: Nullo peccata
è dilungato^ da poi che la povertà de' Romani è pe*
rita : ma non è (3) mai maggiore animo che quello che
pone dall' uno lato le cose (4) altrui non volendole,
et (5) hassi fatta pace del non temere nulla, et hassi
fatte ricchezze non possedere neente. Dice Valerio, che
fa altrui ricco non molto possedere, ma poco disiderare.
Attendano ancora gli giudici a non moversi (6)
a giudicare per amore privato o per odio , però che
ogni amore è cieco. E però dice Teofrasto questa sen^
tenzìa : che i giudicii degli amanti sono ciechi ; onde
perchè ciascuno uomo s' ama sopra tutti gli altri ,
però erra piuttosto in sentenziare se medesimo; però
che V amore privato fortemente accieca la mente*
Racconta Quinto Curzio nel primo libro , che (7)60-
dares mago disse ad Alessandro: La natura de'mor*
tali in questo puoté essere detta perversa e man-
chevole, che (8) ciascuno è più pigro nel suo fatto,
che nell'altrui. Debbono i giudici cacciare da se l'ira
quando giudicano; onde dice Tullio, che (9) l'uomo
adirato la follia crede che sia consiglio. E Scorate
dice, che due cose massimamente sono contrarie al
(i) S. le spese della sepoltura.
(2) Qui lo S. aggiunge una filza di nomi propry che non sono
in verun de* testi ^ e ne manco nel L.
(3) R. uncpic mai.
(4) R. straniere.
(5) R. t't ha fatto pace a se del neente temere. S. et ha fatta
pace a se nulla cosa temendo. h,fecit sibi pacem nihil timendi
(6) R. al giudicamento ch'elfino hanno a fare.
(7Ì S. Gerades. L. Godares. Curzio, s. vii. e. 4- Cobares.
(8) R. catuno.
(9) Jstessamente legge la Cr. alla V. Follia ; mentre lo S;
ss'aria assai.
3o
consiglio, cioè fretta et ira. B (i) Gualtieri dice ia
Alessaodrie : Se ti viene a mano lite, essendo te iu*
dice , dirizza la bilancia del giudicio ; non ti pieghi
r amore; non ti tocchino i (2) doni; non muova la
tua stabile mente (3) il piacere della persona. Rac-
conta (4) El mando, che Cambise Re di Persia fue
tanto crudele , che (5) vivo fece scorticare uno indice
non iusto, il quale per odio, e per (6) lividezza
d'animo avea condannato ingiustamente uno suo ne-
mico, e sopra sedia iudicale coperta del cuoio della
carne del detto indice (7) Jece sedere il figliuolo del
mudice^ acciò che temesse di giudicare iniustamente
avendo orrore della pena, e del giudicio del padre,
e mantenesse la iustizia con iguale bilancia. Punisca-
no (8) altresì ì loro parenti come gli altri , acciò clie
patiscano quella legge ne suoi , per la quale danno
sentenzia contra gli altri. Onde dice Cato: Patisci tu la
legge la quale hai rapportata. Racconta Valerio , che
Zeleuco consolo (9), essendo il figliuolo condannato
per avolterio a perdere ambo gli occhi, (10) contra-
standone di ciò tutto il Sana^to alcuno tempo per onore
del padre , acciò che non si facesse cotale iustizia, fi-
nalmente vinto per priego del popolo, acciò che la
jegge- da se fatta non si corrompesse, trasse a se pri-
ma uno degli occhi, e poi ne fece trarre un'altro al
(i) Dovrebbe dire: in Alessandreida , iole essendo il tìtolo del
poema di Gualtieri, Fiammingo, vessiUo al principio del secolo XI JI.
JUa errano vie piìi lo S. Gualtieri, Alessandrida dice; ed il L. che
ha: Gualterius Alexandria.
Ì2) R. donamenti.
3) S. lo acceptamento. L. persona acceptio.
(4) S. Elinado. L. EUmander.
(5) R. scorticare vivo vivo.
(6) Così anche Cr. a questa voce, S. lividore.
M Sappi, da altro cod. Jl T. legge sentare, per sedere.
(8) S. ugualmente. ^ ; ,
(9) R. essendo compreso in avolteno uno suo figliuolo, e pw
questo essendo condannato che dovesse perdere ecc.
(io) L. tota civitas ne hoc juditìumfieret repugnasset S. contri-
standosene tutta la città. R. tutta la città per onor del padre
contrastette alquanto tempo che non si facesse questo gmdicio.
3i
figlìaolo , e così rimase a ciascuno Fuso del vedere.
Leggiamo d'uno consolo di Roma, che avea .fatta
legge che fosse condannato a morte chi con ferro cen-
trasse nel Sanato, (i) et elli, per abbattimento, vegnendo
di sua yilla subitamente fue chiamato nella via c:he
andasse in Sanato, il quale dimenticandosi di levarsi
il coltello dallato sì ne fue corretto da quegli che gli
sedea dallato. Allora il detto consolo^ trasse fuori il
coltello, o spada che fosse ^ che n'era cinto con efisa,
et uccise se medesimo dinanzi a tutti; laonde il Sa«>
nato ne fue troppo dolente. (2) Ma molto è da lodare
oggi di molte cittadi e di molti giudici che fanno
quello che disse (3) Anacario ; che disse, che le le^ggi
erano fatte simigìianti a (4) ragnateli. Come noi veg*
giamo , quando alcuno animale più potente che .ra-
gnolo passa per la tela sua , si ne passa sanza danno;
ma i più deboli , come sono i moscherelli , sì ne ri-
mangono presi e morti. Et in questo modo (5) sono
constretti i meni possenti, e i. popolari minuti: mai
grandi et i più poderosi non vi sono tenuti. E jjerò
di ciò nascono le battaglie tra' cittadini , e le (6) di-
scordie (7) degli animi tra' grandi e popolari. Nascono
eziamdio le segnorie isfprzate de' maggiorenti ; e' po-
veri gentili si mettono a rubare et a (8) tórre del-
l'altrui per qualunque modo, e (9) richeggiono di ser-
vigi cpns tre tti. E non è da maravigliare, che, 4^ poi
(t) R. per avrenimento. L. casu.
(2) S. ma guai oggi a molti cittadini et a molti giudici. I*^ Heu
hodie multce civitates et judici illud faciunt quod etc.
(3) S. Ànaccarìo. L. Anacharius,
(4) B.. tele de' ragnoli ; che secondamente che elli lassaiab an*
dar Tia li animali più gi^andi e più possenti di loro , ma t più
deboli y come i moscarelli , ecc. Nel M. pare che innanzi ql bome
W manchi un poiché , o simile j il L. nam.
(5) Qui manca: dalle leggi , o cosa simile.
(6) S. sconcordia.
(7) Così pure lo S. ma dovrebbe dire: degli amici, li. ami"
corum, . '.
(8) S. fare ladroncellerie.
(9) S. e costretti riclnegon servigi. L. requiruntur coacta ser»
vitia.
I
Sa
che il timore di Dio non gli tiene^ e (i) la pena della
legge civile non li punisce, si convieae pure che scor-<
ramo a fare ogni male che possono: ma quando la
legge cOQstringe crudelmente (s) per pena le follie
e' mali che commettono i possenti, incontanente Tas-
seinplo di ciò gastiga i pia bassi. Dee intendere il
giudice a contemplare et ad (3) eleggere le scrit-
ture ; e s* e' maestri della pietra e del legname si glo-
riano di tener fuori molti belli lavori ; e s' e' lavora-
tore della terra si vantano d'essere utili al mondo,
pure questi giudici , che contemplano così, adoperano
e fonno pia di tutti costoro. Oi^de (4) dice Seneca :
Credimi, che coloro che non pare che facciano nulla
fanno le maggiori cose, (5) e trattano insieme V umane
e le divine cose; e però tra gli artefici non ha ve-
runo piacevole riposo, se non (6) come la ragione
de' giudici ha composto. E però dice Agellio nel li^
bro delle notti Attiche , parlando di Socrate , dice di
lui, che usava alcuna volta stare si pensoso , che per
uno die naturale, (7) dalla mattina infino all'altra
die levato il sole , stava cosi fiso in piedi fermi , con
gli occhi, e con la bocca dirizzati in uno medesimo
luogo come fosse levato con la mente e con l'animo
dal corpo; et essendo domandato a che cosa fosse
stato inteso: (8) Cosa mondana, disse; che s'immagi-
nava d' esser abitante e cittadino di tutto il mondo.
Racconta Valerio, che (g) Chamades( io) faticoso
li) R. e la legge per sua pena pronunziata non li punisce.
fai Ledasi: per penali follie córressi dietro S. e L.
(3J Forse: leggere. L. leciiora scripturarum,
iSS Così anche lo S. e T; ma L. dicìt sententia. '
(5) Da S. secondo il L.
16) S. quello' che. L. quod, ,
(7Ì S. dalla levata del dì.
(o) L. Mundanum inqidt S. Al mondo; che pensavo ecc. Que^
sto pezzo h tratto da Aulo Gellio a. i. sino alle parole: dal cor-
po; ^ iS A avanti da Cicer. Tusc. 5. 37. e nota che male inten-
dendo il traduttore la voce cujatem scambiolla in : cui attentum.
fg) L. S. Cameades.
ic -
io)S. savio e di contìnua fatica. R. che si dava a continua fatica
di pensare alle scienzie» T. faticoso e cotidiano savio. L. diuturnus.
33
e cutidiano Savio y sedendo a mensa si ^daya a tanti
pensieri che (i) si dimenticava di porre la mano in
sul cibo: ma la moglie, che avea nome (2) Melisia,
la quale egli avea tolta più per Compagna di vita^che
per congiungimento di carne (3) temperandola fra
gli studii y per offizio di soccorrere alla fame , sì gli
acconciava la mano ritta all'uso della sua necessità „
acciò che 1' uomo nobile e savio non perisse per fame.
Onde leggiamo che Didimo disse ad Alessandro: Non
siamo noi abitanti di questo mondo, ma (4) fore-
stieri; né non siamo in tale modo venuti sopra la
terra , che vi ci piaccia lo stallo , ma (5) il passare;
però che non tocchiamo alcuna cosa sozza, come quelli
che andiamo con la monda faccia della coscenza, ac-
ciò che spediti e leggieri (6) corriamo lo spazio del
proposto viaggio. E questo cotanto basti che sia detto
de' Giudici y ovvero degli Alfini.
h) IL li ttsdra di mente di porre la. mano al cibo.
ìiS S. Melisa. T. Millissa. L. MeìUsscL
(3) L. temperato inter studia: ma f^ofenò ^egge; temperato
animo ecc. S. temperandolo col studiare.
Ì4) S. awenitizj.
5) R. -
il passatempo.
(6) Dkea corranoi acconciai secondo S. e L.
3
34
CAPITOU) QUARTO.
Deìt offizio e della forma de'CavaUerì.
^iÌiZi4.i4.iJLi'l('^('fCr
Bfc)»^)»»I^)^)P^ìVi^iV^^)^^^'-■v"l^^F^FP^^
Lo Cavaliere (i) posto a cavallo ornato di tutte ar-
me è formato in questo modo, ch'egli ebbe in capo
r elmo d' acciajo ; la* lancia in mano ritta ; e lo scudo
lo copria dalla mano manca ; la spada e la mazza del
ferro dalla detta mano > e '1 coltello dalla mano ritta ;
la panziera in dosso; (2) le corazze al petto; (3) i
jgamberoli in gamba ; (4) i cosciali nelle coscie ; li
sproni in piede; et in ambe le mani (5) i guanti del
cavi
(ij IL' La forma del Gayaliere si è questa; che stia in sul
allo ornato di tutte armi, col cappello dell' acciajo in capo ecc.
h^S S. le corazzine. L. plectas in pectore.
i3i S. le gamberuole. T. le gambere in gamba.
(4) B.- cosciali di ferro in gambe.
(5) R. guanti d' acciajo e bracciali d' acciajo ad ambe le brac-
cia , maniche mozze d' acciajo sopra i bracciali, gorgermo (sic).
d' acciajo alla gola. Il buono cavallo sotto, se ammaestrato é, ap-
parecchiato a battaglia ecc. L. in ambabus manibus ferrem chiro'
thecas.
35
ferro; et il cavallo sotto savio et accoocio di com«
bp ^ (i) tutto covertato, E costoro quando sì ven-
dono a fare Cavalieri si bagnano il capo per signifi*
care , che debbono menare novella vita e novelli co-
stumi. Vegghiano la notte in orazione, addomandando
da Dio che doni loro di grazia quello che manca loro
di natura. Per mano di Re o di Principe (2) sono
cinti, acciò che da colui abbiano la dignità e le spese,
di cui debbono essere guardiani. Sapienza, fedeltà,
larghez2a , fortezza , misericordia , guardia de' pupilli ,
zelo delle leggi, tutte queste virtudi debbono essere
nel Cavaliere , che come égli è armato d' arme corpo-
rale, cosi sia risplendente di costumi; però che quanto
la dignità de* Cavalieri avanza gli altri di riverenza e
d' onore , tanto più dee avanzare di virtudi. Con ciò
sia cosa che onore non è altro che (3) reddimento di
reverenzia in testimonianza di virtudi. Savio dee es-
sere il nobile Cavaliere , et esperto, però che anzi che
venga alla cintura cavalleresca , si conviene che sia
usato d'armi ; acciò ch'egli ammaestrato per lunga spe-
rienza sia acconcio a reggimento. Però che essendo
in alcuno modo la vita de' combattenti nelle mani del
Cavaliere , laonde gli è commessa la cura della batta-
glia , sl'l conviene essere savio et assennato; imperò
che pia adopera nella battaglia l'arte e la sperienza
del savio Cavaliere, che non fa la fortezza e l'ardire
del non sperto. Bisogno è che quello popolo (4) cag-
gia in pericolo d'essere imprigionato, il cui Principe
della cavalleria si sforza d'avere vittoria sopra' ne-
mici non per senno , ma per solo ardire. E però non
chiami altri per capitani i giovani, però ch'egli è
manifesta cosa che non sono assennati : ma chiaminsi
uomini che sieno acconci ad essere fatti Cavalieri.
Ìli L. cum faUerìhus.
21 R. sono fatti Cavalieri novelli.
3) La Crusca alla V. Onore fegge rendimento ; e cita poi lo
stesso esempio alla Y. Reddimento.
(4) B.. caggia e trabocchi in pressura. S. caggia in trabocca-
mento. L. in captionis pnddpitium mot.
36
Alessandro di Macedonia passando per le parti
d'Oriente e vegnendo nell'Egitto, et in Giudea, et ia
Assiria, et in Caldea, e nell'India, et infino a' confini
di (i) Barberia, queste province vìnse più per lo senno
degli antichi suoi Cavalieri^ che per la fortezza de' gio-
vani eletti ad essere fatti Cavalieri.
Leggiamo nella storia di Roma d'uno Cavaliere
ch'ebbe nome (2) Maschetta, il quale fue di tanto
senno e di tanta fede ^ che morto Teodogio Impera-
tore, mosse battaglia per difensione della Repubblica
contra suo fratello carnale che avea nome Gildone;
però che yolea mettere a sua ragione Africa sanza pa-
rola del Sanato. E'I detto Gildone ayea morti due fi-
gliuoli di questo Maschetta, il quale era molto cru-
dele contra' San ti di Cristo. Onde il detto Maschetta
savio, e conoscente quanto nelle cose disperate va»
lesse 1! orazione dell'uomo per la fede di Cristo^ an-
donne all' isola (3) Capraja e trassene fuori li santi
uomini che vi trovò condannati a stare aterna fine;
et ivi ritta stette con loro continuo tre dì, e tre notti
in orazione; e tre (4) dì dinanzi che s'appressasse
air oste de' nemici vidde la notte Santo Ambrogio che
gli appare, il quale era morto poco tempo dinanzi^
e dimostrolli il tempo e luogo della vittoria ch'egli
avrebbe. Poi ch'ebbe compiuti tre dì e tre notti in
orazione e laude, fatto già quasi sicuro della vittoria,
andò con cinquemilia solamente sopra a ottantamilia
de' nemici, e per volontà di Dio sanza battaglia n'ebbe
la signorìa; che vedendo ciò i Barbari cessarono di
dare ajuto a Gildone vogliendo incontanente le reni;
e Gildone si mise a fuggire et introe in nave, e poi
che fue tornato in Africa pochi di stette che fue stran-
golato, e morio. (5) Questi due Cavalieri Romani ,
fratelli carnali, erano stati mandati in Africa per di-
fendere la Repubblica.
(lì S. Bramante. L. Bragmàorum,
fa) Così anche S. ; L. Maleschita. T. Malsita.
3) Anche Si. T. Caprorea. L. Crapaream.
(4) Dcd L. ante trìduum.
(5) Menibretto che manca al L. ed è pure nello S. e nel T,
■37
Cotale senno cavalleresco ebbero i gloriosi Jonata
e Simone Macabei , i quali combattendo eoo tra Apol-
lonio capitano dell'oste del Re Demetrio, esseiido eglino
con pochi, e confidandosi il detto Apollonio nella mol-
titudine de' Cavalieri , gittando i dardi contra i detti
Cavalieri dalla, mattina al vespero si gli fecero affati-
care; cosi affaticati quegli Cavalieri, andarono addosso
a loro e si gli sconfissero.
Fedeli debbono essere gli Cavalieri a' loro Principi,
onde quegli perde nome di Cavaliere, il quale non sa
tenere fede al Principe (i) Preziosa pietra e risplen-
dente gemma è la cavalleria, legata con fermezza di
fede. Narra Paolo il quale scrisse le storie de' Longo-
bardi , e dice d' uno Cavaliere (2) da Parma il quale
ebbe nome (5) Onolfo, il quale mostroe tanti se-
gnali d'amore ad uno suo signore e Re ch'ebbe no-
me (4) Perteric, e tanta fedeltade che (5) si mise
alla morie per salvare da morte il detto suo signore.
E fue io questo modo, .che conciofossecosaché Gri-
moaldo Duca di Benevento (del quale è fatto ricordo
Del capitolo della Reina , nella fine di quello capi-
tolo) si fosse levato a governare il regnarne de' Lon-
gobardi (6) per Jorza e per f rande ^ morto Egodiberto
Re de' Longobardi per mano di Gariobaldo Duca
di Taurino, il quale fue il primo traditore della
reale corona, e scacciato il fratello carnale del detto
Egodiberto (il quale avea nome Perteric) infino in
Ungheria ; Onolfo suo Cavaliere procacciò di riconci-
liare il detto Perteric col Re Grimoaldo, acciò che
(1) Cosi legge pure la Cr. alla V. Risplendente , e anche lo S.
iZ L. praetìosus lapis et margarita perfulgida estjirmitatijideiy ad-
mista militia,
{^) S. di Pavia. L. Ticinensem.
(3) L. Omulfum,
(i) S. Perterrita. L. Perthantk, T. Parchario.
(5) R. si misse al rischio di morire per campare, ecc. L. se
morti exposuit — // MS, leggea precisamente: si mise alla morte ad
quello perìcolo per salvare da morte , ecc. Ho levate le parole
^jsa Dio come) intrusevi.
(6) Aggiunto da S. secondo il L.
38 ,
d'Uogaria, là dove non pòtea vivere per paura di
Grimoalrlo^ almeno venisse a' piedi del Re» e chie-
dendoli perdonanza potesse convenevolmente menare
vita sicura eziamdio sanza la dignità reale, la quale
di ragione si dovea a lui. Onde, poi che il riconci-
liamento fue fatto e compiuto, il dettp Re Grimoaldo
per li tempi che vennero poi, credendo troppo alle
lingue de' maldicenti , si ordinò d'uccidere il detto
Perteric , al quale egli era riconciliato , e cosi gli
mandò di molti vini per poterlo inebriare, acciò che
non provedesse alla salute sua ; la quale cosa non fue
celata al detto Onolfo Cavaliere di Perteric. Per la
quale cosa egli chiamò lo scudiere suo e menollo seco
in casa di Perteric , e mettendo il detto scudiere nella
cambra e nel letto di Perteric si ne trasse fuori il
detto Perteric (i) coperto di uno straccio sempre
battendolo e dicendoli villania, si come fosse lo scu-
diere suo, et in questo modo it condusse a casa sua;
stando sempre le guardie del Re Grimoaldo alla porta
della casa di Perteric, e pensando le guardie che il
detto Onolfo n'avesse menato fuori il fante suo, e
non Perteric. Poi in quella notte all' ora ch'e' galli
sogliono cantare , il detto QaoUo avendo la casa in
su le mura della città si (2) calce il detto Perteric
con una fune giù a terrai il quale cosi messo a terra
tolse cavagli che trovò nelle pasture, e così fuggendo
capitò ad Asti, e poi d'uno luogo ad uno altro se
ne venne al Re di Francia. Quando fue fatto die, Onolfo
e'I fante suo furono presi dalla famìglia del Re Gri-
moaldo, et essendo isaminati del modo e della forma
come elli aveano liberato il loro signore Perteric, il
Re disse a' consiglieri suoi: che pena è da dare a co-
storo che hanno còsi fatto cpntra il volere e centra
la maestade reale ? Tra' quali consiglieri altri ve n'eb-
be che cUsse , che tagliasse loro le teste ; altri che
gli facesse scorticare vivi; altri che gli ponesse in
(i) R. coperto e fasciato di fornimento di letto. S. coperto
de' panni del letto.
(a) R, e coUoe giù da terra il detto suo signore per le mura.
39
croce. Allora rispuose il Re e disse: Et io giuro per
colui che mi fece venire in questo mondo , che co-
storo DOQ SODO degni di veruna morte, ma d'ogni
onore; imperò che sono stati così fedeli al loro si-
gnore. Per la quale cosa il Re Grimoaldo si diede loro
alti donamenti, et il traditore Gariohaldo Duca di
Taurino fue miserabilmente. morto a Taurino per ma-
no del fante di Godiberto di qua dietro Re ; Io quale
per suo tradimento avea privato della vita e del rea-
me. E questo intervenne in una solenne festa, et en-
tro la chiesa di San Giovanni Battista.
Non solamente conviene che i Cavalieri sieno fe-
deli a' loro Capitani e Principi, ma fra loro medesimi
che si congiungano insieme per fedele amistade; però
che molto è temuta da' nemici la schiera de* Cavalieri,
quando si crede che sieno legate insieme da legame
fermo d' amistade e di fedeltade. E cosi (i) è del
contrario il contrario, che quando tra Cavalieri na-
sce (2) scordanza di volontadi, rade volte se n'aspetta
vittoria della battaglia. Adunque in tale maniera nu-
trichino i Cavalieri tra loro insieme V amore , che
r onore altrui pensino che sia sua vittoria , e mettansi
alla morte Y uno Cavaliere per V altro. Cotali furono i
nobili Cavalieri Joab et Abisai che combattendo cen-
tra' quelli d'Assiria e centra' figliuoli d'Amon, (3) appres-
sandosi insieme Taiutorio della fedele amistade, mi-
sero li nemici loro al fuggire ; onde disse Joab ad
Abisai: Fa che tu sie forte uomo, e combattiamo per
lo popolo nostro e per la città del Domenedio nostro.
Se quegli d'Assiria potessero più di me si m^aita, e
se'figliuoli d'Amon (4) potessero pia di te, sì t'aiterp.
E cosi combattendo gli rincacciarono.
. Leggiamo anche di due nobili Cavalieri discepoli
di Pittagora i quali furono chiamati Damos (5) e Fi-
(i) G. 1641. e il contrario avviene craando nasce ecc.
(2) C. 1641. discordanza di voleri, ia Crus. alla V. Scor-
danza legge come il nostro MS,
Ì3) S. prestandosi. L. prcestantes sihi imncem.
4) S. ti avessero valore addosso. R. potranno centra te.
5) L. Fhicias. e così pure S.
4o
cias y che congiunsono insieme una cotale amistade, che
volendo il Re Dionigio di Cicilia^ stando in Saragozza,
uccidere T uno di costoro, quello cotale che dovea es-
sere morto domandò indugio tanto tempo che potesse
andare ad ordinare i fatti di casa sua innanzi che
morisse , per lo quale non dubbiò (i) d' intrare per
lui il compagno tanto che tornasse. Et appressimandosi
il tempo che dovea essere tornato, il suo malleva-
dore era riputato matto e stolto per si fatta promis-
sione ; laonde egli dicea di non temere neente della
fermezza dell'amico; e cosi intervenne, che quello die
a quella ora che il Re avea posto che colui dovesse
redire, (3) si reddio; e maravigliandosi il Re del-
l' animo d' ambidue , si perdonò la pena , e pregolli
molto che il dovessono ricevere in compagnia et
in luogo d'amistadc; et in luogo di terzo compagno. (3)
Erco la potenzia dell'amistade generare spregio di
morte e spegnere la dolcezza del vivere et imman-'
suire la crudeltade, convertire l'odio in amore e com-
pensare la pena col benefizio. Onde dice Svetonìo ,
che Julio Cesare non ricevette agevolmente Tamistadi,
e quelle che ricevette ritenne constantemente. Sci-
pione Africano dicea, che nulla cosa é più malage-
vole che durare Famistade infino (4) all'ultimo die
della vita; però che alcuna volta si rompono J'^ ami-
stadi per contenzione di lussuria, o per cagione d'al-
(i) L. vadercy idest securitatem prò ejus reéUtu i£zre. S. entrargli
mallevadore della sua tornata. R. mettersi a mallevadore per lui.
(2) R. quelli, che aveva avuta la licenza sopravenne, e cia-
scuno volea morire per l'altro, e fra loro si era dolce conten-
zione d'amore che dovesse innanzi morire. Niente di ciò nel L.;
ma sì bene nel T. venuto Torà ch'era spirato el termino a lui
assìgnato, et essendo menato per adempiere el judicio, el com-
pagno giongendo, correndo, e gridando ad alta voce: Per Dio
non fare; eccomi ch'io mi presento; io son coUui che dee es-
sere giusticiato; per imbrigamento di tempo non ho possuto ve-
gnire avanti. Et de presente corse al compagno, abbracciandolo ,
et a lui dimandando grande perdonanza perchè era stato tanto
a venire.
(3) Dicea: e colla, mutai secondo L. e S.
(4) R. al sezzajo dì della morte.
4i
trui utilità y la quale V uno e V altro non pud acci*
vire. Le veraci amistadi malagevolmente si truovano
in coloro che si volgono negli onori della Repubblica;
ove troverai tu veruno che voglia l'onore delF amico
porre dinanzi al' sCio.
Larghi conviene che siano gli Cavalieri^ imperò
che quando il Cavaliere ragguarda alla propia utilità,
si (i) prieme d'invidia di guadagno.! suoi sottoposti
e cavalcatori; (2) ma qaando veggiono eh' e' cavalca-
tori mettono le corpora loro a' pericoli, e gli loro se*
gnori e guide intendono a multiplicare le spese e'gua*
dagni^ piuttosto volgono le reni vedendo gli nimici;
et avviene spesse volte che a colui che ha multipli*
cata la pecunia, non curando la vittoria^ la tenacità
dell' avarizia gli torna in ruina. A quanti sono oggi
venute meno le potenzie, i quali stettero molto in*
tesi e disiderarono d'avere abbondanza delle cose I Pro*
veggia dunque il Cavaliere (3) d'avere larghezza fra la
gente sua, si che l'avarizia noi tenti, e non creda
che la tenacità sia guadagno , acciò che il nemico che
l'ha ih odio, fatto ricco dell'altrui avere, non solli*
citi il suo popolo (4) da larghezza , acciò che quello
che la natura della battaglia rifiuta sanza forza, s'abbia
con la pecunia; però che spesse volte interviene, che
quello che la natura niega^ la pecunia vince. E però
è da attendere con somma sollecitudine, che quando
sopraviene pericolo di battaglia, ch'allora si faccia (5)
richesta di pecunia. (6) Attendi a te sanamente, tu
^i) R. preme. S. premedita invidia dì guadagno. L. invidiapremit,
(2) L. cuwn vero commilitones corpora propria pericuUs expO'
nerCy ductores vero milites sumptus et lucra multiplicare conspi"
ciunt eco, R. ma quando Tcggiono i CaTalieri che mettono i pro-
prj corpi ai pericoli , e i Cavalieri, che hanno a guidare, mol-
tiplicare le spese.
(3) R. d'avere cortesia verso la loro gente, acciocché non
sia giudicato da madonna l'avarizia ecc.
(4) L. liberali tate sollicitet §. di larghezza.
(5) La Cr. aUa V.' Richesta: — allora richesta si faccia ecc.
AUro Cod, dimandagioue.
^6) S. attendi pianamente a te, non cui tu signoreggi, ma
cui gli aUri signoreggiano. // M. è pih conforme al L.
4à .
ehe segnoreggi ora, ma a cui gli altri segnoreggianoi
Tu spogliato delle tue cose dentro alla città, a cui ri^
correrai tu di fuori per lo soccorso ? Se tu se' spo^
gliato delle propie cose per coloro che sono infiam-
mati d'ayarizia di tua gente^ pensi tu arricchire per
li stranieri? Non va ella cosi; imperò che non di*
viene veruna persona ricca per abbandonare il suo,
e sperare T altrui. Steno dnnqne comunali i guadagni
tra' Cavalieri ^ (i) trattone l'arme, acciò che abbiano
a comune la vittoria. E però disse David nel libro
del Re: iguale parte avrà chi va alla battaglia , e chi
rimane alla salmeria ; laonde piacque a coloro che ri-
maneano^ d'averlo non solamente per Principe della
cavalleria, ma ch'egli avesse poi la corona del reame.
Alessandro di Macedonia in forma di puro Cava-
liere andò a visitare la* corte personalmente di (a}
Porro Re d' India , acciò che per se medesimo (3) spiasse
lo Stato e la cavalleria sua; e conciosiacosachè Alessan-
dro ricevuto fosse onorevolmente dal Re Porro, Re
d'India^ ed egli l'avesse domandato della potenzia e
de' costumi d'Alessandro, credendo che non fosse Ales-
sandro, ma che fosse Antigono Cavaliere d'Alessandro,
sì lo invitoe a mensa; et Alessandro sotto nome d'An-
tigono (4) ad ogni recata di minestre si si rìponea, e
mettea sotto tutti i vaselli d'oro e d'ariento ne'.quali
veniano le minestre. (5) Questo facea celatamente, giu-
dicando che fosse suo ogni cosa ; della quale cosa ap-
presentato dinanzi al Re Porro da coloro che servi-
vano alla mensa, si fue menato dinanzi a lui; et es-
sendo isaminato sopra la detta accusa^ dicesi che ri-
spuòse in questo modo : Io ti priego , signore mio Re,
eh' e' tuoi Cavalieri che ti stanno dalle latora odano
l'usanza e la cortesia d'Alessandro. Poi parlò dinanzi
(i) J7 L. suona diverso: communia igitur sìnt inter milites,
pariter arma, lucra. Altro Cod, fuori che Tarmi.
02) Così pure lo S. e il L.; ma T. Dario.
i3ì S. ispiasse il fatto. &. fosse spia e cercator dello Stato.
(4) Così appunto anche Cr. alla V. Recata. S. ad ogni levata
di vivaoda. R. levata d'imbandigione.
(5) R. celatamente e fiirtivamente si tolleva e riponeva ecc.
43
a tutti e disse : Signore mio Re y udendo io la gran-
dissima fama di te , che tu eri (i) maggiore che Ales^
Sandro, si di cavallerìa, come di spesa, io Antigono
puro Cavaliere ricorsi a te per istare nel tuo cospetto,
et abbo lasciato colui e venuto a te, si come a magn
giore ; ma perchè Alessandro ha cotale legge in sua
corte , che ogni Cavaliere pòi che ha mangialo si (a)
s'abbia i vaselli dell'oro e dell'argento ne' quali li
sono recati entro li cibi a mensa, pensandomi che
tu non se' minore di lui , si mi fermai di mantenere
la detta usanza nella tua corte. Udendo ciò i Cava-»
lìeri di Porro si Tabbandonaro, e seguitando Alessan-
dro come loro guida nelle castella, essendo onorati
da lui di (3) dona menti , vennero insieme col detto
Alessandro contra il detto Porro Re d'India, e al
r uccisero, e tutta l' India sottomisero alla signoria
d'Alessandro. Ricorditi, Cavaliere, che mentre che
avrai la borsa chiusa non potrai avere' vittoria ve*
runa ; credimi che i doni pigliano gli uomini e gli
Dei ; esso Dio Jove s'umilia^ fatto a lui doni; le pa*
role deiettano gli orecchi^ fa che rispondi morbidar
mente ; e quando la pecunia si spande allora si fanno
i fatti di battaglia.
Li Cavalieri conviene essere forti non solamente
di fortezza di corpo, ma di fortezza d'animo. Molti
che sono (4) fortissimi di fortezza di corpo sono de-
boli nell'animo; quelli che hanno grande corpo, pos-
sono essere forti: ma rado crediamo che siano corag*
giosi et atti a combattere; (5) forte è dunque chi so-
stiene (6) e non si muove. Leggiamo di Godro Duca^
che fue di tanto animo, che essendo Principe àeU
U) La» Cr. legge: maggio; a questa V., ed anche alla V. Spesa.
(2) R. si possa tórre e portare vìa come suo proprio guadai
gnato le Taselia. S. si può di guadagno portare Taselli.
!3) R. di molte donamenta.
4) LaCr
Cr. alla Y. Fortissimo : — fortissimi di corpo. R. for-
tissimi del corpo. *
(5) ^Jì R. aggiunge secondo iZ L. ma ^ uoaaiid di metia fog-
gia crediamo che siano più atti a combattere. & gli maszcklaiii;
(6) R. e non è menato, .
l'oste degli Atteniesi apparecchiato a battaglia con*
tra' (i) Poliponiesi, essendo fatto legge/ tra quelle
schiere de' nemici, che quella parte fosse vincitore il
cui capitano dell'oste cadesse per morte nella batta-
glia; il detto Codro si acconciò in abito pellegrino e
non cavalleresco , e misesi (2) a trabocco in battaglia
centra i nemici , acciò che almeno cosi percosso mo-
risse. Onde volle anzi morire perchè vivessono i suoi,
che vivere egli , vint' i suoi. Dolce cosa e bella si è
morire per lo suo paese; nullo uomo sanza speranza
d'avere grande beatitudine offrisce sé medesimo alla
morte per lo pae^e.
La misericordia risplenda nel Cavaliere. Niuna
cosa è che faccia cosi famoso il Cavaliere come è per-
donare la morte all'abbattuto, potendolo uccidere.
Più avaccio è opera di bestia salvatica che di Cava-
liere, avere più sete di spandere il sangue de' nemici,
che d'avere vittoria. Onde noi leggiamo che essendo Siila
Re, ovvero Capitano, degli usciti di Roma, et avendo
avuto molte vittorie contra i Romani dentro, (intanto
che la prima battaglia in Puglia n'uccise XVII. migliaia,
et in Campagna LXX. migliaia), finalmente essendoli
aperte le porte di Roma, poi che fue entrato in Roma
et ebbe morti bene tremilia disarmati , Quinto Catulo
disse in palese a Siila: Sta fermo; ora sie misericor-
dioso a coloro colli quali noi abbiamo a vivere; se noi
abbiamo morti gli armati in battaglia, si abbiamo noi
morti i disarmati in pace. Somma maniera di ven-
detta , e gloriosa cosa si è perdonare a cui tu pòi uc-
cidere. Di ciò abbiamo noi esemplo dal buono Cava-
liere Joab capitano delPoste di David, il quale poi
che sconfisse Assalonne colVoste sua , (3) sonò il corno
e ritenne il popolo che non perseguitasse quegli (4)
d'Isdael che fuggiano^ vogliendo anzi perdonare alla
!i) S. Poloponnesi.
ai Così anche la Cr. a questa s^oce. S. a traboccamento*
3) Le^easi con manifèsto errore: d^Attenia. Altro CoJL da
IsdaL S. d'Israel, e il M, medesimo poco appresso Isdael.
(4) R. sonò il corno ovvero la trombetta.
45
raoltitu'dioe, che n'erano già morti da XX migliaia
d'uomini. Anche un'altra volta il detto Joab, poi
ch'ebbe combattuto e vinto Abner, capitano dell'oste
del Re Saul colla gente sua, si gli parlò cosi e disse:
Or saràe la spada tua crudele infino alla morte? Or
non sai tu come gli è pericolosa cosa la disperazione?
Quanto penerai tu a dire al popolo, che lasci di per-
seguitare i frati suoi? La quale parola, poi che Joab
l'ebbe udita fé' sonare il corno e stette fermo tutto
Toste, né non perseguitaro più Isdael, ne non inco-
minciaro più la battaglia.
Guardiani de' popoli debbono essere ì Cavalieri ,-
però che, dimorando la moltitudine del popolo (i)
nelle castella, la schiera de'Cavalieri dee sempre ve**
gliare ; e però furono elette da'Bomani le legioni de'Ca-
valieri di diverse province e di diverse nazioni >
che dovessero venire a Roma^. acciò che i popolari
potessero stare in riposo e soprastare a' loro lavorìi;'
acciò che non potè acconciamente l'artefice insieme
soprastare al lavorio et andare a combattere. Onde
però guardino i Cavalieri il popolo ; e' popolari , cosi *
attorniali da' Cavalieri , steano solliciti co' loro lavorìi.
Come potrà stare sicuro il lavoratore al tempo della '
guerra , se non gli è presente la (n) vegghianza e la
continua guardia de'Cavalieri? Sì come il Cavaliere è
gloria del Re , così i popolari raunino le spese e le
cose necessarie a' Cavalieri col lóro ; e come non è
veruno che sia Cavaliere pure a se. medesimo, cosi
neuno degli artefici lavora a se medesimo. Guardino
dunque i Cavalieri lo popolo, acciò che il popolo ral-
legrandosi della pace, ragunino (3) ai Cavalieri et il
soldo, e le spese. Noi (4) veggiamo che (5) Achis Re
di Geth disse a David essendo Cavaliere: io ti porrò
guardiano del capo mio d'ogni tempo.
(i) Cosi anche S. R. nel campo. L. in castrìs,
(2) Così anche S. e la Cr. a questa voce, R. sollecitudine.
(3) Diceva: i Cavalieri: corressi col L. e S.
(4) Forse: leggiamo, secondo L. e S.
?5) Così anche L.; S. Àrchis Re disse a Geth Cavaliere di
David ecc.
«
/
46
Debbono anehe i Cavalieri essere zelanti delle
leg^i ; imperò che (i) la maestà dello impero si
conviene che sia non solamente ornata d'armi, ma
di leggi. Onde debbono fare i Cavalieri, che sieno
osservate le giuste leggi diligentemente , si come rac-
conta Trago Pompeo d' uno nobile Cavaliere (2) Li-
gurie ^ il quale compuose alcune leggi; le quali per-
chè pareano dure troppo al popolo, si anche perchè
l'erano giuste, disse che n'era étato facitore quello
Dio che si chiamava Apollino Delfico. E volendole
il popolo rompere per la durezza loro , poi che '1
detto Ligurio non ebbe fatto giurare al popolo di
servarle e di non romperle infino a tanto che 1
detto Ligurio non fosse andato e tornato a chiedere
consiglio^ ed averne risposta da quello Dio, andan-
dosene (3) all'Isola, quivi si mise a stare atterna
fine perpetualmente , acciò che quegli le servassero;
e quando s'approssimò alla morte ^ comandò che l'ossa
aue fossono gittate in mare ,■ acciò che se per avven-
tura quelle ossa fossero recate per alcuno tempo alla
città giurata, non si credessero essere però presciolti'
dal giuramento. E perchè quelle leggi erano giuste
et utili si le scriveremo qui appresso.
Per la prima legge, formoe e '1 popolo al servigio
de' Principi, e' Principi alla guardia del popolo, et a
fare giustir.ia delle mal fatte cose.
Per la seconda legge, confortò tutti d'avere tem-
peramento nelle cose, pensando che la (4) cavalleria
è. più leggiere a sostenere per la continua usanza delle
costumanze.
Per la terza ^ comandò che ogni cosa si dovesse
comperare, non per pecunia, mìa (5) per ricompera-
mento di merce.
Ìi) La Cr. aUa V. Maestà, legge così appuntino. S. varia assai.
ai jéUro Cod. e S. Licurgo.
3) Altro Cod. aU' Isola di Delfo. Sk all'Isola di Creta, h. ad
Cretam insulam.
(^ S. la fatica della cavallerìa. L. laborem miìitiae.
(5) R. per cambio dì mercatanzia. S. per cambio di mtvtt
.47
Per la quarta, ordinò e puose la materia dell'oro
e dell'argento per la più vile di tutte.
Per la quinta legge, divise per ordine l'aminini»
stragioni della Repubblica* Al Re diede la potestà delle
battaglie; (x) a magistrati diede il giudicameoto e le
fermagioni degli anni; al Sanato diede T osservagioni
delle leggi; al popolo lasciò di potere chiamare e fare
cui y(4e$sODO air ofISs&io de' magistrati.
Per la sesta, partie tutti i campi a tutti iguale-
mente, acciò che per gli eguali patrimonii non fosse
veruno più potente che l'altro.
Per la settima , comandpe che tutti mangiassero
in palese , acciò che le ricchezze non fossero* altrui
cagione di lussuria (2) in celato.
Per l' ottava legge , (3) votoe che' giovani non
potessono avere o usare più d'uno vestimento per anno.
Per la nona legge , comandò che' fanciulli poveri
fossero menati non al mercato , ma al campo della
terra ; acciò, eh' (4) esercitassero ne' primis anni non
in giuoco, ma in affaticarsi.
Per la decima legge, stanzioe che le vergini si
maritassono sanza dote.
Per r undecima , comandoe che s' eleggessono le
mogli non per 'da nari.
Per la duodecima^ comandò e volle che il grande
onore fosse non de' ricchi, (5) ma de' vecchi secondo
il grado dell' etadi.
E neuna legge puose il detto L^urio, della quale
egli non desse primieramente esemplo agli altri (6)
li) R. Àll'ufScio de' magistrati il giudicamento delle cose
monaane, e gìudìcio di sangue d'anno in anno. Al Sanato la
guardia delle leggi. Al popolo lasciò V altorìtade d' eleggere, overo
di nuovo fare cui volessero, ecc.
(ai La Cr. alla V* In celato , legge tale quale il nostro MS.
(3) S. vietò j e così probabilmente dee leggersi anche nel no-*
Siro MS, poiché il L. pemdsit non ampUus,
(4) S. operassono i primi anni non iti gioco , ma in opera.
R. per aoperare i prima] anni non in lussuria o vero in gioco,
ma in operazioni di fatiche di corpo.
(5) Supplito da S.T. e L.
(0) S. d'osservalla. R. d'osservamenti.
48
d'osservarla. Cotali (i) zelanti della legge furono
eziamdio i nobili Cavalieri (2) Matalia co*suoi figliuoli,
siccome narra la Storia de' Macabei nel primo libro ,
e nel secondo, E questo basti avere detto de' Cavalieri/
CAPITOIiO QUINTO,
Velia forma de Rocchi ^ ciò sono vicarìi del Re,
ffliS^^^^^^
Vicarii ovrt^To legati del Re sono i Rocchi , la
forma de' quali si (3) scrive in questo modo; che fue
posto uno Cavaliere a cavallo col mantello e col cap-
puccio del vaio^ colla verga stesa in mano ritta. Però
che il Re non può essere presente personalmente in
ogni luogo del suo reame, si fece bisogno, che (4)
l'autorità la quale è nel Re, si come nella fontana,
. (i) Post: S. zelatori. Di questo pezzetto che è pure nello S,
e nel T. nulla hailL.
h) T. Machario. S. Mathatia.
(3) S. descrìve. L. inscnbitur,
(4) S. erroneamente: Tittoria.
49
discendesse a* suoi Rocchi^ ovvero vicari! del Re; acciò
ch'egli visitassono personalmente il reame, e manife-
stassono la potenzia del Re a tutti quegli che sono
sottoposti alla signoria del Re. Ma imperò che il reame
si spande alcuna volta per essere l'uno luogo diluoge
dall'altro, acciò che novità ueuna non nasca in ve-
runa parte , che non si sapesse nell'altra , convenne
che fossero due balii nel reame, ovvero vicarii del
Re, l'uno nella parte ritta ^ l'altro nella manca.
Costoro debbono avere in se queste virtudi, Ju*
stizia, uniiltade , pazienza , povertà di volontà e lar-
ghezza. Di giustizia debbono risplendere i vicarii
del Re però che questa è la piò chiara virtù, (i)
Molte volte interviene, che per la ingiustizia de' servi,
quando per loro superbia pervertono la giustizia, sanza
colpa de' signori si si perdono i reami non saputa-
mente, però che lo iniusto servo fa colpevole il Prin-
cipe della (2) ingiustizia; però che, chenle il Re, e co-
tali sono li ministri. Guardino al tutto la iustizia, (3)
perchè il Re sia non insto, sie tenuto dalla gente
insto. E però volsero li Romani che fussero giuste le
leggi; acciò che coloro, cui elli mandavano a reggere
gli altri, osservando le leggi non si partissono dalla
bilancia della iustizia. Onde fue uno generale detto
appo gli antiqui, che ninna cosa fosse (4) decevole,
la quale non fosse giusta.
Onde narra Valerio, che quando (5) Timistides
(i) n MS. propriamente: Alla mala volontà. Queste parole non
hanno venm senso y e sono forse error di copista che così scrisse in
pece di: alle volte , come richiede il L. interdum; oppure: molte
▼olte* S. Perocché alcuna volta.
(2) Così pa letto collo S. T. e L. in vece di giustizia, che
ha a MS.
(3) Manca forse un se ovvero quantunque. S. più conforme
al h.: e COSI pel contrario quando i mìnistii guardano al tutto
la giustizia, benché il Re fosse ingiusto, sarebbe creduto esser
giusto da ogni gente. T. e cussi éiie el contrario, che quando ecc.
(4) S. utile. R. neuna cosa esser bisogno di fare la quale
non ecc.: L. nihil expedire.
(5) Così pure S. e L. in luogo di Temistocles. Il T. non ha
questo pezzo.
5o
diceva agli AtteDiesi ch'egli saprebbe laro dare uno
sano consiglio di meltere fuoco nelle navi di quelli
di Macedonia, non volle appalesare il consiglio, ma
domandò loro uno Savio al quale il dicesse quetamente,
e fugli dato Aristides. Il quale poi ch^ebbe udito il
consiglio di Temistides, (i) tornò al parlamento y e
disse: Il consiglio di 2'emistides si è molto utile, ma (3}
Dfo è giusto; però si \i ripensate neiranimo vo-
stro. E '1 parlamento gridoe e disse: (3) quello che
non è giustizia non si conviene.
Intanto dee essere vigorosa la giustizia ne'vicarii
del Re ch'elli abbiano in ogni modo rangola di sal-
vare la Repubblica, (4) e più amino V uùlitade della
Bepubblica che la propia vita. Di ciò abbiamo esem*
pio di Marco Regolo, del quale parla Tullio nel li-
tro degli olBzii, che poi ch'egli ebbe combattuto 90*
gii Cartaginesi in batluglia di navi , e rotto da loro ne
fue menato prigione , gli Cartaginesi sì 1 mandaro a
Roma sotto saramento ^i ritornare, per fare cambio
di prigioni , cioè che quegli che li Romani teneano
presi di quegli di Cartagine, si li lasciassero, et i
Cartaginesi prometteano di lasciare andare liberi i Ro-
mani ch'erano presi appo loro. (5) Onde Marco Re-
golo vegnendo a Roma entroe nel Sanalo e propuose
la (6) domanda de' Cartaginesi , e '1 Sanato rispuose:
che consiglio sarebbe il tuo sopra questo fatto? E
Marco Regolo d^^se: Io niego che sia utile a' Romani
adempiere quello che i Cartaginesi adoraandano, però
che li pregioni che gli hanno de' Romani sono gio-
vani e non savi di battaglia^ o sono molto vecchi,
ira i quali io sono uno: ma i Cartaginesi che voi
avete in pregione so che sono fofti uomini, e savi e
(i) Supplito da S. e L.
(i) R. non è ragionevole.
(3) R. quello che non è, né pare ragionevole, né dìrìttinm
non e utile.
(4) -^ggfwwto da "R, eJju Tuttavia Cr. aUa V. Vigoroso %'le^
come il M. dicendo solo : più rangola, invece di: rangola.
(5) R. onde venne questo Marco Regolo con questa ambasciata.
(6) R. petizione.
5i
baoni Capi tao! (i\ E non Togliendo essere riceyuto
da' parenti e dagli amici, maggiormente volse ritor-
nare a' nemici che falsare la fede data al nemico ,
sappiendo bene ch'egli andava a crudelissimo nemico
et a nuovi tormenti; e per lo meglio si fermoe di
mantenere il iuramento. Leggesi (2} d'uno Romano^
il quale era nella prigione d'Annibale; giurpe di ritor-
nare se non desse il prezzo che promise del suo ri-
compramento, e quando fue reddito a casa sua, disse
che per inganno di ritornare nelle castella s'era pro-
sciolto con saramento ; la quale cosa quando si sep-
pe, (3) Enulo Eneo consolo del Sanato sentenziò che
fosse preso e dato a piuviche guardie *e rimenato ad
Annibale.
Racconta Valerio , nel libro sesto parlando di
Cammiilo capitano dell' oste de' Romàni , che asse-
diando egli una gente che si chiamava i Falischi, il
maestro che insegnava a' fanciulli de' nobili di quella
terra assediata, si gli ingannò con sozza arte; che come
qomo il quale per la scienza (4) parea che signoreg-
giasse que garzoni, dilungandoli a poco insieme dalle
mura dinanzi della città, (5) per modo di trastullo
e di sollazzo, con lusinghevoli parole si gli menoe
iosino alle castella de' Romani e finalmente infino a
Cammiilo. Allora il maestro che avea fatta cotale sce-
lerezza., disse scelerate parole dinanzi a Cammiilo ,
cioè che gli mettea in mano gli Falischi, dandoli i
fanciulli i cui padri aveano la terra in signoria. Le
quali cose quando Cammiilo ebbe udite, si disse: Non
se' venuto a tuo simigliaute né popolo né Capitano.
(1) Qui S. aggiunge le Unee seguenti che non sono in veruno
dei iestif n^ nel Ìa,, e nemmeno in Cicerone, — E così s'attenne il
consìglio suo, e non voUono fare tal cambio. i£t anche disse: (se)
io scambio si facesse, i Romani sarebbono poi più tìIì in bat-
taglia ayendo speranza, se fussono presi, d'essere poi iscambiati
per altri.
■ (2) R. Leggesi che Àlcano de* Romani. Errore di copia ^ in'
V9ce di: alcuno. L. quidam ex Rornnnis, T. che alguni deli Romani.
(3) L. JEmilius Eurus. S. EmiUo Enio.
(4) R. parca uno savio uomo, e così era tenuto.
(5) R. sotto cagione di giuoco e di sollazzamento.
52
Credi tu scellerato essere venuto a vivere con un al-
tro scellerato? Noi abbiamo le ragioni altresì di bat-
taglia come di pace y e siamo fermi di mantenere no-
stra ragione non meno con giustizia che con fortezza ;
et armi abbiamo non contra quella età alla quale si
perdona, eziamdio presa la città, ma abbiamle contra
gli armati e contra questi Falischi; (i) per te non è
rimaso clie tu non gli abbia vinti con novella fello-
' nia : ma io romano per arte e per virtù e (22) per
arme gli vincerabbo. Onde non solamente spreztò la
grande (3) perfidezza, ma sentenziò die quegli sco-
lari rimenassofo quello traditore a' padri loro con le
manr legate di dietro; per la quale giustizia e benefizio
gli animi loro piuttosto vinti, che per arme, poi cVeb-
bero chiamato a consiglio il Sanato della cjttà^ tante
mutazioni nacque negli animi de' cittadini, che que-
gli che pareano che avessono più odio coutra'Romani
si domandaro loro pace , et aprirono le loro porte.
Narra Anneo Floro , che 1 medico di Pirro venne una
notte a Fabbrizio e promiseli d'avvelenare Pirro se
gli donasse alcuna cosa ; il quale Fabbrizio fece pigliare
quello medico e fecelo rimenare preso al suo signore
Pirro , e comandò che fosse ridetto a Pirro tutto ciò
che quegli avea promesso contra il capo suo. Allora
il Re Pirro si si maravigliò e disse cosi : (4) Quegli
è Fabbrizio il quale più malagevolmente si potrebbe
israuovere dalla sua lealtade, che non potrebbe il
sole dal suo corso. Ad dunque, se coloro che non sep-
pono la legge (5) di Dio furono cotali nell'opere della
iustizia per amore del paese, e per desiderio d'avere
fama , chente dovrebbono essere oggi li Cristiani nelle
opere della divina iustizia? (6) Ma^guaiì che i Lom^
(i) R. Tu quaìito in te è stato lì hai Tinti, ec
ht) R. et anche per operazione.
(3) Così anche B.. e la Cr. a questa V. S. perfidia.
(4) R. Quello Fabbrizio è sì latto. T. quello éne Fabrizio,
el quale, ec.
r5) Z>^i S. e L.
(6) Nel M. era grande sconcio ^ come pure nello S. per cui ho
ritenuta la lezione del Cod. 9. PaL A. Il L. Sed hodie Lombardos
53
baìtìi al tempo et oggi sono premuti da ogni parte, di
battaglia, e non perquotono arme ovvero dardi e lan^
eie ; e li tradimenti y l' inganni ^ le frode tutto dì ere-:
scono y e abbattono gli amici; niuna legge ^ nessuna fe-
deltà \ niun patti , nessuno giuramento guardano gli
uomini; e i vassalli si levano centra i loro segno ri ,
e fuggendo le segnorie naturali addomandano d'es-
sere (i) francheggiali e poi diventano (a) fanti d'al-
tri vili segnori e sospirano d'avere perduto i loro
primi segnori naturali.
Pietade conviene (5) loro avere la quale vale
ad ogni cosa. La pietà sta nelF affetto per compas*
sione, nell'effetto per remissione, e per donare e per
discendere agli altri. Pietade si è uno (4) effetto ac-
cettevole che viene da dolcezza di benigna mente, di
dare aiuto a tutti.
Bacconta Valerio, che una donna di nobile san-
gue condannata dal giudice per criminale peccato^ es-
sendo dinanzi alla sedia fue data a morire nella car-
cere : (5) ma colui eh' era soprastante della carcere
undique bella premunt, atque non arma, seu mìssilia et jacula
ferunt; prodi tiones , dolosìtates, fraudolentiae cotidie succrescunt^
hostesque prostemunt; nulla lex, nulla fidelitas , nulla jurameata,
nulla pacta custodiunt homines. // testo del MS, sta così: Ma
molto è da lodare oggi che le battaglie i Lombardi da ogni parte;
e non solamente Tarme, ovvero le lance e dardi, ma i tradi-
menti e gTingaani, e la frode; nullo giuramento, nullo patto
guardano gli uomini, e i vassalli, ecc. Potrebbe acconciarsi ^ue-
sta lezione corre^endo in principio così: Ma molto è da dolere
oggi che le battaglie premono y ecc. Il T. Ma, guai che le battaje
abbattono oggi ì Lombardi d'ogni parte, e non solamente le
armi se usano abbattere, ecc.
(i) Così anche R. e Cr. al verbo Francheggiare. S. donati a
franchezza.
(2) R. servi.
(3) Questo pronome si riferisce ai rocchi per cui lo S.: a* detti
rocchi conviene avere pietade. benchh il L. dica semplicemente: eos.
// T. ommette questo pezzo.
(4) La Cr. alla V. Pietà, legge egualmente. R. Pietade è uno
ffetto ajutatrice di vita (^br^e; di tutti :L. omnibus auxiliatrix),
ia quale viene da dolcezza grazievole di benigna mente.
(5) Supplito da Cod. 9. Pai. 4- T. ro^^ el soprastante della
presone non volsela adesso fare morire. E notabile guelt adesso.
54
non la strangoloe vie via per pietade ch'ebbe di lei;
anche concedette che la figliuola potesse andare a lei:
ma diligentemente la cercava, che non le portasse
furtivamente cosa da mangiare, (i) pensandola con-
sumare per fame. Ma passati più di pensava fra se
medesimo che fosse ciò, ch'ella era tanto vivuta; oode
E uose cura e vidde per la fessura della carcere, che
I figliuola (ss) traeva fuora le mammelle e col latte
suo comportava la fame della madre. La quale novi-
tade (3) cosi maravigliosa (4) recata dinanzi al Giu-
dice si accettò perdonanza della pena alla detta donna*.
Che è quello che la pietade non trapassi o non pensi?
Chi udì mai più disusata cosa, che la madre sia nu-
tricata dalie mammelle della figliuola? Penserebbe al-
tri, che ciò avvenisse contro natura delle cose, se (5)
amare il padre e la madre non fosse la prima legge
della natura. Il Re dell'api, come dice Seneca, al
postutto è sanza ago, però che ha voluto la natura che
non sia crudele né che domandi vendetta, e (6) sot-
tras.^egli il collo, e Tira sua lasciò disarmata. Rapporto
questo esempro a' grandi Re, che si vergognino di non
pigliare costumi di piccoli animali. Racconta Valerio
nel quinto libro, che Marco Marcello poi ch'ebbe
presi i Saragozzani stando nella rocca della grandis-
sima cittade, e veggendo da alti la fortuna degli af-
flitti non potè (7) tenere verso di pianto. Racconta
il detto Valerio della pietade di Pompeio che ebbe
verso del Re della Magna, il quale avea avute molte
(i) S. pensando ch'ella si consumasse per fame. R. si con-
sumasse COSI di fame.
(2) R. dava la sua propria poppa alla madre ch'ella pop-
passe, et in questo sosteneva la fame della madre, // T. legge
pure: comportava la fame.
(3) R. di SI maraviglioso sguardamento. L. tam admirabiUs
spectaculi,
(4) R. poiché fu venuta all'orecchie del ^udìce.
(5) Supplito da S. e li.
(6) - - - -
(6) Così anche S. L. aculeumque detraxit. Seneca de Clem.
1. I. e. ig. telumque detraxit.
(7) L. camien lùgubre cohibere. R. non si potèo tenere di
piangere versi lamentevoli.
55
battaglie con tra il popolo romano, ch'essendo legato
dinanzi a Pompeio non sostenne di lasciarlo stare lun-*^^
gamente inchinevole dinanzi a se , ma ricreandolo .
con benigne parole, la corona che quegli (i) aveano
gittata gli fece rimettere in capo, igualmente giudi«> .
cando essere bella cosa, vincere e fare Re e perdo-
nare a Re. Un altro simigliante fatto racconta il detto
Valerio, d'uno consolo il quale ebbe nome Paulino,,
il quale avendo udito che uno (2) gentile pregìone
gli era menato, si gli si fece incontro, è vogliendogllsì
il pregione inchinare a piedi si 7 leva da terra e con-
fortata ch'egli l'ebbe a speranza, sì '1 fece sedere seco
in consiglio, né noi giudicò indegno dell'onore della
mensa , così dicendo : (3) Se noi sapemo veruno no-
bile (4) nemico si dovemo fare lodevole è bene av-
venturato a' miseri.
Poi che Cesare ebbe udito della morte di Cato
suo nemico, disse che avea invidia della gloria sua ;
il patrimonio suo riservoe a' suoi, figliuoli ; poi che
cosi ammaestra Virgilio, che i Principi reggano il suo
popolo (questo pone egli nel sesto libro, e santo An-
gustino il ripete nel libro della Città di Dio;, e dice:
Tu popolo romano ricorditi di reggere per imperio;
queste cose (5) erano a te arte, d'imporre costumi di
pace , di perdonare a' sottoposti , e sconfiggere li su-
perbi. Et in altro luogo dice: Il servo è pigro alle
pene, et il Prencipe è (6) corrente a guiderdonare.
Nulla cosa rende i Principi, ovvero i vicarii loro,
tanto cari al popolo (7) come l'affabile e graziosa
(i) S. aveva gittata. R. avea gittata via , comandò che gli
fosse riposta in capo, e rimesselo nelF abito della prima forma.
Ì2) S. di gentile essere.
3) Così anche lo $. riè dal L. si può racapezzare il giusta
senso, Valerio Massimo. ì. V. e. i . dice : nam si egregìum est
Kostem abijcere, non minus tamen laudabile infelicis scire mi-
serere. // T. tralascia questo detto.
Ì4) Postil. S. malvogliente.
5) Dovrebbe dire : saranno ; probabilmente il traduttore lesse ih
Virgilio: erant, scambio di: erunt. Anche il T. erano.
(6) R. tostano. iZ.T. El servo è obligato a le pene del Signóre.
Virgilio non ha questa sentenza in nessun luogo.
(7) R. come fae la domestica e grazievole conversazione.
56
conversazione, la quale cosa procede da radice di pie-
tade. Onde si legge di Traiano, che riprendendolo gli
amici (i) di cìò^ che in tutte cose di più che non
8Ì conyenia ad Imperadore si discendea eziamdio alle
menoine persone , egli rispondea e dicea loro , che
Tolea essere tale Imperadore alle persone private, quale
ciascuna persona privata disiderasse.
D' Alessando racconta Valerio , die menando egli
Toste sua in grande (2} potenzia, una volta sedendo
egli nella sua grande sedia, puose mente e vide uno
Cavaliere invecchiato e stupefatto per lo freddo , et
approssimandosi a lui discese dalla sua sedia e può-
sevi colui con le sue mani, e disse (3) che questo
interverrebbe di lui, che sarebbe il primaio che ocr
cupasse la sedia del reame di Persia. Addunque che
maraviglia era, se' Cavalieri disideravano d'essere sotto
cotale capitano, al quale la santade del Cavaliere era
più cara, che la propia altezza?
Debbono i Cavalieri essere umili però ch'egli è
scritto: quanto maggiore se'^ umiliati in tutte le co-
se. Racconta Valerio Massimo nel settimo libro ^ che
Publio consolo di Roma^ amò sempre tanto il popolo,
che degnamente fue soprannominato Pubiicola, cioè
amatore della Repubblica. Elli medesimo le case sue ,
eh' erano nel (4) miluògo del mercato fece mettere in
terra , perchè mostravano d'essere troppo alte sopra
l'altre. Quantunque ebbe la casa più bassa ^ tanto
ebbe più alta la gloria. Tanto povero morìp che con-
venne che fosse seppellito alle spese del Comune. Deb-
bono essere si umili che deano luogo agli offizil,
(i) R. di troppo mchinamento alle menome cose pih che
non si confacea ad Imperatore. H T. qui si distende in moke pa-
róle molto imbrogliate,
(1) Errore che ha pure nello S. R L. in tempestate, forse U
traduttore lesse: in potestate. T. in sua segnoria grande.
(3) Così pure lo S.; R. questo volle dimosti*are quello salu-
tevole fatto, che dovea venire, cioè che in Persia fue il prìmajo
che ^ose la sedia reale.
(4) Così anche R.; S. nel miglior luogo. L. in medio foro.
T. le case sue fece minare le quale erano in mezzo de^ mercata
57
e (i) rendano onore agli altri, pero che questo è
reame, non volere regnare quando tu possi. Narra il
detto Valerio (2) nel quarto libro, che conciosiacosa-
che Fabio Massimo, (3) tutte cose da se, e dal pa-
dre, e dall'avolo, e dal bisavolo, e i suoi costumi,
spesse volte si ripensasse d'avere fatto l'ofHzio del
consolato, con grande costanzia ordinò col popolo
che cotale onore vacasse alla gente Fabia. Questo fece
a tutto suo podere, non perch'egli dubbiasse della
virtù del figliuolo, il quale era molto famoso, ma
perchè grandissima segooria non continuasse in una
famiglia. Quale cosa è più valente di questo tempe-
ramento il quale vinse gli afletti del paese che sono
tenuti maggiori? Il detto Fabio, essendo (4) onorato
da' maggiori di tutto il Sanato per consentimento, et
egli scusandosi che per vecchiezza non vedea bene^ (5)
perseverando tutti nel loro volere, si disse: d'uno
BÌtro yì (6) procacciate, Q nobili, al quale voi traspor-
tiate questo onore; che se, voi mi costringerete di
farlo, né io potrò sostenere i vostri costumi, né voi
non potrete portare il mio comandamento. Uno Re
fue di sottile giudicamento, del quale si dice che la
corona che gli era data, prima che la si mettesse in
:!apo si la (7) ritenne e considerò lungo spazio di
!iì R. racomunino li onori alli altri. L. comunicent.
a) R. e L. erroneamente: terzo. T. quarto
3) Pezzetto che non ha senso benché corrisponda al L. cum
Fabius Maiimus omnia a se et a patre et avo et proavo majo-
ribusque «uis, saepe consulatum gestum anìmadverteret. Il giuZ'
sto si è neW omnia che andrebbe letto quinquies , come ha Valerio,
Il traduttore inoltre sembrq che abbia letto: moribus per majorì-
bus. R. Conciosia cosa che Fabio Massimo pensasse l'animo suo
(forse nell'), come il padre e Tavolo et i suoi antecessori aveano
spesse volte fatto T officio della consolarla si costantemente, or-
dinòe al popolo quanto potéo, che alcuna volta vacasse la gente
Fabia. // T. è più intralciato di tutti,
(/\) S. pregato.
(5) R. essendoline tutti addosso sì disse : Or gentili Romani,
altrui v'andate caendo a cui tramutiate questo onor.
^6) Da S. poiché la parola del MS. non fa potuta decifrart.
(7) R. buona pezza di tempo la tenne in mano.
58
tempo, cosi dicendo: O nobile più che bene avventu-
rata corona, la quale chi conoscesse di quante solle-
citudini, è miserie, e pericoli tu se' piena, se tu gia-
cessi in terra non ti ricoglierebbe; ricordati che dopo
la gloria seguita la invidia; addunque quanto più sa-
rai di grande stato, tanto conviene che tu sìe più an-
goscioso e sollici.to allora. Noi leggiamo (e questo
narra Joseffo), che alcuni amici di Tiberio Cesare ri-*
cheggendolo (i) che la potestà delle provincie lungo
tempo durate negli offizii dovesse rimovere dalle si-
gnorie, rispuose Tiberio loro cosi: Io lo farei bene se
fosse utile alla Repubblica et a' popoli sottoposti^ ma
e' mi vole ricordare avere veduto una volta uno uomo
pieno di malori essere gravato dalle mosche, al quale
io abbieudo compassione , tolsi la rosta per cacciare da
lui le mosche, e lo infermo mi disse: perché cacci
tu da me le mosche piene del mio sangue e lasci ve-
nire a me (2) l'affamate? Tu mi dai doppia pena
credendomi tu dare aiuto. E così voglio dire io (ciò
disse Tiberio); io (3) lascio stare le potestadi lungo
tempo negli offizii, quegli cotali che io so che sono
arricchiti, acciò che se io gli rimovessi e mettessivi
altri vóti di pecunia temo che non lasciassero la giu-
stizia et intendessero a ricevere doni, e sarebboro più
gravi ad imporre le grandi imposte al popolo.
Vespasiano fue di tanta umiltade, che morto Ne-
rone, e tagliata poi la testa a Vitellio per mano del
popolo dì Roma sozzamente , perché s' avea preso lo
imperio, gridando le legioni Vespasiano essere degno
dell'imperio,, e riprendendolo (4) Muciano durissima-
mente , finalmente conslretto appena consentlo. (5)
Questo ti sia a mente, che più lodevole cosa è, che
(i) R. che dovesse rimuovere dalli uffizj i vicarj delle pro-
vincie i quali erano stati lungo tempo in esse.
(n) R. afTamaticce.
^3) R. lascio vernare lungo tempo i vicarj neirofBzio.
(4) Corretto dal L. dicendo il MS. mucciavono.
(5) R. perciò ti reca a mente che più è lodevole cosa a
prendere lo 'mperio costi'etto, che non è di profferenzia Tonor
(sic)^ e metterviti innanzi.
59
tu coDslretto riceva lo imperlo, che tu ti metta in-
nanzi all'onore. Di ciò abbiamo esemplo da quello
umile vicario di David, ciò fue Joab figliuolo di (')
Sarvia , il quale essendo ad assediare la città de' fi<»
gliuoli d'Amon, vedendo che la città era in sul pren-
derla, si fece venire David all'assedio (2) acciò che
l'onore della vittoria non fosse suo, ma del Re David.
Pazienza dea essere in loro ovvero in sostenere in-
giurie in paróle, ovvero in sostenere pene (3) nel
corpo, ovvero in perdonate colpe, ovvero in tem-
{aerare le correzioni de' discepoli. Della pazienza d'A-
essandro sì dice questo, che avendoli detto Anti-
gono che non gli si facea d'essere Re , massimamente
considerando Petade sua, in ciò che non si vergo-
gnava di lasciare segnoreggiare nel corpo suo il reame
del diletto della carne, e però dicea, che non era
degno d' essere Re ; pazientemente sostenne la dura
riprensione dicendo, che non l'avea cosi ripreso, se
non perchè egli si correggesse, e prendesse buoni
costumi et onesti. Per quello medesimo modo narra
Valerio, della pazienza di Julio Cesare, il quale es-
sendo calvo e recandosi gravemente a noia, (4) ri-
ponendosi alla testa i capelli che gli cadeano, una
volta che uno Cavaliere gli disse: più leggiere cosa è
che tu, Cesare, non sia calvo, che non è ch'io abbia
fatto o debbia fare alcuna cosa paurosamente (5) a
lode de' Romani, non sostenne questo detto impazien-
temente. Sìmigliantemente spregiando uno il nasci-
mento di Julio Cesare dal lato della madre e chia-
mandolo panattiere, ridendo il sofferse, cosi dicendo:
quale pensi che sia più bella cosa tra che la nobiltà
cominci in me , o ella finisca in te ? Dicendo anche
uno altro a Julio Cesare: o tiranno; pazientemente
«
^i) S. Samia. R. Salivae.
(2) R. acciocché, quando la cittade fosse avuta, non fosse fen-
duto lo onor della vittoria a Joab, ma a David.
(3) R. in battiture di corpo, ovvero in perdonamento di col*
pe, ovvero in temperamento di discipline nelle correzioni.
(4) Supplito da S. secondo L.
(5) S. e T. secondo L. nell'oste.
6o
il sostenne, cosi dicendo: se io fossi, tu noi diresti.
Di Vespasiano, dicendoli uno, che lupo potrebbe mu-
tare pelo, ma non animo: ma egli non potrebbe mu-
tare né l'uno né l'altro, però ch'egli era cupido di
pecunia, né non menomava l'avarizia in luì per lo
tempo cresciuto della sua etade, rispuose cosi: a tutte
queste cose dovemo rendere riso, a noi correzione,
et a peccati pena. Del Re Antigono narra Seneca, che
udendo egli una volta ragionare ad alcuni e dire male
di se medesimo e parlare cattivamente, e conciosia-
cosachè tra li (i) dicitori e lui, che gli udiva, non
fosse altro che una (2) parete in mezzo, ovvero sola
cortina, egli la commosse leggiermente cosi dicendo in
persona d'un altro uomo: partitevi quinci che non
v'oda il Re, però che v'ode questa cortina. Di Sci-
pione Africano, che fue uno molto battagliere uomo,
si dice (3) questa di lui , che dicendoli uno come
egli era vile Cavaliere sotto arme, e chiamandolo (4)
piccolo combattitore, rispuose e disse: Imperadore
me parturio la madre mia , non combattitore. Pa-
zienzia debbono avere nelle pene che sono date loro;
onde narra Valerio, d'uno ch'ebbe nome Anasarco
figliuolo d'Alessandro, che poi che uno tiranno l'ebbe
fatto tormentare, e minaccìavalo di fargli mozzare la
lingua , egli rispuose cosi : Non è questa particella del
mio corpo in (5) tua signoria; e però co' denti si ta-
gliò la lìngua, e (6) minuzzata la sputò nel volto
del tiranno. (7) Operazione di grande uomo e di fa-
moso si è nulla cosa temere al postutto dimenticare,
se non le ingiurie. (8) Pazienza abbiano nelle cor-
(lì R. maldicenti.
(2) R.'^uno parezìo d'assi. T. una coltrìna,
(3) Forse: questo. F^. Elenco.
(4) R. poco.
!5) Leggeasi sconciamente: mia; corressi collo S. e L.
6) Cr. a questa V.: minuzzatala la sputò ec.
(7) Cos\ precisamente anche la Cr. alla V. Operazione : ma la
-parola-, temere è assolutamente intrusa^ levata la quale si ha netta
la traduzione del L. nihil oblivisci omnino nisi ipsas injurias. S.
dimenticarsi al tutto le ingiurie.
(8) Postil. S. pazienza abbino i vicarii, e ì rocchi.
6i
re/^ioni che egli hanno a fare ; onde racconta Valerio^
che Archita (i) Terenzio il quale fue maestro di Pla-
tone, poi ch'egli ehhe veduto i campi suo' guasti per
negghienza de' (2) lavoratori si disse: avresti ricevuto
da me tormento, se io non fossi adir,ato contra te.
Volle anzi lasciare andare quello rio, che punirlo più
che non era ragione per l'ira. Narra anche Valerio
di Platone, che essendo fortemente infiammato con-
tra r offesa del servo suo, comandò a (3) Spseusippo
suo nepote , figliuolo della scrocchia , che '1 correg-
gesse e (4) disseli il modo della correzione, pen-
sando che gli sarebbe (5) disinore che '1 battere suo
meritasse riprensione. Di lui medesimo si dice , che
essendo adirato al servo suo (6) fece spogliare e fe-
celo scopare a lui medesimo con la propia mano ; e
poiché si fue avveduto ch'egli era adirato, teneva la
mano sospesa com^egli l'avea levata, (7) e stava la
percossa insieme; e domandato da uno che sopravvenne
Snello che facesse, rispuose: pensando me di richie-
ere pene da uomo, adirato non voglio: ma tu ga-
stiga questo servo con battiture, però che (8) l'adi-
rato fa più che non si conviene ; farò dunque che
questo servo sia in sua potestade, il quale non è in
sua altresì come io; e dimenticato il servo trovò cui
anzi gastigasse , cioè se medesimo, e tolsesi la potestà
nel servo. E però disse Seneca: Nulla cosa ti sia le-
cito di fare quando tu t'adiri ; questo dico perchè (9)
quando tu £ adiri tu vogli che ogni cosa ti sia licito.
Se tu non poi vincer Tira, ella comincerà a vincer te.
S. e T. col L. Tarentino.
Post: S. castaido della vìUa. L. viWcL
R. Speusìppo. L. Spensifoy o qualche simile storpiatura,
R. et ìnformollo come il correggesse.
R. pensando che non gli metterebbe onore colla batti-
tura degna di riprensione.
(6) R. comandoUi che ponesse giù la gonnella, e che si bat-
tesse elli stesso colla sua mano. Simile lo S. conforme al 'L,
Oj\ S. stava per percuoterlo. L. et stabat percutiendus simuL
18) S. l'adirata ipano.
(9) Dal R. secondo L.
62
La povertà volonterosa fue tanto negli antichi Prin-
cipi, che più disidera vano d'arricchire di nominanza,
che di pecunia. Narra Valerio nel terzo libro, che
essendo Scipione accusato di pecunia appo il Sanato j
rispuose cosi : Conciosiacosachè io abbia sottomessa
tutta quanta FAfrìca alla nostra potenzia, nulla cosa
che sia detta mia v'abbo raportato altro che il so-
prannome ; onde fu detto Scipione Africano perchè
vinse Africa. Anche disse: Non hanno fattomi avaro
gli Africani, né (i) i gazzeri d'Asia fra telmo carnale,
però che catuno di noi è più ricco della invidia del
nome , che non è della pecunia. Narrasi del Re (:i)
Arcalaga , che dicea ch'era da usare oro come vasi di
terra ^ e* vasi della terra come oro, però che assai più
è meglio risplendere di costumi, che di cose del mon-
do; onde si dice che quello Re cenava con vasella di
terra, e chi domandava della cagione, si rispon-
dea così : Io sono Re di Cicilia , mio padre fue (3)
vasellaio, et abbo in reverenzia la ventura, però che
io usci' dal padre mio subitamente ricco, e dalla
casa onde io nacqui. Onde considerando egli lo suo
basso nascimento usava masserizie di terra. La ca-
gione perch' (4) egli erano poveri, si fu perch'egli
intendevano alla Repubblica e non alla loro propia (5)
utilità, E però dice santo Austino: Coloro che (6}
saviamente attendono, più si dogliono che sia perita
la povertà de' Romani, che la ricchezza; però che in
quella, cioè nella povertà, si mantenevano intiera-
mente gli costumi , e per questa , cioè per V abbon-
danza , la crudele malizia , peggiore d' ogni nemico ,
ha corrotto nò le mura di quella cittade, ma le me^ti
degli uomini. Larghi e cortesi (7) gli conviene essere,
(1) R. i gazi d'Asia. S. le ricchezze. L. gazae.
(2) S. Àrgaglia. post. S. Arcaghaga. T. Archillica. L. ^rcor
gìaga.
(S) Cr. a questa V. legge tale e quale.
i4; QuesfQ^i 5/^ per eglino, e w rj/èràce tì!g&* antichi principi.
,l5) Aggiunto da S.
(6Ì S. che santamente vivono. Errore,
X^ySi riferisce d rocchi o vicarii, e vaki loro.
63
acciò che col guiderdone alleggeriscano il popolo
dalla fatica ; pere che la fatica del popolo si porta
più leggermente quando veggiono che i loro rettori,
elle (i) gli si portano per riconoscimento de' bene-
iizii, e colla loro presenzia. Leggiamo clie Tito figliuolo
di Vespasiano, fue tanto liberale uomo, che a tutte
le persone dava o prometteva, et essendo domandato
da' più suoi cari amici, perchè piue prometteva che
non potea dare rispuose così: Non si conviene a ve-
runo Prencipe d' accomiatare da se veruna persona
con (s>.) tristizia. Onde una volta che non avea dato
nulla, né promesso in quello die disse a' suoi: o amici
il die d'oggi abbo io perduto, che non ho fatto bene
veruno (3). Leggesi di Giulio Cesare, che mai non
disse a' Cavalieri: andate, ma dicea: venite; onde di-
ecina die la fatica partecipata col principe pare più
leggiere ai Cavalieri. Onde del detto Giulio Cesare
si legge nel libro delle (4) buffe de'filosafi, che es-
sendo uno vecchio citato dinanzi al giudice , chiamò
Cesare manifestamente, che gli desse aiuto, al quale
diede Cesare uno buono avocato^ e quegli gli disse:
o Cesare, pericolando te nella battaglia d'Asia non
andai caendo vicario^ ma io medesimo mi misi a
combattere per te , e scoperse le margini delle ferite
eh' egli avea ricevute per lui. Allora si vergognò
Cesare e venne ad (5) avocare in persona per lui.
Onde Cesare si vergognava di parere non solamente
superbo , ma sconoscente ; e però disse egli : chi non
si sforza d' essere (6) caritevole a' Cavalieri , non sa
amare gli Cavalieri.
(i) Forse: gli sopportano. L. assistendo supportare, S. loro
ajutano comportandogli. T. quando Tideno liberi {forse liberali)
li rettori et reconoscere i loro beneficii, et per quìi modo che
se convene remeritare loro.
(2) La Cr. alla V. Tristizia , fegg^e tale e quale. S. per acco-
miatare, ^: commiatare.
(3) R. aggiunge: nd altri.
(4) S. beffe. L. nugae.
Ì5) Post: S. avvogadare. T. avocare.
(6) Così anche post: S. K. chi non s'affatica non manuca,
acciocché sia caritatevole. Strano garbuglio l
64
E questo basti avere detto della forma de' Rocchi^
e degli altri nobili.
TRATTATO TERZO.
Delle forme degli Scacchi popolari.
n terzo Trattato parla dette forme , e degli offizU
de' popolari.
Primo capitolo. Del lavorio delta terra.
Secondo capitolo. Dell'opera de' fabbri, (i)
Terzo capitolo, (a) Dettarle della lana e notarile et
altri artefici di pelle e di coìame.
Quarto capitolo. De' mercatanti e cambiatori.
Quinto capitolo. Del medico e dello speziale.
Sesto capitolo. De^ tas^ernieri et albergatori.
Settimo capitolo. Delle guardie della città , e degli of
fiziali del comune e de* passaggieri a^ero' gabellieri.
Ottavo capitolo. Degli (3) scialacquatori de' beni loro^
rubaldi, giocatori e barrattierL
f lì R. e de* maestri. T. et maestri de' legnami,
(a) R. del lanajuolo, ovrero notari, o pellicini, e deUi altri
che lavorano di panni, e di bestie.
(3) T. Deli usuipatorì de' altrui beni.
65
CAPITOLO PRIMO.
De lavoratori deUa terra.
itistringendo le forme e gli offisii de' popolari^
comÌDceremci dal primo popolare posto nella schiera, (i)
il quale pognamo dinanzi dal rocco y dal diritto la-
to del Re, però che s'appartiene di provvedere per co-
stui le cose che sono necessarie al reame per vivere.
Costui chiamammo noi in questa nostra opera la-
voratore dì terra, e fue formato in questo modo; che
e' fue fatto in figura d'un uomo abbiente nella mano
ritta la zappa ; nella manca (2) avea uno bastone da
menare per la via gli animali e gli armenti; alla cin-
tola avea uno (3) segolo , ovvero pennato , con che
(i\ Supplito da S. e T, secondo L.
(2) R. aveva una verga con che si dirizzano per la via , ecc.
(3) La Gr. riporta questo esempio aUa Y. Segolo, dove scam-
bio di: cintola, le^: cinta; e alla V* Pennato, éLove /egge: cin-
tura. R. alla correggia, ovvero cintura ebbe la falce, ovvero segolo
5
66
si potano le vigne e gli arbori, tagliandone il soper*
chio : a queste tre cose si può recare ogni lavorio di
terra. Primo lavoratore di terra leggiamo cLe fue
Caino, il primo figliuolo d'Adamo. E fue necessaria
cosa che Vuomo soprastesse al coltivamento della"
terra , imperò che la terra è madre di tutte le cose ^
però che da lei tutti pigliamo il principio del no-
stro >(i) formamento, e quella dobbiamo avere per
abiturìo alla nostra fine; (2) onde fue debita cosa
che alla nostra vita rendesse nutrimento con la no-
stra fatica. Dee dunque il lavoratore conoscere Iddio ,
avere lealtade, spregiare la morte ^ soprastare alla fa-
' lica. Conviello, dico, conoscere Iddio dal quale egli ri-
ceve i beni temporali , per li quali se ne sostiene la
vita eh' celi ha da Dio, e così glie ne faccia grazia.
OiTerisca la decima delle cose e scelga le migiiori,
acciocché non sia rifiutato come uno altro Caino, o
vero se ne cessasse di dare la decima parte per Dio,
non venga subitamente la tempesta , o nasca guerra
de' nemici , e cosi perda ogni cosa. E certo, pertanto
che l'uomo è ingrato a Domenedio e '1 multiplìca-
mento delle cose temporali assegna a sua propia vir*
tude et a suo consiglio e ingegno, per ordinamento
della divina sentenzia^ tutte le cose sono tolte allo
sconoscente. Onde egli è degna cosa , che 1' uomo il
quale nella boutade della ventura non conosce Dome-
nedio, almeno il richeggia quando la ventura gli è in-
scontra. Leggiamo del Re Davida che quando la ventura
gli rise la seconda volta, allora commise egli l'avol-
terio, e il mìcidio: ma quando egli fuggia Saul, e la
ventura gli era incontra, allora stette in virtude, e
in amore di Dio. Del popolo de' Giudei leggiamo, che
mentre ch'egli stette affamato et assetato nel deserto,
T. Alla cìntola aveya uno cortello largo con lo qual egli terpia
et ruscha i arbpri et le viti. '
(i) La Cr. alla V, Formamento riporta questo esempio kg-
gcndò: desiamo, per: dobbiamo, e abituro , per: abituri o.
{2) R. perciòe dee rendere nodrimento a noi, mentre che
noi ci viviamo per la nostra fatica.
67
si cliiainarono Domenedio cod pregiti: ma quando fue
ingrassato e riscaldato . della carne ^ andò saltando di-
nanzi al vitello con isconci giuochi, si che colui il
quale, vóto conoscea Domenedio , quando fue poscia
pieno si fece gli Idoli. Leale conviene che sia il la*
voratore, acciò che, non avendosi il Segnore suo (i)
ritenuto nulla, egli (2) ripresenti la persona del Sì«
gnorCé Curi addunque più soUicicamente le cose altrui
che le sue, imperò che la vita de' grandi e di no-
bili è nelle mani de' lavoratori ; però che cosi sono
ordinate le arti, che neuna arte basti a se medesima^
ma raccomunando le sue cose agli altri, (3) allora
vale. Spesse volte interviene che il lavoratore si pa-
sce delle più grosse cose , e reca le migliori al suo
Signore,
Racconta Valerio nel sesto libro, che (4) Antonio
famoso aringa tore, essendo accusato d'avolterio, e nella
quistione essendo dato per testimonio il servo suo che
lavorava le terre sue, (5) acciò che quando il detto
Antonio andava a commettere quello peccato quello
servo avea portata la lanterna^ e per questo essendo
Antonio fortemente confuso e dandosene molta ira
e sollecitudine, quello suo lavoratore^ il quale avea
nome (6) Pepio, si il confortoe che (7) si desse in
mano del giudice al tormento^ et affermoe che nulla
cosa si lascierebbe uscire di bocca la quale potesse
offendere il suo piato. Onde egli essendo lacerato con
più tormenti e messo alla colla et abbronzato éon
(i) Diceva: ricevuto nullo: corressi da S. secondo L. /ZT. Ac-
ciò che non avendo el suo Segnore per se, ch'egli li rapporti
quello che gli sono necessaria {sic)^ ritegnendo solo* tanto a se,
die con la sua famiglia possano vivere.
(a) R. egli rapporti la persona, e siali invece di Dio. .Abbia
adunque, più sollecita rangola dell' altrui cose , che delle sue.
(3Ì Diceva : a loro , 'corretto da S. secondo L.
(4) T. Anchomo. L. Antonius. S. Antonio.
(5) S. piU chiaro: dicendo gli accusatori che quando ec. nelMS.
acciocché, sta per: perciocché.
^6) L. Penpius. S. Pepione. T. Pipioue.
(7) Forse: sì il desse, ma lo S. legge come il M. L. se judi-
cìbus ton/uendum daret
6S
piastre di ferro, ogni cosa d'accusa pervertlo (i) con
fialyamento della cosa guardata, rapportando puro e
forte spirito riuchiuso sotto il nome di Pepio. Fue
uno ch'ebbe nome Penapione il quale avea uno servo .
che avea nome (2) Tenio, e questo fue uomo di ma-
ravigliosa fede; cliè (3) \egnendo uno Cavaliere per
uccidere Penapione condannato, Tenio suo servo cam-
biò con lui le vestimenta e l'anello, et entrò con
lui in, camera e nel letto ^ e come fosse Penapione
sostenne d'essere ucciso. Ma cbe è questo che molti
uomini stolti vanno fuggendo i cibi servili e '1 vesti-
mento servile^ ma non fuggono costumi servili? Ogni
savio è libero, et ogni matto è servo; et ogni debo-
lezza d'animo, e Tumìle e la rotta paura è servita-
dine, 11 lavoratore non deve temere la morte , onde
Valerio dice: La ragione ba comandato, cbe l'uomo
ami la vita , e non tema la morte. Cosa da ridere
è correre alla morte per tedio della vita. L'uomo forte
e savio non dee fuggire la vita , ma uscirne. Onde
dice Claudiano: Qualunque cos»a liquida l'aere contiene,
qualunque cosa la terra nutrica^ qualunque cosa il mare
rivolge, e qualunque cosa i pantani banno nutricato,
e tutti gli animali danno luogo igualmente a' tuoi (4)
regnami ; cose che sono sottoposte al tondo delia
luna, il quale tondo è il settimo che attornea i venti
e spartisce le cose mortali dalle stelle eternali. Sotto
i tuoi piedi verranno (5) i Re imporporati, e posta
giù la lussuria verranno mischiati co' poveri. Tutte le
cose (6) fa iguale la morte. E '1 versificatore dice , che
(i) S. in salyamento dell'accusato. L. Omnem vim aceusado^
nis^ custodita re, salute subvertii. — // T. varia assai ^ dicendo : Ver
la qual cosa fu diffamato Aiichomo, et liberato il lavoratore suo.
(a*) S. Temio. L. Themium. T. Temolo.
/3Ì Leggesi malamente: reggendo, corressi da S. e h.
(4) S. reggimenti. E le cose che sono sottoposte al cerchio
della luna, il quale è Saturno, che drcmida i Tenti, ecc. -Il T.
ommette onesto pezzo,
(5) R. i Re vestiti di porpora; e converrà che póngano giii
ogni superbia^ e sieno mischiati colla povera tiuba.
(6) R. ragguaglia.
^0
la bellezza, la generazione, i costami, la sapienza,
le cose e gli onori, tutte queste cose caggiono per
morte, e solamente i meriti stanno fermi. In tale modo
intendano alla fatica, che schifino l' oziositade. Al la*
voratore che s'affatica si conviene di ricogliere i frut-
ti , ma in tale maniera soprasteano alla fatica che
ne'santi dì si reposino. Onde (j) Tibulio dice: NeJ, di
santo si riposi la terra, e riposisi Taratore, stando
sospeso il (2) bomero, (3) o esso grave lavorio; (4)
e sciogliete i legami a gioghi ^ e menate i buoi alle
mangiatoie piene, col capo incoronato , et a voi co-
mando che stiate di lunge; (5) e partasi dagli altri
colui al quale la lussuria ha data allegrezza la notte
passata. Al lavoratore s'apertiene di nudrire gli ani-
mali e gli armenti , e però col bastone gli dirizzi e
meni alle pasture e rimeni a casa. (6) Il primaio uomo
pastore fue Abel, il quale fue giusto et offerse a Dio
il sacrifi'/io delle migliori cose; e cosi il ti conviene
seguitare, non solamente dell'arte, ma di costumi e di
virtudi, e sleali a mente, che quegli non può essere
Abel, nel quale s'adopera la malizia di Caino. Al la-
voratore s'apertiene di coltivare arbori, e Destare e
piantare vigue e potare. Questo fece di prima Noè.
Onde racconta Joseffo nel libro delle ragioni delle
cose naturali, che Noè trovò prima la vite salvatica,
cioè (7) gli abrostini (la quale è cosi chiamata dal
labbro delle vie); la quale vite essendo (8) amara tolse *
di quattro maniere sangue^ cioè di leone, d'agnello,
di porco, e di scimmia, e con questo cotale sangue
(i) L. Tabutius. - dee dire: Tibullo. T. Tulio.
(2) S. bomberò.
(3j S. conforme al L. cessi il ecc.
(4) Così lo S. poiché nel MS. questo tnemhretto era guasto ^
dicendo : se le sciogliete i legami e gli occhi. JIT. lo lascia fuori.
(5) B.. et quelli che hae auta la notte passata dilettamento
di carne sia sceverato dalli altri.
(6) R. Il primo uomo che nacque di femmina fué pastore,
cioè fue Abel.
(7) L. lanibruscam. — La Crusca a questa voce legge come il
MS. S. abrostino. T. labruscana.
(8) Diceva: amata, corretto da S. e Ìm
70
mischiò la terra, e fatto che n'ebhe letame puose alle
barbe di ciascuna vite tagliata , acciò che in cotale
via l'amaritudine in questo modo rendesse frutto dol-
ce; e bevuto che n'ebbe del detto vino tosto fue ine-
brialo, e giacendo scoperto nel tabernacolo suo , per
questo fue schernito dal suo figliuolo minore in di-
gnitade, ciò fue Cham; e poi che fue (i) tornato a
temperanza ragunò i suoi figliuoli, e mostrò loro la
natura del (a) W/zo cosi dicendo: che però avea po-
sto il sangue de' detti animali, acciò che imprendes-
sono gli uomini che talora diventano per lo vino leoni
{)er ira , talora agnelli sanza cuore per codardia , ta-
ora diventano porci per carnalitade, talora scimmie (3}
per curiositade, però che tutto ciò che vede fare
altrui si vuole fare ella e disfare; e cosi sono molti
che temperati stanno contenti de' loro offizii, ma (4)
quando sono inebriati si sì frammettono negli altrui
uffizii; e quando pensano di servire et elli disservono.
Valerio (5) dice, che delle donne Romane anti-
camente non seppono cosa fosse il bere vino acciò
che non cadessero in (6) catti vanza veruna. Onde dice
Ovidio: I vini apparecchiano gli animi e fannoli ac-
conci a' riscaldaménti; la molta sollecitudine si parte
e fugge per molto vino; allora vengono le molte
risa, allora il povero prende (7) corona, allora si
parte il dolore e le rangole e la piega della fronte.
•E queste cose (8) bastino che sieno dette del lavora-
tore della terra, degli operai e pastori.
(i) S. poiché fu disebrìato. R. quando Noè fu tornato in suo
senno. T. rìsvegiato.
(2Ì Le^a: uomo; corressi da 5. e L.
(3) S. per curiositade presuntuosa. R. per presunzione di cu-
riosità.
(4) R. quando s'inebriano, s'inebriano di curiosità, sì che
s' imbrigano delti altrui affari. S. si tramettono neUi altrui (uffizj).
T. sì vogliono signorisare tutti altri.
(5) Ri Valerio dice, che Tusamènto del vino non fu saputo
in qua diìeto dalle donne Romane, acciocché non discorressero
in alcuna villania.
Ì6Ì S. cattività.
7) R. coma. L. comua. — Net T. manca,
io) S. bastino ad aver -detto.
7^
CAPITOLO SECONDO.
Dell'opere da' fabbri
^^Kss^^sia
Il fabbro tegnamo che fosse cosi formato ^ lo
quale noi diciamo che sta dinanzi al Cavaliere nel
diritto lato del Re. Et è degna cosa, però che i Ca-
valieri hanno bisogno d'avere frefni, sproni, etarmi,
le quali cose tutte si compiono per mano del fabbro ;
e fue formato in forma d'uomo abbiente nella mano
ritta il martello, e nella manca (i) la pialla, et a
cintola avea la cazzuola da murare. A costui si recano
tutti questi artefici , come sono fabbri, (2) ferraiuoli,
monetieri, fattori di case e di mura e di torri ^ et
ogni mastro che lavora di legname o di calcina ; li
primi sono significati per lo martello , li secondi per
(i) La Cr. a questa V. iole e quale^ ed anche alla V* Caz-
zuola.
(3) R. orafi, facitori di moneta.
7^
la cazzuola (i) da murare ^ li terzi per la pialla (2)
da piallare i legni. la tutti costoro dee avere fede;
che sieno leali, avveduti e forti. Dico prima che gli
conviene essere leali per quante cose a loro sono com-
messe , non solamente i metalli-^a gli orafi ovvero mo-
netieri, ma ancora i corpi umani a' nocchieri, et
ammaestri di pietra, e di legname, acciò che nelle case
ch^egli fanno sieno difese le persone dal troppo caldo
e freddo. L'anime e le corpora s'assicurano ne' peri-
coli sotto r ombra del nocchiere. Per la quale cosa
sieno fedeli egli, a cui sono commesse cotante e così
grandi cose. Onde suole dire il proverbio: chi la fede
perde non ha più che perdere (3); la fede è uno san-
tissimo bene del petto; la fede per nulla necessitade è
constretta ad ingannare y per nullo guiderdone si cor*
rompe. Racconta Valerio , che Fabio avea ricevuti
J)regioni Bomani da Anibale a certi patti di moneta,
a quale moneta non essendogli data da' Romani den-
tro^ mandò il suo figliuolo in Roma et uno solo po-
dere ch'egli avea fece vendere, del quale prezzo pa-
goé la moneta ch'egli avea convenuta ad Anibale;
volle anzi essere povero del suo patrimonio , che la
città fosse povera di fede. Somma (4) ismemoraggine
è avere speranza nella fede di coloro della cui per-
fidezza tu sie tante volte ingannato, e con la ventura
sta e cade la fede.
Questi artefici (5) sommariamente sono utili al
mondo. Noi dovemo sapere che quelle cose che s'inge-
nerano in terra, tutte sono create (6) ad uopo dell'uomo.
E gli uomini furono ingenerali per cagione d'uomini,
!i) R. con che la calcina si mette tra i mattoni.
2) R. con che i legni s'appianano.
3) // L. aggiunge: non autem habet causam loquendi cui
credi non potest. Le quali parole ommette pure lo S.; ma non il
T.: più non ha cagione de parlare quilli al quale non se pu6
credere più la fede.
(4) La Cr, a questa V, tale e quale,
(5) Cosi anche post. S.; e il T. ma S. sommamente. L. sum^
mcpere,
(6) T. a destro dell'homo, voce notabile.
73
acciò ch'eglino tra loro^ et agli altri, e Tuno al-
l'altro possa fare prode. Io ciò dunque dovremo se-
guitare la natura guida trice, e le comuni utilitadi re-
care in mezzo. Fondamento della giustizia si è di non
nocere a nessuno e servire alle comuni utilitadi. Onde
dice uno poeta: Il tuo fatto si fa quando il parete
del vicino arde, (i) e le arsure che sono aitate in neg^
ghienza sogliono prendere Jorza. Niuna cosa ha la Jor-
Ulna più che V potere, ne la natura ha meglio che vo-
lere di sapienza conservare molti. Savi (2) gli conviene
essere acciò ch'egli non s' abbiano invidia insieme,
né sospezione l'uno dell'altro. Dìo ha voluto che que-
sta sia natura dell'uomo d'essere cupido^ et appetire
queste due cose^ cioè religione e sapienza: ma gli uo-
mini sono di ciò ingannati che vogliono prendere
l'una e lasciar^ l'altra, (3) conciosiacosachè tana
senza t altra non possa essere vera. Veramente pro-
pietà deiruomo savio si è di non fare cosa ond^ si
possa pentere, né di non fare cosa mal ^volentieri ,
ma (4) splendentemente^ e costantemente, e grave^
mente ^ et onestamente fare tutte le cose. Se tu non
avrai invidia a veruno, tu sarai il maggiore; colui
che ha invidia si è il minore. (5) Invìdia si è uno
dolore dell'animo il quale nasce dell'altrui utilitade.
Addunque a neuno àe invidia Tuomo hontadioso. Lo
invidioso dice: più è abbondevole la biada sempre
Degli altrui campi, e la (6) vigna del vicino fa pine
frutto. Non debbono avere insieme sospezione, acciò
che non sia avverata in loro quella parola che dice
Seneca: Questa cosa àe in se ogni affetto che in quello
pensano che gli altri ammattiscano, in che ammattisce
egli. Dionigio tiranno di Sicilia era pieno di tanta so-
(i) Supplito secondo L. £Ì^ R. 6 S.; S. li fuochi annighittiti.
Le parole: di sapienza, guastano^ e sembrano intruse. Il T. salta
questo pezzo.
(2) Si riferisce ad artefici.
(3) jéggiunto da K, ^
(4) Così anche R. e Cr. a questa V.
\S) Crusca a questa V, tale e quale.
(6) S. animale. L. pecus.
74 .
spezione e paurs^, sappieado che gli era (t) odiato da
tutti, che removendo da se gli amici ^ in loro luogo
mise ferocissimi barbari ai quali raccomandoe la guar-
dia del suo campo; et anche per paura di barbari fece
insegnare radere alle figliuole, le quali poi che furono
cresciute, non s'ardio di mettere loro ferro in mano,
ma impuose loro che gli (3) rimovessero i peli del
capo, e la barba con le ghiande e co' gusci di noci
roventi. Ancora non si rendeo sicuro alle figliuole^
come padre, ma cinse ed attornioe il letto come fosse
uno castello affossato, nel quale entrava con ponte
levatoi, e la porta della camera serrata di fuori di^
ligentemente, per cagione di sospezione. Onde poi che
Platone ebbe veduto costui così attorniato da guardie,
si gli disse palesemente: che, tanto male hai tu fatto,
che ti convenga cosi guardare?
Forti debbono essere, massimamente coloro che
soprastanno al navigare, però che se fossono paurosi
metterebbono paura agli altri che non sanno de' pe-
ricoli del mare; e cosi interverrebbe che temendo
tutti e cessandosi della fatica (3) del menare la nave,
per l'abbandonato animo si si dispererebbono ; pero
che la nave è più tosto profondata dalla tempesta
quando il governatore viene meno , e gli altri che
sono sotto il suo reggimento sono in po^ra e perdono
l'animo e '1 consiglio. E cosi debbono avere in se la
fortezza dell'animo^ la quale è il considerato ricevi-
mento de' pericoli. E se avvenisse che il governatore
temesse i pericoli , neentemeno dee promettere chen-
tunque speranza (4) più di salvamento; perochè il
grande animò è sostenere i grandi pericoli (5) con
iguale animo.
Questo cotanto basti che sia detto del fabbro e
del maestro del legname e della pietra.
Ìi) Post. S. inodiato.
2) K abbruciassero la barba e i capelli. T. con alguno ferro
ruente fèasi bafTare (sic) el pialo della barba. F^. Elenco,
(3Ì Post. S. del guidamento della nave. /
(A) Forse: può, come ha S.
(5) T. in piano animo. '
75
CAPITOLO TERZO.
Del lanaiolo ovvero notaio ^ peUicciaii <merù beccari.
^zi(oiì3aa:(
Lo terzo popolare descriviamo in questo modo;
lo quale noi diciamo che sta dinanzi all' alfine e così
tegnamo, però che tra costoro de' quali noi parliamo
qui , spesse volte nascono le lìti e le quistioni le quali
è bisogno che siano diflinite per T aitino, siccome per
giudice, e per lo notaio che gli siede dinanzi siano
messe in autentiche scritture. £ fue cosi formato, che
fue uno uomo che nella mano ritta avea le forvici,
e nella manca il coltello ad uno taglio grande, e (i)
lato alla cintura avea il calamaio e '1 pennaiuolo, al-
l' orecchia; ritta la penna da scrivere. Offizio di costoro
si è di recare in autentiche scritture le carte che si
fanno per contratti^ e stare dinanzi a' giudici , leggere
le condannagioni , e ciò s' intende per lo calamajo e
(i) R. al lato alla cotreggia.
7^
Eer la penna cbe tiene all' orecchie, (i) Gli altri
anno a tagliare panni, e cuscire, e tondere , e (2)
cìgnere, e tessere, e radere la barba^ e ciò s'intendo
per le forvici. Per lo coltello, ovvero (3) coltellaccio,
s'intendono calzolari, (4) coia ri d'ogni maniera, pel-
licciai , beccari , et ucciditori degli animali. Tutti
questi s' appellano per nome di (5) lanificio , però
che tutti toccano o pelli o pelo. A costoro si pertiene
di fare diligentemente e fedelmente l'arti loro; e deb-
bono avere in loro massimamente queste virtudi cioè^
compagnevole amistade, contenenza d'onestade, e ve-
ri tade delle parole. Li tiotari, che sono molto utili
alla Repubblica, si si guardino d'apropiarsi quelle cose
che sono del Comune ; (6) se questi sono buoni , si
sono ottimi, se sdtio rei, alla Repubblica si sono pes-
simi. Però che conciosiacosachè per loro si scrivano li
piati e le questioni che si propongono dinanzi al giu-
dice assessore, grande utilitade ne ritorna alla comu-
nanza de' cittadini, se in loro si troveràe verìtade e
lealtade. Guardino dunque la coscienza, che non fac-
ciano viziata la forma del contratto,' però che ne
sono tenuti all'amenda a colui al quale egli avessono
\falsata la scrittura. E conciosiacosach' eglino continua-
mente leggano e sappiano li statuti delle cìttadi ,
pongano bene mente se vi veggiano cosa che sia con-
tra Domenedio e centra ragione, di ^7) farli rimu-
tare al popolo et a' rettori , però che non ha legame
(i) S. Altri.
Ìt) Lessasi collo S. tignere. L. colorare.
. (3) Post. S. ghiado.
(4) S. vajai. L. corìarìos.
(5) S. del lanaiuolo. R. aggiunge: sì come sono notarì, pel-
liccìarì, ovrero cojai sì adoperano la pelle: lì altri intendono alla
lana^ o Tero a' peli, come sono ritagliatori di panni, sarti, tin-
tori, tessitori, barbieri, tonditori di panni: li altri intendono alla
carne, come sono beccari, e ucciditori di bestie.
(6) È notabile nel T. la frase lombarda: Costoro si, se danno
de essere boni sono optimi, et converso sì se danno d'essere
rei, sono pessimi, ecc.; cioè: se avviene che siano y ecc.
(7) S. rimuovere. R. e di ciò facciano saputo il popolo, e
inducano i rettori a rimutarli.
77
di ragione quello che è (i^ ordinato contra fede, e
con tra' buoni costumi. Ma guai! al tempo d'oggi, che
coloro che (2) sanno bene fare per la Repubblica la-
sciano il timore di Dio, sì 'ngaunano i deboli, e gli
altri popolari, e traggongli alle congiurazioni^ et alle
sconcie (3) raunanze. E poi che sono cosi legati ad
una , si muovono più leggiermente le discordie nelle
cittadi, che non farebbono adunamento d'animi. Neuno
collegio è oggi tanto nocevole a' Lombardi^ quanto è
quello di Notari, ne' quali si trova iscordanza di vo-»
Ieri. A ciò dunque che la città sia godevole di pace
confortinsi a concordia et a verace amistade^ della
quale dice Tullio: Araistade è uno volere (4) d'alcuna
buona cosa , per cagione di quello (5) che elegge con
iguale volere ; la quale è da soprapporre a tutte le
cose. Nulla cosa (6) si adatta tanto alla natura, né
non si conviene tanto alle prosperitadi, et alle avver*
sitadi, come l'amistade, la cui forza quanta ella sia
8Ì pud intendere pertanto^ che della infinita com-
pagnia dell'umana generar.ione la quale essa natura
àe reconciliata, é una cosa si ratratta e raccolta in
stretto luogo, che ogni amore si raccoglie e raunasi
tra due, o tra pochi. Come può essere utile la vita
che non si riposa per (7) vicendevole benivolenza
dell'amico? Quale è più dolce (8) cosa che avere uno
amico col quale tu t'ardisci a parlare come con teco?
Ma questa amistade talora sì fonda sopra bene dilet-
tevole, e questa è l'amistade della gioventudine, nella
quale regna il calore e il principio del diletto. Talora
R. staniiato.
{i) R. sanno più della Repubblica a ben fare» ^ttandosi in
dietro il timore di Dio, ingannano i più menopossenti e meno
savi popolari.
' (3) R. raunamenti. /Z T. E po' che coloro sono ligati in uni'^
tade, allora se brigano de fare discordamenti nella città.
(4) R* buone cose altrui.
(5) Meglio T. e R. cui ama. L. quem diìigit
(6) S. é tanto attevole. Post S. è tanto acconcia.
S. incendevole.
Supplito da S.
8
BÌ fonda aopra bene onesto , e questa è Tamistade del-
l' uomo virtudioso; onde dice Tullio: Agli amici (i)
non dare quello che direttamente tu possi dare, e dare
quello che non ti sia insto è contra offizio. Gli onori
e le ricchezze, e^ diletti e Taltre cose simiglianti, che
pare che sieno utili, non sono mai da soprapporre
all'amistà. Né contra la Repubblica , né contra sarà*
mento, né contra fede, per cagione dell'amico non
farà già mai il buono uomo. Se tutte le cose fossono
da fare che l'amico vuole, non è da credere queste
cotali sieno amistadi, ma congiurazioni; quando quella
cosa che pare utile nell'amistade (3) s'agguaglia eoa
a nella cosa che é onesta, (3) allora giace la spezie
eli' utilitade. Addunque questa legge s'osservi ncUV
mistade, che non preghiamo gli amici di cose sozze,
né le Reclamo noi^ se ne fossimo pregati. Sozza scusa
e neente da ricevere, chi dice che abbia fatto contra
la Repubblica per cagio/ie dell'amico. Racconta Vale-
rio d'uno che avea nome Rosilio, che contrastando
egli ad uno suo amico ^ che il pregava di cosa non
giusta , e quegli rispondendoli con iudegnazioue , che
bisogno m'é dunque l'amistade tua^ se tu non mi fai,
quello onde io ti prego ? disse Rosilio : anzi che bi*
sogno m'é la tua, s'i' debbo fare per te alcuna cosa
disonesta? Talora si fonda sopra bene utile, la quale
amistade dura tanto quanto dura l'utilitade. Onde dice
Varrò nelle sentenzie: l'amistadi de' ricchi sono come
la paglia contra il grano. Vói tu provare l'amico? Noi
puoi provare se non in avversitadi. Disse Seneca d'al-
cuni che seguitavano Nerone Imperadore: Le mosche
vanno dietro al mele, e' lupi dietro alle carogne; que-
sta turba va alla preda ^ e non alla persona.
Tullio racconta che Tarquinio Superbo, il quale
fue cacciato di Roma dal suo nepote^ figliuolo della
(i) L. non trìbuere quod recte possis^ et tribuere auodnonsit
tquum contra qfficium est — Nel MS. v^avea un po' ai guasto.
(i) R. s'assomiglia con quella.
(3) Strana traduzione del L. cum id quod utile Tidetur in aml-
citia cum eo quod honestum est comparatur, faceat utilitatis spes,
valeatque honestas.
79
serocchia carnale, il quale ebbe nome Bruto, essendo
a terna fine, disse cosi: che allora s'avvide di prima
quali Tossono fidati^amici e quali no;conciosiacosachè(i)
già non potesse rapportare la grazia del yeutre.
Colui che è preso per amico per cagione d'utilitade^
tanto tempo piacerà il fatto suo, quanto egli sia utile ,
e cotali amici allora fuggono quando si pruovano. Que-
sta cotale è una mercatanzia, non è amistade, quando
altri riguarda pur T utili tade. Onde dice Ovidio: U po-
polo minuto pruova Tamistadi coli' utilitade : (2) ma
appena mi siete rimasi due o tre amici di quanti io
u'avea; T altra parte degli amici sono stati amici della
ventura, non miei. Mentre che tu sarai bene avven-
turato annoverrai tu mplti amici: (3) se yerranno
nuvoli sopra te non ne troverai veruno. Addunque se
noi rechiamo Tamistadi pur allo nostro frutto, e non
a colui lo quale amiamo, non è quella cotale ami-
stade, ma una mercatanzia d' utilitade; in questo modo
6 amano le pratora , e' campi , le pecore , e lo frutto
che se n' ha : ma l' amore degli uomini è grazievole.
Gli amici di cara fede si si cognoscono massimamente
nelle cose contrarie nelle quali ciò (4) che s^ apparec-
chia tutto viene da ferma benivolenza. Ma (5) U cen^
iiniiamento della bene avventuranza (6) si reca più a
lusinghe che ad amore. Racconta Pietro (7) Alfonso,
che fue uno filosafo d'Arabia il quale avea uno solo
figliuolo, e domandoUo una volta quanti amici avesse
guadagnati, e quelli rispondendo, che molti, disse il
padre: Io sono già vecchio e non ho guadagnato an-
cora più che uno; e, disse: non ti paia poco, figliuole,
d'avere uno solo amico, e non ti paia molto averne
(i) R. già potesse. L. posset
(2) S. R. ^pena.
(3) S. se caderai in adversitade. R. se saranno i tempi nu-
bolosi solo sarai.
(4) S. si dona. L. praestatur.
(5) Da S. R. L.
(6) R. per la maggior parte è dato a' lusingamenti, che a la
carìtade.
(7) S. Alfonso. L. Alphunsus.
8o
molti; bisogno è d'amare gli amici provati. E però
comandò al figliuolo, che ucciso il porco e messo in
uno sacco s'infignesse d'avere morto i;no uomo^ e a tutti
gli amici cn' egli avesse guadagnatisi'! portasse di
nascoso a seppellirro. Lo quale comandamento del pa«
dre poiché il figliuolo 1' ebbe adempiuto et ebbe ri-
chesti per ordine tutti gli amici, e tutti gli ebbero ri-
aposto per ordine male^ anzi ingiuriosamente per tanto
ch'egli avea loro manifestato cotale cosa, allora ri-
tornò dal padre dicendo com'egli avesse provato che
gli amici gli erano venuti meno quando la necessitade
gli costringea; et il padre ammonio il figliuolo che
da sua parte richiedesse quello uno solo amico ch'e-
gli avea,- lo quale si gloriava d'avere provato per vero
amico, il quale poi ch'ebbe inteso la domanda cac-
ciò fuori di casa ogni persona, e la notte quando
ogni cosa era racquetata, et ogni gente era andato a
letto egli fece fare nel terreno una profonda fossa e
tolse a seppellire porco per uomo ; et in questo modo
provò il figliuolo che l'amico del padre era verace,
e i suoi provò che più tosto erano amici della ven-
tura (i) prosperevole y che non erano amici della (2)
contraria. Narra il detto Pietro Alfonso, che due
mercatanti l'uno di Baldacha, e l'altro d'Egitto, erano
tanto congiunti d' amistade insieme , che essendo (3}
quello di Baldacha in Egitto, e quello d'Egitto vo-
gliendo menare la moglie (4) iurata, di cui l'amico
di Baldacha era cosi preso d'amore che ne giacca in-
fermo , finalmente l' ardore delPamore fue palesato
da'medici; la quale cosa attendendo coluid' Egitto, la
moglie che dovea avere egli, sì la diede a quello di
Baldacha con tutta la dote sua, vogliendo anzi per-
dere l'amore della moglie, che perdere la presenzia
deir amico. (5) Quando ciò fue fatto e quello di Balda-
^i^ SuppL dal Cod. 9. p^l. 4«
12) Il Cod, Q. pai. 4* contradiosa.
(3) S. il BaldachiBO.
(4) B.. che li era data e sponsata.
(5) iZ T. tralascia tutto il rimanente di questo pezzo»
8i
cha fue tornato a casa sua con la moglie ch'egli avea
cosi avuta , e fue arricchito di molte ricchezze , in*
tervenne che quello d'Egitto venne a strema pover-
tade, per la quale cosa ricordandosi dell'amico di Bal-
dacha^ cosi poveramente^ ne venne insino là a lui,
et in quella notte ch'egli arrivò inBaldacha^ addor-
mentato che fu in uno tempio di pagani, là presso
fue morto \ino uomo. Quando il giorno apparve , l'a-
mico povero d'Egitto uscendo dal detto tempio, là
dove avea dormito, fue preso come fosse (i) quegli
che avesse morto quello uomo, e menato alla (a)
questione , confessò d' avere fatto il micidio per propia
volontade , vogliendo anzi (3) fare la morte delle for-
che, che menare vita di morte. Or venne che all'ora che
la sentenzia si dovea dare centra lui, l'amico di Bal-
dacha sopravvenne, e riguardando sottilmente l'amico
d'Egitto che dovea essere giustiziato si '1 riconohhe,
e, gettandosi incontanente dinanzi al giudice, affermò
ch'egli era colpevole del micidio et era degno di
morte, e brigavasi ^i fare prosciogliere quello d'Egitto,
sì come non colpevole. Venne poi il terzo , il quale
avea veramente fatto il male , e considerando la in-
nocenza di quegli due^ per temenza ch'ebbe dell'ira
del giudicio di Dio, si s'appresentò innanzi e manifestò
per ordine quello peccato. Allora il giudice attendendo
la constanzia de' due amici, e l'ammenda del fatto^ si
perdonò loro la pena; et avvenne che quello d'Egitto,
il quale per amore di quello di Baldacha avea lasciata
la moglie a se isposata, si trovò et ebbe per moglie
la serocchìa di quello di Baldacha^ per la quale ebbe
di dote l'una metà di tutti (4) i beni suoi, et anche
scampoe d'essere giustiziato.
In tutta onestade, e continenzia studino questi
aVteGci. Cpnciosiacosachè le loro arti richeggiano d'a-
vere a conversare spesso con femmine, però gli con-
dii S. r omicidiale. R. micidiale.
(i) S. signoria. R. et essendo messo alla colla.
(3) R. elesse di morire anzi in sulle forche.
(4) S. per indiviso.
83
viene essei^ onesti e i»asli di non isguardare le fem-
mine ^ o se fossoDO in mal modo sguardati da esse
o accennati si fuggano da esse. Narra (i) Tertul-
liano, che Democrito filosofo accecò sé medesimo
perchè non potea vedere le femmine che non avesse
concupiscenza carnale. Narra .Valerio d'uno giovane
di grande bellezza , avvegnaché fosse castissimo , il
quale ebbe nome Spuriua^ imperò che per sua bel-
lezza dava molta soUicitudine agli occhi d?ile fem-
mine, et egli sentendo che per questo era tenuto a
sospetto da' loro parenti , la bellezza della sua bocca
si guastò con piaghe che si fece, e tutto il volto si
venne (a) arando con lanciuole e con ferruzzi ; onde
volle anzi che la sozzura della faccia fosse (3} dimo«-
sU'^merUo della sautitade della fede sua, anzi che vo-
lesse che la bellezza sua fosse (4) cagione di trarre
altrui a lussuria. Leggiamo (5) d'una monaca vergine,
imperò che per la bellezza de' suoi occhi avea sollici-
tato (()) gli occhi di uno Re, e sì gli si trasse, e man*-
dolli per presente al detto Re, che n'era cosi vago.
Di Platone filosafo ricchissimo leggiamo, che abban-
donoe la città sua e '1 patrimonio , et elesse per abi-
tazione la villa che si chiamava (7} Achedimia di-
lunge alla cittade ( la quale villa era abbandonata
dagli abilanli di quella, perché era tutta piena di pe-
stilenzia) , acciò che (8} per la sollicitudiue , e per la
continuazione de' mali della pena rompesse la forza
della lussuria. Onde molti de suoi discepoli si cava-
ci) S. Terquiliano. T. Tertuliano.
(a) Or. tale e quale alle voci: Arare, §, Lanciuola, Ferruno.
S. arandolo con lanciuole e ferri. // T. par che dica: A se col-
ptgìb tutto el volto; come fosse una storpiatura delyerboi colpeg-
giare, dar colpi.
(3) Dicea: dimostrata: corressi con S.
(4) K. provocamento di lussuria in altrui.
(5) T. Leggiamo in Tulio, ecc. Dopo questo racconto salta
via tutto y sino al capo seguente,
{6) Le parole: gli occhi di: mancano nello S. e L.
(7) S. Àcademia.
(8) R. per la cura, e per la continuansa delle infertadi*
83
rono gli occhi. Racconta (1} Elmando, che Demosti-
nes tOGcoe così per gioco lo stomaco d'una nobilissima
meretrice, che avea nome (2) Alloda, edomandoUa:
a quanto è questo? e quella dicendo; a mille denari^
rispose il fiilosafo: io non compreroe tanto il pentere.
Onde dice Ovidio: (3) Quello che giova è poco; più è
quello che offende gli amanti; egli è virtude astenersi
da' beni che piacciono. Dice Santo Agustino nel quinto
libro della città di Dio, che Marco Marcello di gea*
tile nome romano, il quale prese la città di Saragozza
richissima et adornatissima, dicesi che la pianse prima
che la dovesse rovinare, et innanzi che vi si span*
desse sangue, si spanse le sue lacrime, e puose cura di
fare servare la castità ne' nemici, onde prima, eh' esso
vincitore comandasse' che fosse assalita la terra, fece met-
tere bando che veruno non corrompesse corpo libero.
Questi artefici (4) attendano alla veritade, per la
quale la intenzione, e '1 parlare, e l'opere dell'uomo
s'accordano insieme in bene, e non si scordano in-*
sieme fra loro di nulla. Onde verissima cosa è che
la verità non ha (5) cantora : ella è una virtude per
la quale altri, (6) pone/iefo dall'uno lato ogni paura e
froda , con una cotale libertà di spirito parla quello
che sente dirittamente. Valerio Massimo dice , che di-
siderando tutti i Saragozzani la morte di Dionisio ti-
ranno di Sicilia, una (7) vecchiarella molto antiqua
si levava sola ogni notte a mattutino a pregare gli
Dei che facessero vivere il detto in sanitade; la quaU
cosa udendo Dionisio , maravigliossi di ciò, (8) e do-
!i) S. Elinado. L. Elùnandus.
2) L. Laudis. S. AJioda. Post S. Lauda.
(3) Da S. e L.
\^) Propriamente il MS. le^: artefi; quasi nello stesso modo
che dicesi orafo, per orefice. S. artefici.
(5) S. cantoni.
(6ì Dìcea: pone: corressi da S. e h.
(7) R. una femmina la quale era in strema vecchitudiiie ogni
di a mattutino sola nata pregava, ecc.
(8) R. e mandoe per lei, e volle sapere la cagione perchè
così orava.
64 < ^
mandolla che fosse la cagione; al quale ella ri^aose
e disse: Quando io era fanciulla ci avea uno tiranno
grave. Io quale io disiderava di perdere; morio que-
sti ^ e dopo lui n'ebbi uno altro peggiore, et io an-
cora desiderando di perdere costui, cominciammo ad
dyere (i) te peggiore di tutti gli altri: ma temendo
io che dopo te non ne venga uno peggiore- di te, si
prometto (2} il corpo mio per salute tua. E Dionisio
81 vergognò di punire cosi cortese ardimento di dire
la veritade.
E queste cose basti d'avere dette del lauaiolo.
(i) R. Ora dopo questi voi siete il terzo, e te quelli furono
rei 9 voi siete tre cotanto piggiore.
(2) 5. il capo mio. L. capui mmm devoveo.
85
C4PITO10 QUARTO.
De' mercatanti e cambiaiorL
m mM{i{M(AL^Ai iC^(^(^R(T(m^
mYl^)h^)^)Y)Wfyf)^^m^^m^^^^^^
Dinanzi del Re (i) devono sapere che sin i| quarto
]popolare, il quale fue formato in forma d'uomo et
avea nella mano ritta la bilancia col peso; nella mano
manca avea ]a (3) canna da misurare;; alla cintola avea
la borsa òo' denari apparecchiata a rispondere a co-
loro che domandassono. Per costui s'intendono mer-
catanti di panni e di tele, e di qualunque simigliau te
<:osa, e ciò si dimostra nella canna da misurare; an-
che i cambiatori delle monete, e ciò si dimostra nella
borsa. Tutti questi debbono fuggire avarizia; guardarsi
da' debiti; debbono attendere et osservare la promessi ^
e rendere interamente li depositi che sono loro ac-
comandati. E convenevolmente si pongono dinanzi dal
(lì T. devemo. S. dobbiamo. L. novimus.
{1) T. la canna e '1 passetto de mensurare. L. fustem^ swe
brachiwn mensurale.
86
Re , pero che debbono essere sopra' tesori del Re e
rispondere del soldo a' Cavalieri per lo Re. Schifino
adunque l'avarizia la quale è un servire agli idoli ,
della quale parla Tullio : Avarizia è cupidità di guada-
gnare, o di retinere oltre che sia necessità, o vero (i)
e disordinato amore d'avere. Nullo vizio è peggio-
re di questo, massimamente ne' Principi^ et in co-
loro che governano la Repubblica, Questa è quella
che sospinge l'uomo a qualunque male, e regna mas-
simamente ne'yecchi; come questo s'addivenga io non
lo intendo. (2) Qual cosa può essere più da non udire j
che domandare per ispese nel viaggio più che non sia
bisogno? Onde si legge ne' proverbi de' Savi: L'avaro
non fa veruna cosa dirittamente se non quando egli
muore; al quale non pòi disiderare peggio, ch'egli viva
lungamente. L'avaro a nessuno uoino è buono , a se
è rio , al povero è pessimo. Cagione di disdire non
manca mai all'avaro. Racconta Seneca, che Cinico
domandò uno talento ad Antigono; rispuose Antigono :
e' vale più che Cinico non dee chiedere; per la quale
cosa essendo accomiatato, domandò uno danaio pic-
ciolo; rispuose il Re: e' vale meno che a Rè non si
conviene di dare. Onde riguardò nel danaio il Re,
e nel talento riguardò Cinico, coóciosiacosachè pò-,
tesise dare il dfanaio si come a Cinico^ el talento
come Re. (5) Ma Alessandro fece meglio y il quale do^
nòe a uno povero Cavaliere una ciltade^ e quelli disse ,
che non si con/aceva a lui dono ' di cittade ; et Ales-
sandro rispuose: io non riguardo quello che a te si con--
jaey ma a quello che si confae a me di donare. Nulla
cosa è si piccola che l'umanità del Re non la dea
onestamente. L'avarizia della cupidezza è generamento
di tutte concupiscenze. Racconta Josefo nel decimot-
tavo capitolo delle antichitadi, che fue una romana
{i\ Diceai che: corr. da S.
(3) Supplito da S. // L. quid absurdìus esse potest quam,
quomìnus restat TÌae, eo amplius Tiaticum quadrare? // T. è
mancante sino alle parole: Leggiamo d'una donna, ecc.
(3) A^unto da R. di che però il L. ìwn ha nuUa.
^7
femmma la quale ebbe nome Paulina di chiara di-
gnitade de' maggiori suoi, c/^ intendea allo studio di
castità, famosa d'openione d'onestade, ricca di molte
ricchezze ^ bella della faccia, di quell'età che le donne
si sogliono gloriare della castità. Questa fue maritata
ad uno ch'ebbe nome Saturnino simigliante a lei di
schiatta e di ricchezza , e degli altri (i) ordina-
menti. Dell' amore di costei era preso uno Cavaliere
che avea nome (2} Emerico Mondo, il quale sol-
licitandola con doni con promesse , neente potè
isìnovere l'animo della donna duro come pietra, si
ch'ella volle anzi avere meno quelle donora,che per
avarizia perdere la castità del corpo (3). Leggiamo d'una
femmina che menava vita solitaria, la quale poi che
ebbe raunato una gi*ande quantità d'oro, fece una
fossa nel romitorio e nascoselvi entro: ma dopo la
morte sua (4) fatto assapere al Vescovo, per suo co-
mandamento, Toro fue gittato nel sepolcro suo, il
quale oro poi che fue stato sotterra tre di, fue udita
gridare: ohimè misera! che sono consumata di cotanta
arsura. Quando ebbe data molta briga a' vicini per
molte guise , per comandamento del Vescovo , fue ve-
nuto a dissotterrarla , et aperto 1' avello fue trovato
che l'oro l'era colato in bocca con fuoco di solfo;
acciò che fosse avverato in lei quella parola che
è scritta: d'oro avesti sete, d'oro bei. E tolsero il
corpo suo fracido e gittàrlo nel letame. Onde par-
lando Seneca nelle declamagioni dice cosi : Fonda-
mento de' vizii delle femmine è l'avarizia. Valerio
Massimo dice: L'avarizia è cercatrice de' nascosti
guadagni e divoramento molto disìderoso della na-
scosta preda; e non è bene avventurata d'avere il
frutto, et è miserissima delle cupidezze di domandare.
Tutte queste cose ebbe in se uno ch'ebbe nome Set-^
fiì MegUo S. ornamenti. L. caeteroque adtu,
(a) S. Amerigo Mondo. L. Emericus nomine Mondus.
(3) Questo racconto ne l L. continua ancora per una faccia ia-
tera; ma il Traduttore lo debbe aver troncato per scrupolo d'o-
nestà; poiché anche nello S. non va più oltre.
(4) R. essendo ciò venuto air orecchie del Vescovo.
88
tenulo, il quale essendo famigliare d'uno che avea
nome Gracco, intanto s'infiammoe d'avarizia, che per,
alcuna quantità d'oro che gli fue impromessa da uno
che ayea nome (i) Spinatoso^ non si vergognò di ta-
gliare il capo del suo amico Gracco, e di portarlo
f)er la città fitto in su uno palo. (2) Ancora più , che
a cavata parte del capo , acciò che fosse pid pesante,
sì l'empiè di piombo colato ^ acciò che ricevesse la
quantità dell'oro che gli era impromesso a quello peso.
Odiosa è questa avarizia di Setteroulo, ma di quella
di Tolomeo Be di Cipri è bene da ridere; che veg-
gendo Antonio Imperadore, che quegli avea molte ric-
chezze et avendolo corretto di sozzura, veggendo che
ne dovea perire, e per questo avendo messo nelle
navi tutta la pecunia , et andato in alto mare acciò
che forata la nave perisse a suo senno et Antonio
nemico non (3) avendo la preda , non sostenne di
profondare l'oro e V argento , ma rimandoUo a casa
per guiderdone della sua morte^. Questi senza dubbio
non possedette le ricchezze, ma fue posseduto da esse.
Quanto per nome, fue Re di Cipro, ma per animo fue
miserabile schiavo della pecunia. Egli è scritto ne'pro-
verbii de' savi: Alla pecunia si con vene comandare,
non servire; se tu sai usare la pecunia, ella è ancella,
se non sai , ella è donna ; la pecunia non sazia 1' a-
varo, ma accendegli più la sete e la fame. E Sallu-
stio dice: (4) L'ai^arizia pervertisce la fede e la (5)
probitade e l'altre buone arli, e per queste cose àe
insegnato d' avere superbia e crudeltade , et avere per
neente Domenedio, e tutte cose fa vendereccie.
^i) S. Schiumacoso. L. Spumocossus. T. Spanagoso.
(2) R. ancora più, che, acciocché pesasse più, sì empiè di
piomoo la cavata parte del capo.
(3) Così legge pure R. nia dee dire: avesse. L. praeda carerete
S. assai malet prendendo. // T. ommette questo racconto. Anche
nel L. il senso è tutto guasto s di fatti dos^e il testo di Valerio
dice : cum- anxiis sordibus maguas opes corripuisset, etc. il Latino
del del Cessole scrive stranissimamente: cum Antonius Imperator
eum magnas opes habere perspiceret, (it conipuisset eum sordibus.
(4) ÙaS. eh.
(5) R. prodezza.
«9
Adunque si guardino di fare troppi debiti? Sauto
Ambrogio parlando di Tobia dice cosi : La povertà qoa
è peccato, ma avere a dare altrui e cosa vergognosa , (i)
e l non rendere è più f^rgog/iosa, poiché o tu sic pove-
ro, (2) tu sie ricco, non accattare impresto; se tu
se- povero or pensa la malagevolezza del rendere ; se tu
se'ricco non ti fa bisogno d'accattare. Ne' proverbi de'Sa-
vi (3) è scritto : Inganno è di tórre quel che tu non possi
rendere. E Seneca nel primo libro dice: D'ammaestrare
sono quelli che tolgono volentieri, che rendano volentieri;
e (4) coloro che sono obbligati per alcuno servigio, non
solamente al postutto dovrebbono tendere igualmente,
ma soprarendere. Adunque se i benefizii dati in dono
sono da rendere, molto più fortemente sono da rendere
i debiti e le prestanze. Ma però che molti sconoscenti
pare che siano amici in addomandare, e'di venteranno
nemici al rendere ; però dice Demas filosafo : Quando
l'amico mio mi priega che io gli presti danari, sì mi
perdo lui e' denari. Se a te è commesso guardare pe-
cunia, quando t'è richiesta, non penare di renderla e
non ne (5) chiedere termine. Spesse volte interviene
che quello che tu dggiugni all'utilità si sottrae alla
fama ; e cosi là onde tu credi guadagnare , si perdi.
A Genova fue uno mercatante cambiatore, il quale
ebbe nome Oberto, natio d'Asti; questi fue uomo di
tanta lealtade che afTermando alcuno falsamente d'a-
vere fatto uno deposito appo lui di CC. fiorini d'oro,
et egli non trovando di ciò scritta veruna in sul li-
bro della ragione^ si come non dovea; né quello bu-
giardo inducendo sopra ciò testimonio alcuno, e '1 mer-
catante (6) lealissimo pur dicendo che quello depo-
sito Doa avea ricevuto, vedendo il detto Oberto che
(i) Supplito da S. e là.
(2) Da S. L.
(3) Così S. // MS. dicea precisamente^: in escritto; forse per
ine scritto 9 quasi dal verbo inessere, essere inj vegga altri.
(4) B.. coloro che sono obbligati di fatto e d'animo, non so-
lamente agguagliare, ma vincere. L. et eos quihus obUgati sunt re
animoqucy non tantum acquare sed etiam vincere,
i5) B.. non andare caendo dimoranze.
(6) La Cr. a questa voce legge male: un mercatante, per: il
mercatante.
9^
quello 'rio uomo volle gridare, si 1 chiamoe inconta-
nente e disse: taci, Bgliuolo, e prendi GC. fiorini d'oro,
che tu di' che dipouesti appo me; et incootauenle gli
annoverò la detta pecunia; si che volle ani» perdere
la pecunia ingiustamente, che sottrarre alcuna cosa
alla sua buona fama. Il quale rio uomo, poi che ebbe
avuta la detta pecunia in danno dell* anima sua, e,
partito di quello mercatante, Tebbe investita in mer*
catanzia, avvenne che per li tempi guadagnò XV mi-
lia livre. Finalmente approssimandosi alia morte e
non avendo figliuoli lasciò reda di tutto il suo, Oberto
fedelissimo mercatante, affermando che de' CC. fiorini
d'oro ch'egli avea tolti fraudolentemente , avea rau-
nata cotanta pecunia ; sicché addivenne per disposi-
zione delia divina sentenzia, che questa cosa rimase
ad Oberto fedelissimo mercatante. Ma contra ciò fanno
molti che si fanno chiamare leali mercatanti a guar-
dare depositi , ma, quando si vedessono il bello, non
1^1 fvergognerebbono di (i) disdire i depositi a loro
commessi. Onde leggiamo che fue uno mercatante che
fue molto famoso e di grandissima nominanza in guar-
dare i depositi \ ma quando si vedea il beilo tempo
da disdire convenevole, si era uno ladro. Udendo la
fama di costui uno straniero, si gli lasciò in guardia
uno grande tesoro, (a) In capo di tre anni ritornò
l'uomo al mercatante per richiederli (3) il deposto
tesoro appo lui, e'i mercatante, sappiendo che quegli
non avea di ciò ne carta né testimoni, negandoli il
deposito, disse che noi conoscea. Allora quegli, udendo
questo, andavane piangendo e doloroso, e scontrandosi
in una vecchiarella, questa g2r domandò la cagione di
tanta tristizia ; e quegli le rispuose : che ha tu a fare
meco, buona donna? vatti per li fatti tuoi; e quella
disse: io ti scongiuro che tu mi debbi dire perone tu
vài còsi tristo; forse che ti potrò dare sano consiglio.
Allora l'uomo, cosi vinto, le disse per ordine tutta la
sciagura- Sila ; allora la sagace e prudente femmina
a questa iPoce §. VI. fegge tal quale.
(0 Cr. .
(a) R. dòpo il Jterzo anno.
(3) -iU U' sufef^posito che ateva dato in serbanza al merca-
tante. T. la sua moneta.
9'
disse a lui: hai tu in questa terra yerauo fedele amico?
rispuose l'uomo; si abbo io molti; e quella disse: or
va, di' loro che comperino alcuni forzieri e còfani hene
dipinti, et empiendoli (i) di vili cose facciano vista
che v'abbiano dentro gemme preziose e tesòro di
grande valuta; e portandogli a quello mercatante di-
cano di volere diporre appo lui quello grande tesoro ^
avendo egli udito di lui grande nominanza di lealtade^
e dovendo andare in lontano paese; et allora che que*
gli parleranno cosi col mercatante , (2) va che tu vi
t'abbatti, e domanda il deposito che tu deponesti appo
lui in cotale tempo; et io spero che per Io più grosso
guadagno che si vedrà, e per la vergogna ch'egli avrà
degli amici tuoi presenti che gli daranno nome di
lealtade, immantinente ti renderà il deposito tuo in*
tero: ma guarda che il mercatante non sappia che
quegli sieno tuoi amici. grande consiglio di fem-
mina! Natura della femmina è, nelle dubbiose cose,
avere in pronti buoni consigli. Andoe dunque l'uomo
e fece secondo il detto della femmina, che, parlando
gli amici suoi col mercatante del tesoro simulato che
diceano di diporre appo lui, sopravvenne questi e ri-
chiese il deposito suo. Allora il mercatante disse: ben
ti riconosco, e ben l'abho guardato il deposito tuo;
e disse al fattore suo: va dagliale. E cosi togliendosi
l'uomo il deposito suo aodonne allegro, e il merca-
tante non fedele, ingannato della sua malizia, rimase
con nulla. E però dice Seneca : Seguita Iddio (3) che
dae i benefizii. Ammaestra la filosafia spezialmente bene
pagare; et alcuna volta essa confessagione è pagamento.
L' uomo savio sa quanto eàtuna cosa sta d'apprez-
zare, e tutte le cose isaminerà seco, quantp egli ha
ricevuto^ e da cui, e quando, e dove, et in che modo.
Addomandi che ti faccia dimenticare le cose ricevute?
il desiderio di quelle da ricevere. *
E questo basti che sia detto de' mercatanti e cam-
biatori.
^i) R. dì pìetruzze, e di vili cose. T. a dentro sia cosà de
granae peso.
(2Ì S. fa. R. sopravverrai tu,
(3) Va letto: chi^ secondo S, e la.
93
CAPITOLO QUINTO.
De medici di fisica e cirugìa^ e spetìaU.
aSfe^^oa^^^^^i^i^^^^t^^aaìadai
Alluogansi i medici e (i) li speziali dioanzi alla
Reina in questa forma, che fue. posto uno\iomo in (3)
cattedra di maestro col libro nella mano ritta, e col-^
r creinolo de* speziali nella manca; alla cintola avea
ferruzzi da piaghe e da malori. Per costui s'intendono
i fisici, e ciò s'intende per lo libro; possonsi altresì
intendere per lui, gramatici, e loici, e rettorici, e
geometri, et arismetici, e musici, e stronomichi, però
che il perfetto medico di fiisica (3) li conviene sa*
pere la lettera della grammatica, le proposizioni e le
conclusioni della dieletica , et il bello parlare della
rettorica, e le misure della geometria, e '1 numero
!iì L. pigmentariL
tS Dicea: cafFera.
(3) diceva: il, e così anche &)d. i64i. nta semhrommi errore
di copista.
^5
de' di e dell'ore per l' arismetica , la concordanza
delle polsora, (i) come quella della musica, et ia
dare le medicine , (2) e in cascare sangue gli convien
sapere i lunari delt astrologia. Per lo s^aso del vetro s'in^
tendono speziali e /attori di medicine ^ e adunatori di
spezie^ et altre polveri medicinali; per li ferruzzi che
porta al lato s'intendono li medici di cirusia. Di tutti
questi che detto ci aviamo, i primi sono speculativi,
e' due ultimi si pertengono alla pratica , ovvero ope-
rativa. A' medici fisici conviene essere studiosi, e sol*
liciti alle scienze, imperocché essendo in alcuno modo
la vita del corpo umano nelle mani del medico , se
non avrà il senno delle scritture, (S) e massimamente
se daràe opera alla medicina, piuttosto sarà creduto
essere ucciditore d'uomini , che curatore d'infermitadi.
In loro dee essere (4) màturitade di costumi, orna-
mento di parole, castità di corpo, grande impromesse
di sanitade agl'infermi^ spesso visitamento^ grande
sollecitudine di cercare le cure e le cagioni et i se-
gni dèlPinfermitadi ne' libri degli autori e massima*
mente d'Ippocrate e di Galeno e di Avicenna. Quandu
Tnolti medici si raganano ad uno infermo non si fac*
ciano (5) questiona tori ovvero disputatori^ acciò che
non mostrino anzi di volere cercare la fama del mondo,
vincendo gli argomenti^ che trattare della salute dello
infermo che giace. Io mi maraviglio, che quando allo
infermo fa maggiore bisogno di guarire^ che tra me-
dici abbia (6) opponimenti di contrarii. Gonciosiaco*
sachè la questione sia del corpo dell'uomo e della,
vita sua, e quegli si tiene più savio il quale adduce
più sottilitadi^ e più contrarietadi. E '1 contrario ad-
diviene de' Sa vi, là dove non si tratta della vita del*
R. A come è una concordanza di canto.
Supplito da S. secondo L.
S. e vorrassi dare ad opera di medicina.
4} Post S. maturezza.
*5) Così anche Cr. a questa voce. S. litigatorì. T. litigatorì, e
qaestionatorì. .
(6) L, conirarietatum obfectio. S. argumenti di contrarietà.
f uomo^ (i; ma dette cose temporali fuori deltuomo $
quelli è tenuto più savio ^ il quale per lo suo consi-
glio sa meglio accordare i discordanti. Tolgano dun-
que via i medici la (a) contro versi tade degli animi ,
acciò che non mostrino di sapere^ più che di guarire
gì' infermi.
Dinanzi alla Reina si pone il medico per dare
ad intendere ch'egli dee avere la castità del corpo;
che conciosiacosaché egli abbia a medicare le infér-
mitadi (3) della Reina e dell'altre femmine, et a rag*
guardare talvolta le occulte cose e vergognose, però
si li conviene essere casti. Adunque si (4) gli ammo-
niamo che pongano mente agli esempli che (5) se«-
guitàmo, acciò che seguitando gli esempli della castità
degli altri uomini, sìeno esemplo agli altri di castità».
Narra Valerio, che Ippocrate fue uomo di maravigliosa
castità e continenzìa , che essendo ad Attenia una me*
retrice nobile e bella della faccia, i giovani e i gar-
zoni (6) 9ani e lussuriosi le 'mpromisero uno talento
s'ella potesse l'animo d' Ippocrate commovere a lus-
suria ; la quale venne a lui di notte e puosesi a gia-
cere con lui, e neente potè maculare la sua castità;
la quale essendo poi schernita da' giovani di ciò
ch'ella non avea potuto piegare l' animo suo a'deletta-
menti carnali, (7) che ne riportavano il prezzo della
vittoria, quella rispuose che avea (8) messa pregio
con loro d'uno uomo, e non d'una statua. Onde
chiamò il filosafo statua, per la sua ferma castità. Si-
migliaste cosa racconta di Socrate, Valerio, che (9)
^lì SuppL^da S. e L.
^ , S. e T. controversia. G*. oAx V. Contrawersitày ed anche
fCoA. i64i> tale e ^uale.
^3) Dicea: del reame, corr, da S. e L.
1^ R. diamo loro ammonimento.
(5) S. seguitano. R. che qui porremo. L. quae iequuntur.
(6) Da S. e L.
(7) R. e riportarsene. L. praetiumaue snctoriae repeteret S. e
ritenendosi il pregio promésso , perche non ebbe la -vittoria. T.
fecersi rendere el prezio a lei dato.
(8ì R. messo pegno. *
(9) R. li diede tanto briga che fo una meraviglia.
95
facendoli una femmina molta nota nel Ietto, et egU
stando fermissimo nei proponimento xlelJa castitade ;
quella vedendosi disprezzata si partio confusa, (i) per-
chè pure a lei non s'era voluto rivolgere. Gorae**
lio Scipione mandato nella Spagna , in quello punto
ckVgli entrò nelle Castel la, tutte quelle cose ch'erano
cagione di mal diletto fece tórre via. Onde due milia
meretrici, si legge che si partirono dell'oste. Sapèa
bene lo ingegnoso uomo che 1 male dilettamento £ei
gli uomini (n) feminaccioli , et assottiglia il corpo
soggetto a carnalità. Onde nelle favole de' poeti si
legge che quegli che entravano nelle fonte delle Se*
rene si (3) gli assottigliavano, et a gli uomini fé-
minaccioli tagliavano la natura; e ciò fue detto in
figura del diletto carnale; si come dice il quinto libro
delle buffe de' filosafi.
Attendano li medici alle cure delle infermitadi , '
le quali , (4) che conciosiacosachè si facciano o (5)
per simigliante modo, si come nella cirugia, quando
alla tonda piaga si pone la tasta tonda, ed alla lunga
piaga lunga tasta; ovvero per contrario, siccome nella
fisica^ che il caldo è da curare per freddo, ovvero
allegrezza per tristizia^ o tristizia per allegfrezza; però
che molti sono già periti per troppo gaudio , ov-
vero che per la troppa letizia hanno perduto l'uso
delle membra, e sono diventati attratti. Diciamo dun*
que , perchè ci cade tra mano primieramente , come
per troppo gaudio sono già molti periti, onde diremo
d'alquanti. Gaudio si è uno spargimento dell' animo
per comprendimento di cosa convegnente e dilette-
Yole. Tutti hanno loro termine a gaudio , ma non
Asanno onde possano accivire ad allegrezza grande sta-
(t) R. intanto che non si rivolse pure a lei. S. tanto che
pure il viso non le volse*
(a) Fempainaccioli» Ugge la Cr, a questa F. R. fiie infem-
minire li animi.
(3) R. SI ne diventavano magri e secchi » et alli uomini in*'
femmìniti tolleno il senso. L. sexum odimdHmL
(4) -A che pare si^erfbuK
(5) S. per simiglianti cose. L. per cimile.
bile. E U savio uomo non è mai sanza gaudio. Il gau-
dio non nàsce qui, se non della conscienza delle vir-
tudi , né non si interrompe né manca^ però che quello
che la fortuna non ha dato, non toglie. Onde dice
Marziale Cuoco: L'allegrezze non rimangano ma vo-
lano fuggitle. Narra Valerio nel nono libro, che ap-
pena pare cosa verisimile e (i^ creditoria , che in
tórre la vita dal corpo una medesima cosa possa fare
il gaudio e l'amore^ che ha potuto fare la saetta fol"
gore; ché^ essendo annun/Jato a' Romani la (a) pe-
stilenzìa della mortalità che avvenne loro appo il
lago (3) Trasmetico, una femmina che (4) ci^ea nome
Livia, pensando che ^1 marito suo fosse morto in quella
sconfitta, ritornando lui sanza essere aspettato, quella
facendosi incontra^ alla porta della sua casa , (5) tanto
gaudio Tabbondoe che come unque l'ebbe abbracciato
immantinente si partìo lo spirito da lei. Un'altra che
r era tornato a casa uno fante , messo della morte
del suo figliuolo , sedendosi in casa in tristizia , tor-
nando il figliuolo che morto non era, (6) come un-
que ella il vide, si l'usci dello corpo l'anima; et in
questo modo avvenne, che quella cui il dolore non
uccise , la letizia la consumoe, (7) Ma ndnore mara-^
viglia èy perchè Jiirono /emine. MsL ecco maggiore fatto.
Uno che avea nome (S) Atauloso , sacrificando agli
Dei neir isola di Corsica , la quale novellamente l'avea
sottomessa, ricevute lettere^ per le quali certe (9)
inchinazioni gli erano annunziate (io) da' Romani ,
quegli leggendole con attento animo , nascendo nna
scurità, dinanzi (11) al fuoco del|sacrificio cadde mor-*
S. credevolè.
S. la sconfitta e mortalità.
S. secondo L. Trasimeno.
Diceva sconckunente : che avean ivi. corr. <2a S. e L^
R. di tanta allegrezza fu compresa.
R. al primo sguardo ch'ella il vide tornare.
SuppL da S. secondo L.
S. dtavoloso. L. Instaubnus, T. Enstanboxo.
L. supplicationes.
ì) Post. S. conforme al L. da' Senatori di Roma»
[) Post S. fuooolino. L. focoham
I* 97
to; la quale cosa non peosiamo che addivenisse per
altro che per troppa allegrezza. A (i) Filemone , ov-
vero Palemone, la forza dello stemperato ridere gli
tolse la vita. A questo gaudio. troviamo che Ippocrate
medico trovoe rimedio, che essendo stato lungo tempo
fuori di suo paese per amore della sapienzia, cresciuta
la fama e Toppenione della (2) sua somma sapieozia
appo i parenti e nel paese , quando tornava a casa
et era già presso ài paese, mandò innanzi il messag-
gio del suo avvenimento , che dicesse che Ippocrate
accecato del lume degli occhia ritornava al suo paese;
acciò che per la letizia del ritornamento si tempe-
rassono gli animi de' parenti, significando T acceca-
mento degli occhi: credea che (3) per la troppa le-
tizia del ritornamento si stemperassono gli animi dei
parenti. Leggiamo di Tito figliuolo di Vespasiano, che^
stando a campo intorno a Jerusalem, udìo dire che
Vespasiano suo padre per volere di tutto il Sana-
to (4) era fatto Imperadore; per la quale cosa gli venne
tanta allegrezza, che subitamente (5) perduta' la fortezza
delle membra del còrpo , rattrappàrli le membra, e di-
ventarono attratte. E Gioseffo vedendo ciò , il quale
compuose la Storia de' Romani contra' Giudeici, medico
savissimo, cognoscendo la cagione dello infermo, cioè
di Tito, si lo domandò s'egli avea veruno ibernico nel
mondo, il cui nome non volesse udire ricordare, e di-
cendoli alcuno a Gioseffo, che Tito avea per nimico
uno uomo, il quale egli avea in tanto orrore, che neuno
era ardito di nominarlo in sua corte, si '1 fece venire,
et uno die fece apparecchiare la mensa abbondevol-
mente dinanzi dagli occhi di Tito, e fece raunare
tutte donzelle e sergenti, e comandò loro che neuno
fosse ardito d'obedire a Tito (questo disse di nascoso
a Tito); e cosi ordinate tutte le cose fece porre alla
Ìi) S. Philomene, o Tero Filomene.
2Ì Da S. e L.
(6\ B.. per la traboccante, letizia.
(4) K. era esaltato a goTernare lo 'mperìo.
(5) T. perse tutte le y'iTih sensitÌTe.
7
9»
mensa il nemico di Tito , con ogni onore e riverenzia
imperiale , e fecelo servire a' giovani molto (i) affet^
tuosamente. Allora Tito vedendo il nemico suo così
stare, immantenénte cominciò (2) ad infiammarsi d'ira
come fuoco , e comandava a' servi che uccidessoro
quello uomo , e non essendo vernao ardito d' obe-
airlo, per lo comandamento di colui , né servirlo,
intanto s'accese d'ira, che quegli che avea perduto
l'uso del corpo e delle membra ràttratte, sì n'ebbe
le membra sue j e l' uso delle membra y come avesse
mai avuto meglio. Attendendo Tito che '1 nemico suo
era venuto, acciò che, veggendolo, ricevesse la cura
del corpo, noi tenne per nemico, ma come (3) chiaro
amico il congiunse poi a sé.
Gli speziali abbiano sollecita rangola da empiere
quello che è loro comandato da' medici , acciò che
né per dimenticanza , né per occupazione di diverse
cagioni, nelle medicine ovvero nelle confezioni che
fanno non mettano una cosa per un'altra, ovvero che
non lasciùo alcuna cosa che debbiano mettere, e cosi
diventerebbono micidiali degli uomini. Fuggano d'in-
gannare, cioè che non falsino le spezierie, che cosi sa-
rebbono giudicati anzi ladroni, che speziali, (4) L'un-
guentiere dee fare gli unguenti di suavitade, e le un-
zioni di «anitade; non deano le cose velenose alle
persone semplici , eziamdio se le chiedessono , né a
persone sospette in veruno modo, per qualunque prez-
v^o, acciò che per loro malizia non le convertissoro
in danno de' prossimi , e cosi sarebbono (5) parterie-
voli del peccato coloro che debbono avere cura della
sanitade.
(i) S. sontuosamente. L. €iffectuose.
(2) T. essendo lui pieno de fuogo^ e de grande spasmezza.
nota voce lombarda^ quasi spasimezz^T, spasimo.
(3) Forse: caro. S. calassimo. L. sincerum, al che h più con-
forme il M. poiché chiaro talvolta sta per leale, sincero, come è
nella Cr. §. P^, T. caro.
(^yQui il T, finisce questo capo»
(5) E. parzionevoli del peccato, quelli che debbono rappor-
tare cura di salute.
.99
I medici di chirugia sieno compassionevoli agrio-
fermi, che (i) non si mettano leggermente a tagliare
le fedite o malori^ acciò che non perdano la loro fa-
ma^ e sieno chiamati anzi (2) carnefici^ che sanatori
di piaghe. ^
(3) Tutti costoro abbiano cura degV infermi, ma
primieramente l'abbiano di loro medesimi, che, purgate
le passioni, sieno savi di costumi; le quali passioni,
quali sieno esso Boezio le mostra (4) oel primo libro
della consolazione , e dice : Le stelle nascoste nelle
oscure nuvole non possono spandere (5} veruno lume;
e se tu vogli con chiaro lume vedere la verità , e
prendere diritta via, caccia da te paura, et allegrezza ^
e speranza, e dolore. Colà dove queste cose regnano
la mente è (6) nuvolosa.
£ queste cose bastino che siano dette de* medici
di fisica, e di cirugia, e speziali.
R. non sieno troppo correnti al tagliare.
(^ R. carnajuoli. S. «iarnefi.
(3) R. Tutti costoro avendo cura di tutti T infermi, prima-
mente l'abbiano di loro medesimi.
(4) L. L VL
(5) S. vero li ,
(6) Tale e quale la Cn a questa F.y $. S. tenebrosa.
S. Tero lume. L. nuttum.
XQO
CAPITOLO SE^TO.
De tavernieri^ et albergatori.
ìCkXXKiOOOCXXXXXXKX
Il sesto scacco dinanzi alFalfino manco prése
questa forma, che fue uno uomo che avea la mano
diritta distesa a modo di persona che invita; nella
mano manca avea uno pane, et in sul pane avea uno
bicchiere di vino; alla cintola avea le chiavi. Questi
rappresenta li tavernieri, et albergatori, e guardiani
delle case; e coloro s^alluogano dinanzi all'alfioo,
come dinanzi al giudice , imperò che spesse volte le
brighe e le turbazioni che nascono tra loro s' hanno
a trattare per l'alfino, giudice del Re, e raquetare
colla bilancia della giustizia.
Offìzio di costoro si è di procurare buoni cibi a
quegli che comperano da loro, e debbono essere cor*
tesi a quelli che vengono a loro. Tutte cose che sono
recate loro da quegli che vengono a loro casa, siano
salve per loro, e siano riposte sotto certa guardia.
lOI
Lo primo di questi è ripresentato per la mano manca
nella quale è il pane e 1 vino ; il secondo è ripre-*
sentato per la mano ritta che sta distesa a modo di
persona che invita; il terzo è ripresentato per le
chiavi che pendono dalla cintura. Costoro fuggano il
vizio della gola; quanti più ne vengono a loro per
manicare o per here, tanto più si ristringano eglino
del ciho e del beveraggio, acciocché per loro esemplo
gli osti (i) acconcino di dare al corpo cose necessarie e
non soperchìevoli; però che spesse volte per lo troppo
manicare (2) nascono le brighe e le (3) suffosioni
degli occhi, e fare ingiurie e (4) patirle. Onde l'uomo
dee manicare e bere per vivere, e non dee vivere per
cagione di manicare e bere.* Il toro (5) s'empie di pa-
stura di pochissimi solchi; una selva basta a molli
leofanti: ma l'uomo si pasce di terra e di mare; la
fame del ventre non costa grande fatto, ma la super*
bia delle grandi spese (6). Onde dice Quintiliano: Nei
grandi conviti spesso c'interviene (7) questo: da che
noi siamo sazii a ottime cose, la varietade delle più
vili ci è a grado. E Lucano dice: (8) scialacquata
lussuria delle cose, che mai non ti contenti di pie*
colo apparecchiamento , (9) né di terra , né di cose
^i) Forse: s' acconci&o. T. prendano loro necessità e non al-
tro che a loro sìa superchio.
(ai />a S. e L.
(3) T. perdimento deli occhi. S. ca^viature d'occhi. L. óculo^
rum suffbxk).
r4) Da S. e L.
<5Ì Diceva malamente: sempre.
(6) Qui il T. so^unge: Anche se fosse tutto lo mondo ra-
dunato pieno de cibi non farebbe una bestia magnare e bevere
Jiù di quello che a loro fa de besogno; e l'homo cattivo, che
animai razionale , beve e magna più che non é de besogno, per
tale che perdono del tempo del suo vivere, e talora anco ne
p^rde U amici soi. // L. mdla di ciò,
17) Diceay spesso: corressi da S, e h.
0) Post. S. sciaiacquatrìce. L. prodiga,
Q) Luogo assai guasto, L. et quaestorum terra pektgoque et-
borum ambitiosa fames^ et latae gloria mensae, Discite^ ecc. — Lo
stesso guasto i nella S. e il T. salta via.
102
gaadtfgdate, né di pelago di cibi: Ambiziosa fame è
gloria dell'ampia mensa. Apparate come di picciola
cosa sia licito di menare la yita. E Cato dice: Non
perdonare alla gola, la quale è amica del ventre, però
chel ventre e le membra vergognose stanno prossi-
mane; e cosi il vizio della gola partorisce la lussuria.
Pessima pestilenzia è lussuria, dalla quale prende ca*
gione la (i) pigrizia della mente (la quale è (a) seP"
ramento della giusta ragione), (3) recata col vizio del-
la (4) intemperanza, per li grassi sentimenti. Quale vizio
è peggiore di questo? E quale è di più danno? Per
la quale s^attrae addormentata (5} la vittoria inferma ,
la gloria si converte in infamia , e la virtù deiranimo
e del corpo insieme sono (6) combattute. E però dice
Basilio: Quando noi serviamo al ventre et al gorgoz-
zule, noi siamo bestie, e sforziamoci di essere simi-
glianti agli animali, a' quali la natura ba conceduto
d'essere inchinevoli alla terra, e d'obbedire al ven-
tre. Onde dice Boezio nel quarto libro della consola-
zione: Colui che bae lasciata la virtude cessa d'essere
uomo; non potendo trapassare nella condizione di Dio,
convertesi in bestia. Quanti e quali sarebboro stati uo-
mini di maravigliosa sapienza e di saldo consiglio, se'I
troppo mangiare e *1 caldo del vino non gli avesse fatti
pigri! Deh com'egli è pericolosa cosa che '1 padre di fa-
miglia, o rettore d'alcuno Comune si riscaldi per vinol
col quale s'accende l'ira, e, (7) attenebrata la discre-
zione, isvegliasi la lussuria, intanto che la lussuria si
mischia in maladetti atti, essendo addormentata la di-
screzione dell'uomo. Onde dice Ovidio: I vini appa-*
recchiano gli animi a lussuria, se tu ne prendi di
molti. Che pessimo vizio è l'ebrietà, per lo quale pe-
risce la verginità, la quale è scrocchia degli angeli, e
m
(5) L.
(a) (3) Supplii» da S. e Cod. 9. Pai. 4.
carnale distemperanza.
quo \nrtus aUeritur^ Victoria languescente ^ sopita ghria
in infamiam convertìtur, S. per la quale s'attrista la Tirtù, s'ad-
dormenta la vittoria, s'infama la gloria e convertesi.
^6^ Meglio post. S. sconfitte.
(7) S. e attenebrasi. Post. S. intenebrìsce.
io3
possessione di tulti i beni, e securtade delle eternali
allegrezze! Noè riscaldato di vino stette scoperto e
mostrava (t) ^^ vergogna a' 6glinoli* (a) Lotto castis*
simo^ addormentato per troppo vino, fuggendo al monte,
ebbe a fare colle figliuole come fossono sue mogK.
Leggiamo d'alcuni riscaldati di vino, che s'accesero
tanto nell'ira^ che essendo grandi amici insieme , tali
che Tuno si mettea a pericolo per Taltro quando fos-
sero in temperamento, si sono morti insieme con le
coltella. Il Re (3) Roda non avrebbe morto il Batti- *
sta^ se non avesse troppo mangbto e bevuto al con-
vito. (4) Baltassar Re di Bambillonia , non avrebbe
perduto il reame e la vita, se in quella rfotte fosse
stato temperato, nella quale Cirio é Dario Re, V uc-
cisero con tutto il popolo ; addormentato per lo troppo
mangiare.
Aflabìli e di cortese parlare conviene essere gli
albergatori a coloro cui eglino ricevono, però che
l'allegrezza del volto, e l'umile parlare, ei benigno
invito rendono famoso T albergatore. Onde suole dire;
un proverbio: (5) cortesia di bocca, assai vale e poco
costa. E conciosiacosachè siano pericoli e rischi nelle
strade, coloro che non le sanno, che tornano nel tuo
albergo^ per te siano dirizzati et ammaestrati, acciò
che vivano sicuri sotto l'ombra del tuo comignolo, e
partendosi sienò accompagnati per te, acciò che pas-
sino sicuramente. Sì sarai loro difensore della vita e
della fama, come della tua. (6) Lotto ricevette benigna-
gli H. le cose vergognose. T. tutte loro miserie.
(1) R. aggiunge: e non è cosa che ebbrezza non faccia. Ella
mena i disarmati a battaglia , ella discuopre i segreti, e però disse
Salomone: ove regna ebbrezza non dimora credenza. Et altrove
dice: chi s'inebria si è morto e seppellito, e quando altri crede
bere yino elli è bevuto da alcuno. Lott, ecc. Di ciò niente il L.
(3) S. Erode. T. Rodes Antipas.
(4) Post. S. soggiunge: Esso si è molto laida cosa di perder
senno e moralità e santade per oltraggio di vino. Non h nel L.
(5) Questo pros^erbio sta pure scritto italiano nel testo L. per
l'appunto così: honore de boca asse vare, e pocho costa.
(6) Qui la S. mette un lungo esempio ^ che manca in tutti i
testi ed anche nel L. Predilo infine.
io4
mente ad albergo gli angeli, i quali credeva che fos*
sono (i) uomini; e però della (2} impetuosa lussuria
di quelli di Soddoma^ tolte II vergini, gettandosi die-
tro (3) tumore del padre per la fede, si li ricevette ad
albergo^ e sotto l'ombra del suo tetto ^ si si fece
loro difenditore. Salve sieno tutte cose che sono date
loro in serbanza, però ch'entrando lo straniero nel
tuo albergo^ si ne fa suo abiturio, sicché tutte cose
che ti recherà^ a tua guardia sono date; siano dua-
}ue si salve , come l'avesse lasciate a casa sua propia.
'ieni addunque tali servigiali, che per avarizia non
domandino i beni di coloro che ti vengono a casa,
che non sottraggano l'annona, ovvero il pasto, dato ai
cavalli, acciò che, (4) i cavalli allassati per fame, i loro
cavalcatori tale volta cadendo tra mano de' nemici
non periscano , e così diventerebbero i servigiali ca-
gione di tanto male.
Nelle parti di Lombardia, nella città di Parma,
fue ricevuto ad albergo uno gentile uomo con grande
compagnia d'uomini, e quando venne che fue data
l'annona dinanzi a' cavalli (5) /a prima ora della notte y
il fante, dell' oste furtivamente e di nascosto^ tolse il pasto
che era posto innanzi accavalli; e quando il ladro venne
per mei il cavallo che il, detto gentile uomo solea
cavalcare, mettendo la mano per tórgli (6) il pasto
suo, il cavallo prese condenti stringendo fortemente
il braccio del ladro. Sentendosi il ladro cosi preso dal
(i) R. uomini pellegrini.
(2) R. e però si fece difenditore della tempestosa lussuria di
quelli di Soddoma di due Tergìni, ecc. S. piìt conforme al L. e
della impetuosa lussuria di Sodoma gli difese.
(3) Leggeasi sconciamente: la morte. Lo S. chiarisce questo
passo y aggiungendo: Essendogli tutto il popolo a casa per tórre
gli detti giovani, et egli per difendere loro fece serrare l'uscio
e stava lui alle fenestre pregando il popolo che questo non do-
vesse loro piacere, di fare quella villania a' detti giovani; e di-
ceva loro: Io ho due figliuole; più tosto le togliete, e fatene
dò che vi piace; gìttando indrieto ecc. // L. nulla di ciò^ se non
che dice: duabus oblatis virgìnibus, che male il M. tradusse^ toìt^
due vergini, dovendo dire anzi: offerte.
!4) T. non avendo abuto bene la sua preveada.
5) Da R. secondo L. e S.
(6) R. il pasto e la profenda.
io5
cavallo, per lo grande duolo cominciò a gridare; soc-
corsero i (i) donzelli di quello gentile uomo insieme
coir oste, ma per neuno ingegno poterono il detto la-
dro tórre da' denti del cavallo, in6no a *tanto che
questo fatto non fue venuto agli occhi de' vicini ; e
co3Ì intervenne che fue menato innanzi al giudice , e
confessato ch'ebhe il peccato, per sentenzia (2} fue
dato a morire in sulle forche. Un altro nomo, com-»
mettendo simigliante peccato, uno tale calcio gli fue
dato dal cavallo entro il volto, che poi gli si parvero
le margini del ferro e de' chiovi.
Andando uno a mescer Santo Jacopo fue ricevuto
ad albergo nella città di Tolosa, e Toste cui era Tal-
bergo s'infiammò tanto d'avarizia che (riportando
danno per guadagno), una coppa d'argento mise cela-
tamente nella bonetta del (3) ^g//wo/o del pellegrino,
e poi che si fue partito, sì li cominciò a gridare dietro
come ad uno ladro, e menò seco testimoni della corte.
Allora il peregrino escusandosi non colpevole, sé e '1
padre, et essendo proceduto a cercare (4) la bonetta,
da che ebbono trovato la coppa nella bonetta del pe-
regrino, il detto peregrino fu condannato come uno la-
dro a essere impiccato, e che tutto ciò che'l pellegrino
avea, fosse dato all'oste che l'avea albergato. Quando
il padre d«l pellegrino impiccato ebbe compiuta tutta la
via, che avea incominciato ad onore di messere Santo
Jacopo (5) e tornando per la contrada là dove il figliuolo
stava appiccato in sulle forche > pensando allora il
padre , per che cagione Dio avesse lasciato intervenire
cotali cose al figliuolo, (6) e rivolgendosi al corpo del
figliuolo e mettendo voci di grande lamento ^ inconta-
nente il detto suo figliuolo, stando appeso, parlò e
disse y che per li meriti del beato Jacopo era conser-
vato sano et allegro; confortò il padre che andasse
n
n L. dice: domicelli.
T. fugU mozza la mane.
Supplito da S. e T.
Cod, 1641 borgetta. X tasca.
Da S. %
Da R.
io6
al giudice della corte e raccontasse il miracolo, e la
innocenza sua. Quando ciò fue adempito > el figliuolo
del peregrino fue (i) dispiccato dalle forche , (2) e
poi fu fatta una diligente inquisizione dell'oste di To-
losa, ch^ Favea ricevuto ad albergo, e^ìx trovato per
sua confessione che per avarizia e cupidi tade d' avere
le cose del peregrino, si Tavea accusato di furto; per
la quale cosa il detto albergatore fue impiccato su
quelle medesime forche.
E queste cose bastino essere dette de* tavernieri
et albergatori.
CAPITOLO SETTIMO.
Delle gtmrdic della città et ofiziali del Comune.
u:KHc-«(c-(c-(c-(c-(c-(c-(&(e<c-(c-(c-(e-(e'(c-(e(e(c-(ci»
Nella manca parte s'allungano gli guardiani della
città dinanzi al Cavaliere in questa forma ^ che quello
scacco fue formato in forma d'uomo abbiente nella
1) Da S.
2) Da S.
107
mano ritta ]e chiavi grandi , nella manca ayea la
canna da misurare^ alla coreggia ayea la borsa aperta ;
per costoro s'intendono gli guardiani della città, e
questo rappresentano le chiavi. Anche s'intendono qat
gli ofBzìali del Comune , e questo ripresenta la canna
ovvero braccio da misurare; secondamente che sonò
alcuni sopra le misure e sopra i pesi; (t) passaggieri
ovvero chiavaii, li quali sono ripresentati dalla borsa
aperta, apparecchiati a ricevere (2) i debiti del Co«
mune; e dirittamente stanno questi dinanzi al Cava-
liere , imperò che per li Cavalieri hanno a richiedere
e vedere i guardiani della città. A' guardiani conviene
essere solliciti, pieni d'occhi e zelanti del bene co«
mune^ ovvero che sia a tempo di pace ovvero a tempo
di guerra; debbono andare veggendo e cercando la
cittade per notificare a' rettori (3) quelle cose che si
pertengono a fortezza e sicurtà di quella; non deb*
bono aprire a persona veruna di notte tempo^ a tempo
di guerra. La cousciénzìa sia in tale modo diritta in
loro, che abbiano tale zelo della cittade^ che né per
lividore dMnvidia^ né per amaritudine di fiele non
impongano la colpa a veruno uomo, però che spesse
volte interviene che alcuni amano di parere zelanti^
e questo è a ciò che sieno lodati negli ofiizii, e si ac--
Cusano frodolentemente gli altri. Somma maniera di
malizia si.é volere quindi rapportare gloria ^ onde gli
altri UDn colpevoli portano infamia. Addunque in tale
maniera ti fa guardiano,, che appo i giudici e rettori
gli innocenti non patiscano ingiuria. Spesso abbi co*
lui dinanzi agli Occhi che conosce, e pesando va (4)
i fata di tutti i cuori. Colui temi, aanza la cui guar«
dia indarno t'affatichi a guardare la città; però che
a coloro temono è promessa la beatitudine e tutte le
(i) S. passaggerìy massari, ovvero Chiavari. L. pedagùtrU ti
massarìL
(a) R. quello che si dee dare al Comune.
' (3) R. quelle cose che faimo a guernimento^et a sicurtà della
città.
(4) Suppl da S,
io8
cose s'adoparano in bene. Lo Imperàdore Federigo Se-
condo alla città di Gapova , sopra il ponte della città
che le corre d'intorno, fece fare una porta di marmo
di meravigliosa opera , nella quale era scolpito esso Im-
{leradore sedendo a modo di maestade, e dal diritto
ato e dal manco gli stavano due giudici assessori y
intagliati, e nel cerchio che serra il capo del giudice
da mano ritta è scritto uno verso che viene cosi a
dire : entrino sicuai qubgli che domandano di yi-
VERE FURI/ e nel cerchio .sopra capo al giudice a mano
manca, è scritto quest'altro verso: il non pedele
TEMA d' essere CACCIATO E MESSO IN CARCERE. Nel
cerchio di tutta la porta è scritto quest'altro ver-
so: (i) Per comandjìmento di Cemre sono fatto
gvjìadiJ di tutto il reame, e nel cerchio che è so-
pra del Re è questo altro verso : Oh quanto faccio
MISERI COLORO (2) CHE SO SVARIARE. Si chc l' ammo-
nire s'aper tiene a' indici , e '1 temere alle guardie , et
al Re s'apertìene di minacciare i traditori di pene,
come si manifesta per lo detto di sopra.
Dionisio Re di Cicilia , abbiendo uno fratello il
quale intimamente amava^ sempre ovunque andava
si si mostrava in volto tristo. Et (3) andando lui una
volta in sul carro ebbe incontro (4) due poveri eoa
la faccia allegra (5) e con abito disprezzato. Quegli
incontanente scendendo dal carro si gli ricevette eoa
ogni onore e riverenza; della quale cosa i (6) baroni
non solamente si maravigliare, ma conturbaronsi nel
loro animo. Ma per paura lasciarono di domandare la
cagione del non usato fatto, ma (7) per lo fratello del
Re pregarono d'essere certificati della cagione. E con-
ciofossecosaché il Re avesse udito dal fratello ch'e-
li) Z>tf.S.
(2) S. i quali io so che . variano. Il T. tutto diverso : O corno
sono stiliti coloro che se fidano d^ alcuno suo stato , imperò che
nelle cose del mondo non è stabilitade. L. quam miseros facioy
quos variare scio.
(3) (4) (5) Supp. da S.
(6) T. la baronia.
(7) R. per la parte del fratello.
.109
gli (i) era beato, massimamente per ch'egli era pieno
di ricchezze e d'onori e di diletti, il Re doniandò il
fratello suo se vjolessé provare la beatitudine sua, e
quegli rispuose che lo volea e desiderava. Allora il
Re comandò a tutti suoi sudditi che ubedissero il fra-
tello come se medesimo. Quando venne l'ora del man-
giare^ essendo la mensa piena di vivande, et (p) es.^
sendo il fratello del Re a mensa, e vedendo nobilis^»
sìmi servigiali , et udendo ancora suoni di musica
con dilettevole suavitade^ il Re cominciò allora a do-
mandare il fratello se si sentiva bene beato, e quegli
rispuondendo : beato mi penso e pruovo^ il Re fece
recare celatamente uno coltello bene arrotato, e fe-
celo appiccare sopra il capo del fratello, seggente luì,
cosi con una setola di cavallo; per la quale cosa il
fratello del Re non ponendo mano a veruna cosa a
mangiare, né rivolgendosi gli occhi a' servitori, il Re
4isse : perchè non mangi tu, fratello mio, conciosia-
cosachè tu dica e sentiti beato ? Rispuose quegli: Non
mi sento, auando mi veggio sopra capo il coltello
tremante. Allora gli mostrò, che però si mostrava col
volto tristo, dove unque si volgesse^ ^3) perchè sem^
re si vedea nel cuore il coltello della vendetta di
io nascosto « né non avea materia veruna di letizia,
laove egli avea cotanta paura continuamente, e che
però avea oporato gli poveri allegri nella faccia, per-
ché gli vedea con lieta e con chiara conscienza. As-
sai mostrò qui il Re, che non è beato quello uomo
che vive in paura. Onde Quintiliano dice: Sopra ogni
miseria é , temere i di e le notti. Questo é certo che
chi é temuto da molti , molti ne teme ^ et é meno
che servo il segnore che molti ne teme. Sicurissima
cosa* è , nulla cosa temere fuori di Dio. Talora (4)
«iamo pensati d'essere arditi per la paura, ed è talora
(i) Diceva: avea, corressi da S. e Jj.
{2} Diceva: avendo, corressi da S.
Ì3) Supplito dal senso e L.
(4; Errore che trovasi pure *neUo' S. dicendo : pensiamo. Il L.
cogimur. '
g
no
che la troppa paura dà forza altrui; la paiìra rende
altrui soUicito , che quelle cose che sono accomandate
in guardia, siano (i) ricevute che non periscano. Essere
troppo sicuro e troppo pauroso (2) si è inizio. (3)
Gli oiGziali del Comune debbono essere leali e non
addomandare a coloro che comprano o che vendano più
che la ragione ; e però che rapportano la persona del
Comune, però si facciano comunali ad ogni persona
del Comune. Perchè tra' venditori e compratori (4) si
suole mischiare la mala lingua, al postutto sia in loro
lunga (5) sapienza; però che eoa eguale animo è da
spregiare cotesto spregio, da chi ama le oneste cose.
Sprezza dunque i dispregi. di non savi uomini, se vuoi
salire alle sovrane cose. L'ingiuria che è fatta non
giustamente^ dà infamia a colui che la fa. Una (6)
vagheggia trice, vedendo Socrate, disse: Quegli ha occhi
da corrompere fanciulli; allora i discepoli, non vo-
gliendo trapassare le ingiurie del maestro, si le cor-
sero addosso per darle; allora Socrate li ritenne con
queste parole, e disse: Posate, compagni,' posate; io sono
bene quello che dice^ ma io m'astengo^ facendomi forza*
Uno tempo fue (7) che*l detto Socrate ricevette molte
ingiurie (8) dulia mogUe che a^ea nome Xantippe, et aven^
dogti detta molta wUania, ella se riandò in sul palco di
sopra f e per uno buco gli gittò f acqua fracida addosso y
e mma altra cosa rispose (9) scotendosi il dosso : Io
sapevo bene che niawerrebbe questo^ peroehè dopo gfi
!i) L. perqìdrantur. S. meglio: ricercate.
21 SuppL da God. 9. pai. 4*
3) R. aggiunge, che non è nel L. Fortcua i . una Tirtude
d'atiimo per la qaale T animo dell' uomo sta fermo centra l'aT-
versitadi a sostenere i pericoli e le fatiche delle trìbulazioni del
mondo, per la quale virtude né per trìbulasione del mondo si
fiacca, ne per lusinga della ventura monta in altura. E il T. in
vece salta ^fino a: Onde dice Cato.
^4) R- suole essere la lingua scorrente.
i5ì L. e S. pazienza.
16) S. Un vagheggiatore. L. quidam procax.
Ì'/S Supplito da Cod. g. pai. 4-
loì Da S.
(9) R. quando s'ebbe forbito il capo.
Ili
tuoni sogliono venirle le piove, Addunqùe dà luogo al (i)
battente et anderàne vincitore, dando luogo. Onde dice
Catp: Conciosiacosacbè tu viva dirittamente , non cu-
rare le parole delle ree persone; non è dì nostro ar-
bitrio quello che ciascuno parla» E Santo Prospero
dice : A' buoni non Tengono mai meno le battaglie ,
né pericoli,
1 passaggieri, ovvero gabellieri^ non tolgano mai
f massaggi veruni^ se non quegli che ha ordinato lo
n;)peradore della legge, acciò che non paia, che sieno
anzi rubatori, che isattori di pecunia. Quello che^ è
dato loro per offizio , et a coloro a* quali debbono
addomandare di ragione, si addomandino, sanza in-
giuriare o fare increscimento altrui. Non disiderino
tanta r utilità del Comune ch'eglino incorrino in
danno della conscienzia, Guai a te che rubi I or non
sarai tu rubato?
(2) I tesorieri ovvero cambiatori abbiano ia se
tutta lealtade di 'non sottrarre al Comune più cVegli
debbono avere, acciò che non diventilo ladri quegli
che debbono essere guardiani ; però che non fue mai
veruno a cui il rubare (3) abbia .dato luogo fedel-
mente, che il godimento della ruberia gli sia durato
grande tempo poi, (4)
E questo oasti avere detto de' guardiani e deg}i
ofBziali del Comune.
(i) S. combattere. L. ad pugnam,
(2) R. I tesorieri, ovTero chiavar), e camerai delle comunanze.
(3) Mala traduzione del L. faeliciter cessit.
(4) Qui S. a^unge aualche linea che non è we/ L. — E que-
sto si può veder per molti che hanno avuto a governare alcuna
RepubDiìca per il tempo passato, che, quale è stato morto, e
quale sbandito, e toltogli i suoi beni, e morti fuori della lor
patria. Così pure, con qualche varietà^ il T,
Ila
CAPITOLO OTTAVO.
De rubaldiy scìalaquatori, e barattieri^ e corrierL
I rubaldi e giocatori diciamo cbe sono posti di-
nanzi al Rocco manco , però che al vicario del Bè ,
cioè al Rocco y s'apertiene d'avere uomini acconci a
spiare le cittadi e luoghi contrarli al Re , et avere
corrieri che tosto portino le lettere e i comandamenti
del Re. E cosi fue formato lo scacco che ripresenta
costoro^ che fue in modo d'uomo che avea i capelli (i)
crespi e rabbuffati (2) /:on pochi danari nel^una mano^
cioè nella manca ^ e nella ritta avea tre dadi^ et al
capestro che teneva per cintola avea (3) uno bossolo da
portare lettere, pieno. Nel primo si ripresentano (4)
gli scialaquatori e guastatori de' beni loro. Nel se-
«
Post. S. velluti. ^
T. con pochi panni, e meno denari.
i) T. lino bursitto. L. pissidem.
[4) Cr. a questa V. tale e quale.
ii3
Gondo si ripresentano giocatori .e puttanieri. Nel terzo
i corrieri e portatori di lettere. Agli scialaquatori e
guastatori debbono essere dati curatori , acciò che ,poi
ch'egli avessono consumato ogni cosa, non Tossono
costretti d' imbolare , però che quegli che è usato di
spendere alla larga et in cattivanze , quando viene
in (i) mendicaggine, bisogno è, o che la vada mendi-
cando, o ch'egli imboli; però che questi cotali o egli
sono dilicati e non possonsi affaticarsi , o e' sono no-
bili vergognosi di domandare; e cosi interviene, da
che hanno guasto il loro , si cominciano a tórre Tal-
ti^ui. Grande vizio è lo (2) scialaquamento , il quale
avvegna che alquanta utilità parturisca ad altri , pure
alla perfine è di danno al prossimo. Costoro ammo-
nisce Cassiodoro, di conservare il loro, acciò che, per
necessità che potrebbe nascere, non siano costretti o
d' andare caendo V altrui , o di imbolare ; però che
maggiore guardia è d'avere in conservare, che in
acquistare. Anche dice Claudiano nel maggiore volu-
me: Migliore cosa à conservare il guadagnato^ che
guadagnare cosa nuova; e però dice il proverbio: chi
non si guarda dalle spese, prima va mendicando ch'e-
gli (3) si senta.
Essendo ricchissimo uomo uno che avea nome Gio«
vanni Gavazza , e non avendo più che (4) due figliuole^
si le maritoe a due gentili uomini della sua mttade ;
le quali poi ch'ebbe dato loro, tanto vennero i generi
in amore del suocero , che l' oro e l' argento e' beni
temporali , per lo tempo che venne , partlo tra loro.
E conciofossecosaché^ (5) donando i donamenti, i
generi, cioè i mariti delle figliuole di costui^ fossero
molto cortesi al padre di queste, e grandi benefat-
tori, venne poi tempo che il detto Giovanni ebbe poi
(i) Cod. 1641 mendicagioBe. S. povertà. Cn alla V. Men*
dicaggine, appunto come il MS.
(2) Cr. a questa V, tale e quale.
(3Ì S. il senta.
(4) T. due sue fiole femene.
(5) Forse: durando. L. duranùbus.
8
"4
distribuiti tutti i suoi beni alle figliuole, et a* generi^
et elli rimase al neente. E cosi intervenne che quegli
che erano conoscenti per paura, mentre che riceve-
vano li donamenti, da che venne la povertà, furono
provati essere (i) tenuti sconoscenti. Et essendo savio il
padre di queste fanciulle, vogUendo soccorrere albi-
sogno nel quale venia, andossene ad uno mercatante^ (2)
suo conto per antico tempo, al quale domandò in pre-
stanza dieci milia livre, termine tre dì; la quale pe-
cunia poi ch'ebbe ricevuta e recata a casa, in una
grande festa (3) jece apparecchiamento per un (4)
gran comntOj al quale volle avere (5) li generi e le
figliuole. E dopo questo andòe e nascosesi nella ca-
mera, Tie/la quale avea fatto di nuovo uno (6} sup-
pidiano bene forte a tre serragli di chiavi > e (7) trasse
fuora la pecunia accattata in su' tappeti per terra, ac-
ciò che le figliuole stando in sala guardassero per le
fessure delFuscio la pecunia in tanta quantìtade; (8)
e l'altro di vegnente i generi e le figliuole domanda-
rono il padre quanta fosse la pecunia cosi disposta
nel suppidiano cosi chiavato, et egli facendo vista
che fossero XXV. milia livre, disse che le avea messo
in deposito per farne testamento per lasciarne a' ge-
neri et alle figliuole, se si portassero inverso di lui
secondo il modo quando (9) le diede marito. Quegli
udendo ciò, tutto quello che gli poteano fare d'onore
(i) Forse il tenuti , c^é intruso. T. Sì li comenzarono a sco-
gnossere.
{7) L. sibi notum. S. il quale (mercante) perchè era antico
faeea di lui molto conto, storpiaturaj megUo il T. el qual per an-
tico era stato molto suo conto.
/3) (4) (5) Suppl da S.
(6) S. forzeretto. E. soppiedanetto» L. scripneo. T* cassone.
(7) R. trasse da' taschetti.
(8) S. soggiunge secondo L. Et egli sentendole all'uscio ri-
puose la detta moneta, e fece vista di serrarla nel detto forze-
retto , e incontinente di nascoso riportò la moneta al detto mer-
catante che gliel' aveva prestata.
(9) O è usato le per a loro, cioè alle figliuole^ dee leg-
gersi: le diede a marito. // L. cìim filias nuptui tradiderat. S.
quando V ebbe maritate. Post. S. In quello modo che soleano fare.
ii5
si li faceano et infino alla fine si sforzarono di farli«
Et approssimandosi alla fine sua, fece chiamare i ge-
neri e le figliuole e disse loro cosi: Anzi che io moia,
non intendendo di fare altro testamento che quello
che io lasciai nel suppidiano serrato in niia presen-
zia, mentre che io sonò vivo brigatevi d'assegnare
livre C. a' frati Predicatori, e C. a* Minori, e L. a' Ro-
mitani ai quali domanderete, poi che io sarò sotterrato,
le chiavi del mio suppidiano le quali égli hanno in
deposito , et ad ogni chiave è posta la scritta di mia
mano in testimonianza delle sopradette cose. E per
mano de' suoi generi, mentre che giacca nel letto, fece
dare certa quantità di pecunia ad ogni chiesa, et(i}
ad ogni rinchiusa , e fecerlo volentieri per la speranza
che gli avevano del testamento lo quale aspettavano
di corto; sì che poi che Tuomo fue finito e riposto
con grande onore, e fatta dire la messa solenne-
mente nel settimo' die, adomandaro le chiavi disposte
appo i detti religiosi, le quali poi che furono loro
date andarono ad aprire solennemente il suj^pidiano,
nel quale pensavano che fosse disposta la pecunia, e
non vi trovaro dentro altro che una buona e grossa
mazza di ferro nel cui manico era scritto cosi: (2)
Questo è il testamento di Giovanni Gavazza: chi sé
per altrui lascia sia ammazzato di questa mazza» Stol*
tissima cosa è spendere altri il suo alla scialaquata, e
poi stare alla speranza dell' altrui, o sia figliuolo, o
sia figliuola; anzi stea alla dispensazione della mano
sua, che stea nelV altrui.
Non si pensi neuno che quegli sia buono citta-
dino il quale spende molto et ha poco a spendere;
di questo cotale penso io che va caendo le novitadi^
e di muovere battaglia dentro volonterosamente: ma
il contrario è di coloro che hanno molti figliuoli, e
molte cose temporali, per le quali noi tegniamo gli
uomini bene aventurati; si hanno in orrore e fuggono
le novitadi de' cittadini, le mutazioni de' signori, e
fiì Post. S. ad ogni chiesa, o vero rinchiuso.
(2) Queste parole stanno così italiane anche nel L.
ii6
le (i) turbazioni de' citta Jini ; per la quale cosa a
questi colali si confà piuttosto il reggimento della
città ai quali spiacciono le novitadi e le turbazioni
de' cittadini, i quali sono contenti del loro (2) propria,
e non vtmno cercando taUrui. Ma lo scialaquatore non
pensiamo che sia buono cittadino^ uè utile alla Re-
pubblica.
Dopo questi teniamo che siano al postutto peg-
giori i barattieri e quelli che vanno dietro alle soz-
zure delle meretrici ; i quali poi che '1 caldo del gioco
de' dadi, e la compiacenza delle (3) varietadi gli ayrà
tratti a povertade, conviene per necessitade che di-
ventino ladroni e rubatori. Dopo queste cose seguita
islealtade, tradimento, e '1 vizio dell'ebrietade. Costoro
vanno dietro alle battaglie et alle castella de' Cava-
lieri, non disiderando tanto (4) guadagno la vittoria,
quanto la preda; molto danno, quando loro è licito,
fanno altrtù, e piccolo guadagno ne rapportano a casa.
Santo Bernardo cavalcando una volta s'abbattea
ad uno giocatore, il quale li disse : Vorrei, uomo di
Dio, giocare l'anima mia centra il cavallo che tu hai
sotto, se ti piacessi. (5) Rìspuose Santo Bernardo: Se
tu vuoli obbligare l'anima, ecco io ismonto a terra
del cavallo, e se tu gitti più punti di me con tre
dadi , io ti prometto di darti volentieri il cavallo.
Quegli allegro di ciò tolse tre dadi e diede di mano
e gittò XVIII.; allora credendosi essere certano del gua-
dagno, prendendo il cavallo per lo freno, affermoe che
fosse suo; al quale Santo Bernardo disse: Aspettati (6)
figliuole ; più sono li punti di questi dadi , che tu
non vedi; e gittaudo egli la sua volta^ il terzo dado
si divise per mezzo e nella parte diritta sopra rapre-
sentoe VI. e nell'altra insieme divisa, uno, e cosi in-
R. le conturbanze.
Supplito da S.
S. vanitadi. L. vanitatis.
Forse: guadagnare la; oppure: guadagno della, ecc.
SuppL da S.
Così anche la Cr, alla V. Figliuolo §. IV. ma i Codici
Riccardianif e la S. leggono: figliuolo.
ter venne che gli altri due dadi ri presentarono XII. e
il terzo VII., siche furono XVIIIL, si che Santo Ber-
nardo gittoe uno punto più che'l giuocatore. Allora
il barattiere 9 vedendo questo miracolo ^ mise l'anima
sua air ubbidienza di lui, e, fatto monaco, menò lau-
dabile vita.
I corrieri e portatori di lettere si sbrighino del
viaggio incominciato , acciò che per loro dimoranza
non danneggiassero coloro che li mandano , ovvero a
cui sono mandati; pero che spesse volte interviene
che il corriere (i) impacciato per poca ora , ne viene
uno altro che reca cose contrarie a colui che dovea
andare innanzi^ e mostrata prima la cagione ovvero
abbondanza di guadagno e' perde la vittoria del piato,
ovvero che per tramezzamento di pecunia il guada-
gno si perde nella mercanzia. Studinsi adunque i cor-
rieri, quando i vicari del reame gli mandano^ di non
gravarsi troppo la mattina di cibo , né riempiersi la
sera di vino, acciocché non indeboliscano le nerbora ,
e cosi allassati (2) si pongano a stare. Quando vanno
d'uno luogo in un altro, e (3) pervengono ad alcuna
città non siano curiosi di porle molto mente , né d an-
dare spiando, se, per la ventura, sopra ciò non aves-
sono comaqdamento speziale, però che quegli è matto
viandante che va riguardando per li dilettevoli prati
et escegli di mente colà dove andava.
Isbrigate dunque quelle cose che si pertengono
alle forme degli Scacchi et a' loro offizii , sì di nobili
come di popolari, vediamo brevemente elei loro viaggio.
Post. S. ìmpedimentito.
R. si mettono a ristare.
Diceva malamente: per vergogna, corressi da S* e L^
n8
TRATTATO QUARTO.
Dd movimento e dell'andare degli Scacchi.
// quarto Trattato che parla del spiaggia
e del movimene di loro.
Primo capitolo. Dello Scacchiere in genero.
Secondo capitolo. Del i^iaggio del Re.
Terzo capitolo. Del viaggiò della Reina.
Quarto capitolo. Del viaggio deltAlJino.
Quinto capitolo. Del viaggio de' Cavalieri.
Sesto capitolo. Del viaggio de Rocchi.
Settimo capitolo. Del faggio de popolari.
Ottavo capitolo, (i) Del movimento di tutto cioè che
detto è.
capitolo primo.
Dello Scacchiere in genero.
Avendo a parlare dello Scacchiere ih genero, è
da sapere che esso ripresenta la città di Bamhillonia ,
nella quale questo giuoco fue trovato, siccome detto
è di' sopra nel priliio capitolo, et intorno a ciò avemo
a vedere quattro cose. La' prima si è , perchè v' ha
entro LXIIII. punti quadri; la seconda perchè (2) le
labbra del tavoliere sono alte intorno; la terza è per-
chè i popolari stanno dinanzi a* nobili, siccome si vede
quando il tavoliere è pieno (3); la quarta perchè (4)
stando il tavoliere pieno, tanto v'ha del vóto quanto
del pieno.
Intorno alla prima cosa è da sapere, che, se-
condo il detto di Santo Girolamo, la città di Barn-
(i) S. uno abbreviamento di tutti i sopraddetti; T. del bre-
viamento de ciò che abbiamo ditto denanze.
(2) A. le capita. L. labia.
(SVCod. 1641 ed acconcio.
(4) Post. S. quando lo scacchiere. è intavolato.
1 1 9
blllonia fue ampissima e fuè quadra , e per ciascuno
quadro furono XVI. milia passi a novero et a misura, le
quali (i) XVI. milia moltiplicate per IIII. fanno LXIV.;
e cosi viene che avesse LXIV. migliaia a modo lom-
bardo , o vero leglxue a modo francesco ; et a ripre-
sentare questa misura il filosafo trovatore di questo
giuoco ordinò il tavoliere cli€ avesse LXIV. punti^ li
quali sì sono compresi si dentro come di fuori , (2)
sicché intorno al labro di ciascuno lato è XXXII.
Questo è fatto a bellezza del giuoco, et a dimostrare (3)
il movimento, ovvero viaggio, degli Scacchi, come
si mostrerà in quello che seguita.
Quanto alla seconda cosa avemo a sapere, che le
labra del tavoliere ripresentano il muro della detta
cittade; e però che fue ampissimo , il labro è ordinato
alto. Onde dice Santo Jerolamo sopra quelle parole
d' Isaia che dice : Lo 'ncarico sopra '1 monte oscuro ,
dice cosi Santo Jerolamo, che questo s'intenda di Bam^-
billonia di quella eh* è in Caldea, non di quella d'E-
gitto. Quella ch'era in Caldea avvegna Dio ch'ella
fosse in grande pianura impertanto era sì alta per al-
tezza di mura^ che per la troppa altezz;a era coperta
di iscurità continoa^ tanto che per la scurità il vedere
dell'uomo non gìugnea per veruno modo al termine
dell'altezza delle mura; e però la chiama Isaia ^ monte
scuro. L'altezza delle mura sue, come dice Santo Ge-^
rolamo , era a misura XVI. milia passi. (4) Nel qua^
drOy o vero nel canto di quella città avea una torre a
tre canti y la cui altezza infine in VII milia passi a
misura si stendea. Questa torre fue chiamata la torre
Babel; le mura lungo la torrefecero) Seminare, sic-
come dice Virgilio.
Quanto alla terza cosa è da sapere che i popo-
lari sono ordinati dinanzi a' nobili allato al campo
f lì R. tre milia passi a misura, che fanno tre miglia lombarde.
12) SuppL dal T. secondo L.
(3) Post. S. la mossa.
(4) Supplito dal Cod. 1641 conformemente al L.
(5) Forse: Semiramis, come ha S, ma il L. Saturous. // T.
b tace.
120
et addetti quadri, primieramente perchè i popolari
sono per alcuno modo corona de' nobili ; però che il
Rocco dal lato ritto, il quale è vicario del Re, che
f>otrebbe egli fare se non fosse ordinato dinanzi a
ui il lavoratore , il quale dee avere rangola d' appa-
recchiare le cose temporali da vivere? Che farebbe
il Cavaliere se non avesse innanzi il fabbro che gli
apparecchiasse i freni , e gli sproni e selle ? Che vale
il Cavaliere sanza cavallo, e quelle cose che si per-
tengono ad armamento di Cavaliere? Certo non ve-
runa cosa potrebbe valere quanto uno popolare e for^e
meno. Come viverebbono i nobili (i) sanza vestimenta,
se mancasse chi facesse o mandasse mercatanzia o
panni? Che farebbero i Re e le Reine, o gli altri ^
sanza medici ì Addunqne la gloria e la vita de' nobili
sì sono i popolari. Acciò dunque che tu , Cavaliere
ovvero nobile, non abbi a schifo i popolari, conosci
che in questo giuoco sono i popolari posti dinanzi ai
nobili. La seconda cagione si è perchè i popolari inanzi
che comincino a combattere sono posti dinanzi a' qua-
dri vóti acciò che per questo (2) apparino di inten-
dere a* loro oftizii et arti, e lascino trattare a' nobili
i consigli el reggimento della cittade, e l'ordine
della battaglia. Or come saprà consigliare il popolare ,
che mai non studiò in consìgli? Or chenti consigli
darae chi non sa la natura della cosa sopra la quale
è da avere il consiglio? Adunque soprasteano et in-
tendano agli offìzii et all'arti alle quali sono acconci ;
non curino d'essere a consigli, né non vadano tro-
vando chiamate d'uomini né congiurazioni; imperò
che per la forza si sovvertono i consigli, e per man-
camentp de' savi le cittadi (3) vanno al disotto. Onde
Platone disse , che allora sono beale le comunanze
quando i savi le reggono , ovvero che' rettori di quelle
studiano a sapi^za. In prima appari a favellare il
popolare ch'egli voglia aringare in parlamento; però
(i) Post. S. i vestiri.
(2Ì Da S. Post. S. e L.
(3) Post. S. sono tratte al profondo.
lai
che spesso interviene che chi va cercando d'essere
più che non è^ si diviene meno che non era.
Quanto alla quarta cosa è da sapere, che^ (i)
stando il tavoliere disteso, tanto Vha del vóto quanto
del pieno. E questo si è imperò che , chi si mette a
reggere gente si si dee sforzare d'occupare cittadi e ca^
stella e possessioni che bastino alla gente ad abitare e
coltivare. Avere nome di Re sans^a reame è cosa vana;
la nobiltà^ sanza costumi e sanza cose temporali è più
tosto da nominare pazzia e vergognosa povertade, la
quale è tanto più grave ^ quanto altri è più alto per
nobiltà di nascimento. Al povero popolare neuno fa
villania di parole ; il nobile e povero ogni uomo l'ha
a schifo, se buoni costumi non l'adornano. Sanza l'ab-
bondanza delle cose i reami sono (2) ladronecci. Sanza
potenzia di nascimento la gentilezza è vanità e spregio.
Et avegna Dio che» siccome abbiamo detto, che lo
scacchiere (3) significa la città che detto abbiamo,
egli significa tutto il regnarne e tutto questo mondo.
Se noi, cominciandosi dall'uno quadro, l'uno numero
di qualunque miglio verremo raddoppiando al secondo
quadro e per T altro infino al sessantesimo quadro^
non tanto esso mondo, aguagliando, avanza (4) ^
cresce, ma se la natura patisse più mondi sì sopra-
vanzerebbe.
CAPITOXX) SECONDO.
Del movimento e delX andare del Be, e detta sua natura.
A questo reame del mondo esso Re segnoreggiando
soprastae, e questa è la natura del suo movimento
ovvero andamento: conciossiacosach'egli rìseggia nel
quarto quadro , quando egli è nero , {5) sia dal lato ritto
T. el tavoliere eBseudo intavolato.
S. ladroDcellarie.
R. porti figura della città.
S. raguaglia e sopracresce.
//zvece di sia potrebbe k^ersi^ sì ha, oppure^ siagli. S. ha.
122
il Cavaliere nel bianco, e l'Alfino é Rocco nel nero ^
e nel lato manco questi tre tengono luoghi contrarli;
e di ciò pud essere questa la ragione^ imperocché es«
«endo i Cavalieri e gloria e corona del Re , si 1 se-
guitano in simigliante stallo al Re, e quegli dal manco
alla Reina. E conciossiacosaché 1 vicario del Re sia
il Rocco, quello dal lato ritto accompagna la Reina
in simigliante sedia, e per simigliante modo fa il giu-
dice Alfine ; e'I Rocco manco e l'Alfino accompagnano
il Re in simigliante sedia , acciò che (i) standosi a
petto insieme d'uno all'altro tengano fermamente si-
curo il reame che sta nel Re e nella Reina ^ avegna
che in quegli luoghi e sedie gli tengano cinti a modo
di corona; però che quando il giudice el Cavaliere
e 1 vicario della Reina (3) armano il Be, e quegli di^
rimpetto aU* altro lato nella diritta parte del Re guardano
la Reinaj tutto il regno acquista fortezza a coloro che
s'accordano e che si perteugono al consiglio, e' fatti
del reame si ordinano più sicuramente* Ma se catuno
attendesse alle propie cose (3) che sono del Re e della
Reina tosto si farebbe la divisione del reame, e poi
ne seguiterebbe che il reame perderebbe il nome del
reame e di reale dignitade; e perchè il Re sopra tutti
acquista la dignitade e la segnoria per ragione della
dignitade, non fue convenevole (4) di stare molto di-
cesso dalla sedia del reame. E però (5) quando si co-
mincia a movere non avanza il novero di tre, però che
quando si comincia a movere del suo quadro bianco
sì seguisce la natura de' Rocchi dal lato ritto e dal
manco, in tale maniera che del lato manco si puote
ponere in luogo nero allato al Rocco che sta nel biaa-
!i) R. intoppandosi così insieme. T. a rempetto all' altro.
2) Sappi, dal Gpd. 8g. Class. XIX. S. gueruiscano il Ke.
3) Assai meglio R. che secondo L. so^unge: e non difen-
dessono, o vero curasseno quelle cose che sono debite a Re, o
vero alla Reina. La S* e T. sono mutilati come il MS.
(4) R* che si scioverasse per molto spazio dalla, eco.
(5) Nel L. non sono queste parole sino alt* altro quando si
comincia , ecc. e diffatti sembrano guastare, Non sono ne meno nel
T. ma sì nella S.
123
co, e possi porre nel luogo bianco allato al detto
Rocco al quadro del cantone dove stanno i guardiani
della cittade. E quivi tiene la natura del Cavaliere
in cotale viaggio; e questi due viaggi acquista in vece
della Reina, però che essendo una carne il Re e la
Reina per lo matrimonio^ però va il Re dal lato
manco del suo propio luogo altresì come fosse allo-
gato nel punto della Reina che è nero. E va ritto a
modo di Rocco al quadro del bianco, pure che il Rocco
avversario non sia coperto in alcuno spazio del se*
condo regolo, che se ivi fosse (i) scoperto il Rocco
bianco nel secondo regolo, allora non potrebbe il Re
nero valicare il terzo regolo; cosi dunque acquista il
Re la natura (st) de* Rocchi da parte ritta e da manca
a' luoghi de' Cavalieri , e per diritto allo spazio bianco
dinanzi al mercatante. Anche acquista il Re la natura
de' Cavalieri dalla parte diritta (5) quanto a' due an«
damenti, però che del luogo suo si può porre nel luogo
del fabbro, il quale è m nero, e può andare al quadro
nero « vóto dinanzi al lanaiolo ovvero notaio. E da parte
manca ha due andamenti di Cavaliere, però che di*
nanzi al medico si può porre nel quadro vóto nero là
dove stanno i tavernieri, et in questo modo quanto ai
quattro quadri acquista il Re la natura de' Cavalieri nel
viaggio. Acquista eziamdio la natura dell'Alfino quanto
a' due andamenti , (4) però che dal lato ritto si può porre
nel quadro bianco scuoto dinanzi al JabrOy e dal lato
manco si può porre nel quadro bianco e vóto dinanzi al
mercatante. Questi viaggi può fare il Re stando nel pro-
pio luogo, et (5) halli in virtude in prima che si cominci
a movere, ma poi non può passare se non ad uno qua-
dro, et allora acquista la natura de' popolari nell'anda-
(t) Parrebbe che dovesse dire anche tpdy coperto: ma il L.
dice: discopertus. La S. che allora non potrebbe ire il Re al
terzo regolo. Simile il T.
Ìa) Da S. secondo L.
3) S. quando ha due andamenti. E così anche appresso ^ come
pure il T. ma L. quantum ad duos progressus.
(4) Supplito da S. e dal L.
(5) S. halli in uso. T. halli in potentia. L. in virtutem^
X!l4
mento. Meritevolmente addunque ebbe il Re la natura di
tutti questi, imperò che conciossiacosaché ogni virtude
che è ne' membri sia nel capo, il movimento di tutto il
corpo el principio della vita sia dal cuore, cosi tutti
i sottoposti alla reale dignitade, ciò che hanno deb-
bono riconoscere dal Re, e quello che gli altri hanno
per (ì.) acquistamento e per continua (a) apparenza del
movimento e del viaggio loro, il Re l'ha in virtude;
però che la vittoria de' Cavalieri , e la prudenza dei
giùdici^ e r autorità de* vicarii ovvero legati, e la
castità della Reina , e la concordia de' popolari , or
non si recano tutte queste cose all'onore et alla glo-
ria del Re ? E nel suo andamento quando prima si
dee muovere non valica il terzo (3) filare cne è di-
nanzi a' popolari, e dal numero di tre d' ogni scacco
comincia a moversi, imperò che il numero di tre
contiene le parti che fanno il primo novero perfetto
cioè VI.; però che il numero di tre si é uno, due e
tre, i quali ragunati insieme fanno VI. il quale è primo
numero perfetto e significa in questo luogo VL persone
notate, le quali ordinano la perfezione del regno, ciò
sono il Re, la Reina, indici, li Cavalieri, li vicarii
e popolari; si che il Re dee prima muovere degli
altri nel suo prin^p movimento; acciò che mostrasse,
si in se come negli altri , la perfezione della vita. Ma
poi che il Re è cominciato a moversi, si puote menare
seco la Reina, secondo il modo che si diràe nel ca-
pitolo del viaggio suo; perocché la Reina seguita il
Re a due luoghi di cantoni neri a modo dell' Alfino,
et al luogo per diritto a modo del Rocco, nel quadro
nero dinanzi al medico. In ciò si dae ad intendere, che
le femmine non possono fare boto, né promettere alcuni
viaggi sanza il volere de' mariti loro; e se alcuna pro-
mettesse alcuno viaggio, vivente il marito, (4) si'lpo-
fi) Post S. asseguimento.
(2) Anche S. apparenza; conforme al L. apparentiam. T. ope-
razione.
(3) S. e T. regolo. L. Uneam.
?4) -
^ ,^ S. et egli contradicendolo, noi può fare. L* non potest
reddercs — dóhi eseguire. T. el marito lo può desfare-
1^5
Irebbe rendere; anzi, scegli la volesse menare seco', la
moglie è tenuta di seguitarlo; la ragione è questa^ per-
chè Tuomo è capo della femmina , ma la femmina non
è capo delFuomo. E conciossiacosaché quanto al matri-
monio sia iguali (imperò che l'uomo non ha podestà
del suo corpo, ma la femmina; e la femmina non. ha
podestà del suo corpo, ma l'uomo)^ se avvenisse chel
marito volesse andare a lontane contrade, la femmina
può tè di ragione, per lo debito del matrimonio, richie-
dere dal marito di volere essere menata a detti luoghi,
et egli è tenuto di servirla in cotale volere; e però
quando il Re comincia a muovere , la Reina si puote
muovere, ma non è sempre bisogno di moversi egli,
quando si muove ella. E però che sono quattro filari
di quadri infra Io spazio del reame, alli tre prima! qua-
dri puote andare il Re, stando nel suo propio luogo: ma
quando ha cominciato ad andare a quello terzo filare
non puote venire se non ad uno punto quadro, però
che mentre che il Re è nel reame si crede essere sicuro,
però che gli è conceduto di potere andare agli spazii
che sono fra* confini del suo reame. Stea contento d'an-
dare, in quadro, però che la persona del Re si com-
pita per mille altri; e però quando si mette a* peri-
coli delle battaglie, è bisogno che vada temperatamente
e guardingamente^ però che quando egli fosse preso
e morto, o (i) rinchiuso, allora vengono meno le
forze di tutti combattitori; e però fae bisogno d'es-
sere avveduto nell'andare. Et avegna Dio che vada
cosi guardingamente che uno punto quadro dal primo
movimento non possa trasandare, impertanto da neuna
legge è stretto che non vada ad ogni parte, o ahda»
mento per diritto, o tornando indietro, o da parte
ritta , o da parte manca , o (2) per canto ; o in nero
o in bianco. Ma non si pone mai nella battaglia al-
lato al Re avversario sanza mezzo, ma sempre li con-
viene stare di lunge dall' avversario nel terzo quadro;
il quale andamento però crediamo che fosse trovato^
(i) Così anche T.; Post S. ferrato.
(2) Da S.
136
perchè avegna che a tatti gli altri sia posta legge
d'andare ìd certi luoghi e termini, convenevole cosa
fue che il Re^ siccome signore, fosse libero di colali
leggi ; e (i) perchè i Re iiella battaglia non si possono
appressare a loro medesimi , però quando tutti gli al-
tri sono presi^ nulla vittoria puote essere manifesta ai
detti Re. Or di ohe reame potrebbe il Re godere se
non gli rimanesse (2) nessuno sottoposto? Gloriarsi
altri sanza moltitudine di sudditi è cosa vana e di
beffe. Et avviene al Re in questo gioco che gli fia
detto spesse volte per gli awei'sarii^ si per li nobili
come per li popolari r scacco; ciò è: fammi ragione;
e questo si fae acciò che si fornisca della compagnia
de' suoi , o per moltitudine o per senno. E questo si
fa per questa ragione , però che quando il reggimento
del Re è troppo iniusto o duro, spesse volte i sudditi
cessano di combattere, acciò che in questo modo per
gli avversarii perda il Re la signoria ; però che spesse
volte quando sopravviene bisogno di combattere^ il
popolo e i Cavalieri si recano a mente le ingiurie che
hanno ricevute da' signori, e cosi non potendosi ven-
dicare drento alla cittade, quando sono apparecchiati
dì fuori alla battaglia , veduti li nimici , volgono le
reni, acciò che abbandonato il Principe, solo rimanga
in confusione, lo quale reggea con dura mano: ma
quando per lo Cavsdiere o per altro scacco in cotale
luogo si dice: scacco rocco, allora perde il Re il vi-
cario suo, però che pazzo è quello Re che a tanto
s'è condotto, che perde colui al quale si pertenea la
vittoria commessa. Or come potrà egli (3) compiere i
fatti del reame , se perde colui che provvedea tutto il
reame ? 11 sacco porta in capo chi è rinchiuso nella
cittade, stando presi i cittadini.
E questo basti che sia detto dello viaggio del Re.
(i) R. perchè i Re non si possono approssimare in battaglia,
perb essendo tmpregionati, niuna vittoria si può manifestare. S.
eguak al M. conforme al L.
(a) Cod. 1641 se non avesse alcuni sudditi che gU rimanes-
sero gloriosi. Il M. h più conforme al L.
(3) R. fare i fatti del reame a compimento.
CAPITOLO TERZO.
Del movimento e delt andare della Reina.
La Reina dal propìo luogo ^ accompagnata dal Re,
quando si comincia a movere vae per natura degli
Alfìnì y quando ella è nera , dal diritto lato al luogo
nero e vuoto dinanzi al lanaiolo ovvero notaio, e dal
lato manco al luogo bianco e vóto dinanzi alle guar*
die della cittade* Et acquista la natura de' Rocchi a
tre latora; imprima dal lato ritto al luogo nero dove
6ta l'Alfino dal lato ritto; secondamente dal lato manco
dove sta il Cavaliere manco; nel terzo luogo per ritto
al luogo nero e vóto dinanzi al medico; e la cagione
è questa, imperò che la vittoria de' vicari!, ciò sono
i Rocchi, sie nella Reina per grazia, onde ella può
donare molte cose a^ sudditi graziosamente: ma la sa-
pienza degli Alfini, che sono i giudici^ si dee essere
nella Reina, come si manifesta nel capitolo della Reina.
Ma non tiene la Reina la natura de' Cavalieri nel suo
andare, conciossiacosaché siano combattitori e portino
arme, però che non è propio a femmine portare arme
per la loro fievolezza. E poi ch'ella è mossa dal pro-
pio quadro nero, dove ella era allocata di prima, non
può andare se non d' uno quadro in altro , e questo
fa per canto, o vada innanzi, o vada indietro, o
prenda, o sia presa. Ma fassi quistione perchè la Reina
si metta in battaglia , essendo la condizione delle fem-
mine (i) debole e fievole; se per avventura noi non
volessimo già dire ch'ella seguìsce il costume di quelle
femmine, ove i mariti andando alla battaglia menano
al campo le mogli e le femmine con tutta la fami-
glia. Questo fanno li Tartari, et avegna Dio che l'u-
sino r arco , più possono impedimentire i nemici che
se gli abbattessono per virtù del corpo. Ma in sollazzo
del Re fue ordinato e provveduto, per monstrare amo-
re , che la Reina seguisse il Re alla battaglia. Grande
cura e sollecitudine è al popolo, del Re che dee sue-
(i) T. labile e debile.
12».
cedere; e però volsero li Re menare le mogli non so-
lameiite u^la città, ma alle castella, acciò che per li
figliuoli (i^ seguaci il regnarne permanesse in pace»
Cotale sedia cliente la Reina ha nella manca * parte
del Re, quella medesima continua nella battaglia; che
dove ella è nera in ogni luogo è nera, e in ogni luogo
dee essere casta e vergognosa. E perchè le femmine
non debbono troppo andare a torno ^ però quando
ella è fuori del terzo filare (2) nel spiaggia suo non t^o*
se non uno punto; perocché avegna Dio che le fem-
mine fra i loro termini sieno sicure, accompagnate per
li suoi, fuori de' termini della contrada loro sospetta-
mente debbono andare, e tutti gli uomini debbono
avere sospetti.
La (3) Dina figliuola di Jacob conservoe virgi«
nitade mentre che stette in casa de' fratelli , ma come
unque ella fue uscita fuori a vedere l'altre contrade,
sì tue vituperata dal figliuolo di (4} Sioune. Seneca
dice, che le femmine che hanno mala faccia spesse
volte sono non caste, però che non viene (5) meno
mai corrompitore. Plinio dice , che dalle femmine in
fuori pochi animali fanno lussuria essendo gravidi. Ad
ogni sguardo d'uomini debbono avere la l^cia nera,
acciò che non siano vagheggiate d'altrui, e siano in«
famate di non essere caste. Ovidio dice: Quelle che
danno e quelle che niegano, pur elle sono liete essendo
pregate. Piangano le (6) belle; casta è quella la quale
neuno ha pregato. (7) E Scalpurio dice: O femmina,
(i) S. che ne seguiscono. L. posteros.
(2; Da S. Post S. non discorre se non in quadro.
(3Ì S. Diana. Post. S. e T. Dina. L. Digna.
(4) S. L. Sichen. Il T. dal fiolo del Re Assevera (sic)^ lo
donde può (sic: forse invece di laonde poi) fu morto el Re e
tutta sua gente y e la dttà guasta Di ciò nulla il L.
(5) La S. e il Cod. 53. Class. XIX. leggono più conforme al
li. non Tiene loro meno l' animo , ma il corrompitore.
(6) Così <£z S. e R. invece di: bestie, come diceva il MS. Jl
, L.: uidunt formosae. La S. invece di ha pregato, 2^ge malamente
ha piegata» JZ T. poi e assai guasto,
(7) // L. non ha questa sentenza^ che pur trovasi nel T. e S.
lag
tu se' più mobile che 1 vento. E Giovenale dice : Co-
nosce la femmina tutto ciò che si fa nel mondo; la
prima è che vede la nominanza, e sa le fresche no«
velie alla porta. Adunque fuggano le leggiadrie e l'an-
d^T9 a torno, snelle vogliono servare castità, (i)
E questo basti che sia dett^ dell'andare della
Reina.
GAPlTOtO QUARTO.
Del movimento e andare degli Alfini.
L'andare degli Alfini si è cotale, che quello che
è nero nel suo luogo sta dalla parte ritta del Re , e
quello che è bianco sta dalla parte manca , e sono
detti bianchi e «eri non per lo colore della loro so^
stanzia, ma per lo luogo che tengono. Adunque ossia
il bianco , ossia il nero , quando stanno ne' loro luo-
ghi possono andare a due luoghi; però che il ritto/
il quale è nero, andando verso lato ritto, sì si puose
nel luogo nero e voto dinanzi al lavoratore. E ciò fue
convenevole cosa, che '1 giudice defendesse le posses-
sioni e lavorìi, secondo le ragioni (2) a lui credute; e
quello medesimo andando verso il lato manco si si
pone nel luogo nero e vóto dinanzi al medico, e ciò
fue assai convenevole, imperocché per ragione della
scienzia gli medici e iudici >sono (3) prossimanj, av-
vegna che sia tra loro differenzia nell'arte, che come
il medico àe a curare le corpora, e recarle a sanitade,
cosi hanno i giudici a sanare l'aniu^se contenzioni,
e riducerle ad umanitade di concordubv E l' Alfine dal
lato manco, il quale è bianco, àe due andari dal suo
luogo, l'uno verso parte ritta allo spazio bianco e
(i) n L. soggiunge le seguenti parole che non si trovan tra-
dotte in veruno dei testi: et homo a mala muliere fugiat, quia
muscipula est animae, latrocinium yitae, suavis mors, blanda per-
cussio, interfectio lenis, pemìcies delicata, malum libens, sapidia.
ingultatio (sic: forse sapida iugulatio), et omuium calamitas rerum.
(2Ì T. per lui produtte. L. sibi eredita.
(3) Cos\ anche T. e S. ma il Cod. i64i* come parenti.
i5o
vóto dinanzi al niercatanle j e ciò sì è perchè i mer-
catanti si hanno spesso bisogno di consigli, e che le
loro brighe siano diftinite per li giudici; l'altro an-
dare ha verso parte manca allo spazio vóto e bianco
dinanzi a* rubaldi , e perchè questi colali sj^esse volte
commettono furti e brighe tra loro, i giudici gli hanno
a punire. Et è da sapere che gli Alfini vanno sempre
di terzo quadro in terzo , sempre tegnendo il primo
luogo nella forma, s'egli è nero sempre va in nero,
e s'egli è bianco sempre va in bianco , e questo fa
andando sempre per canto. L'andare per canto signi-
fica guardia , la quale sempre debbono attendere nei
loro processi , imperò che debbono aiutare i giusti
piati, e dare diritti consigli, e sanza riguardo di per-
&ona difilnire la sentenzia secondo l'allegagioni ; onde
l'Alfino, cioè il giudice, o sempre é4)ianco> o sem-
pre nero. Ancora è da sapere, che l' Aitino ritto il
quale è^nero, andando dal propio quadro, dove egli
sta, allato al Re verso la parte ritta ^ e poi correndo
verso la manca , finalmente ritornando dal lato ritto
verso il manco, (i) in VL stalli et andamenti ha cer-
chiato tutto il tavoliere, et allora %\ trova allogare
dove stava prima. Per quello medesimo modo va TAI-
fino dal lato manco il quale è bianco. Quésto è ma-
nifesto a chi'i vede; e questo intendimento se ne trae,
imperocché ayegnadio che ogni perfezione debbia es-
sere nel reame, (2) sommamente dee essere in coloro
che hanno a consigliare il Re e la Reina. Non dee
prendere a fare il Re verune cose malagevoli e di
dubbio^ se non hae consiglio de' indici e de' savi suoi ;
e però gli conviene essere perfetti, si in scienzie come
in costumi. E ciò ripresenta quello movimento che
tengono andando di terzo quadro in terzo, e com-
piono il loro andamento per cerchio nel numero di VI.,
il quale è primo numero perfetto (3}, perchè congiur
gne il fine al principio.
(lì S. in sei stazoni e andamenti attornia tutto, ecc.
(2) Diceva: solamente; corressi da S, e Ìm
(3) SvppL da S. e T. secondo il L.
l3£
E questo basti che sia detto delV andare degli
Alfioi.
CAPITOLO QUINTO.
Del movimento e demandare de* Cwalieri.
Vegoendo a dire dell'andare de' Cavalieri, diciamo
chel Cavaliere, o sia il ritto > o siailmanco^ quando
il ritto è bianco^ e'I manco è nero; e'I loro movimento
si è cotale y che catuno di loro sì ha cotale natura ,
che 1 bianco ne va al quadro (i) che si china nel
quadro degli Alfini, siccome si manifesta del Cavaliere
bianco del lato (2) ritio , e questo ha tre andari ,
stando nel propio luogo. L' uno ha verso la mano
ritta nel luogo nero dinanzi al lavoratore; e conve-
nevolmente, però che quando il villano lavora e col-
tiva i campi, il Cavaliere si '1 dee guardare acciò che
a se medesimo et al Cavaliere raccolga et apparecchi
il cibo, e'I pasto a' cavalli. Il secondo andare fa mo-
vendosi e ponendosi dinanzi al lanaiolo nel quadro
nero e vóto dinanzi; e convenientemente^ imperò che
dee difendere colui che gli apparecchia i vestimenti, e
gli altri panni necessari al corpo. Il terzo andare ha
verso il lato manco, nel luogo ove il mercatante sta
dinanzi al Re , il quale luogo è nero; e convenevol-
mente, però ch'egli ha a difendere et atare la per-
sona del Re come la sua propia. Quando tiene il primo
luogo verso la parte ritta, si accerchia quattro quadri.
Quando sta dinanzi ai Re^ sei quadri puote accer-
chiare : ma quando è scorso (3) a mezzo del tavo-
liere , Vili, quadri ristringe. Quello medesimo modo
è del manco. Quando il propio luogo è nero^ sem^
pre (4) ^^ i^^ bianco; e per lo detto modo andando
(i) & erroneamente diiama. L. quod decUnat in alfihrum qua-
drum, T. in quadro de' Àlfini.
{2) SuppL da S.
(3) K. al miluogo del tavoliere.
(4) S. e T. si fa biaaco. L. aibusjk.
l32
alla battaglia , per la sua virtnde cresce e moltiplica
ne' quadri, che quando (i) // nero va inverso il Re, e'I
bianco verso lui medesimo, Funo s'alluoga dinanzi al
Re, cioè il ritto, (a) e t altro dinanzi alla Reina^ come
cignessono il Re e la Reina a modo di corona. Ma
quando scendono alla battaglia e vanno ricercando il
campo, iscontrandosi insieme, la virtù cavalleresca si
manifesta in loro più perfettamente , però che il Ca-
valiere non può essere conosciuto come combatte, se
non quando mostra la sua virtù combattendo; (3) e
questo è anzi segno di prodezza che Ai vizio. Cosa
da credere è, che colui il quale imprima teme, quando
è venuto alla battaglia, fa più (4) fermamente, né non
volge le reni, (5) quando è pervenuto a questo, che la
paura della morte dinanzi veduta naturalmente, non
pare che sopravenga (6) di presente: (7) ma combat-
tendo fortetnente ripercuote, (8) la quale cosa la na-
tura nel principio apparecchiò a quella virtijide ira-
scibile. Da grande animo viene, considerando il mala-
gevole pericolo, (9) non darvi locoy ma combattendo
costantemente, mettersi dinapzi a' ne9iici. LLciòripre-
seutano ì Cavalieri quando nel principio non possono
andare, se non a tre quadri et intorno (io) a' confini
(i) Suppl, da Post. S. L. cum enìm niger versus regemy et
alhus versus eundem perambvlanty ec. S. Che quando il Re va verso
il Re , e '1 bianco verso quel medesììno. Simile il T.
(n) Supplito da S. secondo L.
(3) Pezzo guasto in tutti i testiy poiché manca la traduzione
delle seguenti parole: consueverunt enim foites milites et experti
in principio, cum arma suscipìunt, treniere et timere, colore pai*
lescere, de naribus ejus sanguis exire, cujus signum, ecc.
(4) Post. S. perfettamente. T. ferventemente, però che quando
sono rì&cati (risicati) hanno del tutto remissa la paura , ec. L.
constantius.
(5) S. quando è pervenuto a fatti là dove, ec II retto senso
non si ha da veruno dei testiy e nemmeno dal L.
(6) S. potenzialmente. Post S. presenzialmente. L. potentialiter.
(7) S. se, conforme al h.
(8) S. e T. quello che. L. quod.
(9) SuppL da S. secondo L. // T. vana assai y e male^
(io) Post. S. alle fini. T. alla fin^
i33
del reame: ma quaudo (i) vanno cosi cofaggiosi e eoa
la virtude presa, iafioo a (n) nove qaadri uè vanno,
et abbattono li nemici cbe (3^ temono ; e così in-
terviene d'ogni uomo (4) il quale sente di se basse
cose 9 che quando è disposto a grandi fatti riluce più
chiaro la vertude, però che chi s'umilia sarà e^saltato.
E questo basti che sia detto de' Cavalieri.
CAPITOLO SESTO.
Del movimento e dell' andare da' Rocchi
L'andare de' Rocchi ovvero vicarii si è cotale; il
ritto si è nero , e 1 manco si è bianco. Quando tutti
gli scacchi sono acconci ne' luoghi loro^ cosi i nobili
come i popolari hanno per virtude di potere andare
a certi termini; solamente i Rocchi^ essendo rinchiusi,
neuna vertude hanno (5) per opera d'andare^ se non
è loro sbrigata la via per li nobili o per li popolari.
E la cagione si è questa, che essendo eglino vicarii e
legati, la (6) autorità loro non ha virtude^ mentre
che non sono usciti ad usare quella; si che stando
fra il palazzo del Re non possono usare Tallegagione,
ma comunque sono usciti fuori , possono usare V au-
torità a loro conceduta dal Re. E la loro autorità si
è grande^ conciossiacosach'egli rapportino la persona
del Re. E però, stando vóto il tavoliere, per tutto vanno
iscorrendo come per lo regnarne, e si nel bianco come
nel nero. Gatauuo di loro , ossia il ritto ossia il man-
co, tutto lo corre, s'egli '1 trovcrae vóto e spedito (7)
(i) Post. S. saltano fuori: delle fini. L. extra fints exsiliunt.
T. vanno intorno.
!2) S. e L. otto.
3) Meglio la Ò. che truovano. L. inventos. // T. simile al MS.
4) Assai vanamente il T. i quali sono firmi e constasti nel
combattere , et anco i quali hanno amore alli loro signori , come
denno avere fideli e liaU cavallieri.
!S\ S. di potere andare. L. progretVendi.
oì Diceva: vittoria; corr. da S.
7) S. si de'suoi come degli siàversBrìì. Simile UT, conforme alh.
i34
da. tutti gli avversarli ; e quando alcuno di loro si tro*
veràé nel canto dello scacchiere a' due filari di qua-
dri , quantunque siano distesi , puote andare e muo«*
vere; e quando si troveràe nel mezzo del tavoliere,
qualunque Rocco sia, si può andare per qualunque
filare vuole di quadri. Et è da sapere che i Rocchi
giammai non vanno per canto , ma sempre diritti , o
tornino indietro o vadano innanzi, però che tutti
quegli che sono sottoposti al Re, si a' buoni come ai
rei, l'autorità de' vicarii chiaramente dee essere mani-
festa come sia insta e diritta. Di tanta virtude sono
nella battaglia ch'essi due solamente è licito di di-
sporre il Re avversario , e cosi preso tórregli il reame
e la vita; siccome addivenne quando Ciro Re di Per-
sia e Dario Re di Medi in una notte tolsero il reame
e la vita a Bai tassare Re di Babillonia, (i) nepote di
Yilmoderag, sotto la cui signorìa questo giuoco fue
trovato. (2)
E questo basti che sia detto dell'andare de' Rocchi.
CAPITOLO SETTIMO.
Del movimento e demandare di 4utU i popolari.
Tutti i popolari hanno uno andare al terzo qua-
dro (3) dal primo dov^elli stanno^ in ciò che quasi come
sicuri si confidano fra' confini del reame: ma quando
sono fuori de' teripini del reame, d'uno quadro stanno
contenti, e sempre vanno retti in su, e non tornano
indietro^ et andando tutti ritti brigansi d'avere per vir-
tude quello che' nobili, posti nel luogo suo, tengono in
dignitade. Onde (4) se così saranno atati per li Cava-
lieri è per gli altri nobili , che divengano al filare
liS Dicei^a: né potette; corr. da S. T. e L.
(2) Qui il T. e l'edizione veneziana dd i534 attingono un
lungo pezzo che non è nella. F'edilo infine.
(3) Sìxppl. da*%. e T. secondo il L. S. poi invece di in ciò
che 9 le^ imperocché.
(4) DaS.
' i35
degli avvemriì nobili , si acquistano per virtude quello
che la Reina ha conceduto per grazia, che se alcuno
di quelli potrà pervenire al detto filare, se fosse bianco
siccome è il lavoratore e'I lanaiolo e'I medico e'I
guardiano della cittade , ritengono l'acquistata dignitade
della Reina; che terràe di tornare (i) verso casa sua
nel primo andare et in tutti gli altri, siccome detto fue
nel capitolo dell'andare della Reina. E se alcuno dei
popolari fosse nero, come il fabbro e'I mercatante e'I
taverniere e '1 rùbaldo, se per lo detto modo giugnerà
per diritto al ^lare degli avversari! nobili, sanza danno,
acquisterà simigliantemente per virtude la dignità e
l'andare della Reina nera. Ora è da sapere, che i po-
polari salendo in su riui, se troveranno veruno no*
bile o popolare avversario , intendi per canto , si 1
possono prendere et uccidere, ossia dal lato ritto os«
sia dal manco ; però che, conciossiacosaché questi co«
tali siano avuti a sospetto acciò che non vogliano ra-»
bare la persona ovvero la casa del popolare saglien te
per diritto, et ogni legge vuole che sia licito di cac-
ciare forza con forza con temperamento di non col*
patadifensa, l'uno avversario nel canto ritto, siccome (2)
aguatatore della persona, e l'altro nel manco, sic-
come assalitore delle cose sue, può pigliare. E vanne
il popolare al quadro bianco ovvero nero sagliendo
per diritto filare o per canto, ma non va mai in-
dietro per diritto filare o per canto, né a parte manca
né a parte ritta , se non quando egli ha acquistata la
dignità della Reina, et allora può andare o dX diritto
o al manco filare per diritto, una volta solamente
quando si comincia a muovere, come si mostra nel ca-
pitolo dell'andare della Reina. Et è da sapere, che il
popolare, il quale combattendo lascia il propio filare
et entra net ritto ovvero nel manco, quando é giunto
al filare degli avversari! nobili, (3) secondamente in
quello quadro ove il nobile stava , prende nome di
i) R. verso le sue contrade. S. l'ommeUe.
2) Post. 5. pognente guato.
|3) S. secondo quello quadro.
i36 -
bianco o di nero dal detto nobile; cosi acquisterà egli
la dignità e Tandare^ della Reina bianca q nera. Questa
è manifesto a cbi vede il giuoco. .
Non spregi dunque neuno cotali popolari , però
cbe noi leggiamo di tali che sono diventati Papa et
Imperadori, essendo ornati di virtudi e di grazia. Uno
che avea nome Giges, essendo abondevole d*arme e
di ricche2ze (i) nel. reame di Libia; e 1 Re per (2)
tale comandamento, enfiato nell'animo, essendo Te-
nuto alla casa d' Apolline per sapere se veruno uomo
mortale fosse più beato di lui, (3) d'una spelunca
nascosta delle sagre cose venne una boce, che pose
più alto di lui uno popolare che avea nome Agalus
Sofidius. Costui era poverissimo delle cose del mondo^
dell'animo era ricco, e del tempo era vecchio, il
quale non avea mai trasandato i termini del campo
suo. Sicché Apolline lodò più la piccola (4) capanna
di Galaio SofBdio con sicurtà , che la casa di Gige
ricchissimo, trista per rangole e per sollicitudine. Più
approvò le poche solle sanza paura , che la (5) gran-
dissima contrada di Libia piena dì paura. Questo povero
Agalaio fue uomo virtudioso e sicurissimo. (6} Quanto
l'uomo è di più basso nascimento e più alto di vir-
(i) S. e T. nel traboccante reame. Post. S. nel rìcchìssimo.
L. in opidentissimo Indiae regno.
^{2) SuppL da S. che dice: per tale imperio. T. Teggiendose
in tanto triunfo. // L. semplicemente: inflatus animo, lia mede-
sima scorrezione poi di sintassi trovasi nella S.
(3) E. da una nascosta spilonca di quello luogo, che si chia-
mava Sagre cose,
(4) S. piccola casa capannaja di Agahes Sufidius. L. rude tw-
gurium,
(5) S. grassissima. L. pinguissimam.
(6) Anche qui il T. aggiunge di suo qualcosa, — £ però quando
lo omo ène in estrema condizione , e lui abbia pace e contenta-
mento, de ciò ène più beato che quiili che hanno le grandi si-
gnorie e non sieno contenti de quille, ma sempre stanno in paura
de perdere quille , et in gi^ande sollicitudine de acquistare de al-
tre. Ovidio non fu de grande generazione de Roma, ma fu omo
de grande "scienzia , per la quale fu et è sempre nominato . de
òpeiTitione virtudiose. L'edizione \feneziana ha soltanto di questo
tratto il secondo periodo ^ con qualche {varietà.
Indi, tanto si mostra che sia di più gloria e di pia
fama. Vergilio, lombardo per nascimento, cittadino
di Mantova , nato di bassa geote^ ma grandissimo et
alto tra'poetiy per tutto il mondo fue famoso. Dicen-.
doli una volta uno ch'elli mischiava fra Topera sua
versi d'Omero, rispuose che venia da grande forza,
riscuotere k mazza di mano ad Ercole.
E questo basti che sìa detto dell'andare de' po-
polari.
CiPITOLO OTTAVO.
DeW abbreviamtnU> di iuUa V opera.
Brievemente, quanto potremo, ristringendo tutto
quello che detto è di sopra, diciamo che questo giuoco
fue trovato al tempo di Vilmoderag Re di Dambillonia,
e che lo in venne Xerses ovvero Filometor filosafo; e la
Cagione per la quale lo ìnvenne si fue per correggere
il 'Re. Queste tre cose si manifestano ne' primi tre ca-
pitoli del primo Trattato. Conciofossecosacnè questo Re
fosse reo e spietato , e non potesse patire le correzio-
ni, ma i correttori uccidesse, e molti ne avea già morti
di savissimi uomini; il popolo che molto si contristava
della mala vita del Re, pregarono il detto filosafo ^^
che riprendesse il Re della vita che menava. I\t al*
legando il filosafo al popolo, che la morte gli sopra-
venia s'egli il facesse, il popolo disse: Certo dovresti
anzi elieggere la morte,' che la fama (i) SH>li fra il pò»
poUi che la vita del Re sia abbominevole , massima^
mente per lo tuo consiglio, conciossiacosaché tu {2) non
sia ardito di riprenderlo, come tu di'. (3) Udendo ciò il
^ (i) Diceva: vuogli; eorr* e suppL da L. La S. che la fama
sia fra ^1 popolo.
(7) SuppL da T. conforme a L. poiché manca pure nella S.
(3) E qui pure il T. a^unge: e massimameipLte avendo re«
spetto a' tiù compagni , li quali non hanno curado della propìa
Tita perchè gli abbeno creduto potere fare alguna corretion in
lui; e tu mo hai tanto più cara la vita tua, e de tanto pia va-
luta de toro passati. £t a che fino é lo tuo grandissimo ingegno
i38
filosafo promise al popolo di correggere il Re « e comìn^
ciò a pensare uno modo col quale scampasse la morte
et atteueBse la impromessa al popolo. Elt allora il fi-
losafo si recò tuUo alla ideate, e tróvoe Io scacchiere
con LXIUL qoiidri^ si come detto è nel capitolo dello
scacchiere. ^ compuose la forma degli scacchi a forma
d'uomo, d'oro e d'argento ^ e formoe secondo che noi
dicemmo nel capitolo delle forme degli scacchi^ nel
secondo Trattato; e scrisse il loro viaggio e movimento^
secondo che detto è nel quarto Trattato. E conciosia-
cosachè il detto filosafo avesse cosi ordinato tutto il
giuoco, e già avesse cominciato a giocare dinanzi a
molti nella magione del Re e '1 giuoco fosse piaciuto
a tutti, il Re sopravenne et ebbe disiderio di giuo-
care. Allora il filosafo cominciò ad insegnare al Re il
giuoco, e V andare degli scacchi., dicendo primiera-
mente: il Re dee avere iustizia, pietade e castitade,
secondo che si mostra nel capitolo della forma del
Re. Cominciollo anche ad ainmaestrare della forma
della Reina e del suo andare , dicendoli chenti co-
stumi ella dee avere; et anche gli disse degli Alfini^
siccome de' giusti giudici e consiglieri, i quali fa bi-
sogno d'essere nel reame. Anche de' Cavalieri, siccome
^ debbono essere fedeli, e savi^ e liberali; et' ancora
de' vicari i del Re, e de' costumi loro, siccome detto
è ne' sopraddetti capitoli della forma de' nobili, Am-
maestròe anche come i popolari debbono stare intesi
alle arti et a' mestieri loro, e con esse servire a' no-
bili, e perchè stanno dinanzi a' nobili, siccome si tratta
nel quarto Trattato, nel capitolo dello scacchiere. Con-
ciofosse dunque cosa, il detto filosafo la vita del Re
avesse cortesemente ripresa, quasi riprendendo il Re
e i nobili posti nel detto scacchiere, il Re richiese il
filosafo, che «otto pena del capo gli dicesse perchè
questo giuoco avesse trovato. Allora il filosafo con-»
e senno y se elio non si dimostra in alguna operazione vlrtudiosa?
Come remarrà mai alcuna fama da ti» la quale renda a ti alguno
onore? l^oì che sarai passato della presenta vita, nullo ricordo di
ti sarà fiitto, Aldendo ci6 el filosofo, ec. Simile tedizione veneziana.
stretto di paura rispuose ^ come ti richiesta del pò*
polo avea promesso di correggere il He. Ma conciosia-»
cosachè temesse la morte , veggendo che questo Re
avea già morti altri savi, però che erano stati tanto
arditi che Taveano ripreso;, di«se che era posto in
angoscia in che modo conservasse la vita , e^ trovare
potesse alcuno cortese modo a correggere il Bé. E poi
ch'ebbe avuto uno grande pensìere, trovò nella mente
questo giuoco, col quale potesse migliorare la vita del
Re cortesemente, correggendo i vizi in terza persona
in quello scacchiere, e recandoli alla memoria ih pa*
lese; acciò che quello Re , il quale desiderava di sa-
pere il giuoco, attendesse le parole dette d'una terza
persona siccome dette a se, e così almeno mutasse la
vita e i costumi. Aggiunse anche d'avere trovato que-
sto giuoco, acciò che i nobili et abbondanti di ricchezze
e godenti della pace, schifasseno Tozìositade per que«
sto giuoco, da che giocando si dilettassero in esso e
fossen vi attenti. Ancora per dare materia a diversi di
fnéditare, e di trovare svariate ragioni e modi, si di
giuocare , come di parlare e scrivere sopra esso giuoco.
Poi che il Re ebbe udite queste ragioni sopra esso
giuoco, pensando come il detto filosafo avesse trovato
nobile modo di correggere, ringraziò il filosafo^ mu-
toe modo e la vita e' costumi, al modo che il filo-
safo gli volle insegnare. E cosi avvenne che il Re il
quale prima era disordinato e spietato, diventoe giu-
sto, e grazioso nel cospetto di tutti in virtù et in
grazia di costumi; però che menare vita sanza virtudi
non è opera d'uomo ma di bestia. Addunque ricor-
riamo a colui il quale è virtude, e dal quale procede
ogni bene e grazia che a noi, al quale ha donato per
alcuno modo (i) che abbiamo saputo dire alcuna cosa
ad onore de' nobili e popolari, si ce dea grazia in que-
sta presente vita di potere in perpetuo con lui vivere
e regnare.
Et io frate Jacopo da Cessole dell'ordine de' frati
Predicatori , si compuosi questo libretto ad onore e
(i) Da S^ « L.
i4o
sollazzo de' oobili e juassimamepte di coloro che sanno
il giuoca, et a questo fine l'ho recato , domaodando
ciò a colui dal quale scende ogni dato ottimo e per-
fetto.
A Dio sia dunque ogni onore e gloria in secula
seculorum amen.
ExpUcU Jiber ìntiudatus , de morìbus et offitiis no-
bilium et popólarìum. (i)
(i) S. so^imgc fc diic segtienti oita\'t.
Leggi, lettore, con f animo altiero
Quel che contiene questo bel Tolùme;
Giuoco di scacchi non è a dir il véro
Ma regola di Tità e buon costume
Di viver lieto e d'animo sincero, ,
E poi cercare quello etemo lume
A Principi, (a) a Re, et a signori , '
A (b) poveri, a ricchi, a chi desidra onori.
Leggendo vederai la vita appieno
Di tutti i stati umani, e quanto errore
Si versa fra la gente , e non vien meno
La cupidigia dell'avec onore,
La sciolta volontà che non ha fi%no
D'acquistar* roba senz'altro timore;
Però non ti rincresca, se t'è caro.
D'aprir la borsa e non esser avaro.
(a) Forse et a' Re.
{b) La misura del verso fa sospettare che gli antichi scriyeS'
serOy q almeno pronunciassero: A'poeri, oppure A' povrì.
Esempio che trovasi nella S. e fnanca in tuM gU altri testi ^ e
va collocato alla pag. io3. Un, a8.
Racconta Valerio d'uno albergatore, che essendo capitato al
suo albergo uno mercatante grandissimo amico d'un altro mer-
catante, il quale amico veggendolo gli fece grandissimo onore; e
volendolo tenere nella sua casa per fargli quello onore che gli
si conveniva, rispondendo l'amico ricusò, dicendo, che stava bene
col detto oste. Partissi l' amico da lui e toiiiò all'albergo. E quando
fu la sera et ebbe cenato convenevolmente , essendo ito a letto,
ci^edendosi stare sicuramente e senza perìcolo, la notte venne in
visione al suo amico costui che era albergato in quello [albergo,
e parevagli visibilmente che vedesse questo suo caro amico, il
quale così gli dìcea: compagno e amico mio ajutami, che questo
oste mi vuole uccidere e rubare. E costui, destandosi con questa
visione, levossi del letto e vestissi e calzossi incontenente, ed uscì
fuori di casa per venire all' albergo per chiamare questo suo
amico, e quivi ripensò fra se medesimo e disse: Qual pazzo sono
io, che io vo a questa otta a chiamare costui? altii se ne fa-
rebbe beffe, intendendo questa cagione. Allora tornò a casa et
andossene a letto, e come fu raddormentato, e questo suo amico
gli rivenne innanzi tutto fedito e tagliato, e disse eoa: Amico
e compagno mio, poiché non mi venisti ad ajutare a vita, or
m'ajuta e fammi onore alla morte; che Toste mi ha morto e
rubato, e àmmi messo in un cai*ro di letame, e mandami a sot-
terrare in Tilla perchè non si sappia. Quando fu giorno costui
ricordandosi delle dette visioni, e battendogli il cuore di questo
suo amico, pensando che senzi^ grande cagione questa visione
non fusse, uscìe fuori di casa e Tenne in verso questo albergo
la mattina per tempo, e giunto all'albergo domandò dell'amico
suo. L'oste gli rìspuose da' era ito via. Allora l'iunico andando
Terso la porta delle mura ebbe veduto questo carro di letame:
incontanente cominciò a gridare et a fare romore e dire, come
quello ne portava l'amico suo morto in quello letame a sotter-
rare in villa, perchè non si sappia. Allora danno di mano e cer-
cano in questo letame, « trovaronvi dentro questo uomo morto
tutto forato. E venendo a casa del detto albergatore, presonlo e
menaronlo aUa signorìa, et essendo tormentato, manifestò l'omi-
cidio tutto, e perchè l'avea fatto; e seppellito questo morto a
grande onore, la signorìa condannò questo albergatore che gli
russe tagliata la testa, e così fu, e i beni suoi tutti furono messi
in comime.
Pezzo del T. mancante in tutti gli altri testi , eccetto che nella
edizione veneziana^ e va posto alla pag, i33 Un. 34*
Deve ancora el Rocco essere fidelissimo a Re, imperocché
a lui stane tutto lo imperìo, che (i) iranno mo per lo reame ora a
monte ora a valle, segondo corno se fa besogno. Deono spesso que-
sti scrivere a Re tutte condizione che cazzino {sic) per lo reame
con el portamento de' loro Baroni, e dala (sic) lo Re disposi-
zione, SI che a loro, ciò è a' Rocchi, stane tutta la provìdenzia
de' reami. E quando e^ Re rezeve onta o alcuno vituperio , tal
ora maggior vergogna ène de' Baroni, che sua. Però se dice tal
Barone è sconfitto, imperò che avea cattiva gente, et anco per
cattivi consigli, e per cattivi capitane!. Et rada vulta vene che,
si la gente de Re, ciò è Baroni, sono savj de senno naturale, e
de' prodezza de corpo sono prodi , benché el Re da se non sia
troppo savio, che d'eli non venga (2) scazando el Re, e lassare
far pur loro; pih ratto avene questo che, si Re fosse savio e pio,
e la gente sua fosse cattiva, e non providuta.
SuppL daW ediz. venez,
(a) Forse scazado, cioh scacciato, e forse anche in vece d'eli
va letto de h. La veneziana: che quello pericolare possa.
INDICE
DELLE VOCI CHE SONO REGISTRATE IffiL VOCABOLARIO
DELLA CRUSCA
coir ESEMPIO
DI FRATE JACOPO DA CESSOLE.
(Còl primo numero s* ìndica il Trattato ^ col secondo il capitolo,
e col terzo la pagina,)
Al
Lbbiejite III. 2. 71.
Abrostine §. 1:1 III. i. 69.
Arare §. I. = IH. 3. 8a.
Assennato II. 4* 35.
Atrabocco li. 4- 44*
Battaglievolmente I. 3. 5.
Borbottio IL a. 18.
Cazzuola HI. a. 71.
Cintura §. IH. zz li. 4. 35.
Contravversità IH. 5. 94.
Curatore §.1. zz HI. 5. 93,
Disdire §. VI. :=: IH. 4. 90.
Femminacciolo IH. 5. 95.
Ferruzzo HI. 3. 82.
Figliuolo «. IV. =ni. 8. 116
Follia li. 3. 29.
Formamento IH. i. 66.
Fortissimo II. 4* 43*
Mendicaggine III. 8. 11 3.
Minuzzato II. 5. 60.
Minuzzato §. n: (*)
IVuvoloso §. zzz IH. 5. 99.
, Onore II. 4. 35.
^ Operazione II. 5. 60.
Pennato IH. 1. 65.
Pcrfldezza li. 5. 52.
Pialla IH. 3. 71.
Pietà II. 5. 53.
Qnistionatore. IH. 5. 93.
Ramogna II. i. 12.
Recata IL 4* 4^-
Reddimento II. 4- 35.
Richesta II. 4- 4^*
Risplendente IL 4* 35.
^ SatoUamento IL i. 11.
Scialacquamento IH. 8. 1 13.
Francheggiare §. ZZ IL 5. 53. > Scialacquatore IH. 8. 112
Fretta II. 3. 3o
Impeso I. 2. 4-
Imporporato im.
In celato IL 4« 4?'
Incorare Prolog, i.
Invidia IH. 2. 73.
Iviritta II. 4. 36.
Lancinola HI. 3. 82.
Lealissimo IH. 4* 89.
Lividezza §. IL rz li. 3. 3o.
Maestà IL 4, 46.
Maggio I n. compar. IL 4* 43*
Scordanza IL %. 39.
Segolo IH. I. 65.
Signoreggiare IL i. io.
Smemoraggine §. — IH. 2. 72.
Spesa IL 4. 43,
Splendentemente HI. 2. 73.
Stemperamento §. II.zzIL 2. 18.
Svariato §. IL zz 2. 16.
Tristizia lì. 5. 63.
Vasellaio IL 5. 62.
Vegghiahza IL 4* 4^-
Vigoroso §. T. zz IL 5. 5o.
(*) Non ho saputo rinvenire nel nostro Autore V esempio
citato dalla Crusca.
INDICE
DEI CàPrfOW.
Prologo • Pa^' '
Trattato I.** Della cagione del tr^amento di que-
sto giuoco » 2
Capitolo I.^ Sotto il quale Re fue tro-
vato » jVì
IL** Del trovatore del giuoco de-
gli Scacchi . . . . ^ 3
, III.^ Delle tre cagioni del trova-
mento di questo giuoco » 4
— II* Delle forme defili Scaccia nobili . » 8
r. Della forma del Re e dei
suoi costumi . . . . w 9
IL" Della forma e de' costumi
della Reina ....*> i6
IH." Della forma e dell'offizio de-
gli Aifini, che sono giù*
dici et assessori nel rea-
me » a6
- — IV." Dell'offizio e della forma dei
Cavalieri » 34
^ V." Della forma de' Rocchi, ciò
sono vicarii del Re . . n 48
• III.'* Delle forme degli Scacchi popolari » 64
■ I." Del lavorio della terra . » 65
- IL" Dell'opere de' fabbri . . » 71
III." Del lanaiolo ovvero notaio,
pellicciai ovvero beccai » nS
— — IV." De* mercatanti e cambiatori » o5
V." De' medici di fisica e cini-
gia, e speziali ...» 92
VI." De' tavernieri et albei^atori» loo
IO
i46
CLupiTOLo VII.'' Della guardie della città et
ofizialì del Comune Pag, jo6
— - Vin.^ De'rubaldi, scialacquatori^
e barattieri, e corrieri. « 112
Tbattato IV/ Del movimenio e deU andare de^U
Scocchi »ii8
I.^ Dello Scacchiere in genero » m
IL® Del movimento e dell' an«
dare del Re, e della sua
natura » lai
III." Del movimento e dell'an-
dare della Reina . . m 137
IV.® Del movimento e andare
degli Alfìni , ^. . . » 129
V.® Del movimento e dell'an-
dare de' Cavalieri . . » i3i
VI.® Del movimento e dell'an-
dare de' Rocchi . . . » i33
VII.® Del movimento e dell'an-
dare di tutti i popolari. » i34
Vili.' Dell'abbreviamento di tutta
l'opera » 137
ELENCO
DELLE VOCI, O LOCUZIONI, O NUOVI SENSI,
OD USI MANCANTI AL DIZIONARIO DELLA CRUSCA
(n primo numero indica U Trattato , il secondo accenna il Capitolo g
e il terzo la pagina.)
(L'asterisco * indica voci tratte d^ altri testi>)
xXbiturio, lo stesso che Abituro. III. i. 66. (La terra) dobbiamo
avere per abiturìo alla nostra fine. E 6. 104. Éu registrato
dagli editori del Dizionario di Padova colla nota di V. A. ma
non se ne addusse verun esempio.
AccENirARE, passivamente j dicesi di colui al quale si fanno cenni
da altra persona ^ come neW esempio recato dal Vannetd alla
voce Accennato. III. 3. 82. Gli conviene essere onesti e casti
di non isguardare le femmine, o se fossono in mal modo,
sguardati da esse o accennati si fuggano da esse.
AccETTAMENTO , sosU in scnso di Eccezione. II. 3. 27. Dare buoni
consigli diritti et eguali a coloro che gli addomandano, sanza
accettamento di persone. Farmi che si possa registrare questa
voce anche nel suo pritno significato di: accettazione.
AccivuiE, col terzo caso di oggetto. III. 5. gS. Tutti hanno loro
termine a gaudio, ma non sanno onde possano accivire ad
allegrezza ^ande, stabile. Quasi nel senso di: giungere, ar-
rivare; ma si pub sospettare intruso il segnacaso ad.
Alla laaga, col verbo spenderti o simile ^ sta per: copiosamente,
prodigamente. III. 8. 11 3. Quegli cba è usato di spendere
alla larga, et in cattivanze, ecc.
Alla scialacquata, a\^. Scialaquatamente. III. 8. 11 5. Stoltissima
cosa è spendere altri il suo alla sdalaquata, e poi stare alla
speranza dell'altrui.
* Al fbimo sguardo che, seguitando il verbo vedere, o simili^ To-
sto che, come prima. III. 5. 96. R. Al primo sguardo ch'ella
il vide tornare.
* Altura, per superbia. È una giunta veronese con un solo esem-
pio: fu usata frequentemente dagU antichi III. 7. no. R. Né
per tribulazione del mondo si fiacca, né per lusóiga delia
i4à
Ycntura monta in altura. Così Passav. IL 117. (ediz. milan. )
Va, o uomo d' altura , quando vaneggi nella mente tua^ e
considera la viltà della sepoltura. E Amm. ant. a8. 2. q.
Ancoiu più', singolare costrutto ^ dove ha forza di^ Inoltre , Óltre
a ciò. III. 4* ^8* ^on si vergognò, ec. Ancora più che la
cavata parte del capo, ec. sì Tempie di piombo colato. Il
suo pieno sarebbe: È fece ancora più questo, che, ecc.
Andabb, sost. nel plurale, IV. 4- 1^9. Hae due andari, cioè, yaper
due strade.
Airi) ARE A FEMMINA, o simili, Usarc carnalmente. II. i. i5. Quello
mastio sanza differenza vae a molte femmine. E impresso. II
gallo, ec. va a molte galline. Nel primo esempio il R, ha in
vece: s'accosta a molte; maniera già notata dal Lombardi die-
tro un esempio delle V, S. Pad, È da osservarsi a lode della
nostra lingua ^ come in poche linee y per esprimere la stessa
idea pia volte y il Trecentista ebbe amano sempre varie frasi:
con giungersi a donna; andare a femmina; accostarsi a fem-
mina; intendere a donna; usare suo diletto di alcuna donna.
Akdarb a disotto^ e al disotto. La Cr, nota questi due modiy
che vogliono y perorare di condizione y ma non dà esempio.
Eccolo, IV. I. 120. Per la forza si sovvertono i consigli, e
per mancamento de' savj le cittadi vanno al disotto. Mi sia
lecito il dire che la frase Lat. deteriore loco esse; non cor-
risponde precisamente y come il vuole la Crusca y alla italiana j
perche altro si è trovarsi in peggiore stato di alcun altro y ed
altro il mutare in peggio il proprio stato,
Apbeteitbbb, lo stesso che Appartenere, Pertenere. IL i. io. A
lui s'apertiene di costringere, ec.
A POCO nrsiEMB, avv. vide a poco, a poco. IL 5. 5i. Dilungandoli
a poco insieme dalle mura dinanzi della città, ec. sì gli me-
noe. Questo modo è usato pure nelle Pist. di Sen. pist, 24*
Non volse fare a poco insieme, ma cacciò fuori il franco e
nobile spirito. E appresso. Noi non giungiamo subitamente
alla morte, anzi andiamo a lei a poco insieme.
ApPBBSBirrARB , jporse in senso di Accusare. IL 4- 4^- Della quale
cosa appresentato dinanzi al Re Porro da coloro che servi-
vano alla mensa, sì fìie menato dinanzi a lui.
A QVAiTTO? avverbio domandativOy e vale: A qual prezzo? Lat
Quanti. III. 3. 83.
ÀMTEXE. V. A. Smozzicatura di artefice j come orafo, di orefice. III.
3. 83. Così lo S. ha camefi, per carnefici, pag, 99, nota (2).
Assai. IVota uso pellegrino, IL 1. i3. Nella parola assai semplice
del Re o del Principe, dee essere più fermezza che nel sa-
ramento del mercatante. Similmente nelle Pistole di Seneca.
56, V constringo l'animo a intendere a se sanza curarsi dei
rumore di fuori, assai sia grande, {nei quali due esempi vai^<
per quanto, quantunque.)
Aasbovasb. In senso diy attribuire « ascrìvere. HI. r. 66. Pertanto
che Tucmio è ingrato a Domenedio, e '1 multiplicamentp
delle cose temporali assegna a sua propria virtude.
* AssEomMEivTO. Ecco altro esempio^ e più antico, IV. a. ia4. Post.
S. Quello che gli altri hanno per asseguimento. Il M. legge
acquistamento.
A TEBWA FINE, o Alterna fine: corruzione di a etema fine, cioè,
a esigilo perpetuo, II. 4* 36. Trassene fuori li santi uomini
che vi trovò condannati a stare a terna fine. Ed ivi, 46.
Andandosene all'isola, quivi si mise a stare atterna fine per-
petualmente. E III. 3. 79. Tarquinio Superbo, il quale fue
cacciato di Roma dal suo nepote, ec. essendo a tema fine, ec.
* A TBABOccAMENTò. Aw, lo stcsso chc: a trabocco; a precipizio.
Così legge la S. IL 4- 44* Misesi a traboccamento in batta-
glia; dove il M. legge: a trabocco.
Attendere per Tendere, Dirizzarsi. II. i. 9. Al Re debbano at-
tendere gli occhi di tutti, {anche il L. attendere).
* Attenebrar^, alT unico es. di Fr. Jac. si pub aggiunger 4fuesto.
III. 6. io:t. S. Coi quale s^ccende Tira, e attenebrasi la di-
screzione* H M. ha invece il participio passivo , Attenebrato.
Avere, forse in senso di succedere y accadere , o simili, I. 3. 4-
Democrito filosafo sì trasse gli occhi per non vedere avere
bene a' mali cittadini ed in j usti, {quando però in vece di
sì non debba leggersi e\)
Avere, a fare con donna. III. 6. io3. Ebbe a fare colle figliuole
come fossono sue mogli. H Lat. filias ut uxores cognovit.
La Cr. ha l'altro modo simile j Aver che fare.
Avere per niente, o neente. ÀI solo esempio del Bocc. recato dal
L. puossi aggiungere questo. III. 3. 80. L'avarizia, ec. àe in-
segnato d'avere superbia e crudcltade, et avere per neente
■ Domenedio.
* Aver valore addosso ad alcuno. Aver forza superiore d'alcuno ,
poterlo opprimere. IL 4* 39. S. Se' figliuoli di Amon ti aves-
sero valore addosso, sì t'aiterò. £* sinùle quello del Firen-
zuola Asin, d'Oro, Il veleno gli avca preso tal valore ad-
dosso, che oramai era ogni rinìedio indarno.
B
* Baffare, strana voce che sta per Radere nel T. III. 2. 74* ^^**
alguno ferro mente fèasi baffare ei pielo delta bai4>a. Po-
trebbe sospettarsi da questa V origine del vernacolo', baffi,, voce
a^unta dal Diz, Pad, con due esempì ^ imo del Salvini ^
t altro del Panni,
Battagliermente, avv. a modo di battagliere j battaglievolmente. I.
3. 5. Poi ch'ebbe veduto questo giuoco molti Cavalieri, Ba-
roni e Capitani giuocare battagliermente col detto filosafo.
{Tutti gli akri testi y per altro y e la Cr. Jianne battagUevol-
mente.)
i5o
'OowwtTAfJbrsei Taligia, o nmUe. HI. 6. io5. v. hiOgOt dove U Cod.
164I' l^gg^i Borgetta.
* B0EGETTA9 per valigiay che potrebbe essere corruzione di Boiffetta,
piccola bolgia. III. 6. io5. GocL i64i'
C Questa lettera e mutata spessissimo in G dicendosi nei testoi
diligansa, diligato, saghetto, spelunga, tagi; per dilicanza^
dilicato, sacchetto, spelunca, taci. Così è pure nd Codice del
Catone y della Ubteria MagUabechiana , come notò il diUgen-
tissimo recente editore del libro di Cato^ MiL Pirotta 1829,
ndla Prefaz. pag. 17, nota (a): poga, poghl, segoado, sigu-
10, siguramente. E di fatto la Gr. ossmò che laQy ha moka
simi§fiansa col G, il che si vede nelU siorpiamend e scarni^'
che avvengono nei dialetti d'Jtaliaj che il fico, sicuro, me-
dico, mutossi in figo, siguro, medìgo, ec.
* CAMSftAjo. IH. 7. III. IL I tesorieri, ovvero diiaYarj, e came-
. raj delle comunanze, {vale^ guardiano deUe camere.)
Cauto, banda, parte. Nel plurale si disse ^ cantora, da^ antichi,
siccome Latora. III. 3. 83. v. luogo.
* Gap ANN AIO, add. da capanna ^ capannesco. lY. 7. i36. S. Apolline
lodò più la piccola casa capannaja di Àgalus con sicurtà,
che, ec // M. /<^ge, capanna.
* Cabnajuolo, add. d^uomo amico della camifidnaj carnefice. III.
5. 99. E. Sieno chiamati anzi camajuoli , che sanatori- di pia-
ghe. Dove il M. /e^ge, carnefici.
* Camefe. V. Artefe.
Che, congiunz. strano traslocamento. I. 3. 5. Io desidero la tua
vita che sia gloriosa, (cioè: che la tua vita sia gloriosa.)
» strana sintassi, II. 2. 18. Il fanciullo disse loro, che per
patirà della morte, volendo scampare dalle mani della ma-
dre trovai questa bugia, {dovrebbe dire: a vea trovata, in per-
sona terza.)
- JVè dalla Cr. §. I.; he dal Cinpnio si citano esempi altro che
del Bocc. di replicare la che. Anche nel nostro autore s'in-
contra. II. 4* 4^' ^ P^^^ ^ ^^ attendere con somma solleci-
tudine che quando sopravviene perìcolo di battaglia, ch'al-
lora si faccia richesta di pecunia. E III. 5. 98. £" IV. i. 121.
£d avegna Dio che, siccome abbiamo detto, che lo scacchiere
significa, ec.
Che tanto? interrog. per Quanto^ III. 2. 74* Che tanto male hai
tu fatto, che ti contenga cosi guardare?
Chiamata, sost. nel senso di Adunanza malvagia, conventicole. IV.
i. 120. Non vadano trovando chiamate d'uomini, né congiu-
razioni. (// L. advocationes , seu conjurationes inveniant. La
S. Zegjge egualmente al MS.)
i5i
* GoMMiATA«R, Dar commiato y Accomiatare. CoA kgge.h S. II.
5. 63. Non si comTÌene a prìncipe di commiatare da se con
tristizia niuna persona.
CknfPORTAmis, telavo costruUOy in senso di; SolleTare^ Ajataré a
portare. II. 5. 54- La fidinola traeva fucna le mammelle e
col latte suo comportava la fame deOa madre. {Qui il K. e
S. ledono: sosteneva.)
CovciosstAcosA, senza la che, olire tonico esempio del Cavalca ^
recafy daUe giunte veronesi, IL a. n^, Condossiaeosa oggi sia
, rìcco, domane potre' venire in strema povertade. Sùmle IV.
8. i38. Gonciofbsse dun<]ue cosa il detto filosafa la vita del
Re avesse cortesemente ripreso, eoe.
* GoirsoLAKiA, sost Consolato. II. 5. 57. R. I suoi antecessori
aveano spesse volte fatto V officio della eonsolaria sì costan-
temente.
Coittrove&sita', contrarietà. III. 5. 94» dove la Cr, legge ^ contrav-
irersità.
* CoNTURBAirzA. La Crusca non d$ che due esempi di Fra Jaco-
pone. Trovasi pure nel nostro. III. 8. ii5. R. nota (3).
CoirvBiriiiB, coW accusativo d' oggetto y per Promettere , Pattuire. III.
a. 722 Pagòe la moneta ch'egli avea òonvennta ad Àuìbale.
Cosa, assolutamente per Che cosa, Che, riprovato come barbarismo^
ne ha un esempio (che per altro non pitò far. forza molto)
nel III. I. 70. Npn seppono cosa fosse il bere vino.
Così. Talvolta è posto per riempitivo , con certo senso enfatico che
non si saprebbe altrimenti esprimere. III. 7. 109. Fecelo ap-
piccare sopra il capo del fratello, seggente lui, cos\ con una
setola di cavallo. jÈ" modo volgare^ e forse pub esser qui re-
cato ifuclT esempio del Petrarca p. i. i4i. Stassi còsi fra mi-
sera e felice; che il Cinonio interpreta malamente per: non
troppo bene, poco bene, mediocremente. JVh U senso qui
addotto vuoisi confondere con quello de^ ^esempi citati dal
Vannettis dove nel primo il così vale per questo, per chie-
sta ragione, e nel secondo è un eUssi^ il cui pieno sarebbe:
dosi come bisognava. V. Crusca.
Cotanto, per Questo, Ciò, come nell'esempio del Nov. A. citato
dal Fannetti, II. 3. ai. Bene ti dico cotanto, che il corpo è
corrotto, ma l'animo è sanza colpa, (ed Ita un certo che di
enfasi neW affermare,)
Cbeditoeio, add. Credibile. III. 5. 96. La Cr. registra: Creditoio.
CREDUTO, add, o partic, in senso di Affidato. IV. 4- '^9*
D
Da, in senso di Con, Pei* mezzo. II. 4- 4i* Acciocché il nemico, ec.
non solleciti il suo pop<;^lo da larghezza ( doh : colt essere lar-
go ^ liberale.) Osservolla anche il Cinonio §. V. dietro t esem-
pio del Bocc. FikK;. 1. Io mi sentii io sinistro lato piagare
i5a
da una saetta d'oro. S n si può anche ridurre tpudh di
Dante, Porg* 7* Luogo é laggiù, non tristo da martiri; re-
ciUo daUe giunte veronesi,
* DiAB. Osservisi il Lombardismo del T. HI. 3. 76, nota (6).
Daes MBDicnrA, Rimediare. IL a. ig. Bamaricandosene alla mo-
glie, perdi' ella non glie Tayea detto (che gHpuiia la bocca) ^
acciò che desse medicina a quello tìùo.
DiBSi UA, Adirarsi; III. i. 67. Per questo essendo Antonio for«
temente confuso e dandosene molta ira e soUecitu<fine, ecc.
Dormo, avv. per In città. L. Domi. II. 3. ag. Poich'e' Romani
sprezzaro la povertade, éc. sì nacquero loro battaglie dentro.
È III. 8. II 5. Di questo cotale penso io che va caendo le
noTitadì, e di muovere battaglia dentro volonterosamente.
(iZ L. dice: beUa intestina.)
- - usato a modo d* addiettivo. IL 44* 4- Essendo Siila Re, ec.
degli usciti di Roma, et avendo avute molte vittorie contro
i Romani dentro, ecc. ("cioè, che erano di dentro ^ in città,)
E III. 1. 72. Fabio avea ricevuti pregioni Romani da Ani-
baie a certi patti di moneta, la quale moneta non essen-
dogli data da' Romani dentro, mandò il suo figliuolo in Ro-
ma , ecc. È simile a quello del Sacchetti recato dal Cesari =:
curate e rigovernate le cose dentro; pmiando di alcuni ami--
malij cioh le interiora.
Ditto, add. 1m Crusca non da esempio del comunissimo uso di
questo add. o meglio participio ^ quando s^ adopera per non
replicare il nome sostantivo. Eccone uno antico. IH. 3. 83.
Una vecchiarella molto antiqua si levava sola ogni notte a
mattutino a pregare gli Dei che facessero vìvere il detto in
sanitade. {dot Dionisio tiranno sopradetto.)
DiCESso, aw. Lontano. GU esempi della Cr. hanno questa voce o
assoluta ^ o col dativo j ma nessuno ve n^è col sesto caso. TV.
a. 123. Non fue convenevole di stare molto dicesso dalla
sedia del reame.
* DiFFAMABB c DìfTamato, nel senso di Dìsinfamato, purgato del-
l'infamia. È voce di cattiva lega che trovasi nel Triv. III. i.
68. nota (i); vedi il luogo. H Lombardi recò un esempio delle
'V. S. Pad. in cyi questa voce si usa in buon senso y che so*
migUerebbe al presente.
DnvirGARE, nuovo senso. IL 3. 29. Nullo peccato è dilungato, da
poi che la povertà de' Romani è perita, {ha forza di^ è man-
cato, e il latino usa qui il verbo: abesse.)
DiLtmcE, col dativo. ÀW unico esempio recato dal VanneUi si può
aggiunger quest altro. III. 3. 82. Elesse per abitazione la villa
che £i chiamava Achedimia, dilunge alla città.
Di qua dietro, aw. per \ò addietro, pel passato. IL 4* ^* ^^^
miserabilmente morto a Taurino per mano del fante di Go-
diberto di qi|a dietro Re.
Disposato, per Promesso in isposa, Fidanzato» IL i. i5. Saputo
i53
ch'ella era disposata a uno Cattagmese. Vedi U luogo. La
Cr. cita ^aempió delle V. S. Pad. i. 60. a ^Hes0 iMkitiifo
senza notarne il vano sento y valendo anche ind non già spo-»
sata, ma promessa. Le giunte Feron. notarono Disposare, in
questo senso y dietro altro esempio delle Y. SS. P.
DoMEffEDDio, 4!olt articolo. II. 4- 39. GmibattiaiBo per lo popolo
nostro, e per la città del I>omenedio nostro.
* DovARB ▲ FRANCHEZZA, francare, liberare. II. 5. -i3. S. Addoman-
dano d'essere donati a franchezza.
E
EifTRAUs, assolutamentey per Entrar malleTadore. II. 4* 4^* Domanda
indugio tanto tempo che potesse, ecc. non dubbia d'intrare
per lui il compagno, tanto che tornasse. Il L. vadere.
* ■ '■■ iNVAKZi NBL PAKLABE, Prcoccupare, parlare prima di al-
, cuno. II. I. la. R. nota (5). // LaL dice: loquendo philo-
sophum praevenit.
Eirrao, prep. Il Vannetti recò un esempio di questa voce nel senso
di Sopra, Per, o meglio y In. Eccone un altro. III. 6. io5.
Uno tale calcio gli fue dato dal camallo entro il Tolto ^
che, ec. Ed anche trovasi nel Pecorone gior. a, noi^. a. Fa
che la prima volta eh' e" ti dice più nulla, tu gli dia entro
il Tolto.
E SE, per Quantunque. Latinismo^ Etsi. IL 3. 3a. E s'è' maestri
della pietra, ec. e s' e' lavoratori della terra si Tantano d'es-
sere utili al mondo, pure questi giudici, ec. fanno più di
tutti costoro.
EssERB IH PAURA, ÀTcr paunu III. a. 74. Quando il goTcmatore
Tiene meno, e gli altri che sono sotto il suo reggimento
sono in paura, e perdono l'animo e '1 consiglio.
Fare iifCREsciMEiiTO , Molestare, Dar noja. HI. 7. iii. Quello che
è dato loro per ofIGzio, et a coloro a' quali debbono àddo-
mandare di ragione, sì addomandino, sanza ingiuriare o fare
increscimento altrui.
LussuRU, Commettere atto disonesto. lY. 3. ia8.
— •-*• PREGHIERA. La Crusca ne ha un solo esempio y dove anche h
usato assolutamente per fare orazione. Eccone un altro y nel
senso attivo di Pregare alcuno. II. i. la. Uno filosafo, ec.
uscio dalla città acciò che facesse preghiera al Re per sai-
Tamento della città.
* SAPUTO, ATvisare, ÀTTcrtire. III. 3. 76. R. Di ciò facciano
saputo il popolo.
i *• UN ARTE, Esercitarla. IL a. a4. Se sapranno fare alcuna arte,
sì potranno menare la TÌta loro orrcTolmente» È d'avvertire
i54
che i nostri Clanici antichi non usarono mai (per tfuatUo ab^
Ha osservato) la frase, che tuUodi si ode: tare u pittore, fare
il fabbro, ec. ma sempre Essere pittore ^ ec. similmente ai
Francesi^ dte ausano étre peintre de son etat, non già [aire
le peintre.
Fatto, particbio. Uso notabUe. I. 3. 5. Desidero che tu aie al-
trimenti ratto in reggimento* {eioèi diverso da quello che sei
Lat.'93ào fore regimine.)
— sost. Crusca. §. V. De' fatti miei, De' fatti suoi, s*usa per
esprimere lo stèsso che Di me , Di se, ec. = Nel seguente esemr
pio ha un uso vario ^ essendo in caso retto. III. 3. 79. Colui
che è preso per amico per cagione d' utiiitade, tanto tempo
piacerà il fatto suo /eìoè: egli), quanto egli sia utile.
FBMA6iom> Fermamente. II. 4* 4?* ^ magistrati diede il giudi-
camento e le fermagioni degli anni. Non è ben .chiaro che
cosa jnU s^intenda per questa voce. Il L. dicci annuas sanctio-
nes. È per altro vocabolo di guasta legay come : condanna-
ffione, amministragione, e mUle altre , dove gU antichi scam-
biavano lo z in gy per la parentela fra queste due lecere f
notata dal Saviati, Awert, L. IH.
FiftiAiuOLO, per Fabbiò ferrajo; altro esempio. III. 1. 71. Fab-
bri, ferrajuoli, monetieri, fattori di case. (J? L. ferrarji.)
* FuoGOLoro, Focherello, pìccolo fuoco. III. 5. g6. S. nota (11).
* GA1I8BRI70I.A, lo stesso chc Gamberuolo. IL 4* ^4* ^* ^^^ (3)-
GiTTARsi DIETRO. Frosc chc h notoUi dalla Gr. aUa V. Gettare.
§. XXXIL.m senso di Disprezzare, Dimenticare, ma gU esenmi
recati sono tutti deW altra ^ Gettarsi dietro, o dopo le spalle.
III. 6. io4* Gettandosi dietro T amore del padre per la fede,
sì li ricevette ad albergo. // Latino dice: genitoris amorem
posponens fidei.
GivDicAMENTO, per Ingegno, Giudizio. II. 5. 57. Uno Re fue di
sottile giudicamento , ec. Nello stesso modo si'tramu£b Inge-
gno in Ingegnamento , voce registrata dalla Cr. colla sola spie-
gallone di Astuzia, Sagacità, Industria; mentre^ a mio awisoy
il suo primo senso dovrebb' essere di sostandvq verixde da inge-
gnai*e; cioè: Lo ingegnarsi, Lo industriarsi a fare una cosa.
Gbhtb. Accordato col maschile. III. 3. 80. La notte quando ogni
cosa era racquetata, ed ogni gente era andato a letto, ec.
GoDBYOLB, nel senso di Godente, Che gode. III. 3. 77. A ciò dun-
que che la città sia godevole di pace confortinsi a concor-
dia, j^ terminazione da disapprovarsi (benché in questo senso
gU antichi V usassero in altre voci) perchè è propria del par-
ticipio passivo.
* GoKGKRMOy forse lo stesso che Gorgiera. IL 4- 34- R. nota (5).
Grazibvole, Gratuito* III. 3. 79. In questo modo s' amano le pra-
i56
fora» e' campi» le pecore» e lo fretto die se n^ha: ma Fa;*
more degli uomini è gruicTole. (// L. gratuitus.)
IioiAirsunB» verbo neutr. Divenir mansueto. IL i. 14. Se la ven-
tura iinmansuisse verso di me io sarei migliore. E II. 4* 4o«
Ecco la potenzia dell' amistade generare spregio di morte, ec;
et immansuire la crùdeliade.
IiiriUEso» add. per Attaccato, quasi Preso in; come appreso, da ap-
prendere, per prendere. Pmò credersi per filtro errore in vece
di impeso. I. a. 4- f^*^ (^)*
Iir CIÒ CBB, per Imperciocché. Alt esempio di Guittone recato dal
Lombardi a§^iungi quest* altro. IV. 7. i38. Hanno uno andare
al terzo quadro, ec. in ciò che quasi còme sicuri, ec. (V. luogo),
ht FRoiTTi, la stesso che In pronto, come anche dissero gii antichi
In alti, per In alto. III. 4* 9'* Nelle dubbiose cose, avere
in pronti buoni consigli.
* In qua nuT&o» Per lo passato. Le giunte Veron. r^istraronoi
In qua addietro e In qua dirieto.- III. i. 70. R. L'usamento
del vino non fu saputo in qua dietro dalle donne romane.
* IiTTAvoLABB, diccsi nel gioco degU scacchi t ordinare tutti i pezsU
sul tavoliere in principio della partita. IV. i. 118. Post S.
nota (4). JS ivi. lai. T. nota (i).
* IiTTEirDERB A DOHifA. La Cr. nota^ Intendere in dopna, che h
nioUo simile^ e vale lo stesso. II. i. i5. R. Spregiata la mo-
glie, intende ad alti*a. (V. il luogo y nòta (6).)
IsATTORB. \. k. Lo stesso chc Esattore. III. 7. iii. Sieno anzi
rubatori, che isattorì tli pecunia.
IimicALE , e Giudicale , add. da Giudice. II. 3. So. Sopra sedia ju-
dicale, ec. fece sedere. (Lo S. Giudicale).
La, pronome. NoÙ> U Lombardi come questo pronome talvolta usasi
elitticamente , ed equivale aW intera locuzione , la cosa che di-
ciamo, questa cosa, questa fòccenda. E ai due esempi redàti
da lui potrebbe ingiungersi quello del Bemi Orlando IX. 4*
che trasse fuori il LanAerti neUe giunte al Cinonio =z
Far la potea non sol come valente,
E pien di generoso invitto core,
Ma potea fari' ancor come prudente.
Dove il Lamberti particolarizzò troppo questa frase ^ dicendo:
La, unito al verbo fare esprime condursi, mostrarsi. Questo
pronome con altri verhiy ha pure un senso eUuicOy e par che
gli si sottintenda y vita. VI. 8. 11 3. Quegli che è usato di
spendere valla larga et in cattivanze, quando viene in men*
i56 ,
dìcaggine, bisogno è, o che la vada mendicaDdo^ o ch'cg^Ii
imboli. È simile U modo volgare^ passarla beae , faria male, ec.
Laokde, prep. A fof^a di relativo y dove non è idea di luogo. Ce
nha esempio recato ^Zo/ Lamberti, ann. Cinon. dell* IntroduE.
virt, g6. y desiderìi della carne ; laonde tanto à assalito; e del
Bembo, Son^ 53. Jl seguente è relativo a persona. IL a. 23.
Le femmine seguitano i costumi di quelle femmine laonde
sono ritratte.
Lato , per Allato ; se non è errore. IIL 3. jS. £ lato alla dutura
avea il calamaio, ec.
* Levata, sost. vario j levata del dì. IL 3. 3a. S. nota (7).
Lividore, per Livore, jiltri esempi. III. 7. 107. Ne per lividore
d'invidia, né per amaritudine di fiele non impongano la
colpa a veruno uomo. £ R. II. 3. 27. Né per lividore d'in-
vidia., né per generazione di parentado. E & ivi. 3o. nota (6).
M
Mbguo^ coWagfpunta del Pììl IL 5. 6a. Assai piik è meglio ri-
splendere di costumi che di cose del mondo.
Meno che castameitte, o simili j modo usato tutto di per indicare^
non castamente, alquanto disonestamente, o simili j v. g.,
parole men che. oneste, ec IL a. ai. Acciò che neuno viva
meno che castamente, ecc.
* MENOPossEirrE, add. Che può meno. E stravagante f accoppia-
mento di due comparativi opposti. III. 3. 77. R. Ingannano
i più menopossenti e meno savi popolari.
Meritare , per Ricompensare , col quarto caso di prezzo. II. 3. a8.
Domandò Aristodino, truovatore delle favole, quanto fosse
stato meritato di quella opera, (cioè: di quanto; se pure il
quanto non istà come avverbio.)
* Mettere, per Arrecare. Mettere onore. IL 5. 61. R. Pensando
che non gli metterebbe onore colla (forse ^ quella) battitura
degna di riprensione.
Mettere al fuggire. Mettere in fuga. IL 4* 39. Combattendo con-
tra quelli d'Assiria, ec. misero li nemici loro al fuggire.
■ ■ ■ all'ubbidienza. Assoggettare al comando d'alcuno. III. 8. 1 16.
Allora il barattiere vedendo questo miracolo, mise l' anima
sua all'ubbidienza di lui (S. Bernardo) ^ e, fatto monaco,
menò laudabile vita.
A SUA RAGIONE , Impadronirsi , Far suo. IL 4- 36. Volea met-
tere a sua ragione Africa sanza parola del Sanato. (i2 L.
dice: proprio jure applicare.)
* ASSEDIO, lo stesso che Porre assedio, Assediare. IL 3. 27.
R. Avendo mésso l'assedio ai Beneventani.
I» TERRA, Abbattere, Diroccare; altro esempio* IL 5. 56. Le
case sue, ch'erano nel miluogo del mercato fece mettere
in terra , perché mostravano d' essere troppo alte sopra l'altre.
i57
Mettsab rasGio, per Scommettere, Mettere una posta, o simili.
IIL 5. 94- Essendo poi schernita da' gioTani di dò eh' ella
non avea potuto pie^tre T animo suo a' dilettamenti- car»
nali, ecc. quella rìspuòse che area messo pregio con loro
d'uno uomo, e non d'una statua, {meglio vedrai dal luogo.
Il R. dice: messo pegno , ed anche il L. pignus posuisse. )
* Mettersi a mallevadore, Entrar mallevadore. IL 4* 4^* ^ ^^n
dubbiò di mettersi a mallevadore per lui.
* Mezza foggia, Di mezza foggia; a modo ^ addiett vale^^ me-
diocre, mezzano. II. 4- 4^* ^* ^^ S^i uomini di mezza fog-
gia crediamo che siano più atti a combattere. ( Il L; làedio-
cres. S. mezzolani.)
Mezzo. Crusca. §. XIV. Senza mezzo, vale Immediatamente; :r^
e reca due soli esempi di Dante. Eccone uno di prosa. IV. a.
ia6. (Il Re) non si pone mai nella battaglia aliato al Re
s^nza mezzo , ma sempre gli conviene stare di lunge dall'av-
versario nel terzo quadro. (// Lai. dice: immediate.)
MojTDO, In ogni luogo di mondo. Da per tutto j locuzione simile
alle Latine i ubique terrarum, ubique gentium. II. 3. ^S. Men-
tre eh' e' Romani amarono la povei-tade, in ogni luogo di
mondo ebbero la segnorìa.
* MosGARELLo, lo stesso ckc Moschercllo, Moscherino. IL 3. 3i.
R. nota (4).
MoscHERELLO, Moscherìno. II. 3. 3i. I più deboli (animali), come
sono moscherelii, si ne rimangono presi e morti.
Muovere discordia. Suscitare. II. n. 17. Bisogno fa che i Prìncipi
temano di muovere discordia nel reame quando considerano
. che, ec.
N
Naturale y add. Co/ /lome giorno , o simile y significa ^ intero. Oltre
Inimico esempio dei Fior. S. Frane, recato dal Cesari abbiasi
questo. II. 3. ìn. Per uno die naturale, dalla mattina infino
all'altro, die levato il sole, stava così fiso in piedi fermi.
Negare. Costrutto latino. II. 5. So. Io niego che sia utile a' Ro-
mani, ec. \cioe: affermo che non è utile.)
Negghiezza, /^er Negghienza. I. i. a. Ha in negghiezza le correzioni.
o
Occhio. Essere pieno d'occhi. Essere molto vigilante y essere dili-
gente osservatore. III. 7. 107. A' guardiani conviene essere
soliiciti, pieni d'occhi e zelanti dei bene comune; (// L.
oculatos.)
Ohde però, Laonde. II. 4* ^S. Onde però guaixlino i Cavalieri
il popolo.
Ove, inferito a persona^ Come notò il Lombardi. IV. 3. ia8. Il
i58
costume di quelle femmine, ove i mttriti andando alla bat-
taglia menano al campo le mogli, (cioè: di quelle nazioni»
dove 9 ec.)
Paisb, per Pàtria, jiliri esempi II. 4- 44- Nullo uomo sansa spe-
ranza d'avere grande beatitudine offiisoe se medesimo alla
morte per lo paese. E IL 5. 54- Se coloro che non seppono
la legge di Dio furono cotali nell'opere della justizia per
muore del pitese e per desiderio d'avere fama, diente, ec.
* Pabezio» per Parete. II. 5. 6o. R. Uno parezio d'assi.
PjkATDfBVOLB. P€artecipey quasi tenente parte. .III. 5. 98. Sarebbono
partenevoli del peccato. jCioè^ complici.
Passaggiebo» io stesso che Passeggero. III. titoli. E IH. 7. 107.
PfeviEB. Gr. §. II. per Indugiare. Col Di. III. 4* 88. Se a te è com-
messo guardare pecunia » quando t'è richiesta non penare
di renderla.
Pita. Cr. %, XXXIX. Per avventura , vale Forse, zn Si disse anche ^
Per la ventura. III. 8. 17. Quando, ecc. pervengono ad al-
cuna città non siano curiosi di porle molto mente , né d'an-
dare spiando y se per la ventura sopra ciò non avessono
comandamento speziale.
* Per nmiviso, avv. Indivisamente. III. 3. 8j. S. nota (4).
Pebocchè, colla corrispondenza di Però. I. 3. 7. E però che per
questo sollazzo se ne schifa l'ozio e la tristizia, però per
ischifare queste còse fiie trovato questo giuoco dal detto Xer-
ses. E IV. a. i33.
Pie eitto, avv. U Cesari ne recò un solo esempio ^ dove equivale
a^ In piedi; nel seguente sta per Dirittamente, In dirittura.
IV. 3. i^j. Acquista la natura de' Rocchi a tre latora, in pri-
ma, ecc. nel terzo luogo per ritto al luogo nero, e vóto
dinanzi al medico, v. luogo*
* PiANGEEE. Con accompagnatura a modo di attivo. R. II. 5. 54-
Non si potèo tenere di piangere versi lamentevoli. (Così Fir-
gilio JEn. XI. 5g. Haec ubi deflevit.)
Piede, In piedi fermi; a guisa d'avverbio. II. 3. 3a. Stava così
fiso in piedi fermi, con gli occhi, e con la bocca dirizzati
in uno medesimo luogo.
Piega , Le piega, nel plur. per le pieghe ; così le^ veramente il
MS. benché nella stampa sia corso pieghe, in vece di piega.
III. I. 70.
Più' AVACcio. Piuttosto. II. 4* 44* I^^ avaccio è opera di bestia
salvatica che di Cavaliere , avere più sete di spandere il san-
gue de' nemici, che d'avere vittoria.
PoGVENTE, participio. Ponente, che pone. Di questa seconda forma
la d. ha un solo esempio del Bocc. Àmeto; della prima nes'
suno. IV. 7. i35. Post. S. Pognente guato.
PoBRB LBOGtf. Far legge, IL 4* 47* ^ neuna leg^e puose il detto
Ligurie, della quale, ec.
PREiTDSiiEy Essere preso di alcuna donna* Innamoracene^ IL a. 20.
Vergendo sedere Lucrezia, ec. incontanente fìic preso di lei.
Prender cagiobe. Trarre origine. Nascere. HI. 6. 103. Pessima
pestìlenzia è lussuria dalla quale prende cagione la pigrizia
della mente. E I. 3. 6. R. La tristizia la quale prende cagione
dall'ozio.
Quale, pronome relat. Posto assolutamente ^ come ti modo del Che.
IL 3. a8. Essendo una quistione dì due judìci , i quali Tuno
era povero, e l'altro era ricco, ma avaro. Cioti: dei quali.
Di questo pronome si vedono ne^i antichi usi stranissimi,
Eccone due esempi simigHanti al nostro. V. S. Mar. Mad. 57.
' La Maddalena, la quale tutti i suoi pensieri ritornavano pure
a Gesù. V. S. Frane. 204. Fa venire i preti tuoi, e me fae
e loro entrare nel detto fuoco, e quale dì noi rimane salvo,
in quella fede credi, (cioè: nella fede di colui il quale ^ ec.)
Ed è il s>e%zo del Boccacci quesfuso assoluto del quale, conte
notò il Ginbnio, cap. CCXVl. 3i. Il Vannetti poi reca due
altri esempi y uno della Coli. A. Isac. 109, l^ altro delle Pist.
Sen. 96.
QuESTiowE, per Giudicatura, Corte di giustizia, nello stèsso modo
che dicesi Ra^one. IH. 3. 81. Fue preso come fosse quegli
che avesse morto qUell'uomo, e menato alla questione, con-
fessò d^- avere fatto il micidio.
R
Racpprtarb, per Portare. IL i. 9. Nella manca rapporta la palla
rotonda.
Recare in sua signoria. Impadronirsi. IL i. i5« Avendo recata
in sua signoria la dttà di Cartagine.
Regolo. Nel giuoco degU Scacchi vale quella Jila di otto caselle nel
tavoliere che altrimenti dicesi Filare^ e Uh, linea. IV. 'a. i23«
più volte.
Riconciliare. Variamente y col dativo. IL 4* 38. Si ordinò d'ucci-
dere il detto Perteric, aL quale egli era riconciliato.
RicoGLiERsi nella MENTE, ncutTO y Concentrarsi. Meditare. L 3. 8.
Ricolsesi nella mente e truovò giuoco pieno di svariate ra-
gioni.
RnrcBiusA, sost. Rinchiudimento, III. 8. 11 5. Ad ogni chiesa et ad
ogni rinchiusa, {cioè^ chiostro.)
* Rinchiuso, sost. Esempio antico. III. 8. i.i5. Post. S. nota (i).
RispicciARE. Spicciar fuorij parlandosi d^ altro che di co^a liquida s
i6o
Biumir fuori. II. %* 35. Fece ficcare uno palo di legno per
la natura e rìspicdare insino alla gola.
RuroimiRi. La Or. §. III. nota Rispondere al pagamento, ài
censo 9 o simile; per Pagare al tempo debito; ma non nota
la stessa /rase costrutta col genitivo ai cosa; quantunque te^
sempio diatò del Villani sia così. Eccone un altro. III. 4* 85.
Debbono essere sopra' tesori del Re, e rispondere del soldo
a' Gayalierì per lo Re.
SiTomiriai or sco buono covosgimbitOi RinsaTire, Ricuperare il
senno. II. i. ii. Ritornati i Tarentini in loro buono conosci-
mento rendettero grazia al Re.
RmABBity per Aver orìgine. II. a. i3. Le femmine seguitano i
costumi di quelle femmine laonde sono ritratte. (L. ttaxerunt
originem.)
8
ScBiSBBzziL. y. k. Scelerità, Scelleraggine. IL 5. 5i. Il maestro
che avea fatta cotale scelerezza, disse scelerate parole, ec.
* SciovEEAEB, neutro pass. Lo stesso che Scioperarsi. IV. a. 124.
R. Non fue convenevole che (il Re) si scìoverasse per molto
spazip dalla sedia del suo reame. Ch molto a digitare che
sia errore di penna in vece diy si sceverasse, cioè allontanasse.
* ScoRREKTB, mctaf. III. 7. no. R. Lingua scorrente, cioè: facile
a trascorrere in cattive parole.
Secondo, secondochè. È notabile il seguente costrutto dittico. III.
8. II 4* Se si portassero in verso di lui secondo il modo
quando le diede a marito, (cioè: secondo quel modo in cui
si portavano quando, ec. )
Segobnte, participio pres. dal verbo Sedere. III. 7. log. Fecelo
appiccare sopra il capo) dei fratello, seggente lui, ec.
Segvitahe, per Avvenire. Oltre alt esempio di Dante recato dal
Cesari. II. i. ti. E però per quésto temperamento e pietade
gli seguitò questo, che, ec.
Senato', atcordato col phar. a modo di collettivo. IL ^. 18. Le fem-
mine di Roma, ec. si ragunaro tutte al Sanato, pregandoli,
che facessero anzi, che, ec.
Si anche, aw. Inoltre, Oltreacciò. II. 4* 46- Le quali (leggi)
perché pareano dure troppo al popolo, si anche perchè l'e-
rano giuste disse che n' era stato facitore quello Dio che si
chiamava Apollino Delfico.
SoMHABiAMENTE , nel scnso di Sommamente, quasi da Sommario,
add. per Sommo, rome Primarìo, per Primo. III. a. 72. Que-
sti artefici sommariamente sono utili al mondo.
• SoppiEDANETTO, piccolo ' Soppicdono ^ o Soppcdiano. HI. 8. ri4.'R*
• SoPBAGRESGEBE. Cresccrc di p:hj avanzare. IV. i» 121. S. Non
solamente esso mondo raguaglia e sopracresce, ma se la
natura sostenesse più mondi, avanzerete.
i6j
SoPRARE:r])ERE> wr^o. Rendere di più del ricevuto. III. 4*89. Co-
loro che sono obbligati per alcuno servigio , . non soleùmente
al postutto dovrebbono rendei'e igualmentc , ma soprarepdere.
SoMASTARE alla fatica, £^d. un'opera, jo simili. Attendere. L. in-
cumbei^e. III. i. 66. Fue necessaria «osa che l'uomo sopi'a-
«tesse al coltivamento della teiTa. E appresso. Soprastanti: alla
fatica. J? p^^. 74- ^oprastanno al navigar^.
SospRTTAMENTE. y^m*. .Sospettosamcntc. IV. 3. 128.
* Sonerò caoiottb. Sotto pretesto, sotto colore. II. 5. 5i. E- Sotta
«agtone di giuoco e di sollazzamento. (V. I.)
Stare alla speranza dell'altrui, o simili. Sperare in aitcUo d'ai-
trm. «f. 8. u5. '
•— — A m»rk. Restar nella memoria, I. 3. 6. E sì ti stea a mente
obe gli sforzati comandamenti jion possono durare,. II. 3. 27.
E sV v'istea a mente di lui, che non potrebbe essere vinto, ec.
* SrAsotcE, lo stesso che Stazzone. IV. 4. i3o. S. L'Alfioo, ec* in
sei ata^onì e andamenti attornia tutto il tavoliere. L'Ubai-
dini neW Indice al Barberino notò questa voce con questa or-
tegràfia , e dopo addottine pui esempi soggiua^ : F. Giacopo
^ diessoie dnama stazone, quella die .nella scacchiera ora
si chiama casa. // Latino ha stationibus.
Stuonom «so , Astronomico, À.stronomp. III. 5* 97. Oramati<j , e
ioiqi, ec. e strp^omiphi.
SmsfWf A'TTO , per Insensato , Intorpidito. II. 5. 56* Vide uno Ca-
valiere invecchiato e stupefatto per lo freddo.
SuoiTARB, jocr Siffnifiicarc. Vario uso, 1. 2. 3. Ebbe nome l&erses
appo i Ciildcfi, et in Greco suona a dire Filometor.
Tenere a sospetto. Esenìpio antico. III. 3. 82. Imperò che per
sua bellezza dava molta sòllicitudine agli occhi delle fem-
mine, et e^li sentendo che ^er c[uesto era tem^tP $1 sospetto
da' loro parenti , ec.
* w jnriGA, Molestare; li. f. i3. R. Con una galea tewca in
briga tutto il mare.
Termine. Assolutamente , Termine tre dì; nello spazio di tre di: è
modo comune, IH. 8. i\\. Domandò in prestanza dieci milia
livre, termine tre dì.
Tradire, varia uscita, II. 2. 25. Per concupiscenza di peccato car-
nale tradette la terra sua. {quasi dal verbo Tradere.)
Trarre a correzione. Corre^re^ Ridurre al dovere, I. 3. 5. Di-
segnandoli, «e. i costumi cheti Re dee avere, ec. si 1 trasse
a correzione.
* -«_ ^ PROFONDO, Rovinare. IV. i. 120. Post. S. Per manca-
mento de' savi le cittadi sono tratte al profondo.
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V
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VEifiHE tv AMOBE D* Àtcuffo, per Farsi amare. // Lombacyli ne ad^,
dusse un solo esempio del Cavalca. HI. 8. ii3. Tanta ▼ennero
i generi in ^more del suocero , che Toro e l'argento e'bemi
temporali, per lo tempo che venne > parfìo tra loro,
\vKvvo, nel plur. IV. 4 j3o. Verune cose. Così usossi raramente
{coinè dice la Crusca che ne reca un solo esempio del Crc"
scemi) nel plur. Nessuno. Nelle Omelie di S. Gr^. peraltro
s^ incontra più uolte.
Non yenmo, Nessuno, IV. i. i30. Certo non yerunà.4;opa
potrebbe valere quanto uno popolare, e forse mena (cùAt-
niente. Gli esempi che sono netta Crusca hanno tutU questa
s^oce disgiunta dotta negativa.)
Vie via. La Cr. spiega questa voce colle Latine : exinde, subinde;
cioè subito dopo; ma il suo significato e di subito, tosto,
senta relazione alle cose di prima y come appar bene daXte-
sempio </e^Albertano m addotto , e me^io dal seguente, IL 5.
54- Colui ch'era soprastante delle carceri non la strangoloe
vie via, ec. (v. luogo).
Vizio per Difetto corporale. Questa significazione mi pare che dMu
distinguersi^ e non confondere con quella di Mancamento, Vezzo
biasimevole, o cattivo, «onte ^ la Oc. al %. i. dove il terzo
esempio del Maestruz. i. 17. è tutt altra cosa che gli altri due ^
e simile al presente. II. 2. ig. S'udìe rimproverare, ec. che
gli putia la bocca, ec. acciò che desse 'medicina a quello
vizio.
VoTAKB, Far voto; in senso di Comandare y Ordinare, Volere, se
pure non è errore di scrittura^ come sembra. II. 4* 4?* ^- Iviogo.
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UsA&B SUO diletto d'una donna. IL j. i5. Essendoli offerta una
vergine d'alta bellezza, ecc. perchè usasse di lei suo di-
letto, ecc.
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FINE.
ERRATA.
CORRIGE.
Pag«
IVI
il
88
loS
Ho. i4 conciófFossecosach' egli
M ai domandami.
n 3n S. VII.
» >3o permitit non ampiins
n 4i Virgilio non ha questa
sentenza in nessun luogo*
» 38 del del Cessole
M 19 dico,
n a6 iucominciato.
conciofossecosaché egli
domandanti.
L. VII.
permisit non ampìius
Firgilio non ha questa sen-
tenza in nessun luogo»
del da Cessole
dice.
incominciato.
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